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RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO anno LXII - n. 1-2-3 roma, gen./dic. 2002

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RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO anno LXII - n. 1-2-3

roma, gen./dic. 2002

Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, Servizio

documentazione e pubblicazioni archivistiche, Roma. Direttore generale per gli archivi: Salvatore Italia, direttore responsabile. Direttore del Servizio documentazione e pubblicazioni archivistiche: Antonio Dentoni-

Litta. Comitato di redazione: il direttore generale per gli archivi, presidente, Paola Carucci,

Antonio Dentoni-Litta, Ferruccio Ferruzzi, Cosimo Damiano Fonseca, Guido Me-lis, Claudio Pavone, Leopoldo Puncuh, Isabella Ricci, Antonio Romiti, Isidoro Soffietti, Giuseppe Talamo.

Segretaria di redazione: Ludovica de Courten. Redazione: Antonella Mulè De Luigi, Mauro Tosti-Croce.

La corrispondenza va indirizzata a Rassegna degli Archivi di Stato, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, Servizio documentazione e pubblicazioni archivistiche, via Gaeta, 8/a, 00185 Roma, tel. 06/492251-4746404 - fax 4742177.

Sito Internet: http://www.archivi.beniculturali.it/Divisione_V Posta elettronica: [email protected] I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riprodu-

zione, totale o parziale, degli articoli pubblicati, senza citarne la fonte. Gli articoli fir-mati rispecchiano le opinioni degli autori: la pubblicazione non implica adesione, da parte della rivista, alle tesi sostenute.

Vendite e abbonamenti: Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Funzione editoria,

Libreria dello Stato, piazza G. Verdi 10, 00198 Roma, tel. 85081 - fax 85084117 (versamenti in c/c postale 387001, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato o richiesta contrassegno). Un fascicolo € 28,00, abbonamento annuo € 65,00; estero: € 41,00 e € 93,00. Fascicolo doppio o arretrato, prezzo doppio.

DANIELE MAZZOLAI, Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena 7 ROSALIA AMICO, L’Ufficio del Genio civile di Pisa e il suo archivio 65 MARIA GRAZIA PANCALDI, Giustizia e misericordia: nascita della prigione in una

regione periferica dello Stato pontificio

175 CATERINA DEL VIVO, L’individuo e le sue vestigia. Gli archivi delle personalità

nell’esperienza dell’Archivio contemporaneo « A. Bonsanti » del Gabinetto Vieusseux

217 ALESSANDRA CAVATERRA, Il contributo degli archivisti alla Enciclopedia italiana

di scienze, lettere ed arti

234 ALESSANDRA ARGIOLAS - CARLA FERRANTE, L’autonomia e la rinascita della

Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

277 ANTONELLA BILOTTO, L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del

prodotto »

293 GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE SCHIFF GIORGINI.

DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE » (Archivio di Stato di Firenze, 16 maggio 2002)

307 Rosalia Manno Tolu e Maria Grazia Pastura, Introduzioni ai lavori, p. 309; Paola Benigni, Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Nove-cento, p. 314; Alessandro Breccia, Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini, p. 335; Romano Paolo Coppini, Giovan Battista Giorgini politico di professione, p. 348; Emilio Capannelli, Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini, p. 363; Giuseppe Nicoletti, Memorie manzoniane da casa Giorgini, p. 378

CRONACHE

Giornata di studio: « La rete degli archivi e delle biblioteche della provincia di Pistoia. Prospettive e sviluppi » (Pistoia, 29 gennaio 2002) (M. Braccini)

388

Seminario internazionale di studi: « Archivi storico-educativi e loro accessi-bilità informatica » (Firenze, 31 gennaio 2002) (S. Floria)

397

Seminario: « Le amministrazioni comunali nell’area alto-adriatica in età contemporanea. Stato degli studi e prospettive di ricerca » (Vicenza, 19 ot-tobre 2002) (G. Bonfiglio-Dosio)

404

Convegno: « Tra Stato e società civile: Ministero dell’interno, prefetture, au-tonomie locali. Dimensione storica, processi evolutivi, assetto attuale » (Roma, 6-8 novembre 2002) (M. Cacioli)

409

NOTE E COMMENTI

Il diritto d’autore sui documenti dello Stato (R. Borruso) 421

Natura e struttura del fascicolo (G. Bonfiglio-Dosio) 431

Progetto di manutenzione per l’Archivio di Stato di Viterbo. Linee guida per un corretto intervento di spolveratura (D. Matè - E. Ruschioni - T. Fabris)

441

DOCUMENTAZIONE XXXVI Conferenza internazionale della Tavola rotonda degli archivi: « L’idea di archivio nell’opinione pubblica » (Marsiglia, 13-15 novembre 2002)

450 ORDINAMENTI E INVENTARI Archivio di Stato di Cosenza Archivio di Stato di Latina Archivio di Stato di Napoli Archivio di Stato di Pescara Archivio di Stato di Piacenza Archivio di Stato di Trieste Soprintendenza archivistica per l’Abruzzo

454 459 460 462 464 466 467

NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO

V. Bonazzoli, Adriatico e Mediterraneo orientale. Una dinastia mercantile ebraica del secondo ’600: i Costantini (p. 469); E. Brambilla, Alle origini del Sant’Uffizio. Penitenza, confessione e giustizia spirituale dal Medioevo al XVI secolo (p. 470); C. Broschi Farinelli, La solitudine amica. Lettere al conte Sicinio Pepoli, a cura di C. Vitali (p. 476); C. Buonaguro - I. Donsì Gentile, I fondi di interesse medievistico dell’Archivio di Stato di Napoli (p. 478); N. La Marca, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del potere (p. 480); Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (1618-1633), a cura di B. Lanfranchi Strina (p. 482); I ricoveri della città. Storia delle istituzioni di assistenza e beneficenza a Brescia (secoli XVI-XX), a cura di D. Montanari e S. Onger (p. 482); Soprintendenza archivistica per la Pu-glia - Città di Bitonto, L’Archivio storico del Comune di Bitonto. Inventario dell’« Archivio antico » (secoli XV-XIX), a cura di E. Vantaggiato (p. 485); Soprintendenza archivistica per la Puglia - Città di Bitonto, L’Archivio sto-rico del Comune di Bitonto. Inventario del fondo postunitario, a cura di G. Tatò (p. 487); C. Sorba, Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risor-gimento (p. 488); E. Tonetti, Minima burocratica. L’organizzazione del la-voro negli uffici del Governo austriaco nel Veneto (p. 490); F. Trivellato, Fondamenta dei vetrai. Lavoro, tecnologia, mercato a Venezia tra Sei e Set-tecento (p. 492); Uomini, denaro, istituzioni. L’invenzione del Monte di pie-tà, a cura di M. G. Muzzarelli (p. 495).

LIBRI RICEVUTI 497 L’ORGANIZZAZIONE DEGLI ARCHIVI DI STATO 500 NOTIZIARIO LEGISLATIVO 505 INDICI DELL’ANNATA 508 Notiziario bibliografico Opere segnalate 511 Collaboratori 512

IL DIPLOMATICO MARCHESI DELL’ARCHIVIO DI STATO DI SIENA *

In un breve articolo apparso nel 1948 sulla rivista « Notizie degli Archi-vi di Stato », Giulio Prunai dava alcune essenziali informazioni sulla tipolo-gia documentaria di un fondo da poco entrato in possesso dell’Archivio di Stato di Siena: le carte Gabrielli-Marchesi vendute al Ministero dell’interno da Faliero Franci di Siena 1. Tali carte sono attualmente conservate nel fondo denominato Particolari famiglie senesi 2; si tratta di una raccolta di documen-ti appartenuta a Salvatore Gabrielli, medico senese nato nel 1809, del quale va segnalato l’arruolamento nel Battaglione universitario Toscano durante i moti del 1848, dove rivestì il grado di tenente medico. Di questa esperienza restano tracce nel diario conservato tra le sue carte 3. Appassionato di studi anatomici, Salvatore Gabrielli si dedicò all’insegnamento della medicina e fu titolare della cattedra di anatomia umana e comparata dell’Università di Siena, che resse nel l862 e dal 1875 al 1877; morì il 24 gennaio 1880 4. La nobile famiglia Gabrielli era distinta in tre rami principali: uno originario di Siena, uno di Sarteano, il terzo proveniente da Montemerano (Grosseto) e Petroio (Trequanda, Siena). Dati i frequenti spostamenti in altre città degli

* Questo lavoro è il risultato di un periodo di collaborazione volontaria trascorso presso l’Archivio di Stato di Siena (giugno-dicembre 2000). Desidero qui esprimere la mia gratitudine alla dott.ssa Carla Zarrilli, direttrice dell’Istituto, e alla dott.ssa Maria Assunta Ceppari Ridolfi che ha pazientemente seguito ogni fase del lavoro rivelandosi insostituibile nella lettura ed interpretazione, spesso non facile, dei documenti regestati. Un grazie anche alla dott.ssa Patrizia Turrini, alla sig.ra Maria Ilari e a tutto il personale per la piena disponibilità che mi ha sempre dimostrato.

1 G. PRUNAI, Le Carte Gabrielli-Marchesi, in « Notizie degli Archivi di Stato », VIII (1948), pp. 132-134.

2 ARCHIVIO DI STATO DI SIENA (d’ora in poi AS SI), Particolari famiglie senesi, b. 73. Sul Diplomatico Marchesi in essa contenuto cfr. ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Guida-Inventario. I, Roma 1951 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, V), p. 60.

3 Cfr. G. PRUNAI, Un diario inedito di un ufficiale del Battaglione universitario Toscano sulla Campagna lombarda del 1848, in « Bullettino senese di storia patria », LV (1948), pp. 80-118.

4 Il Prunai trae informazioni su Salvatore Gabrielli da alcuni cenni biografici redatti da Assunto Spediacci (1881) e ora contenuti in AS SI, Carteggio della Direzione, b. 93, ins. XII: « Acquisti, doni di libri e documenti, prestiti, passaggi e recuperi », anno 1949.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Daniele Mazzolai 8

appartenenti ai vari rami, il Prunai ammette la difficoltà di stabilire a quale di essi vada ricondotto il medico senese. Ma qui il Gabrielli ci interessa soprattutto in relazione al suo primo educatore. Rimasto orfano di padre in tenera età, egli fu avviato agli studi da Omobono Marchesi originario di Cremona, monaco benedettino della congregazione cassinense. Tra le carte del Gabrielli, legate soprattutto alle sue esperienze di patriota e ora divise in otto fascicoli, confluirono così anche documenti appartenuti al Marchesi (oggi raccolti in quattro fascicoli), tra i quali troviamo un nucleo diplomatico costituito da 84 pergamene. Secondo l’opinione di Giulio Prunai, esse si trovavano con molta probabilità presso la Curia arcivescovile senese ed erano state inviate da importanti tribunali della Curia romana. Le date estreme sono comprese tra il 16 febbraio 1504 e il 31 maggio 1707: la quasi totalità dei documenti risale al secolo XVI e solo gli ultimi due risalgono rispettivamen-te agli anni 1633 e 1707. Non si è potuto stabilire come le pergamene siano entrate in possesso del monaco benedettino. Di don Ermenegildo, al secolo Omobono Marchesi, resta un testamento olografo datato 10 marzo 1819 conservato tra gli atti del notaio Giuseppe Lanzi 5, nel quale il Marchesi dichiara di voler disporre delle proprie sostanze « avendo determinato di tornare al chiostro », al pari di molti altri monaci e sacerdoti, al termine della dominazione napoleonica che lo aveva visto ritornare allo stato laicale. Il nome del monaco benedettino compare infatti nello « Stato nominativo degli ex-religiosi al 1 marzo 1813 » compilato per la diocesi di Siena su richiesta del Ministero del culto dell’Impero francese 6. Nel testamento egli lascia la casa nella quale abita, posta in Siena, in via de’ Maestri (ora via Tito Sarroc-chi) al n. 404 « corrispondente in via della Cerchia vulgarmente detta dell’Ellera », alla nipote Giuseppa Marchesi, moglie di Giuseppe Bilenchi. Essa viene nominata dal Marchesi sua erede universale, con la raccomanda-zione di vendere la casa e di utilizzare la somma ricavata per l’acquisto di « beni di suolo rurali ».

Non si conosce come egli sia entrato in possesso delle pergamene cin-quecentesche, probabilmente in precedenza conservate presso la Curia arcive-scovile, nel cui Archivio ancora oggi si trova conservata, nella serie denomi-nata Cause delegate, molta documentazione simile.

Il motivo per cui le pergamene possedute dal Marchesi si unirono alle carte del medico senese è senz’altro da ricercare nello stretto legame nato tra i due. L’affetto e la stima dell’educatore benedettino nei confronti del giova-ne e promettente Salvatore Gabrielli sono un buon argomento per compren-dere la trasmissione a quest’ultimo — sotto forma di donazione o come

5 AS SI, Notarile postcosimiano, Originali, b . 2407, « Atti d’ultima volontà 1796-1827 »,

fasc. V, ins. 4. 6 ARCHIVIO ARCIVESCOVILE DI SIENA (d’ora in poi AAS), Atti curiali, b. 382, ins. 1. Di

padre Ermenegildo vengono riportati i seguenti dati: Marchesi Omobono, nato il 17 aprile 1770 a Cremona, dell’ordine cassinense, confessore.

Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena

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lascito ereditario — degli antichi documenti in cartapecora. Non sono noti i successivi passaggi subiti dalla documentazione fino all’acquisto nel 1949 da parte del Ministero dell’interno, come ricordato all’inizio, e alla definitiva conservazione presso l’Archivio di Stato di Siena 7.

Segnaliamo brevemente il contenuto dei circa 120 documenti cartacei di carattere ecclesiastico conservati nel fondo Marchesi insieme alle pergamene, come già indicato nell’articolo del Prunai. Si tratta di un fascicolo compren-dente cause ecclesiastiche, fedi di battesimo e di confessione, indulgenze ed altro materiale simile (48 pezzi, secc. XVI-XIX, con documenti relativi ad atti feudali dei Barberini, Sforza e Appiano). Un secondo fascicolo è costitui-to da fedi di reliquie conservate presso chiese e cappelle per lo più senesi (65 pezzi, dal 1644 al 1852); un terzo fascicolo comprende invece documenti a stampa (49 pezzi, secc. XVI-XIX, tra cui avvisi religiosi, indulgenze, preghiere, avvisi di feste, indulti).

Veniamo ora a trattare nel dettaglio il contenuto delle pergamene del Diplomatico Marchesi. Più di un terzo della raccolta è costituito da documenti emanati dall’Ufficio della Sacra Penitenzieria apostolica ed inviati ad autorità ecclesiastiche senesi (canonici e vicari dell’arcivescovo). Quest’Ufficio nacque come organo interno della Curia romana, che si poteva adire per rivolgere una supplica al pontefice e ottenere un’assoluzione, una grazia, un indulto, o più semplicemente una licenza o una dispensa. Il provvedimento emanato era contenuto in uno speciale documento, la littera Poenitentiariae, che aveva, nei casi in cui si richiedesse un’assoluzione, l’eccezionale potere di assolvere il supplicante in utroque foro penitentiali et contentioso, vale a dire sia nel foro di coscienza che nel foro esterno, cioè giudiziario e penale. In altri termini la Sacra Penitenzieria apostolica si configura come l’unico organo in grado di « riabilitare » l’anima del penitente sia di fronte alla propria co-scienza (e di fronte a Dio) che di fronte alla società. Al vertice di questo

7 Insieme alle carte Gabrielli-Marchesi il Franci vendeva anche « le carte del canonico Agostino Borghesi costituite da n. 8 filzette » e « lo Statuto del Comune di Lucignano di Valdichiana », come si rileva dal relativo atto di compravendita di materiale archivistico e pergamene, datato 8 febbraio 1949 (AS SI, Carteggio della Direzione, b. 93, ins. XII « Acqui-sti, doni di libri e documenti, prestiti, passaggi e recuperi », anno 1949). Le carte di Agostino Borghesi sono ora conservate in AS SI, Particolari famiglie senesi, b. 27; lo Statuto del Comune di Lucignano (si tratta di una copia del sec. XVIII; l’approvazione è del 2 ottobre 1554) è conservato in AS SI, Statuti dello Stato, reg. 60 bis. Con una nota del 15 dicembre 1948 inviata al Ministero dell’interno, l’allora direttore dell’Archivio di Stato, Giovanni Cec- chini, giustificava la cifra pattuita per l’acquisto del materiale archivistico « considerata l’impor- tanza delle carte Gabrielli ai fini della conoscenza della campagna del 1848 in Lombardia, dei numerosi autografi di personaggi illustri della fine del secolo XVIII contenuti nelle carte Borghesi, del buon numero di brevi e bolle pontificie contenute nella raccolta Marchesi ed infine se si considera che l’acquisto del suddetto Statuto di Lucignano colmerebbe una lacuna esistente nella serie degli Statuti delle terre dello Stato Senese, conservati nel nostro archivio » (AS SI, Carteggio della Direzione, b. 93, ins. XII « Acquisti, doni di libri e documenti, prestiti, passaggi e recuperi », anno 1949).

Daniele Mazzolai 10

tribunale ecclesiastico — le cui origini risalgono alla seconda metà del XII secolo, e la cui attività si protrae ininterrottamente fino all’epoca moderna — si trova il penitenziere maggiore, carica rivestita da cardinali residenti presso la Curia romana. Al suo fianco opera il penitenziere minore, denominato anche penitenziere papale, perché in origine era colui che sondava diretta-mente la volontà del pontefice, per la concessione dell’assoluzione in foro conscientiae. Rimaneva invece al penitenziere maggiore, capo supremo del- l’Ufficio, il compito di liberare il supplicante dalle conseguenze giuridiche esterne 8.

Oltre alle suppliche di laici ed ecclesiastici, colpevoli di reati talvolta gravissimi 9, l’Ufficio della Penitenzieria poteva concedere, più semplicemen-te, autorizzazioni per la vendita o locazione di beni ecclesiastici, delegare ad autorità locali controversie nate per il possesso di beni immobili, o per l’attribuzione di benefici. Questa seconda categoria di provvedimenti doveva anzi rappresentare una sorta di « normale amministrazione » per l’Ufficio. A questo tipo di documentazione appartiene la gran parte delle lettere di cardi-nali penitenzieri contenute nel Diplomatico Marchesi, oltre ad alcune richie-ste di annullamento di giuramenti prestati nell’ambito di accordi riguardanti le alienazioni di beni, dei quali è chiesta la rescissione (docc. 23, 29, 31, 35, 41, 45, 47, 72). Si può segnalare tra questi ultimi il caso di un laico senese, Silvio Rengoni, che assieme alla rescissione di un accordo, relativo al depo-sito del patrimonio di due donne fattesi monache professe del monastero della Concezione di Santa Maria (Giolotta vedova di Pietro Vellanti e sua figlia Diodata), chiede anche l’assoluzione dal reato di spergiuro in cui era incorso per non aver corrisposto alle monache di quel monastero le cifre annue pattuite (doc. 72).

Come in tutti i documenti emanati da autorità pubbliche, la struttura delle litterae Poenitentiariae segue un preciso schema, nel quale riveste un ruolo determinante la ripetitività del formulario. Al nome del cardinale penitenziere espresso nel protocollo del documento, fa seguito quello dell’autorità ecclesiastica locale (nel nostro caso, generalmente della diocesi di Siena) che rappresenta il destinatario della lettera, investito dell’autorità di giudice delegato. Quindi segue il nome del supplicante e la descrizione della supplica, con tutti i particolari ritenuti opportuni. Nella parte finale del documento troviamo la formula con cui il cardinale affida ai giudici delegati

8 Su queste e altre notizie, cfr. F. TAMBURINI, Sacra Penitenzieria Apostolica, in Diziona-

rio degli Istituti di perfezione, VIII, Roma 1988, coll. 169-181; fondamentali studi sull’argo- mento sono quelli di H. C. HASKINS, The sources of the History of the Papal Penitentiary, in « The American Journal of Theology », 9 (1905), pp. 421-450 ed E. GÖLLER, Die päpstliche Pönitentiarie von ihrem Ursprung bis zu ihrer Umgestaltung unter Pius V, Rom 1907-1911.

9 Una rassegna ricca e straordinariamente varia nella sua casistica è fornita, per l’epoca rinascimentale, nel saggio F. TAMBURINI, Santi e peccatori, confessioni e suppliche dai registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586), Milano 1995.

Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena

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la composizione della vertenza in oggetto o la concessione dell’autorizza- zione richiesta.

Le trenta pergamene emanate dall’Ufficio della Penitenzieria sono cro- nologicamente comprese in un periodo di tempo di circa un cinquantennio, dal 10 settembre 1515 — data dell’unico documento della raccolta fatto redigere da un penitenziere minore, il vescovo Francesco Berthelay — al- l’anno 1566. Un arco di tempo nel quale si sono succeduti sei cardinali presbiteri con il titolo di penitenziere maggiore, i cui nomi vengono pun-tualmente registrati nel protocollo di ogni documento: Leonardo Grosso della Rovere (1511-1520), Lorenzo Pucci (1520-1529), Antonio Pucci (1529-1544), Roberto Pucci (1544-1547), Ranuccio Farnese (1547-1565), Carlo Borromeo (1565-1572) 10. Proprio in quel cinquantennio sono avvertite esigenze di cambiamento dell’ufficio da parte degli stessi Penitenzieri Maggiori, in particolare dai tre cardinali Pucci, finché nel 1569 papa Pio V ne promosse un ridimensionamento delle competenze. Questa riforma si realizzò come limitazione dell’ambito di competenza al solo foro interno, a seguito dei macroscopici casi di corruzione e degli abusi che l’eccesso di autorità aveva prodotto nel corso dei secoli da parte del personale in esso impiegato 11.

Il Diplomatico Marchesi offre quindi un interessante spaccato sull’attività svolta dalla Penitenzieria in uno dei periodi di suo maggior potere e in relazione ad un’area ben individuata, quella senese, rispetto all’intero orbe cattolico, sul quale essa estendeva la sua autorità giudiziaria. Tra le autorità religiose senesi delegate all’esecuzione di quanto disposto dal tribunale romano ve ne sono alcune di un certo rilievo. Spicca senz’altro la figura di un canonico particolarmente attivo nella vita cittadina della sua epoca, Bernardino Maccabruni, che nella seconda metà del Cinquecento rivestì la carica di vicario generale dell’arcivescovo di Siena e fu persecutore di ogni forma di eresia. Prima di divenire vicario, egli è ricordato come il doctor et canonicus alla guida dei giovani della Societas Sanctae Trinitatis. Nel no-vembre 1544 troviamo il Maccabruni tra quanti accusavano di idee ereticali un certo Pietro, figlio dell’orefice Giovanni Battista, affiliato alla confraterni-ta, nel processo intentato contro il giovane dall’inquisitore senese Giovanni Lemmi da Piano, per aver messo in dubbio l’autorità dei santi come mediato-ri tra l’uomo e Dio. Nell’aprile 1559 il Maccabruni venne arrestato per iniziativa dei frati agostiniani capeggiati da Padre Adeodato, con l’accusa di

10 Per un elenco completo, dalle origini dell’Ufficio al 1572 (anno in cui S. Carlo Borro-meo rassegnò le dimissioni dalla carica), si veda F. TAMBURINI, Per la storia dei Cardinali Penitenzieri Maggiori e dell’Archivio della Penitenzieria Apostolica, in « Rivista di Storia della Chiesa in Italia », XXXVI (1982), pp. 359-380.

11 Su questa riforma, consistente in una momentanea abolizione e successiva trasforma-zione della Penitenzieria si veda F. TAMBURINI, Santi e peccatori… cit., p. 15 e relativa bibliografia; per i suoi precedenti si veda ID., La riforma della Penitenzieria nella prima metà del sec. XVI e i Cardinali Penitenzieri in recenti saggi, in « Rivista di storia della Chiesa in Italia », XLIV (1990), pp. 110-129.

Daniele Mazzolai 12

aver ospitato l’eremitano Giulio da Pontremoli, un monaco in odore di eresia, da poco fuggito dal carcere dell’inquisizione di Faenza. Per l’intercessione di influenti personaggi (Francesco Buoninsegni, Giulio Barbagli, Ascanio Cinuzzi) e per l’intervento in sua difesa dell’alto funzionario mediceo Aure-lio Manni, il canonico venne presto liberato 12. Nonostante questi trascorsi, il Maccabruni divenne vicario dell’arcivescovo di Siena e come tale lo vediamo impegnato a condurre numerosi processi, come quello del 1570 a carico del canonico Pietro Apolloni, parroco di San Vincenti in Camollia, controverso caso di eresia e pratiche proibite 13. Il nome di Bernardino Maccabruni corredato dal titolo di « canonico senese » compare in sei documenti del Diplomatico Marchesi (nn. 32, 38, 41, 44, 51, 54), nel decennio compreso tra il 5 giugno 1543 e il 7 dicembre 1553. Si fa quindi riferimento a un periodo precedente la sua nomina a vicario, durante il quale il suo ruolo di spicco tra le autorità ecclesiastiche cittadine risulta già notevolmente consolidato, data la sua frequente nomina a giudice delegato con autorità apostolica da parte dei cardinali penitenzieri.

Le informazioni che si possono ricavare da un simile materiale docu-mentario, al di là di un arido resoconto sui termini contrattuali di compra-vendita — che valgono comunque a dare un’idea delle effettive condizioni economiche dei conventi dell’area senese nel XVI secolo — portano talvolta una eco delle principali vicende storiche dell’epoca. È il caso del doc. 67, datato 19 agosto 1563, nel quale le monache « mantellate » (o « clamidate ») di Santa Maria dei Servi, convento nelle vicinanze di Porta Pispini, chiedono l’autorizzazione alla vendita di un podere di loro proprietà nelle Masse di Siena. Esso viene detto « propter malas temporum qualitates et bella que in partibus illis viguerunt devastatum », distrutto quindi a causa di eventi bellici che avrebbero investito quella zona delle Masse senesi, durante gli aspri conflitti della guerra tra Siena e Firenze della metà del Cinquecento. La motivazione stessa per cui la badessa e le monache decidono di vendere il podere assieme ad una casa in illo existens, parimenti distrutta, risiede nella condizione di indigenza in cui esse si trovano. Ciò riflette il generale stato di crisi economica seguito alla guerra; in un documento dell’anno successivo (n. 70, del 4 agosto 1564) le stesse monache, poiché « in maxima paupertate constitute et pluribus debitis gravate », chiedono ed ottengono l’autorizzazione ad utilizzare la somma ricavata dalla vendita di quel podere per l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero 14.

12 Cfr. V. MARCHETTI, Gruppi ereticali senesi nel Cinquecento, Firenze 1975, pp. 52-61 e 177.

13 Vedi M. A. CEPPARI RIDOLFI, Maghi, streghe e alchimisti a Siena e nel suo territorio (1458-1571), Siena 1999, pp. 18-19 e il capitolo dedicato al relativo processo inquisitorio: Luna fusibile e polvere di pipistrello, pp. 115-134.

14 Sull’aggressione medicea contro lo Stato senese nell’inverno del 1554 e le conseguenti devastazioni del territorio destinate ad influire negativamente e per lungo tempo sull’economia

Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena

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Una particolarità tra le litterae Poenitentiariae è rappresentata dal doc. n. 8 del 10 settembre 1515, sia per l’autorità emanante che per il suo conte-nuto. Francesco Berthelay, vescovo di Millopotamo, residente presso la Curia pontificia in qualità di penitenziere minore, verifica l’autenticità della lettera con cui il penitenziere maggiore, Leonardo Grosso della Rovere, assolve da una sentenza di scomunica il laico Bartolomeo abitante nella diocesi di Pienza, a lui presentata dal supplicante, e rilascia a sua volta una lettera contenente la definitiva ratifica dell’assoluzione concessa. Nel Diplomatico Marchesi questo è l’unico caso di documento emanato da un penitenziere minore, particolarmente prezioso come testimonianza di una prassi consolida-tasi sin dall’epoca più antica; per delitti di una certa gravità il supplicante si recava personalmente presso la Curia papale per chiedere l’assoluzione dal reato commesso. La littera Poenitentiariae, diretta alle autorità religiose o ecclesiastiche della diocesi del supplicante, poteva quindi essere consegnata a mano dal supplicante stesso. Ma l’interesse del documento è rappresentato ancor più dal motivo per cui il pientinese Bartolomeo era incorso nella sentenza di scomunica, cioè presbitericidii reatu: egli aveva ucciso un religioso, e per questo grave crimine riesce ad ottenere una piena riabilitazio-ne 15. Un’ulteriore osservazione merita l’autorità emanante del documento. Nei registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano, attualmente conservati nella Biblioteca Vaticana, sono riportate le suppliche e confessioni dei peccatori che chiedono l’assoluzione dai reati commessi. Sono qui ripor-tati nel dettaglio i vari casi esposti agli ufficiali penitenzieri, nonché i nomi delle autorità operanti all’interno del tribunale. In molti casi, dalla fine del Quattrocento al primo quindicennio del secolo successivo, figura il nome di Francesco, vescovo di Millopotamo 16. A lui è affidata l’emanazione e la consegna della lettera contenente la sentenza di assoluzione direttamente nelle mani del supplicante. Il caso del « presbitericida » Bartolomeo ha evidentemente seguito questo iter: una volta affrontato il viaggio di penitenza dalla originaria diocesi di Pienza alla Sede Apostolica, il supplicante ottiene dal penitenziere maggiore una prima lettera contenente l’assoluzione richie-sta. Quindi egli si presenta al cospetto del penitenziere minore che, mandan-

locale, vedi R. CANTAGALLI, La Guerra di Siena (1552-1559). I termini della questione senese nella lotta tra Francia e Asburgo nel ’500 e il suo risolversi nell’ambito del Principato mediceo, Siena 1962, p. 227.

15 La riabilitazione concessa in caso di scomunica per il reato di presbitericidio non era cosa nuova per l’Ufficio della Sacra Penitenzieria Apostolica, come dimostrato, tra l’altro, da un documento riportato da F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., pp. 196-197. Si tratta del doc. 42 datato 23 marzo 1493 e contenuto nel registro 42, f. 211v., in cui Pietro Chanel, prete di Beauvais e famiglio del cardinale Giuliano Della Rovere (futuro papa Giulio II), dichiara di aver ucciso un frate francescano a causa di una meretrice e ottiene l’assoluzione per il reato commesso.

16 Vedi F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., docc. 43 (pp. 198-202), 45 (pp. 205-206), 47 (pp. 211-212), 50 (pp. 219-220), 51 (pp. 220-221).

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do ad esecuzione quanto già stabilito dal suo superiore, gli fornisce una seconda lettera come definitiva ratifica dell’assoluzione concessa.

Un altro caso di omicidio è contemplato nel doc. 33, datato 28 luglio 1543, contenente un mandato di esecuzione inviato dal cardinale Antonio Pucci a Federico Petrucci, già vescovo di Gallipoli, nominato giudice delega-to insieme all’arcidiacono della cattedrale di Siena e al canonico Sinolfo Petrucci. Ma qui la situazione è capovolta rispetto al caso precedente: il chierico senese Prospero Giunti ha ucciso un laico, ottenendo l’assoluzione dal reato di omicidio poiché il fatto è stato commesso per legittima difesa. Vengono descritte dettagliatamente le varie circostanze in cui il laico Gio-vanni di Spirito da San Salvatore a Pilli, detto Giovannone, avrebbe ripetu-tamente provocato il chierico, molestandone i familiari (il fratello e la madre) e dando segni di squilibrio con atti sconsiderati all’interno di luoghi sacri e durante funzioni religiose. La reazione del chierico Prospero, portato all’esa- sperazione, sarebbe stata quindi del tutto comprensibile, al punto che egli riesce ad ottenere dalla Sede Apostolica non solo il perdono per l’omicidio commesso, ma anche la concessione di accedere agli ordini sacerdotali e la facoltà di svolgere gli uffici divini. Di casi simili a questo — con coinvolgi-mento di ecclesiastici in omicidi, in conseguenza di liti e scontri personali con l’uso di armi — abbondano le suppliche contenute nei registri della Penitenzieria. Ciò è testimonianza di una generale e consolidata tendenza — o meglio, di un diffuso malcostume — nel secolo in cui non a caso tanto forti erano sentite le esigenza di profonda riforma della Chiesa e della condotta dei suoi uomini. Una tendenza presente fino ai più alti gradi della gerarchia cattolica, come ci testimonia la vicenda personale di Innocenzo Del Monte, cardinale diacono del titolo di Sant’Onofrio — che ottenne la porpora cardinalizia dallo zio adottivo Giulio III nel 1550, a soli diciassette anni — noto già ai contemporanei per le sue intemperanze e continui coinvolgimenti in fatti di violenza e sangue. Come ricordato nel saggio di Tamburini 17, in data 23 settembre 1559 egli chiede di essere assolto dal reato d’omicidio per

17 F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., doc. 95, pp. 340-348, con numerose informa-zioni biografiche e ricca appendice su fatti di cronaca riportati da fonti coeve in cui è implicato il Del Monte. Sulla sua elezione a cardinale avvenuta il 30 maggio 1550 vedi G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, III, Münster 1923, p. 31. Ci sono anche attestazioni di suoi interventi tesi a favorire religiosi senesi accusati di eresia: al Del Monte venne inviata il 28 luglio 1553 una lettera dal capitano del popolo della città di Siena, per chiedere il suo intervento in difesa del frate Agostino da Montalcino, pubblicata da P. PICCOLOMINI, Documenti vaticani sull’eresia in Siena durante il secolo XVI, in «Bullettino senese di storia patria », XV (1908), pp. 302-303. Ma a Siena fu poi coinvolto in uno scandalo nel gennaio 1568, per aver rapito due donne di Rapolano ed averle trattenute per più giorni nelle proprie case; il papa fece indagare sul fatto il gesuita Rodriguez, ma il cardinale che godeva della protezione di Cosimo I riuscì a rimanere in Toscana cavandosela con una severa ammonizione. Sempre a Siena, come a Firenze, risulta che abbia contratto numerosi debiti con il Monte al tempo del pontificato di Pio V (vedi Dizionario Biografico degli Italiani, 38, Roma 1990, p. 140, ad vocem).

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aver ucciso a colpi di spada e di archibugio due stallieri (padre e figlio). Essi rifiutarono di cambiare la sua cavalcatura alla posta presso Nocera Umbra e reagirono alle ire dell’alto prelato colpendolo a sassate, durante il viaggio che il cardinale stava compiendo di tutta fretta per giungere tempestivamente da Venezia a Roma, in occasione del conclave per l’elezione del nuovo pontefi-ce. La supplica viene accolta favorevolmente dalla Penitenzieria che gli concede l’assoluzione dalla censura, ma solo perché presentata nel periodo di sede vacante. Papa Pio IV eletto in quel conclave il 25 dicembre 1559 lo condannerà ad un anno e mezzo di carcere in Castel Sant’Angelo, dove fu rinchiuso il 27 maggio 1560.

Di notevole interesse risulta anche il doc. 52 (12 luglio 1552), relativo ad una richiesta di scioglimento di matrimonio che Ranuccio Farnese delega all’arcivescovo di Pienza o al suo vicario generale. Anche qui assistiamo ad una minuta descrizione degli antefatti che hanno spinto un abitante della diocesi di Pienza, Vincenzo di Giovanni « del Teco » da Montenero, a rivolgersi all’autorità del tribunale religioso romano. Egli chiede la facoltà di rescindere la promessa di matrimonio, a suo tempo prestata ad una certa Feliciana, figlia di un falegname della stessa diocesi. Il contenuto del docu-mento getta non poca luce sulle modalità seguite nelle campagne dell’area senese del XVI secolo nel condurre le trattative matrimoniali. L’autore della supplica fa presente di aver dapprima ricevuto le garanzie di illibatezza della futura sposa da parte della madre di lei, Giuditta da Civitella, e di aver quindi suggellato la reciproca promessa con la consegna dell’anello. A questo punto il supplicante narra di essersi recato una notte a casa della promessa sposa « avendo in animo » di consumare il matrimonio così stipulato. Egli però trova le due donne in compagnia di alcuni uomini adulteri, dando ad intendere la natura del rapporto che li legava a Feliciana con la compiacenza della madre. Per di più subisce maltrattamenti e percosse da parte degli uomini trovati nell’abitazione; rileva inoltre che la donna chiesta in sposa era stata deflorata ancor prima dello scambio dell’anello. Per questi motivi egli chiede alla Penitenzieria l’autorizzazione a rescindere le promesse di matri-monio e la facoltà di sposarsi con un’altra donna, dalla quale avere figli legittimi. Nell’esposizione della supplica si fa esplicito riferimento alle garanzie verbali fornite dalla famiglia della sposa e al successivo suggello della promessa di matrimonio tramite dono dell’anello. Questi sono i due momenti essenziali, assieme alla stipula di un contratto scritto, della celebra-zione degli sponsali (ovvero del rituale precedente le nozze vere e proprie) come risultano descritti, per la città di Siena, nello Statuto del Donnaio del 1343 18. Secondo l’uso cittadino senese, la celebrazione delle nozze che tiene dietro agli sponsali consiste nella traditio della sposa nella casa del marito. Nel nostro documento si parla della decisione dell’uomo di consumare le

18 Su questo argomento vedi M. A. CEPPARI - P. TURRINI, Il Mulino delle vanità, Siena 1993, pp. 31-53, in particolare Le nozze nello statuto del Donnaio, pp. 43-44.

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nozze facendo una visita notturna all’abitazione della donna (visita che, come abbiamo visto, sarà la causa scatenante della richiesta di rottura degli obbli-ghi matrimoniali). Dal contenuto del documento si può quindi evincere che il rituale delle nozze nel contado senese a metà Cinquecento, seppur compren-dente i due momenti delle garanzie verbali e dello scambio degli anelli, risulterebbe parzialmente semplificato rispetto alle nome statutarie vigenti nella città di Siena già due secoli prima. Infatti si può rilevare l’assenza della stipulazione di un contratto scritto (di cui non si fa esplicita menzione nel documento) come atto ufficiale della celebrazione degli sponsali e una certa libertà dagli obblighi rituali della traditio della sposa nella nuova casa, come condizione necessaria rispetto alla successiva consumazione del matrimonio.

Un cospicuo nucleo di documenti (23 brevi e 9 lettere) proviene dalla segreteria pontificia e tra le autorità emananti compaiono quasi tutti i papi del secolo XVI, da Giulio II a Clemente VIII. I brevi apostolici con sigillo impresso in cera rossa — recante l’immagine di San Pietro effigiata sul- l’anello « del pescatore » — sono talvolta in buono stato di conservazione (docc. 26, 74, 75, 81). Normalmente il contenuto non va oltre una semplice raccomandazione del pontefice ad arcivescovi e canonici di Siena, Pienza o Montalcino perché mandino ad esecuzione suppliche munite di segnature cardinalizie. Nei docc. 16, 43, 81 si fa riferimento all’assegnazione di benefi-ci ecclesiastici rimasti vacanti per la morte dei legittimi assegnatari e indebi-tamente occupati da laici. Il doc. 3, del 18 gennaio 1512, riguarda il chierico Ricomanno da Venafro, studente di diritto pontificio presso l’Università di Siena da sette anni, che non è ancora riuscito a conseguire il titolo a seguito di un grave lutto familiare: la morte del fratello lo ha probabilmente richia-mato nella nativa cittadina molisana, causando una forzata interruzione degli studi. Con la diretta intercessione di papa Giulio II, tramite breve pontificio inviato all’arcivescovo di Siena, si richiede la costituzione di una speciale commissione esaminatrice (due o tre dottori in diritto canonico) che, appurata la preparazione del candidato a seguito di un rigoroso esame, dovrà conferir-gli il titolo e l’insegna in diritto pontificio, con il godimento di tutti i privile-gi ed immunità che comporta il conseguimento del titolo di dottore presso l’Università di Siena.

Le nove lettere riportano casi simili a quelli trattati nei documenti ema-nati dai cardinali penitenzieri. Di esse solo due riguardano laici: per il pos-sesso di appezzamenti di terre nel doc. 4, per la mancata corresponsione di denaro nel doc. 15. Le altre concernono o il godimento di benefici ecclesia-stici e rendite di cappellanie (docc. 5, 10, 58), oppure ancora la mancata corresponsione di somme di danaro da parte di badesse e monache di con-venti senesi (docc. 48, 53, 59). Questi mandati di esecuzione attestano come il ricorso presentato tramite petizione alla Sede apostolica, con la richiesta di un intervento da parte del pontefice, sia un estremo tentativo per far valere i propri diritti, dopoché la causa è già stata presentata a varie autorità giudizia-

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rie secolari ed ecclesiastiche. Un esempio emblematico è riportato nel doc. 15 (25 ottobre 1522): dalla petizione di Giovanni Colombini, dottore in medicina originario di Fivizzano ma residente a Siena, si può ricostruire l’iter seguito dalla vertenza, in cui il suo avversario ed ex-socio in affari, il senese Ludovico Brizi, lo accusa di non avergli corrisposto una certa somma di denaro. La causa viene prima presentata ad un giudice secolare, quindi il medico di Fivizzano chiede l’intervento del vicario dell’arcivescovo di Siena. Da quest’ultimo la vertenza passa all’attenzione dell’arcivescovo di Firenze, personaggio di tutto riguardo trattandosi di Giulio de’ Medici (futuro papa Clemente VII), all’epoca cardinale presbitero del titolo di San Lorenzo in Damaso e legato della Sede apostolica 19. Quindi Giovanni Colombini decide di rivolgersi alla Sede apostolica e da essa proviene il documento inviato al vescovo di Pienza e Montalcino e al canonico Federico Petrucci.

Una particolare attenzione merita l’ultima lettera papale, la n. 73, ema-nata il 24 maggio 1571 da Pio V per la ratifica di un atto di vendita con cui le monache clamidate del convento di San Francesco cedono alcuni beni a un certo Scipione Sanni. Rispetto alle altre lettere, le dimensioni di questo documento sono notevolmente superiori (cm. 62,2 x 49,2). Il carattere più solenne è dimostrato dalle lettere ornate del primo rigo: la « P » iniziale del nome del pontefice e la « D » onciale della parola Dilecto nell’inscriptio sono di modulo notevolmente superiore rispetto alle altre lettere maiuscole e presentano una ricchissima ornamentazione che, nel caso della « P », arriva a coprire l’intera metà superiore del margine sinistro del documento. Altra particolarità è data dal fatto che il documento contiene una copia della costituzione di papa Paolo II dell’11 maggio 1465, recante le norme imposte ai giudici delegati con autorità apostolica nelle cause concernenti l’aliena- zione dei beni ecclesiastici. Questa stessa costituzione rappresenta un’impre- scindibile fonte normativa, cui le autorità ecclesiastiche preposte alla conces-sione delle necessarie autorizzazioni dovevano attenersi in tutti i casi di vendita o alienazione, a qualsiasi titolo, dei beni immobili appartenenti a conventi, monasteri, canoniche e altri luoghi pii. Ben diciotto tra le trenta lettere di cardinali penitenzieri contenute nel Diplomatico Marchesi, ovvero tutte quelle che trattano tale materia, oltre a tre documenti di simile contenu-to, emanati dal cardinale camerlengo della Reverenda camera apostolica, ne fanno breve menzione nella parte conclusiva con la formula « (...) Non obstantibus felicis recordationis Pauli pape II de rebus ecclesiasticis non alienandis aliisque apostolicis constitutionibus et ordinationibus (...) »; ma solo la più solenne bolla di Pio V ne riporta integralmente il testo.

19 Giulio de’ Medici rivestì il titolo di cardinale presbitero di San Lorenzo in Damaso dal 6 luglio 1517 e quello di legato ad temporalia et totam Tusciam dal 27 maggio 1519 (cfr. G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 14 e nota 3), data che può essere assunta come termine ante quem non rispetto al momento in cui la vertenza dei due laici senesi è stata sottoposta alla sua attenzione.

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Segnaliamo inoltre la presenza di un terzo gruppo di ventuno pergame-ne. Le autorità emananti in questo caso sono giudici (utriusque iuris docto-res) e cardinali della Reverenda camera apostolica, il potente organo della Curia romana, che specialmente tra il XV e il XVIII secolo esercitò un controllo pressoché totale sull’attività giurisdizionale, legislativo-amministra- tiva e contabile della Santa Sede. Dal punto di vista grafico la scrittura di questi documenti è di tipo cancelleresco corsivo, quindi notevolmente diversa dalla scrittura tipica dei documenti ufficiali, utilizzata sia nelle lettere dei cardinali penitenzieri che, ovviamente, in quelle pontificie. Tra le autorità giudiziarie che emanano questi documenti compare frequentemente l’Auditor Camerae 20. Si tratta talvolta di lettere « compulsorie » con cui le autorità locali vengono sollecitate a produrre documentazione relativa a cause in corso. In altri casi abbiamo lettere « remissorie » (litterae remissoriales), con le quali l’auditore, su incarico del papa, prende in esame vertenze general-mente concernenti trasmissioni di beni in eredità e delega l’esecuzione delle relative sentenze alle autorità locali. Da segnalare la presenza di un « rotolo remissorio » (doc. 22) emanato da Sebastiano Pighini luogotenente dell’audi- tore Giovanni Battista Cicala. Con esso si esamina una causa sorta tra l’arcivescovo di Siena e Antonio Maria Piccolomini per l’acquisto di bestia-me proveniente dal Lazio, del quale viene fornito un breve elenco in italiano con il relativo valore in denaro.

Altri documenti sono emanati dal camerlengo di Santa Romana Chiesa, la massima autorità della Camera apostolica 21. Tra essi compare Guido Ascanio

20 Sull’Auditor Camerae e le sue vastissime competenze civili e penali vedi M. G. PA-STURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi Archivi (secoli XV-XVIII), Roma, Archivio di Stato, Scuola di archivistica paleografia e diplomatica, 1987, pp. 211-218. Su altri documenti emanati dall’Auditor Camerae, conservati presso l’Archivio di Stato di Siena e provenienti da un archivio privato, cfr. G. CHIRONI, Il diplomatico Bichi Ruspoli (1311-1791), in « Bullettino senese di storia patria », CV (1998), pp. 310-395. Tra le 122 pergamene del diplomatico Bichi Ruspoli oltre a 12 documenti dell’Auditore della Camera apostolica, vi sono 8 bolle papali, 12 brevi pontifici, 1 lettera della Sacra penitenzieria apostolica e 1 del camer-lengo. Va segnalato inoltre che non doveva essere infrequente la collaborazione dell’Auditore generale della Camera apostolica con i penitenzieri papali nella trattazione delle suppliche rivolte alla Penitenzieria. Citiamo un esempio tratto dal registro 132 e riportato da F. TAMBU-RINI, Santi e peccatori... cit., pp. 319-320, doc. 87: il canonico messinese Antonello de Luca con supplica del 21 febbraio 1552 chiede di essere assolto in utroque foro dal reato di sodomia, di cui è stato ingiustamente accusato da persone molto influenti. Il caso viene affidato all’Udi- tore generale della Camera apostolica (Federico Fantuzzi) e ai penitenzieri papali Andrea de Emporio e Francesco Salazar.

21 Sui poteri del camerlengo vedi M. G. PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apo-stolica... cit., pp. 63-75. Qui ci interessa ricordare come nel provvedimento Quae a Romanis di Gregorio XIII del 5 dicembre 1584 si richiamano i chierici di Camera a non spedire privata-mente i propri provvedimenti e ad utilizzare per ogni lettera camerale il nome e il sigillo del camerlengo, il quale « vivae vocis oraculum habet et in suo officio personam Pontificis repraesentat ». Quindi al pari dei cardinali penitenzieri (e con il ricorso della stessa formula) al camerlengo è riconosciuta la prerogativa di conoscere direttamente la volontà del pontefice manifestata oralmente.

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Sforza che apparteneva al ramo toscano, originario di Santa Fiora, della nobile famiglia ed era nato nel paese del Monte Amiata di cui gli Sforza erano conti. Il padre era Bosio II e la madre Costanza Farnese, figlia di papa Paolo III, suo fratello era Sforza Sforza conte di Santa Fiora che nel 1555 rivestì la carica di luogotenente imperiale in Siena, dopo la presa della città. Guido Ascanio vestì la porpora cardinalizia nel 1534 all’età di sedici anni, per volontà del nonno pontefice, divenendo camerlengo di Santa romana Chiesa il 22 ottobre 1537, carica che rivestì fino alla morte avvenuta il 6 ottobre 1564. La nomina del nipote all’alta carica ecclesiastica è uno dei principali atti di nepotismo compiuti da quel papa, da sempre ricordato tra le debolezze del suo pontificato assieme al conferimento della nomina di cardinale ad un altro suo nipote adolescente, quel Ranuccio Farnese (Paolo III era suo zio) che abbiamo visto tra i sei Penitenzieri maggiori, della cui attività deliberativa il Diplomatico Marchesi conserva alcune tracce. Ben dodici litterae Poenitentiariae in esso contenute, comprese tra il 23 maggio 1548 e il 4 agosto 1564, portano il nome di Ranuccio, nominato cardinale il 16 dicembre 1545 e penitenziere maggiore il 12 febbraio 1547 22, mentre tre soli documenti (nn. 60, 61, 62) sono emanati dal camerlengo Guido Ascanio. I primi due di essi meritano attenzione, poiché testimoniano le difficoltà economiche vissute dai conventi senesi, a seguito della guerra che segnò per Siena la fine del periodo repubblicano e l’ingresso, come Stato Nuovo, all’interno del Granducato di Toscana. Infatti, al pari delle litterae Poeniten-tiariae dei primi anni Sessanta del Cinquecento sopra ricordate (nn. 67 e 70), anche i due documenti emanati dal cardinale Sforza conservano inequivocabi-li accenni al dissesto finanziario dei conventi senesi in quel torno di tempo. Il doc. 60 è dell’11 settembre 1559 e contiene il ricordo di una petizione presentata dalle monache di Santa Petronilla, le quali dichiarano di essere ridotte in condizione di povertà « propter bellum et mala tempora », al punto di non aver più « facultatem et modum vivendi ». Per questo hanno acquista-to da un certo Galgano Pallagrossa quattro moggia di grano « pro earum victu et alimentis ». Nel doc. 61 del 5 febbraio 1561 i frati di Santa Maria del Carmine non hanno altro modo per poter acquistare buoi e altri animali necessari alla coltura dei loro campi e si vedono costretti alla vendita di un appezzamento di terra. L’alienazione dei beni ecclesiastici diventa dunque l’unico mezzo per garantire la sopravvivenza dei frati e delle monache senesi in un periodo di generale crisi economica.

Auditori e camerlenghi (oltre ai documenti dello Sforza ne rimane anche uno del suo successore Vitellozzo Vitelli, doc. 71 del 29 giugno 1565) non sono i soli titolari di importanti uffici della Reverenda camera apostolica ad essere nominati nelle pergamene del Diplomatico Marchesi. In una di esse

22 Anche lui tenne la carica fino alla morte, avvenuta il 29 ottobre 1565. Su Ranuccio ve-di G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 30; su Guido Ascanio Sforza, ibid., pp. 23 e 81.

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compaiono anche le autorità preposte al controllo finanziario del patrimonio ecclesiastico: il tesoriere e il collettore provinciale 23. Il primo era a capo della tesoreria della Camera apostolica e la sua carica era seconda solo a quella del camerlengo; il collettore provinciale era invece l’ufficiale incarica-to della riscossione, in una singola provincia, delle rendite di natura preva- lentemente ecclesiale spettanti alla Camera apostolica. Il doc. 77 è una lettera datata 10 ottobre 1588 e diretta al granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici e alle autorità della città di Pistoia affinché si richieda il pagamento della decima dovuta alla Camera apostolica dagli eredi del defunto vescovo Lattanzio. Il mittente è Guido Pepulo, tesoriere generale e collettore generale degli spogli, capo dell’ufficio preposto al controllo della finanza camerale; egli ordina che il pagamento sia effettuato per il tramite del collettore pro-vinciale, il vescovo Canobio, nuovo nunzio apostolico di Toscana. Il docu-mento è di poco precedente ad un atto della Santa Sede, con cui vengono ufficialmente ratificati i poteri del tesoriere. Nel provvedimento di papa Sisto V In conferendis praecipuis (23 gennaio 1590) si attribuisce una piena competenza al tesoriere in materia di controllo delle entrate ecclesiastiche rappresentate essenzialmente dai benefici e dagli spogli 24. Questi ultimi consistevano nei frutti dei benefici vacanti per morte del titolare, che per tutto il periodo della vacanza spettavano alla Camera apostolica; l’ufficiale periferico, nel nostro caso il vescovo Canobio nunzio apostolico di Toscana, era delegato a far valere tali diritti.

Resta da fare una considerazione sulla provenienza del materiale docu-mentario fin qui analizzato. Nell’Archivio arcivescovile di Siena, all’interno del fondo contenente le cause di diritto canonico e civile, è conservata una ricca serie costituita da ben 310 filze di cause delegate 25, le più antiche delle quali risalgono alla seconda metà del Quattrocento. Ogni singola causa è comprensiva della littera Poenitentiariae, oppure del breve o lettera pontifi-cia, o di altro simile documento su pergamena emanato da autorità ecclesia-stiche romane e contenente il mandato di esecuzione, nonché il relativo incartamento che testimonia l’istruttoria e l’esecuzione della sentenza da parte dei giudici della Curia arcivescovile senese. Dal materiale cartaceo contenente le varie fasi dell’istruttoria si rileva che il documento emanato dalle autorità della Sede apostolica veniva spesso recapitato direttamente al supplicante, il quale se ne faceva latore ai canonici in esso nominati come destinatari 26. Per i secoli XVI e XVII esiste un repertorio alfabetico compila-

23 Sul tesoriere e le sue attribuzioni vedi M. G. PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Ca-mera Apostolica... cit., pp. 167-179.

24 Ibid., p. 173 e nota 22. 25 AAS, Cause Delegate, 5622-5931. Cfr. L’Archivio Arcivescovile di Siena. Inventario, a

cura di G. CATONI - S. FINESCHI, Roma 1970 pp. 299-300 e 321-325. (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, LXX).

26 Citiamo a titolo esemplificativo una causa dell’anno 1550 (AAS, Cause Delegate, 5625, senza numero all’interno della filza). Nel fascicolo è presente la lettera del Penitenziere

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to nell’anno 1729 dal cancelliere di curia Annibale Palagi, in cui sono registrate le cause comprese tra gli anni 1517 e 1659 27. Nell’avvertenza premessa al suo repertorio, il Palagi dichiara che i primi due fascicoli da lui esaminati contengono vari processi di diversi anni senza un preciso ordine cronologico, rintracciabile solo a partire dalle cause dell’anno 1540.

Come già aveva ipotizzato Giulio Prunai, si può supporre che le perga-mene del Diplomatico Marchesi appartenessero originariamente alla Curia arcivescovile e fossero accluse ai fascicoli delle Cause delegate. Una prova di ciò è data dalla lettera « remissoria » datata 29 ottobre 1582 (doc. 76), inviata da Ippolito Aldobrandini — futuro papa Clemente VIII — al canoni-co Lepido Piccolomini e ad altre autorità giudiziarie, riguardo ad una verten-za sorta tra il nobile senese Rutilio Bichi e il cardinale Commendone, per il possesso di beni di ingente valore. Nelle Cause delegate dell’Archivio arcivescovile 28 si conserva un incartamento relativo alla prosecuzione di quella vertenza tra i figli ed eredi di Rutilio Bichi con lo stesso cardinale; a tale incartamento è allegata, in copia semplice, proprio la lettera remissoria sopra citata. Da un accurato esame condotto sul resto della documentazione non si sono rilevati altri casi analoghi, ma si può ragionevolmente ipotizzare una comune provenienza delle 84 pergamene raccolte dal padre benedettino, con una successiva dispersione degli allegati documenti cartacei. In tali allegati, come si rileva dagli incartamenti completi, venivano registrati gli atti dei relativi procedimenti giudiziari, dalla esibizione del mandato apostolico ai giudici delegati, alla verbalizzazione degli eventuali interrogatori dei testimo-ni, fino alla decisione della causa. Analoga documentazione (perlopiù atti frammentari di vari procedimenti), con incartamenti talvolta corredati dalle lettere apostoliche contenenti il relativo mandato di delega, è attualmente conservata nell’Archivio Notarile presso l’Archivio di Stato di Siena 29.

Le 84 pergamene qui analizzate vanno quindi senz’altro ricollegate alla documentazione contenuta nella serie delle Cause delegate, tuttora conservata

Ranuccio che accoglie la petizione di Alessandro Biagiotti, nuovo rettore parrocchiale della chiesa di S. Bartolomeo di Orgia nella diocesi di Siena. Il rettore parrocchiale chiede l’autorizzazione alla vendita di un pezzetto di terra di proprietà della parrocchia, al fine di poter costruire, con i proventi della vendita, una casa ad uso della parrocchia medesima. Il cardinale Ranuccio delega la causa a Scipione Fundio, canonico senese, e a Michelangelo Gotio, canoni-co di Montalcino. Nell’incartamento allegato alla littera Poenitentiariae viene ricordato che in data 9 marzo 1550 il detto Alessandro si presenta personalmente di fronte ai due giudici delegati « habens et tenens in manibus suis infra alligatas litteras Sacre Penitentiarie apostolice in pergameno descriptas » (ibid., c. 1).

27 Index Delegatorum ab anno 1517 usque ad annum 1659, in AAS, Cause delegate, 5932.

28 AAS, Cause delegate, 5648, n. 294. 29 Cfr. ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, L’Archivio Notarile (1221-1862). Inventario, a cura

di G. CATONI - S. FINESCHI, Roma 1975, pp. 84, 94, 108, 144, 171, 180, 181, 186, 235 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, LXXXVII).

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nella sede originaria presso l’Archivio arcivescovile. La ricchezza di questa documentazione è diretta testimonianza di un’attività giudiziaria particolar- mente intensa, svolta dai canonici della Curia arcivescovile senese nel XVI secolo e tale da fornire talvolta elementi preziosi per la comprensione della contemporanea realtà storica. Il Diplomatico Marchesi ne rappresenta un piccolo, ma forse non irrilevante frammento.

DANIELE MAZZOLAI

Università degli studi di Siena

Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena

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R E G E S T I Le pergamene Marchesi sono conservate nell’Archivio di Stato di Siena, nel fondo Particolari famiglie senesi, b. 73, ove sono disposte in ordine cronolo-gico.

1. 1504, febbraio 16, anno I del pontificato di Giulio II

Breve di papa Giulio II diretto a Gaspare Cotoni e Giovanni Tolomei, canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Clemente 30, cardinale di Mende. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1504, marzo 13. Frammento di sigillo impresso in cera rossa.

2. 1507, luglio 27, anno IV del pontificato di Giulio II

Breve di papa Giulio II diretto al vicario dell’arcivescovo di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Giovanni di San Giorgio 31, vescovo di Tuscolo. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Frammento di sigillo impresso in cera rossa.

3. 1512, gennaio 18, anno IX del pontificato di Giulio II Breve di papa Giulio II diretto all’arcivescovo di Siena, con cui si rac-

comanda Ricomanno 32 da Venafro, affinché possa ottenere, a seguito di un

30 Clemente Grosso della Rovere già vescovo di Mende (diocesi francese) fu eletto cardi-nale il 29 novembre 1503 da Giulio II (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 10).

31 Giovanni (Antonio) di San Giorgio già vescovo di Alessandria fu nominato cardinale il 20 settembre 1493 da Alessandro VI (C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., II, Münster 1914, p. 22).

32 Un Riccomano Buffalini notaio apostolico e magister fu nominato vescovo di Venafro il 2 ottobre 1504 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 328).

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rigoroso esame sostenuto di fronte a due o tre dottori in Diritto canonico, il grado e l’insegna in Diritto pontificio con i relativi privilegi e immunità. Ricomanno aveva studiato per sette anni presso l’Università di Siena ma non aveva potuto conseguire il titolo per la recente scomparsa del fratello mag-giore.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

4. 1512, aprile 16, anno IX del pontificato di Giulio II

Lettera di papa Giulio II diretta a Francesco Monaldi e Marco di Pa-squale, canonici della Cattedrale di Siena, con la quale li incarica di esamina-re e decidere una causa concernente possedimenti posti nella Diocesi di Siena, contesi tra Signorino di Paolo da Coscona 33 e Antonio di Paolo.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1512, aprile 26. Bolla pendente deperdita.

5. 1512, aprile 16, anno IX del pontificato di Giulio II

Lettera di papa Giulio II diretta al vescovo di Bertinoro 34, al quale de-lega una causa tra Antonio Maria Cinughi, chierico senese, e Tommaso Brunello, canonico di Bertinoro, concernente il mancato pagamento di un canone annuo relativo al godimento di rendite e proventi del monastero di Santa Maria de Urano di Bertinoro, dell’ordine di S. Benedetto, concesso da Pietro Francesco, abate di detto monastero.

Dato a Roma presso San Pietro. Bolla pendente deperdita.

6. 1514, giugno 13, anno II del pontificato di Leone X

Breve di papa Leone X diretto a Bartolomeo Lazzari e Federico da Buonconvento, canonici della Cattedrale di Siena, con il quale li incarica di

33 Coschine e Coscona in Val d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico

della Toscana, Firenze 1833, I, p. 827). 34 Si tratta di Angelo Petrucci nominato vescovo di Bertinoro in Romagna il 28 gennaio

1512 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 139).

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dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Giovanni Boncia-no 35. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta. Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1514, giugno 26. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

7. 1515, gennaio 12, anno II del pontificato di Leone X

Breve di papa Leone X diretto a Marco Pasquali e Francesco Monaldi, canonici della Cattedrale di Pienza, con il quale li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Giovanni, vescovo di Caserta 36. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

8. 1515, indizione III, settembre 10, anno III del pontificato di Leone X

Francesco, vescovo di Millopotamo 37 e penitenziere papale residente presso la Curia romana, verifica l’autenticità di una lettera con cui Leonardo, cardinale presbitero del titolo di Santa Susanna 38 e penitenziere maggiore, assolve Bartolomeo figlio di Giovanni di Matteo della diocesi di Pienza dalla sentenza di scomunica per un reato di presbitericidio. Francesco manda ad esecuzione la sentenza di assoluzione.

Dato a Roma presso la residenza di Francesco, vescovo di Millopotamo.

9. 1516, febbraio 29 venerdì, indizione IV,

anno III del pontificato di Leone X

Ugo de Spina, giudice deputato delle cause del Palazzo apostolico, è in-caricato da papa Leone X di dirimere una vertenza tra Giovanni Battista

35 Giovanni Battista Bonciano fu nominato vescovo di Caserta il 29 ottobre 1514 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 155).

36 Vedi nota 35. 37 Francesco Berthelay vescovo di Milopotamo nell’Isola di Creta, fu penitenziere papale

dal 1497 al 1516, vedi F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., p. 202 nota 4. 38 Leonardo Grosso della Rovere già vescovo di Agen (diocesi francese) nominato cardi-

nale il 1 dicembre 1505 da Giulio II fu Penitenziere maggiore dal 4 ottobre 1511 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 10).

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Gabrielli e il convento di S. Petronilla, dell’ordine di S. Chiara, fuori le mura di Siena, per un terreno vignato sito nelle Masse di Siena in località Riluogo, ceduto in affitto dalla badessa del convento al detto Giovanni Battista per il canone annuo di 44 lire di denari senesi e una libra di cera.

Dato a Roma. Sigillo pendente deperdito.

10. 1517, maggio 28, anno V del pontificato di Leone X

Papa Leone X incarica il vicario dell’arcivescovo di Siena di esaminare l’appello di Antonio Lucarini, cappellano dell’altare dei SS. Giacomo e Filippo nella chiesa di Sant’Angelo di Lucignano 39, relativo a una causa che lo opponeva a Pietro di Mariano in merito al patronato sulla cappellania dell’altare. Antonio Lucarini era stato condannato in primo grado dal vescovo di Arezzo.

Dato a Roma presso San Pietro. Bolla pendente.

11. 1518, aprile 23, VI anno di pontificato di Leone X

Leonardo 40, cardinale presbitero del titolo di S. Pietro in Vincoli, riceve la petizione di Salvatore di Domenico, rettore delle chiese parrocchiali di S. Andrea di Frontignano 41 e S. Biagio a Filetta 42, il quale chiede l’autorizza- zione della vendita o permuta di terreni lavorativi, vigneti, oliveti, boschi e pascoli per il valore di 100 ducati d’oro, di proprietà delle dette chiese parrocchiali, ma troppo distanti da esse. Il cardinale delega a Marco Pasquali e Bartolomeo Lazzari, canonici della Cattedrale di Siena, la concessione dell’autorizzazione alla vendita.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

39 Lucignano in Val di Chiana, detto altre volte Lucignano d’Arezzo (E. REPETTI, Dizio-nario geografico... cit., II, pp. 919-924).

40 Vedi nota 38. 41 Frontignano (Fruntinianum) in Val di Merse (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit.,

I, p. 346). 42 Filetta in Val di Merse (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., II, p. 144).

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12. 1518, novembre 11, anno VI del pontificato di Leone X

Breve di papa Leone X diretto al vicario dell’arcivescovo di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Giovanni, vescovo di Caserta 43. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

13. 1519, gennaio 10, anno VI del pontificato di Leone X

Breve di papa Leone X diretto a Marco Pasquali e Girolamo Gabrielli, canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Giovanni, vescovo di Caserta 44. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

14. 1521, ottobre 7, anno IX del pontificato di Leone X

Lorenzo 45, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, ac-coglie la petizione di Nicola di Giovanni Franceschi, cittadino senese, che chiede di poter procedere al riscatto della metà di un’abitazione posta in Siena, presso il popolo di S. Giovanni, a suo tempo venduta alla cappella di S. Callisto della Cattedrale di Siena, cedendo in cambio al rettore della cappella una bottega acquistata in Piazza del Campo. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Camillo di Augero e Marco Pasquali, canonici della Cattedrale di Siena, la concessione dell’autorizzazione al riscatto.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, ottobre 22. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

43 Vedi nota 35. 44 Vedi nota 35. 45 Lorenzo Pucci già vescovo di Melfi, nominato cardinale il 23 settembre 1513 da Leone

X, fu Penitenziere Maggiore dal 28 settembre 1520 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 13).

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15. 1522, ottobre 25, anno I del pontificato di Adriano VI

Papa Adriano VI incarica il vescovo di Pienza e Federico Petrucci, ca-nonico della Cattedrale di Siena, di esaminare l’appello di Giovanni Colom-bini, dottore in medicina da Fivizzano e abitante in Siena, relativo a una causa che lo opponeva a Ludovico Brizi in merito a una somma di denaro non corrisposta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1522, ottobre 30-31. Bolla pendente deperdita.

16. 1523, gennaio 8, anno I del pontificato di Adriano VI

Papa Adriano VI investe Antonio 46, vescovo di Albano e cardinale di S. Prassede, della commenda del monastero di S. Michele in Poggio di San Donato, dell’ordine di Vallombrosa in Siena, rimasta vacante per la morte di Raffaele Petrucci 47, cardinale presbitero del titolo di S. Susanna. Poiché la nomina è contestata da Federico Petrucci 48, il papa incarica Girolamo, vesco-vo di Pienza e Giovanni Tolomei, canonico di Siena, di mandare ad esecu-zione quanto sopra e di rendere nulli i pretesi diritti sul detto monastero.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1523 gennaio 22. Frammento di sigillo impresso in cera rossa.

17. 1523, aprile 18, anno I del pontificato di Adriano VI

Breve di papa Adriano VI diretto a Bartolomeo Lazzari e Federico Pe-trucci, canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecu-zione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Lorenzo Campeg-gi 49. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Frammento di sigillo impresso in cera rossa.

46 Antonio Maria (Ciochi) del Monte San Savino fu nominato cardinale al 10 marzo 1511 da Giulio II (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 12).

47 Raffaele Petrucci già vescovo di Grosseto fu nominato cardinale il 1 luglio 1517 da Leone X (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 15).

48 Federico Petrucci di Siena, conservò il titolo di vescovo di Gallipoli, dopo averne rive-stito la carica da 1529 al 1536 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 201).

49 Lorenzo Campegi già vescovo di Feltre fu nominato cardinale il 1 luglio 1517 da Leo-ne X (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 16).

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18. 1527, febbraio 25, anno IV del pontificato di Clemente VII

Breve di papa Clemente VII diretto al vescovo di Pienza e a Giovanni Battista di Girolamo di Simone, canonico senese, con cui il pontefice li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della sua personale segnatura. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato in Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1527 marzo 20. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

19. 1534, aprile 1, anno XI del pontificato di Clemente VII

Antonio 50, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, ac-coglie la petizione di Lelio Tolomei 51 di Siena, che chiede l’autorizzazione alla locazione o permuta di un terreno vignato posto a Vignano 52 e di una bottega posta in Siena nel terzo di Camollia, di fronte alla Loggia della Mercan-zia. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione all’arcidiacono della Cattedrale di Siena e al vicario generale dell’arcivescovo di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

20. 1535, luglio 21, indizione VIII, anno I del pontificato di Paolo III

Giovanni Diletto Duranti da Gualdo, giudice della Camera apostolica, trasmette al cardinale Giovanni Piccolomini 53, vescovo di Ostia e arcivesco-vo di Siena, e a Francesco Cosci, suo vicario generale, un incartamento relativo ad una vertenza sorta tra Cosimo Palamsini, familiare del cardinale Cornaro 54, e ser Oliviero de Gentis, chierico senese. Dato a Roma. Sigillo pendente deperdito.

50 Antonio Pucci già vescovo di Pistoia fu nominato cardinale il 22 settembre 1531 da Clemente VII, fu nominato Penitenziere Maggiore il 1 ottobre 1529, succedendo allo zio paterno Lorenzo (vedi nota 16), che rinunciò alla carica in suo favore (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 21).

51 Si tratta probabilmente di un laico, ma l’informazione non è ricavabile dal testo del do-cumento, che risulta mutilo in corrispondenza del lato superiore sinistro.

52 Vignano delle Masse San Martino in Val d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., V, pp. 770-771).

53 Giovanni Piccolomini già vescovo di Siena fu nominato cardinale il 1 luglio 1517 da Leone X (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 15).

54 Francesco Cornaro patrizio veneto fu nominato cardinale il 20 dicembre 1527 da Cle-mente VII (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 20).

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21. 1537, aprile 7, anno III del pontificato di Paolo III

Breve di papa Paolo III diretto a Antonio Benzi, canonico di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Tommaso 55, vescovo di Feltre. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1537, aprile 12, giovedì. Frammento di sigillo impresso in cera rossa.

22. s.d., sotto il pontificato di Paolo III (1534-1549), post 1538

Rotulo remissorio 56 emanato da Sebastiano Pighini 57, luogotenente di Giovanni Battista Cicala 58, protonotario apostolico di papa Paolo III, camer-lengo del papa e auditore della Camera apostolica, concernente una vertenza sorta tra Antonio Maria Piccolomini e Francesco Bandini, arcivescovo di Siena, relativa alla vendita, avvenuta nell’anno 1538 59 di due vacche e altri animali provenienti dal Lazio.

23. 1539, marzo 11, anno V del pontificato di Paolo III

Antonio 60, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, su petizione di Lucrezia Bernardini Catani, vedova di Galgano di Francesco Buoninsegni di Siena, incarica l’arcivescovo di Siena e l’abate del monastero della Rosa di Siena di annullare il giuramento, con il quale detta Lucrezia è stata costretta dal marito e da altri a cedere il podere detto di S. Pietro a Bernardino di Antonio Buoninsegni.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

55 Tommaso Campeggi protonotario apostolico fu nominato vescovo di Feltre il 1 giugno 1520 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 195).

56 La « lettera remissoria », anche solo « remissoria », è la lettera con cui un magistrato rimette a un altro un atto giuridico.

57 Sebastiano Antonio Pighini già vescovo di Manfredonia fu nominato cardinale il 20 novembre 1551 da Giulio III (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 33).

58 Giovanni Battista Cicala già vescovo di Albenga fu nominato cardinale il 30 maggio 1550 da Giulio III (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 33).

59 Sulla stessa vertenza vedi doc. 25. 60 Vedi nota 50.

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24. 1539, agosto 6, anno V del pontificato di Paolo III

Antonio 61, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, dele-ga all’arcivescovo di Siena, nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, l’approvazione dell’atto di vendita, con cui il priore e i frati del convento di S. Maria del Monte Carmelo di Siena hanno ceduto il Poggio al Gallo, posto nel distretto del castello di Monte Follonico 62, alla confraternita di S. Maria del detto castello, per la somma di 750 fiorini. L’atto di vendita è contenuto in pubblico istrumento rogato l’11 giugno 1531 dal notaio ser Ventura di ser Niccolò Montani di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1539, agosto 25. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

25. 1540, giugno 9, indizione XIII, anno VI del pontificato di Paolo III

Sebastiano Pighini 63, luogotenente di Giovanni Battista Cicala 64, proto-notario apostolico e auditore della Curia romana, trasmette all’abate France-schi di Siena e al canonico senese Antonio Benzi una lettera di assoluzione in favore di Antonio Maria Piccolomini di Siena, relativa ad una vertenza sorta tra il detto Antonio e l’arcivescovo di Siena, per la vendita di alcune vacche 65.

Dato a Roma. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1540, giugno 16. Sigillo in cera rossa pendente.

26. 1540, ottobre 2, anno VI del pontificato di Paolo III

Breve di papa Paolo III diretto a Cosma Simenete 66, canonico della Cat-tedrale di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica

61 Vedi nota 50. 62 Monte Follonica o Monte Follonico in Val di Chiana (E. REPETTI, Dizionario geografi-

co... cit., III, pp. 392-394). 63 Vedi nota 57. 64 Vedi nota 58. 65 Sulla stessa vertenza vedi doc. 22. 66 Deve trattarsi di Cosma Simonetti (e non « Simenete », come qui erroneamente riporta-

to) canonico senese, nominato anche nei docc. 36, 39, 65.

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munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 67. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta. Dato a Roma presso San Marco. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1540, indizione XIV, ottobre 22. Sigillo impresso in cera rossa.

27. 1541, maggio 24, anno VII del pontificato di Paolo III

Breve di papa Paolo III diretto all’abate del monastero di S. Maria de la Rosa di Siena e a Girolamo Berti, canonico della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 68. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta. Dato a Roma presso San Pietro. Frammento di sigillo impresso in cera rossa.

28. 1541, agosto 23, anno VII del pontificato di Paolo III

Antonio 69, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, su petizione della comunità di Chiusdino, nella Diocesi di Volterra, delega a Niccolò Campani e Niccolò Costanti, canonici della Cattedrale di Siena, nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni eccle-siastici, l’approvazione dell’atto di vendita con cui Sante Fiorentino, abate del monastero denominato della Serena, ha ceduto alla detta comunità un pezzo di terra denominato Salvaticheta e tutti i diritti sui terreni denominati Bandita de Pastura, posti nella detta diocesi. Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1541, indizione XIV, settembre 20. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

29. 1542, novembre 28, anno IX del pontificato di Paolo III

Antonio 70, vescovo di Albano, incarica Antonio Benzi, canonico di Sie-na di annullare il giuramento prestato da Pandolfo, Scipione, Cornelio, Cal-

67 Bartolomeo Guidiccioni già vescovo di Teramo fu nominato cardinale il 19 dicembre 1539 da Paolo III (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 27).

68 Vedi nota 67. 69 Vedi nota 50. 70 Vedi nota 50.

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listo, Claudio e Ottaviano, figli di Bernardino di Girolamo Borghesi di Siena, in occasione di una transazione relativa alla società di mercatura a suo tempo stipulata tra Girolamo Borghesi e Giovanni Tolomei. Secondo quanto dichia-rato dai fratelli Borghesi il giuramento era stato estorto con l’inganno.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

30. 1542, dicembre 9, indizione XV, anno IX del pontificato di Paolo III

Giovanni Battista Cicala 71, protonotario apostolico e auditore della Ca-mera apostolica, invia ai priori e ad altre autorità laiche ed ecclesiastiche della città di Siena una sentenza di scomunica diretta contro Marco e Lattan-zio Agazzari di Siena e ordina di mandare ad esecuzione le relative disposi-zioni contenute nella lettera monitoria di Francesco Monardi, chierico di Belley.

Dato a Roma. Sigillo pendente deperdito.

31. 1542, dicembre 13, anno IX del pontificato di Paolo III

Antonio 72, vescovo di Albano, accoglie la supplica di Pietro Pio di Gia-como de Scarpis di Siena, che chiede, per l’esiguità del prezzo corrisposto, l’annullamento del contratto con cui il 29 gennaio 1486 il detto Pietro ha venduto a un certo Paolo del fu Lando Sbargheri 73 alcuni possedimenti denominati Cotorniano, posti a Belforte 74 nel contado di Siena, con i terreni annessi, per il prezzo di 370 fiorini. Il cardinale delega l’esecuzione di quanto sopra ad Antonio Benzi e Francesco Ugurgieri, canonici della Catte-drale di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

71 Vedi nota 58. 72 Vedi nota 50. 73 Variante del più attestato « Sbrighieri » (vedi M. ILARI, Famiglie. Località. Istituzioni di

Siena e del suo territorio, Siena 2002, pp. 311-312). 74 Belforte di Radicondoli (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., I, p. 292).

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32. 1543, giugno 5, anno IX del pontificato di Paolo III

Antonio 75, vescovo di S. Sabina, accoglie la petizione di Alessandro Piccolomini 76, vescovo di Pienza e Montalcino e rettore parrocchiale della chiesa di S. Maurizio in Siena, che chiede l’autorizzazione alla vendita di una casa del valore di 40 ducati d’oro di proprietà della detta chiesa; i proventi della vendita serviranno all’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per la chiesa medesima. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Niccolò Campa-ni e a Bernardino Maccabruni 77, canonici della Cattedrale di Siena, l’autoriz- zazione alla vendita.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1543, ottobre 23. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

33. 1543, luglio 28, anno IX del pontificato di Paolo III

Antonio 78, vescovo di S. Sabina, accoglie la supplica di Prospero di Pie-tro Giunti, chierico senese, che ha ucciso involontariamente Giovanni di Spirito detto Giovannone abitante a San Salvatore a Pilli 79, nella Diocesi di Siena, ed emette in suo favore una sentenza di assoluzione in utroque foro tam penitentiali quam iudiciali et contentioso. Giovannone aveva aggredito con un bastone il fratello del chierico Prospero, che sopraggiunto in aiuto era stato a sua volta colpito con una bastonata. Qualche giorno dopo lo stesso Giovannone aveva aggredito Prospero in chiesa, durante la celebrazione di una funzione religiosa e lo aveva percosso sul volto con una candela di cera; la colluttazione era proseguita all’esterno della chiesa, dove Giovanni diabo-lico spiritu ductus, dopo aver colpito il chierico con un sasso e aver quasi ucciso sua madre con un pugno, si era impossessato del pugnale che il chierico aveva sguainato per legittima difesa. Quindi Giovanni, slanciatosi con impeto contro l’avversario, era rimasto trafitto da una partigiana, che il chierico portava con sé per garantirsi dal pericolo di morte. Il cardinale ordina al vescovo di Gallipoli 80, abitante a Siena, all’arcidiacono e a Sinolfo Petrucci, canonico della Cattedrale di Siena, di mandare ad esecuzione la

75 Vedi nota 50. 76 Alessandro Piccolomini fu nominato vescovo di Montalcino il 20 novembre 1528 (G.

VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 212). 77 Vedi pp. 11-12. 78 Vedi nota 50. 79 San Salvatore a Pilli in Val d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., IV, p. 28). 80 Vedi nota 48.

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sentenza, accordando inoltre al supplicante la richiesta di accedere agli ordini sacerdotali e di poter svolgere gli uffici sacri.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

34. 1543, agosto 20, anno IX del pontificato di Paolo III

Breve di papa Paolo III diretto a Mariano Bandini e Niccolò Costanti, canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 81. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

35. 1544, febbraio 5, anno X del pontificato di Paolo III

Antonio 82, vescovo di S. Sabina, accoglie la petizione di Fabio di Aldel-lo Placidi di Siena, che chiede lo scioglimento di un contratto di vendita e dei relativi giuramenti, condotti per il tramite di Giovanni Andrea di Mariano di Ventura, suo procuratore. Con tali giuramenti il detto Fabio aveva accor-dato la cessione di un podere di sua proprietà con abitazioni e terreni annessi a Poggio a le Mura 83, in località Colle Alto, nella Diocesi di Siena, a Elisa-betta del fu Raffaele Leonetti, vedova di Benedetto di Giovanni Battista Stellini, come tutrice dei suoi figli e sotto la fideiussione di Giacomo del fu Alessandro Branconi, per il prezzo di 1100 fiorini da corrispondere nell’arco dei successivi cinque anni; si chiede di rescindere il contratto per l’esiguità del prezzo di vendita. Il cardinale delega l’annullamento ad Antonio Benzi e Niccolò Costanti, canonici della Cattedrale di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1544, marzo 15 - maggio 7. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

81 Vedi nota 67. 82 Vedi nota 50. 83 Poggio alle Mura fra le valli dell’Orcia e dell’Ombrone. «La contrada dà nome ad una

antica Pieve (San Sigismondo) e ad una villa signorile appartenuta ai signori Placidi di Siena, situata nel luogo dove fu la rocca di Poggio alle Mura » (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., IV, p. 490). I possedimenti ricordati nella supplica che Fabio Placiti rivolge all’Ufficio della Penitenzieria e la località denominata Colle Alto, in cui essi si trovano, si riferiscono sicuramente alla villa e al luogo qui ricordati.

Daniele Mazzolai 36

36. 1544, febbraio 15, anno X del pontificato di Paolo III

Antonio 84, vescovo di S. Sabina, accoglie la petizione della badessa e delle monache del monastero di S. Chiara di Siena, che chiedono l’autorizza- zione alla vendita di una abitazione di proprietà di detto monastero, posta in luogo denominato Fiera Vecchia, nella città di Siena, i cui proventi verranno destinati all’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega ad Antonio Benzi e a Cosma Simonetti, canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla vendita.

Dato a Roma presso San Pietro. Frammento di sigillo in cera rossa pendente dell’Ufficio della Penitenzieria.

37. 1546, gennaio 16, anno XII del pontificato di Paolo III

Roberto 85, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, ac-coglie la petizione della badessa e delle monache del monastero dei SS. Abbondio e Abundanzio, dette di Santa Bonda, posto fuori le mura di Siena, che chiedono l’autorizzazione all’affitto o vendita di alcuni beni immobili di proprietà del monastero, i cui proventi verranno destinati all’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero medesimo. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega all’arcidiacono di Montalcino, abitante in Siena, a Niccolò Campani e Sinolfo Petrucci, canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizza- zione alla locazione in affitto o vendita.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenziaria deperdito.

38. 1546, gennaio 26, anno XII del pontificato di Paolo III

Roberto 86, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, ac-coglie la petizione della badessa e delle monache del monastero di Ognissan-ti di Siena, che chiedono l’approvazione dell’atto di vendita a Lattanzio di Girolamo Dotti di alcuni terreni di proprietà del monastero, posti a Buoncon-

84 Vedi nota 50. 85 Roberto Pucci già vescovo di Pistoia fu nominato cardinale il 2 giugno 1542 da Paolo

III, fu Penitenziere maggiore dal 17 ottobre 1544 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 28).

86 Vedi nota 85.

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vento, nel contado di Siena, in località denominata le Mazine, precedente-mente affittati a Federico di Angelo Pupi per il canone annuo di sette ducati. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Bernardino di Girolamo Maccabruni 87 e a Giampaolo Sensi, canonici della Cattedrale di Siena, l’approvazione dell’atto di vendita.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1546, febbraio 26. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

39. 1546, marzo 26, anno XII del pontificato di Paolo III

Roberto 88, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, ac-coglie la petizione inviata all’Ufficio della Sacra Penitenzieria presso la Sede apostolica da Cosma Simonetti, canonico senese e rettore della chiesa parroc-chiale di S. Pietro a Ovile di Siena. Nella petizione il canonico dichiara di avere a suo tempo concesso in enfiteusi con obbligo di trasmissione eredita-ria per linea di discendenza maschile a Ludovico di Giovanni di Francesco Sergardi, nobile senese, alcuni possedimenti appartenenti alla chiesa, chiamati « l’horto de Ovile » con annessi terreni lavorati e vignati, un pezzo di terra lavorata presso le mura cittadine, nonché case e edifici vicini a Porta Ovile, a Ravacciano 89 in Siena, per il canone annuo di dodici scudi e uno staio di vino buono, con il patto che detto Ludovico potesse successivamente affran-care tali possedimenti dietro adeguato compenso. L’affrancamento è stato effettuato da quest’ultimo pagando il prezzo dovuto dal canonico Cosma a Bernardino del maestro Antonio Buoninsegni, per l’acquisto della metà di un possedimento denominato « Corzarello », posto tra le Masse di Siena a Villa al Piano, da cedere successivamente in enfiteusi perpetua a detto Bernardino, con il patto che quest’ultimo potrà affrancare tale possedimento dietro ade-guato riscatto. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inaliena- bilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Francesco Ugurgieri e a Niccolò Campani, canonici della Cattedrale di Siena, l’approvazione all’af- francamento tramite riscatto e alla successiva locazione in enfiteusi, come richiesto dai detti Cosma, Ludovico e Bernardino.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

87 Vedi pp. 11-12. 88 Vedi nota 85. 89 Ravacciano nelle Masse di San Martino di Siena (E. REPETTI, Dizionario geografico...

cit., IV, p. 733).

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40. 1546, indizione IV, giugno 18 venerdì, anno XII del pontificato di Paolo III

Giacomo Del Pozzo 90, auditore delle cause del Palazzo apostolico, è incaricato da papa Paolo III di trasmettere alle autorità giudiziarie della città di Siena le deliberazioni relative all’eredità dei beni del fu Crescenzo Tura-mini.

Dato a Roma. Sigillo pendente deperdito.

41. 1546, novembre 23, anno XIII del pontificato di Paolo III

Roberto 91, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, ac-coglie la petizione di Angelo, Pietro e Pasquino Masotti, laici e chierici di Villa Ancaiano 92, nella Diocesi di Volterra. I predetti sono stati nominati eredi universali nell’ultimo testamento del fu Giovanni Angelo Masotti, alla condizione di non vendere o alienare una casetta con annesso un orticello, un canneto, una vigna semideserta e un pezzo di castagneto del valore di 125 ducati d’oro, facenti parte dell’eredità. La condizione prevede che in caso di vendita gli eredi siano obbligati a devolvere la casetta e i beni annessi alla chiesa di S. Bartolomeo di Villa Ancaiano, nei confronti della quale sono inoltre obbligati ad oblazioni e alla celebrazione di messe in determinati giorni dell’anno. Gli eredi chiedono di essere liberati dagli obblighi contenuti nel testamento, accordando al rettore della chiesa di S. Bartolomeo l’assegna- zione di alcuni beni immobili e di un certo censo annuo. Il cardinale delega a Bernardino Maccabruni 93 e a Niccolò Campani, canonici della Cattedrale di Siena, l’annullamento del vincolo di inalienabilità dei beni predetti e lo scioglimento dei supplicanti dagli obblighi nei confronti della chiesa di S. Bartolomeo.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1546, indizione IV, dicembre 16 giovedì. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

90 Giacomo Del Pozzo (de Puteo) già vescovo di Bari fu nominato cardinale da Giulio III

il 20 novembre 1551 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 32) 91 Vedi nota 85. 92 Ancajano o Cajano in Val di Merse, sul dorso della montagnuola di Siena, la cui par-

rocchia di San Bartolomeo nel piviere dei Santi Giusto e Clemente dipendeva dalla Diocesi di Volterra (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., I, p. 83).

93 Vedi pp. 11-12.

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42. 1547, novembre 22, anno XIV del pontificato di Paolo III

Breve di papa Paolo III diretto al decano senese e all’arcidiacono della Cattedrale di Montalcino, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 94. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta. Dato a Roma presso San Marco. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

43. 1548, maggio 18, anno XIV del pontificato di Paolo III

Breve di papa Paolo III, diretto al decano senese e a Giovanni Moroni, canonico di Pienza, con cui si ordina di mandare ad esecuzione l’assegna- zione a Niccolò Rinino Smiraldi, chierico senese e dottore in medicina, dei benefici ecclesiastici relativi al giuspatronato delle plebanie di S. Leonardo di Monticchiello presso Pienza e di S. Maria delle Nevi nella Diocesi di Siena, illegittimamente occupati da laici a seguito della morte del plebano Pietro Francesco Cinughi. Si ordina inoltre al decano e al canonico predetti di far pervenire a detto Niccolò, entro sei mesi dalla presente, la lettera apostolica relativa all’assegnazione del giuspatronato. Dato a Roma presso San Marco. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

44. 1548, maggio 23, anno XIV del pontificato di Paolo III

Ranuccio 95, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la peti-zione del priore dei frati del convento senese di S. Clemente dei Servi di Maria in Valdimontone, che chiedono l’autorizzazione alla vendita di alcuni terreni delle dimensioni di 11 staia e del valore di 90 scudi, i cui proventi verranno destinati alla riparazione della casa e della chiesa del detto conven-to, per utilità e necessità del convento medesimo. Nel rispetto della costitu-zione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Niccolò Campani e a Bernardino Maccabruni 96, canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla vendita. Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1548, indizione VI, giugno 13. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

94 Vedi nota 67. 95 Ranuccio Farnese nominato cardinale il 16 dicembre 1545 da Paolo III, fu Penitenziere

maggiore dal 17 febbraio 1547 fino alla morte avvenuta il 29 ottobre 1565 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 30).

96 Vedi pp. 11-12.

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45. 1548, ottobre 11, anno XIV del pontificato di Paolo III

Ranuccio 97, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la peti-zione di Mariano del fu Niccolò Migliorini di Lucignano 98 in Val di Chiana, nel dominio di Siena e Diocesi di Arezzo, con cui il supplicante, minore di anni 20, chiede lo scioglimento dal giuramento a suo tempo prestato con il consenso del suo tutore per la vendita di beni mobili ed immobili a diverse persone. Detto Mariano chiede lo scioglimento dal giuramento perché ad esso indotto con la frode dai compratori e perché enormemente svantaggiato dai contratti di vendita. Il cardinale Ranuccio delega a Niccolò Capanna 99, cano- nico senese, e al vicario dell’arcivescovo di Siena la concessione dell’annul- lamento.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

46. 1548, novembre 2, anno XIV del pontificato di Paolo III 100

Breve di papa Paolo III diretto al precettore di San Rabano di Albere-se 101 nella diocesi di Sovana, all’arcidiacono di Montalcino e a Niccolò Costanti, canonico della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 102. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi per- duta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

97 Vedi nota 95. 98 Vedi nota 39. 99 Deve trattarsi senz’altro di Niccolò Campani (e non « Capanna », come qui erroneamen-

te riportato) canonico senese, nominato anche nei docc. 28, 32, 37, 39, 41, 44, 51, 53. 100 La datazione del presente documento si fonda sul presupposto che papa Paolo III sia

stato consacrato il 3 novembre 1534 e non il giorno 1 novembre, come riportato, tra gli altri, da G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 22. Infatti, se così fosse, il 2 novembre 1548 sarebbe rientrato nel XV e non nel XIV anno di pontificato di Paolo III, mentre nel breve pontificio si legge chiaramente: « (…) die secunda novembris .MDXXXXVIII. pontifi-catus nostri anno quartodecimo ». L’oscillazione tra le due date è presente anche nella recente edizione di A. CAPPELLI, Cronologia Cronografia e Calendario perpetuo, Milano 1998, dove nell’Elenco cronologico dei papi e degli antipapi (p. 253) tratto dall’Annuario pontificio (come avvertito a p. 489, nota 13) è riportata la data 3/11/1534, mentre nelle Tavole cronologico-sincrone della storia d’Italia (p. 333) figura la data 1/11/1534.

101 Su Alberese (San Rabano) si veda P. CAMMAROSANO - V. PASSERI, Città borghi e ca-stelli dell’area senese-grossetana, Siena 1984, p. 81.

102 Vedi nota 67.

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47. 1550, novembre 13, anno I del pontificato di Giulio III

Ranuccio 103, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la pe-tizione di Giacomo Luti di Siena, che chiede lo scioglimento dal giuramento prestato nell’anno 1545, col quale si impegnava a cedere per cinque anni una casa posta nella contrada di San Giusto e nel terzo di San Martino in Siena ad Achille di Antonio Maria Cinughi, dietro fittizio pagamento di una pen-sione di 120 fiorini, come titolo di interesse per un prestito di 150 fiorini da questi ricevuto 104. Il cardinale delega lo scioglimento dal giuramento a Giovanni Battista Simoni, canonico senese, e al vicario dell’arcivescovo di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

48. 1550, dicembre 16, anno I del pontificato di Giulio III

Papa Giulio III, a richiesta dei figli ed eredi del fu Angelo del fu Ugo Ugurgieri, laici senesi, delega all’arcidiacono della Cattedrale di Montalcino una vertenza, concernente il mancato pagamento di una certa somma dovuta dalla badessa e dalle monache del monastero di S. Maria Maddalena di Siena, dell’ordine di S. Agostino, ai detti eredi.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1551, indizione IX, febbraio 19-28. Bolla pendente deperdita.

49. 1551, agosto 6, anno II del pontificato di Giulio III

Breve di papa Giulio III diretto al vescovo di Pienza e all’arcidiacono della Cattedrale di Montalcino, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Girolamo Verallo 105. La suppli-ca originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Marco. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

103 Vedi nota 95. 104 Il valore dell’affitto era di 120 fiorini, ma il Cinughi aveva preteso dal Luti un con-

tratto dove si dichiarava debitore di 150 fiorini. Pertanto il Luti chiede di essere sciolto dal giuramento per poter rescindere il contratto.

105 Girolamo Verallo già vescovo di Rossano fu nominato cardinale da Paolo III l’8 aprile 1549 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 30).

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50. 1552, maggio 17, anno III del pontificato di Giulio III

Breve di papa Giulio III diretto al vescovo di Pienza, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Girolamo Verallo 106. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo impresso in cera rossa deperdito.

51. 1552, giugno 7, anno III del pontificato di Giulio III

Ranuccio 107, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la pe-tizione di Alessandro Bulgarini, cittadino senese, che chiede l’approvazione dell’atto di vendita, con cui Niccolò Costanti, rettore parrocchiale della chiesa di S. Maria Maddalena in Selsina, nel contado di Siena e presso Castelnuovo Berardenga della Diocesi di Arezzo, ha ceduto al detto Alessan-dro alcuni beni immobili dietro pagamento di una certa somma, necessaria per l’acquisto di altri beni immobili di maggiore utilità per la chiesa mede-sima. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’approvazione dell’atto di vendita a Bernardino Maccabruni 108, Niccolò Campani e Gaspare Minervali, canonici della Cattedrale di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1552, indizione X, agosto 4. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

52. 1552, luglio 12, anno III del pontificato di Giulio III

Ranuccio 109, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la ri-chiesta di Vincenzo di Giovanni del Teco da Montenero 110, laico della Diocesi di Pienza, che chiede lo scioglimento del matrimonio contratto con Feliciana, figlia di Giovanni, falegname della stessa Diocesi. Secondo i patti

106 Vedi nota 105. 107 Vedi nota 95. 108 Vedi pp. 11-12. 109 Vedi nota 95. 110 Monte Nero, o Montenero in Val d’Orcia (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit.,

III, pp. 447-449).

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matrimoniali, Giuditta da Civitella 111, madre della ragazza, aveva garantito l’illibatezza della figlia; è stato quindi stipulato il matrimonio con formulario di rito e dono dell’anello 112. Successivamente il detto Vincenzo si è recato una notte nella casa delle due donne, trovandole in compagnia di alcuni uomini adulteri e avendo subito maltrattamenti da questi ultimi è fuggito dall’abitazione rinunciando al proposito di consumare il matrimonio. Avendo inoltre constatato che la detta Feliciana è già stata deflorata prima del dono dell’anello, chiede lo scioglimento dalla promessa e la facoltà di unirsi in matrimonio con un’altra donna. Il cardinale ordina al vescovo di Pienza o al suo vicario generale di convocare la donna, accertare se quanto asserito dal supplicante corrisponde a verità e deliberare sulla concessione a quest’ultimo della facoltà di unirsi in matrimonio con un’altra donna, dalla quale possa avere figli legittimi.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1552, settembre 9. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

53. 1552, ottobre 8, anno III del pontificato di Giulio III

Papa Giulio III accoglie la petizione di Eufrasia, vedova del fu Niccolò Vieri di Siena, e delega all’abate del monastero di S. Michele in Poggio, della città o Diocesi di Siena, e ad Antonio Benzi, canonico della chiesa di Siena, una vertenza presentata in seconda istanza a Gaspare Minervali e Niccolò Campani, canonici della Cattedrale di Siena, concernente il mancato pagamento di una somma di denaro o quantità di frumento dovuta a detta Eufrasia dalla badessa e dalle monache del monastero di San Lorenzo in Siena, dell’ordine di San Benedetto. La detta Eufrasia si appella all’autorità della Sede apostolica opponendosi alla sentenza promulgata dai due canonici in favore della badessa.

Dato a Roma presso San Pietro. Bolla pendente deperdita.

54. 1553, dicembre 7, anno IV del pontificato di Giulio III

Ranuccio 113, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la pe-tizione del priore e dei frati del convento senese di S. Clemente dei Servi di

111 Civitella dell’Ardenghesca o Civitella di Maremma nella Valle dell’Ombrone senese (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., I, p. 741).

112 Sulle fasi che caratterizzano le trattative matrimoniali qui ricordate e, più in generale, su questo documento vedi pp. 15-16.

113 Vedi nota 95.

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Maria in Valdimontone, della regola di S. Agostino, che chiedono l’autoriz- zazione alla vendita di una casetta posta in Siena presso il monastero, per l’utilità del monastero medesimo. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega al vesco-vo di Pienza e Montalcino, residente in Siena, e Angelo Bardi e Bernardino Maccabruni 114, canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla vendita.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1544, gennaio 19. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

55. 1554, dicembre 15, anno V del pontificato di Giulio III

Ranuccio 115, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la pe-tizione di Nanni di Biagio da Sarteano, chierico della Diocesi di Chiusi e rettore della cappella della Presentazione di S. Maria Vergine, posta nella Cattedrale di Siena, il quale chiede, per l’utilità della cappella e con il beneplacito della Sede apostolica, l’autorizzazione a concedere in enfiteusi una casa posta in Siena presso la cappella medesima a Gabriele o Bartolo-meo Gucci, farmacista senese, per il canone annuo di 12 ducati d’oro. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni eccle-siastici, il cardinale delega l’autorizzazione a Niccolò Costanti e a Scipione Bandini, canonici della Chiesa di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

56. 1555, giugno 17, anno I del pontificato di Paolo IV

Ranuccio 116, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la pe-tizione della badessa e delle monache del monastero detto di Vita Eterna, dell’ordine di S. Domenico in Siena, che chiedono, per utilità del monastero, l’autorizzazione a concedere in enfiteusi vitalizia una casa distrutta posta in Siena nel terzo di S. Martino e nel vico di S. Giusto, presso il detto monaste-ro, a Fabrizio di Giovanni di Francesco Tolomei, cittadino senese, per il canone annuo di 12 fiorini. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione al

114 Vedi pp. 11-12. 115 Vedi nota 95. 116 Vedi nota 95.

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decano di Siena, all’arcidiacono della Cattedrale di Montalcino e al vicario generale dell’arcivescovo di Siena.

Dato in Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1555, indizione XIII, luglio 6. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

57. 1558, indizione I, agosto 13, anno IV del pontificato di Paolo IV

Paolo Odescalchi, protonotario apostolico, camerlengo del papa, auditore generale delle cause della Camera apostolica e giudice ordinario, riceve da papa Paolo IV la delega ad esaminare l’appello di Niccolò del fu Alessandro Venturi e Dionora del fu Francesco Petrucci, moglie di Giovanni del fu Girolamo Turamini ed erede universale del fu Alessandro Venturi, figlio di primo letto avuto dal fu Fabio Venturi, suo primo marito, riguardo ad una sentenza pronunciata ad istanza di Virginia Martini, relativa alla successione di una certa quantità di denaro e alla consegna di alcuni libri. Il procuratore di Virginia Martini si presenta in giudizio e alla presenza dell’avvocato della parte avversa chiede e ottiene da Paolo Odescalchi una lettera compulsoria 117 diretta a tutti gli abati, priori, preposti, decani, arcidecani e altre autorità laiche ed ecclesiastiche della città di Siena, affinché consegnino qualsiasi documento in loro possesso, relativo alla causa in corso, al fine di appurare la verità dei fatti.

Dato in Roma. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1558, agosto 19-20. Sigillo pendente deperdito.

58. 1558, settembre 17, anno IV del pontificato di Paolo IV

Papa Paolo IV su richiesta del guardiano e dei frati del convento di S. Francesco di Montalcino, dell’ordine dei frati Minori conventuali, delega a Sallustio Poscio, canonico della Cattedrale di Montalcino, e al vicario genera-le del vescovo di Montalcino, la risoluzione di una causa intentata dai detti frati contro Cesare Tinelli di Montalcino, precedente guardiano del convento, che si era appropriato di beni immobili per il valore di più di mille fiorini. Nel 1535 aveva abbandonato l’abito senza una ragione legittima e aveva utilizzato i suddetti beni per la fondazione di una cappellania presso l’altare

117 La lettera compulsoria è l’atto con cui un giudice richiede a un altro giudice di fornire copie autentiche di atti o documenti esistenti nei suoi archivi giudiziari.

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di S. Biagio, posto nella Cattedrale di Montalcino. Il guardiano e i frati rivendicano i diritti su tale cappellania e pertanto si appellano al papa. Dato a Roma presso San Pietro. Bolla pendente deperdita.

59. 1559, giugno 30, anno V del pontificato di Paolo IV

Papa Paolo IV, a richiesta della badessa e delle monache del monastero di S. Marta di Siena, dell’ordine di S. Agostino, incarica Gaspare Minervali e Scipione Fondi, canonici della Cattedrale di Siena, di esaminare l’appello di una causa che opponeva le dette monache a Gregorio di Sebastiano di Andrea da San Gimignano per una somma di denaro non corrisposta. In primo grado la causa era stata giudicata dal vicario generale dell’arcivescovo di Siena e dal giudice preposto della Cattedrale di Siena, che avevano emes-so una sentenza in favore del detto Gregorio. Dato a Roma presso San Pietro. Bolla pendente deperdita.

60. 1559, settembre 11, sede pontificia vacante per la morte di Paolo IV

Guido Ascanio Sforza 118 da Santa Fiora, cardinale diacono di S. Maria in Via Lata e camerlengo di Santa Romana Chiesa, riceve la petizione delle monache del monastero di S. Petronilla di Siena che, ridotte in condizione di povertà a seguito degli eventi bellici, hanno acquistato per la loro sussistenza da Galgano di Galgano Pallagrossa, laico senese, quattro moggia di grano per il prezzo di quarantotto scudi. In pagamento del grano le monache cedono a Galgano — tramite Pio di Pietro Paolo Andreucci, laico senese — un pezzo di terra lavorativa dello stesso valore. Tale terreno misura circa otto staia, ha un casalino ed è ubicato nei pressi di Siena, a Santa Maria a Tressa, già nelle Masse di Siena. La cessione del terreno è sottoposta a patto di riscatto da parte delle dette monache. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Gaspare Miner-vali da Pienza e Angelo di Cristoforo Bardi, canonici senesi, l’autorizzazione alla vendita. Dato a Roma presso la Camera apostolica. Sigillo pendente deperdito.

118 Guido Ascanio Sforza fu nominato cardinale da Paolo III il 18 dicembre 1534, fu ca-merarius S.R.E. dal 22 ottobre 1537 fino alla morte avvenuta il 6 ottobre 1564 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 23 e p. 81).

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61. 1561, indizione IV, febbraio 5, anno II del pontificato di Pio IV

Guido Ascanio Sforza 119 da Santa Fiora, cardinale diacono di S. Maria in Via Lata e camerlengo di Santa Romana Chiesa, accoglie la petizione di Cesare del fu Bernardino Bagnai, cittadino senese, nella quale si ricorda che il priore e i frati del monastero di S. Maria del Carmine della città di Siena non avendo altro modo per poter acquistare buoi e altri animali necessari per coltivare le proprie terre, hanno venduto al detto Cesare un pezzo di terra di rendita annua di cinque ducati. Nel rispetto delle costituzioni dei papi Paolo II, Paolo IV e di altri pontefici sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega ad Antonio Benzi, decano, e Antonio Borghesi, canonico della Cattedrale di Siena, l’approvazione del contratto di vendita.

Dato a Roma presso la Camera apostolica. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1561, indizione IV, febbraio 22 sabato. Sigillo pendente deperdito.

62. 1561, marzo 21, anno II del pontificato di Pio IV

Guido Ascanio Sforza 120 da Santa Fiora, cardinale diacono di S. Maria in Via Lata e camerlengo di Santa Romana Chiesa, su mandato di papa Pio IV attesta con lettera patente sigillata dell’Ufficio del Camerariato che papa Paolo IV è deceduto in data 18 agosto 1559.

Dato a Roma presso la Camera apostolica. Sigillo pendente deperdito.

63. 1561, aprile 18, anno II del pontificato di Pio IV

Ranuccio 121, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la pe-tizione di Galgano di Alberto di Pasciuto, rettore della cappellania di San Sebastiano, posta nella Cattedrale di Siena. Il detto Galgano chiede, per utilità della cappella, l’autorizzazione all’acquisto di una proprietà denomina-ta le Fontanelle da un certo Niccolò Ugolino al prezzo di trecento scudi, a patto rivenderla entro un quinquennio. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autoriz-

119 Vedi nota 118. 120 Vedi nota 118. 121 Vedi nota 95.

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zazione all’arcivescovo di Siena o al suo vicario generale e al decano della Cattedrale di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1561, maggio 19. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

64. 1561, giugno 14, anno II del pontificato di Pio IV

Breve di papa Pio IV, diretto all’abate del monastero dei SS. Filippo e Giacomo della città e Diocesi di Siena e a Cosma Campana, canonico della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Giacomo Del Pozzo 122. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Marco. Sigillo impresso deperdito.

65. 1561, settembre 30, anno II del pontificato di Pio IV

Ranuccio 123, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, riceve la peti-zione di Guglielmo di Antonio Celli, rettore parrocchiale della chiesa di S. Giorgio a Papaiano, nella Diocesi di Siena, con la quale il detto Guglielmo ricorda che Cosma Simonetti, suo predecessore, ha venduto a Clemente Ugurgieri, chierico senese, un pezzo di terra scarsamente fruttifera e di scarsa utilità per la chiesa al prezzo di 350. La somma è stata depositata presso persone fidate; volendo il detto Guglielmo utilizzare trecento venti fiorini della somma depositata per l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per la chiesa e i rimanenti trenta fiorini per la costruzione di una casa utile alla chiesa medesima, chiede l’autorizzazione alla Sacra Penitenzieria. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni eccle-siastici, il cardinale delega l’autorizzazione al vescovo di Siena o al suo vicario generale e al decano della Cattedrale di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1561, indizione IV, dicembre 16. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

122 Vedi nota 90. 123 Vedi nota 95.

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66. 1562, indizione V, maggio 15 venerdì, anno III del pontificato di Pio IV

Gaspare Groppero, camerlengo del papa e deputato delle cause del Pa-lazzo apostolico, invia a Federico Petrucci 124, arcidiacono della Cattedrale di Siena, e a Raffaele Costanti, arcidiacono della Cattedrale di Montalcino, una lettera apostolica, contenente disposizioni in merito alla vertenza sorta tra Maso Masi e Ascanio Ranucci per il beneficio ecclesiastico di S. Regolo di Monterotondo, nella Diocesi di Massa, con relativi frutti, rendite ed emolu-menti. Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo in cera rossa pendente.

67. 1563, agosto 19, anno IV del pontificato di Pio IV

Ranuccio 125, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la supplica della badessa e delle monache del convento di S. Maria dei Servi detto delle Mantellate, della regola di S. Agostino, posto presso la Porta di San Viene, nella città di Siena. Le religiose chiedono l’autorizzazione alla vendita di un podere distrutto durante il recente assedio, posto nelle Masse di Siena, a maestro Lorenzo pittore e a suo fratello Callisto muratore, figli di Cristofano di Siena, per il prezzo di 325 fiorini, da utilizzare per l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega all’arcivescovo di Siena o al suo vicario generale e al decano della Cattedrale Siena l’autorizzazione alla vendita. Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1564, gennaio 18. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

68. 1564, indizione VII, gennaio 26 mercoledì, anno V del pontificato di Pio IV

Lettera remissoria 126 inviata da Pomponio Cotta, auditore delle cause del Palazzo apostolico e luogotenente di Gabriele Paleotto 127, auditore, al vicario generale dell’arcivescovo di Siena e a Deifebo, arcipresbitero della Cattedrale

124 Vedi nota 48. 125 Vedi nota 95. 126 Vedi nota 56. 127 Gabriele Paleotto auditore di Rota fu nominato cardinale il 12 marzo 1565 da Pio IV

(G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, pp. 41-42).

Daniele Mazzolai 50

di Siena, su petizione della comunità e del popolo di Volterra, riguardo alla restituzione di beni spettanti all’ospedale di S. Giacomo di Altopascio posto nel territorio di Volterra.

Dato a Roma. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1564, febbraio. Sigillo pendente deperdito.

69. 1564, indizione VII, aprile 5, anno V del pontificato di Pio IV

Instrumentum prorogationis inviato da Pomponio Cotta, auditore delle cause del Palazzo apostolico e luogotenente di Gabriele Paleotto 128, auditore, al vicario generale dell’arcivescovo di Siena e a Deifobo, arcipresbitero della Cattedrale di Siena, in relazione alla vertenza di cui alla lettera remissoria 129 del 26 gennaio 1564, concernente la restituzione di beni spettanti all’ospedale di S. Giacomo di Altopascio posto nel territorio di Volterra.

Dato a Roma. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al procedimento, 1564, indizione VII, aprile 17-29. Sigillo pendente deperdito.

70. 1564, agosto 4, anno V del pontificato di Pio IV

Ranuccio 130, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, riceve la peti-zione della badessa e delle monache dette Clamidate del monastero di S. Maria dei Servi di Siena, con la quale si ricorda che le dette monache hanno venduto un podere posto nelle vicinanze di Siena al prezzo di 340 fiorini con l’autorizzazione della Sede apostolica. La badessa e le monache chiedono ora l’autorizzazione all’acquisto di beni immobili, necessari per far fronte alle sopraggiunte difficoltà economiche, utilizzando la somma di denaro ricavata dalla vendita del podere. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione al vicario generale dell’arcivescovo di Siena e al decano della Cattedrale di Siena.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1564, agosto 18. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

128 Vedi nota precedente. 129 Vedi nota 56. 130 Vedi nota 95.

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71. 1565, indizione VIII, giugno 29, anno VI del pontificato di Pio IV

Vitellozzo 131, cardinale diacono di S. Maria in Via Lata, camerlengo di Santa Romana Chiesa, accoglie la petizione dei frati del convento senese di S. Clemente dei Servi di Maria in Valdimontone, che chiedono alla Camera Apostolica l’autorizzazione alla permuta, vendita o locazione di un pezzo di terra vignata con annessa casetta, danneggiata a causa della guerra, posta a Vico, in luogo detto lo Scudo, vicino a Siena, della rendita annua di cinque scudi d’oro, per l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il mona-stero. Nel rispetto delle costituzioni di papa Paolo II e papa Paolo IV sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega al vicario generale dell’arcivescovo di Siena e all’arcidiacono della Chiesa cattedrale di Siena l’autorizzazione alla permuta, vendita o locazione.

Dato a Roma presso la Camera apostolica. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1565 agosto 8. Sigillo pendente deperdito.

72. 1566, marzo 8, anno I del pontificato di Pio V

Carlo 132, cardinale presbitero del titolo di S. Prassede, riceve la petizio-ne di Silvio Rengoni 133 di Siena, con la quale si ricorda che Giolotta vedova di Pietro Vellanti 134 di Siena e sua figlia Diodata, avendo deciso di entrare nel monastero della Concezione di S. Maria di Siena, hanno così disposto sulla quarta parte delle loro doti, con donazione fatta di fronte a un notaio: Giolotta lascia la porzione di dote a titolo di pegno in favore del detto Silvio; Diodata lascia i propri beni in favore del fratello Pomponio. In base ad una convenzione, le due donne hanno inoltre depositato il proprio patri-monio ammontante a 1.400 fiorini presso il detto Silvio, con la condizione che costui avrebbe corrisposto la cifra di 600 fiorini al monastero entro quattro anni, pagando frattanto la cifra annua di 25 fiorini e due staia di grano. Avendo le monache tratto in giudizio il detto Silvio per la mancata corresponsione dei frutti del patrimonio, quest’ultimo chiede la rescissione

131 Vitellozzo Vitelli nominato cardinale il 15 marzo 1557 da Paolo IV, fu camerarius S.R.E. dal 17 novembre 1564 al 19 novembre 1568 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 36).

132 Carlo Borromeo fu nominato cardinale il 31 gennaio 1560 da Pio IV, fu Penitenziere Maggiore dal 17 novembre 1564, morì il 3 novembre 1584 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 37).

133 Variante del più attestato « Rangoni » (vedi M. ILARI, Famiglie. Località. Istituzioni… cit., p. 38).

134 Variante del più attestato « Bellanti » (vedi M. ILARI, Famiglie. Località. Istituzioni… cit., p. 38).

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dell’istrumento, considerandosi enormemente leso e svantaggiato dalla con-venzione in esso contenuta e chiede alla Sede apostolica di essere assolto dal reato di spergiuro. Il cardinale incarica l’arcidiacono della Cattedrale di Montalcino di esaminare la petizione e di deliberare in merito.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1566, aprile 2. Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.

73. 1571, maggio 24, anno VI del pontificato di Pio V

Papa Pio V riceve la petizione delle monache dette Clamidate del mona-stero di S. Francesco di Siena, dell’ordine di S. Francesco, che chiedono la ratifica dell’atto di vendita con cui hanno ceduto alcuni beni immobili a Scipione di Guido Savini, laico senese, per il prezzo di 300 fiorini. Detti beni consistono in un pezzo di terra delle dimensioni di circa cinque staia, posto nelle Masse di Siena, a Viticano 135, in luogo detto Poggiarello e un altro pezzo di terra delle stesse dimensioni con esso confinante e posto in luogo detto Befonti. La somma ricavata dalla vendita sarà utilizzata per l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II emanata l’11 maggio 1465 relativa all’alienazione dei beni ecclesiastici, il pontefice delega la ratifica all’arci- diacono della Cattedrale di Siena e al vicario dell’arcivescovo.

Dato a Roma presso San Pietro. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1571, agosto 2. Bolla pendente deperdita.

74. 1574, gennaio 15, anno II del pontificato di Gregorio XIII

Breve di papa Gregorio XIII, diretto a Galgano Pasciuti, canonico della Cattedrale di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Giulio 136, cardinale di Acquaviva. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo impresso in cera rossa.

135 Si tratta forse di Vitignano di Cerreto Ciampoli altrimenti detto a Cerreto in Val

d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., V, p. 793). 136 Giulio di Acquaviva fu nominato cardinale il 17 maggio 1570 da Pio V (G. VAN GU-

LIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 44).

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75. 1575, febbraio 25, anno III del pontificato di Gregorio XIII

Breve di papa Gregorio XIII, diretto a Ottavio Piesia, canonico della Cattedrale di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Alessandro Sforza 137. La supplica origi- nariamente acclusa al breve è oggi perduta.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo impresso in cera rossa.

76. 1582, indizione X, ottobre 29, anno XI del pontificato di Gregorio XIII

Lettera remissoria 138 inviata da Ippolito Aldobrandini 139, auditore delle cause del Palazzo apostolico, a Lepido Piccolomini e ad altre autorità eccle- siastiche della città di Siena, cui viene delegata una causa tra Rutilio Bichi, nobile senese, e il cardinale Commendone 140, commendatario del monastero di S. Galgano, riguardo al possesso di beni il cui valore è superiore ai 2000 scudi 141.

Dato a Roma presso San Pietro. Sigillo in cera rossa pendente.

77. 1588, indizione I, ottobre 10, anno IV del pontificato di Sisto V

Guido Pepulo 142, tesoriere e collettore della Reverenda Camera apostoli-ca, chiede a Ferdinando de’ Medici, granduca di Toscana, al governatore e capitano di giustizia della città di Pistoia, al suo luogotenente e ad altri giudici e ufficiali di costringere il cavaliere Bernardino Lattanzi, figlio del

137 Alessandro Sforza di Santa Fiora già vescovo di Parma fu nominato cardinale il 12 marzo 1565 da Pio IV (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 41).

138 Vedi nota 56. 139 Ippolito Aldobrandini fu Auditor Rotae, nominato cardinale il 18 dicembre 1585 da Si-

sto V divenne Penitenziere Maggiore il 12 giugno 1586, salì al soglio pontificio con il nome di Clemente VIII il 30 gennaio 1592 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 51).

140 Giovanni Francesco Commendone fu nominato cardinale il 12 marzo 1565 da Pio IV (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 41).

141 Una copia della lettera remissoria è conservata in AAS, Cause delegate 5648, n. 294, contenente l’incartamento relativo ad una lite sorta tra i figli ed eredi di Rutilio Bichi e il cardinale Commendone (cfr. p. 21).

142 Guido Pepulo fu nominato cardinale da Sisto V il 20 dicembre 1589.

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defunto vescovo di Pistoia Lattanzio Lattanzi, a pagare alla Camera apostoli-ca 150 scudi di moneta romana, come decima sui beni del defunto vescovo. La somma deve essere corrisposta tramite Annibale Sinibaldo, procuratore del vescovo Canobio 143, nuovo nunzio apostolico di Toscana e subcollettore della Camera Apostolica.

Dato a Roma. Sigillo pendente deperdito.

78. 1591, indizione IV, giugno 26 mercoledì, anno I del pontificato di Gregorio XIV

Serafino Olivario-Razalio 144, camerlengo del papa e auditore delle cause del Palazzo apostolico riceve da papa Gregorio XIV la delega ad esaminare l’appello di Emilio Ugurgieri e dei suoi fratelli, nobili senesi, riguardo ad una vertenza sorta tra i predetti e l’arcivescovo di Siena, relativa alla rescis-sione di un contratto di affitto e locazione di alcuni poderi. L’auditore invia una lettera remissoria 145 ad Antonio Cocco, abate di S. Galgano, e ad altri giudici delegati, affinché esaminino la documentazione relativa alla causa in oggetto 146.

Dato a Roma nella chiesa di Santa Maria della Pace. Sigillo pendente deperdito.

79. 1591, indizione IV, agosto 12, anno I del pontificato di Gregorio XIV

Francesco Mantica 147, camerlengo del papa, auditore delle cause del Pa-lazzo apostolico e luogotenente del defunto Marcello Bubali, auditore della

143 Giovanni Francesco Mazza di Canobio, già vescovo di Forlì, fu nunzio presso France-sco de’ Medici dall’agosto 1587, morì a Firenze nell’aprile 1589 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica… cit., III, p. 198; Dizionario biografico degli italiani, 18, Roma, 1975, p. 156).

144 Serafino Olivario-Razalio (Oliver-Razali) già patriarca di Alessandria d’Egitto e Audi-tor Rotae fu nominato cardinale il 9 giugno 1604 da Clemente VIII (P. GAUCHAT, Hierarchia Catholica... cit., IV, Padova 1967, p. 7).

145 Vedi nota 56. 146 Sulla stessa vertenza vedi docc. 79 e 80. 147 Francesco Mantica fu Auditor Rotae, nominato cardinale da Clemente VIII il 5 giugno

1596 divenne camerlengo del Sacro Collegio il 13 gennaio 1614 (P. GAUCHAT, Hierarchia Catholica... cit., IV, p. 5).

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Rota, su richiesta del procuratore di Ascanio Piccolomini, arcivescovo di Siena, e per delega di papa Gregorio XIV, invia ai giudici e commissari remissoriali una lettera di proroga, in relazione a una precedente lettera remissoria 148 inviata da Serafino Olivario-Razalio 149, decano della Sacra Rota, riguardo ad una vertenza sorta tra l’arcivescovo Ascanio Piccolomini ed Emilio Ugurgieri e i suoi fratelli, nobili senesi 150. Dato a Roma. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1591, agosto 26. Sigillo pendente deperdito.

80. 1591, indizione IV, settembre 9, anno I del pontificato di Gregorio XIV

Francesco Mantica 151, camerlengo del papa, auditore delle cause del Pa-lazzo apostolico e luogotenente del defunto Marcello Bubali, auditore della Rota, su delega di papa Gregorio XIV invia all’abate Cocco e a Bernardo Malavolti, canonico senese, un’ulteriore lettera di proroga per l’esecuzione di quanto contenuto nella lettera remissoria 152, a suo tempo inviata da Serafino Olivario-Razalio, auditore della Rota, ai predetti giudici delegati, relativamen-te ad una vertenza sorta tra Emilio Ugurgieri e i suoi fratelli, nobili senesi, e Ascanio Piccolomini, arcivescovo di Siena 153. Dato a Roma. Sigillo pendente deperdito.

81. 1591, settembre 13, anno I del pontificato di Gregorio XIV

Breve di papa Gregorio XIV, diretto a Scipione Bandini, decano della Chiesa cattedrale di Siena, su petizione di Caterina moglie di Giovanni Fabi, camerlengo del papa. Nel rispetto della forma stabilita dal Concilio di Trento e secondo quanto stabilito nel Concilio indetto da papa Bonifacio VIII, il pontefice delega l’esame dell’appello relativo ad una sentenza pronunciata dal nunzio apostolico presso Ferdinando, granduca di Toscana, contro la

148 Vedi nota 56. 149 Vedi nota 144. 150 Sulla stessa vertenza vedi docc. 78 e 80. 151 Vedi nota 147. 152 Vedi nota 56. 153 Sulla stessa vertenza vedi docc. 78 e 79.

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supplicante, in favore di Antonio Buoninsegni, canonico senese e rettore della chiesa di S. Lorenzo de Caglianuzzo, per una causa relativa al possesso di una abitazione e di altri beni. Dato a Roma presso San Marco. Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1591, ottobre 16. Sigillo impresso in cera rossa. 82. 1595, indizione VIII, maggio 6,

anno IV del pontificato di Clemente VIII

Francesco Mantica 154, camerlengo del papa e auditore delle cause del Palazzo apostolico, riceve da papa Clemente VIII la delega ad esaminare l’appello contro la sentenza di annullamento del matrimonio tra Fulvia Guidarelli da Montorgiali, nella diocesi di Sovana, e Adriano del fu Lorenzo Giuliani, cittadino senese, pronunciata in favore di quest’ultimo. L’auditore, su richiesta della donna, invia a tutte le autorità ecclesiastiche e civili della diocesi di Sovana una citazione di comparizione in giudizio nei confronti del detto Adriano, con l’obbligo di produrre tutta la documentazione in suo possesso relativa alla causa in corso. Dato a Roma. Sigillo in cera rossa pendente.

83. 1633, indizione I, agosto 3, anno X del pontificato di Urbano VIII

Marco Antonio Franciotti 155, protonotario apostolico, referendario di se-gnatura e auditore generale delle cause della Camera apostolica, a richiesta di Ippolito e Muzio Venturini di Pesaro invia una lettera compulsoria 156 alle autorità giudiziarie, affinché si solleciti il mancato pagamento di un censo dovuto ai predetti per certi beni di loro proprietà, da parte di Elisabetta Edentule, monaca del monastero di San Ludovico di Orvieto. Dato a Roma.

154 Vedi nota 147. 155 Marco Antonio Franciotti fu Referendario di Segnatura e Auditore della Camera Apo-

stolica, il 28 novembre 1633 fu creato cardinale in pectore da Urbano VIII, carica pubblicata il 30 marzo 1637 (P. GAUCHAT, Hierarchia Catholica... cit., IV, p. 24).

156 Vedi nota 117.

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84. 1707, indizione XV, maggio 31, anno VII del pontificato di Clemente XI

L’abate Antonio Maria Lombardo, vicario generale di Giacomo Falco-netti, vescovo di Grosseto, concede al chierico grossetano Giuseppe, figlio del fu Antonio Balmerini, il beneficio ecclesiastico della chiesa e plebania di Santa Caterina in Batignano e i benefici spettanti agli eredi di Giacoma, figlia del fu Pietro Giovanni da Batignano e moglie del fu Emilio Gironi. Dato a Grosseto. Sigillo pendente deperdito.

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INDICE DEI NOMI DI PERSONA E DI LUOGO *

Acquaviva Giulio di, card., 74.

Adriano VI (Adriano Florisz), 15, 16, 17.

Agazzari

- Lattanzio, 30

- Marco, 30.

Albano (RM), 29, 31.

Alberese (GR), diocesi di Sovana, 46.

Aldobrandini Ippolito, card., vedi Cle- mente VIII.

Altopascio (LU), diocesi di Volterra, 68, 69.

Ancaiano (Sovicille, SI), 41.

Andreucci Pio di Pietro Paolo, 60.

Antonio di Paolo, 4.

Arezzo, 10, 45, 51.

Bagnai Cesare, 61.

Balmerini Giuseppe, 84.

Bandini

- Francesco, vescovo, 22.

- Mariano, can., 34.

- Scipione, can., 55, 81.

Bardi Angelo, can., 54, 60.

Bartolomeo di Giovanni di Matteo, 8.

Batignano (GR), 84.

Belforte (Radicondoli, SI), 31.

Belley, diocesi di (Francia), 30.

Benzi Antonio, can., 21, 25, 29, 31, 36, 53, 61.

Belley, diocesi di (Francia), 30.

Benzi Antonio, can., 21, 25, 29, 31, 36, 53, 61.

Bernardini Catani Lucrezia, 23.

Berthelay Francesco, vescovo, 8.

Berti Girolamo, can., 27.

Bertinoro (FO), diocesi di, 5

Bichi Rutilio, 76.

Bonciano Giovanni Battista, vescovo, 6, 7, 12, 13

Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), 81.

Borghesi

- Antonio, can., 61.

- Bernardino, 29.

- Callisto, 29.

- Claudio, 29.

- Cornelio, 29.

- Girolamo, 29.

- Ottaviano, 29.

- Pandolfo, 29.

- Scipione, 29.

Borromeo Carlo, card., 72.

Branconi Giacomo, 35.

Brizi Ludovico, 15.

Bubali Marcello, 79, 80.

Bulgarini Alessandro, 51.

Buonconvento (SI), 6, 38.

Buoninsegni

- Antonio, can., 81.

——————— * I numeri che seguono i nomi di persona e di luogo corrispondono a quelli dei singoli

regesti. Nel presente indice compaiono le seguenti abbreviazioni: can. = canonico; card. =cardinale; top. = toponimo.

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Buonconvento (SI), 6, 38.

Buoninsegni

- Antonio, can., 81.

- Bernardino, 23, 39.

- Galgano, 23.

Canobio Giovanni Francesco Mazza di, vescovo, 77.

Callisto di Cristofano, 67.

Camillo di Augero, can., 14.

Campana

- Cosma, can., 64.

Campani

- Niccolò, can., 28, 32, 37, 39, 41, 44, 45, 51, 53.

Campeggi

- Lorenzo, card., 17.

- Tommaso, vescovo, 21.

Caserta, 7, 12, 13.

Castelnuovo Berardenga (SI), diocesi di Arezzo, 51.

Celli Guglielmo, 65.

Chiusdino (SI), diocesi di Volterra, 28.

Cicala Giovanni Battista, card., 22, 25, 30.

Cinughi

- Achille, 47. - Antonio Maria, chierico, 5. - Pietro Francesco, 43.

Ciochi (Ciocchi) del Monte San Savino Antonio Maria, card., 16.

Civitella (GR), diocesi di Siena, 52. Clemente VII papa (Giulio de’ Medici),

18. Clemente VIII papa (Ippolito Ildobrandi-

ni), 76, 82. Cocco Antonio, abate, 78, 80. Colombini Giovanni, 15. Commendone Giovanni Francesco, card.,

76.

Cornaro Francesco, card., 20.

Cosci Francesco, 20.

Coschine e Coscona (oggi Castelnuovo Berardenga, SI), diocesi di Siena, 4.

Costanti

- Niccolò, can., 28, 34, 46, 51, 55.

- Raffaele, 66.

Cotta Pomponio, 68, 69.

Cotoni Gaspare, can., 1.

De Gentis Oliviero, chierico, 20.

Deifobo, arcipresbitero, 68, 69.

Del Pozzo Giacomo (de Puteo) card., 40, 64.

De Scarpis Pietro Pio, 31.

De Spina Ugo, 9.

Dotti Lattanzio, 38.

Duranti Giovanni Diletto, 20.

Edentule Elisabetta, monaca, 83.

Fabi

- Caterina, 81.

- Giovanni, 81.

Falconetti Giacomo, vescovo, 84.

Farnese Ranuccio, card., 44, 45, 47, 51, 52, 54-56, 63, 65, 67, 70.

Federico da Buonconvento, can., 6.

Feliciana di Giovanni, 52.

Feltre (BL), 21.

Ferdinando I de’ Medici, granduca di Toscana, 77, 81.

Filetta (Sovicille, SI) diocesi di Siena, 11.

Fivizzano (MS), diocesi di Pontremoli, 15.

Fondi Scipione, can., 59.

Franceschi - abate, 25. - Nicola, 14.

Daniele Mazzolai 60

Franciotti Marco Antonio, card., 83.

Frontignano (SI), diocesi di Siena, 11.

Gabrielli

- Giovanni Battista, 9.

- Girolamo, 13.

Galgano di Alberto di Pasciuto, 63.

Gallipoli (LE), 33.

Giovanni Andrea di Mariano di Ventura, 35.

Giovanni Battista di Girolamo di Simo- ne, can., 18.

Giovanni di Spirito detto Giovannone, 33.

Gironi

- Emilio, 84.

- Giacoma, 84.

Giuditta da Civitella, 52.

Giuliani Adriano, 82.

Giulio II papa (Giuliano Della Rovere), 1, 2, 3, 4, 5.

Giulio III papa (Giovanni Ciocchi Del Monte), 48, 49, 50, 53.

Giunti Prospero di Pietro, 33.

Gregorio di Sebastiano di Andrea da San Gimignano, 59.

Gregorio XIII papa (Ugo Boncompagni), 74, 75.

Gregorio XIV papa (Nicolò Sfondrati), 78, 79, 80, 81.

Groppero Gaspare, 66.

Grosseto, 84.

Grosso Della Rovere

- Clemente card., 1.

- Leonardo Grosso, card., 8, 11.

Gucci Bartolomeo (o Gabriele), 55.

Guidarelli Fulvia, 82.

Guidiccioni Bartolomeo, card., 26, 27, 34, 42, 46.

Lattanzi

- Bernardino, 77.

- Lattanzio, vescovo, 77.

Lazzari Bartolomeo, can., 6, 11, 17.

Leone X papa (Giovanni de’ Medici), 6, 7, 9, 10, 12, 13.

Leonetti Elisabetta, 35.

Lombardo Antonio Maria, abate, 84.

Lorenzo di Cristofano, 67.

Lucarini Antonio, cappellano, 10.

Lucignano (AR) diocesi di Arezzo, 10, 45.

Luti Giacomo, 47.

Maccabruni Bernardino, can., 32, 38, 41, 44, 51, 54.

Malavolti Bernardo, can., 80.

Mantica Francesco, card., 79, 80, 82.

Martini Virginia, 57.

Masi Maso, 66.

Masotti

- Angelo, 41.

- Giovanni Angelo, 41.

- Pasquino, 41.

- Pietro, 41.

Massa, 66.

Masse di Siena (oggi Siena), 9, 39, 60, 67, 73.

Mende (Francia), diocesi di, 1.

Migliorini Mariano, 45.

Millopotamo (Creta), diocesi di, 8.

Minervali Gaspare, can., 51, 53, 59, 60.

Monaldi Francesco, can., 4, 7.

Monardi Francesco, chierico, 30.

Montalcino (SI), diocesi di, 32, 37, 42, 48, 49, 54, 56, 58, 66, 72.

Montani Ventura, 24.

Montefollonico (Torrita di Siena, SI), 24.

Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena

61

Montenero (Casteldelpiano, GR) diocesi di Pienza e Montalcino, 52.

Monterotondo Marittimo (GR), diocesi di Massa, 66.

Monticchiello (SI) diocesi di Pienza, 43.

Montorgiali (Scansano, GR), diocesi di Sovana, 82.

Moroni Giovanni, can., 43.

Nanni di Biagio, 55.

Niccolò Ugolino, 63.

Odescalchi Paolo, 57.

Olivario-Razalio (Oliver-Razali) Serafino, card., 78, 79, 80.

Orvieto (TR), 83.

Palamsini Cosimo, 20.

Paleotto Gabriele, card., 68, 69.

Pallagrossa Galgano, 60.

Paolo II papa (Pietro Barbo), 14, 19, 24, 28, 32, 36, 37, 38, 39, 44, 51, 54, 55, 56, 60, 61, 63, 65, 67, 70, 71, 73.

Paolo III papa (Alessandro Farnese), 21, 22, 26, 27, 34, 40, 42, 43, 46.

Paolo IV papa (Gian Pietro Carafa), 57, 58, 59, 61, 62, 71.

Papaiano (Poggibonsi, SI), 65.

Pasciuti Galgano, can., 74.

Pasquali Marco, can., 4, 7, 11, 13, 14.

Pepulo Guido, card., 77.

Pesaro, 83.

Petrucci

- Angelo, vescovo, 5.

- Dionora, 57.

- Federico, vescovo, 15, 16, 17, 33, 66.

- Raffaele, card., 16.

- Sinolfo, can., 33, 37.

Piccolomini

- Alessandro, vescovo, 32.

- Antonio Maria, 22, 25.

- Ascanio, vescovo, 79, 80.

- Giovanni, card., 20.

- Girolamo, vescovo, 16.

- Lepido, 76.

Piesia Ottavio, 75.

Pienza (SI), diocesi di., 7, 8, 15, 16, 18, 32, 43, 49, 50, 52, 54, 60.

Pietro di Mariano, 10.

Pietro Francesco, abate, 5.

Pighini Sebastiano Antonio, card., 22, 25.

Pio IV papa (Giovanni Angelo Medici), 62, 64.

Pio V papa (Antonio Ghislieri), 73.

Pistoia, 77.

Placidi Fabio, 35.

Poggio alle Mura (Montalcino, SI) diocesi di Siena, 35.

Poscio Sallustio, can., 58.

Pucci

- Antonio, card., 19, 23, 24, 28, 29, 31, 32, 33, 35, 36.

- Lorenzo, card., 14.

- Roberto, card., 37, 38, 39, 41. Pupi Federico, 38. Ranucci Ascanio, 66. Rengoni (Rangoni) Silvio, 72. Ricomanno da Venafro, 3. Salvatore di Domenico, rettore parroc-

chiale, 11. San Gimignano (SI), 59. San Giorgio Giovanni Antonio di, card.,

2.

San Salvatore a Pilli (Sovicille, SI) dio- cesi di Siena, 33.

Daniele Mazzolai 62

Santa Fiora (GR), 60, 61, 62. Sante Fiorentino, abate, 28. Sarteano (SI), diocesi di Chiusi, 55. Savini Scipione, 73. Sbargheri (Sbrighieri) Paolo, 31. Sensi Gianpaolo, can., 38. Sergardi Ludovico, 39. Sforza

- Alessandro dei conti di Santa Fiora, card., 75.

- Guido Ascanio dei conti di Santa Fiora, card., 60, 61, 62.

Siena, passim. - Camollia (terzo di), 19. - Fiera Vecchia, 36. - le Fontanelle (top.), 63. - l’horto de Ovile (top.), 39. - Loggia della Mercanzia, 19. - Piazza del Campo, 14. - Porta di San Viene, 67. - Porta Ovile, 39. - San Giovanni (popolo di), 14. - San Martino, terzo di, 47, 56.

Signorino di Paolo, 4. Simonetti Cosma, can., 26, 36, 39, 65. Simoni Giovanni Battista, 47. Sinibaldo Annibale, 77. Smiraldi Niccolò Rinino, 43. Sovana (Sorano, GR), diocesi di, 46, 82. Stellini Benedetto, 35.

Tinelli Cesare, 58. Tolomei

- Fabrizio, 56. - Giovanni, can., 1, 16, 29. - Lelio, 19.

Tommaso Brunello, can., 5.

Turamini

- Crescenzo, 40.

- Giovanni, 58.

Tuscolo (Monte Porzio Catone, RM), 2.

Ugurgieri

- Angelo, 48.

- Clemente, 65.

- Emilio, 78, 79, 80.

- Francesco, can., 31, 39.

Vellanti (Bellanti)

- Diodata, 72.

- Giolotta, 72.

- Pietro, 72.

- Pomponio, 72.

Venafro (IS), 3.

Venturi

- Alessandro, 57.

- Fabio, 57.

- Niccolò, 57.

Venturini

- Ippolito, 83.

- Muzio, 83.

Verallo Girolamo, card., 49, 50.

Vico d’Arbia (SI), 71.

Vieri

- Eufrasia, 53.

- Niccolò, 53.

Vignano (SI), diocesi di Siena, 19.

Vincenzo di Giovanni « del Teco » da Montenero, 52.

Vitelli Vitellozzo, card., 71.

Volterra (PI), 28, 41, 68, 69.

Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena

63

INDICE DEGLI ENTI *

Abbazia di S. Galgano, 76, 78.

Abbazia di S. Rabano (Alberese, GR), 46.

Chiesa di S. Lorenzo « de Caglianuzzo » (Castelnuovo Berardenga, SI), 81.

Confraternita di S. Maria (Montefolloni-co, SI), 24.

Convento agostiniano di S. Clemente dei Servi di Maria (Valdimontone, SI), 44, 54, 71.

Convento di S. Maria del Monte Carme-lo (Siena), 24.

Convento di S. Petronilla (Siena), 9, 60.

Convento francescano di S. Maria dei Servi detto delle « Mantellate » o « Clamidate » (Siena), 67, 70.

Monastero agostiniano di S. Maria Mad- dalena (Siena), 48.

Monastero agostiniano di S. Marta (Siena), 59.

Monastero benedettino di S. Lorenzo (Siena), 53.

Monastero benedettino di S. Maria « de Urano » (Bertinoro, FO), 5.

Monastero dei SS. Abbondio e Abun-danzio detto delle monache di Santa Bonda (Siena), 37.

Monastero dei SS. Filippo e Giacomo (Siena), 64.

Monastero della Concezione di S. Maria (Siena), 72.

Monastero della Concezione di S. Maria (Siena), 72.

Monastero detto della Serena nella dio- cesi di Volterra, 28.

Monastero detto di Vita Eterna (Siena), 56.

Monastero di Ognissanti (Siena), 38.

Monastero di S. Chiara (Siena), 36.

Monastero di S. Francesco (Montalcino, SI), 58.

Monastero di S. Francesco detto delle « Clamidate » (Siena), 73.

Monastero di S. Ludovico (Orvieto, TR), 83.

Monastero di S. Maria del Carmine (Siena), 61.

Monastero di S. Maria della Rosa (Siena), 23, 27.

Monastero vallombrosano di S. Michele in Poggio di San Donato (Siena), 16, 53.

Ospedale di S. Giacomo (Altopascio, LU), 68, 69.

Parrocchia di S. Andrea (Frontignano, SI), 11.

Parrocchia di S. Bartolomeo (Ancaiano, SI), 41.

Parrocchia di S. Biagio (Filetta, SI), 11. ———————

* I numeri che seguono le denominazioni degli enti corrispondono a quelli dei singoliregesti.

Daniele Mazzolai 64

Parrocchia di S. Maria Maddalena in Selsina nel contado di Siena e diocesi di Arezzo, 51.

Parrocchia di S. Maurizio (Siena), 32.

Parrocchia di S. Pietro « a Ovile » (SI), 39.

Pievania di S. Caterina (Batignano, GR), 84.

Pievania di S. Leonardo (Monticchiello, SI), 43.

Pievania di S. Maria delle Nevi nella diocesi di Siena, 43.

L’UFFICIO DEL GENIO CIVILE DI PISA E IL SUO ARCHIVIO *

SOMMARIO: 1. Istituzione degli Uffici del genio civile; 2. L’organizzazione del

territorio pisano; 3. Servizio di bonifica; 4. Servizio stradale; 5. Viabilità ferroviaria e tranviaria; 6. Assetto dell’Ufficio tra il 1889 ed i primi anni del Novecento; 7. Servi-zio idraulico; 7.1 Consorzi idraulici e Ufficio dei fiumi e fossi; 7.2. Concessioni, derivazioni d’acque pubbliche, contravvenzioni; 7.3. Servizio di piena e servizio idrografico; 8. Ufficio speciale del genio civile per la sistemazione dell’Arno e dei suoi affluenti; 9. Navigazione interna e Canale navigabile Pisa-Livorno; 10. Edifici demaniali, universitari, monumentali, di culto; 11. Servizio di vigilanza sulle opere eseguite dagli enti locali; 12. Servizio marittimo; 13. Esecuzione di opere pubbliche dello Stato; 14. Assetto dell’Ufficio tra il 1938 ed il 1946; 15. L’archivio dell’Ufficio del genio civile. APPENDICE.

1. Istituzione degli Uffici del Genio Civile. — Questo lavoro nasce dal

riordinamento dell’archivio dell’Ufficio del genio civile di Pisa e vuole essere guida e strumento di consultazione, avendo per oggetto la storia — intrecciata strettamente a quella del territorio — ed il funzionamento dell’Ufficio nel –––––––––—

* Oltre ai testi citati in nota sono stati utilizzati anche i seguenti lavori: ARCHIVIO DI STA-

TO DI FIRENZE, La Toscana dei Lorena nelle mappe dell’Archivio di Stato di Praga. Memorie ed immagini di un granducato. Catalogo e mostra documentaria. Firenze, 31 maggio - 31 luglio 1991, Roma, UCBA, 1991; D. BARSANTI, Documenti geocartografici nelle biblioteche e negli archivi privati e pubblici della Toscana. 1. Le piante dell’Ufficio dei fiumi e fossi di Pisa, Firenze, Olschki, 1987; G. BASSO - F. GARRI, Genio civile, in Novissimo digesto italiano, VII, pp. 774-780; A. BELLINI - PIETRI, Guida di Pisa con 53 illustrazioni e una pianta, Pisa, Bempo-rad, 1913; L. BORTOLOTTI, La Maremma settentrionale. 1738-1970. Storia di un territorio, Milano, Angeli, 1976; C. CACIAGLI, Rettifiche e varianti del basso corso dell’Arno in epoca storica, in « L’Universo », XLIX (1969), 1, pp. 134-162; G. CANDELORO, Storia dell’Italia moderna. V. La costruzione dello Stato unitario, Milano, Feltrinelli, 1978; B. CASINI, Inventario dell’archivio dell’Amministrazione provinciale, Pisa, Amministrazione provinciale di Pisa, 1972; M. COZZI - F. NUTI - L. ZANGHERI, Edilizia in Toscana dal Granducato allo Stato unitario, a cura di M. COZZI, Firenze, Edifir, 1992; C. CRESTI, La Toscana dei Lorena. Politica del territorio e architettura, Firenze, Banca toscana, 1987; C. CRESTI - L. ZANGHERI, Architetti e ingegneri nella Toscana dell’Ottocento, Firenze, UNIEDIT, 1978; Documenti geocartografici nelle biblioteche e negli archivi privati e pubblici della Toscana. 2. I fondi cartografici dell’Ar- chivio di Stato di Firenze. I - Miscellanea di piante, a cura di L. ROMBAI, D. TOCCAFONDI, C.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Rosalia Amico 66

periodo che va dalla sua istituzione nel 1861 al primo quarantennio circa del Novecento 1. Una storia che all’inizio si presentava incerta e lacunosa poiché VIVOLI, Firenze, Olschki, 1987; P. FERRARI, Le infrastrutture di trasporto della Toscana occidentale, Pisa, ETS, 1995; F. GARRI, Lavori pubblici, in Enciclopedia del diritto, XXIII, pp. 307-326; G. GIORGINI, Relazione sullo stato del bonificamento delle Maremme toscane nel luglio del 1863, a S.E. il ministro dell’Agricoltura industria e commercio, del comm. Gaetano Giorgini, Firenze, Bettini, 1863; F. GIUNTINI, Leopoldo e il treno. Le ferrovie nel Granducato di Toscana (1824-1861), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1991; Imago et descriptio Tusciae. La Toscana nella geocartografia dal XV al XIX secolo, a cura di L. ROMBAI, Firenze, Giunta regionale toscana, 1993; Immagini di una provincia. Economia, società e vita quotidiana nel pisano tra l’Ottocento e il Novecento, a cura di G. MENICHETTI, Tirrenia (Pisa), Del Cerro, 1993; A. MELIS - G. MELIS, Architettura pisana dal Granducato lorenese all’Unità d’Italia, Pisa, ETS, 1996; La Pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. MAZZANTI, Roma, Società geografica italiana, 1994; E. NATONI, Le piene dell’Arno e i provve-dimenti di difesa, Firenze, Le Monnier, 1944; R. NIERI, Amministrazione e politica a Pisa nell’età della destra storica, Milano, Giuffrè, 1971; L. NUTI, Pisa, progetto e città (1814-1865), Pisa, Pacini, 1986; MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, UFFICIO SPECIALE PER LE FERROVIE, Le concessioni di Ferrovie all’industria privata. Relazione presentata dal Ministro on. Gianturco alla Camera dei Deputati nella seduta 9 febbraio 1907, I, Parte generale, Roma, Cooperativa tipografica Manuzio, 1907; Mostra storica dell’unificazione amministrativa italiana. 1865-1965. Guida alla mostra, Firenze - Palazzo Pitti, 10 ottobre-30 novembre 1965, Firenze, Tipografia nazionale, 1965; Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione Firenze, 10-12 ottobre 1965; Le opere pubbliche, 1. I lavori pubblici, a cura di A. M. SANDULLI, Vicenza, Pozza, 1967; G. PANSINI, L’inserimento della Toscana nello Stato unitario, in La Toscana nell’Italia unita. Aspetti e momenti di storia toscana. 1861-1945, Firenze, Unione regionale delle province toscane, 1962, pp. 15-57; Pisa, a cura di C. CACIAGLI, Pisa, Cursi, 1970 e 1973; R. ROMANELLI, Centralismo e autonomie, in Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, a cura di R. ROMANELLI, Roma, Donzelli, 1995, pp. 125-186; Statistica della Provincia di Pisa. 1863, [a cura di L. TORELLI], Pisa, Nistri, 1863; R. SANTORO, La costruzione del Ministero dei lavori pubblici nelle carte del Genio civile di Roma, in « Rassegna degli Archivi di Stato », (XLVII) 1987, 1, pp. 103-122; A. SERPIERI, La legge sulla bonifica integrale nel primo anno di applicazione. Prefazione di G. ACERBO, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1931; E. SIGHIERI, Fiumi. Navigazione Interna. Bonifiche, Pisa, Successori Nistri, 1914; D. STERPOS, Le strade di grande comunicazione della Toscana verso il 1790, Firenze, Sansoni, 1977; E. TOLAINI, Forma Pisarum. Storia urbanistica della città di Pisa, problemi e ricerche, Pisa, Nistri-Lischi, 1979; E. TOLAINI, Pisa, Roma-Bari, Laterza, 1992; A. ZAGLI, Il lago e la Comunità. Storia di Bientina, un « castello » di pescatori nella Toscana moderna. Firenze, Polistampa, 2001.

Le foto a corredo dell’articolo sono state eseguite presso l’Archivio di Stato di Pisa da Giuseppe Maltana.

1 L’archivio dell’Ufficio del genio civile di Pisa è conservato presso l’Archivio di Stato di Pisa dove è giunto in due distinti versamenti, uno, di pochi pezzi archivistici, effettuato nel 1957, l’altro, comprendente la quasi totalità del fondo, effettuato nel 1986. Sull’assetto dell’archivio dell’Ufficio del genio civile di Pisa ci si soffermerà più diffusamente in un’altra parte di questo lavoro. Occorre precisare che, a seguito del riordinamento operato presso l’Archivio di Stato, il fondo ha ricevuto una numerazione « aperta » per serie, ciò al fine di consentire in futuro una più facile collocazione all’interno di queste della documentazione appartenente all’archivio e tuttora in possesso degli uffici che del Genio civile hanno ereditato le competenze. Nelle citazioni dei documenti, oltre che al numero delle unità archivistiche, si farà perciò sempre riferimento alle serie e, dove possibile, anche al numero dei fascicoli. Occorre inoltre accennare al fatto che i

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 67

nell’archivio pervenutoci i documenti precedenti il 1886 risultavano esigui e frammentari. Nel 1861 confluirono nel Corpo reale del genio civile, che assunse il titolo di Corpo reale del Genio civile del Regno d’Italia, il Corpo degli ingegneri d’acque e strade delle province toscane e quelli degli ingegne-ri di ponti e strade delle province napoletane e siciliane 2. Fu con il provvedi-mento del 1861 che il Genio civile, nato come organismo tecnico di uno stato regionale, assunse ormai rilevanza nazionale. Il Corpo era stato istituito da Vittorio Emanuele I re di Sardegna nel 1816 3. In quell’anno infatti, al fine di provvedere ai lavori pubblici di pace e di ottenere un miglioramento del sistema delle comunicazioni fra le diverse Province del regno « tanto per acqua che per terra » 4, venne aggiunta al Corpo del genio militare una classe di ingegneri civili. Con successivo provvedimento venne disposto che un certo numero di ufficiali del Genio civile venisse comandato nelle diverse Province dello Stato « per farvi il servizio de’ Ponti, Strade, Acque e Selve » 5. Nel 1859, con legge del 20 novembre di quell’anno, il Corpo fu posto alle dipen-denze del Ministero dei lavori pubblici. La stessa legge fissò le competenze del Ministero in materia di opere pubbliche 6. Estesa solo in parte, dopo il 1861, all’intero territorio nazionale 7 la legge servì di base a quella fondamen-tale sui lavori pubblici, emanata il 20 marzo 1865 nel quadro delle leggi per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia 8. Secondo quest’ultime al documenti precedenti al 1886 furono collocati a parte, in seguito ad uno dei riordinamenti operati dallo stesso Ufficio del genio civile, e costituirono l’« archivio vecchio » dell’Ufficio. I documen-ti successivi al 1886 o ad essi strettamente correlati furono conservati in un’altra parte dell’archivio che è ripartita in quarantaquattro classi secondo un titolario di classificazione degli atti che si riporterà oltre.

2 R. d. 25 lug. 1861, n. 148. 3 Regia patente del 19 mar. 1816, in Raccolta di regii editti, proclami, manifesti ed altri

provvedimenti di magistrati ed uffizi, Torino, Darico e Picco, 1816, V, pp. 131-133. 4 Ibidem. 5 « Determinazioni di S. M. relative all’organizzazione del Corpo Reale del Genio », 1°

maggio 1816, art. 27, in Raccolta degli atti del governo di S. M. il re di Sardegna dall’anno 1814 a tutto il 1832, Torino, Ferrero-Vertamy e comp., III, 1843, pp. 638-653.

6 L. 20 nov. 1859, n. 3754, in Raccolta delle leggi, regolamenti e decreti. I. Dal giugno a tutto dicembre 1859, Milano, Vallardi, 1860, pp. 786-847. La legge attribuì al Ministero dei lavori pubblici competenze in materia di strade, acque pubbliche, canali demaniali, bonifiche, costruzione e manutenzione di porti spiagge e fari, conservazione di pubblici monumenti d’arte, ampliamento, miglioramento, manutenzione di edifici pubblici. Nel 1860 le competenze relative alle bonifiche passarono al Ministero dell’agricoltura, industria e commercio, allora istituito (r. d. 5 lug. 1860, n. 4192).

7 Il 25 agosto 1863 venne annunciata la promulgazione in tutte le Province del Regno della legge 20 nov. 1859, n. 3754 (l. 25 ago. 1863, n. 1440, art. 5). Qualche mese dopo però venne ordinata la non estensibilità di molti articoli della stessa legge alle province napoletane, siciliane, dell’Emilia, delle Marche, dell’Umbria, della Toscana (r. d. 21 ott. 1863, n. 1524).

8 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F. Le principali attribuzioni derivanti in generale agli Uffi-ci del genio civile dalla legge verranno illustrate volta per volta nelle varie parti di questo lavoro.

Rosalia Amico 68

Ministero dei lavori pubblici fu attribuita competenza in materia di strade (comprese le ferrate), acque pubbliche, costruzione e manutenzione di porti, spiagge e fari, conservazione di pubblici monumenti d’arte (per la parte tecnica), edifici pubblici (esclusi quelli dipendenti dalle amministrazioni della guerra e della marina e quelli che pur appartenendo al patrimonio dello Stato non servivano ad uso pubblico) telegrafi (stabilimento, manutenzione ed esercizio). Allo stesso ministero venne inoltre demandata l’approvazione di tutti i progetti riguardanti le opere pubbliche. Il nuovo ordinamento sulle opere pubbliche fissò poi le attribuzioni dello Stato, delle Province 9, dei Comuni e confermò il ruolo del Genio civile quale organo preposto ai lavori di competenza dello Stato 10. Per disciplinarne l’attività nel 1863 era intanto stato emanato un regolamento organico 11. Le norme regolamentari previdero che il servizio spettante al Genio civile in materia di opere pubbliche potesse essere svolto da uffici generali e speciali. Al servizio generale dovevano provvedere uffici centrali stabiliti in ogni città capoluogo di provincia; al servizio speciale « uffici appositamente istituiti a seconda dei bisogni » 12. Si trattava cioè di uffici creati per l’assolvimento di compiti particolari. A dirigere gli uffici generali erano gli ingegneri capo ed il regolamento ne fissava attribuzioni e doveri 13. La direzione degli uffici speciali poteva essere

Alcuni articoli della legge furono modificati con provvedimenti successivi. Ricordiamo in particolare la l. 30 mar. 1893, n. 170, che istituì una nuova categoria di opere idrauliche, e la l. 15 giu. 1893, n. 294, il cui art. 2 sostituì gli artt. 322, 362, 363 (riguardanti la gestione ammini-strativa ed economica dei lavori pubblici) e demandò agli ispettori del genio civile l’approva- zione tecnica (prima riservata interamente al Ministero) dei progetti il cui importo non superasse le 25.000 lire.

9 Le Province che già non li avessero dovevano istituire propri uffici tecnici per disimpe-gnare il servizio delle opere pubbliche di pertinenza provinciale.

10 « Per l’esercizio delle attribuzioni riflettenti le opere pubbliche, il Ministero dei lavori pubblici ha nella propria dipendenza il Corpo reale del Genio civile » (l. 20 nov. 1859, n. 3754, titolo VII, art. 322. Questa disposizione del titolo VII fu mantenuta in vigore dall’art. 366 della legge del 20 mar. 1865, n. 2248, all. F).

11 R.d. 13 dic. 1863, n. 1599. Il regolamento fu sostituito nel 1889 (r.d. 3 mar. 1889, n. 5997). Nuovi regolamenti furono emanati nel 1893 (r.d. 1° ago. 1893, n. 633) e nel 1894 (r.d. 13 dic. 1894, n. 568). Quest’ultimo restò in vigore fino al 1931 quando fu sostituito con il r.d. 2 mar. 1931, n. 287.

12 Ibid., art. 1. 13 Le principali attribuzioni degli ingegneri capo erano: esercitare un’attiva vigilanza sul

servizio affidato agli impiegati posti alle loro dipendenze; prendere l’iniziativa per ogni provve-dimento riguardante lo sviluppo delle comunicazioni, la stabilità degli edifici, la sicurezza del transito lungo le strade, il perfezionamento di ogni lavoro interessante direttamente lo Stato; dirigere lo studio dei progetti; dare pareri — su richiesta delle autorità competenti — tanto su domande di concessione avanzate da privati quanto su questioni insorte tra questi e le pubbliche amministrazioni in merito alla polizia delle strade e delle acque; intervenire agli incanti ed alle stipulazioni dei contratti (cui si procedeva negli uffici di Prefettura) per opere da eseguirsi nell’interesse dello Stato; dare pareri tecnici ai prefetti sul merito di progetti relativi a lavori

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affidata sia ad ingegneri capo sia ad ispettori, istituiti nel giugno del 1863 con il regolamento per il Consiglio superiore dei lavori pubblici e per le ispezioni del genio civile 14. Con questo provvedimento agli ispettori, membri del Consiglio superiore dei lavori pubblici, venne in particolare demandata l’alta sorveglianza sui servizi affidati agli Uffici del genio civile. A tale scopo vennero creati dieci Circoli d’ispezione, competenti ognuno su un determinato numero di province 15. Gli ispettori esercitavano le loro attribuzioni non soltanto visitando gli Uffici e verificando che il servizio vi si svolgesse in maniera regolare ma anche dando istruzioni sui principi tecnici da porre alla base dei nuovi progetti. Avevano inoltre la facoltà di prescrivere variazioni e miglioramenti sui progetti già predisposti.

2. L’organizzazione del territorio pisano. — La possibilità di articolare

il servizio del Genio civile in uffici generali e in uffici speciali venne a consolidare in provincia di Pisa un assetto organizzativo che contava ormai alcuni decenni e che era il frutto delle vicende istituzionali dell’organismo che in Toscana, fino al 1861, era stato preposto ai lavori pubblici, cioè il Corpo degli ingegneri d’acque e strade, istituito nel 1825 dal governo granducale per provvedere sia alle operazioni connesse all’attivazione del catasto toscano sia a quelle riguardanti la progettazione e direzione dei lavori di acque e strade, da eseguirsi per conto dello Stato o a carico delle Comunità 16. La struttura organizzativa del Corpo degli ingegneri d’acque e strade al momento della sua riunione al Genio civile era caratterizzata infatti nel territorio pisano dalla presenza di due distinti uffici: il Servizio generale, avente competenza sui lavori stradali, e l’Ispezione idraulica, preposta esclusivamente ai lavori idraulici del compartimento. Questi due uffici erano diretti da due ingegneri in capo di pari grado. Essi avevano alle loro dipendenze gli ingegneri dei tre distretti in cui era stato diviso il compartimento pisano nel 1849 in base alla riforma del Corpo degli ingegneri ordinata in quell’anno 17. Per il regolamento d’interesse provinciale o comunale; fornire alle Prefetture notizie e chiarimenti su tutti gli affari tecnici interessanti pubbliche amministrazioni o aventi relazione con l’ordine pubblico.

14 R.d. 6 giu. 1863, n. 1320. Il Consiglio superiore era l’organo consultivo del Ministero dei lavori pubblici. Secondo l’importanza degli affari sui quali era chiamato a dare il voto poteva deliberare collettivamente (Consiglio generale) o per sezioni. Le sezioni avevano competenze diverse basate sui diversi rami del servizio dipendente dal Ministero dei lavori pubblici.

15 La competenza sulle province di Livorno, Pisa, Lucca, Firenze, Siena, Grosseto, Arezzo, e Perugia venne affidata al quinto Circolo d’ispezione. Le circoscrizioni territoriali dei vari circoli subirono in seguito numerose variazioni.

16 Bandi e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana (d’ora in poi Bandi e ordini), cod. XXXII, Firenze 1825, n. LXXXIII. Per le attribuzioni e le vicende del Corpo degli ingegne-ri del compartimento pisano si veda R. AMICO, L’archivio del Corpo degli ingegneri d’acque e strade del compartimento di Pisa, in « Rassegna degli Archivi di Stato », LV (1995), 1, pp. 9-32.

17 Proclami, decreti, notificazioni e circolari da osservarsi nel Granducato di Toscana... cit., LVII, Firenze 1849, n. CCLII.

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di riforma il territorio del Granducato era stato diviso in sette compartimenti. Il compartimento di Pisa comprendeva anche la città di Livorno con i territori circostanti e l’isola d’Elba. Il territorio di ciascun compartimento era poi stato ulteriormente diviso in distretti. Il compartimento pisano era costituito dai tre distretti di Pisa, Piombino e Volterra. Al territorio di ciascun distretto era preposto un ingegnere distrettuale. Gli ingegneri distrettuali risiedevano nei capoluoghi di distretto. La riforma aveva in parte modificato le competenze degli ingegneri in capo. Restò loro principalmente affidato il servizio relativo alle strade regie mentre quello inerente le strade provinciali passò agli inge-gneri distrettuali ai quali fu attribuito anche l’incarico di redigere le perizie e dirigere i lavori relativi a più comuni riuniti in consorzio. Essi dovevano inoltre attendere al servizio connesso ai corsi d’acqua che nel 1828 erano stati dichiarati di seconda categoria in base al regolamento generale dell’am- ministrazione dei fiumi e fossi della provincia pisana emanato in quell’anno 18. Il servizio relativo ai corsi d’acqua dichiarati di prima classe e quello riguar-dante l’Arno, il Serchio ed i canali più importanti del territorio pisano (canali navigabili da Pisa a Livorno e da Pisa a Ripafratta), erano invece affidati direttamente all’Ufficio dell’ingegnere in capo preposto al servizio idraulico 19. Il passaggio nel Corpo del genio civile degli organismi tecnici preposti ai lavori pubblici nel territorio pisano fu caratterizzato dunque per alcuni anni, da una sostanziale continuità. I due ingegneri Evangelista Lombard e Lamber-to Mei, a capo nel 1861 rispettivamente del Servizio generale e di quello speciale idraulico, furono mantenuti nei loro incarichi e nelle loro specifiche

18 Motuproprio del 30 nov. 1828, in Bandi e ordini... cit., cod. XXXV, Firenze 1828, n. LXV. Il motuproprio aveva stabilito una ripartizione in tre classi dei corsi d’acqua del territorio pisano. Nella prima classe erano compresi quei corsi d’acqua che « (...) servendo di recipiente ad un numero considerabile di scoli... » (art. 2) formavano un sistema richiedeva un coordinamento perfetto negli interventi e quei corsi d’acqua la cui importanza era tale da poter influire sul benessere di gran parte della provincia. Nella seconda classe dovevano essere compresi i corsi d’acqua di una certa importanza ma tali tuttavia da richiedere un’assistenza inferiore a quella necessaria per i corsi d’acqua iscritti nella prima classe. Nella terza classe erano compresi i rimanenti corsi d’acqua d’importanza puramente locale o che interessavano porzioni assai limitate della provincia. Il motuproprio contiene anche l’elenco generale dei corsi d’acqua iscritti nelle varie categorie.

19 Il servizio riguardante l’Arno, il Serchio e i canali più importanti del territorio pisano fu attribuito all’ingegnere ispettore (poi in capo) del Compartimento fin dal momento dell’istitu- zione del Corpo degli ingegneri (Bandi e ordini... cit., cod. XXXII, Firenze 1825, n. LXXXIII. Con l’istituzione dell’Ispezione idraulica del compartimento pisano, avvenuta nel 1840 (ARCHI-VIO DI STATO DI PISA, d’ora in poi ASPI, Camera di Soprintendenza comunitativa, filza 786, affare 91, Motuproprio del 26 settembre 1840) l’ingegnere ispettore ad essa preposto subentrò all’ingegnere specialmente addetto alla Deputazione generale dei fiumi e fossi della provincia pisana nelle competenze riguardanti i corsi d’acqua amministrati dalla Deputazione e iscritti nella prima classe in base al motuproprio del 30 novembre 1828, Bandi e ordini... cit., cod. XXXV, Firenze 1828, n. LXV. Si veda anche la relazione dell’ingegnere capo L. Mei del 24 marzo 1862, diretta al Ministero dei lavori pubblici (ASPI, Ufficio Genio Civile, d’ora in poi UGC, Archivio vecchio, « Affari diversi » 86, b. 12, fasc. 2).

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attribuzioni, così come continuarono ad operare gli ingegneri dei tre distretti di Pisa, Piombino e Volterra. Tra le incombenze dell’ingegnere in capo addetto al servizio generale del compartimento pisano non vi erano quelle relative agli edifici civili a carico dello Stato che dal 1849, soppresso lo Scrittoio delle reali fabbriche, erano stati affidati agli architetti della Sezione delle fabbriche civili, anch’essi dipendenti dalla Direzione generale delle acque e strade. Gli architetti di questa Sezione avevano sede a Firenze, Lucca, Livorno e Siena. Dal 1850 al 1852 i lavori vennero loro affidati secondo « la distribuzione fattane dal Direttore Generale » del dipartimento d’acque e strade 20. Dal 1853 in poi il servizio relativo ai fabbricati civili della città di Pisa fu affidato agli architetti risiedenti a Lucca 21. Tale situazione durò almeno fino al 1860 22 anno in cui il governo della Toscana soppresse la Sezione delle fabbriche civili e istituì un ufficio indipendente denominato Direzione generale dei lavori delle fabbriche civili. Nel novembre del 1862 anche quest’ufficio fu soppresso 23. Le sue competenze tecniche passarono ad un Ufficio speciale del Genio civile per il servizio dei fabbricati civili e demaniali istituito a Firenze 24. Questo esercitava le sue attribuzioni sul territorio toscano servendosi di uffici distaccati in varie sedi tra cui Lucca, che si occupava anche dei fabbricati civili della città di Pisa 25. Questa situa-zione perdurò fino al 25 luglio del 1863 quando il Ministero dei lavori pub-blici, per semplificare il servizio ed ottenere un’economia di spese, decise di affidare il servizio relativo ai fabbricati demaniali ai vari uffici provinciali del Genio civile 26. Nell’ambito di questo provvedimento venne aggregato all’Ufficio del genio civile di Pisa per il servizio generale il personale dell’Ufficio pei fabbricati civili e demaniali di Livorno, il quale, continuando a prestare servizio nella stessa sede, si sarebbe dovuto occupare unicamente degli edifici della località di residenza. A Livorno, fin dal 1862, era stato inoltre istituito un Ufficio speciale per il servizio dei porti spiagge e fari delle province toscane, diretto da un ingegnere capo del Genio civile, ufficio dal quale fino al 1932 dipesero anche i lavori inerenti al servizio marittimo del

20 Almanacco toscano per l’anno 1850, Firenze, Stamperia granducale, 1850, p. 475. 21 Almanacco toscano per l’anno 1853, Firenze, Stamperia granducale, 1853, p. 522. 22 D. 19 gen. 1860, in Atti del r. governo della Toscana dal primo gennajo al 25 marzo

1860..., Firenze 1860, n. XXXVII. 23 R.d. 23 nov. 1862, n. 1014. 24 R.d. 28 dic. 1862, n. 1079. 25 Si veda la relazione dell’architetto Pistoi, dipendente dall’Ufficio speciale di Firenze e

distaccato a Lucca « per i due circondarj Lucca e Pisa... », ASPI, Prefettura, b. n. 943, affare n. 285, relazione del 5 dicembre 1863 allegata al progetto di stessa data. Le perizie redatte per i fabbricati civili e demaniali di Pisa negli anni dal 1861 al 1863 sono in parte conservate nell’archivio della Prefettura cui erano affidati gli adempimenti relativi agli appalti.

26 ASPI, Prefettura, b. 717, affare 960, lettera del 25 luglio 1863.

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territorio pisano 27. A metà circa del 1863 dipendevano quindi dall’ingegnere capo per il servizio generale tre uffici distaccati: quello per i fabbricati civili e demaniali di Livorno e quelli degli ex ingegneri distrettuali di Piombino e Volterra. Questi ultimi ed in particolare l’ingegnere residente a Piombino (le attribuzioni dell’ingegnere distaccato a Volterra si riferivano infatti essenzial-mente ai fabbricati demaniali ed al servizio stradale), erano sottoposti ad una duplice dipendenza. Nel servizio stradale e in quello relativo agli edifici consorziali dipendevano dall’ingegnere preposto al Servizio generale mentre in relazione al servizio idraulico dipendevano dall’ingegnere preposto all’Uffi- cio speciale idraulico 28. Nel 1862 questa duplice dipendenza appariva all’in- gegnere capo Mei come non compatibile con un pronto e regolare svolgimen-to del servizio. In una relazione diretta al Ministero dei lavori pubblici Mei auspicava che il personale del Servizio idraulico fosse separato da quello del Servizio generale. Lo consigliavano le particolari condizioni della pianura pisana traversata da due grandi fiumi, l’Arno e il Serchio, da importanti canali navigabili e da numerosi corsi d’acqua, condizioni che avevano reclamato sempre « la suprema attenzione del governo » 29. Ad un potenziamento del suo ufficio mirava anche l’ingegnere Lombard a capo del Servizio generale. Nel 1863 egli propose al Ministero dei lavori pubblici la soppressione dell’ufficio distaccato di Piombino ed il richiamo all’Ufficio centrale di Pisa dell’inge- gnere ivi residente. Lombard sosteneva che il servizio idraulico del territorio piombinese era di poca importanza e vi si poteva supplire mandando sul luogo in determinati periodi dell’anno un ingegnere aiutante o un misu-

27 R.d. 1° giu. 1862, n. 676. Presentando il decreto d’istituzione dell’Ufficio tecnico di Li-vorno per il servizio dei porti spiagge e fari delle Province toscane il Ministero dei lavori pubblici giustificò la decisione di attribuire ad un Ufficio speciale l’intero servizio marittimo della Toscana affermando che i lavori che riguardavano gli altri porti del litorale toscano erano di lieve importanza e che quindi l’Ufficio speciale di Livorno avrebbe potuto provvedervi con proprio personale temporaneamente distaccato sui luoghi. Si veda « Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1862 ed altre anteriori », XLI (1862), 2, pp. 1889-1891. Il nuovo Ufficio tecnico subentrò ai diversi uffici tecnici ed amministrativi che fino ad allora avevano avuto ingerenza nei lavori relativi al nuovo porto di Livorno e agli architetti dipendenti dalla Direzione generale dei lavori delle fabbriche civili, competenti in precedenza sul servizio relativo agli altri porti del litorale toscano. Dopo l’attribuzione agli Uffici del genio civile del servizio delle opere pubbliche di conto dello Stato (l. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F) l’Ufficio speciale di Livorno si configurerà come Ufficio del genio civile (si veda anche la circolare del Ministero dei lavori pubblici, divisione VI, del 6 aprile 1866, in « Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1866 ed altre anteriori », XLV, 1866, 1, pp. 105-106, ordinante il passaggio all’Amministrazione dello Stato, e per essa agli uffici di Prefettura e agli uffici tecnici governativi, ovvero Uffici del genio civile, del servizio relativo ai porti di prima, seconda e terza classe).

28 La duplice dipendenza degli ingegneri distrettuali derivava da una circolare emanata il 25 giugno 1850 dalla Direzione generale dei lavori d’acque e strade e fabbriche civili (ASPI, Corpo degli ingegneri d’acque e strade, b. 1).

29 ASPI, UGC, Archivio vecchio, « Affari diversi » 86, b. 12, fasc. 2.

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ratore 30. Non fu dello stesso parere l’ingegnere Mei. Egli riteneva importante, soprattutto dopo le disastrose e recenti alluvioni che si erano verificate anche nell’isola d’Elba, che la sorveglianza ed il servizio relativo ai corsi d’acqua del piombinese e a quelli dell’Elba fossero affidati ad un ingegnere residente in prossimità di quei luoghi. Si oppose quindi al richiamo a Pisa dell’inge- gnere distaccato a Piombino 31. In un primo tempo il Ministero dei lavori pubblici accolse il parere dell’ingegnere Mei ma perdurando l’insistenza dell’ingegnere Lombard e valutando il risparmio di spese che la soppressione dell’ufficio di Piombino avrebbe comportato decise, nell’aprile del 1864, di richiamare a Pisa l’ingegnere distrettuale Piccioli, destinandolo esclusivamente al Servizio generale 32. Il servizio idraulico dei territori di Campiglia, Piombi-no e Suvereto e dell’isola d’Elba fu affidato all’Ufficio speciale idraulico di Pisa che avrebbe dovuto provvedervi col proprio personale 33. Nei primi mesi del 1864 morì l’ingegnere Lombard. Dopo alcuni mesi di reggenza, affidata all’ingegnere Ernesto Cerreti, a dirigere il Servizio generale del Genio civile di Pisa fu chiamato, nel maggio del 1864, l’ingegnere Gaetano Niccoli trasfe-rito dall’Ufficio di Grosseto 34. Verso la fine del 1864 gli ingegneri Niccoli e Mei avanzarono al Ministero dei lavori pubblici delle proposte per l’arti- colazione interna degli uffici da essi diretti. Il regolamento del 1863 per il Corpo del genio civile aveva infatti prescritto la divisione in sezioni degli uffici generali e speciali. La proposta dell’ingegnere capo del Servizio genera-le fu approvata dal Ministero dei lavori pubblici nel settembre del 1864 35. Anche la proposta dell’ingegnere preposto all’Ufficio speciale idraulico fu

30 ASPI, Prefettura, b. 774, affare n. 461, lettera del 4 settembre 1863. 31 Ibid., lettera del prefetto del 9 settembre 1863 diretta al Ministero dei lavori pubblici.

L’ingegnere del distretto di Piombino condivideva con un assistente, dipendente dalla Direzione idraulica del bonificamento delle Maremme, il servizio idraulico relativo al territorio del distretto, servizio che era regolato da specifiche disposizioni emanate il 30 aprile 1836 (ASPI, Camera di soprintendenza comunitativa, filza 574, affare 34), il 16 settembre 1839 (ASPI, Prefettura, filza 66, affare 1601) e l’8 novembre 1850 (ibidem).

32 ASPI, Prefettura, b. 774, affare 461, lettere del Ministero dei lavori pubblici del 5 e 20 aprile 1864.

33 ASPI, Prefettura, b. 775, affare 1205, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 6 ot-tobre 1864.

34 La consegna del servizio fu accompagnata dalla consegna dell’archivio del servizio ge-nerale. Al verbale di consegna è allegato un inventario che ci permette di conoscere la consisten-za di un archivio andato in gran parte disperso e che allora era costituito principalmente dai documenti del Corpo degli ingegneri d’acque e strade del compartimento pisano (ASPI, Prefettu-ra, b. 775, affare 837, inventario allegato al verbale di consegna del servizio del 12 giugno 1863).

35 ASPI, Prefettura, b. 775, affare 1110, lettera del Ministero dei lavori pubblici dell’11 settembre 1864. Non conosciamo esattamente il numero delle sezioni proposto dal Niccoli. Doveva comunque essere superiore a due perché il Ministero osservò che avrebbe preferito una ripartizione dei servizi basata soltanto su due sezioni. Due erano infatti i circondari della provincia di Pisa in base al nuovo ordinamento amministrativo, cioè Pisa e Volterra.

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approvata dal Ministero 36. Non poté però essere realizzata fino al maggio del 1865 perché l’Ufficio non aveva ingegneri in numero sufficiente a dirigere le tre sezioni proposte dall’ingegnere Mei 37. Col richiamo a Pisa dell’ingegnere di Piombino era cessata la deprecata duplice dipendenza degli ingegneri già distrettuali. Scrivendo al Ministero dei lavori pubblici nell’ottobre del 1864 l’ingegnere Mei lamentava l’insufficienza del personale dipendente dall’Uffi- cio speciale da lui diretto, al quale era rimasto interamente affidato un servi-zio che fino ad allora era stato svolto con l’ausilio degli ingegneri distrettuali. Questi infatti, posti alle dipendenze dell’Ufficio centrale di Pisa, erano stati del tutto sollevati dal servizio idraulico 38. Nel maggio del 1865 l’Ufficio speciale ebbe i tre ingegneri che avrebbero dovuto dirigerne le sezioni ma qualche mese dopo cessò di esistere. Il Ministero dei lavori pubblici, con un decreto del luglio dello stesso anno, ravvisando la necessità di giungere ad un riordinamento del servizio tecnico della provincia di Pisa, decise infatti di sopprimere l’Ufficio speciale idraulico 39. All’ormai unico Ufficio centrale venne affidato l’intero servizio di acque e strade e fabbricati demaniali della provincia. Alla direzione fu preposto l’ingegnere capo Gaetano Niccoli, mentre l’ingegnere Lamberto Mei venne contemporaneamente collocato a riposo 40. Poco dopo Niccoli ricevette la consegna del servizio e dell’archivio del Servizio speciale idraulico 41. In base al decreto ministeriale di soppressio-ne dell’Ufficio speciale idraulico l’ingegnere Niccoli avrebbe dovuto provve-dere ad una nuova ripartizione interna dei servizi. Egli preferì però attendere che fossero chiari gli effetti determinati dalla nuova legge sui lavori pubbli-ci 42. Il nuovo ordinamento delle opere pubbliche ebbe conseguenze importanti sia in materia di competenze dell’Ufficio del genio civile di Pisa, sia nei riguardi del suo archivio. La legge del 1865 dettò infatti le norme per la classificazione delle strade distinguendole in nazionali, provinciali, comunali e vicinali 43. Allo Stato e quindi agli Uffici del genio civile spettava la costru-

36 Nel documento l’ingegnere Mei tracciava la storia dell’Ufficio da lui diretto, indicando anche al Ministero le norme particolari che avevano fino ad allora regolato il servizio idraulico del compartimento pisano (ASPI, UGC, classe XVI, b. 1, fasc. 1, « Progetto e quadro di divisio-ne in Sezioni del Servizio speciale idraulico... », 11 ottobre 1864).

37 ASPI, Prefettura, b. 835, affare 631, lettera del 19 maggio 1865 inviata al prefetto dall’ingegnere Mei e lettera del Ministero dei lavori pubblici del 23 novembre 1864 e b. 775, affare 1110, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 23 novembre 1864.

38 ASPI, Prefettura, b. 775, affare 1110, relazione dell’ingegnere Mei del 12 ottobre 1864. 39 ASPI, Prefettura, b. 835, affare 827, decreto del 7 luglio 1865. 40 Ibid., lettera del Ministero dei lavori pubblici del 7 luglio 1865. 41 Ibid., verbale di consegna del 14 agosto 1864. Furono allegati al verbale gli inventari

dell’archivio dell’Ufficio speciale idraulico che comprendeva documenti relativi all’attività svolta dal 1825 in poi.

42 L. 20 mar. 1865, n. 2248, allegato F. 43 Erano strade nazionali: a) le grandi linee stradali congiungenti direttamente « parecchie

delle città primarie del regno, o queste coi più vicini porti commerciali di prima classe » (art.

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zione ed il mantenimento delle strade nazionali mentre la costruzione, siste-mazione e conservazione delle strade provinciali passava alle Province che avrebbero dovuto provvedervi con i propri uffici tecnici. Nei primi tre anni d’attuazione della legge il personale occorrente alle Province per l’istituzione degli uffici tecnici avrebbe potuto essere scelto fra quello del Genio civile. Proprio all’ingegnere capo Niccoli toccò alla fine del 1865 di andare a dirige-re il nuovo Ufficio tecnico della Provincia di Pisa 44. Un primo elenco di strade nazionali fu pubblicato nel novembre del 1865 45. Non vi fu compresa alcuna delle strade scorrenti in provincia di Pisa. Cessarono così le ingerenze dell’Ufficio del genio civile di Pisa in materia stradale e lo stesso Ufficio, nei primi mesi del 1866 46, consegnò all’Ufficio tecnico provinciale parte dei documenti del proprio archivio riguardanti il servizio stradale ed anche i documenti prodotti dagli ingegneri distrettuali perché li si ritenne attinenti al servizio provinciale 47. Intanto alla direzione del Genio civile di Pisa era stato chiamato l’ingegner Francesco Rinolfi, trasferito da L’Aquila. Valutando il fatto che l’Ufficio da lui diretto era stato sollevato dal servizio stradale, l’ingegner Rinolfi decise di proporre al Ministero dei lavori pubblici il ri- 10); b) quelle che allacciavano le precedenti linee alle grandi linee commerciali degli Stati limitrofi; c) le grandi strade attraversanti le catene principali delle Alpi e degli Appennini; d) quelle aventi uno scopo puramente militare. Erano strade provinciali: a) le strade che servivano alla più diretta comunicazione fra il capoluogo di una provincia e quelli delle Province limitrofe; b) quelle che dal capoluogo di una provincia conducevano ai capoluoghi dei circondari in cui essa era divisa; c) quelle che collegavano i capoluoghi di una provincia o di un circondario coi più importanti e vicini porti marittimi; d) quelle riconosciute di molta importanza per le relazioni industriali, commerciali ed agricole della provincia o della maggior parte di essa, purché facenti capo a ferrovie, strade nazionali o ad un capoluogo di circondario della stessa o di un’altra provincia. Erano strade comunali: « a) quelle necessarie per porre in comunicazione il maggior centro di popolazione di una comunità col capoluogo del rispettivo circondario e con quelli dei comuni contigui... » (art. 16); b) quelle esistenti all’interno dei luoghi abitati; c) quelle che dai maggiori centri di popolazione di un comune conducevano alle rispettive chiese parrocchiali ed ai cimiteri, o a ferrovie e porti, sia direttamente, sia collegandosi ad altre strade esistenti; d) quelle che servivano a riunire fra loro le più importanti frazioni di un comune; e) quelle che al momento della classificazione si sarebbero trovate sistemate e mantenute dai comuni, salve ulteriori deliberazioni dei Consigli comunali. Erano vicinali tutte le altre strade non iscritte nelle categorie precedenti e soggette a servitù pubblica.

44 L’ingegnere Niccoli visse questa vicenda come un sopruso determinato da favoritismo nei confronti del suo successore a capo dell’Ufficio del genio civile di Pisa (ASPI, Prefettura, b. 1000, affare 308, lettera del 3 marzo 1870 al prefetto). Nonostante la sua nuova destinazione al Niccoli fu mantenuto l’incarico di dirigere i lavori di restauro della chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano di Pisa, intrapresi quando era ancora a capo del Genio civile, offrendogli con ciò — secondo quanto egli scrisse al prefetto — quasi una riparazione all’umiliazione infertagli.

45 R. d. 17 nov. 1865, n. 2633. 46 ASPI, Prefettura, b. 977, affare 1900 e b. 1182, lettera dell’ingegnere capo al prefetto,

del 2 agosto 1870. 47 Si veda la lettera dell’ingegnere capo Olinto Citti, del 13 gennaio 1886: « (...) Aboliti

dopo il 1865 i detti ingegneri distrettuali gli atti tutti delle proprie gestioni passarono alle Province... » (ASPI, UGC, classe XIV bis, b. 1, fasc. 2).

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chiamo a Pisa dell’ingegnere distaccato a Volterra le cui principali attribuzio-ni fino ad allora erano state proprio la sorveglianza e direzione dei lavori stradali e, in via secondaria, degli edifici demaniali 48. Il Ministero accolse la proposta disponendo il richiamo a Pisa dell’ingegnere Giovanni Veneziani 49. Cessava così di esistere l’ufficio distaccato di Volterra. Anche l’ufficio distaccato di Livorno, competente sui fabbricati demaniali di quella città, fu reso indipendente dal Genio civile di Pisa in quegli stessi mesi. L’ufficio di Livorno è infatti menzionato ancora nel dicembre 1865 come dipendente da Pisa in documenti di quella data. Non lo è più in un documento del 14 feb-braio 1866 50. Il documento, conservato nell’archivio della Prefettura, doveva probabilmente servire a comunicare al Ministero la nuova ripartizione dei servizi operata dall’ingegnere capo Rinolfi all’interno del Genio civile di Pisa. Rinolfi aveva costituito tre sezioni, ciascuna delle quali avrebbe dovuto essere composta da un ingegnere e da due aiutanti 51. La mancanza di due aiutanti rispetto ai sei necessari per dare attuazione al piano, ostacolava i programmi dell’ingegnere capo 52. Ormai privo dei vari uffici distaccati di Piombino, Volterra, Livorno, concentrato l’intero servizio in un unico Ufficio centrale, il Genio civile di Pisa aveva assunto una fisionomia destinata a durare, pur con la breve parentesi degli anni dal 1921 al 1928 in cui operò nuovamente un ufficio speciale idraulico (Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno e dei suoi affluenti).

48 ASPI, Prefettura, b. 912, affare 399, lettera del 24 gennaio 1866. 49 Ibid., lettera del Ministero dei lavori pubblici del 31 gennaio 1866. 50 Ibid., « Affari diversi non registrati », « Quadro dimostrante l’importanza del servizio i-

draulico e de’ fabbricati... », 14 febbraio 1866. La separazione dall’Ufficio di Pisa dell’Ufficio distaccato di Livorno fu probabilmente contemporanea all’istituzione in quest’ ultima città di un autonomo Ufficio del genio civile per il servizio generale, sulla base di quanto previsto dalle disposizioni regolamentari per il Corpo del genio civile che prevedevano che in ogni città capoluogo di provincia dovesse risiedere un Ufficio del genio civile.

51 Erano affidati alla prima sezione il Canale Navigabile Pisa-Livorno, il fiume Tora, il fiume Cornia nel tratto scorrente nelle pianure di Campiglia e Piombino, sette torrenti delle stesse pianure ed altri quattordici grandi fossi di scolo ed inoltre i fabbricati carcerari di Pisa e demaniali di Pisa, Volterra e Piombino. Alla seconda sezione erano affidati la riva sinistra e gli argini dell’Arno, nove torrenti secondari e sessantacinque grandi fossi e scoli posti alla sinistra dell’Arno e nella parte meridionale della pianura di Pisa ed inoltre i fabbricati demaniali esistenti nei paesi collocati alla sinistra dell’Arno e nel circondario di Pisa ed il penitenziario di Volterra. Alla terza sezione spettava il servizio relativo agli argini e alla riva destra dell’Arno, quello relativo al fiume Serchio, al canale Macinante da Pisa a Ripafratta, alle arginature di cinque torrenti situati a destra dell’Arno nella pianura settentrionale pisana e di quarantatre fossi e scoli della stessa pianura. La stessa sezione svolgeva inoltre il servizio relativo ai fabbricati demaniali dei paesi posti a destra dell’Arno. In seguito, come conseguenza della piena applicazione delle disposizioni sulle acque pubbliche contenute nella legge del 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, l’Ufficio del genio civile di Pisa mantenne una competenza diretta solo sui maggiori fiumi e corsi d’acqua del territorio pisano. Si veda la parte di questo lavoro dedicata al servizio idraulico.

52 Il personale dell’Ufficio era allora composto dallo stesso ingegnere capo, da tre ingegne-ri preposti alle sezioni, da tre aiutanti ed un assistente misuratore (che svolgeva però le mansioni di aiutante) e da un impiegato addetto all’archivio e alla redazione di copie di atti d’Ufficio.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 77

3. Servizio di bonifica. — Agli inizi del 1866 l’organizzazione interna del Genio civile di Pisa era rivolta principalmente alla gestione del rilevante servizio idraulico e a quella dei fabbricati demaniali. Nel corso di pochi anni si determinò un progressivo ampliamento di competenze dell’Ufficio. Un primo passo in tal senso venne compiuto nel 1870 con l’attribuzione al Ministero dei lavori pubblici e quindi agli Uffici del genio civile, di tutto il servizio relativo alle bonifiche che fino a quell’anno era stato gestito da uffici speciali dipendenti dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, reso competente in materia di bonifiche fin dall’epoca della sua istituzione 53. Due importanti bonifiche erano da tempo in corso nel territorio pisano, quella della Maremma grossetana che si estendeva nei territori di Campiglia e Piombino appartenenti alla provincia di Pisa, e quella del lago di Bientina 54. La prima era stata ordinata nel 1828 55. Per stabilirne gli interventi era stato istituito un ufficio che prese il nome di Ufficio di bonificamento delle Maremme toscane. Anche per la gestione dei lavori relativi alla bonifica di Bientina, ordinata nel 1852 56, era stato istituito nel 1853 un ufficio denominato Direzione generale delle opere per l’essiccazione del lago di Bientina 57. A capo dell’ufficio fu posto Alessandro Manetti, cui era stata affidata la direzione dei lavori di

53 R.d. 5 lug. 1860, n. 4192. La competenza sulla parte tecnica dei lavori di bonificamento

venne attribuita al Ministero dei lavori pubblici dalla legge 20 mar. 1865, n. 2248, allegato F. 54 Per i precedenti della bonifica e per la bibliografia sull’argomento si veda: D. BARSANTI -

L. ROMBAI, La « guerra delle acque » in Toscana. Storia delle bonifiche dai Medici alla Riforma Agraria, Firenze, Medicea, 1986.

55 Motuproprio del 27 nov. 1828 in Bandi e ordini... cit., cod. XXXV, Firenze, 1828, n. LXIV. Nel motuproprio pur non essendo espressamente menzionata la bonifica di Vada viene però detto che « Comunque le cure della Commissione Idraulico-Economica [quella preposta ai lavori] siano per ora principalmente dirette al prosciugamento del Lago di Castiglione, dovrà nientedimeno la Commissione predetta prendere di mira tutti gli altri oggetti che abbiano relazione alla buonificazione della Provincia, e rassegnerà le sue proposizioni circa ai provvedi-menti che essa giudicasse opportuni per migliorarne le condizioni ». Della bonifica di Vada come parte del generale risanamento della Maremma si parla inoltre in una lettera diretta al sovrano dal provveditore della Camera di Soprintendenza comunitativa di Pisa. Scriveva il provveditore: « [La magistratura comunitativa di Rosignano] implora umilmente che piaccia all’A. V. I. e Reale di riguardare il risanamento degli Stagnoli di Vada, che farà certamente sparire quello squallore ed insalubrità che desola pure anche quella parte della Maremma Toscana, come un seguito di quel favore che colle provvide disposizioni emanate col veneratissimo Motuproprio de’ 27 novembre 1828, si è degnata accordare agli altri abitanti di quella medesima Provincia » (ASPI, Camera Soprintendenza comunitativa di Pisa, filza 463, affare 44, lettera dell’11 novem-bre 1833).

56 Motuproprio del 10 apr. 1852 in Decreti, notificazioni e circolari da osservarsi nel Granducato di Toscana, Firenze, Stamperia granducale, cod. LIX, 1852, n. XXIII.

57 La Direzione generale delle opere per la essiccazione del lago di Bientina era già ope-rante nell’aprile del 1853. Si vedano le lettere inviate dal direttore dell’ufficio, Alessandro Manetti, al prefetto di Pisa in ASPI, Prefettura, b. 262, affare 224.

Rosalia Amico 78

bonifica 58. Questi due uffici speciali continuarono ad esistere ed operare fino al 1865 quando furono soppressi 59. Al loro posto fu creato un Circolo tecnico di bonificamento addetto al servizio di tutte le province della Toscana. Nel 1867 gli uffici che gestivano le bonifiche sull’intero territorio nazionale furono riordinati 60. Vennero creati sei uffici denominati Circoli di bonifica-mento. Fu il Sesto circolo, in continuità con l’azione di quello già istituito nel 1865, ad occuparsi delle bonifiche di Bientina e del territorio maremmano. La circoscrizione territoriale del Sesto circolo si estendeva infatti sui territori di Bientina, Grosseto, Piombino, Scarlino, Orbetello e su quelli di Vada e Cecina 61. Il personale tecnico di questo nuovo ufficio, pur appartenendo al Corpo del genio civile, venne posto alle dipendenze del Ministero di agricol-tura, industria e commercio. La duplice dipendenza del personale addetto al servizio di bonificamento, dal Ministero dei lavori pubblici in quanto apparte-nente al Corpo del genio civile e da quello di agricoltura, industria e commer-cio competerete sulle bonifiche, determinò presto gravi inconvenienti per ovviare ai quali nell’ottobre del 1869 il servizio tecnico ed amministrativo delle bonifiche fu trasferito interamente al Ministero dei lavori pubblici 62. Poco dopo si ritenne opportuno sopprimere i sei circoli di bonificamento ed affidare la parte tecnica del servizio relativo alle bonifiche agli Uffici del genio civile delle rispettive province, la parte amministrativa alle varie Prefet-ture competenti per territorio 63.

Alla Prefettura e al Genio civile di Pisa il Sesto circolo consegnò il ser-vizio ed i documenti d’archivio relativi alla bonifica di Bientina 64. In seguito anche la contabilità dei lavori fu affidata all’Ufficio del genio civile di Pisa dal Ministero dei lavori pubblici 65. L’Ufficio ricevette dalla Prefettura i documenti contabili che questa aveva ricevuto a sua volta dalla Direzione del sesto circolo di bonificamento 66. Oltre che sulla bonifica di Bientina l’Ufficio del genio civile di Pisa era divenuto competente anche sulle altre bonifiche

58 Motuproprio del 18 mar. 1853, in Decreti, notificazioni e circolari... cit., cod. LX, 1853, n. XXIX.

59 R.d. 5 giu. 1865, n. 2381. 60 R.d. 28 apr. 1867, n. 3698. 61 ASPI, Prefettura, Appendice, b. 43, « Inventario delle carte della soppressa Direzione del

VI Circolo di bonificamento ». 62 R.d. 27 ott. 1869, n. 5339. 63 R.d. 13 feb. 1870, n. 5514. In precedenza i circoli di bonificamento gestivano sia la par-

te tecnica dei lavori che quella amministrativa con l’indire ed esperire le aste, appaltare i lavori, ripartire le tasse, eccetera.

64 ASPI, Prefettura, b. 1180, prot. n. 749 del 1871. 65 Ibid., lettera del 21 luglio 1870. Per la Prefettura si era dimostrato impossibile tenere la

contabilità dei lavori restando all’oscuro della parte tecnica, ad essa quindi rimase soltanto la gestione delle indennità d’esproprio connesse ai lavori.

66 Ibid., lettera del 1° agosto 1870.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 79

che si compivano nel territorio provinciale cioè quelle di Rimigliano, Vada e Collemezzano. Queste ultime, come si è visto, erano state intraprese in con-nessione coi lavori di risanamento della Maremma grossetana. Nel maggio del 1870 il Ministero dei lavori pubblici precisò con un suo decreto le attribuzioni degli Uffici del genio civile di Pisa, Grosseto, Lucca, in materia di bonifi-che 67. La bonifica di Bientina veniva interamente affidata all’Ufficio del genio civile di Pisa perché, pur interessando vasti territori appartenenti anche alle due Province di Lucca e Firenze, l’opera doveva considerarsi come unica e quindi non se ne poteva dividere il servizio tecnico fra i vari uffici di Pisa, Lucca, Firenze. Le bonifiche che si compivano nel territorio del comune di Piombino, per la prossimità e l’analogia con quelle che si compivano nel Grossetano, nonostante si trovassero in provincia di Pisa, furono affidate all’Ufficio del genio civile di Grosseto. Rimasero escluse da questa disposi-zione le bonifiche di Vada e Collemezzano, che ricadevano nel territorio del comune di Campiglia e furono considerate come « un’opera distaccata dalla Maremma grossetana » 68, e la bonifica del lago di Rimigliano presso Cecina. Nel maggio del 1871, verificate le condizioni di quest’ultima opera in cui il padule si era riprodotto per lo stato di abbandono in cui era stata lasciata per alcuni anni, l’ingegner capo del Genio civile di Pisa scrisse al prefetto che sarebbe stato opportuno proporre al Ministero dei lavori pubblici che ogni ulteriore lavoro fosse affidato all’Ufficio del genio civile di Grosseto. Ciò a motivo della lontananza dei luoghi di bonifica da Pisa e della loro prossimità a Grosseto. Solo l’anno dopo il Ministero decise in tal senso. Nel luglio del 1872 fu infatti dato incarico all’Ufficio del genio civile di Grosseto di occu-parsi delle opere della bonifica di Rimigliano 69. Il passaggio di competenze fra i due uffici di Pisa e Grosseto avvenne ai primi di settembre del 1872 e fu accompagnato dalla consegna dei documenti relativi al servizio 70. La bonifica di Rimigliano venne nuovamente affidata all’Ufficio del genio civile di Pisa nel 1923, su disposizione del Ministero dei lavori pubblici 71. Ancora una

67 D. m. 6 mag. 1870 in Collezione celerifera delle leggi, dei decreti e delle istruzioni e circolari dell’anno 1870 ed anteriori, vol. XLIX, 1870, t. 2, p. 1194.

68 ASPI, Prefettura, b. 1172, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 21 luglio 1870. 69 Ibid., lettera del prefetto di Grosseto dell’11 agosto 1872. 70 Ibid., lettera dell’ingegnere capo Eugenio Giani, del 5 settembre 1872. 71 ASPI, UGC, classe XL, b. 7, fasc. 81, lettera del Ministero dei lavori pubblici dell’11

giugno 1923. Il Ministero motivò questa decisione affermando che varie volte erano sorte difficoltà in ordine alla trattazione di tutto quanto si riferiva alla bonifica perché i lavori erano progettati e diretti dall’Ufficio del genio civile di Grosseto mentre di altre questioni importanti, come ad esempio le concessioni, si occupava l’Ufficio del genio civile di Pisa. Con decreto ministeriale del 30 novembre 1916 n. 6994 era poi stato approvato il perimetro della bonifica di Rimigliano che poteva considerarsi a tutti gli effetti di legge come un distinto bacino della bonifica della Maremma toscana. Appartenendo il territorio di Rimigliano alla provincia di Pisa, in base al regolamento del 5 maggio 1904 n. 368 sulle opere di bonifica, la competenza sui lavori spettava all’Ufficio del genio civile di Pisa.

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volta i documenti d’archivio seguirono il servizio 72. Per poco però l’Ufficio di Pisa si occupò di Rimigliano. Dal 1° agosto 1926, essendo stati apportati cambiamenti alle circoscrizioni territoriali delle Province di Pisa, Livorno, Firenze, competente sui lavori relativi alle bonifiche di Vada, Collemezzano, Rimigliano diventò l’Ufficio del genio civile di Livorno, a cui l’Ufficio di Pisa consegnò oltre il servizio anche parte dei documenti d’archivio 73. L’attribuzione nel 1870 del servizio relativo alle bonifiche di porzioni di territorio che superavano l’ambito provinciale comportò per il Genio civile di Pisa notevoli problemi organizzativi. Le competenze erano aumentate ma non così il personale ed i locali. Tuttavia per far fronte ai nuovi compiti venne costituita con personale straordinario la quarta sezione di bonificamento, composta da un ingegnere e da un aiutante, mancava però il personale che potesse coadiuvarli 74. Per lunghi mesi l’Ufficio del genio civile di Pisa si trovò ad operare in gravi difficoltà. Riferendo al prefetto e al Ministero dei lavori pubblici che lo avevano chiamato a rispondere di ritardi nello svolgi-mento del servizio, l’ingegnere capo Eugenio Giani 75 ricordò la grave situa-zione in cui era stato lasciato l’Ufficio da lui diretto, chiese che almeno un ingegnere ed un contabile della cessata Direzione del sesto circolo di bonifi-camento fossero stabilmente aggregati all’Ufficio di Pisa per poter provvedere ai bisogni ordinari del servizio di bonifica e all’estesa parte contabile ed amministrativa ad esso connessa. Gravi inconvenienti derivavano anche dal fatto che il personale dipendente dall’Ufficio si trovava ad operare diviso in due locali distinti e lontani fra loro. A questa situazione fu posto rimedio nell’agosto del 1871, quando il Ministero dei lavori pubblici ottenne da quello di Grazia e giustizia la concessione del locale della canonica dei Cavalieri di Santo Stefano ove l’Ufficio del Genio civile di Pisa avrebbe potuto risiedere stabilmente 76. Le due bonifiche principali affidate all’Ufficio, quella di Vada e Collemezzano e quella di Bientina, erano state dunque intraprese entrambe dal governo granducale. I problemi ad esse connessi risultavano ancora non risolti al momento del loro passaggio alla gestione del Genio civile di Pisa. Per quanto riguarda la bonifica di Vada, un primo gruppo di lavori era stato eseguito negli anni dal 1833 al 1839 su progetto dell’ingegnere Alessandro

72 Ibid., verbale di consegna del 9 agosto 1923. Furono consegnati all’Ufficio del genio ci-vile di Pisa quindici fascicoli relativi a progetti e lavori.

73 ASPI, UGC, classe XL, b. 7, fasc. 88. I documenti consegnati sono elencati nel verbale di consegna che reca la data del 28 settembre 1926.

74 La sezione di bonificamento disponeva già allora di un proprio archivio, quello ereditato dalla Direzione del Sesto circolo di bonificamento (ASPI, Prefettura, b. 1173, affare 655, lettera dell’ingegnere capo Giani del 24 luglio 1871).

75 Eugenio Giani fu ingegnere capo dell’Ufficio del genio civile di Pisa dagli inizi del 1869 al 1879.

76 Ibid., lettera del Ministero dei lavori pubblici al prefetto, 10 agosto 1871.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 81

Manetti 77. In seguito la magistratura comunitativa di Rosignano venne chia-mata ad assumere a proprio carico le spese o a contribuire ad esse 78. Non essendo però la Comunità in grado di sostenere l’onere dei lavori, il governo ordinò allo Scrittoio delle reali possessioni di anticipare provvisoriamente i fondi necessari per la bonifica 79. Nel 1839 una parte dei terreni già bonificati fu messa in vendita 80. Nella parte litoranea della tenuta i lavori continuarono fino al 1860. Dal 1860 al 1864 ci si limitò alla semplice manutenzione delle opere eseguite. Dopo il 1864 — secondo quanto scriveva nel 1876 l’ingegnere capo Giani — l’opera fu interamente abbandonata e « nonostante le terre fossero tornate dopo breve tempo ad uno stato palustre, nonostante i reclami ed altro, pure nulla fu fatto » 81. In seguito alle proteste degli abitanti e dei comuni della zona i lavori di ripristino delle opere di bonifica furono ripresi e risultavano compiuti già nel 1870, anno in cui la bonifica passò fra le attribu-zioni del Genio civile di Pisa. L’Ufficio provvide presto alla redazione ed esecuzione di progetti volti alla conservazione e prosecuzione delle opere di risanamento. Nel 1873, nonostante il parere sostanzialmente contrario del Genio civile, l’Intendenza di finanza procedette ad alienare ai privati non soltanto i terreni bonificati ma anche l’alveo dei fossi di scolo, il padule di Pozzuolo ed il padule Grande, zone nelle quali i lavori erano ancora in corso. Rimase in possesso del Demanio solo una zona litoranea. Non essendo i privati sottoposti a speciali obblighi di mantenimento delle opere di bonifica i fossi di scolo furono nuovamente lasciati in abbandono, « ingombri di erbe palustri e ricolmi di terra » 82. La zona si impaludò quindi nuovamente deter-minando gravi problemi sanitari e la ripresa delle febbri malariche. L’Ufficio del genio civile fu quindi chiamato ad intervenire per compiere il risanamento della zona. Il sistema di bonifica adottato in un primo tempo fu quello per colmata mediante le acque torbide del torrente Tripesce 83. In seguito si provvide al sollevamento meccanico delle acque stagnanti, grazie all’utilizza- zione di una macchina idrovora. Dal 1899, constatata l’inefficacia di questi sistemi, i proprietari dei terreni ed i Comuni di Cecina e Rosignano chiesero

77 Del progetto Manetti per il risanamento degli stagnoli di Vada si parla in una lettera del-la Segreteria delle finanze inviata alla Camera di soprintendenza comunitativa di Pisa (ASPI, Camera di soprintendenza comunitativa, filza 431, affare 25, lettera del 22 luglio 1833).

78 Ibid., filza 451, affare 83, lettera dello Scrittoio delle reali possessioni del 20 agosto 1833.

79 Ibid., b. 463, affare 44, lettera della Segreteria delle finanze, del 31 gennaio 1834. 80 Notificazione del 17 sett. 1839 (Bandi e ordini... cit., cod. XLVI, Firenze,1839, n.

LXXIX). 81 ASPI, UGC, classe XXXVI, b. 1, fasc. 1 « Relazione sullo stato delle opere di bonifica

nella pianura di Vada e Collemezzano e sui provvedimenti da adottarsi », 16 ottobre 1876. 82 Ibidem. 83 Per il procedimento tecnico della colmata si veda D. BARSANTI - L. ROMBAI, La « guer-

ra delle acque » in Toscana... cit., pp. 16-17.

Rosalia Amico 82

al Ministero dei lavori pubblici di continuare la bonifica ritornando al sistema per colmata ma utilizzando le acque del fiume Cecina che, essendo di natura argillosa, sembravano permettere una bonifica più rapida. L’Ufficio del genio civile ricevette quindi dal Ministero l’incarico di progettare l’opera. Sui diversi progetti presentati si pronunziò a più riprese il Consiglio superiore dei lavori pubblici che ancora nel 1912 li ritenne insufficienti e richiese nuovi studi 84. Nel 1917 il Ministero dei lavori pubblici rimise nuovamente in discussione il sistema scelto per la bonifica e chiese al Genio civile di stabili-re se, abbandonato il metodo per colmata, fosse possibile ottenere migliori risultati ricorrendo nuovamente al prosciugamento meccanico 85. Compiuti nuovi studi, l’ingegnere capo Roselli accolse favorevolmente la proposta ministeriale e nel 1920 presentò un progetto esecutivo. Le ingerenze del Genio civile di Pisa sulla bonifica di Vada e Collemezzano cessarono nel 1926. La bonifica, come si è visto, fu attribuita in quell’anno all’Ufficio del genio civile di Livorno al quale, oltre il servizio, furono consegnati parte dei documenti d’archivio 86. I lavori relativi all’altra bonifica affidata all’Ufficio, quella di Bientina, iniziarono già nel 1853. Progressivamente si provvide all’escavazione del canale Emissario e alla costruzione della botte mediante la quale il canale era condotto a passare sotto l’Arno. Successivamente fu prolungato lo stesso Emissario attraverso l’alveo prosciugato del lago di Bientina « in direzione di tramontana fino all’Isola e quindi in direzione Nord Est fino a ricongiungersi col canale Rogio » 87. Altri lavori riguardarono l’approfondimento dei canali Rogio ed Ozzeri ed il prolungamento della fossa Navareccia di Altopascio, condotta a sfociare nell’Emissario, presso Isola. Nel cratere dell’ex lago fu aperta una rete di canali raccoglitori designati coi numeri progressivi da zero a dieci. La situazione verificatasi in conseguenza di questi lavori venne così descritta dall’ingegnere Biglieri nel 1905: « Per effetto dei lavori ora indicati si ottenne il ritiro delle acque dalle gronde del Lago ed il prosciugamento di questo stesso, ma solo limitatamente alla sta-gione estiva, poiché durante le stagioni delle piogge, essendo l’afflusso maggiore del deflusso, si riforma un laghetto, esteso poco più che ai possessi

84 ASPI, UGC, classe XXXV, b. 93, fasc. 105, copia del voto del 29 febbraio 1912 della seconda sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, allegata al « Progetto esecutivo dei lavori di bonifica per colmata con le torbide del fiume Cecina... », 1915, allegato 1, suballe- gato C.

85 Ibid., classe XXXV, b. 95, fasc. 110, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 26 lu-glio 1917.

86 Ibid., classe XL, b. 7, fasc. 88, « Processo verbale di consegna delle bonifiche di Vada, Collemezzano e Rimigliano all’Ufficio di Livorno ». L’Ufficio di Pisa consegnò a quello di Livorno sia il progetto del 4 marzo 1920 per il prosciugamento meccanico dei terreni bassi di Vada e Collemezzano, sia una perizia di ordinaria manutenzione dei fossi e di altre opere di bonifica (perizia del 5 luglio 1926, n. 2831).

87 Ibid, classe XXXVI, b. 1, fasc. 1, « Relazione sommaria sulle bonifiche dipendenti diret-tamente dall’Ufficio », 22 aprile 1905, redatta dall’ingegnere capo Annibale Biglieri.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 83

demaniali, ossia compreso all’incirca nei limiti dello specchio magro del primitivo lago, e ciò [è] peraltro pienamente conforme ai propositi ed alle previsioni stabilite con molta lucidità di vedute nel progetto Manetti. La riproduzione annuale del laghetto determina sofferenza di scolo, ed anche impaludamento, nelle terre delle circostanti gronde, per il fatto della depres-sione avvenuta nella maggior parte di esse in seguito all’asciugamento del lago. D’altra parte le pianure lucchesi versanti per l’Ozzeri nel Serchio, non ottennero la completa bonifica dai soli lavori di escavazione dell’Ozzeri stesso, perché le piene di questo canale rimanevano sempre più basse di quelle del recipiente alla foce di Cerasomma e ne conseguiva l’intermittenza nel deflusso delle acque. In questo stato di cose si ritenne la bonifica non compiuta con le sole opere sopraccennate e si avvisò ai provvedimenti per conseguire il totale e permanente asciugamento dei terreni di bonifica » 88.

L’incarico di porre allo studio le opere per il completamento della boni-fica fu affidato a commissioni ministeriali diverse che diedero pareri concordi sulla necessità di sistemazione dell’Ozzeri con lo spostamento della foce a valle di Cerasomma. Quest’opera fu realizzata negli anni dal 1885 al 1890 con la costruzione del canale Nuovo Ozzeri portato a scaricare nel Serchio, presso Rigoli 89. Un’ulteriore commissione ministeriale fu nominata nel 1892 con l’incarico di studiare un programma di lavori complementari della bonifi-ca 90. Con la relazione presentata nell’aprile del 1893 fu tracciato un piano di interventi la cui esecuzione fu affidata all’Ufficio del genio civile di Pisa. La Commissione programmò la divisione dei lavori in due fasi: lavori del primo periodo e lavori da eseguire dopo molti anni, al compimento delle colmate. La prima fase dei lavori prevedeva il completamento della sistemazione dell’Oz- zeri nei tratti inferiore e superiore, la costruzione di casse di colmata e di chiarificazione per le acque dei torrenti montani (Vorno, Guapparo, Visona di Castelvecchio e di Compito), l’ampliamento e sistemazione dei tronchi mon-tani dei torrenti, la sistemazione ed il rimboschimento degli alti bacini degli stessi torrenti allo scopo di moderarne le portate di piena. I lavori da eseguire dopo il periodo delle colmate erano così riassunti: ulteriori colmate, costru-zione di una nuova botte sotto l’Arno, inalveazione degli ulteriori torrenti del bacino di bonifica, ulteriore allargamento dell’Emissario. I lavori del primo periodo erano in gran parte compiuti nel 1925 quando l’ingegnere capo Giovanni Girometti, in una monografia preparata su richiesta del Ministero

88 Ibid., « Relazione sommaria sulle bonifiche dipendenti direttamente dall’Ufficio », 22 aprile 1905.

89 Il progetto principale per la costruzione del Nuovo Ozzeri è del 30 novembre 1884 ed è conservato in ASPI, UGC, classe XXXV, b. 1, fasc. 1 A, (« Lavori di costruzione del canale Nuovo Ozzeri da Montuolo allo sbocco in Serchio alle Carte... »).

90 La Commissione era composta dagli ispettori ministeriali Manara, Fornari e Campanini. I lavori da eseguire per il completamento della bonifica furono indicati in una relazione, datata 20 aprile 1893, il cui contenuto è assai succintamente riassunto in « Norme date dalla Commis-sione ministeriale per la bonifica di Bientina » (ASPI, UGC, classe XXXV, b. 121, fasc. 143).

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dei lavori pubblici per una mostra sulle bonifiche, tracciava il quadro dei lavori eseguiti, di quelli ancora in corso o da progettare 91. Era stata intera-mente eseguita la costruzione del canale Nuovo Ozzeri 92. Erano state costruite casse di colmata per le acque dei torrenti Vorno e Guapparo, riuniti in cassa unica, per il torrente Visona di Castelvecchio e per i torrenti Tiglio, Tanali e Pesato, riuniti anch’essi in cassa unica. Era stata compiuta la correzione montana del più disordinato dei torrenti, la Visona di Castelvecchio. Era stato sistemato il canale Rogio nel tratto dall’Arpino all’Isola, mentre era ancora in corso la sistemazione del restante corso del canale. Era stato approfondito il canale Formica ed erano quasi giunti al termine i lavori per la sistemazione dell’Emissario dalla Botte al Calambrone 93, mentre erano in avanzato corso di esecuzione i lavori di sistemazione dello stesso canale dalla Botte alla sua origine, presso Isola. Per le opere che restavano ancora da compiere l’Ufficio aveva già inviato al Ministero dei lavori pubblici due importanti progetti di massima, uno per la realizzazione di una cassa unica di colmata con i torrenti di tramontana del bacino di bonifica, l’altro per la sistemazione dell’Emissario dall’Isola al Calambrone. Altri progetti erano ancora in corso di studio per il compimento della bonifica o per il miglioramento delle opere esistenti. Al termine del suo scritto l’ingegnere Girometti faceva il punto anche sui costi della bonifica. La spesa fino ad allora sostenuta era di circa quarantatre mi- lioni di lire « compresa la somma in cifra tonda di £. 4.800.000,00 spese dal governo granducale per l’attuazione del progetto Manetti » 94. La spesa previ-sta per tutti i lavori che restavano ancora da eseguire era calcolata in quattor-dici milioni, non considerando però i lavori che si sarebbero dovuti fare dopo il periodo delle colmate, per i quali non era ancora possibile fare previsioni. Erano assenti nel Bientinese vere e proprie manifestazioni malariche e quindi con la bonifica di Bientina si tendeva ad uno scopo « sostanzialmente agricolo ed anche igienico » 95. Il miglioramento agricolo e quello igienico erano i criteri in base ai quali veniva operata la classificazione delle bonifiche — importante ai fini del finanziamento dei lavori — disposta dalla legge sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi, emanata nel 1882 96. Erano di

91 ASPI, UGC, classe XL, b. 10, « Varie ». 92 L’ingegnere Girometti scriveva: « fra le opere più rimarchevoli per importanza o per dif-

ficoltà di esecuzione... merita speciale menzione quella dell’attraversamento di Ripafratta col canale Nuovo Ozzeri nel quale l’alveo del canale è stato ricavato da una parte dell’alveo stesso del fiume Serchio, a mezzo di robusti muraglioni diaframmi che dividono le acque del fiume da quelle della bonifica » (ibidem).

93 I lavori relativi a quest’opera cominciarono nel 1904, mentre il progetto di massima è del 1903. Si veda: ASPI, UGC, classe XXXV, bb. 74-84, fascc. 91 A 1 - 91 Z, e b. 123 (contie-ne il progetto di massima).

94 ASPI, UGC, classe XL, b. 10, « Bonifica di Bienina. Cenni monografici », 14 agosto 1925.

95 Ibidem. 96 L. 2 giu. 1882, n. 869.

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prima categoria le opere che provvedevano principalmente ad un grande miglioramento igienico e quelle nelle quali ad un grande miglioramento agri- colo era associato un rilevante vantaggio igienico. Tutte le opere che non presentavano alcuno di questi caratteri erano da considerarsi di seconda categoria. Le opere di prima categoria dovevano essere eseguite dallo Stato col concorso delle Province, dei Comuni e dei proprietari 97. Le opere di seconda categoria dovevano essere eseguite e mantenute dai proprietari dei terreni, isolatamente o riuniti in consorzi. Alla classificazione delle bonifiche il governo avrebbe provveduto pubblicando gli elenchi di quelle di prima categoria. La bonifica di Bientina vi fu classificata solo nel 1899 « per la parte concernente la sistemazione delle acque torbe influenti nel lago... » 98. L’anno successivo tutte le disposizioni vigenti in materia di bonifiche furono raccolte in un testo unico di legge che rimase in vigore fino al 1923 99.

Nel 1929 le competenze in materia di bonifiche idrauliche, opere di si-stemazione montana e di irrigazione, acquedotti, borgate e fabbricati rurali, vennero nuovamente trasferite al Ministero dell’agricoltura. Le funzioni tecni- che relative a questi servizi rimasero però affidate agli organi sia centrali che periferici del Ministero dei lavori pubblici 100.

La bonifica di Bientina, pur riguardando i territori di più province, rima-se affidata all’Ufficio di Pisa anche dopo il 1932, anno in cui fu stabilito che gli Uffici del genio civile dovessero avere piena competenza su tutti i servizi ricadenti nell’ambito territoriale delle rispettive province. La maggior parte del territorio da bonificare ricadeva in provincia di Pisa ed in relazione a questo fatto il Ministero dei lavori pubblici confermò 101 la validità della norma che prevedeva l’attribuzione del servizio di una bonifica all’Ufficio del genio civile della provincia nella quale si trovava il territorio interessato alla bonifica o la maggior parte di esso 102. Ben otto serie dell’archivio del Genio

97 Le spese per le opere di prima categoria erano a carico per metà dello Stato, per un ot-tavo della provincia o delle Province interessate, per un ottavo del comune o dei comuni interessati e per un quarto del consorzio dei proprietari interessati. Nel 1899 fu disposto che le spese per le opere di prima categoria dovevano essere sostenute per sei decimi dallo Stato, per un decimo dalla Provincia o dalle Province interessate, per un decimo dal Comune o dai Comuni interessati e per due decimi dai proprietari dei terreni da bonificarsi (l. 18 giu. 1899, n. 236, art. 9). Le quote di concorso nelle spese mutarono ancora nel 1923 (r.d. 30 dic. 1923, n. 3256, art. 16).

98 L. 18 giu. 1899, n. 236, art. 1. Con la stessa legge venivano finanziati i lavori da com-piersi negli esercizi finanziari dal 1900-1901 al 1923-1924. Negli anni precedenti ai finanziamen-ti si era provveduto con la l. 23 lug. 1881, n. 333.

99 R.d. 22 mar. 1900, n. 195. 100 R.d. 27 set. 1929, n. 1726. Per l’evoluzione della legislazione sulle bonifiche si veda:

A. BAGNULO, La legislazione sulla bonifica dal 1865 ad oggi, in Le opere pubbliche. 1. I lavori pubblici... cit., pp. 215-238.

101 Circolare del 29 ago. 1932, n. 15323, Divisione II (copia in ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5, « Competenza Uffici Genio civile »).

102 R.d. 8 mag. 1904, n. 368.

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civile sono dedicate alla classificazione dei documenti riguardanti variamente le bonifiche. Oltre che a quelle affidate direttamente all’Ufficio del genio civile queste otto serie, o classi, contengono anche documenti riguardanti altre bonifiche la cui esecuzione fu data in concessione a consorzi (bonifica di Fiume Morto o della pianura settentrionale pisana) o a imprese private. Come si è visto, già nel 1882 fu prevista la costituzione di consorzi per la realizza-zione di bonifiche di seconda categoria 103.

I relativi progetti di massima tecnico economici dovevano essere fatti compilare dalle Deputazioni dei consorzi. Una volta accettati dall’assemblea e dal consiglio dei delegati, i progetti dovevano essere trasmessi al prefetto il quale, dopo aver ottenuto su di essi il parere dell’Ufficio del genio civile, li trasmetteva col proprio parere al Ministero dei lavori pubblici cui toccava di decidere definitivamente in merito, sentito il Consiglio superiore 104.

I progetti esecutivi di opere nuove dovevano essere approvati dal prefet-to, sentito l’Ufficio del genio civile. Per i progetti di ordinaria manutenzione bastava l’approvazione della Deputazione amministrativa del consorzio 105. Dal 1886 anche l’esecuzione di opere di bonifica di prima categoria poté essere data in concessione a consorzi o a imprenditori e società private 106. Dal 1899 l’approvazione dei progetti, sia di massima che d’esecuzione, relativi a bonifi-che di prima categoria date in concessione fu riservata al Ministero dei lavori pubblici mentre agli Uffici del genio civile toccò un accertamento preliminare sui prezzi e sulle condizioni di fatto che erano serviti di base ai progetti stessi 107. Le principali attribuzioni degli Uffici in materia di bonifiche date in concessione vennero comunque riassunte in un regolamento emanato nel 1904 108. Gli Uffici avevano il compito di formulare un parere preventivo sui progetti di massima ed esecutivi loro sottoposti dai prefetti, dovevano inoltre esercitare la vigilanza tecnica sui lavori eseguiti dai consorzi 109. Anche i collaudi delle opere eseguite potevano essere affidati ad uno o più funzionari del Genio civile nominati dal Ministero dei lavori pubblici. Altre disposizioni previdero l’intervento del Genio civile anche nella fase precedente la costitu-zione dei consorzi di bonifica. Proposta la costituzione di un consorzio, gli Uffici del genio civile dovevano inviare al Ministero, perché questi avesse tutti gli elementi necessari per esprimere in merito il proprio giudizio, un

103 L. 25 giu. 1882, n. 869. 104 Ibid., artt. 26-27. 105 Consorzi fra proprietari erano previsti per la manutenzione delle opere ultimate, sia di

prima che di seconda categoria. 106 L. 4 lug. 1886, n. 3962. 107 L. 18 giu. 1899, n. 236. Sui progetti il Ministero doveva richiedere i pareri del Consi-

glio superiore dei lavori pubblici, del Consiglio di sanità e del Consiglio di Stato. 108 R.d. 8 mag. 1904, n. 368. Regolamento per l’esecuzione della legge 22 mar. 1900, n.

195, e della legge 7 lug. 1902, n. 333, sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi. 109 Ibid., art. 56.

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rapporto particolareggiato sulle opere che il nuovo ente intendeva eseguire e sulle relazioni che queste potevano avere con le altre opere di prima categoria esistenti nella località e col regime dei corsi d’acqua. Dovevano inoltre pronunziarsi sulle stesse finalità della bonifica, accertare cioè se questa fosse destinata a conseguire un vantaggio per la pubblica igiene o un ragguardevole miglioramento agrario 110. Nella classe XXXIX dell’archivio del Genio civile sono conservati alcuni documenti relativi a bonifiche date in concessione a consorzi o ad imprese private. Si tratta però di una documentazione incomple-ta 111 e che non consente da sola di ricostruire tutte le vicende relative alle varie bonifiche la cui esecuzione non fu curata direttamente dall’Ufficio (bonifiche di Tombolo, della Val d’Era, di Massaciuccoli). Fa in parte ecce-zione una busta 112 che raccoglie i documenti relativi alla bonifica della pianura settentrionale pisana (detta anche di Fiume Morto) cioè della estesa zona situata a nord di Pisa, fra i fiumi Arno e Serchio. I principali lavori relativi a quest’opera risultavano conclusi nel 1934. « All’Ufficio dei Fiumi e Fossi, la più antica istituzione idraulica, creata da secoli a beneficio dell’agri- coltura, spettava il merito di risanare, con importanti opere d’ingegneria, la Pianura Settentrionale Pisana (...). Con la bonifica di Fiume Morto, ormai compiuta, altro merito d’indiscutibile, altissimo valore si aggiunge a quelli innumerevoli dell’Ufficio dei Fiumi e Fossi e lo fa degno di essere annoverato tra i migliori organismi tecnici che siano stati creati a beneficio dell’agri- coltura... » 113. L’intento apologetico di Ranieri Fiaschi in relazione all’opera dell’Ufficio dei fiumi e fossi è particolarmente vivo in queste parole del 1934. Tace il Fiaschi sull’importante ruolo avuto dagli organi dello Stato, l’Ufficio del genio civile, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, nella bonifica della pianura settentrionale pisana, nell’avere cioè mirato ed imposto non una parziale sistemazione e correzione del Fiume Morto, quale quella proposta nel 1892 dall’Ufficio dei fiumi e fossi, ma la bonifica completa della zona. L’Ufficio del genio civile di Pisa fu chiamato a pronunziarsi sulla proposta di classificazione in prima categoria della pianura settentrionale pisana nel 1898. Pur dichiarando meritevole di accoglimento la domanda presentata dall’ente consortile 114, l’allora ingegnere capo Poletta pose l’accento sulla parzialità del progetto Odifredi, che doveva servire di base alla classificazione proposta, e

110 ASPI, UGC, classe XL, b. 2, fasc. 6, lettera del prefetto di Lucca del 12 agosto 1915. La lettera fa riferimento ad una comunicazione del Ministero dei lavori pubblici inviata alla Prefettura.

111 Altri documenti si trovano ancora presso il Provveditorato alle opere pubbliche di Pisa. 112 ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 8, « Bonifica pianura settentrionale pisana. Fiume

Morto ». 113 R. FIASCHI, Fiume Morto (Un problema secolare risolto), Pisa 1936, pp. 9-11. 114 Si veda: Ufficio dei fiumi e fossi. Per la classificazione della sistemazione generale di

Fiume Morto nella prima categoria delle opere di bonifica ai termini dell’art. 4 della legge 25 giugno 1882, n. 869, Pisa, Nistri e C., 1898.

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lo giudicò insufficiente e tale da riuscire a bonificare solo una parte (circa la metà) della vasta pianura pisana 115. Il progetto era infatti basato sulla sempli-ce correzione e sistemazione del Fiume Morto, cioè del canale collettore delle acque di tutta l’area. Il parere dell’Ufficio del genio civile fu sostanzialmente accolto dal Consiglio superiore dei lavori pubblici che nel 1899 invitò l’Ufficio dei fiumi e fossi a far riformare il progetto Odifredi 116. Un nuovo progetto fu posto all’esame nel 1900. Il Consiglio superiore lo giudicò meri-tevole di approvazione come progetto di massima, purché vi fossero apportate una serie di varianti da esso stesso indicate. Si pronunziò inoltre per la conti-nuazione degli studi in relazione ai problemi presentati dalla foce del Fiume Morto. Emise poi parere favorevole sulla richiesta di classificazione in prima categoria della pianura settentrionale pisana, cui venne provveduto l’anno successivo 117. Un nuovo progetto, redatto dall’ingegnere Alberto Ricci Busat-ti, fu presentato dall’Ufficio dei fiumi e fossi nel 1906. Anche questo fu approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici solo come progetto di massima in quanto mancante del prescritto accertamento preventivo dell’Uffi- cio del genio civile sulle condizioni di fatto e sui prezzi in esso contem- plati 118. L’esecuzione della bonifica fu infine data in concessione, nel 1915, al Consorzio del compartimento settentrionale pisano, dipendente per la gestione tecnico-amministrativa dall’Ufficio dei fiumi e fossi 119. Alla base della

115 « La Regia Amministrazione una volta chiamata a concorrere nelle spese non può arre-starsi a mezza strada, ma deve considerare e valutare tutte le opere occorrenti per il bonificamen-to completo e non parziale come si contempla nel progetto allegato (...) » (ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 8, « Parere dell’Ufficio sull’inscrizione in prima categoria delle opere occorrenti per la completa bonificazione della pianura settentrionale pisana »). La posizione critica del Poletta nei riguardi dell’operato dell’Ufficio dei fiumi e fossi (si veda la parte di questo lavoro dedicata ai consorzi idraulici) appare in un altro rapporto diretto alla Prefettura: « È un fatto che la pianura settentrionale pisana (...) va soggetta a frequenti allagazioni per una superficie di circa trenta chilometri quadrati, (...) con una spesa veramente mite, circa 1.300.000 di lavori opportuni di sistemazione del collettore principale, denominato Fiume Morto, si potrebbe bonificare la detta pianura conseguendo un beneficio agricolo considerevole, (...) senza contare un rilevante vantaggio igienico, perché risentirebbe beneficio una popolazione di circa 40 mila abitanti, compresa metà della città di Pisa (...). Ben prima d’ora, fino dal 1882 Comuni e Consorzio d’interessati avrebbero dovuto ottenere la classificazione in prima categoria, ma sia per ignoranza delle leggi sia per poca volontà dell’Ufficio dei fiumi e Fossi che sembra evitare il controllo di chicchessia e vuole agire sempre indipendentemente dall’autorità tutoria, sia per indolenza, il fatto sta che soltanto recentemente, mercé l’eccitazione specialmente dell’Egregio Ingegnere Cuppari, uno dei possidenti interessati, intelligente in fatto di lavori di bonifica, il detto Uffizio dei Fiumi e Fossi si decise finalmente di avanzare la domanda di classifica in prima categoria per alcune opere limitate alla correzione parziale del detto Fiume Morto... » (ibid., lettera del 19 febbraio 1898).

116 Ibid., copia del verbale dell’adunanza del 15 maggio 1899 (Consiglio generale). 117 R.d. 6 gen. 1901, n. 12. 118 ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 8, fasc. « Vecchie pratiche », verbale dell’adunanza del

16 giugno 1911, (Sezione seconda del Consiglio superiore dei lavori pubblici). 119 Ibid., d.m. 20 mag. 1915 (copia).

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concessione fu posto il progetto Ricci Busatti, riformato nel 1914 dall’inge- gnere Petri, con la divisione in quattordici progetti di stralcio relativi ad altrettanti lotti. I lavori, subito iniziati, avrebbero dovuto essere conclusi nel 1925 ma si protrassero ben oltre il 1936 120. L’altra bonifica di cui è solo in parte possibile ricostruire alcune vicende è quella di Tombolo 121, parte della più vasta bonifica della pianura meridionale pisana 122, classificata in prima categoria nel 1920 123. Nel 1925 l’esecuzione della bonifica di Tombolo, che costituiva uno dei quattro bacini in cui su proposta dell’Ufficio del genio civile di Pisa era stato suddiviso il territorio della bonifica della pianura meridionale pisana (Tenuta di Coltano, bacino orientale, bacino settentrionale, Tenuta di Tombolo), fu affidata in concessione alla impresa Saverio Parisi 124. Contemporaneamente venne approvato il progetto d’esecuzione dei lavori, presentato dall’impresa. La possibilità di assegnare in concessione anche ad imprese e società private l’esecuzione di opere di bonifica di prima categoria era infatti stata nuovamente prevista nel 1923 125. I lavori di bonifica potevano dirsi ormai ultimati nel 1933 quando l’ingegnere Giovanni Girometti si pronunziò a favore della costituzione di un consorzio di manutenzione 126.

Le classi dell’archivio del Genio civile di Pisa destinate a contenere do-cumenti relativi alle bonifiche sono otto. La classificazione dei documenti venne operata sulla base della tipologia degli affari trattati. Nella classe XXXIV furono raccolti i documenti relativi alle opere di manutenzione. La classe XXXV fu riservata all’archiviazione dei progetti per opere nuove, la XXXVI alla contabilità dei lavori, la XXXVII all’amministrazione dei terreni bonificati, la XXXVIII alle osservazioni idrometriche, pluviometriche, ecc., la XXXIX alle concessioni (concessioni diverse e per l’esecuzione di opere di

120 Ancora nel 1939 venne presentato un progetto di lavori di completamento della bonifica (ibid., « Progetto per le opere di completamento della bonifica. Relazione d’istruttoria », 27 giugno 1940).

121 Si veda in particolare: ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 6, fasc. « Bonifica di Tombolo ». 122 Sui presupposti politici economici e sulle vicende della bonifica della pianura meridio-

nale pisana ed in particolare della bonifica di Coltano si veda: M. SCARDOZZI, La reale Tenuta di Coltano, in Terre e paduli. Reperti documenti immagini per la storia di Coltano, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 1986, pp. 285-305; L. SAVELLI, La Tenuta di Coltano durante la gestione dell’Opera nazionale combattenti, ibid., pp. 309-324.

123 R.d. 11 mar. 1920, n. 442. 124 D.m. 20 ott. 1925, n. 9368, in ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 6, fasc. « Bonifica di

Tombolo ». 125 R.d. 30 dic. 1923, n. 3256, Testo unico delle leggi sulle bonificazioni delle paludi e dei

terreni paludosi. Il precedente testo unico di legge (r. d. 22 mar. 1900, n. 195) prevedeva la concessione delle opere di bonifica di prima categoria solo alle Province, ai Comuni, ai consorzi di proprietari interessati.

126 ASPI, UGC, classe XL, b. 2, fasc. 6, lettera del 10 ottobre 1933, diretta al Ministero dell’agricoltura e foreste, direzione generale della bonifica integrale. Nel 1937 il consorzio fu aggregato all’Ufficio dei fiumi e fossi di Pisa.

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bonifica), la XL agli affari diversi. La XLI fu destinata ad accogliere i docu-menti riguardanti vertenze, ricorsi, reclami ed istanze diverse.

4. Servizio stradale. — Un altro ramo del servizio di cui l’Ufficio di Pisa

dovette tornare presto ad occuparsi fu quello stradale. La legge sui lavori pubblici del marzo 1865, ordinando la classificazione delle strade in quattro categorie, aveva tracciato i limiti dell’azione dello Stato, delle Province, dei Comuni. Come si è visto nessuna delle strade esistenti in provincia di Pisa fu classificata fra le nazionali. Cessarono quindi le attribuzioni dirette dell’Uffi- cio del genio civile di Pisa in materia di strade. Ben presto l’arretratezza della rete stradale o addirittura la sua assenza in vaste zone del territorio nazionale fu vista dai governi del tempo come uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo economico del nuovo Stato unitario. Rivolgendosi ai prefetti, nell’ottobre del 1865, il ministro dei lavori pubblici Jacini metteva in evidenza la necessità e l’importanza d’incoraggiare un rapido sviluppo di una rete di strade minori carreggiabili, la cui realizzazione incontrava gravi ostacoli nelle difficili condizioni finanziarie di tante amministrazioni locali 127. La realizzazione in tempi brevi di una vasta rete di strade avrebbe comportato per le popolazioni di molti comuni e province gravi sacrifici economici. Sulla base di queste considerazioni già nel 1867 un altro ministro dei lavori pubblici, De Vincenzi, diede la possibilità, ai Comuni che ne facessero richiesta, di avvalersi del- l’opera degli ingegneri del Genio civile ai fini della progettazione di strade comunali. L’opera degli ingegneri del Corpo avrebbe infatti consentito un risparmio sulle spese di progettazione, di solito assai gravose 128. Questa agevolazione non produsse gli effetti sperati e nel 1868 si ritenne necessario emanare la legge sulla costruzione delle strade comunali obbligatorie che impose ai Comuni di costruire e sistemare le loro più importanti strade e diede al governo il potere di imporre tali interventi 129. Non tutte le strade comunali erano da considerarsi obbligatorie. Lo erano soltanto quelle che presentavano una certa importanza territoriale mentre erano escluse quelle di puro interesse locale di singoli centri abitati 130. Entro un semestre dalla

127 Circolare del Ministero dei lavori pubblici, 23 ottobre 1865, in «Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1865 ed altre anteriori », XLIV (1865), 2, pp. 345-348.

128 Circolare del Ministero dei lavori pubblici diretta ai prefetti, 9 marzo 1867 in « Colle-zione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1867 ed altre anteriori », XLVI (1867), 2, pp. 787-788. Agli Uffici del genio civile, alle Prefetture, alle Amministrazioni locali si richiedeva poi di avanzare proposte intorno ai modi di facilitare la costruzione di strade comunali.

129 L. 30 ago. 1868, n. 4603. 130 Per la legge del 1868, n. 4603, erano da considerarsi strade obbligatorie quelle strade

comunali che erano necessarie per porre in comunicazione il maggior centro di popolazione di un comune col capoluogo del rispettivo circondario o col maggiore centro di popolazione dei comuni vicini; quelle che erano necessarie per mettere in comunicazione i maggiori centri di

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promulgazione della legge i Comuni avrebbero dovuto formare gli elenchi delle proprie strade comunali obbligatorie. Questi dovevano essere trasmessi al prefetto che li omologava dopo aver sentito il parere dell’Ufficio del genio civile 131. Entro tre mesi dall’omologazione il prefetto doveva richiedere la convocazione dei consigli comunali. Questi potevano decidere d’intervenire direttamente nella costruzione delle strade comunali obbligatorie, dando alle proprie giunte municipali l’incarico di nominare gli ingegneri compilatori dei progetti, oppure potevano chiedere al prefetto che si provvedesse all’esecu- zione d’ufficio della legge del 1868. In questo caso il prefetto doveva dare incarico ad un ingegnere del Genio civile di determinare le condizioni genera-li della strada da costruirsi 132. La direzione del servizio tecnico per l’esecu- zione coattiva della legge sulle strade comunali obbligatorie venne affidata successivamente agli ingegneri capi del Genio civile, i quali dovevano forma-re all’interno dei rispettivi uffici una sezione speciale, incaricata esclusiva-mente di curare quel particolare servizio 133. Era prevista la possibilità che lo studio concreto dei progetti fosse affidato a personale straordinario (ingegneri delegati) non appartenente al Genio civile ma posto alle dipendenze degli ingegneri capi. Anche Pisa fu chiamata a dar conto della propria situazione stradale. Nel 1865 l’Ufficio del genio civile di Pisa riferì al prefetto di ritene-re assai esteso e quasi perfetto il grado di sviluppo della rete di strade secon-darie della provincia. Osservò inoltre che solo nel circondario della Sottopre-fettura di Volterra sarebbero stati desiderabili « non pochi bracci di strada ruotabile per porre in comunicazione fra loro quelle Comunità montuose » e per agevolare l’agricoltura ed il commercio. A questi bisogni però — sempre secondo l’Ufficio — i Comuni e la Provincia avrebbero potuto far fronte coi loro mezzi ordinari, senza bisogno di ulteriori sostegni da parte dello Stato 134. Dieci anni dopo l’Ufficio espresse un’opinione del tutto diversa. In una relazione del 1875, l’ingegnere capo Giani riferì al Ministero dei lavori pubblici che, nel dare attuazione alle disposizioni della legge del 30 agosto 1868, « fu posto in evidenza il difetto in alcuni Comuni delle strade di prima-ria importanza, ed in altri l’urgentissimo bisogno di qualche sistemazio-ne... » 135. Anche nella provincia di Pisa si dovette dar corso all’esecuzione d’ufficio della legge per mettere in comunicazione alcune comunità che si popolazione del comune con le ferrovie ed i porti, sia direttamente, sia collegandosi ad altre strade esistenti; quelle che dovevano servire a mettere in comunicazione le frazioni importanti di un comune.

131 R.d. 11 set. 1870, n. 6021, « Regolamento per la costruzione e sistemazione obbligatoria delle strade », art. 6.

132 Ibid., art. 11. 133 « Istruzioni per l’esecuzione d’ufficio della legge del 30 agosto 1868, n. 4613 », allegate

al d. m. 10 set. 1872 (copia anche in ASPI, Prefettura, b. 1238). 134 ASPI, Prefettura, b. 904, affare 96, lettera dell’ingegnere Cerreti del 4 novembre 1865. 135 ASPI, UGC, classe XXIV, b. 1, relazione del 16 ottobre 1875.

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trovavano isolate 136. Già nel 1874 appare costituita all’interno del Genio civile di Pisa la sezione speciale per il servizio delle strade comunali obbliga- torie 137. La sezione speciale, come prescritto da un regolamento emanato nel 1870, si occupava dell’andamento generale del servizio, formulando pareri sui tracciati di strade obbligatorie proposte direttamente dai Comuni o effettuando studi sui tracciati delle strade per le quali era stata attivata l’esecuzione d’ufficio 138. Doveva indicare inoltre le condizioni generali delle strade da costruirsi. Della diretta esecuzione della legge del 1868 sulle comunali obbli-gatorie era invece incaricato del personale tecnico non appartenente al Corpo del genio civile ma posto alle immediate dipendenze dell’ingegnere capo. Si trattava di una squadra di tre ingegneri delegati, incaricati principalmente di compilare i progetti delle strade obbligatorie, di provvedere alla loro costru-zione e sistemazione, di sorvegliare la regolare manutenzione delle strade già costruite e sistemate 139. L’esecuzione d’ufficio della legge del 1868 riguardò in un primo tempo un gruppo di Comuni costituito da Monteverdi, Castelnuo-vo Val di Cecina, Suvereto, Sassetta, Montecatini Val di Cecina, Chianni e Laiatico. In seguito anche Campiglia richiese l’esecuzione d’ufficio della strada che la collegava con la frazione di Casalappi. Terminati intorno al 1880 i lavori relativi al gruppo di Monteverdi la delegazione stradale (costituita dagli ingegneri delegati) fu sciolta. Restò invece la sezione speciale 140. La sezione stradale, la quinta dell’Ufficio del genio civile di Pisa, nata come speciale per dirigere l’esecuzione della legge sulle comunali obbligatorie assunse presto anche altri compiti. Nel 1883 la sezione si occupava anche di esaminare i progetti, presentati dai Comuni, di costruzione e manutenzione di strade comunali e vicinali non obbligatorie, regolate cioè semplicemente dalla legge sui lavori pubblici del 1865 141. Si occupava inoltre del servizio relativo alle strade provinciali sussidiate dallo Stato. Era infatti stata emanata una legge che finanziava per il quindicennio 1881-1895 la costruzione di nuove opere stradali straordinarie 142. Il finanziamento riguardava strade nazionali e

136 Scriveva l’ingegnere Giani: « Si formò un gruppo di Comuni più bisognosi di viabilità, col titolo di gruppo di Monteverdi, nel quale fu proposto di sistemare e costruire chilometri 107, 897 di strade (...) affidando lo studio dei progetti ad una squadra composta di un ingegnere e di due aiutanti. Furono compilati tre progetti dei quali è già stata ordinata l’esecuzione (...) ed ora va ad intraprendersi lo studio di altre linee nel medesimo gruppo comprese, per cui nell’anno prossimo può prevedersi che anche questo servizio andrà a prendere il necessario sviluppo... » (ibidem).

137 ASPI, UGC, classe XXIV, b. 1, fasc. 1, « Atti relativi alla consegna del servizio alla squadra » e documenti diversi della stessa busta.

138 R.d. 11 set. 1870, n. 6021. 139 ASPI, UGC, classe XXIV, b. n. 1, relazione del 16 ottobre 1875. 140 Ne sarà titolare per circa dodici anni e fino al 30 giugno 1893, quando verrà trasferito

ad Arezzo, l’ing. Aristide Bruni. Assunto per alcuni anni come ingegnere straordinario entrò solo in seguito (lo era già nel 1887) nei ruoli del Genio civile.

141 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F. 142 R.d. 23 lug. 1881, n. 333.

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provinciali che venivano indicate in elenchi allegati alla legge. La provincia di Pisa ottenne il concorso dello Stato nel finanziamento di quattro strade pro-vinciali i cui tronchi ricadevano anche nei territori delle province di Firenze e Lucca. Queste strade erano indicate nell’elenco allegato alla legge dell’1881 con i numeri 127, 128, 129, 156 143. L’esecuzione di queste quattro strade era obbligatoria. Lo Stato vi concorreva col finanziamento di metà della spesa effettiva. La progettazione e la costruzione delle strade finanziate dalla legge del 1881 erano affidate alle Province ma nel caso in cui queste entro un anno non avessero provveduto ad approvarne l’andamento generale e a reperire i mezzi per finanziare la quota a loro carico, la costruzione sarebbe stata fatta direttamente dallo Stato. Era inoltre data facoltà alle Province di chiedere che della costruzione si occupasse lo Stato. Così accadde per Pisa, dove l’Am- ministrazione provinciale lasciò allo Stato l’onere di provvedere a tutto ciò che si riferiva alle quattro strade indicate negli elenchi allegati alla legge del 1881 144. L’azione dell’Ufficio del genio civile di Pisa nei riguardi del servizio inerente alle strade provinciali sussidiate fu determinata quindi dalle norme contenute nel regolamento attuativo della legge del 1881, emanato soltanto nel 1884 145. Il regolamento prevedeva che sull’andamento di ciascuna strada provinciale dovevano deliberare i Consigli provinciali. Le deliberazioni dove- vano poi essere inviate al Ministero dei lavori pubblici, accompagnate dai relativi progetti o da studi di massima. Sopra ogni deliberazione gli ingegneri capi del Genio civile dovevano, con un’apposita relazione, esporre al Ministe-ro il loro motivato parere, pronunziandosi sia sui tracciati prescelti che riguar-do alle convenienze tecniche, ai bisogni e agli interessi cui le strade erano destinate a servire. L’approvazione definitiva dell’andamento delle strade veniva fatta con decreto reale. All’approvazione dei consigli provinciali erano sottoposti anche i tracciati di quelle strade la cui esecuzione fosse stata assunta direttamente dal governo. Dal 1884 in poi la sezione stradale del- l’Ufficio del genio civile di Pisa avviò studi e giunse alla formulazione di progetti di massima e di dettaglio per tutte le quattro strade finanziate dalla legge del 1881 ma, nel settembre del 1890, il Consiglio provinciale decise di avocarne a sé la costruzione perché il governo non vi aveva ancora provvedu-to e richiese al Ministero dei lavori pubblici di autorizzare l’Ufficio del genio civile di Pisa a consegnare all’Ufficio tecnico provinciale gli studi ed i proget-ti elaborati e già approvati dallo stesso Ministero o in corso di approvazione 146.

143 Le quattro strade erano così indicate: 127 « Strada da Altopascio a Bientina con dirama-zione alla provinciale del Tiglio »; 128 « Strada delle Colline per Legoli tra Pontedera per Palaia e Peccioli e la via di Castelfalfi »; 129 « Strada Volterrana per i pressi di Vicarello e Villamagna al Castagno »; 156 « Strada di Popogna, completamento della strada traversa livornese tra la via Emilia e Livorno ». Quest’ultima strada interessava le due province di Pisa e Livorno.

144 ASPI, UGC, classe XXII, b. 1, fasc. 2, relazione del 20 novembre 1886. 145 R.d. 20 mar. 1884, n. 2156. 146 ASPI, UGC, classe XXII, b. 2, fasc. 3, copia della deliberazione della Deputazione pro-

vinciale di Pisa del 17 aprile 1891.

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La consegna dei documenti avvenne nel luglio del 1891 147. Dopo questo passaggio di competenze le ingerenze dell’Ufficio del genio civile nel servizio stradale rimasero quelle stabilite dal regolamento emanato nel 1884 148 per l’attuazione della legge sulle strade provinciali sussidiate dallo Stato e quelle contenute nei regolamenti per il servizio del Genio civile 149. Le disposizioni regolamentari, emanate dal 1863 al 1894, prevedevano infatti non soltanto che gli ingegneri capi e gli ingegneri di sezione compissero visite periodiche alle strade per verificarne lo stato di conservazione ma anche che gli ingegneri preposti agli Uffici fornissero, su richiesta delle Prefetture, pareri sul merito di progetti relativi a lavori d’interesse provinciale, comunale e consortile e notizie e chiarimenti su tutti gli affari tecnici riguardanti pubbliche ammini-strazioni. Specifiche disposizioni erano contemplate nel regolamento del 1894 in merito alle opere la cui esecuzione, affidata a Province, Comuni, consorzi, si effettuava però con il concorso dello Stato. In relazione a queste opere (le strade provinciali sussidiate o comunali obbligatorie) gli ingegneri capi del Genio civile erano tenuti ad esercitare un attivo sindacato « col consigliare e dirigerne la condotta tecnica ed economica, col tenere in evidenza lo stato delle opere e delle spese procurando che in tutto fossero osservati i progetti approvati » 150. Queste disposizioni generali erano integrate da quelle particola-ri contenute nel regolamento del 1884 per l’esecuzione di opere stradali sussidiate dallo Stato 151. Veniva ribadito il compito di alta sorveglianza sui lavori affidato agli ingegneri capi del Genio civile i quali, oltre a doversi pronunziare sull’andamento generale delle strade da costruirsi, avevano il diritto di esaminare tutti i documenti connessi ai lavori, di procedere ad accertamenti per verificare le misure e la natura delle opere da eseguire; dovevano inoltre rassegnare al Ministero dei lavori pubblici rapporti circo-stanziati su eventuali perizie aggiuntive presentate dagli appaltatori. Anche i costi finali delle opere dovevano essere accertati dall’ingegnere capo mentre il collaudo, su richiesta della Provincia, poteva essere fatto da un ufficiale superiore del Genio civile. Alla fine di ogni anno finanziario era previsto il pagamento alle Province della quota di concorso nelle spese gravanti sullo Stato. Anche in questo caso l’ingegnere capo era preliminarmente chiamato a verificare, in base al progetto approvato, lo stato dei lavori e a compilare un prospetto riassuntivo dei progressi compiuti durante l’anno. Questo documen-to, insieme ad una relazione sull’andamento tecnico ed amministrativo del-

147 Ibid., lettera dell’ingegnere capo del 30 luglio 1891. 148 R.d. 23 mar. 1884, n.. 2156. 149 R.d. 13 dic. 1863 n. 1599; r.d. 3 mar. 1889, n. 5997; r.d. 1° ago. 1893, n. 633; r.d. 13

dic. 1894, n. 568; quest’ultimo restò in vigore fino al 1931. 150 R.d. 13 dic. 1894, n. 568, art. 12, lettere e e, f f. 151 R.d. 20 mar. 1884 n. 2156.

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l’appalto, andava poi trasmesso al Ministero dei lavori pubblici 152. Nuove norme per l’esecuzione delle opere pubbliche furono poi introdotte con alcuni decreti successivi 153. A queste norme, estese ai lavori che si eseguivano, con o senza il concorso dello Stato, dalle Province, dai Comuni, da consorzi amministrativi, furono apportate ancora modificazioni nel 1925. In base ad un nuovo decreto emanato in quell’anno, i progetti delle opere eseguite dalle Amministrazioni civili dello Stato dovevano essere approvati dal Ministero competente previo il visto dell’ingegnere capo del Genio civile fino all’im- porto di centomila lire, dell’ispettore superiore di circolo del genio civile per importi compresi fra le centomila e le cinquecentomila lire, del Consiglio superiore dei lavori pubblici per importi maggiori 154. Come abbiamo visto nel 1891 i lavori relativi alle quattro strade sussidiate riguardanti la provincia di Pisa furono riassunti dall’Amministrazione provinciale senza che ciò compor-tasse un’immediata esecuzione 155. A queste quattro strade ne furono aggiunte nel 1919 altre sei, da costruirsi sempre a cura della Provincia con il concorso dello Stato, in quanto riconosciute di speciale importanza anche relativamente alla bonifica idraulica ed agraria della Maremma toscana 156. Per quanto riguarda invece le comunali obbligatorie, nella provincia di Pisa non ve n’era più alcuna in costruzione nel 1894 157, anno in cui una nuova legge 158 inter-venne a sospendere, fino a nuove disposizioni, quella del 1868. Il carico finanziario che l’attuazione di quest’ultima legge aveva comportato per i Comuni si era rivelato infatti eccessivo 159. Nel 1903 160 un nuovo sussidio venne previsto per quei Comuni che entro otto anni avessero costruito strade di accesso a stazioni ferroviarie e porti, e che entro dieci anni avessero

152 In relazione alla contabilità dei lavori gli Uffici del Genio civile erano tenuti ad attener-si alle norme contenute nel regolamento per la direzione, contabilità e collaudazione dei lavori dello Stato (r. d. 19 dic. 1875, n. 2854, modificato col r. d. 25 mag. 1895, n. 350).

153 D. lgt. 6 feb. 1919, n. 107; r. d. 8 feb. 1923, n. 422; r.d.l. 28 ago. 1924, n. 1396. 154 R.d.l. 7 mag. 1925, n. 646. Il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici era

sempre necessario quando dovevano essere determinati criteri di massima o quando erano in discussione progetti parziali di opere la cui spesa complessiva si prevedeva superiore a duecen-tomila lire.

155 Il punto della situazione fu fatto nel 1902 dall’Ufficio del genio civile. A quella data ri-sultavano ancora da iniziare i lavori riguardanti le due strade 128 e 156 mentre erano compiuti in parte quelli riguardanti la 127 e la 128. ASPI, UGC, classe XXII, b. 2, fasc. 3, « Stato dei progetti e delle costruzioni, 28 ottobre 1902 ».

156 D. lgt. 25 mag. 1919, n. 1175. Le strade riguardanti la provincia di Pisa erano elencate nel decreto con i numeri da 268 a 273. Era inoltre finanziata la costruzione di due ponti sul Cornia, nelle località Boschetto e Balzone.

157 ASPI, UGC, classe XXIV, b. 5, fasc. 28, lettera dell’ingegnere capo del 9 agosto 1894. 158 L. 19 lug. 1894, n. 338. 159 Si veda L. BORTOLOTTI, Viabilità e sistemi infrastrutturali, in Storia d’Italia, Annali, 8,

Insediamenti e territorio, Torino, Einaudi, 1985, p. 340. 160 L. 3 lug. 1903, n. 312.

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completato le comunali obbligatorie rimaste incompiute per effetto delle disposizioni emanate nel 1894 161. I progetti per la costruzione di tutte queste strade dovevano essere compilati a cura e spese dei Comuni ed approvati dai prefetti dietro parere dell’Ufficio tecnico provinciale e dell’Ufficio del genio civile. Nel 1923 furono infine dettate nuove norme per la classificazione e manutenzione delle strade pubbliche che vennero divise in cinque classi 162. Le strade che costituivano la rete viabile principale del Regno ed i principali allacciamenti di queste alle reti viabili degli Stati vicini furono poste nella prima classe. Alla manutenzione di queste strade doveva provvedere lo Stato 163. Al decreto era allegato l’elenco di 118 strade dichiarate di prima classe di cui veniva indicato anche il percorso. Tre di queste scorrevano nel territorio della provincia di Pisa. Erano indicate nell’elenco con i numeri 3, 53, 54 164. Poco dopo, nel 1924, fu disposto per queste tre strade, già classifi-cate come provinciali, il passaggio dall’amministrazione della Provincia a quella dello Stato. L’Ufficio del genio civile di Pisa le ricevette in consegna alla fine di giugno di quello stesso anno 165. La competenza del Genio civile sulle strade di prima classe fu di breve durata. Nel 1928 fu infatti istituita

161 L. 19 lug. 1894, n. 338. 162 R. d. 15 nov. 1923, n. 2506. 163 Appartenevano alla seconda classe le strade che servivano in generale alla più diretta

comunicazione fra il capoluogo di una provincia ed i capoluoghi delle Province limitrofe, ovvero che congiungevano il capoluogo d’una provincia coi capoluoghi dei circondari in cui la stessa era divisa o infine, che congiungevano il capoluogo d’una provincia coi porti vicini o coi più importanti valichi alpini o appenninici. Le spese di manutenzione di queste strade gravavano sulle Province per tre quarti e per un quarto sullo Stato. Appartenevano alla terza classe le strade che, formando una rete organica con quelle della prima e della seconda classe, mettevano in comunicazione i capoluoghi dei comuni di una provincia coi rispettivi capoluoghi di mandamento e di circondario. Alla manutenzione di queste strade provvedevano le Province. Le spese però dovevano essere ripartite fra Province e Comuni, gravando metà sulle Province e metà sui Comuni. Appartenevano alla quarta classe le strade non comprese nella precedente e che congiungevano il maggior centro di un comune coi centri maggiori dei comuni contigui, con le sue frazioni, con le chiese parrocchiali, col cimitero, con la vicina stazione ferroviaria o, con un porto marittimo, lacuale, fluviale. Alla stessa classe appartenevano inoltre le strade che congiun-gevano fra loro le principali frazioni di un comune e quelle che, essendo all’interno dei luoghi abitati, non costituivano traverse di strade comprese nelle prime tre classi. Alla manutenzione di queste strade dovevano provvedere interamente i Comuni a loro spese. Appartenevano alla quinta classe le strade militari aperte al pubblico transito. Alla manutenzione di queste strade doveva provvedere l’amministrazione militare con il contributo dei Comuni attraversati dalle stesse.

164 La strada n. 3 era la Tirrenia superiore che partendo dal confine francese giungeva fino a Roma; il percorso della strada n. 53 partiva da Pisa e, passando per Firenze, Forlì, Ravenna, giungeva a Porto Corsini; la strada n. 54 partiva sempre da Pisa e dopo aver toccato Lucca e Borgo a Mozzano, giungeva all’innesto con la strada nazionale n. 55, presso San Marcello Pistoiese.

165 ASPI, UGC, classe XXII, b. 3, fasc. 28, verbali di consegna del 30 giugno 1924. Per qualche tempo (almeno fino al giugno del 1926) fu sempre la Provincia ad occuparsi della manutenzione delle tre strade di prima classe, mentre l’Ufficio del Genio civile predispose gli studi volti a migliorarne l’andamento.

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l’Azienda autonoma statale della strada cui venne affidata la gestione delle strade statali e la loro sistemazione 166. Ancora una volta si dovette procedere ad un cambiamento di competenze di cui però non è rimasta traccia nell’archivio del Genio civile a noi pervenuto. Un elenco annesso alla legge d’istituzione dell’Azienda autonoma statale della strada indicava quali fossero le strade statali. Vi figuravano anche, con diversa denominazione, le tre strade scorrenti in provincia di Pisa dichiarate di prima classe nel 1924 167. I docu-menti relativi al servizio stradale, affidati quasi fino alla fine dell’Ottocento alla sezione speciale dell’Ufficio del genio civile, sono ripartiti in tre classi dell’archivio, la XXII, la XXIII, la XXIV. Nella classe XXII sono conservati quelli relativi alle strade provinciali, nella classe XXIII quelli relativi alle strade comunali ordinarie, nella classe XXIV quelli riguardanti le comunali obbligatorie.

5. Viabilità ferroviaria e tranviaria. — Dopo l’Unità nazionale alla sor-

veglianza sulla costruzione delle strade ferrate concesse all’industria privata 168 furono preposti degli speciali Commissariati tecnici 169. Soppressi nel 1885, le loro attribuzioni passarono quindi agli Ispettorati generali delle strade ferra-te 170. Gli Uffici del genio civile non ebbero quindi competenza diretta in materia di lavori relativi a ferrovie pubbliche e private; dovevano invece vigilare sulle opere eseguite per l’attraversamento dei corsi d’acqua o per la difesa delle ferrovie pubbliche e delle private della seconda categoria. Gli Uffici dovevano curare che le opere stesse non venissero a turbare il buon regime delle acque, la navigazione o la conservazione e la facile praticabilità delle strade pubbliche 171. Relativamente a queste attribuzioni erano chiamati dai prefetti ad esprimere motivati pareri. I concessionari di ferrovie pubbliche o private non avrebbero potuto intraprendere i lavori approvati per la costru-zione di cavalcavia o di sottovia, per il trasporto su strade pubbliche, per la costruzione di ponti o di altre opere sui fiumi e sui canali navigabili, se prima

166 L. 17 mag. 1928, n. 1094. 167 Si trattava delle strade statali n. 1 Aurelia, n. 12 dell’Abetone e del Brennero, n. 67 To-

sco-Romagnola. Un’altra strada statale, la n. 68 di Val di Cecina, attraversava poi il territorio di Volterra.

168 Per notizie generali e bibliografia sulla storia delle ferrovie italiane si vedano: A. MOC-CI, Ferrovie delle Stato, in Novissimo digesto italiano, VII, pp. 233-236; L. BORTOLOTTI, Viabilità e sistemi infrastrutturali…cit., pp. 320-336; S. CASSARINO, Ferrovie statali e ferrovie concesse all’industria privata (evoluzione legislativa e problematica), in Le opere pubbliche, 1, I lavori pubblici... cit., pp. 239-262.

169 Le attribuzioni dei Commissariati tecnici per la sorveglianza della costruzione delle fer-rovie concesse all’industria privata furono fissate con r. d. del 18 nov. 1863, n. 1528.

170 R. d. 22 ott. 1885, n. 3460. 171 Queste attribuzioni derivavano dall’applicazione delle norme contenute nel Titolo V del-

la legge sui lavori pubblici del 1865 (l. 20 mar. 1865, n. 2248, allegato F, artt. 232, 291).

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il prefetto della provincia, inteso il parere dell’ingegnere capo del Genio civile, non avesse acconsentito all’esecuzione delle opere stesse 172. Su incari-co del Ministero dei lavori pubblici gli ingegneri del Genio civile effettuarono talora anche i collaudi di opere ferroviarie di nuova costruzione. Analoghe attribuzioni gli Uffici del genio civile ebbero in merito alle richieste d’im- pianto ed esercizio di linee tranviarie, esprimendo pareri sui progetti presentati da enti o società concessionarie in relazione alle esigenze della viabilità ordinaria e del buon regime dei corsi d’acqua interessati dai lavori. Così negli anni dal 1881 al 1883 il Genio civile di Pisa espresse pareri sulle richieste di costruzione ed esercizio della tranvia a vapore Pisa-Pontedera 173, e della linea tranviaria Navacchio-Calci 174. Nel 1885 la sorveglianza sulla costruzione ed esercizio delle tramvie, fino ad allora affidata ai Commissariati tecnici per le ferrovie, fu demandata dal Ministero dei lavori pubblici agli Uffici del genio civile 175. L’Ufficio di Pisa mantenne le attribuzioni ora descritte fino al gennaio del 1899, quando il Ministero dei lavori pubblici dispose che la trattazione degli affari riguardanti l’autorizzazione e l’esercizio delle tramvie a trazione meccanica fosse affidata, a partire dal 1° febbraio di quello stesso anno, all’Ispettorato generale delle costruzioni e concessioni delle strade ferrate e a quello d’esercizio 176. La consegna del servizio e dei documenti d’archivio avvenne il 31 gennaio 1899. Il Genio civile di Pisa consegnò al Circolo di Firenze dell’Ispettorato generale delle ferrovie sedici fascicoli riguardanti le linee tranviarie Pisa-Pontedera, Navacchio-Calci (con allaccia-mento alla Pisa-Pontedera), Pisa-Marina di Pisa, Val di Nievole dell’Arno inferiore 177. Al Circolo di Roma dello stesso Ispettorato vennero invece consegnati il servizio ed i documenti relativi alla tramvia Botro dei Marmi-Marina di San Vincenzo 178. Dopo il 1899 il Genio civile mantenne, in rela-zione al servizio tranviario, le competenze prescritte da un regolamento emanato l’anno successivo 179. Spettava all’Ufficio un preliminare esame dei progetti — prima che questi fossero dal prefetto trasmessi al Ministero dei lavori pubblici — sempre in rapporto alla viabilità ordinaria ed alle sommità arginali di opere idrauliche di prima e seconda categoria. Quanto è rimasto

172 Ibid., art. 263. 173 La costruzione della tranvia fu autorizzata con d. m. 28 giu. 1882 (ASPI, Prefettura, b.

422, fasc. 718 e b. 639, fasc. 34). 174 L’impianto ed esercizio della linea Navacchio-Calci fu autorizzato con d. m. 17 mag.

1883. Si veda: ASPI, Prefettura, b. 422, fasc. 251. 175 ASPI, UGC, classe XXVI, b. 1, fasc. 9 bis, telegramma del Ministero dei lavori pubbli-

ci del 19 novembre 1885. 176 Ibid., circolare del 17 gennaio 1899, n. 1326-825. 177 Ibid., « Processo verbale di consegna di documenti ed atti... », 31 gennaio 1899. 178 Ibid., verbale del 20 febbraio 1899. 179 R.d. 17 giu. 1900, n. 306, art. 6.

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nell’archivio del Genio civile dei documenti riguardanti le tramvie della provincia è conservato nella classe XXVI 180 mentre alla conservazione dei documenti riguardanti l’esercizio di linee ferroviarie fu riservata la classe XXV.

6. Assetto dell’ufficio tra il 1889 ed i primi anni del Novecento. — Nel

1889 un decreto ministeriale emanato in quell’anno dispose la ripartizione in tre sezioni dei servizi affidati all’Ufficio del genio civile di Pisa 181. Adeguan-dosi a questa norma l’ingegnere capo Leonardo Rambelli affidò alla prima sezione il servizio generale, quello stradale e quello relativo agli edifici demaniali. Alla terza sezione fu affidato l’intero servizio idraulico mentre la seconda sezione dovette occuparsi delle bonifiche 182. Questo assetto dell’Uffi- cio perdurò almeno fino al 1897. Una nuova ripartizione dei servizi è infatti attestata in quell’anno 183. Le sezioni furono portate a quattro, due ordinarie e due straordinarie. Alla prima sezione ordinaria fu interamente affidato il servizio idraulico delle opere di prima e seconda categoria. Alla seconda sezione ordinaria fu affidato il servizio di manutenzione delle opere delle bonifiche di Bientina e di Vada e Collemezzano, ed inoltre il rilevante servi-zio generale connesso ai fabbricati demaniali, alle strade e tramvie. Le sezioni straordinarie erano preposte al servizio relativo alla bonifica di Bientina. Una aveva competenza sui lavori ricadenti nel territorio lucchese, l’altra su quelli da compiersi nel bientinese ricadente in provincia di Pisa. La terza sezione straordinaria era infatti incaricata dello studio dei progetti e dell’esecuzione delle opere nuove necessarie per la completa bonifica della pianura lucchese e provvedeva anche alla manutenzione dei canali di quel territorio. La quarta sezione straordinaria svolgeva gli stessi incarichi nel territorio di Bientina. Modifiche a questa ripartizione dei servizi vennero introdotte nel 1900 da parte dell’allora ingegnere capo Italo Pelleri. In particolare la competenza sulla manutenzione della bonifica del territorio bientinese ricadente in provin-cia di Pisa passò dalla seconda sezione ordinaria alla quarta straordinaria. La mole di lavoro gravante sulle due sezioni ordinarie era però tale che l’Ufficio, malgrado la solerte attività del personale, si venne allora a trovare in gravi difficoltà nel condurre a termine importanti progetti di sistemazione delle

180 Della classe XXVI resta solo una busta costituita da 7 fascicoli numerati (dal 9 bis al

16) che contengono documenti degli anni 1885-1926. 181 ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, lettera D, circolari del 1889, d. m. 13 feb. 1889. Al

decreto è allegata una nota contenente indicazioni sulla ripartizione dei servizi fra le sezioni. 182 ASPI, UGC, classe XX, b. 17, fasc. 3, ordine di servizio del 6 luglio 1889, « Nuova ri-

partizione del servizio in questa provincia ». 183 ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1, circolare del 9 settembre 1897, « Distribuzione dei

vari servizi fra il personale d’Ufficio ». A quella data il personale dell’Ufficio del genio civile era costituito da ventuno persone, compreso l’ingegnere capo Giacomo Poletta.

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arginature dei fiumi Tora e Cornia e dello stesso fiume Arno 184. Anche quest’assetto dell’Ufficio fu di breve durata. Già nel 1905 risulta operante una nuova ripartizione dei servizi. Soppresse le due sezioni straordinarie, il servi-zio relativo alla bonifica di Bientina restò affidato ad un’unica sezione, la seconda, mentre il servizio idraulico fu ripartito fra le sezioni prima, terza e quarta. Quest’ultima si occupò anche dei lavori di manutenzione della bonifi-ca di Vada e Collemezzano. Il rilevante servizio generale fu diviso fra le sezioni terza e quarta.

Dal settembre del 1904 aveva intanto cominciato ad operare la quinta se-zione straordinaria, addetta esclusivamente al servizio dei fabbricati universi-tari 185.

7. Servizio idraulico. — I piani di ripartizione interna dei servizi, attuati

dal 1889 ai primi del Novecento, indicano tutti l’importanza del servizio idraulico affidato all’Ufficio del Genio civile di Pisa, nel cui territorio ricade-vano opere classificate in prima e seconda categoria sulla base della legge sui lavori pubblici del 1865. La legge, affidando al Ministero dei lavori pubblici « il regime e la polizia delle acque pubbliche » e di fiumi, torrenti, laghi e canali, i progetti e le opere relative alla navigazione fluviale e lacuale, aveva infatti dettato le norme per la classificazione in quattro categorie delle opere riguardanti le acque pubbliche 186. Nella prima categoria erano da classificarsi opere che si eseguivano e mantenevano esclusivamente dallo Stato e che avevano per unico oggetto « la navigazione dei fiumi, laghi, e grandi canali coordinati ad un sistema di navigazione o la conservazione dell’alveo dei fiumi di confine » 187. Nella seconda categoria erano da classificarsi le opere che si eseguivano e mantenevano dallo Stato col concorso delle Province e degli enti interessati riuniti in consorzio. Si trattava di opere, poste lungo i fiumi arginati e loro confluenti, che provvedevano « ad un grande interesse di una provincia » 188 o che si compivano al fine di regolare i suddetti corsi d’acqua. Nella stessa categoria erano da classificarsi anche i canali di naviga-zione interessanti una o più Province e che non erano collegati ad altre comunicazioni per acqua 189. Erano da porsi nella terza categoria, cui provve-

184 ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1, circolari e carteggio del 1900, « Compilazione dei progetti, riduzione del numero delle sezioni... », comunicazione del 10 settembre 1900, diretta al Ministero dei lavori pubblici.

185 Il piano di ripartizione dei servizi del 1905 è dedotto da alcune comunicazioni inviate al Ministero dei lavori pubblici il 4 luglio 1905. Si veda: ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1 bis, circolari del 1905.

186 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 1, lett. f. 187 Ibid., art. 93. 188 Ibid., art. 94. 189 Le spese per le opere di questa categoria erano da ripartire per una metà a carico dello

Stato mentre l’altra metà gravava per un quarto a carico della Provincia, o delle Province interessate, e per il rimanente a carico degli altri interessati.

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devano i consorzi degli interessati, le opere necessarie per difendere le rive dei fiumi non arginati e le loro diramazioni e quelle per proteggere le rive dei torrenti da corrosioni che mettevano in pericolo gli interessi di più proprietà. I consorzi degli interessati dovevano provvedere anche alle arginature parziali di tratti di fiumi e di piccoli corsi d’acqua interessanti un limitato territorio. Lo Stato poteva concorrere alle spese sostenute dai consorzi per le opere di questa categoria qualora ne derivasse un vantaggio alla navigazione o una « influenza sulla sicurezza di opere nazionali » 190. A carico esclusivo dei proprietari frontisti erano le opere idrauliche della quarta categoria 191. Sempre in base alla legge sui lavori pubblici del 1865 spettava all’Amministrazione pubblica, il cui organismo tecnico era il Corpo del genio civile, far eseguire le opere delle prime due categorie. Per le opere di terza e quarta categoria era riservata all’autorità provinciale l’approvazione dei progetti, e l’alta sorve-glianza sulla loro esecuzione 192. Per la ripartizione delle spese relative alle opere di seconda, terza, quarta categoria, la legge prevedeva la costituzione di consorzi 193. Entro un anno dall’emanazione della legge il governo avrebbe dovuto pubblicare un elenco dei fiumi, laghi, e canali da iscriversi nella prima categoria, ed un secondo elenco indicante le arginature, le opere idrauliche e i canali navigabili che dovevano essere compresi nella seconda categoria 194. I rimanenti corsi d’acqua e le opere idrauliche non compresi in quegli elenchi erano posti a carico dei consorzi o dei singoli interessati. I primi elenchi contenenti l’indicazione delle opere idrauliche iscritte nella prima e seconda categoria furono pubblicati nel febbraio 1867. Due fra i più importanti corsi d’acqua scorrenti in provincia di Pisa furono classificati in prima categoria e cioè il fiume Arno (dallo scalo del Pignone sotto Firenze fino al suo sbocco in mare) ed il Canale Navigabile Pisa-Livorno (dalla sua origine, presso la Porta a Mare di Pisa, fino alla Dogana d’acqua di Livorno) 195. Nel febbraio

190 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 97. La quota del concorso statale non poteva esse-re maggiore di un quarto della spesa totale. Anche le Province potevano essere chiamate a contribuire alle spese per le opere di terza categoria in ragione dell’utile che ne avrebbe conse-guito il loro territorio.

191 Le opere idrauliche della quarta categoria erano le seguenti: « a) Gli argini in golena, e gli argini circondari e traversanti; b) Gli argini e ripari alle ripe dei fiumi e torrenti, come a quelle dei rivi e scolatori naturali, che servono di difesa ad una o poche proprietà ». Ibid., art. 98.

192 Ibid., art. 92. 193 Avrebbero potuto far parte dei consorzi anche lo Stato, le Province, i Comuni, come

proprietari di beni soggetti a danno, indipendentemente dalla quota di concorso cui fossero obbligati nell’interesse generale. Ibid., art. 106.

194 Gli elenchi dovevano essere approvati per decreto reale, previo il parere dei Consigli provinciali e del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio di Stato (L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 174). Entro un anno dalla pubblicazione degli elenchi avrebbero dovuto essere stabiliti, mediante decreto ministeriale, i perimetri dei territori che con lo Stato dovevano contribuire alle opere nominate negli stessi elenchi (ibid., art. 175).

195 R.d. 11 feb. 1867, n. 3598. Questa prima classificazione dell’Arno fu valutata assai ne-gativamente dal Consiglio provinciale di Pisa (ASPI, Amministrazione provinciale, reg. A 2,

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del 1868 196 vennero classificati in seconda categoria altri corsi d’acqua della provincia di Pisa e cioè il fiume Serchio con gli argini e le sponde (dal confine della provincia di Pisa con quella di Lucca e fino al termine delle arginature verso il mare); il fiume Era (con gli argini e le sponde dalla sua foce risalendo per circa chilometri quattro e novantadue metri); il torrente Zambra (con gli argini e le sponde, dalla sua foce risalendo per circa ottocen-to metri); il rio Filetto (con l’argine e la sponda sinistra, dalla foce in su per circa millecinquecento metri). Anche gli argini e le sponde dell’Arno per tutto il territorio compreso nella provincia di Pisa, furono con lo stesso provvedi-mento posti in seconda categoria, con l’esclusione però dei tronchi urbani che erano allora a carico del Comune di Pisa. Ulteriori aggiunte e modifiche a queste classificazioni vennero apportate nel 1882 197. Furono infatti iscritti in seconda categoria anche i muri di sponda e le spallette del tronco dell’Arno attraversante la città 198 e alcuni tronchi dei fiumi Tora e Cornia 199. Nel 1893 200 una nuova legge apportò modifiche a quella del 1865 sui lavori pubblici con l’istituzione di una nuova categoria di opere idrauliche per provvedere alla sistemazione dei corsi d’acqua che non avevano i caratteri voluti dalla legge del 1865 per essere considerati di seconda categoria ma che per l’entità dei danni che producevano, o minacciavano di produrre, non potevano essere lasciati senza difese. Con la legge del 1893 le categorie delle opere idrauliche divennero quindi cinque. La categoria nuovamente istituita fu la terza 201 mentre le precedenti terza e quarta del 1865 divennero rispettiva- deliberazione del Consiglio provinciale del 15 aprile 1867); si riferiva infatti — secondo l’interpretazione datane da un consigliere provinciale — niente più che all’acqua del fiume, mentre venivano escluse dal concorso dello Stato le sponde, gli argini del fiume stesso e dei suoi affluenti, tutte opere per le quali il Consiglio aveva precedentemente richiesto l’iscrizione nella prima categoria. Analoga proposta il Consiglio provinciale aveva avanzato in relazione al tratto del Serchio scorrente in provincia di Pisa. Con il decreto del 1867 queste proposte vennero del tutto disattese. Nell’agosto del 1867 il Consiglio provinciale accolse infine ed appoggiò la proposta d’iscrizione in seconda categoria delle sponde ed arginature dei due fiumi Arno e Serchio (ibid., deliberazione del 21 agosto 1867).

196 R.d. 4 feb. 1868, n. 4184. 197 L. 5 lug. 1882, n. 876. 198 La nuova classificazione riguardava il tratto urbano dell’Arno che veniva così indicato

« dallo scalo a monte della barriera doganale delle Piagge fino allo spigolo anteriore alla casa detta di Ponte, prossima al luogo ov’era l’antico Ponte a Mare » (ibidem); venivano però esclusi tre ponti, tre scali che servivano alla navigazione e al commercio, il muro della casa Scotto a monte del ponte alle Piagge, il tratto di muro di spalletta sul quale era stata recentemente ricostruita la chiesa della Spina.

199 Per quanto riguarda il fiume Tora vennero posti in seconda categoria gli argini e le sponde « dalla pescaia di Colleromboli, presso Collesalvetti, fino al termine delle arginature presso il mare ». Anche gli argini e le sponde del Cornia erano classificati in seconda categoria « dalla loro origine presso la fattoria della Bandita fino al ponte della Sdriscia » (ibidem).

200 L. 30 mar. 1893, n. 173. 201 Erano da considerarsi nella nuova terza categoria quelle opere, non comprese già nella

prima e seconda, che fossero volte a conseguire i seguenti scopi: a) difendere ferrovie, strade ed

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mente quarta e quinta. Alla costruzione delle opere della nuova terza categoria dovevano provvedere gli interessati riuniti in consorzio, col concorso dello Stato, delle Province, dei Comuni 202. La legge prevedeva inoltre che gli Uffici del genio civile, ottenutone il permesso dal Ministero dei lavori pubblici, potessero essere incaricati di redigere i progetti anche per le opere idrauliche di terza, quarta, quinta categoria. Ciò poteva avvenire su richiesta dei consor-zi, in particolare quando questi non avessero mezzi sufficienti per poter ricorrere all’opera di ingegneri privati 203. Nel 1904 tutte le norme vigenti in materia di opere idrauliche vennero raccolte in un testo unico di legge 204. Sui fiumi e corsi d’acqua del territorio pisano, variamente classificati, si espliche-rà l’azione diretta del Genio civile, con alcune eccezioni. Così il tratto del Cornia classificato in seconda categoria nel 1882, pur ricadendo in provincia di Pisa, rimase affidato alle cure dell’Ufficio del genio civile di Grosseto, in quanto le acque del fiume venivano utilizzate per la bonifica del piombinese la cui gestione il Ministero dei lavori pubblici aveva attribuito nel 1870 proprio all’Ufficio di Grosseto 205. L’Ufficio di Pisa si occupò invece del rimanente corso del fiume. Nel 1904 le opere idrauliche di un altro tratto del Cornia, compreso fra le località « Forni » e la « Bandita » situate nei territori dei comuni di Campiglia Marittima e Suvereto, furono classificate in terza categoria su proposta del Genio civile di Pisa 206. Almeno fino al 1908 il Cornia fu oggetto di particolare sorveglianza da parte del servizio di piena dell’Ufficio di Pisa 207 in quanto soggetto a rovinosi straripamenti. Il Genio civile di Pisa si occupò del Cornia fino al 1909, quando le attribuzioni eserci-tate fino ad allora nei riguardi del tratto superiore del fiume (classificato in terza categoria) furono anch’esse assegnate al Genio civile di Grosseto 208. altre opere di grande interesse pubblico e beni demaniali dello Stato, delle Province, dei Comuni; b) migliorare il regime di un corso d’acqua avente opere già classificate in prima e in seconda categoria; c) impedire che avvenissero sopra estesi territori « inondazioni, straripamenti, corrosio-ni, impaludamenti e invasioni di ghiaia od altro materiale d’alluvione » (ibid., art. 96).

202 Le spese, escluse quelle di manutenzione, andavano ripartite per un terzo a carico dello Stato, per un sesto a carico delle Province interessate, per un sesto a carico dei Comuni interes-sati e per il rimanente terzo a carico del consorzio degli interessati (ibid., art. 97). Le quote di concorso nelle spese furono diversamente determinate con la l. 7 lug. 1902, n. 304, recante anche norme per la costituzione dei consorzi di terza categoria.

203 Circolare del Ministero dei lavori pubblici del 20 maggio 1893, n. 4434 (copia in ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, circolari del 1893).

204 R.d. 25 lug. 1904, n. 523. 205 D.m. del 6 mag. 1870. 206 R.d. del 31 gen. 1904. Copia in ASPI, Prefettura, busta 99, fasc. 27. 207 I documenti relativi a questa attività dell’Ufficio sono contenuti in diverse buste della

classe XX dell’archivio del Genio civile, mentre nella classe XXI sono conservate le osservazio-ni idrometriche relative al periodo che va dal 1899 al 1906.

208 ASPI, Prefettura, b. 99, fasc. 27, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 22 gennaio 1909, prot. n. 245. Con la lettera il Ministero comunicava al prefetto che l’ispettore comparti-

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Nell’archivio in esame non si trova alcun verbale relativo al passaggio di competenze tra i due Uffici di Pisa e Grosseto ma la trasmissione dei docu-menti dovette avvenire probabilmente nello stesso 1909 209. A Pisa non rimase altro che un fascicolo della classe XIII dell’archivio, dedicata a conservare i documenti relativi al fiume Cornia. Altri passaggi di competenze riguardarono i fiumi Tora, Cecina, ed il tratto finale del canale Pisa-Livorno. Le opere idrauliche di seconda categoria inerenti al fiume Tora passarono sotto la competenza dell’Ufficio del genio civile di Livorno nel 1926, su disposizione del Ministero dei lavori pubblici che in quell’anno modificò la ripartizione dei servizi dei due Uffici di Pisa e Livorno 210 per porli in armonia con le nuove circoscrizioni territoriali delle due Province, modificate l’anno precedente 211. In conseguenza di ciò fu ordinata la consegna all’Ufficio del genio civile di Livorno del servizio e dei documenti d’archivio relativi alle opere di seconda categoria del fiume Tora ricadenti ormai nel territorio provinciale di Livor-no 212. Rimasero presso l’Ufficio di Pisa i documenti relativi alla costituzione del Consorzio interprovinciale istituito nel 1892 213 per il mantenimento delle opere di seconda categoria del fiume e pochi altri fascicoli appartenenti alla classe XII dell’archivio, quella appunto riferita al fiume Tora. Il passaggio del servizio relativo al tratto finale del fiume Cecina dall’Ufficio del genio civile di Pisa a quello di Livorno avvenne nel 1932. In quell’anno infatti il Ministe-ro dei lavori pubblici dispose che la giurisdizione degli Uffici del genio civile dovesse coincidere di norma con quella provinciale 214. Nell’agosto del 1932 l’Ufficio di Pisa consegnò a quello di Livorno il servizio relativo al tratto finale del Cecina 215. Nell’archivio del Genio civile di Pisa restano otto fasci-coli della classe XIV bis, destinata a conservare i documenti riguardanti il mentale del Genio civile aveva incaricato l’ingegnere capo dell’Ufficio di Grosseto di procedere alla compilazione del progetto esecutivo delle opere di sistemazione del fiume Cornia classificate in terza categoria. Dopo il 1909 i lavori riguardanti il Cornia appaiono sempre diretti dall’Ufficio di Grosseto.

209 Solo la copertina di un fascicolo reca la scritta « dal presente incartamento è stato [estratto] tutto ciò che riguardava il fiume Cornia ed è stato trasmesso all’Ufficio del genio civile di Grosseto » (ASPI, UGC, classe XVIII, b. 1, fasc. 1).

210 ASPI, UGC, classe XII, b. 1, fasc. 39, lettera del 28 settembre 1926, prot. n. 2387. 211 Le circoscrizioni territoriali delle province di Pisa e Livorno erano state modificate con

r.d.l. del 15 nov. 1925, n. 2011. 212 ASPI, UGC, classe XII, b. 1, fasc. 39, verbale di consegna del 3 novembre 1926. La

consegna riguardò trentadue fascicoli della classe XII, il fascicolo n. 6 della classe XXI (dedicata alle osservazioni idrometriche) ed altri documenti sciolti.

213 D.m. 27 mag. 1892, n. 23551/5759. 214 R.d. 28 lug. 1932, n. 958 e circolare ministeriale del 16 lug. 1932, n. 14035 (copia è in

ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5). 215 ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5, verbale di consegna del 2 agosto 1932. Furono con-

segnate anche alcune piante e i documenti predisposti dall’Ufficio di Pisa per sostenere una proposta di classificazione delle difese idrauliche del tratto terminale del fiume Cecina.

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fiume Cecina. I documenti pervenutici si riferiscono al periodo compreso fra il 1885 ed il 1912. In questi anni l’Ufficio di Pisa esplicò la sua azione in relazione al Cecina, soprattutto in materia di polizia idraulica 216. Oltre che nel territorio di Livorno parte del fiume scorreva però anche nelle Province di Siena e Grosseto. Nel 1932 si addivenne tra i tre Uffici del genio civile a degli accordi in base ai quali furono chiaramente determinati gli ambiti territoriali entro i quali doveva esplicarsi l’azione di ciascuno 217. Anche il servizio relativo al tratto finale (di accesso al porto di Livorno) del canale Navigabile Pisa-Livorno, rimasto fino ad allora interamente affidato al Genio civile di Pisa, passò nel 1932 all’Ufficio del genio civile di Livorno 218.

Proprio in quegli anni si lavorava ancora intorno al canale modificandone il corso per renderlo più idoneo alla navigazione ed abbreviare il collegamen-to con il porto di Livorno. La classe d’archivio destinata a conservare i documenti relativi al servizio idraulico esplicato in relazione all’Arno è la X, mentre quelli inerenti al Serchio si trovano nella classe XI. Connesse al servizio idraulico erano altre attribuzioni dell’Ufficio del genio civile che aveva ingerenza in materia di costituzione dei consorzi idraulici, di derivazio-ni e concessioni d’uso delle acque pubbliche, di polizia idraulica. Oltre al servizio ordinario l’Ufficio era tenuto poi ad attivare, nei casi di particolare necessità, un servizio di piena.

7.1. Consorzi idraulici e Ufficio dei fiumi e fossi. — La costituzione dei

consorzi per opere idrauliche fu regolata fin dal 1865 dalla legge sui lavori pubblici emanata in quello stesso anno. In materia di consorzi la legge attribuì alcuni compiti ai prefetti i cui consulenti tecnici, in relazione ai lavori pubbli-ci, erano gli ingegneri del Genio civile, tenuti a fornire pareri, notizie, chiari-menti, su tutti gli affari che i prefetti avessero voluto loro sottoporre. In particolare nel 1883 il Ministero dei lavori pubblici incaricò l’Ufficio del genio civile di Pisa di compiere studi e presentare proposte per determinare i perimetri consorziali delle opere idrauliche già classificate in seconda catego-

216 Alla « Polizia delle acque pubbliche » erano dedicati gli artt. 165-172 della l. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, ripresi successivamente dal r.d. del 25 lug. 1904, n. 523, che approvava il testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie.

217 ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5, verbale di consegna dei servizi del 16 luglio 1932. Secondo l’allora ingegnere capo Giovanni Girometti la ripartizione del servizio fu effettuata seguendo il più possibile i confini delle tre Province ma tenendo altresì conto delle allora vigenti ripartizioni dei tronchi idraulici e di bonifica che non potevano sempre coincidere coll’ambito provinciale ed imponevano quindi un qualche temperamento alle disposizioni emanate col r. d. 28 lug. 1932 n. 958. Al verbale di consegna dei servizi è allegata una corografia che evidenzia i limiti territoriali dei tre Uffici del genio civile di Pisa, Siena e Grosseto.

218 ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5, verbale di consegna dei servizi del 2 agosto 1932. Tra i due Uffici si convenne che il Genio civile di Livorno nell’attuare ogni nuovo lavoro riguardante l’ultimo tratto del canale avrebbe tenuto conto delle necessità della navigazione prendendo volta a volta accordi con l’Ufficio di Pisa.

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ria 219, attribuzioni queste che forse l’Ufficio aveva esercitato anche in prece-denza.

In base alla legge sui lavori pubblici i consorzi dovevano essere formati dai proprietari dei beni posti in pericolo di danno per la loro prossimità ai fiumi e torrenti. Anche lo Stato, le Province e i Comuni, in quanto proprietari di beni soggetti a danno potevano partecipare ai consorzi. Là dove non esistessero consorzi idraulici ne poteva essere promossa da parte degli interes-sati la costituzione, presentandone richiesta al sindaco, qualora si trattasse di opere il cui interesse fosse limitato al solo territorio comunale, ed al prefetto in ogni altro caso 220. Il sindaco, o rispettivamente il prefetto, doveva far pubblicare le domande nel comune o nei comuni in cui si trovavano i beni che sarebbero stati soggetti al concorso nelle spese e doveva poi convocare l’assemblea di tutti i proprietari interessati. In seguito al voto espresso da questi il Consiglio comunale, o rispettivamente quello provinciale, doveva deliberare sulla costituzione del consorzio. Era riservata al Ministero dei lavori pubblici, sentiti i Consigli provinciali, la costituzione di quei consorzi che si estendessero ai territori di più province. Ordinato e reso obbligatorio il consorzio, l’assemblea degli interessati doveva procedere alla nomina di un consiglio d’amministrazione ed alla redazione di uno speciale statuto. Doveva deliberare poi sul modo di eseguire le opere e i relativi progetti tecnici. I consorzi esistenti erano mantenuti ma entro tre anni dalla pubblicazione della legge i loro statuti avrebbero dovuto essere sottoposti a revisione da parte delle rispettive rappresentanze legali che li avrebbero approvati seguendo le norme prescritte dalla nuova legge.

Per disciplinare la costituzione dei consorzi per le opere idrauliche di seconda categoria nel 1888 venne emanato uno specifico regolamento 221. Le disposizioni contenute nel nuovo provvedimento ribadirono la funzione consultiva esercitata dagli Uffici del genio civile in relazione ai prefetti. Venne prescritto inoltre che un membro dell’Ufficio del genio civile, delegato dal prefetto, dovesse intervenire all’assemblea dei proprietari interessati alla costituzione del consorzio, senza voce deliberativa ma con l’incarico di fornire, occorrendo, notizie e chiarimenti. Al parere del Genio civile la Prefet-tura doveva sottoporre pure le eventuali opposizioni presentate dai proprietari. Altre norme per la costituzione dei consorzi di terza categoria furono emanate nel 1902 222. Tutte queste disposizioni trovarono applicazione anche in provin-cia di Pisa, rivoluzionando l’assetto di un vecchio ufficio, la Deputazione generale dei fiumi e fossi della pianura pisana.

La legge del 1865 sui lavori pubblici aveva prescritto infatti che i corpi morali o le persone che, per effetto di speciali leggi e regolamenti, avessero

219 ASPI, UGC, classe XVIII, b. 2, fasc. 2, circolare del 17 novembre 1883, n. 104312. 220 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 108. 221 R. d. 9 feb. 1888, n. 5231. 222 L. 7 lug. 1902, n. 304.

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allora l’amministrazione o la sorveglianza di opere idrauliche d’interesse sociale, entro un anno avrebbero dovuto promuovere la formazione di consor-zi attenendosi alle prescrizioni della recente normativa. Anche la Deputazione generale dei fiumi e fossi della pianura pisana avrebbe dovuto modificare profondamente la sua organizzazione, il suo funzionamento e provvedere a darsi nuovi regolamenti o statuti. Essa era stata istituita nel 1815 al fine di gestire l’amministrazione economica e la direzione dei lavori di tutti i fiumi, fossi, torrenti e dei corsi d’acqua della provincia pisana soggetti al controllo pubblico 223. L’amministrazione economica e la direzione dei lavori dei due fiumi Arno e Serchio era rimasta invece affidata, fino al 1825, direttamente all’Ufficio dei fossi 224. Quest’ultimo era stato ripristinato dal governo grandu-cale nel giugno del 1814 225 ed aveva tra le sue attribuzioni anche la soprin-tendenza delle comunità del compartimento pisano 226. Nel 1825 l’Ufficio dei fossi di Pisa venne conservato sotto la nuova denominazione di Camera di soprintendenza comunitativa del compartimento pisano 227. Il provveditore della Camera mantenne l’amministrazione delle cinque Masse d’Arno e Serchio, cioè delle associazioni di proprietari su cui gravava l’onere di soste-nere le spese connesse al mantenimento del buon regime dei due fiumi. La progettazione dei lavori riguardanti l’Arno, il Serchio, il Canale Navigabile Pisa-Livorno venne però attribuita agli ingegneri ispettori compartimentali, istituiti con lo stesso provvedimento e posti alle dipendenze della Direzione generale dei lavori d’acque e strade. Contemporaneamente anche la Deputa-zione generale dei fiumi e fossi perse la possibilità di disporre di propri ingegneri. Pur mantenendo alcune attribuzioni in materia di lavori riguardanti i minori corsi d’acqua del territorio pisano la Deputazione, in relazione a questo servizio, avrebbe dovuto essere assistita da ingegneri dipendenti dallo

223 Motuproprio del 17 giugno 1815 in Leggi del Granducato della Toscana, s.l., Stamperia granducale, 1815, pp. 292-311.

224 Per la storia dell’Ufficio dei fiumi e fossi di Pisa si vedano: R. FIASCHI, Le magistratu-re pisane delle acque, Pisa, Nistri-Lischi, 1938; E. FASANO GUARINI, Città soggette e contadi nel dominio fiorentino tra Quattro e Cinquecento: il caso pisano, in Ricerche di storia moderna, Pisa, Pacini, 1976, I, pp. 1-94; ID., Regolamentazione delle acque e sistemazione del territorio in Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici, Pisa, Nistri-Lischi e Pacini, 1980, pp. 43-46. Istituito a Pisa nel 1475 dal governo fiorentino per provvedere alla regolamen-tazione delle acque e al buon regime idraulico del territorio, l’Ufficio dei fiumi e fossi aveva progressivamente assunto nuovi e rilevanti compiti come la tenuta ed il controllo degli estimi comunitativi e, a partire dal 1603 con l’istituzione al suo interno del Magistrato dei Surrogati, anche la sovrintendenza sugli affari e sulle spese di tutte le comunità appartenenti al territorio pisano. Nel 1808, durante la dominazione francese, l’Ufficio era stato soppresso.

225 Motuproprio del 27 giugno 1814 in Leggi del Granducato di Toscana, s.l., Stamperia granducale, 1814, pp. 114-132.

226 Nei motupropri del 27 giugno e 12 settembre 1814 (ibid., pp. 291-297) l’Ufficio è de-nominato anche come Ufficio di soprintendenza comunitativa.

227 Motuproprio del 1° novembre 1825 in Bandi e ordini... cit., cod. XXXII, Firenze, 1825, n. LXXXIII.

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Stato, cioè prima dal Corpo degli ingegneri d’acque e strade 228 e poi, fino al 1869, dall’Ufficio del genio civile. Solo da quell’anno infatti l’associazione di consorzi idraulici, costituitasi ancora coll’antico nome di Ufficio dei fiumi e fossi, poté nominare un proprio ingegnere ed in quell’anno ricevette dall’Uffi- cio del genio civile la consegna di numerosi fascicoli, documenti, perizie e piante riguardanti il servizio svolto dagli ingegneri dello Stato per la Deputa-zione generale 229.

Dell’associazione di consorzi costituitasi nel 1868 col nome di Ufficio dei fiumi e fossi (quasi a voler rivendicare le attribuzioni del lontano passato) il Genio civile di Pisa dovette occuparsi più volte su richiesta del Ministero dei lavori pubblici cui giungevano frequenti lagnanze circa l’irregolarità degli atti che avevano accompagnato l’istituzione del nuovo Ufficio, circa il suo funzionamento, la sua gestione, il suo statuto 230. Nell’archivio dell’Ufficio del

228 Per i rapporti fra la Deputazione generale dei fiumi e fossi ed il Corpo degli ingegneri si veda: R. AMICO, L’archivio del Corpo degli ingegneri d’acque e strade del compartimento di Pisa… cit., pp. 9-23.

229 ASPI, UGC, classe XVI, b. 1, fasc. 1, « Inventari » del 28 luglio, 11 agosto, 24 novem-bre 1869.

230 Il primo regolamento dell’ente consortile denominatosi Ufficio dei fiumi e fossi, fu ap-provato dall’assemblea degli interessati il 21 aprile 1868 ed omologato dal prefetto l’11 maggio 1868. Più volte il nuovo Ufficio dei fossi fu costretto ad affrontare controversie giudiziarie e a modificare il proprio atto costitutivo. Nel 1894, in un parere richiestogli dal Ministero dei lavori pubblici, l’ingegnere capo del Genio civile di Pisa, Poletta, rilevava come l’Ufficio dei fiumi e fossi era « un amalgama di interessi ben disparati » che riuniva attribuzioni e funzioni « in maniera tale da paralizzare in gran parte il regolare svolgimento della vita rigogliosa che si ripromise il legislatore colle istituzioni degli enti consorziali. A provare l’asserto basti il riflettere come, mentre la vigente legge sui lavori pubblici esigeva una speciale rappresentanza per ognuno dei consorzi in genere ed in particolare per quelli delle opere di II categoria, nel nostro caso i cinque consorzi istituiti pei fiumi Arno e Serchio sono riuniti sotto il titolo compendioso di Compartimento d’Arno e Serchio con un sol presidente, il quale rappresenta contemporaneamen-te gli altri consorzi che hanno scopi ben diversi, dai primi » (ASPI, UGC, classe XVI, b. 1, fasc. 1, relazione del 26 dicembre 1894 sulla riforma dello statuto sociale dell’Amministrazione consortile dei fiumi e fossi di Pisa). I cinque consorzi di seconda categoria cui si accenna nella relazione dell’ingegnere capo Poletta erano quelli i cui perimetri consorziali erano stati stabiliti con d. m. del 25 marzo 1876 n. 7313 \14217 che chiamava i proprietari dei fondi compresi nei singoli perimetri a costituirsi in consorzi ai sensi dell’art. 108 e seguenti della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F. Lo stesso decreto manteneva provvisoriamente in vigore le cinque Masse (associazioni di proprietari) d’Arno e Serchio esistenti nella provincia di Pisa, ai fini delle liquidazioni delle rispettive contabilità. Nel 1848 l’amministrazione e la rappresentanza delle cinque Masse, dopo la soppressione della Camera di soprintendenza comunitativa, era passata alla Prefettura. La Deputazione generale dei fiumi e fossi aveva invece mantenuto la rappresen-tanza degli interessati alle spese per il mantenimento dei minori corsi d’acqua della provincia pisana. Il regolamento d’istituzione del nuovo Ufficio dei fossi, approvato nel 1868, previde l’unificazione dell’amministrazione dei consorzi che dipendevano dalla Prefettura e degli altri che dipendevano dalla Deputazione dei fiumi e fossi. « Con tale regolamento — si legge nella nota dell’Ufficio del genio civile allegata alla relazione citata — si fece una confusione generale perché si mescolarono consorzi che dovevano essere costituiti unicamente per concorrere alle spese per le opere di II categoria e per l’esclusiva amministrazione delle rendite di qualunque

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genio civile successivo al 1886 tre classi (la XVI, la XVII, la XVIII) furono destinate ad accogliere i documenti riguardanti i consorzi idraulici. Anche questa parte dell’archivio subì però dei rimaneggiamenti in seguito ai quali i documenti della classe XVII 231 furono ridistribuiti all’interno della classe XVI, dedicata in un primo tempo solo ai consorzi di seconda categoria, e della classe XVIII che fu destinata a raccogliere i documenti riguardanti i consorzi di terza, quarta o incerta categoria. Un fascicolo della classe XVI, il numero 1, racchiude i documenti redatti dall’Ufficio del genio civile in relazione alle questioni riguardanti l’Ufficio dei fiumi e fossi ed il suo statuto.

7.2. Concessioni, derivazioni d’acque pubbliche, contravvenzioni. — Provvedimenti di concessione erano necessari per eseguire opere che potevano modificare il regime idraulico di fiumi, canali, corsi d’acqua, per estrarvi materiali (sabbia, ghiaia), per attingervi acqua, per impiantarvi baracche, retoni o altri sistemi di pesca, per esercitare servizi di traghettamento. Sono questi i principali oggetti delle istanze di concessione raccolte nella classe IX. Anche la materia delle concessioni fu disciplinata dalla legge sui lavori natura, con gli altri consorzi di scolo e difesa di III e IV categoria che dovevano provvedere ai lavori e spese ». Nella stessa nota d’ufficio si accenna anche alla posizione assunta dalla Prefettura nel 1868: « (...) la Prefettura d’allora non comprese lo spirito della nuova legge [quella del 20 marzo 1865 sui lavori pubblici] perché cooperò più per la conservazione delle vecchie istituzioni senza tener conto delle notevoli modificazioni derivanti dalla detta legge. Si volle conservare il nome di Uffizio di fiumi e fossi come se il Genio civile non fosse mai esistito, e come se i fiumi maggiori ed il canale Navigabile Pisa-Livorno fossero rimasti uniti a tutti gli altri canali e fossi della Provincia... ». Come si è visto la progettazione e la determinazione dei lavori per le opere di seconda categoria spettava per legge all’Ufficio del genio civile. Sulle vicende dell’Ufficio (o Deputazione generale) dei fiumi e fossi nel periodo postunitario si vedano anche i verbali delle sedute del Consiglio provinciale di Pisa che già nel 1878 fu chiamato dal governo a pronunziarsi sulla soppressione dell’Ufficio richiesta da un gruppo di possidenti della pianura pisana (PROVINCIA DI PISA, Atti del Consiglio provinciale. Sessioni Ordinaria e Straor-dinarie del 1877-78, Pisa, Nistri e C., 1879, pp. 76-120). Sulla questione, definita dal consigliere Carmignani « una delle più gravi » (ibid., p. 85) di cui il Consiglio si era fino ad allora dovuto occupare, vennero a costituirsi due distinti partiti, uno, capeggiato da Giuliano Carmignani, nettamente favorevole alla soppressione, l’altro (che riportò la maggioranza) schierato sulle posizioni dei consiglieri Lorenzo Nelli e Ranieri Simonelli, favorevoli alla conservazione dell’Ufficio. Si vedano anche: DEPUTAZIONE GENERALE AMMINISTRATIVA DEI FIUMI E FOSSI DELLA PIANURA PISANA, Rapporto della Commissione incaricata di riferire intorno ai consuntivi nell’epoca dal 1° Gennaio 1869 al 31 Dicembre 1875, Pisa, Nistri e C., 1877; UFFIZIO DEI FIUMI E FOSSI, Progetto di riforma dello Statuto. Relazione della Commissione nominata dal Consiglio dei delegati nella seduta del dì 9 novembre 1898, Pisa, Vannucchi, 1899.

231 Della classe XVII originaria restano solo 2 fascicoli attualmente collocati all’interno della classe XVI; il primo fascicolo (classe XVI, b. 1, fasc. 7) ha il seguente oggetto « classifica e declassifica di opere idrauliche di I e II categoria »; il secondo fascicolo (classe XVI, b. 2, fasc. 12) ha per oggetto il « Consorzio dei rii Carriola, Cavane, e Bagnaia in comune di S. Miniato ». Il contenuto disparato dei due fascicoli citati non ci consente di individuare meglio quale fosse lo specifico oggetto della classe XVII di cui si può dire solo che era riservata alla conservazione di documenti riguardanti i consorzi idraulici.

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pubblici del 1865 232. Nessuno poteva eseguire opere nell’alveo di fiumi, torrenti, canali di proprietà demaniale ed in altri corsi d’acqua, senza il permesso dell’autorità amministrativa 233. La stessa legge elencava i lavori e gli atti riguardanti le acque pubbliche, le loro sponde e gli alvei, vietati in modo assoluto e quelli che si potevano eseguire solo con speciale autorizza-zione del prefetto o del Ministero dei lavori pubblici, sotto le condizioni imposte da questi due soggetti 234. Queste norme generali sulle concessioni confluirono nel 1904 nel testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie 235. Coloro che intendevano ottenere l’autorizzazione all’eseguimento di lavori o al compimento di atti che comportavano un intervento sui corsi d’acqua, dovevano presentarne istanza al prefetto. Questi ne trasmetteva copia all’Ufficio del genio civile affinché esprimesse un parere tecnico. Il parere dell’Ufficio conteneva in genere anche le condizioni cui doveva essere vincolata la concessione. L’emissione dell’atto di autorizzazione era normalmente di competenza della Prefettura, mentre per alcune importanti opere era richiesta una speciale autorizzazione del Ministero dei lavori pubblici 236. Un’innovazione importante a questa prassi fu apportata nel 1921 quando le attribuzioni, precedentemente demandate al Ministero dei lavori pubblici e ai prefetti in materia di concessioni, furono deferite agli ingegneri capi degli Uffici del genio civile che ricevettero ormai direttamente le domande e procedettero all’emanazione degli atti di concessione 237. La prassi seguita in materia di concessioni era assai simile a quella riguardante le derivazioni d’acque pubbliche. Nessuno poteva derivare acque pubbliche o stabilirvi mulini o opifici, senza un legittimo titolo e senza averne ottenuta l’autorizzazione del governo. Alle nuove concessioni d’uso delle acque si provvedeva mediante l’emanazione di un decreto reale promosso dal Ministe-ro delle finanze 238. Nei decreti di concessione dovevano essere indicati la quantità, il tempo, il modo e le condizioni delle derivazioni, l’annuo canone da corrispondere allo Stato. Le domande dovevano essere corredate dai progetti delle opere da eseguire per derivare le acque. Una nuova legge sulle derivazioni, emanata nel 1884, decentrò la competenza sulle concessioni

232 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F 233 Ibid., art. 165. 234 Ibid., artt. 168-170. L’art. 170 fu modificato dall’art. 21 della legge del 10 agosto 1884,

n. 2644. Fu previsto che le opere indicate nel suddetto articolo fossero autorizzate dai prefetti quando si dovessero eseguire in corsi d’acqua non navigabili e non compresi fra quelli iscritti negli elenchi delle opere idrauliche di seconda categoria.

235 R.d. 25 lug. 1904, n. 523. 236 Ibid., art. 98. 237 R.d. 19 nov. 1921, n. 1688. 238 Per le concessioni nuove si doveva tener conto di cautele e condizioni proposte dal Mi-

nistero dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.

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d’acque pubbliche, demandandola ai prefetti 239. La competenza del governo fu mantenuta solo per le concessioni concernenti i laghi, i tronchi fluviali di confine, i corsi d’acqua navigabili e quelli le cui arginature e sponde erano iscritte in seconda categoria. Il regolamento per l’esecuzione della legge venne emanato nel 1893 240. Vi vennero indicate le ingerenze spettanti ai prefetti e agli Uffici del genio civile. Le domande per derivare acque pubbli-che o per impiantarvi opifici, dovevano essere presentate al prefetto o, per suo mezzo, al Ministero delle finanze 241. Le domande aventi per oggetto grandi derivazioni dovevano essere corredate da progetti di massima. Il prefetto faceva sottoporre ciascuna domanda ad un esame preliminare dell’Ufficio del genio civile. In base al parere da questi espresso e tenuto conto della regolari-tà della documentazione, la domanda veniva ammessa all’istruttoria, comuni-cata alla Deputazione provinciale e resa pubblica mediante un decreto prefet-tizio. A questi adempimenti doveva seguire una visita ai luoghi, fatta da un ufficiale del Genio civile, per verificare la corrispondenza delle rappresenta-zioni grafiche del progetto con le condizioni locali. Lo stesso ufficiale del Genio civile doveva stendere poi un verbale della visita, contenente eventuali osservazioni. Il processo verbale della visita, accompagnato da una relazione contenente il parere sulla convenienza o meno della concessione e delle opere progettate e le proposte di eventuali modifiche e cautele, doveva essere trasmesso al prefetto dall’ingegnere capo. A questi documenti doveva unirsi anche una proposta di disciplinare contenente le condizioni cui doveva essere vincolata la concessione. Con ciò terminava l’ingerenza dell’Ufficio del genio civile nella fase istruttoria. La fase successiva, i cui adempimenti erano in parte affidati alla Prefettura, si concludeva di solito con l’emissione di un decreto di concessione (reale, ministeriale o prefettizio, a seconda dell’impor- tanza del corso d’acqua di cui veniva richiesta l’utilizzazione). Emanato il decreto, nel caso di grandi derivazioni il concessionario doveva sottoporre all’approvazione del prefetto i progetti esecutivi delle opere da eseguire. Sui progetti doveva essere sentito il parere dell’Ufficio del genio civile che aveva anche il compito di sorvegliare l’andamento dei lavori in modo che fossero rispettate le condizioni cui era vincolata la concessione. Ultimati i lavori, l’Ufficio li verificava ed emetteva il certificato di collaudo che doveva essere trasmesso alla Prefettura per gli ulteriori adempimenti. Le ingerenze dei prefetti in materia di derivazioni d’acque pubbliche furono trasferite agli ingegneri capi del Genio civile nel 1920 242. Furono dunque questi a ricevere

239 L. 10 ago. 1884, n. 2644. 240 R.d. 26 nov. 1893, n. 710. 241 Andavano trasmesse al Ministero delle finanze le domande riguardanti gli speciali corsi

d’acqua indicati nell’art. 2 della l. 10 ago. 1884, n. 2644. 242 R. d. 14 ago. 1920, n. 1285, approvante il regolamento per le derivazioni e utilizzazioni

di acque pubbliche. Il nuovo regolamento era conseguente alla riforma della materia decisa con il d.l. 9 ott. 1919, n. 2161.

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le domande per nuove concessioni e a provvedere agli ulteriori adempimenti istruttori, i cui atti dovevano essere sottoposti al parere del Consiglio superio-re delle acque, istituito presso il Ministero dei lavori pubblici, ed avente il compito di indicare gli elementi essenziali che l’Ufficio del genio civile doveva includere nel provvedimento di concessione. Accettato il disciplinare dal soggetto che aveva richiesto la concessione, il Ministero dei lavori pubbli-ci, di concerto con quello delle finanze, promuoveva il decreto reale o emet-teva il decreto ministeriale di concessione. Emanato il decreto, spettava ancora all’Ufficio del genio civile esaminare il progetto esecutivo dei lavori, sorvegliarne l’esecuzione, provvedere al collaudo. Le ingerenze degli Uffici restarono sostanzialmente identiche a quelle fin qui descritte anche dopo l’emanazione di un nuovo testo unico di legge sulle derivazioni e utilizzazioni delle acque pubbliche 243. I documenti relativi ai provvedimenti di derivazioni vennero raccolti nella classe XV dell’archivio del Genio civile di Pisa. Le infrazioni alle condizioni imposte dai disciplinari di concessione e dalle norme di polizia idraulica potevano dar luogo a contravvenzioni, i cui verbali di accertamento erano redatti oltre che dagli organi della polizia giudiziaria, anche dagli ufficiali idraulici del Genio civile 244. I verbali di contravvenzione dovevano poi essere trasmessi dall’ingegnere capo al prefetto, il quale, se lo riteneva opportuno, poteva promuovere l’azione penale e, indipendentemente da questa, poteva ordinare la riduzione delle cose al loro primitivo stato a spese del contravventore. Dal 1933 le attribuzioni spettanti ai prefetti in materia di contravvenzioni, passarono agli ingegneri capi degli Uffici del genio civile 245. Alle contravvenzioni alle norme di polizia idraulica fu dedica-ta una delle classi d’archivio dell’Ufficio del genio civile, la XIX.

Altre due classi, la XX e la XXI, furono destinate a conservare rispetti-vamente gli atti del servizio di piena e le osservazioni idrometriche.

7.3. Servizio di piena e servizio idrografico. — Già il regolamento del

1863 per il Corpo del genio civile aveva prescritto l’intervento sui luoghi degli ingegneri capi nel caso di piene dei fiumi e torrenti e di altri eventi straordinari 246. A disciplinare in maniera più puntuale il servizio di guardia in tempo di piena intervennero quattro diversi regolamenti, emanati dal 1870 al 1907, per la custodia dei corsi d’acqua compresi nella prima e seconda categoria delle opere idrauliche 247. Non vi sono tra i diversi regolamenti

243 R.d. 11 dic. 1933, n. 1775. 244 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, artt. 165-172; r.d. 25 lug. 1904, n. 523; r.d. 15 feb.

1870, n. 5586; r.d. 25 mar. 1888, n. 5379; r.d. 7 mar. 1895, n. 86. 245 R.d. 11 dic. 1933, n. 1775, art. 220. 246 R.d. 13 dic. 1863, n. 1599, art. 7, lett. g. 247 R.d. 15 feb. 1870, n. 5586; r.d. 25 mar. 1888, n. 5379; r.d. 7 mar. 1895, n. 86; r.d. 30

giu. 1907, n. 667.

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differenze rilevanti circa l’attivazione del servizio di piena. Per esigenze di chiarezza in questo lavoro si farà riferimento alle norme del 1907 che ebbero maggiore durata. A custodi e guardiani, appartenenti al personale subalterno idraulico del Genio civile, era affidata la diretta sorveglianza dei corsi d’acqua di prima e seconda categoria e dei loro argini. Gli alvei e gli argini di fiumi e torrenti erano divisi in tronchi 248. Ogni tronco doveva esser fornito di uno o più idrometri per la determinazione del segno di guardia delle acque. I guar-diani dovevano eseguire la registrazione quotidiana dell’altezza delle acque agli idrometri loro affidati. Uno degli idrometri di ogni tronco funzionava come regolatore del servizio di piena. Vi si dovevano rilevare i segni di guardia, di sospetto, di piena effettiva. Spettava esclusivamente agli ufficiali del Genio civile regolare il servizio di piena, impartire ordini e prendere provvedimenti nei casi di pericolo o di disgrazia e nessun altro pubblico funzionario poteva avervi ingerenza se non richiesto. Ogni anno gli ingegneri capi erano tenuti a prendere accordi preventivi con i municipi relativamente al personale straordinario da assumere in tempo di piena (guardie addette alla vigilanza degli argini e ad altri servizi accessori, lavoratori pronti ad eseguire riparazioni o eventuali lavori di difesa). Per ogni tronco d’argine era fissato un determinato numero d’appostamenti presso i quali potevano riunirsi gli addetti al servizio di vigilanza in tempo di piena. Per stabilire i provvedimenti da adottarsi in caso di piena ogni Ufficio del genio civile avrebbe dovuto dotarsi di una carta topografica ed idrometrica quotata del proprio circondario idraulico e dei circondari limitrofi. Ai primi segni di una piena era previsto che gli ingegneri di sezione si recassero sul posto, in una località indicata dall’ingegnere capo che era tenuto anch’egli ad intervenire sui luoghi qualora lo richiedessero l’importanza della piena e gli avvisi dell’ingegnere di sezione. Spettava poi allo stesso ingegnere capo dare avviso della piena in corso alle autorità governative e comunali. In caso di inondazione o di rotta era il funzionario del Genio civile di grado più elevato presente sui luoghi a dover adottare i provvedimenti più urgenti cui non potevano porre ostacolo gli ordini di nessun altro funzionario civile o militare. Non appena le acque fossero discese sotto il segno di guardia gli uomini addetti al servizio di piena potevano esser congedati. Terminato il servizio di guardia ogni custode doveva trasmettere all’ingegnere di sezione un prospetto indicante gli incre-menti della piena osservati ad ogni idrometro. L’ingegnere di sezione si serviva di questi rilevamenti per compilare uno stato comparativo idrometrico

248 La divisione in tronchi doveva essere fatta con decreto ministeriale indicante la lun-ghezza di ciascun tronco e la residenza del rispettivo custode o guardiano. Il decreto ministeriale per le opere idrauliche iscritte in I e II categoria venne infine emanato il 5 settembre 1889 (si veda anche: MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, DIREZIONE GENERALE DELLE OPERE IDRAULICHE, Divisione in tronchi degli alvei dei corsi d’acqua e delle arginature classificati rispettivamente nella I e nella II categoria delle opere idrauliche e pianta organica del personale di custodia addetto alle opere medesime (Decreto Ministeriale 5 settembre 1889), Roma, Eredi Botta, 1889, copia in ASPI, Prefettura, b. 572).

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della piena. Questo documento doveva essere trasmesso all’ingegnere capo insieme ad un rapporto sulla piena stessa.

Alle spese necessarie sia per la vigilanza delle opere idrauliche, sia per l’esecuzione di urgenti lavori di riparazione, doveva provvedersi mediante anticipazioni fatte all’ingegnere capo da agenti pagatori.

Il servizio di agente pagatore era dato in appalto. Spettava al Ministero dei lavori pubblici determinare in quali circondari idraulici il pagamento delle spese di piena doveva esser fatto da agenti pagatori. Questi dovevano presen-tare all’ingegnere capo i rendiconti delle spese sostenute.

I rendiconti di anticipazioni per spese di piena, le osservazioni idrometri-che in corso di piena, gli stati comparativi idrometrici, costituiscono larga parte dei documenti conservati nella classe XX dell’archivio del Genio civile di Pisa. Un altro documento prescritto dai regolamenti per il servizio di guardia di fiumi e torrenti, cioè una carta topografica quotata del circondario idraulico di Pisa, datata 1891, si trova nel fascicolo 3 (b. 17) della stessa classe XX che contiene anche una corografia dimostrativa dei tronchi idraulici affidati a custodi e guardiani. Per provvedere alla raccolta delle osservazioni idrografiche e metereologiche riguardanti corsi d’acque e bacini imbriferi, nel 1917 fu istituito un servizio speciale del Genio civile, il servizio idrografico italiano, dipendente dal Ministero dei lavori pubblici 249. All’impianto ed esercizio del servizio idrografico sul territorio nazionale dovevano provvedere otto Sezioni autonome del Genio civile oltre l’Ufficio idrografico del Magi-strato delle acque per le province venete e l’Ufficio speciale del Genio civile per gli studi idrografici del bacino del Po, già istituiti in precedenza. Una delle otto Sezioni istituite, la Sezione autonoma per il servizio idrografico inerente al dominio del litorale ligure toscano, ebbe sede a Pisa 250 e funzionò fino al 1932 quando, in seguito all’istituzione delle Sezioni autonome di Genova (con giurisdizione sui bacini dei corsi d’acqua con foce nel litorale ligure) e di Firenze (con giurisdizione sui bacini dei corsi d’acqua con foce nel litorale toscano) fu soppressa 251. In seguito venne nuovamente istituito a Pisa un Ufficio idrografico dell’Arno, dipendente direttamente dalla Presiden-za della quarta sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici 252. La

249 D. lg. 17 giu. 1917, n. 1055. Secondo Ugo Brighenti, l’istituzione di un servizio idro-grafico nazionale fu conseguente alle necessità manifestatesi nel corso della prima guerra mondiale quando « dovendo far fronte all’accresciuto fabbisogno di energia, si fece sentire impellente la necessità di una conoscenza organica delle risorse idrauliche nazionali, ai fini di una razionale utilizzazione delle stesse per produzione di forza motrice » (U. BRIGHENTI, Servizio idrografico italiano, in Novissimo digesto italiano, XVII, p. 197).

250 D.l. 25 ott. 1917, s. n., pubblicato in « Gazzetta ufficiale del regno d’Italia », l5 novem-bre 1917, n. 269, pp. 4654-4655. Le Sezioni autonome dipendevano direttamente dall’ispet- tore compartimentale appartenente al Consiglio superiore delle acque cui era affidata l’alta direzione del Servizio idrografico.

251 R.d. 5 ago. 1932, n. 1048. 252 L’ordinamento dei servizi del Ministero dei lavori pubblici al 1 gennaio 1948, riportato

in Distruzioni e ricostruzioni in Italia. Attività attuali e programmi di lavoro del Ministero dei

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 115

competenza dell’Ufficio fu estesa, oltre che su tutto il bacino dell’Arno, anche sui bacini limitrofi del versante tirrenico compresi fra il Magra ed il Fiora.

8. Ufficio speciale del genio civile per la sistemazione dell’Arno e dei suoi affluenti. — Ad attivare il servizio di piena in provincia di Pisa si dovet-te ricorrere tutti gli anni dal 1884 in poi 253. I pericoli con cui la città si trovò periodicamente a convivere si accentuarono a partire dal 1914, culminando nelle piene straordinarie dell’8 dicembre 1919, quando l’Arno straripò a Zambra inondando i campi e salvando così la città, e del 7 gennaio 1920, quando l’Arno ruppe le difese murate di Uliveto e tracimò dalle spallette del ponte della Fortezza e dai muraglioni all’interno della città 254. In seguito a questi fatti eccezionali il Ministero dei lavori pubblici nominò una Commis-sione di studio per la sistemazione del fiume tra i cui membri vi furono gli ingegneri capi del Genio civile di Arezzo e Firenze, e Giuseppe Roselli, ingegnere capo del Genio civile di Pisa 255. La Commissione estese i suoi studi all’intero bacino idrico dell’Arno, tracciando un programma di lavori diretti alla difesa idraulica del territorio e alla utilizzazione dell’acqua del fiume come forza motrice e nei riguardi della navigazione interna. Il pro-gramma superava i limiti territoriali delle diverse province interessate alla sistemazione del fiume. Fu forse sulla base di questa considerazione che si ritenne necessario dar vita all’Ufficio speciale del genio civile per la sistema-zione dell’Arno e dei suoi affluenti. La competenza dell’Ufficio, istituito a Pisa nel marzo del 1921 256, era estesa ai territori delle province di Pisa, Firenze, Arezzo e Siena 257. Gli erano attribuiti lo studio e l’esecuzione di tutte le opere riguardanti la sistemazione del corso principale dell’Arno e dei suoi affluenti e sub-affluenti dall’origine alla foce, la vigilanza nei riguardi della polizia idraulica su tutti gli stessi corsi d’acqua e sulle relative opere, il servizio delle derivazioni ed utilizzazioni d’acqua e della costruzione di lavori pubblici, Roma, Failli, 1948, comprende già l’Ufficio idrografico dell’Arno con sede a Pisa.

253 La classe XX dell’archivio del Genio civile contiene documenti relativi al servizio di piena dal 1884 in poi.

254 Si vedano: E. SIGHIERI, Le piene dell’Arno. Bonifiche, Pisa, Pacini-Mariotti, 1934; ASPI, UGC, classe XX, b. 19, fasc. 10 e classe X, b. 14, fasc. 50, ed altri fascicoli delle stesse classi.

255 Gli atti della Commissione ministeriale (istituita con d. m. 7 ott. 1919, n. 9250) conser-vati fino al 1928 nell’archivio dell’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno, furono tra- smessi in quell’anno all’ispettore superiore compartimentale residente a Firenze (ASPI, UGC, classe II, b. 7, fasc. 1 lett. B, lettera del 12 luglio 1928). Due copie di verbali relativi ad adunanze tenute dalla Commissione il 24 settembre ed il 27 ottobre 1921 sono conservati in ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 2, fasc. 7.

256 R.d. 13 mar. 1921, n. 332. 257 Si veda ASPI, UGC, classe II, b. 7, fasc. 1.

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serbatoi e laghi artificiali nel bacino del fiume 258. L’Ufficio speciale era posto alle dipendenze di un ispettore superiore compartimentale e, come tutti gli Uffici speciali del genio civile, era del tutto autonomo dall’Ufficio di Pisa preposto al servizio generale. Alle dipendenze dell’Ufficio per la sistemazione dell’Arno fu posta una Sezione distaccata a Firenze avente l’incarico di provvedere ai servizi riguardanti la circoscrizione territoriale di quella provin-cia 259. A dirigere l’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno fu chiamato nel 1921 l’ingegnere capo dell’Ufficio del genio civile di Pisa, Giuseppe Roselli. Egli mantenne l’incarico fino al 1924 quando, nominato ispettore superiore compartimentale per la Toscana e per l’Umbria, fu sostituito prima dall’ingegner Massimilano Tognozzi e poi da Marco Visentini. Allo stesso ingegnere Roselli nel 1925 il Ministero dei lavori pubblici, non ritenendo di dover ulteriormente rinnovare la Commissione nominata nel 1919, affidò l’incarico di completare gli studi ancora occorrenti per la sistemazione dell’Arno e di formulare concrete proposte tecniche. Frutto del lavoro del Roselli, che si giovò del materiale e della collaborazione dell’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno, furono le « Proposte per la sistemazione del bacino dell’Arno » 260. Nato per affrontare e risolvere il problema particolare della sistemazione dell’Arno, l’Ufficio speciale fu soppresso nel 1928 261. Agli Uffici del genio civile di Pisa, Firenze, Arezzo, Siena, tornarono, in relazione ai tronchi d’Arno ricadenti nelle diverse province, le competenze già attribuite all’Ufficio speciale. L’istituzione e la soppressione dell’Ufficio per la sistema-zione dell’Arno ebbero riflessi importanti anche sull’assetto dall’archivio del Genio civile di Pisa. Nel 1921 infatti l’Ufficio speciale ricevette dagli Uffici di Pisa e Firenze, preposti al servizio generale, tutti gli atti d’archivio inerenti al servizio idraulico riguardante l’Arno, i suoi affluenti ed il Canale Navigabi-le Pisa-Livorno. L’Ufficio speciale ebbe così un proprio, distinto archivio incentrato su classi che solo in parte è possibile ricostruire. L’archivio fu infatti smembrato nel 1928, al momento della soppressione dell’Ufficio. Ai vari Uffici del genio civile di Pisa, Firenze, Arezzo, Siena, furono consegnati tutti i documenti connessi al servizio idraulico, nuovamente loro attribuito 262.

258 Con un r. d. 19 feb. 1922 il servizio relativo alle piccole derivazioni d’acque pubbliche fu restituito agli Uffici del genio civile per il servizio generale di Arezzo, Firenze e Siena. All’Ufficio speciale per l’Arno fu mantenuta la competenza sulle grandi derivazioni.

259 La Sezione distaccata di Firenze fu istituita con d.m. 24 giu. 1921 (una copia è in ASPI, UGC, classe II, b. 7, fasc. 1 lett. A.

260 ASPI, UGC, classe X, b. 24. Alle proposte erano allegati cinque studi particolari, com-piuti dall’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno, aventi per oggetto la bonifica di Fucecchio, la sistemazione ed utilizzazione dei bacini idrici del Casentino, della Val di Nievole, dell’Era, la sistemazione dell’alveo di magra dell’Arno a scopo di navigazione tra Pisa e Bocca d’Usciana. La busta 24 dell’archivio del Genio civile di Pisa contiene attualmente solo lo studio sul Casentino e sulla navigabilità dell’Arno tra Pisa e Bocca d’Usciana.

261 R. d. 15 mar. 1928, n. 1406. 262 ASPI, UGC, classe II, b. 7, fasc. 1, lett. B, verbali diversi di consegna dei servizi.

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I fascicoli restituiti al Genio civile di Pisa furono reinseriti nelle varie classi dell’archivio generale. Il reinserimento comportò un rimaneggiamento e la fusione di documenti prodotti dai due diversi Uffici, speciale e generale. Rimasero a sé invece gli atti di repertorio (gli atti cioè soggetti ad una parti-colare registrazione ai fini fiscali) che risultano quindi particolarmente utili per ricostruire l’attività esplicata dall’Ufficio per la sistemazione dell’Arno in un ambito territoriale assai vasto in quanto comprendente province diverse. Per circa sette anni dal 1921 al 1928, fu l’Ufficio speciale a curare gli studi e la costruzione di tutte le opere idrauliche ricadenti nell’intero bacino del- l’Arno, compresi i lavori per la realizzazione del nuovo canale Navigabile Pisa-Livorno. Ai problemi di regolazione dell’Arno furono infatti connessi anche gli studi sulla sua navigabilità. L’Arno costituì parte importante della linea navigabile Livorno-Pisa-Firenze, progettata nell’ambito degli studi sulla navigazione interna della Toscana.

9. Navigazione interna e Canale Navigabile Pisa-Livorno. — Nell’archi-

vio dell’Ufficio del genio civile trovano posto numerosi documenti che riguardano gli studi compiuti a partire dalla fine dell’Ottocento in relazione alla questione della navigazione interna, questione che vide tra i suoi protago-nisti anche alcuni degli ingegneri dell’Ufficio di Pisa. L’interesse per le opportunità che le vie d’acqua navigabili avrebbero potuto offrire allo svilup-po industriale e commerciale di vaste aree del Paese si venne accentuando agli inizi del Novecento. La navigazione fluviale sembrava presentare requisiti di maggiore economicità rispetto al sistema ferroviario, soprattutto in relazio-ne a merci definite povere (sabbia, ghiaia, laterizi, carbone) il cui trasporto risultava economicamente oneroso se fatto per ferrovia. Nel 1903 il Ministero dei lavori pubblici istituì una Commissione avente l’incarico di studiare dei provvedimenti atti a promuovere la navigazione interna nel territorio naziona-le e di dare forma concreta a proposte d’indole tecnica, amministrativa e finanziaria 263. Il Comitato tecnico esecutivo, creato in seno alla Commissione, conferì nel 1904 ad Annibale Biglieri, ingegnere capo dell’Ufficio del genio civile di Pisa, l’incarico di studiare e proporre una vasta rete di vie d’acqua che, abbracciando grandi estensioni di territorio, grandi centri abitati, indu-striali ed agricoli, giungesse al mare e offrisse la massima penetrazione all’interno 264. Il lavoro realizzato dal Biglieri riguardò non soltanto il territo-rio pisano ma anche quelli delle vicine province di Lucca e Livorno. L’Ufficio del genio civile di Pisa, insieme a quelli di Firenze e Grosseto, aveva avuto infatti l’incarico di coordinare gli studi, condotti anche dagli altri Uffici della Toscana, finalizzati al miglioramento delle vie d’acqua esistenti o

263 La Commissione per la navigazione interna fu istituita con d.m. 14 ott. 1903. 264 ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 1, fasc. 1, lettera del 10 giugno 1904.

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all’individuazione di nuove vie da realizzare 265. L’ingegnere Biglieri presentò le sue proposte nel 1905 266. La rete di canali proposta puntava su otto grandi linee di navigazione, realizzate le quali sarebbero state ininterrottamente collegate Livorno, Pisa, San Giuliano, Lucca, Altopascio, Bientina, Vicopisa-no, Calcinaia, Pontedera, Fornacette; sarebbe stata messa in comunicazione Vecchiano con Viareggio e si sarebbero avuti poi sbocchi sicuri al mare coi porti di Livorno e Viareggio, oltre allo sbocco pure al mare di Marina d’Arno. La linea più importante delle otto proposte era la Pisa-Livorno che appariva idonea a collegare Pisa (cui faceva capo già l’altra grande via di navigazione costituita dall’Arno) con il maggiore porto toscano 267. Per questa linea l’inge- gnere Biglieri propose lavori di sistemazione e ampliamento dell’esistente canale dei Navicelli 268. La navigazione nel canale poteva avvenire solo in

265 Ibid., voto emesso dalla Commissione per la navigazione interna, allegato alla lettera del 22 aprile 1906. Le proposte presentate dai tre Uffici di Pisa, Firenze, Grosseto, furono esaminate dalla Commissione per la navigazione interna nelle sue sedute del marzo-aprile 1906.

266 Ibidem. Contiene anche varie bozze a stampa del lavoro del Biglieri destinato alla pub-blicazione fra gli atti della Commissione per navigazione interna. Si veda: A. BIGLIERI, La navigazione interna nelle Province di Pisa e limitrofe, in Commissione per la navigazione interna (decreto 14 ottobre 1903). Atti del Comitato tecnico esecutivo. Valle d’Arno ed altre della Toscana, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1908, pp. 3-120.

267 Le altre linee proposte dal Biglieri erano: a) la Pontedera-Livorno, da realizzarsi per mezzo di un nuovo tratto di canale da aprirsi fra Pontedera e Fornacette e per mezzo del canale Emissario della bonifica di Bientina (fra Fornacette e Calambrone) e di un tratto del canale Navicelli (fra Calambrone e Livorno); b) la Lucca-Pisa, da realizzarsi per mezzo del canale Piscilla, deviato a ponte Ciucci e portato a sboccare nell’Ozzeri presso Meati, e per mezzo di un tratto del canale Macinante convenientemente collegato a conca sia con l’Ozzeri a monte, sia con l’Arno a Pisa; c) la Lucca-Pontedera, da realizzarsi per mezzo dei canali Formica, Rogio, Emissario, Imperiale, del fiume Arno e del nuovo canale Fornacette-Pontedera; d) la Altopascio-Isola, da realizzarsi per mezzo della Navareccia, dal porticciolo di Altopascio all’Isola; e) la Vecchiano-Viareggio, da realizzarsi per mezzo dei fossi Barra, Barretta, del lago di Massaciucco-li e dei canali Malfante, Venti, Burlamacca e del porto-canale di Viareggio; f) una linea di collegamento (da realizzarsi per mezzo di un canale) della Vecchiano-Viareggio con la Pisa-Lucca e quindi con la rete generale di navigazione; h) la Pontedera-Pisa, da realizzarsi per mezzo del fiume Arno. Per questa linea il Biglieri non propose alcun lavoro in quanto l’Arno era navigabile in quel tratto per otto mesi l’anno e ciò fu ritenuto sufficiente.

268 Il canale dei Navicelli fu probabilmente realizzato fra il 1560 ed il 1575 allo scopo di conseguire una via di comunicazione diretta fra Pisa e Livorno ed una navigazione più sicura di quella offerta dall’Arno (Si veda P. PARDINI, Canale dei Navicelli, in Livorno e Pisa... cit., pp. 58-59). L’esecuzione dell’opera comportò l’occupazione di parte della via che, passando per S. Piero a Grado, giungeva nel Medioevo all’antico Porto Pisano (ASPI, Corporazioni religiose soppresse, « Campione di beni del monastero di S. Bernardo », reg. 1047, c. 11. Descrivendo alcuni loro possedimenti le monache di S. Bernardo annotavano infatti nel 1588: « Pezzi dua di terra attaccati insieme (...), posti in detto comune [San Giovanni al Gatano], a primo, verso mezzo giorno, già via di S. Piero a Grado, o di Livorno, et hora il fosso navicabile da Pisa a Livorno »). Altri lavori di escavazione ed ampliamento del canale furono realizzati sotto Ferdi-nando I de’ Medici. Secondo il Biglieri prima di tutti questi lavori il Navicelli doveva essere semplicemente un canale di scolo delle acque della pianura meridionale pisana.

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autunno ed in primavera mentre diveniva difficile nel resto dell’anno quando veniva a ridursi, nei periodi di magra estiva ed invernale, l’afflusso dell’acqua dell’Arno. Il corso del canale era poi assai tortuoso ed il Biglieri ne propone-va la rettificazione. L’Ufficio da lui diretto aveva già intrapreso degli studi in tal senso e si preparava a presentare un progetto esecutivo. Sulle proposte del Genio civile di Pisa e sulle altre presentate dagli Uffici di Firenze e Grosseto la Commissione per la navigazione interna si espresse nel marzo del 1906. Le proposte dell’Ufficio di Pisa vennero approvate, sia pure con la richiesta di alcune modifiche 269. Vennero considerati di particolare importanza ed urgenza i lavori di sistemazione proposti per le linee Pisa-Livorno e Pontedera-Livorno. Le altre vie navigabili, giudicate di minore importanza, sarebbero state realizzate gradualmente e solo in un secondo tempo, una volta portate a termine le opere riguardanti le due linee principali. Niente aveva proposto il Genio civile di Pisa per migliorare la navigazione nell’Arno. Secondo il Biglieri il tratto d’Arno che attraversava la provincia di Pisa era già navigabi-le da ottobre a giugno. Estendere la possibilità di navigarlo anche nel resto dell’anno avrebbe richiesto spese ingentissime 270. Nonostante le difficoltà riscontrate dalla Commissione per la navigazione interna in merito alle propo-ste di sistemazione dell’Arno, il progetto di fare del fiume una via permanen-temente navigabile non fu abbandonato ed anzi fu ripreso in seguito con forza. Gli studi sulla navigazione interna, avviati in molte regioni del Paese, fecero maggiormente sentire il bisogno di un quadro normativo che discipli-nasse la materia. Una prima legge fu emanata nel 1910 271. Con questo prov-vedimento le linee navigabili vennero distinte in quattro classi 272. Entro

269 La Commissione chiese che nel progetto di sistemazione del Navicelli fosse previsto un fondale di tre metri invece dei due proposti dal Biglieri; chiese inoltre che il canale fosse provvisto di ampie vie alzaie e che a Livorno fosse realizzata una darsena « esclusivamente adibita al traffico della navigazione interna, raccordando tanto questa darsena, quanto quella di Pisa, alle adiacenti strade ordinarie, alle tramvie ed alla rete ferroviaria » (ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 1, fasc. 1, voto della Commissione per la navigazione interna allegato alla lettera del 22 aprile 1906).

270 La navigazione nell’Arno era stata oggetto degli studi presentati alla Commissione per la navigazione interna dall’Ufficio del genio civile di Firenze che aveva proposto anche di collegare Firenze con Pontedera. Su questa proposta la Commissione rinviò il suo giudizio disponendo che prima l’Ufficio di Firenze indirizzasse i suoi studi verso un progetto di canale laterale all’Arno, da alimentarsi con un bacino artificiale creato appositamente. Il canale artificia-le non avrebbe presentato gli inconvenienti che potevano derivare alla navigazione dal carattere torrentizio dell’Arno.

271 L. 2 gen. 1910, n. 9. Norme riguardanti la navigazione erano in precedenza contenute anche nel testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie (r.d. 25 lug. 1904, n. 523). Nel 1913 tutte le norme riguardanti la navigazione interna furono raccolte in un testo unico (r.d. 11 lug. 1913, n. 959).

272 Appartenevano alla prima classe i fiumi, laghi e canali, per i quali la navigazione pre-sentava un prevalente interesse di difesa militare; alla seconda classe appartenevano quei corsi

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cinque anni dall’emanazione della legge era data facoltà al governo di prov-vedere all’iscrizione nelle rispettive classi delle vie navigabili esistenti o da costruire. Un primo elenco di linee navigabili della seconda classe fu pubbli-cato nel 1911 273. Vi si trovavano comprese due delle vie di navigazione proposte dal Genio civile di Pisa e cioè la Livorno-Pontedera e la Livorno-Pisa-Pontedera-Firenze 274. Nel 1917 un nuovo decreto confermò in seconda classe quest’ultima linea distinguendola nei due tratti a) Canale Navigabile da Pisa a Livorno, b) fiume Arno da Pisa allo sbocco del Pignone presso Firen-ze 275. Lo stesso provvedimento provvide a classificare sempre in seconda classe le altre linee di navigazione di cui l’Ufficio di Pisa aveva proposto la realizzazione 276. Un primo progetto esecutivo per l’ampliamento e la rettifica-zione del Canale Navigabile fu presentato nel novembre 1906 dall’ingegnere Biglieri 277. La spesa prevista sembrò però eccessiva alla Commissione per la navigazione interna che richiese delle varianti di cui l’ingegnere tenne conto in un progetto successivo presentato nel 1907 278. Al finanziamento dell’opera si provvide soltanto nel 1915 ma le vicende del primo conflitto mondiale ritardarono l’inizio dei lavori 279. Solo nel 1919 il Genio civile di Pisa poté d’acqua che da soli o collegati fra loro formavano linee di navigazione facenti capo a porti marittimi, o parificati ai marittimi, e che giovavano al traffico di un esteso territorio; appartene-vano alla terza classe quei fiumi, laghi e canali che, benché mancanti dei requisiti previsti per i corsi d’acqua compresi nelle prime due classi, giovavano però al movimento commerciale di centri abitati considerevoli per industrie e prodotti agricoli. Tutti gli altri corsi d’acqua erano da considerarsi di quarta classe.

273 R.d. 8 giu. 1911, n. 823. 274 Lo studio del Biglieri per quest’ultima linea si arrestava a Pontedera. Il collegamento

Pontedera-Firenze era stato oggetto — come si è visto — degli studi dell’Ufficio del genio civile di Firenze e dei rilievi opposti dalla Commissione per la navigazione interna. Le pressioni esercitate a livello locale, in particolare dalla Deputazione provinciale di Pisa, avevano però conseguito il risultato di far sì che venissero continuati gli studi per rendere interamente e permanentemente navigabile l’Arno.

275 D.l. 31 mag. 1917, n. 1536. Un nuovo provvedimento emanato nel 1923 (d.m. 1° mar. 1923) fissò la divisione in tronchi delle linee già classificate in seconda classe.

276 Vennero poste in seconda classe le seguenti linee: a) Livorno-Pontedera; b) Viareggio-Vecchiano-sbocco nella Lucca-Pisa; c) Lucca-Isola-Arno-Fornacette; d) Firenze-Prato-Pistoia-Buggiano-Altopascio-Lucca-Pisa; e) Buggiano-sbocco nella Firenze-Pontedera. Le pressanti ri- chieste di varie Amministrazioni provinciali e comunali, che vedevano nella realizzazione di collegamenti diretti con Livorno e Firenze importanti prospettive di sviluppo, avevano fatto sì che alcune delle linee proposte nel 1905 dagli Uffici di Pisa e Firenze venissero ulteriormente ampliate e raccordate fra loro.

277 Una « Relazione sommaria del progetto esecutivo (23 novembre 1906) del canale Pisa-Livorno » è in ASPI, UGC, classe XIV, b. 9, fasc. 16. Lo stesso fascicolo contiene anche la relazione definitiva del progetto, presentata dal Biglieri il 20 dicembre 1907.

278 Ibid., « Progetto di variante al progetto esecutivo del 23 novembre 1906 », 20 dicembre 1907.

279 L. 8 apr. 1915, n. 508.

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tornare ad occuparsi del canale Pisa-Livorno, quando erano trascorsi dodici anni dalla presentazione del progetto esecutivo del Biglieri e quando questi non era ormai più a capo dell’Ufficio 280. Al suo posto era subentrato Giusep-pe Roselli 281. Le mutate esigenze commerciali ed industriali imposero un riesame dell’originario progetto esecutivo, al quale furono apportate alcune varianti che riguardarono soprattutto il tracciato del canale 282. Il nuovo progetto, presentato il 30 aprile 1919 283, fu approvato nello stesso anno dal Consiglio superiore dei lavori pubblici 284. I lavori iniziarono soltanto nel 1921. Nel 1933 erano ancora in corso (l’ultimazione era prevista per il 1936). A quella data si manifestavano già segni di crisi nel trasporto mediante il canale. Il traffico infatti era andato progressivamente calando 285. Restavano

280 Annibale Biglieri ricoprì l’incarico di ingegnere capo del Genio civile di Pisa dal 1903

all’11 dicembre del 1912 quando, promosso ispettore compartimentale e membro della II sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, fu chiamato a reggere il VII Compartimento d’ispezione del genio civile di Bologna. Lasciò Pisa accompagnato dal plauso dell’ Amministra-zione provinciale, dei Comuni di Pisa e Pontedera, della locale Camera di commercio ed industria (ASPI, UGC, classe I, b. 4).

281 Giuseppe Roselli divenne ingegnere capo dell’Ufficio del Genio civile di Pisa nel 1916. Nato il 20 gennaio 1864, entrò nel Corpo del genio civile il 20 marzo 1890. Presso l’Ufficio di Pisa prestò servizio dal 1894 (ASPI, UGC, classe I, b. 47, Ruolo del personale del Genio civile, s.n.t., s.d. [ma successivo al 1924]). Sulla navigazione interna il Roselli aveva già pubblicato un suo lavoro nel 1914: G. ROSELLI, La navigazione interna nella valle dell’Arno. Considerazioni e proposte intorno alla pratica attuazione dell’opera, Pisa, Successori fratelli Nistri, 1914.

282 La variante Roselli sul tracciato tendeva ad abbreviare ulteriormente la lunghezza del canale facendolo correre quasi completamente al di fuori della zona paludosa di Tombolo e parallelamente alla linea ferroviaria Pisa-Livorno. Tra quest’ultima ed il corso d’acqua veniva prevista una zona, larga circa duecento metri, in cui doveva favorirsi il sorgere di nuovi edifici industriali (del trasporto mediante il Canale Navigabile si servivano già importanti industrie pisane quali la Società ceramica Ginori e la Saint-Gobain). Un’altra variante riguardò la sagoma del canale. Venne proposta una sagoma a conca (invece di quella trapezoidale progettata dal Biglieri) che risultava più adatta ad un natante di seicento tonnellate, ritenuto allora il più idoneo alle esigenze di trasporto nel canale.

283 La relazione del « Progetto esecutivo dei lavori di ampliamento e rettificazione del ca- nale Navigabile Pisa-Livorno » del 30 aprile 1919 si trova in ASPI, UGC, classe XIV, b. 26.

284 Il nuovo progetto venne illustrato dall’ingegnere di sezione Oliviero Sacenti, in una co-municazione preparata per il III Congresso della navigazione interna (O. SACENTI, Il canale dei Navicelli al presente e nel suo prossimo avvenire. Comunicazione al III Congresso della navi- gazione interna, Mantova, s.e., 1925, copia in ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 1).

285 L’ingegnere capo Giovanni Girometti nel 1933 scriveva che il traffico nel canale era andato gradualmente intensificandosi dal 1901 (con circa tonnellate 81.500) al 1912 (con tonnellate 228.500); dal 1912 al 1915 si era avuto un leggero decremento, fino a tonnellate 178.500 circa. Per il periodo dal 1915 al 1924 non si avevano rilevazioni statistiche attendibili ma era certo che, anche a causa della guerra, si era verificata una sensibile riduzione di traffico. Una ripresa si era avuta dal 1925 al 1928 passando da poco più di 121.000 tonnellate trasportate a circa 302.500. Dal 1928 al 1933 si era scesi a 200.000 tonnellate « per effetto della generale crisi economica — scriveva Girometti — (...) potendosi però facilmente prevedere immancabile fortuna avvenire, appena che, col ristabilimento del mercato mondiale, anche la nostra Nazione

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tuttavia ancora vive le speranze in una ripresa futura legata ad una generale rinascita della nazione.

10. Edifici demaniali, universitari, monumentali, di culto. — La presenza

di grandi fiumi e dei numerosi corsi d’acqua attraversanti il territorio provin-ciale fece sì che il servizio idraulico, insieme a quello di bonifica, fosse uno dei più importanti affidati all’Ufficio del genio civile di Pisa. Maggiore importanza venne assumendo nel tempo anche il servizio inerente alla conser-vazione, sistemazione, progettazione, degli edifici appartenenti a titolo diverso allo Stato (compresi edifici monumentali e di culto) e all’Università di Pisa. La rilevanza di questo servizio venne sottolineata già nel 1866 dall’ingegnere capo Rinolfi in una nota diretta alla Prefettura. Scriveva l’ingegner Rinolfi che erano affidati all’Ufficio da lui diretto tutti i lavori nuovi e di manteni-mento relativi ai fabbricati demaniali sparsi per la provincia ed inoltre i lavori occorrenti alle carceri di Pisa e Volterra ed alle chiese e fabbriche parrocchiali della provincia, allora in numero di duecentoventuno 286. La competenza in materia di costruzione, ampliamento, manutenzione di edifici pubblici (esclusi quelli dipendenti dalle amministrazioni della guerra e della marina) e la parte tecnica dei lavori relativi alla conservazione di pubblici monumenti aventi carattere artistico erano state attribuite al Ministero dei lavori pubblici, di cui il Genio civile era l’organismo tecnico, dalla legge sui lavori pubblici del 1865. La legge dava facoltà ai ministeri che amministravano edifici di propor-re lavori di manutenzione e miglioramento degli edifici stessi, lavori che però dovevano essere progettati e diretti a cura del Ministero dei lavori pubblici. Nel caso poi in cui un altro ministero avesse ritenuto opportuno far redigere i progetti da ingegneri o architetti da esso delegati, anche questi progetti avreb-bero dovuto essere sottoposti all’esame ed approvazione tecnica del Ministero dei lavori pubblici, cui veniva attribuita anche l’alta sorveglianza sull’esecu- zione ed il collaudo dei lavori 287. Nel 1873 furono meglio precisate le attribu- possa svolgere in pieno più vasto programma di produzione... È da tenere per certo, però che, superata la crisi e riprese quindi le attività economiche, il Nuovo Navicelli corrisponderà alle più rosee aspettative e potrà meglio dimostrare come la navigazione interna non possa essere deliberatamente negletta ma debba, al contrario, ottenere tutto il necessario appoggio, per quelle vie d’acqua che possano efficacemente concorrere — come quella Pisa-Livorno — alla reale rinascita della Nazione » (ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 2, fasc. 7, « Canale Navigabile Pisa-Livorno », ottobre 1933.

286 ASPI, Prefettura, b. 912, « Affari diversi non registrati », relazione del 14 febbraio 1866.

287 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 5. Non rientravano tra le competenze del Ministero dei lavori pubblici le ordinarie piccole riparazioni occorrenti ai locali e agli uffici amministrati da altri ministeri. Sulle competenze del Ministero dei lavori pubblici in materia di edifici dipendenti da altri ministeri si veda ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L’archivio del Genio civile di Roma. Inventario a cura di R. SANTORO, Roma, UCBA, 1998, (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Strumenti, CXXXVI), pp. 30-33.

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zioni degli Uffici del genio civile e delle Intendenze di finanza in relazione ai fabbricati demaniali. Il demanio dello Stato era infatti stato posto sotto l’alta sorveglianza ed amministrazione del Ministero delle finanze che esercitava queste sue attribuzioni mediante le Intendenze di finanza 288. Le perizie dovevano essere fatte dagli Uffici del genio civile quando la spesa prevista eccedesse le duemila lire, quando fosse in pericolo la solidità dell’edificio o questo avesse carattere di monumento nazionale. In tutti gli altri casi le perizie dovevano essere fatte dalle ragionerie delle Intendenze di finanza (poi Uffici tecnici di finanza) 289. Questa ripartizione di attribuzioni fra Uffici del genio civile ed uffici finanziari fu modificata nel 1894 quando, in seguito ad accordi intercorsi fra il Ministero dei lavori pubblici e quello delle finanze, fu deciso che gli Uffici del genio civile avrebbero dovuto interamente prov-vedere alla compilazione dei progetti e alla direzione e sorveglianza di tutti i lavori, ordinari e straordinari, occorrenti agli edifici demaniali con la sola eccezione dei fabbricati in uso totale o promiscuo dell’Amministrazione finanziaria. In quest’ultimo caso la compilazione delle perizie restava affidata agli Uffici tecnici dipendenti dal Ministero delle finanze 290. La competenza diretta dell’Amministrazione dei lavori pubblici, e quindi degli Uffici del genio civile, venne estesa nel 1925 ad alcuni servizi affidati in precedenza al Genio militare, quali la progettazione, direzione, esecuzione, contabilità e collaudo dei lavori relativi a nuove costruzioni di caserme ed edifici mili- tari in genere e dei lavori di grande trasformazione e stabilità dei fabbri- cati, escluse le opere di fortificazione con le relative strade, i depositi per esplosivi e munizioni e le opere aventi attinenza con la difesa dello Stato 291. Dal 1931 infine vennero interamente concentrati nel Ministero dei lavori pubblici tutti i servizi relativi all’esecuzione di opere edilizie da eseguirsi per conto dello Stato, quali edifici universitari, edifici per biblioteche e per musei, edifici scolastici e finanziari, Archivi di Stato, edifici carcerari ed in uso delle Capitanerie di porto, edifici riguardanti l’Esercito, la Marina e l’Aeronau- tica 292. Un « Elenco di fabbricati di proprietà del Demanio antico » redatto nel 1872, ci fa conoscere quali fossero a quell’epoca gli edifici demaniali

288 R.d. 18 dic. 1869, n. 5397. 289 R.d. 3 ott. 1873, n. 1686. Le attribuzioni previste da questo decreto passarono nel 1882

agli Uffici tecnici di finanza, istituiti l’anno precedente (r.d. 6 mar. 1881, n. 120). Il d.m. 7 feb. 1882 nel definire i compiti di questi Uffici assegnò loro infatti anche l’esecuzione delle perizie e dei collaudi per forniture e riparazioni di mobili e per opere e riparazioni di edifici delle quali era fatto cenno nell’art. 1 del r.d. 3 ott. 1873, n. 1686. Si veda R. NAPOLITANO, Ufficio tecnico erariale, in Novissimo digesto italiano, XIX, p. 1080.

290 ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, « Circolari del 1894 », circolare del Ministero dei lavori pubblici del 12 dicembre 1894, n. 3190, divisione I.

291 R.d. 15 ott. 1925, n. 1934. 292 R.d. 18 mag. 1931, n. 544. Gli Uffici tecnici di finanza mantennero però nei riguardi

degli enti che li avevano in uso la consulenza tecnica per la conservazione e manutenzione dei beni demaniali.

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affidati alle cure dell’Ufficio del genio civile di Pisa 293. L’elenco comprende centoundici edifici sparsi per la provincia e nove fabbricati già appartenenti ad enti religiosi soppressi nel 1866. Tra gli edifici di Pisa compresi nel documento spiccano il palazzo Gambacorti 294, le Logge dei fossi (o di Ban-chi), la Cittadella, le torri, le mura urbane e le antiche porte della città, la chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano, la Carovana e gli altri palazzi del soppresso Ordine di Santo Stefano, i conventi di San Niccola, di San Matteo, di San Francesco dei Ferri. Per alcuni di questi edifici quali palazzo Gambacorti, la chiesa di Santo Stefano 295, la Carovana, i già conventi di S.

293 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 13, fasc., 25. Il documento, datato 9 aprile 1872, è una copia conforme dell’elenco di edifici demaniali redatto dall’Intendenza di finanza.

294 Il palazzo, sede del Municipio di Pisa, era di proprietà del Comune, che nel 1847 aveva ceduto in uso gratuito allo Stato, per cento anni, l’ultimo e non utilizzato piano dello stabile, definito « soffitta », affinché la Camera di soprintendenza comunitativa, che risiedeva allora nei contigui locali sovrastanti le Logge di Banchi, potesse stabilirvi gli uffici degli ingegneri ispettori della Direzione di acque e strade (ASPI, Prefettura, b. n. 595, affare 46. Contiene anche copia della delibera comunale del 26 marzo 1847). La Camera non si avvalse mai della concessione. Istituito nel 1860 l’Archivio di Stato di Pisa ed assegnati ad esso i locali delle Logge di Banchi, il Comune di Pisa rinnovò la concessione a favore del nuovo Istituto a patto che lo Stato provvedesse a sue spese a far eseguire i lavori necessari. (si veda R. AMICO, Le origini dell’Ar- chivio di Stato di Pisa e l’opera di Francesco Bonaini, in « Rassegna degli Archivi di Stato », LII, 1992, 2, p. 367). A quindici anni dall’inaugurazione i locali dell’Archivio, cui nel frattempo era stato assegnato anche l’ultimo piano del palazzo Mosca, risultavano già insufficienti ad accogliere la mole dei documenti che lo componevano. Ne venne quindi progettato nel 1883 un ampliamento con la sopraedificazione della parte lungo l’Arno della palazzina già Dogana, contigua ai palazzi Gambacorti e Mosca e destinata ad essere collegata ad entrambi per funziona-re da deposito del materiale archivistico (ASPI, Prefettura, b. 380, affare n. 249, progetto del 20 giugno 1883, ingegnere del Genio civile Filippo Del Testa. Si vedano le tavole nn. 5-6 allegate al presente lavoro). Il Comune di Pisa rientrò in possesso dei locali del secondo piano del palazzo Gambacorti dopo il 1916, quando l’Archivio di Stato si trasferì nel palazzo Toscanelli.

295 Ad occuparsi della chiesa furono due ingegneri del Genio civile, Vittorio Pistoi e Gae-tano Niccoli. Il primo curò nel 1863 la redazione di un progetto non realizzato di restituzione dell’edificio al culto; il secondo diresse, a partire dal 1865, i lavori di ripristino della chiesa. I lavori d’ingrandimento dell’edificio, intrapresi per ordine granducale nel 1853 sulla base di un grandioso progetto dell’architetto Poccianti che prevedeva l’abbattimento dei muri che separava-no la navata centrale, progettata dal Vasari, dalle ali laterali aggiunte alla fine del Seicento, erano stati sospesi nel 1857 a causa della morte del Poccianti stesso. Sulle vicende dei progetti d’ingrandimento della chiesa si vedano: E. KARWACKA CODINI, Piazza dei Cavalieri: urbanistica e architettura dal Medioevo al Novecento, Firenze, Cassa di risparmio di Firenze, 1989, in particolare pp. 197-255; A. NICCOLAI, Di alcuni progetti di ingrandimento della chiesa dei Cavalieri di S. Stefano, Pisa, Nistri, 1923; S. RENZONI, I restauri ottocenteschi della chiesa dei Cavalieri di S. Stefano, in Le imprese ed i simboli. Contributi alla storia del Sacro Militare Ordine di S. Stefano P.M. (sec. XVI-XIX). Mostra per il cinquantesimo anniversario di fondazio-ne dell’Istituzione dei cavalieri di S. Stefano, 5 maggio/28 maggio1989, Pisa, Giardini, 1989, in particolare pp. 217-239. In seguito la chiesa rimase chiusa ed internamente demolita. Della chiesa dei cavalieri il Genio civile tornerà ad occuparsi nel 1933 quando verranno ripresi e portati a compimento i lavori di sistemazione delle attuali facciate laterali.

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Matteo 296 e di S. Silvestro (adattati rispettivamente a carcere giudiziario e a riformatorio), l’Ufficio del genio civile curò, tra la seconda metà dell’Otto- cento ed il primo quarantennio del Novecento, importanti lavori di sistema-zione. L’elenco di fabbricati del Demanio antico ne comprendeva anche alcuni allora in uso dell’Università di Pisa 297. L’attività svolta negli anni dal 1863 al 1868 dall’Ufficio del genio civile nei riguardi degli edifici universitari è testimoniata da una busta del cosiddetto « Archivio vecchio » dell’Ufficio, contenente cioè documenti anteriori al 1886. Per il periodo successivo (dal 1869 al 1885 circa) vi è una lacuna generale nei documenti dell’archivio che riprendono ad avere continuità e consistenza solo a partire dal 1886. In questa seconda parte dell’archivio, la classe XXVII è quella che raccoglie i docu-menti riguardanti gli edifici demaniali ed universitari. Per parte della seconda metà dell’Ottocento l’Ufficio del genio civile si occupò dei normali lavori di manutenzione degli istituti universitari curandone anche alcuni di più vasto respiro, quali l’ampliamento dell’Istituto di fisica tecnologica (prospiciente la piazzetta S. Simone), il sopraelevamento della Biblioteca universitaria e l’am- pliamento del Museo di storia naturale mediante un nuovo edificio da desti-narsi al Gabinetto di zoologia e anatomia comparata 298. Una forte pressione venne esercitata negli ultimi decenni dell’Ottocento dall’ambiente universita-rio pisano per ottenere ampliamenti di rilievo delle strutture e delle dotazioni

296 L’antico convento delle benedettine cistercensi di S. Matteo, situato sul Lungarno urba-no di Pisa, fu soppresso nel 1866. Già nel 1869 lo stabile del monastero fu destinato dal Ministero dell’interno ad uso carcerario. Le ventidue monache che ancora vi risiedevano furono trasferite nei locali del vicino convento di S. Silvestro. I primi lavori, eseguiti dopo il 1873, mirarono solamente ad adattare alcuni locali dell’edificio di S. Matteo, divenuto succursale dell’altro carcere di Pisa (esistente nel palazzo pretorio) che si trovava in pessime condizioni. Già nel 1871 però il Ministero dell’interno aveva dato disposizioni al prefetto perché incaricasse l’Ufficio del genio civile di studiare un progetto volto a ridurre il convento in carcere giudiziario, destinato ad ospitare circa centotrenta detenuti. Nel 1875 il carcere, già funzionante per i debitori civili e per i detenuti per reati di stampa, subì nuove trasformazioni. Vi fu aggiunta infatti anche una casa di custodia per i discoli. Il progetto principale di trasformazione dei locali dell’ex monastero di S. Matteo in carcere giudiziario venne infine messo a punto e realizzato nel 1877 (Il progetto del 3 aprile 1877 compilato dall’ingegnere Filippo Del Testa è in ASPI, Prefettura, b. 68, affare n. 112. Per le altre notizie sopra riportate si veda ASPI, Prefettura, b. n. 1265, affare 1465). Il convento di S. Matteo, nonostante la sua rilevanza dal punto di vista storico artistico, resterà a lungo adibito a carcere giudiziario. Un nuovo carcere sarà costruito a Pisa solo negli anni Trenta del Novecento su progetto dell’ingegnere F. Severini.

297 Esula da questo lavoro fare la storia dei diversi edifici ed istituti universitari che sono in parte già stati oggetto di specifici studi. Si veda: M. BORTOLI, La facoltà di ingegneria dell’Università di Pisa. Contributo alla storia in occasione del LXXX anniversario dell’istitu- zione, Pisa, Pacini, 1994; E. KARWACKA CODINI, Piazza dei Cavalieri... cit., pp. 45-161; M. DRINGOLI - A. MARTINELLI - F. NUTI, I mestieri del costruire, l’edilizia storica a Pisa, Ospeda-letto (Pisa), Pacini, 1997, pp. 42-44, pp. 117-166.

298 ASPI, Prefettura, b. 556, affare 2408. Contiene il progetto definitivo del 24 agosto 1883. Il nuovo fabbricato era da erigersi sul terreno del vicino Orto botanico. Si vedano le tavole nn. 7 e 8 allegate a questo lavoro.

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dell’Università, ritenute inadeguate ai nuovi bisogni scientifici 299. La richiesta di dotare l’Università di nuovi locali da destinare alla Facoltà di medicina venne posta con vigore nel 1889 dall’allora rettore Ulisse Dini. Nuovi, gran-diosi locali erano stati da poco costruiti per la Facoltà, col contributo della Provincia e del Comune di Pisa, locali che però erano ancora, secondo il rettore, del tutto insufficienti ai bisogni di quell’istituto scientifico 300. Il ret- tore invocava dunque un provvedimento legislativo necessario per ottenere il concorso dello Stato nel finanziamento di nuovi lavori. L’atteso finanziamento arrivò soltanto nel 1903. In quell’anno fu emanata infatti una legge che stanziò duemilioni e mezzo di lire per la sistemazione ed il miglioramento degli stabilimenti scientifici dell’Università di Pisa 301. Di questa somma, un milione e ottocentomila lire erano a carico dello Stato, mentre le rimanenti settecentomila lire erano a carico degli Ospedali riuniti di S. Chiara e del Consorzio universitario, costituito nel 1893 tra la Provincia e la Cassa di risparmio di Pisa 302. Allegato alla legge era l’elenco degli edifici da sistemare e di quelli nuovi da costruire 303. Erano previsti interventi di ampliamento e sistemazione per il palazzo della Sapienza 304, per il Gabinetto d’archeologia, per i Musei di storia naturale, per gli Istituti di fisica sperimentale e di fisica tecnologica, per l’Orto botanico, per le Scuole superiori d’agraria e di medici-na veterinaria, per la Scuola di disegno e quella di chimica farmaceutica. Per gli edifici clinici, per quelli d’igiene e di fisiologia, per la Clinica generale e la Scuola medica si prevedeva la costruzione di nuovi fabbricati ed il riordi-namento di quelli già esistenti. Già prima dell’emanazione della legge l’incarico di redigere un progetto per la costruzione delle cliniche ed il riordi-namento e la sistemazione edilizia degli Ospedali riuniti di Pisa era stato affidato all’ingegnere Crescentino Caselli, professore di architettura presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dalla Commissione 305 rappre-

299 L’Istituto di fisica tecnologica, ad esempio, che era stato notevolmente ampliato nel 1894 fu ancora ingrandito pochi anni dopo perché lo si ritenne nuovamente insufficiente « per i nuovi incrementi avvenuti negli apparecchi di osservazione e di insegnamento e nel materiale della biblioteca » (relazione del progetto di ampliamento dell’Istituto di fisica tecnologica del 15 novembre 1905 in ASPI, UGC, classe XXVII, b. 15, fasc. 43).

300 Dini scriveva: « Mancano infatti assolutamente ambienti adattati per la patologia genera-le, la quale ora trovasi rifugiata in due piccole stanze disadatte, mancano in parte per l’igiene, e mancano assolutamente locali per le cliniche generali medica e chirurgica, per le propedeutiche e per le cliniche speciali dermosifilopatica e psichiatrica » (ASPI, Università di Pisa, III versamen-to, b. 15, affare 890, lettera del 6 marzo 1889 diretta al Ministro della pubblica istruzione).

301 L. 17 lug. 1903, n. 373. 302 ASPI, Prefettura, b. 4, fasc. 7, « Consorzio universitario ». 303 L. 17 lug. 1903, n. 373, all. A. 304 Erano previsti per la Sapienza la sistemazione generale dell’edificio, la costruzione di

nuove aule ed il miglioramento di quelle già esistenti per le scuole di giurisprudenza, lettere e matematiche l’ampliamento della Biblioteca e degli uffici.

305 La Commissione era costituita dal rettore dell’Università (in quanto presidente del Con-sorzio universitario), dal sindaco di Pisa, dal presidente degli Ospedali riuniti S. Chiara. La

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sentante il fondo per la costruzione delle cliniche, costituito col contributo di cinquecentomila lire, stanziato dagli Ospedali riuniti S. Chiara, e di duecen-tomila lire dal Consorzio universitario. L’ingegnere Caselli aveva adempiuto al suo compito già nel 1897, presentando un progetto di massima che fu dato alle stampe nello stesso anno 306. Al progetto Caselli, recepito dalla legge del 1903, si volle dare esecuzione deliberando l’immediata costruzione della Clinica chirurgica. La direzione dei lavori venne affidata allo stesso Caselli. L’incarico di provvedere all’esecuzione del progetto fu affidato all’ammini- strazione degli Ospedali riuniti S. Chiara. L’Amministrazione ospedaliera era infatti amministratrice del fondo per la costruzione delle cliniche ed aveva anche la facoltà di aggiudicare l’appalto, di soprintendere ai lavori, di fare il collaudo, di eseguire i pagamenti, di adottare tutte le deliberazioni che pote-vano riferirsi all’esecuzione degli stessi lavori 307. Sempre all’ingegnere Caselli il rettore dell’Università di Pisa aveva conferito, già nel 1902, l’inca- rico di redigere un progetto di nuova sistemazione e risanamento dell’edificio della Sapienza, ritenuto allora angusto e malsano.

Un primo progetto di massima fu presentato il 15 aprile 1902 308. Per l’ingrandimento dell’edificio si proponeva anche l’esproprio e demolizione delle case private poste dietro la Sapienza. In seguito, per dare luce alle nuove aule furono demolite le case esistenti tra via l’Arancio e via Tanucci (attuale piazza Dante) 309. L’attuazione della legge del 17 luglio 1903, che prevedeva Commissione era prevista dal « Regolamento per la esecuzione del progetto Caselli del 17 febbraio 1897 per la costruzione delle cliniche ed il riordinamento della sistemazione edilizia dello spedale » (Regolamento 10 dic. 1899 allegato alla l. 17 lug. 1903, n. 373).

306 C. CASELLI, Progetto di nuove sedi per le Cliniche dell’Università di Pisa. Redatto per ordine della Giunta amministrativa del Consorzio universitario dall’ingegner Crescentino Caselli, Torino, Camilla e Bertolero, 1897.

307 Regolamento 10 dic. 1899 per l’esecuzione del progetto Caselli, allegato alla legge 17 lug. 1903, n. 373. Il nuovo edificio della Clinica chirurgica fu inaugurato agli inizi del 1906 (ASPI, Università di Pisa, III versamento, b. 17, fasc. 965).

308 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 49, fasc. 287 A « Progetto di sistemazione dell’edificio centrale detto la Sapienza ». Le condizioni del fabbricato venivano così descritte dal Caselli: « (...) Le lezioni orali di Matematica, di Giurisprudenza e di Archeologia, si tengono in aule a terreno quasi tutte anguste e mancanti di igiene e di proprietà. Alcune aule prendono luce ed aria dagli stretti cortili delle case private attigue che contendono alla Sapienza il prospetto sulla via dietro la Sapienza. Altre aule non hanno altra illuminazione ed aria che quella indiretta che prendono dal porticato del cortile L’aula magna, pure situata a terreno, riceve scarsissima luce dalla strettissima via dell’Ulivo, non ha che cinque metri di altezza ed è eccessivamente lunga e poco larga e quindi poco atta alla natura delle riunioni cui è destinata. I locali di rettorato, di segreteria, di economato e di archivio, che sono discretamente bene installati a primo piano sul lato verso la via della Sapienza, vorrebbero in parte essere aggregati alla biblioteca che rigurgita di libri e da lungo tempo ha necessità di nuovi locali (...). I locali a terreno dell’ala verso via San Frediano, che anticamente servirono a deposito del sale, hanno muri guasti e resi inservibili dal salnitro e dall’umidità; vengono adoperati ad uso di magazzino materiali, ma servono più a rovinare che a conservare i materiali medesimi... ».

309 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 51, fasc. 287 D. Per i progetti relativi ai lavori per la Sa-pienza si veda ASPI, UGC, classe XXVII, b. 49, fasc. 287 A. Dopo l’allontanamento da Pisa del

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un largo concorso dello Stato nel finanziamento dei lavori, comportava nuove rilevanti attribuzioni per l’Ufficio del genio civile di Pisa, già oberato da importanti servizi e da urgenti lavori idraulici in corso d’esecuzione. Nel dicembre del 1903, constatando che l’Ufficio non aveva ancora potuto nean-che iniziare la fase di progettazione dei lavori previsti per gli edifici universi-tari e che le premure rivoltegli dal rettore dell’Università andavano intensifi-candosi, l’ingegnere capo Biglieri chiese al Ministero dei lavori pubblici l’istituzione di una sezione speciale 310, costituita in parte da personale straor-dinario e incaricata di attendere esclusivamente alla compilazione dei progetti ed alla direzione e sorveglianza dei lavori previsti dalla legge del 1903. La proposta fu approvata e la quinta sezione cominciò ad operare dal primo settembre del 1904. La direzione della sezione e dei lavori fu affidata a Crescentino Caselli 311, che già aveva studiato i progetti di massima per gli edifici clinici e per l’ampliamento della Sapienza e che per l’occasione fu assunto tra il personale straordinario del Genio civile. L’alta sorveglianza dei lavori restò normalmente affidata all’ingegnere capo del Genio civile di Pisa 312. Il Caselli restò a dirigere la sezione speciale fino alla fine di luglio del 1907 quando rassegnò le dimissioni per ritornare a Torino. Lasciando il servizio consegnò all’ingegnere capo alcuni progetti compiuti relativi al palazzo della Sapienza, agli Istituti di fisiologia, d’igiene, di fisica e fisica tecnologica, d’agraria, di zootecnica, al riordinamento della Scuola medica, e all’ampliamento e sistemazione del Museo di storia naturale 313. Al rettore dell’Università di Pisa il Caselli aveva già consegnato un progetto, datato 28 febbraio 1907, per la costruzione di nuovi edifici clinici e per la sistemazione di quelli esistenti 314. La quinta sezione speciale continuò a funzionare almeno fino al 1920. A guidarla si alternarono gli ingegneri Diego Blesio (fino al 1909), Riego Mandrulli, Arturo Venturi che mantenne l’incarico fino al 1917 quando, per ragioni di salute, fu sostituito da Raffaele Pascoli, in servizio insieme al Venturi fin dai primi anni d’istituzione della quinta sezione. Le somme stanziate nel 1903 per l’assetto ed il miglioramento degli edifici universitari si rivelarono presto insufficienti a causa del continuo aumento del

Caselli i progetti suppletivi furono redatti dall’ingegnere Virginio Carè ed il progetto di comple-tamento dall’ingegnere Arturo Venturi.

310 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 13, fasc. 19, « Corrispondenza 1903-1904 », lettera del 10 dicembre 1903.

311 Il Caselli fu contemporaneamente comandato presso la cattedra di architettura ed ornato della Università di Pisa.

312 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 13, fasc. 19, « Corrispondenza 1903-1904 », lettera del- l’ispettore superiore del V compartimento del 29 marzo 1904.

313 I progetti risultavano compilati negli anni 1906-1907. 314 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 16, fasc. 45, « Crescentino Caselli ing. straordinario... »,

verbale di consegna della V Sezione dall’ingegnere sig. Caselli Crescentino all’ingegnere capo.

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costo della manodopera e dei materiali 315 e delle cattive condizioni di alcuni degli stessi fabbricati come il palazzo della Sapienza, vecchio edificio da rimodernare 316. I maggiori costi ed i problemi presentatisi in diversi edifici al momento dell’attuazione dei lavori imposero presto la necessità di rivedere i progetti principali e di redigerne di suppletivi 317. Cessato dal servizio l’inge- gnere Caselli, la Commissione del fondo per le cliniche si rivolse a Francesco Bernieri, allora ingegnere capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Pisa, affinché rivedesse i progetti Caselli. Il Bernieri preparò nuovi progetti di massima per la clinica medica, per la dermosifilopatica, per la psichiatrica, per l’ostetrica, per l’oftalmica, per patologia medica e chirurgica 318. Tutti contemplavano profonde modifiche dei progetti Caselli. I nuovi finanziamenti necessari per completare i lavori programmati nel 1903 giunsero nel 1912 319. La somma di 2.500.000 lire, prevista dalla legge del 17 luglio 1903, venne portata a 3.847.000 lire. Alla base dei lavori per gli Istituti clinici vennero posti i progetti Bernieri che sostituirono quelli redatti dal Caselli. Le nuove somme stanziate dovevano essere destinate alle maggiori spese resesi necessa-rie per il palazzo della Sapienza, per i nuovi edifici clinici e per il riordina-mento di quelli già esistenti, per i nuovi edifici d’Igiene e Fisiologia, per il riordinamento della Scuola medica, per l’ampliamento e sistemazione del Museo di storia naturale e per la sistemazione delle Scuole di agraria e veterinaria. Un primo gruppo di lavori relativo agli edifici clinici, compren-dente la costruzione della Clinica medica, del relativo padiglione d’isolamento e del capannone per le caldaie, fu affidato dal commissario degli Ospedali riuniti alla direzione dell’ingegnere Bernieri 320. Bernieri avrebbe dovuto

315 L’ingegnere capo Biglieri scriveva nel 1908 che i principali materiali da costruzione,

mattoni e pietrami, erano aumentati rispettivamente del sessanta e del cinquanta per cento, mentre il costo della paga giornaliera dei muratori era aumentato del ventisette per cento (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 13, fasc. 19, « Corrispondenza 1907-1909 », lettera del 14 marzo 1908).

316 Parlando della Sapienza l’ingegnere capo scriveva: « (...) man mano che si sviluppano i lavori si riscontra come alcuni muri (e sfortunatamente sono i principali) i quali apparentemente sembravano in buono stato, devono essere invece demoliti e rifatti e con essi anche le coperture sovrastanti ». Per i maggiori costi derivanti da problemi specifici relativi ai diversi istituti universitari si veda « Maggiori fondi necessari per i lavori universitari » (ibidem).

317 Nel 1908 l’ingegnere Biglieri rilevava che erano ancora in corso di studio progetti per l’Istituto d’igiene e per i Musei di storia naturale mentre erano già in corso di approvazione i progetti per l’Istituto di fisiologia e per la Scuola medica. Non esisteva invece ancora alcun progetto per l’Istituto di chimica (ibidem).

318 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 131, « Corrispondenza e relazione della Commissione per gli edifici universitari », relazione del 16 mar. 1910. La Commissione era stata nominata nel 1909 perché stabilisse l’esatto fabbisogno ancora occorrente per la sistemazione ed il completa-mento dei diversi edifici universitari.

319 L. 30 giu. 1912, n. 799, approvante la convenzione per l’assetto edilizio dell’Università di Pisa e dei suoi stabilimenti scientifici.

320 Deliberazione del commissario degli Ospedali riuniti S. Chiara del 29 aprile 1912 (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 36, fasc. 171). I lavori di costruzione della Clinica medica furono

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essere coadiuvato da Pietro Studiati. Quest’ultimo compilò anche i progetti definitivi per le Cliniche dermosifilopatica, ostetrica e per le infermerie ospedaliere 321.

Tutti i progetti, sia di massima che esecutivi, prima di essere sottoposti all’approvazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, furono esaminati dall’Ufficio del genio civile, tenuto ad esprimere il proprio parere e a richie-dere eventuali modifiche. Tra il 1912 ed il 1920 giunsero al termine i diversi lavori per l’assetto edilizio dell’Università di Pisa finanziati nel 1903 e nel 1912. La quinta sezione speciale dell’Ufficio del genio civile, esaurito il suo compito, fu soppressa. Anche negli anni Venti, tuttavia, gli edifici universitari richiesero un impegno dell’Ufficio, sia pure meno rilevante che nel passato. Oltre gli annuali lavori di manutenzione ci si occupò in quegli anni ancora di altre opere di straordinaria sistemazione, quali quelle del fabbricato dell’Isti- tuto d’agraria (in cui già si lamentava una scarsa disponibilità dei locali), del rialzamento di un’ala nel fabbricato dei Musei di storia naturale ad uso dell’Istituto di geologia, del consolidamento negli stessi Musei del fabbricato per l’Istituto di zoologia e anatomia comparata, della sopraelevazione di un’ala del fabbricato della Scuola medica chirurgica da adibirsi ad Istituto di patologia chirurgica.

Ancora negli anni dal 1922 al 1930 l’Università provvide alla costruzio-ne di un nuovo edificio per la Clinica oculistica e di tre edifici per la Clinica psichiatrica, entrambi su progetti dell’ingegnere Pampana, non appartenente all’Ufficio del genio civile. I progetti rientravano in un piano generale di massima riguardante l’assetto edilizio delle Cliniche universitarie e degli Ospedali riuniti Santa Chiara. Il piano era conseguente ad una nuova conven-zione stipulata l’8 luglio 1922 tra i Ministeri della pubblica istruzione, del tesoro, delle finanze, l’Amministrazione ospedaliera, la Commissione del fondo per le cliniche ed il Comune di Pisa 322. La ripresa di un vasto pro-gramma per il rinnovamento edilizio dell’Università di Pisa si ebbe negli anni Trenta.

Nel dicembre del 1930 venne approvata una nuova convenzione per l’assetto degli edifici universitari, degli Istituti superiori d’istruzione e degli Ospedali riuniti S. Chiara 323.

La convenzione fu stipulata tra lo Stato, il Comune e la Provincia di Pisa, il Consorzio universitario, la Scuola d’ ingegneria, la Scuola Normale superiore, l’Istituto superiore di medicina veterinaria e l’Istituto superiore agrario, al fine di sostenere le spese per nuovi lavori riguardanti la costruzio- ultimati nel novembre del 1915 (ibid., lettera del presidente degli Ospedali riuniti S. Chiara del 25 febbraio 1916).

321 Ibid., lettera del rettore dell’Università di Pisa, del 4 marzo 1915. 322 ASPI, UGC, classe XXVII, b. 68, relazione del progetto per la Clinica oculistica, inge-

gnere O. Pampana, 21 aprile 1925. 323 L. 18 dic. 1930, n. 1811.

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ne della Scuola d’ingegneria, dell’edificio per l’Istituto di chimica generale, di otto edifici clinici universitari 324, la sistemazione della Scuola medico-chirurgica, degli Istituti di chimica fisica e chimica farmaceutica e dell’edifi- cio annesso al palazzo della Sapienza, l’ampliamento del fabbricato della Scuola Normale superiore, la sistemazione del padiglione delle infermerie, l’arredamento dei locali dell’Università, della Scuola Normale superiore, del- l’Istituto superiore di agraria. La gestione dei fondi era affidata all’Università di Pisa che, per questo scopo, avrebbe dovuto avvalersi dell’opera di una Commissione amministratrice 325. Per l’esecuzione dei lavori la Commissione avrebbe dovuto servirsi dell’opera del Genio civile. La precedenza nell’ordine dei lavori doveva esser data alle opere previste per la Scuola Normale e per quelle della Scuola d’ingegneria 326. La convenzione non prevedeva la costru-zione di un Istituto di educazione fisica che invece fu avviata subito, nel 1931, perché l’edificio era stato « vivamente caldeggiato e premurato anche dalle autorità politiche locali quale necessaria integrazione dell’Ateneo pisano, secondo le stesse direttive e finalità del Governo nazionale » 327.

Scrivendo nel 1935, il rettore dell’Università di Pisa affermava che all’organica sistemazione edilizia dell’Università si era potuti addivenire per il particolare interessamento del regime a favore dell’Ateneo pisano, interessa-mento che si era concretizzato nella convenzione stipulata fra lo Stato e gli enti locali l’8 maggio 1930, alla presenza dello stesso capo del governo 328. Certo non era stata senza peso la presenza a Pisa in quegli anni, quale com-missario della Scuola Normale, di Giovanni Gentile.

La volontà di potenziare la Normale, di aumentare il numero dei giovani allievi accolti dalla Scuola, di farne il « fiore all’occhiello del regime » 329 furono le premesse ai lavori d’ingrandimento dell’edificio della Carovana,

324 Gli edifici clinici erano così elencati nell’art. 7 della convenzione recepita dalla l. 18 dic. 1930, n. 1811: « 1.Clinica dermosifilopatica; 2.Clinica pediatrica; 3.Padiglione d’isolamento per detta [Clinica]; 4.Patologia speciale chirurgica; 5.Patologia speciale medica; 6.Clinica otorinolaringoiatrica; 7.Clinica ostetrico-ginecologica; 8.Padiglione d’isolamento per detta [Cli- nica] ».

325 Oltre il rettore facevano parte della Commissione un rappresentante del Ministero del- l’educazione nazionale, l’intendente di finanza, il podestà di Pisa, il presidente dell’Amministra- zione provinciale, il presidente della Cassa di risparmio, il presidente dell’Amministrazione ospedaliera, i direttori della Scuola Normale superiore, della Scuola d’ingegneria, dell’Istituto superiore agrario, dell’Istituto superiore di medicina veterinaria.

326 A discutere intorno al progetto per la nuova sede della Scuola d’ingegneria si era co-minciato già dalla fine del 1920. Si veda M. BORTOLI, La Facoltà d’ingegneria... cit., pp. 59-75.

327 Relazione sull’andamento degli studi e dei lavori a tutto il 30 giugno 1931 dell’inge- gnere capo Giovanni Girometti (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 134, « Edifici universitari-Varie »).

328 « Relazione sulla sistemazione edilizia della R. Università di Pisa », 25 settembre 1935 (ibidem).

329 T. TOMASI - N. SISTOLI, La Scuola Normale di Pisa dal 1813 al 1945. Cronache di un’istituzione, Pisa, ETS, 1990, p. 187.

Rosalia Amico 132

intrapresi freneticamente appena emanata la legge del dicembre 1930 330 e conclusi già nel 1932.

Nel suo discorso d’inaugurazione della nuova Normale, tenuto il 10 di-cembre 1932, Gentile non dimenticò di ringraziare Giovanni Girometti, ingegnere capo del Genio civile di Pisa, che quei lavori aveva progettato e diretto 331. Per tutto il decennio dal 1930 al 1940 parte dell’attività dell’Ufficio del genio civile di Pisa fu rivolta alla progettazione ed alla direzione dei lavori per l’assetto edilizio dell’Ateneo pisano. Il 28 ottobre del 1936 furono solennemente inaugurate le Cliniche pediatrica ed ostetrico-ginecologica e la Scuola d’ingegneria. Nel giugno del 1941 il programma dei lavori previsto dalla convenzione dell’8 maggio 1930 poteva dirsi ormai realizzato 332.

Solo pochi documenti degli anni dal 1884 al 1933 ci testimoniano l’attività svolta dall’Ufficio del genio civile in relazione agli edifici monu- mentali della provincia 333. Sei dei fascicoli della classe XXVIII 334 contengono documenti riguardanti variamente i principali edifici monumentali di Pisa, cioè il duomo, il battistero, il camposanto monumentale, la torre pendente. La tutela degli edifici monumentali fu affidata, fin dalla raggiunta unità naziona-le, al Ministero della pubblica istruzione 335. Al Ministero dei lavori pubblici fu attribuita invece « la conservazione dei pubblici monumenti d’arte per la

330 Il progetto dei lavori d’ingrandimento della Scuola fu completato il 24 gennaio 1931 ed appaltato nel febbraio seguente (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 126, progetto esecutivo per l’ampliamento della Scuola Normale, 24 gennaio 1931, n. 532). Per i lavori eseguiti si veda: E. KARWACKA CODINI, Piazza dei Cavalieri... cit., pp. 139-141. Per le difficoltà incontrate nei lavori di fondazione a causa delle condizioni del sottosuolo e della presenza di avanzi di ruderi di costruzioni si veda la « Relazione sull’andamento degli studi e dei lavori a tutto il 30 giugno 1931 », in ASPI, UGC, classe XXVII, busta 134, « Edifici universitari - Varie ».

331 L’ingegnere Girometti era stato coadiuvato dal consiglio dell’architetto Ettore Fagiuoli. Il discorso tenuto da Gentile per l’inaugurazione dei nuovi locali della Scuola Normale è pubblicato in « Annuario della R. Scuola Normale Superiore. Pisa », 1935, I, pp. 14-22.

332 Relazione dell’ingegnere capo Girometti sulla situazione dei lavori e delle spese al 30 giugno 1941 (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 134, « Edifici universitari - Varie »). Restavano allora da ultimarsi solo i lavori di completamento della sede della Scuola di agraria (ibidem).

333 Sono raccolti in una sola busta della classe XXVIII (b. 1), che contiene anche un fasci-colo riguardante gli scavi archeologici eseguiti a Populonia tra il 1906 ed il 1915. L’ingerenza del Genio civile fu in questo caso limitata alla determinazione delle indennità da corrispondere ai proprietari dei terreni che occorreva occupare con gli scavi.

334 Gli altri cinque fascicoli della busta hanno per oggetto i seguenti edifici: Certosa di Calci (lavori di ordinaria manutenzione degli anni 1886-1894), Badia dei Camaldolesi di Volterra (lavori di restauro degli anni 1888-1889), campanile dell’Ospedale di Piombino (carteggio del 1903-1905), palazzotto già del Buonuomo, in piazza dei Cavalieri di Pisa (carteggio del 1919 sui lavori di ripristino), torre Malanima de’ Filippi di Vicopisano (carteggio del 1917 sui lavori di restauro).

335 Per l’ordinamento delle antichità e belle arti e per l’assetto organizzativo del Ministero della pubblica istruzione si veda: ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, L’archivio della Direzione generale delle antichità e belle arti (1860-1890). Inventario, a cura di M. MUSACCHIO, Roma, UCBA, 1994, pp. 9-96 (Strumenti CXX).

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parte tecnica » 336, attribuzione che il Ministero esplicò mediante i suoi organi periferici, cioè gli Uffici del genio civile, con la compilazione dei progetti, la direzione ed il collaudo dei lavori e la tenuta della relativa contabilità 337. Come si è visto, la competenza del Genio civile in relazione alla reda-zione di perizie riguardanti edifici aventi il carattere di monumento nazionale, fu ribadita ancora nel 1873 338. Sull’opportunità e sul merito dei lavori da eseguire in relazione agli edifici monumentali erano chiamate ad esprimere il loro parere anche le Commissioni provinciali conservatrici di belle arti 339. Progressivamente il Ministero della pubblica istruzione si andò dotando di propri organi tecnici per intervenire direttamente nella tutela del patrimonio storico ed artistico. Nel 1886, con un regolamento concernente i lavori da farsi in economia per i restauri ai monumenti nazionali ed agli scavi d’anti- chità, fu prescritto che la compilazione dei progetti d’arte, la direzione, la contabilità ed il restauro dei lavori, da eseguirsi secondo le norme comuni dello Stato, dovevano essere affidati alle cure di personale tecnico costituito in uffici regionali dipendenti dalla Direzione generale delle antichità e belle arti del Ministero della pubblica istruzione 340.

Nonostante l’esistenza degli Uffici regionali ai monumenti, cui dal 1892 fu interamente affidata la tutela dei monumenti delle rispettive regioni 341, l’intervento degli Uffici del genio civile nei riguardi degli edifici monumenta-li, in relazione alla verifica delle loro condizioni statiche, venne ribadito e sollecitato dal Ministero della pubblica istruzione con una circolare emanata nel 1902 342 a seguito degli allarmi destatisi ovunque in Italia dopo il crollo, avvenuto a Venezia, del campanile di S. Marco. In più occasioni inoltre gli Uffici del genio civile furono chiamati a collaudare i lavori fatti eseguire dagli Uffici regionali ai monumenti. Dal 1904 infine il Ministero della pubblica istruzione esplicò la propria azione a tutela degli edifici monumentali per

336 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 1. 337 Un elenco degli edifici monumentali italiani fu infine pubblicato dal Ministero della

pubblica istruzione nel 1902. Si veda: MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, Elenco degli edifizi monumentali in Italia, Roma, Cecchini, 1902. Per la provincia di Pisa si vedano le pp. 287-295.

338 R.d. 3 ott. 1873, n. 1686. 339 Le Commissioni erano organi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, aveva-

no cioè il compito di dare al governo pareri ed informazioni in materia di conservazione dei monumenti pubblici, degli oggetti d’arte, delle collezioni artistiche. A Pisa la Commissione conservatrice fu istituita nell’agosto del 1866 (r.d. 25 ago. 1866, n. 3190) e fino al 1876 ebbe competenza anche sulla provincia di Livorno. La Commissione era presieduta dal prefetto ed i verbali delle sue riunioni si trovano nell’archivio della Prefettura di Pisa. Una Commissione conservatrice per la provincia di Livorno fu istituita con r.d. 21 mag. 1876, n. 3145.

340 R.d. 22 apr. 1886, n. 3859, art. 9. 341 Si veda la circolare del Ministero della pubblica istruzione dell’8 giugno 1892, n. 80, in

ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, circolari del 1892. 342 ASPI, UGC, classe XXVIII, b. 1, fasc. 5, circolare del 30 luglio 1902, n. 13036.

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mezzo delle Sovrintendenze ai monumenti, allora istituite 343. Alle stesse Sovrintendenze furono attribuite l’amministrazione, la custodia, la conserva-zione degli edifici monumentali in consegna del Ministero della pubblica istruzione. Agli architetti dipendenti dalle Sovrintendenze fu attribuita una competenza sia tecnica che artistica. Gli architetti dovevano verificare le condizioni statiche degli edifici monumentali, redigere i progetti per la loro manutenzione ed il loro restauro, dirigere i lavori e tenerne la contabilità, rivedere i progetti fatti predisporre da altre amministrazioni e da privati. Nel 1907 furono meglio determinate le giurisdizioni territoriali delle varie sovrin-tendenze ai monumenti 344. La Sovrintendenza istituita a Firenze ebbe compe-tenza sui territori delle province di Firenze, Lucca, Massa, Livorno, Arezzo e Pisa, meno però il territorio di Volterra la cui tutela venne attribuita alla Sovrintendenza con sede a Siena. Nel 1909 infine, fu istituita la Sovrinten-denza ai monumenti per le province di Pisa, Lucca, Livorno, Massa, compe-tente anche sul territorio di Volterra 345. Dei lavori per gli edifici monumentali il Genio civile dovette tornare ad occuparsi nuovamente dopo il 1919 quando, in base alle disposizioni emanate in quell’anno sull’esecuzione delle opere pubbliche dello Stato, fu tenuto all’esame ed al visto dei progetti d’importo inferiore a cinquantamila lire, eseguiti in economia 346.

Un discorso a parte occorre fare per i quattro grandi monumenti affidati alle cure dell’Opera della Primaziale, cioè il duomo, il battistero, il camposan-to monumentale, la torre pendente, rispetto ai quali l’Ufficio del genio civile di Pisa fu chiamato ad intervenire solo in alcune occasioni con la redazione di perizie e la predisposizione di progetti 347. Per consuetudine l’Opera della Primaziale si serviva degli ingegneri municipali per la determinazione dei lavori riguardanti gli edifici affidati alle sue cure. Si trattava di una scelta autonoma e di una prassi cui l’Opera ricorse più volte nella seconda metà dell’Ottocento 348. Anche le perizie predisposte dagli ingegneri comunali

343 R. d. 17 lug. 1904, n. 431, approvante il regolamento sulla conservazione dei monu- menti e degli oggetti di antichità e d’arte e sull’esportazione degli oggetti stessi. Oltre le Sovrintendenze ai monumenti vennero istituite anche le Sovrintendenze sugli scavi, sui musei, sugli oggetti d’antichità, le Sovrintendenze sulle gallerie e sugli oggetti d’arte, l’Ufficio per l’esportazione di oggetti d’arte e di antichità.

344 L. 27 giu. 1907, n. 386. 345 R.d. 14 giu. 1909, n. 458. 346 D.lg. 6 feb. 1919, n. 107, art. 102. Il decreto fu modificato nel 1923 (r.d. 8 feb. 1923,

n. 422). 347 Nel 1870, ad esempio, il Ministero della pubblica istruzione scriveva che per procedere

al restauro del duomo occorreva che gli fossero inviati una perizia del Genio civile relativa ai lavori da eseguire ed un rapporto della Commissione conservatrice di belle arti sulla convenienza e necessità dei lavori ai fini della conservazione del monumento (ASPI, Prefettura, b. 1099, affare 371, lettera del 16 marzo 1870).

348 Nel 1859, ad esempio, l’Opera della Primaziale incaricò l’ingegnere comunale Pietro Bellini di redigere una perizia per il restauro degli edifici ad essa affidati. Morto il Bellini, nel

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dovevano essere sottoposte all’esame ed approvazione dell’Ufficio del genio civile prima di essere trasmesse al Ministero della pubblica istruzione per ottenerne il concorso nel finanziamento dei lavori 349. Dopo l’istituzione del- l’Ufficio regionale ai monumenti la Primaziale poté rivolgersi all’Ufficio di Firenze per la determinazione dei lavori riguardanti i monumenti affidatele. Per la lontananza da Pisa, l’Ufficio però non era in grado di esplicare un’azione continuativa su tutti i lavori necessari ai quattro celebri edifici pisani. Per l’Opera divenne quindi necessario ricorrere spesso ad ingegneri libero professionisti per le verificazioni dei restauri e per i lavori di ordinario mantenimento. Per questi motivi nel marzo del 1901 il commissario della Primaziale chiese al Ministero dei lavori pubblici di potersi avvalere, per i lavori di ordinario mantenimento, dell’opera degli ingegneri del Genio civile. La richiesta fu respinta dal Ministero a motivo della scarsità del personale dell’Ufficio del genio civile di Pisa e delle disposizioni regolamentari che vietavano agli ufficiali del Corpo di assumere incarichi estranei al servizio per essi obbligatorio e di prestare la loro opera a privati o enti 350. L’anno succes-sivo però la possibilità del ricorso all’intervento del Genio civile per verifica-re le condizioni statiche degli edifici monumentali fu ribadita dal Ministero della pubblica istruzione con la circolare del 30 luglio 1902 351. L’ingegnere capo Cavi ed il direttore dell’Ufficio regionale ai monumenti della Toscana eseguirono allora congiuntamente una visita sopralluogo ai quattro edifici dipendenti dall’Opera della Primaziale per verificarne lo stato di conservazio-ne 352. Tra il 1902 ed il 1920 non vi sono nella classe XXVIII dell’archivio in esame altri documenti riguardanti il duomo e gli altri edifici di piazza dei Miracoli. I documenti successivi al 1920 sono costituiti da poche lettere riguardanti perizie e fatture trasmesse all’Ufficio del genio civile perché le 1867 e poi l’anno seguente, l’Opera si rivolse al maestro muratore Giovanni Storni, che aveva eseguito i precedenti restauri indicati dal Bellini, per avere nuove perizie (ASPI, Prefettura, b. 1099, affare 371, lettera dell’ingegnere del Genio civile, Giovanni Veneziani, del 3 ottobre 1869. « Restauri alle fabbriche della Primaziale pisana »). I restauri indicati dal Bellini in una perizia del 30 novembre 1859 riguardavano la facciata del duomo, la torre pendente e i finestroni del camposanto monumentale. I relativi lavori risultavano in gran parte eseguiti nel 1869 « essendo stata completamente restaurata la facciata della cattedrale, ricostruite in molta parte le gradinate e marciapiedi che circondano il tempio, restaurato l’imbasamento al campanile » (ibid., lettera dell’ingegnere del Genio civile Veneziani del 3 ottobre 1869). Negli anni Ottanta dell’Ottocento l’Opera della Primaziale affidò l’incarico di redigere perizie riguardanti il restauro del duomo ancora all’ingegnere municipale Gaetano Corsani.

349 L’approvazione del Ministero dei lavori pubblici, e quindi degli Uffici del genio civile, di perizie fatte redigere da altri ministeri era previsto dalla stessa legge 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 5.

350 ASPI, Prefettura, b. 4, fasc. 3, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 21 marzo 1901.

351 ASPI, UGC, classe XXVIII, b. 1, fasc. 5. 352 A seguito del sopralluogo fu redatto il rapporto sulla conservazione dei monumenti

della Primaziale del 28 agosto 1902 (ibidem).

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esaminasse e vi apponesse il visto di approvazione. Della torre di Pisa l’Ufficio dovette tornare ad occuparsi ancora negli anni Trenta quando rice-vette l’incarico di eseguire i lavori di consolidamento del monumento, lavori che erano stati indicati da una commissione ministeriale di studio nominata nel 1927 e dal Consiglio superiore dei lavori pubblici 353. Sulla esecuzione di questi lavori si soffermò orgogliosamente l’ingegnere capo Giovanni Giromet-ti in un suo articolo del 1935 354. Pare però di poter affermare che nessun documento riguardante direttamente le opere di consolidamento eseguite in quegli anni si trovi conservato nella parte dell’archivio dell’Ufficio ordinata in classi, se si esclude la relazione redatta dallo stesso Girometti in occasione della visita privata compiuta dal re ai lavori in corso il 19 ottobre 1933 355. Le opere da eseguire per il preliminare consolidamento del campanile pendente di Pisa sono invece dettagliatamente descritte nell’atto di cottimo stipulato il 19 novembre 1934 dall’ingegnere Girometti, in rappresentanza dell’Ammini- strazione dei lavori pubblici, con l’impresa « Società anonima ing. Giovanni Rodio e C. » di Milano 356. Quest’ultima, sulla base di una perizia redatta nel 1932 dall’Ufficio del genio civile di Pisa, avrebbe dovuto provvedere al consolidamento della torre mediante iniezioni di cemento; avrebbe dovuto inoltre curare l’impermeabilizzazione del fondo e delle pareti circostanti la base del monumento con la formazione attorno allo stesso di una vasca impermeabile 357. Nel 1935 tutti questi lavori erano in gran parte già stati conclusi. Altri edifici affidati alle cure dell’Ufficio del genio civile erano quelli di culto, monumentali o meno. I documenti riguardanti questi edifici sono conservati nella classe XXXI. Nel febbraio del 1866 l’ingegnere capo Rinolfi parlava di 221 chiese e fabbriche parrocchiali affidate all’ufficio da lui diretto per la determinazione dei lavori 358. Già nel marzo del 1866 il Ministe-

353 Si veda: G. GIROMETTI, Il campanile pendente del Duomo di Pisa. Condizioni statiche secondo gli studi e i lavori in corso, Pisa, Lischi e figli, 1935, pp. 7-8. Si veda anche: Commis-sione pisana per gli studi sulla torre pendente. Relazione generale 20 luglio 1927, Pisa, Pellegri-ni, 1927.

354 G. GIROMETTI, Il campanile pendente del Duomo di Pisa... cit. 355 ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 2, fasc. 7, « Visita ai lavori in corso a Pisa », 20 ottobre

1933. L’ingegnere Girometti accompagnò il re nella visita e così ne riferì al Ministero dei lavori pubblici: « Ieri mattina S. M. il Re dalla reale residenza di San Rossore si è recato in forma privatissima a visitare alcune delle principali opere che si stanno eseguendo in questa città, tra cui i lavori di consolidamento del campanile pendente, quelli di costruzione del ponte al Politeama o della Vittoria, sul fiume Arno, e quelli infine della darsena Pisa nel Nuovo Naviga-bile Pisa-Livorno (...) S.M. il Re si è molto interessato di tutto ed in special modo delle installa-zioni di apparecchi già in buona parte attuata e dei provvedimenti disposti per un preliminare consolidamento del campanile pendente e per gli ulteriori studi avviati sul comportamento statico di quell’insigne monumento in relazione a tutte le possibili cause di eventuale ulteriore aumento di strapiombo (...) ».

356 ASPI, UGC, b. 4, atto di repertorio n. 1451. 357 Si vedano le tavole 9-10 allegate al presente lavoro. 358 ASPI, Prefettura, b. 912, « Affari diversi non registrati », relazione del 14 febbraio 1866.

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ro dei lavori pubblici chiarì l’ambito di intervento degli ingegneri del Genio civile in relazione agli edifici di culto 359. Agli ingegneri del Corpo del genio civile, in base alla legge da poco emanata sul servizio delle opere pubbli-che 360, era riservato esclusivamente il sevizio delle opere di conto dello Stato, non potevano quindi essere incaricati di redigere perizie e progetti riguardanti edifici parrocchiali in genere, se non nei casi in cui questi fossero di regio patronato e la loro erezione e conservazione non fosse a carico delle finanze dello Stato 361. Da queste disposizioni Il Ministero dei lavori pubblici dovette recedere pochi mesi dopo e, a seguito delle premure esercitate dal Ministero di grazia e giustizia e dei culti 362 perché fosse provveduto ai lavori riguardan-ti fabbriche parrocchiali, consentì che gli ingegneri del Genio civile portassero a termine i lavori già intrapresi 363. Il Ministero di grazia e giustizia e dei culti provvedeva al restauro delle chiese povere destinandovi parte dei frutti deri-vanti dai benefici vacanti la cui amministrazione fu, nel 1860, affidata ad economi generali nominati dal ministro 364. Dagli economi generali dipende-vano i subeconomi delle varie diocesi. Successivamente vennero posti a carico del fondo per il culto anche le spese per la conservazione di edifici ecclesia-stici importanti dal punto di vista monumentale, artistico e letterario 365. Al Ministero di grazia, giustizia e dei culti giungevano, tramite l’Economato generale di Firenze, le richieste degli ecclesiastici della provincia di Pisa volte ad ottenere lavori riguardanti chiese già esistenti o da costruirsi ed edifici annessi. Il Ministero si rivolgeva quindi al prefetto affinché affidasse all’Uffi- cio del genio civile l’incarico di verificare la situazione degli edifici ecclesia-stici e di compilare eventuali perizie o progetti. Le perizie, i progetti, redatti dall’Ufficio venivano poi trasmessi allo stesso Ministero di grazia e giustizia (sempre tramite la Prefettura) perché fossero approvati e finanziati. Delle perizie riguardanti gli edifici di culto, oltre che l’Ufficio del genio civile, si occuparono anche l’Intendenza di finanza (fino al 1894 e quando la spesa

359 ASPI, Prefettura, b. 924, affare 1188, circolare del 21 marzo 1866, n. 1070, « Servizio tecnico delle fabbriche parrocchiali ».

360 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F. 361 Per un primo inquadramento sullo stato giuridico delle chiese come edifici di culto si

veda: M. PIACENTINI, Chiesa (come edificio di culto), in Novissimo digesto italiano, III, pp. 185-190. In riferimento al diritto di proprietà l’autore distingue le seguenti categorie di chiese: 1) chiese di esclusiva proprietà privata; 2) chiese di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti o del Fondo del culto (le chiese annesse agli enti soppressi); 3) chiese di enti pubblici (Stato, Comuni, Province, opere pubbliche di beneficenza, confraternite).

362 Gli affari di culto erano stati posti alle dipendenze del Ministero di grazia e giustizia, che assunse la denominazione di Ministero di grazia e giustizia e dei culti, con r.d. 16 ott. 1861, n. 275.

363 ASPI, Prefettura, b. 924, affare 1188, lettera del Ministero di grazia e giustizia e dei culti, del 3 giugno 1866.

364 R.d. 26 mar. 1860, n. 4314. 365 R.d. 7 lug. 1866, n. 3036, art. 33.

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prevista non eccedeva le duemila lire e non era in pericolo la solidità dell’edificio) ed i vari uffici del Ministero della pubblica istruzione preposti alla conservazione dei monumenti. Molte chiese infatti, oltre che luoghi di culto, erano anche edifici monumentali, sottoposti, in quanto tali, alla tutela ed ingerenza del Ministero della pubblica istruzione. Nel 1899 fu data facoltà agli economi generali di concedere sussidi per restauri quando i lavori riguar-danti chiese cattedrali e parrocchiali, canoniche, vescovadi, risultassero neces- sari da perizie compilate o soltanto rivedute da un ufficio tecnico governati-vo 366. Molti dei fascicoli conservati nella classe XXXI dell’archivio del Genio civile contengono così solo la corrispondenza riguardante l’esame di perizie, non compilate direttamente dall’Ufficio ma sottopostegli perché le esaminas-se, formulasse un parere, desse il suo visto d’approvazione. Dal 1929 la materia dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa fu regolata dal concordato latera-nense, mutarono così profondamente anche le attribuzioni dei vari uffici preposti alla gestione del fondo del culto 367. La nostra ricerca si arresta a quella data perché nell’archivio in esame sono pochissimi i documenti succes-sivi al 1929 368.

11. Servizio di vigilanza sulle opere eseguite dagli enti locali. — Parte

dei fascicoli della classe XXXI è costituita da documenti riguardanti la progettazione di cimiteri ad opera dei Comuni della provincia. Altri documen-ti relativi ad opere igieniche diverse realizzate dai Comuni furono collocati nella classe XXXII mentre la classe XXIX fu destinata ad accogliere i fasci-coli riguardanti edifici comunali in genere (edifici scolastici, ospedali e ricoveri di mendicità, macelli, carceri mandamentali, opere edilizie diver-se) 369. Le spese per la costruzione ed il mantenimento di cimiteri, edifici ed acquedotti comunali erano state poste a carico dei Comuni già nel 1865 370 in base alle disposizioni della legge comunale e provinciale. L’ingerenza del Genio civile nei riguardi di questi lavori e delle opere igieniche in genere programmate dai Comuni, fu prevista, oltre che dalle disposizioni regolamen-

366 R.d. 2 mar. 1899, n. 64, regolamento per l’uniforme esercizio della regalia, sostituito

nel 1918 con altro regolamento approvato con d. l. 23 mag. 1918, n. 978. 367 Le attribuzioni degli Economati passarono agli Uffici amministrativi diocesani. 368 Il fascicolo 320 della classe XXXI (b. 4), ad esempio, contiene perizie relative allo stato

di alcuni edifici (tra cui il palazzo arcivescovile e la chiesa di S. Piero a Grado) dipendenti dalla Mensa arcivescovile di Pisa. L’Ufficio del genio civile poté compilare queste perizie per autorizzazione ricevuta dal Ministero dei lavori pubblici nel 1933, su richiesta del Ministero dell’interno che era subentrato nel 1932 a quello di grazia e giustizia nella trattazione degli affari relativi al culto.

369 La divisione fra le due classi XXIX e XXXII non è sempre netta e così nella classe XXIX possono trovarsi anche fascicoli relativi al risanamento igienico dei centri abitati (lavori fognari, ecc.).

370 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. A, art. 16.

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tari per il Corpo del genio civile 371, anche da norme e regolamenti particolari disciplinanti la concessione da parte dello Stato di mutui di favore. Così nel 1887 fu disposto che i Comuni al di sotto dei diecimila abitanti potessero chiedere mutui alla Cassa depositi e prestiti per l’esecuzione di lavori delibe-rati dai Consigli comunali e relativi ad acque potabili, cimiteri, fognature, costruzione di pubblici macelli e risanamento di luoghi abitati. I lavori esegui-ti dovevano essere collaudati da ufficiali del Genio civile o da ingegneri igienisti 372. Altre disposizioni sulla stessa materia furono emanate anche in seguito 373. Nel 1889 fu inoltre previsto dal Testo unico della legge provinciale e comunale, emanato in quell’anno, che i Comuni che intendessero chiedere mutui di favore per opere pubbliche non potessero farlo se i progetti dei lavori o gli studi non fossero stati preventivamente approvati dagli Uffici del genio civile 374. I progetti, redatti dagli Uffici tecnici dei Comuni, giungevano quindi all’Ufficio del genio civile tramite la Prefettura, alla quale venivano poi restituiti per gli ulteriori adempimenti, muniti del visto di approvazione o corredati da osservazioni. Le buste delle classi XXIX e XXXII dell’archivio contengono dunque la corrispondenza inerente alle opere programmate dai Comuni ma non sempre i relativi progetti. Nel 1932 infine vennero attribuiti alla competenza diretta del Ministero dei lavori pubblici anche i servizi concernenti la costruzione, sia a totale carico dello Stato, sia mediante contri-buti o sussidi, di ospedali, cimiteri, locali d’isolamento, acquedotti (esclusi quelli rurali), fognature ed altre opere igieniche 375, mentre il servizio relativo alla costruzione di edifici scolastici in genere era stato attribuito allo stesso Ministero l’anno precedente 376. I documenti conservati nella classe XXXII dall’archivio, se si eccettua un fascicolo 377, non oltrepassano il 1933.

12. Servizio marittimo. — Sul servizio marittimo e sui lavori riguardanti

i porti, le spiagge ed i fari del territorio pisano il Genio civile di Pisa acquistò competenza solo nel 1932, quando fu disposto che a decorrere dal 1 agosto di

371 Il regolamento per il Corpo del genio civile emanato nel 1894 (r.d. 13 dic. 1894, n. 568) dispose che gli ingegneri capi avrebbero dovuto esercitare un attivo sindacato sulle opere la cui esecuzione era affidata a Province e Comuni e alle quali contribuiva lo Stato. Dovevano inoltre consigliare e dirigere la condotta tecnica di questi servizi, tenendo in evidenza lo stato delle opere e delle spese.

372 R.d. 31 lug. 1887, n. 4857. 373 R.d. 10 feb. 1901, n. 76; r.d. 6 ott. 1912, n. 1306; d.l. 28 gen. 1917, n. 190; r.d. 6 ott.

1919, n. 1909. 374 R.d. 16 feb. 1889, n. 5921, art. 159. 375 R.d. 16 giu. 1932, n. 681. 376 R.d. 18 mag. 1931, n. 544. 377 « Contabilità finale dei lavori di rialzamento dei pozzi e dei casotti delle centrali di sol-

levamento poste in località Filettole e costruzione di un muro di recinzione delle centrali di sollevamento », 1943-1946, in ASPI, UGC, classe XXXII, b. 4, « Acquedotti dei Comuni di Pisa e Livorno ».

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quell’anno gli Uffici dovessero occuparsi di tutti i servizi relativi alle opere pubbliche ricadenti nel territorio delle rispettive province 378. Ad occuparsi in precedenza dei porti e delle spiagge della provincia di Pisa era stato il Servi-zio marittimo dell’Ufficio del genio civile di Livorno, competente sui lavori marittimi delle province di Massa-Carrara, Lucca, Pisa, Grosseto. Probabil-mente nel corso dello stesso 1932 fu aggiunta alle classi già esistenti del- l’archivio del Genio civile di Pisa la classe IX bis, destinata ad accogliere i documenti riguardanti i lavori eseguiti per difendere la spiaggia di Marina di Pisa dalla corrosione del mare 379. L’Ufficio di Livorno aveva progettato e curato l’esecuzione dei lavori di difesa dal 1910 in poi. Dal 1899 al 1907 era stato il Comune di Pisa a far eseguire alcune opere che però si erano rivelate insufficienti allo scopo. Il Comune si era occupato dei lavori, sostenendone anche le spese, perché la spiaggia di Marina era di quarta classe 380. Dopo il 1907 il Comune di Pisa richiese l’intervento dello Stato per ottenere che venissero eseguite efficaci opere di difesa dell’abitato, intervento reso possibi-le da una legge che previde il concorso dello Stato anche nelle spese per opere di difesa delle spiagge dall’erosione del mare 381. Il concorso dello Stato comportò l’ingerenza del Genio civile di Livorno che dal 1910 al 1932 curò gli studi ed i lavori riguardanti la difesa di Marina di Pisa 382. I lavori eseguiti

378 Circolare del Ministero dei lavori pubblici del 16 luglio 1932, Divisione II, n. 14035

(ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5). 379 Sulle cause della erosione della spiaggia di Marina di Pisa si veda quanto scritto dalla

seconda sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici nel giugno del 1933: « (...) Dagli studi fatti risultò che la corrosione della spiaggia davanti all’abitato di Marina di Pisa non era dovuta ad erosione prodotta dalla corrente dell’Arno o da quella litoranea, ma ad un disequilibrio fra il depauperamento prodotto dai marosi dominanti di libeccio che trasportano le sabbie verso il nord e la massa di materie di ripascimento provenienti dalle torbide dell’Arno, che il moto ondoso favorevole di maestrale distribuisce nel litorale situato a sud della foce del fiume. Causa di questo disequilibrio fu ritenuta essere un cambiamento avvenuto verso il 1860 nella direzione dell’ultimo tratto dell’Arno e quindi della corrente oltre lo sbocco in mare, che mantenendosi sin allora in direzione Ovest - Nord Ovest, era ripiegata verso Sud Ovest. Questo cambiamento determinò la corrosione dell’estremo lato della sponda sinistra che si protendeva in mare a guisa di pennello e tratteneva i materiali di ripascimento nella spiaggia di Marina ». (ASPI, UGC, classe IX bis, b. 6, verbale dell’adunanza del 28 giugno 1933).

380 La classificazione dei porti, spiagge e fari fu operata in base alle disposizioni della l. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, artt. 184-185. La legge riservò allo Stato, che avrebbe dovuto provvedervi tramite le Prefetture e gli Uffici del genio civile, l’amministrazione dei porti delle prime tre categorie. Lasciò invece ai Comuni l’amministrazione dei porti, golfi e spiagge della quarta classe. Gli elenchi dei porti di prima, seconda e terza classe furono pubblicati nel 1866 (r.d. 15 mar. 1866, n. 2828). Dei tre porti allora ricadenti in provincia di Pisa, cioè Piombino, Vada, San Vincenzo, solo quello di Vada fu iscritto negli elenchi della seconda classe.

381 L. 14 lug. 1907, n. 542. 382 Notizie riguardanti le varie fasi dei lavori eseguiti dal 1910 al 1924 sono contenute

nella « Relazione sulle condizioni della spiaggia di Marina di Pisa... », dell’ingegnere capo Baroni, 10 marzo 1924 (ASPI, UGC, classe IX bis, b. 1). Poiché alcune delle opere da eseguire per la difesa della spiaggia potevano avere influenza anche sul regime dell’Arno, agli studi

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 141

successivamente al 1932 furono invece progettati e diretti dall’Ufficio del genio civile di Pisa. L’ingerenza diretta dell’Ufficio sulle opere di difesa dell’abitato di Marina e su quelle marittime in generale cessò nel 1953. In seguito alla riorganizzazione del servizio decisa in quell’anno, l’attività relativa alle opere marittime, fino ad allora gestita dagli uffici ordinari del Genio civile, passò alla gestione di speciali Uffici del genio civile. All’Ufficio con sede a Genova fu attribuita la competenza sul litorale dal confine con la Francia al confine fra le province di Pisa e Livorno 383.

13. Esecuzione di opere pubbliche dello Stato. — A dettare le norme ge-

nerali sull’esecuzione delle opere pubbliche a carico dello Stato provvide ancora una volta la legge sui lavori pubblici del 1865 384. I lavori dovevano eseguirsi sulla base di progetti da sottoporre all’approvazione del Ministero dei lavori pubblici previo il voto del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Solo per motivi di particolare urgenza l’amministrazione poteva ordinare l’esecuzione di un’opera senza un preventivo progetto regolare. Ogni pro- getto doveva essere corredato da un capitolato d’appalto contenente la descri-zione delle opere da eseguire e gli obblighi imposti alle imprese appaltatrici dei lavori. All’esecuzione di questi doveva provvedersi mediante contratti stipulati dal Ministero dei lavori pubblici o da suoi delegati, oppure per economia, nei limiti e secondo le norme prescritte dalla legge sulla contabilità generale dello Stato. A disciplinare la materia intervennero ancora i regola-menti per la direzione, contabilità e collaudo dei lavori dello Stato 385. In base a questi provvedimenti le opere attribuite al Ministero dei lavori pubblici dovevano eseguirsi sotto la diretta responsabilità e vigilanza dell’ingegnere capo del Genio civile (di servizio generale o speciale), salvo il caso in cui il Ministero avesse istituito per una determinata opera un’apposita direzione tecnica.

Ulteriori importanti disposizioni furono emanate negli anni dal 1919 al 1927. Nel 1919 un decreto 386 dispose che le opere pubbliche dello Stato si eseguivano in base a progetti compilati dagli Uffici del genio civile o da altri uffici tecnici governativi civili o militari 387. Lo stesso decreto conteneva compiuti intorno al 1923-1924 cooperarono l’Ufficio di Livorno e quello speciale di Pisa per la sistemazione dell’Arno (ibidem).

383 L. 5 gen. 1953, n. 24. Dopo il 30 giugno 1953 personale dipendente dall’Ufficio specia-le di Genova operò comunque stabilmente a Pisa, presso il locale Ufficio del genio civile, proprio per seguire i lavori di difesa della spiaggia di Marina. Si veda il carteggio degli anni 1953-1955 in ASPI, UGC, classe IX bis, b. 24.

384 L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, titolo VI. 385 R.d. 19 dic. 1875, n. 2854; r.d. 25 mag. 1895, n. 350. 386 D.l. 6 feb. 1919, n. 107. 387 Per la competenza in materia di opere pubbliche di ministeri diversi da quello dei lavori

pubblici si veda: G. ROEHRSSEN, Lavori pubblici, in Novissimo digesto italiano, IX, pp. 486-488.

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norme per l’approvazione dei progetti, norme che furono successivamente modificate nel 1923 388 e poi ancora nel 1924 389. Norme più durature furono emanate nel 1925 390. I progetti di opere da eseguirsi a cura delle amministra-zioni civili dello Stato, eccettuati quelli delle Ferrovie, erano approvati dal ministero competente previo il visto dell’ingegnere capo del Genio civile fino all’importo di lire centomila e previo il visto o parere dell’ispettore superiore di circolo del Genio civile per importi compresi fra le centomila e le cinque-centomila lire; del Consiglio superiore dei lavori pubblici per importi superio-ri a quest’ultima cifra. Specifiche norme furono previste per l’approvazione dei progetti predisposti dagli Uffici tecnici di finanza 391 nell’interesse di varie amministrazioni dello Stato, norme la cui validità cessò nel 1931, quando furono interamente concentrati nel Ministero dei lavori pubblici tutti i servizi relativi alle opere edilizie da eseguirsi per conto dello Stato 392.

14. Assetto dell’ufficio tra il 1938 ed il 1946. — Nel 1938 all’interno del

Genio civile di Pisa il servizio appare ripartito fra quattro sezioni ordinarie e due sezioni « bis », così denominate per l’impossibilità di aumentare il numero delle normali sezioni dell’Ufficio, fissato di norma da un decreto ministeria-le 393. Il piano di ripartizione dei servizi operante nel 1938 era il seguente:

Prima sezione: tecnica urbanistica, piani regolatori, opere igieniche, edili-zia, viabilità, servizi speciali dipendenti da pubbliche calamità, affari ge-nerali, affari diversi. Prima sezione bis: edifici universitari, torre pendente del duomo di Pisa, opere speciali. Seconda sezione: opere idrauliche delle varie categorie, servizio acque pubbliche, servizi elettrici, studi riguardanti la sistemazione dell’Arno in Pisa. Seconda sezione bis: opere di navigazione interna, opere speciali. Terza sezione: bonifica integrale e trasformazione fondiaria. Quarta sezione: opere marittime.

388 R.d. 8 feb. 1923, n. 422. 389 R.d.l. 28 ago. 1924, n. 1396. Restò in vigore, in quanto non modificato, l’art. 1 del r.d.

8 feb. 1923, n. 422, che prevedeva la possibilità, per motivi d’urgenza o per la natura speciale delle opere da eseguire, di affidare la direzione dei lavori e la compilazione dei progetti a professionisti privati, sulla base di norme stabilite con decreto del ministero competente sui lavori.

390 R.d.l. 7 mag. 1925, n. 646. 391 R.d. 8 feb. 1923, n. 422, art. 3; d.l. 27 ott. 1927, n. 2128. 392 R.d. 18 mag. 1931, n. 544. 393 ASPI, UGC, classe IV, b. 6, fasc. « 1938. Statistica mese di gennaio. Schede dei Co-

muni ».

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 143

Questo assetto dell’Ufficio appare in parte mutato pochi anni dopo, nel 1946.

In conseguenza delle devastazioni causate dal secondo conflitto mondia-le, l’attività del Genio civile di Pisa fu in quell’anno (e lo sarà ancora per diverso tempo) prevalentemente rivolta allo studio delle opere di ricostruzio-ne 394 e alla progettazione di lavori atti a fronteggiare la disoccupazione operaia e a provvedere al ricovero dei senza tetto.

Parte delle sezioni dell’Ufficio furono dunque impegnate a far fronte a queste tre emergenze 395.

Nel gennaio del 1946 risultavano affidati alla prima sezione i lavori di riparazione dei danni di guerra e quelli per il ricovero dei senza tetto, mentre la prima sezione bis, oltre che delle opere edilizie e dell’edilizia universitaria, si occupava della riparazione degli edifici demaniali, di quelli di Enti locali e di Istituti di pubblica beneficenza e delle chiese parrocchiali esistenti nella zona della provincia a nord dell’Arno.

Alla prima sezione ter era affidata la ricostruzione e riparazione dei dan-ni causati dalla guerra alla viabilità minore ed agli acquedotti.

La prima sezione quater era impegnata nella riparazione degli edifici de-maniali, di quelli degli Enti locali, degli Istituti di pubblica beneficenza e delle chiese parrocchiali esistenti nella parte della provincia posta a sud dell’Arno.

Alla seconda sezione era riservato il compito di occuparsi delle opere i-drauliche, delle derivazioni d’acque, dei servizi elettrici e della riparazione dei danni causati a queste opere dalla guerra.

La ripartizione del servizio fra le altre sezioni dell’Ufficio era poi pres-soché uguale a quella del 1938.

394 Nel dicembre del 1947 il ministro dei lavori pubblici, Tupini, scriveva: « Come conse-guenza dell’ultima guerra, l’intervento diretto del Ministero dei lavori pubblici fu esteso anche ad alcuni speciali campi delle ricostruzioni e delle nuove costruzioni (...) nelle tre direttive principali dell’edilizia, dei trasporti, e della produzione d’energia elettrica, limitatamente per quest’ultimo settore, alla vigilanza dell’iniziativa privata » (Distruzioni e ricostruzioni in Italia... cit., p. 5). Nel campo dell’edilizia l’attività del Ministero riguardava ricostruzioni e nuove costruzioni relative a edifici adibiti a pubblici servizi, edifici scolastici, di culto ed istituti di pubblica beneficenza; edifici di abitazioni private, ospedali, sanatori antitubercolari, acquedotti e fognatu-re. La necessità di dare una più rapida attuazione all’opera di ricostruzione del Paese fu alla base dell’istituzione, nel 1945, dei Provveditorati regionali delle opere pubbliche (d.lg.lgt. 18 gen. 1945, n. 16). Sulle funzioni di questi organi si veda: G. ROEHRSSEN, Provveditorato regionale delle opere pubbliche, in Novissimo digesto italiano, XIV, pp. 487-497.

395 ASPI, UGC, classe IV, b. 11, fasc. 7, « Relazione sull’attività dell’Ufficio per il mese di gennaio 1946 ». Oltre le sezioni, funzionavano all’interno dell’Ufficio anche una segreteria ed una ragioneria. Il personale era composto da 63 persone, 23 di ruolo e 40 non di ruolo. L’Ufficio poteva disporre inoltre di ufficiali e guardiani idraulici in numero di 29 unità. Gli ingegneri erano 9 in tutto, mentre la parte più consistente del personale era costituita dai geometri che erano 25. Nel 1938 invece, l’Ufficio disponeva in tutto di 35 impiegati, di cui 8 ingegneri e 8 geometri.

Rosalia Amico 144

I documenti relativi all’attività di ricostruzione non sono pervenuti all’Archivio di Stato di Pisa se non in piccola parte 396 e si trovano ancora presso gli archivi degli uffici che del Genio civile hanno ereditato le compe-tenze, cioè il Provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana - Sezione operativa di Pisa e l’Ufficio del genio civile della Regione Toscana.

15. L’archivio dell’Ufficio del genio civile. — L’archivio dell’Ufficio del

genio civile fu in buona parte versato all’Archivio di Stato di Pisa nel 1986. Una parte assai esigua (circa tredici pezzi di cui dieci ascrivibili alla Direzio-ne delle opere preordinate all’essiccazione del lago di Bientina) era già pervenuta all’Archivio nel 1957, insieme ai documenti del Corpo degli inge-gneri d’acque e strade, grazie all’interessamento di Mario Luzzatto, allora direttore dell’Archivio. Luzzatto si adoperò per ottenere il versamento dei documenti dell’« archivio vecchio » del Genio civile, precedenti il 1870. L’espressione « Archivio vecchio » veniva usata nell’ambito dello stesso Ufficio per indicare la parte dell’archivio contenente documenti anteriori al 1886, documenti che erano stati lasciati fuori dal riordinamento della restante parte dell’archivio (con documenti successivi al 1886) operato verso la fine dell’Ottocento sulla base delle disposizioni regolamentari per il servizio del Genio civile, emanate nel 1894 397. In una relazione diretta al Ministero dell’interno, Luzzatto scriveva di avere potuto vedere una « guida dell’archi- vio vecchio » che riportava elencati cinquecentoventuno pezzi (centocinquanta anteriori al 1870 e trecentosettantuno anteriori al 1886). Osservava però che dei pezzi descritti non restavano ormai che poche unità e non vi era speranza di ritrovare quelli mancanti 398. L’archivio era stato infatti molto danneggiato durante la seconda guerra mondiale. Il direttore descriveva poi una situazione di particolare disordine dell’archivio ancora esistente in cui si avevano fasci-coli isolati accatastati fuori dalle buste e pacchi e buste il cui contenuto non corrispondeva al titolo. Novant’anni prima, ad un’analoga situazione di grave disordine e dispersione di documenti si era trovato di fronte, al suo arrivo a Pisa, l’ingegnere capo Eugenio Giani. Nel 1869 Giani, constata la situazione, rivolgendosi al prefetto, scriveva di essersi dovuto persuadere che « da molti anni in poi le carte sono state conservate con tanto poco ordine, che il ritrova-re gli antecedenti degli affari non è cosa facile né sempre possibile. Le dette carte formano una vistosa mole di pacchi legati con spaghi, e se non fosse la molta pratica di alcuni ufficiali tecnici e di questo impiegato d’ordine (…), spesso converrebbe rassegnarsi alla necessità di trattar gli affari senza i

396 Si vedano le buste della classe IV contenenti rilevamenti statistici relativi all’attività dell’Ufficio negli anni dal 1945 al 1960. Altre notizie possono trarsi dalla serie degli atti di repertorio relativa agli stessi anni.

397 R.d. 13 dic. 1894, n. 568. 398 ASPI, Archivio dell’Archivio, busta di carteggio del 1955, lettera del 26 settembre 1955,

« Atti antichi dell’archivio del Genio civile ».

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 145

precedenti che vi si riferiscono (...) » 399. L’ingegnere osservava poi che gli inventari esistenti erano ben lontani dal descrivere la reale situazione del- l’archivio e che aveva dovuto prendere atto della mancanza di molti documen-ti, riscontrata nella maggior parte degli affari che aveva avuto occasione di trattare. A questo stato di cose occorreva porre rimedio risistemando l’ar- chivio.

Giani si adoperò per conseguire questo obiettivo affidando l’incarico del riordinamento all’ingegnere aiutante Adriano Giani. Nel 1873 il lavoro, per cui era stata prevista anche la rilegatura in filze di numerosi documenti sciolti, poteva dirsi quasi terminato 400. L’ordinamento dato all’archivio vecchio fu basato sulle disposizioni contenute nel regolamento per il Corpo del genio civile, emanato nel 1863 401. L’archivio di ciascun Ufficio doveva essere diviso in due parti, una comprendente i documenti riguardanti gli affari ultimati, l’altra quelli che si riferivano agli affari in corso. Nell’una e nel- l’altra parte i documenti dovevano essere ripartiti in tante classi quanti erano i diversi rami del servizio. I documenti di ogni classe andavano poi suddivisi in fascicoli 402. Dovevano costituire una classe, denominata « Affari diversi », le carte relative ai seguenti oggetti: 1) personale degli impiegati ed agenti di ogni categoria, addetti o dipendenti dall’Ufficio; 2) disposizioni ed istruzioni di massima (leggi, decreti, circolari e Giornale del Genio civile); 3) affari misti, quelli cioè di natura tale da non potersi comprendere in alcuna delle classi aventi un oggetto determinato; 4) statistiche ed inventari.

Il regolamento prescriveva poi la tenuta dei registri di protocollo (uno generale per la registrazione dei documenti ricevuti e spediti dall’Ufficio,

399 ASPI, Prefettura, b. 1237, affare 1368, lettera del 17 maggio 1869. 400 L’8 marzo 1873 l’ingegnere Giani scriveva « Fino dal giorno in cui il sottoscritto prese

la consegna e la direzione di questo servizio, si persuase della necessità di riordinare le carte dell’archivio, con la veduta di rendere più facile il rintracciar gli affari e impedirne la dispersio-ne, affinché non si verificasse in seguito che fossero sottratti i documenti dalle filze, come avvenne su larga scala nei tempi anteriori alla di lui venuta in questo Ufficio. Questa operazione lunga e certamente poco gradevole, tentata invano più volte, era finalmente condotta al suo termine (...) e per assicurarne gli utili risultati, sarebbe occorsa la non grave spesa di lire 261 (...) » (ibid., lettera diretta al prefetto). Il Ministero dei lavori pubblici non solo ridusse della metà la somma richiesta ma fece anche dei rilievi che furono causa d’amarezza per l’ingegnere Giani. Nella stessa lettera dell’8 marzo egli infatti osservava: « Lo scrivente riconosce volentieri un suo difetto (la mortificazione inflittagli con le osservazioni ministeriali gli porge occasione di confessarlo), ed è una soverchia premura per tutto quello che riguarda il servizio di cui è incaricato. Perché infatti doveva interessare più a lui che agli egregi suoi antecessori la sistema-zione di questo archivio? Se non l’avesse tentata né proposta si sarebbe risparmiate delle osservazioni che lo ferivano vivamente, nella certezza in cui è d’aver bene amministrati gli interessi dello Stato, e d’aver sempre reso un esattissimo conto di tutte le anticipazioni che gli erano fatte ».

401 R.d. 13 dic. 1863, n. 1599, artt. 18-19. 402 La suddivisione doveva esser fatta in modo da tenere opportunamente aggregati i do-

cumenti relativi a ciascuna opera.

Rosalia Amico 146

l’altro particolare, che doveva essere tenuto dal capo ufficio per la registra-zione dei documenti — probabilmente di carattere riservato — relativi al personale). Oltre i protocolli, in ogni Ufficio dovevano tenersi i seguenti registri: registro del personale dipendente; inventario dei libri, registri, e carte esistenti nell’archivio; inventario del materiale mobile di pertinenza dell’Am- ministrazione; registro dei dati statistici e tecnici debitamente accertati; registro delle osservazioni idrometriche relative alle piene dei fiumi e torrenti; registro dei verbali di contravvenzioni alle disposizioni sulla polizia delle acque e strade; registro dei certificati per il pagamento del prezzo dei lavori e registro delle trasferte. Il numero delle buste dell’archivio vecchio pervenuto è assai esiguo: quattordici pezzi in tutto. Risulta quindi difficile dare indicazioni sul numero e sull’oggetto delle classi che lo costituivano.

Qui di seguito vengono riportate quelle di cui ci sono giunti i documenti:

classe I: fiumi e canali classe IV: fabbricati carcerari classe VII bis: bonifica di Bientina classe VIII: affari diversi classe IX: contabilità dell’Ufficio ed indennità diverse

Per conoscere in parte l’attività svolta dall’Ufficio nel primo trentennio

della seconda metà dell’Ottocento si rivelò importante, vista la perdita di buona parte dell’archivio, un articolo del regolamento del 1863. Tutte le comunicazioni dell’Ufficio del genio civile, riguardanti oggetti del servizio generale per i quali occorrevano provvedimenti da parte dell’Amministra- zione, dovevano essere inviate al Ministero dei lavori pubblici tramite gli uffici delle Prefetture 403. È a motivo di questa disposizione e per il fatto che alle Prefetture erano affidati gran parte degli adempimenti relativi agli appalti, che nell’archivio di quest’ultimo ufficio si trovano molti dei documenti prodotti da quello del Genio civile nella seconda metà dell’Ottocento, docu-menti che consentono di ricostruirne l’attività e di tracciarne il quadro degli interventi sul territorio.

Emanata nel 1882 la legge sul riordinamento del Corpo del genio civi-le 404 si sentì poco dopo il bisogno di disciplinarne il servizio con nuove norme regolamentari. Nel giro di pochi anni furono emanati tre diversi rego-

403 R.d. 13 dic. 1863, n. 1599, art. 34. Nel regolamento del 1894 questa disposizione non

fu più inserita e gli Uffici del genio civile poterono di norma corrispondere con il Ministero dei lavori pubblici direttamente o, per alcune materie, tramite gli ispettori compartimentali. Si veda anche la circolare del 5 gennaio 1895, n. 177, div. I (ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, circolari del 1895) e la circolare del 29 gennaio 1905, n. 895, div. I, « Nuovo ordinamento del servizio del Genio civile » (ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1, circolari del 1905).

404 L. 5 lug. 1882, n. 874, modificata con l. 15 giu. 1893, n. 294.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 147

lamenti 405, l’ultimo dei quali (quello pubblicato nel 1894) restò in vigore fino al 1931.

Anche il regolamento del 1894, oltre a disciplinare il servizio del Corpo del genio civile e quello del Consiglio superiore dei lavori pubblici, si occupò dell’ordinamento degli archivi degli Uffici.

I documenti, prescriveva il regolamento, dovevano essere conservati in due parti distinte dell’archivio (una per gli affari ultimati, l’altra per gli affari in corso). Queste due parti dovevano essere divise in tante classi quanti erano i rami del servizio. I documenti dovevano poi essere collocati in fascicoli non per anno ma per affare, in modo che risultassero riuniti tutti quelli concernenti un unico oggetto determinato.

Innovando rispetto alle disposizioni del 1863, il regolamento indicò quali dovessero essere le prime cinque classi dell’archivio e cioè:

classe I: personale degli impiegati ed agenti di ogni categoria, addetto o dipen-dente dall’ufficio classe II: disposizioni ed istruzioni di massima (leggi, decreti, circolari, Giornale del Genio civile, ecc.) classe III: affari diversi, quelli cioè che non potevano essere compresi in alcuna delle altre classi aventi un oggetto determinato classe IV: statistiche classe V: inventari.

La determinazione delle altre classi in cui dovevano essere ripartiti i do-

cumenti venne lasciata ai vari uffici, per consentire loro di forgiare l’archivio secondo i bisogni dei servizi affidati a ciascuno. I documenti dell’Ufficio del genio civile di Pisa furono ripartiti in quarantaquattro classi. Riportiamo il titolario di classificazione omettendo l’indicazione delle prime cinque classi che corrispondono a quelle prescritte dal regolamento 406.

classe VI: contabilità classe VII: previsioni di spesa e stime di beni demaniali classe VIII: rendiconti di spese per rilievi classe IX: concessioni classe IX bis: Marina di Pisa - opere di difesa della spiaggia classe X: fiume Arno classe XI: fiume Serchio classe XII: fiume Tora classe XIII: fiume Cornia

405 R.d. 3 mar. 1889, n. 5997; r.d. 1° ago. 1893, n. 633; r.d. 13 dic. 1894, n. 568. 406 Il titolario è stato ricostruito nel corso del lavoro di riordinamento dell’archivio, com-

piuto presso l’Archivio di Stato di Pisa, sulla base delle indicazioni contenute nelle buste e nei fascicoli.

Rosalia Amico 148

classe XIV: canale Navigabile Pisa-Livorno classe XIV bis: fiume Cecina classe XIV ter: navigazione interna classe XV: derivazioni d’acque pubbliche classe XVI: consorzi per opere idrauliche di seconda categoria classe XVII: consorzi per opere idrauliche classe XVIII: consorzi per opere idrauliche di terza, quarta, quinta ed incerta ca-tegoria classe XIX: polizia fluviale classe XX: servizio di piena classe XXI: osservazioni idrometriche classe XXII: viabilità provinciale classe XXIII: viabilità comunale classe XXIV: viabilità comunale obbligatoria classe XXV: viabilità ferroviaria classe XXVI: viabilità tranviaria classe XXVII: edifici demaniali e assetto edilizio dell’Ateneo pisano classe XXVIII: edifici monumentali e scavi d’antichità classe XXIX: edifici comunali e scolastici classe XXX: teatri e luoghi per pubblici spettacoli classe XXXI: chiese e cimiteri classe XXXII: opere igieniche eseguite dai Comuni classe XXXIII: locali per il tiro a segno classe XXXIV: bonifiche - spese di ordinaria e straordinaria manutenzione classe XXXV: bonifiche - progetti e perizie classe XXXVI: bonifiche - contabilità classe XXXVII: bonifiche-amministrazione dei terreni demaniali, affitti, vendite, contravvenzioni classe XXXVIII: bonifiche-osservazioni idrometriche, termoidrometriche, mare-ometriche, pluviometriche classe XXXIX: bonifiche - concessioni e consorzi classe XL: bonifiche - affari diversi classe XLI: bonifiche - vertenze, ricorsi, reclami ed istanze diverse.

Il lavoro di ordinamento dei documenti secondo il titolario sovraesposto

fu probabilmente compiuto fra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento. Negli stessi anni si provvide all’inserimento nello schema di classificazione dell’archivio generale anche dei documenti relativi al servizio di bonifica per i quali era fino ad allora esistito un archivio separato 407.

407 Nel 1901 l’ingegnere capo Vincenzo Cavi scriveva al Ministero dei lavori pubblici: « L’archivio speciale della bonifica di Bientina, separato da quello generale, ha bisogno di essere

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 149

A classificare i documenti sulla base del titolario descritto si continuò per tutto il primo trentennio circa del Novecento. Questa parte dell’archivio ordinata in classi costituisce quasi la metà del versamento effettuato all’Archi- vio di Stato di Pisa nel 1986. Altre serie cospicue sono quella dei protocol-li 408 e quella degli atti di repertorio 409. La tenuta del repertorio degli atti da sottoporsi alle tasse di registro fu prescritta per gli Uffici del genio civile nel 1887. Una circolare emanata in quell’anno dal Ministero dei lavori pubblici 410 ricordò infatti che erano applicabili agli atti sottoscritti dagli Uffici le norme contenute in una recente legge che estendeva ai segretari e ai capi di tutte le pubbliche Amministrazioni l’obbligo della tenuta dei repertori degli atti da sottoporsi alla tassa di registro 411. In particolare era affidata agli Uffici del Genio civile la stipulazione di atti per l’accettazione di perizie da parte delle imprese appaltatrici di lavori: erano questi atti a soggiacere alle tasse di registro e a dover essere annotati nei registri di repertorio.

Nella serie degli atti di repertorio sono contenuti dunque per lo più i con-tratti stipulati dall’Ufficio con le imprese. Allegati ad alcuni degli atti possono trovarsi a volte le perizie ed i disegni relativi ai lavori.

Un nuovo regolamento per il servizio del Genio civile fu emanato nel 1931 412.

Anche questo provvedimento si occupò di dettare norme per la tenuta degli archivi. Fu prescritta ancora la divisione di questi in due parti: l’archivio corrente per i documenti relativi agli affari ancora in corso e l’archivio di deposito per i documenti relativi agli affari cui si era definitivamente provve-duto. Tanto nella prima che nella seconda parte dell’archivio le carte doveva-no essere ripartite nei seguenti « titoli »:

titolo I: personale degli impiegati ed agenti di ogni categoria, addetti all’Ufficio o da questo dipendenti titolo II: disposizioni ed istruzioni di massima (leggi, decreti, circolari, ecc.) titolo III: affari diversi titolo IV: statistiche titolo V: inventari.

riordinato e regolarizzato, essendovi molte carte, ed in specie antiche, irregolarmente ammassa-te... » (ASPI, UGC, classe XL, b. 5, fasc. 10, lettera del 27 novembre 1901).

408 Il primo protocollo pervenuto è del 1903. La serie, che registra numerose mancanze, acquista continuità solo dal 1941 al 1959 ed è costituita da 156 registri.

409 La serie degli atti di repertorio è costituita da 277 unità (registri e buste). 410 ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1 (circolari del 1887), circolare del 26 agosto 1887, n.

6, divisione I. 411 L. 14 lug. 1887, art. 4. Le modalità per la tenuta dei registri di repertorio erano state

indicate dalla legge sulle tasse di registro emanata nel 1874 (l. 13 set. 1874, n. 2076, artt. 111-114).

412 R.d. 2 mar. 1931, n. 287.

Rosalia Amico 150

All’interno di ciascun titolo i documenti dovevano essere ripartiti in clas-si distinte con lettere dell’alfabeto. Il titolo III doveva comprendere tra l’altro tutti i servizi affidati agli Uffici, quali opere idrauliche, bonifiche, strade, porti, fabbricati, ecc.

La ripartizione in classi doveva essere fatta tenendo conto dell’impor- tanza dei servizi 413. I documenti di ogni classe dovevano essere poi ripartiti in fascicoli, comprendenti ognuno le carte relative a ciascun distinto lavoro o impresa o funzionario, ed in genere quelle relative ad ogni unico oggetto perfettamente determinato.

A questo schema di classificazione l’Ufficio del genio civile di Pisa si adeguò dal 1932 circa 414, adottando un titolario basato sulle disposizioni contenute nel regolamento del 1931 415.

Di questa parte dell’archivio sono però pervenute all’Archivio di Stato di Pisa pochissime buste che non consentono di indicare l’assetto e la consisten-za dell’archivio e che fanno però pensare ad un ulteriore rimaneggiamento subito in un secondo tempo dai documenti. Alcune buste e fascicoli infatti, pur recando l’indicazione del « titolo » appaiono inserite nella seconda parte dell’archivio, quella ordinata in classi sulla base del regolamento del 1894. Si dà ora qui di seguito l’elenco e la consistenza delle serie dell’archivio del Genio civile conservate presso l’Archivio di Stato di Pisa:

Archivio vecchio, bb. 14 (1860-1895)

classe I - personale, bb. e regg. 98 (1870-1975) classe II - disposizioni ed istruzioni di massima, bb. 7 (1886-1946), fasc. 1 (1950-1953) classe III - affari diversi, bb. 11 (1877-1940) classe IV - statistica, bb. 20 (1886-1940) classe V - inventari del materiale mobile, bb. 7 (1885-1939) classe VI - contabilità, bb. 16 (1877-1940) classe VII - previsioni di spesa per studio di progetti, b. 1 (1891-1911) classe VIII - rendiconti di spese per rilievi b. 1 (1887-1918) classe IX - concessioni, bb. 23 (1872-1946) classe IX bis - Marina di Pisa, opere di difesa della spiaggia, bb. 24 (1922-1955; 1962-1967) classe X - fiume Arno e suoi affluenti, bb. 28 (1899-1933), fasc. 1 (1952) classe XI - fiume Serchio, bb. 22 (1855-1861; 1872-1943)

413 Il regolamento prescriveva che « ogni singolo corso d’acqua, ogni strada o bonifica o

porto, ecc., può costituire una classe, oppure diversi di detti servizi possono essere raggruppati in una sola classe » (ibid., art. 22).

414 Si veda ASPI, UGC, classe IV, b. 4, fasc. 30, che contiene documenti degli anni dal 1932 al 1942.

415 Il titolario è conservato in ASPI, UGC, classe II, b. 7, « Circolari. Disposizioni varie ».

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 151

classe XII - fiume Tora, busta 1 (1906-1927) classe XIII - fiume Cornia, busta 1 (1926-1927) classe XIV - Canale Navigabile Pisa-Livorno, bb. 48 (1886-1944) classe XIV bis - fiume Cecina, b. 1 (1883-1912) classe XIV ter - navigazione interna, bb. 5 (1888-1935) classe XV - derivazioni d’acque pubbliche, bb. 9 (1880-1939; 1973-1977) classe XVI - consorzi idraulici per opere idrauliche di seconda categoria, bb. 2 (1869-1926) classe XVIII - consorzi idraulici per opere di terza, quarta ed incerta categoria, bb. 3 (1864-1937) classe XIX - polizia fluviale, bb. 8 (1884-1942) classe XX - servizio di piena, bb. 21 (1871-1941) classe XXI - osservazioni idrometriche, bb. 20 (1886-1934) classe XXII - viabilità provinciale, bb. 3 (1884-1929; 1935-1937) classe XXIII - viabilità comunale, bb. 4, fasc. 1 (1891-1932) classe XXIV - viabilità comunale obbligatoria, bb. 8 (1874-1914) classe XXV - viabilità ferroviaria, b. 1 (1869-1928) classe XXVI - viabilità tranviaria, b. 1 (1885- 1926) classe XXVII - edifici demaniali e assetto edilizio dell’Ateneo pisano, bb. e regg. 153 (1883-1948) classe XXVIII - edifici monumentali e scavi di antichità, b. 1 (1884-1933) classe XXIX - edifici scolastici e comunali, bb. 7 (1883-1947) classe XXX - teatri e luoghi per pubblici spettacoli, busta 1 (1886-1929) classe XXXI - chiese e cimiteri, bb. 4 (1883-1928) classe XXXII - opere igieniche dei Comuni e loro approvvigionamento idrico, bb. 4 (1886-1932; 1943-1946) classe XXXIII - tiro a segno, busta 1 (1886-1923) classe XXXIV - bonifiche, opere di manutenzione, bb. 61 (1886-1945) classe XXXV - bonifiche: progetti e perizie, bb. 125 (1884-1943; 1954) classe XXXVI - bonifiche: contabilità, bb. 18 (1885-1935) classe XXXVII - bonifiche: amministrazione dei terreni demaniali, affitti, vendi-te, contravvenzioni, bb. 15 (1886-1955) classe XXXVIII - bonifiche: osservazioni idrometriche, termoidrometriche, mareo- metriche, pluviometriche, bb. 14 (1862-1944) classe XXXIX - bonifiche: concessioni, consorzi e bonifiche date in concessione, bb. 10 (1880-1953) classe XL - bonifiche: affari diversi, bb. 11 (1873-1954) classe XLI - bonifiche: vertenze, ricorsi, reclami, ed istanze diverse, bb. 5 (1881-1929); bonifica di Bientina, documenti cartografici, cartelle 2, di 26 tavole (1841; 1895); protocolli, regg. 162 (1903-1959); affari diversi, bb. e fascc. 20 (1896-1975); atti di repertorio, bb. e regg. 280 (1901-1977); documenti diversi inerenti ai contratti, bb. e regg. 47 (1937-1977); Società cooperativa case economiche

Rosalia Amico 152

degli impiegati di Pisa e Istituto nazionale case per impiegati statali, bb. 5 (1923-1943); Servizio di pronto soccorso in caso di pubbliche calamità, bb. 2 (1946-1959); Direzione generale delle opere preordinate all’essiccazione del lago di Bientina, poi Sesto circolo di bonificamento, bb. e regg. 16 (1853-1869).

Le vicende che hanno avuto ripercussioni sull’archivio, quali la consegna

di documenti ad altri uffici a seguito di mutamenti di competenze o di giuri-sdizione territoriale, sono state ricordate nel corso di questo lavoro e non saranno quindi richiamate oltre.

Vanno invece ricordati alcuni provvedimenti che hanno influito sulla ti-pologia degli atti conservati e cioè, il regolamento contenente le norme per la compilazione dei progetti riguardanti opere pubbliche di cui erano incaricati ingegneri del Genio civile 416 ed i regolamenti per la direzione, contabilità e collaudo dei lavori dello Stato 417.

Il primo provvedimento indicò di quali documenti dovessero essere costi-tuiti i progetti; gli altri prescrissero quali documenti amministrativi e contabili dovessero costituire la contabilità dei lavori 418 e quali dovessero accompagna-re il collaudo.

A volte la storia di un ufficio e quella di un territorio si intrecciano e si fondono: seguendo l’una si ha il filo che conduce all’altra. Ciò è senz’altro vero per la storia dell’Ufficio del genio civile di Pisa e per quella del territo-rio della città.

ROSALIA AMICO

Archivio di Stato di Pisa

416 D.m. 3 mag. 1863, in Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari

pubblicate nell’anno 1863 ed altre anteriori, vol. XLII, 1863, t. 2, pp. 1881-1893. Il regolamento distinse fra progetti di massima, progetti definitivi di acque e strade e progetti di fabbricati civili e di lavori marittimi ed elencò i documenti che dovevano corredare ciascuna di queste categorie di progetti. Per i progetti definitivi di acque e strade, ad esempio, vennero prescritti i seguenti documenti: 1) piano della località; 2) profilo longitudinale sull’asse del progetto; 3) quaderno delle sezioni trasversali; 4) disegni delle opere d’arte; 5) computo metrico; 6) analisi dei prezzi per unità di misura; 7) stima, ossia calcolo dell’ammontare dei lavori; 8) capitolato d’appalto da servire di base al contratto; 9) relazione spiegativa del progetto.

417 R.d. 19 dic. 1875, n. 2854 e r.d. 25 mag. 1895, n. 350. 418 Per il regolamento del 1895 la contabilità dei lavori era costituita dai seguenti documen-

ti: manuale del direttore dei lavori, giornale dei lavori, libretti delle misure dei lavori e delle provviste, liste settimanali, registro di contabilità, sommario del registro di contabilità, stati di avanzamento dei lavori, certificati per il pagamento delle rate di acconto, registro dei pagamenti, conto finale, relazione dell’ingegnere capo sul conto finale.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 153

APPENDICE

UFFICIO DEL GENIO CIVILE DI PISA: INGEGNERI CAPI * Evangelista Lombard 1861-1864

Lamberto Mei (ingegnere in capo per il Servizio idraulico)

1861-1865

Gaetano Niccoli maggio 1864 - dicembre 1865

Francesco Rinolfi 1866 - gennaio1869

Eugenio Giani febbraio 1869 - 1879

Guglielmo Mazzocchi 1879-1883

Olinto Citti 1883-1887

Leonardo Rambelli ottobre 1887-1889

Antonio Angeli 1889-1891

Augusto Brunelli 1892-1893

Giacomo Poletta 1894-1898

Italo Pelleri 1899

Vincenzo Cavi 1900-1903

Annibale Biglieri 1903 - 11 dicembre 1912

Lamberto Lambertini 12 dicembre 1912 - 1916

Giuseppe Roselli 1916 - novembre 1922

Donato Pacillo dicembre 1922 - dicembre 1924

Massimiliano Tognozzi 1925 - maggio 1925

Giovanni Arcieri giugno-luglio 1925

Giovanni Girometti agosto 1925 - 1941

* Le indicazioni relative alla durata in carica degli ingegneri capo sono state dedotte dal

carteggio dell’intero archivio dell’Ufficio del Genio civile di Pisa. La nomina poteva avvenire in periodi diversi dell’anno e questo spiega l’accavallarsi, in qualche caso, di più nomi per lo stesso anno. Va precisato che nel periodo luglio 1921 - novembre 1922, l’ingegner Giuseppe Roselli resse sia l’Ufficio per il Servizio generale che quello speciale idraulico. Anche Massimiliano Tognozzi resse entrambi gli Uffici nel periodo febbraio-maggio 1925.

Rosalia Amico 154

UFFICIO SPECIALE PER LA SISTEMAZIONE DELL’ARNO E SUOI AFFLUENTI: INGEGNERI CAPI

Giuseppe Roselli 1921-1924

Oliviero Sacenti ingegnere capo facente funzione

gennaio 1925

Massimiliano Tognozzi febbraio - agosto 1925

Marco Visentini 1925 - marzo 1928

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 155

TAVOLA N. 1

Rosalia Amico 156

Servizio di bonifica Tavola n. 1 Bonifica di Bientina “Planimetria generale. Muraglione diaframma del Nuovo Ozzeri a Ripafratta Scala di 1:2000”. È allegata al “Progetto delle opere da eseguire pel consolidamento e prolunga-mento del muro della ferrovia a Ripafratta costeggiato dall’inalveazione del Nuovo Ozzeri”, 27 dicembre 1887, ingegnere Vincenzo Cavi. ASPI, UGC, classe XXXV, busta 2, fasc. 1 B. L’alveo del canale Nuovo Ozzeri a Ripafratta fu ricavato da una parte dell’alveo del Serchio a mezzo di robusti muraglioni diaframma dividenti le acque del fiume da quelle della bonifica.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 157

TAVOLA N. 2

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Servizio idraulico Tavola n. 2 Fiume Arno “Planimetria del fiume Arno in provincia di Pisa. Scala di 1:18000”. Riproduzione eliografica, luglio 1926. La porzione qui riprodotta della planimetria, allegata al contratto di appalto dei lavori di manutenzione biennale (giugno 1928 - giugno 1930) delle opere di navigazione dell’Arno, sottoscritto dall’impresa Gentili sulla base del progetto del 30 luglio 1926, modificato nel luglio 1927 (si veda anche ASPI, UGC, atto di repertorio n. 1261), evidenzia l’ultimo tratto del fiume ed in particolare la foce “libera”, prima cioè delle variazioni ad essa apportate dai lavori di sistemazione eseguiti proprio nel corso del secondo decennio del Novecento. La riproduzione mette anche in evidenza, nella ricostruzione fattane dall’Ufficio specia-le per la sistemazione dell’Arno che del progetto del 1926 era stato il redattore, il vecchio alveo finale del fiume, abbandonato nel 1606 a seguito della rettificazione nota come “Taglio Ferdinando”. ASPI, Prefettura, b. 3, fasc. 3, categoria XXII, carteggio del 1928.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 159

TAVOLA N. 3

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Servizio idraulico-concessioni Tavola n. 3 Planimetria del canale Macinante di Ripafratta in prossimità del Porto delle Gondole di Pisa e disegni (in unica tavola) a corredo della domanda avanzata da Angelo Salvadori nel 1872 per installare nel tratto cittadino del canale tre mulini da azionare mediante ruotoni pensili. Trattandosi di canale demaniale il decreto di concessione verrà infine emanato dal Ministero del Tesoro il 22 ottobre 1878 sulla base delle modifiche richieste e delle condizioni imposte dall’Ufficio del genio civile di Pisa. ASPI, Prefettura, b. 440, affare n. 738.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 161

TAVOLA N. 4

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Navigazione interna e Canale navigabile Pisa-Livorno Tavola n. 4 Progetto esecutivo (23 novembre 1906) del Canale Pisa-Livorno. Planimetria con il nuovo tracciato, 1 agosto 1907, ingegnere capo Annibale Biglieri. Il tracciato proposto da Biglieri sarà lievemente modificato nel 1919 dall’ingegner Roselli. Le modifiche riguarderanno sostanzialmente uno spostamento dell’asse del canale, portato a correre quasi completamente al di fuori della zona paludosa di Tombolo. ASPI, UGC, classe XIV, b. 9, fasc. 16.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 163

TAVOLA N. 5

Rosalia Amico 164

Edifici demaniali Tavola n. 5 Palazzo Gambacorti, palazzina già Dogana e palazzo Mosca. Disegno delle facciate prima dei lavori di sopraedificazione della palazzina già Dogana. Progetto del 2 giugno 1883, ingegnere Filippo Del Testa. ASPI, Prefettura, b. 380, affare n. 249.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 165

TAVOLA N. 6

Rosalia Amico 166

Edifici demaniali Tavola n. 6 Palazzo Gambacorti (Municipio di Pisa), palazzina già Dogana e palazzo Mosca. Disegni delle facciate allegati al progetto di ampliamento dei locali destinati all’Archivio di Stato di Pisa mediante la sopraedificazione della palazzina già Dogana. Progetto del 20 giugno 1883, ingegnere Filippo Del Testa. ASPI, Prefettura, b. 380, affare n. 249.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 167

TAVOLA N. 7

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Edifici universitari Tavola n. 7 Università di Pisa - Museo di Storia naturale. Progetto di ampliamento del Museo di Storia naturale mediante l’aggiunta di una nuova fabbrica per il Gabinetto di zoologia e anatomia comparata, da erigersi sul terreno dell’Orto botanico lungo la via Solferino. Planimetria della località e del nuovo fabbricato; 24 agosto 1883, ingegnere Filippo Del Testa. ASPI, Prefettura, b. 556, affare n. 2408.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 169

TAVOLA N. 8

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Edifici universitari Tavola n. 8 Università di Pisa - Museo di Storia naturale. Progetto di ampliamento del Museo di Storia naturale mediante l’aggiunta di una nuova fabbrica per il Gabinetto di zoologia e anatomia comparata. Alzato della facciata principale e del prospetto laterale del fabbricato da erigersi e rispettive sezioni (tavola II del progetto); 24 agosto 1883, ingegnere Filippo Del Testa. ASPI, Prefettura, b. 556, affare n. 2408.

L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio 171

TAVOLA N. 9

Rosalia Amico 172

Edifici monumentali Tavola n. 9 Torre di Pisa Lavori di preliminare consolidamento del campanile pendente di Pisa. Pianta delle fondazioni. Atto di cottimo del 19 novembre 1934, allegato 2a. L’atto di cottimo fu stipulato fra la Società anonima G. Rodio e C., Impresa di costru-zioni con sede a Milano, e l’ingegnere capo del Ufficio del genio civile di Pisa, Giovan-ni Girometti. L’impresa si impegnava ad eseguire il consolidamento delle murature costituenti l’anello di fondazione dell’edificio, a mezzo di iniezioni di cemento e a formare attorno alla Torre, una vasca impermeabile mediante iniezioni di cemento. ASPI, UGC, b. 4, atto di repertorio n. 1451.

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TAVOLA N. 10

Rosalia Amico 174

Edifici monumentali Tavola n. 10 Torre di Pisa Lavori di preliminare consolidamento del campanile pendente di Pisa. Sezione assiale A-B secondo la massima pendenza. Contratto di cottimo del 19 novembre 1934, allegato 2b. ASPI, UGC, b. 4, atto di repertorio n. 1451.

GIUSTIZIA E MISERICORDIA: NASCITA DELLA PRIGIONE IN UNA REGIONE PERIFERICA

DELLO STATO PONTIFICIO

SOMMARIO: 1. Cenni storici sulla nascita della prigione; 2. L’organizzazione sta-

tale periferica; 3. L’amministrazione comunale; 4. L’ordinamento giudiziario civile e penale; 5. La regolamentazione del sistema penitenziario.

1. Cenni storici sulla nascita della prigione. — Negli ultimi anni del

governo di Pio VII e del cardinal Consalvi anche nello Stato pontificio l’ordinamento giudiziario criminale riflette il ritorno ai modi e alle consuetu-dini dell’antico regime a cui si mescolano e si sovrappongono però elementi nuovi, maturati in ambito rivoluzionario, accolti e penetrati in vario modo sia nelle leggi che nel costume, e mantenuti non tanto e non solo per semplici ragioni di facciata ma per una qualche loro intrinseca utilità sociale e politica ad un sistema di potere che, pur « restaurato », si trova ad essere, in qualche modo, mutato 1.

Negli otto anni dal 1816 al 1823 — anno della morte di Pio VII, dell’al- lontanamento del cardinale Consalvi dalla Segreteria di Stato, della vittoria della corrente « zelante » — si realizza infatti anche nello Stato pontificio quel mutamento, tanto generalizzato quanto inevitabile, evidenziato da Michel Foucault: la nascita di un sistema complesso e articolato di istituzioni di controllo e repressione che, dai collegi alle scuole, dagli ospedali ai conventi, trovano nella prigione stessa il loro punto di riferimento, la loro spada di Damocle, la destinazione naturale di ogni « scarto » del corpo sociale identifi-cato dalle istituzioni stesse. Nel momento del trionfo « del trono e dell’al- tare », insomma, si assiste ad un nuovo concetto di intendere il sistema penale, definito dai grandi codici della fine del XVIII secolo: « Noi emettiamo un verdetto, che è si richiesto da un delitto, ma vedete bene che per noi funziona in realtà come un modo di trattare un criminale; noi puniamo, ma è una via per dire che vogliamo una guarigione » 2.

1 M. CARAVALE - A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, (Storia d’Italia, diretta da G. GALASSO), XIV, Torino, UTET, 1978, pp. 589 e seguenti.

2 M. FOUCAULT, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975. In questa sede si farà comunque riferimento all’edizione italiana, e cioè Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1976, p. 25.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Maria Grazia Pancaldi 176

« Gli ultimi tempi di Pio VII e Consalvi », specie in quest’ultimo tren-tennio, sono stati sottoposti ad una serie di studi sistematici che hanno defini-to con sufficiente chiarezza l’ambito del discorso 3.

L’attenzione degli storici locali, e non solo la loro, si è rivolta finora so-prattutto alla questione centrale posta dalle riforme del periodo, quella cioè relativa ai nuovi assetti istituzionali e di potere maturati a seguito della cosiddetta « recupera »: il tentativo di costruire uno Stato quanto più possibile libero dai vincoli imposti dal passato e dalla tradizione, dalle contraddizioni dei poteri locali, dalle asfissianti e non più accettabili esigenze da parte delle comunità di vivere all’ombra degli antichi statuti, da un ceto nobiliare che non era riuscito a diventare classe dirigente e che pure conservava parte dei suoi privilegi, da un sistema amministrativo non più in grado di gestire i sistemi complessi imposti dall’ascesa della borghesia e dal capitale finanzia-rio. Il discorso sulle prigioni rimane a margine della visione prospettica, quasi come se il loro ruolo all’interno della società fosse irrilevante, scevro d’im- portanza, dato per scontato. In realtà, la nascita della prigione è specchio d’una situazione complessa, piena di tensioni e contraddizioni. Si era usciti da un’epoca di inimmaginabili disordini politici e sociali. Una intera generazione aveva subito l’influsso prima e il fascino poi dell’idea di rivoluzione al punto che è lo stesso Consalvi a scrivere, « i giovani quasi non hanno idea del governo del papa o, se l’hanno, l’hanno corrottissima o pessima. Si vergogna-no persino d’essere sudditi de’ preti » 4.

Le armi, soprattutto quelle da fuoco, circolavano con facilità, residuate dall’epoca francese, quando c’erano stati i saccheggi indiscriminati dei depo- siti e quando, giacobini da una parte e insorgenti controrivoluzionari dall’altra, avevano preso l’abitudine di girare comunque armati. Nuovi reati si aggiun-gevano ai vecchi. Non più solo le rapine da strada, gli abigeati, i furti per fame, ma anche i cosiddetti reati di opinione, gli omicidi a sfondo politico, le rivolte delle popolazioni urbane. Un quadro nuovo e inquietante che si andava formando sullo sfondo di un lento ma irrevocabile passaggio dei poteri da una classe all’altra, con altre regole, altri costumi, altri stili di vita.

In una situazione del genere appare chiaro come il carcere diventi la struttura centrale su cui si confronta il rapporto tra la società e il potere, sia esso centrale o periferico, nel senso che le dinamiche repressive o comunque genericamente restauratrici, hanno bisogno di un luogo simbolicamente evoca- tivo e allo stesso tempo assolutamente reale da additare come esempio per chi persegue un fine contrario a quello delineato dal potere stesso. Il carcere, in questa fase, rappresenta a tutti gli effetti lo strumento per imprimere, sotto la

3 Cfr. a tale riguardo, G. SANTONCINI, Appunti per una bibliografia critica sulla seconda

Restaurazione pontificia, in « Proposte e ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia cen- trale », XVII (1994), pp. 156-185.

4 Cfr. L. PACI, Le vicende politiche, in Storia di Macerata, a cura di A. ADVERSI - D. CECCHI - L. PACI, Macerata 1971, I, p. 365.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 177

pressione di una spinta « ideologica », il marchio a fuoco della disciplinata obbedienza, e questa, alla fine, diventa l’unico scopo della punizione, l’unica preoccupazione dei suoi ideatori e amministratori 5.

Il carcere è inoltre, in qualche modo, uno specchio che ci restituisce, in-tatto o quasi, il fluire di un complesso di dinamiche esterne capaci di spiegare i mutamenti della società. La fame, le carestie, le malattie, i cambi di potere, causano tutti, inevitabilmente, la serie dei reati per cui si può finire in prigio-ne. La stessa congiuntura che determina la riforma dei codici e fa diventare il carcere l’unica forma, generalizzata, di punizione, non è frutto di una nuova sensibilità, ma di un’altra politica nei confronti degli illegalismi.

In antico regime i diversi strati sociali avevano ciascuno il proprio mar-gine di illegalismo tollerato, anzi, si potrebbe affermare che fosse proprio la politica di tolleranza degli illegalismi a permettere il funzionamento del sistema 6. L’inosservanza di norme stabilite diventava consuetudine, così come alcuni privilegi delle classi dominanti, sì che tutti, alla fine, vivevano in una situazione di illegalità più o meno palese. Alcuni reati anche gravi venivano considerati dal popolo come esempi di assoluto coraggio, così, di frequente, banditi e contrabbandieri diventavano figure leggendarie e stimate. Nello Stato della Chiesa, caratterizzato da un lassismo costante, interrotto talvolta da sporadici tentativi di normalizzazione, l’illegalismo era considerato la regola, favorito anche, in larga misura, dalla confusione creata dalla miriade di normative in uso, spesso in contrasto tra loro. Difficile anche segnare una frontiera precisa tra i nullatenenti e i criminali veri e propri: reati come l’illegalismo fiscale, quello doganale, il contrabbando, il saccheggio erano comuni agli uni e agli altri, segnando una sorta di continuità senza frontiere. Il vagabondaggio, severamente punito ai termini di ordinanze quasi mai applicate, era praticato su larghissima scala, e portava con sé rapine, furti, talvolta omicidi. Ad alimentare il fenomeno, ogni genere di categorie sociali: contadini fuggiti dai padroni, soldati che avevano disertato, tutti coloro che volevano evitare l’arruolamento forzato quando questo veniva richiesto. E soprattutto, naturalmente, il banditismo, concepito in tutte le sue forme, da quella più semplice, una sorta di vagabondaggio organizzato, a quella più complessa, una sorta di esercito vero e proprio, con proprie leggi e un proprio controllo su un dato territorio.

Nella seconda metà del XVIII secolo il processo di tolleranza nei con-fronti dell’illegalità diffusa, come è noto, tende a cambiare: banditi, vagabondi e irregolari di ogni tipo continuano naturalmente ad infestare le campagne e ad introdursi nelle città, ma la borghesia, che è diventata titolare se non di nuovi diritti, senza dubbio, di nuovi beni, vede in loro una minaccia ben più grave rispetto a quanto non la concepisse la classe dominante di un secolo

5 D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario (XVI-XIX secolo), Bologna, il Mulino, 1977, p. 120.

6 M. FOUCAULT, Sorvegliare ... cit., p. 90.

Maria Grazia Pancaldi 178

prima. La proprietà è ora un concetto assoluto ed inviolabile, non è più tempo di sperperi e di eccessi, non occorrono quindi misure eccezionali e spettacola-ri per debellare il crimine ma una attenta, quotidiana, capillare, opera di vigilanza che salvaguardi i beni e crei le condizioni per un tranquillo svolgersi della vita sociale 7.

Dalla natura dei reati, dalla durata delle pene, dalla classe sociale di chi sta in prigione si può dedurre, senza approssimazioni, cosa succede fuori, e lo si può far meglio proprio nel momento in cui la prigione stessa diventa, per la prima volta, la forma generalizzata di punizione 8. L’alleggerimento delle pene, la codificazione più netta, la diminuzione dell’arbitrarietà, il consenso nel punire, sottendono in ogni caso un cambio al vertice, un nuovo assetto nella distribuzione del potere. Il nuovo sistema penale è un meccanismo che determina con precisione le nuove esigenze della società al potere.

Già durante il Regno d’Italia napoleonico si era assistito ad un tentativo, da parte delle autorità centrali, di arrivare ad una razionalizzazione. I parroci erano stati usati come agenti della politica di sorveglianza, per gli albergatori erano apparsi gli obblighi di registrazione, il codice francese del 1810 era stato esteso a tutte le regioni del Regno solo un anno più tardi dalla sua emanazione.

Il periodo che segue alla sconfitta francese non intacca, dopo una prima battuta d’arresto, il processo che si era messo in moto, sanziona semmai uno status quo tra vecchie forze aristocratiche e borghesia che quest’ultima forza sempre di più in suo favore fino a compiere, sotto l’egida della moderazione e del compromesso, la prima tappa dell’evoluzione socio-politica italiana: il raggiungimento dell’unità nazionale 9.

Per capire la serie dei mutamenti, ovviamente, per quanto analitico e pre-ciso possa essere l’esame dei documenti relativi, lo studio degli anni cruciali che vedono la nascita della prigione come momento di punizione generalizza-ta non è sufficiente. Bisogna dire innanzitutto che nello Stato della Chiesa il dibattito teorico di cui parla Foucault 10 relativamente alla seconda metà del Settecento, quello relativo all’oggetto della pena, non più la mortificazione del corpo, ma la redenzione dell’anima, è, per motivi abbastanza ovvi, assai precedente 11.

Per quanto riguarda il termine di partenza, non pare opportuno risalire più indietro della seconda metà del XVI secolo, o meglio degli anni immedia-tamente precedenti la sua fine, quando lo Stato della Chiesa acquista una

7 Ibid., p. 95 8 Si veda in proposito G. RUSCHE - O. KIRCHHEIMER, Punishment and social structure,

New York, Russel & Russel, 1968, trad it.: Pena e struttura sociale, Bologna, Il Mulino, 1978. 9 D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere… cit., p. 126. 10 M FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 19. 11 Cfr. R. CANOSA - I. COLONNELLO, Storia del carcere in Italia dalla fine del Cinquecen-

to all’Unità, Roma, Sapere 2000, 1984 pp. 27-34 (cap. Il carcere nel diritto canonico).

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 179

fisionomia che in qualche modo rimane inalterata, se non per successive, piccole approssimazioni, fino all’arrivo dei francesi 12. Difficile, se non impos- sibile, descrivere per intero il sistema di pene previste dal potere centrale e da quello locale per estinguere i più diversi reati. I supplizi propriamente detti non costituivano le pene più frequenti, il bando o l’ammenda erano di gran lunga gli strumenti più usati, ma il bando era spesso accompagnato dall’espo- sizione e dal marchio, l’ammenda dalla frusta 13. La pena, per essere tale, doveva essere sempre o quasi accompagnata da una certa quantità di dolore da infliggersi al corpo del condannato, anche quando era considerata lieve. C’era la ricerca, quando possibile, di dare alla sofferenza un suo significato simbolico. Ai bestemmiatori era tagliata la lingua affinché smettessero di usarla per profanare il nome di Dio, così come ai ladri veniva tagliata la mano: è la cosiddetta « legge del taglione », così com’è formulata dal Deute-ronomio in poi. La pena di morte in questo senso non differiva sostanzialmen-te dalle altre, perché la morte non era vista semplicemente come privazione della vita, ma come un insieme elaborato di violenze su parti diverse del corpo capaci di provocare una somma di dolore in grado di privare della vita il condannato stesso.

Se si parla specificatamente di carceri il discorso è più complesso, così come complesso è il sistema di fonti del diritto cui riferirsi. Per la quasi totalità del territorio che costituisce oggi la regione marchigiana, il riferimento obbligato è il commento di Gaspare Cavallini alle Costituzioni egidiane 14. Cavallini elenca tra le forme di carcerazione in uso, quella della pena perpe-tua o a vita, paragonabile alla morte, il carcere di breve durata o modicae coercitionis che riguardava talora la relegazione di individui che mal adempi-vano ad obblighi e doveri d’ufficio, come ad esempio il balivo nel compiere le sue ambasciate, ed ancora quella cosiddetta di « custodia », relativa alla carcerazione preventiva nel corso di indagine su un crimine grave quando il presunto reo non fosse confesso; ultima, la carcerazione per debiti, ma sempre nella accezione comune: « (…) carcer regulariter ad custodiam, non ad penam est inventus ».

Il compito di effettuare le carcerazioni disposte dal Tribunale della Curia per condanne super criminalibus a pene relative sia ai beni che alle persone, spettava ad un mareschallus, che era addetto alla direzione della polizia giudiziaria e da cui dipendevano gli ufficiali minori: gli executores, i collecto-res, i balivi, i bargelli, ed infine i carcerieri e i custodi 15. Il compito del

12 Cfr B. G. ZENOBI, I caratteri della distrettuazione in Antico regime nella Marca Pontifi-cia, in Scritti storici in memoria di Enzo Piscitelli, Padova 1982, pp. 99-105.

13 M. FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 36. 14 Aegidianae Constitutiones cum additionibus carpensibus… cum glossis… Gasparis Ca-

ballini de Cingulo, Venetiis MDLXXXVIII (d’ora in poi Aeg. Const.), lib. I, cap. 10. 15 Cfr. I. CERVELLINI, Carceri, in La Marca e le sue istituzioni al tempo di Sisto V, a cura

di P. CARTECHINI, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1991, pp. 105-110 (Saggi, 20).

Maria Grazia Pancaldi 180

mareschallus era quello di combattere e catturare banditi, malfattori e disob-bedienti di ogni sorta con l’aiuto dei magistrati locali, nonché di consegnare i prigionieri al carcere provinciale, senza mai trattenere alcuno presso di sé, sotto pena della scomunica, della perdita dello stipendio e, nei casi più gravi, della destituzione.

Nel 1566 il governatore generale della Marca Vincenzo Portico istituiva un « bargello di campagna » a capo di quaranta birri a cavallo con il compito di provvedere alla « destruttione et gastigo » degli evasi. La guardia a cavallo era a carico della comunità della provincia che all’inizio di ogni mese pagava le quote relative nelle mani di un « scindico » a ciò deputato 16. Un provvedi-mento successivo del governatore generale Nicola Aragonia riduceva il numero dei birri in relazione al « bono stato di quiete e pacifico vivere della provincia » 17.

Per quanto concerne le carceri vere e proprie, la Curia generale della Marca si limitava ad applicare le brevi disposizioni di carattere generale previste dalle Costituzioni egidiane che stabilivano che il rettore o tesoriere provinciale nominassero un custode « abile » ed « idoneo » che, retribuito con- venientemente dalla Camera apostolica, ricevesse e custodisse tutti i prigionie-ri che gli venivano consegnati assieme ad una dichiarazione, l’« apodissa », con la indicazione del nome, qualità e durata della pena, se per delitto o debito. Le apodisse, registrate da un notaio competente, venivano poi conse-gnate, alla fine di ogni mese, al tesoriere o al suo luogotenente con il numero dei carcerati. Il custode liberava il detenuto solo dietro nuova licenza del rettore o del giudice; se contravveniva a queste disposizioni, o se il condanna-to evadeva, incorreva nella stessa pena reale o pecuniaria del prigioniero, salvo che non riconsegnasse i detenuti fuggiti 18.

Il governatore generale Fabio Mirto, nel luglio del 1573, ordinava al cu-stode delle carceri di occuparsi della cura dei carcerati, tenendo puliti i locali affinché i prigionieri non marcissero per il fetore e la sporcizia. Spettava al carceriere anche la distribuzione del cibo e delle altre cose necessarie fornite sia dalla Camera apostolica, sia da amici e parenti, sia da uomini di fede. Se il custode non avesse provveduto, sarebbe stato accusato di furto. Il custode stesso, inoltre, non doveva gravare con esazioni straordinarie sui prigionieri, né costringerli a cibarsi alla sua mensa, né vessare i detenuti con richieste di esborsi di denaro 19.

Il salario del custode e del suo luogotenente veniva computato sui due soldi che ciascun carcerato doveva per ciascun giorno di carcerazione. Non

16 ARCHIVIO DI STATO DI MACERATA (d’ora in poi AS MC), Archivio comunale di Cingoli (d’ora in poi Com. Cingoli), vol. 131, c. 260 r/v.

17 AS MC, Archivio priorale di Macerata (d’ora in poi Priorale Macerata), vol. 893, c. 180v.

18 Aeg. Const., lib. II, cap. 35. 19 AS MC, Priorale Macerata, vol. 779, c. 4r (parte II).

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 181

erano ammesse mance da parte di chi si recava in prigione per testimoniare. I detenuti rinchiusi nelle « segrete » non dovevano parlare con nessuno, non potevano scrivere, né ricevere ambascerie dall’esterno 20.

Costantino Arrigoni, governatore di Montalto, nel 1589, stabiliva altre norme in materia. L’acqua per i prigionieri doveva essere buona, pulita e gratuita, sia le celle comuni che le « segrete » dovevano essere pulite ogni quindici giorni e, se ci fossero stati ammalati, il fatto doveva essere notificato allo stesso governatore. Il medico doveva essere avvertito se si fosse trattato di « accidente pericoloso » 21. Anche le Costituzioni egidiane prevedevano la presenza di un medico in carcere ogniqualvolta si fosse verificato un suicidio. Oltre alla dichiarazione di morte, questi era tenuto a precisare che il decesso era avvenuto senza colpa da parte dei custodi 22.

Per quanto riguarda l’edilizia carceraria, già nel 1513 il legato Sigismon-do Gonzaga aveva disposto che il carcere pubblico di Macerata, già iniziato su mandato di Alessandro VI e poi di Giulio II, venisse completato « ad comprimendas illicitas et immoderatas exactiones » 23.

Pochi anni più tardi però il governatore Odescalchi, visto lo scatenarsi di una nuova ondata di banditismo, era costretto a costruire nuove carceri sotto il palazzo apostolico e ad affittare una casa per sistemarci il bargello 24.

Nel 1585 la Congregazione provinciale di Macerata, adunata su ordine del legato Alessandro Sforza decideva un nuovo ampliamento del carcere della provincia, dato che « li prigionieri vi stavano malamente e soffrivano fuor di modo ». La spesa ammontava a 4.118 scudi da distribuirsi tra tutti i Comuni della Marca 25. Nello stesso anno si decideva di costruire, sempre a Macerata, una prigione separata per le donne. La Camera apostolica autoriz-zava la spesa di 100 scudi per la sua edificazione 26.

La fioritura delle carceri continuava, sotto la spinta delle nuove pulsioni sociali, vagabondaggio e banditismo soprattutto. Alcune celle, a Macerata, ricavate da ambienti del palazzo comunale, si rivelarono però così malsane che nel 1568 vi morirono « per cattivo aere » tre detenuti 27. Spettava al giu- dice, tra gli altri compiti, la visita ai carcerati « ut habeant necessaria sibi » 28.

A stabilirlo erano le stesse Costituzioni egidiane che imponevano anche al rettore della Marca di conoscere le condizioni dei detenuti, in special modo

20 Ibid., c. 49v (parte I). 21 Ibid., cc. 42r, 43v (parte II). 22 Aeg. Const., lib. IV, cap. 1. 23 Ibid., lib. II, cap. 35. 24 AS MC, Archivio notarile di Macerata (d’ora in poi Notarile Macerata), vol. 567, cc.

123-124. 25 AS MC, Comunale Cingoli, vol. 134, cc. 2r, 6r, 17r, 28v. 26 BIBLIOTECA COMUNALE DI MACERATA (d’ora in poi BC MC), ms 403/7: Registro del-

l’ufficio del notariato della camera Apostolica nella Marca, 1562-1577, c. 248v. 27 L. PACI, Le vicende politiche… cit., p. 265. 28 Aeg. Const., lib. IV, cap. 1.

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di quelli poveri, attraverso visite settimanali effettuate il venerdì, visite com-piute con i giudici e gli avvocati durante le quali, esaminati i fascicoli, si verificava l’effettiva durata della pena scontata e si decidevano, se del caso, le scarcerazioni 29. Lo stesso obbligo spettava al governatore di Camerino. Qui la visita era prevista settimanalmente o almeno due volte al mese « essendo cosa conveniente alla carità e alla pietà cristiana » che i prigionieri « non s’habbino per scordati o per derelitti ». Lo stesso governatore doveva provvedere al sostentamento dei carcerati 30.

All’autorità preposta alla giustizia spettava, come si è visto, in certe cir-costanze, il potere di graziare i detenuti rinchiusi nelle pubbliche prigioni: Ferrante Ferri, luogotenente generale della Marca, insieme a Matteo Garofani, suo commissario, visitando le carceri della Curia, liberava, nel dicembre 1559, nove detenuti in occasione dell’elezione di Pio IV 31.

L’antica usanza, riservata alle confraternite, di ottenere, nel corso della Settimana santa, la liberazione di prigionieri in base a privilegi particolari, nel corso della seconda metà del Cinquecento venne invece fortemente limitata. A Macerata il privilegio spettava alla Confraternita del Santissimo Sacramento, ma già nel 1564 il cardinale Federico Borromeo imponeva che il privilegio fosse limitato ad un solo prigioniero 32. Il provvedimento fu emanato nel mese di aprile, ma, nel dicembre di quello stesso anno, il privilegio, con decreto del governatore Vincenzo Portico, fu addirittura sospeso 33. Nonostante questo, nel corso degli anni la Confraternita riuscì più volte a liberare alcuni prigionieri 34.

Per uscire di prigione prima che i termini fossero scaduti, il condannato aveva davanti a sé due strade. La prima, molto usata, era quella della cosid-detta « composizione » con la Curia, che in pratica si riduceva al pagamento di una somma concordata con il tesoriere della Curia stessa. La seconda era l’evasione, punita con pene severissime. Se evadendo si rompevano muri o porte del carcere, era prevista la pena di morte con confisca dei beni. Se le comunità aiutavano i condannati a fuggire erano sottoposte al pagamento di 200 scudi e alla perdita delle esenzioni e dei privilegi.

La carcerazione per debiti era prevista solo nel caso in cui la somma da restituire fosse superiore ai 10 fiorini. Il governatore Ottavio Bandini, nel- l’emettere il relativo decreto, nel 1590, precisava che il debitore, condannato agli arresti, perdesse anche ogni credito, dovesse rifondere i danni e, nei casi più gravi, dovesse anche sottostare a tre tratti di fune 35.

29 Ibid., lib. II, cap. 20. 30 SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI CAMERINO, Archivio comunale di Camerino, Patenti,

C 3, c. 96r. 31 AS MC, Miscellanea notarile di Macerata, b. 3/24. 32 BC MC, ms. 403/7, c. 26r. 33 AS MC, Priorale Macerata, vol. 891, c. 69r. 34 I. CERVELLINI, Carceri… cit., p. 109. 35 AS MC, Priorale Macerata, vol. 779, c. 51r/v.

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Le Costituzioni egidiane si preoccupavano anche di vietare, nella maniera più assoluta, il cosiddetto carcere privato: nessuno, se non l’autorità legittima, poteva trattenere con la forza chicchessia, soprattutto i minori e le donne oneste, a scopo di libidine 36.

Questo il quadro generale della situazione, rimasta sostanzialmente inal-terata, salvo, come vedremo, per alcune interessanti anticipazioni della ten-denza futura, fino all’arrivo dei francesi, come del resto rimase sempre lo stesso lo stipendio dell’avvocato dei poveri, membro della Curia criminale del delegato apostolico di Macerata, che ancora, dopo tre secoli, agli inizi dell’Ot- tocento, continuava a percepire 3 scudi mensili, nonostante nelle carceri ci fossero fino a centocinquanta detenuti in attesa di giudizio.

Durante la prima restaurazione molti furono i tentativi di riforma, quasi tutti dedicati a risolvere il problema della riorganizzazione delle forze di polizia per contrastare gli atti criminosi. Nel luglio del 1800, alle dipendenze del bargello di Macerata lavoravano solo 15 birri, al posto dei 26 che li avevano preceduti. A Fermo, nel 1801 i birri erano solo 18 e minacciavano di dimettersi, perché senza stipendio. Nello stesso anno, per lo stesso motivo, il tribunale di Ascoli si vede abbandonato dalle proprie guardie e mancano i soldi per garantire il giornaliero sostentamento ai carcerati. Nel 1803 il cardinale Agostino Rivarola, segretario di Stato, chiedeva addirittura l’istitu- zione di un intendente di polizia, ma contemporaneamente la Sacra consulta preparava un piano di riduzione degli stessi birri e dei loro stipendi per tagliare i costi. Queste misure non avrebbero però risolto la questione della prepotenza dei birri stessi, che vivevano soprattutto dei cosiddetti incerti del loro lavoro, vessando le popolazioni locali, specie quelle rurali, « malmenan-do » la stessa giustizia che erano chiamati a difendere. Anche i notai proces-santi, chiamati dal governo a svolgere quel ruolo, vivevano soprattutto di « incerti », facendosi spesso pagare per accelerare in qualche modo il corso della giustizia. Di fronte all’aumento delle cause pendenti, il governo si trovava nella necessità, non potendo fare altre nomine, di aumentare gli sti- pendi ai notai che già lavoravano, ma senza apprezzabili risultati 37.

Tra il 1800 e il 1801 le condizioni dei carcerati sono praticamente disa-strose. Numerosi quelli in attesa di processo, umide le prigioni e sfornita di tutto l’infermeria. La pubblica carità è chiamata a rifornire lenzuola e cami-cie 38. Nel 1805 sarà lo stesso cardinale Consalvi, con un suo bando, a porre fine a questo stato di cose. Farà obbligo ai vescovi, ai governatori e ai giusdi-centi di effettuare periodiche ispezioni con colloqui riservati con i carcerati 39.

36 Aeg. Const., lib. IV, cap. 65. 37 Cfr. D. CECCHI, L’organizzazione amministrativa nella delegazione apostolica di Mace-

rata durante la 1a restaurazione (1800-1808), in « Studi maceratesi », X (1974), pp. 151-323, in particolare pp. 255-258.

38 Ibid., p. 258. 39 ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (d’ora in poi AS RM), Bandi, vol. 147, notificazione

Consalvi, 1° gennaio 1805.

Maria Grazia Pancaldi 184

È un altro atto di quella politica volta ad eliminare gli illegalismi, cui si è accennato, legata all’ascesa della borghesia al potere, quando la proprietà privata diventa assoluta e non è più tollerabile ogni attacco alla sua struttura. Ora si tratta, con un ritardo di quasi un secolo rispetto alla Francia e in genere all’Europa continentale, di organizzare su basi moderne il sistema di controllo e di repressione dei fenomeni criminali, sottraendo cioè le popolazioni all’arbitrio delle forze di polizia, lasciate fino a quel momento libere di agire, senza controllo o quasi, sul territorio. Nella nuova temperie culturale, gli abusi commessi da quelle stesse forze, tollerati fino a quel momento come un male necessario, diventano, di colpo, intollerabili. Michel Foucault offre anche un’altra interpretazione del fenomeno 40. Spiega che ormai c’è uno spostamento dalla criminalità di sangue ad una criminalità di frode. I delitti sono meno atroci, nel senso che diminuiscono le aggressioni fisiche e aumen-tano invece gli assalti alla proprietà. Il cambio di prospettiva comporta anche una dissoluzione delle grandi bande armate, capaci di impadronirsi e di dettare legge in intere zone del territorio. La truffa e il furto sono reati da compiere individualmente piuttosto che raggruppati in bande, e sono questi ormai i veri obbiettivi contro i quali occorre esercitare la forza dell’autorità. Ne consegue, indirettamente, che anche i mezzi per reprimere la criminalità usati fino a quel momento, diventano obsoleti. Le squadre dei birri a cavallo poco o nulla possono verso i ladri e i truffatori che oltretutto preferiscono le città alle campagne come luoghi di azione. Ecco allora che la loro opera, sempre meno necessaria, diventa all’improvviso deleteria: ci si ricorda delle ruberie che gli stessi birri compiono indiscriminatamente, della loro richiesta di esazioni, del fatto che il loro stipendio è più basato sui cosiddetti « incerti » piuttosto che sul soldo pagato dallo Stato. Le nuove norme tengono conto di questo passaggio cruciale.

Il novero delle disposizioni locali, i modi e le forme attraverso i quali venivano fatte applicare le leggi, a tutta evidenza trovavano ragione di esistere all’interno di un sistema più generale e complesso che riceveva impulso dalle emanazioni del governo centrale anche se, come si sa, il passaggio non può essere considerato, in antico regime, così immediato e diretto come si potreb-be pensare. Esistono differenze all’interno dello Stato, esistono differenze tra l’organizzazione centrale, romana, e i nuclei periferici, esistono allo stesso modo differenze tra città e campagna, tra comune e comune, tra provincia e provincia. Così i modi di gestione delle piccole prigioni comunali non posso-no essere considerati adatti all’amministrazione dei grandi istituti di pena quali quelli esistenti nella capitale. Ma esistono disposizioni comuni a tutto lo Stato, disposizioni che ne caratterizzano, complessivamente, l’attività. Tratto funzionale dell’intero sistema è quello della visita ai carcerati, una operazione in cui si mescolano, come abbiamo visto, senza distinzione, esigenze legali, morali e caritative che ne segnano la storia e l’evoluzione.

40 M. FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 84.

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A metà del XVII secolo, Giovan Battista Scanaroli, modenese, vescovo di Sidone, per quarant’anni procuratore dei carcerati per l’Arciconfraternita della carità, dà alle stampe un’opera che riassume lo stato della situazione carceraria della città di Roma nei dettagli, anche quelli più minuti 41. Bisogna dire subito che è inutile cercare nell’opera di Scanaroli ogni accenno ad una ricerca di modelli carcerari nuovi ed una filosofia del carcere e della pena sul tipo di quelle che diventeranno comuni un secolo più tardi. Egli si limita, semplicemente, a descrivere l’esistente, il numero delle carceri, il loro funzio-namento, i poteri di controllo. Dalla sua opera risulta comunque evidente il fatto che a metà del Seicento, a Roma, il carcere avesse acquisito un proprio ruolo preciso ed importante come forma di risposta statale alla criminalità.

Secondo Canosa e Colonnello 42 il fatto non è casuale. La doppia dimen-sione dell’ordinamento giuridico della città — metà laico e metà ecclesia- stico —, sostengono, è infatti tale da favorire, assai più che negli altri Stati, l’adozione di questo mezzo di pena, espressione di una forma castigo, almeno nei fini, diversa da quella allora tipica dei sistemi laici. Non bisogna dimenti-care del resto che nel periodo a cavallo tra il XVII e XVIII secolo, una notevole sensibilità pervade il mondo cattolico rispetto al problema del concreto scopo della pena 43. A differenza del meridione dove la forca fu quasi l’unica forma di politica sociale praticata per secoli, nello Stato della Chiesa, così come in quelli dell’Italia settentrionale, si tentò di prendere una serie di provvedimenti assai simili a quelli adottati nello stesso periodo in Inghilterra e in Germania: divieto di mendicare, internamento negli ospedali, assistenza per gli inabili, sforzo di procurare lavoro agli abili 44. A proposito della mendicità, comunque, c’è da dire che il problema venne sempre conce-pito nello Stato pontificio, come di ordine e di controllo sociale. I mendicanti accorrono sempre più spesso verso la capitale e l’autorità cerca di rinchiuderli negli ospedali da poco creati, sotto la minaccia di pene severe. Comunque dovrà passare ancora un secolo prima che venga concepita l’idea del lavoro obbligatorio all’interno dell’istituzione. In ogni caso bisogna ricordare che a metà del Seicento il povero non è per nulla distinto dal piccolo criminale. Nella figura del povero, come affermano Melossi e Pavarini, si stigmatizzava una tendenza alla immoralità, al piccolo furto e così via 45. Solo un secolo più tardi si andrà sviluppando un atteggiamento nella politica sociale che divente-rà simile a quello che era stato proprio delle teorie mercantilistiche degli altri Paesi: l’idea di una carità restrittiva che distingue i poveri inabili dagli abili,

41 G. B. SCANAROLI, De visitatione carceratorum libri tres, Roma, per i tipi della Reve-

renda camera apostolica, 1655. 42 R. CANOSA - I. COLONNELLO, Storia del carcere... cit., p. 37. 43 D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere… cit., p. 57. 44 Ibid., p. 99. 45 Ibid., p. 101.

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riservando solo ai primi una certa assistenza cercando di costringere gli altri a procurarsi un lavoro 46.

Si è detto che l’elemento centrale del sistema descritto da Scanaroli, è quello della visita ai carcerati. La visita non è un atto di semplice carità, come si potrebbe pensare oggi in un sistema imperniato sul concetto di inderogabili-tà della pena. A metà del Seicento quel concetto non esisteva o non era stato compiutamente formalizzato. Ecco allora che la storia del carcere, non soltan-to a Roma, si presenta come una storia di « visite » al carcere 47. Secondo Scanaroli, all’origine erano gli stessi pontefici a presiedere alla visita, poi, cresciuti i loro impegni, divenne inevitabile deputare allo scopo viros probos. Il sistema era stato regolamentato per la prima volta da Eugenio IV, riformato da Sisto IV e poi definito, nei dettagli, da Alessandro VI che aveva istituito il tribunal visitationis. Al tempo di Pio IV, « membri del tribunale (…) erano il governatore, l’uditore di camera, il prefetto delle carceri, il vicario, un senato-re, un prelato della carità, l’avvocato dei poveri, l’avvocato del fisco, il procuratore fiscale, il procuratore dei poveri, deputato dalla Camera ed un altro deputato dalla Carità ed approvato dal papa. Da ultimo erano stati aggiunti, sotto il pontificato di Sisto V, il prelatus pietatis, il visitator secreto-rum carcerum e il commissarium triremium » 48. La composizione mista del Tribunale della visita coinvolgeva tutti coloro che in qualche modo avessero a che fare con il carcere e consentiva una lettura approfondita delle varie posizioni. Il tribunale godeva di poteri assai ampi: poteva diminuire le pene, risolvere le questioni dei carcerati per debiti, liberare i carcerati stessi, anche quelli condannati per crimini gravi « ne quid damni fiat publico regimini », con un richiamo sia alla prudenza, sia alla pericolosità sociale dei diversi soggetti. Alla liberazione dei prigionieri, lo abbiamo visto anche in ambito locale, erano deputate anche le confraternite. I carcerati romani protestavano contro questo tipo di provvedimenti visto che le confraternite stesse, a dir loro, erano solite scegliere, come soggetti da liberare, persone facoltose, in grado di far loro generose elargizioni 49.

Scanaroli, attento ai particolari, fornisce infine i numeri dei prigionieri, distinti per ogni singolo carcere. A Torre di Nona, nel 1652, erano entrate 2.670 persone. Ne erano state scarcerate 2.309. I morti in carcere erano stati 8, gli esiliati 110, gli inviati alle galere 62, i fustigati 9 e i giustiziati 12. Nel carcere dei Sabelli, poi demolito, erano entrate 1.714 persone, ne erano state liberate 1.395, esiliate 64, inviate alle galere 10, fustigate 3. Nel carcere del Campidoglio i detenuti erano stati 1.582, i liberati 1.540, 20 gli esiliati, 5 i

46 Ibid., p. 104. 47 R. CANOSA - I. COLONNELLO, Storia del carcere… cit., p. 44. 48 Ibid., p. 45. 49 A. BERTOLOTTI, Le prigioni di Roma nei secoli XVI, XVII e XVIII, Roma, Tipografia

delle Mantellate, 1890, p. 28.

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galeotti. Le cifre sono più o meno identiche per il carcere del Borgo 50. Su una popolazione stimata in poco meno di 130.000 persone, i carcerati, in un anno, erano stati più di 6.500 51. Era quello il periodo in cui si iniziava, sulla spinta delle nuove emergenze sociali, la costruzione del grande edificio delle carceri nuove, maturato dalle nuove esigenze di « giustizia e misericordia » 52.

Giustizia e misericordia, naturalmente, non spiegano tutto. A determinare le scelte ci sono esigenze più profonde, legate ai cambiamenti sociali, ai nuovi modi di produzione, al nuovo modo di concepire la sicurezza dello Stato. Il condannato che un tempo era stato una proprietà del sovrano, sul quale il potere regio aveva avuto piena possibilità di infierire con la sua terribile collera, sta diventando, a poco a poco, una sorta di bene collettivo che biso-gna in qualche modo rendere utile e produttivo.

Si sta affermando il principio per cui la carcerazione, utile per la reden-zione del condannato costretto ai ferri, al silenzio, alle pene accessorie e capaci di produrre dolore, può diventare proficua anche per la società. Nasce il lavoro obbligatorio all’interno del carcere, nascono i lavori forzati al- l’esterno, nasce il bagno penale, una prigione all’aperto in cui i forzati sono obbligati ad una serie di mansioni per lo più inutili, anche se astrattamente funzionali. Il processo comincia nella seconda metà del Seicento, e all’interno dello Stato della Chiesa, più che altrove, conosce una straordinaria fortuna, forse proprio perché si sposa in maniera quasi perfetta con le esigenze di giustizia e di misericordia che sono alla base della filosofia del controllo e della repressione. Il dibattito su questa sorta di primogenitura nella creazione di un sistema carcerario onnicomprensivo o quasi di ogni possibile pena è ancora vivo e attuale 53. Ai fini di questo studio è poco utile approfondire il discorso. Occorre però dire che proprio nello Stato pontificio, con il motu proprio di Clemente XI del 1703, si attua una riforma che condizionerà pesantemente la legislazione europea degli anni a venire, quella per cui ogni giovane al di sotto dei vent’anni che fosse condannato al carcere, dovesse scontare la pena nell’ospizio di San Michele allo scopo di sfuggire alla corruzione della prigione comune 54. Nello stesso istituto erano rinchiusi, a scopo correzionale, quei giovani affidati a quello stesso fine dai genitori

50 G. B. SCANAROLI, De visitatione… cit., p. 46 e seguenti della appendice. 51 G. BELOCH, La popolazione d’Italia nei secoli sedicesimo, diciassettesimo e diciottesi-

mo, in Storia dell’economia italiana, a cura di C. M. CIPOLLA, Torino, UTET, 1959, I, p. 469. 52 Ricordiamo che a Roma, nell’ex carcere nuovo, iniziato nel 1647 da Innocenzo X e por-

tato a termine nel 1655 da Alessandro VII, oggi sede del Museo di criminologia, vi è ancora la lapide posta a quei tempi Iustitiae et clementiae / securiori ac meliori reorum custodiae / novum carcerem - Innocentius X Pont. Max. posuit - Anno domini MDCLV.

53 Si veda in proposito l’opera di C. C. FORNILI, Delinquenti e carcerati a Roma alla metà del ’600: opera dei Papi nella riforma carceraria, Roma, Editrice pontificia università gregoria-na, vol. 59, 1991, in cui l’autore sostiene che l’opera dei papi nella riforma carceraria influenzò positivamente l’evolversi della legislazione in materia nell’intera Europa.

54 D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere… cit., p. 118.

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all’autorità. Nel 1735, sempre a Roma, una analoga casa di correzione venne aperta per ospitare giovani donne criminali o prostitute 55.

Più utile, in ogni caso, vedere l’evoluzione del sistema, come si arrivi cioè, nei primi anni del XIX secolo, a stabilire il principio per cui la prigione diventa una istituzione completa ed austera 56, un apparato disciplinare esau-stivo, con le sue regole e i suoi ritmi, la sua filosofia e i suoi rapporti con il resto del mondo. La prima regola che i carcerati sono tenuti ad osservare è quella del silenzio. Il silenzio serve ad acuire l’isolamento, che pure è previsto dai regolamenti, evita il contatto con gli altri condannati che potrebbe portare al traviamento ulteriore, serve alla meditazione. La seconda regola è quella del lavoro che, alternandosi al pasto e alla preghiera, segna le ore del giorno e consente di arrivare alla notte, senza gli incubi derivati dal rimorso del delitto compiuto. Il lavoro è una forma di espiazione e di riscatto sociale. Attraverso la fatica quotidiana il condannato capisce fino in fondo la natura dei suoi delitti e dei suoi peccati e comincia ad espiarli. Terza ed ultima regola è quella per cui la privazione della libertà che la prigione comporta non è che uno degli aspetti della pena, il più evidente, certo, ma non il peggiore. Al condannato continuano ad essere inflitte punizioni corporali di ogni tipo che non trovano giustificazione alcuna nelle sentenze emanate e che pure sono parte integrante della vita in carcere. Il secolo dei lumi, scrive Foucault, ha inventato l’idea della libertà ma anche quella della disciplina 57 e a proposito di disciplina, all’interno dello Stato della Chiesa, si erano formate, nel corso dei secoli, schiere di specialisti e di teorici fermamente convinti della sua intrinseca necessità. Così la clausura, presupposto indispensabile della nuova prigione, faceva parte integrante, da secoli, dei ritmi di vita dei conventi, e il binomio preghiera-lavoro era diventato addirittura la norma fondamentale su cui si era costruita una regola. Si trattava, semplicemente, nella nuova tempe-rie culturale, di applicare in maniera più o meno diretta le stesse norme, le stesse regole, alla nuova istituzione. Per farlo occorreva però trasferire queste intuizioni dal piano religioso a quello che potremmo definire laico in senso stretto, uscire cioè dalle pastoie di una commistione durata troppo a lungo per ridefinire compiti e situazioni. Per realizzare il progetto c’era un solo modo: mettere chiarezza, innanzitutto, all’interno dell’apparato normativo. Il titolo III del motu proprio di Pio VII del 6 luglio 1816 si muove in questa specifica direzione. I livelli di giurisdizione sono fissati in tre. I reati minori restano affidati al governatore, l’appello per questi ultimi e il giudizio per reati di maggior peso spettano ai tribunali criminali, tanti quante sono le delegazioni. L’appello per le decisioni dei tribunali criminali spetta alle Corti di appello di Bologna e di Macerata per le aree rispettive e alla Sacra consulta per tutte le altre o per cause di natura particolare. Abolite tutte le giurisdizioni di privile-

55 Ibid., p. 119. 56 M. FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 256 57 Ibid., p. 246.

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gio, meno quelle dell’Inquisizione, dei vescovi e regolari, dei palazzi apostoli-ci, dei tribunali militari ed ecclesiastici, come pure viene abolita ogni pena rimessa all’arbitrio del giudice. Sopravvivono, è vero, istituti particolari per la città di Roma e per la Comarca, ma in generale si può dire che il sistema è riuscito a dare unità d’intenti all’intero Stato. Nell’assetto della magistratura, importante l’accento dato alla tecnicità e collegialità ed il posto conferito al cosiddetto procuratore fiscale da un lato e al difensore d’ufficio dall’altro. Evidente anche il significato di una decisione come quella di rendere obbliga-toria in tutte le sentenze la motivazione o come l’altra, cancellata col succes-sivo pontefice, di generalizzare l’uso della lingua italiana negli atti giudizia-ri 58. Il passo ulteriore sarebbe dovuto essere quello della emanazione dei codici penale e di procedura penale, ma l’opera di Consalvi riuscì solo a completare il codice di procedura civile del 12 novembre 1817.

In quegli stessi anni, d’altra parte, stava maturando, soprattutto nelle pro-vince, quella nuova fase del processo rivoluzionario che doveva caratterizzare l’intera fase finale dell’esistenza dello Stato pontificio, una serie pressoché ininterrotta di sollevazioni, attentati, rivolte popolari che avrebbero portato a concepire una nuova minaccia, ben più pericolosa in fondo degli antichi briganti di campagna e dei grassatori di città, che pure continuavano ad essere rispettivamente fucilati e ghigliottinati, quella del massone, del carbonaro, dell’attivista politico del tutto sconosciuta appena vent’anni prima. Di fronte a questo pericolo, come vedremo, l’atteggiamento del segretario di Stato fu sempre quello del rigore unito alla moderazione, un atteggiamento che non era sicuramente prevalente all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, ma che trovava in Pio VII un fedele assertore. Il 23 giugno 1817, i carbonari di Macerata, nonostante la più totale impreparazione, danno vita al loro tentativo rivoluzionario 59. Un anno prima, il 19 settembre del 1816, il commissario di polizia della stessa città era stato pugnalato da un carbonaro. Le condanne del 6 e del 24 ottobre del 1818 sono esemplari. Di fronte all’imputazione per fellonia, la Congregazione ordinaria del tribunale di Roma decide per la pena di morte e per la galera a vita, ma il papa diminuisce subito le pene: quella di morte diventa relegazione a vita, quella per le galere diventa detenzione fino a dieci anni. È una politica comune che non viene attuata, per esempio, nei confronti di briganti e grassatori per i quali la decollazione è ancora una regola fissa.

2. L’organizzazione statale periferica. — Il periodo preso in esame è,

come si è detto, quello che viene comunemente definito « seconda restaura-zione »: restaurazione politica del potere temporale dei papi, dopo la domina-zione francese; restaurazione istituzionale delle strutture antecedenti alla parentesi rivoluzionaria, in apparenza inalterate. Tale restaurazione, come è

58 M. CARAVALE - A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio… cit., p. 596. 59 Cfr. L. PACI, Le vicende politiche… cit., pp. 366-368.

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noto, avvenne essenzialmente in due tempi. Nel maggio 1814 furono infatti restituiti a Pio VII i territori già uniti all’Impero, corrispondenti agli attuali Lazio e Umbria; si tratta delle cosiddette « provincie di prima recupera ». Le Marche, Bologna e la Romagna (già unite al Regno d’Italia) e Benevento (già unita al Regno di Napoli) furono riconsegnate soltanto nel 1815, e sono pertanto solitamente definite « provincie di seconda recupera ».

Come afferma Elio Lodolini 60, tale destinazione corrispondeva non sol-tanto ai diversi tempi di ripristino dell’autorità pontificia, ma soprattutto alla « diversa situazione politica ed amministrativa in cui quei territori si erano trovati durante il periodo francese (repubblicano ed imperiale), alla diversa durata della sospensione del potere temporale, alla diversa situazione econo-mico-finanziaria » 61. Questo fa già comprendere come il termine « restaura-zione » sia, in questo contesto, da prendere con le dovute accortezze: in realtà, se ci fu una restaurazione in senso politico, le riforme istituzionali furono tante e tali da rendere il fenomeno, più che un ripristino, un ibrido sostanzia-le; e se l’apparenza e i princìpi di fondo rimanevano quelli dell’antico regime, ad un’analisi più accurata ci si accorge di come il sistema risultasse in realtà radicalmente mutato.

Infatti, con l’editto del 5 luglio 1815 della Segreteria di Stato, l’ammini- strazione delle « provincie di seconda recupera » fu affidata ad un sistema provvisorio di governo, quasi una gestione commissariale, mentre si venivano studiando i provvedimenti e le riforme ritenute indispensabili dell’esperienza napoleonica 62. E radicale fu la riforma nel settore dell’amministrazione periferica dello Stato ed in quella comunale.

Documento della nuova organizzazione amministrativa, come è noto, fu il già citato motu proprio del 6 luglio 1816 63, entrato in vigore il 1° agosto successivo, data in cui cessò il governo provvisorio istituito l’anno precedente. Da un punto di vista territoriale, lo Stato venne diviso in diciassette delegazioni, oltre Roma ed il suo territorio (Comarca), rette ciascuna da un delegato e divise in tre classi a seconda della maggiore o minore importanza. Le delegazioni di prima classe erano cinque: Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì, Urbino e Pesaro. Le delegazioni di seconda classe erano sette: An- cona, Macerata, Fermo, Perugia, Spoleto, Viterbo, Frosinone. Le delega-

60 E. LODOLINI, L’amministrazione periferica e locale nello Stato pontificio dopo la Re-staurazione, in « Ferrara viva », I (1959), 1, pp. 5-8; ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L’Archivio della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847), a cura di E. LODOLINI, Roma 1956.

61 E. LODOLINI, L’amministrazione… cit., p. 5. 62 Cfr. D. CECCHI, L’amministrazione pontificia nella 2a restaurazione (1814-1823), Mace-

rata 1978, pp. 25-113. 63 Moto Proprio della Santità di Nostro Signore Papa Pio Settimo in data de’ 6 luglio

1816 sulla organizzazione dell’Amministrazione pubblica…, Roma, presso Vincenzo Poggioli stampatore della Rev. Cam. Apost., 1816 (conservato nella biblioteca dell’Archivio di Stato di Macerata).

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zioni di terza classe erano cinque: Camerino, Ascoli, Rieti, Civitavecchia, Benevento 64.

Alle delegazioni di prima classe poteva essere preposto un cardinale; in tal caso queste assumevano il titolo di legazioni, ed il delegato il nome di legato.

Il delegato era il capo della provincia sotto l’aspetto politico, amministra-tivo e giudiziario-penale: aveva infatti giurisdizione su tutti gli atti di governo e di pubblica amministrazione e in materia giudiziario-penale. Non emerge, a tutta evidenza, un principio di separazione dei poteri; traspare tuttavia, ed è chiara, una forte istanza di correttezza e responsabilità istituzionale. Il delega-to, infatti, il quale, anzitutto, doveva essere un prelato, nominato con breve dal sovrano tramite la Segreteria di Stato, non doveva provenire dalla delega-zione affidatagli, né risiedervi da lungo tempo; stessa cosa per gli assessori, anch’essi nominati dal papa, che lo affiancavano con funzioni giudiziarie, l’uno in materia civile e l’altro in materia penale. Emerge insomma una figura del funzionario separato dal territorio, dipendente dal potere centrale, figura definita anzitutto dalla propria qualifica e il più possibile indipendente dalla persona fisica di chi la riveste; incorruttibile, il più possibile esterno rispetto alla realtà in cui opera, il delegato risponde alla doppia istanza della centraliz-zazione del potere e della sua spersonalizzazione, che pone al centro l’isti- tuzione.

Presso il delegato era inoltre stabilita una Congregazione governativa composta da quattro membri (due del capoluogo e due di altre località della provincia) nelle delegazioni di prima classe; di tre (due del capoluogo ed uno di altra località) nelle delegazioni di seconda classe; e di due membri (uno dei quali del capoluogo), infine, nelle delegazioni di terza classe. Anche i compo-nenti della Congregazione governativa erano nominati dal sovrano, dovevano avere ricoperto impieghi statali o comunali o aver esercitato la professione forense per almeno tre anni ed aver compiuto i trenta anni di età; ogni cinque anni venivano parzialmente rinnovati e potevano essere confermati.

Una minuziosa normativa stabilisce, come si vede, requisiti e competenze di queste figure di contorno: prevale un principio di bilanciamento e di controllo, ed ecco perché, al contrario di quanto stabilito per il delegato e per gli assessori, i componenti di tale Congregazione dovevano essere nati nella provincia o risiedervi da lungo tempo; rappresentavano cioè l’elemento locale della pubblica amministrazione, in un’ottica di rapporto centro-periferia fon- dato sull’accordo conciliare delle istanze 65. La bilancia di tale accordo pende-va tuttavia, com’è ovvio, dalla parte del potere centrale. La Congregazione governativa, che si riuniva tre volte alla settimana, aveva infatti un voto

64 Tabella del riparto territoriale delle Delegazioni dello Stato ecclesiastico prescritta all’art. 3 del Titolo I del Motu Proprio 1816, s.n.t. (conservato nella biblioteca dell’Archivio di Stato di Macerata).

65 Cfr. E. LODOLINI, L’amministrazione... cit., p. 11.

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solamente consultivo; le decisioni finali spettavano in via esclusiva al delega-to, il quale aveva però l’obbligo di inviare i verbali delle discussioni svoltesi nell’ambito della Congregazione alla Segreteria di Stato.

Si può notare, a questo punto, come il potere centrale si fondasse su que-sto rapporto in un’ottica, come abbiamo visto, necessariamente non equilibrata e parziale, ma anche come, al tempo stesso, si interessasse alle istanze locali attraverso sistemi posti a metà fra il cahier de doléance (rapporto diretto periferia-centro, con conseguente scavalcamento del funzionario preposto) e il tenace e puntuale controllo ottenuto anche attraverso il ricorso ad ulteriori figure intermedie, come il segretario generale, anch’egli scelto dal sovrano, che interveniva senza voto nelle sedute della congregazione. La mancanza di effettivo potere era bilanciata dal fatto che questi non poteva essere rimosso dall’impiego senza autorizzazione della Segreteria di Stato: si veniva dunque a creare un sistema di controlli incrociati, dalla struttura compiuta e razionale, teso, nei princìpi, all’accordo delle diverse istanze; e se il fare riferimento di tutti questi organi alla nomina regia e al controllo della Segreteria di Stato poneva l’intera organizzazione ancora indubbiamente sotto il segno dell’antico regime, pure è interessante notare l’innegabile tendere ad un ordine, ad una sistemazione « razionale » e « illuminata » di obblighi, responsabilità, compe-tenze.

Prevale il principio classificatorio: delegazioni di prima, seconda e terza classe; ogni delegazione, poi, si divide in governi di primo e di secondo ordine, retti da governatori. Anch’essi non dovevano essere nativi del luogo che governavano, né esservi domiciliati da tempo. Erano nominati dal sovrano tramite la Segreteria di Stato (i governatori di primo ordine con breve, quelli di secondo ordine con lettere patenti). I delegati potevano corrispondere con i governatori di secondo ordine direttamente o tramite i governatori di primo ordine. Si parcellizza il territorio, si dividono i compiti, si crea un ordine a metà fra il gerarchico-piramidale e l’orizzontale-reticolare: i rapporti sono minuziosamente regolati, le funzioni stabilite. Così, assistiamo ad ulteriori specificazioni: con editto del 26 novembre 1817 il segretario di Stato, Ercole Consalvi, stabilisce che in tutti i comuni in cui non risiedesse un governatore potesse essere nominato un vice governatore dipendente dal primo. La nomina dei vice governatori era riservata al delegato in una terna di nomi proposti dal rispettivo Comune: anche qui, un principio di bilanciamento di istanze fa da sfondo al criterio di attribuzione delle funzioni. I vice governatori duravano in carica due anni e potevano essere confermati di biennio in biennio dal Consi-glio comunale, ovviamente con approvazione delle autorità superiori alle quali era data anche facoltà di destituirli durante il biennio.

3. L’amministrazione comunale. — Le riflessioni finora condotte sono

ovviamente valide anche per le amministrazioni comunali. Anche qui, infatti, « con la Restaurazione si ritornò a forme antiche, con modifiche suggerite

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dall’esperienza amministrativa napoleonica » 66. Infatti l’art. 102 del motu proprio 1816, abolì « tutte le leggi municipali, statuti, ordinanze, riforme » tranne quelle relative alle colture, al corso delle acque, ai pascoli, ai danni dati nei terreni e ad altri argomenti analoghi. In base a tale normativa gli organi del comune erano: il Consiglio, di 48 membri nelle città capoluogo di delegazione, di 36 nelle sedi di governo di primo ordine, di 24 nelle sedi di governo di secondo ordine con popolazione superiore ai mille abitanti, e di 18 in quelle con popolazione inferiore; la Magistratura, composta da un capo con il titolo di gonfaloniere e da sei, quattro o due anziani a seconda che si trattasse rispettivamente di capoluoghi di delegazione, di sedi di governo di primo ordine o di altri comuni.

Negli « appodiati », cioè nei comuni minori dipendenti da un comune principale, era stabilito un sindaco dipendente dal gonfaloniere della comunità principale 67.

Nella prima applicazione del motu proprio, i consiglieri erano tutti di nomina governativa (nomina da parte del delegato, previo parere della Con-gregazione governativa e sanzione definitiva della Sacra consulta) 68. Man mano, in caso di vacanze, i nuovi consiglieri dovevano essere eletti per cooptazione dallo stesso Consiglio, salvo ratifica del delegato che però non poteva negarla se non in caso di incapacità da parte dell’eletto. I requisiti a consigliere sono illuminanti nel loro mescolare il criterio del privilegio con istanze di legalità di matrice borghese-liberale: essi dovevano aver compiuto 24 anni, essere nati nella comunità o risiedervi da almeno dieci anni ed appartenere alla classe dei possidenti, dei letterati, dei negozianti, di capi delle professioni ed arti « non vili e sordide » (art. 155 del motu proprio 1816), dei coltivatori (esclusi i salariati agricoli). Causa di incapacità era la stretta parentela con altro consigliere. L’ufficio di consigliere non poteva essere ereditario, né riservato ad alcun ceto, salvo le prerogative godute da qualche ceto particolare in singoli comuni purché limitatamente alla metà del numero dei consiglieri. Del Consiglio dovevano far parte inoltre i deputati del clero. Il Consiglio comunale designava il gonfaloniere, gli anziani ed i sindaci invian-do al delegato una terna di nomi per ogni posto da coprire. Il delegato nomi-nava anziani e sindaci mentre la nota di tre nomi relativa al gonfaloniere, doveva essere inviata al segretario di Stato cui spettava la nomina del capo del comune. Il gonfaloniere restava in carica due anni, gli anziani quattro, rinnovandosi per metà ogni biennio allo scopo di assicurare la continuità della vita amministrativa comunale.

66 Ibid., p. 22. 67 Cfr. R. RUFFILLI, L’appodiamento ed il riassetto del quadro territoriale nello Stato pon-

tificio (1790-1870), Milano, Giuffrè, 1968. 68 Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana - lineamenti storico-giuridici, Roma, Edizioni di Sto-

ria e Letteratura, 1970, pp. 346-350.

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Gonfalonieri ed anziani usciti di carica, non potevano essere nominati di nuovo prima di due anni mentre i sindaci erano immediatamente riconferma-bili.

Il Consiglio non poteva prendere alcuna decisione se alla seduta non era-no presenti almeno i due terzi dei consiglieri, il gonfaloniere, due anziani ed il governatore, quest’ultimo presiedeva la seduta con diritto al voto. Governatore e gonfaloniere potevano farsi sostituire in caso di impedimento. Nessun atto consiliare poteva avere esecuzione senza approvazione preventiva del delegato e della Congregazione del buon governo 69 secondo la rispettiva competenza. Gli impiegati comunali erano nominati o confermati dal Consiglio ogni due anni nel giorno di santa Lucia (13 dicembre).

Specificamente per le Marche, come s’è detto, con lo stesso motu pro-prio del 1816, Macerata con il suo territorio veniva creata delegazione aposto-lica di seconda classe 70. Lo stesso motu proprio con le tabelle annesse divi-deva la delegazione in quattro governi di prima classe o distrettuali di Macerata, Loreto, poi di Recanati, di San Severino e di Fabriano 71. Il governo distrettuale di Macerata comprendeva i comuni di Macerata, Apiro, Appigna-no, Civita Nuova, Monte Castrano, Monte Cosaro, Monte dell’Olmo, Monte Granaro, Monte Milone, Monte San Pietrangeli, Morrovalle, Sant’Egidio e Monte San Giusto. Il governo distrettuale di Loreto comprendeva i comuni di Loreto, Monte Lupone, Monte Santo, Recanati e Porto.

Il governo distrettuale di San Severino comprendeva San Severino (ap-podiato: Ficano), Amandola, Belforte, Caldarola, Monte Giorgio, Monte San Martino, Penna San Giovanni, Sarnano, San Ginesio, Tolentino (comunità appodiate: Morìco, Ripe San Ginesio), Urbisaglia (comunità appodiata: Colmurano).

Il governo distrettuale di Fabriano comprendeva la stessa Fabriano (co-munità appodiata: Duomo), Matelica, Sassoferrato, Serra San Quirico (comu-nità appodiate: Genga, Mergo e Sasso, Retorscio) ed alcuni altri governi di seconda classe, la cui composizione e numero subirono diverse variazioni a seguito dei provvedimenti degli anni successivi che, come è noto, apportarono diverse variazioni alla consistenza territoriale delle delegazioni marchigiane.

4. L’ordinamento giudiziario civile e penale. — La « codificazione », una delle conquiste fondamentali del periodo napoleonico, costituì una immediata esigenza del ricostituito Stato della Chiesa. Pio VII nominò tre commissioni per la realizzazione dei codici civile e di procedura civile, criminale, cioè

69 Ibid., pp. 352-355; L’Archivio della S. Congregazione… citato. 70 Cfr. P. CARTECHINI, Fonti archivistiche per la storia della Provincia di Macerata, in

« Studi Maceratesi », 1, (1965), pp. 35-37; Archivio di Stato Macerata, a cura di P. CARTECHINI, in MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, Guida generale degli Archivi di Stato italiani, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1983, II, pp. 707-708.

71 Tabella del riparto territoriale… cit., pp. 32-33.

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penale, e di procedura commerciale 72. Secondo l’opinione di Elio Lodolini, Pio VII ed Ercole Consalvi furono:

autori di leggi ed ordinamenti senza dubbio assai progrediti per l’epoca in cui

vennero adottati, ed in parte derivanti direttamente dall’esperienza napoleonica (…). Quelle leggi e quegli ordinamenti sono tanto più notevoli se li si mette a confronto con le tendenze puramente e semplicemente « reazionarie » di altri Stati Italiani — vedi Piemonte — nei quali si voleva, sic et simpliciter, cancellare quasi un venten-nio di storia e tornare agli ordinamenti, alle leggi e agli uomini del 1798, ignorando ogni progresso compiuto durante il regime napoleonico 73.

Ovviamente, ai codici vanno affiancati tutti quei testi a carattere legisla-

tivo, tesi a ricreare, o creare tout-court, un ordinamento giudiziario nel territo-rio. Fra essi, fondamentale è sempre il motu proprio del 6 luglio 1816, che al titolo II stabilisce l’organizzazione dei tribunali civili, al III quella dei tribuna-li criminali. Vi sono poi il « regolamento » o « nuovo codice di procedura civile » emanato da Pio VII con il motu proprio del 22 novembre 1817 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1818, il « regolamento di disciplina per i tribunali civili » pubblicato dal segretario di Stato Ercole Consalvi il 27 gennaio 1818, e infine il « regolamento provvisorio di commercio », già vigente nelle province di seconda recupera ed esteso, con modifiche, a quelle di prima recupera con editto Consalvi del 1° giugno 1820, a decorrere dal 1° luglio successivo. Quest’ultimo regolamento fu poi confermato con il motu proprio 10 novembre 1824.

Come è noto, uno dei primi atti di Agostino Rivarola, delegato da Pio VII a riprendere possesso in suo nome delle « provincie di prima recupera », era stata l’abolizione della legislazione napoleonica e dei codici civile, com-merciale e penale (editto 13 maggio 1814) e la soppressione dei tribunali del periodo imperiale con il ripristino delle vecchie magistrature giudiziarie 74. L’anno successivo, con editto del 5 luglio, il segretario di Stato Ercole Con-salvi, nello stabilire un governo provvisorio nelle province di seconda recupe-ra, abolì la legislazione napoleonica ed i codici civile, penale e di procedura. Conservò il codice di commercio ed i tribunali di commercio: segno evidente di un’istanza economico-sociale giunta ormai a riflettersi nel politico. La rivoluzione era stata, del resto, il tentativo della borghesia francese di control-lare il potere statale: motivazioni analoghe avevano guidato i ceti dirigenti degli Stati conquistati o inglobati da Napoleone nel sostenere ed appoggiare il dominio francese, apportatore di vantaggi e innovazioni nel campo della produzione e della distribuzione delle risorse territoriali. La caduta dell’im- peratore non limita questo ruolo, ormai acquisito, della borghesia quale centro

72 E. LODOLINI, L’ordinamento giudiziario civile e penale nello Stato Pontificio (sec. XIX), in « Ferrara viva », I (1959), 2, pp. 43-73.

73 Ibid., p. 44. 74 Ibid., p. 48.

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propulsivo dell’economia statale e vera spina dorsale della cosiddetta « ric-chezza delle nazioni ». Il mantenimento dei codici di commercio riflette questo mutato status quo; i cambiamenti subiti dalla giustizia civile, ma soprattutto penale, in altre parole, l’amministrazione « dei delitti e delle pene » ne sono lo specchio distorto, ma altrettanto illuminante. Per lo Stato della Chiesa fu con il motu proprio del 6 luglio 1816, unitamente alla definitiva organizzazione dello Stato e all’istituzione del governo provvisorio nelle province di seconda recupera, che vennero dettate norme omogenee anche nell’amministrazione della giustizia.

Come già detto, il titolo II agli artt. 24-75 riguarda l’organizzazione dei tribunali civili. Il potere giudiziario in quest’ambito non fa parte delle compe-tenze dei delegati (art. 24), ma di quelle dei governatori locali, dei tribunali civili di prima istanza esistenti in ogni delegazione e di quattro tribunali di appello istituiti a Bologna, Macerata e Roma (Tribunale dell’uditore generale delle cause della Camera apostolica o auditor camerae e Tribunale della Rota 75): evidente l’istanza di legare un tale tipo di cause all’ambito territoria-le, ai rapporti di carattere locale, alla contingenza del quotidiano. Le aree di competenza sono minuziosamente ripartite: i governatori locali sono compe-tenti nelle cause che non oltrepassino il valore di 100 scudi, in quelle di « sommarissimo possessorio », « cioè quelle nelle quali si debba giudicare sul solo fatto del possesso, mentre esse dovranno essere rimesse al tribunale di prima istanza se, non potendo il possessorio essere definito con il solo fatto del possesso, occorra passare all’esame dei titoli), in quelle di alimenti, di danno dato e di mercedi e nelle controversie che insorgono durante i tempi di fiera e di mercato per le contrattazioni » (art. 25).

Nei capoluoghi di delegazione, uno dei due assessori esercita nelle cause minori la giurisdizione attribuita ai governatori locali (art. 28) e vi viene istituito un tribunale di prima istanza composto da cinque giudici più due aggiunti nelle delegazioni di prima classe e di cinque giudici ed un aggiunto nelle altre (art. 30), che giudica in grado di appello le cause di competenza dei governatori e degli assessori ed in prima istanza tutte le altre, ad eccezio-ne di quelle riservate alle giurisdizioni speciali. Le udienze sono pubbliche e le sentenze motivate (art. 33). Dei quattro tribunali di appello, uno avrà sede a Bologna (per le delegazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna), uno a Macerata (per le delegazioni delle Marche) e due a Roma (Tribunale del- l’auditor camerae e della Rota) per il resto dello Stato (art. 35); i primi due saranno composti da cinque giudici e due aggiunti (art. 36); quello del- l’auditor camerae, da tre giudici prelati o luogotenenti e da un quarto giudice che può essere il vice gerente dell’uditore generale della Camera (art. 40). Ognuno dei luogotenenti deve giudicare in prima istanza le cause di valore minore a 825 scudi ed in seconda quelle giudicate dai governatori della Comarca e quelle di valore inferiore a 300 scudi già giudicate in prima

75 Sull’uditore generale cfr. N. DEL RE, La Curia romana… cit., pp. 299-301.

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istanza da uno dei suoi colleghi (art. 42), mentre il Tribunale dell’auditor camerae giudicherà collegialmente in prima istanza le cause della Comarca eccedenti il valore di 825 scudi o di valore indeterminato, in seconda quelle di valore inferiore a 825 scudi giudicate dai tribunali di prima istanza delle delegazioni dell’Umbria, del Lazio, e di Benevento o dai singoli luogotenenti, in terza, le sentenze difformi pronunciate dai governatori in prima istanza e dai singoli luogotenenti in grado di appello e quelle difformi dei luogotenenti nelle cause di valore inferiore ai 300 scudi (art. 42). Il Tribunale della Rota fungerà da tribunale di appello in tutte le cause di valore maggiore a 825 scudi giudicate dai tribunali di prima istanza delle delegazioni non soggette ai tribunali di appello di Bologna e Macerata, in tutte quelle maggiori di 300 scudi e minori di 825, in caso di difformità delle precedenti sentenze ed in tutte le cause in cui le sentenze degli altri tribunali di appello, compreso quello dell’auditor camerae, siano difformi dalle sentenze di prima istanza. Per le cause di valore inferiore ai 300 scudi, in cui le sentenze degli altri tribunali di prima istanza e di quello dell’auditor camerae come tribunale di appello siano difformi, si ricorrerà al cardinale prefetto della Segnatura che deputerà una congregazione di tre prelati per il giudizio definitivo (art. 46). In Roma è confermata la giurisdizione civile del Tribunale del Campidoglio (art. 49) e quella del Tribunale della Segnatura (art. 50) che avrà il potere di annullare gli atti giudiziari, i decreti e le sentenze di tutti i tribunali dello Stato, senza eccezioni (art. 51) e di decidere in tutte le questioni di competen-za fra i tribunali (art. 52).

Nessuna innovazione viene fatta riguardo alla giurisdizione dei vescovi e a quella dei tribunali ecclesiastici nelle materie di loro competenza (art. 56). Gli altri tribunali non potranno intervenire nelle cause che riguardano l’inte- resse della Camera apostolica. Queste saranno giudicate in prima istanza, quando non superino il valore di 200 scudi, da assessori camerali che saranno inviati nelle delegazioni, eventualmente riunendone insieme più di una (art. 57), mentre in Roma saranno giudicate cumulativamente (e singolarmente) dall’uditore del camerlengato e da quello del tesoriere generale quando non eccedano il valore di 825 scudi; nel caso in cui superassero i due valori indicati, saranno giudicate in prima istanza da un tribunale composto dall’udi- tore del camerlengo, dal presidente della Camera e dall’uditore del tesoriere generale che fungerà anche da tribunale di appello nelle cause giudicate dagli assessori camerali (art. 58). In caso di difformità di giudizio, si ricorrerà al Tribunale della Camera che sarà anche tribunale di appello per le sentenze emesse in prima istanza dai giudici e dal tribunale di cui all’articolo preceden-te (art. 59). Poiché il Tribunale della Camera sarà diviso in due turni, in caso di ulteriore appello questo sarà affidato al turno che non avrà emesso la sentenza contro cui si ricorre (artt. 60-61). Pertanto in materia contenziosa civile non vi saranno più giudici commissari e giudici privativi (art. 63), né giurisdizioni e tribunali particolari e privilegiati, eccetto quelli ecclesiastici e quello del Campidoglio e fatte salve anche le giurisdizioni della Congregazio-

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ne dei vescovi e regolari, del Tribunale della Dataria, di quello della Fabbrica di S. Pietro e di alcune altre (art. 64).

La nomina di tutti i giudici è riservata al pontefice (art. 67). Quelli dei tribunali di prima istanza, come requisiti, debbono possedere la laurea, onestà di natali, buona condotta, venticinque anni compiuti, esercizio dell’attività forense per almeno tre anni. Per quelli dei tribunali di appello, l’età è aumen-tata a trenta anni e l’esercizio dell’attività forense a cinque (artt. 68-69). Ai giudici viene assegnato uno stipendio fisso (art. 70).

Nel settore della giustizia penale, la separazione del potere politico ed amministrativo da quello giudiziario è una conquista tarda.

Immediatamente dopo la Restaurazione, infatti, il legato (o delegato), ca-po del potere politico e di polizia di ogni provincia, è anche presidente del tribunale, ma le norme che ne regolano l’attività mostrano lo stesso rigore che abbiamo già visto in altri contesti, una sorta di ricerca di provvedimenti comuni, generalizzati, il più possibile « razionali », che si inseriscono in vari modi nel contesto della Restaurazione assolutistica. Secondo l’editto Consalvi del 5 luglio 1815, nelle province di seconda recupera, i giusdicenti locali erano competenti a giudicare i reati punibili con una pena detentiva non superiore ad un anno. I tribunali penali, uno per ciascun capoluogo di provin-cia, giudicavano in primo grado i reati più gravi ed in appello le cause minori decise in primo grado dai giusdicenti stessi. Ogni tribunale era composto da tre membri, compreso il presidente. I tribunali di appello per le cause sia criminali che civili erano due, ed avevano sede a Bologna e ad Ancona. Giudicavano collegialmente, con l’intervento di tutti i sette giudici. Lo stesso editto del 5 luglio 1815 stabiliva che il tribunale dell’auditor camerae e i tribunali penali fossero provvisoriamente competenti a procedere anche nei confronti degli ecclesiastici, in attesa della ricostituzione dei tribunali partico-lari riservati a questi ultimi 76. Anche per il settore della giustizia penale il motu proprio 1816 stabilì un sistema uniforme per tutto lo Stato.

All’organizzazione dei tribunali criminali è dedicato il titolo III (artt. 76-101). I governatori di primo e secondo ordine sono giudici nei delitti minori, cioè in quelli punibili con pene pecuniarie o detentive fino ad un anno, commessi nei loro territori (art. 76): i delitti sono classificati sulla base delle pene; alla suddivisione che potremmo chiamare « moralistica » dei reati (reato come infrazione ad una legge superiore, classificato a seconda della maggiore o minore offesa al potere, divino ed umano), si sostituisce una visione che lega strettamente delitto e pena, realizzando fra essi un rapporto deterministi-co-causale, per cui l’uno può essere definito attraverso l’altro o viceversa.

In ogni delegazione viene istituito un tribunale criminale presieduto dal delegato e composto dai due assessori, da uno dei giudici del tribunale civile di prima istanza e da uno dei membri della Congregazione governativa (art. 77) (questi ultimi due rinnovati ogni anno a turno). Questo tribunale avrà

76 Cfr. E. LODOLINI, L’ordinamento giudiziario… cit., p. 65.

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anche funzioni di appello nelle cause giudicate dai governatori locali (art. 78). Ulteriore appello potrà essere presentato al tribunale di appello di Bologna per le legazioni, a quello di Macerata per le Marche, alla Sacra consulta per il resto dello Stato (art. 82). Giudici ed ufficiali di giustizia non debbono avere altri proventi oltre allo stipendio ad essi erogato dallo Stato (art. 85), secondo criteri di fondo che abbiamo già visto e commentato in altre occasioni. Contro le condanne comminate dai governatori della Comarca si presenta appello al Tribunale del governo di Roma (art. 86). Gli assessori camerali nelle province ed i tribunali criminali del camerlengo e del tesoriere generale in Roma sono competenti nei processi di contrabbando e di frode contro l’erario (art. 89).

Restano le istituzioni di antico regime, di natura e impianto teocratico: non vi sono infatti innovazioni d’alcun tipo riguardo al foro ecclesiastico, e sono confermate anche le giurisdizioni dell’Inquisizione, della Congregazione dei vescovi e regolari, del prefetto dei palazzi apostolici e della Congregazio-ne militare (art. 92), mentre vengono abolite tutte le altre giurisdizioni crimi-nali privilegiate (art. 91); situazione intermedia, in cui la « razionalità » illumi- nistica si affianca al persistere di istituti da Controriforma. Ma l’evoluzione c’è, ed è inarrestabile.

Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, come è noto, viene stampato per la prima volta nel 1774: le parole conclusive del pamphlet fanno ben presto il giro d’Europa:

Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato citta-

dino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi 77.

Queste parole, unitamente ai concetti che esprimono: abolizione della pe-

na di morte, fine della tortura e di ogni violenza sul corpo del condannato, unite ad una giustizia pronta, pubblica ed uguale per tutti, non tardano ad essere recepite. Lo Stato della Chiesa, in cui la giustizia era stata, almeno nei termini, sempre unita alla « misericordia », include, nel succitato editto Con-salvi, proprio un articolo in merito: « L’uso dei tormenti e la pena della corda, ambedue già interdetti, rimangono perpetuamente aboliti, ed a quest’ultima è surrogata la pena di un anno di opera » (art. 96); in attesa della pubblicazione del nuovo codice criminale:

in cui dovrà sparire affatto ogni pena rimessa all’arbitrio del giudice e solo potrà

in alcuni delitti fissarsi un minimo ed un massimo di pena ad oggetto che dentro questi limiti il giudice possa proporzionarla alle circostanze che aggravano o diminui-scono la imputabilità dell’azione delittuosa, le quali circostanze stesse per quanto è possibile saranno definite dalla legge,

77 C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, edito a cura di A. BURGIO, con prefazione di S.

RODOTÀ, Milano, Feltrinelli, 1991, p. 115.

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è limitata la potestà dei giudici nelle pene comminate ad arbitrio (art. 97): in tal caso la pena non potrà mai eccedere un anno di lavori forzati, mentre è facoltà dei giudici diminuirla.

Fino alla pubblicazione del nuovo codice criminale e di quello di proce-dura criminale, si osserveranno le leggi e le regole vigenti, ma i processi si svolgeranno in lingua italiana, così come in lingua italiana saranno emesse le sentenze che dovranno essere anche motivate (artt. 95 e 98: « proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi »). Ed è in questo contesto che si situa la « nascita della prigione »: la sua centralità nel sistema giudiziario-punitivo è già inne-gabile, e lo dimostra la minuziosa normativa che la riguarda.

5. La regolamentazione del sistema penitenziario. — Manca un ultimo

tassello senza il quale non si riuscirebbe a spiegare la nuova temperie cultura-le, ma anche amministrativo-giuridica venutasi a determinare al momento della restaurazione. Riguarda il periodo dell’annessione delle Marche al Regno d’Italia (1808-1815) 78, quando l’organizzazione del sistema carcerario assume un carattere di nuova sistematicità. Senza entrare troppo approfondi-tamente nel merito, dato che l’argomento richiederebbe un discorso a parte, anche per comprendere le successive disposizioni che, con lievi modifiche, saranno riprese, giova ricordare, anche a scopo esemplificativo, il Regolamen-to per le carceri giudiziarie emanato dal ministro della giustizia con circolare n. 12061 del 21 maggio 1811 79. Si divide in quattro titoli relativi alla « custo-dia dei detenuti », « polizia interna delle carceri », « disciplina e responsabilità dei custodi », « disposizioni generali », per un totale di quarantotto articoli. Ribadito il principio che le carceri sono un luogo di custodia e non di pena (art. 1), si afferma come conseguenza che i relativi responsabili debbono evitare ogni atteggiamento che aggravi indebitamente la sorte dei detenuti. Analogamente, i prigionieri debbono essere tenuti in carceri separate a secon-da del tipo di reato e a seconda che si tratti di uomini, donne, minori di sedici anni, militari, ecc. (artt. 2-3). Sono i presidenti ed i giudici di pace, sentito il parere del medico e del chirurgo a stabilire il numero dei detenuti che ogni prigione può contenere (art. 6). L’ispezione e la vigilanza interna sui detenuti e sulle carceri sono affidate in via esclusiva ai custodi (art. 7), ed è quindi dovere di questi svolgere ispezioni almeno tre volte nelle ventiquattro ore (art. 8). In occasione di tali controlli, particolare attenzione deve essere rivolta a tutto ciò che riguarda la sicurezza dei locali (art. 9), pertanto le manutenzioni straordinarie relative allo stato delle porte, dei muri e delle inferriate debbono essere svolte senza alcuna dilazione di tempo (art. 13). Prescrizioni severe riguardano i rapporti fra detenuti e custodi: i primi non possono parlare delle

78 Cfr. a tale riguardo P. CARTECHINI, Organi ed uffici dell’amministrazione napoleonica a Macerata dal 1808 al 1815, in « Studi maceratesi », VIII (1972), pp. 324-499.

79 Il regolamento è conservato presso la biblioteca dell’Archivio di Stato di Macerata come opuscolo a stampa, privo di luogo e data di edizione.

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cause che li riguardano, i secondi non debbono aiutarli ad avere corrisponden-za con estranei o fra loro (art. 21). È infatti vietato lasciare presso i detenuti carta, penne, matite o altri oggetti con cui si possa scrivere (art. 22), a meno che non ve ne sia grave necessità. In questo caso, prima di essere recapitata, previa autorizzazione, la posta dovrà essere presentata, per un controllo, all’autorità giudiziaria (art. 23). Proibiti anche tutti i tipi di gioco (art. 24), mentre le minacce, le violenze e l’insubordinazione, nel caso in cui non si debba dar luogo ad azione penale, vengono soffocate con la riduzione del trattamento a semplice pane ed acqua o con il mettere i detenuti ai ferri (art. 27). La qualità e la durata di queste « misure disciplinari », come vengono definite, verranno determinate dal presidente e dal giudice istruttore (art. 28). I custodi possono procurare a quei detenuti che ne abbiano le possibilità economiche cibi ed indumenti, osservando però le dovute cautele ed evitando il superfluo (art. 31). Vietata invece l’introduzione o l’uso di liquori forti (art. 33). Fondamentale viene considerata la pulizia dei locali che deve essere svolta dai custodi medesimi due volte alla settimana (art. 35). Analogamente, in caso di malattia dei detenuti, i custodi debbono avvertire, al minimo sintomo, il medico oppure il chirurgo (art. 37). Il trattamento dei malati e le even- tuali modifiche nella loro detenzione, rientra fra i compiti del medico (art. 38). Come si è detto, ad un titolo apposito, il terzo, è demandata la disciplina dei custodi. Così all’art. 42 viene affermato il principio che ogni contravven-zione ai regolamenti verrà punita con sospensione, degradazione o destituzio-ne, a meno che non vi sia luogo a pene ordinarie. Si stabilisce infine che il regolamento sarà diffuso e appeso nelle carceri per opportuna conoscenza. La materia trattata nel regolamento trova parziale riscontro nei documenti relativi alle carceri presenti nell’archivio della Prefettura del Dipartimento del Musone conservato nell’Archivio di Stato di Macerata 80. Si tratta di venti buste (dalla n. 71 alla 91) relative alla 3° rubrica del XII titolo. Vi si trovano infatti relazioni sullo stato delle carceri, sulle condizioni di salute dei condan-nati, corrispondenza in merito alle manutenzioni, ai restauri, alla somministra-zione di viveri. Risulta applicata la distinzione fra colpevoli di reati comuni e quelli di reati politici. Particolarmente significativo, fra gli altri, il carteggio svolto fra il settembre ed il novembre 1808, fra il ministro della giustizia ed il prefetto di Macerata, circa la necessità di avere a disposizione una ghigliottina per le sentenze capitali e di procedere alla nomina di un boia per le esecuzio-ni 81. Al 1811, invece, quindi successivamente alla pubblicazione del regola-mento, si riferisce la corrispondenza, intercorsa fra i medesimi uffici, sulla opportunità di costruire nella piazza del mercato di Macerata, un palco stabile per le condanne a morte 82.

80 Archivio di Stato Macerata, a cura di P. CARTECHINI… citato. 81 AS MC, Archivio Prefettura Dipartimento del Musone (d’ora in poi Dip. Musone),

b. 71. 82 Ibid., b. 78.

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Abbiamo già spiegato nell’introduzione come il carcere sia ovunque, do-po la fine dell’Impero napoleonico, al centro del sistema penale. Pena genera-lizzata, tutelatrice, relazionata al corpo sociale e ai suoi meccanismi di auto-reggenza, fondata sull’esclusione; unica, inevitabile risultante di un percorso che dalle riflessioni dei philosophes, su tutti, Beccaria, conduce proprio a questa pena comune a tutti i reati, con l’esclusiva variabile della durata della detenzione, costantemente divisa fra i due opposti poli della necessità della durezza, « giustizia », che ripristina, a livello emozionale, la figura foucaultia-na del « corpo del condannato », e della finalità riabilitativa, « misericordia », che vede nel carcere non un fine, ma un mezzo e pone intermittentemente l’istanza di un miglior trattamento per i detenuti.

Così Giuseppe Antonio Sala 83, nel suo Piano di riforma, pubblicato a Roma nei suoi primi diciassette articoli nel 1814 ed integralmente nel 1907 84, poteva a tal proposito proporre, oltre alla necessità di mantenere l’abolizione della tortura, anche l’opportunità di migliorare il trattamento dei carcerati e dei condannati alle « galere », tenendoli anche occupati in lavori che permet-tessero loro, una volta scontata la pena, di avere disponibilità di denaro e comunque la possibilità di svolgere qualche lavoro:

È giusto che i rei vengano puniti a misura dei loro delitti e che sentano il peso

del meritato castigo, ma conviene procurare che questo serva ad emendarli anziché a renderli peggiori 85.

Parte delle proposte di Sala vengono riprese dal motu proprio del 6 lu-

glio 1816, che, all’art. 96, mantiene l’abolizione della tortura e, all’art. 97, limita la potestà dei giudici riguardo alle pene comminate ad arbitrio.

La costituzione Post diuturnas del 30 ottobre 1800 86 aveva affermato: si faccia in ciascun luogo dello Stato una visita formale delle Carceri e de’ Car-

cerati una volta al mese. Intervengano ad essa il Vescovo, se è in residenza, o il suo vicario generale o il vicario foraneo, il governatore, il Capo del Magistrato, il medico

83 Giuseppe Antonio Sala, nato a Roma il 27 ottobre 1762 e morto il 13 giugno 1839. Vis-se a lungo nella Curia dove fu introdotto dal fratello maggiore, l’abate Domenico, noto come il « papa nero ». Perseguitato da Pio VII, si ritirò a Cascia dove elaborò uno scritto apologetico dei cardinali che si erano rifiutati di assistere all’incoronazione di Napoleone: è questo il primo abbozzo del suo Piano di riforma che allargò e pubblicò solo in parte, essendone stato impedito da Consalvi. Questi gli fu ostile anche per la sua nomina a cardinale, che poi avvenne il 30 settembre 1831 sotto Gregorio XVI (le notizie sono tratte dall’Enciclopedia italiana, XXX, p. 485).

84 G. A. SALA, Piano di Riforma a Pio VII, Tolentino 1907; cfr. inoltre D. CECCHI, L’amministrazione pontificia… cit., pp. 114-120; ID., Aspetti e problemi dello Stato pontificio nella seconda Restaurazione, in « Studi maceratesi », 16 (1980), pp. 9-32.

85 Cfr. D. CECCHI, L’amministrazione pontificia… cit., p. 123. 86 Constitutio sanctissimi domini nostri Pii Papae VII super restauratione regiminis ponti-

ficii, Romae, apud Lazarinum Typographum Reverendae Camerae Apostolicae, 1800.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 203

ed il cancelliere. Innanzi a questo Consesso si chiami singolarmente ciascuno de’ Carcerati, ma fuori della presenza del Carceriere e del Bargello. S’interroghi sul trattamento che riceve, e se da alcuno soffra aggravio. Passeranno poi i suddetti intervenienti a visitare il locale delle carceri e vedranno se vi è cosa speciale da rimarcare, mentre il Cancelliere sarà obbligato a scrivere tutto esattamente. In ciò, che esigerà una istantanea provvidenza, i suddetti Visitatori, cioè il vescovo, il governatore ed il capo del magistrato ne esamineranno gli ordini opportuni purché però non riguardi il merito della Causa ed il buon ordine della Processura, né sia di pregiudizio alla dovuta custodia de’ carcerati. Nell’ordinario poi immediatamente seguente, il Governatore sarà obbligato di rimettere alla Sagra Consulta una relazione di questa Visita sottoscritta da lui e dal Cancelliere. In questa relazione si noterà ciaschedun Carcerato coll’indicazione del tempo della carcerazione, se sia ritenuto in Segreta o alla Larga ed in quale stato si trovi la sua Inquisizione e Processura con tutto quel che di più che si sarà rilevato nella Visita enunciata e che, come si è detto, dovrà il Cancelliere scrivere esattamente. A questa relazione si unirà anche una Nota delle Processure contumaciali, che sono pendenti coll’indicazione del loro stato attuale. Il Prelato Ponente di Consulta leggerà in pieno tribunale questa relazione e nota presso la quale il Tribunale medesimo darà quelle determinazioni che saranno occorrenti specialmente pel disbrigo delle Cause. Si uniformino finalmente e con esattezza anche i Baroni allo stesso sistema pei loro feudi 87.

Questo passo è di fondamentale importanza. Si istituisce una commissio-

ne: la sua funzione è una visita mensile alle carceri. Fin dalla composizione, essa rivela la sua natura: il vescovo e il governatore, simboli di potere spiri-tuale e temporale, di secolarità ed eternità, di giustizia e misericordia; il capo del magistrato, il medico, il cancelliere, emblemi di altre esigenze che si mescolano a quelle della giustizia.

Manca un simbolo del potere giudiziario: l’istituto che infligge la con-danna si distacca, si distingue da quello che la attua; il potere, nella prigione, presenta il suo volto misericordioso, paternalistico, che accoglie le suppliche dei carcerati e ascolta le loro esigenze. A questo serve il medico; a questo il cancelliere, che eterna la memoria del momento con la precisione stenografica che è il marchio della sua professione. Non a caso, « il merito della Causa e il buon ordine della Processura » sono tenuti fuori: l’ordine è « buono », la custodia « dovuta », la situazione inalterabile. Mitigabile, ma inalterabile: i carcerati sono ascoltati « fuori della presenza del Carceriere e del Bargello », perché imparino a separare bene le due facce dello stesso potere, il disagio quotidiano e la misericordia mensile; l’ambito è però quello esclusivo della contingenza.

Il sistema delle visite mensili, a tutta evidenza, viene ripristinato anche nella seconda restaurazione. Vi fa riferimento la circolare del segretario di Stato Ercole Consalvi del 6 settembre 1816 88, la quale dispone anche per le

87 Sulla costituzione Post diuturnas cfr. D. CECCHI, L’organizzazione amministrativa… cit., pp. 165-169.

88 AS MC, Archivio Delegazione apostolica (d’ora in poi Del. Ap.), b. 1298, fasc. 3/B.

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province di seconda recupera visite mensili alle carceri in occasione delle quali verranno fatte domande ai carcerati sul trattamento ricevuto. Su tali visite dovrà essere stesa una relazione da inviarsi alla Segreteria di Stato; il tutto per evitare disordini, già peraltro verificatisi durante il « cessato gover-no », a causa delle ristrettezze alimentari (il bisogno di riconfermare è forse la prova di un’attuazione mal compiuta; la disposizione teorica non coincide con la realtà dei fatti, e di questo sono testimonianza le relazioni delle visite mensili).

Di nuovo in vigore anche lo Stabilimento da osservarsi sino a nuovo or-dine circa gli alimenti de’ Carcerati emanato una prima volta dalla Segreteria di Stato nel 1805 89 e ristampato a Macerata nel 1815 90. Lo Stabilimento è diviso un dodici articoli. Vi vengono stabilite le somme da stanziare per il vitto giornaliero dei detenuti; la struttura, il criterio, sono gerarchici, fondati sull’incidenza delle pene e la situazione contingente di ciascuno: 10 baiocchi per i detenuti di « segreta » (carcere singola), 7, per quelli di « larga » (cella condivisa da più persone), 12 per gli ammalati e per i convalescenti, 15 per quelli in viaggio a seguito di trasferimento da un carcere all’altro (art. 1). I custodi delle carceri, pena l’accusa di furto, saranno responsabili dell’esatta somministrazione del vitto, sulla base delle tariffe stabilite all’articolo prece-dente (art. 2). Di nuovo torna l’istituzione delle visite mensili: sono obbligati a svolgerle i governatori e i giusdicenti che poi dovranno relazionare alla Sacra consulta nelle forme e con le « specificazioni » individuate nella costi-tuzione stessa, anche se nelle carceri venga trovato un solo detenuto (art. 4). Potranno essere disposte anche ispezioni a sorpresa durante il mese, per verificare se il vitto sia somministrato nell’esatta quantità. I carcerieri rappre-sentano ancora, nel contesto « umanitario » delle disposizioni, la categoria più sottoposta a controlli, almeno nelle intenzioni teoriche: ispezioni senza preav-viso, pene specifiche e ben stabilite per eventuali inadempienze. Tali pene sono però scarsamente applicate; i carcerati restano comunque la categoria più vessata: schedati, tenuti sotto stretta sorveglianza, incasellati e distinti, in un’ottica di controllo globale. Nelle note alla relazione dovrà specificarsi il numero dei detenuti, i giorni di detenzione, sulla base della distinzione fra carcerati di « larga » e di « segreta ». Per gli ammalati ed i convalescenti le note dovranno essere firmate anche dal medico o dal chirurgo. Si dovrà controllare inoltre che nel conto non siano compresi gli alimenti di coloro che ne abbiano a disposizione di propri. Eventuali elemosine saranno devolute a beneficio dei carcerati oltre ai prescritti, ordinari alimenti, ma nel caso vi siano erogazioni fisse per il vitto ed il vestiario, queste verranno detratte da quelle da versarsi da parte della Camera apostolica. I governatori potranno rivolgersi alla Sacra consulta per chiarimenti. Lo Stabilimento, valido anche per i luoghi baronali, dovrà rimanere affisso nelle cancellerie, affinché venga

89 AS RM, Archivio Buon Governo, Collezione Bandi, I, b. 147. 90 AS MC, Del. Ap., b. 1298, fasc. 3/B.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 205

a conoscenza di tutti coloro che lo debbono eseguire; infatti in caso di tra-sgressione si incorrerà in gravi pene comminate ad arbitrio da parte della Sacra consulta.

Consalvi inoltre, nel 1816, incarica il tesoriere generale di preparare un piano che « ponga fine agli abusi ed inconvenienti per la difformità dei metodi e regolamenti in uso nello Stato » ed il tesoriere predispone un proget-to che dapprima prevede la riunione di tutte le materie riguardanti le forniture alle carceri in tre articoli o contratti diversi, e poi in un solo contratto. La tensione verso l’unificazione normativa segnala l’importanza del settore: risultato del piano sono i Capitoli per l’appalto della fornitura generale delle carceri e case di detenzione in tutto lo Stato e regolamenti per la esecuzione dei medesimi, pubblicati nel 1817 91. Nell’archivio della Delegazione apostoli-ca di Macerata è conservato il contratto di appalto della fornitura delle carce-ri, datato 29 marzo 1816, valido per la delegazione medesima e stipulato con Ignazio Benedetti di Ancona 92.

In base ad esso, il fornitore è obbligato a somministrare ad ogni carcera-to infermo o convalescente quella quantità e qualità di vitto prescritto dai « professori fisici curanti », fermo restando che le spese non superino 11 baiocchi. La normativa è minuziosa, e ricorda da vicino la regolamentazione del vitto in ospedali, caserme, collegi e conventi. Il criterio è una perfetta mescolanza di ottimizzazione economica delle risorse e di soddisfazione dei bisogni « umani », in un quadro di « misericordia » che qualifica, pesa e stabilisce necessità e diritti secondo criteri generali e « razionali ». Sono defi- niti i bisogni del condannato, e il condannato è definito attraverso di essi: ai carcerati delle « segrete » debbono essere quotidianamente fornite 24 once di pane di tutta farina, 6 once di minestra di riso, di farro e di pasta alternata a brodo di carne, esclusa quella di pecora e di capra, in rapporto di 3 baiocchi per ciascun carcerato e mezza « foglietta » di vino. Sono previsti anche formaggio e salumi sempre di buona qualità. Analoga fornitura dovrà essere somministrata durante i viaggi dei condannati. Ogni detenuto sano dovrà disporre di un paglione, di una coperta o due, nel caso in cui lo richieda il medico. La paglia dovrà essere cambiata totalmente ogni sei mesi ed in via straordinaria ogni qualvolta lo dispongano le autorità competenti.

Ogni detenuto ammalato dovrà disporre di un letto, con un suo « capez-zale », lenzuola, coperte, il tutto di buona qualità e di giusta lunghezza e larghezza. Le lenzuola saranno di tela di canapa e verranno cambiate ogni quindici giorni e comunque tutte le volte che il medico lo riterrà opportuno. Il detenuto « miserabile ed infermo », vale a dire che non abbia vestiti propri, li riceverà dal fornitore che gli darà una « giacchetta con cappuccio », pantaloni di lana per l’inverno, di tela per l’estate, e scarpe, il tutto secondo quanto stabilito dal medico, ed anche la camicia, nel caso non l’abbia. Il detenuto

91 Cfr. D. CECCHI, L’amministrazione pontificia… cit., pp. 280-281. 92 AS MC, Del. Ap., b. 1312, fasc. 1/G.

Maria Grazia Pancaldi 206

sano non riceverà capi di vestiario a meno che non lo ordini il medico. Le camicie dei detenuti sani dovranno essere lavate a cura del fornitore ogni quindici giorni nei mesi di novembre, dicembre, gennaio e febbraio; ogni dieci giorni negli altri mesi. Quelle degli ammalati dovranno essere lavate secondo le disposizioni e le necessità. Il fornitore dovrà inoltre dare ad ogni detenuto un piatto fondo e bianco, un cucchiaio di legno, vasi per l’acqua e per i bisogni fisiologici. Dovrà inoltre provvedere e tutto ciò che dovesse servire al medico ed al chirurgo, cioè lumi, olio, candele di cera, fuoco, medicinali, vasi, fasce o filati.

Criterio di ottimizzazione economica, si diceva: esso è spinto alle estre-me conseguenze, soprattutto per eliminare il rischio di frodi. Il custode delle carceri ed il vice custode, dovranno vigilare a che i carcerati non rimandino indietro i capi di vestiario forniti loro dalle famiglie per farsene dare dal fornitore, o li vendano. Alla prima infrazione, dovranno rifondere i danni; alle successive, saranno sospesi ed infine destituiti.

L’appalto inizierà il 1° aprile 1816 e terminerà il 31 dicembre 1818. Come compenso per tutte le prestazioni previste, il fornitore riceverà 11 baiocchi e mezzo per ogni detenuto, pagabili di mese in mese, previa presen-tazione della nota dimostrativa del numero dei carcerati, controfirmata dal giudice e dal cancelliere, dal medico e dal chirurgo, per quel che riguarda gli ammalati. Il controllo totale della burocrazia sancisce nettamente la distinzio-ne tra diritti e doveri e il ruolo delle parti nel meccanismo. In caso di ina-dempienza, il contratto verrà rescisso ipso facto e l’appaltatore sarà obbligato a rifondere i danni.

Per quanto riguarda la distribuzione delle carceri nelle delegazioni, si può fare riferimento alla circolare n. 6438 del 30 settembre 1818 di Ercole Con-salvi 93. Vi si stabilisce che queste si debbano trovare in ogni capoluogo di provincia ed in ogni comune sede di governo di primo e di secondo ordine (art. 1). Nei capoluoghi, oltre alle carceri criminali, debbono essere istituite anche quelle di polizia che potranno avere sede negli stessi locali delle prime, ma distinte, in modo da evitare commistioni (art. 2): la separazione dell’or- gano repressivo da quello destinato all’attuazione della repressione non potrebbe essere più lampante. In questa divisione si intravede anche il princi-pio, portato a perfezione dalla giustizia borghese-liberale, della non commi-stione fra sospetto e passato in giudicato. Il tesoriere generale, di concerto con il direttore generale di polizia, stabilirà la capienza di ciascuna prigione sulla base del numero degli abitanti e della loro indole più o meno turbolenta (art. 3). Non appena terminati i processi, i detenuti dovranno essere immedia-tamente trasferiti nelle carceri di pertinenza (art. 4).

Ogni prigione dovrà avere una « segreta », una « larga », una cappella per la celebrazione delle messe ed un’infermeria; quest’ultima potrà, in caso di epidemia, essere suddivisa in aree separate allo scopo di prevenire i contagi

93 Ibid., fasc. 6/A.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 207

(art. 5). Poiché quasi in ogni comune sede di governo esiste già un carcere, i delegati dovranno fornire al tesoriere generale circostanziate notizie circa la loro capienza, il numero dei detenuti, servendosi della collaborazione degli ingegneri provinciali (art. 6). Tutti i locali sede di prigione, all’occorrenza, dovranno essere restaurati. Nel caso in cui proprietario fosse il Comune, questo non potrà pretendere l’affitto, ma dovrà accontentarsi di essere esone-rato dalle spese di manutenzione (art. 7). I lavori di ristrutturazione, una volta appaltati, saranno svolti sotto la vigilanza dei delegati (art. 8). Le manuten-zioni potranno essere anch’esse appaltate (art. 9). Il direttore generale di polizia fisserà il numero dei custodi in proporzione a quello dei detenuti, stabilito per ogni carcere, con i parametri fissati dall’art. 3 (art. 10).

In ogni comune dove è dislocata una truppa fissa, si deve costruire un carcere per l’alloggio notturno dei prigionieri trasferiti da un luogo all’altro dello Stato (art. 11). Dopo la pubblicazione del codice di procedura criminale si deciderà se nei luoghi di residenza dei vice governatori dovranno essere istituite prigioni correzionali (art. 12).

Nell’archivio della Delegazione apostolica di Macerata, che costituisce la fonte primaria del nostro studio 94, il tema delle carceri è contenuto nelle rubriche (sottovoci) 4, 6, 7, 8, 9 del titolo XI « Giustizia e tribunali » del titolario in vigore dal 1815 al 1856 e nelle rubriche 7 e 9 del titolo IX del titolario adottato negli anni 1857-1860.

Il titolo XI relativo alla documentazione 1815-1856 si compone di dieci rubriche: 1) provvidenze generali e locali; 2) tasse giudiziarie; 3) giudici ordinari e cancellieri; 4) carceri e carcerati-inventari; 5) archivi; 6) delitti ed esecuzioni di pena; 7) sussistenze carcerarie e traduzioni; 8) carceri e restauri; 9) traduzione dei condannati; 10) spese giudiziarie.

Tutta la documentazione di riferimento è contenuta in 68 buste (bb. 1255-1324) dell’attuale inventario: da qui in poi, il nostro lavoro sarà un’elen- cazione di esempi desunti da questa fonte, che vanno a supportare e integrare le riflessioni condotte fino a questo punto.

Abbiamo nello specifico esaminato, schedandole analiticamente, le buste 1298, 1305, 1306, 1307, 1312, 1313 e 1320. Ogni busta è risultata divisa in fascicoli la maggior parte dei quali rivestito di coperta con riportate sul frontespizio l’indicazione del titolo, della rubrica e, virgolettata, la titolazione. I documenti all’interno presentano anch’essi, nella maggior parte dei casi, l’indicazione del titolo e della rubrica di appartenenza. Ad ogni fascicolo è stato attribuito un numero arabo di corda progressivo. Nel caso di ulteriore suddivisione in sotto fascicoli, sono state utilizzate le lettere dell’alfabeto.

La quarta rubrica testimonia come fin dal 1815 riprenda il sistema delle visite mensili. Infatti è del 1° agosto di quell’anno una nota del commissario

94 L’archivio della Delegazione apostolica di Macerata ha una consistenza di 1574 buste, 272 registri di protocollo, rubriche, per un totale di 1846 unità archivistiche.

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di polizia di Macerata al delegato apostolico Francesco Tiberi 95. Dagli allega-ti risulta che nelle carceri della città sono ospitati 181 detenuti di cui 76 si trovano nelle carceri criminali, 86 in quelle correzionali. Otto sono prigionieri politici e tre sono di competenza del giusdicente locale. Viene inoltre eviden-ziato che tre sono stati arrestati nel precedente governo per detenzione di armi proibite. Tutti hanno inoltrato una supplica per essere liberati, e tra essi c’è chi ha finito di scontare la pena già da un anno. Segnalati due custodi dei quali uno non rispetta i superiori e più volte è stato sospettato di connivenza con i carcerati, l’altro viene definito « coraggioso », ma « trascurato » nell’os- servanza dei suoi doveri: come si nota, sia detenuti che secondini sono sotto-posti al medesimo controllo. Nella pratica compare anche un « elenco degli oggetti da somministrarsi ai detenuti » tra cui vengono indicate scarpe e pantaloni nonché un verbale di visita all’infermeria compiuta dal medico chirurgo, da un membro della Commissione governativa e dal commissario di polizia, avvenuta anch’essa il 1° agosto. L’infermeria, distinta per gli uomini e per le donne, risulta ulteriormente divisa in due reparti: uno di medicina ed uno di chirurgia. Nel primo, maschile, sono ricoverati sei ammalati, nel secondo, nessuno. Nel reparto di medicina dell’infermeria femminile sono ricoverate tre detenute, in quello di chirurgia, altre tre.

Una successiva visita viene svolta il 31 gennaio 1816 96. Manca nel fa-scicolo il verbale, ma nella nota di trasmissione del 23 febbraio successivo, è specificato che alcuni carcerati hanno chiesto capi di vestiario. Al 3 febbraio risale l’ispezione alle carceri di Camerino 97. Vi si trovano 11 detenuti colpe-voli di furto, percosse e vagabondaggio. Tre sono in attesa di giudizio e chiedono una rapida conclusione del processo. Tutti comunque dichiarano di essere soddisfatti del trattamento ricevuto. A marzo, a seguito di una nuova ispezione risultano ospitati cinque detenuti 98. Anche questi, alla domanda sul trattamento ricevuto, rispondono positivamente. Il quarto addirittura aggiunge: « con carità ». I reati sono quelli che generalmente sono più diffusi e tipici della società del tempo: furto, furto semplice, vagabondaggio, truffa, ma anche omicidio premeditato. A San Severino invece, la visita avvenuta il 6 aprile 1816, evidenzia che le carceri, peraltro tenute in ottimo stato, sono vuote 99. Le carceri di Loreto invece vengono visitate in occasione del Nata-le 100; dal verbale risulta che sono necessarie quindici coperte ed imbottiture ai paglioni con paglia nuova, dato che quella trovata è consunta.

Alla quarta rubrica appartiene anche la minuta della circolare di France-sco Tiberi, come si è detto, delegato apostolico che il 19 dicembre 1815

95 AS MC, Del. Ap., b. 1298, fasc. 3/O. 96 Ibid., b. 1298, fasc. 2/G. 97 Ibid., b. 1298, fasc. 2/H. 98 Ibid., b. 1298, fasc. 2/D. 99 Ibid., b. 1298, fasc. 2/C. 100 Ibid., b. 1298, fasc. 1/I.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 209

ripristina, in occasione del Natale, « l’antico lodevole costume » di scarcerare i detenuti per reati civili ed evitare, per i medesimi reati, nuove carcerazio-ni 101. Sotto la medesima rubrica compaiono anche numerose suppliche di scarcerazione e di grazia, inviate al delegato perché le trasmetta alla Segrete-ria di Stato. Così troviamo quella di Maddalena di Antonio Viscone di Cingo-li il cui marito è stato condannato a sette anni di lavori forzati per furto di panni 102, oppure quella di Giovanni Battista Prenda di Montecosaro, il cui figlio è stato condannato ad un anno di lavori forzati per detenzione di arma da fuoco 103. Vi figurano però anche procedimenti di scarcerazione, come quello di Giovanni Fabij di Osimo, sospettato di detenzione e smercio di polveri di zolfo 104, oppure il carteggio fra la Segreteria di Stato ed il presi-dente del Tribunale criminale di Macerata riguardo alla possibilità di graziare un tale Pietro Antonio Fanelli di Macerata, da tredici anni detenuto nelle carceri di Civitavecchia per omicidio premeditato, del quale però non si trova il fascicolo processuale 105.

Ottenere la grazia non è comunque molto semplice, come mostra una no-ta della Segreteria di Stato del 13 gennaio 1816, con la quale viene rigettata l’istanza, presentata da Luigi Levi di Tolentino, condannato ai lavori forzati, innanzitutto perché la leggerezza con cui si tengono le armi, impone « rigore » e soprattutto perché, il colpevole, durante una rissa, ha fatto il gesto di pren-dere l’arma ed infine perché in passato è stato più volte condannato per furto 106.

Nella quarta rubrica viene trattato anche il tema del vestiario: al febbraio 1815 appartiene la corrispondenza fra la Segreteria di Stato, il delegato apostolico ed il presidente del tribunale di Macerata. Secondo la Segreteria di Stato, il vestiario non deve essere fornito a coloro che possano averne dalla famiglia e comunque non può essere utilizzato per altri scopi o venduto 107.

Interessante è poi la corrispondenza relativa al periodo 108 31 marzo - 24 aprile 1816 fra il Comune di Cingoli ed il delegato in merito alle carceri di Apiro che sono state utilizzate come deposito di grano e granturco da distri-buire ai poveri. Di conseguenza le persone arrestate sono state affidate alla custodia del caporale della guardia urbana. Il 2 maggio il comune di Apiro replicherà, motivando la propria scelta con il fatto che le granaglie, a causa della grave carestia, sarebbero state « custodite » meglio nelle carceri 109.

101 Ibid., b. 1298, fasc. 3/A. 102 Ibid., b. 1298, fasc. 3/S. 103 Ibid., b. 1298, fasc. 3/T. 104 Ibid., b. 1298, fasc. 3/Z5. 105 Ibid., b. 1298, fasc. 4/L. 106 Ibid., b. 1298, fasc. 4/Z5. 107 Ibid., b. 1298, fasc. 2/A. 108 Ibid., b. 1298, fasc. 2/B. 109 Ibid., b. 1298, fasc. 4/C.

Maria Grazia Pancaldi 210

Sotto la rubrica quattro è compreso infine un registro a stampa 110 relati-vo allo Stato generale di tutte le cause criminali presso il tribunale di appello di Macerata, svolte dal settembre 1817 al settembre 1818. Le condanne comminate sono soprattutto la prigione, ma anche i lavori forzati, le « opere pubbliche », i colpi di bastone, la berlina ed in alcuni casi (ad esempio l’omicidio) la morte.

« Delitti ed esecuzioni di pena » si intitola la sesta rubrica, lacunosa per quanto riguarda gli anni 1819-1821. La documentazione è costituita soprattut-to da notifiche di arresti, traduzioni nelle carceri, contabilità. Così per il 1815, troviamo la pratica relativa alla ricerca di un tale Giuseppe Andreoli di Brescia che nella notte del 10 agosto dello stesso anno ha compiuto un non meglio precisato « grave reato » nei confronti di un capitano del terzo reggi-mento di cavalleria. Allegata alla notifica, la descrizione fisica del ricerca-to 111. Interessante una disposizione di Consalvi del 1° giugno 1822 112 a cui fanno riscontro le accuse di ricevuta delle varie comunità. A seguito di un omicidio, viene proibita l’usanza, diffusa nella Delegazione di Macerata, per la quale i contadini che avevano terminato la « tritatura » del grano, portavano per scherno una scopa nell’aia dei vicini che invece non avevano ancora finito i lavori, tacciandoli così implicitamente di lentezza ed infingardaggine. Su disposizione della Segreteria di Stato, il 7 giugno, il delegato Cappelletti stabilisce che i coloni che continueranno con quest’abitudine, saranno con-dannati ai lavori forzati.

Nella settima rubrica viene trattato il tema delle « sussistenze carcera-rie ». Vi si trovano le note con cui nel 1815 le comunità della Delegazione trasmettono gli elenchi delle spese sostenute per i viveri degli ammalati, sulla base del citato regolamento carcerario del 1805. Significativo il fatto che a Macerata i viveri siano stati dati anche ai mentecatti ed alle prostitute che sono compresi nel medesimo elenco dei detenuti, al pari di questi ultimi, si potrebbe dire, esclusi dal corpo sociale, e pertanto sottoposti ugualmente alla « misericordia ». Numerose anche le tabelle dei beni presi in carico, tra cui compaiono scarpe, camicie, calzoni, cappotti, cavalletti, tavole e paglioni per dormire, materassi, « capezzali », lenzuola, coperte 113. Per l’anno 1816, oltre alle spese sostenute per il mantenimento dei carcerati, sono documentati gli stati nominativi dei detenuti con le motivazioni dell’arresto e la destinazione. Così, dalla tabella inviata dal Comune di Cingoli, relativa al bimestre marzo-aprile, risultano in carcere, a marzo, 12 persone, ad aprile, 25. Rimaste in prigione per un periodo che va dai quattro ai trenta giorni, sono state poi trasferite alle carceri di San Severino o liberate. Non è indicato il motivo

110 Ibid., b. 1298, fasc. 6/A. 111 Ibid., b. 1305, fasc. 5. 112 Ibid., b. 1305, fasc. 1. 113 Ibid., b. 1306, fasc. 1.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 211

dell’arresto, come avviene per altri comuni, ad esempio Matelica, dove il reato più comune è il furto.

Abbastanza esemplificativa è la situazione di Filottrano. Qui, relativa-mente al bimestre novembre-dicembre, sono indicate le spese per paglia, paglioni, vestiario, vitto, medicinali, tavolati, coperte, pulizia dei locali, ripa- razioni, trasferimenti ad altre carceri. I detenuti sono distinti a seconda che abbiano compiuto reati criminali o politici. Così quelli ascrivibili alla prima categoria sono 9, gli appartenenti alla seconda sono 7. Gli uni sono stati arrestati per furto, percosse, insubordinazione alla forza pubblica, gli altri per spari notturni, ribellione nei confronti dei genitori, prestato alloggio a persone sospette, vagabondaggio, aiuto offerto a persone genericamente definite « mal- viventi »: troppo poco forse per stabilire una statistica, ma in questi capi d’im- putazione si riflettono comunque le tendenze della società che fa da sfondo. Ai delitti contro la proprietà (furto) si mescolano quelli di insubordinazione all’autorità, familiare (genitori) o statale (forza pubblica), il tutto congiunto ad una visione tipicamente borghese del malvivente come forza improduttiva ed eversiva; i vagabondi si mescolano ai facinorosi, i conniventi ai picchiatori. Nell’ottava rubrica intitolata genericamente « carceri e restauri » troviamo la richiesta del 1815 dello speziale di San Paolo di Macerata, Giuseppe Omari, di un rimborso per le medicine usate dai carcerati della città 114, oppure la visita alle carceri di Roccacontrada (Arcevia), dove sono rinchiuse nel 1815 tre persone (due fratelli e la moglie di uno di questi) di Senigallia, accusate di « più delitti », che hanno vestiti laceri e sono privi di camicie 115. Sempre all’ottava rubrica si riferiscono le visite alle carceri di Civitanova, Fabriano, Cingoli e Loreto, svolte nel 1816, per verificare la necessità o meno di restauri 116. Si rileva che ristrutturazioni sono necessarie soprattutto a Civitanova 117. A San Severino i detenuti protestano, perché sono costretti a dormire sul pavimento, in quanto privi di tavolati 118. Il fatto, come si evince dalla nota del governatore della città al delegato apostolico, è tanto più grave, in quanto è stato notato anche dal medico. A Penna San Giovanni i reclami vengono dal governatore stesso. Questi, il 5 novembre 1816, fa sapere che le carceri più che tali, possono definirsi « sepolture », in quanto la « larga » è alta meno di un uomo, priva di aria, dato che è situata sotto il livello della strada, con inferriate che danno su un vicolo che non riceve mai la luce del sole, quindi anche umida; da qui si passa alla « segreta » che viene definita un « orrore », considerata inadatta perfino agli animali. Conclude la sua relazione affermando che, poiché è consapevole che il governo « in ogni tempo è stato

114 Ibid., b. 1312, fasc. 10/A. 115 Ibid., b. 1312, fasc. 10/B. 116 Ibid., b. 1312, fasc. 10/C. 117 Ibid., b. 1312, fasc. 8/C. 118 Ibid., b. 1312, fasc. 8/B.

Maria Grazia Pancaldi 212

premuroso che li detenuti siano alla meglio trattati e tenuti », ha ritenuto far presente questo stato di cose 119.

Le carceri di Fabriano hanno le finestre prive di vetri, sia per i carcerati che per il custode. La « segreta » non ha tavolati e nei giorni di festa non viene celebrata la Messa 120. Anche le carceri di Treia hanno bisogno di restauri, anzi questi, iniziati durante il Regno italico, non erano ancora con-clusi nel 1816. Da una visita svolta nel 1814 era emerso che nella « segreta » mancavano le più elementari strutture igieniche 121. Nelle prigioni di San Severino non si può celebrare la Messa, pratica già abbandonata durante il periodo napoleonico. Con una nota del 7 marzo 1816, l’amministrazione comunale notifica la cosa al delegato e nello stesso tempo chiede lo stanzia-mento dei fondi per la ristrutturazione della cappella 122. Peggiori sono le condizioni delle carceri di Montemilone (Pollenza). Da una visita svolta nel 1817, è risultato che i detenuti dormono per terra, con pochissima paglia, senza tavolati o paglioni. La sporcizia ha raggiunto livelli insopportabili; tantissimi gli insetti e i topi annidati fra le fessure delle pareti, con grave pericolo di epidemie di tifo. Se si vuole rendere « non men dura, almeno non esposta al pericolo del contagio » la vita dei carcerati, è necessario rifornirli di ciò di cui hanno bisogno e restaurare i locali 123.

Continua a non migliorare la situazione delle carceri di San Severino 124. È infatti necessario procedere allo spurgo delle fognature. Il delegato è tutta-via del parere che si precisi la somma necessaria per un lavoro definitivo, anziché continuare con gli spurghi che sono costosi e non durano nel tempo. Da notare come i condannati, nonostante il fetore, non abbiano protestato.

Le carceri di Tolentino invece sono risultate sicure e salubri. Mancano però i tavolati nella « segreta » 125.

Ristrutturazioni vengono inoltre richieste nel 1818 per la casa del balivo comunale di Montefano 126 che viene utilizzata anche come « camera di deposito » degli arrestati. Le carceri di Civitanova richiedono un ampliamen-to 127, quelle di Cingoli vengono ristrutturate 128, come pure quelle di Sant’El- pidio 129. Riparazioni sono necessarie nella casa del custode delle carceri di

119 Ibid., b. 1312, fasc. 8/D. 120 Ibid., b. 1312, fasc. 8/H. 121 Ibid., b. 1312, fasc. 8/I. 122 Ibid., b. 1312, fasc. 8/L. 123 Ibid., b. 1312, fasc. 9/A. 124 Ibid., b. 1312, fasc. 9/B. 125 Ibid., b. 1312, fasc. 9/C. 126 Ibid., b. 1312, fasc. 6/C. 127 Ibid., b. 1312, fasc. 6/D. 128 Ibid., b. 1312, fasc. 6/F. 129 Ibid., b. 1312, fasc. 6/G.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 213

Montolmo (Corridonia) 130 e di quelle del secondino di Cingoli 131. Restauri sono pure necessari nelle carceri di Recanati 132, mentre perizie vengono svolte da parte dell’ingegnere capo per lavori di restauro da effettuare nelle carceri criminali di Macerata 133, svolti in effetti nel 1820 134.

Numerosi sono poi i verbali di collaudo per le carceri di Macerata, Mon-tesanto (Potenza Picena) e Loreto, riuniti in un solo fascicolo per l’anno 1821 135.

Il Comune di Ripe, nel 1822, vuole ristrutturare la rocca per utilizzarla come carcere 136.

Nel 1823 il governo di Recanati informa il delegato della necessità di co-struire nel proprio porto una camera di sicurezza, dove trattenere provvisoria-mente gli arrestati prima del loro trasferimento nelle carceri della città. Infatti, nel caso in cui l’arresto avvenga di notte, non essendovi locali idonei, gli arrestati debbono essere guardati a vista, distogliendo i responsabili da altri compiti istituzionali altrettanto importanti 137.

In seguito alle consuete ispezioni, vengono ordinate perizie sulle condi-zioni strutturali delle prigioni di Fabriano, Sant’Elpidio, Loreto, Tolentino, Civitanova e Sarnano. Il 1° ottobre la Sacra consulta ordina al delegato di ottemperare all’obbligo dei restauri. Successivamente, il 5 novembre, si di- chiara soddisfatta delle iniziative intraprese e dei chiarimenti offerti, chieden-do tuttavia un rapido adempimento dei lavori nelle carceri di Fabriano, Sant’Elpidio e Civitanova 138.

A Tolentino si rende necessario trasferire l’alloggio del custode, come at-testa la corrispondenza fra il governatore della città ed il delegato 139. Nella nota del 2 febbraio 1823, il governatore fa presente come dopo la restaurazio-ne le carceri siano state spostate in alcune stanze del palazzo comunale, con attigua la casa del custode. Tuttavia, quella che avrebbe dovuto essere una sistemazione provvisoria, tanto più che l’accesso alle une e all’altra è comune, cosa peraltro « indecente ed anche inconveniente », con il tempo è diventata definitiva. La situazione danneggia anche la magistratura comunale, costretta a convivere con i detenuti. I locali inoltre sono insalubri, in quanto piccoli e privi di aria. Già nel 1820 è stato avanzato un reclamo alla Segreteria di Stato

130 Ibid., b. 1312, fasc. 6/H. 131 Ibid., b. 1312, fasc. 6/I. 132 Ibid., b. 1312, fasc. 6/L. 133 Ibid., b. 1312, fasc. 6/N. 134 Ibid., b. 1312, fasc. 4. 135 Ibid., b. 1312, fasc. 2. 136 Ibid., b. 1312, fasc. 3. 137 Ibid., b. 1312, fasc. 1/A. 138 Ibid., b. 1312, fasc. 1/B. 139 Ibid., b. 1312, fasc. 1/C.

Maria Grazia Pancaldi 214

che, riconoscendolo legittimo, ha ordinato una perizia di spesa da cui è risultata la possibilità di utilizzare alcune stanze dell’Oratorio della Carità. Questa soluzione, tuttavia, è stata accantonata perché troppo onerosa per l’erario. La necessità di far traslocare il custode rimane comunque impellente. Solo così il Comune riavrebbe i locali di cui ha bisogno e verrebbe eliminata l’« indecenza » dell’accesso comune del custode e dei detenuti.

Ancora nel 1823 il governatore di Civitanova sollecita l’autorizzazione a costruire due nuove « segrete », dato che i locali attualmente utilizzati allo scopo sono due « larghe » e quindi permettono ai detenuti di parlare con tutti a « loro bell’agio » con « grave danno della giustizia e de’ processi ». Neces-sarie anche un’infermeria ed una cappella 140.

Nel 1823 vengono inoltre appaltati i lavori per le carceri femminili di Loreto 141. Terminano invece nello stesso anno i restauri eseguiti in quelle distrettuali di Fabriano. Il collaudo è svolto dall’ingegnere capo dei lavori di acque, strade e fabbriche camerali 142.

Diventa intanto impellente la ristrutturazione delle carceri di Recanati. Al 1824 si riferisce la corrispondenza svolta a tale riguardo fra il tesoriere generale, il delegato ed il Comune, per l’appalto dei lavori 143. Le carceri di questa città sono prive di infermeria, cappella e tavolati. Temporaneamente per supplire alla mancanza di cappella, il delegato autorizza la costruzione di un altare portatile. Particolarmente degna di essere menzionata è la nota del gonfaloniere del 26 gennaio. Le carceri, protesta, sono « assolutamente insalu-bri, maleodoranti in maniera insopportabile ». Ammette di non essere a conoscenza della situazione di altre prigioni e quindi di non poter avanzare paragoni, ma ritiene comunque che non sia possibile che altrove esseri umani vengano trattati così male e « che il luogo di custodia costituisca una pena la quale occasionando il deperimento della salute può estendersi a tutta la vita. Inoltre è ributtante che una persona di condizione onesta, o un debitore infelice debbano cacciarsi in quelle tane pestifere e ignomignose e confonder-si colla ciurma dei malfattori ». Crede che il « disordine » esiga dei ripari, ma pensa anche che se le prigioni sono necessarie, debbano comunque adattarsi alla « detenzione di uomini » ed essere « un po’ migliori dei covili delle belve ».

Per le carceri di Civitanova 144 si rende necessario aggiungere alle attuali « due buone segrete », un’infermeria ed una cappella.

140 Ibid., b. 1312, fasc. 1/D. 141 Ibid., b. 1312, fasc. 1/E. 142 Ibid., b. 1312, fasc. 1/F. 143 Ibid., b. 1313, fasc. 1. Il fascicolo, contrariamente a quanto si legge nell’attuale inventa-

rio, non si riferisce al 1821, ma al 1824. Reca la segnatura: tit. XI, rub. 8, ma la coperta è priva di titolazione. Si divide in cinque sottofascicoli.

144 Ibid., b. 1313, fasc. 1/B.

Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 215

Continuano i lavori di restauro delle carceri di Sarnano 145 e di Sant’Elpi- dio 146, mentre non ancora risolto, nel 1824, è il problema dell’alloggio del custode delle carceri di Tolentino che si trova nei locali di proprietà del Comune 147.

Una parte della documentazione ricadente sotto l’ottava rubrica si riferi-sce alle spese sostenute per i detenuti ammalati 148. Troviamo così la corri-spondenza fra Segreteria di Stato e delegato apostolico in merito al pagamen-to delle prestazioni svolte dal medico di San Severino a favore dei detenuti ammalati nel 1816 e nel primo semestre del 1817. All’interno del fascicolo è conservato un prospetto delle malattie curate nelle carceri durante il periodo in questione. Sono indicati nome e cognome dell’ammalato, tipo di malattia, prognosi, esito, giorni di malattia, numero delle visite compiute. Risultano esserci stati 56 ammalati di cui tre deceduti, gli altri guariti o convalescenti. Le malattie più frequenti sono febbre catarrale, nervosa o petecchiale 149.

Spese per i medicinali relative al 1817 sono documentate anche per il carcere di Sassoferrato 150, di Fabriano 151, di San Ginesio 152, San Severino 153 e Arcevia 154.

Compare poi, relativamente al 1818, la corrispondenza fra la Segreteria di Stato ed il delegato circa l’onorario da pagare al medico di Loreto ed al cappellano per le cure e l’assistenza offerte agli ammalati 155. Figura anche il carteggio circa l’emissione di mandati di pagamento a favore del medico di Cingoli che si è prodigato per la disinfezione delle carceri della città 156 o di quello di Fabriano, coinvolto in occasione di un’epidemia 157.

È documentato anche lo scoppio di un’epidemia nelle carceri di Macera-ta 158. In una nota del 25 luglio 1818, il delegato fa sapere a Consalvi che la Congregazione governativa, in qualità di Commissione centrale di sanità 159,

145 Ibid., b. 1313, fasc. 1/C. 146 Ibid., b. 1313, fasc. 1/D. 147 Ibid., b. 1313, fasc. 1/E. 148 Ibid., b. 1312, fasc. 7, a. 1817: è intitolato « Sanità, ospedali e vestiario », ed è suddivi-

so in sei sottofascicoli. 149 Ibid., b. 1312, fasc. 7/A. 150 Ibid., b. 1312, fasc. 7/B. 151 Ibid., b. 1312, fasc. 7/C. 152 Ibid., b. 1312, fasc. 7/D. 153 Ibid., b. 1312, fasc. 7/E. 154 Ibid., b. 1312, fasc. 7/F. 155 Ibid., b. 1312, fasc. 5/A. 156 Ibid., b. 1312, fasc. 5/C. 157 Ibid., b. 1312, fasc. 5/D. 158 Ibid., b. 1312, fasc. 5/B. 159 A proposito della Congregazione governativa, cfr. D. CECCHI, L’amministrazione ponti-

ficia … cit., pp. 97-98.

Maria Grazia Pancaldi 216

ha adottato misure che consistono nel dare lo stesso vitto per i detenuti di « larga » e di « segreta », nel trasferire i sani nelle carceri di S. Chiara, con preventivo cambio di vestiario, nel disinfettare tutti coloro che debbano andare nell’infermeria, nel fare « fumigagioni acide ». Consalvi, il 5 agosto, approva i provvedimenti adottati ed insiste sulla necessità di separare i dete-nuti infetti da quelli sani, di controllare i sospetti di malattia e disinfestare le carceri.

Alla nona rubrica « Traduzione dei condannati » 160 si riferisce la corri-spondenza dei vari Comuni con il delegato per il rimborso delle spese soste-nute durante il trasporto dei detenuti svoltosi con la collaborazione delle guardie urbane e provinciali, messe a supporto dei carabinieri. Per l’anno 1818, da ricordare la minuta, senza data e priva di riscontro, di una nota del delegato al direttore generale di polizia in merito all’uso di vetture per il trasferimento di detenuti che per motivi di salute e sulla base di certificati medici, non possono camminare, oppure in caso di trasferimenti improvvisi da un carcere all’altro 161.

Nelle « ben ordinate » città delle Marche, l’istituzione del carcere come forma prevalente o unica di punizione di reati è accolta senza proteste e senza riserve da parte dei rappresentanti delle comunità locali. La misura sembra corrispondere appieno, oltre che alle esigenze già maturate all’interno delle coscienze e della società, anche ad una serie di istanze particolari che vedono nel mantenimento dell’ordine e della disciplina il fondamento del vivere civile. Il carcere, come l’ospedale, la caserma, il tribunale, l’ospizio di mendi-cità, le scuole, entra a far parte integrante del sistema di vita cittadino e dell’edilizia urbana, come elemento stabile e necessario per la tutela dell’or- dine sociale.

MARIA GRAZIA PANCALDI

Soprintendenza archivistica per le Marche

160 È contenuta nella b. 1320, ma riguarda per il periodo esaminato, soltanto gli anni 1815-

1818, per un totale di quattro fascicoli. 161 AS MC, Del. Ap., b. 1312, fasc. 4.

L’INDIVIDUO E LE SUE VESTIGIA. GLI ARCHIVI DELLE PERSONALITÀ

NELL’ESPERIENZA DELL’ARCHIVIO CONTEMPORANEO « A. BONSANTI » DEL GABINETTO VIEUSSEUX

... e vide l’epigrafe delle pergamene perfettamente ordinata nel tempo e

nello spazio degli uomini ... (G. García Márquez, Cent’anni di solitudine)

Di fronte ad un archivio di persona, ma più ancora di fronte all’archivio

di una persona illustre, si è colti spesso da un senso di sconcerto. Pacchi di carte sciolte senza alcun titolo racchiudono nessi interni imperscrutabili. Contenitori apparentemente ordinati rivelano testimonianze del tutto difformi da quanto dichiarato. In una busta di carta « Bath », fotografie, poesie e fiori secchi. Dentro un quaderno nero — come segnalibro? — la costola del Don Chisciotte nell’edizione economica Sonzogno. In una scatola di sigari, due biglietti del treno e un pieghevole di Berlino. Lettere, documenti, stampati, giacciono sparsi o avvinghiati in coacervi di cui non riusciamo a cogliere il nesso.

Viene da pensare alle pergamene dello zingaro Melquíades di cui scrive Márquez. La cronologia all’apparenza non combacia, eventi ed episodi quoti-diani di una vita umana, non di rado di più generazioni, coesistono nel tempo e nello spazio. In pochi metri: nel vano di una cassapanca, racchiusi in scatole di cartone, sui piani di uno scaffale. In attesa di una chiave di decifrazione nei luoghi e nei modi convenzionali degli uomini.

Da oltre vent’anni ormai si parla correntemente, in ambito archivistico, di « archivi delle personalità » 1. La definizione ha prima integrato, quindi in molti casi sostituito, quella di archivi di persona, categoria più antica, più generica e dalla diversa accezione. Considerati nella maggior parte dei casi come elemento di un più ampio e significativo complesso (archivi di famiglia, di istituzione pubblica o privata, ecc.), questi ultimi; degni di poter godere di

1 Il termine, da tempo usato dagli addetti ai lavori, è stato recentemente rilanciato, con for-tuna e diffusione anche presso un pubblico più ampio di studiosi, dall’utilizzo in titolo nella Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900, a cura di E. CAPANNELLI e E. INSABATO, voll. 2, Firenze, Olschki, 1996; 2000.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Caterina Del Vivo 218

una loro autonomia, gli archivi delle personalità. Non si pensi tuttavia a cambiamenti determinati dall’evoluzione di teorie che ridefiniscano astratta-mente le suddivisioni dell’universo archivistico e ne prescrivano le caratteri-stiche strutturali. Si tratterebbe di una contraddizione in termini, se è vero, come è vero, che la funzione dell’archivista è essenzialmente quella di un mediatore culturale, « che getta un ponte fra culture separate nel tempo e nello spazio, che segue e annoda i fili che attorno all’archivio si dipanano e si intrecciano » 2. Funzione « ermeneutica », dunque, che non si limita a trasmet-tere l’informazione secondo codici razionali, ma viceversa trascodifica in parametri di lettura idonei al proprio tempo i messaggi di un « altrove » temporale. Prossimo o distante, poco importa: si tratta comunque di una realtà storica e sociale che si propone in certe modalità, perché come tale la pone il suo tempo; e che, come tale, l’archivista dovrà riconoscere, leggere, trasmettere.

Verrà da sé, allora, considerare che i cosiddetti archivi delle personalità acquistano una presenza significativa, ed un proprio status, nel momento in cui si allenta il vincolo gentilizio e si disgrega la famiglia patriarcale: alla fine del secolo XIX, e per tutto il XX. Altri elementi contribuiscono alla loro definizione: le cosiddette famiglie mononucleari e monogenerazionali; la con- sapevolezza che chiunque, quale artifex del proprio destino, possa legittima-mente aspirare a lasciar traccia e memoria di un significativo percorso biogra-fico e culturale, pur non facendo parte di illustri prosapie, non disperdendo i « documenti » che lo hanno accompagnato. E ancora, con il rafforzarsi del- l’idea di autonomia dell’individuo anche nell’ambito dello svolgimento della propria attività, si consolida la tendenza a conservare quelle carte del sé come nucleo autonomo e come testimonianza di un percorso « domestico », anziché come parte di un contesto pubblico o ufficiale.

Ormai lontani i tempi in cui i cosiddetti archivi privati di persone illustri venivano ripartiti fra biblioteche (nelle quali si collocavano i testi manoscritti delle opere e spesso la corrispondenza, per lo più ricondotta ai « carteggi vari » delle sale Manoscritti), e archivi pubblici, o altri tipi di istituti (ai quali erano destinati i documenti amministrativi, patrimoniali o politici), gli archivi delle personalità si pongono oggi, nel mondo della conservazione della memo-ria, come tipologia archivistica peculiare del nostro tempo. Sarà opportuno valutare in prospettiva questo loro definirsi come tali, soffermandoci anche su altre caratteristiche intrinseche che li contraddistinguono.

È ben noto a tutti coloro che praticano la professione archivistica che due sono i caratteri fondamentali degli strumenti che fungono da tramite fra la documentazione e il fruitore, che lo si voglia intendere come ricercatore o studioso, in termini classici, o addirittura come client da cui parta l’interroga-

2 S. VITALI, Di angeli, di paperi e di conigli, ovvero dello strano mestiere dell’archivista, in Professione: archivista. Atti del Convegno di studi di Trento-Bolzano, 24-26 novembre 1999, in « Archivi per la storia », XIV (2001), 1-2, p. 181.

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zione, se vogliamo muoverci negli spazi tecnologici contemporanei. Due: la descrizione del documento e la definizione del suo contesto. Principio ben noto, alla base dell’archivistica. Stefano Vitali lo ripropone in un recente intervento in termini particolarmente chiari:

Descrivere gli archivi vuol dire, innanzitutto, fornire informazioni sui soggetti

produttori e sul più generale contesto storico di produzione degli archivi. Vuol dire allo stesso tempo collocare le descrizioni delle singole entità archivistiche all’interno del contesto archivistico di appartenenza, rendere, cioè, chiare ed esplicite le relazioni che legano le singole entità (le parti) fra loro e al complesso di appartenenza (il tutto) nonché al contesto di produzione della documentazione 3.

Dato per fermo il principio, la libertà di movimento dell’archivista è

suggerita e definita dagli stessi due elementi che la delimitano: il documento 4 oggetto della descrizione, e il contesto in cui si colloca. In altre parole, nel rispetto di questi due punti, lo spettro d’azione dell’archivista è assai ampio, pressoché totale. Si pensi invece ad eventuali esempi di riordino inappropria-to, o di inventariazione incongrua, di archivi o di fondi archivistici: con ogni probabilità si potrà verificare che non sono stati rispettati i due principi di cui sopra.

Non si vede perché debbano costituire un’eccezione alla norma gli archi-vi prodotti da personalità del mondo della cultura, della letteratura, dell’arte, dello spettacolo: che sono comunque archivi, sebbene dotati di una loro peculiarità. È pur vero infatti che questi insiemi di carte, documentazioni di un ruolo e di un operato, non sono frutto di una qualche obbligatorietà di conservazione, come la maggior parte degli archivi classici, ma di un’azione volitiva del loro produttore 5, che può definirne entità e contenuti. Tuttavia l’azione volitiva riguarda la scelta di conservare o meno carte e documenti prodotti nel corso di una vita e di una attività, non la scelta acquisitiva delle medesime: siamo quindi su tutt’altro piano rispetto a raccolte documentarie di tipo collezionistico, alle quali tuttavia si vogliono spesso assimilare gli archivi delle personalità.

Questi fondi comprendono molto frequentemente materiali comuni (corri-spondenza, scritti di vario genere, agende e taccuini, documenti personali, fotografie, ecc.), ma si presentano in modo diverso, rivelandosi in certo modo figli del carattere e dello stile di vita — della personalità — che rappresenta-

3 S. VITALI, Modelli di sistemi informativi archivistici nell’ottica dell’integrazione con altri universi culturali, in L’informatizzazione degli archivi storici e l’integrazione con altre banche dati culturali, [Trento], Provincia autonoma - Servizio beni librari e archivistici, 2001, pp. 21-22.

4 Uso il termine naturalmente in senso lato. 5 Così Emilio Capannelli parlando recentemente dell’Archivio Codignola, nell’ambito del

Seminario internazionale di studi: « Archivi storico-educativi e loro accessibilità informatica » tenutosi il 31 gennaio 2002, presso la Regione Toscana (intervento in corso di stampa). Cfr. la cronaca in questa « Rassegna », pp. 397-403.

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no e di cui tramandano la memoria. Senza voler stendere arbitrarie classifica-zioni, si può osservare empiricamente che l’archivio personale di uno storico, di uno studioso, di un filologo, presenta spesso tracce di un’organizzazione sistematica che rispecchia l’attività del produttore. Che il fondo appartenuto ad un artista spesso accosta materiali iconografici a carte, quaderni, corri-spondenza, in una casualità solo apparente. Chi è incline al collezionismo, isolerà gli autografi degli amici importanti. L’ambizione condurrà a costruire con diligenza e cura un archivio personale, allo scopo di indirizzare la tra-smissione della memoria di sé con suggerimenti e indizi: annotazioni biblio-grafiche curate, fotografie di eventi, belle copie dei testi.

Scrive Isabella Zanni Rosiello: A seconda delle persone, delle biografie, dei contesti culturali e temporali, cui gli

archivi appartengono e a cui vanno ricollegati, essi possono rivelare coincidenze e discrepanze, tratti pressoché comuni o differenze radicali. Quasi sempre peraltro, nel caso di archivi di persone (...) sono stati per così dire costruiti come autorappresenta-zioni delle persona stesse. (...) Gli archivi di questo genere riflettono comunque, anche se, come sempre accade in questi casi, non fedelmente, interessi culturali e specifiche attività dei rispettivi autori 6.

Cosa invece non si conserva, nell’archivio di una personalità degli ultimi

due secoli? Alcuni presupposti, ovvii per chi è del mestiere, non sono così immediati per gli utenti che si rivolgono a questo tipo di fondi: spesso studen-ti o persone interessate alla critica letteraria, alla filologia, alla critica d’arte, o musicale, più che storici in termini classici. Dunque con minore esperienza di quella sorta di « navigazione » che caratterizza la classica ricerca d’archivio, e presuppone la conoscenza della « mappatura » del medesimo; più avvezzi semmai a confrontarsi con capacità ed efficacia con il singolo documento-testo, più che con la struttura ospitante studiata in termini di modalità di sedimentazione.

Non sembri allora né elementare né eccessivo ricordare che non si rac-colgono di norma negli archivi privati di persona le lettere di colui al quale è intestato il fondo, se non in minuta o in copia: bensì quelle ricevute. Che un insieme di lettere scritte da un personaggio a vari destinatari non sarà « il suo archivio », ma una collezione di autografi raccolti da terzi. Che non si conser-vano in fondi personali le documentazioni relative ad attività o impieghi pubblici, se non accidentalmente. Che nel caso di scrittori, non sempre sono presenti le redazioni finali delle opere edite, in molti casi consegnate al tipografo e non restituite: solo negli ultimi decenni si è diffuso l’uso di fotocopie. Spesso, invece, saranno presenti nuclei di materiali eterogenei o di carte e documenti aggregati e collaterali, raccolti e conservati dal personaggio

6 I. ZANNI ROSIELLO, Strategie e contraddizioni conservative, in Conservare il Novecento. Atti del Convegno nazionale di Ferrara, 25-26 marzo 2000, Roma, AIB, 2001, p. 139.

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in questione per i più vari motivi, sui quali mi soffermerò più avanti. In molti casi, infine, ci incontreremo non solo con « autografi », ma anche con docu-mentazioni di scarso interesse prese singolarmente, ma di rilevanza nel loro insieme: ricevute, circolari, tessere, ecc.

1. Lo stato delle cose. — Anche negli archivi delle personalità, come in tutti gli archivi, abbiamo un soggetto produttore e un nucleo di documenti: originati, nel nostro caso, dal percorso biografico e dallo svolgimento di un’attività più o meno creativa. Carte che dovrebbero presentare una certa organizzazione interna: cosa che di fatto avviene raramente, e soprattutto quasi mai sarà palese, dichiarata. Diamo per acquisita la possibilità di distin-guere fra collezione di documenti o di autografi raccolta da un personaggio, e archivio vero e proprio, frutto dell’operato del produttore: al riguardo infatti sarà relativamente semplice per l’archivista raccogliere informazioni intorno al nucleo su cui dovrà operare, ancor prima di prendere personalmente visione delle carte 7. Nel primo caso potrà essere confermato il criterio a suo tempo scelto dal collezionista, di solito sufficientemente funzionale; se viceversa i materiali saranno stati raccolti con successivi acquisti o acquisizioni dall’isti- tuto che li conserva 8, potrà essere suggerito con serenità un ordine decisa-mente pragmatico: ad esempio alfabetico per autore per la corrispondenza, o cronologico per i manoscritti autografi.

Il secondo caso ci riguarda più da vicino, sia perché più frequente, sia per il maggior numero di quesiti archivistici di merito. L’assetto di un archi-vio di persona può essere alterato con facilità durante gli spostamenti e i traslochi delle carte. Soltanto raramente l’archivista può prendere visione del nucleo di documenti in quello che potremo definire il loro habitat naturale, scomparso o meno che sia il legittimo produttore: una casa, uno studio, un ripostiglio, un armadio, sia pur anche una cantina. Sarebbe importantissimo farlo: prendere visione delle carte in loco già costituisce per l’archivista una situazione di privilegio. Quando se ne presenta la possibilità, dunque, è fondamentale preparare il terreno più idoneo a garantire una corretta archivia-zione: una o più visite ai proprietari dei fondi permettono una più accurata

7 Un esempio abbastanza noto di collezione di manoscritti è l’autografoteca Bastogi, con-servata presso la Biblioteca Labronica di Livorno, e raccolta appunto dalla famiglia Bastogi nel corso del secolo XIX e nei primi vent’anni del XX. Tuttavia anche in una collezione, soprattutto se di grande entità, come quella citata, sono spesso identificabili nuclei di vari archivi originari, che sarebbe dunque doveroso individuare ed evidenziare: come, nel caso ricordato, le carte origi- nate dello smembramento dell’archivio Montanelli-Parra, ecc.

8 Manoscritti o lettere di un certo personaggio, acquistate in antiquariato o lasciate dagli amici, sono state sempre raccolte presso le varie Biblioteche (si pensi agli autografi dei patrioti risorgimentali). Oggi quel che è diverso è il criterio con il quale vengono conservati: non quali singoli documenti, ma come nucleo di origine dichiaratamente composita, miscellaneo ma uni- tario, che talvolta può anche essere ricondotto a modelli di tipo archivistico. Un esempio è dato dal fondo aperto intestato a Cristina Campo all’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieus-seux, in costituzione grazie ai lasciti di alcuni amici.

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conoscenza dell’archivio, la stesura di elenchi sommari, la definizione della forma giuridica del lascito, la conoscenza reciproca. In questi incontri, inoltre, sarà possibile incoraggiare i proprietari ad evitare versamenti parziali o troppo dilazionati nel tempo, e fornire alcuni suggerimenti pratici sulla preparazione materiale del trasloco (imballaggio in un dato ordine, numerazione delle scatole, ecc.).

Spesso infatti — purtroppo — buste, faldoni, fascicoli vari, carte sparse, vengono consegnati all’istituto destinato a conservarli da trasportatori o cor- rieri; quasi mai esiste una numerazione d’autore dei contenitori, e lo sposta-mento avviene senza alcuna attenzione alla disposizione originaria 9. Mi è capitato di ricevere in archivio sacchi di plastica nera stipati di lettere sparse, e in altri casi la corrispondenza è stata posta, sciolta, direttamente nelle scatole da imballo. Anche quando, nelle situazioni migliori, tutto è ben incartato e inscatolato, è assai raro rintracciare elementi che facciano riferi-mento all’ordine primitivo. Se manca una qualsiasi numerazione per buste o scatole, la situazione difficilmente è migliore a livello di fascicolo; solo in rari casi una qualche numerazione può essere stata posta dai familiari, prima di distaccarsi dalle carte: e si rivelerà un intervento utile per l’archivista, purché effettuato con il dovuto discernimento 10.

Se la nostra attenzione, in vista del riordino e della descrizione archivi-stica, dovrà sempre muoversi dal documento al contesto al quale si collega e da quello a questo, in una sorta di prolungato contrappunto, come pensare di rinviare ad un secondo momento un esame magari sommario, ma globale, delle carte? Come sarà possibile procedere ad un primo riordino, se non addirittura ad una inventariazione analitica di una sezione di un tutto scono-sciuto, e tanto meno descrivere documento per documento, lettera per lettera, senza un’idea dell’insieme? Eppure spesso accade. Accade, oltre che per un errato approccio, perché le carte vengono consegnate nell’Archivio di destina-zione in più riprese, in lotti spesso incoerenti al loro interno, forse connessi con altri ancora da depositare. Allora potrà essere proprio il contributo degli eredi e discendenti, la memoria di coloro che hanno conosciuto più da vicino il personaggio, a costituire l’alleato più prezioso per l’archivista. Talvolta sarà già un buon risultato riuscire a sapere se « quelle » carte d’archivio sono « tutte », o se esiste, nella stessa abitazione o altrove, « dell’altro », magari ritenuto impropriamente di scarso interesse.

9 Si veda ad esempio quanto scrive A. BROCHIER, Papiers d’érudits, in « La Gazette des Archives », 1998, n. 182-183, p. 226: « Il est préférable de procéder soi-même à l’enlèvement des archives (...) Étant ainsi sur place, il est possible d’accéder à des informations révélatrices des habitudes et de la façon de travailler de l’érudit. En effet, les lieux de travail et de range-ment, par leur organisation même, parlent fortement de leur occupant ».

10 Penso ad esempio al fondo di Giuseppe Dessì presso l’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, riordinato in gran parte dalla moglie Luisa durante la lunga malattia del marito, spesso dietro i suggerimenti diretti del coniuge. Il caso è però abbastanza singolare.

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Quanto ai piccoli nuclei sparsi provenienti da uno stesso archivio, che possono essere acquisiti nel tempo in antiquariato, o per lasciti di vario genere, converrà mantenere i diversi insiemi separati, in attesa di eventuali future integrazioni che permettano una sistemazione più organica.

2. Una navigazione accorta. — Stabilito che quanto abbiamo di fronte è

effettivamente l’archivio « relitto » del personaggio in questione, o quanto è stato possibile recuperare di esso, accingiamoci a prenderne visione, a cono-scerlo. Cercheremo di coglierne dunque la struttura, e tutti quei legami intrin-seci ed estrinseci che sarà necessario evidenziare e comunicare nel modo più chiaro.

Come primo approccio si tratta di individuare o ricostituire le impalcatu-re che sorreggono l’insieme, per nascoste e scomposte che siano, per definire, se necessario, un piano di lavoro sulla carta, da applicare procedendo dal generale al particolare. Quanto si dovrà definire, come ha affermato recente-mente Augusto Antoniella, sarà insomma una sorta di « scheletro » dell’archi- vio, redatto sulla base del percorso biografico o di quanto altro le carte stesse suggeriscono, da tenere come punto di riferimento se il disordine è pressoché totale 11.

In termini più archivistici, si tratta di riconoscere e raggruppare serie e sottoserie (sebbene quasi mai designate, né in costola, né in titolo, né altrove, come avviene di norma negli archivi « classici »), e quindi i faldoni, le buste e i fascicoli che presentino coerenza interna e vincoli di un certo tipo fra di loro, tenendo classicamente una sorta di « brogliaccio » del procedere dei lavori.

Il riordino presuppone una prima osservazione quasi « dall’alto », suppor-tata da una costante integrazione fra il dato di provenienza esterna, biografico o bibliografico, e la notizia ricavata dai documenti stessi. Anche per l’archi- vista, come per il ricercatore, si tratta di una sorta di navigazione fra le carte: perché per le personalità del mondo contemporaneo le notizie bio-biblio- grafiche meno note, e forse più significative, saranno date proprio dalle carte stesse che ci accingiamo a riordinare 12. Se si tratta dell’archivio di uno studioso, ad esempio, di cosa si occupava in un certo periodo? Come organiz-zava il proprio lavoro? Disponeva i vari studi dedicati ad un tema affrontato più volte per sedimentazione cronologica, o suddivideva il proprio lavoro per

11 Così Augusto Antoniella in un recente intervento in occasione della presentazione a Em-poli dell’Inventario dell’Archivio Salvagnoli, a cura di V. ARRIGHI, E. INSABATO, L. GUERRINI, S. TERRENI, Pisa, Pacini, 2002.

12 Si pensi alle raccolte di ritagli di giornale o di « Eco della stampa », sezione classica degli archivi delle personalità, che permettono di ricostruire la bibliografia o gli eventi biografici più significativi dall’interno del fondo medesimo. Gli stessi autori compilano spesso, per propria memoria, un accurato elenco dei propri scritti: così per Oreste Macrì, il cui quaderno di biblio-grafia, conservato nel suo archivio (ora presso il Gabinetto Vieusseux), si è rivelato un punto di partenza indispensabile per approfondimenti e studi.

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fascicoli e dossier a seconda della specificità dell’argomento? Se una qualche organizzazione esisteva, ci sono buone probabilità di riuscire a ricostruirla. Va da sé che il contenuto di faldoni e buste andrà esaminato analiticamente, per verificare una qualche coerenza interna, che a sua volta potrà riguardare tanto la tipologia quanto l’oggetto delle carte (corrispondenza, prose d’invenzione, saggi critici, poesie ecc., o ancora: relazioni per convegni, materiali attinenti ad articoli o studi), oppure semplicemente un certo arco cronologico. Anche in mancanza di titoli esterni, non mancheranno riferimenti all’occasione dello scritto: la data di un convegno, il rinvio ad un numero di rivista, a corsi tenuti presso questa o quella università. I fascicoli si fondono o si scindono: potrà capitare che un autore, riutilizzando brani o pagine di un passato lavoro per una nuova edizione, o addirittura per una diversa opera, sposti materialmente i fogli dall’uno all’altro testo, senza ulteriore indicazione cronologica o d’altro genere 13. Difficile, in questi casi, definire il percorso più opportuno per l’archivista, ed i limiti del suo intervento; il suo non è e non vuole essere un lavoro filologico: tuttavia dovrà rendere conto del suo operato, e segnalare peculiarità inusuali delle redazioni. Senza sostituirsi ad altri professionisti, che si dedicheranno all’edizione critica dei testi, potrà tuttavia suggerire alcuni elementi e contribuire ad evitare equivoci ed errori.

Dal momento che gli archivi delle personalità conservano quasi esclusi-vamente carte sciolte, il riscontro del materiale dovrà essere tanto analitico quanto accorto. Capiterà spesso che il titolo posto su un fascicolo non corri-sponda al contenuto, anche se quest’ultimo è in sé coerente: spesso per il semplice riutilizzo delle medesime « camicie ». Oppure che quanto dichiarato in copertina rappresenti soltanto una minima percentuale degli effettivi docu-menti raccolti, o che i fascicoli siano stati maldestramente ricomposti e titolati da altra persona, accorpando in modo grossolano e spesso improprio insiemi eterogenei (ad esempio: poesie varie; appunti diversi). Che si individui, infine, un certo criterio interno, ma soltanto per una parte della serie o dell’intero archivio, semplicemente perché interrotto dal nostro personaggio. In questi casi verrà da sé concludere il non concluso, purché risulti sempre ben distinto e dichiarato l’intervento dell’archivista: continuare a raggruppare articoli e collaborazioni riconducendoli alle varie testate, ad esempio, o dividere la saggistica dalla prosa d’invenzione, se questi erano stati i criteri in parte adottati dall’autore.

Una delle tipologie di materiale più rappresentate negli archivi delle per- sonalità (nonché frequente luogo controverso d’intervento archivistico) è la

13 Si vedano ad esempio i manoscritti di Vasco Pratolini conservati al Gabinetto Vieus-

seux: come è noto episodi de Lo Scialo, enucleati e sviluppati, sono all’origine di Metello; anche nuclei di carte manoscritte furono spostate fisicamente (cfr. in proposito lo studio introduttivo all’Inventario del Fondo Pratolini, pre-print a cura di C. GIOLITTI e E. LUGLIESI, Firenze 2001). Una mancata conoscenza della cronistoria delle opere avrebbe potuto far pensare ad un disordine casuale fra i manoscritti, visti i diversi tipi e formati dei fogli, eccetera.

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corrispondenza. Chi conosce questo tipo di archivi sa bene che raramente si presenta organizzata e archiviata con criteri sistematici nella sua completezza. Nella maggior parte dei casi niente raccoglitori, niente protocolli, niente rubriche; rare eccezioni si riscontrano quando l’attività del personaggio in questione richiede una gestione puntuale e una rapida possibilità di recupero delle lettere spedite e ricevute.

Tuttavia qualche suddivisione di massima è quasi sempre presente. Una costante è costituita dalle lettere familiari, tenute in genere separate dalla corrispondenza generale o di lavoro. Si tratta di sezioni da riordinare innanzi tutto sulla base dei legami parentali, nelle quali spesso si trovano anche carteggi completi fra parenti prossimi, corrispondenza cioè tutta conservata « in casa », o in qualche caso restituita: carteggi suggestivi e interessantissimi fra coniugi, genitori e figli, fratelli o consanguinei. Attraverso i contenuti di queste stesse lettere sarà più agevole ricostruire la genealogia particolareggiata della famiglia, genealogia che a sua volta fungerà da canovaccio per il riordi-no, anche e soprattutto nei casi in cui alle spalle dell’archivio di una persona-lità vi sia semplicemente « gente comune ». Spesso si potranno delineare storie familiari che niente avranno da invidiare a più illustri casati.

Nelle serie della corrispondenza di un archivio di persona non sarà diffi-cile imbattersi in suddivisioni per fascicoli, spesso miscellanei quanto a tipologia dei materiali (lettere relative alla pubblicazione di un’opera, al conferimento di un incarico professionale, ecc., raccolte con altre documenta-zioni sull’argomento), o soltanto epistolari (giudizi su una pubblicazione, congratulazioni o condoglianze per un evento quali nascite, matrimoni, onori-ficenze, ecc.). In altri casi sarà evidente un ordine cronologico costruito sulla semplice sedimentazione delle carte, non difficile da integrare, se presente ma incompleto. Questa disposizione si rivelerà senza dubbio la più adatta a illustrare il percorso biografico — studi, opere, contatti, relazioni, incarichi — del nostro personaggio: richiederà tuttavia indicizzazioni analitiche a livello di lettera, per permettere un recupero funzionale dei singoli mittenti da parte dell’utenza.

All’interno della « corrispondenza » in molti casi non vi è un solo ordine: in alcuni periodi, nell’arco della vita del nostro personaggio, la posta potrà essere stata raccolta cronologicamente, in altri momenti ripartita per mitten-ti 14. La corrispondenza di lavoro può trovarsi separata in certi anni e non in altri; talvolta soltanto per i corrispondenti ritenuti « i più importanti » viene adottato un ordine alfabetico, tale da consentirne una più facile reperibilità. Raramente la corrispondenza è accompagnata da un qualche strumento di consultazione, come dicevamo: per lo più semplici indici, o schede per autore che rinviano ai relativi anni o faldoni, redatti spesso a distanza di molto

14 Così per l’archivio Ungaretti, anche se probabilmente la divisione per mittente è da at-tribuire ad interventi successivi.

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tempo dai documenti a cui si riferiscono, magari durante la vecchiaia: più utili dunque per capire quale assetto si volesse dare alle testimonianze del proprio passato che per attestare un metodo di lavoro e di tenuta quotidiana delle proprie carte. Dobbiamo inoltre considerare che per la ricostruzione della figura del personaggio e del suo percorso biografico è fondamentale lo studio dei singoli corrispondenti. Occorre dunque favorire quanto più è possibile questo tipo di ricerca, oggi che gli strumenti informatici facilitano indicizza-zioni, rinvii, authority files e via dicendo, al di là dell’effettivo ordine fisico dei documenti.

In moltissimi casi, infine, ogni ordine primitivo è andato perduto. Non è difficile ricostruire l’ipotetica vicenda di quelle carte. I pacchetti

delle lettere ricevute (centinaia, spesso addirittura svariate migliaia per cia-scun archivio, per le personalità vissute fra la metà del secolo XIX e la metà del XX, una sorta di età dell’oro della corrispondenza epistolare) legati con nastrini, fermati con elastici, inseriti in buste troppo piccole per contenerli, fissati con striscioline di carta chiuse da nastro adesivo, accompagnate da indicazioni sommarie, sono stati accumulati nei cassetti, poi negli armadi, nelle cantine, nelle soffitte; forse in età tarda, come si è accennato, il nostro personaggio ha deciso di riprendere quei pacchetti, di « fare ordine », di ritrovare gli scritti del poeta diventato famoso, le belle lettere dell’amico morto in guerra, le lodi dell’antico maestro, i ricordi di una donna amata, le polemiche dell’avversario, la riconoscenza dei più giovani. Buste e pacchetti vengono aperti, le lettere in parte riorganizzate per mittente. Gli anni incalza-no: raramente quel lavoro arriverà a fine. Lo riprenderanno forse, a più mani e a più riprese, a distanza di lustri o di decenni, parenti, figli, nipoti, ex segretarie affezionate e zelanti. Talvolta con improbabili e ambigue classifica-zioni: lettere di narratori, lettere di critici, lettere di romanzieri. Di fronte a certe situazioni non ha più senso parlare di sedimentazione originaria o voluta dal soggetto produttore: si potrà allora suggerire di non tener conto delle suddivisioni adottate in tempi successivi se parziali, confuse e prive di fun-zionalità.

Quando poi non è possibile rintracciare un ordine primitivo, se insomma il disordine regna sovrano, un operare pragmatico avrà la meglio sulla teoria. La scelta può ricadere allora su un ordinamento univoco della corrispondenza: ed il più funzionale, nella maggior parte dei casi, sarà proprio una fasci- colazione per mittenti ordinati alfabeticamente, con scansione cronologica interna 15. Come scrive Ariane Ducrot, « le classement alphabétique par cor- respondants », oltre a facilitare la ricerca per nome di personaggi noti,

15 Chi lavora a questo genere di archivi sa quanto sia più facile identificare i mittenti se la corrispondenza ascrivibile ad una stessa mano viene accorpata e confrontata. Dunque, partendo da una situazione di disordine, a vantaggio di una divisione per autore pesano i migliori risultati scientifici relativi al singolo documento. Altrettanti risultati non si conseguono nella ricostruzione cronologica, assai più difficile da puntualizzare per documenti non datati.

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c’est souvent l’ordre qu’avait choisi l’auteur du fonds. L’ordre chronologique est cependant adopté pour les correspondances réunies dans un dossier relatif à une affaire particulière, dont il permet de suivre le déroulement, ou à une correspondance restreinte, n’émanant pas de personnalités connues 16.

Sulla stessa linea potrà essere accettato qualche limitato intervento sui

generis nell’interesse dell’utenza. Ad esempio, che l’archivista decida di estrarre, con le dovute segnalazioni, le lettere di alcuni mittenti, vincolate per lungo periodo a tutela della privacy, da un insieme ordinato cronologicamen-te, quando l’alternativa sarebbe di vincolare gli interi faldoni, imponendo a tutto l’insieme la massima scadenza richiesta.

Infine il problema del regesto, o abstract, di un documento, applicato principalmente alla corrispondenza. Se il regesto mira ad un’informazione analitica del contenuto, tempi e problemi di ricerca connessi all’identifica- zione scientifica di persone, luoghi, titoli di opere e avvenimenti particolari citati saranno di fatto i medesimi di un’edizione integrale: l’economia del lavoro riguarda soltanto l’omissione della trascrizione testuale. Difficile dunque pensare ad una applicazione totale del regesto classicamente inteso ad archivi di grandi dimensioni, con svariate migliaia di pezzi di corrispondenza. In questi casi sarà opportuna una maggiore sintesi; o, in alternativa, la scelta di regesti per « fascicolo », anziché per singolo documento 17. Dovremo co- munque sempre considerare che il compendio di uno o più documenti potrà non rendere piena giustizia alla ricchezza dei contenuti, e implicare giudizi e scelte. Potrà inoltre apparire insoddisfacente allo studioso, mantenendogli viva l’esigenza di controllare direttamente il testo per accertare se è di suo interes-se: limitando dunque il senso dell’operazione archivistica.

Si è accennato alla presenza impropria di nuclei aggregati all’archivio di una personalità. Potrà trattarsi di nuclei appartenuti a parenti, spesso genitori, zii o avi; in altri casi sarà probabile trovare, accanto alle carte del marito, quelle della moglie, compresa l’eventuale corrispondenza a lei indirizzata 18. Talvolta entrano a far parte del fondo carte pertinenti l’attività pubblica o di lavoro; in particolare quando al personaggio in questione fa capo una piccola impresa culturale, gestita in famiglia o fra amici, si creano connessioni fra archivio dell’attività svolta e archivio personale: basti pensare alle carte delle

16 A. DUCROT, Le classement des archives de personnes et des familles, in « La Gazette

des Archives », 1998, n. 182-183, p. 221. Ad Ariane Ducrot devo molto anche per l’imposta- zione generale di queste mie pagine.

17 Il regesto per fascicolo/mittente è stato applicato con successo al Fondo Giacomo Anto-nini, presso l’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, dietro suggerimento di Emilio Capannelli, funzionario della Sovrintendenza archivistica per la Toscana.

18 Cfr. in proposito L. MELOSI, Profili di donne. Dai Fondi dell’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001.

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piccole case editrici o dei periodici 19. Insiemi documentari ai quali verrà mantenuta la loro autonoma struttura, pur evidenziando i legami con l’archi- vio principale.

Spesso gli archivi delle personalità sono stati affrontati con occhio, e ap-proccio, biblioteconomico più che archivistico. Una consuetudine determinata anche dalle circostanze: in passato infatti sono stati spesso destinati alla conservazione in biblioteche, più che in archivi, magari al seguito di insigni raccolte librarie del loro produttore. Di conseguenza si è talvolta ritenuto che uno strumento informatico idoneo alla catalogazione libraria potesse essere utilizzato, con poche modifiche, anche per i materiali d’archivio; e non soltanto nelle descrizioni, ma anche come strumento di riordino. In altre parole, con la convinzione che le sequenze algoritmiche preposte alla struttura dei cataloghi librari permettano di riordinare anche il materiale archivistico, e quindi di ricollocare fisicamente i documenti secondo quell’ordine. Così non è; la struttura di un archivio, come è risaputo, è così mutevole e articolata nelle relazioni fra documenti da non poter essere risolta con un numero fisso e limitato di variabili di ordinamento, senza continue messe a punto. A maggior ragione negli archivi di persona, dove, per le ridotte dimensioni fisiche, l’articolazione è ancor più soggetta a cambiamenti.

Lo strumento informatico, oggi insostituibile nella professione archivisti-ca, nella fase di riordino dovrà piegarsi ai suggerimenti di struttura che dà soltanto il confronto diretto con le carte. Il contesto al quale si accennava in apertura, esplicitato storicamente nella classica introduzione ad un inventario, si pone come un significante il cui significato sarà rappresentato dall’organiz- zazione interna dell’archivio medesimo.

3. Una descrizione discreta. — La descrizione della singola unità archi-

vistica (o del singolo documento), potrebbe dirsi, in termini generali, indipen-dente dall’organizzazione dell’archivio, e dunque dal suo riordino; tuttavia le informazioni che contiene non possono — almeno in parte — non essere correlate con il contesto di cui fa parte. Del contenuto non autonomo di queste informazioni si dovrà quindi tener conto nella forma della descrizione, e di conseguenza nell’adozione di uno standard descrittivo.

Il tema, oggi molto dibattuto in ambito archivistico generale, riguarda da vicino gli archivi delle personalità. Infatti l’utilizzo di sistemi informatici presi in prestito dal mondo delle biblioteche ha condotto molto spesso all’adozione di strutture di record, e sort di stampa, secondo standard di tipo catalografico-biblioteconomico.

19 Valga l’esempio dell’archivio de « Il Marzocco »: impossibile distinguere la corrispon-denza dei collaboratori al periodico e quella amicale inviata ai fratelli Angiolo e Adolfo Orvieto, che lo hanno diretto per oltre trent’anni. Così anche per le lettere a Attilio e Enrico Vallecchi, ancora presso l’Archivio Contemporaneo, ed ancora, in modo più o meno marcato a seconda dei singoli personaggi, per alcuni dei direttori dello stesso Gabinetto Vieusseux.

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All’utilizzo di standard descrittivi in archivistica si è obiettato che posso-no limitare le peculiarità dei singoli archivi e del loro riordino, appiattire gli strumenti di ricerca, e richiedere unità di descrizione molto analitiche, rallen-tando i tempi di inventariazione della totalità del fondo. A mio parere le principali osservazioni da muovere all’adozione degli standard risiedono altrove, mentre sono evidenti alcuni vantaggi immediati.

Mentre gli archivi tradizionali, fino al secolo XX, sono quasi esclusiva-mente cartacei, nel corso del Novecento la tipologia dei materiali si è note-volmente accresciuta: anche e tanto più per gli archivi delle personalità. Oltre alle fotografie e ai documenti a stampa sui supporti più vari (inviti, biglietti, tessere, ecc.), gli insiemi archivistici privati della seconda metà del Novecento comprendono spesso registrazioni su nastro, su supporto elettronico, videocas-sette, CD e via dicendo. A queste testimonianze « tecnologiche » e proiettate verso il futuro si può aggiungere una varietà di « documenti » in senso lato che in altre epoche o venivano collocati nei musei, se di un certo valore, o non venivano consegnati con le carte: collezioni di stampe, di cartoline, di oggetti appartenuti al personaggio in questione, medaglie e onorificenze, soprammobili. D’altronde alle carte e agli altri materiali spesso si affianca, nei nostri fondi, una biblioteca privata: libri con dediche, chiose, annotazioni, un « archivio librario » che costituisce quasi un’appendice alla documentazione dell’attività del soggetto produttore 20. Tale pluralità di materiali che fanno capo ad un’unica figura richiede di essere oggetto di descrizioni unificate e in grado di dialogare fra loro: simili nella tipologia di informazioni, nel livello di descrizione e nella terminologia usata. La normalizzazione favorisce in particolare gli scambi e la diffusione dei dati; non può dunque considerarsi meramente accademico il dibattito in corso intorno al linguaggio archivistico, riassumibile nei termini: « ogni disciplina scientifica ha una sua terminologia specifica, non si vede perché l’archivistica debba sfuggire alla regola ». Che ogni archivio costituisca un unicum e debba essere riordinato nel rispetto delle peculiarità specifiche, non può implicare, in termini di principio, che siano da evitare standard e vocabolari controllati 21.

Oggi come sappiamo si fa strada l’utilizzo delle norme ISAD e ISAAR, ideate appositamente per materiali d’archivio, ed i cui sviluppi applicativi sono in corso; in contemporanea la mancanza di descrizioni di tipo normalizzato nei vecchi inventari viene spesso superata con soluzioni infor-matiche, i cui risultati, assai variabili, sono da valutare caso per caso 22. Fino a

20 Cfr. L. DESIDERI, Le biblioteche d’autore dell’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, in Conservare il Novecento… cit., pp. 58-71.

21 Fra gli ultimi contributi alla questione cfr. B. GALLANT, La terminologie archivistique: options et limites pour les échanges internationaux, testo pubblicato negli abstracts delle relazioni redatte per il XIV Congresso internazionale degli archivi tenuto a Siviglia nel settembre 2000.

22 Si cerca di partire, in genere, dal principio di « riutilizzo » dell’esistente: inventari e schede su supporto cartaceo o in videoscrittura. Ciò può avvenire o tramite una scansione

Caterina Del Vivo 230

pochi anni fa tuttavia, per chi volesse adottare descrizioni a un tempo norma-lizzate, applicabili a molteplici materiali, e utilizzabili sullo strumento infor-matico, era inevitabile ricorrere a standard che traevano origine dall’ambito biblioteconomico, più avanzato in questo settore. Così, ad esempio, si è fatto ricorso alle Anglo-American Cataloguing Rules: « non destinate espressamente a biblioteche speciali e archivistiche », come si dichiara in introduzione, per le quali tuttavia si raccomanda « che queste biblioteche le usino come fonda-mento della loro catalogazione, aggiungendovi ciò che è necessario », e ricordando la loro applicabilità « a qualsiasi materiale insolito o ancora oggi sconosciuto » 23.

Se la normalizzazione descrittiva è autonoma dall’organizzazione delle carte, dunque di per sé neutra nei confronti dell’operazione di riordino, sarà tuttavia tanto più pertinente quanto più conterrà elementi che faciliteranno i collegamenti e la contestualizzazione dell’insieme documentario. In altri ter- mini, la sua funzionalità nei confronti di una corretta ricostruzione della struttura dell’archivio dipende dalla validità delle informazioni contenute nelle singole descrizioni in riferimento al contesto. Nel caso in cui la descrizione risulti carente da questo punto di vista, sarà necessario inserire successiva- mente tali informazioni, a livello di inventario: suddivisioni, titolazioni, cap- pelli introduttivi alle sezioni ecc.

È chiaro allora che i limiti di una normalizzazione descrittiva non ideata per il mondo degli archivi, ma applicata alle carte d’archivio, risiedono principalmente in questo: nella mancanza di aree di informazioni sufficiente-mente connotanti i vincoli fra i documenti, e nell’assenza, a livello di singola descrizione, di espliciti collegamenti fra le unità, che non siano dati dalla semplice segnatura — dalla collocazione — dell’unità descritta, o dal titolo uniforme utilizzato nelle descrizioni d’origine bibliografica, per sua natura altra cosa rispetto alla ripartizione strutturale 24.

Per i materiali conservati negli archivi di personalità, soprattutto per poe-ti e letterati, si tende a privilegiare una descrizione a livello di singolo docu-mento. Tale scelta, che pure comporta notevole impegno di tempo ed energie digitale degli strumenti di ricerca, e la successiva immissione delle immagini ricavate in rete (montate tramite link utilizzando linguaggi per la presentazione di pagine web); oppure, qualora si possiedano testi già redatti su supporto magnetico, ricorrendo a « marcatori testuali » (come XML) per gestire le principali informazioni di contesto e facilitare l’identificazione e la gestione dell’informazione. Per i correlati problemi di authority che un tale procedere porta alla luce si veda S. VITALI, L’authority control dei soggetti produttori d’archivio e la seconda edizione di ISAAR (CPF) International standard archival authority record for corporate bodies, persons, and families, nonché, per lo standard prototipo XML, D. V. PITTI, Encoded Archival Context (EAC), relazioni al convegno: Authority Control - International Conference, Firenze, 10-12 febbraio 2003 (testi presenti in rete: <http//www.unifi.it/biblioteche/ac/it/home.htm>).

23 Regole di catalogazione angloamericane: seconda edizione, a cura di M. GORMAN e P. W. WINKLER, ed. italiana a cura di R. DINI e L. CROCETTI, Milano, Editrice bibliografica, 1997, p. 1.

24 Cfr. ancora Regole di catalogazione... cit., pp. 129-130.

Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux

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lavorative, è considerata opportuna principalmente per due motivi. Primo, perché l’importanza del documento — « oggetto » artistico o letterario — è spesso di rilievo (dunque va evidenziata e comunicata), anche separatamente dal contesto; secondo, perché in mancanza di collegamenti evidenti fra le carte, e nella necessità di non essere troppo generici (anche ai fini patrimonia-li), la descrizione di ogni documento, magari designato dall’incipit, si rivela più semplice della ricostituzione o creazione di fascicoli, operazione che richiede una conoscenza non superficiale dell’intero fondo. Dunque, ancora una volta, il rischio da evitare sarà proprio quello di una eccessiva parcelliz-zazione dell’insieme, che ne comprometta la visione globale. Uno spoglio — prendo in prestito non a caso il termine biblioteconomico — che non renda più ardua la sintesi degli eventi di cui l’archivio è testimonianza.

Un altro problema si pone a corollario. Spesso è difficile, per gli archivi-sti, individuare e definire i limiti da porre al proprio approfondimento intorno all’oggetto della descrizione. Si consideri ad esempio una categoria di docu-menti ampiamente presente negli archivi delle personalità della cultura, i manoscritti letterari: in alcuni casi gli archivisti si sono chiesti se questi possano essere considerati stricto sensu documenti d’archivio, essendo un prodotto della creatività dell’autore, oltre che del suo operato 25. Dobbiamo tuttavia ricordare che l’eventuale stesura definitiva (non sempre presente), o le varie redazioni di un testo (comunque per lo più da considerare work in progress) sono abitualmente accompagnate da una serie di materiali d’autore di vario genere 26, il cui carattere è propriamente e classicamente archivistico: tant’è vero che in passato si sono avute più volte difficoltà nel trattare quel tipo di documentazione, quando la si è affrontata secondo un approccio strettamente biblioteconomico. E d’altronde come potrà un qualsiasi lavoro filologico procedere scientificamente senza l’esame di tutta questa documen-tazione propedeutica o collaterale?

In questi casi soltanto una collaborazione fra le diverse discipline condu-ce a risultati interessanti: grazie all’utilizzo, a livello di descrizione, di quanto è pertinente a ciascuna. In termini più espliciti: il rispetto del principio del vincolo archivistico nell’attuare un riordino nel contesto (si pensi al caso classico di fascicoli miscellanei che raccolgono i materiali preparatori di un’opera d’ingegno) coniugato al rigore della norma biblioteconomica, con eventuali riferimenti anche alla codicologia, per la descrizione dell’unità o del singolo documento. Una descrizione, dunque, puntuale ma leggera, che eviterà

25 Cfr. ad esempio A. DUCROT, Le classement des archives… cit., p. 220: « En France, la majorité de ces archives sont conservées dans les bibliothèques. On considère en effet que les manuscrits successifs de leurs oeuvres sont un complément indispensable à leurs livres pour en étudier la genèse. En ce qui concerne les manuscrits littéraires, on peut d’ailleurs se demander si, strictu sensu, ce sont des documents d’archives ».

26 Appunti, annotazioni, schede bibliografiche o terminologiche, fascicoli miscellanei con fotocopie di testi altrui, ritagli di stampa di vario genere, corrispondenza inerente la ricerca in corso per la stesura dell’opera, eccetera.

Caterina Del Vivo 232

di entrare nel merito di dissertazioni critiche. Come scrive ancora Zanni Rosiel-lo, negli archivi delle personalità della cultura convivono documenti dell’attività intellettuale e dell’operato legato alla realtà, materiali vari che: « Proprio perché compositi ed eterogenei, sono un settore in cui non c’è posto per eccessivi specialismi » 27.

Per quanto la peculiarità degli archivi delle personalità richieda abitual-mente una descrizione analitica, ciò non significa che uno standard descritti-vo, in questi casi, debba sempre essere applicato al documento singolo. Vista l’eterogeneità del materiale, infatti, potrà essere necessario muoversi in deroga alle norme abituali, e non adottare sempre lo stesso livello di descrizione: circolari, ricevute, comunicazioni editoriali, ritagli di giornale e via dicendo potranno essere trattati in modo meno analitico rispetto agli autografi. Lo standard usato dovrà allora mostrarsi sufficientemente flessibile per rispondere a queste diverse esigenze, così da poter essere applicato tanto a una singola lettera d’autore quanto ad un fascicolo in forma di dossier, ad un pacco di telegrammi o di ricevute, o ad una intera busta di ritagli di stampa, se il contesto e l’economia del lavoro lo suggeriscono.

Quanto all’utilizzo dell’informatica, sappiamo bene che oggi è ancora di fatto improponibile pensare di adottare tecnologie avanzate in assenza di una qualsivoglia normalizzazione descrittiva. Per gli archivi di personalità, e in particolare per i mittenti della corrispondenza, sarà particolarmente utile ricor- rere anche ad authority file per l’individuazione dei soggetti produttori e delle loro caratteristiche 28. L’uso dello strumento informatico, nel nostro caso, potrà rivelarsi assai utile anche al di là del piano delle descrizioni. Le esigen-ze della ricerca possono non coincidere con il rispetto della struttura peculiare del fondo, ma il mezzo informatico favorirà al massimo indicizzazioni pluri-me e sempre integrabili, superando quelle soluzioni pragmatiche che in passato avevano potuto determinare lo smembramento di fascicoli in favore di strutture alfabetiche o cronologiche, un tempo rese necessarie dall’ordine univoco degli schedari cartacei. Sarà inoltre possibile riordinare e ricomporre virtualmente archivi di persona spartiti fra più istituti o sedi, dei quali per vari motivi può essere difficile ipotizzare una ricongiunzione fisica 29. E non ci si

27 I. ZANNI ROSIELLO, Strategie e contraddizioni conservative… cit., p. 140. 28 A tale esigenza come sappiamo dovranno rispondere anche le norme ISAAR, previste

per i soggetti produttori nei loro vari livelli e nelle loro varie forme: cfr. ancora quanto detto alla nota 22.

29 Come è noto si tratta di un caso molto frequente: si pensi all’archivio Giorgini-Manzoni, diviso fra Firenze e Milano, alle carte di Giuseppe Montanelli, conservate in parte a Firenze, ma in quattro diverse sedi, e in parte a Genova e a Livorno; alle carte fiorentine di Prezzolini, aggregate all’archivio Vallecchi presso il Gabinetto Vieusseux, che si intersecano con il grosso archivio prezzoliniano di Lugano; all’archivio di Eduardo De Filippo, principalmente ancora al Vieusseux, ma con nuclei a Roma e Napoli; all’archivio Gargàno, collocato a Roma, che integra il grosso archivio Orvieto-« Il Marzocco » di Firenze (G. S. Gargàno fu a lungo redattore capo del periodico degli Orvieto), ancora presso il Gabinetto Vieusseux, e via dicendo.

Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux

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riferisce soltanto ad un accostamento in unico volume di più inventari, opera-zione già sperimentata con notevole successo, ma ad una vera e propria integrazione virtuale, il cui risultato si mostrerà tanto più apprezzabile quanto più simili saranno i criteri descrittivi adottati.

Oggi tutti concordiamo nell’affermare che qualsiasi scatto fotografico, anche un’istantanea, non comunica la realtà, ma una sua immagine filtrata. L’archivio di una personalità è rappresentazione di un percorso biografico e di un operato: quanto, in termini archivistici, è giunto fino a noi, nel modo in cui è giunto. Chi ne riordina le carte, come qualsiasi altro mediatore, sa di non trovarsi di fronte ad una sorta di verità rivelata, così come sa di non muoversi lui stesso in termini asettici, ma di interferire con il suo operato. L’archivio di una personalità, « archivio non necessario », come e più di ogni archivio, dovrà essere inteso come testimonianza parziale nel duplice signifi-cato del termine, e letto anche nei suoi aspetti di (auto)costruzione o manipo-lazione altrui di un personaggio. Spesso semplicemente per stima, per ammi-razione o per affetto; in altri casi per ambizione, per invidie postume, per meschinità domestiche. L’archivio è vestigia. Le pietre ricoperte di muschio, i marmi ossificati dai secoli non riportano in vita il pulsare della vita mercantile né le diatribe del foro: ne sono la traccia trascorsa nel tempo. Così come gli archivi delle personalità raramente « riporteranno in vita » poeti e artisti in tutto e per tutto tali quali erano, specchi fedeli della realtà scomparsa. Anche di questo l’archivista dovrà prendere atto e farsi interprete.

CATERINA DEL VIVO

Gabinetto Vieusseux Firenze

IL CONTRIBUTO DEGLI ARCHIVISTI ALLA ENCICLOPEDIA ITALIANA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI

1. L’organizzazione redazionale dell’Enciclopedia Italiana. — L’Istituto

Giovanni Treccani per l’Enciclopedia italiana, voluto da Giovanni Gentile e Giovanni Treccani nel 1925 per dotare l’Italia di uno strumento enciclopedico del quale era ancora priva, nacque con l’intento di coinvolgere tutto il mondo culturale italiano nell’impresa, chiamando le menti più alte a collaborare con ruoli diversi, di autore, di responsabile, di supervisore. Il Consiglio direttivo dell’Istituto, oltre al direttore scientifico Gentile, comprendeva personaggi di rango, Luigi Cadorna, Gaetano De Sanctis, Luigi Einaudi, Ferdinando Marti-ni, Paolo Thaon di Revel ed altri 1.

L’Istituto iniziò subito, appena creato, la propria attività, con la redazione degli « elenchi delle voci » (i Lemmari 2) necessari all’opera, materia per materia, a cura dei rispettivi direttori delle sezioni istituite per dividere il sapere secondo branche per lo più consolidate, ma con alcune novità di rilievo in vari settori che ponevano l’Enciclopedia all’avanguardia in molti campi di studio, sia scientifici che umanistici, dalla storia alla psicologia 3.

La storia, disciplina cui furono ricondotte tutte le voci archivistiche, fu suddivisa in Storia medievale e moderna, Storia del Risorgimento, Storia contemporanea: queste branche subirono diverse vicende nella nascita, nella esistenza e nella direzione.

I direttori di sezione, spesso concordando con il direttore scientifico Gen-tile, una volta individuate le voci da inserire nell’opera, prendevano contatto con gli studiosi ritenuti più idonei. Avutane l’adesione, dotavano ogni autore di una « scheda di assegnazione » con l’indicazione dei lemmi a lui affidati. Lo schedario di assegnazione delle voci, ordinato alfabeticamente per sigla di collaboratore, affiancava lo schedario generale ordinato alfabetica- mente per lemma e ottenuto dalla fusione dei Lemmari di tutte le discipline.

1 Per la storia dell’Enciclopedia e la sua organizzazione istituzionale cfr. G. NISTICÒ, L’or- ganizzazione scientifico-editoriale, in La Treccani compie 70 anni. Catalogo della mostra, Roma 1995, pp. 163-167.

2 I Lemmari vennero stampati nel 1926. 3 Per le sezioni di storia cfr. D. CIONI, L’organizzazione della disciplina storica nella En-

ciclopedia italiana, in « Il Veltro », XLII (1998), 1-2, pp. 124-129.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 235

È la lettura delle schede di assegnazione l’unico modo di conoscere, almeno in linea di massima, le voci redatte da ciascun autore, giacché, attraverso le sigle dei collaboratori (sciolte nella tavola relativa all’inizio di ciascun volume), è possibile individuare l’autore del singolo lemma, ma non il complesso delle voci da lui redatte.

Ma non sempre le informazioni sulle schede sono esaurienti o esatte: molte assegnazioni erano fatte in modo informale, ad esempio quando occor-reva sostituire un collaboratore non in grado di consegnare la voce; le varia-zioni non venivano trascritte sull’apposita scheda e neppure si provvedeva a cancellare il nome della persona a cui era stato revocato l’incarico. Per conoscere con una certa precisione l’insieme degli articoli redatti da un collaboratore bisogna verificare sull’Enciclopedia quale sigla compare alla fine della voce. Alcune voci non sono siglate: al posto della sigla può compa-rire un asterisco (*), che indica una stesura redazionale, oppure un autore anonimo; è poi opportuno ricorrere alla corrispondenza del singolo collabora-tore, qualora esista, per scoprire eventuali assegnazioni ulteriori. Ma la lacu-nosità dell’archivio dell’Enciclopedia 4 talvolta non consente i necessari controlli.

Per i responsabili dell’Enciclopedia un problema di fondo era la revi- sione redazionale delle voci, necessaria per uniformare le trattazioni destinate a un unico lemma o comunque bisognose di ritocchi. Molti autori, non con-cordando con le scelte e le rielaborazioni editoriali dell’Enciclopedia, chiede-vano di non comparire come autori dell’articolo.

I direttori di sezione, il redattore capo e spesso anche il direttore scienti-fico intervenivano per mediare, anche se il lavoro dell’Ufficio coordinazione, incaricato di adattare gli articoli e di fonderli in un’unica voce, non era mai sconfessato.

L’importanza di una voce era data dalla lunghezza e dalle illustrazioni che la corredavano. Le voci più importanti in assoluto sono quelle generali e alcune voci geografiche, sotto le quali venivano ricondotte diverse trattazioni riguardanti la storia, la geografia fisica, politica ed economica, le arti ed ogni altro argomento attinente con quel riferimento geografico. La voce Italia va dalla p. 693 alla p. 1051 del vol. XIX, la voce Roma dalla 589 alla 928 del XXIX: nella loro lunghezza ed accurata stesura si riflette un atteggiamento culturale strettamente connesso al periodo storico in cui nacque l’Enciclo- pedia.

Le voci erano corredate da una bibliografia, che nei casi di lemmi parti- colarmente complessi, dotati di suddivisioni interne, poteva essere ripartita alla fine di ogni sezione.

4 G. NISTICÒ, L’Archivio storico della Treccani, in « Lettera dall’Italia », 1989, 13, p. 52; ID., Un archivio storico per l’Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, in « Rassegna degli Archivi di Stato », XLIX (1989), 1, p. 122; ID., Archivi del Novecento: cultura e politica italiana negli archivi privati del ’900, in « Bollettino SISSCO », 1991, 3, p. 7.

Alessandra Cavaterra

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Nella mente dei promotori dell’Enciclopedia la monumentale impresa doveva essere affiancata da un Dizionario biografico degli italiani. L’elabo- razione dello schedario, a partire da quello del duca Leone Caetani, messo da questi a disposizione di Gentile, richiese diversi anni e un notevolissimo impegno anche da parte delle Commissioni regionali istituite per la ricerca dei personaggi d’ogni parte d’Italia da inserire nell’opera 5. Anche l’Enciclopedia, per volere di Gentile, doveva contenere voci biografiche, benché più brevi rispetto al Dizionario, che però stentava a vedere la luce. Bisognerà arrivare al 1960 per vedere la pubblicazione del primo volume sotto la direzione di Alberto Maria Ghisalberti.

L’Enciclopedia uscirà invece in otto-nove anni (tra il 1929 e il 1937) e verrà rapidamente aggiornata a partire dal 1934, prima ancora della sua conclusione. Gli aggiornamenti, editi all’inizio in fascicoli periodici, furono riuniti nel 1938 a costituire un primo volume di Appendice. Seguì una Seconda Appendice (1948-1949), in due volumi, alla ripresa dell’attività del- l’Istituto, sotto la guida di Gaetano De Sanctis, che volle dare contemporanea-mente alle stampe una seconda edizione, consistente nella ripubblicazione integrale dei 37 volumi della prima edizione (compresi la Appendice e il volume degli Indici, 1939). Oltre ad una nuova impostazione del frontespizio che dà conto del mutato assetto scientifico-editoriale dell’Istituto, il primo volume della seconda edizione contiene una Introduzione a firma di Gaetano De Sanctis che spiega le ragioni dell’iniziativa.

Nel 1961 vide la luce una Terza Appendice in due volumi, che copre il periodo dal 1948 al 1960, a cui seguì una Quarta Appendice (1978-1981, in quattro volumi) con gli aggiornamenti dal 1961 al 1978. La Quinta Appen- dice, direttore Tullio Gregory, in cinque volumi — quasi un’opera a sé — fu edita tra il 1991 e il 1994 con la finalità di dare la misura dei cambiamenti, a volte epocali, avutisi nel mondo tra il 1978 e il 1992.

L’Appendice 2000, infine, ancora sotto la direzione di Gregory, in due volumi di testo, due di immagini, e due di indici complessivi, vuole conclude-re l’intera opera celebrando altresì la fine del secolo.

2. Le voci tecniche. — Le voci inerenti l’archivistica furono previste dal

direttore della sezione Storia medievale e moderna, Gioacchino Volpe, cui competeva la scelta degli articoli in materia e dei collaboratori. Ricomprese tra le « voci di carattere generale » del Lemmario di Storia medievale e moderna redatto da Volpe stesso, comprendevano Archivio (ma non Archivi-stica), Documento, Diplomatica, Paleografia e diverse altre riguardanti le scienze ausiliarie della storia: Araldica, Cronologia, Genealogia, Sfragistica, nonché alcune minori, anch’esse riferentisi alle stesse discipline, Albero genealogico, Blasone, Calendario, Nobiltà, Regesto, Stemmi.

5 Cfr. D. CIONI, La biografia nazionale, in La Treccani compie 70 anni… cit., pp. 271-276.

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 237

Sulle vicende della voce Archivio e Archivistica esiste già un breve stu-dio 6. Qui vale la pena sottolineare ciò cui poco prima si accennava, cioè che nel Lemmario redatto da Volpe non è menzionata la trattazione relativa alla teoria archivistica, chiaro indizio dell’ancora mancato raggiungimento di uno status di disciplina autonoma.

Tuttavia in un secondo momento Gentile, scrivendo a Nicolini, ispettore generale degli Archivi di Stato, incaricato di redigere la trattazione sugli archivi, gli inviò un prospetto della voce definendola Archivio e archivistica 7. La voce Diplomatica fu affidata a Cesare Manaresi dell’Archivio di Stato di Milano. Il 4 aprile 1925, rispondendo a una lettera della redazione che lo invitava ad entrare nel novero degli autori, dichiarava che « in linea di massi-ma l’idea di collaborare all’Enciclopedia Italiana del Gentile non mi dispia-ce » 8; riferì poi i campi di studio a lui congeniali, come quello « sulle origini delle imbreviature notarili » o « la diplomatica dei documenti privati lombar-di » o ancora « nobiltà e titoli nobiliari della regione lombarda ».

Diplomatica è voce importante. D’altra parte, in quel periodo vigeva una preminenza della diplomatica sulla scienza archivistica, anche se, come già detto, si andava facendo strada una più solida teorizzazione del concetto di archivio. Entrambe erano a loro volta subordinate alla storia: non a caso l’espressione scienze ausiliarie era estremamente radicata, come conferma il suo uso da parte dello stesso Manaresi a proposito della diplomatica 9 e di Armando Lodolini in occasione dell’annuncio di un suo manuale in via di pubblicazione presso Hoepli « sulla “diplomatica e le scienze ausiliarie della storia” (araldica, sfragistica, archivistica ecc.) »10.

La voce Diplomatica consta di 10 colonne circa, dalla p. 954 alla 962 del XII volume dell’Enciclopedia edito nel 1931. La voce è articolata in una introduzione, in una Storia della diplomatica in corpo più piccolo, in una Diplomatica generale, ripartita in Fattori del documento, Forma del documen-to, Caratteristiche dei documenti. Segue la parte che descrive la Diplomatica speciale, con una introduzione e tre sezioni: Documenti sovrani, Documenti pontifici, Documenti privati. Le tre partizioni sono a loro volta suddivise in Caratteristiche interne e Caratteristiche esterne. L’articolo presenta un ricco corredo iconografico scelto dallo stesso Manaresi: due tavole in b/n e 13 illustrazioni non numerate inserite nel testo, di cui una sulle tavolette cerate di Pompei.

6 A. CAVATERRA, La voce « Archivio e Archivistica » di Eugenio Casanova nella Enciclo-pedia Italiana, in « Rassegna degli Archivi di Stato », LVII (1997), 1, pp. 37-45.

7 Ibid., p. 40. 8 ARCHIVIO STORICO DELL’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia Italia-

na, Corrispondenza (d’ora in poi AS IEI, EI, L), fasc. « Manaresi », Manaresi a EI, 4 apr. 1925. 9 Ibidem. 10 AS IEI, EI, L, fasc. « Lodolini », Lodolini a Gentile, 9 gen. 1926.

Alessandra Cavaterra

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Una voce cui si è dato dunque un rilievo adeguato che sottolineava la sua posizione di preminenza nel campo dello studio del patrimonio documen-tario.

Quando a Manaresi venne poi chiesta una trattazione su Documento, egli fece presente che intorno a tale soggetto aveva ampiamente trattato nell’arti- colo sulla diplomatica e suggerì un rinvio a questa voce 11. Il suggerimento venne accolto: la voce Documento, di Francesco Carnelutti, risulta molto breve (18 righe), generica, con due rinvii, a Prove e a Diplomatica.

La voce Paleografia fu affidata alla competenza di Luigi Schiaparelli, « stabile » di Paleografia e diplomatica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, e di Paul Maas dell’Università di Königsberg.

La voce comprende una introduzione seguita da un paragrafo sulla Storia degli studi paleografici, uno sulla Paleografia greca, entrambi di Paul Maas, e da un’ampia subvoce sulla Paleografia latina, redatta da Schiaparelli, che costituisce l’unico contributo dello studioso per l’Enciclopedia ed è uscito postumo. L’intera voce è molto ampia, di circa 21 colonne, da p. 34 a p. 47 del XXVI volume pubblicato nel 1935 (Schiaparelli era morto l’anno prima); otto sono le tavole fuori testo e moltissime le fotografie, gran parte delle quali distribuite fra le 13 colonne che costituiscono lo scritto di Schiaparelli.

Le altre voci « minori » relative alle scienze ausiliarie della storia furono ripartite per lo più tra Manaresi e Armando Lodolini. D’altra parte, gli archi-visti, dediti agli studi di queste materie, erano i più indicati alla diffusione di quei concetti.

Lodolini si offrì per tali scienze ausiliarie, e cioè « araldica, sfragistica, archivistica » 12, sulle quali, « anche a giudizio del severo editore » poteva vantare « una certa preparazione », e dichiarava che sarebbe stato « felice e orgoglioso » se avesse potuto « mettere questa a disposizione dell’E. V. per l’Enciclopedia Treccani » 13.

Il Lemmario di Storia medievale e moderna contiene (fino alla lettera C) alcune postille di Gentile, e curiosamente queste riguardano quasi soltanto argomenti attinenti le scienze ausiliarie; dato che accanto alle voci Acta Sanctorum, Albero genealogico, Almanacco, Annuario, Antiquaria, Araldica, Avanzi, Blasone è indicato il nome di Lodolini, ciò ha spinto alla convinzione che il Lemmario sia stato postillato dopo il 12 febbraio 1926, data di arrivo della lettera poco sopra citata. Oltre al nome dell’autore « papabile » sono vergati alcuni numeri riferentisi alle colonne o alle righe costituenti la lun-ghezza ideale della voce.

11 AS IEI, EI, L, fasc. « Manaresi », Manaresi a redazione EI, 1° ago. 1928, dove si citano due note della redazione, del 16 e del 26 luglio 1928, mancanti. La voce Diplomatica è stata aggiornata nella Quinta Appendice della Enciclopedia Italiana (1992) da Alessandro Pratesi.

12 AS IEI, EI, L, fasc. « Lodolini », Lodolini a Gentile, 9 gen. 1926, citata. 13 Ibidem.

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 239

Ma solo tre degli articoli postillati con il nome di Lodolini furono poi ef-fettivamente a lui affidati, e cioè Albero genealogico, Almanacco e Blasone (nonché altri cinque, di cui uno, Genealogia, presente nel Lemmario).

Araldica fu svolta da Manaresi ed è voce autorevole e importante, di 27 colonne distribuite tra p. 924 e p. 947 del IV volume edito nel 1930, con otto tavole in b/n e tre a colori, oltre a 31 illustrazioni più piccole: tutte le imma-gini furono fornite dallo stesso Manaresi. Quando gli venne proposto lo svolgimento della voce Armi: Araldica, obiettò che era « del tutto superflua dato che io ho trattato delle armi sotto la voce Araldica », ed infatti la tratta-zione sulle Armi non comprende riferimenti a questa disciplina, alla quale rinviano invece le voci Corona nobiliare e Stemma, come da lui richiesto 14; redasse invece Aquila: Araldica.

Lo scritto relativo ad Albero genealogico di Lodolini (vol. II, 1929, pp. 169-171) è di circa una colonna — contro le trenta righe annotate sul Lemma-rio — che si dilata in tre pagine per effetto delle illustrazioni 15, 4 tavole in b/n più sei figure anch’esse in b/n: « Non si può ampliare di più per non invadere il campo della voce Genealogia », rispondeva Lodolini il 19 ottobre del 1928 ad una lettera della redazione di Storia medievale e moderna dello stesso giorno 16; la missiva fu inviata per restituire il manoscritto della voce, « completato come da istruzioni » 17.

Probabilmente la primitiva previsione di trenta righe si era rivelata troppo povera; del resto le effettive necessità di spazio si chiarivano solo quando il volume cominciava completamente a delinearsi, smentendo a volte le previsioni fatte « a tavolino » da direttori di sezione, redattori e redattore capo, a causa ad esempio della mancata consegna di alcune voci, illustrazioni, oppure, al contrario, di trattazioni eccessivamente prolisse che sconfinavano dai limiti prestabiliti.

Della voce Almanacco, di quattro colonne e mezzo circa (vol. II, 1929, pp. 569-573), Lodolini stese la parte Storia, di due colonne, mentre il Lemma-rio ne prevedeva una. L’intera voce è costituita da una parte generale di Carlo Alfonso Nallino (professore di Storia e istituzioni musulmane nella Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Roma) e dalla parte sulla Bibliofilia di Seymour de Ricci, studioso francese.

La voce Blasone è trattata in due parti, una generale di poche righe, re-datta da Lodolini, a cui nel Lemmario era all’inizio affidata l’intera compila-zione, e una intitolata Il blasone popolare di Raffaele Corso dell’Istituto orientale di Napoli.

14 AS IEI, EI, L, fasc. « Manaresi », Manaresi a redazione EI, 1° ago. 1928, citata. 15 Le illustrazioni ricoprirono un ruolo fondamentale nell’Enciclopedia: Gentile ne capì il

valore didattico e volle l’opera riccamente ornata di disegni, figure e fotografie. Cfr. il catalogo della mostra La Treccani compie 70 anni… cit, p. 395.

16 AS IEI, EI, L, fasc. « Lodolini », Lodolini a redazione EI, 19 ott. 1928. 17 La lettera della redazione è solo citata da Lodolini ma non è presente nel fascicolo.

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Lodolini e Manaresi, ebbero altri incarichi per lo svolgimento di temi inerenti alle materie finora citate, apparendo gli studiosi più apprezzati per questo tipo di collaborazione.

Genealogia fu, come molte altre, voce di più autori e con una sfaccetta-tura cronologica. Nel volume XVI, del 1932, essa si presenta divisa in tre parti, Bibbia, di Giuseppe Ricciotti, ecclesiastico, biblista, Antichità classica, di Arnaldo Momigliano, Medioevo e epoca moderna, di Lodolini, che curò anche la bibliografia. La voce non risulta molto lunga né ornata di figure o di fotografie.

Per quanto riguarda la sfragistica, altra disciplina tradizionalmente inseri-ta nel novero delle scienze ausiliarie, il tema venne trattato sotto tale specifico lemma in modo molto sintetico da Manaresi (vol. XXXI, 1935), con un rinvio a Sigillo, voce in origine non prevista dal Lemmario. Il contributo di Manaresi a Sigillo, voce non breve e di molti autori, sembra poco consistente, limitato all’introduzione, che appare comunque firmata da « G. Ben. » (Goffredo Bendinelli, docente di Archeologia e Storia dell’Arte antica nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino). Potrebbe però essere sua la sezione Diplomatica, siglata, forse per errore, F. Ro. (Filippo Rossi, direttore presso la Sovrintendenza all’arte medievale e moderna di Firenze), autore del paragrafo successivo, intitolato Storia artistica.

Dall’esame delle carte di archivio sembra che sia stata affidata a Manare-si anche la voce Cronologia, benché essa non compaia nella sua scheda di assegnazione. Composta da più sezioni, una redazionale sull’Oriente (contras-segnata da un asterisco), una di Guido Giannelli (G.Gi.) dell’Università cattolica di Milano sulla Grecia e Roma, e una di anonimo per il Medioevo e l’età moderna, non presenta il nome di Manaresi, molto probabilmente perché venne assai rimaneggiata, come notò egli stesso il 13 giugno 1931 scrivendo alla direzione dell’Enciclopedia, con ogni probabilità al ricevimento delle bozze: « Quanto allo smembramento che si è fatto della voce Cronologia, poiché è stato suggerito dai fini enciclopedici, non ho nulla da obiettare ».

Qualcosa obiettò per la voce Nobiltà, assai articolata; essa era infatti composta da una introduzione di Giovanni Sabini, libero docente di Diritto pubblico nell’Università di Roma; un paragrafo sulla “Nobilitas” romana diviso tra Giuseppe Cardinali, preside della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Roma e ordinario di Storia romana nella stessa facoltà, e Manaresi, un altro sulla Nobiltà nel Medioevo e nell’età moderna, ancora di Manaresi; infine da uno sulla Nobiltà nel diritto pubblico italiano — con un subparagrafo sull’Ordinamento attuale in Italia — a metà fra Sabini e Mana-resi, mentre la bibliografia non è firmata. Notava Manaresi: « Quanto alle inserzioni di parti redatte da altri collaboratori, debbo osservare che ne è risultata una certa discontinuità di pensiero, come ad esempio là dove io avevo messo in rilievo che la nobiltà romana era connessa con l’ufficio e non ereditaria, a somiglianza di quella medievale al tempo degli Ottoni. Per

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il resto non posso che inchinarmi a chi in argomento ne sa certamente più di me » 18.

Nell’ambito della materia cronologica Manaresi redasse gli articoli Era e Data che comprendevano una parte redazionale e presentavano le medesime scansioni: Grecia, Roma, Medioevo ed Età moderna.

Le competenze che i due autori dimostravano sono sintomatiche del tipo di formazione allora richiesto agli archivisti che padroneggiavano assai meglio le scienze ausiliarie della storia che la disciplina archivistica ancora in fase di elaborazione. Non meraviglia del resto questa tendenza in un’epoca in cui la storiografia era orientata per lo più al Medioevo e all’età moderna come terreno nobile della ricerca, e le discipline ausiliarie erano un mezzo per approfondire la conoscenza di quei periodi storici.

Il quadro archivistico si completa con le voci su Mabillon e Bonaini. Su Jean (« Giovanni » nel Lemmario) Mabillon scrisse Manaresi, su Francesco Bonaini Antonio Panella, dell’Archivio di Stato di Firenze. Anche Panella fu un protagonista nella costruzione della Enciclopedia Italiana, con importanti e numerosi interventi.

3. Le voci di cultura generale. — Negli elenchi dei collaboratori dell’En-

ciclopedia e in appendice al volume di Giovanni Treccani Enciclopedia Italiana. Come e da chi è stata fatta (Milano 1947) è possibile rintracciare gli autori delle singole voci. La ricerca è facilitata dalle specificazioni professio-nali e dai titoli scientifici che seguono il nome di ogni collaboratore. Ciò ha consentito di individuare tra gli autori diversi archivisti dell’epoca, molti dei quali impegnati negli Archivi di Stato, altri in archivi ecclesiastici o locali, altri ancora stranieri.

Erano gli stessi collaboratori dell’Enciclopedia a declinare, insieme con le loro generalità, i titoli professionali e accademici in un apposito modulo, spedito loro a cura della segreteria con preghiera di rinvio. Qualche volta, per errori o distrazioni dell’ufficio di segreteria, erano costretti a puntualizzazioni o correzioni di quanto pubblicato. Forse è stato così anche nel caso di Ar-mando Lodolini, che nel volume II dell’Enciclopedia (il primo a cui collabo-rò) fu definito « avvocato in Roma » 19, probabilmente perché la carta su cui scrisse era intestata « Comm. Avv. Armando Lodolini. Pubblicista ». Dal III volume in poi, dopo una intuibile ma non documentata puntualizzazione, comparve come appartenente agli Archivi di Stato.

Gli archivisti chiamati a collaborare all’Enciclopedia furono trenta, di cui ventidue dell’Amministrazione dello Stato, uno di un archivio locale (il Civico di Milano) e sette di archivi ecclesiastici, di cui tre dell’Archivio

18 AS IEI, EI, L, fasc. « Manaresi », in particolare per la citazione, Manaresi a EI, 4 apr. 1934.

19 Ibid., fasc. « Lodolini », Lodolini a Gentile, 9 gen. 1926. Il suo ingresso negli Archivi di Stato risale al 1909 a Modena, nel 1911 fu trasferito all’Archivio di Stato di Roma.

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segreto vaticano 20. Certamente tra questi si trovano i più bei nomi dell’archi- vistica dell’epoca: Casanova, Lodolini, Manaresi, Panella, Vittani, Bonelli, Loevinson, Re. Il numero di archivisti non è irrisorio se rapportato ai 3.266 autori chiamati a redigere le voci dell’Enciclopedia. Ai 28 si possono aggiun-gere 14 archivisti stranieri chiamati a dare il loro contributo ad un’opera che, pur destinata alla cultura nazionale, voleva essere di amplissimo respiro.

Agli archivisti vennero comunque affidate non solo voci squisitamente tecniche, ma anche altre di cultura più generale. La pratica quotidiana con i documenti e con le fonti rendeva gli archivisti i ricostruttori ideali del substra-to storico locale, nel quadro di un’opera sentita e pensata quale strumento per rafforzare il senso di appartenenza ad una comune tradizione culturale: gli archivisti rivestivano un ruolo non secondario nel portare o riportare alla luce istituzioni, personaggi, azioni spesso minori, legati a determinate aree geogra-fiche. Essi furono infatti tra i più prolifici autori di quelle biografie cui tanto teneva Gentile 21 e non mancarono di fornire voci anche su famiglie patrizie di ogni regione italiana.

Anche se in linea di massima le voci affidate agli archivisti non sono di grande rilevanza, alcune di esse hanno un certo peso: ad Antonio Panella e a Bernardino Barbadoro, entrambi dell’Archivio di Stato di Firenze, spettò il compito di redigere, il primo una storia della Toscana dal V secolo d.C., il secondo quella di Firenze, mentre a Georges Bourgin, delle Archives nationa-les di Francia, fu richiesta la storia di Parigi: la maggior parte delle collabora-zioni riguardò tuttavia temi meno ampi. Va però anche detto che alcuni archivisti vennero reclutati perché esperti di argomenti che esulavano dallo specifico ambito delle discipline tecniche e dalla storia locale.

Va qui innanzitutto ricordato il napoletano Fausto Nicolini, ispettore ge-nerale degli Archivi di Stato 22 e docente di Letteratura italiana. La figura di Nicolini, amico fidato di Gentile, è molto importante nella storia dell’Enciclo- pedia, perché grazie alle sue vaste competenze scrisse un buon numero di voci (più di 70) e rivide molti lemmi altrui, fra cui Archivio e archivistica di Casanova 23. La sua frequentazione con Gentile non gli impediva di essere in rapporti di amicizia anche con Benedetto Croce, la cui rottura con il direttore scientifico dell’Enciclopedia italiana era ormai insanabile. Sembra che Nico-lini abbia tentato un riavvicinamento tra i due filosofi, stando alle lettere che scriveva a Gentile a proposito di temi da inserire nei vari volumi, per i quali suggeriva di rivolgersi a Croce che, come si sa, aveva rifiutato di collaborare all’Enciclopedia 24.

20 Cfr. Appendice. 21 Per la preparazione del Dizionario biografico degli Italiani v. D. CIONI, La biografia na-

zionale… cit., pp. 272-274. 22 Sulla carica di ispettore degli Archivi di Stato cfr. E. LODOLINI, Organizzazione e legi-

slazione archivistica italiana, Bologna 1989, pp. 411-413. 23 Cfr. A. CAVATERRA, La voce… cit., passim. 24 AS IEI, EI, L, fasc. « Nicolini », Nicolini a Gentile, 6 gen. 1928.

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Nicolini, oltre a redigere numerose voci su personaggi napoletani, di varia rilevanza, spaziando dal campo storico (Domenico Caracciolo, Gaetano Filangieri, Pietro Giannone, Giambattista Marino, Luigi Settembrini) a quello letterario ed artistico (attori e attrici, poeti ecc.), affrontò anche la biografia di illustri europei del Cinque, Sei e Settecento, e soprattutto scrisse su molte maschere italiane della Commedia dell’arte (Arlecchino, Brighella, Pulcinella, Zani), su cui aveva una particolare competenza. Un collaboratore, dunque, molto prezioso per l’Enciclopedia, nel quale Gentile riponeva grande fiducia, tanto da nominarlo tra l’altro nel 1926 coordinatore della Commissione per l’Italia meridionale per il Dizionario biografico 25.

L’estremo scrupolo scientifico di Nicolini lo portò a non accettare l’incarico ricevuto da Gentile di redigere la voce Archivio, poi assegnata a Casanova, in quanto dichiarò di non essere « la persona più adatta », giacché « i miei studi di archivistica risalgono al 1908 » 26.

Un altro archivista napoletano, Alessandro Cutolo, fu incaricato di di- verse voci, ventisette per l’esattezza, legate alla storia del Mezzogiorno, ma con qualche eccezione (come quelle sull’antipapa Niccolò V e sullo Stato dei Presidi).

Antonio Panella aveva invece una formazione più squisitamente tecnica rispetto all’erudito Nicolini. Archivista di Stato, docente di Archivistica presso la Scuola speciale per bibliotecari e archivisti paleografi dell’Università degli studi di Firenze dal 1925 27, negli elenchi dei collaboratori è indicato fino al vol. XX (1933) come archivista presso l’Archivio di Stato di Firenze, e in seguito, dal XXI (1934) e fino alla fine (1937), direttore del medesimo archi-vio 28. Prima di lui, la carica di direttore era stata ricoperta da Bernardino Barbadoro, anch’egli collaboratore dell’Enciclopedia che, assumendo nel 1931 quelle funzioni, scrisse a Gentile che ciò gli dava la possibilità di « restituire all’Archivio di Stato la sua vera efficienza come istituto di cultura » 29. Barba-doro era contemporaneamente incaricato di Storia presso l’Istituto superiore di magistero di Firenze, nonché direttore dell’« Archivio storico italiano » e vice segretario del Consiglio direttivo della Deputazione di storia patria per le province toscane. Barbadoro lasciò gli archivi per l’università nel 1932, e Panella fu nominato suo successore.

La collaborazione di Panella fu consistente e continuativa: scrisse in 20 dei 35 volumi complessivi cominciando dal VI, per un totale di quasi 50 voci. L’unico contributo di carattere archivistico è proprio la biografia di Bonaini

25 Cfr. A. CAVATERRA, La voce… cit., p. 38. 26 Ibidem. 27 E. LODOLINI, Archivistica. Principi e problemi, Milano 1984, p. 249. 28 Nei ruoli matricolari del personale dell’Amministrazione degli Archivi di Stato Panella è

indicato quale direttore dal 1932. 29 AS IEI, EI, L, fasc. « Barbadoro », Barbadoro a Gentile, 13 feb. 1931.

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da lui in seguito ripresa 30; tutti gli altri, tranne due, sono biografie di uomini o donne fiorentini o toscani, alcune delle quali relative a personaggi ragguar-devoli, come Cosimo I de’ Medici, l’imperatore Leopoldo II (per la parte che lo descrive quale granduca di Toscana), Pompeo Neri, Giuseppe Montanelli. Non a caso la materia della collaborazione indicata nell’elenco dei collabora-tori accanto al nome e ai titoli è « Storia toscana ». La voce di notevole ampiezza Toscana. Storia (quasi otto colonne nel vol. XXXIV del 1937) comincia, come si è detto, dal V sec. d.C., e presenta per il periodo preceden-te due rinvii; Etruschi: Storia e Etruria. La bibliografia, di una colonna e mezzo, fu siglata da Sergio Camerani (Ser. C.), archivista dell’Archivio di Stato di Firenze, che portò all’Enciclopedia questo solo contributo 31.

Alcuni anni prima, nel 1927, a Barbadoro era stata affidata la voce Fi-renze: Storia, pubblicata nel vol. XV del 1932. In un primo momento gli era stata commissionata solo la parte di storia medievale 32, ma in seguito l’impegno venne allargato alla parte moderna. Ne risultò una trattazione di più di 12 colonne: « Giunto al 1530 sono rimasto imbarazzatissimo, non soltanto per l’angustia dello spazio, ma anche perché le successive vicende apparten-gono piuttosto alla voce Toscana che a quella Firenze: ma credo di essermela cavata bene, completando la voce attuale senza invadere quella futura. In tutto l’articolo, che è contenuto nei rigorosi limiti di spazio assegnati, ho messo in sobria evidenza tutti quei nomi che hanno riscontro in altre voci del- l’Enciclopedia » 33. L’ultima frase dimostra una sensibilità enciclopedica piut- tosto notevole: scrivere con questi accorgimenti significa porre il lettore in grado di approfondire un argomento con cognizione di causa, in sintonia con la funzione pedagogica dell’opera. Da un altro passo della lettera citata Barbadoro sembra essere convinto che gli sarebbe spettata la trattazione storica relativa alla Toscana. Ma nella scheda di assegnazione e nella corri-spondenza non c’è traccia in proposito: la sua collaborazione terminò nel 1936 con il XXX volume (lettera « S »), ma già dal 1933 l’impegno si era diradato.

È da notare che sugli elenchi dei collaboratori Barbadoro non risulta ar-chivista di Stato, ma professore nel R. Istituto superiore di magistero di Firenze; ciò non deve meravigliare perché anche quando nel 1931 venne nominato direttore dell’Archivio di Stato di quella città, scriveva a Gentile che non intendeva rinunciare alle sue « più vere vocazioni per l’insegna- mento » 34. La sua qualifica di storico spiega del resto l’affidamento di tre

30 A. PANELLA, Archivisti italiani: Francesco Bonaini, in « Notizie degli Archivi di Stato », II, 1942, pp. 163-165.

31 In seguito, dal 1954 al 1969, Camerani divenne direttore di questo Archivio. 32 AS IEI, EI, L, fasc. « Barbadoro », Barbadoro a Gentile, 22 dic. 1927. 33 Ibid., Barbadoro a Gentile, 28 dic. 1931. 34 Ibid., Barbadoro a Gentile, 13 feb. 1931.

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voci su alcune tipologie di fonti quali: Commentari, Cronaca, Diario. All’ini- zio riluttante, come emerge da una lettera in cui prega Gentile di dispensarlo « dall’assumere Commentari, Cronaca, Diario, che ella ultimamente mi pro- poneva con sua cortese lettera del 27 ottobre [1930] », si lasciò in seguito convincere e inviò gli articoli, seppure in leggero ritardo, ma « a scusarmi dell’indugio valga l’aver io accettato certe voci non facili soltanto per spirito di disciplina e per doveroso ossequio al suo desiderio » 35.

Umberto Dorini, direttore dell’archivio fiorentino prima della direzione di Barbadoro, collaborò in modo limitato con appena cinque voci, per lo più biografie di famiglie o personaggi fiorentini o toscani, a tre dei volumi del- l’Enciclopedia, tra il 1929 e il 1931.

Anche Lodolini e Manaresi scrissero voci biografiche oppure su luoghi o istituti medievali e moderni. Il primo pose la sua firma sotto le brevi biografie di protagonisti minori del Risorgimento (Luigi Angeloni, Federico Campanel-la) e del romanista Antonio Bosio 36 nonché di due famiglie romane, Pamphilj e Odescalchi; Manaresi fu l’autore di diversi articoli piuttosto brevi su istitu-zioni medievali lombarde (è sua, ad es. la voce Carroccio, il cui contenuto, peraltro, non è esclusivamente lombardo, mentre lo è la bibliografia).

La collaborazione di Ermanno Loevinson, archivista prima a Roma con l’incarico di « capo archivista » 37, poi direttore a Parma e a Bologna, esce invece dall’ambito della storia locale. Loevinson fu contattato da Vittorio Fiorini, responsabile della sezione di Storia del Risorgimento, una delle tre nelle quali la materia storica venne divisa. In una lettera a Volpe del 10 aprile 1925 Loevinson riteneva di essere stato scelto da Fiorini per alcuni suoi scritti su Garibaldi e sugli ufficiali napoleonici. Ma al tempo stesso informava Volpe « nella sua qualità di direttore della sezione di Storia moderna », di essere disponibile per una più ampia collaborazione, facendo presenti due campi « coltivatissimi da me, seppure in via secondaria: storia tedesca medievale e moderna e storia degli ebrei ». Ricordava di avere studiato storia medievale e moderna all’Università di Berlino e di avere lì conseguito la laurea prima di quella in Lettere all’Università di Roma; adduceva infine come titoli di merito diverse sue pubblicazioni in italiano e in tedesco 38.

Il contributo di Loevinson fu imponente, con circa 80 voci distribuite in vari volumi, tutte relative alla storia austriaca e tedesca. Per molte di esse si servì di collaboratori, a nome dei quali chiese più volte compensi straordi-nari 39. Numerosissime sono le biografie, tra cui quelle di diversi Asburgo, di

35 Ibid., Barbadoro a Gentile, 7 apr. 1931. 36 La redazione della biografia di Antonio Bosio, autore di Roma sotterranea, ampio studio

sulle catacombe, fece attribuire a Lodolini, nell’elenco dei collaboratori, tra le materie trattate, l’archeologia.

37 AS IEI, EI, L, fasc. « Loevinson », Loevinson a Volpe, 10 apr. 1925. 38 Ibidem. 39 Ibid., Loevinson a EI, 14 mar. 1928 e 22 mar. 1932.

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Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht. Diverse sono anche le trattazioni storiche di voci geografiche (Assia, Bamberga, Brandeburgo ecc.) e suo è l’articolo sugli Junker.

L’impossibilità di stabilire con precisione il numero esatto di voci redatte da Loevinson è dovuto al fatto che dalla corrispondenza risulta che egli inviò all’Enciclopedia alcune trattazioni non incluse nella scheda di assegnazione e pubblicate nei volumi senza sigla. L’unica identificabile di queste voci è la breve biografia di Hitler, inviata nel 193140 e poi di nuovo « aggiornata, rifatta, ampliata » nel luglio 1932 41, circa un anno prima della pubblicazione nel XVIII volume (giugno 1933) nel quale fu inserita. La voce potrebbe non essere siglata probabilmente perché, di solito, secondo una disposizione di Gentile, le biografie dei personaggi viventi dovevano apparire anonime. Il contenuto è estremamente cauto, senza giudizi sia pure velati.

Loevinson elaborò anche voci previste dal Lemmario, ma in seguito non pubblicate (come Koller, Alessandro) a causa di scelte editoriali che hanno portato a tagli consistenti del materiale a disposizione.

Sulle competenze di storia locale degli archivisti i responsabili dell’En- ciclopedia fecero invece affidamento per altri lemmi. Se per Roma, data la sua importanza — per così dire — ideologica, la trattazione venne affidata a storici di fama, Giorgio Falco e Alberto Maria Ghisalberti, per Trento e Trentino, zone con minoranze linguistiche, la scelta cadde su Antonio Zieger, che nell’elenco dei collaboratori è qualificato come « direttore dell’Archivio di Stato di Bolzano », anche se, secondo le fonti ufficiali, tale carica venne ricoperta ad interim tra il 1930 e il 1935 da Fulvio Mascelli, direttore dell’Archivio di Stato di Trento. Zieger collaborò a diversi volumi, dal XIV al XXXV (venne contattato anche, come molti altri, per la II Appendice, 1947-1948) e in tutti la carica riportata nell’elenco dei collaboratori è quella di responsabile dell’Archivio di Stato di Bolzano; ma nel vol. XXX (1936) appare come direttore dello stesso Archivio un altro nominativo: Guido Pantanelli 42 (G. Pant.), chiamato a trattare il lemma Sabbioneta.

È probabile che, dato l’interim di Mascelli, a Zieger sia stata affidata de facto la responsabilità dell’Istituto, situazione rimasta tale anche quando Pantanelli assunse la gestione dell’Archivio nel 1935 43. Non meraviglia che a Pantanelli sia stata commissionata la voce Sabbioneta dato che come direttore dell’Archivio di Stato di Mantova dal 1930 al 1935 poté acquisire una cono-scenza diretta della storia di quel territorio. Un altro direttore dell’Archivio di

40 Ibid., Loevinson a EI, 22 mag. 1931. 41 Ibid., Loevinson a EI, 20 lug. 1932. 42 Sugli elenchi dell’Enciclopedia è erroneamente indicato il nome Giuseppe. 43 Zieger sarà poi direttore dell’Archivio di Stato di Trento dal 1943 al 1947. Cfr. L’atti-

vità dell’amministrazione archivistica nel trentennio 1963-1992. Indagine storico-statistica, a cura di MANUELA CACIOLI, ANTONIO DENTONI-LITTA, ERILDE TERENZONI, Roma 1996, pp. 339 e 347.

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Stato di Mantova, Pietro Torelli (1920-1930), fu autore di due voci, una sul conte Carlo d’Arco, pittore mantovano, dunque di storia locale, e una più generale e più impegnativa, Scolastici, di storia del diritto.

Continuando l’esame delle voci affidate agli archivisti appare riconferma-ta la preminenza delle biografie e della storia locale rispetto ad altre materie: così, se per le biografie di Federico II e di Federico III, di altri re siciliani e di Giovanni da Procida fu chiamato Giuseppe La Mantia, direttore dell’Ar- chivio di Stato di Palermo, a cui furono affidate anche le trattazioni storiche di Marsala e Monreale, ad Emilio Re, indicato prima come appartenente all’Archivio di Stato di Roma (vol. II, 1929), poi (voll. III e VII, 1929 e 1930) direttore dell’Archivio di Stato di Napoli, furono commissionate le voci di sei famiglie nobili romane. Bernardino Barbadoro ebbe a sua volta il compito di redigere, oltre a quelle già citate, le voci Consorteria, Marzocco e la biografia di Carlo di Valois; ad Antonio Panella si devono tra l’altro le biografie di Cambray Digny, di Pompeo Neri, di Giangastone de’ Medici, di Ferdinando di Lorena e di tanti personaggi minori operanti in Toscana tra il Medioevo e il Risorgimento.

Eugenio Lazzareschi, direttore dell’Archivio di Stato di Lucca, scrisse tra l’altro la biografia di Castruccio Castracani e voci su famiglie lucchesi, oltre alla trattazione sul Volto Santo, la celebre scultura venerata nella cattedrale di Lucca; Giovanni Cecchini, direttore dell’Archivio di Stato di Siena, fu incari-cato della stesura della parte di storia medievale e moderna della voce Siena; don Giovanni Drei 44, direttore dell’Archivio di Stato di Parma, redasse la subvoce Storia dell’articolo su Bobbio; don Filippo Pottino, dell’Archivio di Stato di Palermo, offri il suo contributo con la trattazione sulla famiglia patrizia siciliana dei Lanza e la biografia di P. Lanza di Scalea. Anche ad Emanuele Librino, « primo archivista nell’Archivio di Stato di Roma », come recita la specifica professionale sull’elenco dei collaboratori del volume III, fu commissionata, quale esperto di cultura siciliana — aveva in precedenza prestato servizio presso l’Archivio di Stato di Palermo —, la biografia di Tommaso Fazello, l’erudito cinquecentesco autore del monumentale De rebus siculis.

Giuseppe Bonelli, dell’Archivio di Stato di Milano, e Giovanni Vittani, direttore del medesimo Archivio, collaborarono all’Enciclopedia italiana con una voce ciascuno, distinguendosi dagli altri per l’originalità del contributo. A Bonelli venne commissionata una parte della storia della caccia (vol. VIII, 1930), ma enucleare il suo contributo non è facile: le scansioni della voce non riportano al termine la sigla di nessuno degli autori, che compaiono tutti insieme alla fine dell’articolo, per cui l’ipotesi più plausibile è che Bonelli abbia scritto il paragrafo sulla caccia nel Medioevo e nell’età moderna.

Il nome di Giovanni Vittani, che scrisse la voce Vittani, famiglia nel volume XXXV (1937), era stato fatto anni prima anche per la voce Archivio,

44 Drei e Pottino, di seguito citato, erano sacerdoti.

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come attesta una postilla di Gentile che, su probabile suggerimento di Nico- lini 45, prendeva in considerazione la possibilità di affidargli tale importante trattazione. Nulla sappiamo sul seguito della vicenda: non si conoscono contatti tra i responsabili dell’Enciclopedia e Vittani dato che manca il suo fascicolo nell’archivio dell’Istituto, anche se esso doveva in origine esistere se non altro per la collaborazione da lui prestata all’ultimo volume dell’opera. L’unica cosa certa è che la voce Archivistica venne alla fine affidata non a Vittani ma a Casanova.

Ancora per Milano ci furono qualificati interventi del direttore dell’ar- chivio civico, Ettore Verga, anche in questo caso quasi esclusivamente di natura biografica, Francesco I Sforza duca di Milano, Francesco II Sforza duca di Milano, per esempio, e ancora Beatrice di Tenda, Bona Sforza, Gian Galeazzo Sforza.

Si può dunque concludere che nella collaborazione degli archivisti al- l’Enciclopedia italiana prevalgano le voci biografiche affidate anche a chi era stato chiamato ad intervenire su materie più specialistiche come Manaresi e Lodolini.

Analogo ma non identico il destino per gli archivisti stranieri. Spicca fra tutti il nome di Georges Bourgin, delle Archives Nationales di

Parigi, che scrisse per l’Enciclopedia circa 230 contributi, numero rilevantis-simo che lo rende presente in tutti i volumi. Si tratta per lo più di voci non lunghe, su molte città e personaggi francesi, ma di altre più ampie ed impor-tanti, come Stati Generali (vol. XXXII, 1936), di due colonne e mezza, Parigi. Storia (dal III sec. d.C.), di 6 colonne nel vol. XXVI, Legione d’onore, 1 colonna, vol. XX (1933).

Bourgin coinvolse nella redazione delle voci due suoi collaboratori, Paul Courteault e Henri Patry. Del primo, da non confondere con lo storico omo-nimo, non si conosce bene la qualifica: sulla scheda di assegnazione, dove era annotata la professione, è indicata la sola provenienza, Parigi. Egli si limitò a redigere la parte della voce Bordeaux riguardante i monumenti; H. Patry, delle Archives Nationales, fu più prolifico, con 26 voci pubblicate tra biogra-fie e trattazioni storiche di località.

Venne contattato anche Henri Courteault, « conservateur aux Archives Nationales, Secrétaire général de la Société de l’histoire de France », come egli stesso si definì nella scheda per la registrazione dei dati inviatagli dall’Enciclopedia 46. Era figlio di Paul, storico francese, di cui gli venne richiesta la biografia, che non fu però pubblicata. Anche altre voci di storia francese da lui proposte (per es. Ecole des chartes 47, Fronda e altre) non ebbero seguito.

45 Cfr. A. CAVATERRA, La voce… cit., pp. 38-39. 46 AS IEI, EI, L, fasc. « Courteault, Henri ». 47 Ecole des chartes, assente dall’Enciclopedia, era stata prevista dal Lemmario di Storia

medievale e moderna.

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Un altro illustre archivista collaboratore fu José A. de Luna, dell’Ar- chivo General de Indias di Siviglia autore di 111 voci di « storia spagnola e ispano-americana », come informano molti volumi dove gli articoli di de Luna compaiono.

Tra i collaboratori stranieri, si trovano quattro archivisti boemi, tra cui Jan Novák, direttore dell’Archivio nazionale, il quale contribuì tra l’altro con la parte storica su Zagabria e la biografia del vescovo di Praga, Adalberto.

Il direttore dell’Archivio federale di Berna, Heinrich Türler, collaborò con articoli di « storia svizzera » come le trattazioni su Berna, Basilea, sul Baden e sulla vita di personaggi storici svizzeri di varie epoche, e di « storia dell’economia ».

Un archivista dell’Archivio di Stato di Vienna, Rudolf Wolkan, fu inca-ricato dell’importante voce sulla storia dell’Austria.

Pur richiedendo agli archivisti stranieri numerosissime biografie, la reda-zione sembrava maggiormente interessata ai contributi riguardanti la storia di località o regioni.

Anche gli archivisti ecclesiastici collaborarono, per quanto di loro com-petenza, a voci biografiche, per lo più vite di santi, quali Filippo Neri di Pericle Perali, dell’Archivio Vaticano, Giacinta, santa di Aniceto Chiappini, « bibliotecario e archivista generale dei Frati Minori », Bruno, santo, di Medardo Ilge, archivista della Certosa di Farneta nella provincia di Lucca, Felice da Cantalice di Fredegando d’Anversa, archivista generale dei Frati minori cappuccini.

Di maggiore spessore gli interventi di Bruno Katterbach, dell’Archivio Vaticano, autore, per la voce Archivio e archivistica, della parte sull’istitu- zione ove prestava la sua opera. Per l’Enciclopedia scrisse anche Abbreviato-ri, Bolla, Breve.

4. Le voci Archivio e Archivistica (1948-1991). — La voce di Casanova

Archivio e archivistica, comparsa nel IV volume dell’Enciclopedia datato 1929, fu aggiornata nel primo volume della Seconda Appendice del 1948 da Emilio Re nel lemma Archivio. La voce consta di una colonna (con ogni probabilità richiesta esplicitamente dalla redazione dell’opera) ma, per effetto delle tavole in b/n che illustrano la voce precedente, Architettura, essa ab-braccia le pp. 232 e 241. L’articolo si apre con l’aggiornamento normativo. La legge del 1939 viene riassunta in alcune righe e di essa sono citate le novità più importanti: l’istituzione di un archivio in ogni provincia (« una sezione d’archivio in ogni capoluogo di provincia »), la ricostituzione delle Sovrintendenze per la vigilanza sugli archivi privati, di cui si sottolinea l’importanza, la concentrazione degli archivi notarili anteriori al 1800 negli Archivi di Stato. Gran parte della voce è dedicata agli archivi durante la guerra e alle distruzioni subite, con riferimento quasi esclusivo alla situazione italiana; la bibliografia contiene riferimenti alle pubblicazioni all’epoca più

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recenti, cioè il periodico « Notizie degli Archivi di Stato » nato nel 1941 e il volume Gli Archivi di Stato italiani (Bologna 1944) che costituisce una prima guida del patrimonio documentario del nostro paese.

Né la Terza (1961) né la Quarta Appendice (1978-1981) previdero una revisione, benché l’emanazione del d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409 avrebbe potuto essere un’occasione per rinnovare il lemma; l’istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali viene registrata nella Quarta con un accenno sotto le voci Biblioteca e Restauro.

La Quinta Appendice (vol. I, 1991) contiene l’aggiornamento del tema degli archivi nell’ambito della voce Beni culturali e ambientali, che si confi-gura in sostanza come un excursus delle norme emanate nel settore. La voce dunque è costituita da una serie di subvoci, Legislazione a tutela dei beni di Raffaele Feola, di cinque colonne, a mo’ di introduzione, Beni archeologici di Licia Vlad Borrelli, di una colonna e mezza, Beni artistici di Maria Luigia Pagliani, di due colonne, Beni architettonici di Susanna Pasquali, anch’essa di due colonne, Beni archivistici di Paola Carucci, di tre colonne circa, Beni librari di Armando Petrucci, che consiste in poco più di una colonna. La voce prende in esame la tutela dei beni culturali, ma, nonostante il titolo, mancano quelli ambientali, a cui peraltro si accenna nella parte introduttiva, con un rinvio alla voce Ambiente (non c’è però analogo rinvio alla voce Architettura quando si tratta dei beni architettonici).

La voce Beni archivistici era stata affidata a Claudio Pavone, che suggerì il nome di Paola Carucci. Il compito primario di illustrare oltre quarant’anni di normativa ha impedito in gran parte di affrontare i progressi teorico-dottrinali, anche se non manca un breve cenno alla sempre più rilevante attività editoriale dell’Amministrazione archivistica dal 1980 in poi.

La subvoce si apre con le più importanti novità legislative introdotte tra cui, in primis, la « legge sugli archivi », il d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409, sopra citato e l’istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, con d.l. 14 dicembre 1974, n. 657, convertito nella 1. 29 gennaio 1975, n. 5.

L’articolo non rinuncia a rimarcare alcune manchevolezze della normati-va, quali le competenze lasciate al Ministero dell’interno in ordine alla con-sultazione anticipata di documenti riservati e la soppressione di un organo consultivo collegiale in cui erano rappresentati archivisti e storici.

Nell’Appendice 2000 la trattazione sugli archivi a cura di Maria Guercio ancora contenuta all’interno del lemma Beni culturali e ambientali, pur dando conto delle norme più recenti — da quelle sulla consultabilità dei documenti (l. 31 dic. 1996, n. 675 e d.lgs. 30 lug. 1999, n. 281) al testo unico sui beni culturali (d.lgs. 29 ott. 1999, n. 490) —, dà largo spazio alla teoria, soprattut-to in relazione alle nuove problematiche nate con l’innovazione tecnologica e « l’introduzione dell’informatica nella fase di gestione e, ancor più, in quella della creazione dei documenti ».

Un paragrafo della subvoce riguarda gli Archivi non statali di Gabriella Nisticò, dove si sottolinea il crescente interesse di numerosi istituti culturali

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 251

per la salvaguardia e la valorizzazione della propria documentazione. Un interesse che in questi ultimi anni si è esteso alla creazione di apposite reti informatiche che permettono « una comunicazione tra fonti conservate in luoghi diversi » per « integrare “virtualmente” ciò che è fisicamente separa-to », e per ricomporre in unità « i vari frammenti di una memoria comune ».

ALESSANDRA CAVATERRA Istituto della Enciclopedia italiana

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A P P E N D I C E

ARCHIVISTI CHE HANNO COLLABORATO ALLA ENCICLOPEDIA ITALIANA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI

ARCHIVISTI DI STATO 1. BARBADORO, Bernardino (B. B.) - AS Firenze

Alberti, conti (vol. II) Anzilotti, Antonio (vol. III) Campaldino (vol. VIII) Carducci, Francesco (vol. VIII) Carlo di Valois (vol. IX) Cerchi (vol. IX) Certaldo: Storia (vol. IX) Commentari (parte generale) (vol. X) Compagnacci (vol. X) Compagni, Dino (vol. X) Consorteria (vol. XI) Cortona: Istituti di cultura, Storia (seconda parte) (vol. XI) Cronaca (vol. XII) Davidsohn, Robert (vol. XII) Diario (vol. XII) Donati, Corso (vol. XIII) Fiesole: Storia (seconda parte) (vol. XV) Firenze: Storia. Età medievale e moderna (vol. XV) Frescobaldi (parte generale) (vol. XVI) Giano della Bella (vol. XVI) Gonfaloniere (vol. XVII)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 253

Gubbio: Storia (seconda parte) (vol. XVIII) Malebranca, Latino (vol. XXII) Marzocco (vol. XXII) Monteaperti: La battaglia di Monteaperti (vol. XXIII) San Genesio (vol. XXX)

2. BONELLI, Giuseppe (Gius. B.) - AS Milano

Caccia (vol. VIII)

3. CAMERANI, Sergio (Ser. C.) - AS Firenze Bibliografia di Toscana. Storia (vol. XXXIV)

4. CASANOVA, Eugenio (Eu. C.) - AS Roma

Archivio e archivistica (vol. IV)

5. CECCHINI, Giovanni (Gio. Ce.) - AS Siena

Siena: Storia. Medioevo e età moderna (vol. XXXI)

6. CUTOLO, Alessandro (A. Cu.) - AS Napoli Ladislao d’Angiò Durazzo, re di Napoli (vol. XX) Luigi di Taranto, re di Sicilia (vol. XXI) Luigi I d’Angiò, re titolare di Sicilia (vol. XXI) Luigi II d’Angiò, re titolare di Sicilia (vol. XXI) Luigi III d’Angiò, re titolare di Sicilia (vol. XXI)

Maria d’Enghien, regina di Sicilia (vol. XXII) Maria di Blois (o di Châtillon), regina titolare di Sicilia (vol. XXII) Marzano (vol. XXII) Niccolò V antipapa (vol. XXIV) Orsini del Balzo (prima parte) (vol. XXV) Perrelli, monsignor (vol. XXVI) Philo (anche Filo) (vol. XXVII) Pipino conti di Altamura (vol. XXVII) Presidi, Stato dei (vol. XXVIII) Ripandelli (vol. XXIX) Ruffo, Fabrizio, principe di Castelcicala (vol. XXX) Sangro, di (vol. XXX) Sangro, Raimondo di, principe di Sansevero (vol. XXX) Sanseverino (vol. XXX)

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Sanseverino, Ferrante, principe di Salerno (vol. XXX) Serracapriola, Antonino Maresca, duca di (vol. XXXI) Sorrento: Storia (seconda parte) (vol. XXXII) Stefaneschi, Jacopo Gaetano (vol. XXXII) Strongoli, principi di (vol. XXXII) Torre Annunziata: Storia (vol. XXXIV) Torre del Greco: Storia (vol. XXXIV) Zurlo, Giuseppe (vol. XXXV) 7. DORINI, Umberto (U. D.) - AS Firenze Albizzi (vol. II) Albizzi, Rinaldo degli (vol. II) Berardenga, abbazia della (vol. VI) Dei, Andrea (vol. XII) Dei, Benedetto (vol. XII) 8. DREI, Giovanni (G. Drei) - AS Parma

Bobbio: Storia (vol. VII) 9. LA MANTIA, Giuseppe (G. L. M.) - AS Palermo

Alagona (vol. II) Bonavoglia, Chefez Mosè (vol. VII) Butera: Principi di Butera (vol. VIII) Federico II d’Aragona, re di Sicilia (vol. XIV) Federico III d’Aragona, re di Sicilia (vol. XIV) Giovanni da Procida (vol. XVII) La Lumia, Isidoro (vol. XX) Lanza (vol. XX) Maria d’Aragona, regina di Sicilia (vol. XXII) Marsala: Storia (seconda parte) (vol. XXII) Martino il giovane, re di Sicilia (vol. XXII) Monreale: Storia (vol. XXIII)

10. LAZZARESCHI, Eugenio (Eu. L.) - AS Lucca

Castracani, Castruccio (vol. IX) Fiorentini, Francesco Maria (vol. XV) Orsetti, Stefano (vol. XXV) Rapondi (vol. XXVIII) Sbarra (vol. XXX)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 255

Trenta (vol. XXXIV) Volto Santo (vol. XXXV)

11. LIBRINO, Emanuele (E. Li.) - AS Roma Fazello, Tommaso (vol. XIV) 12. LODOLINI, Armando (A. Lo.) - AS Roma

Albero genealogico (vol. II) Almanacco: Storia (vol. II) Angeloni, Luigi (vol. III) Blasone (parte generale) (vol. VII) Bosio, Antonio (vol. VII) Campanella, Federico (vol. VIII) Genealogia: Medioevo e epoca moderna (vol. XVI) Odescalchi (vol. XXV) Pamphili (o Pamfili) (vol. XXVI)

13. LOEVINSON, Ermanno (E. Loe.) - AS Bologna

Adler, Friedrich Wolfgang (vol. I) Adler, Viktor (vol. I) Adlerberg, conte Aleksandr (vol. I) Ador, Gustave (vol. I) Alberto Federico Augusto, re di Sassonia (vol. II) Allenstein (vol. II) Altenburg (vol. II)

Andechs (vol. III) Andernach (vol. III) Annaberg (vol. III) Annweiler (vol. III) Ansbach (vol. III) Arenberg, conti e principi di (vol. IV) Arnsberg (vol. IV)

Arnstadt (seconda parte) (vol. IV) Asburgo, Carlo Stefano d’, arciduca d’Austria (vol. IV) Asburgo, Giuseppe Carlo Lodovico d’, arciduca d’Austria (vol. IV) Asburgo, Ottone d’, arciduca d’Austria (vol. IV) Asburgo, Ranieri d’, arciduca d’Austria (vol. IV) Asburgo, Sofia d’, arciduchessa d’Austria (vol. IV) Aschaffenburg: Storia (vol. IV)

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Aschersleben: Storia (vol. IV) Assia: La contea, poi langraviato e principato d’Assia, Il langraviato, poi prin-

cipato elettorale di Assia-Cassel, Il langraviato, poi granducato di Assia-Darmstadt, Il langraviato di Assia-Homburg (vol. V)

Auersperg, Adolph (vol. V) Auerspeg, Karl VIII, duca di Gottschee, conte di Wels (vol. V) Auerswald, Rudolph (vol. V) Babenberg (vol. V) Bamberga: Storia, Il principato vescovile di Bamberga (vol. VI) Barnim (vol. VI) Battenberg, famiglia (vol. VI) Bayreuth: Storia (vol. VI) Berg, contea, poi ducato, infine granducato di (vol. VI) Bielefeld: Storia (vol. VI) Bingen: Storia (vol. VII) Bonn (vol. VII) Boppard: Storia (vol. VII) Brandenburgo (vol. VII) Braunsberg (vol. VII) Breisach (vol. VII) Brisgovia (vol. VII) Brühl, Heinrich, conte di (vol. XVI) Gerlach, Ernst Ludwig von (vol. XVI) Gotha: Il congresso di Gotha (vol. XVII) Grünne, Karl Ludwig, conte di (vol. XVII) Haase, Hugo (vol. XVIII) Hainisch, Michael (vol. XVIII) Hammer, Johann Bernhard (vol. XVIII) Hartig, Franz, conte von (vol. XVIII) Helfferich, Karl (vol. XVIII) Herbst, Eduard (vol. XVIII) Hertling, Georg, conte di (vol. XVIII) Hitler, Adolf 48 (vol. XVIII) Hoensbroech, Paul, conte di (vol. XVIII) Hohenlohe-Ingelfingen, Adolf, principe di (vol. XVIII) Hohenlohe-Schillingsfürst, Chlodwig sesto principe di (vol. XVIII) Hohenlohe-Schillingsfürst, Konrad, principe di (vol. XVIII)

48 Voce edita senza sigla.

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 257

Hohenwart, Karl Siegmund von (vol. XVIII) Hohenzollern, Adalbert, principe di Prussia (vol. XVIII)

Hohenzollern, Leopold, principe di Hohenzollern e conte di Sigmaringen (vol. XVIII)

Holstein, Friedrich August von (vol. XVIII) Junker (vol. XX) Kapp, Wolfgang (vol. XX) Kellersperg, Ernst Leopold, barone di (vol. XX) Khevenhüller (vol. XX) Ketteler, Wilhelm Emmanuel (vol. XX) Kopp, Georg (vol. XX) Kremsier (vol. XX) Kühlmann, Richard von (vol. XX) Lammasch, Heinrich (vol. XX) Liebknecht, Karl (vol. XXI) Liebknecht, Wilhelm (vol. XXI) Lützow, Ludwig Adolf, barone di (vol. XXI) Luxemburg, Rosa (vol. XXI) Marx, Wilhelm (vol. XXII) Mayer, Wilhelm (vol. XXII) Menger, Max (vol. XXII) Montenuovo, Wilhelm Albrecht (vol. XXIII) Württemberg, Albrecht, duca di (vol. XXXV) 14. MANARESI, Cesare (Ce. M.) - AS Milano Aquila: Araldica (vol. III) Araldica (vol. IV) Ariberto da Antimiano (vol. IV) Carroccio (vol. IX) Chiaravalle Milanese (vol. IX) Costanza: La pace di Costanza (vol. XI) Data (vol. XII) Diplomatica (vol. XII) Era (vol. XIV) Mabillon, Jean (vol. XXI) Martesana (vol. XXII) Morena, Acerbo (vol. XXIII) Morena, Ottone (vol. XXIII) Morimondo (parte generale) (vol. XXIII)

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Motta (vol. XXIII) Nobiltà: Ordo senatorius, La nobiltà nel medioevo e nell’età moderna, Araldica

(vol. XXIV) Raul, Sire (vol. XXVIII) Sant’Ambrogio, Banco di (vol. XXX) Sant’Ambrogio, Credenza di (vol. XXX) Sant’Ambrogio, Monastero di (vol. XXX) Seprio (vol. XXXI) Sfragistica (vol. XXXI) Sigillo: Introduzione, Diplomatica (vol. XXXI) 15. NICOLINI, Fausto (F. N.) - Ispettore generale degli Archivi di Stato Altilio, Gabriele (vol. II) Arlecchino (vol. IV) Astore, Francesco Antonio (vol. V) Baldacchini, Francesco Saverio (vol. V) Baldacchini, Michele (vol. V) Baronio, Cesare (vol. VI) Basile, Adriana (vol. VI) Basile, Giambattista (vol. VI) Bianchini, Francesco (vol. VI) Botta, Carlo (vol. VII) Bracco, Roberto (vol. VII) Brighella (vol. VII) Burattino (vol. VIII) Cammarano (vol. VIII) Cantù, Carlo (vol. VIII) Capece, Scipione (vol. VIII) Caracciolo, Domenico (vol. VIII) Carafa, Antonio (vol. VIII) Carafa, Diomede (vol. VIII) Caravita, Nicola (vol. VIII) Cortese, Giulio Cesare (vol. XI) De Ferrariis, Antonio (vol. XII)

Della Porta, Giambattista (vol. XII) Del Tuppo, Francesco (vol. XII) De Rosa, Loise (vol. XII) Di Giacomo, Salvatore (vol. XII) Egizio, Matteo (vol. XIII)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 259

Epinay, Louise-Florence-Pétronille Tardieu d’Esclavelles, detta Madame d’ (vol. XIV)

Farsa (vol. XV) Filangieri, Carlo (vol. XV) Filangieri, Gaetano (vol. XV) Filomarino (vol. XV) Fogliani d’Aragona, Giovanni, marchese di Pellegrino (vol. XV) Fuentes (vol. XVI) Galiani, Celestino (vol. XVI) Galiani, Ferdinando (vol. XVI) Giannone Pietro (vol. XVI) Giovanni d’Angiò (vol. XVII) Giovio, Paolo (vol. XVII) Giustiniani, Lorenzo (vol. XVII) Gravina, Gian Vincenzo (vol. XVII) Gregorio XII, papa (vol. XVII) Gregorio XIII, papa (vol. XVII) Gregorio XIV, papa (vol. XVII) Gregorio XV, papa (vol. XVII) Grimani, Vincenzo (vol. XVII) Guacci, Maria Giuseppina (vol. XVIII) Guicciardini, Lodovico (vol. XVIII) Marino, Giambattista (vol. XXII) Memmo, Andrea (vol. XXII) Michaud, Joseph (vol. XXIII) Michiel, Marcantonio (vol. XXIII) Montefredini, Francesco (vol. XXIII) Montalambert (de) (vol. XXIII) Montalambert, Charles Forbes, conte di (vol. XXIII) Mornay, Philippe du Plessis (vol. XXIII) Napoli: Storia, Teatro di prosa, Letteratura dialettale e folklore (vol. XXIV)

Nicolini, Nicola (vol. XXIV) Nitti, Francesco (vol. XXIV) Pufendorf, Samuel (vol. XXVIII) Pulcinella (vol. XXVIII) Sarnelli, Pompeo (vol. XXX) Scala, Flaminio (vol. XXX) Settembrini, Luigi (vol. XXXI) Sgruttendio, Felippo (vol. XXXI)

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Summonte, Pietro (vol. XXXII) Valletta, Giuseppe (vol. XXXIV) Vico, Giambattista (vol. XXXV) Volpicella (vol. XXXV) Zani (vol. XXXV) 16. PANELLA, Antonio (A. Pan.) - AS Firenze Bartolommei, Ferdinando, marchese (vol. VI) Bonaini, Francesco (vol. VII) Cambray Digny, Luigi Guglielmo, conte di (vol. VIII) Canestrini, Giuseppe (vol. VIII) Capei, Pietro (vol. VIII) Ciampolini, Luigi (vol. X) Cosimo I, granduca di Toscana (vol. XI) Cosimo II (vol. XI) Cosimo III (vol. XI) De Laugier, Cesare (vol. XII) Deputazione di storia patria (vol. XII) Fabbroni, Giovanni Valentino Mattia (vol. XIV) Ferdinando I de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XV) Ferdinando II de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XV) Ferdinando III di Lorena, granduca di Toscana (vol. XV) Francesco I de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XV) Franchetti, Augusto (vol. XV) Galluzzi, Jacopo Riguccio (vol. XVI) Giangastone de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XVI) Gianni, Francesco Maria (vol. XVI) Leopoldo II imperatore (seconda parte) (vol. XX) Lorena, duchi di (vol. XXI) Lorena, Ferdinando di (vol. XXI) Malenchini, Vincenzo (vol. XXII) Mari, Adriano (vol. XXII) Maria Luisa di Borbone (vol. XXII) Marzucchi, Celso (vol. XXII) Mayer, Enrico (vol. XXII) Mazzini, Andrea Luigi (vol. XXII) Mazzoni, Giuseppe (vol. XXII) Montanelli, Giuseppe (vol. XXIII) Montani, Giuseppe (vol. XXIII)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 261

Montazio, Enrico (vol. XXIII) Neri, Pompeo (vol. XXIV) Nerli, Filippo (vol. XXIV) Paoli, Cesare (vol. XXVI) Riccardi (vol. XXIX) Ricci (vol. XXIX) Ridolfi (vol. XXIX) Rinuccini (vol. XXIX) Rucellai (vol. XXX) Serristori, Luigi (vol. XXXI) Toscana. Storia (vol. XXXIV) Valussi, Pacifico (vol. XXXIV) Zerbi, Antonio (vol. XXXV)

17. PANTANELLI, Giuseppe (G. Pant.) - AS Bolzano Sabbioneta: Storia (vol. XXXI)

18. POTTINO, Filippo (F. Po.) - AS Palermo Lanza (vol. XX)

Lanza di Scalea, Pietro 49 (vol. XX)

19. RE, Emilio (E. R) - AS Napoli Albani (vol. II) Altieri (vol. II) Anguillara (vol. III) Annibaldi (vol. III) Boncompagni e Boncompagni-Ludovisi (vol. VII) Borghese (vol. VII)

20. TORELLI, Pietro (P. Tor.) - AS Mantova Arco, Carlo conte d’ (vol. I) Scolastici (vol. XXXI)

21. VITTANI, Giovanni (G. Vitt.) - AS Milano Vittani (vol. XXXV)

49 Voce pubblicata senza sigla.

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22. ZIEGER, Antonio (An. Z.) - AS Bolzano Eppan, conti di (vol. XIV) Gaissmayr, Michele (vol. XVI) Lodron - Laterano (vol. XXI) Merano: Storia (vol. XXII) Ortenburg, Albrecht, conte di (vol. XXV) Riva: Storia (vol. XXIX) Rovereto: Storia (vol. XXX) Tolomei, Ettore (vol. XXXIII) Trentino: Storia (seconda parte) (vol. XXXIV) Trento: Storia (seconda parte) (vol. XXXIV) Vigilio (vol. XXXV)

ARCHIVISTI COMUNALI VERGA, Ettore (E. V.) - Archivio civico di Milano Ambrosiana, Repubblica (vol. II) Balestrieri, Domenico (vol. V) Beatrice di Tenda, duchessa di Milano (vol. VI) Bona Sforza, regina di Polonia (vol. VII) Caravaggio: Il santuario di Caravaggio (vol. VIII) Corio, Bernardo (vol. XI) Francesco I Sforza, duca di Milano (vol. XV) Francesco II Sforza, duca di Milano (vol. XV)

Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (vol. XVI) Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano (vol. XVI)

ARCHIVISTI ECCLESIASTICI 1. CENCI, Pio (P. Ce.) - Archivio segreto vaticano Arsenio, vescovo di Orte (vol. IV) 2. CHIAPPINI, Aniceto (An. C.) - bibliotecario e archivista generale dei Frati minori,

Roma Ferraris, Lucio (vol. XV) Francesco Solano, santo (vol. XV)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 263

Frati minori 50 (vol. XVI) Gerardo da Borgo S. Donnino (vol. XVI) Gerardo di Odone (vol. XVI) Giacinta Mariscotti, Santa (vol. XVI) Giovanni di S. Facondo, santo (vol. XVII) Hickey, Antonio (vol. XVIII) La Haye, Jean (vol. XX) Leonardo da Porto Maurizio, santo (vol. XX) Marcellino da Civezza (vol. XXII) Mario da Calascio (vol. XXII) Motolinia, Toribio da Benavente, detto (vol. XXIII)

3. D’ANVERSA, Fredegando (F. d’A.) - archivista generale dei frati minori cappuccini Angelo d’Acri, beato (vol. III) Angelo Calreno, detto da Cingoli, beato (vol. III) Bernini, Giuseppe (vol. VI) Carli, Dionigi (vol. IX) Fedele da Sigmaringen, santo (vol. XIV) Felice da Cantalice, santo (vol. XIV) Frati minori 51 (vol. XVI) Giovanni Pili da Fano (vol. XVII) Lorenzo da Brindisi (vol. XXI) Matteo da Bascio (vol. XXII)

4. ILGE, Medardo (M. I.) - Archivista della Certosa di Farneta (LU) Bruno o Brunone, san (vol. VII)

5. KATTERBACH, Bruno (B. K.) - Archivio Segreto Vaticano Abbreviatori (vol. I) Archivio e archivistica: Archivio vaticano (vol. IV) Bolla (parte generale) (vol. VII) Breve (vol. VII)

6. MONTICONE, Giuseppe (Giu. Mon.) - Archivista della Congregazione di Propaganda

Fide Propaganda Fide (vol. XXVIII)

50 Voce svolta con Fredegando d’Anversa (F. d’A.). 51 Voce svolta con Aniceto Chiappini (An. C.).

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7. PERALI, Pericle (P. Pe.) - Archivio segreto vaticano Acquapendente (vol. I) Aldobrandeschi (vol. II) Bagnoregio: Storia (vol. V) Filippo Neri, santo (vol. XV) ARCHIVISTI STRANIERI 1. BOURGIN, Georges (G. Bou.) - Parigi, Archives nationales Aiguillon (prima parte) (vol. II) Ailly, Pietro di (vol. II) Aimoino (vol. II) Aix: Battaglia delle Acque Sestie (vol. II) Albi (vol. II) Albret (vol. II) Alençon. La contea di Alençon (vol. II) Alfonso, conte di Poitiers e di Tolosa (vol. II) Alvernia: Storia (vol. II) Amboise (vol. II) Anger: Storia (vol. III) Argenson: Marc-Pierre de Voyer, conte d’ (vol. IV) Arles: Regno d’Arles (vol. IV) Armagnac: I conti di Armagnac (vol. IV) Armagnacchi (vol. IV) Artois (seconda parte) (vol. IV) Arturo I, duca di Bretagna (vol. IV) Arturo III, duca di Bretagna e conte di Richemont (vol. IV) Aubusson, Pierre d’ (vol. V) Aumale: Storia (vol. V) Aumont (vol. V) Austrasia (vol. V) Autun: Storia (vol. V) Auxerre: Storia (vol. V) Avesnes (vol. V) Bar-Le-Duc: Storia (vol. VI) Bazard, Saint-Amand (vol. VI) Béarn: Storia (vol. VI) Beaucaire (vol. VI) Beaujeu (vol. VI)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 265

Beaumanoir (vol. VI) Bedford, John Plantagenet, duca di (vol. VI) Belfort: Storia (vol. VI) Belle-Isle, Carlo Luigi Augusto Fouquet, conte, poi duca di (vol. VI) Bergerac: Storia (vol. VI) Berry: Storia (vol. VI) Berry, Carlo di Francia, duca di (vol. VI) Berry, Gilles le Bouvier, detto le Héraut (vol. VI) Berry, Giovanni di Francia, duca di (vol. VI) Bertrada 52 (vol. VI) Berwick, James Fitzjames, duca di (vol. VI) Besançon: Storia. L’età medievale e moderna (vol. VI) Béthune: Storia (vol. VI) Béziers: Storia (vol. VI) Bigorre (vol. VI) Biron, Armand de Gontaut, barone di (vol. VII) Blois: Storia (vol. VII) Boigne, Benoît-Leborgne, conte di (vol. VII) Bonneval, Claude-Alexandre, conte di (vol. VII) Borgogna: Storia (vol. VII) Bosone, re di Provenza (vol. VII) Bouillon: La contea poi ducato di Bouillon (vol. VII) Bourges: Storia. L’età medievale e moderna (vol. VII) Bouthillier, Claude de (vol. VII) Bresse: Storia (vol. VII) Brest: Storia (vol. VII) Brienne-le-Château: Conti di Brienne (vol. VII) Brunechilde (vol. VII) Burgundi (vol. VIII) Caen: Storia (vol. VIII) Calais: Storia (vol. VIII) Carcassona. Storia (vol. VIII) Carpentras: Storia e monumenti (vol. IX) Carrier, Jean-Baptiste (vol. IX) Chaumette, Pierre-Gaspard (vol. IX) Clermont-Ferrand: Medioevo e epoca moderna (vol. IX) Collot d’Herbois, Jean-Marie (vol. X)

52 Voce edita senza sigla.

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Corbie (vol. XI) Corday d’Armont, Marianne Charlotte de (vol. XI) Couthon, George (vol. XI) Daguesseau, Henri-François (vol. XII) Dax: Storia (vol. XII) Die: Storia (vol. XII) Dieppe: Storia (vol. XII) Digione: Storia (vol. XII) Douai: Storia (vol. XIII) Dreux: Storia (vol. XIII) Ducos, Pierre Roger (vol. XIII) Dunkuerque: Storia (vol. XIII) Entragues (o Entraigues), Catherine-Henriette de Balzac d’ (vol. XIV) Épernon (vol. XIV) Épinal: Storia (vol. XIV) Ermengarda, contessa di Carcassonne (vol. XIV) Ermengarda, regina di Provenza (vol. XIV) Essarts, Pierre des (vol. XIV) Evreux: Storia (vol. XIV) Fleuranges (o Floranges), Robert III de la Marck, sire de (vol. XV) Flote (o Flotte), Pierre (vol. XV) Foix: La contea di Foix (vol. XV) Francia, Isola di (vol. XV) Frayssinous, Denis-Luc (vol. XVI) Fulrado, santo (vol. XVI) Garin (Guarin o Guérin), frate (vol. XVI) Gay, Jules (vol. XVI) Gebhart, Émile (vol. XVI) Giovanni I re di Francia (vol. XVII) Giovanni II re di Francia (vol. XVII)

Goffredo il bello, detto Plantageneto, conte di Angiò e duca di Normandia (vol. XVII)

Gozlin (o Gozlen, Gaucelin o Gauslin), vescovo di Parigi (vol. XVII) Guglielmo V il Grande, duca di Aquitania (vol. XVIII) Guglielmo IX il Giovane, duca di Aquitania (vol. XVIII) Guglielmo, il Bretone (vol. XVIII) Guibert de Nogent (vol. XVIII) Halphen, Louis 53 (vol. XVIII)

53 Voce edita senza sigla.

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 267

Hénault, Charles-Jean-François (vol. XVIII) Houssaye, Henri (vol. XVIII) Huillard-Bréholles, Jean-Louis-Alphonse (vol. XVIII) Incmaro, arcivescovo di Reims (vol. XVIII) Ingeborga, regina di Francia (vol. XIX) Joigny (vol. XIX) Jordan, Edouard (vol. XIX) Jouffroy, Jean (vol. XIX) Jouvenel des Ursins (vol. XIX) Joyeuse (vol. XIX) Isabella di Baviera (vol. XIX) Isabella di Francia, regina d’Inghilterra (vol. XIX) Issoudun (vol. XIX) Juge, Boffile de (vol. XX) Jusseraud, Jean-Adrien-Antoine-Jules (vol. XX) Lanfrey, Pierre (vol. XX) Langlois, Charles-Victor (vol. XX) Lavisse, Ernst (vol. XX) Legione d’onore (vol. XX) Le Tellier, Michel 54 (vol. XX) Le Tellier, Michel 55 (vol. XX) L’Hospital, Michel de (vol. XXI) Linguadoca: Parte introduttiva, Storia (vol. XXI) Lionne, Hugues de (vol. XXI) Madelin, Louis (vol. XXI) Mathiez, Albert (vol. XXII) Maulde de la Clavière, Marie-Alphonse-René de (vol. XXII) Metz: Storia (vol. XXIII) Mignet, François-Auguste-Marie (vol. XXIII) Nancy: Storia (vol. XXIV) Nantes: Storia (vol. XXIV) Naquet, Alfred (vol. XXIV) Narbona: Storia (vol. XXIV)

Nemours: Introduzione, I duchi di Nemours (vol. XXIV) Nérac (vol. XXIV) Nevers: Storia (vol. XXIV) Nîmes: Storia (vol. XXIV)

54 Statista. 55 Teologo.

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268

Noailles (vol. XXIV) Noirmoutier: Storia (vol. XXIV) Normandia (parte generale) (vol. XXIV) Noyon: Storia (vol. XXIV) Orange: Storia (seconda parte) (vol. XXIV) Orléans: Storia, Il ducato di Orléans (vol. XXV) Parigi: Storia (vol. XXVI) Pasquier, Etienne (vol. XXVI) Pau: Storia (vol. XXVI) Périgueux: Storia (vol. XXVI) Péronne: Storia (vol. XXVI) Perpignano: Storia (vol. XXVI) Perrens, François-Tony (vol. XXVI) Perron, Pierre Cuiller, detto (vol. XXVI) Petit-Dutaillis, Charles Edmond 56 (vol. XXVII) Petitot, Claude Bernard (vol. XXVII) Piccardia: Storia (vol. XXVII) Pigaud, Albert 57 (vol. XXVII) Pihtou, Pierre (vol. XXVII) Poitiers: Storia (vol. XXVII) Poitou: Storia (vol. XXVII) Polignac (vol. XXVII) Pontigny (vol. XXVII) Provins: Storia (vol. XXVIII) Quicherat, Jules (vol. XXVIII) Rambaud, Alfred (vol. XXVIII) Rebenac, François de Pas-Feuquières, conte di (vol. XXVIII) Reims: Storia (vol. XXIX) Rennes: Storia (vol. XXIX) Roberto I d’Artois (vol. XXIX) Roberto I, conte d’Artois detto il Buono o il Valente (vol. XXIX) Roberto II, conte d’Artois detto l’Illustre o il Nobile (vol. XXIX) Roberto il Forte (vol. XXIX) Roberto il Pio, re di Francia (vol. XXIX) Roberto I duca di Normandia (vol. XXIX) Roberto II duca di Normandia (vol. XXIX) Romier, Lucien (vol. XXX)

56 Voce edita senza sigla. 57 Voce edita senza sigla.

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 269

Rossiglione (vol. XXX) Rouen. Storia (seconda parte) (vol. XXX) Sagnac, Philippe 58 (vol. XXX) Saint-Germain des Près (vol. XXX) Saint-Germain en Laye: Storia (vol. XXX)

Saint-Malo: Storia (vol. XXX) Saint-Omer: Storia (vol. XXX) Saintonge: Storia (vol. XXX) Saint-Priest, François-Emmanuel-Guignard (vol. XXX) Saint-Réal, César Vischard de (vol. XXX)

Sainte-Marthe, Gaucher III, detto Scévole e Louis de (vol. XXX) San Quintino: Storia (vol. XXX) Séguier, Pierre (vol. XXXI) Ségur, Louis Philippe, conte de (vol. XXXI) Ségur, Philippe Paul, conte de (vol. XXXI) Seignobos, Charles 59 (vol. XXXI) Semblançay, Jacques de Beaune, signore di (vol. XXXI) Senlis: Storia (vol. XXXI) Sigeberto (vol. XXXI) Sigeberto di Gembloux (vol. XXXI) Simone di San Quintino (vol. XXXI) Soissons: Storia (vol. XXXII) Sorel (Sorelle o Soreau), Agnès (vol. XXXII) Stati Generali: Stati Provinciali (vol. XXXII) Steeg, Théodore (vol. XXXII) Strasburgo: Storia (vol. XXXII) Suger de Saint-Denis (vol. XXXII) Tardieu, André-Eugène-Gabriel (vol. XXXIII) Tolosa: Storia (seconda parte), La contea di Tolosa (vol. XXXIII) Tours. Storia (vol. XXXIV) Trochu, Louis-Jules (vol. XXXIV) Troyes: Storia (vol. XXXIV) Turenna: Storia (vol. XXXIV) Vaillant, Jean-Baptiste-Philippe (vol. XXXIV) Vaissete (o Vaissette), Jean-Joseph (vol. XXXIV) Valenciennes: Storia (vol. XXXIV) Valentinois (seconda parte) (vol. XXXIV)

58 Voce edita senza sigla. 59 Voce edita senza sigla.

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270

Valois, Joseph-Marie-Noël (vol. XXXIV) Vermandois: Storia (vol. XXXV) Versailles: Storia (vol. XXXV) Vienne: Storia (seconda parte) (vol. XXXV) Viennese (Viennois) (vol. XXXV) Viviani, René-Raphaël (vol. XXXV) Waddington, William Henry (vol. XXXV) Waldeck-Rousseau, Pierre-Marie-Ernest (vol. XXXV) 2. CZOTOWSKI, Alessandro (A. Cz.) - Leopoli, Archivio municipale Leopoli: Storia (prima parte) (vol. XX) 3. DE LUNA, José A. (J. A. d. L.) - Siviglia, Archivo general de Indias Colombia: Storia (vol. X) Costa Rica: Storia (vol. XI) Ecuador: Storia (vol. XIII) Eldorado (vol. XIII) Ermenegildo, santo (vol. XIV) Escoiquiz, Juan (vol. XIV) Federmann, Nikolaus (vol. XIV) Figueroa y Cordoba, Alonso de Luna (vol. XV) Freire, Ramon (vol. XVI) Galizia: Storia (vol. XVI) Garay, Juan de (vol. XVI) Garcia, Fernandez, conte di Castiglia (vol. XVI) Garcia del Rio, Juan (vol. XVI) Gasca, Pedro de la (vol. XVI) Giamaica (prima parte) (vol. XVI) Goyeneche, Josè Manuel (vol. XVII) Granata: Storia (vol. XVII) Guatemala: Storia (vol. XVIII) Guayaquil: Storia (vol. XVIII) Haiti: Storia (vol. XVIII) Hatuey (vol. XVIII) Heredia, Pedro (vol. XVIII) Herrera, Nicolas (vol. XVIII) Huayna Capac (vol. XVIII) Huelva: Storia (vol. XVIII) Huesca: Storia (vol. XVIII) Jaca: Storia (vol. XVIII)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 271

Jaen: Storia (vol. XVIII) La Mar, José de (vol. XX) Las Heras, Juan (vol. XX) Laso de la Vega, Francisco (vol. XX) Laso de la Vega, José Silvestre (vol. XX) Lautaro (vol. XX) Lima: Storia (vol. XXI) Liniers y de Bremont, Santiago de (vol. XXI) Lopez de Zuniga, Francisco, marchese di Baides (vol. XXI) Luque, Ferdinando de (vol. XXI) Malaga: Storia (quarta parte) (vol. XXI) Martinez de Irala (vol. XXII) Martinez de Rosas, Juan (vol. XXII) Martinica: Storia (vol. XXII) Mendoza: Storia (vol. XXII) Mendoza, Antonio de (vol. XXII) Mendoza, Pedro (vol. XXII) Montejo, Francisco de (vol. XXIII) Monteverde, Domingo de (vol. XXIII) Montevideo: Storia (vol. XXIII) Moreno, Mariano (vol. XXIII) Mosquera, Rodrigo o Rui García (vol. XXIII) Muñoz Cabrera, Ramón (vol. XXIV) Murillo Toro, Emanuele (vol. XXIV) Nuñez, José (vol. XXV) Pacheco, Juan (vol. XXV) Pacheco, Pedro (vol. XXV) Pacheco, Toribio (vol. XXV) Padilla, Juan Lopez de (vol. XXV) Padilla, Lorenzo de (vol. XXV) Padilla, Maria de (vol. XXV) Paez, José Antonio (vol. XXV) Pardo, Manuel (vol. XXVI) Paz, la: Storia (vol. XXVI) Pelagio (Pelago), re delle Asturie (vol. XXVI) Pellegrini, Carlos (vol. XXVI) Pereira, José Francisco (vol. XXVI) Pérez Caballero y Ferrer, Juan (vol. XXVI) Pí y Margall, Francisco (vol. XXVII) Pinto, Francisco Antonio (vol. XXVII)

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272

Portales, Diego José Victor (vol. XXVII) Posada Herrera, José (vol. XXVIII) Prado, Mariano Ignacio (vol. XXVIII) Quintana, Manuel (vol. XXVIII) Quiroga, Juan Facundo (vol. XXVIII) Ramirez, Norberto (vol. XXVIII) Ramiro II re di León (vol. XXVIII) Ramiro III re di León (vol. XXVIII) Recaredo, re visigoto di Spagna (vol. XXVIII) Ribeiro, Juan Antonio (vol. XXIX) Rivadavia, Bernardino (vol. XXIX) Rivera, Fructuoso (vol. XXIX) Roca, Vicente Ramón (vol. XXIX) Roca de Togores y Carrasco, Mariano, marchese de Molins (vol. XXIX) Rocafuerte, Vicente (vol. XXIX) Rodriguez de Almella, Diego (vol. XXIX) Roncisvalle (seconda parte) (vol. XXX) Ruiz Zorrilla, Manuel (vol. XXX) Saldanha, Juan Carlos d’Oliveira Daun, duca di (vol. XXX) Sanchez Guerra, José (vol. XXX) Sancio III, re di Castiglia detto el Deseado (vol. XXX) San José: Storia (vol. XXX) San Salvador: Storia (vol. XXX) Santander: Storia (vol. XXX) Santander, Francisco de Paula (vol. XXX) Santiago: Storia (vol. XXX) Santiago de Cuba: Storia (vol. XXX) Santos: Storia (vol. XXX) Segovia: Storia (vol. XXXI) Serrano y Dominguez, Francisco (vol. XXXI) Siviglia: Storia (seconda parte) (vol. XXXI) Soria: Storia (vol. XXXIII) Sucre: Storia (vol. XXXII) Tarragona: Storia (seconda parte) (vol. XXXII) Toledo: Storia 60 (vol. XXXIII) Tolosa: Storia (vol. XXXIII) Tudela: Storia (vol. XXXIV) Vaca de Castro, Cristobal (vol. XXXIV)

60 La sigla indicata (J.F.R.) è errata.

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 273

Valdivia: Storia (vol. XXXIV) Valdivia, Pedro de (vol. XXXIV) Valparaiso: Storia 61 (vol. XXXV) Velazquez de Cuellar, Diego (vol. XXXV) Vitoria: Storia (vol. XXXV) Zamora: Storia (vol. XXXV)

4. GRAZIANI, Paolo (P. Gr.) - Ajaccio, Archives départementales de la Corse-du-Sud Ajaccio (seconda parte) (vol. II) Arena, Bartolomeo (vol. IV) Bacciocchi (vol. V) Bacciocchi, Felice (vol. V) Bastia: Storia (vol. VI) Bonifacio: Storia (vol. VII)

5. JANOUŠEK, Emanuele (Em. J.) - Praga, Ministero dell’agricoltura Tesin: Storia (vol. XXXIII)

6. JENŠOVSKÝ, Bedřich (B. J.) - Praga, Státní ústřední archiv

Bruna (Brno, Brünn): Monumenti (vol. VII) Budejovice (Budweis): Storia (vol. VIII) Harrach, Ernst Adalbert (vol. XVIII) Harrach, famiglia (vol. XVIII) Jost (Jodocus, Giodoco), margravio di Moravia (vol. XIX) Kinsky (vol. XX) Kolovrat (vol. XX) Lobkovic (vol. XXI) Martinic (vol. XXII) Nostic (vol. XXIV) Pernstejn (vol. XXVI) Rabstejn (vol. XXVIII) Rozmberk (vol. XXX) Šternberk (vol. XXXII) Vratislao di Mitrovice (vol. XXXV) Waldstein (anche Wallenstein) (vol. XXXV)

61 La sigla indicata (S.A.d.L.) è errata.

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7. KRISTEN, Zdeněk (Z. K.) Praga, Státní ústřední archiv Hradec Králové: Storia (vol. XVIII) Jáchymov: Storia (vol. XVIII) Karlovy Vary: Storia (vol. XX) Kolín: Storia (vol. XX) Krumlov: Storia (vol. XX) Liberec: Storia (vol. XXI) Litoměřice: Storia (vol. XXI) Litomyšl (vol. XXI) Mariánské Lázně: Storia (vol. XXII) Most: Storia (vol. XXIII) Münsterberg (vol. XXIV) Nitra: Storia (vol. XXIV) Olomouc: Storia (vol. XXV) Opava: Storia (vol. XXV) Pardubice, Ernesto di (vol. XXVI) Plzeň: Storia (vol. XXVII) Poděbrady (seconda parte) (vol. XXVII) Příbram (seconda parte) (vol. XXVIII) Venceslao I re di Boemia (vol. XXXV) Venceslao II re di Boemia e di Polonia (vol. XXXV) Venceslao III re di Boemia, di Polonia e di Ungheria (vol. XXXV) Vratislao I duca di Boemia (vol. XXXV) Vratislao II duca e più tardi primo re di Boemia (vol. XXXV) Znojmo: Storia (vol. XXXV) 8. MONICAT, Jacques (J. Mo.) - Parigi, Archives nationales

Harcourt (vol. XVIII) Harcourt, Henry de Lorraine, conte di (vol. XVIII) Haussonville, Charles-Louis-Bernard de Cléron, conte di (vol. XVIII) Issoire (vol. XIX)

9. NOVÁK, Jan B. (J. B. N.) Praga, Státní ústřední archiv Adalberto, vescovo di Praga (vol. I) Boleslao I, duca di Boemia (vol. VII) Boleslao II, duca di Boemia (vol. VII) Boleslao III, duca di Boemia (vol. VII)

Bořivoj (vol. VII) Bretislao I (vol. VII) Gindely, Antonio (vol. XVII)

Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana 275

Giovanni di Lussemburgo (vol. XVII) Karlstejn (vol. XX) Ludmila, santa, duchessa di Boemia (vol. XXI) Zagabria: Storia (vol. XXXV) 10. PATRY, Henri (He. P.) - Parigi, Archives nationales Angoulème: Storia (vol. III) Annecy (seconda parte) (vol. III) Arbois de Jubainville, Henri d’ (vol. IV) Auch: Storia (vol. V) Aurillac: Storia (vol. V) Avranches (vol. V) Baiona: Storia (vol. V) Bayeux (vol. VI) Bec, Abbazia del (vol. VI) Bignon, Louis-Pierre-Édouard, barone di (vol. VI) Bordeaux: Storia - Età medievale e moderna (vol. VII) Boulogne-sur-Mer: Storia (vol. VII) Bretagna: Storia (vol. VII) Briançon: Storia - Età medievale e moderna (vol. VII) Briconnet (vol. VII) Brie: Storia (vol. VII) Brinvilliers, Marie-Madeleine-Marguerite d’Aubray, marchesa di (vol. VII) Estreés, d’ (vol. XIV) Estreés, Gabrielle d’, marchesa di Monceaux e duchessa di Beaufort (vol. XIV) Étampes: Storia (vol. XIV) Gaillard, Gabriel-Henri (vol. XVI) Godefroy (vol. XVII) Hyères: Storia (vol. XVIII) Laporte, Pierre (detto Roland ) (vol. XX) Rochelle, La: Storia (vol. XXIX)

11. REINÖHL, Fritz (Fr. R.) - Vienna, Österreichisches Staatsarchiv Arneth, Alfred von (vol. IV) Aspern (vol. IV) Baden (vol. V) Büdinger, Max (vol. VIII) Dengel, Ignaz Philipp 62 (vol. XII)

62 Voce pubblicata senza sigla.

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Dietrichstein, Franz principe di (vol. XII) Spinola, Cristóbal Rojas de (vol. XXXI) 12. TÜRLER, Heinrich (H. Tü.) - Berna, Schweizerisches Bundesarchiv Aarau (vol. I) Affry (vol. I) Altdorf (vol. II) Appenzell: Storia (vol. III) Argovia: Storia (vol. IV) Baden: Storia (vol. III) Basilea: Storia, Il principato vescovile di Basilea, Trattati di Basilea (vol. VI) Baumgartner, Gallus Jakob (vol. VI) Berna: Storia (vol. VI) Bezenval (Besenval de Brunnstatt) (vol. VI) Biel: Storia (vol. VI) Blonay de (vol. VII) Borromea, Lega (vol. VII) Brun, Rudolf (vol. VII) Bullinger, Heinrich (vol. VIII) Camperio, Filippo (vol. VIII) Cherbuliez, Antoine-Élisée (vol. IX) Chillon: Storia (vol. X) Coira: Storia (seconda parte) (vol. X) Daguet, Alexandre (vol. XII) Davel, Jean-Daniel-Abraham (vol. XII) De la Rive (vol. XII) Dierauer, Jean (vol. XII) Diodati (vol. XII) Disentis (prima parte) (vol. XIII) Engelberg: L’Abbazia di Engelberg (vol. XIII) Erlach (vol. XIV) Escher (vol. XIV) Etterlin, Petermann (vol. XIV) Sellon, Jean-Jacques de (vol. XXXI) 13. WOLKAN, Rudolf (R. W.) - Vienna, Österreichisches Staatsarchiv

Austria: Storia - Dalle origini al 1815 (prima parte) (vol. V)

L’AUTONOMIA E LA RINASCITA DELLA SARDEGNA NELLE CARTE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI CAGLIARI

Premessa. — Una ricerca su temi quanto mai attuali come l’autonomia e la rinascita della Sardegna, proprio nel momento in cui va sviluppandosi un vivace dibattito nell’opinione pubblica e nelle stesse forze politiche circa l’istituto autonomistico e le scelte fatte dalla classe dirigente isolana in questi cinquant’anni di Regione autonoma, indirizza spesso lo studioso a privilegiare un tipo di fonti « complementari » quali la stampa, le registrazioni sonore, i filmati o le interviste ai personaggi che hanno partecipato attivamente a quelle vicende o le hanno vissute da semplici osservatori. Una corretta indagine che permetta di ricostruire un quadro storico il più ampio ed oggettivo possibile, non può tuttavia prescindere da uno scavo sistematico delle fonti archivistiche sia pubbliche che private.

L’Archivio di Stato di Cagliari, istituto deputato alla conservazione dei documenti prodotti dagli uffici dello Stato operanti nel territorio provinciale, possiede vari fondi di epoca contemporanea che possono essere investigati con buoni risultati 1. Due archivi in particolare rivestono grande rilevanza per le tematiche strettamente legate alla nascita delle istituzioni autonomistiche, ai momenti della ricostruzione e della ripresa economica della Sardegna: l’Alto Commissariato per la Sardegna e la Consulta regionale sarda.

Il primo, istituito con r.d.l. 27 gennaio 1944, n. 21, amministrò di fatto l’isola all’indomani del secondo conflitto mondiale; il secondo, creato con d.l.lgt. 28 dicembre 1944, n. 417 (art. 3), ebbe natura assembleare ed affiancò l’Alto Commissario, generale Pietro Pinna, nell’azione governativa svolgendo un ruolo fondamentale nella definizione e nella elaborazione concreta dello Statuto regionale 2. Entrambi gli istituti cessarono la propria attività quasi

1 Per una panoramica delle fonti documentarie conservate nell’Archivio di Stato di Cagliari cfr. Guida generale degli Archivi di Stato italiani, I, voce Cagliari, a cura di G. OLLA REPETTO, Roma 1981, pp. 731-766.

2 Sulle tematiche relative alla elaborazione dello Statuto sardo cfr. tra le numerose pubbli-cazioni G. CONTINI, Lo statuto della Regione Sarda. Documenti sui lavori preparatori, Milano 1971; M. ROSA CARDIA, La nascita della Regione autonoma della Sardegna 1943-1948, Milano 1992; ID., Le origini dello Statuto speciale per la Sardegna. Il testo, i documenti, i dibattiti, voll. 3, Sassari 1995; ID., La conquista dell’autonomia (1943-1949), in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, a cura di L. BERLINGUER e A. MATTONE, Torino 1998, pp. 717-

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Alessandra Argiolas - Carla Ferrante

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contemporaneamente nel maggio 1949, all’indomani delle elezioni regionali ed in concomitanza dell’insediamento del primo Consiglio regionale sardo.

Gli archivi, frutto dell’attività di uffici statali, vennero così acquisiti di diritto dalla neonata Rappresentanza del governo presso la Regione sarda — organo di collegamento tra il governo centrale e l’ente regionale — che, quasi per continuità, rimase nella stessa sede che fu dell’Alto Commissariato, situata a Cagliari in piazza del Carmine.

Tra l’ottobre 1968 ed il giugno 1969, tutto il materiale prodotto dall’Alto Commissariato e dalla Consulta fu versato proprio dalla Rappresentanza del governo all’Archivio di Stato cagliaritano; esso era corredato di un elenco che descriveva in maniera piuttosto sommaria le carte, indicava il numero com-plessivo dei pacchi senza alcuna segnatura che contraddistinguesse la tipolo-gia documentaria.

1. L’archivio della Consulta regionale sarda. — Le carte della Consulta,

ben distinte da quelle dell’Alto Commissariato, sono state le prime ad essere oggetto di riordinamento e di inventariazione 3. Si trovavano racchiuse in 44 pacchi ed erano costituite per lo più da una quantità considerevole di verbali — stenografici, manoscritti e dattiloscritti — corrispondenza varia, appunti minutati, bozze, veline e pagine di quotidiani. Nell’inventario è stata messa in evidenza sia l’attività amministrativa che tale istituto svolgeva attraverso un proprio ufficio di segreteria, sia l’attività istituzionale specifica, cioè quella politica vera e propria ed il suo modo di operare in seduta plenaria o in commissioni. Nel corso della schedatura del materiale archivistico è emersa anche l’attività della Giunta consultiva, un organo collegiale istituito con r.d.l. 16 marzo 1944, n. 90 che, « senza nessuna specifica attribuzione di funzioni e di responsabilità », coadiuvò l’alto commissario prima dell’istituzione della Consulta 4.

La Giunta era composta da sei consultori quali rappresentanti dei partiti del comitato regionale di concentrazione antifascista, scelti tra eminenti personalità consapevoli degli interessi, dei bisogni e dei problemi dell’isola. Figure come Antonio Segni (DC), Enrico Musio (indipendente), Salvatore Sale 774. Per un quadro d’insieme sull’autonomia, dalle radici all’esperienza autonomistica, cfr. L’autonomia regionale. Storia e istituzioni dell’autonomia della Sardegna, in La Sardegna. Enciclopedia, a cura di M. BRIGAGLIA, II, La cultura popolare, l’economia, l’autonomia, Cagliari 1982, pp. 1-190 e i più recenti L’isola della rinascita. Cinquant’anni di autonomia della Regione Sardegna, a cura di A. ACCARDO, Roma-Bari 1998 e G. GIACOMO ORTU, Storia e progetto dell’autonomia, Cagliari 1998.

3 Cfr. su questo archivio, A. ARGIOLAS - C. FERRANTE, L’archivio della Consulta regiona-le sarda, in « Le carte e la storia », II (1996), 2, pp. 140-147; ID., Le carte dell’autonomia nella Consulta regionale sarda (1944-1949), in ARCHIVIO DI STATO DI CAGLIARI, Millenovecentoqua-rantotto, millenovecentonovantotto, cinquant’anni dello Statuto regionale della Sardegna, Ca- gliari 1998.

4 ARCHIVIO DI STATO DI CAGLIARI (d’ora in poi AS CA), Consulta Regionale Sarda, fasc. 24.

L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

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(PSd’Az), Jago Siotto (PSI), Giuseppe Tamponi (PCI) e Guido Zoccheddu (PLI), furono chiamati a farne parte dal 30 settembre 1944 al 27 gennaio 1945, riunendosi per dieci « adunanze » tenutesi a Cagliari, Sassari e Macomer.

All’ordine del giorno delle sedute erano ricorrenti le questioni stretta- mente connesse alla sussistenza, al regime dei prezzi, alla produzione, all’am- masso del grano, all’approvvigionamento alimentare. I problemi erano nume-rosi e di difficile risoluzione; nella riunione del 28 ottobre 1944 il generale Pinna sottopose all’attenzione dei consultori una relazione da inviare al Consiglio dei ministri sulla situazione della Sardegna al fine di sollecitare l’adozione dei provvedimenti più urgenti ed indispensabili per venire incontro alle necessità dell’isola. Nell’acceso dibattito che scaturì sia fra i consultori che all’interno delle organizzazioni politiche, appariva impellente la necessità di una revisione dell’istituto alto commissariale e della Giunta. Lo stesso Pinna lamentava che l’attività ufficiale di quest’ultimo « contenuta entro la sfera del parere non vincolante e neanche obbligatorio, non avrebbe potuto realizzare i presupposti di un autogoverno locale, impossibile del resto, per gli stessi limiti dei poteri delegati dal governo all’Alto Commissariato ». In effetti i poteri che questo istituto poteva esercitare, in virtù delle disposizioni legisla-tive del gennaio e del marzo 1944, quale organo sostitutivo del governo centrale, erano circoscritti ad un vago ed ipotetico « caso di necessità » che limitava di fatto l’azione dell’Alto Commissario al solo evento concreto ed eccezionale e non permetteva di creare i presupposti per un piano di riforma istituzionale tale da consentire il riassetto della Sardegna. Infatti, nonostante l’intensa attività dei consultori, delle forze politiche e delle organizzazioni sindacali impegnate a promuovere iniziative per il rinnovamento e il decen-tramento regionale, ed il sostegno della stampa per riuscire ad apportare modifiche al testo del decreto sul nuovo provvedimento da adottarsi per l’isola, il Consiglio dei ministri procedette « ad una particolareggiata disamina ed a una sostanziale rielaborazione del progetto proposto dall’Alto Commissa-rio e dalla Giunta consultiva » che sfociò nella emanazione del d.l. 28 dicem-bre 1944, n. 417 5. Il nuovo provvedimento, pur non accogliendo in pieno le istanze del Pinna, ampliò in parte le competenze altocommissariali, ed istituì « una Consulta presieduta dall’Alto Commissario e composta di diciotto membri scelti fra i rappresentanti delle organizzazioni politiche, economiche, sindacali e culturali, fra competenti ed esperti » 6. Spettava alla Consulta regionale esaminare i problemi dell’isola, formulare proposte per l’ordina- mento regionale ed assistere l’Alto Commissario nell’esercizio delle sue funzioni, pronunciandosi sui provvedimenti che sarebbero stati sottoposti al suo esame. In sostanza era chiamata a proporre, suggerire e definire in manie-ra concreta piani finanziari per il riassetto agricolo e fondiario, per la ricostru-

5 Ibidem. Tutte le espressioni riportate tra virgolette sono tratte dal discorso tenuto dal ge-nerale Pinna in occasione della seduta inaugurale della Consulta il 29 aprile 1945.

6 Cfr. d.l.lgt. 28 dic. 1944, n. 417, Provvedimenti regionali per la Sardegna, art. 3.

Alessandra Argiolas - Carla Ferrante

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zione industriale e per la ripresa mineraria, nonché avanzare le proposte per l’elaborazione dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna.

In base alla documentazione della Consulta è stato possibile ricostruire la storia dell’organismo nelle sue tre fasi istituzionali. La prima fase (1945-1946) vede, con d.l. 28 dicembre 1944, n. 417, l’istituzione della Consulta, composta di diciotto consultori e sei esperti; con il d.l.lgt 10 agosto 1945, n. 516, il numero dei consultori politici venne portato da diciotto a ventiquat-tro e quello degli esperti a sette. Con la seconda fase (1946-1948), mutati i rapporti di forza delle rappresentanze politiche in seguito alle elezioni politi-che del 2 giugno 1946, la Consulta con il d.p.c.m. 8 ottobre 1946 venne ricostituita sulla base del numero dei seggi e dei voti riportati dai partiti nell’isola secondo il sistema proporzionale. Fu questa Consulta a varare il progetto di Statuto speciale per la Sardegna, che fu discusso interamente nella VI tornata (15-23 aprile 1947) dai vari schieramenti politici, revisionato e coordinato dall’apposita Commissione per l’ordinamento regionale ed appro-vato nella VII tornata il 29 aprile 1947. Nella terza fase (1948-1949) i risultati elettorali del 1948 modificarono nuovamente i rapporti di forza delle rappre-sentanze politiche e la Consulta fu ricostituita con d.p.c.m. 14 giugno 1948. In questa fase l’attenzione dei consultori si concentrò su alcuni delicati temi quali lo sviluppo commerciale, i trasporti, l’energia elettrica, le miniere carbonifere del Sulcis, l’attivazione del Banco di Sardegna, la legge sul Mezzogiorno, e sui problemi legati al perfezionamento della questione auto-nomistica, nonché sulle norme di attuazione dello Statuto.

Chiunque intenda affrontare una ricerca sulle condizioni della Sardegna negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, dovrà quindi necessaria-mente avvicinarsi alle carte della Consulta regionale sarda 7. Dai verbali delle assemblee e delle commissioni emerge chiaramente non solo l’acceso dibattito in cui si confrontarono i padri delle carta statutaria sarda, ma anche la delicata situazione politico-sociale che vedeva impegnate tutte le forze isolane nella risoluzione dei problemi legati all’autonomia e alla ripresa economica del- l’isola.

2. L’archivio dell’Alto Commissariato per la Sardegna. — Più ricco di

informazioni su questi argomenti, anche perché quantitativamente più consi-stente, è l’archivio dell’Alto Commissariato della Sardegna, utile per indagini e approfondimenti di carattere storico, politico, istituzionale ed economico-sociale relativi agli anni immediatamente precedenti e successivi al secondo dopoguerra 8. Nel fondo, attualmente in corso di riordinamento, sono confluiti

7 L’inventario della Consulta, allegato in appendice, è stato redatto dalle autrici, negli anni 1979-1980, sotto la direzione di Gabriella Olla Repetto.

8 Per ulteriori approfondimenti sulle vicende di questi anni cfr., oltre alle pubblicazioni già citate, F. SPANU SATTA, Il dio seduto. Storia e cronaca della Sardegna 1942-1946, Sassari 1978, la raccolta dei dodici volumi della Stampa periodica in Sardegna 1943-1949, Cagliari 1974-

L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

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sia i documenti prodotti da quegli organi amministrativi che operarono prima dell’istituzione dell’Alto Commissariato per la Sardegna sia quelli della Rappresentanza del governo, ufficio che ne ereditò alcune funzioni. Attraverso la schedatura del materiale documentario vanno intanto delineandosi le istitu-zioni che furono create ed operarono per far fronte all’emergenza bellica ed ai problemi relativi all’organizzazione della vita civile dell’isola, scaturiti dalla totale mancanza di collegamento col governo centrale e dalla improvvisa interruzione di ogni traffico col Continente.

Nel 1943 la Sardegna, completamente isolata dal resto della penisola, fu dichiarata « zona operativa » ed i poteri civili, ai sensi dell’art. 16 della legge di guerra (r.d.l. 8 lug. 1938, n. 1415), furono esercitati dal Comando delle Forze armate della Sardegna 9. Il 23 marzo dello stesso anno, vista « la neces-sità di coordinare i servizi civili nelle provincie (…) sarde, in relazione allo stato di guerra e alle esigenze di carattere militare », con r.d. n. 149 venne istituito un Commissario straordinario per gli affari civili della Sardegna che, posto alle dipendenze del Comando militare di stanza nell’isola, aveva il compito di curare il collegamento tra il comando stesso e le autorità civili « per il coordinamento dei servizi civili in relazione allo stato e alle esigenze militari » 10. Dell’incarico fu investito Pietro Bruno, funzionario appartenente al Ministero dell’interno che, nel corso del suo mandato, per sopperire alla sussistenza alimentare, si adoperò adottando misure per la protezione dei raccolti, per l’ammasso del grano e degli altri generi di prima necessità. Bruno fece fronte anche alla carenza dei trasporti, dell’energia elettrica e ai problemi di ordine pubblico soprattutto in relazione agli atti di sabotaggio e alle manifestazioni di protesta che, con la ripresa dell’attività politica, si stavano ormai diffondendo. La funzione del prefetto Bruno quale Commissa-rio straordinario fu di breve durata: il 2 settembre, col parere favorevole del Comando supremo e del Ministero della guerra, il comandante delle Forze armate della Sardegna, generale Antonio Basso, assunse direttamente i poteri civili e, dopo l’armistizio, la completa responsabilità del governo dell’isola. In una relazione del 16 ottobre 1943 trasmessa al capo del governo Pietro Badoglio, il generale Basso faceva il punto della situazione riferendo sui gravi problemi che aveva dovuto fronteggiare (carenza di generi alimentari e vestiario, scarsa circolazione di moneta, attività delle aziende industriali, degli istituti di credito e delle industrie estrattive, situazione politica, ricostruzione della città di Cagliari ed esportazioni di pelli caprine) per la cui risoluzione non aveva esitato ad adottare severi provvedimenti. 1976; S. RUJU, Società, economia, politica dal secondo dopoguerra a oggi (1944-98), in Storia d’Italia. Le regioni… cit., pp. 777-992.

9 AS CA, Alto Commissariato per la Sardegna (in corso di riordinamento), lettera del 21 ottobre 1943 diretta dal capo del governo Badoglio al generale di corpo d’armata Antonio Basso, comandante delle forze armate della Sardegna.

10 Cfr. r.d. 23 marzo 1943, n. 149, « Istituzione di commissari civili in Sicilia e in Sarde-gna », art. 2.

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Il 22 ottobre il generale Basso lasciò la Sardegna perché destinato in Campania. Pochi giorni dopo, il 30 dello stesso mese, il Comando delle Forze armate in Sardegna fu soppresso ed il VII Corpo d’armata assunse le funzioni di Comando militare della Sardegna con a capo il generale Giovanni Magli a cui era stato anche affidato l’esercizio dei poteri civili per tutta l’isola. Unica eccezione veniva fatta per la piazza marittima di La Maddalena dove le stesse funzioni dovevano essere esercitate dal comandante di quella piazza.

La documentazione prodotta dall’Ufficio del Commissario straordinario per gli affari civili e dal Comando militare della Sardegna, è costituita per lo più da ordinanze, provvedimenti per la tutela dell’ordine pubblico e per gli approvvigionamenti alimentari, nonché da tutte quelle disposizioni emanate per requisire locali da destinare ad uffici e a civili abitazioni, insieme a verbali di riunioni e relazioni inviate al capo del governo e ai responsabili dei ministeri. Da essa traspare la necessità di conseguire una unità di indirizzo e un coordinamento più efficace ed efficiente tra le strutture periferiche e quelle del governo centrale. Il 27 gennaio 1944, proprio per rispondere a queste istanze, con r.d.l. n. 21 fu istituito « con carattere temporaneo » l’Alto Com-missariato per la Sardegna (art. 1) a cui venne affidato l’incarico: a) di sovrin-tendere e dirigere nel territorio dell’isola tutte le amministrazioni statali, civili e militari, nonché gli enti locali, gli enti ed istituti di diritto pubblico, ed in genere tutti gli enti sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato; b) dirigere e coordinare l’attività dei prefetti e delle dette amministrazioni per assicurare unità di indirizzo; c) esercitare, in caso di necessità, le attribuzioni del gover-no centrale (art. 2). A dirigere tale organo fu chiamato il generale di squadra aerea Pietro Pinna, un sardo nato a Pozzomaggiore (SS) il 12 gennaio 1891; l’alto ufficiale era stato prigioniero di guerra nello Stato dell’Arkansas e, dopo l’armistizio, si era proposto per azioni militari contro i tedeschi. L’allora capo del governo Badoglio, in una lettera del 27 gennaio inviata al prefetto di Cagliari per comunicare la nomina del Pinna, così chiariva i motivi che avevano portato all’istituzione altocommissariale: « Per venire incontro alle peculiari necessità della Sardegna, nelle attuali gravi contingenze, con r.d.l. in corso di pubblicazione viene istituito apposito Alto Commissariato con carat-tere di temporaneità. Il nuovo organo deve attuare, negli intendimenti del governo, un opportuno decentramento che renda più spedita e più consona alle esigenze locali la riorganizzazione su basi adeguate alla attività ammini-strativa, restaurando la finanza e l’assistenza pubblica, riattivando i traffici e le industrie, ponendo, per quanto è possibile, pronto riparo ai danni sofferti dagli abitati e dalle fonti stesse di produzione a causa della guerra. A tal fine vengono conferiti all’Alto Commissario ampi poteri civili e militari, i quali, peraltro, debbono intendersi esercitati per delega del governo centrale, nel cui nome l’Alto Commissario stesso sovraintende e dirige, nel territorio dell’Isola, tutte le amministrazioni statali, civili e militari, nonché gli enti locali, quelli di diritto pubblico ed, in genere, tutti gli enti ed istituti sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato. Esso eserciterà, inoltre, tutte le attribuzioni spettanti al

L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

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Ministro dei lavori pubblici nei confronti del Provveditorato delle opere pubbliche di Cagliari; promuoverà la stipulazione di eventuali convenzioni o concessioni in corso. L’Alto Commissario ha, insomma, il compito di realiz-zare unità di indirizzo fra tutte quante le Autorità civili e militari dell’Isola, conformemente alle direttive del governo centrale (…) » 11.

Il generale Pietro Pinna assunse la carica il 10 febbraio e diffuse subito, ancor prima di riunire i prefetti delle Province e le autorità civili e militari, un proclama alle « Popolazioni di Sardegna » in cui, se da un lato ricordava che la nazione era ancora in guerra e doveva essere liberata dai tedeschi e dall’op- pressione fascista, dall’altro invitava ad una maggiore collaborazione con gli Alleati nella guerra di liberazione a favore della democrazia 12. Il generale era del parere che democrazia e disciplina dovessero andare di pari passo, pertan-to il rispetto delle leggi era indispensabile per non vanificare l’opera di rico- struzione e di rinascita dell’isola.

L’Alto Commissario riteneva prioritaria la risoluzione di « cinque pro-blemi fondamentali » da affrontare e risolvere nel più breve tempo « se si voleva che la vita dell’isola cominciasse a normalizzarsi o, perlomeno, ad avviarsi verso la normalizzazione ». Si trattava di: 1) far partire l’enorme massa di truppe dall’isola; 2) sgombrare Cagliari dalle macerie e ricostruire quanto più era possibile per riportare in città gli uffici e la popolazione sfollata; 3) far rientrare, al più presto, nella sede normale gli uffici pubblici; 4) far rinascere nel popolo la fiducia ed il rispetto verso le autorità civili e militari; 5) assicurare il minimo di vettovagliamento alla popolazione e colpire gli speculatori ed il mercato nero.

Un delicato compito si profilava per l’alto funzionario che doveva eserci-tare un’attività di coordinamento e di integrazione e talvolta di innovazione in sintonia con le norme contenute nel regio decreto istitutivo del nuovo organo. Si presentava l’occasione perché l’isola potesse entrare in un regime di autonomia amministrativa che, nel rispetto dell’unità nazionale, le consentisse di proporre ed attuare provvedimenti tesi ad avviare l’opera di ricostruzione.

La documentazione dell’Alto Commissariato per la Sardegna è pervenuta all’Archivio di Stato di Cagliari in totale disordine ed in cattivo stato di conservazione. Il riordinamento, attualmente in corso, si presenta quindi piut- tosto lungo e difficoltoso in quanto le carte, benché nel loro nascere seguisse-ro un quadro di classificazione, così come rivelano le segnature riportate sulle stesse, sono state poi accorpate le une alle altre senza alcun legame. Come purtroppo spesso accade, l’archivio non più necessario allo svolgimento del- l’attività dell’ufficio, è stato accantonato senza alcun riguardo e rispetto del- l’ordine originario.

11 AS CA, Prefettura, Gabinetto, Alto Commissariato per la Sardegna (in corso di riordi-namento).

12 Ibidem.

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Al momento il lavoro di schedatura, già avviato, lascia intravedere l’esi- stenza di una struttura organizzativa articolata in un ufficio di Gabinetto, strettamente dipendente dal Pinna e in quattro Divisioni amministrative, ognuna delle quali si occupava del disbrigo delle pratiche correnti per le materie di propria competenza. La produzione documentaria però non ha sempre seguito uno svolgimento lineare, nel senso che si notano delle sovrap-posizioni tra gabinetto e divisioni, e intrecci tra una divisione e l’altra che si rispecchiano anche nella segnatura di più codici di classificazione sui docu-menti.

Accanto alle carte che si possono ricondurre direttamente alle suddivisio-ni interne dell’Alto Commissariato, vi è una parte consistente della documen-tazione che è il prodotto dell’attività di altri uffici posti alle dipendenze dell’organo, come, ad esempio, l’Ispettorato regionale per la pubblica sicu-rezza, il Comando del Nucleo Guardia di finanza e l’Ufficio servizi formaggi di Macomer. Essi si presentano come dei piccoli archivi all’interno di un superfondo e, con tutta probabilità, alla conclusione del lavoro di riordina- mento, costituiranno dei subfondi o delle serie archivistiche ben definite. Così pure avverrà per le pratiche avviate dall’Alto Commissario e portate a termi-ne, quasi senza soluzione di continuità, dal primo rappresentante del governo, il prefetto Stanislao Caboni che, essendo stato segretario generale dell’Alto Commissariato, conosceva perfettamente l’organizzazione amministrativa di quell’istituto. La documentazione prodotta esclusivamente dalla Rappresentan-za del governo sarà quindi attribuita a questo ufficio.

Il censimento ancora parziale delle carte dell’Alto Commissariato ha fi-nora messo in rilievo che, tra gli « affari » trattati, magna pars era costituita da provvedimenti tesi a limitare i disagi e a migliorare la qualità di vita delle popolazioni. In questo ambito rientravano le disposizioni emanate per l’am- masso del grano, delle leguminose e dell’olio (1946-1949). La situazione granaria era rigidamente controllata e così pure le assegnazioni delle quote destinate ai granai del popolo; diversi episodi di malcontento si registrarono proprio fra contadini affamati e, il più delle volte, essi sfociarono in assalti ai magazzini per l’ammasso. Alla stessa disciplina annonaria erano soggetti gli olivicoltori che dovevano consegnare il 60% della loro produzione agli oleari del popolo. Per ogni provincia erano state stabilite le quantità da versare e questo fu motivo di protesta da parte dei piccoli produttori.

La carenza di alloggi, soprattutto a Cagliari, si faceva sentire con estrema urgenza; gli sfollati e gli uffici trasferitisi nelle zone interne dell’isola, in seguito ai bombardamenti che avevano colpito la città nel 1943, avevano necessità di rientrare in sede. Per questo motivo erano stati compilati elenchi delle strutture danneggiate e predisposti piani di intervento per la ricostruzio-ne; soprattutto per gli anni 1945-1949 si ritrovano gli atti relativi al riattamen-to degli edifici pubblici e privati. Alcune pratiche avviate nel periodo alto-commissariale furono portate avanti dalla Rappresentanza del governo, come ad esempio il ripristino di palazzo Tirso della Società elettrica sarda (1943-

L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

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1950), la riparazione dell’edificio delle Poste e Telegrafi (1945-1951) o, ancora, la sistemazione ed il completamento dei padiglioni, già casermette funzionali, siti a Is Mirrionis — quartiere popolare di Cagliari — e destinati a reparto ospedaliero per le malattie infettive (1945-1957).

Anche il lavoro costituiva preoccupazione costante; numerose erano in-fatti le richieste da parte dei reduci che scatenavano campagne diffamatorie nei confronti delle donne lavoratrici, accusate di lavorare « solo per il bellet-to ». Significativi i dati relativi all’attività mineraria, alle agitazioni degli operai e delle maestranze del Sulcis. Tante ancora le richieste di assegnazione di sussidi. Lo stato di miseria che emerge dalle carte è impressionante. Allo stesso tempo però si percepisce la volontà di rinascita. Una cospicua serie documentaria riguarda infatti i nuovi programmi di industrializzazione che seguirono al blocco degli impianti. Tra il 1945 e il 1947 un certo fermento pervase tutta l’isola, preludio della ripresa e potenziamento dell’attività indu- striale. Numerosi privati presentavano richieste per impiantare, in taluni casi ripristinare e ampliare, stabilimenti e fabbriche. Si trattava per la maggior parte di concerie di pelli ovine, caprine, bovine ed equine; saponifici (sa- ponette e sapone di Marsiglia, saponi medicinali, dentifrici, cosmetici e disinfettanti), caseifici per la produzione di formaggi fusi e molli, impianti per la salagione del pesce, per conserve (marmellate e concentrato di pomodoro), farine alimentari, prodotti dietetici, bibite, bevande gassate e vini frizzanti, distillerie per la produzione di acquavite, vetrerie per bicchieri, bottiglie e prodotti affini, falegnamerie e manifatture per la produzione di oggetti in sughero, oltre alle fabbriche di laterizi, mattonelle, maioliche e vernici nonché fabbriche per costruzione di oggetti metallici, ricambi per automobili e pro- dotti chimici. Le nuove autorizzazioni rilasciate per l’impianto di mulini (ad esempio il fasc. « Disciplina industria molitoria », 1946-1952) scatenarono ricorsi da parte dei vecchi possessori che si ritenevano danneggiati economi-camente dalle nuove concessioni prefettizie. Non mancano inoltre documenti sui provvedimenti presi per lo sfruttamento di peschiere demaniali da parte di cooperative di pescatori (1944-1949) e per l’istituzione dei consorzi di bonifi-ca a partire dagli anni Cinquanta (1950-1958).

Ancora sull’opera di ricostruzione postbellica si ritrovano infine molte testimonianze sul ripristino dei trasporti e delle comunicazioni (servizi marit-timi, aerei e ferroviari), sui lavori di sistemazione delle strade interne dissesta-te, come quelle di Sassari (1945-1952) o di Illorai (1950-1959) e sulla costru-zione di nuove arterie tra cui la Santa Teresa di Gallura - Castelsardo (1946-1950), nonché le concessioni ad alcune società private (tra cui la SITA, Tosi, Biggio ecc.) dei servizi di autolinee per collegare i vari distretti dell’isola.

3. Gli altri fondi archivistici. — Altro fondo archivistico su cui si deve

indirizzare la ricerca e che può integrare le informazioni che si ricavano dall’Alto Commissariato è quello della Prefettura di Cagliari. La documenta-zione di questo archivio, in corso di ordinamento, abbraccia i secoli XIX-XX.

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Nella serie Gabinetto (3° versamento) si trovano i seguenti fascicoli: « Attribuzioni dei poteri civili nella zona delle operazioni » (1943-1944); « Comando delle Forze armate. Ordini e disposizioni » (1943); « Segnalazioni del Commissario civile per la Sardegna » (1943); « Bandi del Capo di Stato Maggiore Generale » (1943); « Ordinanze del Comando delle Forze armate » (1943-1944); « Bandi sulle competenze spettanti ai marittimi militarizzanti imbarcati sul naviglio ausiliario » (1943); « Bando sulla riassicurazione da parte del governo italiano dei rischi di guerra sui motovelieri e sulle merci trasportate » (1943); « Alto Commissariato per la Sardegna » (1944). In que- st’ultimo si trovano documenti relativi alla nomina del generale Pietro Pinna, uno schema del decreto legislativo che istituiva dell’Alto Commissariato, il proclama indirizzato alle popolazioni e comunicazioni di assenza e di rientro in sede da parte del Pinna.

Sempre nella serie Gabinetto si trovano i resoconti periodici (mensili, trimestrali e quadrimestrali) che il prefetto inviava al Ministero dell’interno e di cui per gli anni 1943-1946 trasmetteva copia prima all’Ufficio affari civili e poi all’Alto Commissariato per la Sardegna. Il giorno 2 di ogni mese il prefetto era tenuto a trasmettere all’Alto Commissario una relazione intorno ai seguenti argomenti: « 1) situazione economica ed alimentare della Provincia; 2) situazione dei trasporti; 3) situazione politica, con speciale riguardo all’attività dei vari partiti ed in particolare alle manifestazioni aperte o sotter-ranee dei simpatizzanti col vecchio regime fascista ».

Il fondo archivistico della Prefettura è molto vasto, date le molteplici at-tribuzioni che competono a tale organo e che vanno, tra l’altro, dal coordina-mento alla vigilanza sulle amministrazioni pubbliche sino all’adozione di interventi straordinari in casi di calamità naturali e di sicurezza; non è impro-babile quindi che, nel corso del riordinamento, si ritrovino documenti che vadano ad aggiungersi ai precedenti individuati e che accrescano le possibilità di ricerca soprattutto per quanto riguarda il periodo « della rinascita ».

Di particolare rilevanza per gli aspetti giuridico-amministrativi è il mate-riale conservato nel fondo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari, serie Affari consultivi. Tra le carte relative al contenzioso amministrativo che tale ufficio doveva dirimere, in qualità di organo preposto alla difesa legale e alla consulenza delle diverse branche dell’Amministrazione dello Stato, si possono individuare numerosi fascicoli (nn. 972-3434) riconducibili a situa-zioni e fatti accaduti in Sardegna negli anni 1943-1952. All’Avvocatura si rivolsero diversi uffici come il Comando ed il Presidio militare di Cagliari, di Macomer, di Bonorva, il Provveditorato alle opere pubbliche, l’Azienda nazionale autonoma statale della strada, le Ferrovie dello Stato, la Prefettura ecc., per sottoporre quesiti di natura amministrativo-finanziaria e richiedere il patrocinio al fine di accertare le responsabilità in caso di incidenti o di con-travvenzioni. Così, ad esempio, nel 1944, l’Ispettorato compartimentale per l’agricoltura fece ricorso all’Avvocatura per ottenere un parere per la destitu-zione del sindaco di Villaurbana accusato di non aver osservato le disposizio-

L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

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ni di legge relative ai « granai del popolo » (fasc. 1328). Anche l’Alto Com-missario chiese in diverse occasioni (1944-1948) la consulenza legale dell’Av- vocatura (fascc. 1280, 1382, 1543, 1661, 1675, 1827, 1955, 2171, 2254), ad esempio, su questioni relative al coordinamento dei servizi attinenti alla ricostruzione della città di Cagliari; sul sequestro conservativo di beni immo-bili per il recupero dei profitti del regime fascista, e anche sulla figura giuri-dica dell’Ente regionale sardo di approvvigionamento. La stessa Regione autonoma della Sardegna, al suo esordio, al fine di organizzare la sua struttura amministrativa e stabilire un coordinamento dei servizi, si rivolse spesso al- l’Avvocatura (1951-1952) per la formulazione di contratti, convenzioni con enti pubblici e privati e per quesiti come quello sulla natura delle entrate regionali (fascc. 2844, 2868, 2871, 2964, 3003, 3052, 3078, 3381). Gli uffici dell’Intendenza di finanza di Cagliari e Nuoro si avvalsero anch’essi del- l’opera dell’Avvocatura in particolare per gli affari inerenti i beni provenienti dal disciolto Partito nazionale fascista (fascc. 2383, 2386, 2401).

Riferimenti a questioni inerenti al passato regime si possono individuare nel fondo Intendenza di finanza di Cagliari, nei documenti relativi alla Liqui-dazione dei beni mobili appartenenti all’ex-PNF (1943-1954). Le carte sono il risultato della ricognizione dei beni esistenti presso vari Comuni, per lo più attrezzature da ufficio, quali ad esempio macchine per scrivere, tavoli, cancel-leria, a cui segue la consegna degli stessi ad uffici statali e ad enti vari.

Documentazione che potrebbe offrire informazioni specifiche sulle attivi-tà politiche svolte da gruppi e dai partiti e notizie sulla delinquenza comune per il periodo che va dal secondo dopoguerra agli anni più vicini a noi, è contenuta nel fondo della Questura di Cagliari. Nella Divisione I Gabinetto (1943-1967), si trovano in particolare i fascicoli relativi alle associazioni politiche e ai partiti (1945-1960), alla tutela dell’ordine pubblico (1943-1962), alle elezioni politiche, amministrative, regionali e al referendum (1945-1958). Nella Divisione II oltre ai fascicoli relativi ai vari reati, si trova la corrispon-denza relativa a delitti contro la personalità dello Stato, la pubblica ammini-strazione, l’amministrazione della giustizia, il sentimento religioso, l’ordine pubblico e l’incolumità pubblica (1945-1960).

Della stessa natura sono gli archivi del Commissariato di P.S. di Carbo-nia (1940-1956) e del Commissariato di P.S. di Iglesias (1944-1960). In entrambi i fondi le carte sono suddivise in due serie: la Divisione I, Gabinetto contiene documentazione relativa a informazioni, associazioni apolitiche, misure di vigilanza e sequestro stampa; la Divisione II raggruppa invece fascicoli inerenti ai vari tipi di reato.

Materiale documentario che rinvia alle fasi della ricostruzione è contenu-to nel fondo Provveditorato regionale delle opere pubbliche, articolato in due serie: Progetti e Carteggi. Nella prima si trovano progetti per la sistemazione, completamento e costruzione di strade come la Orgosolo-Nuoro, Nuoro-Siniscola, Villanovafranca-Guasila, Fonni-Desulo (1947-1950); per la costru-zione di edifici scolastici come a Borore, Bosa, Desulo e Aritzo (1947-1950);

Alessandra Argiolas - Carla Ferrante

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per la costruzione di una diga di ritenuta a formazione del lago per l’acqua potabile della Colonia penale e della Stazione sanitaria dell’Asinara (1952-1953) o ancora il progetto per la costruzione della chiesa della Solitudine, tomba di Grazia Deledda a Nuoro (1953). Nei Carteggi un fascicolo in particolare tratta dei danni di guerra, del blocco delle costruzioni e riporta un elenco delle riparazioni da effettuare.

Anche le carte prodotte dall’Ufficio del genio civile relative alla Bonifica di Monserrato (1924-1956) e alla Bonifica di Santa Giusta (1939-1953) possono contribuire ad arricchire il quadro degli interventi effettuati per il miglioramento della situazione socioeconomica.

Di carattere strettamente privato sono infine le lettere, tredici complessi-vamente, contenute nella Raccolta Carlo Mastio, scritte da Emilio Lussu a Carlo Mastio tra il 1969 e il 1974. Esse sono la testimonianza della profonda amicizia che legava i due uomini, l’uno esponente di spicco del Partito sardo d’Azione e fautore dell’istituto autonomistico sardo, l’altro, fratello di Silvio, esule antifascista sardo, molto unito al Lussu, e che fu ucciso nel Venezuela durante gli scontri armati contro il dittatore Gomez nel 1931.

ALESSANDRA ARGIOLAS - CARLA FERRANTE

Archivio di Stato di Cagliari

L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

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CONSULTA REGIONALE SARDA (1944-1949)

INVENTARIO

SEGRETERIA RAPPORTI CON L’ALTO COMMISSARIATO PER LA SARDEGNA

Af fa r i genera l i

1. Personale amministrativo 1946-1948 2. Economato 1946-1949 3. Consultori della Giunta consultiva 1944-1945 4. Consultori della 1ª Consulta 1945-1946 5. Consultori della 2ª Consulta 1946-1948 6. Consultori della 3ª Consulta 1948-1949 7. Convocazioni ai lavori della Giunta 1944-1945 8. Convocazioni ai lavori dell’assemblea della 1ª Consulta 1945-1946 9. Convocazioni ai lavori delle commissioni della 1ª Consulta 1945-1946

10. Convocazioni ai lavori dell’assemblea della 2ª Consulta 1946-1948 11. Convocazioni ai lavori delle commissioni della 2ª Consulta 1946-1948 12. Convocazioni ai lavori dell’assemblea della 3ª Consulta 1948-1949 13. Convocazioni ai lavori delle commissioni della 3ª Consulta 1948-1949 14. Presenze dei consultori, un registro 1945-1949 15. Ordini di servizio 1945-1948 16. Relazioni, stralci di relazione e appunti dell’Alto Commissario 1945-1949

Div i s ion i amminis t ra t ive 17. Appunti riassuntivi per le divisioni sui lavori dell’assemblea

della 2ª Consulta

1946-1947 18. Appunti riassuntivi per le divisioni sui lavori dell’assemblea

della 3ª Consulta

1948-1949

Alessandra Argiolas - Carla Ferrante

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RAPPORTI CON ALTRI SOGGETTI PUBBLICI E PRIVATI

19. Governo ed altri Alti Commissariati 1944-1949 20. Uffici statali, enti pubblici e privati 1945-1949 21. Stampa 1945-1949

GIUNTA CONSULTIVA

22. Verbali di adunanza: 1944 set. 30 - 1945 mar. 3

22a Processi verbali, un registro 1944-1945

CONSULTA

1 a CONSULTA

Lavor i de l l ’assemblea

23-49. Ordini del giorno e verbali delle sedute dalla 1ª tornata alla 14a tornata 13

1945 apr. 29-30 - 1946 mag.

8-10 50. Processi verbali della 1ª tornata e parte della 4ª, un registro 1945 51. Processi verbali della 5ª tornata e parte della 7ª, un registro 1945 52. Processi verbali della 8ª tornata e parte della 12ª, un registro 1945-1946 53. Processi verbali della 12ª tornata e parte della 13ª, un registro 1946

Lavor i de l l e commiss ion i 54. Verbali dei lavori della commissione per i lavori pubblici 1945 55. Verbali dei lavori della commissione per l’agricoltura 1945-1946 56. Verbali dei lavori della commissione per il commercio e

scambio

1945-1946 57. Verbali dei lavori della commissione per l’alimentazione 1946

13 La tornata non si è tenuta.

L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

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58. Verbali dei lavori della commissione per l’igiene, sanità, assistenza e beneficenza

1946

59. Verbali dei lavori della commissione di inchiesta 1946 60. Verbali dei lavori della commissione per l’ordinamento

regionale

1945-1946 61. Processi verbali delle commissioni 1945-1946

2 ª CONSULTA

Lavor i de l l ’assemblea

62-88. Ordini del giorno e verbali delle sedute dalla 1ª alla 12ª tornata 14

1946 nov. 17-18

- 1948 mar. 6 89. Abbozzi di verbali delle sedute s. d. 90. Indice riassuntivo delle tornate della 2ª consulta; indice degli

argomenti trattati nella 2ª consulta; elenco alfabetico dei consultori e delle loro interrogazioni

1946-1948

Lavor i de l l e commiss ion i 91. Verbali dei lavori delle commissioni riunite agricoltura e

alimentazione

1946 92. Verbali dei lavori delle commissioni per i lavori pubblici 1946 93. Ordini del giorno e verbali dei lavori della commissione per

l’agricoltura e la disciplina casearia

1947 94. Ordini del giorno e verbali dei lavori della commissione per

l’igiene, sanità, assistenza, e istruzione

1947 95. Verbali dei lavori della commissione per l’ordinamento

regionale

1947 3 ª CONSULTA

Lavor i de l l ’assemblea

96-107. Ordini del giorno e verbali delle sedute dalla 1ª alla 6ª tornata

1948 lug. 10-12 - 1949 mag. 4

14 La tornata non si è tenuta.

Alessandra Argiolas - Carla Ferrante

292

Lavor i de l l e commiss ion i

108. Verbali della commissione per il bilancio, credito e risparmio 1948 109. Verbali della commissione per l’ordinamento regionale 1949 110. Verbali stenografati dei lavori delle assemblee e delle com-

missioni

s. d.

Rassegna s tampa

111. Raccolta quotidiani 1945-1949

L’ARCHEOLOGIA DEL DOCUMENTO D’IMPRESA.

L’« ARCHIVIO DEL PRODOTTO »

Le omogeneità (e eterogeneità) enunciative s’intrecciano con delle continuità (e dei cambiamenti) linguistici, con delle identità (e delle differenze) logiche, senza che le une e le altre camminino con lo stesso passo o si condizionino necessariamente. Tra loro deve esi-stere però un certo numero di rapporti e interdipendenze il cui campo indubbiamente molto complesso dovrà essere inventariato

(M. Foucault, L’archeologia del sapere) Introduzione. — Il trattare della memoria in generale — e nello specifico

di quella relativa alle imprese — ci porta ad avvicinarci a posizioni di autori (Bloch, Le Goff, Foucault 1) che hanno voluto guardare al di là del documento scritto e non scritto nel concepirlo nella sua forma più articolata di « monu-mento ». Senza pretendere che l’archivistica assolva ad uno scopo che non le è proprio, e senza forzare più di quanto già non si farà più avanti la definizio-ne di « particolari » documenti d’archivio nelle imprese, vogliamo qui riporta-re alcune affermazioni che possono introdurre e delineare il discorso:

« La varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita. Tutto ciò che

l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce, tutto ciò che sfiora, può e deve fornire informazioni su di lui »

« Malgrado quel che talora sembrano credere i principianti, i documenti non spuntano fuori qua o là, per effetto di non si sa qual misterioso decreto degli dèi. La loro presenza o la loro assenza, in quei fondi d’archivio, in quella biblioteca, in quel suolo, dipendono da cause umane (...) » 2.

Abbiamo perciò voluto raccogliere le argomentazioni che seguiranno sot-

to un titolo che applica, in maniera piuttosto ardita e provocatoria, il termine « archeologia » all’analisi della documentazione « contemporanea » delle im- prese, enfatizzando una contraddizione in termini per cercare di definire i termini di una contraddizione.

1 Cfr. M. BLOCH, Apologia della storia, Torino, Einaudi, 1998; J. LE GOFF, Documento / monumento, in Enciclopedia. V, Torino, Einaudi, 1978, pp. 38-48; M. FOUCAULT, L’archeologia del sapere, Milano, Rizzoli, 1980

2 M. BLOCH, Apologia della storia… cit., pp. 52 e 56.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

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Ed è stato proprio lo « scavo » 3 all’interno delle imprese e l’osservazione dell’attenzione posta da queste stesse nella conservazione di particolari forme documentarie a spingerci verso riflessioni diverse da quelle sedimentatesi « nello spessore delle abitudini collettive » 4.

I luoghi delle fonti documentarie nelle imprese. — Nel linguaggio quoti-

diano, spesso rafforzato da quanto si legge sui giornali, si registra una tenden-za generale che porta a considerare come equivalenti archivi, biblioteche, centri di documentazione, quasi che la distinzione tra loro fosse soltanto una puntualizzazione della nostra strana disciplina. Il medesimo atteggiamento però si registra anche all’interno delle imprese e significativo sembra essere l’esempio del Dizionario edito da Jaca Book, L’informazione (tramite media), che alla voce Archivio indica:

« L’archivio costituisce la memoria — indispensabile memoria — di qualsiasi

giornale. Esso è una sorta di immenso magazzino (…) In archivio un apposito perso-nale (…) compila le schede dei personaggi noti dei più svariati settori. Queste schede consentiranno in caso di necessità di individuare rapidamente il materiale di documen-tazione (biografie, cenni, foto e soprattutto ritagli, cioè pezzi del giornale o di altri giornali) [per la costruzione da parte del giornalista dell’articolo]. L’archivio ha anche funzioni diverse (…) Può in alcuni casi e per certe tematiche sopperire alla mancanza di statistiche ufficiali. Infine in archivio si possono reperire tutte le collezioni del giornale e delle altre testate » 5.

Tra le righe si intuisce un non chiaro confine tra archivio, centro di do-

cumentazione e infine biblioteca/emeroteca, alla quale rimanda lo stesso ter- mine « collezione ».

In un’impresa possono esistere diversi luoghi di concentrazione di fonti documentarie che, oltre a poter essere tra loro diversi per natura, sono pro-fondamente differenti rispetto alle funzioni che incarnano. Genericamente tali luoghi si possono indicare come:

a) archivi, ovvero luoghi dell’accumulazione della produzione documen-taria dell’impresa che testimonia lo svolgimento di un’attività produttiva, quindi luoghi di conservazione della memoria nel suo divenire, luoghi

3 Devo l’idea di un articolo sull’archivio del prodotto nella realtà delle imprese, oltre alle

ormai quotidiane discussioni con Giuseppe Paletta, direttore del Centro per la cultura d’impresa, al coordinamento (proprio con Paletta) del censimento degli archivi d’impresa a Milano (v. http://www.culturadimpresa.org - Censimento degli archivi d’impresa in Lombardia) che mi ha permesso di osservare da vicino le imprese, di « scavare » appunto nei loro depositi d’archivio, raccogliendo e registrando gli « atteggiamenti », indipendenti dalla tipologia o dal settore produttivo, che le imprese tengono nella conservazione della propria memoria come testimonian-za della propria identità.

4 Cfr. M. FOUCAULT, L’archeologia del sapere… cit., p. 84. 5 Cfr. L’informazione (tramite media), Milano, Jaca Book, 1993, parte II, Dizionari, alla

voce Archivio, p. 104.

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delle risposte alle « domande di carattere commerciale tecnico e legale » ma anche luoghi della ricerca scientifica per mezzo di fonti primarie 6; b) centri di documentazione propriamente detti, ma anche biblioteche, emeroteche, fototeche interni all’impresa, che svolgono funzioni informa-tive e di supporto attraverso documenti « utilizzati dall’impresa » ma non creati a testimonianza dello svolgimento dell’attività propria e delle fun-zioni proprie; c) musei o luoghi di concentrazione di raccolte, per lo più collezioni di oggetti ma anche di documenti cartacei, « passati » 7 all’interno dell’im- presa e accorpati a distanza di tempo per finalità espositive 8. Rimandando alle argomentazioni che seguiranno le definizioni con for-

mule meno approssimative e improprie delle particolarità distintive, ci interes-sa in questa sede individuare, comparando i diversi documenti conservati nei luoghi sopra descritti, quelli che in un’impresa possono essere considerati documenti d’archivio.

Dato che, come è noto, ogni archivio rappresenta per i soggetti che lo producono « uno strumento necessario alla loro esistenza e alle loro azioni come mezzo per vivere ed operare » 9 — anche se ovviamente per le imprese non il più importante — è fondamentale che « i documenti che lo compongo-no [siano] identificabili con certezza rispetto alle fonti di diversa natura » 10. Differentemente i centri di documentazione 11 e i luoghi che raccolgono altro materiale documentario — come « contenitori » di oggetti o altro tipo di documenti in forma di collezione — non possono considerarsi propriamente archivi pur conservando funzioni informative, a volte anche molto importanti, rispetto a soggetti che stanno fuori dall’impresa. I documenti che in essi si conservano, utilizzati nello svolgimento dell’attività dell’impresa, non sono stati da questa prodotti e non ne riflettono direttamente l’attività.

6 Cfr. H. A. WESSEL, Gli archivi di impresa in Germania, in « Rassegna degli Archivi di Stato », XLIV (1984), p. 495.

7 Si fa riferimento a documenti acquisiti a vario titolo: dalle antiche riviste consultate per il loro apporto tecnico agli strumenti o macchinari utilizzati per la realizzazione dei manufatti (un torchio in una stamperia ad esempio).

8 Riguardo ai musei d’impresa segnaliamo il prezioso volume di M. NEGRI, Manuale di museologia per i musei aziendali, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2003 (La memoria dell’impresa. Collana del Centro per la cultura d’impresa, 8), alla cui bibliografia rimandiamo anche per un inquadramento generale; rispetto invece alla definizione di « collezione » segnalia-mo l’interessante saggio alla voce Collezione di K. POMIAN, Enciclopedia, III, Torino, Einaudi, 1978, pp. 330-364.

9 L. DURANTI, I documenti archivistici. La gestione dell’archivio da parte dell’ente produt-tore, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici, 1997, p. 57 (Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, 82).

10 P. CARUCCI - M. MESSINA, Manuale di archivistica per l’impresa, Roma, Carocci, 1998, p. 17.

11 Non sempre nella realtà dei fatti, soprattutto presso i centri di documentazione, i docu-menti informativi prodotti al di fuori dell’attività dell’impresa sono conservati separatamente da quelli prodotti nello svolgimento dell’attività del soggetto impresa considerato.

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Ancora una volta l’elemento certo di distinzione tra archivio e non archi-vio risiede nel concetto di produttore, inteso nel significato tradizionale di « creatore » dell’archivio nel quale si convogliano « quei documenti che hanno partecipato alla conduzione degli affari dell’organizzazione » 12, e riflettono l’attività dell’organizzazione stessa.

L’impresa: un produttore in divenire. — È dunque, lasciando da parte

per un momento funzioni e tipologie documentarie, il produttore il primo punto di riferimento nella ricerca dell’archivio in un’impresa. Data però la magmaticità dell’impresa stessa, è necessario pensarla fin dall’inizio come ipotetica catalizzatrice di più archivi, ovvero di più produttori. Non si pensi, come sotto meglio si specificherà, a produttori che con l’impresa interagisco-no in maniera indiretta. Si pensi invece a produttori che nell’impresa sono confluiti per diverse ragioni di trasformazione giuridica (fusioni, acquisizioni, ecc.).

Gli archivi d’impresa riflettono dunque un mondo in frenetico divenire e sono lo specchio di modificazioni, a volte molto sfumate e per questo com-plesse, che coprono archi temporali anche piuttosto limitati e convogliano produttori diversi, diversi archivi; l’impresa va quindi letta in tutte le sue trasformazioni « significative ». Individuate tali trasformazioni, saranno meglio delineate le aree occupate, in termini documentari, dall’archivio dell’impresa così come compare nella sua ultima forma (vivente o cessata che sia) e da quelli ad essa aggregati. Le diverse trasformazioni giuridiche intervenute in un’impresa potranno quindi dar vita ad un unico archivio di un unico produt-tore che nel tempo trasforma sé stesso e nel quale quindi si riscontrano soltanto delle « cesure », ma anche ad un archivio composito che porta con sé e dentro di sé le tracce dell’attività di altri produttori d’archivio: gli archivi delle altre « forme giuridiche cessate » che in quell’impresa sono confluite 13. Vista attraverso l’archivio, l’impresa si presenta come una molecola composta da settori documentari che si sono formati in relazione ad almeno tre « fattori » caratterizzanti: la propria natura giuridica, il prodotto o servizio offerto 14 e un terzo fattore, forse il meno tangibile, che dipende fortemente

12 L. DURANTI, I documenti archivistici… cit., p. 60. 13 Sulla documentazione prodotta nelle imprese e sulla gestione dei loro archivi correnti si

veda A. BILOTTO, Records management e archivi d’impresa, di prossima pubblicazione su « Archivi e computer » già uscito in forma più ampia come A. BILOTTO - M. GUERCIO, The management of corporate records in Italy: traditional practice and methods and digital environ-ment, in « Journal of Records Management », 3 (2003), pp. 136-146.

14 Segnaliamo a tal proposito un articolo in preparazione di L. ALIOTTA, A. BILOTTO, S. GALIMBERTI, G. PALETTA, La formazione delle linee documentarie negli archivi d’impresa: costruzione di un modello, relativo proprio al tentativo di comporre una griglia di riferimento delle serie archivistiche reperibili in un’impresa in relazione all’incrocio tra la forma giuridica e il prodotto o servizio offerto, contemplando sia quelli che sono gli obblighi di legge nella formazione di determinati documenti sia quelle che sono invece le consuetudini gestionali e non da ultimo la lettura in chiave storica dei documenti che nel tempo si modificano mantenendo invariate le funzioni. Tale articolo si vuol porre, ancora una volta, come un tentativo di costru-

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proprio dal dinamismo dell’impresa (e determina poi la complessità metodo-logica del lavoro archivistico), il cui fulcro sta nella presenza di un principio di competizione che è assente nelle istituzioni pubbliche. Da tale principio deriva la centralità del modello organizzativo come strumento di adeguamento dell’impresa al mutare delle condizioni del mercato. Si noti che la variabilità organizzativa è certamente presente anche nel settore pubblico, ma il suo ruolo nell’impresa è più pregnante perché può portare alla distruzione del fondamento istitutivo: l’impresa può scegliere di destrutturarsi per sopravvive-re in particolari condizioni di mercato così come può arrivare a sostituire i mezzi con i fini. Tenendo in conto tali considerazioni l’archivistica non deve far altro che rispettare e cercare, laddove questo manchi, di ricostituire il divenire di tale modello organizzativo. In questi termini la stessa natura giuridica dell’impresa va « tarata » e la sua analisi va affiancata dalla ricerca della dimensione più generale che potremmo definire del percorso imprendi-toriale 15. La lettura di quest’ultimo in archivio è possibile soprattutto attra-verso i documenti che testimoniano proprio l’attività produttiva nelle sue costanti e nelle sue trasformazioni.

Portiamo degli esempi. In alcuni casi il parametro interpretativo delle trasformazioni giuridico-

istituzionali è sufficiente alla lettura e ricostruzione dell’archivio d’impresa. Analizziamo l’accorpamento di due soggetti/imprese, per esempio due banche, per loro natura molto vicine alla dimensione dell’istituzione pubblica, che si fondono in una terza. Nonostante la trasformazione giuridica il prodotto/ servizio non cambia, così come rimane immutata la funzione sul mercato; di tale trasformazione si ritrovano in archivio i segni visibili che verranno letti come semplici cesure interne 16. Già però se ci spostiamo su imprese che, nonostante la loro ben definita natura giuridica di società per azioni, sono controllate da capogruppo, ci si presenta un quadro complesso che mostra da un lato una certa autonomia operativa e dall’altro una forte concentrazione (molto simile a quello caratterizzante i rami aziendali o le divisioni) tipica delle holding, che tendono ad accentrare determinate e specifiche funzioni comuni alle imprese di cui sono capogruppo o addirittura ad assegnare parte della propria operatività in outsourcing. Ne deriva che la stessa formazione dell’archivio e quindi la lettura dell’identità documentaria delle singole im- prese appare molto più complicata 17. zione di modelli che tengano conto sia del metodo archivistico sia dei comportamenti delle imprese. A tale scopo, oltre all’esperienza di professionisti quale il consulente del lavoro (Aliotta) e il commercialista (Galimberti) è fondamentale l’attenta osservazione proprio delle imprese sia in termini di quantità che di « tipo » (per questo è stata determinante l’esperienza del già citato censimento degli archivi d’impresa).

15 Le riflessioni sul modello organizzativo nell’impresa e soprattutto sul percorso imprendi-toriale si riferiscono ad un articolo di G. Paletta in preparazione.

16 Cfr. A. BILOTTO, L’archivio della Banca privata Italiana, in « Imprese e storia », 23, gennaio-giugno 2001, pp. 197-203.

17 Per esempio, una holding può decidere di accentrare nella propria struttura organizzativa la gestione del personale di tutte le imprese di cui è la capogruppo; in termini archivistici nelle

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L’attività delle imprese comprese nella holding entra a far parte dell’ar- chivio di quest’ultima e proprio l’osservazione dell’attività produttiva (quindi dei diversi prodotti) diventa la bussola per l’orientamento in quello che è l’archivio nel suo insieme, alla ricerca delle sue parti componenti e delle specifiche documentarie 18 poste in essere dalle singole società partecipate o divisioni. La lettura dei documenti relativi all’attività produttiva acquista una funzione fondativa nell’analisi dell’archivio perché può essere assunta dall’archivista come indicatore delle modificazioni. Il prodotto entra allora a pieno titolo in archivio, indipendentemente dalle sue caratteristiche tecniche, perché rappresenta il discrimine interpretativo del percorso imprenditoriale che l’archivista ha il compito di seguire e privilegiare. Può così costituire un canovaccio, un punto di riferimento nell’analisi della vita di un’impresa nel suo divenire.

Quanto detto vale per la grande impresa e può valere anche quando ci spostiamo verso la piccola e media impresa, laddove ci rendiamo conto che il percorso imprenditoriale è contrassegnato dalla nascita di una miriade di imprese e consorzi che l’imprenditore genera per sviluppare la propria attività. Può capitare infatti che la forma giuridica ultima rappresenti soltanto il modello organizzativo finale rispetto ad un’attività cominciata molti anni prima, tanto che misurazioni della durata nel tempo che non siano basate sul parametro della continuità economica della medesima attività possono risulta-re fuorvianti (es. i passaggi ereditari di padre in figlio a volte pongono cesure fittizie rispetto ad una continuità fattuale). Ecco allora che il percorso impren-ditoriale si sostanzia nella vita dell’imprenditore e che nell’archivio dell’im- presa si confondono le caratteristiche dell’archivio personale e dell’archivio istituzionale. Ma è ancora una volta il prodotto che comunica la continuità o l’interruzione di tale percorso.

I prodotti delle imprese segmenti d’archivio? — L’impresa, come sogget-to giuridicamente riconosciuto nel quadro socio-economico, prima di essere il soggetto produttore del proprio archivio e quindi di fissare attraverso docu-menti la memoria del proprio agire (al di là dei vincoli giuridici o gestionali che la obbligano a farlo), ha la funzione primaria di produrre un prodotto. Difatti, come abbiamo detto, pur essendo un’istituzione mutevole con una strut- tura che geneticamente è sempre variabile, mantiene un’unica costante fissa: esiste in funzione della produzione di una forma specifica di bene o servizio 19. singole imprese vengono a mancare i segmenti d’archivio che testimoniano l’attività del persona-le. Si crea una specie di vuoto documentario. Tale modo di procedere risulta ancora più compli-cato nel caso contrario, quando cioè ad un certo punto una delle imprese si « stacca » dalla holding provocando e pretendendo necessariamente difficili e complesse migrazioni documentarie da una all’altra.

18 Molto spesso si tratta di intere sezioni d’archivio costituite da serie archivistiche partico-lari (es. dalla documentazione cartacea di ricerca ai campioni di laboratorio di un’impresa chimica compresa in un gruppo petrolifero).

19 Nel particolare ci riferiamo al volume di F. GALGANO, Diritto Privato, Padova, Cedam, 1988, al capitolo « Impresa », pp. 427-428.

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Proprio in relazione a questa funzione andiamo ora ad analizzare gli ar-chivi d’impresa dal punto di vista delle tipologie documentarie.

Innanzitutto, al contrario di quanto riteneva una tradizione ormai supera-ta, non ci si trova di fronte soltanto a documenti scritti, ma è anche possibile incontrare un documento « illustrato, trasmesso mediante il suono, l’imma- gine, o in qualsiasi altro modo » 20. È vero che non tutte le tipologie documen-tarie sopraindicate — e molte nuove se ne creano in continuazione — assu-mono la forma di documenti d’archivio. È anche vero però che certe tipologie documentarie, quelle lontane dal testo scritto o a stampa, che si costituiscono su supporti definiti non tradizionali dall’archivistica, trovano spesso molte difficoltà ad essere comprese negli archivi, soprattutto da parte di operatori esterni ai luoghi in cui sono state create.

È evidente infatti che le forme tradizionali di documentazione rappresen-tano il « genere di memoria consolidato » e che « in ogni società vi sono istituzioni che sanciscono quali siano le forme della memoria legittime e illegittime » 21, ma è altrettanto evidente che le imprese, che esistono in quanto producono un bene o un servizio, possono creare in certi casi docu-menti non propriamente allineati a queste forme.

Già da qualche anno l’archivistica ha ampliato il proprio orizzonte di a-nalisi per includere tipologie documentarie nuove rispetto al passato, prime tra tutte i documenti informatici. L’attenzione viene posta anche su documenti fissati su supporti non cartacei, benché spesso, non solo per problemi di conservazione, mantenuti in fondi separati. Vengono considerati quindi parte integrante dell’archivio, per fare solo qualche esempio, i supporti magnetici contenenti le registrazioni delle sedute dei Consigli di amministrazione o addirittura documenti, non propriamente legati all’attività del produttore, che rappresentano operazioni « culturali » esterne ma che in archivio trovano la loro collocazione. Ci riferiamo in quest’ultimo caso all’attenzione prestata alle fonti orali 22 come prodotti documentari creati con funzioni di testimonianza di una attività alle volte terminata da decenni e fatta rivivere proprio attraver-so la creazione di questi documenti, non coevi all’attività ma utili alla costru-

20 Diplomatique, a cura di G. TESSIER, in L’histoire et ses méthodes, a cura di C. SAMA-RAN, Paris, Gallimard, 1961, p. XII (Encyclopédie de la Pléiade, 11). L’espressione è ripresa da J. LE GOFF, Documento/monumento… cit., V, p. 41, a proposito della rivoluzione documentaria.

21 A. L. TOTA, Sociologie dell’arte. Dal museo tradizionale all’arte multimediale, Roma, Carocci, 1999, p. 84.

22 Per riflessioni aggiornate sulle fonti orali si veda il numero monografico del periodico dell’Associazione nazionale archivistica italiana, « Archivi per la storia », XVI (2003), 1, soprattutto il saggio di A. MULÈ, Le fonti orali in archivio. Un approccio archivistico alle fonti orali, pp. 111-125, che in alcuni passaggi richiama problematiche di definizione dei documenti d’archivio applicabili parimenti all’archivio del prodotto. Si segnala inoltre l’attività di un gruppo di lavoro all’interno del Centro per la cultura d’impresa impegnato nella ricerca della definizione di standard per la conservazione e descrizione delle fonti orali e in numerose ricerche sul campo riguardanti l’uso delle fonti orali per la storia economica (si veda http://www.culturadimpresa.org).

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zione della memoria della stessa (interviste a ex dirigenti di un’impresa ai fini di una ricerca, ecc.). Rimangono sempre più rari i casi in cui l’archivista si avvicina all’impresa con l’aspettativa di limitare il proprio intervento al « carteggio » tradizionale, relegando i documenti tecnici allo stato di oggetti di catalogazione 23.

È vero che molte volte ci si trova di fronte a segmenti parziali rispetto a quella che è la completezza e complessità di un archivio. E ribadiamo pure la necessità di inserimento del segmento documentario « tecnico », come potreb-be essere quello relativo ai disegni, all’interno del complesso archivistico globale dell’impresa, alla ricerca di quei vincoli naturali esistenti tra i docu-menti, ma allo stesso tempo sottolineiamo l’importanza, ben chiara alle imprese, proprio di quell’archivio del prodotto non sempre « fissato » su supporti tradizionali. D’altro canto un fondo archivistico dovrebbe comunque sempre essere un « insieme di documenti, senza riguardo alla forma o al supporto, automaticamente ed organicamente creati e/o accumulati [nel nostro caso da un’organizzazione] (…) nel corso delle [proprie] attività e fun- zioni » 24.

In un archivio d’impresa si dovrebbero quindi ritrovare i « segni » 25, le testimonianze, di questa attività produttiva (per noi d’ora in poi più sempli-cemente indicati in senso ampio come prodotti, siano essi beni o servizi) e dell’organizzazione costruita intorno ad essa.

A seconda del tipo di impresa — e non ci riferiamo in questo caso ov-viamente alla forma giuridica — si ha un tipo di prodotto, in quanto frutto dell’attività produttiva che è molto diversificata tra i soggetti genericamente individuati con l’etichetta impresa. Astraendo e separando in maniera a volte un po’ artificiosa cerchiamo di indagare quindi i modi in cui tale prodotto si « concretizza », si « esprime », « comunica » con l’esterno, ovvero « si mate- rializza ». Schematicamente ci si imbatte in:

1. supporti « tradizionali », ovvero il prodotto si concretizza attraverso documenti scritti, immagini iconografiche 26, ecc.;

23 Un’efficace descrizione in chiave autobiografica di questo tipo di approccio è riportata in

A. ROMITI, Tecnica archivistica e archivi d’impresa, in L’archivio nella realtà delle imprese, a cura di F. DEL GIUDICE, Pisa, Associazione Amici della Scuola Normale Superiore, 1999, in particolare alle pagine 188-189.

24 Cfr. L. DURANTI, I documenti archivistici …cit., p. 59 e anche La traduzione italiana delle ISAD(G), in « Rassegna degli Archivi di Stato », LV (1995), pp. 392-413 e la versione originale inglese in LIV (1994), pp. 133-153.

25 Di norma si tratta dei prodotti finiti, ma si intende in questo senso anche documentazio-ne « intermedia », preparatoria alla costruzione del prodotto o documenti creati a testimonianza per esempio della produzione di un « servizio » (es. la fotografia di un evento conservata nell’ar- chivio di un’impresa il cui prodotto è organizzare manifestazioni culturali).

26 Riguardo ai materiali iconografici sono interessanti le riflessioni riportate da G. NISTICÒ, Tra memoria e futuro. Mutazioni in atto negli archivi contemporanei, in Le carte della memoria, a cura di M. MORELLI e M. RICCIARDI, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 161, che sottolineano lo sforzo nel fare accettare da parte della comunità scientifica nuove fonti documentarie, definite

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2. altre forme documentarie riconosciute da discipline quali la biblioteco-nomia, la storia dell’arte, ecc. 3. manufatti, ovvero « oggetti » materiali. Da questa prima ripartizione derivano alle volte profonde differenze tra

l’approccio degli archivisti e l’approccio dell’impresa nella considerazione del prodotto. Nelle esemplificazioni sopra citate il primo è fondamentalmente il caso in cui i due punti di vista più facilmente convergono, riconoscendo questo tipo di prodotto come facente parte dell’archivio dell’impresa (per es. il prodotto fido di un’impresa che produce credito); nel secondo caso invece gli archivisti prendono talvolta le distanze da quelli che sono prodotti quali libri, giornali, riviste non solo rispetto alla loro collocazione in archivio ma anche e soprattutto rispetto alla competenza nel loro trattamento; infine, per il caso dei manufatti, la prassi non contempla la competenza dell’archivista, che di norma li esclude dall’archivio e li considera in alcuni casi « materiale di supporto » alla documentazione d’archivio, in altri casi li relega in un ipoteti-co limbo in attesa di un loro assorbimento in una struttura museale o in aggregazioni proprie delle collezioni.

A proposito di libri e di imprese editoriali Laura M. Coles scriveva: Tecnically, a published book belongs in a library, not an archives. But in pub-

lishing company the book is the fruit of your editorial efforts; it is an essential piece of your history 27.

Nel caso del prodotto libro è abbastanza evidente che in un’impresa che

produce libri il valore e le funzioni sia gestionali-amministrative che di memoria di questa documentazione abbiano una valenza diversa rispetto a quelle riferite ad un libro prodotto « fuori » da quell’impresa, cioè da un’altra impresa. È ancor più evidente che le due tipologie di « libro » a confronto non sono equivalenti pur presentando la stessa forma e gli stessi contenuti: per l’impresa/produttore del libro questo afferisce al proprio archivio, per quella che non lo produce ma lo acquisisce il libro è materiale della biblioteca.

Ancora in questo senso, e molti potrebbero essere gli esempi, pensiamo alle differenze sostanziali nelle valenze e funzioni attribuibili ai quotidiani prodotti e conservati presso l’editore/produttore e la stessa identica raccolta conservata da una impresa che la utilizza a fini esclusivamente informativi e in essa non individua nulla di suo. Va ricordato infatti che proprio nel prodot-to l’impresa si riconosce.

È necessario allora inserire il prodotto come documento legato agli altri documenti, indipendentemente dalla forma e dal supporto materiale, in posi- « materiali fastidiosi » sostanzialmente perché « pongono problemi di descrizione e ordinamento in specie se inseriti in complessi archivistici ».

27 L. M. COLES, Archival Gold. Managing & Preserving Publishers’ Records, Vancouver, Canadian Centre for Studies in Pubblishing, 1989, p. 27; per la segnalazione si ringrazia Luisa Finocchi della Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori.

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zione logica all’interno dell’archivio in modo da mantener fede al naturale e proprio vincolo archivistico all’interno delle serie che lo compongono. Inoltre perché « tecnicamente » 28 ciò non valga bisognerebbe non riconoscere nel « prodotto/documento » libro, così come nei giornali o in altri tipi di docu-mento, i connotati del documento d’archivio e dare forza semplicemente alla forma, prescindendo radicalmente dal « contesto documentario » all’interno del quale si è creato il documento come « strumento o residuo di un’attività pratica » 29. Vorrebbe dire inoltre non riconoscergli le altre caratteristiche tipiche soltanto dei documenti d’archivio: « naturalezza (…) interdipendenza (…) unicità » anche in presenza di plurime copie, di documenti identici 30, e ancora « imparzialità (…) autenticità » 31, quest’ultima « connessa al reale bisogno di auto-documentazione del soggetto produttore che infatti organizza il proprio sistema archivistico in modo da garantirsi una produzione documen-taria affidabile e sicura che conservi tali qualità sia nel momento della gestio-ne attiva che nelle successive fasi di trattamento e conservazione » 32. Proprio in questi termini il fatto che documenti quali il bilancio di una società, i numeri di un quotidiano oppure oggetti quali i bottoni vengano prodotti in plurime copie assolutamente identiche e disperse sul territorio non scardina il nostro discorso ma sottolinea che i loro caratteri di autenticità sono fortemen-te legati al produttore. Ci si muove nella direzione che lega fortemente l’autenticità del documento non ai suoi caratteri « formali » (che potrebbero mancare) ma al legame con l’istituzione che lo ha prodotto come garante e certificatore proprio della autenticità.

Ma allora il prodotto, se riporta i caratteri costitutivi sopra citati, può es-sere documento d’archivio, non enfatizzato nella sua forma e quindi non sradicato dal contesto archivistico per essere collocato in contenitori strutturati dall’esterno secondo aggregazioni non coeve alla sua formazione (biblioteche, emeroteche, ecc.) e, quando su supporto non cartaceo, nemmeno recluso in artefatte forme di collezione a causa della propria materialità di oggetto fisico.

28 L. M. COLES, Archival Gold …cit., p. 27. 29 L. DURANTI, I documenti archivistici … cit., pp. 17-18. 30 L. DURANTI, La definizione di memoria elettronica, in L’ecclisse delle memorie, a cura

di T. GREGORY e M. MORELLI, Bari, Laterza, 1994, pp. 152. 31 L. DURANTI, I documenti archivistici… cit., pp. 18-19, riporta come caratteristiche dei

documenti archivistici la « naturalezza, che deriva dal fatto che i documenti archivistici risultano da esigenze pratico-amministrative e si accumulano naturalmente e continuamente; interdipen-denza, che deriva dalla loro spontanea e al tempo stesso strutturata coesione, dovuta alla ragione per cui essi sono creati e necessaria alla loro esistenza e alla loro capacità di raggiungere il loro scopo e di servire come testimonianza; unicità, che deriva dal rapporto unico che ciascuno di essi ha con il suo contesto sia documentario che amministrativo; imparzialità, che deriva dal fatto che i documenti archivistici formano una parte reale delle attività da cui risultano; autenticità, che deriva dal fatto che i documenti archivistici sono generati credibili e affidabili da coloro che hanno bisogno di agire per mezzo di essi e sono mantenuti con le appropriate garanzie per ulteriori attività, per consultazione, informazione e testimonianza ».

32 M. GUERCIO, La gestione dei documenti d’archivio. Principi e metodi, in Gli archivi nella realtà dell’impresa… cit., p. 148, ma anche pp. 136-137.

L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »

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In questo secondo senso risulterebbe addirittura paradossale non riconoscere questi prodotti/oggetti come parti integranti d’archivio in un’epoca in cui il documento virtuale ha proprio il problema di non essere un « oggetto fisico, definito nello spazio e nel tempo » in una forma stabile 33.

Allo stesso tempo non si vuole dare ad intendere che all’interno dell’im- presa non siano presenti forme documentarie che rappresentino qualcosa di diverso dai documenti d’archivio, che non possano cioè esistere nelle imprese le biblioteche, le emeroteche o le raccolte di oggetti. Ma se esistono tali luoghi non contengono (o non dovrebbero contenere) quei documenti che costituiscono la rappresentazione interna ed esterna dell’attività di quella determinata impresa, siano essi documenti cartacei o manufatti. Non è possi-bile paragonare i prodotti materiali posti in essere da un’impresa agli oggetti di una collezione — anch’essa interna all’impresa — degli strumenti per esempio che nel tempo si sono utilizzati per la costruzione dei prodotti stessi (i quali in altri luoghi potranno essere segmenti di archivio di prodotto di quelle imprese che li hanno creati). Allo stesso tempo non vogliamo cadere in una specie di « vizio dell’enfasi della forma » considerando gli oggetti sempre e indistintamente come documenti d’archivio.

È evidente che quanto detto finora sembra proporre uno schema certo in cui collocare le diverse tipologie di fonti documentarie mostrandole con un profilo ben definito. Nonostante quanto affermato, vorremmo ora introdurre quelli che sono gli elementi di problematicità che emergono dall’analisi fin qui effettuata. Prima però evidenzieremo quelli che vogliamo sottolineare come punti fermi di queste riflessioni. Il primo, che deriva da quanto detto finora, si sostanzia nella considerazione che i prodotti materiali sono a tutti gli effetti delle serie archivistiche. Con ciò non vogliamo dire che in un’impresa che conserva solo tre prodotti sporadici relativi alla propria attività, questi rappresentino una serie archivistica. Lo stesso problema lo incontreremmo in presenza di archivi cartacei dispersi: capita alle volte che la memoria di un’impresa si riduca alla conservazione di un vecchio bilancio, uno statuto e qua e là qualche foglio sparso relativo a una corrispondenza di cui si sono perse le tracce. Una cosa è la conservazione, altra cosa è la produzione di documenti. L’altro punto che vogliamo evidenziare come elemento forte e caratterizzante un archivio d’impresa volge nella direzione dell’unitarietà dello stesso come insieme di più segmenti tra loro anche profondamente diversi (il segmento amministrativo-gestionale, il segmento tecnico, il segmento relativo al prodotto finito, ecc.). A questo punto possiamo cominciare ad individuare quelli che si presentano come problemi legati alla definizione di confini e funzioni che, pur in qualche modo evidenziati e schematizzati sopra, non sempre trovano una connotazione così netta e precisa rispetto a come li abbiamo proposti. Esiste un intero settore « grigio » non facilmente identifica-

33 M. GUERCIO, La gestione dei documenti… cit., p. 137.

Antonella Bilotto

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bile e tanto meno collocabile in una riflessione sul metodo attraverso gli strumenti finora utilizzati.

La stessa identificazione dell’archivio del prodotto in quanto tale può porre questo tipo di problemi. Durante il ciclo produttivo, per ragioni non propriamente attinenti alla nostra analisi, può accadere che il prodotto o parte di esso venga commissionato all’esterno dell’impresa, ad altre imprese. Ciò significa che nel ciclo produttivo intervengono archivi del prodotto di altre imprese (per es. alcuni componenti di un’automobile). Il prodotto finito in questo caso rappresenta un insieme, indipendente dalle percentuali, di quelli che sono i « prodotti »/componenti di altri che a questo sono aggregati. Se ci riferissimo ai fascicoli cartacei li definiremmo « allegati »; dovremmo forse domandarci se ciò può valere anche nel caso dei prodotti.

Un’altra considerazione va fatta riguardo alla conservazione dell’archivio del prodotto. Le ragioni per cui in un’impresa questo non venga mantenuto nel tempo possono essere molteplici. Di norma non sono ragioni relative all’ingombro 34 — o lo possono essere solo parzialmente — ma sono motiva-zioni legate soprattutto al carattere di unicità. Se la produzione è rappresentata da un’attività artigianale, come per esempio in oreficeria, l’archivio presso l’impresa conserverà la catena documentaria relativa ad un determinato prodotto fino a che il prodotto non « esce » dall’impresa (troveremo il carteg-gio relativo ai materiali, il carteggio relativo alla vendita, il disegno, ecc.). L’oggetto prodotto in un unico esemplare (un anello ad esempio) è uscito dall’impresa. In pratica ci si trova di fronte ad un archivio del prodotto disperso sul territorio al pari — e qui non si fraintenda la comparazione — della produzione artistica di un pittore: tale documentazione potrebbe essere eventualmente ricollocata all’interno dell’archivio dell’impresa di cui è parte o potrebbe finire in altri luoghi, slegata dall’impresa, all’interno di collezio-ni/musei, laddove non sono la concatenazione archivistica e il vincolo archivi-stico le logiche dell’aggregazione.

È questo, a nostro parere, il terreno sul quale sviluppare e ampliare i di-scorsi metodologici propri dell’archivistica. Dove comincia e dove finisce un fondo? 35 Quali documenti in questo fondo possono essere a ragion veduta compresi? E forse ancor più che cos’è un fondo nei termini della documenta-zione di un’impresa? Le fotografie comprate alle agenzie di stampa che vengono pubblicate su un quotidiano e che di solito stanno in un centro di documentazione quanto sono o non sono archivio e perché? Quali sono le caratteristiche dei fondi separati in un archivio d’impresa? Perché siamo

34 Si pensi per esempio agli eccellenti esempi, forniti dall’industria automobilistica, di con-servazione di prototipi di automobile che senza dubbio, rispetto ad altri prodotti, sono da considerarsi abbastanza ingombranti.

35 Ciò vale non solo per gli archivi d’impresa. Più volte ci si domanda dove finisce l’ar- chivio di uno scrittore: la sua corrispondenza, i suoi manoscritti, le sue bozze stanno a pieno titolo nel fondo che testimonia la sua attività di uomo e di scrittore. Ma la copia a stampa dei suoi scritti, pubblicata da case editrici diverse, fa parte dell’archivio o no?

L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »

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portati così spesso a considerare gli oggetti materiali prodotti dalle imprese come segmenti non d’archivio ma componenti di strutture museali che pur esistono all’interno delle imprese e con questa etichetta vengono connotati?

Rispetto a quest’ultimo punto vorremmo proporre solo una breve rifles-sione. All’interno delle imprese — o grazie al concorso tra più imprese — sono nate recentemente esperienze di valorizzazione del patrimonio storico-culturale che hanno preso il nome di museo d’impresa. Ci sembra però che esista una prima differenza tra quello che può essere definito un museo che si basa su documenti aggregati secondo, sia permesso il termine, una materia e musei i cui componenti sono esclusivamente i prodotti di una specifica impresa. Un ipotetico museo dell’editoria potrebbe comprendere e comparare al proprio interno i documenti prodotti da più imprese editoriali magari sul filo conduttore forte dei prodotti di una specifica impresa. Il museo di un’impresa di mobili di design o di un’impresa automobilistica che compren-de solo i prodotti relativi alla propria attività specifica ci sembra già qualcosa di diverso dal modello museale proposto sopra. La missione di queste espe-rienze — a volte segmenti dell’impresa, a volte istituzioni giuridicamente autonome — è quella di manifestare la rilevanza culturale di un ramo d’azienda (museo del prodotto) o dell’impresa stessa, anche se, nei due casi proposti, cambiano sicuramente i contenuti e non solo. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un’operazione culturale che, inseguendo un filo rosso, attraversa più produttori d’archivio, attingendo a più archivi; nel secondo caso ci troviamo di fronte a una diversa finalità che è quella di trasmettere attra-verso il prodotto l’espressione più autentica della propria identità.

Inoltre un fattore discriminante permane e ci sembra importante eviden-ziarlo alla comunità scientifica come nodo di un dibattito da affrontare. Esso risiede nella marcata funzione espositiva che è connaturale all’approccio museale e nell’impresa è enfatizzata da una più forte attenzione agli aspetti della valorizzazione rispetto a quelli della conservazione. Ne deriva che il museo d’impresa illustra l’evoluzione del prodotto aziendale e quindi si fa carico della finalità espositiva imponendo una selezione (una sorta di scarto estetico) essenziale ad assicurare l’efficacia dell’esperienza percettiva da parte del fruitore.

L’impresa potrebbe, certo con valenze differenti, comunicare all’esterno prodotti culturali diversi come potrebbe avvenire per esempio attraverso pubblicazioni che attingono sempre agli stessi documenti d’archivio. Quello che però intendiamo in questa sede sottolineare — e in questo ci ricolleghia-mo alla volontà di non separare i prodotti dagli altri documenti d’archivio — è che ciò che muove verso la mediazione espositiva è la volontà di realizzare appunto un’operazione culturale (non è necessario farlo, ma può essere fatto). Nel caso della formazione dell’archivio questa valenza non c’è: l’archivio si forma naturalmente per gli scopi già sottolineati più volte in queste pagine.

Riflettendo su questo nodo concettuale crediamo sia possibile sostenere che la garanzia della corretta e completa conservazione dell’archivio del

Antonella Bilotto

306

prodotto possa essere meglio fornita dall’approccio archivistico, più attrezzato per resistere alle tentazioni delle logiche d’uso nella formazione del patrimo-nio strorico-documentale.

Quanto finora proposto sull’archivio del prodotto che, come abbiamo già accennato, definiamo strumentalmente in questo modo ma non consideriamo come archivio separato dal resto dell’archivio d’impresa, pone grandi proble-mi a chi realmente si trova a dover operare laddove il prodotto non rappresen-ta la forma più diffusa dei documenti d’archivio, quelli cartacei, nei termini per esempio del riordinamento e dell’inventariazione, ma soprattutto nei termini delle descrizioni. Descrivere un oggetto — ma al pari di una perga-mena, di un disegno tecnico o di una fotografia — richiede competenze specifiche. Riteniamo la figura dell’archivista centrale nell’individuazione dei legami interni ai documenti che solo chi ha trattato l’archivio nella sua inte-rezza può cogliere. È fondamentale il riconoscimento dell’unità archivistica corrispondente per esempio al numero della rivista pubblicata che tiene in- sieme, secondo una sedimentazione naturale, il complesso delle tavole dipinte a mano o ancora le fotografie del progetto di costruzione di una centrale elettrica o, perché no, le matrici in piombo delle medaglie coniate per un determinato evento o ancora il gruppo di bottoni esperimento di una innova-zione tecnologica nello smalto. Di qui poi il riordinamento, l’inventariazione e quanto in archivistica è necessario alla descrizione di questo materiale docu-mentario in collaborazione con figure professionali individuate a seconda del settore (storico dell’arte, esperto chimico, ecc.) specializzate nelle descrizioni particolari.

Nella pratica archivistica non sempre questo approccio agli archivi d’im- presa è facilmente realizzabile. Esistono atteggiamenti fortemente contrastanti con complicazioni di ordine giuridico (per esempio sulle competenze rispetto alla tutela delle diverse Soprintendenze) anche molto complesse.

Perciò, posto che non possa esistere una separazione nell’archivio d’im- presa in relazione alla materialità dei documenti che lo compongono, l’ap- proccio non può che basarsi su un sistema integrato di competenze che su di esso intervengano sia dal punto di vista delle professionalità sia dal punto di vista dell’indirizzo e della tutela giuridica.

ANTONELLA BILOTTO

Centro per la cultura d’impresa

GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE SCHIFF GIORGINI.

DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE »

(Archivio di Stato di Firenze, 16 maggio 2002)

Si pubblicano i testi delle relazioni tenute in occasione di una giornata di studio organizzata dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana in colla-borazione con l’Archivio di Stato di Firenze per presentare al pubblico il deposito presso quest’ultimo Istituto di un consistente nucleo delle carte Schiff Giorgini, a conclusione di un complesso intervento di tutela.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Rosalia Manno Tolu - Maria Grazia Pastura 308

Introduzioni ai lavori 309

INTRODUZIONI AI LAVORI

Nell’aprire i lavori dell’incontro di studi dedicato alle carte Schiff Gior-gini, sono lieta di esprimere il compiacimento dell’Archivio di Stato di Firen-ze per la realizzazione di questa iniziativa, avvenuta in stretta collaborazione con la Soprintendenza archivistica per la Toscana.

Il titolo del convegno, « Pubblico e privato nelle carte Schiff Giorgini. Dalla dispersione al deposito presso l’Archivio di Stato di Firenze », allude, da un lato, a possibili, differenti percorsi di ricerca all’interno del fondo docu-mentario che oggi viene depositato presso il nostro Istituto, dall’altro sottende i problemi affrontati dalla Soprintendenza per superare, nella misura del possibile, la dispersione dell’archivio della famiglia Giorgini, da tempo avve- nuta. Causa di ciò fu soprattutto la presenza in quel fondo dei documenti riguardanti le figlie di Alessandro Manzoni, Matilde e Vittoria, quest’ultima andata sposa a Giovanni Battista Giorgini nel 1846; lettere, diari, scritture particolarmente ambite e dense di suggestioni evocative, sono tornate adesso, grazie all’intervento sapiente e tenace della Soprintendenza archivistica, nel- l’alveo originario delle carte di famiglia, giunte agli Schiff a seguito del matrimonio di Roberto con Matilde di Giovanni Battista Giorgini.

Le relazioni previste nella sessione mattutina di questa giornata daranno conto, con Paola Benigni, delle vicende dell’archivio Schiff Giorgini nel corso del Novecento e, quindi, della diaspora di quelle carte, divise adesso tra cinque istituti culturali (il Centro studi manzoniani, la Biblioteca Braidense, il Gabinetto Vieusseux, la Società toscana del Risorgimento e l’Archivio di Stato di Firenze), che potranno cooperare nella creazione di un’efficace guida inventario dell’archivio, promuovendone così una ricomposizione virtuale.

Successivamente, Alessandro Breccia e Romano Paolo Coppini tratteran-no di eminenti rappresentanti di casa Giorgini — Niccolao, Gaetano e Gio-vanni Battista — che, originari di Montignoso, parteciparono attivamente, durante tutto il sec. XIX, alla vita pubblica, politica e culturale, nella Repub-blica e nel Ducato lucchese e, poi, nel Granducato di Toscana e nell’Italia unita. Concluderà la sessione mattutina del convegno Emilio Capannelli, che rievocherà la tragedia del primo conflitto mondiale attraverso le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini. Nel pomeriggio saranno di scena aspetti della vita privata, colti soprattutto attraverso le vicende delle figure femminili,

Rosalia Manno Tolu - Maria Grazia Pastura 310

attrici principali delle « memorie manzoniane di casa Giorgini », ripercorse da Giuseppe Nicoletti.

Seguirà la lettura animata di un atto unico di Donatella Contini, Le due signore 1, le cui protagoniste sono entrambe creature di Manzoni, la figlia vera, Matilde, e la figlia « di carta », la monaca Gertrude dei Promessi sposi, accompagnata dal suo modello storico, Marianna de Leyva. Leggeranno il testo teatrale: Stefano Gambacurta, Patrizia Ficini, Costanza Geddes, Ilaria Parri ed Elisabetta Santini.

Alla Soprintendenza archivistica per la Toscana, ai relatori, alla scrittrice e agli attori, che hanno reso possibile la realizzazione di questa giornata, va la nostra più sentita gratitudine.

ROSALIA MANNO TOLU

Archivio di Stato di Firenze L’opera di attenta ricostruzione delle vicende di un archivio, della tradi-

tio dei documenti che lo compongono, è parte integrante del lavoro d’indagine che l’archivista è tenuto a compiere nel consegnare ai ricercatori le chiavi della memoria. La sedimentazione delle carte di un archivio non è, infatti, casuale né neutrale rispetto alle scelte compiute dal suo creatore: nel caso di un archivio familiare essa è anche il risultato di alleanze, matrimoni, percorsi di vita dei membri della famiglia, o delle famiglie che lo hanno costituito. La frammentazione dell’archivio, la dispersione delle carte è quindi un vulnus talvolta irrecuperabile, poiché ne compromette la leggibilità. Il lavoro compiu-to dalla Sovrintendenza in cinquant’anni di difficile tutela, ripercorsi da Paola Benigni nel suo contributo, per rintracciare e ricondurre ad unità, almeno sulla carta, l’archivio Schiff Giorgini è quindi ineccepibile nel metodo. Del risultato conseguito sottolineo l’importanza, poiché esso ha restituito, nella sua integri-tà, alla ricerca un pezzo importante del nostro comune patrimonio culturale.

Non uso a caso questa locuzione. La consapevolezza che gli archivi sono parte integrante e infungibile del patrimonio culturale è maturata nel nostro Paese dopo un lungo percorso di elaborazione dottrinale, che ha avuto i suoi momenti più alti nei lavori della Commissione comunemente nota col nome del suo presidente, Franceschini, a metà degli anni Sessanta del Novecento.

Il tema riecheggia ora nella Raccomandazione del Consiglio dei ministri dell’Unione Europea per una « politica europea in materia di comunicazione di archivi », approvata a Strasburgo nel 2000, dove si afferma tra l’altro che

1 D. CONTINI, L’autore smemorato e Le due signore, Firenze, Nicomp Letture, 2001.

Introduzioni ai lavori 311

un Paese non accede pienamente alla democrazia se non pone ciascun cittadi-no nella condizione di conoscere « in maniera oggettiva gli elementi della sua storia », che ha negli archivi, specialmente in quelli dell’apparato pubblico, una fonte primaria. Il conservare e il trasmettere alla riflessione delle genera-zioni che verranno le fonti documentali, pubbliche e private, è quindi, per una nazione, un irrinunciabile obiettivo di civiltà. Obiettivo a cui tutti sono chia-mati a concorrere.

L’organizzazione amministrativa e la legislazione di tutela che lo Stato italiano si è dato nel corso di oltre un secolo hanno assecondato quello che con espressione felice è stato definito il « policentrismo della conservazione », assicurando tuttavia sempre più consapevolmente unitarietà di indirizzi per la salvaguardia e la trasmissione del patrimonio storico-documentale. È stato così realizzato un modello istituzionale, seguito anche da legislazioni estere, che coniuga pluralismo culturale e tutela unitaria, quest’ultima assicurata, sul territorio, dalle Soprintendenze.

In ragione di questa impostazione, confermata anche dal decreto legisla-tivo 490/1999, recante il testo unico dei beni culturali ed ambientali, i primi destinatari degli indirizzi impartiti dalla legislazione di tutela sono i proprieta-ri, possessori o detentori degli archivi: ad essi fa capo infatti, in via primaria, l’obbligo di conservarli nella loro integrità — dove, per conservazione, si intende quella fisica dei materiali documentari, assicurata anche mediante il restauro, quella dell’ordinamento delle carte, condizione indispensabile per la leggibilità dell’archivio, o meglio, per dirla con il Testo unico, « per assicurare la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali » —, come pure l’obbligo di consentire l’accesso agli utenti.

In un sistema istituzionale che riconosce anche la funzione pubblica della proprietà privata, questi oneri vanno letti, quando ricadono su un soggetto pri- vato, nella prospettiva dell’interesse che la carta costituzionale riconnette alla salvaguardia del patrimonio culturale nazionale. In ragione del rilievo costitu-zionale dei beni, le istituzioni pubbliche sono chiamate in diversa misura a concorrere: lo Stato, in quanto titolare della funzione di tutela, le Regioni, gli enti locali, gli enti funzionali, in quanto titolari di funzioni di conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale.

Nel caso degli archivi privati, gli obblighi ai quali ho fatto cenno sorgono nel momento in cui un formale provvedimento della Soprintendenza ne dichiari il notevole interesse storico: meglio, con l’avviso di avvio del proce-dimento che si concluderà con la dichiarazione. Da quel momento, ogni con- dotta che trasgredisca a quegli obblighi è perseguibile penalmente, in ragione del fatto che il nuovo testo normativo estende anche agli archivi l’apparato di sanzioni già previsto dalla legge 1089 del 1939 a tutela dei beni di interesse artistico e storico.

La legislazione chiama tuttavia i privati a cooperare con lo Stato per l’individuazione del patrimonio storico-documentale nazionale. In questo senso deve essere letta la norma che invita i detentori di documenti che

Rosalia Manno Tolu - Maria Grazia Pastura 312

abbiano più di settant’anni a dichiarne il possesso, nel presupposto che essi abbiano, per la loro stessa antichità, notevole interesse storico; o quella che obbliga i titolari di case di vendita e i pubblici ufficiali preposti alle vendite mobiliari di comunicare al soprintendente archivistico l’elenco degli archivi e dei documenti posti in vendita, ivi compresi quelli non dichiarati dal soprin-tendente.

Questo è, in estrema sintesi, il quadro della disciplina di tutela, rigoroso come richiede il compito cui vuole assolvere, e tuttavia non sempre bastante a sostenere quel compito.

Al di là del rigore normativo, io credo che le prospettive di conservazio-ne del nostro immenso patrimonio siano soprattutto affidate alla presa di coscienza, da parte delle istituzioni pubbliche e dei privati, del profilo di civiltà che distingue il comune impegno alla conservazione degli archivi. Se questa felice condizione si verificherà, e da molti segnali si può cogliere il risveglio dell’interesse verso gli archivi, l’obiettivo della trasmissione della memoria storica nazionale diverrà un obiettivo a portata di mano, se mi consentite l’espressione.

Occorre, a questo fine, cooperazione tra le istituzioni e tra istituzioni e privati: proprietari di archivi, studiosi, cittadini. L’opera delle Soprintendenze è spesso resa difficile proprio dalla mancanza di questa collaborazione, specie nella fase dell’individuazione del patrimonio culturale di proprietà privata. Lo stesso procedimento di dichiarazione di notevole interesse storico diviene un momento critico, se non c’è, da parte del privato, la disponibilità a riconoscere la funzione pubblica del tesoro di carte che possiede: tesoro non tanto — o non solo — in ragione del suo valore venale ma per l’intrinseco valore di testimonianza che le carte recano. Matilde Schiff-Giorgini era ben consapevo-le dell’importanza delle care memorie familiari: il venir meno di questa consapevolezza ha generato la dispersione di quelle memorie. Né l’attenzione ad esse dedicata da parte degli storici e da parte dell’organo di tutela ha potuto evitare la diaspora.

Ora questa possibilità di cooperazione diviene una prospettiva concreta alla luce della più recente disciplina sui beni culturali. Come ho accennato in apertura, la vigente normativa (e la recente legge costituzionale di riforma del Titolo V della carta costituzionale accentua questo indirizzo) attribuisce non solo allo Stato, ma anche alle Regioni e agli enti locali, funzioni di intervento per la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale pubblico e privato presente nel proprio territorio. In ragione della nuova disciplina, spetta anche alle Regioni e agli enti locali assumere iniziative di censimento e inven- tariazione di archivi pubblici e privati, nell’ambito dei principi generali defi- niti con legge dello Stato. Alla amministrazione statale conferisce strumenti di intervento più duttili, ampliando, ove ricorrano precise condizioni, la facoltà di sostenere gli interventi con risorse a carico dell’erario statale. Le Commis-sioni regionali, istituite dal decreto legislativo 112/98 con il compito di istruire e formulare proposte di piani pluriennali e annuali di valorizzazione dei beni

Maria Grazia Pastura

Introduzioni ai lavori 313

culturali e di promozione delle relative attività, momento importante di con-fronto e di collaborazione, sono assunte come luogo nel quale, dalla composi-zione dei diversi interessi, prendono corpo programmi organici capaci di influire sulle linee programmatiche nazionali.

È importante che le istanze coinvolte operino in modo che questo mo-mento di confronto e collaborazione non si trasformi in un nuovo « scacco istituzionale », qual’è stato il sostanziale fallimento del Comitato regionale previsto dal vecchio decreto 805 del 1975 sull’organizzazione del Ministero per i beni culturali ed ambientali.

D’altra parte, l’ambizioso obiettivo della conservazione e della trasmis-sione del nostro immenso patrimonio culturale deve necessariamente mobilita-re e coinvolgere tutte le risorse disponibili, pubbliche e private. E quindi non possiamo non ricordare, in questa prospettiva, l’art. 38 del collegato alla legge finanziaria 2001, che introduce nuovi benefici fiscali per chi investe nel settore dei beni e delle attività culturali, nell’intento di coinvolgere risorse private nell’opera di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale.

In conclusione, credo di poter affermare che la legislazione che ho bre-vemente commentato indica la via della cooperazione, della condivisione di progetti, della messa in comune di risorse, come quella da seguire per la salvaguardia del patrimonio culturale, nella consapevolezza che l’obiettivo della sua tutela sia un’impresa di alto profilo civile alla quale nessuno deve sentirsi estraneo: non l’istituzione pubblica, alla quale fa carico l’onere più gravoso, non il privato che, in quanto proprietario o semplicemente detentore di un bene di rilievo costituzionale, svolge anch’egli una funzione pubblica. Ma poiché le leggi camminano con le gambe degli uomini, la riuscita di questo chiaro disegno normativo dipenderà da quanti, con diverso profilo e diversi compiti, si impegneranno con onestà intellettuale in questa meritoria impresa.

MARIA GRAZIA PASTURA

Direzione generale per gli archivi Servizio III. Archivi non statali

TRA MEMORIA ED OBLIO: L’ARCHIVIO SCHIFF GIORGINI NEL NOVECENTO *

Il 15 giugno del 1940 moriva a Firenze Matilde Schiff Giorgini, figlia di

Giovanni Battista Giorgini e di Vittoria Manzoni e nipote diretta dell’autore dei Promessi Sposi.

Un testimone d’eccezione, Giovanni Gentile, che, come vedremo aveva nei suoi confronti un particolare debito di riconoscenza, ne delineò negli « An- nali Manzoniani » dell’anno successivo, un breve, ma significativo profilo 1. Di donna Matilde, definita « come l’ultima superstite della famiglia e la degna erede di quelle domestiche tradizioni manzoniane (…) oggetto di universale curiosità e di assidue ricerche degli studiosi », egli ricordava soprattutto l’amore per gli studi e il culto costante delle memorie familiari di cui curò personalmente l’edizione e diffuse la conoscenza o permise ad altri, con signorile liberalità, lo studio e la pubblicazione.

Tra i molti che si rivolsero a lei « per ragguagli e documenti del suo ar-chivio prezioso », Gentile cita alcuni dei principali cultori di studi manzoniani dei primi decenni del secolo: Alessandro d’Ancona, che nel 1913 pubblicò le lettere di argomento manzoniano di Giovan Battista Giorgini 2; Michele Scherillo che da donna Matilde ebbe, per il secondo volume di Manzoni Intimo uscito nel 1923, tutte le lettere inedite scritte da Manzoni alle figlie Matilde e Vittoria e al genero Giovan Battista 3; Domenico Bulferetti, che sempre grazie alla sua disponibilità, curò nel medesimo anno la pubblicazione dell’inedito manzoniano Sentir messa 4.

* Questo articolo riprende, con alcuni approfondimenti, considerazioni da me già svolte nel contributo L’archivio Schiff Giorgini da scrigno di “care memorie” a terreno di caccia di anti- quari e collezionisti, presentato ad una giornata di studio tenutasi sul medesimo tema a Firenze il 2 marzo 2001 e poi pubblicato in « Paragone », LI (2000), terza serie, 27-28-29, pp. 146-155.

1 « Annali Manzoniani », II (1941), pp. 290-291; da qui, fino a diversa indicazione, sono tratte le citazioni che compaiono nel testo tra virgolette.

2 A. D’ANCONA, Otto lettere di argomento manzoniano di G. B. Giorgini, Pisa 1913, ripub-blicate in ID., Pagine sparse di letteratura e di storia, Firenze 1914, pubblicate di nuovo in Manzoni Intimo, un tesoro di lettere inedite dirette alle figlie Vittoria e Matilde e al genero G. B. Giorgini, II, a cura di M. SCHERILLO, Milano 1923, pp. 249-274, appendice II.

3 Manzoni Intimo, II… cit., pp. 1-234. 4 D. BULFERETTI, Sentir Messa, Milano, Bottega di poesia, 1923.

Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento

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Né manca di ricordare, Gentile, quanti ebbero accesso al tesoro delle carte domestiche, conservato da Donna Matilde, per studiare l’età risorgimen-tale; cita, in proposito, l’aiuto prezioso che ella prestò ad Albertina Simoni per il suo saggio su La vita, l’attività e gli scritti di Giovan Battista Giorgini, pubblicato nel 1925 5, e la collaborazione disinteressata fornita a molti altri studiosi che, come Vittorio Cian 6 ed Angelo Gambaro 7, si occuparono più specificatamente del ruolo avuto dal padre nel processo di unificazione nazio-nale e dei suoi rapporti con i principali protagonisti delle vicende politiche del Risorgimento.

Quanti e quali tesori conservasse l’archivio Giorgini l’aveva del resto ri-velato con efficacia la stessa Matilde pubblicando nel 1910, nel volume dal titolo Vittoria e Matilde Manzoni, le Memorie della madre con un’introdu- zione e un apparato di note, ricchi di documenti inediti 8.

In realtà la morte della madre, che aveva segnato per lei la fine della giovinezza immemore, l’aveva condotta negli anni immediatamente seguenti il 1892 ad assumere su di sé il ruolo che ella aveva svolto, in ordine alla con-servazione e al culto delle più intime memorie familiari, e a recuperare « tra le moltissime carte di cui erano pieni i cassetti di casa » avvenimenti e figure del comune passato.

« Finché visse mia madre — ella dice parlando delle lettere inviate da Enrichetta Blondel e da Giulia Beccaria a Vittoria in collegio — io avevo viste più volte nel suo secrétaire queste vecchie lettere dirette al Monastero delle Grazie ma, quelle carte ingiallite, avevano appena tentata la mia curiosi-tà negli anni della giovinezza. Quando poi gli anni si moltiplicano, e special-mente in certe date disposizioni di animo che ci fanno guardare con diffidenza il presente e con timore l’avvenire, allora le dolci memorie del passato ci offrono come un rifugio di pace; e, buon per chi, cercando fra i ricordi fami-liari, può trovarne di quelli capaci di spargere un così soave lavacro sullo spirito inquieto » 9.

Sin dal 1893 Matilde trascrive 134 lettere che Alessandro Manzoni aveva inviato alle figlie Vittoria e Matilde e al genero Giovan Battista e ne fa

5 A. SIMONI, La vita, l’attività e gli scritti di Giovanni Battista Giorgini, Pisa 1925. 6 V. CIAN, Gian Battista Giorgini, in « Nuova Antologia », 1° luglio 1908, pp. 1-28. 7 Ad Angelo Gambaro, donna Matilde prestò ben 48 lettere datate 1848-1867 indirizzate da

Raffaello Lambruschini al padre G. Battista, cfr. Appendice 1. 8 Vittoria e Matilde Manzoni, a cura di MATILDE SCHIFF GIORGINI, Pisa, Nistri, 1910 (in

soli 50 esemplari); di questo libro, riedito da Michele Scherillo nel 1923, nel I volume di Manzoni Intimo, esiste nell’archivio Schiff Giorgini un esemplare a stampa con annotazioni autografe di Matilde Schiff Giorgini, ora in ASFI, Schiff Giorgini/Montignoso, 245. Le segnature archivistiche del nucleo di carte Schiff Giorgini (depositato dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana nell’Archivio di Stato di Firenze con convenzione del 28 gennaio 2003) che compaiono in questo articolo e in quelli di A. Breccia, E. Capannelli e R.P. Coppini, sono prov- visorie.

9 Ibid., in part. l’Introduzione, pp. VIII-XXVIII.

Paola Benigni

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l’indice 10; pubblica nel 1899 l’autobiografia del bisnonno Niccolao Giorgini di cui ha ritrovato il manoscritto autografo 11 e recupera le lettere che il duca di Lucca gli aveva inviato nel 1848-49 12; trova, infine, tra le carte del nonno paterno Gaetano, un pacco di documenti relativo al fidanzamento dei genitori 13.

Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1908, scopre tra le sue carte alcu-ne pagine di un Journal della zia Matilde — di cui pubblica qualche brano nel volumetto, già ricordato, del 1910 14 — e le 27 lettere che egli scrisse nella primavera del 1848 alla moglie Vittoria dal campo della Prima guerra di indipendenza, di cui cura l’edizione nel 1912 15.

Delle sue pubblicazioni, in ogni modo, quella che attira maggiormente l’interesse e la curiosità degli studiosi, per la messe di documenti inediti che fa intravedere, è senza dubbio Vittoria e Matilde Manzoni che riceve, tra gli altri, i giudizi entusiastici dell’erudito Giovanni Sforza 16 e di Alessandro D’Ancona 17 e diverse recensioni anche sulla stampa.

Da più parti, comunque, si esorta donna Matilde a curare una seconda edizione del volume in un maggior numero di copie (la prima era uscita in

10 Manzoni Intimo… cit., II, in particolare l’Avvertenza. 11 (...), Cenni autobiografici sulla vita pubblica di Niccolao Giorgini, a cura di M. SCHIFF

GIORGINI, Pisa, Nistri 1899; l’autografo si trova oggi alla Biblioteca Braidense di Milano. 12 Si veda per questo Vittoria e Matilde… cit., nota 2, pp. 73-77. Niccolao Giorgini fu dal

1840 ministro dell’interno e presidente del Consiglio di ministri del Ducato di Lucca, di cui fu nominato reggente nel 1847 al momento dell’unificazione con la Toscana; sette lettere di Carlo Ludovico di Borbone a Niccolao Giorgini (1838-1848) si trovano oggi in AS FI, Schiff Giorgi-ni/Montignoso 39/1-7, tra esse anche quella datata Weisstropp, 20 dicembre 1848 edita da donna Matilde nel 1910 insieme alla lettera che il duca, il 16 giugno 1849 invia da Königstein sempre a Niccolao Giorgini e di cui, invece, al momento, si sono perse le tracce.

13 Si veda per questo Vittoria e Matilde… cit., in particolare l’Introduzione pp. L-LXIII; al-cuni di questi documenti, già raccolti da Gaetano Giorgini in un pacco intitolato « Fidanzamento di Bista », sono oggi in AS FI, Schiff Giorgini/ Montignoso, 22/1-22.

14 Cfr. in Vittoria e Matilde… cit., nota 6, pp. 81-86; l’autografo del Journal è oggi deposi-tato in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 249/1. Per altra documentazione autografa di Matilde Manzoni cfr. ibid. 249/2-9 e 41/1-2.

15 G. B. GIORGINI, XXVII lettere dal campo, a cura di M. SCHIFF GIORGINI, Pisa, Nistri 1912; cfr. Vittoria e Matilde… cit., nota 4, p. 78.

16 Cfr. AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 156/57: lettera di Giovanni Sforza a Matilde Schiff Giorgini: « Venezia 4 del 1911, Carissima Matilde, è dal primo di novembre che alla direzione dell’Archivio di Torino unisco anche quella dell’Archivio di Venezia. Quest’ultima però, per buona fortuna, provvisoriamente. Corro dunque da Torino a Venezia e viceversa come le secchie e mi resta appena il tempo di mangiare e di dormire. Del tuo libro me ne aveva scritto entusiasticamente il Del Lungo; e avendolo trovato a Torino con la tua lettera nel tornare ieri a Venezia mi fu gradita lettura durante il viaggio e riconosco che gli entusiasmi del Del Lungo sono giustissimi... ».

17 A. D’ANCONA, Ricordi storici del Risorgimento Italiano, Memorie domestiche di due famiglie italiane, Firenze, Sansoni, 1910, pp. 483-506.

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soli 50 esemplari!) e a dare alle stampe anche gli altri documenti inediti dell’archivio, in primo luogo le lettere autografe di Alessandro Manzoni 18.

È nel 1922 che, in vista delle celebrazioni del centenario dei Promessi Sposi e del cinquantesimo della morte del Manzoni, indette per l’anno succes-sivo, donna Matilde consente finalmente alla riedizione delle Memorie della madre (già pubblicate in Vittoria e Matilde) e all’edizione integrale di tutte le lettere autografe del nonno Alessandro, conservate nell’archivio Giorgini.

Ma la preparazione del volume, che in un primo momento sembrava do-vesse essere curato da Domenico Bulferetti e da Michele Scherillo per la casa editrice Hoepli di Milano, non tarda a procurarle disillusioni ed amarezze 19.

Gli acerbi contrasti, ben presto sorti per i volumi di Manzoni Intimo tra Michele Scherillo e Ulrico Hoepli, da una parte, e Domenico Bulferetti, dal- l’altra, esasperati anche dal fatto che quest’ultimo si era, nel contempo, aggiudicato da solo la pubblicazione, con la casa editrice Bottega di poesia, del Sentir messa, altro importante inedito manzoniano ritrovato tra le carte Giorgini, fanno temere a donna Matilde che l’impresa non potesse essere condotta in porto.

Era in pensiero, oltretutto, per gli autografi manzoniani tra i quali, rispet-to alle 134 lettere elencate nel 1893, aveva registrato, sin dagli anni immedia-tamente seguenti il 1908, ben 11 mancanze e che ora aveva dovuto, almeno in parte, affidare a mani estranee, per ridurre i tempi della pubblicazione 20.

Coinvolta, suo malgrado, nella lotta senza esclusione di colpi scatenatasi tra autori e case editrici per la pubblicazione degli inediti manzoniani, donna Matilde, pur cercando di mediare tra i contendenti, esprime tutto il suo disa-gio: « Suppongo — ella dice scrivendo a Hoepli il 12 aprile del 1923 — che Ella possa facilmente immaginare quanto debbano essere penose e urtanti per

18 Ibid., p. 495 dove il D’Ancona, esprimendo ancora il più vivo apprezzamento per il vo-

lume Vittoria e Matilde, così conclude: « Vinca la sua ritrosia la gentile autrice, e ne procuri, o ne lasci fare una seconda edizione, la quale dovrebbe anche accrescere con i ricordi autobiografi-ci del vecchio Nicolao, con le lettere dal campo e dal Parlamento del marito (sic!) e soprattutto con oltre un centinaio di lettere del Manzoni alle figlie, così lontane di persona da lui, ma così presso al suo cuore... ».

19 Le prime fasi della vicenda, iniziata nel dicembre del 1922, sono riassunte dalla stessa Matilde in una lunga lettera dattiloscritta inviata da Pisa ad Ulrico Hoepli, il 28 marzo del 1923, oggi in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 81/23.

20 Per l’elenco degli 11 autografi manzoniani mancanti al 1923 cfr. Manzoni Intimo… cit., II, p. VIII; sempre nel 1923 sia Michele Scherillo che Domenico Bulferetti ricevono in prestito da Matilde lettere autografe di Alessandro Manzoni, cfr. per questo AS FI, Schiff Giorgini/ Montignoso, 81/23, lettera citata alla precedente nota e vedi, ancora, Manzoni Intimo… cit., II, p. VII quando, a proposito appunto degli inediti manzoniani, Scherillo dice che donna Matilde, « la quale… ne ha finalmente consentita, ed in ogni maniera aiutata e agevolata la pubblicazione integrale… per una buona metà ne ha essa medesima eseguita la collazione sugli autografi; e per il rimanente ha, con generosità rara, consegnate nelle nostre mani le preziose carte, perché ne traessimo direttamente copia e ne curassimo la stampa ».

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me tutte queste piccole quistioni che si agitano intorno alle cose che mi sono più care e più sacre » 21.

E dopo aver ricevuto, il 29 aprile dello stesso anno, un telegramma di Scherillo e di Hoepli che dichiaravano che la pubblicazione contemporanea di altri inediti manzoniani avrebbe danneggiato gravemente il successo dei volumi di Manzoni Intimo e la esortavano « vivamente diffidare Professore B [Bulferetti], ingiungendogli sospendere abusiva sua pubblicazione, indegna speculazione » 22, ella così si sfoga, sempre con Hoepli: « Se il Sen. Scherillo e Lei potessero sapere (…) quante noie ho avuto io per questa pubblicazione per la quale mi sono anche finita gli occhi, capirebbero quanto io debba essere pentita di aver tirato fuori dai cassetti quelle vecchie, venerate carte (…). Troppe cose sono andate proprio al contrario di quello che avevo pensato » 23.

Anche la presentazione al pubblico dell’edizione di Sentir Messa, annun-ziata dalla casa editrice Bottega di Poesia in toni trionfalistici e denigrando i volumi di Manzoni Intimo (« questa nostra pubblicazione non andrà confusa né con le solite raccolte di documenti o di lettere, né con le solite commemo-razioni più o meno ufficiali e noiose, più o meno brillanti e inutili ») la sdegna, tanto da scrivere di suo pugno sulla locandina della Bottega di Poesia: « Mi sembra assai poco serio l’offrire Manzoni in questo modo! » 24.

Altra amarezza Le sarà poi di certo derivata da una lettera della cugina Vittoria Manzoni Brambilla del luglio del 1923 in cui quest’ultima — che ha visto la pubblicazione — manifesta a Matilde tutto il suo stupore per il fatto che sia stato scoperto tra le carte Giorgini il Sentir Messa che « non è altro — ella dice — che il lavoro sulla lingua che si trovava alla morte del Nonno nel suo sécretaire a Milano insieme agli altri manoscritti suoi ».

Vittoria, figlia di Pietro Manzoni e moglie di quel Pietro Brambilla che aveva rilevato dagli eredi i manoscritti manzoniani e ne aveva fatto dono, già dal 1886, alla Braidense, si chiede chi può aver estratto il Sentir Messa dal gruppo degli autografi già destinati alla Biblioteca; ipotizza, in questo, il ruolo di Giovanni Sforza che avrebbe a suo tempo ricevuto il manoscritto dallo stesso Pietro, per mostrarlo al padre di Matilde, Giovan Battista; ed esprime, infine, il timore che possano sorgere « de’ guaj » con la Casa Editrice Hoepli che — a suo dire — aveva avuto, dal marito (« povero Pierino ») il diritto di stampare in esclusiva gli autografi manzoniani di Brera 25.

21 AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 81/24. 22 Ibid., 81/22. 23 Ibid., 81/25, Matilde Schiff Giorgini a Ulrico Hoepli, Pisa, giovedì 3 maggio 1923, lette-

ra dattiloscritta con firma autografa. Ulteriori notizie sulla vicenda potrebbero eventualmente emergere dalle lettere indirizzate a Matilde da Domenico Bulferetti, Ulrico Hoepli e Michele Scherillo, oggi conservate nella Biblioteca Braidense di Milano, nonché dalla consultazione degli appunti per la pubblicazione di Manzoni Intimo, che si trovano tra le carte di donna Matilde approdate al Gabinetto Vieusseux di Firenze.

24 Ibid., 81/33. 25 Ibid., 153, Vittoria Manzoni Brambilla a Matilde Schiff Giorgini, Brusuglio 4 luglio

1923; per la donazione di autografi e cimeli manzoniani alla Braidense, da parte di Pietro

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Ma le celebrazioni manzoniane non le dovevano riservare solo ama- rezze!

Il 7 gennaio del 1924, Giovanni Gentile che, in qualità di ministro della Pubblica istruzione le aveva solennemente aperte a Milano, il 22 maggio del ’23, con un discorso su Alessandro Manzoni tenuto al Teatro della Scala e poi stampato nei « Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere », le fa recapitare alcune copie del suo intervento, accompagnate da una cortese letterina 26.

La prosa del Gentile che collocava il Manzoni « tra i più grandi di ogni tempo e d’ogni gente » e lo ricordava come il « grande maestro nazionale » che concepì il problema politico della patria come problema morale e religio-so e liberò il popolo italiano « dal secolare servaggio della letteratura, dell’arte pura, dell’indifferenza, del dilettantismo, della rettorica e del classicismo vuoto, formale, della tradizione », dovette colpire donna Matilde.

Inizia forse da qui un rapporto che, fattosi sempre più confidenziale, sarà decisivo anche per la sorte degli autografi manzoniani conservati in casa Giorgini.

Istituito l’8 luglio del 1937 il Centro nazionale di studi manzoniani, di cui Giovanni Gentile venne nominato Regio commissario, donna Matilde che nel marzo del ’38 lo aveva ricevuto a casa per fargli visionare, come egli stesso dice, « quei tali manoscritti e cimeli manzoniani » 27, si decide — il 12 aprile successivo — a donarli al Centro 28.

Giunsero così a Milano 116 lettere di Manzoni alle figlie Vittoria e Matilde e al genero Giovan Battista, l’autografo del Sentir Messa e le bozze di un opuscolo di Giovan Battista Giorgini (Dell’Unità d’Italia in ordine al diritto e alla storia, Milano 1861), con le correzioni autografe di Alessandro Manzoni 29. Brambilla, e per l’allestimento e le vicende della Sala Manzoniana di quella Biblioteca si veda l’interessante contributo di M. GOFFREDO DE ROBERTIS, La Sala Manzoniana nella Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, in Manzoni scrittore e lettore europeo, catalogo della mostra presso la Biblioteca Nazionale Braidense (8 febbraio - 31 marzo 2001), Roma 2000, pp. 129-135.

26 L’opuscolo a stampa Alessandro Manzoni, discorso del Ministro dell’Istruzione… tenuto al Teatro della Scala il 22 maggio 1923, estr. dai « Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere », LVI (1923), XII e la lettera autografa di Giovanni Gentile del 7 gennaio 1924, sono oggi conservati in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 241. Le citazioni che seguono, fino a diversa indicazione, sono tratte dal testo a stampa del discorso.

27 AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 246/18 Giovanni Gentile a Matilde Schiff Giorgini, Roma 5 marzo 1938: « Cara e Illustre Signora, intorno al 18 c.m. sarò a Pisa e farei una gita a Massa, se Ella si trova ancora costà e consente che io venga a disturbarLa, per quei tali mano-scritti e cimeli manzoniani. Aspetto perciò un Suo cenno. Spero che il Professore Schiff stia meglio e La prego di gradire gli auguri e saluti cordiali di Erminia e del Suo dev.mo e aff.mo Giovanni Gentile. P.S. Da un accenno del Professor Bulferetti argomenterei che Ella, oltre il manoscritto di Sentir Messa, ne aveva un altro: Unicuique suum. Può darmene notizia? ».

28 « Annali Manzoniani », I (1939): Notizie 12 aprile 1938. 29 Per l’elenco dettagliato di questo materiale si veda in BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE,

Milano, Autografi di proprietà del Centro Nazionale di Studi Manzoniani in deposito presso la

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Quali motivi possano aver sollecitato donna Matilde a disfarsi delle più care tra le sue « care memorie » lo possiamo in parte ipotizzare sulla scorta dei carteggi e dei documenti di lei sinora recuperati; testimonianze più com-plete, anche su questo punto, potranno senza dubbio venire da quel lavoro di ricomposizione complessiva dei vari nuclei dell’archivio Schiff Giorgini che oggi siamo finalmente in grado di progettare.

La decisione di mettere gli autografi manzoniani al sicuro dovette, co-munque, maturare in lei nel tempo e per un concorso di circostanze diverse. Vi era anzitutto il problema del lento, ma costante decremento di questo patrimonio documentario. Dei 134 autografi e delle altrettante copie da lei stessa elencate nel 1893 erano rimaste al 1938 solo 116 lettere originali e qualche copia.

È ben vero che nel 1922 la stessa Matilde aveva donato a papa Pio XI la lettera che Manzoni aveva scritto alla figlia Vittoria il 10 aprile del 1835, in occasione della sua prima Comunione. Ma è altrettanto vero che lettere manzoniane provenienti dall’archivio Giorgini affioravano via via nei luoghi più diversi: all’Archivio di Stato di Lucca (a Matilde e Vittoria, Lesa, 2 ottobre 1849) o sul mercato antiquario francese (a Vittoria e Matilde, Milano 11 maggio 1848; a Giovan Battista, Milano 6 maggio 1859, entrambe acqui-state a Parigi nel 1925 da Federico Gentili e da lui donate alla Biblioteca Braidense di Milano).

All’atto della donazione al Centro di studi manzoniani, risultavano man-canti in tutto 26 lettere di cui ben 13 scomparse dopo che lo Scherillo ne aveva visto e pubblicato gli autografi, nel 1923 30. Mancavano, altresì, quasi tutte le copie.

È quindi comprensibile che Donna Matilde potesse nutrire qualche preoc-cupazione sul futuro di questi documenti e, considerato ciò che era successo in occasione della pubblicazione di Manzoni Intimo e di Sentir Messa, che avesse formulato anche più di una riserva sulla purezza delle intenzioni di quanti — studiosi ed editori — proclamavano di interessarsene per motivi esclusivamente culturali e scientifici. Biblioteca nazionale braidense, dattiloscritto che ho potuto consultare in fotocopia grazie alla cortese collaborazione di Mariella Goffredo De Robertis. Per una minuta manoscritta del discorso Dell’Unità d’Italia… si veda AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 205.

30 Si tratta delle seguenti 13 lettere autografe di Alessandro Manzoni a: 1. G. Giusti e G. Battista Giorgini s.d. (Manzoni Intimo… cit., II, X); 2. Vittoria, Gessate 24 giugno 1833 (ibid., II, II); 3. Matilde [Milano] 19 giugno 1845 (ibid., II, VIII); 4. Matilde e Vittoria, Milano 8 maggio 1848 (ibid., II, XXIII); 5. Matilde e Vittoria, Milano 11 maggio 1848 (ibid., II, XXV); 6. Matilde, Milano 10 aprile 1851 (ibid., II, XLVII); 7. Matilde, Lesa 12 ottobre 1853 (ibid., II, LXV); 8. Vittoria, Milano 12 luglio 1854 (ibid., II, LXVIII); 9. Vittoria, Milano 13 aprile 1856 (ibid., II, LXXXV); 10. G. Battista e Vittoria, Milano, maggio 1857 (ibid., II, LXXXVIII); 11. G. Battista Giorgini, Milano 6 maggio 1859 (ibid., II, XCII); 12. G. Battista Giorgini, Milano 2 [gennaio] 1861 (ibid., II, C); 13. G. Battista Giorgini, Milano 25 gennaio 1873 (ibid., II, CXXXIX).

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Oltretutto si doveva sentire sola nella difesa delle memorie familiari, for-se anche impari al compito che si era data di diffonderne la conoscenza e i valori e di trasmetterli alla generazione successiva. I figli — Ruggero e Giorgio — del tutto diversi da lei e fra di loro, per inclinazioni e genere di vita, residenti l’uno a Roma e l’altro a Parigi, non sembravano infatti molto interessati a raccogliere l’esortazione che ella aveva loro rivolto sin dal 1910 nella dedica a Vittoria e Matilde: « Ora siete rimasti voi soli custodi delle vecchie case e delle care memorie: custodite le prime, per quanto rimpiattate e modeste, con attenzione e amore; custodite le seconde e meditatele, affinché non sieno perdute per voi » 31.

La sua morte, che coincide con l’inizio per l’Italia del secondo conflitto mondiale, fa entrare l’archivio Giorgini in una zona d’ombra che solo di recente è stato possibile penetrare!

Non è che dopo la guerra si fosse persa completamente la memoria dell’esistenza di un archivio Giorgini. Già nel 1950, infatti, Antonio Panella, primo responsabile della Soprintendenza archivistica per la Toscana che, istituita nel 1939, cominciava solo allora a funzionare, chiedeva al Ministero dell’interno di essere autorizzato a prendere contatto con i proprietari, al fine di conoscerne la sorte 32.

Il fatto è che, nel secondo dopoguerra, di questo archivio in cui, soprat-tutto sulla scia del Manzoni Intimo di Michele Scherillo, si sapeva che c’erano autografi manzoniani, non si conosceva né il contenuto preciso, né, tantome-no, l’effettivo destino.

Le versioni sulla scomparsa di queste carte, date per disperse durante l’occupazione tedesca del Castello di Montignoso 33 o, almeno parzialmente, recuperate nei giorni convulsi della liberazione mentre stavano per esser bruciate 34 o salvate in extremis dalle mani di persone di servizio che, ignare del loro valore, intendevano gettarle nell’immondizia 35, nascono in questa fase e circolano a lungo e con grande fortuna.

Oltre che dal clima di confusione e di diffusa incertezza prodotto dalla guerra, che aveva cancellato ben altro, tali ipotesi furono rese del tutto atten-

31 Cfr. Vittoria e Matilde... cit., p. 70. 32 ARCHIVIO DELLA SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA TOSCANA (d’ora in poi ASAT),

fasc. « Schiff Giorgini-Montignoso-Massa V.21.6 », 1950-2000, in particolare lettera del soprin-tendente archivistico al Ministero dell’interno - Ufficio centrale Archivi di Stato, 4 febbraio 1950, prot. 34.50.

33 Per questa ipotesi riferita, in particolare, ad alcune lettere scritte da Enrichetta Blondel alla figlia Vittoria, in collegio a Lodi, cfr. Enrichetta Manzoni Blondel, Lettere familiari, a cura di G. BACCI, Bologna 1974, in particolare l’Avvertenza a p. 11 e le pp. 301-355; sulla medesima questione si veda quanto riferito in questo stesso articolo alle pp. 325-327 e note 46-54.

34 Si veda per questo A. BRECCIA, Note per la biografia di un funzionario dell’Ottocento: Gaetano Giorgini (1795-1874), tesi di laurea discussa nell’Università di Pisa, Facoltà di scienze politiche, a.a. 1998-1999, relatore prof. Romano Paolo Coppini, in particolare le pp. 100-104.

35 M. MANZONI, Journal, a cura di C. GARBOLI, Milano 1992, in particolare l’Introduzione, pp. 72 e 73.

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dibili anche da una dichiarazione, circa il « preteso archivio di famiglia », inviata nel 1957 al prefetto di Massa da Giorgio Schiff Giorgini, il figlio minore di Matilde Giorgini e di Roberto Schiff, unico superstite italiano del ramo della famiglia che discendeva direttamente da Giovan Battista e da Vittoria.

Stabilitosi in Francia fin dal 1925 e rientrato in Italia, in particolare a Montignoso solo nel 1945, egli informa il prefetto che dell’archivio di fami-glia « che comprendeva numerosissime lettere di mio bisnonno Alessandro Manzoni, di mio zio Massimo d’Azeglio e di tutti i più illustri uomini del Risorgimento non resta più che qualche busta vuota con francobollo strappato. Per carità di Patria accusiamo i tedeschi di queste depredazioni » 36.

Da queste affermazioni che, più che ad un ipotetico intervento straniero, sembravano imputare la scomparsa dell’archivio a responsabilità nostrane derivano due convinzioni le quali, rivelatesi sostanzialmente errate solo molto più tardi, furono, in realtà, determinanti per creare le condizioni più favorevoli alla dispersione.

- La prima e principale di queste convinzioni consistette nel ritenere che dell’archivio Giorgini, distrutto o disperso durante la guerra, o negli anni immediatamente successivi, nulla si trovasse più a Montignoso;

- La seconda, strettamente connessa alla prima, consistette nel presumere che queste carte, ed in primo luogo gli autografi manzoniani, pervenuti in mani e luoghi diversi, potessero ricomparire in maniera casuale e frammenta-ria.

In realtà molti sono stati i « misteri », i colpi di scena, gli equivoci e le informazioni totalmente o parzialmente false che hanno scandito, nella secon-da metà del secolo scorso, la storia di questo archivio.

36 ASAT, fasc. « Schiff Giorgini, Montignoso-Massa V.21.6 », 1950-2000, in particolare let-tera di Giorgio Schiff Giorgini al prefetto di Massa Carrara, Montignoso 10 agosto 1957; è da rilevare che più o meno nello stesso periodo in cui Giorgio Schiff Giorgini rende queste dichiara-zioni, circa « il preteso archivio di famiglia », il prof. Euro Paradiso Guidi, suo amministratore e uomo di fiducia, porta a termine l’Elenco numerativo dei fascicoli di cui si compone l’Archivio o Carteggio Storico della famiglia Giorgini e Schiff Giorgini di Montignoso, corredato da cenni biografici dei personaggi principali elencati in ordine alfabetico e da un Riepilogo delle date più importanti della famiglia Giorgini e Schiff Giorgini, dalla nascita di G. B. Giorgini in poi, aggiornato al 1959. In questo strumento, ora conservato in fotocopia presso la Soprintendenza archivistica e di cui a Montignoso, nell’autunno del 2000, si è potuto consultare l’originale manoscritto di Euro Paradiso Guidi da lui stesso firmato e datato 26 novembre 1954, la documentazione dell’archivio compare sommariamente descritta e organizzata sotto 739 voci. Si tratta di una panoramica generale del contenuto dell’archivio, effettuata prima delle estrapolazioni e delle dispersioni verificatesi dopo la morte di Giorgio Schiff Giorgini, avvenuta nel 1965. Vi compaiono, ad esempio, tra l’altro, tutti gli inserti consegnati da Guidi all’avvocato Giovanni Cecchieri nel 1978, nonché sotto il n. 140, le lettere scritte da Giulia Beccaria alla nipote Vittoria, successivamente pervenute all’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, fondo Giorgini e alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. Per tutto questo si veda più avanti anche la nota 47.

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Anzitutto il « giallo » sull’esistenza e sul reale contenuto dell’archivio Giorgini di Montignoso; poi, collegato a questo, « l’equivoco » sulla sorte degli autografi manzoniani di cui, per un concorso di circostanze — e per un curioso fenomeno di rimozione della memoria — è stata, quasi fino ad oggi, dimenticata la consegna al Centro studi manzoniani, avvenuta, come si è detto, nel 1938.

Si tratta, nell’insieme, di un’incredibile, grottesca, storia in cui i docu-menti dell’archivio Giorgini conservati nella villa di Montignoso, residenza avita della famiglia, vengono dichiarati scomparsi, come nel 1957; riappaiono, in parte, come negli anni Sessanta, quando sono oggetto di un inventario sommario che li elenca organizzati in 739 fascicoli 37 e vengono anche dichia-rati di notevole interesse storico con un provvedimento, peraltro, molto gene-rico 38; spariscono, infine, di nuovo, insieme al loro elenco sommario, e in maniera che sembra al momento definitiva, nel periodo immediatamente seguente la morte di Giorgio Schiff Giorgini, avvenuta nel 1965.

Nel 1975, Euro Paradiso Guidi, amministratore e uomo di fiducia dei Giorgini, riferisce, infatti, al funzionario inviato a Montignoso dalla Soprin-tendenza che l’archivio sarebbe andato disperso dopo la divisione dei beni intervenuta nel 1970 tra i due figli di Giorgio Schiff Giorgini (che all’epoca aveva cambiato il proprio cognome in Giorgini Diana Paleologo), Guy ed Ellis, ma che non sa dire a chi sia stato venduto o regalato 39.

Nel 1980, sempre il prof. Guidi informa la Soprintendenza archivistica di aver consegnato nel 1978 al legale degli Schiff Giorgini, l’avv. Giovanni Cecchieri di Massa, ciò che rimaneva dell’archivio di famiglia, ma dichiara anche, poco dopo, di aver ritrovato presso di sé centodieci fascicoli dell’archi- vio che il conte Giorgio Schiff Giorgini gli avrebbe consegnato prima della sua morte 40.

37 ASAT, fasc. « Schiff Giorgini, Montignoso-Massa, V.21.6 », 1950-2000, in particolare Relazione sull’archivio privato Giorgini del direttore dell’Archivio di Stato di Massa, G. Arsento, incaricato dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana della visita ispettiva all’archivio Giorgini di Montignoso. La relazione datata 17 settembre 1965 è trasmessa alla Soprintendenza il 20 settembre successivo. L’inventario sommario a cui si fa riferimento nella relazione è l’Elenco numerativo di cui alla nota 36.

38 Ibid., provvedimento n. 113 del 29 settembre 1965 che, come era solito in quegli anni, non comprendeva l’elenco dei documenti dichiarati di notevole interesse storico.

39 Ibid., Breve relazione sull’ispezione effettuata all’archivio privato Giorgini di Montigno-so dal direttore dell’Archivio di Stato di Massa, Angelo Aromando, incaricato dalla Soprinten-denza archivistica. La relazione datata 26 novembre 1975 è trasmessa alla Soprintendenza il 2 dicembre successivo.

40 Ibid., Archivio Giorgini in Montignoso (Massa Carrara): visita effettuata dal dott. Luigi Borgia presso il prof. Euro Guidi Paradiso ex amministratore della famiglia Schiff Giorgini; la visita è del 16 ottobre 1980, mentre la relazione è datata al 25 ottobre successivo. Di quest’ultima fanno parte integrante: 1) l’elenco numerico di 51 fascicoli dell’archivio Schiff Giorgini conse-gnati il 19 maggio del 1978 dal prof. Guidi all’avvocato Giovanni Cecchieri come « carteggio residuo della famiglia Schiff Giorgini Paleologo che si trovava nella villa del Fondaccio »; 2) l’elenco sommario di n. 110 unità di documentazione Schiff Giorgini che il medesimo professore

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Frattanto nell’estate del 1976 il presidente del Centro di studi manzo- niani, Claudio Cesare Secchi, preoccupato per alcune voci sulla vendita dell’archivio ed evidentemente ignaro della donazione del 1938, aveva scritto a Francesca Morandini, allora soprintendente archivistico per la Toscana, per segnalare il pericolo che « cimeli manzoniani di primaria importanza, lettere autografe di Alessandro Manzoni » 41 già pubblicate da Michele Scherillo e facenti parte dell’archivio Giorgini asportato dalla villa di Montignoso venis-sero vendute, forse, in America. « Ciò che è perduto — ammoniva giustamen-te Secchi nell’occasione — non si recupera più. Vedremo comparire le carte manzoniane tra un certo numero di anni in una delle aste che si faranno in città straniere (…) o meglio le vedranno i nostri discendenti perché prima che vengano poste in vendita ci vorranno degli anni » 42.

Anche più recentemente si sono, da più parti, cercati a Montignoso gli autografi manzoniani dell’archivio Giorgini, senza sapere o ricordare, tanto la memoria può ingannare ed essere ingannata, che questi, donati come si è detto, al Centro studi manzoniani nel 1938, erano passati in deposito, nel secondo dopoguerra, alla Braidense e lì « dimenticati » come materiale non appartenente a quella biblioteca 43.

Il pericolo di dispersione paventato da Secchi per gli autografi manzonia-ni, che, benché dimenticati, si trovavano tuttavia, come si è visto, in un luogo sicuro, era in procinto di verificarsi, nell’indifferenza quasi generale, per il resto dei documenti dell’archivio Schiff Giorgini! L’esposto che il soprinten-dente archivistico pro-tempore presentò, nel dicembre del 1976, alla Procura della Repubblica di Massa rimase infatti senza esito 44. dichiara, nell’occasione, non comprese nei 739 inserti dell’archivio inventariato (di cui si sarebbero perse le tracce a seguito delle divisioni ereditarie) e che egli dice di aver ricevuto in consegna dal conte Giorgio poco prima della sua morte « con preghiera di riordinarle ».

41 Ibid., lettera di Claudio Cesare Secchi, presidente del Centro nazionale di studi manzo-niani al soprintendente archivistico per la Toscana, Francesca Morandini, datata Milano, 21 giugno 1976.

42 Ibid., lettera di Secchi a Francesca Morandini, datata Milano, 9 luglio 1976; della que-stione della « scomparsa » da Montignoso delle lettere autografe di Alessandro Manzoni si occu- parono all’epoca, sempre su sollecitazione del presidente del Centro nazionale di studi manzonia-ni, anche il capo gabinetto del ministro, il direttore generale per i beni archivistici e il prefetto di Massa. Più o meno lo stesso copione si ripeterà nell’estate del 2000 allorquando la segnalazione della scomparsa degli autografi manzoniani dell’archivio Giorgini, partita da Giancarlo Vigorelli, presidente del Centro nazionale di studi manzoniani, raccolta dall’on. Carlo Carli, sottosegretario ai beni culturali e girata a Salvatore Italia, direttore generale per gli archivi, giungerà nuovamente alla Soprintendenza archivistica per la Toscana dando origine all’ultimo atto (ma sarà l’ultimo?) di questa lunga storia.

43 Sui rapporti tra la Biblioteca nazionale Braidense e il Centro nazionale di studi manzo-niani in merito alla conservazione e alla gestione dei documenti e cimeli manzoniani, si rimanda ancora all’articolo di Mariella Goffredo De Robertis citato alla nota 25.

44 ASAT, fasc. « Schiff Giorgini Montignoso - Massa V.21.6 », 1950-2000, in particolare l’esposto alla Procura della Repubblica di Massa del 21 dicembre 1976, prot. n. 2414.

Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento

325

Nel 1981 un consistente nucleo di carte Schiff Giorgini comparso sul mercato antiquario romano presso il libraio Maurizio Bifolco ed acquistato da Duilio Susmel residente a Firenze viene comprato, auspice la Soprintendenza archivistica, dalla Regione Toscana che lo destina all’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux 45.

In questo gruppo di documenti, oltre ai carteggi di Niccolao, Gaetano, Giovanbattista e Giorgio Giorgini, Matilde Schiff Giorgini e Ruggero Schiff, vi sono anche alcuni componimenti poetici di Vittoria già conservati, come ricorda donna Matilde, a Montignoso in un « piccolo mobile variopinto » e da lei stessa parzialmente editi nel 1910 (Vaneggiamenti, Nella penombra, Memorie e rimpianti, Invocazioni alla carità, Dal vero, Una cara data) 46; vi sono altresì alcune lettere di Giulia Beccaria e di Enrichetta Blondel a Vitto-ria, ricordate da donna Matilde e da lei parzialmente pubblicate, sempre nel 1910 47.

45 Nell’archivio della Soprintendenza è documentato tutto l’iter che, negli anni tra il 1980 e il 1981, condusse all’acquisto da parte della Regione Toscana di questo primo lotto di carte Gior- gini, a tutt’oggi conservato presso l’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux e descritto in un inventario di consistenza dattiloscritto, conservato, in copia, agli atti della Soprintendenza stessa.

46 Cfr. ARCHIVIO CONTEMPORANEO DEL GABINETTO VIEUSSEUX (d’ora in poi ACGV), Fondo Giorgini IV, XXIV quaderno non legato comprendente varie poesie, parzialmente edite in Vittoria e Matilde… cit., nota 20, pp. 107-115.

47 ACGV, Fondo Giorgini IV, XXI, in particolare le lettere di Giulia Beccaria alla nipote Vittoria: Gessate 1833/1834; Milano 9 aprile 1835, Brusuglio settembre 1835 e giugno 1841, edite integralmente da A. ALBERTINI, Frammenti dell’archivio Giorgini: quattro lettere di Giulia Beccaria, in « Il Vieusseux », 7, gennaio-aprile 1990, pp. 61-69 ed ora nuovamente pubblicate, con la lettera datata Brusuglio 14 settembre 1831, attualmente conservata nella Biblioteca nazionale Braidense di Milano, in G. BECCARIA, “Col core sulla Penna”, lettere 1791-1841, a cura di G. M. GRIFFINI ROSNATI, Milano, Centro nazionale di studi manzoniani, 2001, pp. 186-195, con la segnatura ACGV, Fondo Giorgini, Arch. III 379, 380, 381 e 382. Alcune di queste lettere, quelle datate Brusuglio 14 settembre 1831; Gessate 1833/34 e giugno 1841, erano state ricordate da Matilde Schiff Giorgini come facenti parte dell’archivio di famiglia e parzialmente edite in Vittoria e Matilde… cit., rispettivamente alle pp. XI, XXIII, XXIV e XXVII. Delle lettere di Giulia Beccaria a Vittoria, edite da donna Matilde, non è stata a tutt’oggi rintracciata quella datata 8 aprile 1835 (cfr. in Vittoria e Matilde… cit., pp. XXV e XXVI) in cui la Beccaria si dice non ancora rassegnata alla morte della nipote Giulia, avvenuta nel settembre del 1834. Delle due lettere di Enrichetta Blondel pervenute all’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux (ACGV, Fondo Giorgini IV, XXI, Milano 13 giugno 1832 e Azeglio 21 agosto 1832) la prima, ancora negli anni ’70 del Novecento, era conservata « nella biblioteca del Conte Schiff Giorgini a Montignoso » dove la poté consultare Giuseppe Bacci, che in quegli anni curava l’edizione delle Lettere familiari di Enrichetta Blondel poi pubblicata nel 1974 (cfr. Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., in particolare lett. 76, pp. 321-322); la seconda, invece, quella datata Azeglio 21 agosto 1832, parzialmente edita in versione italiana da donna Matilde (in Vittoria e Matilde… cit., Introduzione, p. XVI) era segnalata già da Bacci (Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., in particolare lett. 83, p. 334) come « autografo non rintracciato, già conservato nella biblioteca del Conte Schiff Giorgini a Montignoso… che, a quanto si dice, subì dispersioni di documenti durante l’occupazione militare del castello nella seconda guerra mondiale »; Bacci perciò si limitò

Paola Benigni

326

Ventinove lettere autografe di Enrichetta Blondel alla figlia Vittoria in collegio degli anni 1831-33 sono state trovate anche nel nucleo già conservato a Montignoso, presso Euro Guidi, oggi depositato dalla Soprintendenza archi- vistica nell’Archivio di Stato di Firenze 48. Tra esse, anche alcune di quelle segnalate da Giuseppe Bacci nell’edizione delle Lettere familiari di Enrichetta Blondel, pubblicate nel 1974, come « autografo non rintracciato, già conserva-to nella Biblioteca del conte Schiff Giorgini a Montignoso (...) che, a quanto si dice, subì dispersioni di documenti durante l’occupazione militare del castello nella seconda guerra mondiale » 49.

Più o meno nello stesso periodo la Regione Toscana, oltre al nucleo di carte Schiff Giorgini, poi consegnato al Gabinetto Vieusseux, acquistò quaran-tadue lettere autografe di Massimo d’Azeglio a Giovan Battista Giorgini, pro- venienti dal medesimo circuito (antiquario romano, acquirente privato fioren-tino, più un ulteriore passaggio presso un antiquario fiorentino) per destinarle alla Società toscana del Risorgimento di Firenze 50.

Duilio Susmel dichiara inoltre di avere presso di sé, oltre a quelli venduti alla Regione Toscana, altri documenti Giorgini provenienti dalla medesima fonte.

Tra il luglio e l’agosto del 1981 la Sovrintendenza archivistica per la To-scana emette tre diversi provvedimenti di notevole interesse storico tendenti a proteggere i nuclei di documentazione Giorgini ancora in mani private: il primo indirizzato a Duilio Susmel 51 e gli altri due destinati rispettivamente all’avv. Giovanni Cecchieri 52 e al prof. Euro Paradiso Guidi 53.

Tra il 1988 e il 1989, infine, il nucleo di carte Giorgini già dichiarate al Susmel vengono vendute dalla sua vedova alla Biblioteca Braidense di Mila- a riproporne la traduzione italiana di donna Matilde, presa dalla riedizione fattane nel 1923 da Michele Scherillo nel primo volume di Manzoni Intimo. Su altre lettere di Enrichetta Blondel alla figlia Vittoria in collegio, già conservate nell’archivio Giorgini di Montignoso ed ora approdate a diversi Istituti di conservazione, si vedano anche l’Appendice 2 e la nota 49.

48 Cfr. Appendice 2. 49 In mancanza dei rispettivi autografi, Bacci si limita a ripubblicare i brani che, già editi

nel 1910 in traduzione italiana da Matilde Schiff Giorgini in Vittoria e Matilde, erano stati nuovamente pubblicati nel 1923 da Michele Scherillo quando ristampò, nel I volume di Manzoni Intimo, il volumetto curato da donna Matilde. Le lettere autografe si trovano ora in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 219/2; 219/4; 219/5; 219/10; 219/11; 219/13; 219/17; 219/18; 219/20; 219/21; 219/23; 219/24; 219/25; 219/27.

50 ASAT, fasc. « Schiff Giorgini Montignoso - Massa V.21.6 », 1950-2000, cfr. in particola-re la richiesta di informazioni indirizzata al Soprintendente archivistico per la Toscana dallo studioso manzoniano Georges Virlogeux il 17 ottobre 1987 e la risposta del Soprintendente datata 4 dicembre 1987 prot. n. 5638.

51 Ibid., provvedimento del 15/7/1981, n. 375, di cui fa parte integrante l’elenco della do-cumentazione.

52 Ibid., provvedimento del 5/8/1981, n. 377. 53 Ibid., provvedimento del 5/8/1981, n. 378, di cui fa parte integrante l’elenco della docu-

mentazione.

Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento

327

no, non senza aver subito dispersioni. Alcuni di questi documenti, affiorati sul mercato antiquario bolognese, furono prontamente recuperati dalla direzione della Biblioteca 54.

Oltre ai carteggi e ai documenti di vari membri della famiglia Giorgini e Schiff Giorgini si trova in questo secondo lotto di documenti, assolutamente complementare a quello conservato al Vieusseux e a quelli di Montignoso e Massa ora in deposito presso l’Archivio di Stato di Firenze, anche il mano-scritto originale di quei Cenni autobiografici sulla vita pubblica di Niccolao Giorgini che donna Matilde, attingendo all’archivio di famiglia, aveva pubbli-cato nel lontano 1899 55.

Più recentemente — il 24 dicembre del 1995 — diversi documenti auto-grafi di Matilde Manzoni, tra cui le pagine del suo Journal, già ritrovate da donna Matilde nel 1910 tra le carte del padre ed edite nel 1992 da Cesare Garboli insieme con 2 album, note di spese e « memoranda », estrapolati dal nucleo di documenti Giorgini conservato a Montignoso, già dichiarato di notevole interesse storico nel 1981, vengono ceduti al prof. Loris Iacopo Bononi, che li conserva nel suo castello di Castiglion del Terziere 56.

L’intervento condotto sulle carte di Montignoso dalla Sovrintendenza ar-chivistica, in collaborazione con il Nucleo fiorentino dei Carabinieri per la protezione del patrimonio culturale, ha permesso, oltre al recupero presso il Bononi dei documenti autografi di Matilde Manzoni, anche l’individuazione presso il prof. Guidi di altri interessanti documenti Schiff Giorgini, sfuggiti alla dichiarazione di notevole interesse storico del 1981 57.

Nello stesso tempo l’avvocato Giovanni Cecchieri di Massa ha spontane-amente consegnato alla Sovrintendenza i documenti Schiff Giorgini ancora in suo possesso 58.

Il deposito di tutte queste carte nell’Archivio di Stato di Firenze è stato realizzato grazie alla collaborazione degli eredi Giorgini rintracciati all’estero,

54 Ibid., in particolare il sottofascicolo « Carte della famiglia Schiff Giorgini acquistate dalla Biblioteca nazionale Braidense di Milano » 1989-1998, con elenco del materiale effettivamente consegnato alla Biblioteca, datato, Milano 30 ottobre 1989.

55 Si rimanda per questo alla nota 11. 56 ASAT, Schiff Giorgini Montignoso-Massa V.21.6, 1950-2000, sottofascicolo « Documen-

ti di Matilde Manzoni », in particolare lettera di Loris Jacopo Bononi a Paola Benigni, soprinten-dente archivistico per la Toscana, datata Castiglion del Terziere 13 novembre 2000, con allegata nota dei documenti.

57 Ibid., si veda in particolare l’« Elenco di consistenza del nucleo dell’archivio Schiff Giorgini consegnato da Euro Paradiso Guidi nel luglio 2001 », allegato al verbale di deposito del materiale nell’Archivio di Stato di Firenze, datato 29 luglio 2002, in cui i documenti autografi di Matilde Manzoni sono sommariamente descritti all’inserto 249/1-9.

58 Ibid., si veda in particolare l’« Elenco di consistenza del materiale Schiff-Giorgini conse-gnato alla Soprintendenza archivistica per la Toscana dall’avv. Giovanni Cecchieri », anch’esso allegato al verbale di deposito dei documenti nell’Archivio di Stato di Firenze, datato 29 luglio 2002.

Paola Benigni

328

in particolare per l’impegno generoso e partecipe di Ellis Giorgini che deside-ro nuovamente ringraziare, e per l’indispensabile sostegno dato a questa iniziativa dal Servizio Vigilanza della Direzione generale per gli Archivi e dalla direzione dell’Archivio di Stato di Firenze.

Esso chiude una fase importante di questa storia, ma certamente non esaurisce le cose da fare.

C’è, infatti, ancora da valorizzare appieno questi documenti con studi e pubblicazioni e da realizzare l’obbiettivo di ricomporre, in un unico strumento di consultazione, le sparse membra dell’archivio Schiff Giorgini.

La schedatura analitica dei nuclei recuperati a Montignoso, a Massa e a Castiglion del Terziere, coordinata da chi scrive e curata da Emilio Capan-nelli, Elisabetta Insabato, Monica Nocentini e Iela Todros, che qui ringrazio per l’impegno e l’entusiasmo profusi, potrà costituire un buon punto di par-tenza per questo lavoro che si dovrà, tuttavia, giovare anche della collabora-zione, oltre che dell’Archivio di Stato di Firenze, di tutti gli altri Istituti in cui è confluita documentazione proveniente dall’archivio Schiff Giorgini.

Concludendo, sento il dovere di sottolineare quanto il lavoro, sin qui svolto, deve a Matilde Schiff Giorgini.

È stato, infatti, principalmente grazie al fascino della sua figura e all’in- tensità vibrante della sua testimonianza che si è potuto, superando il gran vuoto di tante morti e di così lunghe assenze, riannodare le fila, lacerate e scomposte, della memoria.

PAOLA BENIGNI

Soprintendente archivistico per la Toscana

Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento

329

APPENDICE 1. ELENCO DELLE LETTERE DI R. LAMBRUSCHINI A G.B. GIORGINI REDATTO DA MATILDE SCHIFF GIORGINI (AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 246/25)

11 Firenze 17 febbr. 1848 25 Figline 11 giugno 1959 12 Figline 1° marzo 1848 26 Figline 15 giugno 1859 13 Firenze 8 marzo 1848 27 Figline 19 giugno 1859 14 Firenze 29 giugno 1848 28 Figline 1° luglio 1859 15 S. Cerbone 4 sett. 1848 29 Figline 23 luglio 1859 16 Firenze 14 sett. 1848 30 S. Cerbone 9 agosto 1859 17 Firenze 15 gennaio 1849 31 Figline 29 agosto 1859 18 Firenze 19 gennaio 1849 32 Figline 8 ottobre 1859 19 S. Cerbone 30 luglio 1849 33 S. Cerbone 5 nov. 1859 10 S. Cerbone 7 sett. 1849 34 Figline 16 febbraio 1860 11 Figline 22 sett. 1849 35 Figline 22 marzo 1860 12 Figline 19 nov. 1849 36 Firenze 19 maggio 1860 13 Firenze 24 gennaio 1850 37 Firenze 12 maggio 1862 14 S. Cerbone 7 febbr. 1850 38 Firenze 30 giugno 1863 15 Livorno 21 febbr. 1850 39 S. Cerbone 16 sett. 1863 16 Figline 17 giugno 1850 40 Firenze 6 febbraio 1864 17 S. Cerbone 19 maggio 1852 41 Firenze 16 febbraio 1864 18 Figline 23 maggio 1853 42 Firenze 18 febbraio 1864 19 Figline 6 sett. 1853 43 S. Cerbone 10 giugno 1864 20 Figline 13 sett. 1853 44 S. Cerbone 13 giugno 1864 21 S. Cerbone 27 maggio 1856 45 Milano 17 luglio 1864 22 S. Cerbone 29 ottobre 1856 46 S. Cerbone 18 aprile 1865 23 Figline 29 genn. 1857 47 Firenze 18 gennaio 1867 24 Firenze 10 marzo 1857 48 Firenze 8 marzo 1867

Paola Benigni

330

2. LETTERE AUTOGRAFE IN LINGUA FRANCESE DI ENRICHETTA BLONDEL ALLA FIGLIA VITTORIA, CON O SENZA FIRMA a) Archivio di Stato di Firenze (AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso 219/1-29) 219/1 [nov. o dic. 1831]: Il me semble qu’il y a un siècle…

(edita integralmente in francese in Enrichetta Man-zoni Blondel. Lettere… cit., 68, pp. 307-310)

219/2 Milano 1832 feb. 8: Je suis chargée par ton papa de repondre pour lui…

(edita molto parzialmente, in versione italiana in Vittoria e Matilde… cit., p. XII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 70, p. 313)

219/3 Milano 1832 feb. 22: J’ai a répondre à deux de tes lettres…

(non completa, termina con: tu nous feras le plaisir) 219/4 Milano 1832 apr. 25: Je suis encore toute pleine de bonheur de t’avoir vue

hier… (parz. edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 72, p. 315)

219/5 1832 mag. 23: Madame Cosway m’a apporté ta petite lettre…

(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit, p. XIII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lette-re... cit., 73, p. 316)

219/6 s.d.: Che avrò io da aggiungere a codesta letterina che

tanto ti deve far piacere? (bigliettino autografo in italiano, firmato « tua madre »)

219/7 Brusuglio [1832] giu. 26: Nous voilà a Brusuglio depuis samedi après dîner… 219/8 s.l., 1832 giu. 20: J’ai tant eu de petites affaires…

(edita integralmente in francese in Enrichetta Man-zoni Blondel. Lettere… cit., 77, pp. 323-324)

219/9, Brusuglio [1832] lug. 6: J’ai a peine le temp de te donner les nouvelles de

notre Philippe… 219/10 Genova 1832 lug. 20: J’ai été bien fachée d’avoir du retarder…

(non completa, termina con: la vue de la mer est vraiment un spectacle délicieuse; parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde... cit., pp. XV e XVI e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 80, p. 330)

219/11 Genova 1832 ago. 13: J’ai envoyé à la poste voir s’il y a des lettres…

(non completa, termina con: J’espère recevoir bientôt; parzialmente edita in Vittoria e Matilde… cit, p. XVI e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lette-re… cit., 81, p. 331)

Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento

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219/12 [autunno 1832]: Ma chère Victorine! Tu a donc aussi des angelû-res?… (edita integralmente in francese in Enrichetta Man-zoni Blondel. Lettere… cit., 87, pp. 339-340)

219/13 Milano 1832 nov. 18: Tu recevras avec un double plaisir mon petit billet…

(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., pp. XVII-XVIII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 86, p. 338)

219/14 Milano 1832 dic. 1: Je t’écris depuis mon lit où j’ai été retenue… 219/15 Milano 1832 dic. 15: Je reviens de l’Eglise, ma chère Victorine… 219/16 Milano 1832 dic. 22: Je ne t’ai pas écrit mercredi passé… 219/17 1832 dic. 27: Tu m’as payé ta fête dimanche…

(parzialmente edita in italiano e con la data del 26 dic. in Vittoria e Matilde… cit., p. XVIII e in Enrichet-ta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 89, p. 342)

219/18 [1833 gen. 1]: La crescenza du jour de l’an…

(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., pp. XVIII-XIX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 91, p. 345)

219/19 Milano [1833] gen. 16: Une semaine de (sic) passée, sans t’avoir écrit un mot... 219/20 [1833 gen.]: Je m’empresse de t’annoncer que tu est devenue

Tante… (parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XIX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 92, p. 346)

219/21 Milano [1833] gen. 30: J’avais un besoin inexprimable de recevoir ta lettre…

(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., pp. XIX-XX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 94, p. 348)

219/22 Milano 1833 feb. 7: L’heure du Cavalante e passe (sic) hier, sans que je

pusses t’écrire un mot… 219/23 Milano 1833 feb. 13: J’etais hier chez Julie…

(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 96, p. 350)

219/24 Milano [1833] feb.: Ta lettre d’hier m’a fait grand plaisir

(non completa, termina con: tout le mond; parzial-mente edita in italiano, con data 7 feb., in Vittoria e Matilde… cit. p. XX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 95, p. 349)

219/25 Milano [1833] apr. 24: Je n’ai te pas écrit avant d’avoir reçù ta lettre…

(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., pp. XXI-XXII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 98, pp. 352-353)

Paola Benigni

332

219/26 Milano [1833] mag. 14: J’ai reçu ta lettre d’hier… 219/27 Brusuglio [1833] giu. 4: Je n’ai pas encore reçu ta lettre qui doit m’arriver

aujourdhui… (parzialmente edita in italiano, esclusivamente per la parte che riguarda la piccola Matilde in Vittoria e Matilde… cit., p. XXII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 99, p. 354)

219/28 Brusuglio 1833 giu. 18: Je voulais t’écrire une lettre… 219/29 s.d.: Voilà la pommade que tu m’as demandé… b) Biblioteca nazionale Braidense di Milano Altre tre lettere di Enrichetta a Vittoria in collegio, già facenti parte dell’archivio Giorgini, si trovano oggi presso la Biblioteca Braidense di Milano perché acquistate nel 1993 a Ginevra presso la libreria antiquaria « L’Autographe »: Brusuglio 30 ago. 1831: Nous avons eu dejà deux fois des nouvelles…

(edita in versione italiana in Vittoria e Matilde… cit., pp. IX-X e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 66, pp. 301-303)

2 giu. 1832: Deux mots, chère Victorine, pour te dire… Brusuglio 9 lug. [1832]: Oh, ma bien chère Victorine! quel plaisir m’a donc

fait ta lettre… Tutte e tre le lettere riportano sul testo annotazioni di mano di Euro Paradiso Guidi. c) Lettere attualmente disperse Tuttavia, nonostante questi recenti ritrovamenti, mancano ancora all’appello ben undici lettere di Enrichetta Blondel alla figlia Vittoria in collegio di cui conosciamo l’esistenza perché sono state parzialmente pubblicate in traduzione italiana da donna Matilde (in Vittoria e Matilde… cit.) e poi riedite prima da Michele Scherillo (in Manzoni Intimo... cit., vol. I) e poi da Giuseppe Bacci, che ne ha curato anche l’edizione integrale in francese (in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit.). Brusuglio 25 set. 1831 (edita integralmente in francese in Enrichetta Man-

zoni Blondel. Lettere… cit., 67, pp. 304-306) 5 ott. 1831 e Milano 4 nov. 1831 (edite molto parzialmente in versione italiana in

Vittoria e Matilde… cit., pp. XI-XII)

Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento

333

7 mar. 1832 (edita parzialmente in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 71, p. 314)

1 giu. 1832 (edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XIV e

in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 74, pp. 317-318)

Brusuglio 1832 lug. 6 (parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…

cit., p. XV e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 79, p. 329)

Brusuglio 10 set. 1832 (edita integralmente in francese in Enrichetta Man-

zoni Blondel. Lettere... cit., 84, pp. 335-336) Brusuglio 1 nov. 1832 (edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XVII e

in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 85, p. 337)

21 gen. 1833 (parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…

cit., p. XIX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 93, p. 347)

20 feb. [1833] (parzialmente. edita in italiano in Vittoria e Matil-

de… cit., p. XXI e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 97, p. 351)

Gessate 24 giu. 1833 (parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…

cit., p. XXII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lette-re... cit., 100, p. 355)

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334 Paola Benigni

UNA FAMIGLIA DI FUNZIONARI: NICCOLAO E GAETANO GIORGINI

Alla nascita di Niccolao Giorgini, nel 1773, i Giorgini di Montignoso non

risultavano tra le famiglie aristocratiche della Repubblica oligarchica lucchese. Come ricorda Giovanni Sforza, Niccolao e il padre Giovanni Giorgio furono infatti insigniti della nobiltà « personale » lucchese — vitalizia, non eredita- ria — solo il 20 settembre del 1797 1 per « i servigi » che avevano prestato alla Repubblica aristocratica dopo i primi moti della Rivoluzione francese 2. Una promozione sociale che dunque risentiva fortemente della situazione politica contingente: con i pericolosi « giacobini » letteralmente alle porte della Repubblica (a Massa), Montignoso diventava il primo naturale obiettivo dei rivoluzionari; tale condizione poteva consentire ad una delle famiglie più autorevoli di quella comunità di « rinegoziare » la propria fedeltà a Lucca, ottenendo come contropartita riconoscimenti pubblici.

La fedeltà di Niccolao Giorgini alla Repubblica oligarchica non si dimo-strò tuttavia « irriducibile ». Sforza lo descrive come « un partigiano delle libertà francesi bene accetto ai giacobini » 3: fu così che, mentre con l’avvento della Repubblica democratica del 1799 i « nobili originari » del patriziato lucchese — come racconta Antonio Mazzarosa — « umiliati (…) ritiravansi alle proprie case di campagna » 4, egli, da poco « nobilitato », non solo non si diede alla fuga, ma al contrario accettò di rivestire un’importante carica repub- blicana, quella di membro del consiglio dei giuniori 5.

1 G. SFORZA, Memorie storiche di Montignoso, Lucca, Tip. di Bartolomeo Canovetti, 1867, p. 223.

2 Cfr. l’Autobiografia di Niccolao Giorgini, manoscritto datato 1852 conservato presso la Biblioteca nazionale Braidense di Milano (d’ora in poi BNB), nel Fondo Giorgini I (Carte di Niccolao Giorgini), pubblicato quasi integralmente in Cenni autobiografici sulla vita pubblica di Niccolao Giorgini, a cura di M. SCHIFF GIORGINI (Pisa, Nistri, 1899). Un confronto puntuale rivela alcune difformità tra i due testi: correzioni di natura stilistica ma anche veri e propri tagli, nelle parti forse più « scomode » politicamente, come in questo caso.

3 G. SFORZA, Memorie storiche… cit., p. 223. 4 A. MAZZAROSA, Storia di Lucca dall’origine fino al 1814, Lucca 1833, t. II, p. 174. 5 Caduta la Repubblica giacobina, Niccolao Giorgini « ebbe a subire gravi molestie quando

tornarono gli austriaci » (G. SFORZA, Memorie storiche… cit., p. 223). Un fatto che lo stesso Giorgini nelle memorie sembra voler occultare: « Io ebbi la sorte di essere lasciato tranquillo a casa mia », Cenni autobiografici… cit., p. 22.

Alessandro Breccia 336

La sua carriera pubblica a Lucca cominciò dunque negli « anni francesi ». Non era certo un « pericoloso giacobino », ma il cambiamento di regime e la conseguente rottura della continuità di funzionamento di un apparato ammini-strativo notevolmente chiuso 6 gli consentirono di superare la dimensione periferica di Montignoso per proporsi come uomo di governo a livello centra-le. Anche in quello Stato dunque la venuta dei francesi aveva costituito un fattore di mobilità sociale, propiziando un rinnovamento — seppur parziale — delle élites amministrative 7.

Da allora, nelle fasi politiche che rapidamente si succedettero, ottenne sempre incarichi di rilievo. Inviato a Parigi nel 1804 in rappresentanza della comunità lucchese all’incoronazione di Napoleone, l’anno successivo tornò nella capitale francese in veste di membro della deputazione che presentò ufficialmente all’imperatore la richiesta della trasformazione della Repubblica in Principato, del quale fu nominato senatore. Nel 1806 divenne prefetto di Garfagnana, quindi — nel 1807 — di Massa e Carrara 8. Dal 1809 entrò infine a far parte del Consiglio di Stato del Granducato con speciali competenze per i lavori pubblici e l’amministrazione finanziaria 9.

Un’ascesa, quella di Giorgini, sulle cui dinamiche restano ancora da sciogliere alcuni interrogativi. Nella lunga carriera pubblica a Lucca egli non poté ovviamente prescindere dal consenso dell’antico patriziato cittadino, ma al contempo sembra possibile ipotizzare che il suo prestigio nella comunità avesse altre motivazioni di fondo. Sostanzialmente privo di « potere economi-co » e impossibilitato a fare leva sull’influenza del plurisecolare rango nobilia-re 10, riuscì a guadagnarsi un ruolo di rilievo ai vertici della comunità lucchese

6 Efficace, seppure viziata da eccessi polemici, la descrizione del monopolio esercitato dal- l’aristocrazia lucchese sulla struttura amministrativa della Repubblica effettuata dall’anonimo autore della Memoria sullo Stato di Lucca pervenuta nel 1817 alla duchessa Maria Luisa, e trascritta da P. G. Camaiani nel suo Dallo Stato cittadino alla città bianca. La « società cristia-na » lucchese e la rivoluzione toscana, Firenze, La Nuova Italia, 1979, p. 227. Come osserva Camaiani, « la privativa nell’accesso alle cariche più importanti era per i nobili un privilegio consueto nella società, non soltanto lucchese, dell’ancien régime. Ma i patrizi che reggevano la repubblica di Lucca avevano modo, anche in virtù della sua piccolezza, di organizzare il sottogo-verno con maggior agio, di ricavarne degli utili senza la fastidiosa interferenza dei ceti emergenti, di ignorare i notabili che non risiedevano nell’unica città che contasse nello Stato », p. 179.

7 Sulle trasformazioni che i ceti dirigenti degli Stati italiani ebbero a subire in età napoleo-nica ha scritto pagine preziose Carlo Capra nel saggio Nobili, notabili, élites: dal modello fran- cese al caso italiano, in « Quaderni storici », XIII (1978), pp. 12-42. Tra le tante altre ricerche sull’argomento, ci si limita a citare i saggi contenuti nel volume Stato e Pubblica Amministrazio-ne nell’Ancien Régime, a cura di A. MUSI, Napoli, ESI, 1979.

8 Sull’esperienza di governo a Massa, si veda O. RAFFO MAGGINI, Niccolao Giorgini, pre-fetto di Massa (1807-1809), in « Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi », XVIII (1996), pp. 299-307.

9 Fulvio Conti ha compiuto una ricostruzione sufficientemente completa delle note biografi-che di Niccolao Giorgini nel Dizionario biografico degli italiani, vol. 55, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2000, pp. 338-340.

10 Il « possesso » e l’« influenza », solidi pilastri sui quali poggiava l’egemonia del patrizia-to sulla comunità dei Lucchesi, cfr. P. G. CAMAIANI, Dallo Stato cittadino… cit., p. 105.

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in una fase storica nella quale l’aristocrazia cittadina, nel perdere il monopolio assoluto sull’apparato statale, metteva in luce tutta la limitatezza della propria cultura pubblica.

Una condizione certamente rilevante per l’emergere di un homo novus come Giorgini era rappresentata dal pronunciato indebolimento, soprattutto politico, dell’oligarchia, testimoniato da una crescente impopolarità, come scrive Antonio Mazzarosa, giudicando il provvedimento di nobilitazione deciso dal consiglio generale — di cui beneficiarono insieme ai Giorgini trentasei altre casate — una decisione volta « a puntellare lo stato presente con un maggior numero di buoni cittadini » 11. Tale mossa si rivelò inefficace dal momento che, sempre secondo Mazzarosa, « partorì fra il popolo quell’effetto che nasce da cosa fatta per forza, e non ispontaneamente » 12. Una decisione presa « per forza », forse anche un disperato — ma insufficiente — tentativo di reagire al progressivo declino degli istituti della secolare Repubblica oligar-chica, allargandone, seppure in minima misura, la base sociale. Estinta quella fase storica, pare lecito affermare che le tradizionali famiglie di Lucca, inca-paci di liberarsi dalle rigidità di un assetto ormai superato, dimostrassero nell’immediato una certa inadeguatezza nel misurarsi con le mutate caratteri-stiche del sistema del potere pubblico, non riuscendo a contrastare con effica-cia l’ascesa a posizioni pubbliche di rilievo di personaggi estranei al ceto dominante.

Niccolao Giorgini mantenne per sé e per la sua famiglia un’« identità » distinta rispetto al modello delle casate aristocratiche. Alla base di tale scelta sembra essere la volontà di sfruttare le opportunità di affermazione sociale offerte dai mutamenti del quadro politico ed istituzionale, l’avvento dello Stato amministrativo e soprattutto l’esigenza dei nuovi regnanti di inserire nei ruoli-chiave dell’apparato dello Stato un gruppo di uomini di indiscussa lealtà che avesse esclusiva fonte di legittimazione e prestigio nel potere sovrano.

Egli si propose così come uomo di assoluta fiducia prima dei principi Baciocchi ed in seguito della dinastia dei Borbone-Parma, fino a stringere con essi un legame quasi confidenziale (in special modo con Elisa e Carlo Lodo-vico). L’élite nobiliare — al contrario — non legò poi le proprie sorti a quelle della corona, pronta alla prima occasione a rispolverare sterili appelli « muni-

11 A. MAZZAROSA, Storia di Lucca… cit., p. 141. La questione della necessità di concedere a nuove casate il privilegio patrizio si trascinava da tempo, senza che tuttavia fosse stato preso alcuna decisione in tal senso. Finalmente nel 1797 « si fecero alcune poche concessioni di cittadinanza originaria, o a famiglie o a persone singole, ma a stento e con evidente ripugnanza » (S. BONGI, Inventario del Regio Archivio di Stato in Lucca, Lucca 1880, I, p. 204). Sembra opportuno notare che tra i beneficiari del medesimo provvedimento fossero personaggi ai quali — come a Giorgini — sarebbero stati affidati importanti incarichi di governo dopo la caduta della repubblica aristocratica. Basti menzionare gli avvocati Luigi Vannucci e Luigi Matteucci, importanti ministri del periodo baciocchiano. Alcuni cenni biografici sui due in S. BONGI, Inventario… cit., III, pp. 140 e 106.

12 A. MAZZAROSA, Storia di Lucca… cit., p. 141.

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cipalisti » al ritorno all’indipendenza del passato; una linea tenuta del resto in tutti i momenti decisivi della storia cittadina del XIX secolo.

Dopo la caduta della Repubblica, a Lucca si verificò tra « il nuovo ceto dei funzionari ed impiegati » ed il vecchio patriziato 13, un processo di amal-gama sul quale pesava in modo determinante la persistente egemonia econo-mica di quest’ultimo; tale fenomeno tuttavia non comportò mai del tutto la perdita da parte del primo gruppo di importanti elementi di « differenziazio-ne » rispetto al secondo, fino a decidere di non recepirne completamente il modello socio-culturale e di costume: non a caso Giorgini non fece mai proprio quel « cattolicesimo moralistico e moralizzatore » 14 che costituiva il segno distintivo della condotta pubblica di molti aristocratici, così come non dimostrò particolare interesse per i « i gusti e le frivole abitudini del patrizia-to » 15, imponendo alla famiglia un tenore di vita ispirato alla sobrietà e al rifiuto del lusso 16.

Egli seppe dunque proporsi come uomo di governo di provata lealtà dina-stica e scelse la medesima strada per il figlio Gaetano, concependo quella che può essere interpretata come una vera e propria « strategia » della formazione di un funzionario di professione. Dopo essere stato da bambino paggio della principessa Baciocchi, all’età di 15 anni — nel 1810 — Gaetano Giorgini fu inviato a Parigi, dove trascorse gli anni decisivi della sua educazione scientifi-ca e professionale, prima in qualità di allievo del Lycée Louis-Le Grand ed in seguito della prestigiosa Ecole Polytechnique 17. Il soggiorno nella capitale francese fu finanziato in gran parte dai granduchi toscani 18, i quali, come con

13 La dominazione francese fece emergere un ceto di « funzionari ed impiegati » di cui fa-cevano parte « alcuni esponenti del ceto medio », cfr. P. G. CAMAIANI, Dallo Stato cittadino… cit., p. 186.

14 Ibid., p. 365. 15 C. SARDI, Lucca e il suo Ducato dal 1814 al 1859, Firenze, Tip. cooperativa, 1912, p. 21. 16 Come si evince dalla lettura delle missive di Niccolao al figlio Gaetano Giorgini, custo-

dite in BNB, Fondo Giorgini II (Carte di Gaetano Giorgini), la moglie di quest’ultimo, contessa Carolina Diana Paleologo, dava origine a continui contrasti perché incline ad uno stile di vita sfarzoso e dispendioso che i Giorgini non vollero mai accettare. Pare opportuno ricordare che a Lucca i Giorgini non « misero radici ». Forse non a caso la permanenza nella città fu limitata al periodo in cui il capo-famiglia ebbe a svolgere incarichi pubblici: Niccolao Giorgini cedette la propria casa in città poco dopo essere stato messo a riposo dal governo granducale; lo ricorda Vittoria Giorgini Manzoni a p.10 delle sue Memorie, pubblicate in Vittoria e Matilde Manzoni, a cura di M. SCHIFF GIORGINI, Pisa, Nistri, 1910.

17 Per le note biografiche su Gaetano Giorgini rimandiamo a G. SFORZA, Nelle esequie so-lenni del senatore Gaetano Giorgini, Lucca, per i Tipi di Bartolomeo Canovetti, 1874. Una ricostruzione sintetica ed efficace della figura di Giorgini si può leggere nell’omonima voce, curata da Danilo Barsanti per il Dizionario biografico degli italiani, vol. 55 … cit., pp. 332-334.

18 Con sovrano decreto del 3 febbraio 1813 Elisa Baciocchi aveva concesso a Gaetano Giorgini una pensione annuale di 1.500 franchi. La comunicazione ufficiale del provvedimento si trova nel fondo Schiff Giorgini di recente recuperato ed ora custodito presso l’Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi AS FI); la collocazione provvisoria è AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 207/29-1. Il giovane Giorgini non fu l’unico beneficiario di siffatti finanziamenti: « Questa predi-

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insistenza Niccolao Giorgini ricordava al figlio, avevano già pianificato il suo futuro di ingegnere idraulico dello Stato. In una lettera al giovane Gaetano studente a Parigi, il padre Niccolao scriveva: « Di commissione espressa di S.A.I.R la Vostra Augusta Sovrana io debbo avvertirvi che [è] suo preciso comando che Voi vi dedichiate interamente allo studio dei Ponti, e Argini. La prelodata A.S.I. mi a [sic] in questa circostanza assicurato che fra due anni allorché Voi sarete uscito dalla Scuola vi farà andare in Olanda a fare una pratica sulle materie idrauliche (…) quindi Vi richiamerà in Patria per darVi un buon impiego, e mettere sotto i Vostri ordini della gioventù per opera da Voi diretta » 19. L’azione di governo dei nuovi sovrani, egli spiegava di continuo nelle lettere al figlio, avrebbe segnato una netta cesura con il passato della Repubblica oligarchica, contrapponendo all’immobilismo di quest’ultima la pronta realizzazione delle opere pubbliche di cui da sempre abbisognava il popolo lucchese: « oggi, che siamo governati da Principi, che vogliono il nostro bene, ed al genio benefico dei quali non mancano i mezzi per realizzare i loro voleri, oggi appunto è arrivato quel giorno che con un braccio forte, e preveggente saranno realizzate le speranze di tante famiglie che vedono divorarsi dal tempo quelle proprietà, che somministravano ad essi una volta ubertosi prodotti, e che ora vanno a divenire stagni, paludi » 20.

I principi, infatti, miravano a consolidare la propria autorità presentandosi come efficienti « benefattori » con l’esclusiva volontà di servire il bene comu-ne; una miscela di paternalismo e buona amministrazione alla quale « burocra-ti » come Niccolao Giorgini e tecnici preparati come il figlio Gaetano avreb-bero dovuto dare esecuzione, assimilando ed uniformandosi ai nuovi caratteri che la figura dell’uomo di governo stava assumendo nel modello di Stato burocratico in via di affermazione nella Francia imperiale. Come del resto stava avvenendo oltralpe, essi sarebbero entrati a far parte di quella « élite de fonction publique » 21, nuovo ceto di impiegati dello Stato che trovavano nella propria condizione professionale e nell’appartenenza alla burocrazia la ragione della propria collocazione sociale. Un nuovo personale di governo organizzato in modo più razionale, nella selezione del quale si sarebbe attribuita sempre maggiore importanza alla professionalità e all’efficienza.

Nelle loro differenti caratteristiche di uomini pubblici i due Giorgini avrebbero impersonato le caratteristiche della nuova figura funzionariale che si lezione [della Sovrana] per la cultura la indusse a creare delle borse di perfezionamento all’estero in favore degli studenti più meritevoli (…). Di queste borse di studio, oltre Lorenzo Nottolini e Gaetano Giorgini, godettero il Frugoni inviato a Roma a studiare architettura e Ferdinando Fontana mandatovi a perfezionarsi nella scultura », ARCHIVIO DI STATO DI LUCCA, Regesto del carteggio privato dei Principi Elisa e Felice Baciocchi (1803-1814), a cura di D. CORSI, Roma 1963, p. XX.

19 Lettera di Niccolao a Gaetano Giorgini del 13 gennaio 1812, in BNB, Fondo Giorgini II. 20 Lettera a Gaetano Giorgini del 18 aprile 1813, ibidem. 21 M. REINHARDT, Élite et noblesse dans la deuxième moitié du XVIII siècle, in « Revue

d’histoire moderne et contemporaine », III (1956), pp. 5-37, in particolare p. 7.

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stava affermando pressoché in tutti gli Stati della penisola: uomo « vicino alla corona » atto a svolgere ruoli direttivi nell’amministrazione il padre, « tecni-co » altamente preparato chiamato a prestare servizio allo Stato in virtù delle sue specifiche qualifiche scientifiche il figlio. Non dotato di specifica prepara-zione, Niccolao Giorgini aveva tutto sommato ancora i tratti dell’esponente della burocrazia di corte dello Stato amministrativo settecentesco; Gaetano invece si preparava ad interpretare le nuove emergenti esigenze tecnico-scientifiche degli apparati di governo 22.

Caduto Napoleone, e con lui i granduchi Baciocchi, Gaetano Giorgini non potè che fare ritorno da Parigi a Lucca. Malgrado la giovane età, diede alle stampe opere scientifiche presto note agli studiosi più illustri e fu investi-to quasi subito di importanti incarichi; prima, nel 1818, la nomina a direttore della neoistituita Direzione delle acque e strade del Ducato, poi, l’anno suc-cessivo, quella a professore di meccanica e calcolo infinitesimale del regio liceo.

Lucca stava ancora attraversando una fase di transizione dal vecchio al nuovo regime. Poco tempo dopo, tra il 1820 e il 1821, Niccolao Giorgini fu temporaneamente allontanato dall’amministrazione con l’accusa, a quanto egli stesso scrisse, di essere « persona troppo attaccata ai passati Principi » 23. Un’« eclissi » che con tutta probabilità costò al figlio Gaetano la fine di ogni possibilità di carriera pubblica presso i Borbone-Parma 24. Niccolao invece

22 Un’evoluzione che sicuramente si palesò in anticipo nella Francia settecentesca; basti ri-mandare ai volumi di C. C. GILLISPIE, Scienza e potere in Francia alla fine dell’ancien régime, Bologna, Il Mulino, 1983 e di L. BLANCO, Stato e funzionari nella Francia del ’700: gli ingénieurs des ponts et chaussées, Bologna, Il Mulino, 1991.

23 Cenni autobiografici… cit., p. 55. 24 La grave piena del fiume Serchio del 1820, che Giorgini affrontò con l’impopolare « ta-

glio » a Sant’Alessio, segnò l’inizio del fallimento della sua carriera nel Ducato: la drastica scelta di far straripare il fiume suscitò nei confronti del suo operato aspre critiche, a volte costruite ad arte. Pochi mesi dopo — il 10 febbraio 1821 — la duchessa emise un proclama (S. BONGI, Inventario… cit., III, p. 330) nel quale si annunciava la conclusione di un accordo con il granduca di Toscana per la comune intrapresa di lavori idraulici al fine di « garantire la pianura lucchese dai danni delle acque ». Per la sua attuazione si sarebbe seguito il progetto di regola-mentazione delle acque elaborato dall’architetto Nottolini. Giorgini, che dissentiva da quel progetto, non era stato nemmeno avvertito delle trattative. Constatando di non godere più della fiducia della sovrana, decise di rassegnare le proprie dimissioni, che vennero accettate da Maria Luisa il 22 marzo 1821. La minuta della lettera di dimissioni, di notevole interesse, è conservata presso l’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux di Firenze (d’ora in avanti ACGV), nel fondo Gaetano Giorgini. L’« infinita » disputa tra i due tecnici, che coinvolse anche numerosi esperti della scienza della regimentazione delle acque, ebbe come unico effetto pratico quello di bloccare per decenni ogni intervento sulla pianura condivisa dai due Stati. Per un’analisi dettagliata dell’opera di ingegnere idraulico di Gaetano Giorgini e per la disamina delle numerose dispute scientifiche di cui fu protagonista rimando a D. BARSANTI, Gaetano Giorgini e la bonifica per separazione delle acque, in « Rivista di storia dell’agricoltura », XXIX (1989), p. 137. Le aspre querelles su questioni tecniche non sembrano altro che pretesti per consumare lotte politiche interne agli ambienti di potere vicini ai sovrani. Malgrado non vi siano conferme dirette in tal senso, appare plausibile sostenere che i due ingegneri idraulici appartenessero a due « fazioni »

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riacquistò la fiducia dei duchi di Lucca, riuscendo perfino a stringere un rapporto di intima amicizia con Carlo Lodovico, come rivelano alcune lettere del sovrano 25. Proseguì la carriera pubblica senza più intoppi fino alla cessa-zione del Ducato, dal 1822 al 1840 in qualità di gonfaloniere di Lucca, poi come ministro dell’interno e presidente del consiglio dei ministri (dal 1843). Anche la sua attività di governo sulla città ebbe tratti di discontinuità rispetto alle passate amministrazioni, ispirata com’era all’idea di renderla capitale di uno Stato moderno, nel quale il capoluogo divenisse centro direttivo politico ed amministrativo; un modello centralistico che ambiva a superare l’antica concezione della città-Stato slegata dai territori dominati 26.

Per Gaetano Giorgini la lontananza dalle funzioni pubbliche, provocata con tutta probabilità come si è detto da una fase di scarse fortune politiche del padre, fu comunque di breve durata. Con il motuproprio del 1° novembre 1825 il granduca di Toscana lo chiamò ad insegnare matematiche applicate all’Accademia di belle arti di Firenze; poco tempo dopo, nel febbraio 1826, fu scelto come membro di un nuovo organo statale, il Consiglio degli inge-gneri 27, insieme a Giuliano Frullani e a Ferdinando Tartini. contrapposte. A titolo esemplificativo basti rammentare le vicende della costruzione dell’acque- dotto cittadino. Antonio Mazzarosa, nel suo Sulle opere e sui concetti dell’architetto ed ingegne-re Lorenzo Nottolini. Ragionamento del marchese Antonio Mazzarosa, Lucca, Giusti, 1856, ricorda che il progetto presentato dall’ormai riabilitato gonfaloniere Niccolao Giorgini — appro- vato dalla sovrana il 7 ottobre 1822 — era affidato all’architetto G. Valentini. Ma l’approvazione della duchessa non bastò, visto che « nato per avventura qualche dubbio nella mente di Maria Luisa (…) volle essa che il Nottolini Regio architetto esaminasse, suggerisse (…). L’ultimo dello stesso ottobre sancivasi il suo concetto e se ne comandava subito l’esecuzione » (p. 7). Pare che Giorgini fosse riuscito ad escludere l’importante architetto dalla realizzazione di quella prestigio-sa opera pubblica. Ma Nottolini, o altri per lui, « riacciuffò » il prestigioso incarico facendo nascere « qualche dubbio » nella mente della duchessa. Documenti relativi a tale questione sono contenuti nella porzione di fondo Schiff Giorgini recentemente recuperata dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana a Massa presso l’avv. Cecchieri e depositata nell’Archivio di Stato di Firenze (AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 30/1-6).

25 Basti citare una missiva di Carlo Lodovico datata 15 giugno 1841: « A rivederci a Mon-tignoso. Vengo in casa vostra, ma! Intendiamoci, vorrei il letto un po’ più duro; l’estate se sto così soffice affogo (…) »; in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 39/3.

26 Come ricorda M. L. TREBILIANI, Studi storici lucchesi, Lucca, Pacini Fazzi, 1992, pp. 77-78, in qualità di gonfaloniere Niccolao Giorgini fu chiamato a presiedere la nuova Deputazione degli edili della città di Lucca. La Deputazione era stata istituita per avviare una sistematica opera di riqualificazione ed abbellimento della città, « il cui esterno », sono parole di Giorgini contenute nel documento che istituisce il nuovo organo, fu condannato « ad un lungo abbandono [per] la indolenza dei nostri maggiori su questo oggetto ». Si trattava, come osserva l’autrice, di « una critica del Gonfaloniere della capitale del Ducato rivolta alla città-Stato del passato, dalla quale si vo[levano] prendere le distanze ».

27 Sull’istituzione del Corpo degli ingegneri, un provvedimento che andava nella direzione di una decisa razionalizzazione e centralizzazione degli apparati dello Stato, si veda D. TOCCA-FONDI, La nascita di una professione: gli ingegneri in Toscana in Età Moderna, in La politica della scienza. Toscana e Stati italiani nel tardo Settecento, a cura di G. BARSANTI, V. BECAGLI, R. PASTA, Firenze, Olschki, 1996, pp. 148-169 e A. GIUNTINI, La formazione didattica e il ruolo

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Varie furono le condizioni che consentirono a Giorgini di varcare i confi-ni di Lucca ed entrare a far parte dell’apparato amministrativo del Granducato. La prima, quasi ovvia, fu la prospettata fusione tra i due Stati. In seguito ai deliberati del Congresso di Vienna la separazione tra Granducato di Toscana e Ducato di Lucca era destinata ad essere transitoria; occorreva pensare alla futura fusione, anche integrando giovani esponenti della classe dirigente lucchese nel corpo funzionariale toscano. Insieme a Giorgini furono chiamati da Lucca a svolgere incarichi pubblici in Toscana altri funzionari privi di impiego nel Ducato, come ad esempio Luigi Matteucci e Luigi Fornaciari.

Un ulteriore importante elemento fu la nuova strategia granducale nella selezione del personale di governo: è stato osservato che numerosi alti funzio-nari dell’era di Leopoldo II furono, sia a livello centrale che locale, di « pro-venienza decentrata » 28. Essi venivano scelti principalmente per la loro sicura fedeltà alla dinastia, spesso prescindendo dal consenso delle élites dirigenti toscane, al quale tradizionalmente era vincolata la selezione del personale di governo. Un fenomeno che si poteva registrare anche nelle più alte schiere dell’amministrazione: forti quasi esclusivamente del gradimento granducale e di certo non cooptati dalle élites fiorentine furono in quegli anni due alti funzionari come Francesco Cempini, consigliere di Stato e direttore della Segreteria delle regie finanze « uscito da civile famiglia di mediocri possidenti in Terricciola nelle colline Pisane » 29 e Giovanni Baldasseroni, un « burocrate esecutore » 30 che spesso nella sua attività di amministratore dovette fronteg-giare l’ostilità degli altri ministri Fossombroni e Corsini, espressione del patri- ziato fiorentino. Anche un sommario esame delle cariche burocratiche inter-medie fornisce conferme della volontà dell’autorità granducale di « disporre di un proprio corpo di burocrati distinto dai ceti dirigenti cittadini » 31. dell’ingegnere nell’amministrazione granducale della Toscana di Leopoldo II, in La Toscana dei Lorena. Riforme, territorio, società. Atti del convegno (Grosseto, 27-29 novembre 1987), a cura di Z. CIUFFOLETTI e L. ROMBAI, Firenze, Olschki, 1989, pp. 380-405.

28 A. VOLPI, I governatori di Pisa cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano, in L’Ordine di Santo Stefano e la città di Pisa. Dignitari della Religione, dirigenti dello Studio e funzionari del governo nei secoli XVI-XIX. Atti del convegno (Pisa 9-10 maggio 1997), Pisa, ETS, 1997, pp. 361-378, in particolare p. 367.

29 G. BALDASSERONI, Leopoldo II Granduca di Toscana e i suoi tempi, Firenze, Tip. all’in- segna di S. Antonino, 1871, p. 60.

30 R. P. COPPINI, I funzionari del governo civile, militare ed ecclesiastico di Pisa cavalieri dell’Ordine di S. Stefano in età lorenese, in L’Ordine di Santo Stefano e la città di Pisa… cit., pp. 349-358, in particolare p. 354.

31 Ibid., p. 352. Coppini prosegue notando che anche attraverso la concessione ad alcuni funzionari dell’abito stefaniano « tendeva a prendere forma l’idea forse attentamente coltivata dallo stesso granduca e dalla sua corte, di creare delle vere e proprie “famiglie di funzionari” (…) destinate a contenere le resistenze delle varie aristocrazie ». Dalla semplice lettura delle memorie di Leopoldo II (Il governo di famiglia in Toscana. Memorie (1824-1857), a cura di F. PESEN-DORFER, Firenze, Sansoni, 1987) si nota che numerosi uomini elevati dal granduca alle più alte cariche pubbliche non appartenevano alle potenti famiglie della nobiltà fiorentina.

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La scelta di chiamare in Toscana Gaetano Giorgini aveva tuttavia un’ul- teriore peculiarità. Egli non era un esponente delle élites regionali, ma la sua nomina esprimeva il tentativo, in virtù del prestigio scientifico ed accademico di cui godeva, di avviare una forma di dialogo con gli ambienti più avanzati della società fiorentina che contribuisse ad instaurare un rapporto quantomeno collaborativo tra tali ambienti e la corona.

Fino ad allora per essi l’apparato statale era stato preda di quella che Gino Capponi definiva con disprezzo « la massoneria burocratica » 32: altri erano per i ceti dirigenti i luoghi della messa in atto e della promozione dei propri progetti di riforma economici e sociali. Con la chiamata di Giorgini l’autorità granducale diventava invece un interlocutore più credibile. Già prima del trasferimento a Firenze egli aveva conquistato la stima di prestigiosi esponenti della cultura fiorentina, iniziando a collaborare con i più importanti centri di ricerca: l’Accademia dei georgofili l’aveva scelto come accademico corrispondente già nel 1824.

Una volta trasferitosi a Firenze, entrò dunque a far parte del gruppo di in-tellettuali che gravitavano intorno all’Accademia e alle iniziative editoriali di Giovan PietroVieusseux. Partecipò fattivamente a tutte le iniziative riformatri-ci, culturali ed economiche che segnarono l’identità culturale ed in senso lato politica di quel gruppo negli anni precedenti al 1848: da quelle tese a diffon-dere le scuole di mutuo insegnamento agli articoli sull’« Antologia », alla fondazione della prima Cassa di Risparmio 33, fino alle campagne di sensibi-lizzazione politica, come il sostegno agli esuli cacciati da alcuni Stati italiani in seguito ai moti del 1830-31 34.

Il momento forse più compiuto di avvicinamento tra élites dirigenti del Granducato e autorità lorenese si ebbe proprio con la riorganizzazione del sistema degli studi universitari realizzata da Gaetano Giorgini 35. La riforma,

32 L’espressione si trova in una lettera di Gino Capponi a G. Pucci datata 10 aprile 1825, in Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate a cura di Alessandro Carraresi, I, Firenze, Le Monnier, 1882, p. 197.

33 Il 5 dicembre 1835 fu nominato « uno dei tre componenti il Consiglio di Amministrazio-ne »; l’incarico aveva durata triennale.

34 Fu tra l’altro tra i mecenati che finanziarono alcune opere del professor Francesco Orioli, mecenati che lo stesso Orioli in una lettera a Giorgini del 15 agosto 1842 definiva « mossi dal nobile desiderio di concorrere all’opera grandemente meritoria del restituire una patria perduta ad un uomo al quale duole immensamente questa perdita ». La missiva si trova in AS FI, Archivio Schiff Giorgini / Montignoso, 216/74. Orioli, cittadino dello Stato della Chiesa, esule politico in Grecia dopo i moti del 1831, rappresentò l’Università di Corfù al Congresso degli scienziati di Pisa del 1839, del quale Giorgini era tra gli organizzatori. L’invito ad Orioli provocò le vive proteste della Santa Sede.

35 Per un’analisi accurata del complesso dei provvedimenti di riforma, si veda D. BARSANTI, L’Università di Pisa dal 1800 al 1860, Pisa, ETS, 1993, e R. P. COPPINI, Gaetano Giorgini e la riforma universitaria del 1840, in L’Ordine di Santo Stefano e lo Studio di Pisa. Atti del convegno, Pisa, 14-15 maggio 1993, Pisa, ETS, 1993, pp. 115-122.

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che toccava tutto lo spettro delle discipline universitarie, fu accolta con unanime favore dal nucleo più « illuminato » dell’aristocrazia fiorentina, che ne condivise appieno i principi ispiratori. Nella nuova Università di Giorgini veniva attribuita non a caso maggiore importanza allo sviluppo di attività di ricerca e sperimentazione che individualmente alcuni esponenti di quei gruppi da tempo stavano conducendo: un caso su tutti quello di Cosimo Ridolfi, che entrò a far parte del corpo docente dell’ateneo pisano in qualità di professore di agraria e pastorizia e soprattutto di direttore del nuovo Istituto agrario 36, nel quale avrebbe potuto riprendere e sviluppare a livello istituzionale l’attività del podere-modello di Meleto.

Il nuovo assetto del sistema degli insegnamenti universitari, al quale fu associata la chiamata a Pisa di alcuni tra i più prestigiosi docenti italiani di allora, contribuiva inoltre a scongiurare il rischio dell’isolamento dello Stato lorenese, rendendo « fruibile » per i ceti dirigenti toscani « il patrimonio conoscitivo, scientifico e politico, maturato dalle élites del continente, condi-zione primaria della sopravvivenza e della evoluzione [di questi ultimi] »37. L’università così rinnovata diventava finalmente importante veicolo di diffu-sione di idee, conoscenze ed esperienze scientifiche — ma anche indiretta- mente politiche — fornendo, indipendentemente dall’esistenza di una coscien-te volontà in tal senso, un contributo importante al perpetuarsi del modello di egemonia sociale del gruppo moderato toscano, ovvero di quel riformismo guidato dall’alto, diretto a contrastare al meglio i pericoli di sommovimento sociale.

Poco tempo dopo la realizzazione della riforma, nei burrascosi anni im-mediatamente precedenti al 1848, Gaetano Giorgini fu prima impegnato come sovrintendente agli studi a governare la calda situazione dell’ateneo pisano, poi nell’ottobre 1847 passò a Lucca, dove — insieme al padre e al figlio Giovanbattista — ebbe il delicato compito di gestire la « reversione » 38 alla Toscana del Ducato.

Niccolao, Gaetano e Giovanbattista Giorgini ebbero un ruolo centrale nei giorni del passaggio dei poteri alle autorità toscane. Fu un’ulteriore occasione

36 Nel suo Cosimo Ridolfi e l’Università di Pisa, in « Rassegna storica toscana », XLII (1996), 2, pp. 331-344, Alessandro Volpi osserva che « dare a Ridolfi, in quel momento presiden-te dei Georgofili (…) la possibilità di insegnare la “sua” agronomia nell’università del granduca significava, molto probabilmente, il riconoscimento, inespresso, da parte di Leopoldo di una sia pur generica soggettività economica autonoma ad un’area di personaggi, ad un ceto dirigente, che dagli anni della restaurazione l’aveva reclamata, rifiutando di appiattirsi sul ruolo di semplice personale di governo » (p. 343). Sull’esperienza universitaria di Cosimo Ridolfi si rinvia anche a A. BENVENUTI, R. P. COPPINI, R. FAVILLI, A. VOLPI, La Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, Pisa, Pacini, 1991.

37 R. P. COPPINI, Gaetano Giorgini e la riforma… cit., p. 120. 38 Sulla reversione del Ducato si veda tra gli altri F. DE FEO, La reversione del Ducato di

Lucca del 1847, in « Archivio storico italiano », CXXIV (1966), pp. 160-207 e G. SFORZA, La reversione del Ducato lucchese al Granducato di Toscana, in « Bollettino storico lucchese », XIII (1941), pp. 94-104.

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nella quale poterono manifestarsi i caratteri distintivi della famiglia di Monti-gnoso — una « famiglia di funzionari » — rispetto al patriziato cittadino. I patrizi lucchesi avevano sostenuto le dimostrazioni volte a ripristinare la costituzione del 1805 39 con l’obiettivo di ridimensionare il potere assoluto del duca, senza mettere in discussione l’esistenza di Lucca come Stato indipen-dente 40: « una restaurazione aristocratica contro l’assolutismo monarchico » 41; si trattava di una campagna politica miope, alla quale i Giorgini non aderiro-no, diventando al contrario un punto di riferimento « operativo » 42 per le autorità toscane, sia per l’esecuzione di istruzioni di carattere amministrativo, sia al fine di affrontare sul piano « diplomatico » le resistenze dell’aristocrazia cittadina. L’8 ottobre 1847 Gaetano Giorgini convocò nella casa di famiglia i membri delle più influenti famiglie di Lucca e annunciò loro l’unione dei due Stati; essi risposero esprimendogli compatti la propria contrarietà al mutamen-to di regime. Fu così che Lelio Guinigi e Antonio Mazzarosa, chiamati dal granduca a formare con Niccolao Giorgini il triumvirato che guidasse la transizione, rifiutarono l’incarico, lasciandolo come unico commissario prov-visorio. Facendo forza esclusivamente sulla propria condizione di uomini della « burocrazia » legati al potere lorenese, i Giorgini — « il governetto di casa Giorgini » 43 — ebbero anche in questa importante occasione a svolgere un ruolo decisivo, autonomo e in contrasto con le strategie immediate dell’aristo- crazia cittadina. L’atteggiamento dei nobili lucchesi sarebbe comunque cam-biato già nel 1849. La decisione di collaborare attivamente con le restaurate istituzioni granducali, che avevano optato per una chiusura totale ad ogni prospettiva di tipo anche solo genericamente liberale sul piano politico, culturale e perfino religioso, era del resto in assoluta sintonia con il conserva-torismo « bigotto » che ancora segnava la loro condotta pubblica. Ma a quel tempo i Giorgini non avevano già più alcun ruolo di rilevo nell’apparato di governo toscano.

Poco più di un anno dopo la « reversione » dello Stato lucchese, Niccolao Giorgini, cessato ogni incarico pubblico, vendette la casa di Lucca per ritirarsi a Montignoso, dove morì il 27 febbraio 1854. Anche il figlio Gaetano vide concludersi allora la propria carriera di pubblico funzionario. Visse da prota-gonista il fallimento del governo « dei settanta giorni » guidato da Gino

39 Un’interessante analisi delle vicende lucchesi del 1847 è svolta nel saggio di A. CHIAVI-STELLI, Un moto effimero: le riforme del 1847 nel ducato di Lucca tra mobilitazione cittadina e Ancien Régime, in « Rassegna storica toscana », XLV (1999), 2, pp. 519-569.

40 « Del resto, era comune a tutto il notabilato lucchese il desiderio di mantenere in vita il più a lungo possibile il ducato e di controllare indisturbato la gestione del potere », ibid., p. 253.

41 P. G. CAMAIANI, Dallo Stato cittadino… cit., p. 40. 42 La lettura delle minute di numerose missive di Gaetano Giorgini al Presidente del consi-

glio Ridolfi conservate in ACGV, Gaetano Giorgini, fornisce conferme del ruolo svolto dai Giorgini in quei frangenti.

43 C. SARDI, Lucca e il suo Ducato dal 1814 al 1859, Firenze, Tip. cooperativa, 1912, p. 107.

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Capponi, del quale era ministro degli esteri. La sconfitta di tale ministero 44 mise in luce tutta la debolezza politica del progetto culturale e sociale dei moderati toscani. Chiamati a governare, scontarono la tradizionale mancanza nella loro strategia dell’idea della partecipazione diretta e responsabile alla determinazione degli indirizzi politici. Del resto il gruppo moderato affrontò quei delicati eventi senza la sufficiente unità d’intenti. Cominciava a delinear-si una divisione, anche di carattere generazionale, determinata dalle divergen-ze in merito all’attuazione e al sostegno di un progetto politico compiutamente liberale: esemplari in tal senso le polemiche 45 emerse durante il « biennio riformatore » tra il « gruppo Ricasoli-Salvagnoli » e il « gruppo di Capponi e Ridolfi » relativamente alla legge sulla stampa o all’istituzione della guardia civica. La più generale mancanza di un’idea coerentemente moderna dello Stato, espressione di un pensiero liberale maturo, fu dunque alla base di quel fallimento politico. La visione dello Stato di tali moderati risultava appiattita sulla dimensione amministrativa, che affondava le proprie radici nel tradizio-nale municipalismo toscano e nel mito del « buon governo » leopoldino. Significativa fu l’esperienza dell’elaborazione dello Statuto toscano: a diffe-renza di quanto avvenne in altre realtà contemporanee, il testo costituzionale non fu il risultato del processo di maturazione di un’idea della politica come rappresentanza, ma fu un’evento « subìto » più che « costruito » 46.

Con la caduta del ministero Capponi si consumò anche la fine di quella sorta di dialogo tra i ceti dirigenti del Granducato e la corona, del quale, come abbiamo scritto in precedenza, la promozione di un funzionario come Gaetano Giorgini costituiva una delle più evidenti manifestazioni. Tale fase, già in via di esaurimento, fu chiusa definitivamente dal rientro in Toscana di

44 Per un esame dettagliato delle vicende del governo Capponi si rimanda a G. CAPPONI, Settanta giorni di ministero, in Scritti editi ed inediti, Firenze, Barbera, 1877, pp. 62-200. Un esecutivo che dimostrò grande debolezza, anche perché composto da uomini che non erano in grado di fronteggiare efficacemente i rapidi mutamenti che in quei mesi stava conoscendo la scena politica. Emblematica in tal senso una lettera di Gaetano Giorgini a Giulio Boninsegni del 1 settembre 1848: « Indipendentemente dalla mia qualità di interino [Giorgini era appunto ministro degli esteri ad interim], i ministeri a questi lumi di luna nascono moribondi e noi non possiamo dirò piuttosto temere che sperare lunga vita al nostro […] ci è forse permesso di sperare che potremo se non altro preparare ai nostri successori qualche elemento di ordine di più di che non abbiamo trovato »; il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, in Carteggi vari, 324, 90. Conclusasi la comune esperienza politica, in una lettera datata 4 novembre 1848 Capponi ne scriveva così: « Di questo almeno possiamo vantarci, che abbiamo segnato la fine di un’era ed il principio di un’altra ». La missiva si trova in Lettere di Gino Capponi… cit., II, p. 470.

45 Per la ricostruzione di tali polemiche si rimanda a R. P. COPPINI, Il Granducato di To-scana. Dagli « anni francesi » all’Unità, Torino, UTET, 1993.

46 Il sostanziale « ritardo » di tali importanti settori delle élites toscane nella formulazione di un progetto politico compiuto sembra pesare anche sul processo di elaborazione dello statuto del 1848. Su tale vicenda, si veda A. CHIAVISTELLI, Toscana costituzionale: la difficile gestazio-ne dello statuto fondamentale del 1848, in « Rassegna storica del Risorgimento », LXXXIV (1997), 3, pp. 339-374.

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Leopoldo II, che scelse una politica di dura contrapposizione ai gruppi diri-genti regionali. Segnale evidente di tale cambiamento fu lo smantellamento, nel 1850, della riforma universitaria, della quale fu cancellato l’elemento principale, lo stabilimento a Pisa di una prestigiosa Università, completa di tutte le facoltà e ricca di insegnamenti 47; analogamente, fu decisa la chiusura dell’Istituto agrario di Cosimo Ridolfi.

Caduto il Granducato, Giorgini non entrò a far parte della nuova burocra-zia dello Stato unitario, se si eccettua la breve e negativa esperienza alla guida della Direzione idraulica delle bonifiche toscane e alla Direzione generale delle acque e strade 48. Uomo di scienza chiamato a prestare servizio nell’alta burocrazia statale, egli incarnava una figura sostanzialmente superata, i cui destini si erano strettamente legati al declinante modello granducale dello « Stato amministrativo-funzionariale ». Nella Toscana della seconda Restaura-zione la concentrazione di tutto il potere nelle mani del sovrano non conferiva più all’uomo di governo una dimensione politica autonoma rispetto alla semplice esecuzione della volontà del principe: i pubblici funzionari dovevano e potevano limitarsi alla mera attività amministrativa. Con l’avvento del Regno d’Italia la centralità degli strumenti di rappresentanza e più in generale della dimensione politica dell’attività pubblica obbligavano ad emanciparsi dal vincolo dinastico. La cessazione del regime dei Lorena aveva portato via con sé il mito del paternalismo leopoldino, fondamento della lealtà funzionariale, senza che questo fosse sostituito da un analogo « mito sabaudo », comunque troppo estraneo alla tradizione delle élites regionali.

In tale mutato scenario, ad imporsi fu un esponente della nuova genera-zione dei moderati, il figlio di Gaetano, Giovanbattista Giorgini, uomo di governo dai tratti diversi rispetto al padre e al nonno Niccolao, importante attore sulla scena politica e non esclusivamente competente funzionario al servizio dello Stato.

ALESSANDRO BRECCIA

Università degli studi di Pisa

47 Sulle trasformazioni subìte dall’Ateneo pisano dopo il 1849 si veda D. BARSANTI,

L’Università di Pisa… cit., pp. 232 e seguenti. 48 Una breve ricostruzione delle vicende relative a tali incarichi, si trova in D. BARSANTI,

Gaetano Giorgini… cit. Il più volte citato fondo Schiff-Giorgini ora depositato presso l’Archivio di Stato di Firenze contiene numerosi documenti e missive che ne riguardano il concreto svolgi-mento, fino ai contrasti che determinarono le dimissioni di Giorgini.

GIOVAN BATTISTA GIORGINI POLITICO DI PROFESSIONE Giovan Battista, per tutti Bista, è stato sempre considerato dai contempo-

ranei e dalla storiografia un personaggio centrale sia per la sua azione negli avvenimenti preunitari sia per il ruolo esercitato durante i primi anni dei governi della Destra. Oggetto di non sempre benevole osservazioni da parte di contemporanei, tuttavia nessuno poté negarne la « facilità di parola », anche se in genere se ne voleva ridurre la portata osservando che era pronto a fare bella mostra di queste sue capacità più che alla Camera ed in pubblico soprattutto nei salotti. Si trattava indubbiamente di un giudizio estremamente riduttivo rispetto al reale impiego delle proprie virtù oratorie esercitato in diversi difficili momenti della vita parlamentare da Giovan Battista Giorgini a soste-gno di disegni di legge e operazioni assai controverse, anche se è innegabile che altrettanto successo riscosse nei migliori salotti e presso le più diverse personalità. È noto come De Amicis abbia considerato Giorgini in diversi scritti, anche ad anni di distanza, « il principe della parola (…) idolo intellet-tuale delle signore » 1. Entrando nel salotto Peruzzi, di cui lo scrittore piemon-tese era stato assiduo frequentatore negli anni del suo soggiorno fiorentino, « noi dicevamo “C’è Giorgini”, come si dice sulla porta del teatro c’è Tama-gno » 2. La scrittrice francese Louise Colet passava dalla ammirazione del suo perfetto uso della lingua francese e dell’altrettanto perfetto accento parigino, già sottolineato da Ernest Renan, a più coinvolte notazioni personali su « sa physionomie vive et pensive où l’esprit et l’éloquence éclatent tour à tour (…). Il y a dans son oeil clair comme un attendrissement de tout ce qui est grand et beau » 3. Addirittura la salute instabile della romantica Louise riceve-va inattesi benefici da una visita di Giorgini « dont le vif esprit me rainime de nouveau » 4. Perfino Carlo Righetti, pur calcando la mano su alcuni atteggia-

1 E. DE AMICIS, Un salotto fiorentino del secolo scorso, Firenze, Barbera, 1902, pp. 39-46,

e ID., L’idioma gentile, Milano, Treves, 1934, cfr. capitolo Un parlatore ideale, pp. 345-349; quest’ultimo scritto è stato recentemente ristampato dagli Amici della Biblioteca di Montignoso (luglio 2002).

2 E. DE AMICIS, Un salotto fiorentino… cit. 3 L. COLET, L’Italie des italiens, Paris, E. Dentu, 1862, Première partie, p. 413. 4 Ibid., Seconde partie, p. 64.

Giovan Battista Giorgini politico di professione

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menti da esteta di Bista, non poteva negare che fosse una delle « celebrità più chiare della deputazione toscana » 5.

Altrettanto bene Giorgini esce dai ricordi di diaristi come Marco Tabarri-ni o Matilde Gioli Bartolommei, dai primi scritti di storici come Vittorio Cian, Alessandro D’Ancona, Ersilio Michel fino all’acuto lavoro biografico di Pietro Millefiorini, che tuttora rimane il lavoro più esauriente e profondo 6.

Colmate almeno in parte le lacune circa la conoscenza dei due Giorgini, nonno e padre di Giovan Battista 7, possiamo azzardare un primo bilancio sulle tre generazioni considerate per concludere che questi esponenti della famiglia hanno rivestito un peso determinante nella trasformazione interna al ceto dirigente locale lucchese e toscano, rappresentando un efficace esempio di adattamento al cambiamento di regime e di guida verso nuove posizioni per un intero gruppo sociale. Come il nonno e il padre avevano dato un indubbio contributo nel guidare l’inserimento del Ducato di Lucca nel Granducato di Toscana, Giovan Battista ricoprì un ruolo altrettanto centrale nei mutamenti intervenuti sullo scenario nazionale dal ’48 al compimento dell’Unità, assol-vendo la funzione dell’interlocutore privilegiato di tanti politici su alcune delle maggiori questioni che impegnarono i moderati toscani prima, e il ceto diri-gente italiano poi.

In questa sede è forse opportuno soffermare l’attenzione su alcuni mo-menti che, per quanto già studiati, possono ricevere nuova luce dai documenti recentemente acquisiti dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana, e

5 I 450, i deputati del presente e i deputati dell’avvenire per una società di egregi uomini politici, letterati e giornalisti diretto da Cletto Arrighi (pseud. di Carlo Righetti), Milano-Napoli, 1864-1865. Biografia n. 265.

6 Molte osservazioni sulla figura e azione politica di G. B. Giorgini si trovano in opere con-cernenti ricordi del periodo preunitario; si citano solo quelle più funzionali all’argomento qui esaminato: M. TABARRINI, Diario 1859-1860, a cura di S. PANELLA, con introduzione e nota di S. CAMERANI, Firenze, Le Monnier, 1959; M. GIOLI BARTOLOMMEI, Il rivolgimento toscano e l’azione popolare, 1847-1860. Dai ricordi familiari del marchese Ferdinando Bartolommei, Firenze, Barbera, 1905; V. CIAN, Giovanbattista Giorgini, in « Nuova Antologia », 1° luglio 1908, pp. 48-73. Alessandro D’Ancona su Giorgini pubblicò una rassegna bibliografica, in « Nuova Antologia » 1908 e alcune lettere (Otto lettere di G. B. Giorgini raccolte e annotate da Alessandro D’Ancona, Pisa, Nistri, 1913), stimolando inoltre la figlia Matilde Schiff Giorgini a rendere pubbliche le lettere (G. B. GIORGINI, XXVII lettere dal campo. Primavera del 1848, Pisa, Nistri, 1912) indirizzate alla madre Vittoria Manzoni, corrispondenza ripubblicata con altre missive di volontari del ’48, fra cui quelle del fratello di Giovan Battista, Carlo, in 1848. I volontari di Montignoso nella prima guerra d’indipendenza, Montignoso, Archeo Club d’Italia, 1999. Ricordano la figura di Giovan Battista come professore dell’Università di Pisa, come volontario e politico E. MICHEL, Maestri e scolari dell’Università di Pisa nel Risorgimento nazionale, 1815-1870, Firenze, Sansoni, 1940 e P. MILLEFIORINI, Due cattolici liberali negli anni dell’Unificazione: Leopoldo Galeotti e Giovanbattista Giorgini, in « Bollettino Storico Pisano », 1961, pp. 333-425. Su Giovan Battista non va dimenticata la scheda biografica curata da Fulvio Conti per il Dizionario biografico degli Italiani, vol. 55, Roma, Istituto Enciclopedia italiana, 2000, pp. 338-340.

7 Al riguardo cfr. l’articolo di A. Breccia.

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capaci di indirizzarci altresì verso una più precisa rilettura di talune fonti edite.

Gli anni intercorsi dal precoce inserimento di Giovan Battista nell’inse- gnamento universitario, in varie cattedre di discipline giuridiche prima a Siena e poi a Pisa, alla partecipazione agli avvenimenti del ’48, e alle loro ripercus-sioni, rappresentano indubbiamente il periodo della vera formazione dell’uomo politico, quale si sarebbe rivelato negli anni unitari 8. È proprio nel biennio riformatore che si focalizzeranno alcuni suoi interessi a contatto con l’am- biente neoguelfo pisano e che si porranno le basi di una vita familiare che avrà riflessi di grande rilievo non solo nell’ambito privato ma forse ancor più, od almeno altrettanto, nella sfera pubblica 9.

Se la famiglia Giorgini già si era imposta nell’ambiente politico e cultu- rale granducale, il matrimonio di Giovan Battista con la figlia di Alessandro Manzoni, Vittoria, avvenuto alla vigilia del biennio riformatore, le conferiva una dimensione nazionale, di incontestabile italianità, seppure ancora lontana dal punto di vista effettivamente unitario. Il matrimonio, avvenuto a Nervi, nella cappella di Villa Arconati il 27 settembre 1846, inseriva Giovan Battista nella cerchia dei circoli milanesi più sensibili alle nuove idee del cattolicesimo liberale, che avrebbero influenzato tanti suoi scritti, e nell’atmosfera di quel nascente patriottismo che lo avrebbe di lì a poco guidato nell’avventura del ’48 10.

Dopo la breve parentesi dell’insegnamento senese, Giovan Battista fu chiamato all’Università di Pisa da poco riformata dal padre Gaetano. Secondo il nuovo progetto, l’Università doveva essere indirizzata ad impartire una cultura « utile » e non meramente erudita; avrebbe dovuto diventare un luogo atto a fornire soluzioni concrete, efficaci e tali da incidere sulla società civile. Le aspettative suscitate dalla riforma si sarebbero rafforzate inserendosi su quel vasto clima culturale preparato nell’Ateneo pisano non dai soli e più noti Montanelli e Centofanti, ma anche da quei luminari chiamati all’Uni- versità di Pisa proprio grazie alla riforma di Gaetano Giorgini, come Mossotti,

8 Cfr. D. BARSANTI, L’Università di Pisa dal 1800 al 1860. Il quadro politico e istituziona-le, gli ordinamenti didattici, i rapporti con l’Ordine di Santo Stefano, Pisa, ETS, 1993, e R. P. COPPINI, Dall’amministrazione francese all’Unità (1808-1861), in Storia dell’Università di Pisa, II, 1737-1861, Pisa, PLUS, 2000, pp. 135-267.

9 Ovviamente furono intensi i rapporti con l’ambiente del moderatismo toscano come risul-ta dai carteggi scambiati con Giusti, Capponi, Lambruschini, Salvagnoli, Ricasoli ed altri, mentre lo stretto legame con A. Manzoni, di cui fu « il genero prediletto » lo aiutò a stringere rapporti con diversi uomini di cultura e politici, quali d’Azeglio, Minghetti, Balbo, Bonghi. Cfr. P. MILLEFIORINI, Due cattolici… cit., pp. 364-367. L’ambiente universitario pisano induceva ad un naturale contatto coi gruppi neoguelfi che facevano capo a Montanelli, Centofanti e a Giovanni Fabrizi.

10 È opportuno ricordare che testimoni per lo sposo furono l’altro genero di Manzoni, Mas-simo d’Azeglio e Giovanni Berchet, per la sposa il marchese Giuseppe Arconati e il conte Giacinto Provana di Collegno.

Giovan Battista Giorgini politico di professione

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Pilla, Piria, che avrebbero avuto una parte affatto secondaria negli eventi del ’48 11.

Dal 1847 Giovan Battista Giorgini, dopo la parentesi senese, tornò a rivi-vere nello stimolante ambiente pisano, in cui si era laureato nel 1838. Da questo momento prese l’avvio una più incisiva e pressoché ininterrotta parte-cipazione del giovane professore alla vita pubblica, che lo avrebbe inserito di lì a poco nella lotta politica, differenziando la sua attività rispetto alle carriere funzionariali solite nella famiglia. Questo percorso lo avrebbe ancor più avvicinato ai gruppi neoguelfi cittadini mentre un peso non secondario sarebbe stato esercitato dalla lettura di Gioberti; tuttavia assunsero progressivamente un ruolo decisivo la vicinanza e lo scambio di idee col suocero e col cognato d’Azeglio, che avrebbero contribuito a distanziarlo dalle posizioni neoguelfe e ad avvicinarlo all’ideale cattolico liberale, determinante per la sua visione circa il rapporto con la Chiesa al momento dell’Unità 12 e vero perno dei suoi scritti sull’argomento. Intanto il turbine di eventi succedutisi fra il ’47 e il ’49 avrebbe segnato gli ultimi anni della formazione di Giovan Battista indiriz-zandolo verso un percorso contemporaneamente intrapreso da tanti esponenti della futura compagine moderata: l’apertura liberale su talune questioni si accompagnava ad un, talora, cieco e acritico ossequio al potere costituito, dettato dal timore di sussulti popolari. Così, dal ’47 collaboratore de « L’Ita- lia » montanelliana, si cimentò soprattutto col tema tanto dibattuto della questione nazionale e delle libertà civili: in quest’ultimo campo si impose principalmente la sua difesa dell’uguaglianza dei diritti politici degli ebrei, che ebbe un’eco positiva anche nello Statuto toscano 13.

Per quanto fin dagli inizi del ’48 si fosse mostrato fautore di alcuni ormai indilazionabili mutamenti, riteneva tuttavia necessario che si attuassero nel rispetto delle istituzioni. Il plauso portato insieme a colleghi docenti e studenti alla Guardia civica livornese, che aveva sedato i tumulti popolari del gennaio ’48, aveva avuto questo significato: di fugare ogni timore di possibile attentato allo stato presente, all’ordine costituito 14.

Un momento di notevole lucidità e spregiudicatezza Giovan Battista lo aveva rivelato, scrivendo alla sua cara Vittorina dal campo dove stazionavano i volontari del battaglione dell’Università di Pisa ai primi di maggio del ’48,

11 Cfr. R. P. COPPINI, Dall’amministrazione francese… cit., pp. 228-240. 12 Cfr. Manzoni intimo, a cura di M. SCHERILLO, II. Un tesoro di lettere inedite dirette alle

figlie Vittoria e Matilde e al genero G. B. Giorgini, Milano, Hoepli, 1933. 13 Fra i contributi di G. B. Giorgini apparsi su « L’Italia » di G. Montanelli degni di nota

sono gli articoli sulla emancipazione degli ebrei: nel n. 5, 17 luglio 1847, La causa israelitica e nei nn. 6, 11 e 22 del 24 luglio, 21 agosto e 6 settembre 1847 tre articoli Sulla emancipazione degli ebrei. Su una trascrizione dell’articolo del 17 luglio fatta da Matilde Schiff Giorgini e conservata in ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE (d’ora in poi AS FI), Schiff Giorgini / Montignoso, 125, si legge « non mi sembra di papà ».

14 Cfr. Livorno, in « L’Italia »: n. 34, 11 gennaio 1848 e Indirizzo alla Guardia Civile li-vornese, ibid., n. 37, 18 gennaio 1848.

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allorché fu sfiorato dalla percezione che solo la scelta sabauda avrebbe potuto rappresentare la soluzione del mutamento dinastico nella continuità sociale: « Se Carlo Alberto vince in Lombardia, il partito repubblicano, per qualche anno almeno, non mi fa paura (…). La Sicilia senza principe: Napoli sconten-ta del suo: Pio IX che sarà quasi di certo l’ultimo re di Roma. Resta la Tosca-na. Mio Dio! Il principato è morto in Toscana, e dalla sola società toscana non credo possibile che risorga un governo qualunque, tanto tutte le popolarità sono logore, e screditate tutte le istituzioni che non siano né pretendano di essere altro che toscane. Questa fusione dell’Italia in un solo Stato potrebbe essere il modo di toglierla dall’anarchia, che ora la minaccia: e si potrà forse ricostruire un Governo forte sulle rovine di tanti poteri infranti. Certo il nome e la cosa darebbero ad un Regno d’Italia un’autorità morale, ed un prestigio al quale tutti i partiti volentieri farebbero sacrifici » 15.

Al momento della Restaurazione granducale del 1849, nell’ambiente mo-derato più vicino al Governo, Giovan Battista fu ritenuto una delle persone più adatte ad adoperarsi per evitare lo stanziamento delle truppe austriache in Toscana. Dopo l’esito negativo della missione e dopo la punitiva istituzione dell’Ateneo Etrusco voluto dal governo granducale contro la riottosa Universi-tà pisana 16, Giorgini si dedicò all’insegnamento e a « cultiver son jardin », al suo privato, e da buon proprietario fondiario ai suoi orti, poderi e attrezzi agrari.

Gli avvenimenti del ’59 lo riportarono alla realtà politica e lo videro im-pegnato, fino alla vigilia della partenza del Granduca, in un intenso lavoro nelle file del gruppo dei liberali più tiepidi e incerti con Ridolfi, Peruzzi e Digny; infatti il « Manifesto », la cui redazione gli era stata commissionata da questo Comitato, dopo la sfavorevole accoglienza ricevuta dal gruppo di Ricasoli e Bartolommei, diventati filounitari, per decisione dello stesso Comitato fu dato alle fiamme per quanto fosse stato stampato in migliaia di copie 17.

Giorgini sosteneva l’entrata in guerra degli Asburgo Lorena dalla parte delle truppe sarde, in maniera che la tanto benemerita e amata dinastia potesse conservare il trono e l’autonomia toscana a guerra finita. Gli eventi bellici avrebbero ben presto dato il colpo di grazia all’autonomismo di Giovan Battista e di molti altri che ben presto avrebbero militato nei ranghi della Destra moderata toscana, tanto da far risultare assai ingenui gli accenti di meraviglia di Marco Tabarrini per il fatto che addirittura lo stesso Giorgini avesse infine scritto il documento che chiedeva l’unione della Toscana al Regno di Sardegna: « il rapporto l’ha fatto Giorgini che era autonomista pochi

15 Lettera di G. B. Giorgini a Vittoria, Marcaria 7 maggio 1848, in 1848. I volontari di Montignoso… cit., pp. 51-54.

16 R. P. COPPINI, Dall’amministrazione francese… cit., capitolo 7: L’Ateneo Etrusco, pp. 241-256.

17 F. MARTINI, Confessioni e ricordi (Firenze granducale), Firenze, Bemporad, 1922, p. 244.

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giorni fà, e mi faceva muso perché non combattevo il Ricasoli col quale si era rotto per questo. Chi sapeva la cosa ci ha riso di molto. Il Ricasoli dopo l’adunanza ha baciato il Giorgini pubblicamente. Gran commedia. Una depu-tazione porterà il voto al Re e il Giorgini ne fa parte. Anche questa è amena. Il rapporto è molto retorico e non è piaciuto a tutti » 18. Anche Petruccelli della Gattina scriveva nel 1862 « autonomista prima, all’Assemblea toscana del 1859 credette all’Unità italiana, e vi crede ancora, ma bilanciando fra l’incentramento e le regioni del Minghetti, con ogni dovere sepolte » 19. Bonghi, invece, assegnava a Giorgini un ruolo di primo piano ed un contribu-to non indifferente nell’ambito parlamentare e nella discussione svoltasi nel paese a favore della svolta centralizzatrice ricasoliana 20. In realtà il consenso con Ricasoli, contro i progetti di decentramento e di regionalismo minghettia-no, fu indubitabile e si manifestò anche attraverso la stampa di due importanti opuscoli, nel 1861 21, contemporaneamente alla discussione di quella che sarebbe stata la legge del 9 ottobre sull’accentramento. La contraddizione, che è stata sottolineata dai primi commentatori e dagli storici più recenti, fra l’iniziale autonomismo di tanti toscani e la successiva svolta in senso centra-lizzatore è soltanto apparente, in quanto l’abbandono di ogni velleità di autonomia, la rinuncia ad ogni tipo di regionalismo fu la conditio sine qua non per l’unità, mentre, certamente agli occhi di tanta parte della Destra, l’accentramento rappresentò la condizione imprescindibile per non vedere questa stessa unità in pericolo 22.

18 M. TABARRINI, Diario 1859-1860… cit., p. 78. 19 F. PETRUCCELLI DELLA GATTINA, I moribondi di Palazzo Carignano, Milano, Perelli,

1862, p. 145. 20 R. BONGHI, I partiti politici nel parlamento italiano, Bologna, Forni, 1972, pp. 36-37,

scrive che i toscani sarebbero stati inclini « ad una costituzione amministrativa d’Italia piuttosto a regioni che a provincie », a questo disposti dalla loro cultura e dalle « abitudini » del loro stato. A favore del mutamento di opinione di larga parte della deputazione toscana un ruolo particolare avrebbe giocato G. B. Giorgini « ingegno sottilissimo, e contro cui penano a reggersi così i giudizii come i pregiudizii meglio stabiliti, o che più sente ripetere intorno a sé, perché son quelli che più lo stuzzicano ad esaminarli nelle lor ragioni presunte, che vuol dire a dissolverli e ad abbatterli, il Giorgini, appunto perché toscano, venne via via in un’opinione affatto diversa da quella della maggioranza della deputazione a cui apparteneva. E come non v’ha convinzione o tenacità la quale resista alla snellezza delle sue argomentazioni, alla sagacia dei suoi appunti, alla vaghezza e al garbo della sua conversazione, il Ricasoli si mutò di parere appena entrato al governo », p. 37. In effetti il ruolo assegnato da Bonghi a Giorgini quale trascinatore di Ricasoli risulta forse sopravalutato alla luce della storiografia sull’argomento, cfr. A. AQUARONE, Accen-tramento e prefetti nei primi anni dell’Unità, in Alla ricerca dell’Italia liberale, Napoli, Guida, 1972, pp. 157-192, ed E. RAGIONIERI, Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1967, pp. 71-129.

21 G. B. GIORGINI, Dell’Unità d’Italia in ordine al diritto e alla storia. Considerazioni di G. B. Giorgini, deputato di Siena, Milano, Redaelli, 1861 e La centralizzazione, i decreti d’ottobre e le leggi amministrative, studio di G. B. Giorgini, Firenze, Barbera, 1861.

22 In questo senso si muove il saggio di A. AQUARONE, Accentramento e prefetti… cit.

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Ancora più incisivo e raffinato appare il contributo di Giorgini rispetto alla elaborazione di una precisa e articolata visione circa la risoluzione del rapporto con la Chiesa, espresso non solo nei diversi contributi a stampa, ma soprattutto visibile nella fitta corrispondenza con Ricasoli, le cui iniziative e giudizi in materia furono sempre ampiamente discussi con l’amico Bista. Anche in tal senso è innegabile comunque l’influenza esercitata su Giorgini dall’ambiente che si muoveva intorno alla famiglia Manzoni. Dopo l’allocu- zione pontificia del 29 aprile ’48 il pensiero di Giorgini, e di altri toscani con lui, andò sempre più precisandosi in senso antitemporalista: la libertà e l’in- dipendenza della Chiesa e del Papa non necessitavano della tutela del potere temporale, ma potevano essere salvaguardate con altri mezzi. In questa dire-zione si muoveva il primo scritto di Giorgini sull’argomento, Del dominio temporale dei papi, apparso nel ’59, che, non ancora pubblicato, poté ricevere le postille di Manzoni, il quale non nascondeva tuttavia qualche perplessità circa le opinioni espresse dal genero.

Sottovalutando forse le enormi conseguenze del contrasto col papato, Giorgini si era detto favorevole alla dichiarazione di Roma « città libera » che, « governata dal suo municipio, sarebbe messa come fuori d’Italia » 23.

Gli effetti di una rottura con la Santa Sede a Giorgini non erano apparsi allora così catastrofici quali poi si sarebbero mostrati: « I cattolici si rassicuri-no, si avvezzino a considerare la crisi che si avvicina, come una delle tante trasformazioni per le quali il papato è passato nel corso dei secoli » 24. Questa posizione, che Giorgini avrebbe continuato a sostenere anche nei primi anni unitari 25, non incontrava il favore di altri esponenti del moderatismo a lui legati da salda amicizia, come d’Azeglio e Boncompagni, tuttavia a Ricasoli piaceva « assai assai » in quanto occorreva ribadire « quel principio (…) ormai fatale della Riforma » della Chiesa; ed esprimendo ancor più chiaramente il proprio pensiero il barone continuava « Questa riforma dee farsi da sé, cioè per via di libertà, lasciando che sorga spontanea dalla necessità stessa delle cose. Riforma non governativa, e alla quale il governo dee dare le opportunità pel farsi; ma non vincolarla né imporla » 26. Pur consentendo su tanti principi, tuttavia Giorgini si mostrava allarmato per le decisioni che in quello stesso periodo si stavano prendendo in materia ecclesiastica: « Ho ripensato ai

23 G. B. GIORGINI, Sul dominio temporale dei papi, Considerazioni, Firenze, Barbera, 1859, p. 30.

24 Ibid., p. 6. 25 Fin dal 1861 è fitto lo scambio di opinioni fra Giorgini e Ricasoli in merito alla questio-

ne romana e soprattutto alla « Riforma della Chiesa », sulla quale Giorgini scrive: « Io ti ho detto sulla voce, sostenendo che la riforma della Chiesa noi dobbiamo lasciarla fare alla Chiesa stessa », ammettendo che Ricasoli « non aveva tanto torto né io tanta ragione », Giorgini a Ricasoli, 20 luglio 1861, in Carteggi di Bettino Ricasoli, a cura di G. CAMERANI e C. ROTONDI, XVII, Roma, Istituto storico per l’età moderna e contemporanea, 1984, pp. 240-242.

26 Ibid., Ricasoli a Giorgini, 9 agosto 1861; la lettera autografa è in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/11.

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decreti e di nuovo ti prego di non risolvere un atto così grave senza la più seria riflessione. È una vera campagna che si apre contro il clero » 27.

Ovviamente le questioni riguardanti il problema della Chiesa continuaro-no ad avere un ruolo centrale nella corrispondenza fra i due in occasione della discussione apertasi fra il ’66 e il ’67 sulle leggi ecclesiastiche. Ormai assai più scettici entrambi circa una pacifica e ravvicinata conciliazione con la Chiesa, purtuttavia non si allontanavano molto dalle primitive posizioni. Riflettendo sull’ultimo scritto di Giorgini sull’argomento, apparso recentemen-te, nel marzo del 1866, sulla « Nuova Antologia » 28, Ricasoli approvava le idee di Giorgini « Il vero interesse dell’Italia politica, e dell’Italia religiosa, secondo me, chiede che lo Stato nulla chiegga e nulla offra al Papa: e di una cosa solo solo si occupi, di restituire cioè ai cittadini la loro libertà religiosa, cioè il diritto di amministrare il patrimonio temporale della Chiesa, come eglino amministrano ogni altro interesse locale e temporale dello Stato » 29.

Per quanto Giorgini non fosse stato rieletto nelle elezioni del ’65, che avevano avuto l’esito più disastroso per la Destra toscana, era rimasto un interlocutore privilegiato del barone, di cui continuava a ricevere le confidenze circa la « inquietezza » che gli dava « la Camera nuova » per « il rinnuova- mento molto sensibile » che vi si era verificato: « Cosa sarà tutta questa gente nuova? Con quali idee, con quali sentimenti viene? » 30. Pur non presente in Parlamento, Giorgini avrebbe fatto sentire il suo dissenso nel difficile momen-to della costituzione del secondo ministero Ricasoli, poiché pareva che il barone non avrebbe disdegnato un’apertura ad alcuni esponenti della Sinistra ora che la guerra contro l’Austria richiedeva un largo consenso delle forze politiche intorno ad un suo eventuale governo.

Conosciamo le ragioni e le spiegazioni del barone, riferite da Alberto Aquarone nel bel saggio sulla costituzione del secondo ministero Ricasoli di fronte alla ostilità « dei suoi principali amici toscani nel suo intento di imbar-care alcuni uomini di parte democratica in un eventuale ministero da lui presieduto » 31. In effetti si erano espressi in maniera negativa Galeotti, Peruz-zi, Giorgini, insieme a diversi organi di stampa di tendenze moderate, tuttavia Ricasoli rimaneva fermo nel suo intento di un’apertura ai democratici. Non

27 Carteggi di Bettino Ricasoli… cit., Giorgini a Ricasoli, 15 agosto 1861. 28 G. B. GIORGINI, La Chiesa e il partito liberale in Italia, in « Nuova Antologia », 31 mar-

zo 1866, pp. 503-528. 29 AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/21, Ricasoli a Giorgini, 6 dicembre 1866. Si

pubblica interamente la lettera, in quanto non compresa in Carteggi di Bettino Ricasoli, XXII, a cura di S. CAMERANI - G. ARFÈ, Roma, Istituto storico per l’età moderno e contemporanea, 1967, cfr. Appendice, documento 1.

30 AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/20, Ricasoli a Giorgini, 28 ottobre 1865, cfr. Appendice, documento 2.

31 A. AQUARONE, Dalle elezioni del 1865 alla costituzione del secondo ministero Ricasoli: incertezze e contrasti nella classe politica italiana, in Alla ricerca dell’Italia liberale… cit., p. 230.

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aveva mutato indirizzo a giudicare dalla risposta alle obiezioni mosse da Giorgini, inviatagli il 12 maggio, quando si avvicinava l’incarico per la formazione del ministero. A Giorgini aveva fatto rimarcare che non « si domanda a quale parte » appartenga il sangue che sta per scorrere per l’unità e l’indipendenza nazionale 32 e questo concetto lo animava ancora, il 14 giugno, a pochi giorni dall’incarico a formare il governo: « quanto all’indole del Ministero — scriveva nel suo “Diario” — io non avevo mutato parere. Sebbe-ne Crispi si fosse reso impossibile, mi sarei limitato al Mordini, perché nella Sinistra non scorgevo altri da surrogare a Crispi; che infine, se il Mordini avesse declinato perché Crispi non vi era (così il Re suppone che Mordini abbia detto) ciò non era un torto per me, e infine il sentimento di non riguar-dare a divisione di partiti era largamente dimostrato e non derivare da me se non restava attuato » 33.

Non conoscevamo le articolate osservazioni di Giovan Battista, ora con-servate fra le carte da poco depositate all’archivio di Stato fiorentino e stese forse anche in preparazione di un articolo. Concordava con Bettino sull’im- portanza degli eventi in cui era impegnato lo Stato italiano, ma proprio par-tendo dallo stesso presupposto articolava una serie di serrate riserve. Se era vero che in momenti così difficili era necessario un ministero di concordia nazionale, si doveva pur riconoscere, obbiettava Giorgini che « la guerra volta rende ogni opposizione impossibile » ora che « il paese sobbalza e si rimesco-la tutto; i volontari corrono ad arruolarsi ». Tuttavia di fronte all’annunzio di un ministero Ricasoli-Crispi, Giorgini sentiva l’urgenza di manifestare tutte le proprie perplessità, « quanto meno ci sentiremmo disposti a combatterlo, se questo ministero avviasse a costituirsi - nel qual caso il solo obbligo che ci rimanesse sarebbe quello di adeguarci con tutte le nostre forze a scongiurare i pericoli (…), perché riuscisse a buon fine, quello che a parer nostro si fosse incominciato con imprudenza ». Tali difficoltà sarebbero state accresciute dalla insicurezza di poter raggiungere comuni intese con coloro che hanno coltivato « interessi e fini partigiani dei quali non potrebbero in tutto francar-si » e continuava domandandosi quale concetto si sarebbe fatta l’opinione pubblica europea « vedendo entrare nei consigli della Corona uomini che giovani prendevano ancora le difese del Trabucco, assolvevano l’assassinio politico, convalidavano l’elezione del Mazzini? » 34.

Rientrato alla Camera dopo le elezioni del 26 marzo 1867, fallita l’esperienza Rattazzi, Giorgini si identificò nella politica dei tre ministeri

32 Cfr. lettera di B. Ricasoli a Giorgini, 12 maggio 1866, ibid., pp. 229-230. 33 Il « Diario » redatto in quei giorni da Ricasoli sulla formazione del Ministero è pubblica-

to in Carteggi di Bettino Ricasoli, XXII… cit., 14 giugno 1866, p. 9; segue alle pp. 12-13 il « Diario » del segretario Celestino Bianchi sulle stesse vicende.

34 AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 72: manoscritto di un articolo Giovan Battista Gior-gini sui rischi di un ministero Ricasoli-Crispi-Mordini [s.d., ma 1866], cfr. Appendice, documen-to 3.

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Menabrea, che avevano il loro perno nei piani di risanamento finanziario del bilancio patrocinati dal ministro delle finanze L.G. Cambray Digny 35. Come è noto i punti cruciali del progetto ministeriale vedevano da una parte un ulte-riore e più ampio inasprimento delle imposte indirette, dall’altra la prosecu-zione di quella politica dei prestiti che aveva il suo necessario corollario nella cessione a privati di aziende pubbliche, rendendo vieppiù saldo quel legame con grandi istituti bancari nazionali ed esteri che aveva giocato un ruolo determinante nell’azione politica della Destra toscana e che ancor più deter-minante sarebbe stato nel ’76 quando il distacco della consorteria toscana avrebbe portato alla caduta della Destra.

Giorgini avrebbe avuto una funzione di primo piano nel determinare la parte impositiva dei progetti venuti in discussione nel 1868, trattando della tassa sulle bevande, perché questa gravasse sul consumo e non sulla produzio-ne, ma soprattutto quale relatore della Commissione della Camera per la tassa sul macinato. Questa volta neppure le sue abili giravolte retoriche riuscirono a dare una parvenza di veridicità alla gracilità ed ipocrisia delle argomentazioni addotte: Egli sosteneva infatti che qualora fossero stati tassati i ricchi le conseguenze sarebbero ovviamente ricadute anche sui ceti meno abbienti: « Il povero è vero non vedrebbe allora la mano che lo colpisce: per quanto grandi fossero le sue sofferenze egli non accuserebbe noi; ma qui o signori, non si tratta di noi. Cerchiamo il bene, non i suffragi del povero (sic) amiamo questo popolo, salviamolo anche a suo dispetto » 36. Le risate a sinistra costituirono il minimo e fin troppo elegante commento di un parlamento costituito in ogni settore da esponenti dei ceti proprietari. Nella sua opera a favore dell’imposi- zione del macinato Bista giunse fino a spendere le sue competenze tecniche per la messa a punto del contatore meccanico che doveva misurare la quantità degli oggetti della molitura.

L’abbandono della cattedra, avvenuto nel ’66, aveva segnato un più deci-so inserimento nella vita politica attiva del Giorgini, ormai distaccato dal dibattito ideologico e culturale e sempre più calato nelle battaglie pratiche, e vicino al mondo dei grands affairs. Nel 1868 aveva completamente abbraccia-to la deriva affaristica comune a tanti esponenti della consorteria toscana. Nella Commissione della Camera che avrebbe dovuto giudicare della contro-versa questione circa la gestione della Regìa cointeressata dei tabacchi, Com-missione in cui sedeva un gruppo di fidati amici di Digny vicini al mondo della banca Fenzi (Briganti-Bellini, Peruzzi, D’Ancona). Giorgini sarebbe stato fra i più strenui sostenitori della cessione dell’Appalto dei tabacchi alla

35 R. P. COPPINI, L’opera politica di Luigi Guglielmo di Cambray Digny, sindaco di Firenze capitale e ministro delle finanze, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1975.

36 Per la relazione di G. B. Giorgini sulla tassa di macinazione dei cereali, vedi in Atti par-lamentari, Camera, Discussioni, tornata 30 marzo 1868, pp. 5326-5329. Cfr. anche R. P. COPPINI, L’opera politica… cit., pp. 281-282.

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Società che faceva capo a Balduino, Bastogi e Bombrini 37. Poco dopo avreb-be ricoperto la carica di amministratore delegato nella costituita Società per la regìa dei tabacchi 38, incarico che avrebbe mantenuto fino al 1876. Ormai senatore dal 1872, rallentò il suo impegno pubblico, seppur si ricorda il suo intervento nel 1880 nella discussione per la riforma della Pubblica istruzione; da allora indirizzò verso altri lidi, prevalentemente letterari, il suo tanto « ingegno » che, osservava Ruggero Bonghi, era « pari (soltanto) alla sua pigrizia: il che vuol dire ch’egli ebbe un ingegno infinito » 39.

ROMANO PAOLO COPPINI Università degli studi di Pisa

37 Le vicende della controversa operazione della concessione della Regìa dei Tabacchi ad

una società privata sono esaminate in R. P. COPPINI, L’opera politica… cit., cap. III Libero tabacco in libero stato, pp. 297-343.

38 AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/27, B. Ricasoli a G. B. Giorgini, Brolio 7 feb-braio 1872.

39 Cfr. M. PUCCIONI, Quattordici lettere di Vincenzo Salvagnoli a G. B. Giorgini, in « Mi-scellanea Storica della Valdelsa », 1934, p. 4.

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APPENDICE

1. LETTERA INEDITA E MUTILA DI B. RICASOLI A G. B. GIORGINI, FIRENZE 6 DICEMBRE 1866 (AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/21) Caro Bista

Due giorni discreti nel corso della malattia di mia figlia mi avevano condotto a sperar bene, e che domani o domani l’altro potessi partire per Torino; ma per ora ho dovuto frenare le mie speranze per tornare in una nuova sospensione d’animo, peggio-rata ancora da un caso nuovo di cui non si misura oggi la gravità. Mia figlia ha avuto stanotte una nuova esacerbazione, e mio genero è a letto da due giorni con febbre, di cui non si può ancora determinare il carattere. Come vedi io non posso pel momento neppure pensare a lasciare questo luogo e debbo restare fra questi due letti come anello di congiungimento! Ma non ti dirò quello che io mi sento dentro per tante qualità di affetti che queste circostanze mi suscitano dentro l’anima e non ultimo affetto è quello che si rivolge alle nostre condizioni politiche e alla necessità che tutti stiamo al nostro posto. Speriamo che io vi possa tornar presto.

Non ti so dire come mi rammarichi del non essere teco e con gli altri colleghi per discutere e concludere intorno la Legge per l’abolizione dei conventi e l’asse ecclesia-stico. Io avevo concepito una grande fiducia, che una vera Legge di avvenire fecondo sarebbe uscita dalla Commissione nostra, ed io tenevo di grande conforto aggiungere agli studj profondi dei colleghi miei anco il tributo di una lunga meditazione e dei vivi miei convincimenti. Ti chiedo, Amico mio, di non paventare e porre innanzi, e scrivere nella nuova legge i solenni e fecondi principj che debbono essere base e radice di una libertà vera nella Chiesa. Lo Stato non deve preoccuparsi di ciò che è predestinato rispetto alla istituzione papale, deve anzi preoccuparsi che per nessuno interesse politico attuale quella situazione sia influita, e in quelche i modi i suoi destini ulteriori modificati. Il vero interesse dell’Italia politica e dell’Italia religiosa, secondo me, chiegheno che lo Stato nulla chiegga e nulla offra al Papa e di una cosa sola solo si occupi; di restituire cioè ai cittadini le loro libertà religiose, cioè il diritto di ammini-strare il patrimonio temporale della Chiesa come eglino amministrano ogni altro interesse locale e nazionale secondo le leggi dello Stato. Per questa via lo Stato aprirà l’adito ad una stabile e feconda conciliazione tra i grandi aspetti di Religione e Libertà. Quel giorno che non sussisterà più né gli Economati né il Ministero dei Culti, la vera rigenerazione della Chiesa in Italia si farà. Ragioni – religiose e politiche e civili chieggono vivamente che lo Stato si metta per questa via. Lo Stato è oggi un’usurpa- tore (sic) di mala fede di questo Sacrosanto diritto, della libertà religiosa. Il Papato e l’Impero si accordano onde meglio conseguire il dispotico dominio sui popoli; l’uno incatenò le coscienze onde l’altro potesse meglio assoggettare il pensiero, e la vita dei Popoli; ma oggi che questi rivendicano le loro libertà civili e politiche, e lo Stato si regge a nome di queste è iniquo e stolto, che tenga ancora in mano la libertà della Chiesa, e specoli così sopra il tardo moto che si rivela intorno questo prezioso diritto ancora nello Spirito altronde sveglio e progressivo degli Italiani. Gli Italiani in fatto di sentimento religioso si dividono in due grandi schiere, gli scettici, o meglio gli indiffe-

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renti, e i creduli. Non è a dirsi di quanti grossi mali sieno cagione l’uno e l’altro difetto. La corruttela e la ignoranza del clero sono esse stesse la conseguenza di quei due Stati dello Spirito umano nei rispetti del sentimento religioso. Qual stimolo per il clero di avere dottrina e virtù se una parte degli Italiani, ed è la parte più intelligente quella degli indifferenti, non lo cura, e lo pregia; e l’altra non lo stima e rispetta veramente, ma lo subisce? È un vicolo vizioso questo in cui lo Stato si tiene rispetto alla Chiesa nostra. Se vuole tenere in mano con stolti pretesti, e vi s’infrena Lui pure con suo danno e decoro, e tiene vivo il pericolo che Roma lo chiami a qualche con-cordato, che sarebbe per la Chiesa e l’Italia una vera sventura. Lo Stato prenda i Beni Stabili del Clero regolare e secolare, permuti con tanta rendita sul Gran Libro del Debito pubblico, e prontamente la volga e l’inserisca a favore degli interessati. Una legge determini il cerchio nel quale le province e le comunità religiose eserciteranno le loro libertà in fatto di chiesa, come le leggi determinano il cerchio della libertà politica e civile. Quando si disse Chiesa libera non s’intese altro che libertà religiosa. Lo Stato che tutto ravvolge, e di tutti costituisce l’interesse nazionale (che altro non è se non l’interesse singolo in armonia e cospirante all’interesse di tutti) ha diritto e obbligo di porre in accordo con tutte le altre libertà quella pure della Chiesa, e così compire all’ufficio (…)

2. LETTERA DI B. RICASOLI A G.B. GIORGINI, BROLIO 28 OTTOBRE 1865 (AS.FI, Schiff Giorgini /Montignoso, 74/20)

Mio caro Bista

quello che mi dici sulla mia lettera mi fa desiderare di rivederla un momento, e poi te la rimando. Mandala sotto fascia a casa mia. Sono stato tartassato dalla febbre in questa settimana; ho voluto lottare stando a tavolino e facendo altri lavori, e talvolta mi è accaduto di dovere desistere per non sapere cosa io mi facessi. Sono curioso di vedere questa lettera per giudicare se sia una lettera interrotta o chiusa così macchi-nalmente o il caso che tu supponi, e che io non posso per ora escludere.

Le nuove elezioni mi cominciano a dare qualche inquietezza. V’è un rinnuova-mento molto sensibile nella Camera nuova, sopra la vecchia. Cosa sarà tutta questa gente nuova? con quali idee, con quali sentimenti viene?. M’interrogo e non so che rispondermi. Se debbo giudicare dallo spirito che ha presieduto nella più parte delle elezioni me ne sento angustiato. Dalle Province Piemontesi vengono i medesimi; e se vi sono mutazioni sono nel senso piemontese. Dalle altre Province cosa verrà? Paiono i clericali battuti su tutta la linea; i rossi non sembrano di essersi avvantaggiati di troppo. Che dunque sarà ciò che resta fra queste tre categorie? Io sono, ripeto, assai preoccupato del carattere che prenderà la nuova Camera; la vecchia si conosceva, la nuova è da conoscersi, e le incognite mi noiano finché non si sono fatte cognite. Tu sai come si è cercato di gridare la croce addosso agli uomini più in vista della vecchia Camera; poi le tasse, e le altre molte occasioni di scontento che non dependono dagl’individui, ma dalle circostanze in cui siamo, e poi giudichiamo cosa sarà per essere la nuova Camera. È meglio però di aspettare il fatto; ma intanto sono dolentis-simo di vederne mancare i miei più chiari e stimati amici. Noi siamo ancora ad invocare sopra l’Italia la Provvidenza!

Salutami tanto Vittoria e il babbo, e credimi di cuore sempre tuo amico affezio-natissimo Ricasoli.

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3. MANOSCRITTO DI ARTICOLO DI G.B. GIORGINI SUI RISCHI DI UN MINISTERO RICASOLI-CRISPI-MORDINI [s.d., MA 1866]. (AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 72)

Noi abbiamo avvertito i nostri lettori che la nota messa in giro in questi ultimi

giorni, d’un ministero che sarebbe già pronto, e nel quale insieme col barone Ricasoli entrerebbero gli onorevoli Crispi e Mordini, era del tutto apocrifa. Ma siccome queste voci persistono, non ci pare inutile di rinnuovare la stessa dichiarazione, esponendo meglio che non abbiamo anche fatto le ragioni per le quali non ci pare desiderabile che abbiano ad avverarsi.

Noi non escludiamo a priori i ministeri di coalizione. Le coalizioni sono qualche volta necessarie. Sono un mezzo a cui s’è forzati di ricorrere, quando non ce n’è un altro per avere una maggioranza. Questa era la situazione che parevano aver creata le elezioni dell’ottobre. All’aprirsi della passata sessione i partiti nella camera erano così equilibrati, che non pareva possibile costituire una maggioranza, se due almeno dei gruppi, nei quali s’era divisa la camera, non fossero riusciti ad intendersi. Allora un ministero di coalizione si offriva come il solo rimedio, e noi siamo stati i primi a farne la proposta. Se quella situazione fosse durata non avremmo ancora da proporre nulla di meglio. Solamente ci pareva allora e ci parrebbe ora più naturale, che primi a ravvici-narsi ed a fondersi fossero quei gruppi che avevano avuto meno ragione di esistere, che anzi non ne avevano mai avuta nessuna. Tuttavia intendiamo come a qualcheduno dei nostri amici potesse allora parere utile il concerto d’alcuni uomini della Sinistra (dato che potesse ottenersi) per far accettare dalla camera questa politica moderata e conservativa, che ci era imposta dalle circostanze. A ogni modo levare all’opposizione due o tre dei suoi principali campioni avrebbe servito ad indebolirla. Ora il caso è diverso. La guerra volta rende ogni opposizione impossibile. Il solo annunzio ha creato nella camera e nel paese una corrente così vigorosa, che ogni tentativo di turbare o incagliare l’azione del governo non troverebbe alcun seguito. Il paese sobbalza e si rimescola tutto; i volontari corrono ad arruolarsi da tutte le parti, e nessuno mette condizioni, nessuno domanda chi saranno i ministri, nessuno chiede garanzie, ad un governo che avrà per malleveria la guerra. Se c’è mai stato un momento in cui pos-siamo disprezzare davvero i meschini artifizi, sui quali sono talvolta costretti a reggersi i governi parlamentari è senza dubbio il presente.

La presenza di qualche membro della Sinistra nel gabinetto non sarebbe utile che nel caso (in cui forse sarebbe impossibile) d’una mutazione nello stato della politica generale, che ci obbligasse a tornare indietro, o perlomeno a moderare l’impeto bellicoso del paese. Finché questo momento duri essa non avrebbe che inconvenienti.

Un ministero di due, di tre pezzi, messi l’uno accanto all’altro, per sorvegliarsi a vicenda sarebbe impacciato in tutti i suoi moti, tormento ad ogni suo passo. Se tutto potesse camminare sur des roulettes, se l’Italia dovesse toccare l’apice d’ogni suo desiderio, passando di vittoria in vittoria, senza nessuna scossa, nessun turbamento all’interno, poco male farebbe l’ibrida costituzione del ministero. Ma in una guerra che sarà probabilmente lunga, e nella quale sarà raccolta tutta l’Europa, quante questioni verranno a galla, quanti incidenti potranno verificarsi! Su questo terreno così mobile della politica, sconvolto tutto dalla guerra, quante evoluzioni da seguire, quante risoluzioni da prendere lì su due piedi! Siamo noi certi che ci potremo sempre mettere d’accordo con quelli coi quali non ci siamo trovati d’accordo mai, che hanno un modo così diverso d’intendere il governo, la politica, altri precedenti, altri legami personali e interessi e fini partigiani dei quali non potrebbero in tutto francarsi? E se non ci

Romano Paolo Coppini

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potremo mettere d’accordo, a mezzo della guerra, nei momenti più difficili, nell’as- senza del parlamento, col paese commosso da capo a fondo, quale non sarebbe il pericolo d’una crisi? Come resterebbe allora il governo dimezzato, combattuto da quelli che ne sarebbero usciti, e che del tempo passato al potere avrebbero approfittato per accrescere la loro autorità, e quella dei loro aderenti preparando il terreno alla futura battaglia?

Gli inconvenienti sarebbero anche maggiori per le nostre relazioni all’estero. Fin-ché la pace si mantiene si può essere fino ad un certo punto indifferenti sul carattere di queste relazioni. Il più od il meno di cordialità o di franchezza non può avere effetti materiali e immediati. Ma quante sono in tempo di guerra le combinazioni, la riuscita delle quali dipende tutta dal credito di cui si gode, dalla fiducia che s’ispira?

È evidente per noi che un ministero di coalizione scasserebbe il credito e la fidu-cia. Si avrebbe un bel dire che lo abbiamo fatto per provare al mondo, che tutta l’Italia è unita per la guerra all’Austria, che davanti all’Austria non ci sono partiti. Questo l’Italia lo prova, e lo proverà, con argomenti migliori che non sia la distribuzione dei portafogli. Qualunque cosa si dicesse di noi il mondo vedrebbe in questo ministero la prova che il partito governativo in Italia non è abbastanza forte per reggere il paese, la prova di un fatto che dopo le ultime elezioni fu creduto generalmente che il partito radicale si sia avvantaggiato tanto, da non potersi ormai far senza di esso. Che dovreb-be pensare l’Europa vedendo entrare nei consigli della corona uomini che giovani prendevano ancora le difese del Trabucco, assolvevano l’assassinio politico, convalida-vano l’elezione del Mazzini? Qual’è la fiducia che un tal ministero potrebbe ispirare ai nostri alleati, e in special modo al più sicuro e al più potente dei nostri alleati, che questi uomini si sono sempre sforzati di dipingerci come il nostro peggiore nemico? Chi vorrebbe trattare con noi, prendere impegni, contare sulle promesse d’un ministero che avendo in se stesso così poca coesione, incapace di resistere al più piccolo urto, potrebbe da un giorno all’altro sparire dalla scena politica? Un ministero anche omogeneo è forza anch’essa soverchia per condurre la politica estera, che non s’è fatta mai bene se non quando s’è trovato un uomo di Stato, un ministro dirigente che ne abbia tenuto in mano e mosse da solo tutte le fila. Un ministro sorvegliato, guardato a vista, poco sicuro del partito che lo sostiene, e delle combinazioni sulle quali si appoggia, si troverà nella posizione più svantaggiosa per trattare con frutto gli affari del paese.

Questi dubbi che ci sono passati per la mente al primo annunzio di un ministero Ricasoli-Crispi, noi abbiamo creduto che fosse nostro dovere il manifestarli in tempo utile, dovere tanto più stretto, quanto meno ci sentiremmo disposti a combatterlo, se questo ministero arrivasse a costituirsi -nel qual caso il solo obbligo che ci rimanesse sarebbe quello di adeguarci con tutte le nostre forze a scongiurare i pericoli, che pure avevamo l’obbligo di denunziare, perché riuscisse a buon fine quello che a parer nostro si fosse incominciato con imprudenza.

LE LETTERE DAL FRONTE DI GIORGIO SCHIFF GIORGINI La testimonianza che si può ricavare dalle carte di Giorgio Schiff Giorgi-

ni, figlio secondogenito di Roberto Schiff e di Matilde Giorgini, è in generale estremamente interessante ed utile per comprendere un certo clima culturale ed esistenziale dei primi tre decenni del XX secolo; qui però illustrerò in particolare le lettere scritte nel periodo bellico (1915-18). Questa testimonian-za va al di là della valutazione di quella che è stata la dimensione umana ed intellettuale della persona che, pur nella forte caratterizzazione caratteriale e nella dimensione avventurosa dell’esistenza, è sostanzialmente un uomo come tanti del suo tempo. Si noti, anche per illustrare il carattere vitalistico del personaggio, che la sua presenza nell’archivio Giorgini è data prevalentemente dalle lettere inviate alla madre Matilde Schiff Giorgini e da lei conservate, mentre non si può veramente parlare di un vero e proprio archivio Giorgio Schiff Giorgini.

Nato nel 1895 da una famiglia che vantava tradizioni prestigiose, Giorgio Schiff Giorgini dimostrò fin dalla prima infanzia un temperamento ribelle e volitivo, che lo portò a scontrarsi con la severa impostazione morale (ma non moralistica) propria sia del ramo degli Schiff che di quello dei Giorgini. Ben presto le sue tendenze caratteriali preoccuparono i genitori che nel 1910 presero la decisione di fargli proseguire gli studi nel Collegio alla Querce di Firenze, noto allora per la rigida disciplina che vi regnava; dopo tre anni di studi, nel 1913 conseguì non senza fatica la licenza liceale, decidendo imme-diatamente di entrare all’Accademia militare di Modena. Al proposito tra le carte si trova un’affettuosa e preoccupata lettera a lui indirizzata da Donato Jaia, amico di famiglia e filosofo che fu maestro venerato da tanti idealisti, primo fra tutti Giovanni Gentile. In questa lettera Jaja, che evidentemente aveva speso qualche buona parola presso i professori di Giorgio, si compiace della scelta di entrare in Accademia (« il tuo posto è là, a Modena, con l’animo incline e fermo ad osservarne le leggi »), incitandolo a non arrendersi di fronte alle future difficoltà (« Leva il capo, non contro i tuoi genitori, che darebbero la vita per te, ma dentro e contro te stesso, per sommettere te a te, i tuoi imbelli voleri (disoccupazione, scialaquamenti, capricci, gioco!, ecc.) ai voleri degni di essere chiamati nobili umani voleri (…). È necessario, e nessuna occasione è più propizia di questa, che tu finisca di essere un fanciul-lo scapato, come sei apparso finora in società » 1.

1 D. Jaja a Giorgio Schiff Giorgini, Pisa, 25 ottobre 1913, in AS FI, Schiff Giorgini / Cec-chieri, 61/1. Le sottolineature sono nel testo.

Emilio Capannelli

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Dopo aver portato a compimento il corso all’Accademia militare, parteci-pò alla Grande Guerra segnalandosi per il proprio coraggio e restando ferito più volte, ottenendo tre medaglie d’argento. Nel dopoguerra lasciò la carriera militare tornando ad uno stile di vita ribelle. Oppositore del fascismo, anche per motivi politici dovette fuggire all’estero, trasferendosi a Parigi, dove si sposò con Delia Clauzel, esponente di una prestigiosa famiglia francese, da cui ebbe due figli. Il matrimonio però dopo alcuni anni fallì ed i due si separa-rono. Internato in un campo di concentramento per le sue origini ebraiche dal 1943 al 1945, tornò a vivere in Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Giorgio Schiff è morto nel 1965.

La partecipazione alla I Guerra Mondiale: la corrispondenza dal

fronte. — In archivio è conservato un ampio carteggio di Giorgio Schiff Giorgini con i familiari (soprattutto con la madre Matilde), all’interno del quale vi è un nutrito numero di lettere scritte dal fronte che costituisce un’in- teressante e del tutto sconosciuta testimonianza militare ed umana. Si noti che, pur non essendovi in tutta la corrispondenza traccia esplicita di suoi convin-cimenti interventisti, comunque non emerge mai un reale rifiuto della guerra: se mai compare un non sempre celato disprezzo per gli « imboscati » ed il rammarico per l’incomprensione da parte del paese dei sacrifici dei combat-tenti. Inoltre da tutto il carteggio di questi anni, anche da quello di carattere più personale, che in questo intervento non viene illustrato, risulta come egli sia sempre rimasto fedele a se stesso, sfuggendo a quell’annichilimento ed appiattimento della personalità che è invece fenomeno assai diffuso tra i combattenti, a fronte di una quotidianità sconvolgente nella sua tragicità.

Il 1915. — Uscito nell’aprile dall’Accademia militare di Modena col

grado di sottotenente di cavalleria, allo scoppio delle ostilità Giorgio Schiff Giorgini viene inviato immediatamente in zona di operazioni militari (31 maggio 1915). Le lettere dei primi giorni sono caratterizzate da una visione estremamente ottimistica sulla forza militare italiana e conseguentemente sulla sua capacità di porre vittoriosamente termine alla guerra in tempi brevi. Scrive il 12 giugno « il nostro esercito non è più quello strumento infido suscettibile di passeggero entusiasmo e di improvvisi scoramenti - esso è un colosso la cui forza disciplinata travolgerà ogni ostacolo » 2. Questo convincimento di una guerra rapida e vittoriosa era patrimonio comune nell’Italia dei giorni succes-sivi al « maggio radioso »: ad esempio un osservatore lucido e razionale come Francesco Saverio Nitti ha ricordato nelle sue memorie un casuale incontro serale con l’allora presidente del consiglio Antonio Salandra; questi dapprima lo accusò di essere eccessivamente pessimista per aver espresso il parere che la guerra non sarebbe stata breve, e quindi, a fronte della richiesta se erano

2 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 12 giugno 1915, in AS FI, Schiff Gior-gini / Montignoso, 146/59.

Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini

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stati preparati gli approvvigionamenti invernali per l’esercito, « si fermò di botto. Eravamo sotto un fanale. Ricordo ancora la sua impressione di sorpresa e la sua aria diffidente. Mi disse: - il tuo pessimismo è veramente inesauribile. Credi che la guerra possa durare oltre l’inverno? » 3. Le stesse truppe inviate al fronte, ignare della terribile forma che la guerra aveva da tempo assunto negli altri fronti europei, erano piene di entusiasmo bellicoso, convinte di trovarsi di fronte ad un’altra guerra di tipo risorgimentale (lo scrittore e poeta Giosuè Borsi, che cadrà sul Monte Cucco il 10 novembre 1915, nelle sue Lettere dal Fronte espresse la convinzione di andare a combattere « una guerra del Risorgimento, con lo stesso animo dei garibaldini, con le loro stesse canzoni, contro lo stesso nemico! » 4; fanti ed alpini affrontarono le prime battaglie con accompagnamento di bandiere e fanfare 5). Del resto in Francia le proposte, avanzate poco prima della guerra, di abbandonare le vistose divise dai pantaloni rossi per una più sobria e mimetica divisa grigio- azzurra o grigioverde erano state respinte tra furibonde proteste. Luigi Cador-na dal canto suo aveva fatto pubblicare un libretto rosso rimasto famoso nel quale era pubblicata una circolare intitolata « Attacco frontale ed ammaestra-mento tattico » che durante e dopo la guerra fu accusata di essere « la causa principale delle enormi perdite subite e degli scarsi risultati raggiunti » 6.

In pratica le cose si svolgevano solitamente nel modo seguente: l’artiglieria, in-sufficiente per numero di bocche da fuoco e dotata di scarse munizioni, iniziava un bombardamento sulle posizioni avversarie, che aveva il principale effetto di porre il nemico in stato di allarme. Quando era terminato il bombardamento dell’artiglieria, i fanti uscivano allo scoperto e trovavano i reticolati nemici intatti, e le mitragliatrici pronte a falciarli. Se poi il bombardamento aveva aperto un varco nei reticolati (e creato dunque un passaggio obbligato), il compito dei tiratori austriaci poteva perfino dirsi facilitato 7.

La successiva corrispondenza di Giorgio Schiff Giorgini arriva diretta-

mente dal fronte orientale, nella zona dell’Isonzo; dopo i primi entusiasmi (« chi sa che non si avveri il mio sogno di salutare fra i primi Trieste italia-na », scrive in una cartolina del 21 luglio 8), la partecipazione attiva alla seconda battaglia dell’Isonzo spegne le facili illusioni: « Infuria da molti

3 L’episodio, descritto in F. S. NITTI, Rivelazioni, Dramatis personae, Napoli 1948, pp. 387-388; è riportato in P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra 1915/1918, Bari, Laterza, 1972, p. 9.

4 Ibid., p. 12. 5 Ibidem. 6 Ibid., p. 35. 7 Ibidem. Sul pericolo mortale dei reticolati austriaci cfr. anche C. SALSA, Trincee, Milano,

Sonzogno, 1924, pp. 70-78. 8 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 21 luglio 1915 (cartolina postale), in

AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 157/32.

Emilio Capannelli

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giorni sul nostro fronte la più furibonda lotta. All’urto formidabile delle nostre armate hanno ceduto le linee austriache. Gran quantità di uomini e di armi sono cadute nelle nostre mani. Anche a noi, però è costata cara la vittoria » 9; in realtà questa battaglia, come tutte le undici battaglie dell’Isonzo, si conclu-se senza grandi risultati per nessuno dei due contendenti; unico obiettivo importante raggiunto in queste battaglie fu la conquista italiana di Gorizia, nel corso della sesta offensiva. I grandi progetti di Cadorna di un’ampia manovra di stile napoleonico con avanzata verso Lubiana per poi marciare su Vienna furono totalmente mancati dato che il fronte, prima del novembre 1918, riuscì al massimo a progredire di 25 km oltre le vecchie frontiere.

Sulla difficoltà della situazione è significativa una breve lettera di Gior-gio alla madre del 24 agosto: sulla missiva è incollata una piccola cartina del confine orientale, con alcune aggiunte a penna e dei brevi commenti: « 1° S. Michele - posizione importantissima costata diecine di migliaia di vite - ora sgombra sia da Italiani che da Austriaci perché battuta dalle artiglierie di entrambi / 2° Doberdò-. Centro dell’altipiano - fortemente difesa. Vi sono artiglierie pesanti che battono sino al di là dell’Isonzo / 3° Monte Sei Busi. Espugnato e rafforzato - ma a qual prezzo!… / 4° M. Cosich. Posizione terribile austriaca che batte tutto il litorale e la piana dell’Isonzo / 5° Duino. I 305 austriaci! / 6.7.8.9.10 Posizioni fortemente difese che battono la conca di Gorizia - a Aisovizza vi è il loro campo di aviazione »; angosciosa è la prose-cuzione della lettera: « Il terribile di queste posizioni austriache sta nel reci-proco appoggio che esse si danno - quando dopo titaniche lotte si riesce ad espugnare una posizione che si crede dominante ci si accorge purtroppo che essa è invece battuta dalle retrostanti - e così le trincee sembra si seguano di cento in cento all’infinito - e sono tutte in cemento armato con piccoli fori per sparare protetti da sportellini in acciaio. Pensa che da due mesi siamo a un km da Gorizia: finché però non sarà caduto M. Santo, M. Sabotino, Podgora nessuno potrà entrarci vivo. Che magnifica miniera di ferro sarà la piana dell’Isonzo! Attualmente mi trovo dove fu (…). Gradisca - ti scrivo al rombo di 700 cannoni. Par d’essere a Montignoso quando al sabato santo sparano i mortaretti! (…) forse c’è ancora più fracasso qua » 10. Dello stesso tenore una lettera non datata, ma probabilmente di questo periodo, ove ha lasciato, con una punta di compiaciuto cinismo, un’attenta descrizione della quotidianità della trincea: « Voi non potete avere neanche una pallida idea di ciò che sia la guerra - fumo, luce e fracasso di invisibili demoni nascosti sotto terra - nulla appare alla vista eccetto le lotte aeree che avvengono ogni giorno. Gli austria-ci coperti dalle loro formidabili opere si guardano bene dal mettersi in mostra, solo i loro infiniti cannoni vomitano incessantemente proiettili. La nostra

9 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 26 luglio 1915, in AS FI, Schiff Gior-gini / Montignoso, 146/60.

10 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 24 agosto 1915, in AS FI, Schiff Gior-gini / Montignoso, 146/61.

Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini

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ottima artiglieria ne fa però tacere ogni notte qualcuno (dico notte perché di giorno l’artiglieria riposa). Le trincee nemiche sotto Gorizia sono del tutto blindate e hanno davanti un nastro di 50 metri di fili di ferro, terreni minati, bocche di fuoco, getti di gas. I nostri sono a meno di 100 metri da esse. I soldati s’insultano e si scherniscono continuamente a vicenda, ma non appena la punta di un berretto si sporge dal riparo, subito grandinano centinaia di proiettili. Il valore delle nostre fanterie è grande - gli alpini sono eroi. Ieri sera svolazzavano su di noi 18 aereoplani (sic) e con frecce, bombe e mitragliatrici cercavano di colpirsi l’un l’altro, mentre da terra gli austriaci inviavano bombe. Ti assicuro che mi sono divertito un mondo. Questa notte lo spettaco-lo è stato ancora più bello - 500 cannoni vomitavano contemporaneamente fuoco su Gorizia; nella oscurità dell’aria, luminose scie producevano miagolii e sibili strani. Ho dormito due notti nel castello abbandonato e ormai (…) vuoto di una austriaca contessa Latour, avevo in camera mia la fotoincisione di Franz Joseph (…) Qua non esistono più gli uomini; tutti i maschi dai 16 ai 52 sono in Galizia… e i galiziani ci stanno di fronte » 11. E un’angoscia ancora maggiore segna le successive lettere: il 7 settembre scrisse alla madre una lunga lettera dalle retrovie - a momenti un po’ retorica - che vale la pena riportare per ampi tratti, anche perché contiene tutto il disorientamento di chi, ufficiale di carriera nella cavalleria, si vede calato in una realtà tanto nuova quanto lontana da tutti i canoni della guerra convenzionale quale fino ad allora era stata teorizzata e combattuta: « battaglioni che pochi giorni fa passarono esuberanti di entusiasmo e di forza, laceri e decimati fanno la via del ritorno. Che guerra mamma! Guerra plebea, monotona e triste che annienta con lenta consunzione gli eserciti. L’individuo, atomo microscopico di colossale organi-smo, scompare - l’uomo verme del color della terra, strisciante di trincea in trincea, più non può, alta la fronte, mostrare il petto al nemico. Felice chi combatté le antiche guerre - felice chi, nel furor della carica, udì nitrire al vento le rosse froge dei cavalli! Ora le lance nostre e le sciabole arrugginisco-no nei foderi. Quando tuona il cannone, quando infuria la mitraglia, quando tutto intorno è cupidigia di morte, anche il più forte, anche l’eroe deve, da vile, nascondersi dietro il riparo della trincea. Oggi è passato Joffre con Cadorna. Che fa la Francia - lascia il peso della lotta sulla Russia e su noi? I prussiani marciano su Pietroburgo, gli Austriaci su Mosca - che cosa aspetta dunque? Che la Russia fiaccata chieda pace? Guai se ciò avvenisse! Si parla di mandare la cavalleria in Fiandra o in Asia Minore. Ma ci mandino a Trieste che noi ci sentiamo la forza di spezzare la cerchia d’acciaio che infrange gli attacchi delle nostre fanterie. Ma intanto l’inverno si avvicina e già i primi freddi si son fatti sentire. Chi sa che il prossimo non ci trovi in trincea ancora! Che succede in Italia? La nazione pare assai forte - forse non sa che cosa sia

11 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, s.d. (« 9 Udine »), in AS FI, Schiff

Giorgini / Montignoso, 146/80.

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la guerra (…) » 12. Questa visione delle cose è in realtà rivelatrice di una generale impreparazione: cinquant’anni di pace europea si erano accompagnati ad uno sviluppo tecnologico senza precedenti che aveva avuto grandi implica-zioni anche nel settore degli armamenti. Già la guerra franco prussiana del 1870 e la guerra civile nordamericana, avevano prospettato un enorme aumen-to del volume di fuoco che la fanteria era in grado di sviluppare, con danni micidiali per le truppe d’attacco.

Poi il progresso tecnologico conobbe un’accelerazione crescente. Ci limitiamo a

sintetizzarne gli esiti al momento dello scoppio della guerra mondiale, con una preci-sazione importante: nel 1914 tutti gli eserciti delle potenze europee erano allo stesso livello tecnologico, ossia i loro fucili e cannoni avevano le stesse caratteristiche e prestazioni, con differenze minime. (…) C’erano naturalmente differenze a livello quantitativo o scelte di priorità (…) Nel 1939 gli eserciti saranno diversi per organiz-zazione e armamenti, ma nel 1914 si affrontavano senza sorprese né grosse differenze. (…) Lo sviluppo dell’artiglieria nella seconda metà dell’Ottocento fu travolgente. I cannoni divennero a retrocarica, in acciaio, con canna rigata (la rotazione del proietto migliorava gittata e precisione) e polveri senza fumo e assai più efficaci per il lancio. (…) Al di là dei dettagli tecnici, il fuoco dell’artiglieria era migliorato in precisione ritmo gittata (circa 7 chilometri per i cannoni leggeri, fino a 20-30 chilometri per quelli pesanti) ed effetti distruttivi, senza perdere in mobilità. (…) secondo la dottrina militare del tempo, ciò avrebbe consentito una guerra di movimento come ai tempi napoleonici (…). Alla luce delle esperienze della prima guerra mondiale possiamo dire che questa dottrina militare si basava su una sorta di autoinganno, perché sottovalutava le conseguenze dello sviluppo tecnologico per non dover rinunciare alla prospettiva di una guerra di movimento. La nuova efficacia del fuoco d’artiglieria era infatti vista soltanto come sostegno agli attacchi della fanteria, senza pensare che avrebbe avuto un effetto ancor maggiore in appoggio alla difesa, opponendo un muro invalicabile alla fanteria avanzante allo scoperto. È poi significativa la generale sottovalutazione della mitragliatrice, un’arma nota da decenni e perfezionata nei primi anni del secolo, capace di sparare centinaia di colpi al minuto con grande precisione. (…) La fiducia nell’offensiva ad oltranza, in campo sia tattico sia strategico, costituiva la base della dottrina prebellica di tutti gli eserciti, anche contro l’evidenza del rafforzamento che la difensiva traeva dall’aumento della potenza di fuoco 13.

Sull’entità della strage in atto è illuminante una considerazione scritta da

Giorgio Schiff lontano dal fronte, il 7 dicembre 1915, quando da circa un mese è a Pinerolo per un corso di allievi ufficiali alla scuola d’applicazione di cavalleria: « dei miei 370 compagni di Modena 200 sono morti » 14.

12 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 7 settembre 1915, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/2.

13 M. ISNENGHI - G. ROCHAT, La grande Guerra 1914-1918, Milano-Firenze, La Nuova Ita-lia, 2000, pp. 50-53.

14 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 7 dicembre 1915, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/63.

Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini

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Come è noto, la categoria degli ufficiali è stata quella che ha dovuto sop-portare le perdite percentuali più elevate, pur in un quadro generale di perdite umane già altissimo. Occorre dire che furono ben presto gli ufficiali di com-plemento a sopportare il peso maggiore della guerra, in quanto gli ufficiali di carriera arrivarono, tramite promozioni ed avanzamenti, a posizioni che li tenevano lontani dai combattimenti più violenti. Notava ad esempio nel suo diario Ferdinando Martini che « gli ufficiali effettivi si imboscano negli uffici; chi avanza, combatte e (…) muore sono gli ufficiali di complemento » 15. Questa considerazione evidentemente non è valida per i giovani ufficiali appena usciti dalle accademie, che non fecero in tempo a conseguire gradi più elevati di quelli (aspirante, sottotenente, tenente, capitano…) che erano appan-naggio di chi doveva materialmente condurre gli assalti dando l’esempio ai sottoposti. Nel caso particolare occorre poi aggiungere che Giorgini per tutto il corso della guerra, forse per le proprie peculiarità di carattere, antitetiche a quelle necessarie ad avanzare nella carriera militare (tanto che a fine guerra lascerà l’esercito), pur avendo ripetutamente dimostrato il proprio coraggio e le proprie capacità di combattente, rimase sempre legato ad incarichi che lo portavano alla partecipazione attiva ai combattimenti.

Il 1916: tenente del 28 Cavalleggeri di Treviso - IV divisione Cavalleria

appiedata. — Nella prima parte del 1916 l’esercito tedesco, per volontà del capo di stato maggiore, il generale Erich von Falkenhayn, scatenò un’offen- siva che dette luogo al grande scontro di Verdun (febbraio-giugno 1916, la battaglia più sanguinosa della guerra, con oltre mezzo milione di morti), contro i francesi. Successivamente gli inglesi (dal luglio al settembre 1916) attaccarono lungo la Somme l’esercito tedesco. Ormai la tattica tedesca non mirava più ad uno sfondamento, ma ad un progressivo logoramento delle forze anglofrancesi, avendo gli Stati maggiori germanici maturato la convin-zione che la fine della guerra non fosse prossima. Gli austriaci a loro volta lanciarono contro l’Italia, nel fronte del Trentino, una controffensiva definita Strafexpedition (spedizione punitiva), scattata il 15 maggio; l’offensiva, comandata dal generale Conrad, che utilizzò anche truppe prelevate dal fronte dell’Isonzo e dal lontano fronte russo, fu inizialmente coronata da un notevole successo, con un avanzamento delle truppe austroungariche in Valsugana, sull’altopiano di Asiago, in Val d’Astico, Vallarsa e val Lagarina; l’offensiva fu però arrestata dopo un mese, il 16 giugno, e ne seguì un parziale ripiega-mento austriaco, anche perché il 4 giugno sul fronte russo il generale Brusilov iniziò un’offensiva che ottenne notevoli successi (come appena detto, l’eser- cito austriaco su questo Fronte era stato parzialmente sguarnito per sostenere la Strafexpedition) tanto che Conrad dovette nuovamente trasferire qui truppe dal fronte italiano. Tutte queste spedizioni fallirono perché, come è stato

15 F. MARTINI, Diario 1914-1918, a cura di G. DE ROSA, Milano, Mondadori, 1966, p. 778.

Emilio Capannelli

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notato per la Strafexpedition (ma l’osservazione è valida anche per le altre offensive qui citate) « Come sempre nella guerra di posizione, il grosso successo iniziale di un’offensiva ben preparata si esauriva rapidamente per il logoramento delle fanterie attaccanti e per l’impossibilità di spostare in avanti le artiglierie medie e pesanti, mentre la difesa avversaria si rafforzava con l’afflusso delle riserve ».

Un importante successo fu però ottenuto dalle truppe italiane con la sesta battaglia dell’Isonzo, con la conquista di Gorizia ed il ripiegamento del fronte austriaco su linee più arretrate. Nell’autunno il Generale Luigi Cadorna, comandante generale dell’esercito italiano, cercò di portare ulteriormente avanti il fronte con le cosiddette « spallate » sul Carso (settima, ottava e nona battaglia dell’Isonzo, 14-17 settembre, 10-13 ottobre e 1-4 novembre) con successi però limitati e considerevoli perdite umane da ambo le parti.

Giorgio Schiff Giorgini aveva subito nel mese di gennaio un serio infor-tunio a Pinerolo: « Ieri mattina montando un poledro della scuola feci comple-ta panache su di una staccionata ed il cavallo ricadendo mi schiacciò sotto di sé (…) ho fratturato la clavicola e un po’ contuso lo sterno » 16. Per alcuni mesi resta lontano dalla prima linea, ma alla fine di maggio riparte per la seconda volta per il Fronte.

In una lettera al padre dell’11 giugno 1916, scritta dal Basso Isonzo, nel ricordare le dure battaglie del maggio (che, come detto, si svolsero principal-mente nel Trentino, ove si sviluppò la Strafexpedition, anche se sull’Isonzo gli austriaci lanciarono una serie di attacchi locali che costarono agli italiani perdite per 13.000 uomini, considerate « normali » in una guerra di logora- mento 17) esprime la certezza di un’imminente fine della guerra. « I Russi sfondano e avanzano. Qua tutti si attende ansiosi la parola che ci permetta di slanciarsi in avanti. Come belve ferite Austria e Germania hanno tentato sforzi supremi. A Verdun, nel Trentino, nel Mar del Nord, ovunque i loro conati sono stati infranti. L’ultima ora sta per suonare per gli Imperi centrali » 18.

Anche qui Giorgini esprimeva un’illusione collettiva dura a morire: l’illu- sione che la guerra sarebbe stata breve e che la fine della guerra fosse vicina, illusione attribuibile probabilmente alla ancora non sufficiente comprensione delle caratteristiche del conflitto in corso ed alla necessità di avere qualche certezza che aiutasse i soldati ad affrontare gli inenarrabili sacrifici quotidiani.

Ma pochi giorni dopo, il 27 giugno, in una lettera al fratello Ruggero se-gue una descrizione della vita al fronte che, pur con una punta di compiaciuto cinismo, appare assai meno trionfale (nonostante altri riferimenti alle « vittorie russe »): « Sono da 15 giorni in trincea di prima linea. In alcuni punti il

16 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 13 gennaio 1916, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/65.

17 Cfr. M. ISNENGHI - G. ROCHAT, La grande Guerra… cit., p. 179. 18 Giorgio Schiff Giorgini a Roberto Schiff Giorgini, s.l., 11 giugno 1916, in AS FI, Schiff

Giorgini / Cecchieri, 66/1.

Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini

371

nemico è a 10 metri da noi. La lotta è continua - Bombe a mano, bombarde, mine, fucileria, lanciafiamme, shrapnels, granate. Da principio la musica diverte, ma alla lunga viene a noia. Quello che soprattutto spossa è il non poter dormire. Stanotte, una enorme bombarda è caduta all’improvviso nel ricovero dove mi trovavo con un mio ufficiale. Vedevamo nell’oscurità ardere la miccia - ancora pochi istanti saremmo stati polverizzati - Non si sa come la miccia si è spenta - l’infernale ordigno non è esploso. (…) Stasera c’è ballo. Si darà l’assalto alla trincea che ci è vis a vis. È un osso duro. Dio ce la mandi buona ». Non si trattava però di un’esagerazione: il 29 giugno Giorgio venne ferito a Selz, nel corso dell’improvvisa offensiva nemica che precedette di poco la sesta battaglia dell’Isonzo e che vide l’uso, per la prima volta, dei gas asfissianti da parte austriaca, sul San Michele e sul San Martino. Pochi giorni dopo, il 2 luglio, riuscì ad inviare un drammatico telegramma al fratel-lo: « Sono ferito pallottola proiettile fucile traversa braccio sinistro penetr[a] clavicola sinistra passa sotto sterno esce sopra mammella destra miracolosa-mente nessun organo importante leso sono proposto medaglia argento sarò presto con voi » 19. Presso i genitori minimizzò la ferita, fino al momento della certezza di essere fuori pericolo; sembra che, come la madre scrisse il 7 luglio, l’incidente di Pinerolo (in cui Giorgio si era rotto una spalla) fosse stato salutare: « Pare che l’irregolarità di saldatura della tua clavicola abbia potuto deviare il corso della pallottola in modo da farla passare sotto o sopra lo sterno, lasciandola uscire dal tuo torace senza lasciare dei danni gravi che, quasi sicuramente, sarebbero stati funesti! » 20. Anche in occasione dello scontro in cui rimase ferito comunque Giorgio dimostrò il proprio coraggio (tanto che ottenne una medaglia d’argento): in merito ai riconoscimenti che vennero al plotone da lui comandato gli scrisse un suo soldato: « Più che a noi, ciò è dovuto al di lei coraggio e sangue freddo con cui ci portò all’im- presa » 21.

Il 1917. — Il 1917 fu un anno critico per tutte le nazioni in guerra; in

campo nemico l’esercito austro-ungarico conobbe ad esempio significative e massicce forme di diserzione che, se adeguatamente sfruttate da parte italiana, avrebbero potuto segnare una svolta nelle operazioni belliche; in Germania aumentarono considerevolmente le spontanee proteste popolari contro la guerra. In Italia, a livello di vertici militari e politici, poco ci si preoccupava di conoscere il livello del morale delle truppe e tanto meno di svolgere opera di propaganda tra i soldati. Comunque, da un punto di vista militare, non si

19 Giorgio Schiff Giorgini a Ruggero Schiff Giorgini, 2 luglio 1916, in AS FI, Schiff Gior-gini / Cecchieri, 66/4.

20 Cfr. Matilde Schiff Giorgini a Giorgio Schiff Giorgini, 8 luglio 1916, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 66/7.

21 Alighiero Gini a Giorgio Schiff Giorgini, 17 luglio 1916, in AS FI, Schiff Giorgini / Cec-chieri, 66/9.

Emilio Capannelli

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ebbero operazioni di rilievo per oltre un semestre, dalla fine della nona batta-glia dell’Isonzo (4 novembre 1916) all’inizio della decima battaglia (12 maggio - 7 giugno 1917), con una conseguente relativa tregua che sembrò rafforzare lo spirito dei combattenti 22. Se mai fu proprio l’altissimo costo di questa battaglia (36.000 morti e 96.000 feriti) e gli scarsi risultati ottenuti a provocare una grave crisi, rafforzata dall’infelice esito, nel fronte settentriona-le, della battaglia dell’Ortigara (10-25 giugno 1917); alla fine di giugno il morale delle truppe cominciò a preoccupare seriamente gli alti vertici politici e militari 23. Ciò nondimeno lo spirito collettivo sembrava essersi ristabilito su buoni livelli all’inizio dell’undicesima battaglia (17 agosto - 15 settembre), detta anche battaglia della Bainsizza, accuratamente preparata e che, per una serie di circostanze, si credeva diffusamente sarebbe stata la decisiva. I mode-sti risultati territoriali dell’offensiva e le gravi perdite che ancora una volta si ebbero determinarono un nuovo crollo nel morale delle truppe italiane: « La Bainsizza, infatti, aveva offerto la più chiara dimostrazione del fatto che la guerra “di logoramento”, per ingenti che potessero essere i mezzi impiegati in battaglia, estenuava tutte e due le parti contendenti, consentiva al massimo dei risultati locali, ma non conduceva a quella soluzione finale che da due anni ormai era attesa invano » 24.

Il 15 gennaio 1917 Giorgio Schiff Giorgini era passato dal suo vecchio reggimento « Treviso » al « Cavalleggeri Roma », col quale rimase a Castel-franco Veneto fino al 26 aprile, poi a Vighizzolo di Montichiari (Brescia), poi a Morsano al Tagliamento, da dove il 15 agosto ripartì per il fronte, ferman-dosi a Moraro sull’Isonzo; dal 1° ottobre il suo reggimento si allontanò dal fronte, andando a Corbolone di Livenza. Scrive alla madre il 28 luglio: « sia-mo fermi in un paesello del vecchio confine. Si attende che cominci la festa per essere slanciati avanti - si dice - lungo il mare. Questa volta, almeno, a cavallo » 25. E pochi giorni dopo, il 3 agosto: « si sta ora preparando il massi-mo sforzo e fra pochi giorni avrà inizio l’offensiva più grande che ancora si abbia avuto. La piana dell’Isonzo è un vivaio d’uomini e di artiglierie. Noi siamo concentrati su Latisana ma è imminente uno sbalzo in avanti - certo in settimana. Il comando ha deciso l’impiego a cavallo - ci porteranno dietro le prime linee e appena le fanterie avranno sfondato le trincee nemiche noi saremo scagliati alla cieca nei varchi. (…) Quando finirà questa storia - è tre anni che si combatte - tre anni che mi tramuto da fienili in trincee che non mangio che non dormo. L’ambiente in cui vivo è un semenzaio d’idioti. Mentre vicino a noi si ode tuonare il cannone i reggimenti della I Divisione di cavalleria fanno manovre con cartucce a salve e sfilano in parata come al

22 Cfr. ad esempio P. MELOGRANI, Storia politica… cit., pp. 284-286. 23 Ibid., pp. 288-289. 24 Ibid., pp. 290-292; per la citazione p. 292. 25 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 28 luglio 1917, in AS FI, Schiff Gior-

gini / Montignoso, 146/69.

Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini

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tempo del grande Federico. E noi che per il paese soffriamo - chi siamo? - I fessi, i fessi che lavorano, che fanno la guerra, che si fanno ammazzare e tutto questo per 180 franchi al mese. Gli esonerati, gli imboscati invece ingrassano, si divertono fanno i milioni e son fatti cavalieri. Ecco l’umana giustizia ». Quella che fu l’undicesima battaglia dell’Isonzo, iniziata il 17 agosto, mirava a consolidare le conquiste italiane sulla riva sinistra dell’Isonzo, rese incerte dal permanere in mano austriaca della testa di ponte di Tolmino, nel nord dell’Isonzo, anche dopo la decima battaglia. L’undicesima battaglia investì tutto il fronte orientale, anche se il concentramento degli sforzi avvenne nel nord, ove operava la 2ª armata, che doveva assumere il controllo dell’alto- piano della Bainsizza, a nord est di Gorizia. Giorgio Schiff Giorgini si trovava nella parte più meridionale, con la 3a armata, il cui obiettivo era raggiungere Comen, località situata una ventina di chilometri a nord di Trieste (ma essen-zialmente la volontà era di tenere impegnate le truppe austriache, impedendo-ne lo spostamento verso nord). Della battaglia abbiamo una testimonianza preziosa in una lettera scritta da « al di là dell’Isonzo » alla madre: « lasciam-mo il Tagliamento la notte sul 15. Oltrepassato l’Isonzo dopo 16 ore di marcia siamo in posizione di attesa in prossimità di dove fui ferito l’anno scorso. Intorno a noi infuria la battaglia - la più colossale la più tremenda che mai si sia combattuta. Lascio ai Barzini 26 il compito della descrizione; pensa solo che per quanto queste possano essere iperboliche non saranno mai che un pallido ritratto della realtà. Si ha l’impressione che l’Austria sia alle estreme risorse - i prigionieri sono in pietosissimo stato - con gli abiti a brandelli, denutriti, terrificati - vecchi cadenti combattono a fianco di giovani imberbi. Ho parlato stamani con un vecchio Bosniaco prigioniero. Sono quattro anni, mi ha detto - che lotto - dalla Serbia ai Carpazi, dalla Galizia all’Isonzo non ne potevo più. Ha quasi pianto di gioia rivedendo il pane. In Austria non ne esiste più - chiamano pane un’amalgama pietrosa di ceci e frumentone. Sul Carso la resistenza è tenace ma non così più a nord - presto sentirete grandi cose. Squadroni di cavalleria sull’altopiano di Bainsizza - è buon segno » 27. Matilde, non a torto vista l’imminenza della rotta di Caporetto, commenta, con un appunto sulla lettera: « vane speranze ». In realtà la battaglia, che fu effet-tivamente la più imponente delle battaglie dell’Isonzo, e costò agli italiani 40.000 morti, 108.000 feriti e 18.000 prigionieri (ancora maggiori le perdite austriache) non portò al raggiungimento di alcuno dei risultati voluti, e quanto faticosamente conquistato sarebbe stato di li a breve rapidamente perduto con la sconfitta di Caporetto. Ancora una volta però possiamo riscontrare come le parole di Giorgio fossero espressione di un comune sentire, riflesso del resto

26 Luigi Barzini era il più famoso dei corrispondenti di guerra, ma anche uno tra i più dete-

stati dai soldati per la retorica e la mistificazione dei suoi scritti: i soldati si inventarono la parola d’ordine « se trovo Barzino, gli sparo » (cfr. P. MELOGRANI, Storia politica… cit., p. 324).

27 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 24 agosto 1917, in AS FI, Schiff Gior-gini / Montignoso, 146/70.

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delle difficili condizioni in cui versava l’esercito austro-ungarico (e coinciden-te con quanto appena detto in termini generali) 28.

Già meno di un mese dopo (14 settembre) una lettera di Giorgio rivela uno stato d’animo assai meno ottimista (e anche in questo caso, come sopra illustrato, comune a tanti combattenti): « attendiamo ancora - sotto l’acqua e sotto il tiro - in un lurido borgo ridotto dai bombardamenti un cumulo di macerie e dall’uomo un cumulo di immondizie. Sono moralmente e fisicamen-te stanco. È cosa insopportabile soffrire i disagi della guerra avendo coscienza dell’inutilità del sacrificio. La nostra pestilenziale cucina mi ha definitivamen-te rovinato ed ho mal di stomaco in permanenza. Mi sono corazzato di pa-zienza e di calma e tiro avanti. Dusmet il più caro amico che avessi al reggi-mento è stato trasferito in fanteria; sarà credo col tempo la sorte di noi tutti » 29. Ed il 4 ottobre, dopo essere stato nominato comandante degli Arditi del reggimento: « Le nostre belliche imprese sono finite e siamo sulla via del ritorno. Marciamo da quattro giorni ed ora siamo fermi all’orlo della laguna lungo la Livenza. Quanti disagi, quanti pericoli, quante fatiche inutili abbiamo sofferto in questi mesi? Resteremo qua a far compagnia alle zanzare e alle ranocchie un mese, così almeno si dice e prenderemo poi i quartieri invernali nella zona fra Padova e Vicenza » 30. Il 7 ottobre, al termine di una licenza, probabilmente da Firenze: « Questa sera alle 2 riprenderò la via dell’esilio. Non ne posso più. Ti prego cerca se puoi (…) trovarmi un posto da passar l’inverno tranquillo » 31.

Appena rientrato al reggimento deve andare nei pressi di Udine: il 12 ot-tobre comunica infatti: « Nella mia qualità di ardito comandante la truppa d’assalto sono stato mandato in linea per un breve periodo di addestramento - sono tra la neve e il fango e il fuoco (…) Fra una settimana ritorneremo sulla Livenza da dove spero di poter venire qualche giorno in licenza » 32.

28 La memorialistica del tempo è ricca di testimonianza similari; nel diario di un altro com-battente, Angelo Gatti, troviamo, in data 25 maggio 1917 le seguenti parole: « Gli austriaci hanno un esercito che si va sfasciando. Il tempo ha agito per noi. Gli austriaci sono stanchissimi: un colonnello, comandante di reggimento, preso ieri dopo essere rimasto con 200 soldati soli, diceva a noi “Ma come fate ad avere ancora voglia di combattere? Noi non ne possiamo più” », A. GATTI, Caporetto. Dal diario di guerra inedito (maggio-dicembre 1917), a cura di ALBERTO MONTICONE, Bologna, Il Mulino, 1964, p. 33, riportato in P. MELOGRANI, Storia politica… cit., pp. 280-281, che fa anche alcune interessanti annotazioni sullo stato d’animo critico del multiet-nico esercito austroungarico e su numerosi casi di diserzione delle sue truppe.

29 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 14 settembre 1917, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/71.

30 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 4 ottobre 1917, in AS FI, Schiff Gior-gini / Montignoso, 146/72.

31 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 7 ottobre 1917, in AS FI, Schiff Gior-gini / Montignoso, 146/73 (le sottolineature sono nel testo); in un suo appunto la madre Matilde annotò sulla lettera « Le lettere che scrive durante l’ottobre sono quelle di uno che non ne può più ».

32 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 12 ottobre 1917, in AS FI, Schiff Gior-gini / Montignoso, 146/74.

Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini

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Invece, proprio mentre si era determinato un clima generale di allenta-mento della tensione nella presunzione di una sospensione invernale delle operazioni militari (nonostante vi fossero voci di un’imminente offensiva nemica), il 24 ottobre austriaci e tedeschi iniziarono congiuntamente l’offen- siva detta Waffentreue (della fratellanza d’armi), sferrato anche nel timore che un nuovo attacco italiano risultasse esiziale per le estenuate forza austro-ungariche. Lo sforzo organizzativo messo in atto era stato notevole, sia a livello di uomini (furono fatte pervenire sul fronte carsico altre quattordici divisioni, sette delle quali tedesche) che di armamenti (il numero delle arti-glierie fu raddoppiato). L’attacco colse di sorpresa le difese italiane, di cui furono aggirate la prima e la seconda linea, costringendo il grosso dell’eser- cito ad una precipitosa ritirata: ebbe inizio così la rotta di Caporetto che, come è noto, portò a porre il fronte sulla linea del Piave e sul Monte Grappa ove gli eserciti tedesco ed austroungarico furono fermati con la « Battaglia d’arresto » (novembre-dicembre 1917).

Giorgio Schiff Giorgini, che era nel frattempo rientrato a Corbolone di Livenza viene rinviato immediatamente al fronte, ove partecipa agli scontri al comando di una pattuglia di esploratori; ferito nel corso dell’azione, ottenne una seconda medaglia d’argento. Purtroppo non vi sono in archivio lettere ai familiari scritte in questi giorni cruciali

Il 1918. — I primi mesi del 1918 videro la riorganizzazione e il riarma-

mento dell’esercito italiano, accompagnate anche da un miglior trattamento dei soldati, insieme ad un’opera di propaganda. Si ebbe sul fronte nei mesi invernali una tregua alle operazioni militari. Nel mese di maggio ricomincia-rono gli attacchi, che portarono gli italiani a riconquistare alcune posizioni. Gli austriaci, che dopo il crollo della Russia zarista e della Romania, con le paci di Brest-Litovsk (3 marzo) e Bucarest (7 maggio), avevano concentrato tutte le loro forze sul fronte italiano, attaccarono sulla linea del Piave il 15 giugno ma, nonostante alcuni iniziali successi, furono respinti sulle posizioni di partenza (23 giugno). Nella primavera sul fronte francese si svolsero tre attacchi tedeschi che ottennero importanti successi senza però riuscire a piegare la resistenza anglo-francese, mentre sempre più consistenti si fecero gli aiuti agli alleati degli Stati Uniti. Il 15 luglio vi fu la quarta offensiva tedesca sulla Marna che, dopo un iniziale successo, fu totalmente respinta con gravi perdite da ambo le parti. L’8 agosto furono invece gli alleati a portare avanti una prima vittoriosa offensiva, seguita da una più risolutiva tra il 26 e il 29 settembre che travolse nei giorni successivi tutte le difese tedesche: l’11 novembre si arrivò all’armistizio. L’offensiva finale italiana era scattata invece il 24 ottobre, ed il 28, con il passaggio del Piave, l’esercito italiano dilagò nella pianura e sulle montagne del Trentino, mentre l’esercito austriaco si dissolse; il comando austriaco iniziò le trattative per la resa incondizionata, sottoscritta il 3 novembre.

Emilio Capannelli

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Ripresosi dalle ferite riportate l’anno precedente, Giorgio Schiff Giorgini trascorse a Cesena nel Cavalleggeri Roma i primi mesi dell’anno. Il 24 giu-gno, dopo ordine improvviso, il Reggimento partì per il fronte 33, questa volta nella zona degli Altopiani di Asiago; per Giorgio Schiff Giorgini si trattò della quarta partenza, anche se stavolta rimase dapprima nelle retrovie e poi nella prima parte dell’autunno si trasferì a Vicenza, ove ad ottobre doveva sottopor-si ad una visita medica per problemi polmonari. Ma il 17 ottobre scelse spontaneamente di effettuare una nuova partenza per il fronte; questa volta in vista dell’offensiva finale, che porterà a Vittorio Veneto. Il tono delle lettere è segnato dalla coscienza dell’imminente vittoria: scrisse il 17 ottobre: « Ero già all’ospedale di Vicenza per ottenere l’aspettativa, quando avendo saputo che il mio reggimento si portava avanti per prendere parte alla prossima grande azione, ho rinunziato alla visita collegiale e sono ritornato al mio posto di combattimento. Ti scrivo da Meolo - basso Piave. Fra breve inizieremo l’avanzata e molto probabilmente nell’anniversario di Caporetto risaremo vicini a Udine. Si dice che gli Austriaci siano prontissimi…. alla fuga. Sii calma e tranquilla sul mio conto. Pensa piuttosto al mio prossimo ritorno - a pace e vittoria ottenuta » 34. E il 27 ottobre: « La pioggia continua ha ritardato l’azione ma oggi splende un bel sole e già, dai confini della Svizzera alla laguna, tuonano migliaia di cannoni. Non ho mai visto un così enorme formi-dabile schieramento di truppe, tutta la pianura brulica di uomini e di cavalli, ogni campo è un magazzino di proiettili, ogni radura un inverosimile garage. Il corpo di cavalleria al completo è ammassato dietro alle fanterie - quando queste avranno infranto le prime difese nemiche noi saremo lanciati all’inse- guimento - obbiettivi: la Livenza, il Tagliamento, Udine ed oltre. Comando il V° squ[adrone] di Roma - il morale dei miei uomini è altissimo e grandi cose mi riprometto da loro. Vi sono 50 mila lire di premio a chi entra primo in Udine (...). Quando riceverai questa lettera sarò già al di là del Piave » 35. Dopo alcuni giorni di rapida avanzata, il 5 novembre comunicò, con un po’ di comprensibile retorica: « Sono a Tolmezzo! A cavallo, alle calcagna del nemico in fuga, ho volato per la pianura, ho guadato fiumi e torrenti, ho valicato colline e montagne. Il mio squadrone ha catturato più di mille prigio-nieri - non è umanamente credibile quanto abbiamo goduto e sofferto. Freddo, fame, fatica - entusiasmo di vittoria, voluttà d’inseguire. Il nostro Caporetto fu un nulla in confronto a ciò che l’esercito austriaco sta facendo » 36. Sullo

33 Giorgio Schiff Giorgini a Roberto Schiff, 24 giugno 1918, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 66/31.

34 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 17 ottobre 1918, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 66/44 (la sottolineatura è nel testo).

35 Giorgio Schiff Giorgini a Roberto Schiff Giorgini, 27 ottobre 1918, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 66/45.

36 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 9 novembre 1918, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 66/47.

Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini

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stesso tono l’11 novembre scrisse dalla Alpi Carniche, vicino al confine austriaco: « L’armistizio ci ha fermati sulla via della Pontebba - [da] cavalleria siamo divenuti alpini. Scendendo in Carnia da Belluno siamo riusciti a tagliare la ritirata a due divisioni nemiche le quali da Osoppo tentavano risalire la valle del Tagliamento e del Fella. Quasi senza colpo ferire abbiamo catturato molte migliaia di prigionieri, cavalli, cannoni e carreggi. Eravamo in 900 contro ventimila ». Segue un rapido bilancio personale dell’esperienza bellica: « I quattro più begli anni della vita trascorsi in luridi villaggi- Lunghe notti passate marciando sotto l’acqua o dormendo al chiaro delle stelle » 37.

EMILIO CAPANNELLI

Soprintendenza archivistica per la Toscana

37 Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 11 novembre 1918, in AS FI, Schiff

Giorgini / Cecchieri, 66/48.

MEMORIE MANZONIANE DA CASA GIORGINI A scorrere soltanto l’elenco di consistenza di quella parte dell’Archivio

Schiff Giorgini di cui più di recente la Soprintendenza archivistica per la Toscana ha ottenuto il deposito presso l’Archivio di Stato fiorentino (dopo laboriose — è da immaginare — e annose trattative con gli eredi o gli aventi titolo di proprietà) 1, tutta una folla di personaggi fa ressa alla nostra memoria chiedendo di essere storicamente lumeggiata, di essere cioè ravvivata in opportune scenografie d’epoca e, pur con i necessari supporti e suggerimenti della documentazione disponibile, di essere rianimata con riscontri di testimo-nianze credibili. Sono i personaggi della paradigmatica (nella sociologia della piccola aristocrazia lombarda di pieno Ottocento) e ramificata famiglia Man-zoni che la grandezza e la straordinaria rilevanza letteraria di Alessandro, l’unico membro dotato di vero e indiscutibile talento (e che talento!), ha preservato dall’anonimato al quale altrimenti quei personaggi sarebbero stati tutti, chi più chi meno, probabilmente destinati.

È indubbio infatti che solo la postuma e quasi mai decrescente fortuna dell’opera manzoniana ha reso possibile, e in qualche modo giustificato, il lavoro talvolta accanito e iper-specialistico richiesto dalla costituzione, che so, del corpus epistolare di Enrichetta Blondel (già pubblicato nel ’74 da Giusep-pe Bacci), ovvero di quello di Giulia Beccaria, esitato or sono pochi giorni nei suoi termini pressoché definitivi per le cure di Grazia Maria Griffini 2: due

1 Sulle vicende otto-novecentesche dell’Archivio Schiff Giorgini, si veda preliminarmente la ricostruzione fattane da P. BENIGNI, L’archivio Schiff Giorgini da scrigno di “care memorie” a terreno di caccia di antiquari e collezionisti, in « Paragone », LI (2000), 27-28-29, pp. 146-155; qui, sempre in argomento, si veda anche il saggio di R. P. COPPINI, Aristocratici, funzionari e politici: la vicenda dei Giorgini (ibid., pp. 156-162) e di A. ALBERTINI, Memorie e medicamenti. Lettere di Stefano Stampa alla sorellastra Vittoria Manzoni Giorgini (ibid., pp. 163-171). L’elenco di consistenza fornitoci dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana (23 pagine dattiloscritte) descrive sommariamente 249 inserti e si accompagna ad un più ridotto (5 pagine) Elenco del materiale Schiff Giorgini consegnato alla Soprintendenza archivistica per la Toscana dall’avv. Giovanni Cecchieri.

2 Ci riferiamo naturalmente a E. MANZONI BLONDEL, Lettere familiari, a cura di G. BACCI, Bologna, Cappelli, 1974 e al recentissimo G. BECCARIA, « Col core sulla penna ». Lettere 1791-1841, premessa di C. CARENA, a cura di G. M. GRIFFINI ROSNATI, Milano, Centro Nazionale di Studi Manzoniani, 2001 (ma già prima, a cura della stessa studiosa, cfr. Lettere di Giulia Beccaria Manzoni conservate nella Biblioteca Nazionale Braidense, Milano, Il Polifilo, 1974).

Memorie manzoniane da casa Giorgini

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raccolte che dal discreto, mai ingombrante o loquace ma sicuro e non discusso carisma della personalità manzoniana traggono le ragioni, non diremo per esistere come tali, ma almeno per essere in grado di restituire al lettore quel sottogusto intellettuale, quel sottile fascino, che sta nel nascondere, del grand’uomo, fra le pieghe più trascurate del documento, una verità pur anche piccola e forse impercettibile, ma decisiva.

Ebbene, da quella folla di personaggi minori e minimi, di parenti, sodali, colleghi, famigli, ammiratori, fornitori, tecnici e prestatori d’opera di vario genere che pure si incontrano in un epistolario non certo indiscreto come quello manzoniano, nonché da quella folta ma fatale nidiata che rese affetti-vamente appagata (e però defatigante e breve) l’esistenza di Enrichetta, oc- corre risolversi a ritagliare, e quindi a staccare dal contesto, il profilo di quattro soli di essi: sono questi ovviamente le due ultime figlie dello scrittore, Vittoria e Matilde, nate rispettivamente nel 1822 e nel ’30 e quindi lo sposo della prima, Giovan Battista Giorgini con la loro figlia, Matilde, nata nel ’60 e morta in anni non lontanissimi dai nostri, nel 1940, già sposa ventenne del professor Roberto Schiff, figlio a sua volta del più celebre Maurizio, fisiologo di gran fama, « uno dei caporioni del materialismo tedesco » 3, per riprendere un’espressione della consuocera Vittoria Manzoni, evidentemente spaventata nel dover contrarre un rapporto di parentela con una famiglia tanto lontana dal fervore giansenisteggiante dal quale era stata avvolta l’intera sua esistenza.

Tutto ha inizio per noi (che guardiamo a questa storia dall’ottica del suo finale risultato e cioè il peculio suggestivo delle carte superstiti di un felice connubio tosco-lombardo in aura risorgimentale e postunitaria) con il 30 aprile 1845, allorquando Vittoria, all’indomani della morte della sorella Sofia sposa-ta Trotti, presso la quale era vissuta dopo aver lasciato diciannovenne il collegio milanese annesso al Monastero della Visitazione, partì alla volta della Toscana accompagnata dalla celeberrima — per i manzonisti — tante Louise 4. Durante i lunghi anni di collegio Vittoria, oltre a patire la lontananza

3 Memorie di famiglia dal 1847 al 1892, scritte da Vittoria Giorgini Manzoni, in Manzoni intimo, I: Vittoria e Matilde Manzoni; Memorie di Vittoria Giorgini Manzoni, a cura di M. SCHERILLO, Milano, Hoepli, 1923, p. 155. Scrive ancora Vittoria a proposito del consuocero Maurizio Schiff: « Questi fu chiamato nel ’61 all’Università di Pavia, ed è poi rimasto famoso a Firenze per le sue esperienze sui cani. Adesso è a Ginevra. Quando Matildina era piccola (nel ’67-’68) noi abitavamo a Firenze, in Via S. Sebastiano, accanto al Palazzo Capponi, quasi di faccia all’Istituto di Fisiologia. Gli ululati delle povere bestie in cura erano così strazianti e insopportabili, specialmente durante la notte, che, dagli abitatori del vicinato, fu redatta una regolare protesta. Il primo firmatario fu Gino Capponi, e il secondo fu Bista. Chi ci avesse mai detto che lì di faccia a noi, e proprio fra le mura di quel terribile istituto, cresceva un ragazzo, che una ventina d’anni dopo sarebbe diventato un figlio in casa nostra?! » (Ibidem).

4 Come è noto, Louise fu, di Vittoria Manzoni, al tempo stesso, cugina, zia e cognata; in-fatti Luisa Elisabetta Maria Maumary (1806-1871) era la sorella maggiore di Enrichetta Blondel ma sposata in prime nozze con il proprio zio materno Henry Blondel dal quale rimase vedova a ventiquattro anni. Cinque anni dopo, nel 1830, sposò Massimo d’Azeglio, a sua volta vedovo (da appena un anno) di Giulietta Manzoni, primogenita di Alessandro e Enrichetta. Di una sua

Giuseppe Nicoletti

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da casa, aveva dovuto apprendere, attraverso la normale corrispondenza intrattenuta con la famiglia, dapprima la notizia della morte della madre e in seguito, fra l’altro, quella della sorella primogenita Giulia: ora poi, scomparsa da qualche tempo la nonna Beccaria, anche la fida Sofia le era venuta a mancare e pertanto non aveva animo di prendere stanza, come sarebbe stato naturale, nella casa di via del Morone, specie da quando il padre si era unito in seconde nozze con la contessa Teresa Stampa nata Borri 5. Il cattivo stato di salute, anzi la debolezza di petto (come dopo qualche tempo anche per Matil-de) fu la ragione prima di un trasferimento che si era ritenuto temporaneo in ragione del suo carattere terapeutico 6. È noto invece che il destino di Vittoria si compì pressoché interamente in terra di Toscana, tra Pisa, Firenze, Siena e le ville di Montignoso e Massarosa dei Giorgini; Vittoria, da tempo unica superstite della sfortunata nidiata scodellata dall’affranta Enrichetta, sarebbe morta settantenne nel 1892, sedici anni prima di Bista, il marito, e trentasei dopo la sorella Matilde la quale, raggiuntala in Toscana nel ’46, venne poi a morte ad appena ventisei anni, a casa di Vittoria appunto, a Siena, dove i Giorgini si erano trasferiti a seguito dello spostamento in quella città, da Pisa, della Facoltà di giurisprudenza nel cui corpo accademico il Giorgini da tempo presunta relazione con Giuseppe Giusti accenna (per smentirla) Vittoria nelle sue Memorie dove traccia della zia un ritratto assai convincente senza peccare di malevolenza: « Buona di fondo, caritatevole, generosa, coraggiosa; piena d’ingegno, di spirito e di cuore, bella, elegante, di una rara distinzione, era di piacevolissima compagnia quando voleva: ma non sempre si trovava ad essere di buon umore: aveva una certa irrequietezza, era ombrosa, gelosa, e nelle sue cattive giornate poteva riuscire assai disaggradevole (…). Del resto meritava compassione: sempre innamoratissima di Massimo, e sempre con troppa ragione gelosa di lui, non poteva trovar pace (…). Ho sentito ripetere più di una volta che la zia era stata l’amica di Beppe Giusti: roba da far ridere i polli! Bisogna non aver conosciuto mai, neppur per un’ora, quelle due persone, per poter ripetere una simile storiella (…) », ibid., pp. 111-112.

5 Si legga per analogia quanto scrive Vittoria a proposito della sorella minore Matilde, anch’essa anni dopo, all’uscita del collegio, trovatasi nella condizione di tornare nella casa del padre felicemente risposato: « Quando ne uscì [dal collegio sito nel monastero milanese della Visitazione], io ero fidanzata con Bista, e mi preoccupavo e mi affliggevo molto pensando alla vita triste che la povera Matilde avrebbe dovuto condurre a Milano, nella nostra casa, fra le cui mura la morte aveva fatta tanta strage, durante gli anni della sua dimora in convento. Non ci trovava più, rientrandoci, le care creature che ci aveva lasciate: - le nostre allegre sorelle, la nostra nonna amorosissima, che aveva avuta una così particolare tenerezza per lei, tutte erano sparite (…). E donna Teresa, malaticcia e bisbetica, non avrebbe potuto davvero tener luogo di madre - e di quale madre!… - per la povera figliola », ibid., p. 86.

6 « Le due nipotine più piccole, Vittoria e Matilde, affidate per lunghi anni alla baronessa Cosway nel suo Istituto delle dame Inglesi di Lodi, o alle monache della Visitazione in Milano, sembravano minacciate anch’esse dal mal di petto. Dovette soccombervi ancor prima donna Sofia, sposata a don Lodovico Trotti, e le due sorelle minori superstiti si rifugiarono nel clima più propizio della Toscana, ove la povera Matilde lottò invano contro l’insidia del male fino al 1856 » (G. GALLAVRESI, Saggio introduttivo, in Manzoni intimo, III. 94 lettere e 17 postille inedite alla moglie D.A Teresa e al figliastro Stefano oltre alcune lettere di Bottelli, Ermes Visconti, Trechi, Berchet, Rosmini, Bonghi, Tommaseo, a cura di G. GALLAVRESI, Milano, Hoepli, 1923, p. XVI).

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primeggiava. Alla sua morte Vittoria lasciava, oltre al figlio Giorgio, Matilde, la sua ultimogenita 7, personaggio per noi inevitabile e prezioso, che delle carte della madre, di quelle del padre Bista e della famiglia Giorgini, nonché del tesoro delle lettere che i genitori si erano scambiate per più di un quaran-tennio, ovvero ancora di quelle che il nonno Alessandro aveva inviato alle figlie e al genero e comunque di ogni altra reliquia e memoria familiare si fece attenta conservatrice e sensibile quanto misurata editrice.

Matilde infatti come pochi coltivò la religione delle memorie familiari e quando si trattò di pubblicare le pagine autobiografiche che la madre aveva steso negli ultimi mesi della sua vita, nel timore di « non interessare affatto (…) a degli estranei » e, al contempo, non volendo rischiare di « tradire (…) l’intimità » 8 di lei, volle dapprima procedere ad una pubblicazione di limita-tissima circolazione salvo poi, molti anni dopo, affidare ad uno studioso e manzonista di rango come Michele Scherillo quella stessa edizione che così venne ristampata tal quale nel primo tomo di un’opera a tutt’oggi preziosa e capitale e cioè il Manzoni intimo in tre volumi curati dallo stesso Scherillo e da Giuseppe Gallavresi. Il Manzoni intimo, uscito nel 1923 può essere consi-derato a buona ragione il più completo (ma non certo esaustivo) contenitore dei materiali conservati nell’Archivio Schiff Giorgini, a quel tempo, è da ritenere, non ancora intaccato nella sua unitaria compagine documentaria; parliamo soprattutto dei primi due volumi, giacché il terzo, curato dal Galla-vresi è essenzialmente di materia milanese, riproducendo per gran parte le lettere del Manzoni a Teresa e poi, insieme a quelle indirizzate a Stefano Stampa, il figliastro (come allora non si aveva tema di dire e di scrivere), poche altre di altri corrispondenti 9. I due primi volumi curati e prefati dallo Scherillo invece, sono cosa nostra, per così dire, e contengono, il secondo, le lettere di Alessandro alle figlie Vittoria e Matilde pubblicate in gran parte per la prima volta, anzi, come detta il suggestivo frontespizio, « un tesoro di lettere inedite dirette alle figlie Vittoria e Matilde e al genero Giovan Battista Giorgini » 10 mentre il primo riproduceva, come si è detto, le Memorie di

7 Oltre a Giorgio (1853-1899) e Matilde (1860-1940), Vittoria e Giovan Battista Giorgini ebbero una figlia, Luisa, morta poco più che decenne nel 1857.

8 Cfr. la lettera Ai miei figlioli Ruggero e Giorgio Schiff-Giorgini che Matilde premise, in-sieme all’introduzione di cui si dirà, all’edizione delle Memorie materne, ora in Manzoni intimo, I cit., p. 1.

9 Cfr. Manzoni intimo, III cit. 10 Cfr. Manzoni intimo, II. Un tesoro di lettere inedite dirette alle figlie Vittoria e Matilde e

al genero G. B. Giorgini, a cura di M. SCHERILLO, Milano, Hoepli, 1923. Si legga peraltro l’Avvertenza del curatore: « Delle centotrentanove lettere del Manzoni alle figliuole Vittoria e Matilde e al genero G. B. Giorgini (…) qualcuna soltanto era nota (…) donna Matilde Schiff Giorgini (…) nell’approssimarsi della celebrazione del cinquantesimo della morte del grande suo avo, arrendendosi alle nostre istanze, ne ha finalmente consentita, e in ogni maniera aiutata e agevolata, la pubblicazione integrale. Anzi, per una buona metà, ne ha essa medesima eseguita la collazione sugli autografi (…). Purtroppo nemmeno questo epistolario ha potuto interamente salvarsi dalla devastazione degli amatori e cacciatori d’autografi; e qualche lacuna è anche qui da

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famiglia dal 1847 al 1892 scritte da Vittoria Giorgini Manzoni, ma certo all’interno di una cospicua — e ormai non più separabile dal vero e proprio testo memorialistico — cornice documentaria, dovuta alla penna altrettanto sagace e affettuosa di Matilde Schiff Giorgini. La quale utilizzando a piene mani l’impagabile deposito delle lettere disponibili nel medesimo archivio scambiate, ora fra la madre e il proprio fratello Pietro, ora fra lei e il cognato Massimo d’Azeglio e ancora quelle ricevute dalla sorella minore, ovvero ancora quelle intercorse fra Bista e il padre Gaetano, il nonno Niccolao e i cognati o gli amici e colleghi (di studi e di parlamento), è riuscita sia ad allargare, specie nell’introduzione, il retrospettivo racconto della madre fino a compren-dere gli anni delle sua infanzia e adolescenza, sia poi a confermare l’autorità delle materne affermazioni o dei più rari e sempre ragionevoli giudizi con lunghe note, materiate, appunto, di inoppugnabili citazioni epistolari 11.

L’operazione congiunta di madre e figlia (riconosciuta come tale fin nel frontespizio del primo tomo del Manzoni intimo dove si legge la sibillina formula « Vittoria e Matilde Manzoni / Memorie / di Vittoria Giorgini-Manzoni ») sortì dunque un racconto di tale forza testimoniale su casa Man-zoni e di riflesso sulla personalità dello stesso pater familias, che venne da subito segnalandosi nel quadro affollato di quella, spesso affettata, letteratura secondaria, fiorita fin dagli anni Settanta dell’Ottocento attorno e in appoggio alla biografia manzoniana. La vicenda di Vittoria e di Matilde, da quel mo-mento, acquistò presso gli studiosi e i cultori di cose manzoniane un rilievo del tutto particolare, talché non è esagerato ritenere che anche grazie a quelle pagine memorialistiche, in anni più vicini ai nostri, il loro caso e la loro storia abbiano attirato l’attenzione di scrittori e critici di gran nome.

Il riferimento, lo si sarà compreso, è, a tacer d’altri titoli, dapprima al li-bro di Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni, uscito da Einaudi nel 1983 e nel quale, degli otto capitoli di cui si compone, due sono espressamente dedicati alle nostre sorelle e, in seconda istanza, alla edizione del Journal di Matilde curata da Cesare Garboli nel 1992. Un vero e proprio avvenimento negli studi manzoniani quest’ultimo, e non soltanto perché per la prima volta erano tratte dalla penombra dell’inedito quelle note di diario così fresche e dolorose (e tanto più toccanti nella loro intelligenza letteraria e introspettiva, in quanto dovute alla penna di una ragazza destinata, come si sa, a scomparire deplorare » (p. VII). Circa lo stato di tali lacune, si veda quanto più di recente ha affermato la soprintendente Paola Benigni: « Delle centotrentaquattro lettere autografe e delle altrettante copie esistenti prima del 1908 nell’archivio Giorgini, già elencate da Donna Matilde nel suo indice, rimanevano, infatti, al 1923, solo centoventuno autografi e centotrenta copie, insieme a tredici buste vuote » (L’archivio Schiff-Giorgini da “scrigno di care memorie” a terreno di caccia di antiquari e collezionisti… cit., p. 149). Naturalmente tali lettere oggi possono leggersi in A. MANZONI, Tutte le lettere, a cura di C. ARIETI. Con un’aggiunta di lettere inedite o disperse, a cura di D. ISELLA, Milano, Adelphi, 1986, voll. 3.

11 Nel volume Manzoni intimo I cit., mentre le Memorie di famiglia di Vittoria occupano le pp. 83-165, la Introduzione e le Note di Matilde occupano rispettivamente le pp. 5-81 e 171-228.

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precocemente) ma proprio per la consistenza della nota introduttiva, laddove lo studioso per circa cento pagine tracciava da par suo il ritratto delle due sorelle « toscane », entrambe ormai titolari di una loro specifica e autonoma posizione nell’ambito della società e della cultura letteraria granducale. Ma si lasci in proposito e per un momento la parola a Cesare Garboli e proprio nel frangente in cui, ricordando l’intrapresa manzoniana dell’autrice di Lessico familiare, volle rivendicare anche per Matilde « una stanza tutta per sé »: « Ci fu un giorno una grande litigata, tra me e Natalia Ginzburg, a proposito del libro che lei stava scrivendo sulla famiglia Manzoni. Uno dei punti in discus-sione era il taglio del capitolo dedicato a Vittoria e a Matilde, le due sorelle Manzoni diventate toscane. Natalia aveva raccontato questa parte della vita famigliare dei Manzoni mettendosi dal punto di vista di entrambe le sorelle, unificandole, trattandole congiuntamente in uno stesso capitolo che portava il titolo, mi sembra, “Vittoria e Matilde”. Io mi ribellai, anzi sentii le mie viscere ribellarsi. Mi parve di vedere Matilde, ancora una volta, sacrificata alla foto di gruppo, alla coppia; non una persona ma un’ombra, l’ombra della sorella, com’era stata in vita. E riuscii a imporre a Natalia, dopo un alterco furente che mi vide vittorioso, di dividere il capitolo in due, di ritoccare la parte dedicata a Vittoria e di riscriverne l’incipit, dando a Matilde uno spazio, un punto di vista diverso, una stanza, finalmente, per dirla con una voce famosa, tutta per sé » 12.

Non è questo il luogo (né a noi compete l’ufficio) per riprendere le linee (ahimè piuttosto travagliate) di una storia o cronistoria dell’archivio Giorgini all’indomani della morte di Matilde Schiff Giorgini; basti qui avanzare l’auspicio che, finalmente e fortunatamente ricondotti alla mano pubblica questi documenti, possano in un futuro non troppo lontano ricostituirsi in un corpus unitario e cioè fisicamente depositato in uno stesso luogo di conserva-zione, reso perciò come tale disponibile alla consultazione degli studiosi (andranno escluse, naturalmente, le lettere di mano del Manzoni che la stessa Matilde Schiff volle, con provvido gesto, donare al Centro Nazionale di Studi Manzoniani e da questo depositate presso la Biblioteca Braidense che resta, come è noto, il più ricco deposito di manoscritti manzoniani) 13.

12 M. MANZONI, Journal, a cura di C. GARBOLI, Milano, Adelphi, 1992, p. 62; la Prefazio-ne è dedicata a Natalia Ginzburg la quale, a sua volta, nel suo La famiglia Manzoni, nella paginetta dei ringraziamenti posta a mo’ di prefazione del volume, scrive: « Devo ringraziare Cesare Garboli di avermi ascoltato, indicato alcune vie da seguire, e della sua consueta, grande, irascibile e generosa pazienza ».

13 Informa ancora Paola Benigni in proposito: « presso la Biblioteca Nazionale Braidense sono risultate essere in deposito, sin dal secondo dopoguerra, ma di proprietà del Centro naziona-le di studi manzoniani di Milano, ben centodiciannove lettere autografe di Manzoni alle figlie, Vittoria e Matilde, e al genero Giovan Battista più due al consuocero Gaetano, donate al Centro il 12 aprile del 1938 da quella stessa Donna Matilde che le aveva, sino ad allora, gelosamente custodite » (L’archivio Schiff-Giorgini da “scrigno di care memorie” a terreno di caccia di antiquari e collezionisti… cit., p. 150).

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A noi, semmai, è riservato il compito di scorrere, come si diceva all’ini- zio, questo cospicuo elenco di manoscritti al fine di indicare in via del tutto preliminare e provvisoria dei percorribili orientamenti di ricerca e di studio. Il primo di essi concerne senz’altro un progetto di edizione del più cospicuo e interessante carteggio qui presente, parliamo cioè delle centinaia di missive che Vittoria e Bista si scambiarono nel corso del loro lungo e, per quanto è possibile arguire, felice matrimonio 14. Sono almeno quattro gli inserti che contengono tali lettere ma il più rilevante appare il n. 188 dove (a tener conto dell’« Elenco di consistenza » compilato dai funzionari della Soprintendenza) sono contenute « 419 lettere, prevalentemente di Giovan Battista Giorgini alla moglie Vittoria » 15. Un tal numero di pezzi, pur allo stato dei fatti meramente indicativo, fa intendere però la rilevanza storica e la complessità umana e psicologica di un rapporto epistolare come questo, anche considerando la personalità e il raggio d’azione delle relazioni sociali dei due interlocutori, nonchè gli incarichi rivestiti dal Giorgini in circostanze cruciali della storia nazionale. Di questo carteggio qualcosa è stato già edito: nel primo tomo del Manzoni intimo, ad esempio, sono riportati nella Introduzione III di Matilde Schiff Giorgini brani di lettere dei due, ancora fidanzati, ma fin d’ora propensi ad accogliere la sorella Matilde nella loro nuova casa. Bista ne parla ai suoi per chiederne l’autorizzazione e così scrive a Vittoria il 10 agosto 1846: « Ti sarai forse accorta che oggi sono di buon umore, ed eccomi a dirtene le ragioni. Il progetto di prender Matilde con noi, del quale ho parlato oggi a tavola, non solo non ha provocata nessuna obiezione, ma è stato subito appro-vato, lodato, raccomandato dal nonno e da Giannina, che hanno trovata ottima l’idea di tenere accanto a te una persona della tua famiglia. Sai bene che io non ti metto di mezzo, e gioco con te a carte scoperte: dunque ti dirò che io stesso son rimasto sorpreso di una riuscita così pronta e così facile in un affare, di cui non dubitavo, ma per il quale credevo che avrei dovuto mettere in opera un po’ della mia abilità (…) » 16. Un altro gruppetto di lettere paterne

14 Fin dal tempo del loro fidanzamento, Vittoria e Bista Giorgini, oltre ad osservare una fit-ta cadenza nel loro carteggio, solevano gratificarsi reciprocamente manifestando ognuno la propria ammirazione per le qualità di epistolografo dell’altro. Scrive in proposito Vittoria al fratello Pietro il 30 maggio 1846: « Bista (…) mi scrive continuamente delle lettere che vorrei mostrarti, perché sono dei veri capolavori. Mi fanno un piacere tale, che qualche volta sono quasi contenta che sia lontano, per poterne ricevere una » e il Giorgini a Vittoria il 14 maggio dello stesso anno: « Ma lo sai che le tue otto pagine sono un vero capo d’opera? Io non volevo parlarti del tuo talento di scrittore, ma tu parli del mio con tanta enfasi, che sento proprio il bisogno di dirti che otto pagine come quelle io non le avrei sapute scrivere davvero ». Entrambi questi brani epistolari sono tratti dalla Introduzione di Matilde Schiff Giorgini alle Memorie materne, in Manzoni intimo, I… cit., p. 68.

15 Si veda inoltre l’inserto 4 (« n. 7 lettere di Giovan Battista Giorgini a Vittoria Manzoni, 1846-1847 »), l’inserto 15 (« n. 20 lettere di Giovan Battista Giorgini alla moglie Vittoria Giorgini Manzoni, 1865 ») e l’inserto 75 (« n. 4 lettere di Vittoria Giorgini Manzoni a Giovan Battista Giorgini, 1848 »).

16 Cfr. Manzoni intimo, I… cit., pp. 72-73.

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Matilde pubblicò a Pisa nel 1912 in un opuscoletto trascegliendo quelle che Bista aveva indirizzato nel ’48 alla moglie dal campo militare di Curtatone, dopo il suo arruolamento nel battaglione universitario pisano. L’opuscolo in questione, intitolato Primavera del 1848 17, venne dedicato dalla Schiff Gior-gini al senatore Alessandro d’Ancona e questi, sodale da lunga data della famiglia e di Giovan Battista in particolare, volle anch’egli pubblicare qualche lacerto epistolare della coppia amica. Lo fece lui pure in un opuscolo che stampò un anno dopo, nel ’13, in occasione delle nozze di Ruggero, il primo-genito di Matilde e Roberto Schiff. Spicca nella raccoltina danconiana che porta l’eloquente — per noi — titolo di Lettere di argomento manzoniano di G.B. Giorgini 18, la lettera del 5 dicembre 1864 da Torino, nella quale l’uomo politico descrive alla moglie con arguzia mista a perspicace chiarezza esposi-tiva (come era nel suo carattere di persona positiva ma non frigidamente pratica) l’appena compiuto viaggio da Milano nella capitale subalpina in compagnia dell’illustre suocero, senatore del Regno. Il quale non dandosi per inteso delle interessate pressioni di alcuni amici che, prendendo a pretesto la sua tarda età e il suo stato di salute, lo sconsigliavano di recarsi a Torino, volle a tutti i costi partecipare alla seduta del parlamento nazionale indetta espressamente per votare il trasferimento della capitale a Firenze. « Si vede proprio che questi signori — scrive dunque il Giorgini riferendosi a quegli amici interessati — conoscono poco Pappà, che ne hanno un concetto molto inferiore a quello che merita, e che per conseguenza si esagerano grandemente il potere della mia influenza su di lui. Dovrebbero sapere che egli è ben chiaro e ben fermo nelle sue idee e nei suoi propositi, e che poche idee ha più chiare e più ferme di quella di volere che si vada a Roma. Per lui è evidente che l’andare adesso a Firenze significa incamminarsi sulla via di Roma, e non saremmo certo capaci né io, né Massimo, né Donna Costanza, né altri di fargli cambiar rotta; ha in testa più fitto che mai il chiodo di Roma, ed è sempre pieno di fiducia che a Roma ci potremo andare col pieno consenso della coscienza cattolica » 19.

Non v’è dubbio che, anche a prescindere dagli acquisti in termini di una più approfondita conoscenza del suo mondo affettivo e privato che un copioso carteggio come questo, una volta che fosse convenientemente pubblicato, potrà recare alla personalità dell’uomo politico toscano, è da credere che il rilievo di Giovan Battista Giorgini scrittore e letterato potrebbe sensibilmente precisarsi, una volta che fossero studiate con attenzione anche le altre carte di questo fondo che a lui afferiscono. E non parliamo tanto delle numerose lettere di illustri suoi corrispondenti (oltre ai politici, da Ricasoli a Montanelli da Salvagnoli a Lampertico, non sono pochi i cultori di storia e letteratura, da

17 G. B. GIORGINI, XXVIII lettere dal campo. Primavera del 1848, Pisa, Nistri, 1912. 18 Vedi l’opuscolo ristampato in A. D’ANCONA, Pagine sparse di letteratura e di storia.

Con appendice « dal mio carteggio », Firenze, Sansoni, 1914, pp. 257-301. 19 Ibid., pp. 260-261.

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Poerio al cognato Massimo d’Azeglio, dal Capponi al Lambruschini e quindi Fogazzaro e De Amicis), parliamo invece dei manoscritti delle sue composi-zioni poetiche 20, soprattutto quelli contenuti nell’inserto n. 129 dove sono conservate anche rare stampe di suoi versi (ad esempio la giovanile raccolta dei Preludi poetici, pubblicata a Lucca nel 1836) e soprattutto di quella variegata e non ancora ordinata documentazione, sparsa in numerosi inserti, relativa alla sua senile amicizia e frequentazione di un poeta grande come il Pascoli 21. Questi, come è noto, pur fattosi lucchese e garfagnino, e quindi limitrofo della famiglia Giorgini, non smise mai l’abito del poeta latino, aspetto questo della sua straordinaria mitopoiesi che interessò particolarmente Giovan Battista, al punto da impegnarlo negli ultimi suoi anni, lui latinista provetto, in una ambiziosa impresa di traduzione di alcuni carmina poi pubbli-cati postumi per le cure della figlia e segnatamente il Fanum Apollinis, il Paedagogium e il Centurio 22.

Resta infine da dire di un’altra prospettiva di ricerca che queste carte potrebbero rendere possibile, parliamo cioè dello studio delle scritture di Vittoria restate in buona parte inedite e di fatto ignorate. Scrive a questo proposito la figlia Matilde nelle sue annotazioni alle Memorie materne, senza peraltro indulgere in alcun modo in improprie sopravvalutazioni: « Molte sono le pagine scritte da mia madre per ingannare la lunghezza delle giornate solitarie: riflessioni, preghiere, racconti, poesie italiane e francesi. Essa scrive-va versi con la massima facilità, ed era uno dei passatempi delle nostre serate il darle rime obbligate con argomenti pure obbligati. Gettava giù i suoi versi senza correggerli, e troppo spesso si avverte questa assenza del lavoro di

20 Nell’inserto 129 troviamo descritti in aggiunta a composizioni poetiche a stampa dello stesso Giorgini o della celebre improvvisatrice Teresa Bandettini detta Amarilli Etrusca, anche alcuni testi manoscritti di Giovan Battista e, fra questi, i seguenti titoli: La fidanzata del pescato-re; La sposa; Le lacrime; La meteora; Il Trovatore; La voce umana; La moribonda; Fantasia; Il mattino; L’addio.

21 Si vedano nell’ordine gli inserti nn. 45; 96; 116; 119; 126; 130; 149; 217. 22 Nel maggio 1905 Giovan Battista Giorgini tramite la figlia Matilde conobbe Giovanni

Pascoli, come narra nella biografia del poeta Mario Biagini (Il poeta solitario. Vita di Giovanni Pascoli, Milano, Mursia, 19632, pp. 613-614) ricordando l’occasione dell’incontro, cioè la celebrazione pisana del cinquantesimo di ordinazione sacerdotale di mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, e quindi la lettura da parte del Pascoli del discorso intitolato La Messa d’oro. Anche Mariù nella sua biografia ricorda l’amicizia senile tra Pascoli e Giorgini: M. PASCOLI, Lungo la vita di Giovanni Pascoli. Memorie curate e integrate da A. VICINELLI, Milano, Mondadori, 1961, p. 749 e, già prima, Lorenzo Viani in un elzeviro dove ha cura di riportare « ricordi (…) notati in un quaderno di scuola » da Ugo Brilli, a quel tempo, fra il 1907 e il 1914, provveditore agli studi a Massa, cfr. L. VIANI, Giovanni Battista Giorgini, in ID., Il cipresso e la vite, scritti inediti, scelti e ordinati da C. CORDIÈ, Firenze, Vallecchi, 1943, pp. 77-87. Il Giorgini pubblicò dapprima la versione del Paedagogium sulla « Nuova Antologia » del 1° giugno 1905, pp. 435-449; da lì tale versione, insieme con quella degli altri due carmi citati, passò nel volume G. PASCOLI, Tre poemetti latini, con la traduzione italiana di G. B. Giorgini, Pisa, Succ. F.lli Nistri, 1912.

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rima » 23. Opportunamente Matilde stampa nelle stesse annotazioni alcuni brani poetici di mano della madre: dobbiamo dire che, nella maggior parte dei casi, essi non superano il livello espressivo di un comune esercizio di scuola, anche se poi può incuriosire lo studioso della poesia manzoniana questo o quell’episodio tematico o stilistico, nel quale appare innegabile la tangenza con luoghi anche celebrati della poesia paterna. Si veda a mo’ d’esempio in queste due sestine (dove si descrive la familiare vallata di Montignoso) la ripresa piuttosto ingenua di un’occorrenza metaforica del Natale, poi divenuta paradigmatica dell’intero sistema linguistico degli Inni sacri: « Sovra i monti ormai deserti, / Qual funerëo lenzuolo / Fitte nebbie stanno inerti / che si stendon fino al suolo; / E coll’acqua il morto sasso / sordo ruzzola giù al basso; // E fra il rombo del torrente / che lo avvolge e lo trascina, / Va a cozzar miseramente / Fino in seno alla marina, / Che allo sguardo pur mi è tolta / Dalle nebbie in cui è avvolta » 24.

Più matura ed esperta appare invece, a tener conto delle pagine già pub-blicate, la prosa epistolare e memoriale di Vittoria. Ne consegue che gli inserti contenenti suoi scritti di questo genere o comunque compilati in prosa destano nel ricercatore un interesse che il titolo dell’elenco di consistenza (provvisorio e necessariamente generico) non scalfisce nella sua ipotesi di prospettiva progettuale e di ricerca: è il caso delle « memorie e ricordi » 25 dell’inserto 132, oppure del « Pater noster / Riflessioni e meditazioni » dell’inserto 181, di un non meglio precisato « Ricordo 1876 » dell’inserto 246 e finanche degli « estratti dalle sacre scritture » dell’inserto 25 di cui ha discettato sull’ultimo domenicale del « Sole 24 ore » Carlo Ossola 26. Non è forse un caso che il discorso, al termine della nostra breve ricognizione, sia caduto proprio su Vittoria Manzoni, giacché a parer nostro è questo il personaggio, fra quelli evocabili dalla consultazione di queste carte dell’archivio Schiff Giorgini, che più di ogni altro, al presente, si presta ad essere riconsiderato criticamente, e se non per rivelare l’impronta di uno scrittore di genio del quale certo non ebbe la tempra, per vedersi almeno confermato un carattere di tenace e mai disarmata franchezza che della scrittura è pur sempre una risorsa e quasi una condizione necessaria, specie per una donna dei suoi tempi.

GIUSEPPE NICOLETTI

Università degli studi di Firenze

23 Cfr. Manzoni intimo, I… cit., p. 218. 24 Ibid., p. 224 (il componimento è intitolato Dal vero). 25 Nell’elenco di consistenza vengono specificati alcuni pezzi contenuti in questo inserto:

« “Testamento Olografo di Vittoria Giorgini Manzoni”, 1891, ms; “Appunti riservati a Bista”, di Vittoria Manzoni Giorgini, 1891, ms; “Memorie che riguardano Giorgino”, s.d., ms; “Memorie e appunti che riguardano Matildina”, ms. 1880; “Divisione delle Casa e dei Beni di Montignoso fra i due fratelli Bista e Carlo Giorgini” ».

26 C. OSSOLA, Sotto il giogo di Papà, in « Il Sole-24 ore », 12 maggio 2002.

C r o n a c h e

GIORNATA DI STUDIO: « LA RETE DEGLI ARCHIVI E DELLE BIBLIOTECHE

DELLA PROVINCIA DI PISTOIA. PROSPETTIVE E SVILUPPI » (Pistoia, 29 gennaio 2002)

« La rete locale costituisce la modalità ordinaria di gestione delle attività e dei servizi documentari integrati », recita l’art. 5 della legge 35/99 della Regione Toscana, che fonda il nuovo quadro regionale di riferimento norma-tivo per biblioteche e archivi, chiamati non più solo a conservare, incrementa-re e riordinare il loro ingente patrimonio librario e documentario, ma a diven-tare centri attivi di cultura e di informazione al servizio del singolo cittadino e della comunità nel suo complesso. La rete locale, quindi, viene individuata come lo strumento tecnico attraverso cui si esprime quella cooperazione tra soggetti istituzionali che la nuova legge indica come necessaria per fornire servizi integrati in grado di rispondere ai bisogni informativi degli utenti. Anche a livello nazionale, comunque, già il decreto legislativo 112/98 aveva previsto forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato, Regioni ed enti locali per la valorizzazione dei beni culturali, principio ancora riaffermato dalla recente nuova formulazione dell’art. 118 della Costituzione.

C’è quindi tutto un quadro di riferimento normativo che spinge, pure in materia di beni culturali, nella direzione del collegamento e del coordinamen-to tra soggetti diversi, mentre anche dall’interno degli istituti culturali di conservazione l’attenzione ad alcuni importanti mutamenti che si sono verifi-cati negli ultimi decenni per quanto riguarda soprattutto le istituzioni archivi-stiche (proliferazione e disseminazione territoriale di soggetti produttori e conservatori di archivi, crescita e differenziazione degli utenti, ampliamento dello spettro delle ricerche e delle tipologie di fonti scandagliate) ma anche quelle bibliotecarie (da luoghi conservatori di cultura a centri di informazione e di educazione) porta non più a considerare i singoli istituti come istituzioni chiuse in sé stesse ma a vedere i collegamenti tra sistemi di fonti di un territorio. D’altra parte, anche lo sviluppo tecnologico e l’uso dell’informatica sia in ambito archivistico che bibliografico appaiono elementi per loro natura destinati a generare interconnessioni non solo tra prodotti culturali realizzati in ambiti diversi, ma anche tra saperi disciplinari tradizionalmente separati e quindi tra gli istituti culturali che quei prodotti elaborano e quei saperi deten-gono.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

La rete degli archivi e delle biblioteche della provincia di Pistoia

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In provincia di Pistoia il cammino per giungere alla realizzazione di una rete documentaria integrata tra biblioteche, archivi e istituti culturali presenti sul territorio, sul modello di quelle già realizzate in altre province toscane, è iniziato alcuni anni fa, con il protocollo d’intesa firmato il 22 giugno 1998 tra Provincia di Pistoia, Biblioteca Forteguerriana e Archivio di Stato. La discus-sione e l’approfondimento sono poi proseguiti a vari livelli fino ad arrivare alla costituzione formale della rete documentaria provinciale, presentata uffi- cialmente al pubblico in un incontro tenutosi il 6 e 7 dicembre 2000, quando, per dare sostanza conoscitiva e progettuale all’iniziativa era già stato deciso di richiedere ad esperti del settore di elaborare un progetto sulle linee di svilup-po della rete, progetto affidato per la parte bibliotecaria ed informatica a Giovanni Solimine, dell’Università della Tuscia di Viterbo e a Paul Gabriele Weston, dell’Università degli studi di Pavia e, per la parte archivistica, a Stefano Vitali, dell’Archivio di Stato di Firenze.

Adesso, con questa giornata su « Prospettive e sviluppi della rete degli archivi e delle biblioteche della provincia di Pistoia » siamo di fronte ad un’altra tappa importante del processo di costruzione della rete documentaria provinciale, in cui la presentazione dei due studi commissionati dall’Ammini- strazione provinciale si è accompagnata ad una intensa riflessione sul percorso intrapreso e su quello che resta da compiere.

Le relazioni sono state precedute dal saluto di Mariella Zoppi, assessore alla cultura della Regione Toscana, che, ricordando il recente accordo sul prestito interbibliotecario realizzato dalla Regione con le università toscane, ha sottolineato come la funzione delle reti documentarie sia quella di rendere più accessibili ad un numero maggiore di cittadini le biblioteche e gli archivi con i loro patrimoni di informazioni, contribuendo ad ampliare il livello di democrazia nell’informazione.

Subito dopo Luigi Giorgetti, assessore alla cultura della Provincia di Pi-stoia, ha introdotto i lavori, e, anticipando alcuni elementi della relazione Solimine-Weston, ha definito complessivamente debole il sistema biblioteca-rio provinciale, a causa del frazionamento territoriale e delle scelte operate negli anni ’70 e ’80 per creare molte biblioteche promotrici di cultura. Oggi si prefigura una biblioteca del XXI secolo come luogo attivo di educazione, attento non solo al mondo della lettura ma anche a quello dell’informazione, per sviluppare il senso critico del cittadino. In questa direzione il ruolo della Provincia tende più a incentivare lo sviluppo che a distribuire risorse. Per quanto riguarda gli archivi, l’intervento della Provincia è stato molto efficace in senso strutturale, con la creazione di una solida base di riordinamenti, realizzata dando priorità ad alcune tipologie di archivi, prima quelli comunali e poi quelli ecclesiastici. Ora la questione fondamentale è quella dell’ac- cessibilità fisica — ma anche virtuale come appunto la rete dovrebbe consen-tire con il trasferimento a livello informatico dei dati cartacei — che renda fruibili gli archivi riordinati e che, nella realtà provinciale fatta di piccole

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comunità, non può che passare attraverso gestioni consorziate degli enti che permettano anche di mantenere e proseguire il lavoro di ordinamento.

La scaletta degli interventi prevedeva per prima cosa la presentazione delle relazioni da parte degli autori del progetto di sviluppo della rete, per dedicare poi il resto della mattina al settore degli archivi, concentrando nel pomeriggio gli interventi volti a fare il punto sulla situazione delle bibliote-che. È toccato per primi a Giovanni Solimine e Paul Gabriele Weston presen-tare il loro « Progetto per lo sviluppo della rete documentaria della provincia di Pistoia », che, dopo un’analisi della situazione esistente, ipotizza un model-lo organizzativo ed un percorso per l’impianto della rete. Utilizzando i dati delle più recenti indagini condotte in Toscana, che riportano il trend di svi-luppo fatto registrare nel corso della seconda metà degli anni Novanta, Soli-mine ha analizzato alcuni dei principali indicatori relativi allo stato delle risorse disponibili e a quello dei servizi erogati, i quali collocano quasi tutte le biblioteche della provincia in linea con le medie regionali, mentre la suddivisione in fasce e il confronto con i dati medi nazionali fanno apparire una situazione diversificata in cui solo la Biblioteca Forteguerriana presenta valori soddisfacenti. Weston ha poi illustrato i risultati di un questionario appositamente predisposto, cui hanno risposto 20 biblioteche delle quali 18 comunali, utilizzato per rilevare le dotazioni tecnico-informatiche, la prepara-zione degli addetti e lo stato dei servizi: i risultati sono riassumibili in una dotazione informatica di base ma con poca attenzione verso apparecchiature avanzate; presenza di software diversificati alcuni dei quali non si prestano ad un uso in rete; pochi collegamenti di rete; catalogazione avanzata con recupe-ro del pregresso; prestito informatico e riproduzioni digitali limitate alla Forteguerriana; alfabetizzazione informatica diffusa ma competenze relative a trattamento immagini, gestione pagine web e gestione di reti solo per la Forteguerriana. Incrociando i dati di Solimine con quelli di Weston risulta una debolezza complessiva, con alcuni punti di forza che spingono decisamente verso un modello di architettura centralizzata o semicentralizzata, con Pistoia cuore della rete sia come centro hardware del sistema sia come politica di coordinamento e sviluppo della rete, altre 4-5 biblioteche come punti interme-di di snodo, le rimanenti in grado di poter usufruire dei servizi del sistema meno alcune che devono prima raggiungere un livello minimo di funzionalità. Il modello centralizzato proposto presenta costi maggiori nella fase iniziale di impianto ma consente di far funzionare meglio le risorse professionali presenti al centro, per realizzare più facilmente alcuni servizi come la catalogazione centralizzata, l’ufficio unico per gli acquisti, la gestione unitaria degli utenti. La realizzazione del modello è immaginata in quattro fasi, di cui le prime tre, realizzabili complessivamente in quattro anni, prevedono obiettivi differenziati per le biblioteche di diverso livello per tendere alla completa realizzazione del centro del sistema e ad una progressiva integrazione di tutte le biblioteche nella rete, mentre l’ultima è volta ad inserire la rete provinciale nel tessuto

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connettivo regionale e nazionale e ad inglobare nel sistema di ricerca della rete risorse documentarie non bibliografiche come archivi e musei.

È stata quindi la volta di Stefano Vitali, dell’Archivio di Stato di Firenze, che ha presentato il progetto « Reti di archivi in provincia di Pistoia », parten-do dalla considerazione che forse gli archivi, rispetto alle biblioteche, a causa della loro minore visibilità culturale, necessitano di una riflessione più appro-fondita per trovare le motivazioni di una politica culturale che tenda alla loro valorizzazione. Negli ultimi decenni è cambiata sostanzialmente la gerarchia delle fonti per fare storia, c’è stata una proliferazione di soggetti produttori e di soggetti conservatori, ma sono soprattutto cambiati il pubblico degli archivi e le aspettative che la società ed i singoli individui ripongono nei confronti degli archivi stessi. Oggi una corretta politica archivistica non può prescindere dal riconoscimento di questi cambiamenti che spingono verso la realizzazione di connessioni tra nuclei documentari conservati da soggetti diversi in uno stesso ambito territoriale, fino alla costruzione di un sistema complessivo delle fonti di un territorio. Nella provincia di Pistoia la situazione degli archivi maggiori (Archivi di Stato, archivi comunali ed ecclesiastici) presenta come principale punto di debolezza la scarsa accessibilità, mentre il punto di forza è costituito dai riordinamenti fatti. La proposta complessiva di Vitali è quella di rendere maggiormente consultabili gli archivi comunali basandosi sulle strutture che già esistono, ossia le biblioteche, ma soprattutto attivando processi di gestione aggregata tra i Comuni da affidare a cooperative, associa-zioni e nuove professionalità archivistiche. Contemporaneamente si dovrebbe cercare di valorizzare il patrimonio di conoscenza acquisito, elaborando un sistema di pubblicazione in rete di informazioni e descrizioni degli archivi della provincia in grado di interagire con altre risorse informative relative allo stesso territorio. Per quest’ultimo punto la relazione di Vitali propone di utilizzare un sistema di codifica delle informazioni basato sul linguaggio XML, che permette di riprodurre in rete la struttura degli archivi meglio di quanto non consenta una base di dati realizzata riversando direttamente le descrizioni archivistiche contenute negli inventari cartacei.

Dopo la presentazione delle relazioni di progetto, un primo contributo per riflettere sul ruolo degli archivi pubblici e sul significato della loro pre-senza in rete è venuto da Carlo Vivoli, direttore dell’Archivio di Stato di Pistoia, che ha definito una sfida e una scommessa l’inserimento degli archivi nella rete documentaria provinciale, dal momento che ovunque, anche se forse a Pistoia meno che altrove, gli archivi sono il punto debole delle reti docu-mentarie, essendo molto meno delle biblioteche inseriti nel tessuto culturale della società. La sfida sta nel riuscire a utilizzare Internet e la sua visibilità per dare voce e diffusione al pur notevole patrimonio informativo che gli archivi oggi possiedono, costituito dai molti inventari realizzati e dai contatti costruiti con altre istituzioni (ad es. quelle scolastiche con i percorsi didattici) e con il pubblico, attraverso le mostre. La pochezza delle risorse umane a disposizione degli archivi, soprattutto comunali — ma anche quelli statali

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hanno questo problema, soprattutto i piccoli archivi ubicati nelle città non sedi universitarie — rende quella dell’integrazione fra soggetti diversi, istituzionali e non (consorzi di Comuni ma anche cooperative e associazioni) l’unica strada possibile. Per la provincia di Pistoia, poi, un ulteriore elemento di divisione, da superare anche attraverso la rete e il processo di integrazione che essa comporta, è la presenza di due aree con storie istituzionali assai diverse, che anche in campo ecclesiastico si presentano frammentate con l’at- tuale suddivisione in due diocesi.

Come è stato sottolineato in più interventi, l’aspetto maggiormente posi-tivo della situazione degli archivi pubblici nella provincia di Pistoia è costitui-to dalla quantità di archivi storici comunali riordinati nel corso degli ultimi quindici anni, il che va indubbiamente a merito dell’impegno profuso in que- sta azione da Provincia, Regione e Soprintendenza archivistica; in rappresen-tanza di quest’ultima Sandra Pieri ha ribadito che una solida conoscenza della consistenza e delle caratteristiche del patrimonio documentario con cui si ha a che fare è requisito indispensabile per poter lavorare ad un progetto di con-nessioni tra gli istituti che quel patrimonio conservano e gestiscono. Con lo stesso principio la Soprintendenza ha realizzato, dal 1995 ad oggi, il progetto informatico Loran, una sorta di ipertesto che ha l’intento non di riprodurre gli strumenti di ricerca e di consultazione già esistenti, ma di fornire agli studiosi un panorama complessivo delle fonti prodotte dalle istituzioni sul territorio e la loro successiva destinazione conservativa. Il modello Loran, realizzato a carattere sperimentale e come tale limitato ad alcune zone principalmente dell’area fiorentina, si è dimostrato funzionante ed è ora terminata la realizza-zione dell’applicativo che ne consentirà la visibilità in Internet.

Il ruolo svolto dall’Amministrazione provinciale negli ultimi quindici anni a partire dalla pubblicazione della Guida agli archivi comunali (Gli archivi comunali della provincia di Pistoia, a cura di E. Insabato e S. Pieri, Firenze 1987), è stato invece sottolineato da Metello Bonanno e Fabiana Fabbri, funzionari dell’Assessorato alla cultura. La rassegna delle numerose iniziative, sia scientifiche che didattiche, di valorizzazione delle fonti, realiz-zate da parte di una pluralità di enti, quali Provincia, Ministero, Soprintenden-za, Comuni, ha teso a mettere in risalto come tutti questi stimoli, pur difettan-do forse di momenti di confronto e verifica, hanno però prodotto nuova sensibilità verso gli archivi, disponibilità di fonti, diffusa presenza di associa-zioni culturali. Ora il compito dell’Amministrazione provinciale è di unire e collegare queste forze, e la rete permette di integrare le iniziative dei vari soggetti e dare continuità agli interventi. Oggi il punto più qualificante del- l’azione dei soggetti pubblici è quello di dare appunto accessibilità alle fonti, poiché si è visto che anche la presentazione degli inventari stimola la richiesta di accesso e l’allargamento della base di fruizione produce la democraticità delle informazioni. Dal momento che i Comuni da soli non hanno risorse sufficienti, è necessario ricorrere a soggetti esterni oltre che per l’apertura degli archivi anche per la funzione di consulenza agli studiosi, senza dimenti-

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care che ogni anno nuova documentazione entra a far parte degli archivi di deposito e il lavoro di scarto e di inventariazione non deve fermarsi.

Paola Benigni, soprintendente archivistico per la Toscana, ha concluso gli interventi della mattina esprimendo una posizione differenziata rispetto alle varie richieste di ampliare l’accessibilità degli archivi che si sono succedute per tutta la giornata. Dopo aver sottolineato la difficoltà della Soprintendenza di fronte all’emergere di sempre nuove tipologie di archivi (industriali, politi-ci, sindacali, di associazioni, scolastici, di istituti finanziari, di personalità), tra le quali soprattutto gli archivi privati sono a forte rischio di dispersione, la Benigni ha chiesto di considerare la specificità della documentazione archivi-stica rispetto alle fonti bibliografiche. Le difficoltà di lettura e di corretta interpretazione dei documenti derivanti sia dalla lingua e dalla grafia usata, sia dalla loro natura di documentazione giuridica, a volte anche riservata, rendono il problema dell’accesso agli archivi una questione non solo di spazi fisici e di organizzazione, ma soprattutto una questione culturale. L’accessi- bilità è democrazia, ma la vera democrazia sta nel fornire gli strumenti di accesso anche culturali; si deve perciò educare agli archivi, mentre oggi materie come latino, diplomatica, paleografia, hanno sempre meno spazio nei piani di studio scolastici.

A conclusione della mattinata, oltre ad una breve replica di Stefano Vita-li a Paola Benigni sulla questione dell’accessibilità culturale delle fonti documentarie — quando si forniscono le condizioni strutturali di accesso, i nuovi bisogni culturali che si creano generano spontaneamente anche risposte nuove in grado di soddisfarli — si è registrato l’intervento di Roberto Cerri, dell’Archivio storico comunale di San Miniato, il quale, dopo aver fornito alcuni numeri relativi alla situazione degli archivi di enti locali toscani, ha sostenuto la necessità di interventi concreti perché nei prossimi anni, accanto ad una crescita del numero di archivi riordinati, non si abbia una stagnazione o peggio un decremento dei servizi offerti e delle professionalità reali impie-gate. Facendo l’esempio della provincia di Pisa, Cerri ha messo in evidenza come la legge regionale 35/99, che comprende gli archivi nelle reti documen-tarie, ed i piani di indirizzo regionali, sono strumenti che possono consentire alle Province di destinare risorse anche per l’apertura degli archivi e la quali-ficazione professionale degli addetti.

I lavori del pomeriggio sono stati introdotti dall’intervento di Gian Bruno Ravenni, della Regione Toscana, che ha prima presentato i risultati degli ultimi anni in tema di interventi regionali per la cultura e le biblioteche, interventi tesi soprattutto a costruire un quadro di risorse a disposizione, attraverso le politiche legislative e lo sviluppo dei metaopac. Il concetto su cui si è basata tutta la politica di relazioni istituzionali promossa dalla Regio-ne è quello del principio di sussidiarietà: ogni istituzione funziona se e in quanto riesce ad essere di aiuto alle altre. In questa ottica il compito della Regione è quello di costruire degli scenari di riferimento che stimolino gli enti locali ad impiegare risorse in certe direzioni, suggerendo, proponendo,

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indirizzando, ma senza imporre od obbligare. Lo sviluppo necessario di questo lavoro è la produzione di servizi visibili per i cittadini, e nel prossimo autunno la Regione attiverà una grossa campagna di comunicazione dei servizi disponibili. Ravenni ha poi sottolineato con forza la necessità che a monte di qualsiasi intervento o attività ci sia un progetto culturale; anche le scelte tecnologiche delle reti dipendono da questa progettualità, così come per gli archivi storici dei Comuni solo un progetto culturale di promozione può renderli fruibili una volta aperti. Gli archivi locali poi vanno visti in stretto rapporto di complementarità con le biblioteche, in quanto, mentre l’archivio possiede i dati relativi alla specificità del territorio in cui si trova, la bibliote-ca fornisce gli strumenti più generali per interpretare quei dati e confrontarli con altre realtà. Le ricerche di storia locale non possono rimanere chiuse su se stesse e limitarsi a prelevare dall’archivio comunale le informazioni relative solo a un determinato territorio, ma devono allargare la base informativa di dati su cui lavorare, perché la ricerca della memoria storica e dell’identità locale non deve avere intenti separatisti ma di apertura e rapporto con altre situazioni.

Lo stato di attuazione della rete provinciale per le biblioteche, cui hanno sinora aderito la Provincia, la Diocesi, l’Archivio di Stato, l’ASL e quasi tutti i Comuni, è stato presentato da Maurizio Vivarelli, direttore della Biblio-teca Forteguerriana di Pistoia che già ora si presenta come centro motore della rete ed il cui ruolo trainante è destinato a crescere ancora in futuro. Il quadro generale delineato non appare molto soddisfacente, dato che a fronte di alcuni risultati in termini assoluti (catalogo collettivo cumulato di 275.000 records integrato al metaopac regionale, crescita del prestito interbi-bliotecario), appare insufficiente la politica di investimenti sinora adottata per la rete in relazione alla sostanziale stabilità di alcuni indici relativi ai servizi (prestito, impatto), che rimangono abbastanza lontani dai livelli di eccellenza di altre aree toscane.

A seguire, gli interventi di vari bibliotecari hanno fatto il punto sulla si-tuazione delle singole zone in cui viene tradizionalmente suddiviso il territorio pistoiese, vale a dire la pianura orientale, la Valdinievole e la Montagna. Per primo Riccardo Bruni, della Biblioteca comunale di Agliana, ha presentato la situazione dei quattro comuni dell’area pistoiese (Agliana, Montale, Quarrata e Serravalle) fornendo una nutrita serie di dati relativi ai livelli di servizio, alle dotazioni, all’utilizzo delle risorse. Bruni ha terminato riassumendo i problemi comuni a quel gruppo di biblioteche e che ostacolano lo sviluppo della rete, vale a dire numeri poco brillanti sugli standard dei servizi, proble-mi di sede, carenza di personale e di qualificazione dello stesso, scarsità di risorse per investimenti, servizio solo parzialmente automatizzato.

È stata poi la volta di Omero Nardini, della Biblioteca comunale di Bug-giano, il quale, facendo proprio il giudizio di insufficienza della rete informa-tiva già affermato dalla relazione Solimine-Weston, ha cercato di individuarne i motivi con riferimento alla realtà della Valdinievole dove, di fronte a ragioni

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obiettive quali la frammentazione istituzionale e territoriale, prevalgono però le cause soggettive attinenti alle politiche culturali degli enti locali. Con l’esclusione di Pescia e Montecatini, tutte le altre biblioteche sono nate negli anni ’70 e ’80 sull’onda della legge regionale 33/76, con una discutibile impronta di biblioteche tuttofare, con funzioni anche di uffici per la cultura, i servizi scolastici, lo sport o il turismo, il che ha reso inadeguate le risorse per l’accrescimento delle collezioni e la professionalizzazione degli addetti. Nardini ha lamentato anche la scarsa presenza in Valdinievole di una cultura della collaborazione istituzionale, con tanti piccoli Comuni antagonisti, i cui amministratori hanno lasciato il dibattito sulla rete esclusivamente ai bibliote-cari. Viceversa, in tale situazione di vicinanza di ambiti e sovrapposizione di bacini di utenza, gli acquisti cooperativi potrebbero incrementare e differen-ziare i patrimoni, mentre altri strumenti formidabili per migliorare i servizi potrebbero essere i cataloghi provinciale e regionale — che già stimolano l’accesso diretto da parte degli utenti — e il prestito interbibliotecario, ancora poco utilizzato. La Valdinievole dispone anche di un importante patrimonio catalografico in varie biblioteche. Nardi ha concluso affermando che il model-lo di rete proposto, centralizzato o semicentralizzato, appare quindi ormai come una scelta obbligata, anche se in Valdinievole ha dato adito a qualche perplessità, e va perseguito quanto prima, costituendo presso la Forteguerriana il centro servizi del sistema.

Infine Paola Ferrari, della Biblioteca comunale di San Marcello, ha illu-strato la difficile situazione territoriale della Montagna pistoiese, dove, in un comprensorio vasto e dalla viabilità inadeguata, c’è solo la biblioteca di San Marcello e un punto di lettura a Cutigliano. La relatrice ha rilevato nell’ul- timo decennio un peggioramento rispetto alla dotazione di personale, cui sono state via via assegnate ulteriori funzioni, e all’indice di prestito. Nella prospet-tiva della rete, per la Montagna è vitale la cooperazione, attraverso l’acquisto centralizzato, il prestito interbibliotecario, la catalogazione centralizzata. Sin- golare ma sintomatica la posizione espressa riguardo all’archivio storico co- munale che è riordinato ed ha l’inventario pubblicato, ma pare costituire essenzialmente un fastidioso fardello per i servizi bibliotecari, che hanno l’onere di soddisfare le numerose richieste di accesso di utenti spesso motivati solo dalla curiosità personale per ricerche di scarso valore.

Nel dibattito che è seguito si sono distinte le voci di Elena Ricci, della Biblioteca comunale di Quarrata, che ha criticato l’indirizzo centralistico della relazione Solimine-Weston con il timore che si sottraggano troppe risorse alla periferia, e quella di Carlo Vannini, della Biblioteca comunale di Monsum-mano, che ha chiesto una più attiva presenza dei soggetti politico-istituzionali nella fase progettuale della rete, invitando l’assessore Giorgetti a coinvolgere maggiormente gli amministratori per ottenere un impegno più forte riguardo alla formazione del personale e all’attuazione dei servizi minimi.

Da parte degli archivisti, Stefano Vitali ha rimarcato la differenza tra ar-chivi e biblioteche anche nell’uso terminologico, il che non vuol dire separa-

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zione, perché archivi e biblioteche possono essere collegati da progetti cultu-rali complessivi che però dovrebbero riguardare anche la natura degli stru-menti e dei sistemi che si costruiscono per interfacciare istituti diversi. È poi tornato su quanto già espresso da Ravenni riguardo al tema dell’identità culturale e della memoria storica per sottolineare il rischio insito nell’ecces- siva accentuazione della relazione fra questi due termini che può essere usata facilmente nella ricostruzione storica a favore di una data realtà ma anche contro situazioni o soggetti diversi. Sul dibattuto tema dell’accessibilità degli archivi, ha detto di ritenere che, pur salvaguardando la conservazione, sia fondamentale garantire le più ampie possibilità di accesso a tutti i richiedenti, senza alcun filtro o limitazione; non è necessario che il contatto sia finalizzato ad una produzione scientifica di livello, anche la curiosità personale è di valore in quanto il contatto diretto genera consapevolezza e rendere accessibili gli archivi significa trovare le forme per mantenerli in vita.

È stato l’assessore Giorgetti a tirare le conclusioni della giornata, che è servita giustamente a mettere in evidenza le difficoltà e i problemi che si prospettano alla realizzazione della rete disegnando una strada più in salita che in discesa. La maggiore difficoltà è quella di riuscire a calare il modello teorico nella realtà, trovando equilibrio tra centralismo e periferia, con l’introduzione di metodi che, pur individuando una gerarchia di strutture, permettano di attuare concertazione e confronto. La distribuzione delle risorse dovrà riguardare sia la parte forte che quella debole, ma evitando meccanismi a pioggia, bensì realizzando, attraverso un monitoraggio da definire, un sistema che premi le attività basate su progetti, all’interno di una programma-zione culturale più generale al cui livello si colloca il vero ruolo di ammini-stratori e politici. Le biblioteche oggi non possono essere più solo centri di lettura, ma, insieme agli archivi, devono diventare centri di accesso all’infor- mazione, alla cultura, alla conoscenza, per la crescita del livello di democra-zia.

MASSIMO BRACCINI

Sezione di Archivio di Stato di Pescia

SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI: « ARCHIVI STORICO- EDUCATIVI E LORO ACCESSIBILITÀ INFORMATICA »

(Firenze, 31 gennaio 2002)

A conclusione del riordinamento dell’archivio di Ernesto e Anna Maria

Codignola e in occasione della pubblicazione dell’inventario sul web, si è svolto a Firenze, il 31 gennaio 2002, presso l’Auditorium della Regione Toscana, un seminario internazionale di studi dedicato agli archivi storico-educativi e alla loro accessibilità informatica. L’iniziativa è stata promossa e organizzata dalla Regione Toscana e dal Comune di Scandicci, con la collabo-razione dell’Università di Firenze, della Soprintendenza archivistica per la Toscana e del Centro studi pedagogici Codignola.

Densi e assai ricchi di spunti si sono rivelati gli interventi presentati dai relatori nell’arco dell’intera giornata. Tra le tante tematiche affrontate è comunque possibile individuarne alcune che hanno fatto da Leitmotiv alla discussione e che, grazie al loro carattere più generale, meritano una partico-lare attenzione, venendo inoltre a coincidere con i risultati raggiunti o con gli obiettivi ancora da porsi. Ci riferiamo in particolare all’affermazione della centralità delle fonti, in questa sede intese prevalentemente in ambito storico-educativo; alla riscoperta degli archivi delle personalità di cultura e degli archivi scolastici, da raccogliere e conservare, ma soprattutto da valorizzare e promuovere come veri e propri centri di documentazione per la storia dell’educazione e della scuola; infine, alle prospettive di sviluppo offerte dalle nuove tecnologie informatiche nel trattamento della documentazione archivi-stica, con modalità diverse da quelle convenzionali ma pur sempre finalizzate alla ricerca e all’uso pubblico.

Il seminario è stato organizzato in due distinte sessioni di lavoro; nella prima, presieduta da Mariella Zoppi, assessore alla cultura della Regione Toscana, ed introdotta da Gastone Tassinari, presidente del Centro studi pedagogici Codignola, si sono succeduti gli interventi di Emilio Capannelli, della Soprintendenza archivistica per la Toscana, Francesca Capetta, impegna-ta nel riordino dell’archivio Codignola, Franco Cambi, Carmen Betti, Dome-nico Izzo e Gabriele Turi, tutti dell’Università di Firenze. Questa prima serie di interventi si è incentrata sulla figura di Ernesto Codignola, pedagogista ed intellettuale legato al mondo della politica e della cultura, che ha sicuramente avuto il merito di coniugare la ricerca storica con l’operatività dell’educa-

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

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zione. Nella seconda sessione, presieduta dall’assessore all’istruzione della Regione Toscana, Paolo Benesperi, e dedicata al tema « Archivi e documenta-zione per la storia dell’educazione e della scuola », ha prevalso invece una connotazione più internazionale, grazie soprattutto agli interventi di Charles Magnin, presidente della Fondation Archives Institut J. J. Rousseau di Gine-vra, Nicholas Beattie, docente dell’Università di Liverpool e François Girau-deau dell’Ambasciata di Francia in Italia, i quali hanno presentato le proprie parallele esperienze, di seguito all’intervento di apertura di Dario Ragazzini, direttore del Centro Codignola.

1. L’Archivio di Ernesto e Anna Maria Codignola: suo significato archi-

vistico e culturale. — La relazione di Emilio Capannelli ha affrontato la tematica della specificità propria degli archivi di persona, soffermandosi sulle modalità con cui generalmente si organizzano tali archivi e sul carattere peculiare impresso dal soggetto produttore alle proprie carte: di qui l’impor- tanza di riprodurre con rigore « filologico » l’ordinamento datogli dal suo produttore, che talvolta può risultare rivelatore della volontà, più o meno latente, di lasciare una determinata immagine di sé. Gli archivi delle persona-lità vengono ad essere quindi la fonte più importante per la ricostruzione della loro biografia e del loro pensiero; essi riflettono in maniera viva e reale l’epoca e l’ambiente nei quali i loro produttori hanno vissuto ed operato e meritano di essere raccolti e conservati con la massima cura. Sono state quindi indicate le tipologie documentarie prevalenti: carteggi, diari, memoria-li, ma anche materiali di studio e manoscritti preparatori per pubblicazioni ed eventuali archivi aggregati; da non tralasciare poi il rapporto con le bibliote-che e le emeroteche, nonché la possibilità di « leggere » in parallelo gli archivi appartenuti a personalità diverse.

Con l’occasione è stato ancora una volta illustrato il progetto di censi-mento degli archivi delle personalità della cultura esistenti in Toscana fra Otto- cento e Novecento, promosso dalla Regione Toscana, in collaborazione con la Soprintendenza archivistica e l’Accademia di Scienze e Lettere « La Colom-baria » di Firenze. L’indagine, ancora in fase di elaborazione, ha riguardato oltre 600 fondi dislocati nell’area fiorentina, grossetana, livornese e pisana, e presto si completerà con i censimenti relativi alle altre province toscane 1; si prevede inoltre la creazione di un’apposita banca dati consultabile in rete 2.

1 I risultati delle indagini condotte sul territorio fiorentino e sulla provincia di Pisa sono stati pubblicati in due volumi: Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area fiorentina, a cura di E. CAPANNELLI e E. INSABATO, Firenze, Leo S. Olschki, 1996; Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area pisana, a cura di E. CAPANNELLI e E. INSABATO, Firenze, Leo S. Olschki, 2000.

2 Ulteriori informazioni sono presenti nel sito web: <http://www.archivi.beniculturali.it/ divisione_III/siusa.html> L’accesso in rete sarà disponibile attraverso il sito <http:// www.cultura.toscana.it/arch/progreg/archcult.html>.

Seminario: « Archivi storico-educativi e loro accessibilità informatica » 399

Tutto ciò consentirà agli studiosi di poter disporre di fonti archivistiche fino ad ora difficilmente consultabili, nonché di comprendere al meglio i legami fra i diversi nuclei documentari.

Venendo poi ad illustrare l’archivio Codignola, Capannelli ha messo in luce come esso offra una testimonianza, ricca e di prima mano, sulla vita culturale di un’epoca, quella appunto compresa fra le due guerre, in particola-re per quanto riguarda l’ambiente fiorentino. L’archivio, oltre alla serie dei carteggi (rilevante la corrispondenza con Giovanni Gentile, Luigi Russo, Gaetano De Sanctis, Agostino Gemelli, Lamberto Borghi, Adolfo Omodeo, Giuseppe Lombardo Radice e molti altri ancora), è ricchissimo di materiale documentario di studio e di lavoro, raccolto dai coniugi Codignola durante le diverse attività da loro intraprese; fra queste si ricordano l’attività editoriale con i Vallecchi, la collaborazione con Luigi Russo fino alla pubblicazione delle riviste « La Nuova Italia » e « Civiltà moderna », gli scritti sul gianseni-smo, sicuramente uno dei momenti più alti di studio di Codignola, la costitu-zione e la gestione di Scuola-Città Pestalozzi, i rapporti con le istituzioni internazionali per iniziative pedagogiche ispirate all’attivismo e agli ideali dell’educazione democratica.

Nell’intervento di Capannelli non sono mancati alcuni esempi pratici sull’utilizzo della documentazione dell’archivio Codignola ai fini della ricerca storica: attraverso le carte è possibile ripercorrere i complessi rapporti fra la neoscolastica e l’idealismo di Gentile e di Croce, il legame, in relazione alla riforma scolastica del 1923, con il fascismo, poi ricusato, o rivivere l’emble- matico caso di accoglienza e di appoggio offerti al filologo ebreo Paul Oskar Kristeller, giunto in Italia nel 1933 per sfuggire alle persecuzioni naziste in Germania e costretto in seguito alla forzata emigrazione negli Stati Uniti, in conseguenza della promulgazione delle leggi razziali del 1938. L’archivio quindi si può leggere come rivelatore della vita e del pensiero di quegli anni, sicuramente tra i più complessi e travagliati della storia italiana.

Francesca Capetta, impegnata nel riordinamento dell’archivio Codignola, ha illustrato il patrimonio del Centro, presentando il progetto di lavoro ed il sito web che ne è derivato 3. L’archivio, messo a disposizione degli studiosi per volere del figlio, Tristano Codignola, è costituito dagli Epistolari di Ernesto e Anna Maria (circa 26.000 lettere), da una sezione di Documenti che raccoglie lettere, circolari ed atti concernenti le diverse attività di Ernesto Codignola, dall’archivio aggregato riguardante la fondazione Scuola-Città Pe- stalozzi con il materiale relativo alle iniziative pedagogiche svolte nel secondo dopoguerra, da una ricca Fototeca di ambito familiare ma anche didattico, utile, ad esempio, per lo studio degli ambienti e dei materiali scolastici degli

3 L’Archivio Codignola è consultabile presso il Centro di studi pedagogici Codignola « Le Corbinaie » a Scandicci (FI). L’indirizzo del sito web è <http://www.codignola.scandiccicul- tura.org>. Vi si accede anche dalla home page del Comune di Scandicci: <http://www.comune.scandicci.fi.it>.

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anni Trenta, dalla raccolta delle opere di Codignola, da una ricca Emeroteca e dalla collezione dei volumi della casa editrice fiorentina La Nuova Italia, fondata nel 1925 con l’appoggio di Codignola e da lui in seguito rilevata. Il progetto di lavoro 4, partito nel 1997 con l’obiettivo di produrre una schedatu-ra analitica ed informatizzata del materiale documentario non compreso nell’inventario edito nel 1987 a cura di Gori 5, ha portato anche alla realizza-zione di uno strumento di consultazione in rete, rendendo così accessibile una parte cospicua del patrimonio documentario. Dalla home page 6 del sito si accede a sette sezioni, articolate in successive pagine, che forniscono notizie sul Centro Codignola e sulla sua struttura, sulle modalità di accesso per la consultazione del materiale documentario, su Ernesto Codignola e la sua attività, sull’archivio e sui fondi che lo compongono; infine vi è la parte relativa alla ricerca, attivabile per campo (mittente/destinatario, firma), per parola, per nome di persona o per ente.

Illustrando la documentazione della fototeca la relatrice infine ha auspi-cato un prossimo intervento di digitalizzazione che, oltre ad essere un valore aggiunto delle raccolte fotografiche stesse, ne consentirebbe una migliore tutela, contribuendo alla conoscenza e alla valorizzazione della fotografia, intesa come fonte per la ricerca storica e sociale. L’apporto delle nuove tecnologie, in questa sede, è quindi parso davvero carico di nuove prospettive di sviluppo, basti pensare alle possibili letture trasversali che deriverebbero raccordando virtualmente le fonti provenienti da altri archivi di personalità, anche di diverse città, o da parti rilevanti dei loro epistolari, nonché dagli archivi delle case editrici e via dicendo.

La prima parte della giornata si è conclusa con una tavola rotonda che ha fatto luce sulla poliedrica figura di Ernesto Codignola: gli interventi di Franco Cambi e Carmen Betti hanno ripercorso le linee principali del pensiero pedagogico di Codignola, mentre Domenico Izzo, in qualità di allievo, biogra-fo e primo riordinatore delle carte, ha restituito una testimonianza viva e personale del Codignola maestro, editore e promotore di cultura, sottolinean-do, in particolare, gli sforzi da lui compiuti nella valorizzazione dei giovani intellettuali dell’epoca. Gabriele Turi infine ha posto l’accento sugli aspetti politici del pensiero di Codignola, soffermandosi in specie sul legame con

4 Il progetto, finanziato dalla Regione Toscana e dal Comune di Scandicci, ha visto la par-tecipazione sul versante archivistico di Maria Tedesco, Angela Parini e Francesca Capetta, con la consulenza di Emilio Capannelli; per la parte biblioteconomica si è avvalso della collaborazione di Alessandro Bonechi, Riccardo Borgioli e Carlo Paravano.

5 L’Epistolario di Ernesto Codignola conservato presso il Centro di Studi pedagogici “Er-nesto e Anna Maria Codignola” di Firenze, catalogo a cura di R. GORI, Firenze, Giunta Regionale Toscana & La Nuova Italia Editrice, 1987.

6 Le pagine illustrative del sito web sono state create tramite un data base realizzato in Ac-cess cui si affianca il sistema di ricerca in tecnologia ASP; tali operazioni sono state coordinate dal prof. Gastone Tassinari e del dott. Lorenzo Guasti.

Seminario: « Archivi storico-educativi e loro accessibilità informatica » 401

quel « fascismo ideale » cui si ispirava la riforma scolastica di Gentile del 1923, e sul rapporto con il delicato e complesso periodo storico intercorso fra le due guerre, coinciso per altro con il momento centrale dell’attività del Codignola. Ancora una volta è stato evidenziato come tramite i documenti si possano rileggere i contatti stabiliti dal Codignola ora con i diversi personaggi della politica e della cultura, ora con il mondo universitario (ad esempio attraverso le lettere di studenti e laureandi), ora con il mondo editoriale e quello scolastico. L’intervento è quindi terminato con un sentito invito rivolto alle istituzioni affinché intervengano rapidamente nella salvaguardia di tutta una serie di archivi appartenenti al patrimonio culturale italiano, i quali versano in stato di grave degrado o rischiano addirittura la dispersione.

2. Archivi e documentazione per la storia dell’educazione e della scuola.

Raccolta, conservazione, valorizzazione, ricerca. — I lavori sono ripresi con la relazione di Dario Ragazzini dedicata alle fonti storico-educative nell’epoca della loro accessibilità informatica. Il primo tema proposto è stato quello della storiografia in rapporto alle fonti. Lo storico può essere inteso come « anima-tore » delle fonti dal momento che le interroga; lo storico è anche « esposito-re » dei risultati, attraverso il libro, che, per sua natura, soggiace alla spinta a valorizzare gli aspetti più appetibili: le fonti, in questa sede, sono usate come meri esempi rappresentativi e sono finalizzate a supportare le ipotesi avanzate dallo storico. Tra la fase della ricerca e quella della comunicazione del risulta-to cambia la prospettiva e ci si rivolge al destinatario: il lavoro storiografico di apprendimento e conoscenza resta dunque sommerso. Cosa cambia o potrebbe cambiare con l’avvento e l’applicazione dell’informatica? Il relatore sostiene che, in primo luogo, potrà emergere maggiormente il lavoro condotto sulle fonti, le quali, assumendo una posizione centrale, potranno divenire esse stesse oggetto di comunicazione. Assisteremo forse alla trasformazione del ruolo dello « storico esploratore » che « va, vede e racconta » in quello dello « storico regista » che organizza una sorta di scenografia interattiva fatta di fonti entro le quali l’utente è invitato a muoversi: se il medium rimane il libro, lo storico svolge la sua funzione di narratore; se i media diventano, ad esem-pio, gli archivi e le banche dati on line, lo storico è chiamato a svolgere il ruolo di organizzatore di fonti. Restano comunque aperti i problemi legati alla gestione delle fonti elettroniche, alla loro accessibilità, al sistema operativo usato e ancora, al complesso linguaggio dei thesauri e dei descrittori, all’ag- giornamento del software, all’autenticità e alla certificazione. Ci pare di poter affermare che, con l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche, anche i confini esistenti tra le varie professioni, in particolare quelle dello storico, dell’archivista e del bibliotecario, si vadano via via sfumando, a favore di una convergenza di interessi e obiettivi comuni, mentre ci pare necessario mante-nere distinte le competenze che sono proprie delle diverse professionalità.

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Nel successivo intervento, François Giraudeau ha presentato il caso del Musée national de l’Éducation di Rouen per la ricerca pedagogica 7, diretta emanazione dell’Institut national de recherche pédagogique (INRP). Il museo, fondato a Parigi da Jules Ferry nel 1879, fu trasferito a Rouen nel 1980 e posto alle dipendenze del Ministero dell’educazione e della ricerca, con la funzione di raccogliere « reperti » e rappresentazioni della storia dell’educa- zione, tanto scolastica quanto extra-scolastica e familiare. In particolare Giraudeau ha illustrato i possibili percorsi che si possono compiere all’interno di quello che potremmo definire un museo dei materiali scolastici e pedagogi-ci. Di recente è stato attivato anche un servizio per la ricerca pedagogica e si sta cercando di promuove l’uso attivo del museo da parte degli alunni e delle scolaresche che vi si recano in visita. Di sicuro interesse sono poi le collezio-ni ivi raccolte, le quali offrono una reale testimonianza storica nel campo della storia dell’infanzia, dell’educazione, della famiglia, della scuola; vi trovano infatti largo spazio le collezioni di stampe, dipinti e immagini scola-stiche, di mobilio (banchi, cattedre), materiali pedagogici (carte geografiche, mappamondi, apparecchi per la riproduzione luminosa), di giochi e giocattoli e ancora una ricchissima fototeca, collane di libri per l’infanzia e materiale autografo, tra cui una raccolta di quaderni scolastici, il tutto ad esemplifica-zione della vita scolastica e, in accezione più vasta, anche sociale, a partire dalla metà del Cinquecento.

La riflessione proposta da Charles Magnin sul tema Reperti e fonti nella ricerca e nell’uso pubblico della storia dell’educazione ha presentato, attra-verso lo studio degli archivi ginevrini, gli sviluppi degli ultimi trenta anni riguardanti, da un lato, la natura degli archivi e delle collezioni storiche dedicate all’educazione e all’istruzione pubblica e, dall’altro, la storia del- l’educazione stessa, intesa come espressione di un sapere. Ci si è quindi interrogati su quali e quante siano state le fonti utilizzate dai ricercatori di storia dell’educazione conservate nell’Archivio di Stato di Ginevra, nell’Ar- chivio del Dipartimento dell’istruzione pubblica o ancora, negli archivi delle varie istituzioni scolastiche. Infine è stato sottolineato il grande successo di pubblico che hanno incontrato le collezioni e i materiali storici sull’istruzione pubblica ginevrina e sull’educazione depositate, a partire dal 1988, presso la Communauté de recherche interdisciplinaire sur l’éducation et l’enfance (CRIEE). La scelta di realizzare un’opera divulgativa ma di qualità è rimasta alla base di questa felice iniziativa: le mostre fino ad ora organizzate hanno confermato un crescente interesse del pubblico, sia come coinvolgimento emotivo che intellettuale, nei confronti dei processi educativi e della storia stessa dell’educazione; tutto ciò lascia intravedere che, grazie anche alle nuove tecnologie informatiche, simili iniziative potranno uscire dal contesto locale e allargarsi verso ambiti internazionali (si pensi ad esempio alla crea-

7 Il sito web del Musée national de l’éducation è visitabile attraverso il link contenuto nella home page dell’Institut national de recherche pédagogique: <http://www.inrp.fr>.

Seminario: « Archivi storico-educativi e loro accessibilità informatica » 403

zione di banche dati unificate tra i diversi paesi, o alla riscrittura di storie comparate dell’educazione). Si può quindi affermare che nell’era di Internet e della diffusione facilitata dei documenti stia arrivando il momento di far emergere una lettura che privilegi i caratteri comuni della storia dell’educa- zione scolastica, anche attraverso il superamento dei limiti e delle visioni politiche nazionali.

Nicholas Beattie ha aperto la discussione con alcune considerazioni sull’utilizzo di biblioteche e archivi, intesi quali strumenti per lo studio dell’educazione nell’età contemporanea. Presentando l’esperienza anglosasso-ne si è quindi soffermato sui cosiddetti Educational Studies, da intendersi come materiali pedagogici dai risvolti marcatamente imprenditoriali, dove pubblico e privato tendono a coniugarsi: la « materia prima » intellettuale è ricavata dalle Università, le quali godono dei finanziamenti pubblici, mentre l’aspetto legato ai risultati (materiali per l’insegnamento, libri, corsi di perfe-zionamento) è gestito e commercializzato in ambito privato, con un conse-guente conflitto di vedute fra produttori di Educational Studies e consumatori (in genere gli insegnanti).

Sono state infine sottolineate le concezioni pioneristiche che sono state alla base del sistema educativo pensato da Codignola: creare cioè reti di comunicazioni che collegassero diverse aree di opinione, mettessero in rap- porto gli insegnanti con il mondo esterno alla scuola (istruzione superiore, mondo politico, intellettuali, famiglie) e utilizzassero un’ampia varietà di mezzi di informazione, come riviste, giornali, incontri, istituzioni e associa-zioni, per suscitare dibattiti sempre più ampi sulle modalità e le prospettive dell’educazione stessa; in quest’ottica la tecnologia informatica avrebbe sicuramente rappresentato un valido supporto.

Tirando le conclusioni si può certamente affermare che la giornata ha avuto un largo successo di partecipazione, ponendo diverse generazioni in colloquio tra loro. La stratificazione degli interessi prospettati, la circolarità delle ricerche internazionali condotte in ambiti diversi, anche se per lo più a carattere storiografico e pedagogico, sono sicuramente da considerarsi obietti-vi raggiunti. È chiaro che molto resta ancora da fare nei confronti della salvaguardia della documentazione archivistica conservata presso le istituzioni scolastiche, soprattutto adesso che nel quadro dell’autonomia gli istituti stessi sono messi in condizione di intraprendere attività di riordinamento e inventa-riazione dei propri archivi.

SILVIA FLORIA

SEMINARIO: « LE AMMINISTRAZIONI COMUNALI NELL’AREA ALTO-ADRIATICA IN ETÀ CONTEMPORANEA.

STATO DEGLI STUDI E PROSPETTIVE DI RICERCA » (Vicenza, 19 ottobre 2002)

Il seminario, tenutosi presso l’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, fa seguito ad altre iniziative analoghe di Filiberto Agostini, della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Padova, che da anni sta asse-gnando tesi di laurea su archivi comunali del Veneto, creando così proficui legami scientifici con le amministrazioni locali che vengono sempre più sensibilizzate nei confronti del loro patrimonio documentario.

L’incontro di quest’anno verteva sugli archivi ottocenteschi e prendeva in considerazione — come quelli precedenti — il mondo veneto in senso lato (quindi non solo il Veneto e il Friuli, ma anche la costa orientale del- l’Adriatico settentrionale) in considerazione degli identici trascorsi istituzio- nali e amministrativi, sia pure con sfasature cronologiche, fino alla seconda guerra mondiale.

Su questa condivisione di esperienze storiche si è soffermato nella intro-duzione ai lavori Gabriele De Rosa, presidente dell’Istituto, che ha ribadito la necessità per gli studiosi di informare e discutere sugli archivi comunali dell’area in esame in modo da realizzare in ambito italiano, sloveno e croato una rete di dati su archivi, strumenti di corredo e ricerche in atto in modo da agevolare la fruibilità di queste importanti fonti.

Vivace interesse, domande, proposte, richieste di approfondimento e di chiarimenti ha suscitato la relazione (La sorveglianza della Soprintendenza archivistica per il Veneto sugli archivi comunali) di Giustiniana Migliardi o’Riordan, soprintendente archivistico per il Veneto, che dopo aver ricordato l’importanza degli archivi comunali per le ricerche di storia locale e la scarsa sensibilità degli amministratori nei confronti del patrimonio archivistico, spesso affidato a mani inesperte, ha illustrato la normativa vigente, l’attività del suo istituto e le opportunità sia finanziarie sia formative offerte dallo Stato e dalla Regione, oltre che dall’Associazione nazionale archivistica italiana.

Filiberto Agostini, nella relazione intitolata Gli archivi comunali del Ve-neto e la loro utilizzazione storica, ha constatato con soddisfazione come in Italia si siano pubblicati negli ultimi anni alcuni volumi fondamentali sulla

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Seminario: « Le amministrazioni comunali nell’area alto-adriatica in età contemporanea »

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storia delle città, volumi che hanno esaminato le vicende istituzionali, i processi di organizzazione dei servizi di pubblica utilità a partire dalle municipalizzazioni di inizio Novecento, la vita cittadina, sottolineando la funzione dei Comuni come fattore connettivo e ordinatore del vivere civile. Altrettanto non si può affermare per l’Europa orientale. Dopo aver passato in rassegna le iniziative congressuali e editoriali venete degli ultimi venti anni, Agostini ha ricordato la necessità di approfondire le ricerche di storia della burocrazia, l’analisi delle élites dirigenti locali e dell’associazionismo politico e culturale in sede locale; ha poi richiamato l’esigenza di una prospettiva comparata, sincronica e diacronica, che allarghi la visuale ai Comuni di Austria, Slovenia e Croazia soggetti alla medesima organizzazione statale, completando quanto finora fatto per l’età moderna. Ha infine esposto la sua positiva esperienza di docente nel rapporto con i laureandi « sguinzagliati » a caccia di archivi comunali, che grazie a quest’opera di valorizzazione si sono trasformati « da casa delle ombre a casa delle meraviglie ».

Andrea Desolei, dell’Archivio storico del Comune di Padova, ha descrit-to un caso concreto: L’Archivio del Comune di Padova. Vicende, strumenti e prospettive di ricerca per una storia della città. La storia dell’archivio del Comune di Padova è stata recentemente ricostruita a partire dal Medioevo fino alle ultimissime iniziative di un’amministrazione che ha riscoperto il valore delle proprie carte. Desolei, dopo aver richiamato l’esito di tali studi, ha indicato i possibili itinerari di ricerca passando in rassegna sia la docu-mentazione prodotta dal Comune sia quella di alcuni significativi archivi aggregati, che testimoniano scelte amministrative ben precise di fronte a specifici problemi cittadini.

Altrettanto interessante la relazione di Egidio Ivetic, dell’Università di Padova (Gli archivi dei comuni della costa adriatica orientale. Conservazio-ne e fruibilità), che ha presentato un censimento della documentazione pro- dotta dai Comuni di Trieste, Pisino, Capodistria, Parenzo, Rovigno, Fiume, Zara, Spalato, Ragusa, Cattaro, Valona, Durazzo e Scutari. La legge archivi-stica jugoslava del 1962 ha imposto la concentrazione negli istituti regionali di conservazione degli archivi comunali e parrocchiali anteriori al 1945; ciò assicura agli storici la disponibilità di tale materiale. Ivetic ha poi presentato un bilancio storiografico: lo studio della storia nazionale prevale rispetto a quello della storia dei singoli comuni, specie per il periodo successivo al 1945, nonostante l’identità comunale sia fortissima. Eppure la Jugoslavia di Tito (1945-1980) è particolarmente interessante per chiarire, rispetto al periodo precedente, l’evoluzione del paese, del quale sono stati esaminati i processi di modernizzazione e industrializzazione, le élites urbane e la formazione dei quadri del partito e la penetrazione di quest’ultimo nella società.

Una vivacissima discussione, alla quale hanno partecipato studiosi, lau-reandi ma anche amministratori pubblici, ha concluso i lavori della mattinata: i principali problemi di conservazione e valorizzazione sono stati affrontati e sviscerati con soddisfazione dei presenti. Particolarmente avvertito si è rive-

Giorgetta Bonfiglio-Dosio

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lato il problema dell’accesso, spesso compromesso non solo dalle recenti norme sulla consultabilità interpretate in modo restrittivo ma anche dalle oggettive condizioni di abbandono e di disordine delle carte. Altra questione rilevante è apparsa la carenza di personale specializzato nel riordinamento e nella inventariazione, che quasi mai è presente fra gli organici dei piccoli Comuni e che deve quindi essere reperito sul mercato dei liberi professioni-sti.

Gorazd Bajc (Centro di ricerche scientifiche della repubblica di Slove-nia), nella relazione Cenni sul riordinamento amministrativo dell’Istria slo- vena nel secondo dopoguerra (1945-1954), ha analizzato un’epoca molto delicata della storia dell’Alto Adriatico, caratterizzata dalla necessità di ridi- segnare le circoscrizioni territoriali in modo da instaurare nuovi equilibri sulla scorta delle tradizioni geo-storiche, nonostante l’influenza delle grandi potenze e le dispute politico-ideologiche sui confini dello Stato. Ha precisato l’estensione della zona A e della zona B nelle due differenti ridefinizioni susseguitesi dopo il 1945 e ha illustrato la riorganizzazione del sistema scolastico, le difficoltà di introdurre la nuova moneta e di rilanciare i com-merci, il nuovo assetto sociale pesantemente condizionato dall’onnipresenza del partito comunista, l’affermarsi della ideologia jugoslava. La storiografia slovena, che è sempre stata influenzata dal potere politico, ha problemi a dialogare con gli storici italiani, i quali, a causa anche delle difficoltà lingui-stiche, conoscono poco la letteratura locale. Va rimarcato il fatto che Bajc ha consultato con molto profitto gli archivi dei servizi segreti inglesi operanti in Slovenia conservati a Londra, perché l’intricata situazione di quell’area è stata sempre controllata con estrema attenzione dalle grandi potenze straniere. Rita Tolomeo, dell’Università di Roma « La Sapienza » ha inviato la sua relazione (L’Archivio di Stato di Zara e la sua utilizzazione per la storia della città in età contemporanea), che è stata letta da Francesca Salghetti-Drioli. Riallacciandosi ai lavori di Giorgio Cencetti e di Elio Lodolini sugli archivi della Dalmazia, la Tolomeo ha ripercorso le vicende dell’archivio della Comunità zaratina a partire dal 1624, ricordando in particolare il 1814, anno in cui il governo centrale, dimostrando grande sensibilità culturale, costituì l’Archivio degli atti antichi, nel quale tra il 1843 e il 1921 lavoraro-no illustri archivisti, che diedero vita anche alla rivista « Tabularium ». In quel periodo confluirono nell’istituto zaratino archivi comunali e familiari. Dopo l’8 settembre 1943 alcuni fondi vennero inviati a Venezia, ma nel 1949 altri furono restituiti dallo Stato italiano alla Jugoslavia. Nel secondo dopo-guerra numerosi traslochi resero travagliata la vita dell’Archivio, che alla metà degli anni Novanta del secolo scorso ha subito le conseguenze dei bombardamenti. La consistenza degli archivi comunali concentrati nell’isti- tuto di Zara è notevole e significativa; a partire dal 1977 si sono inoltre intensificate le pubblicazioni sulla storia della città.

La relazione di Vicko Kapitanovic, dell’Università di Spalato, su Le am- ministrazioni comunali e la Chiesa in Dalmazia dalla restaurazione del 1815

Seminario: « Le amministrazioni comunali nell’area alto-adriatica in età contemporanea »

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alla rivoluzione del 1848 ha illustrato le consistenti analogie e identità riscontrabili tra i centri delle due sponde adriatiche accomunati dall’apparte- nenza all’Impero austriaco: una realtà statuale che peraltro favorì l’identità nazionale dalmata sia creando un Regno di Dalmazia sia emanando specifi-che leggi. A giudizio del relatore, la Chiesa dalmata ha tratto prestigio e ricchezza dal fatto di avere operato, all’inizio anche a livello politico, in Stati diversi, soprattutto nella Repubblica di Venezia e nell’Impero austriaco, entrambi organismi multietnici. A partire dal 1817 in Dalmazia entrano in vigore codici austriaci molto simili a quelli vigenti nel Lombardo-Veneto; risale al 4 maggio 1821 l’organizzazione territoriale che prevede circoli, distretti e comuni, guidati quest’ultimi da podestà di nomina regia. In uno stato centralistico e ancora giuseppino come l’Austria, i pubblici dipendenti devono assistere alla messa domenicale, il clero è soggetto al diritto comune e i parroci sono a tutti gli effetti funzionari statali; il controllo statale sul clero, sulla gestione dei benefici ecclesiastici e sulle pratiche religiose è rigido, ma è soprattutto l’istruzione il campo nel quale le relazioni tra Stato e Chiesa sono più strette. Gli archivi ecclesiastici sono veramente ricchi nelle città in cui non arrivarono i turchi e alcuni, come quello dei benedettini, sono conservati nell’Archivio di Stato di Zara, mentre in altri casi archivi civili sono confluiti in istituti ecclesiastici (ad esempio, gli atti notarili di Sebenico sono conservati nel Seminario vescovile).

Peter Urbanitsch, dell’Università di Vienna, ha illustrato le Nuove dina-miche nello studio delle piccole città nell’Austria del XIX secolo. Queste ultime, tradizionalmente studiate solo per l’epoca medievale e moderna, stanno conoscendo in tempi recenti un’attenzione crescente da parte degli storici. Si sta ridefinendo il concetto di « piccole città » non più solo tramite parametri demografici e giuridici, ma anche funzionali: sono nate così alcune ricerche con approcci tematici inediti (ad esempio, storia dell’urbanistica come strumento e simbolo della modernizzazione, analisi delle feste come modo con cui la città viene vissuta), condotte su una molteplicità di fonti (quindi non solo archivi cittadini, ma fondi di varia natura conservati negli Archivi di Stato, archivi di associazioni, fonti autobiografiche, giornali locali).

Le conclusioni, affidate a chi scrive, hanno sottolineato l’utilità di un confronto interdisciplinare e geostoriografico intenso come quello offerto dal seminario. Gli archivi comunali, che sono stati al centro dell’attenzione di archivisti, studiosi e amministratori, stanno dimostrando le loro ancora inedite potenzialità. Le relazioni presentate durante il seminario non sono state che un assaggio dei molteplici percorsi di ricerca possibili e auspicabili; esse hanno evidenziato la ricchezza di spunti per una storiografia che ha spostato i propri interessi verso lo studio di realtà solo apparentemente minute del vivere collettivo e viceversa del tutto rivelatrici del modo con cui i cittadini recepiscono e vivono in prima persona i grandi problemi dello Stato. Gli archivi comunali presentano problemi enormi di conservazione prima di tutto,

Giorgetta Bonfiglio-Dosio

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di gestione e di valorizzazione poi; eppure singoli casi felici hanno dimostra-to quale potere attrattivo può avere un archivio comunale bene organizzato nei confronti degli archivi disseminati fino a diventare un’autentica « casa della memoria » locale, nella quale si vive nella concretezza del quotidiano il trend istituzionale, sociale, economico, culturale più generale e nella quale si può realizzare un continuo laboratorio didattico destinato alle giovani genera-zioni. Bisogna prima di tutto creare una diffusa sensibilità per la conserva-zione di tale patrimonio documentario, impresa nella quale l’incontro tra archivisti, storici e amministratori non può che essere fecondo: la crescente attenzione degli storici per la storia istituzionale e burocratica è un segnale incoraggiante e lo strumento principe per innescare processi di identificazio-ne. Del resto più aumenta la facilità di accedere ai documenti e allo studio delle vicende locali, più cresce l’amore delle comunità per i loro archivi e di conseguenza la disponibilità ad investire risorse umane e finanziarie per la salvaguardia del patrimonio archivistico. Confronti storiografici come quello proposto a Vicenza apportano un contributo rilevante anche per l’attività degli archivisti, specie per quanto attiene alle operazioni di selezione del materiale, necessaria — stante la mole della produzione contemporanea — ma estremamente delicata in considerazione degli indirizzi sempre nuovi della ricerca.

GIORGETTA BONFIGLIO-DOSIO Università degli studi di Padova

CONVEGNO: « TRA STATO E SOCIETÀ CIVILE: MINISTERO DELL’INTERNO, PREFETTURE, AUTONOMIE LOCALI. DIMENSIONE STORICA, PROCESSI EVOLUTIVI, ASSETTO ATTUALE »

(Roma, 6-8 novembre 2002)

Organizzato dalla Scuola superiore dell’Amministrazione dell’interno, dall’Università degli studi di Cassino, dalla Società per gli studi di storia delle istituzioni e dall’Archivio centrale dello Stato, si è svolto a Roma dal 6 all’8 novembre 2002 un convegno che ha riunito prefetti, storici e archivisti in un incontro molto interessante teso a ricostruire la storia del Ministero dell’in- terno e della figura del prefetto in Italia dall’Unità ad oggi (con particolare attenzione alle problematiche attuali) e lo stato delle fonti, cui è stata dedicata la terza giornata.

I lavori del convegno, pensato nell’ambito delle celebrazioni per il 200° anniversario dell’istituzione del prefetto nella Francia napoleonica del 1802, si sono aperti nella sede della SSAI in via Veientana con il saluto del sottose- gretario all’interno, sen. Antonio D’Alì, e l’introduzione del direttore della Scuola superiore, prefetto Marisa Troise Zotta, che ha poi assunto la presi-denza della prima sessione, dedicata alla storia e alla storiografia sul Ministe-ro dell’interno e sulle Prefetture.

Al primo dei due temi ha dedicato la sua relazione Guido Melis (Univer-sità degli studi di Roma « La Sapienza »), storico delle istituzioni, ricostruen-do in modo dettagliato l’evoluzione del Ministero dagli ultimi anni del Regno di Sardegna al periodo fascista. Nell’ambito di circa un secolo di storia Melis ha segnalato sette momenti significativi: 1) l’ordinamento Ricasoli, che fece emergere il dualismo (rimasto costante negli anni successivi) tra il concetto di Ministero generalista, garante del cittadino, e il Ministero di polizia, tutore dell’ordine pubblico; 2) il primo decennio postunitario, in cui si perfezionò il ruolo del Ministero come cinghia di trasmissione tra centro e periferia grazie ai prefetti dell’unificazione, cui la legislazione attribuì un primo fascio di funzioni tra le quali apparve subito preminente quella di « fare le elezioni »: è noto che negli ultimi anni la storiografia (vedi per esempio Gustapane) ha modificato l’iniziale giudizio negativo su questo aspetto, ritenendo tale attività del tutto conseguente al ruolo del prefetto quale agente del governo in carica.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

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Durante il decennio l’impronta piemontese nella burocrazia andò poi lenta-mente diminuendo grazie al turn over dei funzionari, che portò alla graduale unificazione del linguaggio e dello stile amministrativo; 3) i governi Crispi, durante i quali l’Interno divenne il motore dell’amministrazione, aumentando il controllo sugli enti locali e i poteri dei prefetti. Si ebbe in quel momento una notevolissima produzione legislativa, sia a livello generale che interno, con molte circolari e regolamenti che ridefinirono l’assetto del Ministero; 4) il periodo che vide a capo dell’Interno un uomo come Giolitti, che ne conosceva alla perfezione i meccanismi più profondi: con lui crebbero i poteri del Gabinetto e diminuirono quelli dei funzionari, oggetto spesso di ordini secchi e a volte brutali ma nello stesso tempo dotati ormai di un livello di formazio-ne molto più alto che nel passato; 5) gli anni della prima guerra mondiale, che furono una sorta di spartiacque rispetto a quelli successivi perché il Ministero si dovette occupare dei gravi problemi bellici come lo spionaggio, i profughi, le epidemie ecc.; 6) il primo dopoguerra, sul quale mancano ancora studi esaustivi; 7) il Ventennio fascista, durante il quale l’Interno perse il suo primato nell’Amministrazione pubblica per il contemporaneo aumento delle competenze del Ministero delle finanze e della Ragioneria generale dello Stato. Crebbe ovviamente il peso della Presidenza del consiglio e la comples-sità del reticolo della Pubblica Amministrazione dopo l’istituzione di molti enti pubblici; per quanto riguarda i prefetti e i questori Melis ha fornito un dato molto interessante che dimostra una relativa penetrazione del fascismo: 102 prefetti di nomina politica su 322, destinati per lo più a sedi periferiche. Nel 1937 tale tipo di nomina fu limitata a 2/5, mantenendo così di fatto abbastanza potente il cosiddetto « partito del Viminale ».

Marco De Nicolò (Università degli studi di Cassino), autore di numerose pubblicazioni su Roma e le istituzioni sia centrali che locali, dopo aver ricordato « i grandi padri » degli studi sul sistema prefettizio nelle figure di Fried, Aquarone, Ragionieri e Rotelli, ha invece delineato le più recenti tendenze storiografiche soffermandosi in particolare sulle numerose biografie che si stanno pubblicando negli ultimi anni. La biografia, secondo il relatore, può essere l’esempio di una nuova metodologia di studio perché, pur essendo un’analisi parziale, se messa a confronto con altri lavori sulla medesima Prefettura o su altri periodi della carriera dello stesso funzionario porta alla ricostruzione di un quadro articolato. A questo proposito De Nicolò ha citato tra gli altri il recente saggio di Donato D’Urso su Lovera Di Maria; il volume di Paolo Varvaro che inserisce i prefetti del Risorgimento in una élite destina-ta a realizzare l’Unità d’Italia; i lavori di Sabrina Tommasi e Roberto Parrella su Senise e i prefetti del Mezzogiorno ecc. Altri autori invece stanno cercando di studiare quanto il prefetto sia stato capace di entrare nella rete dei rapporti locali, come Oscar Gaspari nel volume sull’Italia dei Comuni o Luca Baldis-sara nel lavoro dedicato alla cultura dei podestà e dei segretari comunali. In relazione alla vexata quaestio del rapporto tra prefetto e federale fascista, De

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Nicolò, confermando quanto già detto da Melis, ha ricordato che la pressione del potere politico sulla burocrazia non è stata certo una novità del regime, essendo ben presente anche in età liberale, e che non sempre comunque il rapporto tra federale e prefetto si risolse a favore del primo. Infine lo storico ha invitato i numerosi prefetti presenti a scrivere diari e memorie sulla loro attività perché la memorialistica è una delle fonti più preziose per gli studiosi, che va ad integrare quelle ufficiali.

Dopo Marco De Nicolò è intervenuta Marina Giannetto, funzionario del- l’Archivio centrale dello Stato, che ha ripreso i cenni già fatti dai relatori al periodo fascista per tracciare un quadro ricco di spunti su questo tema ancora molto studiato. La Giannetto ha ribadito il contraccolpo prodotto dalla riforma De’ Stefani sul Ministero dell’interno, in quanto il baricentro dell’Ammini- strazione fu spostato sul Ministero delle finanze e sulla Ragioneria generale. La legislazione degli anni 1928-1930 sottrasse molti poteri alle amministra-zioni locali trasferendoli al centro attraverso innovazioni come la trasforma-zione del sindaco in podestà, la statalizzazione dei segretari comunali, la trasformazione della Provincia in organo monocratico, l’introduzione di mem- bri del partito nella Giunta provinciale amministrativa. In questo quadro il prefetto fu formalmente rafforzato da dichiarazioni ufficiali che lo definivano il garante dell’ordine morale tra i cittadini, ma di fatto la presenza del federa-le e la nomina dall’alto del podestà e del presidente della Provincia lo indebo-lirono, insieme alla moltiplicazione sul territorio degli uffici periferici dei Ministeri e alla creazione di numerosi enti pubblici. I prefetti politici tra il 1922 e il 1929 furono 29, negli anni Trenta più della metà del totale: questi ultimi erano naturalmente « dei consoli » del regime, ma quelli di carriera segnarono la continuità con lo Stato liberale. Anche la Giannetto ha quindi confermato la tesi storiografica secondo cui non si realizzò nemmeno al Ministero dell’interno una forte fascistizzazione degli apparati.

Il successivo intervento dello storico Giovanni Focardi ha ripreso il di-scorso, seguendo cronologicamente lo svolgersi degli eventi storici e riferendo il dibattito accesosi negli anni 1944-1948 sulla figura del prefetto, che non godette in quel periodo di buona fama: a Firenze il posto rimase vacante, ma gli organi della Resistenza non riuscirono a pensare nulla di nuovo. I due governi Badoglio furono molto cauti nei trasferimenti dei prefetti, poi sotto la pressione degli Alleati si intervenne con più decisione per giungere in seguito ad un nuovo momento di cautela. La successiva Commissione per la riforma dell’amministrazione istituita da Bonomi non portò significative innovazioni e si arrivò alla Costituente con un dibattito ormai marginale e quasi spento. In pratica negli anni 1943-1946 il prefetto fu soprattutto un mediatore tra le diverse forze politiche.

Stefano Sepe (LUISS), storico dell’amministrazione, chiudendo gli inter-venti della mattinata, ha anche concluso l’excursus storico tracciando un rapido quadro del cinquantennio repubblicano, durante il quale il Ministero

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dell’interno perse alcune importanti competenze (sulla sanità, sugli Archivi di Stato, sugli enti locali e le IPAB per l’istituzione delle Regioni, ecc.). Il relatore ha però preferito adottare un’ottica positiva, parlando non di erosione di potere ma di aumento della funzione di collaborazione istituzionale e di consulenza alle amministrazioni locali, nonché delle nuove forme di tutela esercitate oggi dal Ministero verso gli immigrati o verso fasce di disagio come quelle inerenti la droga e la prostituzione. Si è accentuato nella società odierna il ruolo del prefetto come mediatore e punto di riferimento per il cittadino nel sociale, per problemi come la disoccupazione, l’ordine pubblico, l’introduzione dell’euro, la normativa sulla sicurezza ecc. Tutto ciò comporta però anche nuovi criteri di selezione di questi funzionari e nuovi modelli di formazione, che si innestino sulla tradizionale cultura giuridica.

La sessione pomeridiana, presieduta da Paola Carucci e dedicata al rap-porto tra l’Interno e le autonomie locali in età repubblicana, è stata aperta dalla relazione di Giovanna Tosatti che era prevista nella mattina e che ha quindi ricondotto il discorso su prefetti e Prefetture, in particolare nell’età liberale. Tosatti, funzionario dell’Archivio centrale dello Stato, ha ricordato che nella nuova Italia unita gli uffici delle Prefetture ebbero sedi prestigiose nelle grandi città e sedi nuove in quelle piccole, personale quasi sempre scarso e tanti problemi da affrontare, legati specialmente al controllo sugli enti locali. Nuovi compiti vennero affidati ai prefetti con Crispi, mentre con Giolitti prevalse il problema di fronteggiare le agitazioni sociali e gli scioperi.

Silvana Casmirri (Università degli studi di Cassino) ha introdotto il tema del pomeriggio illustrando l’atteggiamento dei cattolici sull’autonomismo nel momento della nascita della Repubblica; a tal fine la storica si è ricollegata al cattolicesimo intransigente di fine Ottocento, radicato negli enti locali per combattere lo Stato centrale « usurpatore », e soprattutto all’attività di Romolo Murri e Giuseppe Toniolo, che accettarono la nuova realtà politica e interpre-tarono le esigenze autonomistiche non più come un mezzo ma come un fine. Luigi Sturzo successivamente portò avanti le esigenze del meridionalismo per chiedere un sistema decentrato fondato sulla Regione, dotata di autonomia amministrativa e finanziaria. Dopo la parentesi del fascismo il movimento cattolico si riorganizzò e riaprì il dibattito sul futuro assetto del Paese con una forte istanza anticentralista; De Gasperi però, rispetto a Sturzo, impersonava un’altra forma di regionalismo, molto più collaborativa, che derivava dalla tradizione asburgica nella quale era cresciuto. Contemporaneamente, una forte attenzione era dedicata alla ricostruzione economica dello Stato: basti pensare alla creazione dell’IRI e a figure come Pasquale Saraceno. La stesura del Titolo V della Costituzione lasciò Sturzo abbastanza deluso, essendo frutto di un inevitabile compromesso realizzatosi in sede di Assemblea costituente.

Lo storico Paolo Allegrezza ha svolto un intervento in qualche modo speculare rispetto a quello della Casmirri, illustrando l’atteggiamento della Sinistra riguardo alle autonomie locali, in particolare in tre momenti: il partito

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nuovo togliattiano, il dibattito in Costituente e gli anni Settanta. Togliatti cercò di creare un partito di lotta e di governo basandosi su alcuni punti fermi come la difesa del sistema proporzionale e l’opposizione al monocameralismo e al regionalismo: evidente quindi la distanza dalle posizioni dei cattolici, con i quali si arriverà negli anni Cinquanta ad una vera contrapposizione. In Costituente tutte le forze della Sinistra, dai socialisti ai comunisti, sostennero il centralismo contro le Regioni come organi dotati di potere legislativo, ben sapendo che, soprattutto nel Sud, il potere dei notabili era rimasto intatto e avrebbe influito pesantemente sulla eventuale istituzione delle Regioni; inoltre è proprio dell’ideologia comunista il concetto che debba essere il potere centrale a creare il nuovo ordine dello Stato. Dopo la rottura del 1947 il repentino cambiamento di posizioni fu esclusivamente tattico: la Sinistra, uscendo dal governo, appoggiò a quel punto tutto quello che potesse fungere da contrappeso per indebolire l’egemonia dei governi moderati. Negli anni Settanta invece, continuando l’esclusione dal governo del Paese, le forze di Sinistra maturarono la propria esperienza proprio nei governi locali.

Luca Giansanti (Università degli studi di Roma « La Sapienza ») ha completato il quadro delle posizioni dei diversi partiti sulla questione delle autonomie parlando del Partito nazionale monarchico e del Movimento sociale italiano. Il primo, che aveva collegamenti con il notabilato locale, durante la fase costituente vide nel regionalismo un mezzo per una eventuale restaura-zione monarchica: noto esponente di queste posizioni fu Alliata, che nel 1951 uscì dal partito per fondare il Fronte monarchico nazionale, fautore dell’auto- nomismo. Il Movimento sociale, invece, fu sempre favorevole all’accentra- mento, prefigurando addirittura scenari drammatici per il Paese, da guerra civile, nel caso di affermazione della Regione dotata di ampi poteri. Giansanti ha ricordato come Almirante spesso in Parlamento utilizzasse, a sostegno delle proprie idee, dichiarazioni e frasi antiregionaliste usate da importanti esponenti comunisti prima del 1947. L’ideologo missino fu Carlo Costama-gna, che portò avanti la battaglia dalle colonne del settimanale « La rivolta ideale », criticando duramente le posizioni della DC e di De Gasperi e unifi-cando le idee di quest’ultimo con quelle di Sturzo.

Proprio della politica della Democrazia Cristiana ha parlato lo storico Francesco Malgeri (Università degli studi di Roma « La Sapienza »), ricor-dando in apertura un saggio in cui Calamandrei espresse tutta la propria delusione per il mancato rinnovamento dello Stato nel primo decennio repub-blicano, come aveva auspicato il Partito d’Azione. Prefetti e questori divenne-ro strumenti del partito di governo e il Ministero dell’interno fu diretto inin-terrottamente per 50 anni da politici democristiani: alcuni, come Scelba, Taviani, Rognoni, addirittura in carica per l’intera legislatura e altri, come Restivo e Scalfaro, per buona parte di essa. Dal 1947 al 1962 anche i sottose-gretari all’Interno furono dello stesso partito del ministro. Malgeri si è poi soffermato sulla figura di Scelba, spesso definito dalla storiografia ministro di

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polizia, dicendo che in realtà le posizioni dell’uomo politico furono dettate dalla paura che la giovane democrazia cadesse rapidamente per gli attacchi dei comunisti, verso i quali Scelba aveva avuto caute aperture, interrotte subito dopo l’inizio della guerra fredda. Il ministro pensò così di fronteggiare il pericolo con una riforma della polizia che spinse molti elementi di non fedele provenienza politica a lasciare il servizio attraverso incentivi economi-ci; poi riorganizzò le Prefetture e le Questure procedendo anche in questo caso a sostituzioni politiche come quella del prefetto di Milano, Troilo; infine represse molto duramente le manifestazioni di piazza. In ultimo Malgeri ha accennato alla posizione della DC sulle autonomie, affermando che il partito di governo ritardò fino al 1970 l’attuazione del dettato costituzionale sulle Regioni per motivi esclusivamente politici, ovvero per non consegnare nelle mani del PCI alcune importanti Regioni come quelle dell’Italia centrale.

La sessione pomeridiana si è conclusa con gli interventi (molto rapidi per ragioni di tempo) di Luca Baldissara (Università degli studi di Pisa) e Roberto Violi (Università degli studi di Cassino). Il primo ha accennato al tema dell’opposizione interna alla politica della DC dando solo alcuni spunti di riflessione: come hanno inciso 40 anni di opposizione nella cultura del PCI? E ancora: bisogna riflettere sulle complesse relazioni tra politica e diritto, tra politica e società civile, tra politica e amministrazione. Roberto Violi, infine, che aveva una relazione su Il Ministero dell’interno e le politiche del- l’assistenza, ha ricordato che in circa un secolo c’è stata una parabola di espansione e di riduzione dei poteri del Ministero in questo campo. Nel 1947 la soppressione del Ministero dell’assistenza postbellica ha dato una valenza fortemente politica al passaggio di funzioni all’Interno, dovendosi quest’ultimo occupare di dispersi in Russia, profughi, rientro degli emigrati.

Durante la seconda giornata del convegno, dedicata più strettamente al Ministero dell’interno, ancora nella sede della Scuola superiore, la parola è passata dagli storici ai prefetti, in una interessante staffetta che ha consentito di avere una visione più completa della stessa realtà storico-istituzionale. La sessione mattutina, presieduta da Aldo Mazzacane dell’Università degli studi di Napoli, è iniziata con l’intervento del prefetto Carlo Mosca, capo dell’Uffi- cio affari legislativi del Ministero dell’interno, e il richiamo all’avvenuta riforma del Titolo V della Costituzione, che ha completato il cammino verso il riconoscimento delle autonomie dando pari dignità a Comuni, Province, Regioni e Stato. In questa realtà, in cui « il nuovo centro è l’antica periferia », il Ministero è stato riorganizzato in quattro Dipartimenti, le cui attività si intersecano e diventano trasversali in chiave di interpretazione garantistica dei diritti dei cittadini. Anche l’istituto prefettizio risente di questa riforma: con la creazione degli Uffici territoriali di governo le ex Prefetture diventano soprat-tutto interlocutori forti delle autonomie locali tornando così alle antiche origini, quando Napoleone le istituì per garantire i diritti delle municipalità. In futuro dunque, ha concluso Mosca, i prefetti dovranno recuperare quei valori

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ed essere funzionari generalisti, di sintesi, capaci di essere una rete al servizio del cittadino.

Claudio Meoli, prefetto di Avellino, ha portato la voce di un funzionario « in sede » che vive in prima persona queste profonde trasformazioni. Nel suo intervento (L’organizzazione dipartimentale e gli Uffici territoriali di gover-no), egli ha ricordato che la figura prefettizia reca in sé un paradosso: nasce come espressione del centralismo dello Stato ma oggi deve recuperare spazio di azione nel federalismo. Negli anni 1997-1999 le cosiddette « leggi Bassa- nini » hanno avviato un effettivo decentramento, ma occorre una consapevo-lezza culturale maggiore. Il prefetto deve essere conscio del suo ruolo rappre-sentativo, di mediatore di conflitti, di garante dell’ordine e della sicurezza. L’Ufficio territoriale di governo vorrebbe incarnare questa realtà, ma le difficoltà — ha avvertito Meoli — sono molte: gli enti locali e gli uffici sul territorio sono spesso troppo segmentati e incapaci di prendere iniziative. Il prefetto deve riuscire a stimolare questi soggetti andando qualche volta a riempire spazi vuoti e a gestire emergenze pur avendo scarsi poteri, in quanto non è un superiore gerarchico delle autorità locali come avviene per esempio in Francia.

A questo ruolo parzialmente diverso dal passato si è riferita in apertura di intervento il prefetto Marisa Troise Zotta, direttrice della SSAI, che ha illustrato i programmi che la Scuola superiore porta avanti per assicurare ai prefetti (e non solo) una preparazione completa, che unisca alla tradizionale base storico-giuridica le nuove conoscenze rese necessarie da una società civile in forte evoluzione: discipline economiche, informatica, statistica, lingue straniere ecc. Occorre inoltre una formazione di base comune, accom-pagnata però da un’altra acquisita sul territorio, per parlare un linguaggio più vicino a quello degli enti locali. La Scuola organizza anche piani di formazio-ne pluriennali con previsione di interazione con i discenti, che possono avanzare proposte personali se dotati di particolare predisposizione per deter-minate materie. Il prefetto ha poi fornito alcuni dati che danno l’idea dell’attività complessiva della Scuola: circa 30.000 persone formate ogni anno tra interni e appartenenti ad altre Amministrazioni, scambi culturali e di visite con funzionari stranieri (di recente in particolare con i Paesi dell’Est europeo), il tutto finalizzato a realizzare un prefetto moderno, che sappia essere di sostegno alle realtà locali.

Antonio Agosta (Università degli studi di « Roma Tre ») si è soffermato invece sull’evoluzione dell’amministrazione elettorale, un tema molto interes-sante ma poco trattato dalla storiografia e sottovalutato persino dal legislatore, proprio in un periodo in cui sono cambiate tutte le leggi elettorali: basti pensare al problema delicatissimo del voto all’estero, gestito secondo il relatore con criteri idealistici e poco attenti all’organizzazione. Ma tutta l’attività degli uffici elettorali sta vivendo un periodo poco felice: ricordiamo le elezioni del 2001, in cui la riduzione delle sezioni elettorali comportò

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pesanti rallentamenti e file in tutti i seggi; inoltre alcune novità come l’ac- corpamento di elezioni diverse nella stessa giornata, o l’introduzione della tessera elettorale, non sono state bene assorbite né dalla struttura organizzativa né dalla collettività. Agosta ha poi ricordato che durante le elezioni non esiste un’autorità di fatto capace di vigilare (per esempio sulle liste civetta), perché gli Uffici elettorali presso le Corti d’appello si pongono come semplici spettatori. L’amministrazione elettorale ebbe il suo momento più alto nel 1958 con la creazione di una Direzione centrale articolata in due Divisioni, una con competenze amministrative e una di documentazione, che pubblicò studi e statistiche e organizzò un archivio storico centralizzato. Successivamente il servizio elettorale passò ai Comuni per poi tornare al Ministero.

Il viceprefetto Ignazio Portelli è invece tornato, nella sua relazione, sulla riforma della carriera prefettizia — che ha suscitato molto interesse nella stampa straniera, soprattutto inglese — spiegando che essa è derivata dalla generale trasformazione dei pubblici poteri avvenuta tra il 1996 e il 1999 e dalla necessità di cambiare alcuni aspetti da tempo consolidati: appiattimento della carriera, retribuzione bassa, equiparazione con altri ruoli meno prestigio-si, forte concentrazione di potere nelle figure apicali ecc. Oggi invece l’età non è più un requisito per accedere ai ranghi più alti e la dirigenza generale, secondo un concetto più moderno, diventa un incarico temporaneo finito il quale si torna ai ruoli di appartenenza.

Il viceprefetto Pietro Lucchetti, in una lunga e densa relazione, ha suc-cessivamente messo a confronto l’esperienza francese e quella italiana parten-do dall’esame del significato stesso della parola praefectus = colui che deve agire per primo, che non è quindi solo un rappresentante dello Stato ma agisce in nome dello Stato, è un attore cui spetta l’iniziativa istituzionale. In Francia fin dall’inizio questo ruolo è stato molto sentito: il prefetto non conosceva che il proprio ministro, e fu Luciano Bonaparte a scegliere perso-nalmente i prefetti dei dipartimenti. Da allora lealtà al governo, competenza generalista e senso di appartenenza ad un grand corps sono stati i sentimenti che hanno ispirato la condotta dei prefetti d’oltralpe. La stessa figura, esporta-ta negli altri Stati europei ha dato luogo spesso, invece, ad interpretazioni diverse e negative: italiani, spagnoli, belgi e greci hanno spesso ritenuto di aver ricevuto più danni che vantaggi dall’adozione del prefetto, che avrebbe mortificato la crescita delle autonomie locali. A questo proposito Lucchetti ha ricordato che gli studi recenti stanno cercando di andare oltre un dualismo così netto e di delineare un quadro più ricco di sfumature, in cui emergano sia le incertezze e le difficoltà che anche in Francia si sono manifestate nel tempo di fronte al pluralismo territoriale, sia la scelta convinta che si fece in Italia in sede di Assemblea costituente riguardo al mantenimento del prefetto. Un’im- portante annotazione ha concluso l’intervento di Lucchetti: in Francia non si sono mai mostrate incertezze sulla competenza del prefetto, che è tecnica e non politica, in materia di ordine pubblico, mentre in Italia (e questo atteg-

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giamento — come è stato sottolineato nelle tavole rotonde — è emerso anche nel presente convegno) c’è sempre una sorta di pudore nel ricordare questa fondamentale e indispensabile prerogativa del Ministero dell’interno.

Il viceprefetto Donato D’Urso ha concluso un’intensa mattinata di lavori con un brillante intervento che ha ricordato il ruolo, tutt’altro che secondario, delle mogli dei prefetti, che con i loro salotti erano il centro della vita sociale soprattutto nelle piccole città. Tra le molte D’Urso ha ricordato Corinna Scelsi, moglie di Giacinto e figlia di Giuditta Bellerio, la donna amata da Mazzini; Adele Turati, moglie del prefetto Pietro e madre del socialista Filippo; Enrichetta Caldani, consorte di Giuseppe Cornero, e Luisa Belloni, signora Gadda, due donne colte e raffinate, animatrici di salotti molto ricerca-ti. Queste donne della buona società, escluse dalla politica attiva e passiva, recuperavano in parte un ruolo ospitando politici e intellettuali nelle loro ampie dimore ottocentesche.

La seconda giornata del convegno si è conclusa nel pomeriggio con una tavola rotonda, coordinata dal prefetto Mosca, in cui Paola Carucci, Silvana Casmirri, Marco De Nicolò, Aldo Mazzacane, Stefano Sepe e Marisa Troise Zotta hanno ripreso ciascuno alcuni temi emersi durante le precedenti sessioni e hanno risposto alle numerose domande che il folto pubblico di storici e prefetti ha loro rivolto.

Venerdì 8 novembre la sede del convegno si è spostata, per la sessione conclusiva dedicata alle fonti per lo studio del Ministero dell’interno e delle Prefetture, all’Archivio centrale dello Stato, il maggiore e più prestigioso istituto archivistico italiano. Dopo l’introduzione del presidente della seduta Guido Melis ed il saluto del neo sovrintendente all’Archivio centrale Maurizio Fallace, Paola Carucci e Manuela Cacioli hanno illustrato la tipologia e lo stato di conservazione e consultazione delle serie archivistiche prodotte dagli uffici centrali e periferici dell’Interno.

Paola Carucci, con una relazione sul tema Fonti storiche centrali per la storia del rapporto centro-periferia, ha introdotto l’argomento con alcune osservazioni di carattere generale tese a dimostrare l’influenza che l’ordina- mento politico-istituzionale e le relative giurisdizioni territoriali esercitano sia sul processo di produzione dei documenti che sull’organizzazione delle istituzioni preposte alla loro conservazione. La relatrice ha quindi messo in evidenza il ruolo politico e amministrativo del Ministero dell’interno e dei suoi organi periferici, le Prefetture e le Questure, illustrando con un quadro molto dettagliato l’evoluzione delle funzioni di questi Uffici nelle diverse fasi storiche, sulla base delle disposizioni che ne hanno modificato l’organizza- zione interna.

Dopo aver dunque ricostruito la storia dell’organizzazione del Ministero la Carucci ha illustrato il quadro delle fonti ad esso relative conservate presso l’Archivio centrale dello Stato, da lei particolarmente ben conosciute data la sua lunga esperienza lavorativa in questo Istituto, prima come funzionario

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all’inizio della carriera e poi come sovrintendente negli ultimi cinque anni. Tali fonti sono molto numerose ma altrettanto lacunose: è andato disperso il Gabinetto per il periodo 1861-1943 e mancano nuclei consistenti di documen-ti per il primo quarantennio dopo l’unificazione del Regno, mentre per il dopoguerra non sono stati effettuati versamenti significativi da parte della Divisione affari riservati della Direzione generale di pubblica sicurezza. Infatti, se si effettua un raffronto tra la voce relativa all’Archivio centrale pubblicata nel I volume della Guida generale degli Archivi di Stato italiani nel 1981 e la Guida della sala di studio, aggiornata al 2000, risulta che, a fronte di importanti versamenti di documentazione relativa alle funzioni amministrative, non si sono adeguatamente incrementate le serie di carattere politico e riservato. Tutto questo è rimasto immutato nonostante il profondo cambiamento nello scenario politico internazionale conseguente alla caduta del muro di Berlino che, modificando radicalmente gli obiettivi della sicurez-za internazionale, avrebbe potuto e dovuto favorire il versamento di documen-ti riservati dei primi decenni della Repubblica, quando si era in regime di guerra fredda. Paola Carucci, in conclusione di intervento, ha espresso l’auspicio che questa situazione si sblocchi e si è chiesta, un po’ provocato-riamente, se la circostanza che l’Amministrazione archivistica non sia più, dal 1975, una delle Direzioni generali del Viminale abbia influito su questa minore disponibilità a versare carte indubbiamente delicate, ma fondamentali per cominciare a studiare e a capire bene anni cruciali della storia del nostro Paese.

Manuela Cacioli, funzionario dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, ha svolto un intervento parallelo a quello della Carucci parlando delle fonti di Prefettura, delle carte cioè versate da questi uffici periferici agli Archivi di Stato competenti. Tale intervento è stato suddiviso in due parti: nella prima la relatrice ha fornito un quadro generale della conservazione, della consultazione e della valorizzazione di questa tipologia documentaria, mentre nella seconda si è soffermata in particolare sull’archivio del Gabinetto della Prefettura di Roma, che ha riordinato e inventariato insieme a Mariella Guercio.

Anche la Cacioli è partita dall’esame dei dati contenuti nella Guida ge-nerale, evidenziando come già nel 1994 (anno di pubblicazione del IV volu-me) ci fosse una notevole disponibilità per gli studiosi di carte prefettizie, dal momento che soltanto otto Archivi non avevano ricevuto alcun versamento: le serie più ricorrenti erano sia quelle tradizionali — Gabinetto (con lacune), Affari generali, Affari comunali e provinciali, Opere pie — sia quelle prodot-te da organi presieduti dal prefetto o costituenti archivi aggregati perché comunque collegati alla Prefettura. Questa rilevazione ha confermato a livello periferico quanto già notato da Paola Carucci per le fonti centrali circa la scarsissima presenza di atti riservati o concernenti la Pubblica sicurezza. La relatrice ha poi completato il quadro cronologico dei versamenti fino ai giorni

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nostri grazie ai dati contenuti nella « Rassegna degli Archivi di Stato »: attual- mente tutti gli Istituti conservano carte delle Prefetture e molti versamenti precedenti sono stati integrati.

La Cacioli ha poi espresso qualche considerazione sullo stato di ordina-mento di questi archivi giudicandoli complessivamente ben ordinati già al momento del versamento, dotati di elenchi esaurienti al punto da permettere numerose ricerche e studi su di essi; negli ultimi anni, comunque, anche gli archivisti hanno iniziato ad inventariare alcuni fondi prefettizi. Per effettuare poi una sorta di statistica sulla quantità e tipologia delle ricerche effettuate nelle sale di studio dagli utenti negli ultimi venti anni, la relatrice si è rivolta a tutti gli Istituti archivistici, ottenendo però meno della metà delle risposte attese; ciò nonostante le notizie avute hanno confermato un netto aumento delle consultazioni nell’ultimo decennio, come si evince anche dai numerosi studi sulle Prefetture o su singoli prefetti pubblicati recentemente. L’oggetto delle ricerche e i titoli dei volumi o degli articoli dimostrano l’estrema varietà dei temi per i quale le carte prefettizie risultano preziose: indagini storico-politiche, sociologiche, studi del territorio, urbanistica, lavori pubblici, eco-nomia, istruzione ecc. Infine, dopo aver descritto brevemente le caratteristiche del Gabinetto della Prefettura di Roma, la relatrice ha concluso ricordando anche quello che le carte non dicono, i molti e delicati argomenti cioè che i prefetti — ed in particolare quello della capitale per ovvie ragioni — non scrivevano e di cui non lasciavano tracce.

Alberto Cifelli, viceprefetto e capo della Segreteria del sottosegretario all’Interno, ha poi preso la parola in qualità di studioso delle fonti — in particolare i ruoli matricolari — che si trovano ancora presso il Ministero dell’interno. Cifelli, che ha al suo attivo pubblicazioni contenenti la ricostru-zione delle carriere dei prefetti della Repubblica e di quelli del Ventennio fascista, ha parlato proprio dei ruoli giudicandoli una fonte abbastanza esau-riente per un primo approccio, salva poi la necessità di consultare i fascicoli personali o altre serie per avere le motivazioni dei diversi provvedimenti. I registri di matricola furono compilati con grande precisione fino al 1943 ma poi, con il trasferimento degli archivi al Nord, molto materiale andò perduto. Oggi, ha concluso Cifelli, gli archivi prodotti dai vari uffici del Ministero sono molto abbondanti quantitativamente ma, ed è una costante delle carte contemporanee, spesso ripetitivi, pieni di copie o di minute che rendono difficile per lo studioso orientarsi e cogliere l’informazione significativa.

Le ultime due relatrici della mattinata, Maria Letizia D’Autilia e Paola Bruzio, sono state purtroppo per ragioni di tempo costrette ad abbreviare i loro interventi accennando soltanto ai punti principali che avrebbero voluto trattare. La D’Autilia, funzionario dell’ISTAT e studiosa di storia dell’ammi- nistrazione, ha portato all’attenzione dei presenti una fonte poco conosciuta nelle sue molte potenzialità: i documenti contabili in generale e più in partico-lare i bilanci della pubblica amministrazione. L’ISTAT ed il Ministero dell’in-

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terno hanno avviato nel 2000 un lavoro sui bilanci dei Comuni, di cui esiste la serie completa dal 1863 ad oggi, iniziata dalla Direzione generale della statistica presso il Ministero dell’agricoltura. Nonostante la tecnologia abbia fornito strumenti sempre più moderni, il sistema delle rilevazioni è rimasto sostanzialmente lo stesso, con questionari cartacei sempre più complessi: si è passati dalle iniziali tre pagine alle attuali cinquantotto. Nel 1985 è stato approvato un nuovo modello di rilevazione e le operazioni sono state trasferi-te all’Interno, mentre all’Istituto di statistica è rimasto il compito di effettuare delle rilevazioni campionarie.

Paola Bruzio, viceprefetto in servizio presso il Dipartimento affari inter-ni, ha infine brevemente accennato ad un importante lavoro di identificazione e sistemazione, anche con l’uso di programmi informatici, avviato sugli archivi correnti degli uffici del Ministero; un lavoro lungo ma prezioso, che preparerà in modo migliore i futuri versamenti.

Si è così concluso, dopo tre giornate molto intense, un convegno che ha risposto in pieno alle aspettative degli organizzatori, in quanto le diverse professionalità che sono state accostate hanno dato ciascuna un prezioso apporto nella ricostruzione della storia e del funzionamento del Ministero cardine dell’apparato burocratico del nostro Paese e dei suoi rappresentanti sul territorio, quei prefetti che, pur tra critiche e giudizi spesso troppo severi, hanno svolto un ruolo fondamentale nel rafforzare la storia unitaria dell’Italia.

MANUELA CACIOLI Segretariato Generale

della Presidenza della Repubblica

N o t e e c o m m e n t i

IL DIRITTO D’AUTORE SUI DOCUMENTI DELLO STATO *

1. I documenti dello Stato: beni culturali. Natura, consistenza e prove- nienza. — Oggetto di analisi di questo contributo sono i documenti che, ai sensi del T.U. emanato con d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490 — d’ora in poi citato come T.U. —, sono considerati « beni culturali », in quanto fanno parte del patrimonio storico e artistico nazionale che l’art. 9 della Costituzione della Repubblica impone di tutelare.

Tra i « beni culturali » vanno annoverati i « beni archivistici », costituiti da archivi e singoli documenti dello Stato e degli enti pubblici; archivi e singoli documenti appartenenti a privati che rivestano notevole interesse storico (art. 2 T.U.).

In particolare, l’Archivio centrale dello Stato conserva: leggi dello Stato; inchieste parlamentari; atti del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, della Real Casa, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dei Ministeri succedu-tisi in Italia dal 1860, della Corte Suprema di Cassazione; atti relativi al regime fascista e alla Repubblica di Salò; raccolte e miscellanee di atti provenienti dalle fonti più diverse (quali ad es. i Comandi tedeschi o anglo-americani in Italia durante la 2a guerra mondiale).

Da ricordare, al riguardo, che, come previsto nell’art. 30 del T.U., « gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato versano all’Archivio centrale dello Stato e agli Archivi di Stato i documenti relativi agli affari esauriti da oltre 40 anni (…) Le liste di leva e di estrazione sono versate 70 anni dopo l’anno di nascita della classe cui si riferiscono. Gli archivi notarili versano gli atti notarili ricevuti dai notai che cessarono l’esercizio professionale anteriormente all’ultimo centennio ».

* Si pubblica il testo della relazione letta nel corso del seminario tenutosi l’8 maggio

2003, presso l’Archivio centrale dello Stato, dedicato alla presentazione del progetto « La cer- tezza del passato per progettare il futuro del territorio. Gli strumenti urbanistici conservati dal- l’Archivio centrale dello Stato. Prospettive per la costituzione di un archivio digitale ». Sono intervenuti, oltre a Renato Borruso, Marina Giannetto (Archivio centrale dello Stato), Il pro- getto; Salvatore Bellomia (Università degli studi di Roma), Evoluzione e tendenze della nor- mativa statale e regionale sugli strumenti urbanistici generali; Raffaele Accili (Comune di L’Aquila), Vantaggi nella possibilità di gestione autonoma, presso gli uffici comunali, dei dati storico-territoriali; Antonello Liberatore, L’applicazione digitale nei catasti antichi; Alberto Gallo (Società Gallo Pomi), Presentazione della attività aziendale.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Renato Borruso

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2. I beni archivistici come beni demaniali. Disciplina demaniale e diritto d’autore (artt. 5 e 11 l. 633/41. — I « beni culturali » qui considerati rientra-no, ai fini della loro disciplina giuridica, nella più vasta categoria di « beni demaniali », come previsto, oltreché dagli artt. 54 e 88 del T.U., dall’art. 822 del codice civile che espressamente annovera tra i beni demaniali gli archivi accanto alle raccolte dei musei, delle pinacoteche, delle biblioteche.

Ciò posto, occorre domandarsi come si coordina la disciplina dei beni demaniali con il diritto d’autore sui documenti conservati negli Archivi di Stato. La risposta a tale quesito deve innanzitutto tener conto di due norme fondamen-tali della l. 22 apr. 1941, n. 633 sulla protezione del diritto d’autore e cioè:

— dell’art. 5, secondo cui « le disposizioni di questa legge non si ap-plicano ai testi degli atti ufficiali dello Stato e delle Amministra-zioni Pubbliche, sia italiane che straniere »;

— dell’art. 11, secondo cui « alle Amministrazioni dello Stato, alle Province e ai Comuni — e possiamo aggiungere per analogia alle Regioni — spetta il diritto d’autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome e a loro conto e spese. Lo stesso diritto spetta agli enti privati che non perseguono scopi di lucro, nonché alle ac-cademie e agli enti pubblici culturali sulla raccolta dei loro atti e sulle loro pubblicazioni ». Tale diritto dura 20 anni.

Le due norme ora menzionate potrebbero sembrare — a prima vista — di segno opposto in riferimento alla configurabilità di un diritto d’autore sui documenti dello Stato (la prima sembra negarlo, la seconda ammetterlo): il loro doveroso coordinamento alla luce di un’opportuna interpretazione, esclude, invece, qualsiasi contraddittorietà.

3. La nozione di « atti ufficiali ». L’art. 26 della l. 241/90. L’esempio

delle massime di giurisprudenza. — E infatti l’art. 5 esclude la configurabili-tà di un diritto d’autore solo relativamente agli « atti ufficiali » e ai loro « testi ». Per « atti ufficiali » devono intendersi solo quegli atti definitivi strettamente istituzionali nei quali, cioè, si estrinseca la funzione primaria dell’istituzione statale da cui promanano. Come tali, devono essere necessa-riamente portati mediante pubblicazione a conoscenza dei destinatari perché questi regolino con sicurezza su detti atti la loro condotta, fondandovi diret-tamente diritti, aspettative, doveri, atti che l’Autorità cui vengono riferiti non può più ripudiare, cioè contestare che siano stati da essa emanati.

Da ricordare a questo proposito l’art. 26 della l. 241/90, secondo cui devono essere pubblicati, oltreché le leggi e gli atti aventi forza di legge e i decreti ministeriali, « le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti di una P.A. ovvero nel quale si determina l’inter-

Il diritto d’autore sui documenti dello Stato

423

pretazione di norme giuridiche o si dettano disposizioni per la loro applica-zione »1.

Tutti questi atti sono certamente « atti ufficiali ». Il termine « ufficiale » (art. 5), quindi, deve essere qui inteso non soltanto come il contrario di « ufficioso » (che sta a significare ciò che è ancora ripudiabile da parte del- l’Autorità cui lo si riferisce, nel senso che essa può disconoscerne l’imputa- bilità), ma anche come di istituzionalmente previsto e oggetto di pubblicazio-ne. I piani regolatori edilizi e ogni altro strumento di pianificazione urbani-stica sono atti ufficiali. A titolo di esempio di atti ufficiali, giova qui ricorda-re le massime di giurisprudenza redatte dall’Ufficio del ruolo e del massi- mario funzionante presso la Corte Suprema di Cassazione, tratte dalle senten-ze di quest’ultima e formalmente pubblicate come documenti provenienti da detto Ufficio, in conformità di leggi e regolamenti che tale attività espressa-mente e specificamente prevedono.

Non sono, invece, « atti ufficiali » le relazioni sullo stato della giurispru-denza o i suoi contrasti, che l’Ufficio del massimario redige a uso interno della Corte di Cassazione.

4. Testo e cornice dei documenti (atti ufficiali). Esclusione della cornice

ai fini della libera riproducibilità. — L’esclusione degli atti ufficiali dalla disciplina del diritto d’autore è — peraltro — limitata solo ai testi di essi, cioè alle parole strettamente necessarie per esprimere il contenuto dell’atto: non si estende, quindi, a quella che può definirsi la cornice dell’atto, cioè a quanto è ritenuto opportuno premettere o aggiungere per sintetizzare o rendere più chiaro, subito evidente o facilmente più ricercabile l’atto mede-simo. Non si estende, quindi, ai titoli che, a tal fine, vengono premessi o alle note che vengono aggiunte a scopo di commento (nota esplicativa) o di richiamo ad altri documenti.

5. La cornice degli atti ufficiali (e quant’altro realizzato per archiviarli)

come possibile oggetto del diritto d’autore. In particolare il software. — L’esempio qui prospettato relativo alle massime ufficiali di giurisprudenza redatte dall’Ufficio del massimario della Corte Suprema di Cassazione serve non solo a indicare la parte dei documenti dello Stato non suscettibile di diritto d’autore (il solo testo dei soli atti ufficiali), ma anche la parte che, invece, ne è suscettibile in forza dell’art. 11 della legge generale sul diritto d’autore. Per effetto di questo articolo — come si ricorderà — il diritto d’autore, che per sua natura può spettare solo alle persone fisiche potendo, esse sole, essere autrici di opere dell’ingegno, può sì eccezionalmente spetta-re anche allo Stato, agli enti pubblici locali (Regioni, Province, Comuni) e

1 Da ricordare anche al riguardo l’art. 13 della l. 241/90 in cui si specifica che essa « non si applica nei confronti delle attività della P.A. diretta all’emanazione di atti normativi, ammini-strativi generali, di pianificazione e di programmazione ».

Renato Borruso

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agli enti culturali privati non aventi scopo di lucro, purché — secondo i principi generali che regolano il diritto di autore — dette opere abbiano un carattere creativo, nel senso, non solo che abbiano una forma espressiva originale, ma che originali siano anche per il loro contenuto. Tale originalità di contenuto non è richiesta in linea generale per il riconoscimento del diritto d’autore (inteso a proteggere solo la forma e non il contenuto, cioè non le idee in sé e per sé), ma va invece richiesta per il riconoscimento del diritto d’autore sui documenti dello Stato: deve essere, cioè, un contenuto « non previsto » per gli atti istituzionali dello Stato e, quindi, diverso da esso. Se così non fosse, infatti al riconoscimento del diritto d’autore osterebbe l’art. 5 già esaminato, rientrando nella nozione di « atti ufficiali ».

E — come per le massime di giurisprudenza redatte dal Massimario della Cassazione il diritto d’autore non può riconoscersi sul loro testo vero e proprio (trattandosi di atti ufficiali di un organo dello Stato), ma può ben invece essere riconosciuto sui titoletti, sullo schema generale di classificazio-ne da cui sono tratti, o « lemmario » che dir si voglia, sulle note di commen-to, su tutte le relazioni ad uso interno redatte dal Massimario, in quanto opere di carattere certamente creativo perché non imitate e perché non pre- viste tra i compiti strettamente istituzionali e tipizzati di detto Ufficio — così — analogamente — può ritenersi, in linea generale, per tutti i documenti dello Stato in genere e, in particolare, per quelli conservati negli Archivi di Stato. Anche per essi, infatti, si può ben distinguere il testo vero e proprio del documento dalla cornice in cui è posto a cura degli Archivi di Stato per inqua-drarne il contenuto mediante lavoro di catalogazione e schedatura su di esso condotto con l’intento di creare uno strumento di ricerca e di corredo alla documentazione, per dare all’archivio criteri uniformi di ordine nelle colloca-zioni e nei raggruppamenti affinché, quando sia necessario, si sappia se e che cosa e dove ricercare i documenti che interessano.

Tale lavoro di « ordinamento » dei documenti (che ovviamente sottende tutto un lavoro creativo di riflessione e di sistemazione e sul quale spetta allo Stato il diritto d’autore) è tipico dell’attività degli Archivi di Stato e trova un riflesso specifico:

nell’art. 16 del T.U. (che prevede operazioni di catalogazione dei beni culturali, la messa a punto di metodologie uniformi per Stato, Regioni, Province e Comuni, la elaborazione dei dati a livello nazionale e la in-tegrazione in rete delle banche dati regionali o locali); nell’art. 30 che, in relazione agli atti giudiziari e amministrativi di oltre 40 anni da versare negli Archivi dello Stato, dispone che tale versamen-to venga effettuato « unitamente agli strumenti che ne garantiscono la consultazione » (strumenti, quindi, la cui creazione da parte degli Archi-vi viene chiaramente sottintesa); nell’art. 40, ove si impone agli enti pubblici di ordinare i propri archivi storici e di inventariarne gli atti, il che implica, ovviamente, tutta una notevole attività di schedatura.

Il diritto d’autore sui documenti dello Stato

425

Tenuto, poi, conto del fatto che il progresso tecnologico, specie nel campo dell’elettronica, rende oggi pressoché inconcepibile (in quanto contra-rio ad ogni criterio di efficacia, di efficienza e di economia) tenere un archivio con sistemi cartacei anziché informatici (o digitali che dir si voglia) e che, conseguentemente, o prima o poi, tutti gli archivi si trasformeranno in banche dati ad elaborazione informatica funzionanti per effetto di uno specia-le « software applicativo creato ad hoc », anche quest’ultimo potrà costituire oggetto di diritto d’autore, tutelabile, a norma della d. lg. 29 dic. 1992, n. 518 che ha integrato e modificato la l. 633/41 sul diritto d’autore.

Giova al riguardo rilevare, innanzitutto, che anche il software, estrinse-candosi materialmente in uno scritto che il legislatore qualifica espressamente come « opera letteraria » (art. 1 l. 633/41), può — anzi deve — essere con- servato negli Archivi di Stato come documento e, in secondo luogo che, se il software appartiene allo Stato, anche su di esso può essere riconosciuto un diritto d’autore a favore dello Stato stesso.

6. La disciplina demaniale e quella del diritto d’autore a confronto sui

documenti scritti: punti di convergenza. — Chiarito, attraverso l’interpreta- zione e il coordinamento degli artt. 5 e 11 della legge sul diritto d’autore, su quali documenti dello Stato, considerati « beni demaniali » (e su quali settori di essi) tale diritto possa o non possa essere riconosciuto, occorre lumeggia-re, sia pure limitatamente ai tratti più salienti, la diversità delle due discipline giuridiche alle quali può trovarsi assoggettato un bene culturale archivistico: la tutela propria dei beni demaniali e la tutela spettante alle opere dell’in- gegno.

La disciplina demaniale dei documenti conservati negli Archivi di Stato (siano essi « ufficiali » o non) risultante dal codice civile e dal T.U. implica che

archivi e documenti non possono essere alienati né sottratti alla loro de-stinazione funzionale, che è quella culturale, dal punto di vista informa-tivo e formativo; gli archivi devono essere aperti al pubblico (art. 99); l’accesso agli archivi è sempre consentito; i documenti conservati negli Archivi di Stato di oltre 50 anni sono libe-ramente consultabili, ad eccezione di quelli dichiarati di carattere riser-vato relativi alla politica estera ed interna dello Stato. Se sono relativi a situazioni personali puramente private, sono consultabili solo dopo 70 anni: così pure per gli atti dei processi penali (termini derogabili su per-messo del Ministero dell’Interno per motivi di studio, art. 107 del T.U.); a scopi storici è consentita anche la consultazione degli atti della P.A. negli archivi correnti della P.A., salvo il rispetto della l. n. 241/90 che regola il diritto di accedere a tali atti (art. 108 T.U.).

Renato Borruso

426

Il confronto di queste norme con quelle sul diritto d’autore porta a con-cludere che in entrambe le normative è largamente soddisfatta l’esigenza di informazione che deve essere assicurata a chiunque, e massimamente per ragioni di studio, e, quindi per il progresso delle scienze o, comunque, per favorire lo sviluppo di opinioni personali indispensabili per l’esercizio consa-pevole della libertà (da ricordare al riguardo l’art. 21 della Costituzione), nonostante il riconoscimento di taluni diritti di esclusiva a favore di soggetti che dispongono delle fonti dell’informazione.

Basta, al riguardo, citare il capo V della l. 633/41 sul diritto d’autore concernente le utilizzazioni libere consentite al pubblico (artt. 65-71): tutte norme che permettono (sia pure entro determinati limiti e in determinati casi dietro equo compenso) la libera riproducibilità dei documenti.

7. Il contrasto tra le due discipline sulla riproducibilità degli atti scritti:

l’interpretazione dell’art. 115 del T.U. — Proprio a proposito della libera riproducibilità dei documenti concernenti atti ufficiali dello Stato e delle altre P.A. si profila, invece, un contrasto con la loro disciplina demaniale. Dispo-ne, infatti, l’art. 115 del T.U. che i funzionari preposti agli Archivi di Stato e alle Biblioteche pubbliche statali (vale a dire i capi di istituto) possono concedere, oltreché l’uso strumentale e precario dei beni culturali in conse-gna al Ministero, anche la riproduzione dei beni stessi, peraltro normalmente dietro corrispettivo. Se tale norma fosse applicabile anche agli atti ufficiali dello Stato e delle altre P.A., essi non potrebbero essere riprodotti e, quindi, diffusi — neppure se si trattasse di leggi, regolamenti, circolari, sentenze, massime di giurisprudenza — se non per concessione dei funzionari preposti agli Archivi di Stato e dietro pagamento di un corrispettivo: sulla pubblica-zione e moltiplicazione in copie di tali atti il Ministero per i beni culturali avrebbe, quindi, un diritto di esclusiva . Conclusione grave questa che urta, tra l’altro, con la communis opinio formatasi in senso contrario 2 nella giuri-sprudenza e nella dottrina. A mio parere, non è questa l’interpretazione corretta di predetto art. 115 del T.U. Se da un lato il diritto d’autore attribui-sce al suo titolare l’esclusiva della facoltà di riprodurre un’opera moltiplican-done le copie con qualsiasi mezzo (come specificato nell’art. 13 della l. 633/1941) e, quindi, di diffonderne la conoscenza al pubblico, ai sensi del già citato art. 5 della predetta legge, il diritto d’autore è escluso per gli atti ufficiali dello Stato e delle altre P.A. sicché, non esistendo su di essi un diritto d’autore, la loro riproduzione (cioè moltiplicazione in copie) dovrebbe

2 « L’attività di fotocopiatura dei testi normativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale da par-te dei terzi costituisce attività libera consentita a tutti perché avente ad oggetto un bene che, essendo di tutti e accessibile a tutti, è riproducibile da tutti con i mezzi consentiti dalla tecnica moderna », Cass. Civ. Sez. I, 21 giu. 1998 n. 4222 Soc. E.T.I. c. Ist. Poligrafico dello Stato. Lo stesso dicasi in relazione a un manuale di applicazione delle norme tecniche dettate dal Centro Elettronico Italiano (perché tali norme hanno carattere pubblicistico). App. Milano 5 mar. 1992; 7 feb. 1995; 3 mar. 1995 (C.E.I. c. Hoepli).

Il diritto d’autore sui documenti dello Stato

427

essere ritenuta libera e, quindi, effettuabile da chiunque. È vero che ciò sarebbe in aperto contrasto con il disposto del citato art. 115 del T.U. che invece riserva allo Stato il diritto esclusivo di riproduzione di tutti i beni culturali; ma è anche vero che lo stesso art. 115, subito dopo aver stabilito tale riserva, aggiunge espressamente questo inciso: « fatte salve le vigenti disposizioni in materia di diritto d’autore ». Questo inciso può essere inter-pretato, a mio parere, in due sensi: o nel senso che l’Archivio di Stato non può concedere la riproduzione di documenti presso di esso conservati quando essi risultino protetti da un diritto d’autore a terzi spettante 3; ovvero nel senso che tutte le norme sul diritto d’autore devono essere rispettate dagli Archivi di Stato e, quindi, prevalere, in caso di conflitto, sulla normativa concernente i beni culturali. Perciò anche l’art. 5 della l. 633/41, (che con-sente a tutti la riproducibilità degli atti ufficiali) deve prevalere sull’art. 115 del T.U. Ma, allora, se così è, come può essere interpretato il termine « ri-produzione » usato nell’art. 115 per configurare sui beni culturali un potere di concessione da parte dello Stato? Personalmente ritengo che detto potere debba essere riferito soltanto agli oggetti materiali contenuti negli archivi pubblici. Orbene la riproduzione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo tecnico del contenuto di un documento costituito da uno scritto (come sono i documenti degli atti ufficiali dello Stato e delle altre P.A.), non è riproduzio-ne di un oggetto materiale mediante copia o imitazione dell’originale (cioè riproduzione di un corpus phisicum neppure della sua immagine, ma pura e semplice trasmissione immateriale di pensiero e volontà, cioè del c.d. corpus mysticum). Questa mia interpretazione restrittiva dell’art 115 del T.U. sembra trovare conferma:

a) nella constatazione che l’art. 127 del T.U. considera come reato — all’evidente scopo di rafforzare con una pesante sanzione penale il precetto contenuto nell’art. 115 del T.U. — soltanto la contraffazione, alterazione, riproduzione, indebita messa in commercio di un’opera di pittura, scultura o grafica o, comunque, di un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico, ma non anche la diffusione del conte-nuto di uno scritto (concetto ben diverso da quello di « opera grafica »); b) nel considerare che costituisce principio generale del nostro ordina-mento giuridico (cui ci si deve sempre rifare in ogni caso di dubbia in-terpretazione delle leggi), favorire il più possibile la conoscenza da parte del pubblico di tutti i documenti utili per apprendere i propri diritti e i propri doveri, in particolare per assicurare la trasparenza dell’attività pubblica e favorirne l’imparzialità, per formarsi e sostenere un’opinione personale — politica e su ogni altro aspetto della vita — attraverso la circolazione delle informazioni e dei pareri, sia riguardo all’oggi in cui

3 Nei regolamenti di alcuni Archivi di Stato si è ritenuto di dare effetto a tale inciso sta-

bilendo a carico dell’utente la responsabilità per l’eventuale violazione del diritto d’autore che l’uso dei documenti da lui reperiti possa comportare.

Renato Borruso

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viviamo sia riguardo al passato, la cui rappresentazione e documentazio-ne chiamiamo « storia », per avere, insomma, una più chiara consapevo-lezza della nostra identità personale (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo). Tornano alla mente, al riguardo, le stupende parole di Gabriel Garcia

Marquez: « La vita non quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla ». E io mi permetto di aggiungere: perché il ricordo è pur sempre un racconto, anche se fatto solo a se stessi.

8. Schema della libera riproducibilità dei documenti dello Stato scritti

« uti singulis ». — La riproducibilità dei documenti dello Stato uti singuli, cioè considerati singolarmente, costituiti da scritti, può, dunque, in sintesi essere così schematizzata:

— Atti ufficiali: libera riproducibilità (anche in considerazione che ri-spetto ad essi non può invocarsi alcun diritto di riservatezza, dovendo essere pubblicati)

— Atti non ufficiali - atti correnti della P.A.: accesso a norma della l. 241/90 4 - atti già versati negli Archivi di Stato:

- non coperti da diritto d’autore: libera riproducibilità (interpre-tazione restrittiva dell’art. 125 T.U.)

- coperti dal diritto d’autore: non-libera riproducibilità Per gli atti liberamente riproducibili resta il problema dei nomi propri di

persona in essi contenuti: devono essere omessi per rispetto della privacy quando non è strettamente necessario indicarli? (l. 675/96).

9. La tutela degli archivi dello Stato come banche dati. — La possibilità

di stigmatizzare un archivio come entità a se stante, cioè una universalità di beni mobili appartenenti ad uno stesso soggetto, avente una destinazione unitaria (come previsto nell’art. 816 del codice civile) e che, ai sensi dell’art. 21 del T.U., non può neppure essere smembrato per nessuna ragione dovendo essere conservato nella sua organicità, mi induce a rilevare che tutte le conclusioni qui da me già enunciate riguardano i documenti singolarmente considerati (ho detto prima uti singuli), ma non l’archivio nel suo insieme unitario.

Ciò perché gli archivi come quelli dello Stato costituiscono vere e pro-prie banche dati anche in senso tecnico-giuridico, anche se non implicano l’uso di computer o di altri sistemi di automazione. E le banche-dati sono

4 Cfr. anche l. n. 150 del 7 giu. 2000 « Disciplina delle attività di comunicazione e di in-formazione delle P.A. ».

Il diritto d’autore sui documenti dello Stato

429

protette — nel loro insieme cioè come universalità — con il diritto d’autore, secondo quanto disposto nella l. 6 mag. 1999 n. 169. Che un Archivio dello Stato — come, del resto, qualsiasi archivio degno di questo nome — sia da considerarsi « banca-dati » anche dal punto di vista giuridico emerge dalla stessa summenzionata l. 169/99 ove la « banca dati » è definita così: « raccol-ta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodica-mente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo » e ove si avverte subito dopo — per evitare possibili confusioni tra la nozione di archivio-banca dati come universalità e oggetto di tutela, da un lato, e i singoli documenti in esso contenuti, dall’altro —, che « la tutela delle banche-dati non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su di esso ». Perciò, il fatto che una banca dati sia coperta dal diritto d’autore non comporta necessariamente che lo siano anche i singoli documenti che lo costituiscono; come pure è vero il reciproco e che, cioè, il fatto che siano coperti dal diritto d’autore i singoli documenti non comporta affatto che anche la banca dati come universalità debba considerarsi egual-mente protetta.

Ciò posto, va subito aggiunto che la tutela giuridica di una banca-dati secondo la l. 169/99 — e, quindi, anche di un archivio di documenti in cui essi siano sistematicamente o metodicamente disposti e individualmente accessibili (cioè ricercabili) — può essere di due specie diverse:

— o una tutela del tutto pari a quella che la l. 633/41 sul diritto d’autore accorda se si tratta di una banca dati che — riferisco te-stualmente le parole della legge — « per la scelta o la disposizione del materiale possa considerarsi una creazione intellettuale dell’au- tore » (abbia cioè quel quid di originalità in cui si sostanzia il carat-tere creativo di un’opera e che è il presupposto indefettibile per il riconoscimento di un vero e proprio diritto d’autore);

— ovvero una tutela meno piena — chiamata espressamente sui gene-ris nella direttiva comunitaria 96/9/CE cui la l. 169/99 ha dato at-tuazione — quando, pur mancando qualsiasi carattere di originalità e creatività (come ad es. nel caso di un puro e semplice catalogo o elenco di dati ufficiali), il costitutore della banca-dati abbia effet- tuato per realizzarla « investimenti rilevanti, impegnando a tal fine mezzi finanziari, tempo o lavoro » (art. 102-bis della l. 633/41): un diritto sui generis, quindi attribuito non all’autore per rimeritarlo della sua capacità creativa intellettuale (come è, invece, nella disci-plina del diritto d’autore vero e proprio), ma all’imprenditore in considerazione esclusivamente dell’impegno, dello sforzo e del ri-schio economico affrontati.

Se la banca-dati può considerarsi per la scelta e la disposizione del ma-teriale una creazione intellettuale dell’autore, egli ha il diritto esclusivo di eseguirne o autorizzarne:

Renato Borruso

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a) la riproduzione (permanente o temporanea, totale o parziale) con qualsiasi mezzo e forma;

b) la traduzione, l’adattamento, una diversa disposizione e ogni altra modifica;

c) qualsiasi forma di distribuzione al pubblico anche telematica del- l’originale o di copie della banca dati.

Quando, invece, la banca-dati non presenta caratteri di originalità e, quindi, di creatività, a chi l’ha realizzata spetta soltanto il diritto esclusivo — peraltro limitato a soli 15 anni — di vietare operazioni di « estrazione » o di « reimpiego » della totalità o di una parte sostanziale della stessa, cioè sia il trasferimento (anche temporaneo) del contenuto della banca-dati su un altro supporto, sia la sua messa a disposizione del pubblico mediante distribuzione di copie, noleggio o trasmissione.

Ritengo che, in relazione agli Archivi di Stato, allo Stato spetti la tutela giuridica più piena, cioè un vero e proprio diritto d’autore nel senso più ampio del termine e non quel diritto meno pieno — chiamato sui generis (proprio per distinguerlo dal primo) — riconosciuto all’« imprenditore-costitutore » della banca-dati. E ciò perché il materiale raccolto in un Archi-vio di Stato è frutto di una scelta sapiente mediante « scarto » di tutti quei documenti che una speciale Commissione di esperti giudichi privi di pregio storico e/o culturale. E anche la disposizione che detto materiale riceve in archivio — ad esempio le sue ripartizioni e catalogazioni — costituisce il frutto della cultura personale, della mentalità, dell’intelligenza di chi lo progetta e lo realizza, sicché un Archivio di Stato non può non essere consi-derato anche una « creazione intellettuale ».

10. Conclusioni. — Concludendo: l’applicabilità della l. 633/41 sul dirit-

to d’autore agli Archivi di Stato e, quindi, il riconoscimento a favore dello Stato di un diritto d’autore sia sull’archivio in sé come banca-dati, sia, quando ne ricorrano le condizioni, sui singoli documenti in esso reperibili, difende gli Archivi di Stato da ogni tentativo di parassitario sfruttamento, ne esalta la altissima funzione culturale, stimola i dipendenti a lavorare in maniera sempre più orientata ad un progresso creativo (non potendo, in ogni caso, mai negarsi loro quanto meno il diritto morale a farsi riconoscere autori delle opere di carattere originale da essi realizzate nell’organizzazione degli archivi); al tempo stesso, non pregiudica — ma anzi aumenta — la libera fruibilità dei singoli documenti dal parte del pubblico, scopo nobilissi-mo e primario degli Archivi di Stato.

RENATO BORRUSO

Università LUISS G. Carli

NATURA E STRUTTURA DEL FASCICOLO

L’esigenza di progettare sistemi informatici di gestione archivistica, resa più evidente e urgente dalla normativa di questi ultimi anni 1, ha suscitato la necessità di una riflessione teorica su alcuni concetti fondamentali della disciplina archivistica. Questi ultimi parevano così pacificamente acquisiti dalla sensibilità collettiva degli archivisti e talora perfino degli informatici da essere dati per scontati. Ma alla prova dei fatti, cioè al momento della progettazione concreta dei sistemi di gestione, è emersa una debolezza interpretativa di nozioni forse non sufficientemente precisate sia a livello teorico sia soprattutto a livello di trasmissione didattica del bagaglio culturale dell’archivista.

Uno di questi concetti, sui quali è imprescindibile fare chiarezza, è il fa-scicolo archivistico.

Resta fondamentale — anche per l’immediatezza e la facilità dell’ap- proccio — la lunga definizione di Paola Carucci 2 che riporto per estratto:

Il fascicolo è costituito dai documenti relativi a una determinata pratica, colloca-ti, all’interno di una camicia (o copertina) in ordine cronologico. Il fascicolo costitui-sce l’unità di base, indivisibile, di un archivio (…)

e aggiunge:

1 In particolare il d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, « Testo unico delle disposizioni legisla-

tive e regolamentari in materia di documentazione amministrativa », artt. 50-70 e d.p.c.m. 31 ottobre 2000, « Regole tecniche per il protocollo informatico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 428 », che impongono alle pubbliche amministrazioni di provvedere entro il 1° gennaio 2004 di adeguare i sistemi di gestione documentaria alla norma- tiva. Per un commento a tale normativa L. GIUVA, Il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, in « Rassegna degli Archivi di Stato », LX (2000), 3 pp. 620-631; A. ROMITI, Le disposizioni sul protocollo informatico: alcune osservazioni sulle valenze archivistiche, in Thesis 99: progetto per la gestione e tutela delle tesi di laurea. 2a Conferenza organizzativa degli archivi delle università italiane (11-12 novembre 1999), Padova 2001, pp. 345-359; L. GIUVA, Il protocollo informatico: lo stato dell’arte e gli sviluppi futuri, relazione presentata alla 4a Conferenza organizzativa delle università italiane (Padova, 24 ottobre 2002).

2 P. CARUCCI, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, Roma 1983, pp. 209-210 (Beni culturali, 10): la definizione tocca tutti i nodi problematici della questione, anche se apparentemente non in modo esplicito e allineato con il lessico usato dalla normativa recente e dal mondo informatico.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Giorgetta Bonfiglio-Dosio

432

I documenti sono collocati, all’interno del fascicolo, secondo l’ordine di archi-viazione (...). Se il documento ha degli allegati, questi debbono rimanere uniti al documento cui si riferiscono.

Infine, parlando della camicia, che « fa parte integrante del fascicolo e

anche quando è rovinata non deve essere distrutta in sede di ordinamento » e non deve essere alterata con aggiunte posteriori di numeri o altro, precisa che « sulla camicia del fascicolo di un archivio ben organizzato » è riportata la classificazione. Aggiunge poi che al fascicolo può essere attribuito un nume-ro progressivo che lo individua nell’ambito della categoria (numero di reper-torio del fascicolo, detto anche numero di posizione). I fascicoli possono trovarsi all’interno della partizione senza numero, ma in ordine alfabetico (nomi di persona, di luogo, di ente) o anche secondo un numero di matricola. La definizione di Paola Carucci contiene in nuce tutti gli spunti di approfondimento che meritano una riflessione: primo fra tutti il concetto di pratica.

Il termine, infatti, non compare nei testi normativi e neppure in quelli giuridici (manuali, dizionari, etc.), a differenza di affare che viene usato — ovviamente senza spiegazioni, trattandosi di testo normativo — nell’art. 34 del r.d. 25 gennaio 1900, n. 35 « Approvazione del regolamento per gli uffici di registratura e di archivio delle Amministrazioni centrali ». Nel lessico burocratico dell’epoca il termine era usato correntemente e, quindi, comprensibile, a differenza di quanto accade oggi: sondaggi capillari e ripetuti, effettuati durante i numerosi corsi di formazione e aggiornamento del personale dei Comuni negli ultimi due anni, hanno dimostrato che la burocrazia del XXI secolo (o almeno quella degli enti locali) ignora il significato di pratica e di affare, mentre ha grosso modo presente quello di procedimento amministrativo, trattandosi di un concetto rappresentato nella manualistica di diritto amministrativo. Chiarire senza equivoci il significato di tali termini diventa, quindi, essenziale per programmare i sistemi di gestione archivistica.

Per pratica un recente dizionario etimologico 3 propone alcune defini- zioni:

- complesso delle azioni che si propongono la realizzazione dell’utile e del be-ne morale

- attività rivolta a operare, eseguire o effettuare concretamente - trattative necessarie per conseguire uno scopo o raggiungere un risultato; in-

sieme di documenti relativi a un determinato affare.

3 M. CORTELAZZO - P. ZOLLI, Dizionario etimologico della lingua italiana, IV, O-R Bo-

logna 1985, ad vocem.

Natura e struttura del fascicolo

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In particolare è rivelatrice la terza definizione, soprattutto perché accen-na a usi burocratici e archivistici 4 e perché evidenzia il legame tra affare (l’azione) e pratica (la documentazione relativa, prodotta nel corso della trattazione). Nel linguaggio corrente della pubblica amministrazione viene però usata una sineddoche che sostituisce il prodotto documentario all’attività procedimentale: si usa, infatti, la frase « la pratica è in corso » per indicare che l’iter amministrativo di un affare non si è ancora concluso. Gli autori del citato Dizionario etimologico aggiungono una ulteriore precisazione traendola dalla precedente letteratura in materia: « Furono poco conoscenti della nostra lingua quei pubblici ufficiali che già appartenendo a provincia addetta alla Francia introdussero fuori del proprio senso la voce pratica usandola in luogo di atti e quando loro abbisogna di averli per prenderne esame » 5. Non basta. Con acuta sensibilità per le tematiche burocratiche gli autori riportano — a proposito del termine posizione, usato come sinonimo di pratica — la seguente citazione: « Negli uffici pubblici e negli studi privati si dice così quella serie di atti o fogli radunati entro una copertina, o busta, rigettando le voci buone di filza, di inserto, e sia anche fascicolo. Il bello è che ne’ suddetti Uffizi dal 1860 in qua le filze furon dette pratiche, ora mutate in posizioni. Di bene in meglio! » 6.

Veniamo ora ad affare. Raffaele De Felice 7, nel definire il termine affa-re, chiarisce il significato anche di pratica: egli, infatti, ricorda che « nella sua accezione generale il termine [affare] è indicativo di qualcosa da fare o da compiere o che interessa » 8 e precisa « nel linguaggio amministrativo e archivistico il termine è indicativo dell’insieme degli atti e documenti posti in essere durante la trattazione di uno speciale “oggetto”, iniziato da un organismo della pubblica amministrazione nell’ambito delle proprie compe-tenze ». Il legame tra affare e pratica è così evidenziato da De Felice: « Ma-terialmente tutta la documentazione di un “affare”, raccolta in una camicia di carta forte (copertina o cartella) forma il fascicolo; pertanto il termine “affa-re” viene spesso usato come sinonimo di fascicolo, incartamento, pratica ». La rassegna lessicale consente di confermare la netta divisione tra la se- quenza di azioni amministrative tese a portare a buon fine un affare concreto e il complesso di documenti costituenti il fascicolo, ognuno dei quali è prodotto dalla singola azione amministrativa nell’osservanza della norma che la pubblica amministrazione esprime tramite atti scritti.

4 La definizione è tratta da S. DE STEFANI CICCONE - I. BONOMI - A. MASINI, La stampa periodica milanese dalla prima metà dell’Ottocento. Testi e concordanze, Pisa 1984.

5 L’espressione è tratta da C. GAMBINI, Alcune frasi e voci errate usate nel foro e ne’ pubblici uffizi, Milano, Pio istituto tipografico, 1876.

6 P. FANFANI - C. ARLIA, Lessico dell’infima e della corrotta italianità, Milano 1890. 7 R. DE FELICE, L’archivio contemporaneo. Titolario e classificazione sistematica di com-

petenza nei moderni archivi correnti pubblici e privati, Roma 1988, p. 85. 8 Significato presente anche in M. CORTELAZZO - P. ZOLLI, Dizionario etimologico, I/A-C,

Bologna 1979, ad vocem affare: « cose da fare, faccenda, incombenza ».

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Esiste quindi un rapporto di causa-effetto tra la conduzione di un affare concreto e il fascicolo, il quale a sua volta è strumento, oltre che residuo, dell’azione amministrativa 9.

Quanto al termine procedimento, venuto prepotentemente alla ribalta nella mentalità corrente dei burocrati grazie alla legge 7 agosto 1990, n. 241 « Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi », i linguisti ne precisano il significato: « modo di procedere » (attestato già a partire dal sec. XIV), « maniera di condurre un’operazione o di risolvere un problema » e — ancora più chiara-mente — « nel diritto processuale, modello legale del processo », attestato dal Codice penale del 1865. Perciò il procedimento descrive il modello ideale ed astratto di come una pubblica amministrazione deve condurre un affare concreto. L’elenco dei procedimenti amministrativi, che la legge 241/1990 ha imposto a ciascuna amministrazione di redigere, è strumento di garanzia per il cittadino, in quanto lo informa su che cosa la pubblica amministrazione deve fare e in che tempi 10. Dopo queste precisazioni, si può proporre, con linguaggio matematico, una equazione che dovrebbe essere illuminante:

Affare : Procedimento = Fascicolo : Titolario

Difatti, mentre il titolario prevede quello che una pubblica amministra-

zione può produrre in campo documentale, il fascicolo fotografa quello che effettivamente ha prodotto nel corso della sua attività. Parallelamente l’elenco dei procedimenti prevede le fasi attraverso le quali una pubblica amministra-zione deve passare per condurre una certa tipologia di affari e i tempi mas-simi necessari per concluderli, mentre il singolo affare è l’insieme delle azioni amministrative concrete compiute per risolvere un problema e rag-giungere un risultato.

Ne consegue che il fascicolo, cioè il concreto prodotto archivistico, si ri-ferisce all’affare, che talvolta può (ma non necessariamente deve) coincidere con un procedimento, mentre altre volte comprende più procedimenti o sub-

9 Applico al fascicolo la nota definizione di archivio formulata da F. VALENTI, Nozioni di base per un’archivistica come euristica delle fonti documentarie, in ID., Scritti e lezioni di archivistica, diplomatica e storia istituzionale, a cura di D. GRANA, Roma 2000, p. 170 (Pub- blicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 57).

10 Precisa il Nuovo dizionario enciclopedico del diritto, a cura di F. DEL GIUDICE (Napoli 1998, p. 1114): « affinché un atto amministrativo sia perfetto (cioè comprenda tutti gli elementi necessari per la sua esistenza giuridica) ed efficace (cioè possa produrre validamente effetti), deve essere emanato dopo aver eseguito un particolare iter, comprendente più atti ed operazioni, che nel complesso prendono il nome di procedimento. Il procedimento è l’insieme di una pluralità di atti susseguenti, eterogenei ed autonomi destinati allo stesso fine e cioè alla produzione degli effetti giuridici propri di una determinata fattispecie ». Un’ulteriore definizione: il procedimento è costituito da una « serie di atti ed operazioni funzionalmente collegati in relazione ad un unico effetto » (Consiglio di Stato, adunanza plenaria del 28 gennaio 1961).

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procedimenti. Il procedimento difatti è esclusivamente un modello di compor-tamento della pubblica amministrazione 11. Va precisato subito che il titolario di classificazione non va definito in base all’elenco dei procedimenti, ma sulla scorta dell’analisi delle funzioni. Non è questa la sede per discutere sui criteri di definizione del titolario di classificazione 12, ma ritengo essenziale sgombrare il campo dagli equivoci ingenerati da alcune proposte 13. In parti-colare è bene ribadire l’opportunità di stabilire un unico titolario condiviso da tutti gli enti gemelli (ad esempio, tutti i Comuni, tutte le Camere di commercio, etc.), e applicarlo in modo rigido, che non lasci spazio a inter-pretazioni e personalizzazioni arbitrarie. Si può solo precisare e ribadire che per realizzare un titolario unico ci si deve riferire alle funzioni (che sono uguali per tutti gli enti di un certo tipo) e non all’organigramma di un singolo ente (che è diverso da quello di enti gemelli) o all’elenco dei proce-dimenti (che pure può variare in caso di enti gemelli, in un contesto giuridi-co che riconosca e valorizzi le autonomie) 14.

Prima di tutto però è bene approfondire l’analisi della natura archivistica del fascicolo in rapporto ai contesti organizzativi e gestionali più generali. Nel quadro normativo e amministrativo attuale i principi archivistici impon-gono che il fascicolo si formi incardinato nella griglia logica del titolario di

11 Anche la normativa dimostra la confusione lessicale che regna nelle menti dei burocrati

contemporanei: si veda, ad esempio, il d.p.r. 445/2000, art. 67, dove, a proposito del trasferi-mento all’archivio di deposito, si parla di « fascicoli e serie documentarie relativi a procedimen-ti conclusi », mentre il riferimento è evidentemente ad affari conclusi.

12 Dei quali si è occupato G. PENZO DORIA, La linea dell’arco. Criteri per la redazione dei titolari di classificazione, in Thesis 99: progetto per la gestione e tutela delle tesi di laurea. Atti della 2a Conferenza organizzativa degli archivi delle Università italiane, Padova 2001, pp. 305-340 e in Labirinti di carta. L’archivio comunale: organizzazione e gestione della documen-tazione a 100 anni dalla circolare Astengo. Atti del convegno nazionale (Modena, 28-30 gennaio 1998), Roma 2001, pp. 72-104 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 67).

13 Alludo in particolare a E. SCARPA - E. POGGI, Progetto Arc.O - Archivio organizzato. Linee interpretative, criteri e componenti per un piano di classificazione, di conservazione degli atti e di gestione dei flussi documentali, in « Archivi & Computer. XI (2001), 3, pp. 171-201. La proposta dei due colleghi della Giunta regionale del Veneto andrebbe capillarmente discussa e controribattuta perché introduce elementi fuorvianti. Accenno solo ai più rilevanti che hanno una ricaduta anche per il nostro discorso: i singoli procedimenti amministrativi, che sono stati assunti — secondo me, erroneamente — come elementi determinanti del titolario, non sono sufficientemente descritti nel contesto gerarchico delle funzioni e delle attività; la libertà lasciata « alla sensibilità archivistica nella definizione dell’indice di classificazione », che i due proponenti ritengono un valore di rilevanza amministrativa e gestionale, può diventare un pericolo per il dialogo tra enti gemelli, sia pur dotati di ampia autonomia.

14 Il dibattito sul tema si sta accendendo, ma sarebbe necessario chiarire ulteriormente certi termini della questione (quali, ad esempio, classificazione, smistamento, gestione, respon-sabilità della conservazione, funzione, competenza, materia). Pone la questione S. TWARDZIK, I problemi dell’archivio di deposito dell’ente comune in rapporto ai principi della classificazione, in « ACME. Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Milano », LV (2002), 1, pp. 185-220.

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classificazione: regola gestionale principe che esige rispetto rigoroso e intransigente, pena il crollo dell’intero sistema di gestione dell’archivio, ma che di contro è in grado di garantire anche la tutela dei nessi originari tra le differenti unità archivistiche e quindi la conservazione, oltre che dei dati, anche dei metadati 15.

Tale sistema di organizzazione documentale, recepito e imposto pure dai testi legislativi vigenti, si impernia sull’utilizzo sincronico e coordinato di strumenti (registro di protocollo, segnatura, titolario di classificazione, reper-torio dei fascicoli), attraverso i quali è possibile effettuare sul documento alcune operazioni (registrazione, identificazione univoca, classificazione, ag- gregazione in fascicoli) necessarie alla corretta, efficace ed efficiente gestione archivistica.

Le metodologie ora in uso vennero introdotte nelle abitudini della pub-blica amministrazione italiana all’inizio del sec. XIX 16 (solo in alcune aree nell’ultimo quarto del sec. XVIII) 17, sovvertendo consuetudini di organizza-zione archivistica affermatesi in tutta evidenza a partire dall’età comunale e sostenute o — meglio — riconosciute da una precettistica autorevole in età moderna. L’ordine per corpus, classes et seriem, prescritto da Nicolò Gius-sani 18 evidenzia linee di tendenza della gestione negli archivi di antico regime, ben illustrate dai commentatori. Prima di tutto si deve ricordare che si trattava comunque, fino alla caduta degli Stati e delle istituzioni di origine basso-medievale, di archivi sempre correnti, nonostante l’anzianità dei docu-menti, e quindi gestiti dagli uffici dell’ente produttore. Poi è stata giustamen-te evidenziata la funzione ordinatrice, oltre che conservatrice, del registro e del volume: sui registri venivano copiati, spesso in forma riassuntiva, i documenti, generalmente in forma di lettera, ricevuti e quelli inviati, rogiti notarili attestanti diritti ed eventi giuridicamente rilevanti, documenti in origine sciolti, annotazioni sintetiche di fatti documentati da carte sciolte (si

15 Uso un linguaggio informatico per rinforzare un concetto tradizionale in archivistica: l’archivio non è solo la somma delle informazioni contenute nei singoli documenti, ma è anche e soprattutto l’insieme delle relazioni che collegano i documenti. Per il concetto di metadati rinvio a P. HORSMAN, Metadata: concetto archivistico o territorio informatico, in « Archivi & Computer », XI ( 2001), 1, pp. 35-43.

16 Cfr., a titolo di esempio, A. SPAGGIARI, Amministrazione e archivi nei Dipartimenti del Crostolo e del Panaro, in Reggio e i territori estensi dall’antico regime all’età napoleonica. Atti del convegno di studi (Reggio Emilia, 18-20 marzo 1977), a cura di M. BERENGO e S. ROMAGNOLI, Parma 1979, pp. 137-148; G. BONFIGLIO-DOSIO, Proposta di un nuovo titolario per gli archivi dei comuni italiani, in Studium 2000. Atti della 3a Conferenza organizzativa degli archivi delle università italiane, a cura di G. PENZO DORIA, Padova 2002, pp. 316-367, specie le pp. 319-327.

17 In particolare per Milano M. BOLOGNA, Il metodo peroniano e gli “usi d’uffizio”: note sull’ordinamento per materia dal XVIII al XX secolo, in « Archivio storico lombardo », CXXIII (1997), pp. 233-280; per l’area trentina F. CAGOL, I sistemi archivistici che vennero d’Oltralpe: risultati di un primo sondaggio, in Studium 2000… cit., pp. 301-314.

18 Methodus archivorum, Mediolani 1684.

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pensi per quest’ultimo caso ai registri contabili sui quali venivano ordinati fatti di natura economica analiticamente documentati da carte singole); nei volumi venivano legate assieme unità archivistiche minori (registri di piccolo formato, detti quaderni, ma anche fascicoli). Il concetto di fascicolo come complesso di documenti tutti relativi al medesimo affare è noto alla pratica gestionale delle cancellerie di antico regime: si tratta però di unità archivisti-ca che nasce dallo stratificarsi delle carte fuori dall’organizzazione precosti-tuita del titolario. Infine si è osservato che è ben presente nelle cancellerie di antico regime il concetto di serie, intesa come insieme organico di unità archivistiche tra di loro simili per elementi estrinseci, ma soprattutto per identità diplomatistica, provenienza e materia (ad esempio, la serie dei registri delle sentenze criminali, la serie dei fascicoli processuali, le delibera-zioni di un Consiglio, la serie delle polizze d’estimo). Il concetto di serie è l’elemento-ponte tra antico regime ed epoca napoleonica e post-napoleonica e consente di precisare alcuni punti cardine dell’archivistica contemporanea. La normativa vigente, in particolare il d.p.r. 445/2000, accenna solo fuggevolmente alla serie 19 senza però fornirne una definizione in grado di chiarire la sua funzione all’interno dell’organizzazione dell’archivio, forse presupponendo conoscenze, effettivamente non riscontrabili però sul campo. Inoltre il citato d.p.r. non accenna minimamente al concetto di repertorio, se si esclude l’accenno indiretto e implicito che ne fa l’art. 53, comma 5 quan-do elenca i documenti soggetti a registrazione obbligatoria e tra gli esclusi annovera « tutti i documenti già soggetti a registrazione particolare dell’am- ministrazione ».

Sull’importanza della costituzione dei fascicoli e dell’aggregazione dei documenti in fascicoli penso non sussistano più dubbi fra gli archivisti e perfino tra gli informatici più seri 20. Del resto la validità del sistema di gestione incentrato su protocollazione / classificazione / fascicolazione è stata ribadita in più occasioni 21 ed è stata recepita — si è già visto — dalla normativa.

19 Un po’ più ampio il riferimento che ne fa la « Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 ottobre 1999. Gestione informatica dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni », art. 6, comma 3: « la definizione dei criteri di formazione e di organizzazione dei fascicoli, dei dossier e delle serie di documenti tipologicamente simili (circolari, verbali, registri contabili, ecc.) ». Sulla definizione di serie cfr. P. CARUCCI, Le fonti archivistiche… cit., p. 228 e Il documento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, Roma 1987, pp. 135-137 (Beni culturali, 1).

20 Per citare solo le riflessioni italiane: S. PIGLIAPOCO, La gestione dei documenti nelle pubbliche amministrazioni: un modello informatizzato, Rimini 1996, p. 55 (tra l’altro in più occasioni l’autore ha definito « strategico » il momento della costituzione dei fascicoli); M. GUERCIO, Archivistica informatica. I documenti in ambiente digitale, Roma 2002, pp. 68-71; G. PENZO DORIA, Due osservazioni sul fascicolo archivistico, in Documenti e informatica. Gli archivi correnti degli enti pubblici territoriali dell’Umbria. Atti del 2° incontro di lavoro (Terni, 3 ottobre 2000), a cura di G. GIUBBINI, Perugia 2001, pp. 102-111 (Segni di civiltà, 2).

21 D. TAMBLÉ, Gli strumenti dell’archivio e del protocollo: dalla certificazione giuridica alla concettualizzazione istituzionale, in Atti della I Conferenza organizzativa degli archivi delle

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Resta però da chiarire l’esatta valenza organizzativa e giuridica del re-pertorio.

La definizione offerta da Paola Carucci 22 descrive in prima battuta pro-prio quel repertorio dei fascicoli che pare sparito dal d.p.r. 445/2000:

Registro su cui vengono annotati con un numero progressivo i fascicoli secondo

l’ordine cronologico in cui si costituiscono all’interno delle suddivisioni del titolario: il repertorio deve essere organizzato in maniera da riprodurre le suddivisioni del titolario. Si distingue da questo in quanto il titolario è il quadro delle ripartizioni astratte, dell’archivio, mentre il repertorio serve alla registrazione, nell’ambito di queste ripartizioni astratte, dei fascicoli, cioè degli affari concreti che rappresentano l’attività effettivamente svolta dall’ente. Il repertorio è dunque un mezzo di corredo per facilitare il reperimento dei fascicoli, compilato presso l’ente che produce l’archi- vio.

Definizione corretta. Ma il repertorio dei fascicoli è solo un mezzo di

corredo o acquisisce una valenza certificatoria, nei confronti dei fascicoli creati e quindi esistenti nell’archivio di un ente, equivalente a quella del registro di protocollo, nei confronti dei documenti prodotti o acquisiti dal- l’ente stesso? Propenderei, soprattutto alla luce della filosofia della trasparen-za dell’attività della pubblica amministrazione, per questa seconda interpreta-zione. Del resto i softwares ben costruiti, che quindi consentono di realizzare e gestire la costituzione dei fascicoli, compilano automaticamente anche il repertorio dei fascicoli. Il seguito della definizione della Carucci apre inoltre nuovi orizzonti; a proposito del repertorio dei notai e del repertorio degli uffici giudiziari essa riporta: « Registro obbligatorio sul quale debbono essere annotati giorno per giorno gli atti compiuti ».

Viene introdotto il concetto di obbligo di registrare con particolari for-malità determinati documenti: a ben considerare, lo stesso registro di proto-collo è un repertorio. Inoltre la normativa impone il repertorio delle notifi-che 23. Pertanto le amministrazioni, chiamate ora a scrivere il manuale di gestione dei loro sistemi archivistici dovranno tener conto di questa forma particolare di organizzazione e di aggregazione dei documenti. Il repertorio ha non solo una funzione organizzativa, ma anche una valenza giuridico-probatoria, sulla quale finora si è poco riflettuto. La registrazione di un documento in un repertorio comporta l’attribuzione a quel documento di un numero progressivo che ne attesta l’esatta collocazione cronologica, con precise conseguenze in campo giuridico, e quindi ne consente la reperibilità e università italiane. Titulus 97: verso la creazione di un sistema archivistico nazionale (22-23 ottobre 1998), a cura di G. PENZO DORIA, Padova 1999, pp. 47-68; A. ANTONIELLA, Attualità degli strumenti dell’archivio e del protocollo, ibid., pp. 69-76.

22 P. CARUCCI, Le fonti archivistiche… cit., p. 225. 23 Cfr. il d.p.r. 15 dicembre 1959, n. 1229, artt. 116, 117, 118. Ringrazio per la segnala-

zione Maurizio Galliani del Comune di Milano.

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la citabilità: un concetto sul quale dovrebbero riflettere le pubbliche ammini-strazioni che — a quanto pare — hanno dismesso tale strumento archivistico. Ma torniamo al fascicolo. Spesso si obietta che non è sostenibile l’af- fermazione che i documenti costituenti un fascicolo hanno tutti la medesima classifica. L’obiezione può sembrare fondata, perché ad un primo superficiale esame di un fascicolo si rileva la presenza di classifiche diverse sui docu-menti.

Certamente, quando si parla di fascicolo per affare, i documenti in en- trata (documenti acquisiti) hanno ciascuno una classifica diversa, ognuna attribuita dal soggetto che spedisce in base al proprio titolario (e questo è normale e comprensibile); il soggetto che li riceve attribuisce loro una stessa classifica, determinata in base al proprio titolario, e li colloca nel medesimo fascicolo. Nessun problema pone il documento in partenza, perché la « minu-ta » che rimane a fascicolo ha per definizione la classifica del fascicolo di appartenenza, classifica identica a quella di tutti i documenti del medesimo fascicolo. Identica procedura si applica al documento cosiddetto « interno », in quanto il flusso tra uffici di un medesimo ente è simile a quello che si sviluppa tra enti diversi. Un esempio concreto può chiarire quanto affermato. Ipotizziamo che un comune organizzi per Ferragosto la Sagra dell’estate. Si tratta di un evento culturale in senso lato, secondo la definizione ampia attualmente attribuita al termine « cultura ». L’ufficio incaricato di organizzar-la (ipotizziamo che sia il Settore cultura, sport e tempo libero) prenderà le mosse da una delibera di Giunta o da una determina del dirigente, redatta in doppio originale: un esemplare va inserito nel repertorio delle delibere di Giunta oppure in quello delle determine di quel dirigente, l’altro nel fascicolo relativo. Entrambi sono classificati — in base al titolario realizzato per i Comuni dal Gruppo di lavoro nominato con decreto 18 luglio 2002 del direttore generale degli archivi — VII/6 (dove VII è il titolo dedicato ai servizi alla persona, 6 è la classe dedicata agli eventi e alle attività culturali). Il fascicolo, che si apre con tale delibera o determina, è denominato: 2003-VII/6. 21 « Sagra dell’estate » (dove 2003 indica l’anno di apertura, VII il titolo e 6 la classe di appartenenza, 21 il numero progressivo attribuito al fascicolo nell’ambito della classe in quell’anno, « Sagra dell’estate » il titolo del fascicolo). A seguito della delibera o determina, il Settore organizza l’evento e si attiva di conseguenza: richiederà quindi al Provveditorato di mettere a disposizione panche, tavoli, banchi e altro materiale mobile di proprietà del Comune: tale lettera di richiesta, che evidentemente partirà con la classifica VII/6, verrà classificata al suo arrivo al Provveditorato con IV/10 (titolo: risorse finanziarie e patrimoniali, classe: beni mobili), perché viene aggregata al fascicolo « Concessione in uso delle attrezzature comunali ». La risposta del Provveditorato partirà quindi con la classifica IV/10, ma al suo arrivo al Settore cultura verrà classificata VII/6. Lo stesso dicasi per la richiesta alla Polizia municipale di interdire il traffico veicolare nella zona della sagra: la richiesta che parte dal Settore cultura reca la classifica VII/6

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in partenza e IX/2 in arrivo; la risposta della Polizia municipale avrà in partenza la classifica IX/2, e all’arrivo al Settore cultura verrà classificata VII/6.

Il fascicolo relativo a persona fisica o giuridica verrà individuato dal ti-tolo, all’interno del quale si colloca la serie di tali fascicoli (ad esempio, III Risorse umane per i fascicoli dei dipendenti) e avrà come elemento classifi-catorio unificante il numero con cui la persona è identificata all’interno dell’organizzazione (ad esempio, il numero di matricola per i dipendenti) oppure il nome della persona fisica o giuridica. Quindi: III/ 6925 « Giorgetta Bonfiglio-Dosio » oppure VIII (il titolo dedicato alle attività economiche)/ 279 « Cementificio Pietroni ». Nel fascicolo per persona fisica o giuridica vanno inseriti tutti i documenti relativi; questo sistema di costituzione e gestione del fascicolo risulta assolutamente funzionale alle esigenze organiz-zative e alla filosofia connesse con la normativa, ad esempio, sullo Sportello unico per le attività produttive previsto dal d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 24, comma 2. Di conseguenza, tale organizzazione dei fascicoli consente da un lato alle pubbliche amministrazioni di disporre con facilità e comodità delle informazioni necessarie alla quotidiana attività amministrativa e d’altro canto permette a chiunque ne abbia diritto di accedere all’archivio in modo veloce ed efficiente 24.

GIORGETTA BONFIGLIO-DOSIO Università degli studi di Padova

24 Richiamo quanto precisato a proposito della corretta tenuta del fascicolo archivistico in

rapporto alla possibilità di esercitare il diritto di accesso da G. PENZO DORIA, Due osservazioni sul fascicolo archivistico, in Documenti e informatica. Gli archivi correnti degli enti pubblici territoriali dell’Umbria. Atti del 2° incontro di lavoro (Terni, 3 ottobre 2000), a cura di G. GIUBBINI, Perugia 2001, pp. 102-111, in particolare p. 110 (Segni di civiltà - Quaderni della Soprintendenza archivistica per l’Umbria, II).

PROGETTO DI MANUTENZIONE PER L’ARCHIVIO DI STATO DI VITERBO.

LINEE GUIDA PER UN CORRETTO INTERVENTO DI SPOLVERATURA

Il progetto di manutenzione predisposto per l’Archivio di Stato di Viter-

bo 1, pur non realizzato in seguito sul piano operativo, può costituire un’utile base per chi si occupa della conservazione dei beni archivistici.

Nell’ambito della conservazione preventiva, infatti, pianificare corretta-mente interventi di manutenzione e, in particolare, interventi di spolveratura rappresenta un aspetto fondamentale, costituendo inoltre occasione per effet-tuare controlli generali dello stato di conservazione dei documenti. I piani di intervento devono essere molto circostanziati e predisposti dagli stessi tecnici che si occupano della conservazione dei beni culturali e non essere, invece, affidati genericamente alle ditte.

1. La componente aerobiologica. — L’aria atmosferica 2 può costituire un

fattore di degradazione per i materiali presenti negli archivi a causa della presenza di inquinanti atmosferici e polveri.

Gli inquinanti atmosferici in base alla natura chimica si dividono in in-quinanti di origine inorganica e organica: tra le sostanze inorganiche trovia-mo i sali metallici, i composti a base di zolfo, azoto, cloro e le sostanze inerti; tra le sostanze organiche troviamo i composti alifatici, i composti aromatici, le aldeidi, i chetoni, ecc. Gli inquinanti più pericolosi per libri e documenti sono gli ossidi di zolfo, gli ossidi di azoto e l’ozono. Questi inquinanti sono in grado di provocare degradazioni importanti ed accelerare processi già in corso.

Per quanto concerne le polveri, nell’aria è presente il particellato atmo-sferico formato da particelle di differente costituzione, organica e inorganica 3,

1 I locali di deposito dell’archivio furono oggetto, nel mese di settembre del 1999, di un sopralluogo da parte di tecnici del Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di Stato, i quali accertarono la necessità di un intervento di depolveratura e igiene ambientale.

2 L’atmosfera è l’involucro gassoso che circonda la terra. Essa è costituita dall’aria in cui si trovano sospese particelle sia solide che liquide di diversa natura. L’aria è composta da: azoto (78%), ossigeno (20,85%), anidride carbonica (0,031%), e da altri componenti (idrogeno, argon, neon, xeno, kripton, elio, ozono, ecc.).

3 I componenti inorganici, fra questi si possono citare sabbia, argilla, carbone, ceneri e me-talli, derivano da processi di combustione, da produzioni industriali, dal traffico automobilistico.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Donatella Matè - Elena Ruschioni - Tiziana Fabris

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che possono provenire da processi di disintegrazione della materia, sia naturali sia dovuti all’uomo. Le particelle hanno la capacità di assorbire attraverso la loro superficie diverse sostanze chimiche e servire da nuclei di condensazione del vapore acqueo con formazione di piccole goccioline dove possono discio-gliersi numerose sostanze allo stato gassoso, costituendo così un supporto per lo sviluppo di microrganismi. Generalmente le polveri hanno un diametro da 1 a 100 micron.

Nel particellato atmosferico sono presenti numerose particelle di natura biologica come spore fungine e batteriche, spore di piante superiori, propaguli di licheni, pollini, virus e uova di insetti.

Buona parte delle particelle biologiche (ad esempio ife fungine e molti batteri) non riesce a sopravvivere alle condizioni ambientali sfavorevoli (radiazioni U.V. nocive, assenza di acqua, grosse variazioni termiche). Le spore dei microrganismi e le uova di insetti, invece, sono molto resistenti e possono rimanere in uno stadio di vita latente 4 per lunghissimi anni, fino a trovare condizioni ottimali per il loro sviluppo; quando infatti raggiungono le superfici dei documenti, le spore possono in certe condizioni trovare un substrato che, fungendo da sorgente di nutrizione, permette loro una attivazio-ne e una successiva crescita.

Lo sviluppo dei microfunghi, i principali biodeteriogeni dei supporti car-tacei, dipende da vari fattori, come il tipo di substrato, l’umidità nel supporto, le condizioni climatiche favorevoli. L’attività metabolica risulta più elevata quando i valori della temperatura sono compresi tra i 20°C e i 30°C, i valori dell’umidità relativa dell’aria superano il 65% e nel substrato esiste un conte-nuto di acqua disponibile in percentuale, superiore al 10% per la carta e al 15% per pergamena e cuoio.

Anche lo sviluppo entomologico risulta influenzato da fattori ambientali; ambienti polverosi, inoltre, favoriscono l’insediamento di insetti e rendono più difficile il riconoscimento delle tracce dovute a nuove infestazioni (polvere di rosura, resti entomologici etc.).

L’allontanamento della polvere, dunque, oltre a ridurre il rischio di danni causati da agenti biologici sui documenti, permette anche una riduzione di rischio per la salute delle persone che entrano in contatto con il materiale archivistico. In soggetti particolarmente sensibili, infatti, la polvere può pro- vocare fenomeni irritativi sia a livello della cute sia a carico delle prime vie respiratorie.

2. L’Archivio di Stato di Viterbo. — La sede dell’Archivio di Stato di Vi-

terbo, istituito dapprima come Sezione di Archivio di Stato, era inizialmente ubicata nella periferia a Nord della città, in un appartamento per la parte che

4 La fase di quiescenza delle spore consiste in una fase in cui si verifica una cessazione dello sviluppo, durante la quale le spore possono restare inattive, costituendo una potenziale fonte di danno per i documenti.

Linee guida per un corretto intervento di spolveratura

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interessava gli uffici e la sala studio e in una via adiacente per il magazzino di deposito. Nel 1985 avviene il trasferimento alla nuova ed attuale sede, molto più ampia, sia per la parte degli uffici che dei servizi al pubblico e dei deposi-ti, anche se si tratta di un edificio costruito originariamente per accogliere attività commerciali.

I depositi si trovano ubicati su tre livelli, da quota 0 a -2 ed accolgono, ciascuno, per quanto è stato possibile fare nel corso degli anni, fondi archivi-stici omogenei per tipologia di documentazione.

Il deposito del cosiddetto « piano terra » contiene gli archivi dei notai dei comuni appartenenti alla provincia di Viterbo; quello del cosiddetto « interra-to » accoglie la documentazione degli uffici sorti a partire dall’unificazione del Regno d’Italia: si tratta quindi di archivi contemporanei, con alcune eccezioni, per quanto riguarda gli archivi dell’Ospedale grande degli infermi e dell’Ospizio degli esposti, tutti e due della città di Viterbo, e alcuni altri fondi di istituti di beneficenza che iniziano la loro attività a partire dal XVII secolo circa.

Infine, il deposito del cosiddetto « seminterrato », quello che è stato scel-to per il progetto di spolveratura, accoglie i fondi già appartenuti agli uffici giudiziari (Procura, Tribunale e Pretura) sia del capoluogo che dei comuni della provincia, l’archivio storico del Comune di Viterbo, che è in deposito, e tutta la serie degli atti di stato civile versati dal Tribunale di Viterbo, dal 1870 al 1992.

Il locale di deposito « seminterrato » scelto per motivi logistici come campione per questo progetto, è un locale abbastanza ampio sia per la quadra-tura (copre una superficie di 700 mq) che per l’altezza, con larghi corridoi di separazione dai gruppi di scaffalature, che sono di tipo tradizionale, metallici aperti. I pezzi archivistici che vi sono contenuti non sono omogenei in quanto a misure del dorso.

Sono state previste due fasi di intervento presso l’Archivio di Stato di Vi-terbo:

– un intervento di igiene ambientale del deposito posto al piano seminter-rato;

– un intervento di spolveratura della documentazione ivi conservata. 3. Il progetto di manutenzione. — Il progetto riguarda 28.949 pezzi ar-

chivistici conservati su 85 scaffalature per complessivi metri lineari 4218,2 5.

Procedura d’intervento. L’intervento di depolveratura deve essere effet-tuato nel deposito, in un apposito locale predisposto denominato « locale attrezzature » ubicato al piano interrato, previa rimozione del materiale ivi conservato e accurata pulizia.

5 La pianificazione dell’intervento ha comportato la numerazione delle scaffalature e dei re-lativi metri lineari e il conteggio dei pezzi archivistici.

Donatella Matè - Elena Ruschioni - Tiziana Fabris

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L’intervento interessa esclusivamente le parti esterne dei pezzi archivisti-ci, in quanto l’interno risulta sufficientemente pulito. Si è privilegiato un intervento di spolveratura che utilizza le apparecchiature soffianti, poiché molti pezzi archivistici sono privi di coperte.

Apparecchiature. Durante il trattamento devono essere utilizzate: cappa

aspirante, apparecchiature aspiranti, apparecchiature soffianti. Le apparecchiature aspiranti e la cappa aspirante devono essere fornite di

filtri, con porosità non superiore a 10 micron, e di un filtro interno supple- mentare anti-intasamento, da sostituire spesso. Le apparecchiature aspiranti da utilizzare per la sola pulizia dei palchetti vuoti delle scaffalature devono essere munite di bocchette provviste di spazzole. Tale trattamento deve essere esteso anche alla pavimentazione.

Le apparecchiature soffianti devono essere utilizzate sotto cappa aspirante dotata di un sistema di filtraggio per evitare la dispersione della polvere in ambiente. Le apparecchiature ritenute più adatte per l’intervento di soffiatura sono gli aspiratori a turbina muniti sia della sezione aspirante che soffiante. Tali macchinari, infatti, garantiscono un flusso dell’aria erogata costante a basso contenuto di umidità.

Fasi operative. La ditta deve procedere secondo le seguenti modalità: 1. Operare nel deposito una preliminare depolveratura dei pavimenti e

delle finestre mediante aspiratori meccanici; 2. Controllare, a campione, che i valori della umidità della carta siano

compresi tra l’8 e il 10%; 3. Trasferire i pezzi, colonna dopo colonna, di una singola scaffalatura

su carrelli, in maniera ordinata e corretta. Trasportare i documenti, dopo averne annotato la posizione originaria, nel locale adibito all’intervento, adot- tando tutti gli accorgimenti possibili per evitare eventuali danneggiamenti.

4. Pulire accuratamente le scaffalature metalliche del deposito usando dapprima apparecchiature aspiranti e successivamente panni impregnati di una soluzione idroalcolica o di altro detergente liquido a rapida essiccazione di normale uso domestico.

5. Separare il materiale da sottoporre a spolveratura meccanica da quel-lo da sottoporre a spolveratura manuale su indicazione del personale archivi-stico e bibliotecario.

6. Posizionare i pezzi archivistici da spolverare manualmente sotto cappa aspirante per evitare la dispersione della polvere nell’ambiente e, prov- visti di pennelli a setole morbide di varie dimensioni, procedere all’intervento. Iniziare dalle parti esterne del volume, la coperta e il dorso, e proseguire con i tagli (superiore, inferiore e anteriore), facendo attenzione che le setole dei pennelli penetrino il più possibile tra i fogli.

Linee guida per un corretto intervento di spolveratura

445

7. Posizionare i pezzi archivistici da sottoporre a spolveratura meccani-ca sotto cappa aspirante, utilizzando apparecchiature soffianti. Terminare l’in- tervento utilizzando panni antistatici sui piatti, i dorsi e i tagli dei pezzi archivistici.

Tipo di spolveratura. Nella Tabella che segue vengono indicati, per ogni

scaffalatura: i metri lineari, il numero dei pezzi archivistici conservati nel piano « seminterrato » e il relativo tipo di spolveratura a cui il materiale deve essere sottoposto (spolveratura meccanica e spolveratura manuale).

Scaffalatura Metri lineari Pezzi archivistici Pezzi archivistici da spolverare

meccanicamente

Pezzi archivistici da spolverare manualmente

1 54 620 620 2 32 258 258 3 32 322 293 29 4 32 252 252 5 32 300 300 6 32 294 294 7 32 205 205 8 32 250 250 9 32 281 281

10 24 211 211 11 24 203 203 12 32 244 244 13 32 287 287 14 32 123 123 15 32 vuota 16 32 335 335 17 32 407 407 18 32 420 420 19 32 129 129 20 32 166 166 21 32 130 130 22 32 205 205 23 32 220 220 24 32 158 156 2 25 32 126 114 26 5,4 49 49 27 2,7 34 34 28 270 122 122 29 2,7 47 47 30 48 272 272 31 48 583 583 32 48 390 390

Donatella Matè - Elena Ruschioni - Tiziana Fabris

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Scaffalatura Metri lineari Pezzi archivistici Pezzi archivistici da spolverare

meccanicamente

Pezzi archivistici da spolverare manualmente

33 48 254 254 34 48 vuota 35 48 349 349 36 48 670 670 37 48 392 380 12 38 40 607 601 6 39 40 187 187 40 48 285 285 41 48 287 287 42 48 251 251 43 48 432 412 20 44 48 802 802 45 48 646 546 100 46 32 284 284 47 8 46 46 48 54 54 658 49 16 235 235 50 16 196 196 51 32 133 133 52 32 122 122 53 48 547 547 54 48 280 280 55 56 383 383 56 56 315 315 57 162 211 211 58 32 65 65 59 32 211 211 60 8 vuota 61 5,4 49 49 62 24 vuota 63 24 14 14 64 270 281 281 65 40 vuota 66 40 183 183 67 56 562 562 68 56 393 393 69 64 371 371 70 64 357 357 71 40 402 388 14 72 40 240 240 73 96 729 729 74 96 509 509 75 104 938 938

Linee guida per un corretto intervento di spolveratura

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Scaffalatura Metri lineari Pezzi archivistici Pezzi archivistici da spolverare

meccanicamente

Pezzi archivistici da spolverare manualmente

76 104 882 875 7 77 112 1228 1228 78 112 1232 1232 79 104 1156 1156 80 104 1700 1700 81 90 1156 1156 82 18 141 141 83 36 206 206 84 24 146 146 85 24 187 187

85 4218,2 28949 28759 190

Considerazioni finali. — Al fine di pianificare un corretto intervento di

spolveratura è indispensabile, quindi, che il personale archivistico operi secondo una procedura ben definita, così articolata:

1. individuare un locale dove far eseguire l’intervento di manutenzione; 2. riordinare la documentazione avendo cura di sistemare i fogli sciolti

privi di coperta di protezione o di altra legatura, per evitare che possano essere persi durante le varie fasi dell’intervento; sistemare i cartellini di collocazione o altre parti distaccate;

3. selezionare accuratamente i materiali che devono essere sottoposti ad intervento di restauro o che si trovano in condizioni tali che qualsiasi interven-to di pulitura potrebbe procurare loro danni;

4. numerare le scaffalature secondo un criterio logistico; 5. misurare le condizioni igrometriche dei documenti: se il contenuto

percentuale d’acqua dei materiali supera i valori del 10%, per la carta, e il 15% per il cuoio e la pergamena, è opportuno far eseguire una deumidifica-zione;

6. conteggiare i metri lineari di ogni scaffalatura; 7. conteggiare tutti i pezzi archivistici, anche ai fini di una nuova in-

ventariazione; 8. valutare le eventuali tracce di agenti biologici (macchie sui docu-

menti, erosioni, polvere di rosura, resti entomologici) che richiedano l’inter- vento di personale specializzato;

9. valutare il numero finale dei pezzi che devono essere sottoposti a spolveratura manuale; alcuni elementi presi in considerazione nella scelta della spolveratura manuale sono:

- materiali particolari (codici miniati, mappe, ecc.)

Donatella Matè - Elena Ruschioni - Tiziana Fabris

448

- antichità del pezzo - stato di conservazione dei documenti in tutte le sue parti: coperte,

carte, piatti o dorsi della legatura, cucitura, capitelli, sigilli, fibre, ecc. - etichette scollate - fregi esterni - dorso sconnesso; 10. individuare il tipo di apparecchiature più idoneo per l’intervento e

specificarlo nel progetto. Tale procedura richiede naturalmente molto lavoro ma, considerando gli

effetti positivi di un corretto intervento di spolveratura, è fondamentale che il personale archivistico preposto alla conservazione dedichi particolare attenzio-ne alla pianificazione di tale operazione.

Al termine della pianificazione di un progetto esecutivo di manutenzione l’impegno del personale preposto alla conservazione non si può, comunque, ritenere concluso: è, infatti, fondamentale operare un controllo diretto sull’in- tervento al fine di verificare che il lavoro venga eseguito in conformità con il progetto pianificato. Dovranno, quindi, essere verificati gli impianti utilizzati, sarà opportuno prelevare a campione il materiale spolverato per accertare l’effettiva rimozione della polvere e ovviamente vigilare affinché non si verifichino danni durante l’esecuzione delle operazioni.

DONATELLA MATÈ - ELENA RUSCHIONI

Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di Stato

TIZIANA FABRIS Archivio di Stato di Viterbo

BIBLIOGRAFIA

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Linee guida per un corretto intervento di spolveratura

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D o c u m e n t a z i o n e

XXXVI CONFERENZA INTERNAZIONALE DELLA TAVOLA ROTONDA DEGLI ARCHIVI:

« L’IDEA DI ARCHIVIO NELL’OPINIONE PUBBLICA » (Marsiglia 13-15 novembre 2002)

I lavori della XXXVI Conferenza internazionale della tavola rotonda degli archivi (CITRA) riunitasi a Marsiglia, su invito della Francia, dal 13 al 15 novembre 2002, si sono incentrati in particolare sul tema della conoscenza e percezione che la società civile ha dei propri archivi.

La CITRA riunisce ogni anno i direttori delle amministrazioni archivisti-che e i presidenti delle associazioni del settore per discutere intorno a un tema d’interesse professionale. La CITRA di Marsiglia ha raccolto 237 direttori generali, presidenti delle associazioni professionali ed esperti prove-nienti da 83 paesi.

I lavori sono stati aperti da Pierre Nora, il noto storico dei Lieux de mémoire, che ha ricordato i problemi con i quali si devono confrontare gli archivi nelle società contemporanee. I partecipanti si sono interrogati sul persistente divario tra le funzioni che essi svolgono e la coscienza che la società e i pubblici poteri ne hanno.

Particolare attenzione è stata posta alla domanda diversificata che pro-viene da un’utenza sempre più vasta comprendente anche i paesi del Terzo Mondo.

In questo contesto, è stato affrontato il tema della valorizzazione e pro-mozione degli archivi rivolte sia al grande pubblico che ad un’utenza specia- lizzata. L’obiettivo è quello di migliorare l’immagine che l’opinione pubblica ha degli archivi e di accrescerne la visibilità, sottolineando il ruolo fonda-mentale che essi rivestono nell’ambito della società, destinato a potenziarsi nel nuovo contesto di una società caratterizzata dall’uso sempre più diffuso delle nuove tecnologie.

Le risoluzioni adottate al termine della Conferenza esortano i governi dei paesi in via di democratizzazione a proseguire nel processo di liberalizza-

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

XXXVI Conferenza internazionale della Tavola rotonda degli archivi 451

zione dei loro archivi e ad assicurare la salvaguardia e l’accessibilità delle carte di polizia delle passate dittature latinoamericane allo scopo di far fronte alle richieste delle vittime.

Uno dei risultati della Conferenza è stato la richiesta di organizzare ogni anno una Giornata internazionale degli archivi con data da destinarsi. Infine i governi sono stati sollecitati a sottoporre all’attenzione degli organizzatori della Conferenza mondiale sulla società dell’informazione che si terrà a Ginevra nel dicembre 2003 il problema della conservazione a lungo termine degli archivi elettronici. Questo summit internazionale è il primo di una serie di tre incontri sul tema « Archivi e società civile » organizzati dal Consiglio internazionale degli archivi.

La XXXVII CITRA avrà luogo nell’ottobre 2003 a Città del Capo in Sud Africa e sarà dedicata al tema « Archivi e diritti umani ».

XXXVI Conferenza internazionale della Tavola rotonda degli archivi 452

RÉSOLUTIONS DE LA RÉUNION DES DÉLÉGUÉS Les directeurs d’archives nationales et présidents d’associations professionnelles natio- nales, membres du Conseil international des Archives (CIA), réunis à Marseille du 13 au 15 novembre 2002 à l’occasion de la XXXVIème Conférence internationale de la Table ronde des Archives (CITRA) 1.1 Rappelant que les archives sont au cœur de la société de l’information, préoccupés

par leur vulnérabilité dans l’environnement électronique et désireux d’assurer leur conservation pour les générations futures, soucieux de réduire la fracture numé- rique, entre pays riches et pays pauvres, et au sein des sociétés, rappelant les recommandations adoptées lors de la consultation organisée à Pékin en mai 2002, par le CIA et l’UNESCO, pour préparer le Sommet mondial sur la Société de l’information qui se tiendra à Genève en décembre 2003, demandent instamment à leurs gouvernements d’intervenir auprès de leurs délégués au Sommet mondial sur la Société de l’information, pour faire prendre en compte dans la déclaration finale et le plan d’action qui y seront adoptés, la nécessité d’assurer la préservation et l’accessibilité à long terme des archives;

1.2 Considérant la demande pressante des victimes des anciens régimes répressifs et

les besoins des chercheurs, invitent les gouvernements des pays en transition démocratique à engager ou à poursuivre activement le processus de libéralisation de l’accès aux archives;

1.3 Considérant les efforts des pays latino-américains en vue de l’édification d’une

société juste et réconciliée dans la région, ainsi que la légitimité de la demande des citoyens victimes de sévices, quant à l’accès aux archives policières les concernant, recommandent à l’UNESCO et au CIA d’élaborer un programme d’identification et de sauvegarde des archives policières en Amérique latine, invitent les gouverne- ments des pays concernés à faire transférer aux Archives d’Etat les registres et dossiers des services de police des commissariats et des hôpitaux, correspondant aux périodes de répression;

1.4 Prenant en compte les travaux du Forum des archivistes nationaux et des profes-

seurs d’archivistique du Commonwealth, tenu en septembre 2002 en Afrique du Sud, soutiennent toute initiative en vue d’une administration fondée sur les principes de la preuve à l’heure de l’électronique;

2.1 Considérant les menaces pesant sur la conservation des anciens manuscrits en

Afrique, encouragent la création d’organisations pan-africaines chargées de pro- téger ces documents et invitent les gouvernements africains à faire adopter des lois qui assurent leur sauvegarde;

2.2 Recommandent aux autorités de rattacher les services d’archives dans les orga- nismes à un niveau généraliste et transversal, et de les situer à une place stratégique dans la hiérarchie, afin qu’ils disposent de l’autorité et de la capacité suffisantes pour intervenir de façon efficace, au bénéfice des administrations productrices;

XXXVI Conferenza internazionale della Tavola rotonda degli archivi 453

2.3 Invitent les administrations et les Archives nationales à faire en sorte qu’une formation à la gestion des archives soit donnée aux administrateurs et producteurs de documents, à tous les niveaux de responsabilité, afin de promouvoir le records management (gestion des documents) dans le secteur public;

2.4 Considérant l’importance de la sensibilisation des jeunes, en tant que futurs ci-

toyens, aux différentes fonctions des archives dans la société, demandent aux Ar-chives nationales d’établir, en partenariat avec les ministères chargés de l’éduca- citoyens tion, des programmes ou des services éducatifs dans les écoles;

3.1 Considérant la nécessité de promouvoir l’image des archives et de leurs services

dans l’opinion publique, invitent le CIA à organiser chaque année une Journée internationale des archives, à partir de 2004;

3.2 Invitent les membres du CIA à étudier les moyens de donner accès aux informa-

tions qui permettent aux descendants des familles, dont les membres ont été dépla-cés contre leur gré ou ont délibérément émigré, de retrouver leurs racines;

3.3 Considérant l’augmentation massive des documents réunis par les organisations de

défense des droits de l’homme au niveau mondial et l’intérêt historique, social et éducatif qu’ils représentent pour la communauté internationale, recommandent au CIA d’encourager leur traitement, leur préservation et leur accessibilité;

4.1 Invitent, en outre, le Comité exécutif du CIA, ainsi que le Comité sur la com-

munication et les services aux usagers à présenter un rapport sur l’avancement de leurs travaux lors de la XXXVIIe session de la CITRA en 2003;

4.2 Remercient les participants dont la contribution a permis d’avoir des débats profes-

sionnels stimulants; 4.3 Expriment leur profonde gratitude au Gouvernement français, aux collectivités ter-

ritoriales et aux autorités locales, à la Directrice des Archives de France et à ses collaborateurs pour leur chaleureuse hospitalité, leur efficacité et l’excellente organisation de la réunion.

O r d i n a m e n t i e i n v e n t a r i ARCHIVIO DI STATO DI COSENZA P e r g a m e n e , pezzi 1.066 (1300-1800). Elenco a cura di Marisa Spizzirri, Pasquali-na Trotta (1997). R e g i a U d i e n z a P r o v i n c i a l e , bb. 41 (1613-1812). Inventario a cura di Lucrezia Leo (1994). I n t e n d e n z a d i C a l a b r i a C i t r a <Segretariato generale e Gabinetto - I Ufficio>: Annona, bb. 11 (1806-1871). Inventario a cura di Margherita Martino, Maria Nucci (1996); Fiere e mercati, bb. 5 (1811-1861). Inventario a cura di Brunella Artese (1984); Consiglio provinciale e distrettuale, bb. 22 (1813-1861). Inventario a cura di Franco Belmonte, Margherita Martino, Maria Nucci, Anna Maria Santoro, Silvana Vairo, Germana Vanzillotta (1985); Istruzione pubblica, bb. 5 (1815-1865). Inventario a cura di Margherita Martino, Giuseppina Occhiuto (1993); Mercuriali, bb. 10 (1816-1863). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri, Assunta Cairo, Liliana Giordano (1986); Perso-nale dell’Intendenza e delle Sottintendenze, bb. 6 (1808-1859). Inventario a cura di Margherita Martino, Maria Nucci (1997); Prezzi della seta e delle vettovaglie, una busta (1751-1859). Inventario a cura di Loredana Stano (1997); Pubbliche cerimonie, feste e spettacoli, una busta (1815-1860). Inventario a cura di Loredana Stano (1997); Sanità pubblica e marittima, bb. 16 (1822-1861). Inventario a cura di Salvatore Murano (1983); Società economica di Calabria Citra, bb. 9 (1806-1866). Inventario a cura di Vittoria Cerulo (1983); Viaggio del re Ferdinando II per le Calabrie. Istanze e suppliche, bb. 2 (1833-1834). Inventario a cura di Maria Anna Fazio, Francesca Maiorano (1986). < Affari Interni - II Ufficio>: Acque pubbliche, bb. 7 (1812-1871). Inventario a cura di Michelangelo Baldassarre, Susanna Condino, Patrizia Cosentino (1984); Affari ecclesiastici, bb. 61 e regg. 9 (1800-1887). Inventario a cura di Antonio Aceto, Maria Artese, Susanna Condino, Patrizia Cosentino, Salvatore Murano, Umberto Rosa (1993); Affari forestali, bb. 26 (1813-1862). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri (1994); Affitti, bb. 4 (1817-1859). Inven-tario a cura di Brunella Artese (1984); Amministrazione comunale. Impiegati ed ammi-nistratori, bb. 7 (1807-1857). Inventario a cura di Margherita Martino, Maria Nucci (1997); Bonifiche di terreni paludosi, una busta (1836-1861). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri (1994); Censuazioni, acquisti, vendite, permute, bb. 27 (1809-1862). Inventario a cura di Anna Genoeffa Carrera, Silvia Carrera (1984); Crediti e debiti comunali, bb. 33 (1806-1862). Inventario a cura di Anna Genoeffa Carrera, Silvia Carrera (1983); Fondi provinciali. Conti morali e materiali, bb. 37 (1816-1862). Inventa-rio a cura di Franco Belmonte, Margherita Martino, Maria Nucci, (1986); Opere pubbli-che comunali, bb. 92 (1812-1874). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri, Assunta Cairo, Claudia Chianelli, Liliana Giordano (1985); Opere pubbliche comunali. Piante e disegni, pezzi 15 (1818-1839). Inventario a cura di Elio Aquino, Rosa Maria Arcuri,

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Ordinamenti e inventari

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Giovanni Chiodo, (1997); Opere pubbliche provinciali. Edifici pubblici, bb. 46 (1808-1861). Inventario a cura di Franco Belmonte, Daniele D’Anello (1984); Progetti di stati discussi e di variazione, bb. 9 (1810-1860). Inventario a cura di Maria Artese (1984); Stati discussi quinquennali e stati di variazione, regg. 176 (1811-1861). Elenco a cura di Elio Aquino, Maria Rosa Arcuri, Giovanni Chiodo (1997); Regolamenti di polizia urbana e rurale, bb. 4 (1817-1848). Inventario a cura di Enzo Curia, Francesco Morca-vallo (1983). <Contabilità comunale - III Ufficio> Conti morali e materiali dei Comuni (Acquappesa, Cerisano, Paludi), bb. 3 (1841-1863). Inventario a cura di Brunella Artese, Maria Artese (1984); Spese imprevedute, bb. 8 (1835-1844). Inventario a cura di Umberto Rosa (2000). <Finanze e contabilità centrale - IV Ufficio> Bonatenenza, bb. 4 (1807-1842). Inventario a cura di Margherita Martino (1995); Cassa di ammortizzazione e demanio, bb. 4 (1811-1862). Inventario a cura di Umberto Rosa (1999); Spese per prigioni, una busta (1814-1835). Inventario; Contribuzioni dirette, bb. 6 (1800-1859). Inventario a cura di Franco Belmonte (2002); Tesoreria generale, una busta (1823-1861). Inventario a cura di Franco Belmonte (2002). <Polizia e guerra - V Ufficio > Commissariato di guerra, bb. 6 (1812-1863). Inventario a cura di Pasqualina Trotta (1984); Giudici circondariali, bb. 2 (1829-1861). Inventario a cura di Francesca Maiora-no (1998); Polizia generale, bb. 6 (1824-1862). Inventario a cura di Margherita Martino (1995); Squadriglie della forza armata, bb. 3 (1823-1832), Inventario a cura di Lucia Chinigò, Nicolina Sposato (1998); Guardie d’onore, bb. 4 (1832-1861). Inventario; Agenti diplomatici e consolari, bb. 2 (1848-1862). Inventario. <Segretariato del Consiglio d’Intendenza - VI Ufficio> Consiglio d’Intendenza. Contenzioso amministrativo, bb. 210, voll. 73 e regg. 43 (1790-1871). Inventario a cura di Giuseppe Arcuri, Assunta Cairo, Vincenzo Curia, Giuseppe Perrone, Maria Teresa Rovella, Pasqualina Trotta (1996). D i r e z i o n e d e l l a r e g i s t r a t u r a e d e i d e m a n i p o i D i r e z i o n e d e i d a z i d i r e t t i d e l d e m a n i o e d e i r a m i e d i r i t t i d i v e r s i , bb. 32 e regg. 2 (1806-1863). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri, Assunta Cairo, Liliana Giordano, Umberto Rosa (1987). C o r p o d e g l i i n g e g n e r i d i p o n t i e s t r a d e p o i C o r p o d e g l i i n g e g n e r i d i a c q u e e s t r a d e , bb. 56 (1808-1866). Inventario a cura di collaboratori esterni (1981). C o m m i s s i o n e m i l i t a r e f r a n c e s e , bb. 3 e voll. 4 (1806-1812). Inventario a cura di Rosa Spadafora e Pasqualina Trotta (1986). G r a n C o r t e c r i m i n a l e <Processi>, bb. 1.133 (1817-1862). Indice a cura di collaboratori esterni (1980). C o r t e c r i m i n a l e s p e c i a l e d i C a l a b r i a C i t r a <Decisioni e fascicoli processuali>, bb. 2 e voll. 51 (1812-1817). Inventario a cura di Salvatore Murano (2000).

Ordinamenti e inventari

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G o v e r n o d i C a l a b r i a C i t r a <Plebiscito>, bb. 5 (1860-1861). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri (1996). G o v e r n o e P r e f e t t u r a <Danneggiati politici>, fascc. 39 (1860-1873). Inventario a cura di Anna Maria Fazio (1985). P r e f e t t u r a <Gabinetto>, bb. 150 (1921-1946, con precedenti dal 1902). Inventario a cura di Mar-gherita Martino e Maria Nucci (2002); <Brigantaggio>, bb. 29 (1820-1895). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri, Liliana Giordano, Maria Nucci, Umberto Rosa (1990); <Opere pubbliche comunali>, pezzi 140 (1860-1873). Inventario a cura di Antonio Aceto, Mario Golemme, Franco Imbrogno (1987). U f f i c i d e l l e i m p o s t e d i r e t t e d i : A m e n d o l a r a , regg. 545 e mappe 15 (1877-1953). Inventario a cura di Elio Aquino, Rosa Maria Arcuri, Giovanni Chiodo (1997); B e l v e d e r e , bb. 103, regg. 755 (1927-1966). Inventario a cura di Elio Aquino, Giovanni Chiodo (1996); P a o l a , regg. 577 (1800-1900). Inventario a cura di Elio Aquino, Giovanni Chiodo (1996); R o g l i a n o , bb. 82, regg. 423 e mappe 19 (1890-1967). Inventario a cura di Elio Aquino, Rosa Maria Arcuri, Giovanni Chiodo (1997). U f f i c i o t e c n i c o e r a r i a l e d i C o s e n z a <Mappe, Piante, Disegni>, pezzi 14 (1873-1931). Inventario a cura di Elio Aquino, Rosa Maria Arcuri, Giovanni Chiodo (1997). U f f i c i o d e l G e n i o c i v i l e <Nulla osta>, bb. 1.600 (1938-1975). Indice a cura di Anna Fragale, Francesca Ruffolo (1997); <Opere di culto>, bb. 8 (1899-1975). Inventario a cura di Anna Fragale, France-sca Ruffolo (1997); <Terremoti>, bb. 46 (1894-1971). Inventario a cura di Anna Fragale, Francesca Ruffolo (1997); <Danni alluvionali>, bb. 79 (1891-1977). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri (2002); <Edifici scolastici>, bb. 61 (1898-1982). Inventario a cura di Francesca Ruffolo (2002). P r o v v e d i t o r a t o a g l i s t u d i , regg. 650 (1891-1978). Elenco a cura di Pier Emilio Acri, Lucrezia Leo (1996). P r e t u r a d i A i e l l o , bb. 29 (1831-1859). Inventario a cura di Antonio Sciacca (1995). G i u d i c i a i c o n t r a t t i , bb. 25 (1753-1809). Indice a cura di Silvia Carrera, Ornella Costanzo (1996). T r i b u n a l e c i v i l e p o i T r i b u n a l e d i C o s e n z a <Espropriazioni e graduazioni>, bb. 96 (1820-1865). Indice a cura di Elvira Bilotta, Ornella Costanzo, Maria Luigia Locanto (1997); <Quaderni di vendita ed espropriazio-ni>, bb. 120 (1820-1848). Indice a cura di Antonio Aceto, Elvia Nina Dell’Omo (1997);

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<Sentenze>, bb. 12 (1824-1865). Indice a cura di Annetta Perri (1997); <Secondo foglio di udienza penale>, bb. 17 (1862-1869). Inventario a cura di Marisa Spizzirri, Pasqualina Trotta (1997); <Decreti ingiuntivi>, fascc. e voll. 37 (1922-1953). Indice a cura di Silvia Carrera, Amalia Mazzuca (1997); <Esecuzioni immobiliari>, bb. 24 (1942-1955). Indice a cura di Elvira Bilotta, Ornella Costanzo, Maria Luigia Locanto (1996); <Fallimenti>, bb. 154 (1878-1955). Inventario a cura di Giovanni Battista Scalfari (1996); <Sentenze di aggiudicazione>, fascc. e voll. 56 (1866-1930). Indice a cura di Giuditta Santopaolo (1997). C o m u n e d i C o s e n z a , bb. 52 (1807-1867). Inventario a cura di Natalina De Blasi, Giuseppina Occhiuto, Loredana Stano (1998). P r o v i n c i a d i C o s e n z a <Consiglio provinciale. Deliberazioni>, regg. 6 (1826-1866). Inventario sommario a cura di Giuseppina Occhiuto, Loredana Stano. A t t i d e i n o t a i d e l d i s t r e t t o d i C o s e n z a . Compilazione degli indici in corso a cura di Marcella Coscarella, Maria Luigia Locanto, Amalia Mazzucca, Maria Rosaria Miranda, Salvatore Murano, Marisa Spizzirri. A t t i d e i n o t a i d e l d i s t r e t t o d i R o s s a n o . Compilazione degli indici in corso a cura di Marialuigia Locanto, Maria Rosaria Miranda, Giovanni Battista Scalfari, Vincenzo Scalfari. C a t a s t o o n c i a r i o e a l t r i c a t a s t i a n t i c h i , fascc. 12 e voll. 25 (1722-1809). Elenco a cura di Pier Emilio Acri, Lucrezia Leo (1997). C a t a s t o p r o v v i s o r i o t e r r e n i , regg. 2.262 (1808-1956). Elenco per comune a cura di Gregorio Manfredi (1995). C a t a s t o u r b a n o . N o t a m e n t i d i f a b b r i c a t i , voll. 5 (sec. XIX). Elenco a cura di Elio Aquino (1996). A t t i d e m a n i a l i <Demani comunali. Piante e disegni >, pezzi 36 (1810-1891). Inventario a cura di Elio Aquino, Rosa Maria Arcuri, Giovanni Chiodo (1997). D e m a n i o s i l a n o , bb. 148 e voll. 22 (1806-1900). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri, Francesca Brutto, Anna Genoeffa Carrera, Silvia Carrera, Liliana Giorda-no, Anna Maria Tropea (1980). <Mappe, piante, disegni>, pezzi 111 (1842-1852). Inventario a cura di Elio Aquino, Rosa Maria Arcuri, Giovanni Chiodo (1997). S t a t o c i v i l e , voll. 8.268, regg. 48.128 (1809-1865). Elenco analitico a cura di Silvia Carrera, Amalia Mazzuca, Giuditta Santopaolo (1995). Si tratta dello stato civile dei comuni della provincia di Cosenza di cui è attualmente in corso l’informatizzazione.

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C a m e r a d i c o m m e r c i o d i C o s e n z a , bb. 127 (1864-1875). Inventario a cura di Rossella Liberata Spataro (1989). C o n s i g l i o g e n e r a l e d e g l i o s p i z i , fascc., voll. e regg. 5.632 (1784-1874). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri, Assunta Cairo, Liliana Giordano, Umberto Rosa, Pasqualina Trotta (1996). C o r p o r a z i o n i r e l i g i o s e , bb. 10 (1565-1866). Elenco per comune a cura di Rosa Maria Arcuri, Assunta Cairo (1996). A l e t t i , bb. 51 (1864-1877). Inventario a cura di Silvia Carrera e Roberto Guarasci (collaboratore esterno) (1989). BIBL.: Aletti e C.: la storia, l’archivio e le immagini di una famiglia di imprenditori, a cura di R. GUARASCI e S. CARRERA, Cosenza 1989. M o v i m e n t o i t a l i a n o f e m m i n i l e , bb. 88 (1944-1958). Inventario a cura di Franco Belmonte, Anna Carrera, Silvia Carrera, Vincenzo Curia, Daniele D’Anello, Maria Anna Santoro (1984). BIBL.: La lampada e il fascio. Archivio e storia di un movimento neofascista: il Movi-mento italiano femminile, Reggio Calabria 1987 M a n i f e s t i , g i o r n a l i , c o m p o n i m e n t i p o e t i c i , cartelle 5 (1804-1925). Elenco a cura di Antonio Sciacca (1998). Sezione di Archivio di Stato di Castrovillari A t t i d e i n o t a i d e l d i s t r e t t o d i C a s t r o v i l l a r i . Compilazione degli indici in corso a cura di Maria Bruno, Rosetta De Biase, Maria Franco, Angiolina Iannibelli, Francesca Mortati, Saverina Paiello, Esterina Quartarolo, Rosina Romeo. T r i b u n a l e d i C a s t r o v i l l a r i <Processi penali>, bb. 365 (1861-1900). Inventario a cura di Vincenzo Cirigliano, Angiolina Iannibelli, Giuseppina Lotito, Francesca Mortati, Saverina Paiello, Filippo Quinto Tocci (2000). C o r p o r a z i o n i r e l i g i o s e , bb. 18 (1450-1861). Elenco per comune a cura di Rosa Maria Arcuri, Assunta Cairo (1996). Nell’ambito del censimento del patrimonio archivistico della provincia di Cosenza sono stati realizzati, per conto della Soprintendenza archivistica per la Calabria, i seguenti lavori di ordinamento: A r c h i v i o A b e n a n t e - M a r t u c c i ( Rossano, CS), bb. 54 (1760-1869). Inven-tario a cura di Pier Emilio Acri e Lucrezia Leo (2003).

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I marchesi Martucci di Scarfizzi e i baroni Abenante si imparentarono agli inizi del XIX secolo. La famiglia si occupò di attività commerciali e agricole, in particolare nel settore della coltivazione della liquirizia. A r c h i v i o B a r b e r i o ( San Giovanni in Fiore, CS), bb. 30 (secc. XVI-XX). Inventario a cura di Margherita Martino, Maria Nucci, Nicolina Sposato, Loredana Stano (1999). Sono stati inoltre inventariati tre archivi conservati presso l’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea di Cosenza: F e d e r a z i o n e r e g i o n a l e c a l a b r e s e d e l P a r t i t o s o c i a l i s t a i t a l i a n o , bb. 23 (1972-1989). Inventario a cura di Rosa Maria Arcuri (1999). A r c h i v i o N i c o l a L o m b a r d i , bb. 17 (1905-1954). Inventario a cura di Silvia Carrera (2002). A r c h i v i o E m a n u e l e T e r r a n a , bb. 14 (1965-1979). Inventario a cura di Silvia Carrera (2003). ARCHIVIO DI STATO DI LATINA U f f i c i o d i s t r e t t u a l e d e l l e i m p o s t e d i r e t t e d i L a t i n a , cartelle 134, bb. 3, mappe 1.613; regg. 1.321 (1876-1977). Inventario a cura di Lucia Ployer. <Mappe catastali> 1889-1970, pezzi 1.613; <Catasto urbano e rustico> 1876-1970, regg. 1.296; <Partitari urbani> 1963-1977, cartelle 134; <Protocollo speciale volture> 1956-1961, regg. 2; <Ruoli principali imposta terreni> 1953-1959, regg. 7; <Ruoli di imposte diverse> 1949-1959, regg. 13; <Imposte di ricchezza mobile e complementare> 1949-1966, regg. 3. P r e t u r a d i P r i v e r n o , bb. e regg. 1.091 (1814-1951; 1960-1969). Elenco a cura di Eugenia Mosillo. È presente anche un piccolo nucleo di carte relative al governo pontificio (1814; 1822-1841; 1849). A r c h i v i o n o t a r i l e d i S o n n i n o , bb. 6 e prott. 400, (1505-1862). Inventario dei protocolli notarili a cura di Eugenia Mosillo. C o n s o r z i o d e l l a b o n i f i c a z i o n e p o n t i n a <Archivio fotografico>, foto 3.583 (1920-1960). Inventario a cura di Lucia Ployer (1998). O p e r a n a z i o n a l e c o m b a t t e n t i <Archivio fotografico>, foto 1.041 (1945-1960). Inventario a cura di Lucia Ployer (1998).

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C e n t r o a s s i s t e n z a p r o f u g h i s t r a n i e r i « R o s s i L o n g h i » d i L a t i n a , bb. 345 e schede 150.000 ca. (1965-1991). Inventario parziale a cura di Lucia Ployer. ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI C o n s i g l i o c o l l a t e r a l e . C a n c e l l e r i a <Notariorum>, regg. 70 (1548-1734). Schedatura in corso con indice analitico compute-rizzato a cura di Giovanni Bono. C a s a r e a l e <Segreteria di Casa Reale>, fasci e voll. 1.370 (1815-1860). Schedatura di fasci 50 a cura di D. Tacconelli, collaboratrice esterna (1998). S e g r e t e r i a e M i n i s t e r o d i S t a t o d e l l a P r e s i d e n z a d e l C o n -s i g l i o d e i m i n i s t r i , fasci e voll. 2.048 (1806-1869). Inventario a cura di Paolo Franzese (1998). L’archivio è costituito essenzialmente dalle carte del Ministero della Presidenza del Consiglio dei ministri, organo di collegamento fra il sovrano e le diverse componenti dell’apparato governativo della monarchia borbonica dal 1822 al 1860. Esso comprende anche gli atti delle magistrature di cui quel Ministero aveva ereditato le attribuzioni: la Segreteria di Stato del decennio francese e il Ministero della Cancelleria generale del quinquennio seguito alla Restaurazione del 1815, nonché le carte degli organi a cui, dalla Dittatura di Garibaldi alla Luogotenenza generale delle province meridionali, furono affidate competenze analoghe a quelle del Ministero della Presidenza di epoca borboni-ca. L’ultima parte del fondo è costituita poi dagli atti dell’Ufficio di stralcio che curò anche il passaggio del materiale documentario all’amministrazione archivistica. S e g r e t e r i a e M i n i s t e r o d i S t a t o d i g u e r r a e m a r i n a . R a m o g u e r r a <Affari di giustizia e affari penali>, bb. 168 (1815-1867). Inventario a cura di Achille Di Salle e Giuseppe Martucci (1998). Le carte documentano in particolare l’istruzione dei processi a carico dei soldati colpevoli di reati militari che venivano giudicati dai Consigli di guerra e di guarnigione nonché eventualmente dall’Alta corte militare. S e g r e t e r i a e M i n i s t e r o d i S t a t o d e l l a P o l i z i a g e n e r a l e <Parte prima. Carte di polizia>, fasci 135, registri e rubriche 43 (1792-1806). Inventario informatizzato a cura di Fausto De Mattia e Paolo Franzese (1998). Non correttamente identificati e ordinati nell’antico elenco redatto da Gennaro Corbi nel 1829 né nel più recente inventario generale dell’archivio del Ministero della polizia generale, i registri dei dispacci e le relative pandette provengono in realtà dalla Segrete-ria di polizia, istituita nel 1792 alle dipendenze della Gran Corte della Vicaria, organo di polizia della capitale, e dalle altre due magistrature, la Direzione generale di polizia e la Soprintendenza generale di polizia, istituite rispettivamente nel 1798 e nel 1803. Con la

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prima, anch’essa dipendente dalla Gran Corte della Vicaria, si intendeva dare autonomia all’amministrazione dei servizi di polizia della capitale rispetto alle altre magistrature, mentre con la seconda fu creato per la prima volta un organo di polizia generale con competenza quindi su tutto il territorio del Regno di Napoli. Divisa, come in genere gli archivi di antico regime, in registri e fascicoli, la serie è costituita dai registri dei « di-spacci » e delle « consulte », corredati da rubriche, e dagli incartamenti relativi ai dispac-ci dal 1799 al 1806, alle consulte trasmesse dalla Soprintendenza generale alla Segreteria di giustizia e grazia dal 1803 al 1806 e a carte riguardanti affari civili a partire dal 1798. <Gabinetto. Registri e pandette>, pezzi 63 (1827-1861). Inventario informatizzato a cura di Fausto De Mattia e Paolo Franzese (1997). La serie comprende per gli anni 1860-1861 anche documenti provenienti dal Dicastero dell’interno e polizia e da altri uffici della Luogotenenza generale delle province meri-dionali, istituita all’indomani della caduta del Regno delle Due Sicilie e della soppres-sione della dittatura di Giuseppe Garibaldi. Un problema era costituito dal mai chiarito rapporto tra questo materiale e le carte del fondo impropriamente detto « Alta Polizia », che, per quegli stessi anni, comprende anche registri relativi a documenti del Gabinetto del Ministero della polizia generale. Ricostruite tali relazioni reciproche tra i due fondi, di ciascun registro o rubrica si sono indicati i fascicoli a cui rinvia. La serie, preziosa chiave di ricerca per il periodo 1827-1861, è costituita in massima parte da pandette (rubriche) comprendenti elenchi alfabetici di nomi di persona o di titoli di oggetto, che rinviano, tramite l’anno di appartenenza e il numero di « espediente », ai rispettivi incartamenti. P r o t o c o l l i d e l C o n s i g l i o o r d i n a r i o d i S t a t o . E s e c u z i o n i , a f f a r i r i s o l u t i n e l r e a l n o m e e d e c r e t i a l l a f i r m a , voll. 96 (1821-1837). Inventario informatizzato a cura di Paolo Franzese (1998). Confusamente segnalati nell’antico elenco redatto in occasione del versamento, i volumi di questa seconda parte dell’archivio del Consiglio ordinario di Stato contengono sia i notamenti dell’esecuzione data alle risoluzioni sovrane già comprese nei protocolli e nei decreti sottoposti alla firma del re, sia i notamenti degli affari risoluti « nel real nome » dai ministri, in base alle facoltà loro concesse dal sovrano, e degli affari risoluti dal re direttamente « in conferenza » con i rispettivi ministri, cioè senza passare per il Consiglio di Stato. P r e f e t t u r a <Gabinetto>, fascc. 15.000 (1915-1956). Inventariazione in corso a cura di Anna Portente, con la collaborazione di operatori esterni. T r i b u n a l e c i v i l e d i N a p o l i <Atti davanti ai giudici>, voll. 34 (1838-1846). Inventario su supporto informatico; indici delle parti in causa e dei periti; elenco dei beni sottoposti ad amministrazione giudiziaria a cura di Raffaella Nicodemo con la collaborazione di Serafina Rugna (1998); <Bilanci ed altri atti>, voll. 5 (1912-1913). Inventario analitico a cura di Raffaella Nicodemo con la collaborazione di Brunella Gargiulo (1998). Il lavoro, inserito in un progetto più ampio di schedatura dell’intera serie, mira a consen-tire il reperimento della documentazione che gli amministratori delle società depositava-

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no, a norma del Codice di commercio del 1882, presso il Tribunale di commercio fino al 1888 e dal 1889 presso il Tribunale civile. Tale documentazione comprende, oltre i bilanci, i verbali delle assemblee generali, le relazioni dei sindaci, le accettazioni di carica degli amministratori, le relazioni su liquidazioni, eccetera. <Processi>, fasci 157 (1917). Inventariazione in corso a cura di Raffaella Nicodemo, con la collaborazione di Ivana Visconti. Il lavoro prevede l’inventariazione su supporto informatico dei fascicoli processuali; gli indici per nome degli imputati e per tipologia di reato; la creazione di una base di dati per consentire la ricerca in ordine alla data e ai luoghi dei reati, alle parti lese, agli allegati contenuti nei fascicoli, alla data di emissione della sentenza. E d m o n d o C i o n e , bb. 119 (1906-1965). Inventario a cura di Marina Fittipaldi con la collaborazione di Rosanna De Simine (1998). Archivio dell’Abbazia di Montevergine O r d i n i r e l i g i o s i s o p p r e s s i n e l P r i n c i p a t o U l t r a , bb. 70 (secc. XVII-XIX). Inventario sommario a cura di Amelia Pecoraro, con la collaborazione di A. Battaglia e C. Pescatore (1997). Le carte comprendono soprattutto strumenti notarili e le descrizioni dei beni posseduti (platee), che in particolar modo danno notizie utili sui possedimenti assegnati ai mona-steri dei vari ordini nel circondario di Avellino. ARCHIVIO DI STATO DI PESCARA A r c h i v i o s t o r i c o d e l C o m u n e d i P e s c a r a . <Serie XIII. Beneficenza>, fascc. 112 (1760-1897). Inventario informatizzato a cura di Angela De Marco (2002). Un’intera sottoserie (IV) riguarda il Monte frumentario di Castellammare Adriatico (PE), fondato il 10 ottobre 1841, su offerte volontarie. I Monti frumentari si trasformarono prima in Monti dei pegni e successivamente in Casse di prestanza agraria. S t a t o c i v i l e d i P e s c a r a e p r o v i n c i a ( 1 8 6 6 - 1 9 2 8 ) . Riordinamen-to in corso a cura di Pasqualino Carota e Irene Pesce Sono già stati inventariati gli atti relativi ai comuni di: Alanno (1866-1928), Brittoli (1866-1928), Bussi sul Tirino (1866-1928), Cappelle sul Tavo (1905-1928),Castellamare Adriatico (1866-1927), Castiglione a Casauria (1866-1928), Città Sant’Angelo (1866-1928), Collecorvino (1866-1928), Elice (1866-1928, Farindola (1866-1928), Loreto Aprutino (1866-1928, Montesilvano (1866-1928), Penne (1866-1928), Picciano (1866-1928), Spoltore (1866-1928). D e P e t r i s - F r a g g i a n n i , bb. 33 (1569-1943). Inventario a cura di Maria Teresa Spinozzi con la collaborazione di Sabrina Giuliano (2000). L’inventario riguarda solo parte della documentazione che comprende anche 105 pergamene (1466-1743).

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La formazione dell’archivio è prevalentemente legata all’attività di giurista svolta nel XVIII secolo dal marchese Nicola Fraggianni, originario di Barletta. Sempre nel XVIII secolo, i De Petris, famiglia baronale di Pratola Peligna, si imparentarono con la famiglia Fraggianni. D e S t e r l i c h - A l i p r a n d i , bb. 15 (1678-1968). Inventario analitico informatiz-zato a cura di Iolanda D’Incecco con la collaborazione di Giovanna Sonsini (2000). La famiglia De Sterlich, arrivò in Abruzzo in epoca normanna; fu investita del marchesa-to di Cermignano e si imparentò con i baroni Aliprandi, famiglia di origine milanese arrivata a Penne al seguito di Margherita d’Austria nel XVI secolo. L’archivio contiene la corrispondenza intercorsa tra i fratelli Diego, Giovanni e Gennaro Aliprandi (1802-1820) ed il carteggio relativo all’amministrazione dei beni ed alla gestione del notevole patrimonio di famiglia, comprendente numerose proprietà terriere. Le carte più recenti del fondo riguardano il marchese Diego, ultimo erede della famiglia e noto pilota automobilistico. d e F e l i c i - d e l G i u d i c e , bb. 32 (1593-1990). Schedatura in corso a cura di Iolanda D’Incecco e Rita Iezzi; pergg. 354 (1409-1875). Regestazione in corso a cura di Maria Teresa Iovacchini e Federica Taviani Le pergamene illustrano sia le vicende private della famiglia de Felici che la storia della cittadina di Pianella (PE), loro luogo d’origine. d i G e n o v a d i S a l l e , fascc. 58 (1570-1976) Elenco analitico informatizzato a cura di Angela De Marco (2001). Si tratta di una raccolta di documenti appartenenti all’ultimo erede, il barone Mario. Tra le carte si trovano gli atti relativi alla santificazione del beato Roberto di Salle. P a l m a , bb. 11 (1564-1900). Inventario analitico informatizzato a cura di Maria Teresa Spinozzi e Federica Taviani (1999). Il fondo comprende un’esigua parte di carte a carattere familiare ed un cospicuo nucleo costituito dalla documentazione prodotta dal Regio Economato di Campli (TE) e dall’Uf-ficio della registratura e dei demani di Penne (PE), in cui rispettivamente tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo Giampalma e Vincenzo Palma rivestirono cariche pubbliche. A n g e l o U m b e r t o S c a r a n o , bb. 2 (1892-1967). Elenco analitico informatiz-zato a cura di Iolanda D’Incecco (1999). Il fondo comprende, oltre a carte relative alla vita familiare e professionale di Scarano, anche i suoi scritti, in particolare la traduzione in dialetto abruzzese della Divina Com-media. E n t e p r o v i n c i a l e d e l t u r i s m o , bb. 96 (1939-1996) Inventario informatiz-zato a cura di Maria Teresa Spinozzi e Domenico Ciccone (2000). Il fondo, costituito da documenti relativi alla costruzione o ampliamento delle strutture alberghiere di Pescara e provincia, dal dopoguerra alla metà degli anni ’60, permette di tracciare un preciso e dettagliato quadro dello sviluppo del turismo negli anni del « boom economico ». Interessante il carteggio relativo ai danni di guerra, che permette di

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quantificare i danni subiti dal patrimonio alberghiero della provincia di Pescara. Il fondo comprende anche numerose fotografie, manifesti e documenti relativi a diverse manife-stazioni. F r a m m e n t i d i c o d i c i l i t u r g i c o - m u s i c a l i , g i u r i d i c i e s a c r i , pezzi pergamenacei 123, fogli cartacei 7 (secoli XII-XVII). Schedatura e inventario informatizzato a cura di Iolanda D’incecco e Silvia Iovane (2001). Si tratta di frammenti di codici antifonari, graduali, omeliari, breviari, evangeliari e testi giuridici riutilizzati come coperte di registri notarili e recuperati in fase di restauro degli stessi. F r a m m e n t i d i a t t i n o t a r i l i , pezzi 120 (secoli XVI-XVIII). Regestazione in corso a cura di Iolanda D’Incecco e Simona Montebello. Si tratta di frammenti pergamenacei contenenti atti pubblici e privati relativi a conces-sioni, vendite e donazioni, utilizzati come coperte di protocolli notarili. ARCHIVIO DI STATO DI PIACENZA L e t t e r e d u c a l i a l l a C o m u n i t à , bb. 16 (1423-1748). Inventario a cura di Valentina Bernardelli, collaboratrice esterna (1999). C o n s i g l i o g e n e r a l e e A n z i a n a t o <Provvigioni e riformagioni>, regg. 77 e voll. 59 (1419-1584, 1587-1692, 1738-1806). Inventario a cura di Valentina Bernardelli, collaboratrice esterna (1999). C o n g r e g a z i o n e d e l l e s t r a d e e d e i p o n t i , bb. 15 (1553-1805). Inven-tario a cura di Gian Paolo Bulla e Giancarlo Di Blasio (1999). C o n s o r z i o g e n e r a l e d e l l e a c q u e d e l T r e b b i a , pezzi 604 (sec. XVII-1979, con docc. in copia dal sec. XVI). Inventario a cura di Gian Paolo Bulla, Piero Castignoli e Giancarlo Di Blasio (1999). S u p r e m o c o n s i g l i o d i g i u s t i z i a e g r a z i a <Fedecommesso: cause e deroghe>, bb. 88 (1586-sec.XX). Riordinamento e inventario sommario a cura di Sara Fava, collaboratrice esterna (2002). I s p e t t o r a t o s c o l a s t i c o d i P i a c e n z a , bb., pacchi e regg. 85 (1924-1975). Elenco a cura di Gian Paolo Bulla (2001). D i r e z i o n e d i d a t t i c a - I I I C i r c o l o . S c u o l a « P . G i o r d a n i » , voll. 44 e 6 albi (1931-1986). Inventario a cura di Gian Paolo Bulla e Giancarlo Di Blasio (1999). P r o c u r a d e l l a R e p u b b l i c a d i P i a c e n z a , bb. 104 (1876-1957). Inventa-rio a cura di Giovanni Spedaliere (2000).

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C o m u n e d i P i a c e n z a <Pubblica istruzione>, bb. 248 e regg. 31 (1806-1953, con docc. dal XVI sec.). Inventa-rio sommario a cura di Paola Agostinelli, collaboratrice esterna (2001). C a t a s t o d e l l a p r o v i n c i a d i P i a c e n z a <Mappe in copia del distretto di Bobbio e altri>, ff. di mappa 480 (1948). Elenco a cura di Giovanni Boccaccia, Anna Capuano e Ciro Sannino (2001). A n g u i s s o l a d a V i g o l z o n e <Carteggio>, bb. 209 (1303-1960 con docc. dal 1132). Riordinamento e inventario sommario a cura di Anna Riva, collaboratrice esterna (2002). C a r n i t i < F o n t a n i l i e A r c e l l i > , pergg. 19 e cc. 2 (1338-1845). Regesti a cura di Gian Paolo Bulla e Piero Castignoli (1999). C i g a l a F u l g o s i , pergg. 86 (1126-1535), bb. e regg. 33 (1126-1837). Inventario a cura di Cornelia Bevilacqua, collaboratrice esterna (2001). G i o r g i A v e n i a , bb. 2 con 40 pergg. (1325-sec. XIX). Inventario a cura di Gian Paolo Bulla (2001). Trattasi di documenti relativi ad alcune illustri famiglie piacentine (Anguissola, Landi, Perleti Carasi, Roncovieri) giunti in possesso degli Avenia di Salerno per via matrimo-niale. Acquistati dall’AS Salerno, sono stati trasferiti nel 1996 per competenza all’AS Piacenza. M a n c a s s o l a P u s t e r l a , bb. 54 (1333-1850). Riordinamento e inventario somma-rio a cura di Piero Rizzi Bianchi, collaboratore esterno (2001). M o r a n d o , bb. 75, regg. 12, mappe e stampe 13 con alcune pergamene (1323-1843, con un doc. in copia del 1291 e docc. fino al 1883). Elenco a cura di Gian Paolo Bulla (1999). N a s a l l i R o c c a , bb. e regg. 100 con alcune pergamene (1301-sec.XX) Inventario sommario a cura di Piero Rizzi Bianchi, collaboratore esterno (2000). G i o v a n n i P a l l a s t r e l l i , bb. 4 (1897-1961). Inventario a cura di W. Gambetta, collaboratore esterno (2000). S c o t t i D o u g l a s d a F o m b i o e d a S a r m a t o <Scotti Douglas da Sarmato: latifondo e rivo Agazzino>, bb. 17 (sec. XVIII-1844, con docc. in copia dal 1284). Inventario cura di Gian Paolo Bulla e Giancarlo Di Blasio (1999); <Eredità Veneziani>. bb. 3 (1700-1901). Inventario a cura di Gian Paolo Bulla e Giancarlo Di Blasio (1999). D e p u t a z i o n e d i s t o r i a p a t r i a . S e z i o n e d i P i a c e n z a , bb. 19 (1926-1998 con docc. dal 1822). Inventario sommario a cura di Anna Riva, collaboratri-ce esterna (2001).

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F e d e r a z i o n e p r o v i n c i a l e d e g l i e n t i a u t a r c h i c i , bb. 12 (1923-1929). Inventario sommario a cura di Gian Paolo Bulla e Anna Capuano (2000). T e r m e d i B a c e d a s c o , bb. 81 (seconda metà sec. XX). Inventario sommario a cura di Coop. C.S.R. di Modena (2000). M a n o s c r i t t i d i v e r s i , voll. 38 (secc. XI-XX, con docc. in copia dal 903). Inventario a cura di Anna Riva, collaboratrice esterna (2000). ARCHIVIO DI STATO DI TRIESTE U f f i c i o t e c n i c o e r a r i a l e <Diritti immobiliari di proprietari di razza ebraica>, bb. 50 (1939-1944). Inventario con indice dei nomi a cura di Mariacarla Triadan (1998). L i c e o g i n n a s i o « F r a n c e s c o P e t r a r c a » , bb. e regg. 117 (1912-1968). Inventario a cura di Pierpaolo Dorsi (1998). L i c e o s c i e n t i f i c o s t a t a l e « F r a n c e P r e š e r e n » , bb. 44 (1945-1966). Inventario analitico bilingue (Italiano-Sloveno) con ampia appendice normativa sulle scuole di lingua slovena in Italia, a cura di Grazia Tatò (1998). C a t a s t o F r a n c e s c h i n o <Elaborati catastali - Parte II, Provincia di Trieste>, bb. 110 (1818-1862). Inventario con indice dei toponimi, a cura di Mariacarla Triadan (1999); <Mappe Provincia di Trieste>, mappe 950 (secc. XIX-XX). Inventario con indice delle località, a cura di Mariacarla Triadan (1998). I g i n o B r o c c h i , bb. 34 (1914-1931). Inventario a cura di Pierpaolo Dorsi (1997). BIBL.: ARCHIVIO DI STATO DI TRIESTE, Inventario dell’Archivio di Igino Brocchi, 1914-1931, coordinato con le carte Volpi dell’Archivio Centrale dello Stato, a cura di P. DORSI, Roma, UCBA. 2000 (QRAS, 92). d e l l a T o r r e e T a s s o <Archivio antico. Feudi e giurisdizioni, materia ecclesiastica, amministrazione>, bb. 181 (secc. XIII-XIX); <Archivio moderno. Rilkeana>, fascc. 237 (1909-1959). Inventario a cura di Pierpaolo Dorsi (1998). Il lavoro rientra nel progetto di riordinamento generale del fondo, acquistato dallo Stato nel 1997. BIBL.: P. DORSI, L’Archivio della Torre e Tasso. Note preliminari e iniziative di valoriz-zazione, in «Rassegna degli Archivi di Stato», LVIII (1998), 1, pp. 33-43; ARCHIVIO DI STATO DI TRIESTE, Rainer Maria Rilke. L’autografo delle Elegie Duinesi. Riproduzione, trascrizione, traduzione e altri materiali di studio, realizzazione C. BIANCO, coordina-mento P. DORSI, Trieste, Archivio di Stato, 1998; ARCHIVIO DI STATO DI TRIESTE-BIBLIOTECA STATALE DI TRIESTE, Dottor Serafico. La memoria di Rainer Maria Rilke e l’Archivio del Castello di Duino. Mostra documentaria, Trieste, Biblioteca statale, 15

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ottobre - 13 novembre 1999, a cura di P. DORSI, Trieste, Archivio di Stato - Editoriale Lloyd e LINT Editoriale Associati, 1999. A r s e n a l e T r i e s t i n o S a n M a r c o <Archivio fotografico> (XX sec.); <Verbali Consiglio di amministrazione e dell’Assemblea generale> (1940-1962); <Personale> (1836-1981); <Rubriche> (1965-1970); <Lucidi dei Cantieri riuniti dell’Adriatico (CRDA)> (1936-1970); <Costruzioni edili> (1889-1963); <Registri commesse CRDA> (1925-1974); <Copie disegni origina-li> (1891-1962); <Ufficio tecnico> (1905-1970), bb. 265; regg. 105; cassette 10; cartelle 89 (1836-1981). Inventario analitico informatizzato a cura di Grazia Tatò, in collabora-zione con Marina Sussa (1998). L’archivio è stato depositato in condizioni di grande disordine in quanto nel fondo sono confluiti anche atti del Lloyd austriaco e dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico: si è procedu-to quindi ad identificare, ricostituire e inventariare, in assenza di strumenti coevi di ricerca, le varie serie. BIBL.: ARCHIVIO DI STATO DI TRIESTE, Le fonti d’archivio per la storia della cantieristica triestina. L’archivio dell’ex Cantiere San Marco. Atti dell’incontro di studio, Trieste, 16 aprile 1998, a cura di G. TATÒ, Trieste, Deputazione di storia patria per la Venezia Giulia, 1999. D e p u t a z i o n e d i B o r s a e C a m e r a d i c o m m e r c i o e i n d u s t r i a d i T r i e s t e , bb. 385 e regg. 444 (1755-1921, con docc. dal 1745). Inventario a cura di Grazia Tatò, con appendice di planimetrie a cura di Marina Sussa (2002). BIBL.: G. TATÒ, Trieste e Fiume: la concorrenza tra i due porti nelle carte della Camera di commercio di Trieste, in Trieste, Austria, Italia tra Settecento e Novecento. studi in onore di Elio Apih, a cura di M. CATTARUZZA, Udine 1996, pp. 181-196; ID., Prestigio e influenza politica del potere economico a Trieste nelle carte della Deputazione di borsa poi camera di commercio, in «Acta Histriae», 7 (1999), pp. 609-618. S o c i e t à d i c a n o t t i e r i « E s p e r i a » , bb. 13 (1879-1913, con documenti dal 1870 fino al 1925). Inventario, a cura di Franco Stener, promotore della donazione del fondo all’Archivio di Stato, sotto la guida di Pierpaolo Dorsi (1998). L’esistenza, nell’ambito del fondo di documentazione facente capo ad altra associazione (Società delle regate) e di numerose pubblicazioni a stampa di incerta titolarità, ha indotto a creare due serie distinte per detti materiali. T e l e a n t e n n a , videocassette 1.619 (1985-1995). Inventario informatizzato a cura di Grazia Tatò (2001) BIBL.: G. TATÒ, L’archivio audiovisivo dell’emittente privata “Teleantenna” di Trieste, in «Rassegna degli Archivi di Stato», LVI (1996), pp. 168-169. SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’ABRUZZO C o m u n e d i A t r i <Archivio storico>, pergg. 313, faldoni 944, regg. 972 (1251-1960); <Archivio di deposito>, faldoni 2.118, regg. 2.579 (1951-1990). Inventario a cura della Società

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cooperativa Kronos di Teramo sotto la direzione scientifica della Soprintendenza archivistica (1999). G i o v a n n i M a r t i n e l l i , pezzi 300 (sec. XX). Inventariazione in corso a cura di un operatore esterno sotto la direzione scientifica della Soprintendenza archivistica. L’archivio del tenore Giovanni Martinelli (1885-1969) è costituito da materiale cinema-tografico, fotografico e cartaceo. Si è già realizzato il restauro conservativo del materiale filmico e la sua catalogazione, portati a termine rispettivamente nell’anno 2000 da Cinecittà e nell’anno 2001 dall’Istituto Luce. F e d e r i c o M o l a , bb. 29 (1857-1977). Inventariazione in corso a cura di A. Cipolla e D.M. Del Bello. L’archivio di Federico Mola (1887-1978), poeta di Lanciano, giornalista, direttore di alcune testate, critico letterario e attivista politico, presidente del C.N.L., è costituito da scritti poetici, discorsi politici, cronache di avvenimenti locali, immagini fotografiche, manifesti, corrispondenza ed integrato da un cospicuo numero di riviste e giornali a diffusione locale della prima metà del secolo.

N o t i z i a r i o b i b l i o g r a f i c o

VIVIANA BONAZZOLI, Adriatico e Mediter-raneo orientale. Una dinastia mercan- tile ebraica del secondo ’600: i Costan- tini, Trieste, Lint, 1998, pp. 220 (Fa-coltà di economia e commercio del- l’Università di Urbino, seconda serie). Obiettivo di questo studio è la ricostru-

zione della struttura, organizzazione e gestione di un gruppo di aziende mercan- tili che agiscono fra l’Adriatico ed il Mediterraneo centro-orientale, nel periodo compreso fra l’inizio della guerra di Can- dia (1645) e l’apertura dei porti franchi di Trieste (1719) e Ancona (1732). La scelta di questi anni corrisponde ad una profon-da trasformazione del contesto politico commerciale dell’area presa in esame, colpita dall’indebolimento del predominio veneziano e dalla contemporanea espan-sione territoriale dell’Impero ottomano. Anche se il recente dibattito storiogra-fico, rispetto ai precedenti schemi inter-pretativi, ha ridimensionato l’uniformità e la gravità della crisi italiana del ’600, tuttavia il progressivo estendersi di im- prese inglesi, francesi ed olandesi nel commercio mediterraneo aveva probabil-mente provocato forti disagi nelle aziende mercantili italiane, motivate a diversifica-re le aree del commercio ed a cercare nuovi sistemi per contenere le difficoltà in cui si erano progressivamente venute a trovare. L’analisi dell’A. si concentra in particolare sul mondo dell’imprenditoria ebraica che si dimostra dalla metà del ’600 all’inizio del Settecento molto attiva ed attenta ad attuare una profonda riorga-nizzazione dei propri circuiti commerciali e più in generale della propria attività finanziaria. Oggetto in esame è il caso dei Costantini, una delle principali famiglie

ebraico-candiote che si trasferisce in parte a Venezia all’inizio della guerra di Candia e in parte ad Ancona (1650), alla ricerca di nuove basi da cui interagire con un ampio gruppo di famiglie candiote e veneto-candiote. I due fondamentali tra- sferimenti della famiglia Costantini assu- mono una particolare valenza proprio perché non rappresentano un’eccezione rispetto alle dinamiche seguite dai rappre-sentanti delle imprese ebraico-levantine: lo spostamento di interessi e residenza da Candia a Venezia prima ed Ancona poi, caratterizza infatti la vita di un nucleo consistente di famiglie ebraiche residenti sull’isola. Le trasformazioni e la storia dei Costantini, comune dunque a numerosi gruppi familiari, permette di indagare in linee generali i motivi e le aspettative che erano alla base delle scelte delle famiglie ebraico-candiote fra Seicento e Settecento e di inserire tali scelte nel più ampio contesto delle trasformazioni politiche ed economiche di questo periodo. Dal lavoro appare evidente come, mancando notizie di un accrescersi della politica istituziona-le anti-ebraica, siano le motivazioni eco- nomiche e la volontà di cercare nuove aree di commercio che assumono il ruolo di acceleratore nel fenomeno di emigra-zione dall’isola di Candia. La scelta di Venezia come sede di residenza e fulcro dei propri interessi commerciali da parte delle famiglie emigrate da Candia, non sempre si rivela favorevole: a fronte di vantaggi doganali si pone il problema della struttura stessa della società vene-ziana che tende a limitare con numerose barriere istituzionali il numero di ebrei ammessi in città. L’organizzazione sociale veneziana, molto chiusa e gerarchizzata nei confronti del nucleo ebraico cittadino

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anche dal punto di vista di privilegi ed esenzioni, complica l’inserimento di fa- miglie forestiere in città, rendendo più difficile il rapporto con gli altri abitanti di un ghetto sovraffollato e timoroso della concorrenza di nuovi nuclei dediti al commercio. Ancona, dove i Costantini, come molti altri esponenti di famiglie ebraiche, tendono a stabilirsi verso la metà del XVII secolo, dopo un primo periodo di residenza a Venezia, rappresenta al contrario una base mercantile più idonea, favorevole per gli scambi con gli ottomani e per una minore pressione doganale, cui approdano progressivamente molte fami- glie di mercanti ebrei.

Seguendo la storia dei Costantini appa-re possibile ricostruire un processo molto interessante che coinvolgendo alcune ge- nerazioni, dimostra in che modo il nucleo ebraico-candiota reagisca al cambiamento degli equilibri politici ed economici del Mediterraneo centro-orientale, con un pro- gressivo insediamento sulla sponda occi- dentale adriatica.

La struttura dell’impresa ebraica legata ad aziende e patrimoni individuali, eredi- tati in parti uguali dai figli maschi della famiglia, costringe ad una contemporanea analisi dei rapporti parentali che caratte-rizzano la gestione di un numero elevato di imprese individuali di limitate dimen-sioni operanti in stretta connessioni con gli altri rami della famiglia. Non si tratta dunque di seguire i percorsi di un’impresa organizzata sulla base di una sola famiglia ma di una serie di nuclei differenti, strettamente collegati da questioni eredi- tarie, finanziarie ed economiche, mosse da interessi comuni e diversificati, che met- tono in luce un complesso sistema di rapporti commerciali e parentali.

Proprio perché alla struttura economica ebraico-levantina rimane estranea la gran- de impresa, la ricerca condotta per questo studio si avvale di fonti differenti piutto-sto che di un unico archivio familiare; in primo piano appaiono le fonti notarili

delle diverse piazze prese in esame (Ancona, Venezia etc.), di cui l’autrice ben riconosce i limiti e le complessità.

Alessandra Camerano

ELENA BRAMBILLA, Alle origini del Sant’Uffizio. Penitenza, confessione e giustizia spirituale dal Medioevo al XVI secolo, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 590 (Saggi, 525). Un’ardua trattazione questa della

Brambilla, che si rivolge in primo luogo alle fonti giuridiche degli istituti inquisi-toriali, seguendone lo sviluppo in una linea che tocca il diritto imperiale romano (Codice teodosiano), la codifica-zione giustinianea, le prime collezioni canoniche (Canon episcopi e decreto di Burcardo), le decretali, canoni conciliari e decreti papali. Le tappe principali di questa produzione legislativa sono poi, nel discorso dell’autrice, poste in relazio-ne a momenti salienti nella storia della Chiesa, quali la feudalizzazione dell’ordi- namento e della gerarchia in epoca carolingia, la riforma gregoriana e quelle quattrocentesche degli ordini regolari, riunite nel comun denominatore dell’os- servanza (benedettina, domenicana, fran- cescana).

In rapporto ad un così ampio quadro generale di riferimento vengono poi indi- viduati alcuni temi di particolare rilevan-za per la storia dell’Inquisizione, quali lo sviluppo delle pratiche penitenziali nel- l’ambito dell’autonomia monastica; i rap- porti spesso conflittuali tra clero secolare e regolare riguardo all’esercizio del mi- nistero della confessione e delle pratiche indulgenziali, soprattutto nei casi di ri- serva episcopale o papale per i « mortali occulti »; il regime delle scomuniche canoniche irrogate dal clero (ab homine, a iure) e l’anatema papale, scagliato in forza della potestas ligandi et solvendi o

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« potere delle chiavi », i cui fulmini col- piscono ad un tempo la colpa ed il reo, producendo, in un contesto di maledizio-ne quasi magica, una sorta di confusione tra la norma e la sua concreta applicazio-ne nella sanzione, che ripugna ad ogni sistema giudiziario che riconosca il pri- mato della legge. Un intero capitolo, poi, il VI (I casi di riserva papale e la Penitenzieria apostolica), è interamente dedicato alla prassi di questo particolaris-simo ufficio della Curia romana, le cui funzioni rispetto al regime delle indul-genze sia ordinarie che straordinarie (quelle connesse alle ricorrenze giubilari o alle bolle d’indizione delle crociate), e delle relative collette, si possono ancor meglio definire sulla scorta delle serie dei Registri delle suppliche della Penitenzie-ria dell’Archivio Segreto Vaticano. L’au- trice ha consultato per tale documenta-zione l’edizione curata da E. Göller nel 1907 (Die päpstliche Pönitentiarie von ihrem Ursprung bis zu ihrer Umgestal-tung unter Pius V) per la Biblioteca dell’Istituto germanico in Roma e i vo- lumi finora usciti (I e IV) del Reperto-rium Poenitentiariae Germanicum, con i regesti degli atti contenuti nei registri delle suppliche istruite negli anni dei pontificati di Eugenio IV (1431-1447) e Pio II (1458-1464), che il medievista svizzero Ludwig Schmugge ha curato per lo stesso Istituto.

Nella prassi della Penitenzieria, così finemente analizzata dalla Brambilla, ap- pare di tutto rilievo la commutazione delle pene canoniche in ammende in denaro, nelle forme di una composizione che vedeva protagonisti i procuratori-sollecitatori, totalmente arbitri della sua misura; essa era del tutto distinta dalla « tariffa » che il penitente avrebbe co- munque dovuto pagare come compenso agli scrittori dell’ufficio, in proporzione al loro diverso impegno nell’iter di can- celleria delle suppliche. Una volta con- clusa la fase preliminare della contratta-zione con i penitenzieri minori (confesso-

ri) e i sollecitatori, era un concordato finale con la Dataria a renderla esecutiva almeno per i casi maggiori, mentre per i minori vigeva una tabella di ammende prefissate in proporzione alla gravità dei peccati. In queste composizioni, le cui procedure ha potuto abilmente ricostruire, seguendone le tracce nel Memoriale (1497) del penitenziere Giuliano della Rovere (il futuro Giulio II), Forma pro- cedendi in rebus et petitionibus expedibi-libus per Penitentiariam, edito nell’opera di Göler in precedenza citata, l’autrice individua una delle maggiori fonti di entrata, di cui « si alimenta sempre più ampiamente, nel corso del ’400, la finanza straordinaria della Dataria e della Camera apostolica ».

I poteri di grazia della Penitenzieria apostolica riguardo ai delitti capitali di eresia e ribellione al « sovrano pontefi-ce » confinano con la stessa potestas ligandi et solvendi, riservata al papa, ed esercitata o con la delega agli ordini mendicanti in fatto di repressione del- l’eresia, o da lui direttamente oraculo vivae vocis in occasione del concistoro solenne del Giovedì santo, nel corso del quale si procedeva in contumacia per i casi di riserva papale.

Secondo la Brambilla, è possibile indi- viduare un aggiornamento costante del numero e della tipologia di questi casi, seguendo il filo di una documentazione continua, per molti versi unica, rappre-sentata dalla sequenza delle bolle emana-te nell’arco di due secoli dai pontefici, a partire da Urbano V sino a Pio V, in occasione dei « concistori giudiziari » del Giovedì santo. Indicate con il titolo gene- rico: In die coenae domini, quale richia-mo alla comune occasione della loro emanazione, e frequentemente citate nella forma abbreviata: In coena domini, esse costituiscono un corpus documentario, che offre un repertorio, in costante accrescimento negli anni, degli anatemi contro l’« eretica pravità » posti sempre all’inizio di questo genere di bolle. Nel

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solenne campionario confluiscono, con la versione della bolla di Martino V, le eresie di Huss e Wycliff e, con la Execrabilis di Pio II del 1459, il delitto di appellarsi al concilio contro l’anatema papale, definito dal pontefice umanista « virus pestifero » col quale « si nutre la ribellione contro la prima sede, si con- cede libertà di delinquere ed è sovvertita ogni ecclesiastica disciplina ed ordine gerarchico ». Un appello che, rispetto alla rinnovata vocazione teocratica del papato rinascimentale, acquista la valenza di un rifiuto della scomunica papale non solo nel suo aspetto spirituale ma soprattutto in quello politico, e la cui inflessibile condanna, dopo le lacerazioni dello scisma conciliarista, doveva avere come immediata conseguenza il processo « per crimen lesae maiestatis contro il papa », che portò al rogo il Savonarola, reo di essersi appellato ad un futuro concilio avverso la scomunica con cui Alessandro VI lo aveva colpito, minacciando nel contempo l’interdetto contro la città di Firenze.

Sulla stessa linea dell’intransigente difesa della propria supremazia rispetto ad ogni pur legittimo potere, sia spiri- tuale, come quello del concilio, sia poli- tico, supremazia la cui natura teocratica si manifesta proprio nell’identificazione della lesa maestà papale con l’eresia, si pone il pontificato di Paolo II, che nelle Regole di Cancelleria del 1466 introdus-se un’« edizione » della bolla In coena domini, riproposta poi come documento a sé stante nel 1469 con l’incipit: Etsi dominici gregis; nella bolla viene sca- gliato l’anatema contro i principi e i governanti che impongono pedaggi e gabelle al clero senza licenza papale, compiendo così un flagrante attentato alle libertà ecclesiastiche.

Ci si è soffermati a lungo sul tipo di approccio alle fonti che caratterizza la ricerca di lungo periodo della Brambilla sulle origini del Sant’Uffizio — un ap-

proccio particolarmente penetrante ed esaustivo —, perché esso può risultare propedeutico rispetto all’opera di scanda-glio dell’ingente mole di carteggi inquisi-toriali, in particolare fascicoli processuali, che attende gli studiosi dopo la recente apertura ad una consultazione qualificata del — fino a qualche anno fa inviolabile — Archivio romano del Sant’Uffizio.

Infatti anche se l’autrice, almeno per quel che risulta dall’ampio corredo di note, tutte d’ambito bibliografico, non ha varcato la soglia delle stanze di quell’Ar- chivio, il cui segreto è stato per quasi cinque secoli gelosamente custodito, è riuscita comunque a mettere insieme con la consultazione intensiva di repertori e edizioni diplomatiche di fonti un plafond documentario d’inusitato spessore, ogget- to peraltro da parte sua di un costante impegno di esegesi ed elaborazione cri- tica, che può rappresentare un utile punto d’avvio per altre ricerche in materia d’Inquisizione. La scelta, poi, di un nodo problematico da cui si dipartono, come dal centro di una raggiera, tutte le linee di penetrazione della sua ricerca nei domini dell’Inquisizione, le ha consentito di non smarrirsi in un territorio d’inda- gine così esteso e, a tutt’oggi, non interamente esplorato. È il nodo dei rapporti tra « foro interno », quello della coscienza, nel cui segreto si sigilla il colloquio tra sacerdote e penitente nella confessione sacramentale, e il « foro esterno », ossia la giurisdizione ecclesia-stica, la cui competenza sui laici, detta anche spirituale, sin dall’Alto Medioevo si è estesa nei tribunali diocesani dalle materie di stato civile alla « disciplina », ossia la materia dei reati contro la morale e il buon costume, particolarmente nella loro accezione sessuale, ed infine alle violazioni degli obblighi di culto ed alle false credenze nell’ambito della dottrina della fede. Posto che i procedimenti nei tribunali vescovili per queste categorie di « peccati-reati » sono avviati sulla base

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della notorietà del colpevole, tra i due comparti, in apparenza reciprocamente impermeabili, della penitenza segreta e della giustizia ecclesiastica pubblica, se- condo l’autrice, esiste un canale di comunicazione, che vediamo attivarsi quando il confessore si trovi di fronte a peccati mortali occulti, che comportano la scomunica de iure e la penitenza pub- blica con il suo rito solenne di riconcilia-zione, sempre che non si tratti di casi di riserva episcopale o papale, perché in tale evenienza il penitente dovrà essere avviato, sia pure con la massima discre-zione e segretezza, al confronto con quelle istanze superiori di giudizio.

Ma sarà con le campagne antiereticali condotte dall’Inquisizione degli ordini mendicanti, i cui commissari agivano, dall’XI al XV secolo, con delega papale, che questo collegamento tra penitenza sacramentale e giustizia inquisitoriale, ancorché rimanga sempre nell’ombra, co- mincerà a manifestarsi nei suoi aspetti più inquietanti. La procedura dell’Inquisi- zione delegata « mendicante » (spesso anche itinerante, prima del suo radica-mento territoriale presso i conventi fran- cescani o domenicani, per portarsi di volta in volta sui luoghi delle varie emergenze ereticali e delle epidemie di stregoneria) si articola infatti in due fasi: la prima, che si apre con la promulgazio-ne dell’editto di fede o di grazia, col quale si pone un termine perentorio ai rei occulti di eresia per presentarsi, pena la scomunica, di fronte all’inquisitore nelle vesti di penitenti, si conclude con le confessioni, le abiure segrete, le denunce dei complici da parte dei comparenti, cui segue il perdono del giudice che si ispira all’esercizio evangelico della misericor-dia; la seconda, definita « processo di giustizia », muove dalle denunce ex of- ficio dei parroci e degli anziani della comunità o anche da delazioni anonime o dalle confessioni « volontarie » degli ere- tici pentiti, e comporta, oltre all’arresto

dell’inquisito, considerato eretico e osti- nato e ribelle per il solo fatto di non essersi presentato spontaneamente, l’ap- plicazione nei suoi confronti della pro- cedura « diligente », ossia la quaestio, la tortura giudiziaria finalizzata ad ottenere la confessione del reo, cardine della procedura extra ordinem del tardo diritto penale imperiale romano, la cui pratica ordinaria era stata integralmente recepita dal diritto comune nella tradizione della codificazione giustinianea. Ma l’autrice ci avverte, con un’argomentazione di grande originalità ed acutezza, che il fine della confessione estorta con la tortura nei procedimenti inquisitoriali non è, come nell’ambito della giustizia penale laica, quello di giungere alla certezza sulla colpevolezza dell’imputato mediante la « regina delle prove » (così viene definita la confessione giudiziaria in più luoghi della codificazione giustinianea), bensì ottenere l’abiura di un sicuro colpevole, in quanto tutti gli inquisiti sono poten-zialmente rei occulti di crimini enormi. Ne deriva l’apparente paradosso che in questo genere di procedimenti non vi saranno mai degli imputati che, resisten-do ai tormenti, possano provare la loro innocenza, come può accadere davanti ai tribunali statali, ma soltanto dei colpevoli ostinati e ribelli, per i quali, come per i relapsi, anche se pienamente confessi, non si prospetta alcuna possibilità di perdono; mentre per chi è pronto ad una piena e fruttuosa confessione, sarà age- vole la riconciliazione nel seno della Chiesa. In sostanza, secondo l’autrice, si tratta di una sorta di anticipazione delle attuali normative premiali applicate ai « pentiti collaboranti »; anticipazione che si può far risalire al sistema delle peni-tenze monastiche, interamente rivolte al recupero della salute dell’anima, anche attraverso la purificazione del corpo.

Questo tipo di valutazioni, che appaio-no frequenti nell’opera della Brambilla, sono tutte orientate a far rilevare le

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significative « sincronie » proprie dal pro- gressivo strutturarsi ed evolversi degli istituti e dell’azione dispiegata dall’Inqui- sizione cattolica in Europa, processo storico di infinita complessità durato oltre dodici secoli. È facile indurre quale effetto deflagrante l’opera possa sortire rispetto al revisionismo delle tesi storio-grafiche, oggi prevalenti, che assegnano al Sant’Uffizio, in primo luogo a quello romano, ma anche a quello spagnolo della Suprema y general Inquisición, un ruolo di garante delle forme della legalità rispetto ai tribunali statali dove dominan-te era la procedura della quaestio, appli- cata regolarmente ex abrupto senza alcu- na garanzia per gli imputati. Il Consejo de la Suprema y General Inquisición era stato istituito da Ferdinando il Cattolico come organo centrale di governo, in cui confluivano il potere regio e quello apostolico papale dei tribunali dell’Inqui- sizione pontificia « delegati », già operan- ti in Aragona, Castiglia e Catalogna nell’ultimo quarto del XV secolo, che segna la fase conclusiva della reconqui-sta.

In realtà, la linea della « mitezza », che sembra caratterizzare le procedure inqui- sitoriali che prevedono per una sola volta, in quanto i relapsi resteranno sempre esclusi dal beneficio, la possibilità di un’abiura extragiudiziale per l’eresia, as- segnando ai commissari papali in missio-ne antiereticale, insieme alla più ampia delega di poteri, le stesse facoltà di grazia della Penitenzieria apostolica, sarà duramente contraddetta dalla prassi asso- lutamente prevalente nei processi condot-ti dal neo istituito Sant’Uffizio spagnolo contro i tanti conversos, di cui si dava per scontato il ritorno alla fede dei padri dopo la conversione e il battesimo, con la conseguente loro caduta nell’apostasia. Pur se costoro, a rigore, non possono essere considerati dei relapsi, in quanto come cristiani sono apostati per la prima volta, per loro non si dà mai la « beni-

gna » procedura dell’abiura stragiudiziale, anche quando se ne riconosca il vero pentimento, e pertanto dovranno passare attraverso il cerimoniale funebre dell’au- todafé e da questo, il più delle volte, salire direttamente sul rogo.

Questo avviene secondo l’autrice per-ché nella visione dei francescani osser-vanti di Alonso de Espina e dei domeni-cani di Tomás de Torquemada, prota- gonisti della furiosa persecuzione antie-braica nella Spagna dei re cattolici, l’eresia dei conversos è iscritta nel loro stesso essere giudei, come tali « perfidi » e « deicidi ». È evidente che qui l’autrice andando alle radici religiose del razzi-smo, quale si è manifestato nella storia dell’Europa cristiana sino all’orribile in- cendio dell’ultima Shoah nel XX secolo, tocca un nervo scoperto della cultura europea, in particolare se di matrice cattolica. D’altra parte, nell’introduzione, riprendendo dal saggio di Andrea Del Col, Strumenti di ricerca per le fonti inquisitoriali in Italia nell’età moderna (« Società e storia », 75, 1997) la brillan-te notazione riguardo al rischio che « alla leyenda negra dell’Inquisizione (…) im- perante fino agli anni Settanta del Nove- cento (…) si sostituisca una leyenda rosa, basata su una visione irenica, ma ugual-mente falsificata della realtà », l’autrice aveva apertamente manifestato il suo pro- posito « di non contribuire alla leggenda rosa, e di suggerire qualche buon argo-mento per spiegare perché, ad uomini più vicini all’età del Sant’Uffizio, fosse ve- nuto in mente di demonizzare quel tri- bunale, che adesso si ritiene così modera-to e così pacatamente si rivaluta ».

Sembra, in verità, che la Brambilla sia pienamente riuscita nell’intento dichiara-to, soprattutto orientando la sua ricerca alla scoperta delle origini dell’Inquisi- zione e quindi seguendone l’evoluzione in tutti i suoi complessi risvolti. Il punto finale di questa evoluzione coincide con la promulgazione della Licet ab initio di

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Paolo III nel 1542, che conferiva ad una commissione di cardinali del Sacro colle- gio il governo del Sant’Uffizio; commis-sione che diventerà poi, con le riforme di Sisto V, come congregazione, un organo centrale dello Stato della Chiesa. Al- l’esplicarsi della sua azione di direzione e coordinamento dell’attività del Sant’Uffi- zio, corrisponde una nuova « generazio-ne » di inquisitori, il cui impegno, nel contesto incandescente del dilagare della Riforma, si rivolge alla lotta contro l’ere- sia soprattutto sul piano politico-ideolo- gico. L’inizio dell’era del suo « governo centrale » rappresenta nella storia del Sant’Uffizio romano l’avvio verso un controllo selettivo della fedeltà ai dogmi, che in tutto s’identifica con la fedeltà al sovrano pontefice, sia nel suo Stato, sia in tutti gli altri dove regnano principi cattolici; un controllo diretto più ai governanti che ai governati. Gli esempi di questo nuovo indirizzo, parallelo al- l’evoluzione dello Stato pontificio verso il modello dello Stato assoluto centraliz-zato, dominante in Europa a partire dal XVI secolo, non mancano: sono i pro- cessi ai Consigli degli anziani di Lucca e Modena, « infettati » dall’eresia, per non parlare dei tanti altri che investono i più alti gradi della stessa gerarchia ecclesia-stica secolare e regolare, come quelli contro il card. Giovanni Morone, il ve- scovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio e il generale dei cappuccini Bernardino Ochino. Comunque, seconda la Brambil-la, anche nella procedura « matura » del Sant’Uffizio della Controriforma « la le- gislazione sinodale sui casi riservati man-tiene e rafforza il ruolo della confessione sacramentale come avvio alla confessione e delazione giudiziaria ». La nuova orga- nizzazione della Chiesa post-tridentina « con l’impianto della capillare rete dei vicari foranei e la stretta collaborazione tra vescovi e inquisitori, mette in funzio-ne sul territorio un “meccanismo perfet-to”, ormai completo a fine ’500, che col-

lega la confessione obbligatoria pasquale alle denunce al Sant’Uffizio ». Si tratta in particolare di quelle autodenunce e corre- late delazioni riguardo ad altri soggetti devianti, cui sono indotti i penitenti, ritenuti a rischio ereticale, dai parroci o dai confessori delle missioni quaresimali. Denunce di cui si asserisce la spontanei-tà, ma che in realtà avvengono sempre sotto l’incombente metus di dover affron- tare un processo per eresia in prima persona. Il sistema complessivo che ne risulta, secondo l’autrice, non può essere esemplificato in termini di aritmetica delle condanne capitali e delle altre pene, come ormai è d’uso da parte dei revisio-nisti, a sommesso giudizio di chi scrive. Non si può prescindere dal tentarne un bilancio in sede qualitativa, soprattutto riguardo ai suoi effetti in termini di coesione sociale, valutandone l’azione precipua che esplica sulle coscienze con l’« incoraggiare la censura e l’autocen- sura, la delazione e il segreto, le calunnie e le vendette trasversali, la simulazione la dissimulazione ».

La conclusione dell’autrice — in appa-renza apodittica — ma, a nostro avviso, ampiamente motivata dalla ricchezza di argomentazioni di uno studio condotto con rigore su un’ampia messe di risultan-ze documentarie, è che quel sistema « non ha nulla a che fare con la giustizia penale e non può esservi paragonato: è una doppia e capillare rete di spionaggio delle coscienze, che emerge dagli anni ’50-’60 del XVI secolo dalla combina-zione tra confessione sacramentale obbli- gatoria a Pasqua, riserva dell’assoluzione e “spontanee comparizioni”, a seconda del peccato — reato riservato, davanti al giudice vescovile o al delegato del San- t’Uffizio, per ottenere l’abiura — peni-tenza segreta in cambio dell’autodenuncia e della denuncia di amici, vicini e persino dei più stretti parenti ».

Giuseppe Cipriano

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CARLO BROSCHI FARINELLI, La solitudine amica. Lettere al conte Sicinio Pepoli, a cura di CARLO VITALI. Prefazione di FRANCESCA BORIS, Palermo, Sellerio, 2000, pp. 323 (La nuova diagonale). Accolto nella collana editoriale « La

nuova diagonale » questo garbato, pro- fondo saggio biografico esplora l’identità umana ed artistica di Carlo Broschi, meglio conosciuto come Farinelli (1705-1782), celebre evirato cantore del Sette- cento europeo. La messa a fuoco della complessa, vivace personalità si dipana attraverso una serie precisa di testimo-nianze epistolari che coprono il periodo 1731-1749; si tratta di 67 lettere conser-vate presso l’Archivio di Stato di Bolo-gna, tutte inviate da Carlo al conte bolognese Sicinio Pepoli, suo protettore ed amico. La trascrizione dei testi episto- lari, fedelissima e rigorosa sul piano critico, è curata da Francesca Boris e costituisce la sezione più corposa del libro, assai efficace come testimonianza storica. A corredo dell’edizione dei testi si segnalano alcuni preziosi strumenti di lettura e commento: Fatti e commenti desunti dai testi delle lettere; un Glossa-rio, che principalmente esplora e chiari-sce il significato di un lessico e di locuzioni non di rado bizzarri, un lin-guaggio vitalissimo che — precisa la Boris — è scandito « dall’abitudine di usare parole a caso incrociandone i significati, e ottenendo neologismi, effetti spesso gustosi (...) » (p. 22), a caratteriz-zare un « atipico usus scribendi (...) fortemente influenzato dalla fonetica della sua madrelingua napoletana » (p. 71). Infine, un Dizionario molto ricco identifica con apprezzabile cura scientifi-ca personaggi, istituzioni e luoghi citati nelle lettere, mentre il Cenno bibliografi-co conclusivo permette al lettore interes-sato di approfondire ulteriormente la co- noscenza di Farinelli.

L’apertura del volume è affidata alle brevi pagine di Roberto Pagano (Restau-

ro di realtà stravolte), che convergono su taluni aspetti essenziali della biografia artistica di Farinelli, « corrispondente privilegiato di Metastasio », scoprendo — è davvero opportuno sottolinearlo — la ricchezza straordinaria delle testimo- nianze epistolari: « Il contenuto del- l’epistolario Pepoli — precisa lo studio- so — conferma le qualità morali e tutte le caratteristiche positive del personaggio, regalando al lettore comune un tuffo nella dorata futilità di una certa realtà settecentesca, ma con tutto il gioco di impulsi e reazioni non sempre efficace-mente rappresentato dai biografi e siste- maticamente tradito dal cinema » (p. 12); e, poco oltre: « Le lettere squarciano in più di un’occasione i veli di omertà con i quali l’abusata agiografia dei cantanti copre certe verità scomode » (p. 13).

Pagano rinvia in questo stesso volume al contributo di Carlo Vitali, che già in precedenza si era occupato del personag-gio (C. VITALI, Da “schiavottiello” a “fedele amico”. Lettere, 1731-1749, di Carlo Broschi Farinelli al conte Sicinio Pepoli, in « Nuova rivista musicale italiana », XXV, 1992, pp. 1-36); nelle Tre note su Farinelli Vitali approfondisce la figura dell’uomo e dell’artista Farinel-li, bersaglio di « realtà stravolte ». Nella prima delle tre note — Un eroe cinema-tografico dei nostri giorni — esamina criticamente il racconto di vita edulcora-to, spesso impreciso e sostanzialmente poco fedele alla realtà, portato sul grande schermo nel 1994, per la regia di Gérard Corbiau. Al contrario Vitali resta ben ancorato al tracciato biografico del per- sonaggio, scavandone alcune tappe e peculiarità. Quelle di conoscenze, di relazioni ed amicizie importanti, ripropo-ste in dettaglio nella seconda nota Quasi padri, quasi figli, giocata con particolare incisività tra l’infanzia e la giovinezza di Carlo, quando si realizzarono gli incontri significativi della sua vita, ad iniziare da quello con Nicola Antonio Porpora, che in seguito si sarebbe trasferito alla corte

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di Vienna divenendo, tra l’altro, maestro di Franz Joseph Haydn. Porpora è ritratto come « il bisbetico padre-padrone che gli insegnò a mettere a profitto gli eccezio-nali talenti largitigli dalla natura e dal coltello del cerusico » (p. 51): Carlo fu suo allievo per circa un triennio, nel pieno dell’adolescenza. Cinque anni più tardi — era il 1727 e Carlo era poco più che ventenne — ecco compiersi l’incon- tro davvero decisivo, quello con Sicinio Pepoli, « l’altro educatore di Farinelli, quello che fece di lui un uomo di mondo, capace di muoversi con garbo e disinvol-tura nell’alta società » (p. 51). E presto Carlo divenne « il vero gioiello della sua collezione, anzi una sorta di figlio da educare con mano ferma » (p. 53). Tra i due incontri ora ricordati si colloca quello con Pietro Metastasio, avvenuto a Napoli nel 1720. Vitali, nella terza nota Ritratto di famiglia virtuale, si sofferma su un possibile incontro non completa-mente immaginario con Metastasio, fis- sato in un dipinto della metà del ’700 di Jacopo Amigoni: è un animato e compo-sito gruppo di donne, uomini e bambini in cui spicca Farinelli, « giovane genti-luomo meridionale » dallo sguardo in- tenso, gli è accanto un « abate dal naso aquilino e dal volto grassoccio » (p. 65) nel quale si riconosce proprio il Metasta-sio. Il rapporto tra il letterato e Farinelli è altresì attestato da 139 lettere autografe di Metastasio donate, come segnala Fran- cesca Boris (p. 44), alla Biblioteca uni- versitaria di Bologna dalla nipote ed erede del cantante, Maria Carlotta Pisani, nel 1840. Alla nipote, che si occupò della traslazione delle ceneri del prozio presso il Cimitero della Certosa (1810), si deve anche l’epigrafe di elogio e di affetto in memoria di Farinelli trascritta da Carlo Vitali (Dal debutto alla tomba. Appendi-ce di documenti inediti, pp. 56-57).

Ma è giunto il momento di passare al cuore del saggio. La chiave d’ingresso ci è fornita da quel titolo, assai evocativo, La solitudine amica, che rinvia senza

alcuna mediazione alla sottile, profonda lettura dell’epistolario condotta da Fran- cesca Boris, proposta nelle pagine della prefazione dal titolo Senza sentimento oscuro.

Per la formulazione di tale titolo la studiosa ricorre ad un passo epistolare dell’estate 1731: Carlo si trova a Fano ed è gravato da impegni artistici, si sente « molto affaticato » e per questo decide di rifiutare un’offerta di lavoro a Ferrara; si rivolge al conte Sicinio, con il massi-mo della reverenza, della riconoscenza, della sincerità sollecitate dalla « sua amo- revolezza » (lettera n. 6, pp. 83-84), come del resto è attestato in tanti passi del- l’epistolario. Quel « sentimento oscuro » richiamato nel contesto di questa stessa lettera può essere accostato, sotto il profilo semantico, ad emozione, dispiace-re, turbamento, come apprendiamo da una nota del Glossario (p. 237). Il solco tracciato dai sentimenti, che talora nel- l’ardito linguaggio di Carlo corrispondo-no ad opinioni, giudizi, intenzioni, guida Francesca Boris nella composizione di un saggio che valicando la dimensione ristretta, tendenzialmente schematica, del percorso biografico, ci svela un’adesione intima incondizionata e, al tempo stesso, appassionata al personaggio, prima di tutto uomo, poi artista. Francesca Boris possiede una conoscenza più che decen-nale del personaggio maturata attraverso la ricerca e la lettura delle carte d’ar- chivio, come attestano alcuni precedenti saggi (F. BORIS - G. CAMMAROTA, La collezione di Carlo Broschi detto Fari- nelli, in « Accademia Clementina. Atti e Memorie », n. s., 27, 1990, pp. 183-237; F. BORIS, Il Farinello. La villa perduta, in « Il Carrobbio », XXIV, 1998, pp. 157-172; F. BORIS, Vado al teatro per disporre festa. Farinelli: Cartas desde España al conde Sicinio Pepoli, in España Festejante. El siglo XVIII, a cura di M. TORRIONE, Malaga 2000, pp. 349-363, Servicio de publicaciones-Centro de ediciones de la Diputación de Malaga). È

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la stessa autrice a sottolineare quale intensa relazione possa stabilirsi tra l’uomo e le memorie di carta: « una vita ha strani modi per sopravvivere, nelle mode, e nelle pieghe di vecchie carte. Rotti i sigilli di ceralacca, lettere e atti notarili hanno fatto uscire fantasmi che prendono realtà, anche sullo schermo del cinema, e magari senza troppo rispetto della storia. Il rispetto della storia non è caratteristico della nostra epoca » (p. 46).

L’intenso, articolato itinerario di Fran-cesca Boris nel vivo della personalità e del mondo emotivo di Farinelli era ini- ziato con alcune note, cariche di altrettan-ta intensità, sugli evirati cantori, ma lasciamo che l’incipit scorra con fluidità: « I castrati restano un mistero. Non sa- premo mai cosa provavano veramente questi uomini mutilati per produrre voci sublimi; è possibile che trovassero nel- l’arte e nel successo ogni consolazione. Alla metà del Settecento, in Italia, ca- strare ragazzi per farne cantanti soprani o contralti è una prassi normale e avente alle spalle una lunga tradizione, lunga di quasi due secoli (...). Gli evirati cantori sono i divi del palcoscenico, e lo sanno. Non ci sono tracce, nei loro documenti autografi e nelle testimonianze su di loro, di espressioni di vergogna e autocommi-serazione, che non sembrino di maniera. Al contrario, scatta spesso la molla di un orgoglio feroce, di un senso di superiorità ironico e spietato (...). Un castrato è un di più, non un di meno: se ha raggiunto la gloria è padrone del proprio destino » (p. 19).

Resta ancora da rimarcare il valore di testimonianza che si sprigiona da queste carte di Farinelli, sempre sospese tra l’esperienza individuale, talora gravata da una sorta di spleen (p. 33), e un contesto storico per così dire ufficiale, pubblico, di dimensione europea, che pure a quel- l’esperienza individuale era saldamente congiunto. Negli anni del carteggio con Pepoli, Carlo viaggiò parecchio e conob-be il mondo, cui guardò sempre con

spiccata curiosità, come acclamato artista di successo. Le sue lettere racchiudono interessanti notazioni cronachistiche, car- pite più che altro alla corte di Spagna, spesso trasmesse, come vivaci resoconti di cronaca politica, all’amico protettore. Forse in tal senso il conte Sicinio lo sollecitava, ma non ne abbiamo le prove.

Oltre all’avvenimento politico-militare e diplomatico in senso stretto, lo sguardo acutissimo di Carlo spazia su aspetti minuti della vita sociale, della mentalità, dei comportamenti e dei gusti di uomini e di donne. Il lettore rintraccerà tutto questo con estrema facilità, non di rado con divertimento, scorrendo i testi e le dense note di commento politico, econo-mico, culturale che costituiscono una ri- sposta appassionata e autorevole al fre- quente non rispetto della storia e in particolare della sua storia.

Rossella Rinaldi

CARMELA BUONAGURO - IOLANDA DONSÌ GENTILE, I fondi di interesse medievi-stico dell’Archivio di Stato di Napoli. Introduzione di GIOVANNI VITOLO, Salerno, Carlone, 1999, pp. 252 (Iter Campanum, 9). Se da una lato la tutela e l’inventa-

riazione del patrimonio documentario è alla base del lavoro istituzionale di quanti operano negli archivi, è anche vero che queste iniziative acquistano un’impor- tanza ancora maggiore se si inseriscono in progetti di ricerca ad ampio raggio che portano ad una sempre maggiore valoriz-zazione dei fondi stessi. È questo il caso dei fondi medievistici dell’Archivio di Stato di Napoli, notoriamente depauperati dopo le distruzioni avvenute durante la seconda guerra mondiale. Infatti queste perdite documentarie hanno portato gli storici del Medioevo interessati al Mez- zogiorno d’Italia a sottovalutare i fondi

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del Grande Archivio, nonostante proprio il lavoro dei medievisti napoletani avesse tentato di sopperire, almeno in parte, alle distruzioni, con il paziente lavoro di rico- struzione degli archivi angioini, iniziato subito dopo la guerra e tuttora in corso.

Invece le indagini e le prospettive di ricerca di questi ultimi anni, sulle quali si sofferma Vitolo nell’introduzione, mo- strano come, in realtà, l’Archivio di Stato di Napoli e altri istituti culturali della città siano ancora una miniera inesplorata di fondi di interesse medievistico. Infatti solo da poco si è iniziato a sfruttare adeguatamente il lavoro svolto dagli archivisti e dagli eruditi settecenteschi, cui si deve la presenza nell’Archivio, come in varie biblioteche, di numerose trascrizioni di documenti poi perduti. Oltre ai notamenti e alle trascrizioni sei-settecentesche, già utilizzate, del resto, nella ricostruzione degli archivi angioini, bisogna considerare le platee dei beni dei monasteri napoletani e del Regno, con- servate nella sezione Corporazioni reli- giose, che permettono di ricostruire gli archivi degli enti ecclesiastici di prove-nienza. Esse contengono in copia anche documenti del IX secolo, come, ad esempio, la platea del monastero dei SS. Severino e Sossio, recentemente edita da Rosaria Pilone (L’antico inventario delle pergamene del monastero dei SS. Severi-no e Sossio. Archivio di Stato di Napoli, Monasteri soppressi, vol. 1788, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, s.d.), che si è occupata anche dell’archi- vio di S. Gregorio Armeno. Altre ricer-che sono in corso, sotto la guida di Giovanni Vitolo, sugli archivi di altri monasteri napoletani. Nella stessa dire- zione muovono le ricerche, dirette sem- pre dal Vitolo e da Cristina Carbonetti, nel fondo Processi di regio patronato, contenente copie autentiche di privilegi, non più esistenti in originale, prodotte dalle chiese del Regno come prove giustificative delle loro richieste. Pertan-to, in questa linea di ricerca, in cui si

situano molti volumi della collana Iter Campanum, era necessario uno strumento di lavoro come questo, nato dalla colla-borazione tra la Donsì Gentile, già diret- trice dell’Archivio e Carmela Buonaguro, che vi ha prestato opera come volontaria.

Il volume permette di individuare nei vari fondi dell’istituto documenti d’inte- resse medievale, sia attraverso lo spoglio delle serie più significative che col ricorso più ampio possibile agli strumenti di corredo antichi e moderni dei fondi. Esso spazia da fondi tradizionali per la ricerca medievistica come il Diplomatico, notoriamente depauperato dalle distruzio-ni belliche, alle carte delle Corporazioni religiose e dei Processi di regio patrona-to, cui abbiamo accennato più sopra. Molte notizie relative al Quattrocento si trovano inoltre nel fondo Processi an- tichi, dotato di un repertorio che fornisce gli estremi di quelli andati perduti. Altre informazioni relative all’età medievale si trovano in copie moderne di antichi documenti, conservate negli archivi pri- vati di famiglie nobili, pervenuti tra il XIX e il XX secolo all’Archivio di Stato, così come nel caso dell’Archivio Farne-siano. Dall’analisi di tutti questi fondi, pubblici, ecclesiastici o privati che siano emerge un quadro complessivo degli organi amministrativi, in particolare della Regia Camera della Sommaria, e delle istituzioni ecclesiastiche del Regno. E i rapporti dei regnicoli con gli altri Stati e viceversa non si evincono soltanto dalle menzioni di forestieri (catalani, milanesi, toscani ecc.) nelle fonti amministrative e giudiziarie del Regno, ma anche dalla presenza negli archivi privati depositati presso l’archivio di documentazione ri- guardante territori fuori del Regno.

È il caso delle scritture feudali sicilia-ne (archivi Pignatelli d’Aragona Cortes e Ruffo di Scilla) dei documenti riguardanti Genova e l’Oltregiogo genovese (testa-menti genovesi e franchigie per i Comuni di Ovada e Rossiglione nell’Archivio Doria d’Angri), delle notizie sui confini

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tra Modena e Bologna nei secoli XIII-XVIII (Archivio Giudice di Cellamare), non dimenticando le molte notizie rela- tive a terre del Lazio, a Orvieto, a Parma e al Piemonte, confluite nell’Archivio Farnesiano, che comprende anche carte relative alla famiglia Orsini.

In definitiva abbiamo un volume di immediata utilità secondo molteplici e personali chiavi di ricerca: inoltre esso non è un prodotto del lavoro isolato delle autrici ma si avvale della diretta collabo-razione sia del personale dell’Archivio sia degli studiosi che hanno utilizzato questi fondi per le loro ricerche. E ciò è tanto più vero poiché esso si presenta come un inventario « aperto », un work in progress, passibile di integrazioni in futu- ro, dato che chiunque sia interessato potrà immettervi nuovi dati comunicandoli al sito web del Dipartimento di discipline storiche dell’Università « Federico II » di Napoli (www.storia.unina.it/citta).

Così l’antica tradizione degli archivisti ed eruditi meridionali sei-settecenteschi che ci ha preservato la memoria del nostro Medioevo, potrà essere perpetuata dalle nuove tecnologie, in ciò degne eredi del bisogno di comunicazione proprio dei migliori esponenti di quella che fu, nel Settecento, la Respublica litterarum.

Matteo Villani

NICOLA LA MARCA, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del potere, Roma, Bulzoni, 2000, voll. 3, pp. XXVII, 1202, ill. L’influenza ed il ruolo giocato dal

patriziato romano nella vita economica, sociale e politica dello Stato pontificio dall’inizio dell’evo moderno al primo No- vecento costituiscono l’oggetto dell’inda- gine che Nicola La Marca, docente di storia economica a « La Sapienza » di Roma e profondo conoscitore dell’econo-

mia del Papato, cui ha dedicato un’ampia saggistica, ha condotto su fonti conservate in numerosissimi archivi pubblici e pri- vati.

Il volume vuole sforzarsi di capire la logica della espansione del potere delle famiglie nobili romane, mirando soprattut-to a illustrare gli strumenti giuridici per mezzo dei quali esse riuscirono a conser-vare ed accrescere nel corso dei secoli le loro ingenti fortune. Ne nasce il ritratto di una nobiltà potentissima e chiusissima, arroccata dentro palazzi colmi di ricchez-ze, teatri di intricati rapporti di parentela, di matrimoni, di litigi e di intrighi, tutti finalizzati a conservare e trasmettere di generazione in generazione patrimoni immensi, difendendoli da spese spesso al di fuori di ogni ragionevolezza e dalle continue controversie derivanti soprattutto dal sistema del fedecommesso che, tra gli istituti giuridici, era stato individuato come quello che meglio poteva garantire la conservazione del patrimonio familiare mantenendone l’integrità e consentendo di trasmetterlo nella sua interezza a un solo membro della famiglia.

Sorti in diritto romano per vincolare la successione dei beni per un limitato periodo di tempo nell’ambito di una sola famiglia, i fedecommessi si fusero succes- sivamente con quelli praticati nel periodo feudale: nacquero così l’istituto della pri- mogenitura e quello della perpetuità, che permisero di destinare comunque il patrimonio al primogenito — se questi era chiamato alla successione — e di provve-dere ad una contestuale « liquidazione » in favore dei cadetti. A partire dal sec. XVI, quando trovarono ampia diffusione in Italia idee e pratiche giuridiche proprie della Spagna, le varie tipologie di fede-commessi furono definite dottrinalmente e fu soprattutto teorizzato il cosiddetto fedecommesso di famiglia: venne così chiarito che qualora il testatore disponesse in modo generico a favore della sua famiglia, con questo termine si dovessero intendere solo i parenti naturali escluden-

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do categoricamente i collaterali, i quali venivano per di più colpiti anche da una lunga serie di ostacoli che penalizzavano le disposizioni eventualmente stabilite in loro favore. Da tale concezione ebbe derivazione il cosiddetto maggiorasco, vale a dire il fedecommeso di primogeni-tura che si concretizzò, soprattutto a partire dal XVI secolo, in una vera e propria trasformazione del patrimonio di famiglia in una sorta di proprietà colletti-va familiare di cui era beneficiario un solo erede, sul quale peraltro gravavano tutti gli oneri di amministrazione dei beni (che avrebbe poi dovuto trasmettere intatti al suo successore) e su cui incombeva anche l’impegno di mantenere tutti i famigliari.

In seno allo Stato pontificio i fede-commessi, che erano apertamente appog-giati dai pontefici al contrario di altri Stati in cui erano a malapena tollerati, vennero ampiamente adoperati per man- tenere l’unità del patrimonio familiare: i fedecommessi romani, nati probabilmente negli ultimi decenni del Duecento, risul- tano stabilmente consolidati nel periodo rinascimentale e manterranno sostanzial-mente le loro caratteristiche sino alla estinzione del potere temporale dei pon- tefici, trovando la loro massima fortuna nel ’600 e nel ’700, quando i patrimoni accumulati per munificenza di papi e cardinali o anche per l’esercizio di attività imprenditoriali furono, con tale sistema, immediatamente congelati. Due erano le peculiarità del fedecommesso romano: la sua universalità (vale a dire che compren-deva non solo i beni immobili ma anche i beni mobili, di qualunque genere essi fossero: capitali, crediti, titoli pubblici, collezioni artistiche, gioielli, arredamenti) e la perpetuità, che poteva essere derogata solo in casi eccezionali con l’avallo pre- ventivo del governo centrale.

Nella vasta disamina delle vicissitudini giuridico-economiche che consentirono alla nobiltà romana (ma non solo a quella) di perpetuare il proprio patrimonio, e con

esso il potere, l’A. si sofferma poi sul- l’utilità dei patronati laici su chiese, monasteri e cappelle, immobili mai tassa- bili e non confiscabili, le cui rendite afferivano — per un terzo — ai titolari, mentre l’altra parte (circa il 70%) era destinato a coprire le spese e le prebende dei cadetti destinati a carriere ecclesiasti-che o militari, senza che oneri ulteriori gravassero il primogenito. Un altro capi- tolo è infine dedicato ai cosiddetti « monti baronali », obbligazioni emesse dalla fa- miglia, a tassi bassissimi e con ammorta-menti lunghissimi, che venivano spesso utilizzati per monacare o sposare le donne della famiglia.

Furono questi escamotages legali a per- mettere alla nobiltà romana di sopravvive-re alle vicende del tempo, alle rivolte sociali ed alle rivoluzioni sino alla caduta del potere temporale dei pontefici; con l’avvento della monarchia sabauda e l’in- troduzione di una legislazione che mirava ad abolire nel tempo usi civici, enfiteusi, latifondi, essa si trovò ad affrontare in un solo colpo la fine di ogni privilegio: la tassazione di tutti i beni, talune sfortunate vicende edilizie romane ed il fallimento della Banca Romana le dettero il colpo di grazia e la misero vieppiù economicamen-te in ginocchio. Ne uscì travolta, perdendo anche gli ostentati simboli del suo potere, i palazzi: così accadde per quelli dei Borghese, dei Barberini Colonna, degli Sciarra, dei Boncompagni Ludovisi, che i proprietari dovettero abbandonare con arredi e collezioni d’arte, vendendoli — e in qualche caso svendendoli — per lo più allo Stato italiano e a istituti di credito. Fu il triste e drammatico epilogo di una secolare vicenda storica che aveva per- messo al patriziato cittadino di perpetuare se stesso, utilizzando soprattutto il mec- canismo dei fedecommessi per la di- fesa dei propri interessi particolari e di classe.

Lorenzo Mannino

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Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (1618-1633), a cura di BIANCA LANFRANCHI STRINA, con studi di AN-DREA MOZZATO, REINHOLD C. MUEL-LER, GIOVANNA NEPI SCIRÉ, Venezia, Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, 2000, pp. XLV, 77, tavv. 13 (Fonti per la storia di Venezia, sezione IV - Ar-chivi privati). Il più recente volume edito dal Comi-

tato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, presenta una fonte relativamente tarda rispetto alle tradizionali scelte del Comitato stesso, ma di rilevante importanza per la storia della pittura veneziana del primo Seicen-to. Si tratta del libro autografo di conti di Tiberio Tinelli che visse dal 1586 al 1638 e che ebbe grande successo e fortuna tra i contemporanei come ritrattista di illustri personaggi, spesso raffigurati in vesti mitologiche. La sua produzione artistica ebbe però uno sfortunato destino: la natura stessa dei suoi quadri, legata all’oblio dei personaggi dipinti e al rapido mutamento del gusto, compromise la conservazione delle opere, tanto che la scarsità degli esemplari superstiti ha impedito in molti casi di stabilire precise attribuzioni su basi stilistiche. Il libretto dei conti costituisce quindi la testimo-nianza autentica e sicura dell’intensa atti- vità dell’artista, confermando notizie tra- mandate dal suo biografo, Carlo Ridolfi; esso consente poi di approntare un catalogo completo della sua produzione, oltre a fornire taluni inediti spunti sulle abitudini quotidiane e le tecniche usate dal pittore (lavaggi saponati del capo per fermare la caduta dei capelli, ricetta per purificare l’olio di noce usato per miscelare i pigmenti, tre ricette per fare la vernice).

L’edizione e la descrizione del regi-strino, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia, nel fondo Gradenigo di Rio Marin, sono di Bianca Lanfranchi Strina,

e sono accompagnate da alcune puntuali Note al libro dei conti di Giovanna Nepi Scirè, che ricostruisce, attraverso le regi- strazioni contabili del pittore, la sua atti- vità artistica. La precisazione su Prezzi e monete nella vacchetta di Tiberio Tinelli di Andrea Mozzato e Reinhold C. Mueller appare indispensabile per la comprensione di un testo in sé e per sé di difficile interpretazione, dove compaiono ben 239 specie monetarie. L’Indice, cura- to dai vari autori, include, oltre ai nomi di persone e luoghi, anche i soggetti pittorici (ad esempio Cristo, Quattro Evangelisti, ecc.), i materiali tecnici (ad esempio, argento, arabica, ecc.) e le monete utilizzate nei pagamenti. Segue un elenco delle opere citate e 13 tavole raffiguranti alcune delle opere del Tinelli ricordate nel testo e ancora conservate.

Giorgetta Bonfiglio-Dosio

I ricoveri della città. Storia delle istitu-zioni di assistenza e beneficenza a Brescia (secoli XVI-XX), a cura di DANIELE MONTANARI e SERGIO ON-GER, Brescia, Grafo, 2002, pp. 352 (Grafostorie). Sulla storia delle istituzioni di assi-

stenza e beneficenza in Europa si sono confrontate, soprattutto nel secondo do- poguerra, varie discipline, dalla storia economica e sociale all’archivistica spe- ciale, dalla demografia storica alla socio- logia, attraverso lo studio delle mentalità e dei fenomeni culturali e filantropici connessi. Del resto basta dare una sem- plice occhiata all’immensa bibliografia prodotta sull’argomento nel corso di tutto il secolo XX, per rendersi conto di quanta attenzione abbia avuto, da parte degli studiosi, la storia del pauperismo e dell’assistenza sociale. Lavori recenti come quelli di Michel Mollat (I poveri nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1993)

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o di Bronislaw Geremek (La pietà e la forca: storia della miseria e della carità in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1991) hanno mostrato l’iter più che millenario di un fenomeno che ha toccato tutto il vecchio continente e che tuttora desta l’attenzione della società civile, politica e religiosa: il momento cruciale per la storia della carità e dell’assistenza è il passaggio dal Medioevo all’Età moderna, tra la fine del secolo XV e l’inizio del XVI, quando poveri e indigenti — con- siderati sino ad allora un fenomeno endemico della società — iniziano a divenire il risultato di una pauperizzazio-ne originata dai processi di accumulazio-ne primitiva del capitale. In tal modo l’assistenza, pur rimanendo frutto di un sistema strettamente connesso alla « ca- rità cristiana », si confronta con quelli che saranno i problemi derivanti dal « mercato del lavoro ».

Quel processo di accumulazione del capitale che precede la rivoluzione indu- striale, al quale si affiancano nuove istituzioni di assistenza, ben si riflette in questo volume sulla storia dei ricoveri della città di Brescia nei secoli XVI-XX, patrocinato dalle Istituzioni bresciane di iniziative sociali e inserito nel quadro delle attività editoriali curate dal Centro di studi, ricerche e documentazione su carità, assistenza e beneficenza nel Bre- sciano, costituito presso la Fondazione civiltà bresciana. Il volume, edito nella prestigiosa collana della « Grafostorie » e curato da Daniele Montanari e Sergio Onger, è sostanzialmente suddiviso in due parti: l’età moderna e l’età contem-poranea (con l’analisi multidisciplinare dell’intera organizzazione assistenziale), con una sezione comune, dedicata al ricchissimo patrimonio artistico e archi-tettonico di tali istituti.

A Brescia già nel Quattrocento, paral-lelamente alle confraternite, era nato l’Ospedale Grande, conseguenza della concentrazione demografica spostatasi dalla campagna alla città. L’ospedale

diventerà in breve tempo il riferimento principale del sistema assistenziale ur- bano. Ma è durante il secolo XVI che la città di Brescia diede avvio ad una programmata creazione di nuovi istituti con lo scopo di aiutare in modo più specifico le « nuove povertà ». Nacquero in tal modo case per i malati di sifilide, per gli orfani, per le ex prostitute inten-zionate a redimersi, per le ragazze che volevano conservare il proprio onore, infine per i mendicanti dediti al vagabon-daggio: l’intero complesso di ospedali arrivò così ad accogliere con continuità circa 1.500 ricoverati.

Questo stato di cose è bene evidenzia-to da Daniele Montanari che illustra esaurientemente il sistema ospedaliero bresciano sino alla fine dell’Età moderna, quando i gestori degli istituti, influenzati dai principi muratoriani, spingevano i poveri a fare « una scelta lavorativa che sola poteva garantirne l’accoglimento in città. Veniva così sancito il passaggio da inutili sradicati a poveri operosi e come tali socialmente riconosciuti ». Lo stesso Montanari ci introduce, con un altro saggio, alle origini della specializzazione ospedaliera, cominciata nel 1521 con la fondazione del Pio luogo degli incurabili e delle orfane della pietà, allegando il testo integrale dei relativi Capitoli del 1661.

Roberta Gallotti ci descrive le vicende storico-finanziarie e la vita interna del- l’Orfanotrofio della misericordia, sorto negli anni Trenta del Cinquecento, a somiglianza delle case per orfani, attivate in precedenza dal veneziano Girolamo Miani.

L’atteggiamento cittadino nei confronti della prostituzione sregolata ed occasio-nale viene analizzato da Maurizio Pegrari analizzando l’istituzione del Conservato-rio delle penitenti convertite, detto della carità. Fondato nel Cinquecento sul mo- dello monasteriale, esso mantenne lo status laicale delle donne, dipendendo dal consiglio cittadino, anziché dal vescovo,

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come accadeva per il Pio luogo del soccorso; l’autore ci fornisce inoltre un dettagliato quadro del movimento eco- nomico che ruotava nel Sei-Settecento attorno alla conversione delle prostitute. Era infatti abituale l’uso di lasciti obbli- gatori alle istituzioni preposte all’assi- stenza alle ex prostitute.

Al sistema ospedaliero bresciano si aggiunsero tre nuovi istituti, analizzati da Erica Morato. Si tratta dei due Conserva-tori delle Zitelle di Santa Agnese (1551) e delle Adulte (1673), e del Pio luogo del soccorso (1570), destinati « a tutelare e custodire fanciulle e giovani donne in pericolo di perdere l’onore o a favorire il recupero morale e sociale di quante l’onore l’avessero già perduto ».

Oggetto di studio di Leonida Tedoldi è l’Hospitale dei mendicanti detto Casa di Dio, sorto nel 1577, il quale completava la ristrutturazione del sistema caritativo-assistenziale bresciano della prima età veneta: questa istituzione, adibita all’ac- coglienza e all’assistenza dei poveri, era stata creata per motivi di natura politica, « con l’intento di rafforzare una politica sociale cittadina di “rinchiudimento” delle fasce più problematiche della società »; tabelle statistiche ci danno l’idea del capitale e del patrimonio immobiliare gestito da questa istituzione, che assume-rà, nei secoli seguenti, un ruolo sempre più importante.

Con il saggio di Roberto Navarrini possiamo conoscere l’organizzazione de- gli archivi di questi istituti e ricoveri nella Brescia del Settecento e dei loro addetti; quel complesso sistema di luoghi pii cominciò difatti a considerare la documentazione prodotta fino ad allora con attenzione diversa rispetto al passato, parallelamente al nuovo rapporto che si stava instaurando tra Stato e cittadino. Così Navarrini, tenendo ben presente il contesto sociale e culturale dell’epoca, riesce a farci comprendere la struttura-zione di quegli archivi, a partire dal Pio luogo degli orfani della misericordia, che

fu il primo a prestare maggior attenzione al proprio patrimonio documentario, alla fine del secolo XVII. Fu però l’Ospedale maggiore a percepire in modo consapevo-le l’importanza di avere un archivio ordinato e ben conservato, tanto da assu- mere nel 1723 in pianta stabile un archivista regolarmente stipendiato. Il metodo di ordinamento, che fu poi adottato da tutti gli istituti ospedalieri e persino da altri enti, era quello cronologi-co, che permetteva di reperire facilmente i documenti utili per fini giuridici e amministrativi. Tale metodo fu accanto-nato con la riforma amministrativa napo- leonica.

La parte del volume dedicata all’età contemporanea si apre con il contributo di Sergio Onger che analizza la trasfor-mazione, tra 1797 e 1859, dei singoli istituti di ricovero, mettendo in evidenza la lenta evoluzione da una « decisa sta- tualizzazione delle opere pie », durante l’amministrazione francese, ad una « pub- blicizzazione » delle stesse, cioè ad un intervento di organismi territoriali sotto forma di direzione e di controllo dei sistemi di assistenza, con gli austriaci durante la Restaurazione; entrambe giun- gono però ad un identico obiettivo: il concentramento degli istituti assistenziali.

Il corposo saggio di Mario Taccolini ci guida dalla complessa fase postunitaria alle trasformazioni istituzionali dei primi anni del Novecento, passaggio in cui il motivo conduttore resta l’oculata gestione economica e finanziaria delle strutture, oltre a quello naturale del servizio di cura e degenza.

Bernardo Scaglia ci descrive efficace-mente il sistema assistenziale bresciano durante la prima e la seconda guerra mondiale, soffermandosi sul Ventennio fascista: durante questo periodo si delineò dapprima una diversità di funzioni fra enti ospedalieri (dediti alla cura) ed enti di ricovero (solo per la degenza) che permise il risanamento finanziario di alcuni istituti; in seguito, la congiuntura

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economica del 1927 e la drammatica situazione finanziaria degli anni successi-vi portarono a una politica interna di « contenimento dei costi », che ebbe ripercussioni sui servizi offerti. Dal 1933 al 1939 prende quindi avvio « l’opera del governo affinché i luoghi pii diventassero veri e propri centri di educazione fasci-sta » che continuerà sino alla fine del regime.

Le vicende del dopoguerra fino al 1970 sono narrate da Giovanni Gregorini, che dapprima pone l’attenzione sulle ne- cessità prioritarie all’indomani del con- flitto, poi traccia le caratteristiche della « diversificata gestione economica » degli enti: da questo quadro emerge un’ammi- nistrazione che si preoccupa di conserva-re le proprietà immobiliari e allo stesso tempo attenta alla cura dell’aspetto edu- cativo all’interno dei singoli istituti; no- nostante tutto alla fine degli anni Sessan-ta restava ancora molto da fare per mettersi al passo dei paralleli mutamenti economici e sociali.

Edoardo Bressan porta la storia del sistema assistenziale bresciano sino a noi, analizzando i principali interventi norma- tivi italiani in materia e auspicando un passaggio — come il caso di Brescia dimostra — da un Welfare State a un Civic State, in cui le istituzioni locali svolgano un fondamentale compito sul territorio.

Il pregevole patrimonio dei beni mobi-li e artistici, conservato ancora oggi nei luoghi pii e nelle chiese di tali enti, è esaurientemente descritto rispettivamente dai contributi di Luciano Anelli e di Giuseppe Merlo, a corredo dei quali vi sono numerose illustrazioni.

Ugo Falcone

SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA PUGLIA - CITTÀ DI BITONTO, L’Archivio storico del Comune di Bitonto. Inven-

tario dell’« Archivio antico » (secoli XV-XIX), a cura di EUGENIA VANTAG-GIATO, Bari, Edipuglia, 2001, pp. 302 (Quaderni della Soprintendenza archi-vistica per la Puglia, 6). Il volume nasce da un’azione corale,

nella quale ognuno dei soggetti interve- nuti nell’impresa ha fatto la sua parte: la Soprintendenza barese, il Comune di Bitonto che ha fortemente voluto e age-volato l’intervento basilare di riordino e inventariazione del proprio Archivio sto- rico, la Fondazione Ungaro De Palo, la quale ha fornito una nuova prestigiosa sede all’Archivio, l’archivista Eugenia Vantaggiato che ha lavorato in modo assai costruttivo.

Nell’inventario che qui si presenta, relativo alla parte antica, pubblicato però successivamente all’inventario del fondo postunitario, la curatrice, nell’ampia in- troduzione, ricostruisce prima le vicende dell’Universitas e del Comune di Bitonto, poi la storia dell’Archivio, utilizzando al meglio fonti talvolta trascurate, ma signi- ficative, quali le relazioni delle visite ispettive effettuate dagli intendenti fin dal periodo napoleonico.

L’illustrazione dei caratteri fondamen-tali dell’Universitas bitontina, letti in chiave istituzionale, al di là di quanto già si conosceva circa l’evoluzione generale delle comunità del Regno di Napoli in età moderna, suggerisce inaspettate analogie con processi evolutivi dell’organizzazione statale in altre aree: si pensi in particolare al ruolo degli statuti controllati dalla città dominante o dal sovrano e usati come originale forma di governo indiretta. L’organizzazione amministrativa di Bi- tonto, città demaniale, ad eccezione di alcuni decenni tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, durante i quali fu infeudata ad alcune illustri famiglie le- gate al sovrano, è particolarmente signi- ficativa e giustamente la curatrice si sof- ferma ad illustrare le funzioni del can- celliere, del sindaco, del mastro giurato,

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degli ordinati, del Consiglio cittadino. Ampi squarci tratti da testi normativi coevi contribuiscono a farci conoscere in modo esaustivo il funzionamento della struttura amministrativa dell’Universitas bitontina, le tipologie documentarie adot- tate, le strategie di conservazione della memoria perseguite. L’analisi istituziona-le continua esaminando gli assetti imposti dalla dominazione napoleonica e dalla restaurazione borbonica e si conclude con l’ingresso nello Stato unitario, di cui richiama la specifica legge del 20 marzo 1865 sull’unificazione amministrativa.

La circolare Astengo del 1897 rappre-senta per l’Archivio comunale di Bitonto una cesura forte: il titolario di classifica-zione da essa proposto venne non solo prontamente adottato per l’archivio in formazione, ma servì anche per riclassifi-care i documenti precedenti, secondo un discutibile costume purtroppo molto dif- fuso. Del resto, nonostante l’attenzione per la conservazione dell’archivio, dimo- strata sia dall’Universitas bitontina sia dallo Stato borbonico, del quale la curatrice analizza con felice attenzione la minuta e incalzante successione di nor- mative specifiche, il complesso documen-tario della città pugliese ha subito numerose traversie, felicemente concluse — almeno in parte — con la recente collocazione nella prestigiosa e ben at- trezzata sede della Fondazione Ungaro De Palo. I problemi logistici sono stati risolti, mentre sono rimasti quelli connes-si con la dispersione dell’archivio e con la scomparsa, non remota, di alcuni pezzi presenti nell’inventario del 1960, e non più rinvenuti.

La curatrice individua alcuni interventi volti a ricostituire, almeno sulla carta, l’unitarietà del complesso archivistico, scelte assolutamente meritorie, in linea con le più aggiornate tendenze della disciplina archivistica. Dopo aver ricorda-to che documentazione su Bitonto va cercata, per ovvi motivi storico-isti- tuzionali, sia nel Grande Archivio di

Napoli sia in quello di Simancas, la Vantaggiato, sulla scorta delle testimo-nianze amministrative circa la tenuta e la consistenza della documentazione, cerca con successo di ricostruire l’archivio nel suo complesso. Dopo aver illustrato, su rigida base documentaria, la storia della gestione archivistica bitontina e averne censito i mezzi di corredo, elenca e descrive i brandelli dell’Archivio comu-nale dispersi in varie sedi: una cinquanti-na di pezzi conservati nella Biblioteca provinciale « Gennaro de Gemmis » di Bari, il Libro del catasto onciario del Comune di Bitonto, in effetti un catasto « apprezzo » del 1560, riferito ai cittadini il cui cognome iniziava con le lettere dalla A alla H, conservato dalla Bibliote-ca « Girolamo Sagarriga Visconti-Volpi » di Bari; i 16 pregevoli pezzi e la pianta del territorio bitontino del 1727, conser-vati dalla Biblioteca comunale « Eusta-chio Rogadeo » di Bitonto, alla quale sono pervenuti nel 1936; le 485 perga-mene, dal 1204 al 1867, conservate dalla medesima Biblioteca comunale, delle quali fornisce la data cronica e topica. Per completare il quadro della documen-tazione disponibile su Bitonto, la Van-taggiato elenca anche i nomi dei notai bitontini conservati dall’Archivio di Stato di Bari, di alcuni dei quali fornisce il regesto degli atti.

La parte di archivio conservata dal Comune è convenzionalmente suddivisa, anche nel precedente inventario di Pa- squale De Napoli del 1960, in due sezioni: l’Archivio preunitario o antico, con documentazione anteriore al 1890 e l’Archivio moderno, fino al 1950. L’in- ventario della Vantaggiato riguarda la prima sezione: i documenti sono suddivi-si in tre blocchi. Il primo comprende le cosiddette Carte antiche, 59 unità archi- vistiche comprese fra il 1491 ed il secolo XVIII, e spazia dai rogiti notarili ai registri contabili, dai capitoli che regola-mentavano il funzionamento di uffici ai fascicoli processuali, dagli ordini regi alle

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conclusioni del Consiglio cittadino, sche- dati analiticamente e ordinati in sequenza cronologica. Nel secondo blocco, com-prendente gli atti deliberativi, sono stati inserite le Conclusioni del General Con- siglio (serie che dovrebbe essere costitui-ta di 25 registri molti dei quali attualmen-te dispersi: dal 1565, data cui risale la redazione statutaria che fissa l’organizza- zione amministrativa dell’Universitas, al 1775), le Risoluzioni del Decurionato (18 registri dal 1787 al 1861), le Delibera-zioni del Consiglio comunale (39 registri dal 1861 al 1901), le Deliberazioni della Giunta municipale (36 registri dal 1862 al 1901). Il terzo blocco comprende il Carteggio, vale a dire il materiale sciolto che fu riclassificato in base alle quindici categorie previste dalla circolare Astengo, cucito e rilegato in volumi talvolta molto corposi, in tutto 374 buste, contenenti materiali dal 1785 al 1925. Stante l’inop- portunità metodologica di sciogliere le unità di condizionamento costruite lo scorso secolo, la curatrice ha giustamente scelto di descrivere il materiale così come si presentava. Particolare interesse destano alcune categorie che più di altre evidenziano i connotati della storia lo- cale. Completano il volume la bibliogra-fia, l’indice dei nomi di persona e famiglia, cui forse sarebbe stato opportu-no aggiungere anche le istituzioni e l’indice dei luoghi.

Giorgetta Bonfiglio-Dosio

SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA PUGLIA - CITTÀ DI BITONTO, L’Archivio storico del Comune di Bitonto. Inven-tario del fondo postunitario, a cura di GRAZIA TATÒ, Bari, Edipuglia, 2000, pp. 237 (Quaderni della Soprintenden-za archivistica per la Puglia, 7). Il volume, il settimo della collana di

strumenti per la ricerca della Soprinten-

denza archivistica per la Puglia, contiene l’inventario della sezione detta « postuni-taria » dell’Archivio storico del Comune di Bitonto (1890-1950) e precede l’In- ventario dell’Archivio antico, curato da Eugenia Vantaggiato.Vale la pena di richiamare, come del resto fa anche la curatrice, gli episodi essenziali per la comprensione del fondo. La suddivisione dell’Archivio storico in due sezioni, la « preunitaria », che comprende documenti dal 1491 al 1890, e la « postunitaria », dal 1890 al 1950, può apparire perfino bizzarra in quanto le denominazioni non corrispondono alle scansioni istituzionali: essa però è così radicata nella tradizione archivistica locale, essendo stata introdot-ta dall’archivista Pasquale De Napoli nel 1960, che non si è pensato di metterla in discussione.

Il Comune di Bitonto adottò tempesti-vamente le direttive della circolare Astengo del 1897 sulla classificazione dei documenti in base alle famose quindici categorie e — al pari d’altri enti analoghi — riclassificò in tal senso anche la documentazione precedente, operando quella che la curatrice definisce con esattezza « un’evidente forzatura stori-ca ». Però l’organizzazione originaria dei documenti in base al titolario Astengo ha preservato l’archivio da ulteriori danni provocati da eventi traumatici, quali spostamenti di sede e perseverante incu- ria; inoltre la recente collocazione del- l’Archivio comunale nel palazzo della Fondazione Ungaro De Palo per la fruizione e la valorizzazione del patrimo-nio museale e archivistico, rappresenta una garanzia per la salvaguardia del patrimonio documentario comunale, cui dovrebbe contribuire anche l’emanazione di un regolamento di gestione. Le perdite subite dall’archivio e le lacune conse-guenti impongono al ricercatore incursio-ni anche in altri istituti di conservazione, alcuni dei quali esterni alla cittadina pu- gliese, pubblici e privati, civili ed eccle-

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siastici, puntualmente indicati nell’intro- duzione. Ispirandosi al titolario adottato dal Comune, l’inventario descrive le 337 buste dell’Archivio in modo analitico. La decisione circa il livello di analiticità della descrizione si rivela particolarmente felice, perché la lettura anche superficiale e frettolosa dell’inventario consente di individuare i caratteri distintivi della storia locale. Emergono così le numerose cause nelle quali il Comune è coinvolto; il numero e il nome delle opere pie attive nel territorio comunale e le iniziative del Comune a favore delle persone meno fortunate, gli interventi pubblici nel settore della sanità e igiene: dall’organiz-zazione di un’assistenza sanitaria di base fino alla prevenzione e ai rimedi pro-grammati in casi di emergenza (lotta alla malaria e alla tubercolosi), dalla realizza-zione delle strutture basilari, quali il macello pubblico, le fognature, i cimiteri, alla istituzione delle terme salsoiodiche a Margherita di Savoia. Ma altri percorsi di ricerca e curiosità suggerisce l’inventario, pur nell’apparente aridità della descrizio-ne, che non deve — come annota il sindaco nella sua prefazione — trarre in inganno il lettore. Nella categoria Finanze, oltre a notizie su tasse, privative e concessioni, che fanno emergere le modalità di sfruttamento delle risorse comunali, si trova l’elenco delle proprietà comunali e dei beni ecclesiastici indema-niati, nella categoria Grazia, giustizia e culto si trovano preziose indicazioni sul restauro di alcune chiese, con corredo di disegni e progetti segnalati con puntualità dalla curatrice, anche nella categoria Leva e truppa, per quanto riguarda gli edifici destinati ad usi militari e, ovvia-mente, nella categoria Lavori pubblici, vera miniera di informazioni per chi voglia ricostruire l’evoluzione urbanistica della cittadina, che dall’inventario appare molto intensa e vivace. Un discorso a parte merita la categoria Istruzione pubblica, specie per quanto riguarda le

scuole secondarie: in particolare, oltre al Liceo Ginnasio, le istituzioni scolastiche maggiormente legate alla preparazione dei ceti popolari desiderosi di emergere e alle necessità formative espresse dal mondo produttivo (le scuole serali di disegno, la Scuola tecnica; la Scuola di arti e mestieri; la Scuola professionale marittima; il Convitto femminile; la Scuola professionale). Ma in questa cate- goria si trovano pure tutte le pratiche relative alla gestione della Biblioteca comunale, molto apprezzata dagli abitanti di Bitonto. I fascicoli della categoria In- dustria, commercio e agricoltura, confer- mano da un lato la presenza di colture tradizionali, quali l’ulivo e la vite, ma potenziate e sorrette da una politica di aggiornamento professionale degli addetti e da un affinamento delle conoscenze tecnologiche, e d’altro canto il legame con le vicende nazionali per quanto concerne ad esempio i premi di produtti-vità decisi dal regime fascista. Sostanzia-le allineamento di Bitonto con tendenze nazionali emerge anche dalle categorie Stato civile, Anagrafe, Statistiche, per quanto riguarda i premi fascisti a fami-glie numerose; Emigrazione e passa- porti, circa la grande emigrazione o il lavoro femminile e minorile; Pubblica sicurezza, ricca anche di notizie sugli spettacoli.

Completa l’inventario l’indice dei nomi di persona, località, istituzioni.

Giorgetta Bonfiglio-Dosio

CARLOTTA SORBA, Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 303. Il volume di Carlotta Sorba sul ruolo

del teatro e del melodramma nella vita civile dell’Italia risorgimentale è esempla-re per impostazione concettuale e chiarez-

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za espositiva. L’autrice si sofferma su tre aspetti fondamentali: l’edificio-teatro con le sue diverse tipologie proprietarie, il pubblico, analizzato nelle differenti ar- ticolazioni sociali, riflesse nella forma « gerarchica » della sala all’italiana, e infine il melodramma ottocentesco quale veicolo di trasmissione delle istanze patriottico-risorgimentali. Il percorso si conclude nell’aula parlamentare del nuovo regno unificato, dove il dibattito sui teatri porta infine a eliminare dal bilancio sta- tale ogni spesa relativa, mettendo grave-mente a rischio la tenuta dell’intero si- stema che in epoca preunitaria aveva invece assunto forme di produzione e di gestione di tipo squisitamente « indu- striale ».

Partendo dall’analisi di una ricca do-cumentazione d’archivio, l’autrice mette chiaramente in evidenza come la massic-cia costruzione di teatri negli anni della Restaurazione coincida con una sorta di esigenza civica che spinge ogni comunità, anche la più piccola e remota, a dotarsi di un edificio architettonicamente rile- vante, visto non solo come luogo principa-le di incontro mondano, ma anche come spazio di autocelebrazione. È del resto l’identificazione del notabilato locale con il teatro a costituire il fondamento su cui si regge tutto il sistema. L’impresa della costruzione e gestione della sala teatrale si basa infatti, specie nell’Italia centro-settentrionale, sulla condivisione di re- sponsabilità tra famiglie nobili locali che si associano nell’acquisto dei palchi, assi- curando così i capitali necessari: un patto fra maggiorenti, che se ha come scopo la creazione di un proprio spazio ricreativo, torna però a beneficio dell’intera comuni-tà. Allo spettacolo possono infatti assiste-re tutti i ceti sociali, ad ognuno dei quali è assegnato un posto specifico all’interno della sala gerarchicamente strutturata: al palco-salotto degli aristocratici si contrap-pongono la piazza-platea, dove il pubblico assiste perlopiù in piedi o seduto su pan- che, e il loggione, destinato agli strati più

umili della popolazione, il cui carattere popolare resta intatto, anche quando nel corso del tempo la platea tende trasfor-marsi in un luogo di decoro borghese. Coprotagoniste dell’intensa stagione edili- zia teatrale del primo Ottocento sono comunque anche le corti, che vedono in questi spazi « gerarchici » il mezzo ido- neo a una riaffermazione della piramide sociale e a una propria legittimazione dinastica, e le autorità municipali che in- tendono nobilitare e ornare la città con un edificio di alta rappresentanza, non senza però coinvolgere nell’iniziativa i mag- giorenti locali chiamati all’acquisto dei palchi.

È proprio questa fitta rete di teatri — nel censimento promosso nel 1868, all’indomani dell’Unità, le sale risultano essere ben 942 — a favorire la diffusione di quella grande stagione del melodramma italiano che, aperta da Rossini e prosegui-ta da Bellini, Donizetti e Verdi, si irradia capillarmente in tutta la penisola con una rapidità e un tempismo sorprendenti se si pensa all’arretratezza della rete di co- municazioni preunitaria e alle difficoltà frapposte alla libera circolazione di beni e persone. Ciononostante, i lavori dei massimi operisti percorrono in lungo e in largo tutto il territorio nazionale, elimi-nando definitivamente le sacche ancora legate a una produzione circoscritta ad autori locali e ponendosi come il veicolo principale « attraverso la cui mediazione e deformazione i personaggi e le vicende dei maggiori testi romantici allora in commercio arrivano a diffondersi anche nelle province italiane ». Il melodramma viene quindi a costituire un prodotto cul- turale che tende a sostituirsi al libro scritto, a proporsi non a un pubblico numericamente limitato di lettori, ma a uno assai più vasto di spettatori con una capacità di penetrazione assai mag-giore, che scavalca le élites letterate e attinge il livello di vera e autentica « arte popolare ».

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Nutrito dei topoi romantici, di cui anzi costituisce l’amplificazione e il potenzia-mento, il melodramma ottocentesco assu- me nel contesto dell’Italia preunitaria, al di là degli effettivi intenti di compositori e librettisti, una connotazione « politica ». Se i temi patriottici sfiorano appena le trame operistiche — né potrebbe essere diversamente, data la presenza di un’oc- chiuta censura —, quei comportamenti di eroico sacrificio e coraggio ardimentoso, che ne costituiscono uno dei temi portanti, vengono letti nell’effervescente clima risorgimentale dell’epoca come un richia- mo potente all’azione, al combattimento, alla rivolta. In quest’ottica anche il mito di un Verdi vate dell’unificazione italiana esce inevitabilmente ridimensionato, per- ché a trasformare alcuni suoi cori in manifesti patriottici non sono né il sog- getto della vicenda né le parole intonate, ma riferimenti vaghi e generici che, decontestualizzati e attualizzati, vengono interpretati dagli spettatori dell’epoca, anche grazie alla forza trascinante della musica, in chiave ideologico-nazionale. Le opere di Verdi entrano dunque in perfetta sintonia con gli umori di un pubblico che in quella specifica congiun-tura storica non desidera altro che trovare un qualsivoglia appiglio alle proprie spe- ranze di riscatto.

Se dunque i teatri hanno fatto da luoghi deputati per l’educazione emozionale degli italiani e il melodramma ha « ac-compagnato come una perfetta colonna sonora la fase eroica della redenzione patriottica », nella nuova realtà postunita-ria le cose cambiano radicalmente: com- plice un atteggiamento « liberista » del nuovo Stato, ostile a ogni intervento governativo in campo artistico, i teatri, lasciati alla libera iniziativa dei singoli o al massimo alla responsabilità dei munici-pi, entrano in una grave crisi, dibattendosi tra difficoltà finanziarie, il nascere di nuove e più moderne forme di intratteni-mento e di svago e una generale contra-zione di pubblico. Se il melodramma otto-

centesco perde la sua funzione di prodotto popolare e di collante nazionale per tra- sformarsi in spettacolo elitario ed esclusi-vo, lo stesso spazio teatrale, nato per ospitarlo degnamente, smarrisce la sua natura rappresentativa, di specchio di un’intera comunità. La nascita di forme di socialità diversificate sottraggono al teatro la sua valenza di luogo di ritrovo privile-giato, non più in grado di esercitare sui notabili locali l’attrattiva di un tempo: così, se i municipi, oberati da impegni gravosi e urgenti, tendono a liberarsi della responsabilità delle sale, la stessa proprie-tà del palco finisce per rivelarsi non più una garanzia di prestigio sociale, ma un inutile e pesante fardello economico. Si rompe dunque quel sistema pubblico-privato che nella prima metà dell’Otto- cento aveva permesso la realizzazione di una capillare rete teatrale, facendo di questo settore una delle prime « indu-strie » del nostro paese.

Mauro Tosti-Croce

EURIGIO TONETTI, Minima burocratica.

L’organizzazione del lavoro negli uf- fici del Governo austriaco nel Veneto. Con appendice documentaria e atlante diplomatico, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 2000, pp. 117, ill. L’autore, funzionario dell’Archivio di

Stato di Venezia dal 1980, può essere giustamente considerato un esperto del- l’amministrazione asburgica in Veneto, tema al quale ha dedicato vari saggi e il volume Governo austriaco e notabili sud- diti. Congregazioni e municipi nel Veneto della Restaurazione (1816-1848), pubbli-cato a Venezia nel 1997.

In quest’ultima fatica, meritoria e attesa, colma un vuoto di conoscenze che si avvertiva ormai da tempo in campi

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diversi (archivistica, diplomatica e storia dell’amministrazione). La rilevanza della seconda dominazione austriaca in Veneto emerge in modo evidente se si riflette all’impronta lasciata dallo stile asburgico di conduzione degli affari e di organizza-zione burocratica sulle abitudini di lavoro della pubblica amministrazione non solo italiana. Alla caduta degli antichi regimi (quindi alla fine anche della Repubblica di Venezia), l’avvento degli Stati napo- leonici e della Restaurazione apporta, com’è noto, rilevanti innovazioni nei sistemi di formazione, gestione e conser-vazione dei documenti pubblici, con nuove utilizzazioni di strumenti organiz-zativi quali registro di protocollo, tito- lario di classificazione, indici, e radicali cambiamenti nell’aspetto dei documenti pubblici: variazioni complesse che archi- visti e storici dell’amministrazione cono- scevano, anche se talora in modo empiri-co, ma che i diplomatisti non hanno mai trattato in modo sistematico. Mancava dunque un’analisi esaustiva e documenta-ta in grado di descrivere a tutto tondo il funzionamento degli uffici del Veneto asburgico nel loro operare quotidiano. Il libro di Tonetti apporta un sostanziale e significativo contributo alla conoscenza di alcune questioni fondamentali.

La parte introduttiva descrive l’orga- nizzazione amministrativa del Veneto durante la seconda dominazione asburgi-ca, rinviando, com’è doveroso, ai testi legislativi, evidenzia la particolare sen- sibilità delle massime autorità di governo per il settore archivistico, cui veniva destinato personale numeroso, qualificato e di alto livello, analizza le tipologie documentarie allora in uso e illustra per ogni tipo di documento l’iter burocratico che ne accompagna la creazione, la gestione e la conservazione, lasciando tracce concrete sul documento stesso. In appendice sono edite le Istruzioni pel governo, un lungo testo di 122 articoli, pubblicato il 24 aprile 1815 in tiratura

limitata ad uso interno, che detta norme minuziose sul funzionamento degli uffici, e ampi stralci delle Istruzioni per le regie delegazioni, pubblicato nel 1818. La terza appendice è costituita dall’Atlante diplo- matico, che attraverso 46 riproduzioni fotografiche analizza e descrive docu-menti prodotti dal Governo o ad esso pervenuti, evidenziando i segni e le annotazioni apposti dai differenti uffici nei diversi passaggi procedimentali. Si trovano così riprodotti e commentati il voto, il voto separato, il dispaccio, il dispaccio aulico, il foglio di referato, la consulta aulica, il decreto governativo, il decreto del Presidio di Governo, la nota, la distinta di documenti, il decreto vicereale, l’intimazione presidiale, la lettera riservata, la circolare, l’estratto di protocollo.

Ne esce un quadro esaustivo del fun-zionamento degli uffici asburgici, desunto dalla legislazione e verificato attraverso i documenti, una vera selva, prodotta da una macchina burocratica così frenetica-mente attiva e produttrice di carte da « macinare » in un anno quantità enormi di materiale scrittorio (più di 320.000 fogli di carta, 28.500 penne, 507 matite, più di 6.000 fogli di carta assorbente).

Gli affari trattari dal Governo si divi-devano in due categorie: quelli deliberati dal Consiglio e quelli decisi al di fuori del medesimo (dal Governatore e dal suo Presidio). Gli affari del Consiglio a loro volta si dividevano in due categorie: quelli « correnti », di secondaria impor-tanza, svolti dal rispettivo consigliere e infine sottoposti all’approvazione del Governatore e quelli detti « da riferirsi », sui quali veniva espresso un « voto » (riassunto della questione e proposte per risolverla), che, approvato dal Consiglio, diventava traccia per stilare il dispaccio del Governo. Se c’erano consiglieri dis- senzienti, questi dovevano esprimere un voto separato, esponendo le loro diver-genti opinioni, che dovevano comunque

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essere registrate nel foglio di referato. Tre differenti uffici d’ordine, svincolati dai dipartimenti, supportavano l’attività amministrativa: il protocollo, la spedizio-ne, l’archivio corrente del Governo (regi- stratura). In tutti e tre lavoravano funzio-nari di prim’ordine e di rango elevato, ulteriore conferma che essi non erano considerati posti di esilio e di confino, ma strutture strategiche, perfettamente intercambiabili con incarichi politico-amministrativi.

Giorgetta Bonfiglio-Dosio

FRANCESCA TRIVELLATO, Fondamenta dei

vetrai. Lavoro, tecnologia, mercato a Venezia tra Sei e Settecento, Roma, Donzelli, 2000, pp. VIII, 343, ill. (Sag-gi. Storia e Scienze sociali). Il titolo di questo recente volume di

Francesca Trivellato, Fondamenta dei vetrai, sembra fare riferimento ad un genere letterario narrativo, con possibili concessioni al colore locale, sempre in agguato in un contesto di attenzione al passato veneziano. In realtà, a collocare in modo più pertinente l’ambito e il taglio specifico di questa ampia ricerca provvede il sottotitolo: Lavoro, tecnolo-gia, mercato a Venezia tra Sei e Sette-cento. Non solo Murano, la nota isola delle fornaci vetrarie, dunque, fa da sfondo alle vicende che vi sono indagate, bensì l’intera realtà territoriale veneziana e, in essa, la variegata costellazione di corporazioni e mestieri in cui si articola-va nei secoli passati il settore vetrario. La realtà veneziana allora diviene pretesto e occasione per aprire un dibattito a tutto campo su concetti chiave come quelli di lavoro, tecnologia, mercato in una città — se non nelle città — di antico regime. « Nella tarda età moderna — si ricorda in apertura di questo volume — Venezia era

ancora una delle maggiori capitali euro- pee »: essa si presenta dunque « come un importante laboratorio di verifica » di un più ampio discorso, decisamente sovralo-cale, di storia sociale ed economica.

L’itinerario di indagine del volume si sviluppa nel confronto con alcuni conso-lidati modelli interpretativi del pensiero storiografico veneziano e non solo. Mette in discussione la nozione di decadenza commerciale ed economica della Repub-blica nel periodo preso in considerazione, ossia il Sei e Settecento, nonché il ruolo che in tale decadenza si è ritenuto dovettero giocare le corporazioni di arti e mestieri. Oltre che nei loro aspetti stret- tamente economici, queste istituzioni, vivacissime e di vita plurisecolare — a Venezia sopravvissero alla caduta della Repubblica, venendo soppresse con de- creto napoleonico solo nel 1806 —, sono esaminate come agenti cardini per il mantenimento del consenso e della pace sociale. Nella città lagunare, infatti, pur non giungendo mai, come in altre città italiane ed europee, all’esercizio diretto del potere politico, le corporazioni di mestiere mantennero ininterrottamente un rapporto dialettico, stretto ed incalzante, con il governo, facendosi strumenti della realizzazione di quel concetto di « equi-tà », piuttosto che di uguaglianza, con il quale nell’antico regime si esprimeva, così scrive Francesca Trivellato, ripren-dendo una formulazione di Giovanni Levi: « il sogno impossibile di una so- cietà giusta di ineguali ».

La nuova ottica di studio si è rivolta dunque alle corporazioni di mestiere « non (…) come scatole chiuse e ripiega-te su se stesse, bensì come lenti di ingrandimento attraverso cui leggere alcuni principi fondanti delle società urbane di antico regime ». Così facendo l’autrice ha scelto « di spostare l’asse della riflessione di qualche grado » ri- spetto all’abbondante e qualificata produ- zione di studi sulle arti, giocata prevalen-

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temente sul piano normativo-istituzionale. Ha individuato inoltre la realtà veneziana sei-settecentesca della produzione e del commercio vetrario quale esempio di polo economico che, pur avendo perso fra il XVII ed il XVIII secolo la sua posizione egemonica, seppe sfruttare alcune opportunità aperte dalla riorganiz-zazione dei traffici internazionali e adat- tarsi alla nuova competizione estera in campo tecnologico.

Per realizzare questo spostamento di asse nell’indagine, pervenendo infine alla messa a punto di una ricerca stimolante e innovativa, Francesca Trivellato si è av- valsa di un puntuale confronto con i più aggiornati approcci storiografici al pro- blema delle corporazioni di mestiere, come testimoniano gli ampi riferimenti bibliografici, in prevalenza molto recenti, spesso internazionali e orientati ad una prospettiva di analisi decisamente com- parativa. Ma il taglio interpretativo pro- posto dal volume è anzitutto il risultato di un approfondimento delle fonti documen-tarie utilizzate, che vengono lette, anche se già note, in modo inedito, sovente trasversale e interpretate ed elaborate con inusitata attenzione ermeneutica. L’au- trice stessa ci mette a parte di aver letto le fonti « il più possibile in controluce »: nel caso dei documenti a carattere legi- slativo e giudiziario, ad esempio, per quello che nascondono piuttosto che per quello che prescrivono o vietano. Contra-riamente alla maggioranza degli studi sulle corporazioni di mestiere, si fa un uso assai parco delle fonti statutarie, cui si attinge più che altro per rilevare la discrepanza tra le norme e la loro pratica effettiva. Nel contempo, tuttavia, gli statuti — in particolare il Capitolare dell’arte vetraria muranese del 1766, conservato al Museo vetrario di Murano e pubblicato nel 1954 a cura di Luigi Zecchin, e altri statuti meno noti, come quelli quattrocenteschi dei vetrai murane-si o quelli di altre corporazioni del settore

vetrario veneziano, conservati presso la biblioteca del Museo Correr e nel fondo delle Arti all’Archivio di Stato di Vene-zia — vengono utilizzati quale testimo-nianza delle incessanti contrattazioni e delle continue ridefinizioni dei privilegi e prerogative di ciascun corpo, nonché come luogo ove verificare il reiterarsi degli abusi, tanto frequenti da diventare a loro volta quasi la norma. Gli statuti sono dunque visti non come cristallizzazione di norme e consuetudini, bensì — come è noto a chi si applica all’edizione di tali fonti — come veri e propri palinsesti, quale risultato di continui aggiornamenti, più o meno organicamente integrati nelle successive stesure. La documentazione che viene maggiormente utilizzata per l’analisi del mondo imprenditoriale e lavorativo del vetro muranese proviene da fondi dell’Archivio di Stato di Vene-zia, e in particolare dall’Archivio del Podestà di Murano, organo di governo dell’isola che, sotto la guida di un patrizio veneziano e di un consiglio cittadino locale, godeva di parziale autonomia amministrativa all’interno del Dogado. L’analisi di oltre un migliaio di contratti di assunzione di maestri e lavoranti dell’Arte dei verieri, depositati in copia presso il cancelliere della Podesteria di Murano, tra 1638 e 1696, consente di analizzare in modo dinamico e comparativo, attraverso apposite elabo- razione dei dati, le retribuzioni percepite dagli operai delle fornaci. Sempre pro- venienti dal fondo del Podestà di Mura-no, si utilizzano le sentenze emesse dal tribunale di prima istanza istituito presso tale magistratura e che, in occasione di contenziosi, stabiliva anche l’esecuzione di stime di valore dei beni contenuti in fornaci e botteghe. Né manca il ricorso all’archivio del Consiglio di Dieci, or- gano cui erano affidate nella Repubblica di Venezia le questioni riguardanti la sicurezza dello Stato, e al quale dalla fine del XV secolo venne demandato anche il

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controllo sull’arte vetraria muranese, a segno dell’importanza effettiva oltre che simbolica di tale arte e dei mestieri ad essa collegati. In tale fondo sono raccolti, infatti, — e sono ampiamente utilizzati nel volume — gli elenchi nominativi dei maestri alle dipendenze di ogni vetreria dell’isola a partire dal 1660 e per tutto il Settecento, comprensivi anche dei maestri disoccupati, il cui onere retributivo ve- niva ripartito di anno in anno fra le fornaci attive.

Altrettanto produttiva la ricerca nei registri del Senato Terra, sulla scorta delle indagini che in tale serie vanno conducendo, a proposito di brevetti e patenti, studiosi quali Carlo Poni e Roberto Berveglieri. Vi vengono indivi-duate, infatti, alcune patenti di invenzione riguardanti il vetro e materie collegate: fonti indispensabili alla comprensione del mutamento tecnologico da quando, nel 1474, con lungo anticipo sugli altri Stati europei, la Repubblica di Venezia istituì la prima legislazione protettiva dei diritti materiali e intellettuali degli inventori; ma pure fonti che necessitano delle op- portune integrazioni con i risultati delle indagini chimico-fisiche sui manufatti superstiti e dell’analisi dei cosiddetti « ricettari di fornace », tramandati per lo più per via familiare e conservati in alcuni archivi privati, in larghissima mag- gioranza inediti, ad eccezione del cosid-detto Ricettario Darduin, pubblicato da Luigi Zecchin nel 1986.

Lo studio puntuale degli aspetti tecno-logici si sviluppa parallelamente a quello del variare della composizione merceolo-gica delle produzioni vetrarie veneziane in relazione alla struttura della domanda interna ed estera, per la quale si acquisi-scono elementi decisivi dai registri della dogana, conservati tra le carte dei Cinque Savi alla Mercanzia, che documentano i movimenti del porto veneziano negli ultimi anni di vita della Repubblica. Per l’analisi dell’ubicazione e della distribu-

zione della proprietà immobiliare nel- l’isola di Murano (presentata sinottica-mente nella lunga serie di tabelle) si ricorre invece alle rilevazioni catastali effettuate dai parroci per incarico dei Dieci Savi alle Decime, a partire da quella condotta nel 1661. Il fondo del- l’Avogaria di Comun mette poi a disposi-zione un nutrito numero di fascicoli riguardante gli aspiranti muranesi a quel titolo di « cittadino originario venezia-no », secondo per grado a quello di patrizio veneziano, che veniva ad ag-giungersi, senza sostituirsi, a quello di cittadino muranese, codificato tra 1603 e 1605, nel Libro d’oro di Murano. Quest’ultimo, edito alla fine dell’800 dall’abate Vincenzo Zanetti, fondatore e allora direttore del Museo vetrario del- l’isola e dell’annesso archivio, è oggi riproposto in ristampa anastatica con pre- sentazione di Mario De Biasi.

Indagini di questo genere sul profilo sociale delle maggiori famiglie di vetrai muranesi, offrono lo spunto per un’ana- lisi delle ambiguità lessicali insite nel sistema di divisione in classi legato alle pratiche lavorative locali. Se sulla carta il pregiudizio verso le arti meccaniche ri- maneva uno dei punti fondamentali del formarsi delle gerarchie locali, in realtà queste mantenevano una grande fluidità nel confine che a Murano separava mer- canti e artigiani, tanto da indurre l’autrice a sostenere che « il linguaggio dei me- stieri e delle professioni riproduceva la complessità delle pratiche lavorative me- glio di quanto esprimessero le gerarchie formali ». Si affianca a tali fonti la documentazione dell’archivio notarile che conserva dettagliati inventari di fornace, fonti centrali per tracciare profili biogra-fici di mercanti e produttori del vetro e per raccogliere informazioni sulle vetrerie dell’isola.

È attraverso la lettura di questo ampio ventaglio di fonti, filtrate anche attraver-so la letteratura storica più recente, che

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Francesca Trivellato delinea un quadro complesso e dinamico di una realtà, quella corporativa sei-settecentesca, ge- neralmente considerata in declino. « Un’economia in declino non è un’eco- nomia morta », afferma l’autrice, per sostanziare poi questa affermazione pren- dendo come riferimento l’ottica di breve-medio periodo propria dei protagonisti delle vicende indagate.

Nelle rivisitazione delle strutture e delle strategie produttive e commerciali mobilitate in campo vetrario, la dimen-sione economica viene tenuta sempre unita a quella culturale, indagata attraver-so il filtro antropologico: così le forme di lavoro risultano improntate da regole e relazioni informali, da continui processi di « rinegoziazione », piuttosto che dalle nette separazioni funzionali e gerarchiche previste sulla carta dal sistema corporati-vo. Questa prospettiva porta anche a rileggere le forme della stratificazione sociale interna al mondo dei corpi di mestiere — che a Murano era articolata su ben quattro livelli, tra padroni di fornaci, maestri, lavoranti e garzoni — e le declinazioni delle conflittualità tra gli stessi operai, prima fra tutte quella fra quanti erano iscritti alle arti e quanti ne erano esclusi, e quindi sottratti al control-lo delle corporazioni, ma anche alla loro protezione. È il caso, ad esempio, delle numerosissime donne impiegate nelle la-vorazioni delle perline di vetro, oppure degli operai originari del Friuli che divennero egemoni nelle lavorazioni degli specchi di bassa qualità: categorie entrambe indispensabili al processo pro- duttivo e quindi al sistema corporativo nel suo complesso, e organizzate in gerarchie informali interne, ma sempre — le donne ancor più dei friulani — estranee al riconoscimento pubblico e dunque non ricordate, come ulteriore conseguenza, nelle fonti statutarie e normative. Il conflitto diventa allora ele- mento caratterizzante e connaturato ai

sistemi corporativi, come dimostra, ad esempio, l’esame delle modalità con cui i tribunali veneziani dei secoli XVII-XVIII intervenivano per risolvere i conflitti di lavoro. L’analisi del salario dei lavoratori del vetro, condotta su 456 contratti di assunzioni di maestri e lavoranti dell’Arte dei verieri, che riportano l’ammontare dei salari degli operai, consente di leggervi il riflesso di un delicato equilibrio tra produttività individuale e funzione soli- dale e caritativa, propria delle istituzioni corporative. Così il concetto di equità, richiamato in apertura si traduce in uno strumento concettuale per comprendere fenomeni economici che sfuggono alla logica di mercato ma che non ne sono completamente estranei, consentendo di ricostruire in maniera non anacronistica la specificità delle relazioni economiche e sociali dell’epoca.

Francesca Cavazzana Romanelli

Uomini denaro istituzioni. L’invenzione

del Monte di Pietà, a cura di MARIA GIUSEPPINA MUZZARELLI, Bologna, Co- sta, 2000, pp. 130 (Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Catalogo della mostra tenuta a Bologna nel 2000). Il catalogo della mostra « Uomini dena-

ro istituzioni. L’invenzione del Monte di Pietà » — organizzata in occasione del- l’evento « Bologna città della cultura 2000 » dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna — consente di riper- correre la storia e le funzioni sociali dei Monti di Pietà, punto di forza della vita economica cittadina fra tardo medioevo ed età contemporanea. Nati nel XV secolo per volontà dei minori osservanti france-scani, i Monti avevano lo scopo di accu- mulare risorse (denaro o altri beni come grano o derrate alimentari) da distribuire

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ai pauperes pinguiores, commercianti o artigiani che avevano bisogno di piccoli o medi crediti per affrontare spese imprevi-ste e crisi economiche passeggere. L’assi- stenza portata dai Monti non si estendeva dunque ai poveri tout court, ma mirava a sostenere i membri di un gruppo sociale ben definito e riconosciuto come tale dal resto della popolazione. Secondo quanto previsto dal progetto francescano era ne- cessario tutelare l’« immagine » sociale di coloro che ricorrevano al Monte e che non si potevano ascrivere agli strati marginali della popolazione; non caso il Monte di pietà sorgeva in luoghi della città sempre centrali ma il più possibili appartati, dove era possibile recarsi senza correre il peri- colo di essere visti o riconosciuti.

Nelle intenzioni originarie dei france-scani vi era inoltre la volontà pratica ma anche religiosa di creare strutture alterna-tive in grado di scardinare il potere dei banchi ebraici che avevano raggiunto nelle città, tra XIII e XIV secolo, una enorme diffusione. I prestatori ebrei, cui erano vietate quasi tutte le altre attivi- tà, avevano progressivamente conquistato l’intero mercato del prestito su pegno, sottoposto ad un tasso concordato, ma così alto da poter essere difficilmente restitui-bile (20-30% annuo). L’idea di concedere un credito in un momento di difficoltà a soggetti meritevoli che avrebbero potuto restituire in tempi piuttosto brevi la somma avuta, rappresentava la chiave di volta del sistema dei Monti di Pietà, i cui statuti consentivano prestiti solo a patto che il denaro non venisse usato o reinve-stito nel gioco, nel commercio o in qua- lunque altra forma di impresa. La caratte-rizzazione del prestito su pegno come soluzione ad una crisi momentanea, ma

destinata a risolversi in tempi brevi, pre- vedeva che l’oggetto portato al Monte dovesse valere 1/3 in più della cifra otte- nuta, che doveva però essere necessaria-mente restituita entro 18 mesi dall’emis- sione della cedola.

La necessità di imporre sul credito con- cesso un tasso di interesse di modesta entità (5%), fondamentale per sostenere le spese del Monte, sollevava però diverse questioni a carattere religioso, poiché en- trava teologicamente in conflitto con il diritto all’esercizio dell’usura tollerato e concesso soltanto agli ebrei.

La bolla di Leone X Medici del 1515 che consentiva ai Monti di introdurre tale basso tasso d’interesse, voluto non a caso da un pontefice membro di una delle più importanti famiglie di mercanti fiorentini, aprì un lungo dibattito sulla liceità della questione, a lungo portato avanti dai teologi agostiniani, domenicani e benedet-tini in netto contrasto con la volontà francescana.

Nonostante la diffusione dei Monti, il loro scopo primario venne però in larga misura disatteso: i banchi ebraici conti-nuarono a prosperare e mantenere il loro ruolo di finanziatori per più alti ceti mercantili e produttivi cittadini, mentre contemporaneamente una larghissima dif- fusione dei Monti di Pietà in tutte le maggiori città italiane rispondeva alle esi- genza di commercianti e artigiani meno abbienti. Progressivamente i Monti conso- lidarono la propria funzione fino a dive- nire un punto di riferimento fondamentale nell’organizzazione assistenziale cittadina e una sorta di tesoreria della città cui sempre più le fasce sociali in difficoltà economica facevano ricorso

Alessandra Camerano

L i b r i r i c e v u t i *

* Tra i libri ricevuti si segnalano: inventari, edizioni di fonti, opere di archivistica e di disci-

pline affini. La rubrica viene curata dalla dott.ssa Maria Teresa Piano Mortari, bibliotecaria presso la Direzione generale per gli archivi.

Archivio Coronini Cronenberg. Gorizia Comitale. Inventario, a cura di ENRICA

CAPITANIO. Schede a cura di LUCIA PILLON, [Gorizia], Fondazione Palazzo Coronini Cronenberg - Monfalcone, Edizioni della laguna, 2001, pp. 413. tavv. 15, ill. (Monografie goriziane, 2).

ARCHIVIO DI STATO DI MANTOVA, SCUOLA

DI ARCHIVISTICA PALEOGRAFIA E DI-

PLOMATICA - GRUPPO 7 - DONNE PER LA PACE, La memoria e l’archivio. Per una storia della presenza femminile a Mantova in età contemporanea. Atti del Seminario, Mantova, 28-29 ottobre 2000, a cura di GRUPPO 7 - DONNE PER

LA PACE, Mantova, Gianluigi Arcari, 2001, pp. 157 (Strumenti, 4).

ARCHIVIO DI STATO DI MILANO, SCUOLA

DI ARCHIVISTICA PALEOGRAFIA E DI-

PLOMATICA, I colori della scrittura. Catalogo della mostra, 5 novembre 2002 - 31 gennaio 2003, Milano, Ar-chivio di Stato, 2002, pp. XLVII, 172, tavv. 16, fig. 4, tavv. sciolte 3.

ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, L’archi-

vio Camporeale, a cura di FRANCESCO VERGARA, Palermo, Archivio di Stato, 2000, pp. 111 (Quaderni della Scuola di archivistica paleografia e diplomati-ca. Studi e strumenti, 3).

L’archivio postunitario del Comune di

Bucine (1865-1960). Inventario, a cura di EVA BICHI e ANTONELLA GUERRI.

Revisione di AUGUSTO ANTONIELLA, Arezzo, Provincia di Arezzo - [Monte-pulciano], Le Balze, 2001, pp. 297 (Progetto Archivi, 1).

L’Archivio postunitario del Comune di

Sesto Fiorentino, a cura di FRANCESCO

CAPETTA, Firenze, Leo S. Olschki, 2001, pp. XXIV, 265 (Provincia di Fi-renze. Cultura e memoria, 22).

L’Archivio storico dell’Orfanotrofio di S.

Marco e delle più antiche istituzioni senesi per l’infanzia povera. Inventa-rio, a cura di STEFANIA BARBETTI e ANNA MANCINI. Presentazione di GIU-

LIO SAPELLI. Contributi di MARINA

ROMITI, LAURA VIGINI, MAURO CIVAI, Siena, Comune; Edizioni Cantagalli, 2000, pp. 158, tavv. 16.

ARCICONFRATERNITA E PARROCCHIA BASI-

LICA MARIA SS. IMMACOLATA DI CA-

TANZARO, Inventario dell’archivio del-l’Arciconfraternita e della Parrocchia Basilica Maria Ss. Immacolata, a cura di ANTONIO GARCEA, Catanzaro Lido, Ursini, 2001, pp. 101, ill.

ARQUIVO NACIONAL (BRASIL), CONSELHO

NACIONAL DE ARQUIVOS, Classificação, temporalidade e destinação de docu-mentos de arquivo relativos às ativida-des-meio da administração pública, Rio de Janeiro, Arquivo Nacional, 2001, pp. 156.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Libri ricevuti 498

ASSOCIAZIONE AMICI DEGLI ARCHIVI PIEMONTESI - ARCHIVIO DI STATO DI

ASTI, Sovversivi e antifascisti della provincia di Asti. Inventario, a cura di MAURIZIO CASSETTI, [Asti], Associa-zione amici degli archivi piemontesi, 2002, pp. 149 (Fonti per la storia con-temporanea, 2).

ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE,

SEZIONE FRIULI VENEZIA GIULIA - AS-SOCIAZIONE NAZIONALE ARCHIVISTICA

ITALIANA, SEZIONE FRIULI VENEZIA

GIULIA - ARCHIVIO DI STATO DI TRIE-STE, Giornata di confronto. Busta O. I liberi professionisti negli archivi e nelle biblioteche, Trieste, 12 dicembre 2000 [Atti a cura di MIRIAM SCARABÒ e GRAZIA TATÒ], Monfalcone, Centro-stampa, [2000], pp. 58.

GIORGETTA BONFIGLIO-DOSIO - CRISTINA

COVIZZI - CRISTINA TOGNON, L’ammi- nistrazione del territorio sotto la Re-pubblica di Venezia: gli archivi delle comunità e dei rettori, Rovigo, Provin-cia, 2001, pp. 180 (Gli archivi della provincia di Rovigo, 2).

CENTRO RICERCHE DI STORIA ED ARTE,

CONVERSANO - ARCHIVIO DI STATO DI BARI, Fonti per la storia di Conversa-no. I, L’Archivio di Stato di Bari, a cura di RENATA ZINGARELLI. Introdu-zione di GIUSEPPE DIBENEDETTO. Pre-sentazione di CATERINA LAVARRA, Galatina, Congedo, 2001, pp. XV, 172, tavv. 42 (Biblioteca di cultura pugliese, 136)

COMUNE DI PONTREMOLI - AMMINISTRA-

ZIONE PROVINCIALE DI MASSA - CENTRO LUNIGIANESE DI STUDI GIURIDICI - MINI-

STERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTU-

RALI, ARCHIVIO DI STATO DI MASSA, SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI PON-

TREMOLI, Pontremoli e il territorio

attraverso la cartografia, secc. XVII-XIX: questioni di confine con il Par-mense e il Genovesato. Borgovaldita-ro-Godano-Suvero-Zeri, a cura di OL-GA RAFFO MAGGINI. Testi di GRA- ZIELLA MATTEONI, BRUNO PENNUCCI, OLGA RAFFO MAGGINI, La Spezia, Luna Editore; Società editrice ligure apuana, 2001, pp. 61, ill.

ISTITUTO UNIVERSITARIO DI ARCHITETTURA

DI VENEZIA, ARCHIVIO PROGETTI, Giu-seppe Torres 1872-1935. Inventario analitico dell’archivio, a cura di RIC-CARDO DOMENICHINI, Padova, Il Poli-grafo, 2001, pp. 276, ill.

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ

CULTURALI, ARCHIVIO DI STATO DI CA-

TANZARO, SEZIONE DI LAMEZIA TERME, « Il ricordo dei fatti, dei luoghi e delle persone in Calabria dall’avvento del fascismo al secondo conflitto mondia-le ». Mostra documentaria, III Settima-na della cultura, 19 marzo - 7 aprile 2001, Lamezia Terme, Modernissima, 2001, pp. 61, ill.

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ

CULTURALI, UFFICIO CENTRALE PER I

BENI LIBRARI, LE ISTITUZIONI CULTURA-LI E L’EDITORIA; BIBLIOTECA STATALE

DEL MONUMENTO NAZIONALE DI CASA-

MARI, Il « Liber usuum Ecclesiae Cu-sentinae » di Luca di Casamari arcive-scovo di Cosenza. Codice Sant’Isidoro 1/12. Introduzione e edizione [a cura di] ANTONIO MARIA ADORISIO, prefa-zione di CLAUDIO LEONARDI, Casamari (FR), Edizioni Casamari, 2000, pp. 309, tavv. 10 (Bibliotheca Casaema-riensis, 4).

MARIA GABRIELLA PASQUALINI, Il Le-

vante, il Vicino e il Medio Oriente (1890-1939). Le fonti archivistiche del- l’Ufficio storico, Roma, Stato maggiore

Libri ricevuti 499

dell’esercito, Ufficio storico, 1999, pp. 666, ill. (Documenti per la storia extra-europea).

SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER

L’UMBRIA - PROVINCIA DI PERUGIA, Archivi umbri della Democrazia cri-stiana. Inventari, a cura di FRANCESCA

CIACCI e FABRIZIA TREVISAN, Perugia,

Soprintendenza archivistica per l’Um- bria, 2001, pp. 352, ill.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI LECCE, DIPAR-

TIMENTO DEI BENI DELLE ARTI E DELLA

STORIA, Archivio diocesano di Lecce. Serie Giudicati. Inventario, [a cura di] LORELLA INGROSSO, [Galatina], Con-gedo, 2001, pp. 151 (Minima, 1).

L ’ o r g a n i z z a z i o n e d e g l i A r c h i v i d i S t a t o *

DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI

DIRETTORE GENERALE. prof. Salvatore Italia

SERVIZIO I - AFFARI GENERALI, PERSONALE E BILANCIO. Direttore: dr. Raffaele Santoro

SERVIZIO II - ARCHIVI STATALI. Direttore: dr. Antonio Dentoni-Litta, ad interim

SERVIZIO III - ARCHIVI NON STATALI. Direttore: dr. Maria Grazia Pastura

SERVIZIO IV - SERVIZIO TECNICO. Direttore: dr. Daniela Grana

SERVIZIO V - DOCUMENTAZIONE E PUBBLICAZIONI ARCHIVISTICHE. Direttore: dr. Antonio Dentoni-Litta

DIRIGENTI CON FUNZIONI DI STUDIO E DI RICERCA: dr. Patrizia Ferrara

COMMISSIONE PER LA PUBBLICAZIONE DEI CARTEGGI DEL CONTE DI CAVOUR

Prof. Carlo Pischedda, presidente

Prof. Giuseppe Talamo, vice presidente

Prof. Carlo Ghisalberti, dott.ssa Rosanna Roccia, prof. Alfonso Scirocco, dott. Giovanni Silengo, prof. Romano Ugolini, il direttore generale per gli archivi, membro di di-ritto, il direttore dell’Archivio di Stato di Torino, membro di diritto

Il direttore del Servizio documentazione e pubblicazioni archivistiche, segretario

COMMISSIONE PER LA PUBBLICAZIONE DEI DOCUMENTI FINANZIARI DELLA REPUBBLICA VENETA

Prof. Ugo Tucci, presidente

Dr. Andrea Monorchio, vice presidente; prof. Gianfranco Mossetto, vice presidente

Prof. Giovanni Castellani, prof. Massimo Costantini, prof. Giuliano Petrovich, prof. Giorgio Scarpa, prof. Giuliano Segre, dr. Paolo Selmi, prof. Federico Seneca, dr. M. Francesca Tiepolo, prof. Angelo Ventura

Il direttore del Servizio documentazione e pubblicazioni archivistiche, segretario

* Si pubblicano i dati aggiornati al momento della pubblicazione del fascicolo.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

L’organizzazione degli Archivi di Stato

501

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO SOVRINTENDENTE: dr. Maurizio Fallace

VICE SOVRINTENDENTE: dr. Aldo G. Ricci

CENTRO DI FOTORIPRODUZIONE, LEGATORIA E RESTAURO DIRETTORE: dr. Gigliola Fioravanti Fattorosi Barnaba

SOPRINTENDENZE ARCHIVISTICHE Ancona (per le MARCHE): dr. Mario Vinicio Biondi Aosta (per la VALLE D’AOSTA): non ancora attivata Bari (per la PUGLIA): prof. Domenica Porcaro Massafra Bologna (per l’EMILIA-ROMAGNA): dr. Euride Fregni Cagliari (per la SARDEGNA): dr. Carlo Pillai Campobasso (per il MOLISE): dr. Daniela Di Tommaso Firenze (per la TOSCANA): dr. Paola Benigni Genova (per la LIGURIA): dr. Elisabetta Arioti Milano (per la LOMBARDIA): dr. Marina Messina Napoli (per la CAMPANIA): dr. Maria Rosaria de Divitiis Palermo (per la SICILIA): dr. Giuseppina Giordano Perugia (per l’UMBRIA): dr. Mario Squadroni Pescara (per l’ABRUZZO): dr. Gerardo Miroballo Potenza (per la BASILICATA): dr. Anna Maria Muraglia Reggio Calabria (per la CALABRIA): dr. Francesca Tripodi Roma (per il LAZIO): dr. Lucia Salvatori Principe Torino (per il PIEMONTE): dr. Marco Carassi Trento (per il TRENTINO ALTO ADIGE): dr. Giovanni Marcadella, ad interim Trieste (per il FRIULI VENEZIA GIULIA): dr. Pierpaolo Dorsi Venezia (per il VENETO): dr. Giustiniana Migliardi O’Riordan

ARCHIVI DI STATO AGRIGENTO (e sezione di Sciacca): dr. Maria Gerardi ALESSANDRIA: dr. Giovanni Maria Panizza ANCONA (e sezione di Fabriano): dr. Giovanna Giubbini AOSTA: non ancora attivato AREZZO: dr. Augusto Antoniella

L’organizzazione degli Archivi di Stato

502

ASCOLI PICENO (e sezione di Fermo): dr. Carolina Ciaffardoni Ciarrocchi ASTI: dr. Maurizio Cassetti AVELLINO: dr. Gerardina Rita De Lucia BARI (e sezioni di Barletta e Trani): prof. Giuseppe Dibenedetto BELLUNO: dr. Eurigio Tonetti, ad interim BENEVENTO: dr. Valeria Taddeo BERGAMO: dr. Maria Pacella BIELLA: dr. Graziana Bolengo BOLOGNA (e sezione di Imola): dr. Maria Rosaria Celli Giorgini BOLZANO: dr. Hubert Gasser BRESCIA: dr. Angela Bellardi, ad interim BRINDISI: dr. Marcella Guadalupi Pomes CAGLIARI: dr. Marinella Ferrai Cocco Ortu CALTANISSETTA: dr. Claudio Torrisi, ad interim CAMPOBASSO: dr. Elena Glielmo CASERTA: dr. Imma Ascione CATANIA (e sezione di Caltagirone): dr. Aldo Sparti CATANZARO (e sezione di Lamezia Terme): dr. Luisa Patricia Raffaela Porchia Vescio

di Martirano CHIETI (e sezione di Lanciano): dr. Anna Maria De Cecco COMO: dr. Lucia Ronchetti COSENZA (e sezione di Castrovillari): dr. Anna Maria Letizia Fazio CREMONA: dr. Angela Bellardi CROTONE: non ancora attivato CUNEO: dr. Elia Vaira Caselli ENNA: dr. Gaetano Calabrese, ad interim FERRARA: dr. Antonietta Folchi FIRENZE: dr. Rosalia Manno Tolu FOGGIA (e sezione di Lucera): dr. Maria Carolina Nardella FORLÌ (e sezione di Cesena): dr. Fiorenza Danti Mambelli FROSINONE (e sezione di Anagni-Guarcino): dr. Viviana Fontana GENOVA: dr. Paola Caroli GORIZIA: prof. Adele Brandi GROSSETO: dr. Maddalena Corti IMPERIA (e sezioni di San Remo e Ventimiglia): dr. Maristella La Rosa ISERNIA: dr. Luigina Tiberio L’AQUILA (e sezioni di Avezzano e Sulmona): dr. Gerardo Miroballo LA SPEZIA: dr. Graziano Tonelli LATINA: dr. Agostino Attanasio LECCE: dr. Annalisa Bianco LECCO: non ancora attivato LIVORNO: dr. Serafina Bueti

L’organizzazione degli Archivi di Stato

503

LODI: non ancora attivato LUCCA: dr. Giorgio Tori MACERATA (e sezione di Camerino): dr. Luigi Borgia MANTOVA: dr. Daniela Ferrari MASSA (e sezione di Pontremoli): dr. Olga Raffo MATERA: dr. Antonella Manupelli MESSINA: dr. Alfio Seminara MILANO: dr. Maria Barbara Bertini MODENA: dr. Angelo Spaggiari NAPOLI: dr. Felicita De Negri NOVARA: dr. Maria Marcella Vallascas NUORO: dr. Angela Orani, ad interim ORISTANO: dr. Giuseppe Princiotta PADOVA: dr. Francesca Fantini D’Onofrio PALERMO (e sezione di Termini Imerese): dr. Claudio Torrisi PARMA: dr. Marzio Dall’Acqua PAVIA: dr. Maria Emanuela Salvione PERUGIA (e sezioni di Assisi, Foligno, Gubbio e Spoleto): dr. Clara Cutini Zazzerini PESARO (e sezioni di Fano e Urbino): dr. Graziella Berretta PESCARA: dr. Maria Teresa Iovacchini PIACENZA: dr. Gian Paolo Bulla PISA: dr. Maria Augusta Timpanaro Morelli PISTOIA (e sezione di Pescia): dr. Carlo Vivoli PORDENONE: dr. Rosa De Cicco POTENZA: dr. Donato Tamblè PRATO: dr. Diana Toccafondi RAGUSA (e sezione di Modica): dr. Giovanni Morana RAVENNA (e sezione di Faenza): dr. Manuela Mantani REGGIO CALABRIA (e sezioni di Locri e Palmi): dr. Lia Domenica Baldissarro Di Pietro REGGIO EMILIA: dr. Gino Badini RIETI: dr. Irma Paola Tascini, ad interim RIMINI: dr. Gianluca Braschi ROMA: dr. Luigi Londei ROVIGO: dr. Luigi Contegiacomo SALERNO: dr. Maria Luisa Storchi SASSARI: dr. Anna Lucia Segreti Tilocca SAVONA: dr. Marco Castiglia SIENA: dr. Carla Zarrilli SIRACUSA (e sezione di Noto): dr. Gaetano Calabrese, ad interim SONDRIO: dr. Anna Maria Andriola, ad interim TARANTO: dr. Ornella Sapio TERAMO: dr. Claudia Rita Castracane Vecchio

L’organizzazione degli Archivi di Stato

504

TERNI (e sezione di Orvieto): dr. Anna Pia Bidolli TORINO: dr. Isabella Massabò Ricci TRAPANI: dr. Santina Sambito TRENTO: dr. Paola Panaccio Parisi TREVISO: dr. Franco Rossi TRIESTE: dr. Grazia Tatò UDINE: dr. Roberta Corbellini VARESE: dr. Claudia Morando VENEZIA: prof. Vincenzo Franco VERBANIA: dr. Valeria Mora VERCELLI (e sezione di Varallo): dr. Chiara Cusanno VERONA: dr. Antonietta Folchi, ad interim VIBO VALENTIA: dr. Teresa Muscia VICENZA (e sezione di Bassano del Grappa): dr. Giovanni Marcadella VITERBO: dr. Augusto Goletti

NOTIZIARIO LEGISLATIVO ∗ Testi legislativi MINISTERO DELLA GIUSTIZIA. DECRETO 3 luglio 2002 Soppressione dell’archivio notarile mandamentale di Bronte. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 179 del 1° agosto 2002. SENATO DELLA REPUBBLICA. DELIBERAZIONE 17 luglio 2002 Modificazione degli artt. 12, 17 e 20 del regolamento del Senato concernenti l’Archi- vio storico Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 171 del 23 luglio 2002. LEGGE 8 novembre 2002, n. 264 Disposizioni in materia di interventi per i beni e le attività culturali e lo sport art. 8 Interventi in favore degli archivi storici della Provincia di Asti Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 274 del 22 novembre 2002. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI. DIPARTIMENTO PER L’INNOVAZIONE E LE TECNOLOGIE. DIRETTIVA 9 dicembre 2002 Trasparenza dell’azione amministrativa e gestione elettronica dei flussi documentali Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 53 del 5 marzo 2003. AUTORITÀ PER L’INFORMATICA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. DELIBERAZIONE 30 gennaio 2003 Regolamento per l’individuazione delle categorie di documenti amministrativi formati o comunque rientranti nella disponibilità dell’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, sottratti all’accesso in attuazione dell’art. 24 della legge 7 agosto

∗ I testi di legge sono consultabili in un’apposita Sezione normativa del sito internet del Ministero per i beni e le attività culturali: <http://www.beniculturali.it> Il Notiziario si limita pertanto a fornire la semplice indicazione dei provvedimenti e dei singoli articoli riguardanti gli archivi.

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Notiziario legislativo 506

1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. (Deliberazione n. 2/2003) Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 41 del 19 febbraio 2003. DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 7 marzo 2003 Individuazione della tipologia e dei settori degli interventi ammessi ad accedere al fondo per la tutela e lo sviluppo economico-sociale delle isole minori art. 9 Interventi nel settore della cultura e dei beni culturali Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 97 del 28 aprile 2003. DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 7 aprile 2003, n. 137 Regolamento recante disposizioni di coordinamento in materia di firme elettroniche a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 23 gennaio 2002, n. 10. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 138 del 17 giugno 2003. DECRETO LEGISLATIVO 30 giugno 2003, n. 196 Codice in materia di protezione dei dati personali Il decreto, all’art. 176: Soggetti pubblici stabilisce inoltre la trasformazione dell’Auto- rità per l’informatica nella pubblica amministrazione in Centro nazionale per l’infor- matica nella pubblica amministrazione Pubblicato sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 174 del 29 luglio 2003.

Legislazione regionale REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA. DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE 12 novembre 2002, n. 0347/Pres. Approvazione modifica al regolamento recante norme per la gestione del protocollo e la conservazione degli archivi della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, 3a serie speciale, n. 16 del 19 aprile 2003. Pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Friuli Venezia Giulia n. 49 del 4 dicembre 2002.

Notiziario legislativo 507

REGIONE LAZIO. REGOLAMENTO REGIONALE 6 settembre 2002, n. 1 Regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi della Giunta regionale Capo III Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici (artt. 105-148) Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, 3a serie speciale, n. 19 del 10 maggio 2003. Pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Lazio n. 25 del 10 settembre 2002. REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE (PROVINCIA DI TRENTO). LEGGE PROVINCIALE 17 febbraio 2003, n. 1 Nuove disposizioni in materia di beni culturali Capo II Archivio provinciale (artt. 17-21); Capo III Disposizioni particolari in materia di archivi (artt. 22- 34) Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, 3a serie speciale, n. 29 del 19 luglio 2003. Pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Trentino Alto Adige n.9 del 4 marzo 2003. REGIONE UMBRIA. REGOLAMENTO REGIONALE 12 novembre 2001, n. 7 Disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, 3a serie speciale, n. 26 del 29 giugno 2002. Pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Umbria n. 57 del 21 novembre 2001. REGIONE UMBRIA. REGOLAMENTO REGIONALE 1° ottobre 2002, n. 5 Regolamento regionale degli archivi della Giunta regionale Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, 3a serie speciale, n. 14 del 5 aprile 2003. Pubblicato sul Supplemento ordinario n. 1 al Bollettino ufficiale della Regione Umbria n. 45 del 16 ottobre 2002.

I n d i c i d e l l ’ a n n a t a 2 0 0 2

AMICO ROSALIA, L’Ufficio del Genio civile di Pisa e il suo archivio 65 ARGIOLAS ALESSANDRA - FERRANTE CARLA, L’autonomia e la rinascita della

Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

277 BENIGNI PAOLA, v. GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE

SCHIFF GIORGINI. DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI

STATO DI FIRENZE »

BILOTTO ANTONELLA, L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del

prodotto »

293 BRECCIA ALESSANDRO, v. GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE

CARTE SCHIFF GIORGINI. DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHI- VIO DI STATO DI FIRENZE »

CAPANNELLI EMILIO, v. GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE

SCHIFF GIORGINI. DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI

STATO DI FIRENZE »

CAVATERRA ALESSANDRA, Il contributo degli archivisti alla Enciclopedia

italiana di scienze, lettere ed arti

234 COPPINI ROMANO PAOLO, v. GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE

CARTE SCHIFF GIORGINI. DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHI-

VIO DI STATO DI FIRENZE »

DEL VIVO CATERINA, L’individuo e le sue vestigia. Gli archivi delle personalità

nell’esperienza dell’Archivio contemporaneo « A. Bonsanti » del Gabinetto Vieusseux

217 GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE SCHIFF GIORGINI.

DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE » (Archivio di Stato di Firenze, 16 maggio 2002)

307 Rosalia Manno Tolu e Maria Grazia Pastura, Introduzione ai lavori, p. 309; Paola Benigni, Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Nove-cento, p. 314; Alessandro Breccia, Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini, p. 335; Romano Paolo Coppini, Giovan Battista Giorgini politico di professione, p. 348; Emilio Capannelli, Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini, p. 363; Giuseppe Nicoletti, Memorie manzoniane da casa Giorgini, p. 378

Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3

Indici dell’annata 509

MANNO TOLU ROSALIA, v. GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE

CARTE SCHIFF GIORGINI. DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHI-

VIO DI STATO DI FIRENZE »

MAZZOLAI DANIELE, Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena 7 NICOLETTI GIUSEPPE, v. GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE

SCHIFF GIORGINI. DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI

STATO DI FIRENZE »

PANCALDI MARIA GRAZIA, Giustizia e misericordia: nascita della prigione in una

regione periferica dello Stato pontificio

175

PASTURA MARIA GRAZIA, v. GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE

CARTE SCHIFF GIORGINI. DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHI- VIO DI STATO DI FIRENZE »

CRONACHE BONFIGLIO-DOSIO GIORGETTA, Seminario: « Le amministrazioni comunali nel-

l’area alto-adriatica in età contemporanea. Stato degli studi e prospettive di ricerca » (Vicenza, 19 ottobre 2002)

404 BRACCINI MASSIMO, Giornata di studio: « La rete degli archivi e delle biblioteche

della provincia di Pistoia. Prospettive e sviluppi » (Pistoia, 29 gennaio 2002)

388 CACIOLI MANUELA, Convegno: « Tra Stato e società civile: Ministero dell’in-

terno, prefetture, autonomie locali. Dimensione storica, processi evolutivi, assetto attuale » (Roma, 6-8 novembre 2002)

409 FLORIA SILVIA, Seminario internazionale di studi: « Archivi storico-educativi e

loro accessibilità informatica » (Firenze, 31 gennaio 2002)

397 NOTE E COMMENTI BONFIGLIO-DOSIO GIORGETTA, Natura e struttura del fascicolo 431 BORRUSO RENATO, Il diritto d’autore sui documenti dello Stato 421 MATÈ DONATELLA - RUSCHIONI ELENA - FABRIS TIZIANA, Progetto di manuten-

zione per l’Archivio di Stato di Viterbo. Linee guida per un corretto inter-vento di spolveratura

441

Indici dell’annata 510

DOCUMENTAZIONE XXXVI Conferenza internazionale della Tavola rotonda degli archivi: « L’idea di

archivio nell’opinione pubblica » (Marsiglia, 13-15 novembre 2002)

450 ORDINAMENTI E INVENTARI 454 NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO 469 LIBRI RICEVUTI 497 L’ORGANIZZAZIONE DEGLI ARCHIVI DI STATO 500 NOTIZIARIO LEGISLATIVO 505 INDICI DELL’ANNATA 508 Notiziario bibliografico

Opere segnalate 511 Collaboratori 512

Indici dell’annata 511

N o t i z i a r i o b i b l i o g r a f i c o O p e r e s e g n a l a t e BONAZZOLI VIVIANA, Adriatico e Mediter-raneo orientale. Una dinastia mercantile ebraica del secondo ’600: i Costantini, Trieste, Lint, 1998, pp. 220 (Facoltà di economia e commercio dell’Università di Urbino, seconda serie) 469 BORIS FRANCESCA, V. BROSCHI FARINELLI

CARLO BRAMBILLA ELENA, Alle origini del Sant’Uffizio. Penitenza, confessione e giustizia spirituale dal Medioevo al XVI secolo, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 590 (Saggi, 525) 470 BROSCHI FARINELLI CARLO, La solitudine amica. Lettere al conte Sicinio Pepoli, a cura di C. VITALI. Prefazione di F. BORIS, Palermo, Sellerio, 2000, pp. 323 (La nuova diagonale) 476 BUONAGURO CARMELA - DONSÌ GENTILE

IOLANDA, I fondi di interesse medievistico dell’Archivio di Stato di Napoli. Introdu-zione di G. VITOLO, Salerno, Carlone, 1999, pp. 252 (Iter Campanum, 9) 478 DONSÌ GENTILE IOLANDA, v. BUONAGURO

CARMELA LA MARCA NICOLA, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del po- tere, Roma, Bulzoni, 2000, voll. 3, pp. XXVII, 1202, ill. 480 LANFRANCHI STRINA BIANCA, v. Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (1618-1633)

Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (1618-1633), a cura di B. LAN-

FRANCHI STRINA, con studi di A. MOZZA-

TO, R. C. MUELLER, G. NEPI SCIRÉ, Venezia, Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, 2000, pp. XLV, 77, tavv.13 (Fonti per la storia di Venezia, sezione IV - Archivi privati) 482 MONTANARI DANIELE, v. I ricoveri della città MOZZATO ANDREA, v. Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (1618-1633) MUELLER REINHOLD C., v. Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (1618-1633) MUZZARELLI MARIA GIUSEPPINA, v. Uomini, denaro, istituzioni. L’invenzione del Monte di pietà NEPI SCIRÉ GIOVANNA, v. Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (1618-1633) ONGER SERGIO, v. I ricoveri della città I ricoveri della città. Storia delle istitu-zioni di assistenza e beneficenza a Brescia (secoli XVI-XX), a cura di D. MONTANARI

e S. ONGER, Brescia, Grafo, 2002, pp. 352 (Grafostorie) 482 SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA

PUGLIA - CITTÀ DI BITONTO, L’Archivio storico del Comune di Bitonto. Inventario

Indici dell’annata 512

dell’« Archivio antico » (secoli XV-XIX), a cura di E. VANTAGGIATO, Bari, Edipuglia, 2001, pp. 302 (Quaderni della Soprinten-denza archivistica per la Puglia, 6) 485 SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA

PUGLIA - CITTÀ DI BITONTO, L’Archivio storico del Comune di Bitonto. Inventario del fondo postunitario, a cura di G. TATÒ, Bari, Edipuglia, 2000, pp. 237 (Quaderni della Soprintendenza archivistica per la Puglia, 7) 487 SORBA CARLOTTA, Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 303 488 TATÒ GRAZIA, v. SOPRINTENDENZA ARCHI- VISTICA PER LA PUGLIA - CITTÀ DI BITON-

TO... Inventario del fondo postunitario TONETTI EURIGIO, Minima burocratica. L’organizzazione del lavoro negli uffici del Governo austriaco nel Veneto. Con appendice documentaria e atlante diplo-matico, Venezia, Istituto veneto di

scienze, lettere ed arti, 2000, pp. 117, ill. 490 TRIVELLATO FRANCESCA, Fondamenta dei vetrai. Lavoro, tecnologia, mercato a Ve- nezia tra Sei e Settecento, Roma, Donzel-li, 2000, pp. VIII, 343, ill. (Saggi. Storia e Scienze sociali) 492 Uomini, denaro, istituzioni. L’invenzione del Monte di pietà, a cura di M. G. MUZ- ZARELLI, Bologna, Costa, 2000, pp. 130 (Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Catalogo della mostra tenuta a Bologna nel 2000) 495 VANTAGGIATO EUGENIA, v. SOPRINTEN-

DENZA ARCHIVISTICA PER LA PUGLIA - CITTÀ DI BITONTO... Inventario dell’« Ar- chivio antico VITALI CARLO, V. BROSCHI FARINELLI

CARLO VITOLO GIOVANNI, V. BUONAGURO CAR- MELA

Collaboratori Bonfiglio-Dosio Giorgetta, 482, 485, 487, 490

Camerano Alessandra, 469, 495

Cavazzana Romanelli Francesca, 492

Cipriano Giuseppe, 470

Falcone Ugo, 482

Mannino Lorenzo, 480

Rinaldi Rossella, 476

Tosti-Croce Mauro, 488

Villani Matteo, 478