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068 Q uello delle più piccole semiauto- matiche – subcompact secondo la terminologia inglese – è un settore che periodicamente vive fasi di grande sviluppo per poi spegnersi e ripresentarsi a distanza di tempo. Assai vigoroso all’inizio del Novecento, quando l’utilizzo di cartuc- ce metalliche con polvere infume non era ancora un dato scontato e faceva sovra- apprezzare armi di ridotte e ridottissime dimensioni, forte ancora durante il Secon- do conflitto mondiale, quando ragioni di stile facevano preferire agli ufficiali armi da fianco più compatte rispetto a quelle massicce destinate alla truppa, fu stravolto dalle nuove tecniche di combattimento e dall’arrivo dei soldati americani con le lo- ro poderose 1911. Con il 1945 si consuma il primo atto di un processo che porterà al lento oblio di un intero segmento di mercato, fatta eccezione per qualche raro esempio, come la Walther PPK che ebbe la fortuna di essere incasellata in un ruolo – quello di arma da fianco di agenti sotto copertura – in grado di conferirle una qualche forma di riconoscibilità. Di picco- le semiautomatiche, però, la seconda metà del XX secolo è stata piuttosto avara. La rinascita di questa particolare categoria merceologica avviene sul finire della prima decade del terzo millennio quando negli Stati Uniti si fa forte l’esigenza di un’of- ferta commerciale destinata a chi desideri portare l’arma in modo realmente occulto. Dal 2008 in poi sarà un sus- seguirsi di pistole piccole e piccolissime. La destinazione d’uso di queste semiauto è duplice, tra settore civi- le – l’acquirente di cui si è già parlato, quello che desidera portare un’arma da fianco senza che questa sia visibile e senza subire limitazioni nell’abbi- gliamento indossato – e militare, dove gli im- pieghi sono molteplici. In questo secondo caso, specialmente negli Stati Uniti, tra le forze di polizia è andata sempre più radicandosi la con- vinzione che il porto di un’arma di back-up, con la quale risolvere eventuali problematiche conseguenti a inceppamenti o all’esaurimento delle cartucce dell’arma ufficiale da fianco, sia pratica buona e giusta; e si è fatta più forte anche l’esigenza di tutelare adeguatamente agenti operativi sotto copertura o fuori servizio, ai quali più agenzie di polizia statunitensi permettono – quando non espressamente impongono come nel caso della Dipartimento di Polizia della città di New York – il porto di un’arma anche fuo- ri servizio. Si tratta quindi di un potenziale bacino di acquirenti enorme, tipicamente ma non necessariamente americano come dimostrato dall’esportazione di queste armi sul mercato globale. Da un punto di vista meccanico, questa fame di piccole pistole che spesso trovano la propria consacrazione nel calibro .380 ACP (9 x 17 mm, 9 mm kurz o 9 mm Browning che dir si voglia) ha portato allo sviluppo di modelli molto semplici e compatti, generalmente forniti di una chiusura labile perfettamente coerente con le pressioni in ballo. Ma si può fare La più recente produzione di subcompatte di Sig Sauer è costituita da una pistola che ricorda, esteticamente e a livello di comandi, il progetto 1911 di Browning. Le differenze, comunque, non mancano testo e foto di Matteo Brogi SIG SAUER P238 ROSEWOOD E SAS CAL. .380 ACP Nobili antenati La P238 in entrambe le versioni viene forni- ta di una comoda fon- dina in polimero per il porto esterno La sicura ha due posizioni ed è in grado di bloccare il cane armato, in perfetta analogia con il sistema di funzionamento del mod. 1911

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Quello delle più piccole semiauto-matiche – subcompact secondo la terminologia inglese – è un settore

che periodicamente vive fasi di grande sviluppo per poi spegnersi e ripresentarsi a distanza di tempo. Assai vigoroso all’inizio del Novecento, quando l’utilizzo di cartuc-ce metalliche con polvere infume non era ancora un dato scontato e faceva sovra-apprezzare armi di ridotte e ridottissime dimensioni, forte ancora durante il Secon-do conflitto mondiale, quando ragioni di stile facevano preferire agli ufficiali armi da fianco più compatte rispetto a quelle massicce destinate alla truppa, fu stravolto dalle nuove tecniche di combattimento e dall’arrivo dei soldati americani con le lo-ro poderose 1911. Con il 1945 si consuma il primo atto di un processo che porterà al lento oblio di un intero segmento di mercato, fatta eccezione per qualche raro esempio, come la Walther PPK che ebbe la fortuna di essere incasellata in un ruolo

– quello di arma da fianco di agenti sotto copertura – in grado di conferirle una qualche forma di riconoscibilità. Di picco-le semiautomatiche, però, la seconda metà del XX secolo è stata piuttosto avara.La rinascita di questa particolare categoria merceologica avviene sul finire della prima decade del terzo millennio quando negli Stati Uniti si fa forte l’esigenza di un’of-ferta commerciale destinata a chi desideri

portare l’arma in modo realmente occulto. Dal 2008 in poi sarà un sus-seguirsi di pistole

piccole e piccolissime.La destinazione d’uso di queste semiauto è duplice, tra settore civi-le – l’acquirente di cui si è già parlato, quello che desidera portare un’arma da fianco senza che questa sia visibile e senza subire limitazioni nell’abbi-gliamento indossato – e militare, dove gli im-pieghi sono molteplici. In questo secondo caso, specialmente negli Stati Uniti, tra le forze di polizia è andata sempre più radicandosi la con-vinzione che il porto di

un’arma di back-up, con la quale risolvere eventuali problematiche conseguenti a inceppamenti o all’esaurimento delle cartucce dell’arma ufficiale da fianco, sia pratica buona e giusta; e si è fatta più forte anche l’esigenza di tutelare adeguatamente agenti operativi sotto copertura o fuori servizio, ai quali più agenzie di polizia statunitensi permettono – quando non espressamente impongono come nel caso della Dipartimento di Polizia della città di New York – il porto di un’arma anche fuo-ri servizio. Si tratta quindi di un potenziale bacino di acquirenti enorme, tipicamente ma non necessariamente americano come dimostrato dall’esportazione di queste armi sul mercato globale.Da un punto di vista meccanico, questa fame di piccole pistole che spesso trovano la propria consacrazione nel calibro .380 ACP (9 x 17 mm, 9 mm kurz o 9 mm Browning che dir si voglia) ha portato allo sviluppo di modelli molto semplici e compatti, generalmente forniti di una chiusura labile perfettamente coerente con le pressioni in ballo. Ma si può fare

La più recente produzione di subcompatte di Sig Sauer è costituita da una pistola che ricorda, esteticamente e a livello di comandi, il progetto 1911 di Browning. Le differenze, comunque, non mancano

testo e foto

di Matteo Brogi

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Nobili antenatila P238 in entrambe le versioni viene forni-ta di una comoda fon-dina in polimero per il porto esterno

la sicura ha due posizioni ed è in grado di bloccare il cane armato, in perfetta analogia con il sistema di funzionamento del mod. 1911

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questo caso il .380 ACP), chiusura labile, dimensioni ridottissime, autonomia di 7 colpi. Ma, appunto, fuoriesce da qualsiasi schema: è un’arma radicalmente diversa da qualsiasi semiauto di grosso calibro, costituisce un sistema a sé non integrabile con nessun altro. A risolvere la questione, già c’era riuscita Colt negli anni 80: nel 1983 con la .380 Government Model, versione sotto-dimensionata per calibro e quote del mod. Government, nel 1986

di più. E, per farlo, bisogna ascoltare gli esperti di tiro operativo, molti dei quali non si stancano di ripetere che per garan-tire la massima rapidità di risposta in ogni contesto è indispensabile concentrarsi su un unico sistema d’arma. Questo significa, per banalizzare il ragionamento, che por-tare al fianco una Glock e, come arma di riserva, una pistola a chiusura a massa con i comandi operativi disposti in maniera differente, è una scelta sbagliata. Addirit-tura suicida, in quei casi dove l’impie-go delle due armi sia qualcosa di più che una semplice ipotesi di scuola. Qui nasce l’esigenza di un’arma come la nuova P238 di Sig Sauer.

L’arrivo della P238Il produttore europeo, che da anni ha aperto una succursale in New Hampshire che dà lavoro a oltre 400 dipendenti, da tempo aveva a catalogo una subcompatta: la P230. Questa semiautomatica, introdotta nel 1977 e ritirata dal mercato nel 1996 quando fu lanciata la sua evoluzione P232 tuttora disponibile in tre versioni, rappresenta egregiamente la decli-nazione minimale della piccola di casa: calibro modesto (anche in

con la Mustang, versione semplificata dell’arma precedente. Il successo fu tale che il management Colt introdusse in rapida successione le varianti Pocketlite con fusto in alluminio (1987), Plus II con telaio sovradimensionato per ospitare un caricatore dall’autonomia estesa di 2 colpi (1988), NiteLite con mire al trizio (1993). Intorno al 1996, però, di quest’arma si perde traccia e si dovrà attendere l’intro-duzione della Colt New Agent per disporre

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la tacca presenta due punti di riferimento che aiutano la colli-mazione in condizioni di scarsa illuminazio-ne; essendo collega-ta al fusto mediante un incastro a coda di rondine, è possibile ipotizzarne la regola-zione in deriva (idem per il mirino)

la volata della piccola P238 differisce in ma-niera considerevole dall’arma di Brow-ning; manca infatti il bushing per lo smon-taggio della canna

Vista del lato sinistro del fusto con il pulsante di sgancio del caricatore e la leva del hold open che funge anche da chiave di smontaggio dell’arma

Vista della parte anteriore di fusto e carrello nelle due di-verse finiture; le due versioni della piccola Sig Sauer dif-feriscono esclusivamente per caratteri di ordine estetico

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assente nella P238, e la chiusura che, anziché essere quella tipica del sistema 1911, è del tipo a blocchetto e si affida alla conforma-zione prismatica della culatta che va ad in-castrarsi nella finestra d’espulsione ricavata nel carrello. Grazie a questo dispositivo, canna e carrello rinculano solidalmente per un primo tratto finché l’asola ricavata nella parte inferiore della canna fa basculare quest’ultima verso il basso disimpegnando il carrello, che può quindi continuare la sua

corsa e completare tutte le opera-zioni di estrazione, armamento e cameratura della nuova cartuccia. Mancano quindi il bushing e il vin-colo tra canna e carrello attuato dai caratteristici intagli, caratteristici del disegno di Browning, ma la piccola di casa Sig Sauer mantiene una

somiglianza visiva ed operativa incredibile con l’arma di riferimento. Fatte salve le dif-ferenze relative allo smontaggio da campo, infatti, la P238 presenta alla sinistra dell’im-pugnatura in perfetto stile Colt il pulsante di sgancio del caricatore, il comando dell’hold open e quello della sicura. Tutto lì dove deve essere, solo un po’ più piccolo e compatto come è inevitabile che sia per un’arma di soli 14 centimetri (un terzo in meno della la 1911 full size che sviluppa mediamente una lunghezza di 21 centimetri).

di una variante 1911 con canna di soli 3 pollici. Quest’ultima, però, presenta una complessità produttiva decisamente supe-riore alla Mustang.

L’idea di Sig SauerEbbene, risolta la questione grazie a Colt (che poi si è dimenticata della sua bella idea), Sig Sauer ha deciso di restituire at-tualità al progetto, approntando un disegno che ricalca, salvo alcuni dettagli, quello della Mustang e mette in definitiva a disposizione

di tutti gli utilizzatori di pistole modello 1911 un’arma piccola e compatta, ancora sufficientemente letale per risolvere un conflitto a fuoco a breve distanza, che della 1911 ricalca tutte le impostazioni. La P238, a questo punto parliamo di quest’arma ma potremmo tranquillamente riferirci alla Mustang, presenta un disegno sostanzial-mente identico a quello dell’archetipo di Browning. Dall’arma cui si ispira differisce per due elementi sostanziali che non inci-dono sul suo maneggio: la sicura dorsale,

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il caricatore garantisce un’autonomia di 6 colpi, 7 portando il colpo in canna

ad arma semi-smon-tata, risaltano le corte guide e il dispositivo di comando della sicura al percussore

Da condition one a condition four

Le condizioni di porto e detenzione di una pistola sono strettamente legate al tipo di impiego operativo previsto dall’utente e dal suo grado di addestramento oltre che, spesso lo si trascura ma è essenziale, al tipo di arma utilizzata. Gli america-ni le suddividono in quattro categorie.condition 1. In questo caso l’arma è nel suo più pieno grado di operatività e si pre-sta pertanto all’adozione da parte degli operatori nell’immediatezza di un poten-ziale uso. Questa condizione prevede caricatore inserito, colpo in canna e cane armato. Nelle armi con cane esterno, come nel caso del modello 1911, la sicura è inserita (cocked and locked) e per fare fuoco è necessario abbassarla, mentre in quelle tipo Glock a percussore lanciato è necessario disimpegnarla premendo leggermente il grilletto.condition 2. La pistola ha caricatore inserito, colpo in canna, cane abbassato, sicura disattivata; l’assenza del cane rende impossibile l’adozione di questo schema con armi tipo Glock. Questo sistema, anche se apparentemente può sembrare il contra-rio, è meno sicuro di condition one. È la condizione tipica di porto dei revolver.condition 3. Quella tipica delle forze di polizia e militari, che prevedono caricatore in-serito nell’arma e assenza di colpo in canna. È considerata una scelta per la deten-zione casalinga dell’arma ma, qualora vi siano conviventi non addestrati, è decisa-mente sconsigliabile. È un’opzione utile nel caso di porto di revolver Single Action, con l’accortezza di portare il cane abbassato su una camera del tamburo vuota.condition 4. In questo caso l’arma è scarica, priva di caricatore, quindi non operativa. È la condizione per poter provvedere alle operazioni di manutenzione e pulizia oltre che di detenzione sicura.

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Sicura come l’originaleIdentico all’originale è anche il

funzionamento della sicura, che si avvale di un dispositivo manuale in grado di bloccare l’arma a cane armato (condition one secondo lo standard americano). Il sistema della sicura, è utile menzionarlo per completezza d’informazione, ha dato qualche problema alle prime armi uscite nel 2009 dallo stabilimento Sig Sauer per una non-conformità della componenti-stica; questa problematica poteva causare difficoltà nel disimpegno della sicura e, ben più grave, l’eventuale indesiderata caduta del cane in determinate condizio-ni. Scoperto autonomamente il difetto, l’azienda ha richiamato tutte le pistole del lotto incriminato, che non ci risul-tano essere state importate in Italia, per apportare le modifiche necessarie alla loro messa in sicurezza.Oltre all’inclinazione del calcio e all’im-postazione delle mire (anche queste molto Colt-style), la P238 presenta un classico meccanismo di scatto in azione singola che ricalca il sistema di funzionamento del modello di Browning con una pres-sione di sgancio che si attesta intorno ai 3.500 grammi, coerenti con un’arma da utilizzare in sola singola azione. Le due versioni della P238 provate in occasione

di un test condotto presso l’importatore italiano sono solo parte della scelta di-sponibile nel vasto catalogo Sig Sauer, che ci risulta proponga la piccola semiautomatica in 15 versioni,

non tutte importate, che differiscono uni-camente per finiture delle parti metalliche, mire e impugnature. La prima versione

dell’arma, che impu-gnammo ormai qualche anno fa allo Shot Show di Las Vegas, presentava guancette metalliche, assenti nelle due versio-ni che abbiamo provato, dotate di finiture forse più appropriate all’esi-

gente mercato europeo. Le due novità per l’Italia sono gli allestimenti SAS con finitura two-tone bicolore (fusto in alluminio brunito opaco, carrello inox satinato) e Rosewood, comple-tamente brunita; in questo secondo caso, sono state scelte due diverse fi-niture: anodizzazione nera opaca per il fusto d’alluminio e trattamento al Nitron per il carrello d’acciaio inox, anche questo opaco. La differenza di materiali e la diversa presa della fini-tura stessa fanno sì che l’arma pre-senti due tonalità di nero leggermente differenti. Diverse sono le guancette, in palissandro quelle della Rosewood, in noce quelle della SAS, che fornisce nella confezione un secondo caricato-re assente nell’altra versione.

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l’arma smontata nei suoi componenti principali

le guancette sono in entrambi i casi realiz-zate in legno, in noce nel caso della SaS (davanti), in palissandro nel caso della rosewood

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La prova a fuocoIl poligono ha fornito risultati per certi versi inaspettati. Molte delle caratteristiche dell’ar-ma sono apprezzabili anche ad una semplice ricognizione statica. Le mire ad alto contrasto SigLite, infatti, sono molto ben realizzate e facilitano la collimazione anche in condizioni critiche d’illuminazione; l’impugnabilità, per lo meno per chi non abbia mani enormi, è sufficientemente confortevole se paragonata alle dimensioni effettive dell’arma; l’azione del grilletto è pulita e gradevole; il disegno senza nessuna sporgenza e con i profili ston-dati per facilitare l’estrazione sono un pregio per chi l’arma debba effettivamente portarla in condizioni di operatività. Meno scontati sono un rinculo perfettamente dominabile e la precisione dell’arma, che a 10 metri per-mette, con munizionamento commerciale, di spremere rosate di assoluto valore, eccezionali in considerazione di una canna di soli 2,7 pollici (69 millimetri). La P238 è offerta in un allestimento che include una piccola fondina esterna in polimero, pensata espressamente per quest’arma e comoda nell’uso pratico.

la vera differenza con il sistema Browning riguarda la chiusura, demandata al blocchetto prismatico della canna e all’asola fissa ricavata sotto alla stessa. in questo senso la P238 differisce anche dalla colt Mustang cui si ispira che presenta una finestra d’espulsione molto più contenuta

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Sig Sauer P238 rosewood e SAS cal. 380 AcP

costruttore: Sig Sauer, succursale di Exeter – New Hampshire, USAimportatore: Bignami, tel. 0471 803000, www.bignami.itModello: P238 Rosewood e SAStipo: pistola semiautomatica

a chiusura stabilecalibro: .380 ACPDestinazione d’uso: difesa personalecaricatore: monofilare da 6 colpiSistema di scatto: azione singola

Percussione: cane esternoorgani di mira: tacca con riferimenti SigLiteSicurezze: sicura manualeLunghezza canna: 69 mmLunghezza totale: 140 mmMateriale del fusto: alluminio

Finitura: anodizzazione nera opaca per il fusto, trattamento al Teflon per il carrello, guancette in legnoPeso: 430 gNumero di catalogo Nazionale: 18757

l’autore durante il test

rosata ottenuta a mano libera a 10 metri impiegando cartucce commerciali geco FMJ con palla da 95 grani. il diametro non supera i 44 millimetri

¤ PreZZo 1.080 euro Rosewood, 1.150 euro SAS

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