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DirezioneGeneroso Andria, NapoliGianni Bona, NovaraAntonio Cao, CagliariLiviana Da Dalt, PadovaAlberto Martini, GenovaPierpaolo Mastroiacovo, RomaLuigi Daniele Notarangelo, BostonFabio Sereni, MilanoLuigi Titomanlio, NapoliAlberto Villani, Roma

Redattore CapoMarina Macchiaiolo, Roma

Comitato di RedazioneSalvatore Auricchio, NapoliStelvio Becchetti, GenovaSergio Bernasconi, ParmaAndrea Biondi, MonzaAlessandro Calisti, RomaMauro Calvani, RomaAntonio Correra, NapoliMaurizio de Martino, FirenzePasquale Di Pietro, GenovaAlberto Edefonti, MilanoRenzo Galanello, CagliariCarlo Gelmetti, MilanoAchille Iolascon, NapoliRiccardo Longhi, ComoGiuseppe Maggiore, PisaPaola Marchisio, MilanoBruno Marino, RomaEugenio Mercuri, RomaPaolo Paolucci, ModenaLuca Ramenghi, MilanoFranca Rusconi, Firenze

Redazione e AmministrazionePacini Editore S.p.A.Via Gherardesca, 156121 PisaTel. 050 313011 - Fax 050 [email protected]

StampaIndustrie Grafiche Pacini, Pisa

Invio gratuito per i Soci SIP.

AbbonamentiProspettive in Pediatria è una rivista trimestrale. I prezzi del-l’abbonamento annuo sono i seguenti:Italia € 54,00; estero € 68,00; istituzionale € 53,00; specializ-zandi € 30,00; fascicolo singolo € 28,00Le richieste di abbonamento vanno indirizzate a: Prospettive in Pediatria, Pacini Editore S.p.A., Via Gherardesca 1, 56121 Pisa – Tel. 050 313011 – Fax 050 3130300 – E-mail: [email protected] dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle di-sposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appo-sitamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’artico-lo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A., Via Gherardesca 1, 56121 Pisa.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professiona-le, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, E-mail: [email protected] e sito web: www.aidro.org.

© Copyright by Pacini Editore S.p.A.

Direttore Responsabile: Patrizia Alma Pacini

Finito di stampare nel mese di Novembre 2009 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A., Pisa.

PaciniEditorEMEdicina

Volume 39155

Luglio-Settembre 2009

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INDICE numero 155 Luglio-Settembre 2009

EDItorIaLE

Il tempo del bilancio e dei salutiPasquale Di Pietro .....................................................................................................................................................................................133

GaStroENtEroLoGIa (a cura di Salvatore Auricchio)

Novità in Gastroenterologia: reflusso gastroesofageo ed esofagite eosinofilaRoberta Buonavolontà, Massimo Martinelli, Annamaria Staiano ...............................................................................................................135

L’Helicobacter pylori oggiGabriella Boccia, Salvatore Auricchio ........................................................................................................................................................141

Nuove tecniche di imaging ed endoscopiche in GastroenterologiaErasmo Miele, Carlo Di Lorenzo .................................................................................................................................................................147

rEUMatoLoGIa (a cura di Alberto Martini)

recenti novità nel trattamento delle malattie reumaticheClara Malattia, Alberto Martini ..................................................................................................................................................................153

La sindrome PFaPa 20 anni dopo: quando diagnosticarla, come trattarla?Maria Antonietta Pelagatti, Roberta Caorsi, Silvia Federici, Marco Gattorno .............................................................................................157

La sindrome da antifosfolipidiSergio Davì, Sara Dalprà, Sara Verazza, Angelo Ravelli .............................................................................................................................162

FroNtIErE (a cura di Antonio Cao, Luigi D. Notarangelo, Achille Iolascon)

Genome-wide array nella pratica clinica: certezze e dubbi Orsetta Zuffardi, Annalisa Vetro .................................................................................................................................................................167

FoCUS SU: (a cura di Gianni Bona)

Lo stato della ricerca pediatrica in Italia Ignazio Barberi, Lucia Marseglia ............................................................................................................................................................... 172

LINEE GUIDa (a cura di Riccardo Longhi)

La sincope in età pediatrica ................................................................................................................................................................... 177

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EDItORIALE

Il tempo del bilancio e dei saluti

Con il Congresso di Padova si chiude il mio triennio di Presidenza della Società Italiana di Pediatria (SIP). Inevitabile, anche se forse ancora un po’ troppo “a caldo”, sottrarsi alla tentazione di fare un primo bilancio del lavoro svolto e di condividere questo bilancio con tutti i Soci.Sono comunque particolarmente contento di farlo dalle colonne di Prospettive in Pediatria, perché l’acquisizione di questa prestigiosa rivista da parte della SIP fa parte di uno dei tanti impegni presi al momento della mia elezione e assolti nel corso del mandato. Quando nel 2006 presi la Presidenza della SIP il comparto editoriale della nostra Società stava attraversando un periodo critico, con l’Italian Journal (all’epoca cartaceo) che, per ragioni che prescindevano dall’impegno della redazione e del direttore, stentava a decollare e l’assenza – lamentata dalla grande maggioranza dei Soci – di una rivista scientifica della SIP in lingua italiana. Oggi Prospettive in Pediatria è la rivista scientifica in italiano che mancava alla SIP e l’Italian Journal, opportunamente migrato sul web, sta bruciando le tappe di un meritato successo, con i lavori pubblicati che vengono già regolarmente citati su PubMed e l’avvio ufficiale delle procedure presso la Thomson Reuters (ISI) per ottenere un Impact Factor. Credo che a Sergio Bernasconi e alla sua autorevole redazione, che su mandato del Consiglio Direttivo SIP ha creato e dirige la rivista, debba andare il sincero ringraziamento di tutta la SIP. È peraltro da sottolineare l’importanza che i soci hanno dato in questo ultimo anno a I.J.P. visto che in meno di sei mesi la rivista conta di una riserva di oltre cento lavori scientifici.Ma l’editoria non era, naturalmente, l’unico punto all’ordine del giorno della mia Presidenza. La SIP che ho ereditato aveva avviato da alcuni anni un processo di rinnovamento che andava portato avanti, magari con qualche accelerazione in più rispetto al passato; aveva delle cri-ticità da affrontare con urgenza così come delle aree in cui aveva lavorato in modo eccellente. Quando ho assunto la Presidenza della SIP c’era bisogno – a mio avviso – di una maggiore coralità nel lavoro, di una più attiva parteci-pazione delle Sezioni Regionali alla vita della Società, di un maggior coinvolgimento dei gruppi di Studio e delle Società Affiliate. Oggi i Consigli Nazionali non sono un rituale, ma un momento di lavoro, la Consulta Nazionale è una realtà che produce importanti documenti (come l’ultimo: “Il pediatra, fulcro irrinunciabile della assistenza generale e specialistica dei soggetti in età evolutiva”), i Gruppi di Studio e le Società Affiliate hanno lavorato in stretta sinergia tra di loro e con il Consiglio Direttivo, realizzando un numero di linee guida e di documenti di consenso che mai prima d’ora la SIP aveva prodotto. In questo triennio tutti i membri del Consiglio Direttivo (e non solo), a partire dal Vice Presidente, dal Segretario e dal Tesoriere hanno lavorato assumendosi in proprio l’onore e l’onere di portare a termine importanti incarichi.Quando ho assunto la Presidenza della SIP c’era bisogno – a mio avviso – di valorizzare maggiormente la vocazione scientifica della nostra Società, di realizzare un profondo rinnovamento del momento Congressuale, di rendere più presente la SIP a livello istituzionale.Compatibilmente con le nostre limitate risorse abbiamo realizzato lo scorso anno una grande indagine nazionale sull’allattamento al seno, affidata all’Istituto di ricerca ISPO del prof. Mannheimer, che ci è servita per fare maggiore luce su quello che può essere il ruolo del pediatra non solo per la promozione dell’allattamento al seno, ma anche per il sostegno alle mamme che allattano. E quest’anno l’indagine si arric-chirà di una parte specificatamente dedicata alle donne straniere.Uno dei più significativi “patrimoni scientifici” della SIP era ed è l’indagine annuale su “Abitudini e Stili di Vita degli Adolescenti” voluta ben 13 anni fa da Giorgio Rondini e Gian Paolo Salvioli e realizzata annualmente da Maurizio Tucci. Continuare a far vivere l’indagine era, più che una scelta, un dovere. È stata, invece, una scelta promuoverla sempre di più (oggi ha il patrocinio del Ministero della Gioventù), potenziarla, affiancarla ad un monitoraggio costante dell’affollamento pubblicitario televisivo nella fascia oraria protetta (i nostri dati vengono costante-mente trasmessi alla Commissione bambino e TV del Ministero delle Comunicazioni).Avere a disposizione dati originali su due fenomeni così importanti come l’allattamento e la condizione adolescenziale ci ha messo, inoltre, nelle condizioni di essere un punto di riferimento non solo in ambito pediatrico, ma presso tutti coloro che si occupano di infanzia e di adole-scenza, a partire dalla Istituzioni, e di aprire canali di comunicazione importanti con l’esterno. Non a caso i media danno sempre grandissimo spazio alle nostre ricerche e, complessivamente, la presenza della SIP sulla stampa laica è in costante aumento da anni.Inoltre, come società scientifica abbiamo da protagonisti avviato studi e attività rilevanti per quanto riguarda settori di grande importanza sociale-scientifica penso ai temi dell’ambiente alle problematiche del dolore in sanità e alla tematica del maltrattamento in età pediatrica.Il Congresso di Genova (lo dico serenamente perché riporto il commento di molte centinaia di Soci) ha rappresentato una svolta significa-tiva per la SIP. Non solo per la qualità degli interventi – tradizionalmente sempre di buon livello ai Congressi SIP – ma per l’innovatività del tema conduttore (la comunicazione), per i seminari di eccellenza, per l’ampio spazio dedicato ai giovani colleghi e agli specializzandi, per il rispetto riservato ai partecipanti manifestato anche attraverso piccoli segnali come la scheda di valutazione di ogni intervento, per la scelta, coraggiosa ma vincente, di aprire una sessione plenaria (proprio quella in cui si parlava dei risultati della nostra indagine sugli adolescenti) al pubblico.

Il rapporto con le Istituzioni ed i “decisori” non è mai semplice, In ambito sanitario la regionalizzazione di gran parte delle decisioni rende ancora più difficile la cosa, Ciononostante la SIP in questi anni ha avuto spazi all’interno di tavoli istituzionali e accesso ai poteri decisionali mai avuti prima d’ora. Cito solo due eventi recenti: l’invito rivolto alla SIP a partecipare alla commissione tecnica e alla unità di crisi attivata dal Ministero della Salute per affrontare la questione dell’influenza A/H1N1 e la rapidità con la quale siamo stati convocati dal Ministero della Salute, ricevendo ampie rassicurazioni in merito, quando l’Assemblea dei Soci SIP ha manifestato preoccupazione e disappunto per la ventilata ipotesi di abolire il corso di laurea triennale per infermiere pediatrico.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 133-134

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Quando ho assunto la Presidenza SIP ho trovato, invece, un ottimo lavoro svolto sul delicato tema dell’obesità infantile ed un interessan-tissimo studio prospettico sulla carenza di pediatri che si sarebbe determinata nei prossimi anni e della quale abbiamo iniziato, specie in ospedale, a vedere gli effetti già oggi. Valorizzare questi lavori ha portato alla creazione di una task force obesità che ha avviato, tra l’altro, un importante ciclo di eventi formativi sul territorio; alla creazione di una commissione sul risk managment che ha prodotto risultati eccellenti; alla realizzazione di un importante documento sulle criticità pediatriche che sarà presentato proprio in sede congressuale a Padova.

Ritengo, inoltre, che sia stato importante - nell’ultimo anno del mio mandato - avere avviato un confronto aperto sulle criticità pediatriche emergenti. La delicatezza del tema ha naturalmente suscitato un dibattito propositivo, a tratti anche vivace, nel Direttivo Nazionale, nel Consiglio Nazionale e nella Consulta Nazionale che alla fine ha consentito di arrivare alla definizione di un documento di confronto autorevole e condiviso che presenterò, insieme con i colleghi Martini, Navone e Sapia nel corso del Congresso di Padova.Un buon Presidente – e sarete voi Soci a dire se lo sono stato – deve saper introdurre degli elementi di novità dove e quando lo ritenga ragionevole, deve cercare di correggere gli eventuali errori passati, ma deve anche essere in grado di riconoscere e valorizzare i traguardi già raggiunti.

Io, in questi tre anni, ho cercato sempre di comportarmi così.

Pasquale Di Pietro Presidente della Società Italiana di Pediatria

EDItORIALE

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Novità in Gastroenterologia: reflusso gastroesofageo ed esofagite eosinofila

Roberta Buonavolontà, Massimo Martinelli, Annamaria StaianoDipartimento di Pediatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Napoli “Federico II”

Introduzione

Nel 2007, si è costituito un Working Team, sul Reflusso Gastroesofa-geo (RGE), composto da cinque gastroenterologi pediatri facenti parte della Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica (ESPGHAN), tra cui uno degli autori di questo articolo (AS), quattro membri della Socie-tà Nord Americana di Gastroenterologia Pediatrica (NASPGHAN) con esperienza sul RGE e due pediatri generalisti con esperienza di epide-miologia clinica. Fu stabilito da entrambe le Società di revisionare le linee guida esistenti e di preparare un singolo documento. È questa, infatti, la prima volta che linee guida sono preparate da esperti delle due Società, chiamati a lavorare insieme, con l’intento di migliorare la qualità dell’assistenza, di uniformare la gestione clinica e di assistere il pediatra nella diagnosi e nel management di questa problematica clinica. Il documento è stato pubblicato nel 2009 su Journal Pediatric Gastroenterology & Nutrition (Vandenplas et al., 2009). Trattandosi, pertanto, di un argomento di grande interesse per l’attività clinica dei pediatri, con possibilità di eccessi sia nella diagnosi che nel-l’uso di tecniche strumentali, abbiamo focalizzato l’articolo di “Novità in Gastroenterologia” pressoché esclusivamente a questo argomento, anticipando le conclusioni che saranno pubblicate anche altrove.

Obiettivi e metodologia della ricerca bibliografica effettuata

Questa review si propone di illustrare le novità sul Reflusso Gastroe-sofageo (RGE) e sull’Esofagite Eosinofila (EE).

La ricerca degli articoli rilevanti sul RGE, inserendo come parole chiave “gastroesophageal reflux”, “gastroesophageal reflux disease”, è stata effettuata sulla banca bibliografica (Medline) utilizzando come motore di ricerca PubMed. È stata valutata la letteratura relativa a partire dal 2001 (anno delle ultime linee guida) fino al 2008, inserendo come limiti l’età pediatrica o, quando i dati erano insufficienti, riferendosi all’età adulta.La ricerca degli articoli rilevanti sull’EE è stata effettuata sulla ban-ca bibliografica (Medline) per gli anni 2006-2008, utilizzando come motore di ricerca PubMed e Ovid, adoperando come limiti l’età pe-diatrica e inserendo come parole chiave “eosinophilic esophagitis”, “allergic esophagitis”.

Il reflusso gastroesofageo

Il reflusso gastroesofageo (RGE) è il passaggio del contenuto ga-strico in esofago accompagnato o meno da rigurgito o vomito. Tale entità risulta essere un processo fisiologico che si verifica più volte durante la giornata nei lattanti sani, nei bambini e negli adulti. La maggior parte di questi episodi dura meno di 3 minuti, si verifica nel periodo post-prandiale e non causa sintomi (Shay et al., 2004). Anche il rigurgito si verifica in circa il 50% dei lattanti di età inferiore ai 3 mesi e si risolve spontaneamente nel lattante sano tra i 12 e i 14 mesi di età (Martin et al., 2002). È noto in letteratura che gli episodi di RGE si verificano spesso du-rante i rilasciamenti transitori dello sfintere esofageo inferiore non accompagnati da deglutizione, il che permette che il contenuto ga-strico risalga in esofago (Omari et al., 2005). Inoltre, alterazioni nei

RiassuntoLe prime linee guida sul Reflusso Gastroesofageo (RGE) sono state pubblicate nel 2001 dalla Società Nord Americana di Gastroenterologia Pediatrica (NASPGHAN). Nello stesso periodo, in Europa erano state sviluppate linee guida, non adottate ufficialmente dalla Società Europea di Gastroenterologia Pe-diatrica (ESPGHAN), per cui nel 2007, si è sentita l’esigenza da parte di entrambe le Società di revisionare le linee guida esistenti e di preparare un singolo documento con l’intento di migliorare la qualità dell’assistenza, di uniformare la gestione clinica e di assistere il pediatra nella diagnosi e nel management di tale problematica clinica. Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un rapido aumento dei pazienti sia adulti sia bambini affetti da una nuova patologia, l’esofagite eosinofila (EE). L’EE è un disordine clinico-patogenetico, caratterizzato da 1) sintomi gastrointestinali alti, 2) biopsia esofagea che mostri > 15 eosinofili/HPF (campi ad alto ingrandimento) in uno o più campioni ed 3) assenza di Malattia da Reflusso Gastroesofageo, intesa come pH-metria negativa e/o assente risposta ad alte dosi di inibitori di pompa protonica. Sebbene un numero crescente di bambini ed adulti risulti al momento affetto da EE, pochi sono gli studi randomizzati controllati e la pratica clinica al momento si basa per lo più su dati limitati ed opinione di esperti.

SummaryThe North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (NASPGHAN) published the first clinical practice guidelines on pediatric gastroesophageal reflux (GER) and gastroesophageal reflux disease (GERD) in 2001. Consensus-based guidelines on several aspects of GER and GERD were developed in Europe at about the same time, but were not officially endorsed by the European Society of Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutri-tion (ESPGHAN). In 2007, the Councils of ESPGHAN and NASPGHAN established a joint committee to review, update and unify these guidelines as a means of improving uniformity of practice and quality of patient care. These guidelines are designed to assist pediatric health care providers in the diagnosis and management of GER and GERD. During the last decade, clinical practice saw a rapid increase of patients with esophageal eosinophilia who were thought to have gastroesophageal reflux disease (GERD) but who did not respond to medical and/or surgical GERD management. Subsequent studies demonstrated that these patients had a “new” disease termed eosinophilic esophagitis (EE). EE is a clinicopathological disease characterized by 1) symptoms including but not restricted to food impaction and dysphagia in adults, and feeding intolerance and GERD symptoms in children; 2) ≥ 15 eosinophils/HPF; 3) exclusion of other disorders associated with similar clinical, histological, or endoscopic features, especially GERD (use of high dose proton pump inhibitor treatment or normal pH monitoring). Appropriate treatments include dietary approaches based upon eliminating exposure to food allergens, or topical corticosteroids.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 135-140 GAStROENtEROLOGIA

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R. Buonavolontà et al.

meccanismi di protezione, quali scarsa clearance esofagea, ritarda-to svuotamento gastrico, riduzione dei riflessi neurali protettivi del tratto aero-gastrointestinale, fanno in modo che il RGE fisiologico si trasformi in Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE) (Vanden-plas et al., 2002). In accordo ad una recente Consensus internazionale (Sherman, 2009), la diagnosi di RGE è spesso esclusivamente clinica basata su segni e sintomi suggestivi di RGE (Tab. I); ed in particolare, la MRGE in età pediatrica è presente quando il reflusso del contenuto gastrico è causa di sintomi fastidiosi e/o di complicanze, tali da avere un impatto sulla qualità di vita del paziente. Spesso però tale diagno-si può non essere semplice in caso di sintomatologia aspecifica o atipica, in particolare perché la severità dei sintomi non correla con la severità del reflusso o dell’esofagite documentato con test pH-metrici o mediante esame istologico dell’esofago (Salvatore et al., 2005). I sintomi della MRGE variano con l’età; infatti, nell’adolescen-te e nel bambino con età > 8 anni, i sintomi caratteristici di MRGE sono come, nell’adulto, bruciore retrosternale, dolore epigastrico e rigurgiti. Nel lattante e nel bambino < 8 anni, la diagnosi è più com-plessa. I sintomi che risultano essere più frequenti sono rifiuto del cibo/anoressia, rigurgito/vomito, tosse. Il rigurgito nel lattante, così come il dolore retrosternale nel bambino più grande, è un sintomo caratteristico del RGE, ma non è né necessario né sufficiente per porre diagnosi di MRGE, perché non è né specifico né sensibile. Sulla base dei dati presenti in letteratura (Sherman, 2009), nel bam-bino neurologicamente sano di età maggiore di 8 anni e nell’adole-scente, la “Sindrome del RGE Tipico” può essere diagnosticata sulla base delle caratteristiche sintomatologiche, non essendo necessario alcun approfondimento diagnostico.Per quel che riguarda i sintomi atipici di MRGE, è noto che tale patolo-gia può essere associata a disturbi del sonno, a tosse cronica, a larin-gite cronica, ad asma, a sinusite cronica, ad ALTE, ma una relazione di causa-effetto con tali manifestazioni non è stata ancora provata.Sebbene, infine, esistano numerosi test a sostegno della diagnosi di MRGE, pochi studi in letteratura paragonano l’effettiva utilità di tali approcci diagnostici: la diagnosi di MRGE è basata, innanzitutto, su una corretta anamnesi ed un attento esame obiettivo, volti a esclu-dere o sottolineare la presenza di segni d’allarme (Tab. II). Per quanto riguarda la diagnosi di MRGE, l’Esofagogastroduodeno-scopia (EGDS) rappresenta il gold standard per i sintomi tipici, men-tre la pH-metria/pH-impedenzometria lo è per i sintomi atipici.

L’EGDS permette la visualizzazione diretta delle lesioni della mucosa esofagea. Lesioni macroscopiche associate a MRGE includono ipe-remia, erosioni, essudato, ulcere e ernia iatale, sebbene la presenza di una mucosa esofagea macroscopicamente normale non esclude la diagnosi di malattia da reflusso non-erosiva o di esofagite (Furuta et al., 2007). È fondamentale per la diagnosi l’esame istologico della biopsia esofagea che consente di mettere in evidenza la presenza di esofagite o di segni indiretti di reflusso, ma essa è anche di par-ticolare aiuto nell’escludere altre patologie (es. Malattia di Crohn, esofagite eosinofila…) (Dahm et al., 2004). La pH-metria esofagea misura la frequenza e la durata degli episodi di reflusso acido; i range dei valori di normalità sono stati stabiliti, ma la severità del reflusso acido non sembra correlare con la se-verità dei sintomi clinici. Inoltre, la pH-metria può essere utile nel valutare la efficacia della terapia anti-secretoria e nel correlare sin-tomi, quali tosse e dolore toracico, con gli episodi di RGE oppure per selezionare i bambini con wheezing o sintomi respiratori nei quali il RGE risulta essere un fattore aggravante. Purtroppo, la sensibilità e la specificità della pH-metria in tali condizioni non sono state ancora stabilite. Tale tecnica non è, inoltre, in grado di valutare reflussi di-versi da quelli acidi. Tale limite, recentemente, è stato superato dal-l’introduzione nella pratica clinica della pH-impedenzometria, una tecnica che permette la registrazione del movimento di liquidi, solidi e gas in esofago, attraverso una modifica dell’impedenza elettrica tra gli elettrodi posizionati lungo il catetere posto in esofago. La mi-surazione combinata pH-impedenzometrica permette di valutare la presenza di reflussi acidi (pH < 4), non acidi (pH > 7) o debolmente acidi (pH compreso tra 4 e 7) (Wenzl et al., 2002). Essa è superiore alla pH-metria nella valutazione di una possibile relazione esistente tra i sintomi e RGE, ma, al momento, non esistono ancora valori di riferimento in età pediatrica. La scintigrafia gastro-esofagea è stata messa a punto per valutare la presenza di RGE e di aspirazione polmonare, utilizzando una formula standard marcata con 99Tecnezio, ma la sensibilità e la specifici-tà di tale indagine per la diagnosi di RGE risultano essere scadenti (15-59% e 83-100%, rispettivamente), se comparate alla pH-metria delle 24h, per cui la scintigrafia nucleare non è raccomandata nella diagnosi e nel management di routine di un lattante o bambino con RGE (Seibert et al., 1983; Ravelli et al., 2006). Anche per quel che riguarda le tecniche contrastografiche che stu-diano il tratto gastrointestinale superiore, sensibilità, specificità e

Tabella I. Sintomi e segni tipici ed atipici associati a reflusso gastroesofageo.

Sintomi e segni tipici Sintomi e segni atipici

Rigurgito ricorrente con/senza vomito Inarcamento del tronco e postura anomala del collo (Sandifer)

Irritabilità nel lattante, pianto post-prandiale Apnea

Pirosi o dolore toracico Apparent life threatening events (ALTE)

Ematemesi Stridore laringeo

Disfagia, odinofagia, rifiuto dell’alimentazione Tosse cronica

Perdita di peso Wheezing, asma ricorrente steroido-resistente o dipendente

Esofagite Raucedine, singhiozzo eccessivo, ipersalivazione

Stenosi esofagee Laringite

Esofago di Barrett Broncopneumopatia

Infiammazione laringea e/o faringea Broncoreattività

Polmoniti ricorrenti Polmonite ricorrente

Anemia

Ipoproteinemia

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Novità in Gastroenterologia: reflusso gastroesofageo ed esofagite eosinofila

valore predittivo positivo oscillano tra 28-86%, 21-83% e 80-82%, rispettivamente, quando comparati alla pH-metria delle 24h. La breve durata dell’esame, infatti, produce falsi negativi, mentre il verificarsi di reflussi non patologici durante l’esecuzione dell’esame è responsabile dei numerosi falsi positivi; l’esecuzione, quindi, di tale indagine non è raccomandata di routine, ma solo allo scopo di valutare possibili anomalie anatomiche, come stenosi, ernia iatale, acalasia, fistole tra-cheoesofagee o stenosi del piloro (Simanovsky et al., 2002).Infine, anche per quel che riguarda l’uso dell’ecografia della giun-zione esofago-gastrica, tale metodica non è affatto raccomandata come test diagnostico nella MRGE; la sensibilità, infatti, risulta es-sere del 95% con una specificità solo dell’11% e non risulta esserci correlazione tra frequenza di reflusso ecografico e indice di reflusso pH-metrico (Jang et al., 2001). Nella popolazione adulta è stato usato per la diagnosi di MRGE il trial empirico con acido-soppressori, ma non esistono al momento attua-le dati a favore di tale approccio in età pediatrica (Orenstein et al., 2008), variando la risposta clinica al trattamento, in maniera consi-derevole, in base alla severità della malattia, alla dose del farmaco, ai sintomi specifici e alle complicanze presentate dal bambino. Per quanto riguarda la terapia della MRGE, le opzioni a nostra di-sposizione includono modifiche dello stile di vita (comprendenti mo-difiche alimentari e terapia posizionale), approcci farmacologici e, infine, chirurgici. Un sottogruppo di lattanti con allergia alle proteine del latte vaccino, presenta sintomi indistinguibili da quelli del RGE: in questi bambini, se allattati al seno, è raccomandato un trial dietetico materno senza proteine del latte e uovo per 4 settimane; se allattati con latte for-mulato, un trial con idrolisati spinti o formule a base di aminoacidi per 4 settimane (Iacono et al., 1996). Non esistono, invece, studi che valutino in particolare il ruolo dell’allergia alla soia nel lattante che vomita. Attualmente la posizione migliore “anti-reflusso” risulta essere la posizione prona, ma poiché si raccomanda di non far assumere al lattante tale posizione per la prevenzione della sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS), tale posizione è suggerita solo in caso di stretta osservazione del piccolo paziente, nel caso di bambino con età maggiore di 1 anno, in cui il rischio di SIDS sia superato, e in bambini, nei quali, a causa di disordini maggiori alle vie respiratorie,

il rischio di morte per aspirazione da RGE sia maggiore del rischio di morte da SIDS. Per quel che riguarda, invece, il bambino e l’adolescente, non esi-stono studi in età pediatrica che impongano terapie posizionali o modifiche dietetiche, ma sulla scia di studi condotti in età adulta si consiglia di assumere la posizione di decubito laterale sinistro o con la testa del letto sollevata e di evitare di assumere alcool, cioccolato, cibi ricchi di grasso e di fumare (Veugelers et al., 2006). I farmaci antiacidi tamponano direttamente il contenuto gastrico de-terminando riduzione della sintomatologia dispeptica e guarigione mucosale, ma, sebbene tali farmaci sembrino essere sicuri, alte dosi di idrossido di magnesio o di idrossido di alluminio possono determi-nare osteopenia, anemia microcitica, neurotossicità, “sindrome milk-alcali”, ipocalcemia, alcalosi e insufficienza renale; per tali motivi la terapia protratta con antiacidi non dovrebbe essere consigliata.Uno studio clinico apparso di recente dimostra che l’alginato com-parato al placebo riduce significativamente la frequenza e la severi-tà del vomito nei lattanti e, sulla base di misure pH-impedenzome-triche, dimostra riduzione dell’altezza dei reflussi (Del Buono et al., 2005). Per quel che riguarda, invece, il sucralfato, questo composto, negli adulti, risulta essere efficace nel ridurre i sintomi, ma i dati disponibili nel bambino non sono sufficienti.Gli antagonisti del recettore H2 (H2A) riducono la secrezione acida inibendo i recettori istaminergici H2 sulle cellule parietali gastriche. Esistono dati in letteratura in favore dell’uso degli H2A, in particola-re nella terapia dell’adulto, mentre esiste un unico trial randomizzato controllato (RCT) nel bambino che dimostra che la cimetidina è più efficace del placebo nel determinare risoluzione dell’esofagite e un RCT sull’uso della nizatidina nel bambino. Nonostante, però, non esi-stano RCT pediatrici su ranitidina e famotidina, esperti suggeriscono l’uso di questi H2A in età pediatrica. Ciononostante, è noto, che gli H2A sono meno efficaci degli inibitori di pompa protonica (IPP) nel risolvere i sintomi e determinare risoluzione dell’esofagite e che, a differenza degli IPP, l’efficacia si riduce con l’uso protratto. Inoltre, tali farmaci determinano effetti collaterali, quali irritabilità, movimenti del capo “simil-Sandifer”, mal di testa, sonnolenza e altri che, se interpre-tati come sintomi persistenti di RGE, possono portare ad aumentare ulteriormente la dose del farmaco, in maniera impropria. Gli IPP inibiscono la secrezione acida bloccando la pompa Na/K ATPasi, presente sulle cellule parietali gastriche. Gli unici farmaci di questa classe approvati in Europa per il bambino di età superiore ad un anno sono l’omeprazolo e l’esomeprazolo, mentre non ve ne è nessuno approvato nel lattante, nel quale l’uso è riservato solo a casi di esofagite erosiva. Inoltre, tali farmaci determinano nume-rosi effetti collaterali, quali gastroenteriti, ipergastrinemia, aumento delle infezioni respiratorie, candidemia e enterocolite necrotizzante. Quando richiesta la terapia acido-soppresiva, dovrebbe essere usata la dose minima efficace. La maggior parte dei pazienti richiede una somministrazione di IPP giornaliera, mentre non esistono dati in fa-vore di una somministrazione in due dosi giornaliere. In particolare, l’uso degli IPP è riservato alla terapia nei bambini con età superiore agli 8 anni e negli adolescenti, prescritta sulla base dei soli sintomi clinici, senza ricorrere ad indagini strumentali; ed è riservata ai lat-tanti, nei quali sia stata documentata un’esofagite, dopo aver prati-cato EGDS oppure un RGE patologico, documentato per pHmetria o pH-impedenzometria. Infine, non ci sono al momento evidenze sufficienti per giustificare l’uso di procinetici, quali cisapride, metoclopramide, domperidone o baclofen nel trattamento routinario della MRGE, a causa dei numero-si effetti collaterali di questi farmaci di gran lunga superiori rispetto ai potenziali effetti benefici.

Tabella II. Segni di allarme della malattia da reflusso gastroesofageo.

Vomito biliare

Sanguinamento gastrointestinale

• ematemesi

• ematochezia

Insorgenza del vomito dopo i 6 mesi di vita

Scarsa crescita

Diarrea

Stipsi

Febbre

Letargia

Epatosplenomegalia

Fontanella pulsante

Macro/microcefalia

Tensione o distensione addominale

Malattia cronica associata

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In sintesi, nel bambino con età superiore a 8 anni, nel sospetto clini-co di MRGE, è prevista terapia antiacida; nel caso, invece, dei lattanti il management terapeutico varia in base alla sintomatologia pre-sentata. Nel caso di un lattante con rigurgito ricorrente, non com-plicato (cioè con buona crescita ponderale e in assenza di segni di allarme), l’anamnesi e un buon esame obiettivo sono sufficienti per rassicurare i genitori della mancata necessità di praticare ulteriori approfondimenti diagnostici e terapie mediche. In questo caso, l’uso di formule ispessite,nel bambino allattato con formula, può ridurre la frequenza del rigurgito e/o del vomito. Nel lattante con vomito ricorrente e perdita di peso, con pianto in-spiegabile (dopo aver escluso cause neurologiche, infezioni, stip-si…), una valutazione iniziale dovrebbe prevedere esame delle urine, emocromo con formula, elettroliti sierici, creatinina sierica e azotemia. Sulla base della storia clinica e dei risultati di tali indagini, si valuterà l’opportunità di praticare un trial dietetico, con formula a base di idrolisati proteici o a base di aminoacidi per escludere l’aller-gia alle proteine del latte vaccino; di incrementare la densità calorica della formula, di ridurre il volume delle poppate o di ispessirle. Se, nonostante tali interventi, non si assiste ad un incremento pondera-le, il piccolo dovrebbe essere sottoposto ad ulteriori indagini (EGDS, in caso di sintomatologia tipica e pH-metria o pH-impedenzometria, in caso di sintomi atipici) ed in caso di positività di tali indagini an-drebbe instaurata una terapia medica con IPP.Nel lattante con apnee o ALTE, una chiara associazione con la MRGE non è stata dimostrata, tuttavia, quando i sintomi sono ricorrenti o il sospetto di MRGE è forte, è indicato lo studio pH-impedenzometrico in associazione con quello polisonnografico, per stabilire un reale rapporto di causalità tra RGE e sintomatologia respiratoria e iniziare adeguata terapia.

Esofagite eosinofilaNegli ultimi dieci anni, si è assistito ad un rapido aumento dei pa-zienti sia adulti sia bambini con eosinofilia esofagea, etichettati in origine come affetti da Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE), ma che non rispondevano alla terapia medica e/o chirurgica del RGE. Basandosi su questo nuovo dato epidemiologico, sono nati nu-merosi studi volti a dimostrare che questi pazienti erano affetti da una nuova patologia, l’esofagite eosinofila (EE). Sebbene un numero crescente di bambini ed adulti risulti al momento affetto da EE, pochi sono gli studi randomizzati controllati che possano dare un indirizzo sulla gestione clinica, per cui la pratica clinica al mo-mento si basa per lo più su dati limitati ed opinione di esperti. L’EE è un disordine caratterizzato da un’intensa eosinofilia esofagea con severa iperplasia squamosa epiteliale che generalmente si ma-nifesta con sintomi gastrointestinali alti, in primis esofagei. In par-ticolare, secondo le linee guida attuali (Furuta et al., 2007), si pone diagnosi di EE in caso di 1) sintomi gastrointestinali alti, quali epi-gastralgia, pirosi, disfagia ecc.; 2) biopsia esofagea che mostri ≥ 15

eosinofili/HPF (campi ad alto ingrandimento) in uno o più campioni ed 3) assenza di MRGE, intesa come pH-metria negativa e/o assente risposta ad alte dosi di inibitori di pompa protonica (IPP).I dati di incidenza più interessanti presenti in letteratura sono quelli di uno studio epidemiologico basato su una popolazione pediatrica condotto da Noel et al. tra il 2000-2003 (Noel et al., 2004). Gli autori hanno calcolato in questi anni una incidenza di 1/10.000 casi all’anno, con una prevalenza di 4/10.000. L’EE risultava inoltre più frequente nel sesso maschile con una età media di circa 10,5 ± 5,4 anni. Molto poco è noto in merito alla patogenesi di tale condizione; sono, tuttavia, chiamati in causa diversi meccanismi che suggeriscono una disregolazione immunologica e il contributo di allergeni sia alimentari sia inalanti (Mishra et al., 2001). Gli eosinofili sono spesso aumentati nei tessuti in caso di patologie allergiche, ma al momento non è ben chiaro il ruolo di tali cellule nell’innescare la patologia. La cellula eo-sinofilica presenta granuli contenenti mediatori biologicamente attivi, quali i leucotrieni, che sembrano svolgere un ruolo centrale nella con-trazione delle cellule muscolari lisce. Recenti evidenze indicano, inol-tre, l’interleuchina 5 e 13 come molecole chiave nella patogenesi e nel perpetuarsi del danno esofageo e potrebbero rappresentare possibili target per una eventuale futura terapia biologica (Mishra et al., 2003). I pazienti affetti da EE presentano una storia familiare o personale positiva per allergia nel 50-80% dei casi, con sintomi quali asma, rinite, eczema (Liacouras et al., 2005; Rothemberg et al., 2004; Lia-couras et al., 2003); in uno studio condotto da Orenstein et al (Oren-stein et al., 2000) su una casistica di 30 pazienti pediatrici affetti da EE, il 62% di essi presentava frequenti episodi di broncospasmo. Inoltre l’eosinofilia periferica e l’aumento dei livelli sierici di IgE sono riportati nel 20-60% dei casi osservati (Liacouras et al., 2003). Clinicamente l’EE può presentarsi con una varietà di quadri sinto-matologici. I bambini di età inferiore ai 7 anni presentano più co-munemente sintomi quali dolori addominali, vomito e/o rigurgito, inappetenza, scarsa crescita (Rothemberg et al., 2004; Liacouras et al., 2003; Sant’Anna et al., 2004); nei bambini di età > 7 anni e negli adolescenti la sintomatologia tipica è rappresentata da disfagia, do-lore toracico, “food-impaction” (Khan et al., 2003) (Tab. III). Sicuramente l’eosinofilia esofagea non è esclusiva dell’EE; vanno, infatti, escluse altre patologie quali MRGE, Malattia di Crohn, ma-lattie del collagene, esofagiti infettive (Herpes, Candida), esofagi-ti iatrogene, sindrome ipereosinofilica e gastroenterite eosinofila, pertanto sarà d’obbligo, in corso di Esofagogastroduodenoscopia, praticare anche biopsie gastriche e duodenali, che nel caso di EE, mostreranno una mucosa perfettamente normale.La diagnosi definitiva di EE si basa sull’identificazione di un infiltrato eosinofilico isolato in un paziente con sintomi esofagei e resisten-te a terapia con acido-soppressori. È stato suggerito che esistano dei quadri endoscopici che possano essere considerati specifici e patognomonici di EE, anche se alcune caratteristiche endoscopiche possono essere indistinguibili da quelle della MRGE.

Tabella III. Sintomi suggestivi di esofagite eosinofila.

Bambini < 7 anni Bambini > 7 anni

Rifiuto dell’alimentazione Disfagia

Inappetenza Food impaction

Vomito/rigurgito MRGE resistente a terapia

MRGE resistente a terapia Dolore toracico

Dolori addominali

Scarsa crescita

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Novità in Gastroenterologia: reflusso gastroesofageo ed esofagite eosinofila

Il quadro endoscopico può essere caratterizzato da granularità, friabilità, edema, aspetto colonnare longitudinale, anelli transitori o fissi, anello di Schatzki (un anello esofageo mucoso che causa restringimenti a forma di anello dell’esofago distale in corrispon-denza della giunzione squamocolonnare) o placche biancastre della mucosa esofagea, in base alla densità dell’eosinofilia epi-teliale (Khan, 2003; Liacouras et al., 2003). Sebbene nessuna di queste caratteristiche possa essere considerata patognomonica di EE, uno o più dei suddetti aspetti endoscopici (Tab. IV) posso-no essere fortemente suggestivi di tale patologia, in presenza di sintomi clinici (Tab. III). Il trattamento dell’EE resta tuttora controverso e poco studiato. Le incertezze riguardanti l’eziologia e la probabile origine multifatto-riale della patologia hanno portato alla sperimentazione di diverse misure terapeutiche. Le possibili opzioni terapeutiche attualmente includono diete elementari o di esclusione, steroidi per via sistemi-ca o topica, montelukast (antagonista recettoriale dei leucotrieni), mepolizumab (anticorpo monoclonale anti-IL 5), sodio cromoglicato, dilatazione esofagea terapeutica e IPP. L’efficacia di diete elementari o di esclusione, messa in luce in diversi studi, deriverebbe dal ruolo contributivo svolto dagli allergeni alimentari nella patogenesi dell’EE nel bambino (Kagalwalla et al., 2006). L’identificazione degli antigeni

causali tramite prick test e patch test e la loro successiva elimina-zione porta ad un miglioramento sia sintomatico che istologico della malattia. In alternativa è possibile ricorrere all’uso di steroidi per via sistemica o topica; molti studi, infatti, evidenziano l’efficacia degli steroidi nell’indurre una remissione sia clinica che istologica della patologia (Schaefer et al., 2008); tuttavia, questa remissione risulta essere temporanea con immediata ricaduta al termine della terapia. La dilatazione dell’esofago resta una scelta terapeutica secondaria, in quanto si limita ad un miglioramento della sintomatologia, senza influenzare la patologia sottostante e non è scevra da complicanze, quali lesioni mucosali e perforazioni; inoltre, nella maggior parte dei pazienti sono richieste più sedute per raggiungere un miglioramento accettabile (Straumann et al., 2003). L’utilizzo di una terapia a base di IPP svolge nell’ambito dell’EE un ruolo prettamente diagnostico, in quanto risulta essere inefficace; tuttavia, alcuni studi hanno di-mostrato che in un piccolo numero di pazienti il RGE e l’EE possano coesistere e una terapia a base di IPP può, pertanto, portare ad un significativo miglioramento della sintomatologia (Ngo et al., 2006). Infine, l’utilizzo di terapie biologiche quali anticorpi monoclonali anti-IL5, rappresentano nuovi orizzonti terapeutici che necessitano di trial randomizzati per poter essere meglio inquadrati nel tratta-mento dell’EE.

Tabella IV. Caratteristiche endoscopiche e istologiche di esofagite eosinofila.

Caratteristiche endoscopiche Caratteristiche istologiche

Granularità ≥ 15 eosinofili intraepiteliali/HPF

Friabilità Microascessi eosinofilici (aggregati di 4 o più eosinofili in un cluster

Edema Iperplasia della zona basale

Aspetto colonnare longitudinale Fibrosi e infiammazione della lamina propria

Anelli transitori o fissi

Anello di Schatzki

Placche biancastre

Linee guida pediatriche del reflusso gastroesofageoChe cosa si sapeva primaLe opzioni diagnostiche e terapeutiche per il RGE a nostra disposizione sono numerose, ma per lo più mutuate da studi condotti nell’adulto.

Cosa sappiamo adessoTra le numerose tecniche diagnostiche a nostra disposizione, sulla base di una revisione della letteratura, l’Esofagogastroduodenoscopia è da con-siderare il gold standard per i sintomi tipici e la pH-impedenzometria per i sintomi atipici. Per quel che riguarda l’uso dell’ecografia della giunzione esofago-gastrica, tale metodica non è affatto raccomandata come test diagnostico nella MRGE. Nel bambino con età superiore a 8 anni, nel sospetto clinico di MRGE, si può instaurare una terapia antiacida, solo sulla base dei sintomi clinici; nel caso, invece, dei lattanti il management terapeutico varia in base alla sintomatologia presentata. Per quanto riguarda gli Inibitori di Pompa Protonica, gli unici farmaci di questa classe approvati in Europa per il bambino di età superiore ad un anno sono l’omeprazolo e l’esomeprazolo, mentre non ve ne è nessuno approvato nel lattante, nel quale l’uso è riservato solo a casi di documentata esofagite erosiva.

Quali ricadute sulla pratica clinicaDovrà essere ridimensionato e regolamentato l’uso di alcuni farmaci, in particolare di quelli non approvati in età pediatrica.

Esofagite eosinofilaChe cosa si sapeva primaAlcune forme di RGE risultano essere resistenti alla terapia ad alte dosi con IPP.

Cosa sappiamo adessoAbbiamo fatto luce su una patologia emergente, di cui si sa ancora poco e per cui si sente la necessità di valutare in maniera più approfondita sia la patogenesi sia le possibili opzioni terapeutiche.

Quali ricadute sulla pratica clinicaÈ importante la valutazione di tale entità in pazienti con sintomatologia GI alta, resistente a terapie acido-soppressive.

Box di orientamento

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dott.ssa Roberta Buonavolontà, via Mario Fiore 4, 80129, Napoli. E-mail: [email protected]

Corrispondenza

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L’Helicobacter pylori oggi

Gabriella Boccia, Salvatore AuricchioDipartimento di Pediatria, Università “Federico II”, Napoli

Obiettivi e metodologia della ricerca bibliografica effettuata

Questa review si pone l’obiettivo di fornire un aggiornamento sulle attuali conoscenze relative all’infezione da Helicobacter pylori (Hp) in età pediatrica, in particolare per quanto concerne le indicazioni alla diagnosi e la gestione terapeutica del bambino infetto.La ricerca degli articoli rilevanti è stata condotta attraverso la ban-ca bibliografica Medline utilizzando il motore di ricerca Pubmed. Le parole chiave utilizzate sono state: H. pylori infection; management; diagnosis; therapy. I limiti utilizzati sono stati: ages = all child: 0-18 years; language: English; type of articles: clinical trials, RCT, meta-analisis; reviewes; dates: 2006-2009. Studi rilevanti e linee-guida utili alla revisione sono stati utilizzati anche se antecedenti al 2006.

Introduzione

L’Helicobacter pylori (Hp) è un batterio gram-negativo, flagellato spi-raliforme capace di colonizzare lo stomaco umano causando una gastrite cronica attiva. L’interazione tra i fattori di virulenza batterici e le cellule mucosali ospiti, induce la produzione locale di mediatori pro-infiammatori in grado di innescare un meccanismo a cascata;

il perpetuarsi di tale meccanismo è alla base della gastrite cronica attiva e della sua evoluzione in malattia peptica, gastrite atrofica, metaplasia ed infine cancro gastrico e MALT (mucosal associated lymphoid tissue) linfoma. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato l’Hp come carcinogeno di classe I per il cancro gastrico. Dati epidemio-logici mostrano che nella maggior parte dei casi l’infezione da Hp è acquisita in età pediatrica e che anche in presenza di gastrite cro-nica attiva il bambino può non presentare specifici sintomi e segni clinici.

Epidemiologia e trasmissioneL’infezione da Hp interessa più della metà della popolazione mondia-le con una prevalenza di circa il 10-15% nei paesi industrializzati e dell’80% nei paesi in via di sviluppo, ed un’incidenza annua rispet-tivamente dello 0,5% e del 3-10%. L’infezione è più comunemente acquisita nella fascia d’età < 3 anni mentre il rischio è ridotto dopo i 5 anni di età (Rowland et al., 2006). I principali fattori di rischio associati allo sviluppo di infezione da Hp sono riportati nella Tabella I. Una riduzione progressiva di infezione da Hp si è andata osservan-do negli ultimi anni specialmente nei paesi industrializzati, confer-mando la sua correlazione diretta con il miglioramento dello status

RiassuntoL’infezione da Helicobacter pylori (Hp) interessa più della metà della popolazione mondiale. Il batterio colonizza la mucosa gastrica causando una gastrite cronica attiva che nel tempo può evolvere determinado ulcere, atrofia, metaplasia, carcinoma. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato l’Hp carcinogeno di classe 1 per l’adenocarcinoma gastrico. Secondo il Position Statement della Società Nord Americana di Gastroenterologia Pediatrica (NASPGHAN) pubblicato nel 2000 è raccomandato eradicare il bambino infetto in caso di ulcera gastrica/duodenale evidenziata endoscopicamente o di storia pregressa di malattia peptica, mucosal associated lymphoid tissue (MALT) linfoma, gastrite atrofica/metaplasia. In caso di gastrite Hp correlata, non esistono sufficienti evidenze a supporto del trattamento. Non è indi-cato trattare: 1) bambini asintomatici con storia familiare di infezione e/o ulcera peptica e/o cancro gastrico; 2) bambini infetti con storia di dispepsia o dolori addominali ricorrenti. L’anemia sideropenica inspiegata refrattaria alla terapia rappresenta un’ulteriore indicazione a testare e trattare i bambini Hp infetti.Il trattamento di prima scelta è costituito dalla triplice terapia per la durata di 1-2 settimane. I dati derivati dal Registro Europeo Pediatrico per il trattamento dell’Hp (PERTH 2007) hanno evidenziato l’inadeguatezza della raccomandazione del NASPGHAN 2000 ad utilizzare la triplice terapia con inibitori di pompa protonica per 2 settimane. Infatti, 1) nella triplice terapia l’uso del Bismuto è risultato più efficace rispetto all’uso dell’Omeprazolo; 2) due settimane di terapia non sono più efficaci di 1 settimana di terapia. Il miglior trattamento dovrebbe essere scelto in accordo al test di suscettibilità antibiotica, quando possibile, o in accordo alle conoscenze relative all’antibiotico-resistenza presente nella regione di provenienza del bambino.

SummaryHelicobacter pylori (Hp) infects at least 50% of world’s population. It colonises the gastric mucosa and causes chronic active gastritis. Mucosal stress may induce gastric and duodenal ulcers, atrophic gastritis, metaplasia, gastric cancer. The World Health Organization has classified Hp as a class I carcinogen for gastric cancer. According to the North American Society for Pediatric Gastroenterology and Nutrition (NASPGHAN) Position Statement 2000, eradication treatment is recommended for infected children who have a duodenal or gastric ulcer identified at endoscopy, or with prior history of documented duodenal or gastric ulcer, mucosal associated lymphoid tissue (MALT) lymphoma, atrophic gastritis, intestinal metaplasia. In case of gastritis the Committee con-cluded that there is insufficient evidence to support either initiating or withholding eradication. Treatment is not recommended in: 1) infected children with non ulcer dyspepsia or recurrent abdominal pain; 2) asymptomatic children who have a family member with either peptic ulcer disease or gastric cancer. Iron deficiency anemia refractory to iron supplementation is an indication to test for Hp infection and for eradication therapy. First line treatment consists of three medication for 1-2 weeks. Data derived from the Pediatric European Register for Treatment of Hp (PERTH 2007) showed that:1) bismuth containing triple therapies appear more efficacious; 2) efficacy was not increased by 2 week treatment course. Therefore the sug-gestion to use a proton pump inhibitor -containing triple therapy for 2 weeks, as recommended by the NASPGHAN 2000 pediatric guideline, proved to be ineffective. Would be auspicable to treat a child according to the result of the antibiotic-susceptibility test or to what is known about the rate of antibiotic-resistance in the region the child is coming from.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 141-146 GAStROENtEROLOGIA

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socioeconomico, nonché con un uso più appropriato degli strumenti diagnostico-terapeutici disponibili (Tkachenko et al., 2007; Weyer-mann et al., 2009).La trasmissione avviene da uomo a uomo attraverso la via oro-feca-le; gastro-orale (vomito/rigurgito); oro-orale. Studi recenti basati su metodi di identificazione genotipica hanno confermato il ruolo pri-mario occupato dal nucleo familiare nella trasmissione genitori-figli e fratello-fratello (Kivi et al., 2007; Puz et al., 2008). La madre rap-presenterebbe la fonte principale di infezione soprattutto nelle popo-lazioni a bassa prevalenza di infezione (Weyermann et al., 2009).

Danni mucosali Hp indotti Sono stati riconosciuti due tipi di danno mucosale da infezione da Hp: 1) gastrite cronica attiva antrale-predominante, correlato con la malattia ulceroso peptica (15% popolazione infetta, rischio di ul-cera duodenale 95% vs ulcera gastrica 25%); 2) gastrite cronica-atrofica corpo-predominante, correlato ad un aumentato rischio di adenocarcinoma (< 1% della popolazione infetta) e di MALT linfoma (< 0,1% popolazione infetta).L’ulcera peptica è una patologia rara in età pediatrica. Importanti centri di endoscopia riportano un’incidenza di circa 5-7 bambini con ulcera/anno con un aumento significativo del rischio di ulcera duo-denale rispetto a quella gastrica nei bambini con infezione da Hp.Un studio recente condotto su 751 bambini in Israele ha evidenziato come 51 pazienti (6,8%) avessero ulcere peptiche, di questi il 55% risultavano essere Hp positivi vs. il 45% Hp negativi. Nell’ambito del gruppo di pazienti Hp-negativi ben il 65% delle lesioni ulcerose erano di natura idiopatica e tendevano a comparire più precocemente rispet-to alle lesioni Hp-correlate, che invece diventavano comuni soprattutto dopo i 10 anni di età. Le ulcere gastriche Hp-correlate si manifestava-no più precocemente (età ≥ 9 anni) rispetto a quelle duodenali, preva-lenti nell’adolescenza (età ≥ 13 anni) (Egbaria et al., 2008).Una peculiarità dell’età pediatrica è rappresentata dal quadro ma-croscopico di gastrite follicolare con un aspetto caratteristico di no-dularità della mucosa antrale presente nel 30-100% dei bambini infetti contro appena il 16% degli adulti (Fig. 1).

Manifestazioni cliniche

Dolori addominali ricorrenti ed infezione da Hp

L’associazione tra dolori addominali ricorrenti (DAR) ed infezione da Hp è argomento molto dibattuto. Nel 2005 il Subcommittee sul Dolore Addominale Cronico della North American Society for Pediatric Gastroenterology and Nutrition (NASPGHAN) concludeva che la coesistenza di DAR e positività per Hp ai test diagnostici di laboratorio non è indicativa di un rapporto causa-effetto (Di Loren-zo et al., 2005). Studi recenti hanno confermato l’assenza di tale associazione riportando una prevalenza di infezione da Hp simile in bambini con DAR rispetto a bambini asintomatici (Malaty et al.,

2006). In particolare i bambini con DAR di età ≤ 5 anni presenta-vano una prevalenza di infezione 3 volte superiore rispetto a quelli di età > 10 anni suggerendo una maggiore associazione tra DAR e acquisizione precoce di infezione. In uno studio condotto in Taiwan su 135 bambini con DAR la prevalenza di infezione da Hp era del 23,7%. Una persistenza dei DAR veniva riscontrata sia nel 70,2% dei pazienti non infetti che nell’86,7% dei pazienti Hp-infetti che avevano fallito la terapia eradicante a 12 mesi di follow-up (Lin et al., 2006).In conclusione: tali dati confermano che la presenza dei DAR risulta essere completamente indipendente dallo stato di infezione da Hp.

Manifestazioni extraintestinaliNumerose sono le manifestazioni extraintestinali descritte, apparen-temente correlate all’infezione da Hp. Riportiamo in particolare i dati relativi all’anemia sideropenica per la quale sembrerebbero esserci maggiori evidenze.

Anemia sideropenica

L’indicazione allo screening e al trattamento in caso di anemia sideropenica refrattaria al trattamento in bambini Hp positivi è stata posta dal Canadian Consensus Group nelle linee-guida relative alla gestione del bambino con infezione da Hp (Jones et al., 2005) e confermata nel più recente Maastricht III Con-sensus Report (Malpherteiner et al., 2007). Non è ancora chiaro se il meccanismo dell’anemia è maggiormente attribuibile alla perdita di sangue occulto dalle lesioni gastro-duodenali o ad un’azione specifica del batterio. In uno studio recente (Yokota et al., 2008) è stato riportato che pazienti con anemia sideropenica presentavano ceppi di Hp ad aumentata capacità di captazione del ferro e rapida crescita ferro-dipendente. Tuttavia, Sarker et al. (Gastroenterology 2008) hanno dimostrato che la terapia era-dicante non migliora lo stato di sideropenia né riduce la presenza di anemia in bambini che vivono in aree ad alta prevalenza di Hp e di anemia sideropenica. Questi risultati non supportano la pre-senza di una relazione causale tra Hp ed anemia sideropenica né l’efficacia di strategie preventive diagnostico-terapeutiche volte ad eliminare l’infezione da Hp.

Tabella I. Fattori di rischio per infezione da Hp in età pediatrica.

Madre infetta

Familiare convivente infetto

Basso livello socio-economico

Uso prolungato del biberon /svezzamento ritardato

Famiglia numerosa

Predisposizione etnica/genetica

Figura 1. Quadro endoscopico macroscopico di gastrite antrale nodulare Hp cor-relata.

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L’Helicobacter pylori oggi

Indicazioni allo screening e alla terapia

Le indicazioni allo screening e alla terapia eradicante fanno anco-ra oggi riferimento alle linee guida NASPGHAN pubblicate nel 2000 (Gold et al., 2000), confermate ed integrate successivamente dal Maastricht III Consensus Report (Malfertheiner et al., 2007) relativo alla gestione dell’Hp nell’adulto, nell’ambito della breve sezione de-dicata all’età pediatrica. Due Consensus sono state pubblicate sul-l’argomento: la prima, della European Pediatric Task Force (Drumm et al., 2000) e la seconda del Canadian Consensus Group (Jones et al., 2005). Nuove linee-guida derivanti dal confronto dei gastroente-rologi pediatri della European Pediatric Task Force sono state elabo-rate durante il 2008 e sono in corso di pubblicazione, di quest’ultime pertanto non si potrà tenere conto nella nostra review.

Quando indagare? In età pediatrica la maggior parte dei bambini infetti è asintomatica e non esiste un quadro clinico caratteristico che indichi la necessità ad effettuare uno screening nei bambini. I DAR non rappresentano una indicazione per testare mediante screening non invasivi e trattare l’infezione da Hp nei bambini. Test diagnostici e trattamento sono indicati soltanto in presenza di sin-tomatologia gastrointestinale grave tale da richiedere una esofago-gastroduodenoscopia nel sospetto di malattia organica importante

(ulcera peptica, esofagite, malattia celiaca, malattia infiammatoria cronica intestinale); lo scopo è dunque determinare in primo luogo la causa dei sintomi gastrointestinali e non la presenza di infezione da Hp. È assolutamente indicato praticare test diagnostici in bambini af-fetti da ulcere gastriche o duodenali evidenziate all’endoscopia o confermate radiograficamente (livello di evidenza I); ed in presenza di MALT linfoma (livello di evidenza II). Inoltre, in accordo al Maa-stricht III 2007, in caso di anemia sideropenica refrattaria è indicata la ricerca dell’Hp dopo aver escluso altre possibili cause (malattia celiaca, malattie infiammatorie croniche intestinali). Non è invece raccomandato ricercare il germe nei seguenti casi: 1) bambini asintomatici (livello di evidenza II); 2) bambini con DAR in assenza di patologia peptica documentata (livello di evidenza II); 3) bambini con storia familiare di cancro gastrico o patologia ulceroso peptica ricorrente (livello di evidenza II).Uno screening post-terapia è indicato in presenza di patologia ulce-roso-peptica complicata (sanguinamento, perforazione, ostruzione). In particolare, nei pazienti ancora sintomatici dopo terapia eradican-te, una endoscopia con biopsie è raccomandata al fine di valutare la persistenza della patologia ulceroso-peptica Hp-correlata. Le con-clusioni raggiunte dalla European Pediatric Task Force nel 2000 sulle indicazioni alla diagnosi sono riportate nella Tabella II.

Tabella II.Infezione da Hp nel bambino: diagnosi e terapia - punti chiave.

L’infezione da Hp causa gastrite cronica nei bambini

L’infezione da Hp è associata alla presenza di ulcere duodenali nei bambini

L’eradicazione porta alla guarigione della gastrite

L’eradicazione porta alla remissione a lungo termine delle ulcere

Non ci sono evidenze in età pediatrica di associazione tra gastrite da Hp e DAR o dispepsia eccetto nei rari casi in cui sono presenti ulcere duodenali o gastriche

Il trattamento dei bambini con gastrite Hp correlata in assenza di ulcere non sembra apportare benefici alla risoluzione dei sintomi. Pertanto screenare bambini con sintomi dispeptici mediante test non invasivi non è indicato

I bambini dovrebbero essere testati solo se affetti da sintomi severi tali da giustificare il rischio delle terapie

L’EGDS rappresenta l’esame diagnostico di scelta in bambini con sintomi suggestivi di patologia organica

In caso di identificazione endoscopica di Hp il trattamento va sempre proposto

Nei bambini trattati per infezione da Hp, la risposta al trattamento dovrebbe essere monitorata mediante test non invasivi

Tabella III.Test diagnostici per infezione da Helicobacter pylori.

Test Sensibilità (%) Specificità (%) Costo

Non Invasivi

• Anticorpi IgG

- Sangue intero 70-85 75-90 $

- Siero 86-94 75-90 $

- ELISA 86-94 80-95 $$

• Antigene fecale 88-98 89-98 $$

• 13C-Urea Breath test 90-96 88-98 $$$

Invasivi

• Biopsia con CLOTest 90-95 95-100 $$$$

• Istologia 90-95 95-100 $$$$$

• Coltura 60-95 100 $$$$$

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Come indagare?I test diagnostici per l’infezione da Hp si distinguono in invasivi e non invasivi. La sensibilità e specificità dei vari test assieme ai costi è riportata in Tabella III. L’endoscopia rappresenta attualmente il gold standard per la diagnosi dell’Hp in età pediatrica essendo l’unico esame in grado di rilevare la severità, la distribuzione topografica ed il tipo di danno mucosale. È importante effettuare biopsie multiple dell’antro ed in caso di terapia con acido soppressori anche del cor-po e della zona di transizione. L’esame colturale per la ricerca di Hp permette non solo di identificare il germe ma anche il tipo di ceppo e di avere informazioni sulla sensibilità antibiotica, attraverso l’anti-biogramma allo scopo di scelte terapeutiche mirate. Sono in genere necessari minimo 3 giorni per avere una risposta e la sensibilità del test raggiunge circa l’85%.Il test rapido per la ricerca dell’attività ureasica (CLO test) si basa su di una reazione colorimetrica indotta dall’ureasi prodotta dall’Hp. Tale test consente di ottenere una risposta rapida (da pochi minuti a poche ore) rispetto agli altri test invasivi, è facilmente eseguibile ma l’affidabilità dipende dal numero e dal sito dei frammenti bioptici, nonché dalla ca-rica batterica e dall’uso di antibiotici o acidosoppressori.Tra i tests non invasivi il 13C-Urea Breath test (UBT) rappresenta quello di scelta per i suoi requisiti di alta sensibilità e specificità (Me-graud et al., 2005) e trova attualmente utilizzo, assieme alla ricerca dell’antigene fecale, nel follow-up post-eradicazione. Sebbene studi recenti abbiano confermato la validità di tali test anche nei bambini più piccoli (Dondi et al., 2006; Frenck et al., 2006), ulteriori valida-zioni sono necessarie in particolare nei bambini con meno di 2 anni. I test anticorpali ematologici, non risultano sufficientemente attendi-bili in età pediatrica a causa dell’eccessiva variabilità tra i kit, della variabilità di risposta interindividuale e della incapacità a distinguere tra infezione in atto o pregressa. Nuovi metodi di tipizzazione mole-colare dell’Hp su feci mediante PCR risultano, al momento, ecces-sivamente costosi ai fini diagnostici e non ancora sufficientemente sensibili (Puz et al., 2008). Un nuovo recente test ematologico, il 13C-urea blood test, ha mostrato ottima sensibilità e specificità nel-la identificazione dell’Hp risultando comparabile all’istologia e ben tollerato. L’esame consiste nel somministrare al paziente 75 mg di 13C-urea in 75 ml di acqua sterile. Dopo 30 minuti dall’ingestione vengono prelevati 3 ml di sangue e l’isotopo viene analizzato me-diante spettrometro di massa. Tale test potrebbe, in un prossimo fu-turo, sostituire i test invasivi (endoscopia), se i dati riportati saranno confermati su più ampia scala (Jolley et al., 2007).

Chi trattare?Differentemente dall’adulto dove una strategia “test and treat”, me-diante UBT e antigene fecale è raccomandata in soggetti di età < 45 anni con dispepsia persistente, anemia sideropenica inspiegata e porpora trombocitopenica idiopatica ed ancora, in parenti di I grado di soggetti affetti da cancro gastrico, le indicazioni all’eradicazione in età pediatrica sono molto più restrittive.È raccomandato eradicare il bambino infetto in caso di ulcera ga-strica/duodenale evidenziata endoscopicamente o di storia pregres-sa di malattia peptica; MALT linfoma; gastrite atrofica/metaplasia. In caso di gastrite Hp correlata, non esistono sufficienti evidenze a supporto del trattamento, la decisione andrebbe concertata tra medico e genitori spiegando i potenziali rischi (Gold et al., 2000). Non è indicato trattare bambini asintomatici con storia familiare di infezione e/o ulcera peptica e/o cancro gastrico. Non ci sono suffi-cienti evidenze per il trattamento di bambini Hp infetti con storia di dispepsia o DAR.

Tali indicazioni derivano dalle seguenti osservazioni: 1) nessuno de-gli schemi terapeutici ha una efficacia di eradicazione del 100% e comunque l’efficacia in età pediatrica è inferiore rispetto a quella negli adulti; 2) pochi dei farmaci utilizzati sono approvati per l’uso pediatrico; 3) esiste un rischio reale di induzione di ceppi antibiotico-resistenti di Hp ed anche di altri batteri; 4) non essendo la terapia risolutiva dei sintomi nell’immediato, il rapporto costi benefici è allo stato attuale a sfavore della pratica di un trattamento non control-lato.Il più recente Maastricht III 2007, confermando quanto riportato nel-le precedenti linee-guida, raccomanda di eradicare un bambino Hp infetto nel caso di sintomi gastrointestinali alti, ed in più in presenza di anemia sideropenica refrattaria al trattamento, dopo l’esclusione di tutte le altre possibili cause.

Come trattare?Le linee guida NASPGHAN raccomandano come prima scelta l’uso di una triplice terapia (due antibiotici + un acido-soppessore, som-ministrati bidie) per la durata di 1-2 settimane. I regimi terapeutici suggeriti sono indicati nella Tabella IV. Il regime terapeutico di se-conda scelta, in caso di fallimento della terapia eradicante o reinfe-zione, consiste nella quadruplice terapia con l’aggiunta del bismuto e l’eventuale utilizzo delle tetracicline nei bambini di età > 12 anni. Le seguenti conclusioni venivano riportate sulla base dei dati raccol-ti mediante il Registro Europeo Pediatrico per il trattamento dell’Hp (PERTH) (Oderda et al., 2007): 1) il regime terapeutico più adeguato per l’infezione da Hp nel bambino non è stato ancora trovato; 2) le terapie usate nell’adulto non sembrano essere altrettanto efficaci nel bambino; 3) nella triplice terapia l’uso del Bismuto è più efficace rispetto all’uso dell’Omeprazolo sebbene quest’ultimo sia il più uti-lizzato; 4) 2 settimane di terapia non sono più efficaci di 1 settimana di terapia; 5) la raccomandazione di utilizzare una triplice terapia contenente un inibitore di pompa protonica (IPP) per la durata di 2 settimane suggerita nelle precedenti linee-guida (NASPGHAN 2000 e Canadian Consensus Group 2005) è inadeguata. Il miglior trat-tamento dovrebbe essere scelto in accordo al test di suscettibilità antibiotica, quando possibile, o in accordo alle conoscenze relative all’antibiotico-resistenza presente nella regione di provenienza del bambino.

Novità in tema di terapiaDue piccoli trials, condotti presso lo stesso centro, hanno valutato l’efficacia di un nuovo trattamento che prevede l’uso sequenziale di 3 antibiotici per la durata di 10 giorni (Lionetti et al., 2006; Franca-villa et al., 2005) con un tasso cumulativo di eradicazione dell’88.5% (Zullo et al., 2007); tali risultati sebbene promettenti necessitano di ulteriori conferme su più ampia scala.

Tabella IV.

Terapia eradicante di prima scelta nel bambino.

(Linee guida NASPGAHN 2000)

IPP (1-2 mg/kg/die) + amoxicillina (50 mg/kg/die) + claritromcina (15 mg/kg/die)

IPP (1-2 mg/kg/die) + amoxicillina (50 mg/kg/die) + metronidazolo (20 mg/kg/die)

IPP (1-2 mg/kg/die) + metronidazolo (20 mg/kg/die) + claritromicina (15 mg/kg/die)

Per la durata di 1- 2 settimane

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L’Helicobacter pylori oggi

Un altro nuovo regime terapeutico promettente è stato riportato in uno studio effettuato in Russia dove un tasso di eradicazione dell’86% veniva raggiunto utilizzando bismuto, nifuratel ed amoxicil-lina per 10 giorni (Nijevitch et al., 2007). Tuttavia, l’unica metanalisi relativa all’efficacia della terapia eradicante in età pediatrica, pubbli-cata nel 2007, conclude dicendo che nuovi studi RCT sono necessari soprattutto nei paesi in via di sviluppo (Khurana et al., 2007).

Studi recenti hanno valutato l’efficacia dei probiotici (Lactobacillus e Bifidobacterium) in soggetti Hp positivi (Lionetti et al., 2006; Franca-villa et al., 2008). I probiotici non sono da soli in grado di eradicare l’Hp ma mantengono bassi i livelli del patogeno nello stomaco; in combinazione con gli antibiotici sono in grado di aumentare il tasso di eradicazione e ridurre gli eventi avversi associati alla terapia era-dicante (Gotteland et al., 2006; Franceschi et al., 2007).

Cosa si sapeva prima• L’Hp interessa più della metà della popolazione mondiale essendo prevalente nei paesi in via di sviluppo.• Nell’ambito dei test diagnostici l’endoscopia rappresenta il gold standard per la ricerca dell’infezione. L’UBT pur essendo un test accurato necessita

di validazione in età pediatrica.• Le indicazioni principali al trattamento dell’Hp nel bambino sono: ulcera gastrica-duodenale, gastrite atrofica/metaplasia, MALT linfoma.• La triplice terapia composta da IPP + 2 antibiotici per la durata di 2 settimane rappresenta il trattamento eradicante di prima scelta in età pedia-

trica.

Cosa si sa adesso• Negli ultimi anni progressiva riduzione dell’infezione da Hp nei paesi industrializzati.• Si ribadisce l’assenza di associazione tra DAR e infezione da Hp.• La validità dell’UBT viene confermata anche nei bambini più piccoli, tuttavia ulteriori studi sono necessari per la fascia di età < 2 anni.• Il Maastricht 2007 aggiunge alle indicazioni allo screening e al trattamento dell’infezione da Hp nel bambino la presenza di anemia sideropenica

refrattaria. Tuttavia, dati ancora più recenti sembrerebbero a sfavore della presenza di una relazione causale tra Hp e anemia sideropenica.• Conclusioni derivanti dal PERTH nel 2007 indicano che 1) nell’ambito della triplice terapia il bismuto è più efficace dell’omeprazolo; 2) 2 settimane

di terapia non sono più efficaci per l’eradicazione rispetto ad 1 settimana; 3) maggiore efficacia delle terapie somministrate sulla base del test di suscettibilità agli antibiotici.

• La terapia sequenziale di 10 giorni sembra promettente in età pediatrica ma sono necessari studi su più ampia scala.• I probiotici non sono in grado di eradicare l’Hp ma combinati agli antibiotici favoriscono l’eradicazione e riducono gli effetti collaterali della terapia.

Quali ricadute sulla pratica clinica • Non è corretto screenare per infezione da Hp tutti i bambini affetti da DAR in quanto non esistono evidenze di associazione tra gastrite da Hp e DAR

o dispepsia tranne che in presenza di ulcere duodenali o gastriche.• In caso di identificazione endoscopica di Hp il trattamento va sempre proposto.• 1 settimana di terapia è sufficiente ad ottenere l’eradicazione riducendo i problemi derivanti dai possibili effetti collaterali dei farmaci.• Una terapia mirata basata sulla conoscenza dei dati di suscettibilità antibiotica del germe è sempre auspicabile nel bambino.

Box di orientamento

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** Studio propettico randomizzato controllato che dimostra l’efficacia della tera-pia eradicante sequenziale di 10 giorni e valuta gli effetti dell’aggiunta del lat-tobacillus reuteri alla terapia antibiotica eradicante.

Malaty HM, Abudayyeh S, Graham DY, et al. A prospective study for the associa-tion of H Pylori infection to a multidimensional measure for recurrent abdominal pain in children. Helicobacter 2006;11:250-7.

Malfertheiner P, Megraud F, O’Morian C, et al. Current concepts in manage-ment of Helicobacter pylory infection- The Maastricht III Consensus report. Gut 2007;56:772-81.

** Aggiornamento basato sull’evidenza delle lineeguida dell’adulto sul manage-ment dell’infezione da Hp stilate dallo European Hp Study Group. Tale documento contiene una breve sezione dedicata all’età pediatrica.

Megraud F and the European Pediatric Task Force. Compaison of non-invasive tests to detect Hp infection in children and adolescents: results of a multicenter European study. J Pediatr 2005;146:198-203.

** Importante studio multicentrico aperto prospettico europeo che valuta sensibil-ità, specificità, valore predittivo positivo e negativ di 4 test diagnostici non invasivi (UBT, antigene fecale, anticorpi in siero e urine rispetto al gold standard costituito dall’istologia). L’UBT si rivela un test eccellente per la diagnosi di Hp nel bambino.

Nijevitch AA, Sataev VU, Akhmadeyeva EN, et al. Nifuratel-containing initial anti-Helicobacter pylori triple therapy in children. Helicobacter 2007;12:132-5.

* Studio prospettico che mostra per la prima volta l’efficacia e la buona tollera-bilità di un nuovo regime terapeutico contente il nifuratel.

Oderda G, Shcherbakov P, Bontems P, et al. Results from the Pediatric European Register for treatment of Hp (PERTH). Helicobacter 2007;12:150-6.

** Tale lavoro deriva dall’analisi dei dati riportati nel registro europeo per il trat-tamento dell’Hp nel bambino, creato nell’ambito dell’ESPGHAN e disponibile sul website ESPGHAN. I risultati rispecchiano la pratica clinica di gestione terapeu-tica del bambino Hp infetto da parte dei medici europei.

Puz S, Innerhofer A, Ramharter M, et al. A novel noninvasive genotyping method of Helicobacter pylory using stol specimens. Gastroenterology 2008;135:1543-51.

** Lo studio introduce per la prima volta una nuova metodica per la tipizzazi-one genotipica dell’Hp su campioni fecali. Tale metosdica risulta efficace per l’individuazione del geme e della via di trasmissione dell’infezione.

Rowland M, Daly L, Vaughan M, et al. Age-specific Incidence of Helicobacter Pylori. Gastroenterology 2006:130:65-72.

** Primo studio prospettico sull’ incidenza dell’infezione da Hp in età pediatrica. Gli Autori riportano che il rischio di infezione è alto prima dei 3 anni e si riduce dopoi 5 anni. Madre, fratello maggiore, uso del biberon fino ai 2 anni rappresen-tano fattori di rischi indipendenti di infezione.

Sarker SA, Mhmud H, Davidsson L, et al. Causal relationship of Helicobacter pylori with iron deficiency anemia or failure of supplementation in children. Gas-troenterology 2008;135:1534-42.

** Studio randomizzato controllato su larga scala che evidenzia l’assenza di cor-relazione tra infezione da Hp e anemia sideropriva.

Tkachenko MA, Zhannat NZ, Erman LV, et al. Dramatic changes in the prevalence of H pylori infection during childhood: a 10 year follow-up study in Russia. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2007;45:428-32.

Weyermann M, Rothenbacher D, Brenner H. Acquisition of H pylori infection in early childhood: independent contribution of infected mothers fathers and sib-lings. Am J Gastroenterol 2009;104:182-9.

* Review sistematica che valuta il ruolo indipendente dello stato di infezione di genitori, e fratelli nella trasmissione dell’Hp tra bambini e l’acquisizione dell’infezione entro i 4 anni di vita in un ampio studio prospettico di cohorte.

Yokota S, Konno M, Mino E, et al. Enhanced Fe ion-uptake activity in Hp strains isolated from patients with iron deficiency anemia. Clin Infect Dis 2008:46:e31-3.

Zullo A, De Francesco V, Hassan Cesare, et al. The sequential therapy regimen for Hp eradication: a pooled-data analysis. Gut 2007;56:1353-7.

* Metanalisi sui dati relativi all’efficacia della terapia sequenziale nell’adulto e nei bambini. L’analisi dei dati pubblicati mostra che la terapia sequenziale della durata di 10 giorni induce tassi di eradicazione più elevati rispetto alla triplice terapia.

prof. Salvatore Auricchio, Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II”, via S. Pansini 5, 80131 Napoli. E-mail: [email protected]

Corrispondenza

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Nuove tecniche di imaging ed endoscopiche in Gastroenterologia

Erasmo Miele, Carlo Di Lorenzo*

Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli “Federico II”; *Division of Pediatric Gastroenterology, Nationwide Children’s Hospital, The Ohio State University, USA

RiassuntoI progressi delle tecniche di imaging del tratto gastrointestinale stanno determinando il rapido sviluppo della diagnostica delle malattie gastroenterologi-che. L’enterografia o l’enteroclisi con risonanza magnetica (RM) offrono un grande potenziale per la diagnosi ed il follow-up delle malattie infiammatorie intestinali (IBD), con il vantaggio di evitare l’esposizione alle radiazioni. La capsula endoscopica (CE) dovrebbe essere la metodica più sensibile per il rilievo di alterazioni della mucosa del piccolo intestino, ma la sua specificità è ancora dibattuta. L’enteroscopia a doppio pallone (EDP) è un nuovo e stimolante strumento che offre i vantaggi di poter effettuare biopsie ed essere operativa lungo tutto il tratto gastrointestinale. Tecniche avanzate di imaging, che includono la cromoendoscopia, la magnificazione endoscopica, l’endomicroscopia confocale potrebbero essere di aiuto nella diagnostica dei disordini gastrointestinali. Infine, la tomografia ad emissione di positroni potrebbe rappresentare un nuovo strumento diagnostico utile soprattutto nelle IBD. L’utilità in gastroenterologia pediatrica di tutte queste nuove tecniche diagnostiche sarà discussa in questa review.

SummaryAdvances in imaging techniques for gastrointestinal tract are driving the rapid development of modalities for diagnosing and assessing the gastrointestinal diseases. Magnetic resonance (MR) enterography has shown great potential for the diagnosis of inflammatory bowel diseases (IBD) and assessment of its distribution, with the benefit of avoiding radiation exposure. Capsule endoscopy might be the most sensitive modality for the detection of mucosal small bowel disease, but its specificity remains in question. Double-balloon enteroscopy is an exciting new tool that has the distinct advantage of enabling biopsy or treatment of lesions detected during the procedure. Advanced imaging techniques, including chromoendoscopy, magnification endoscopy, and confocal endomicroscopy may aid in the diagnosis of GI disorders. Finally, positron emission tomography is an investigative tool for that may also aid in the detection of inflammation in IBD in the next future. We will discuss all these new imaging techniques for diagnosing pediatric gastrointestinal diseases this review.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 147-152 GAStROENtEROLOGIA

IntroduzioneRecenti progressi in tecniche endoscopiche e di imaging potranno rivoluzionare la diagnosi di alcune patologie del tratto gastroin-testinale in età pediatrica. La RM-enterografia ha modificato la modalità di valutazione radiologica non invasiva del tratto ga-strointestinale. Questa tecnica offre il vantaggio, rispetto al tra-dizionale tenue seriato, di fornire informazioni sia luminali che extraluminali. In particolare, la RM evita l’esposizione a radiazioni, caratteristica estremamente rilevante in età pediatrica. I progressi dell’endoscopia negli ultimi 5 anni sono rappresentati dall’utilizzo della videocapsula endoscopica (CE) e dall’enteroscopia a doppio pallone (EDP). Queste tecniche si vanno ad aggiungere a quelle già a disposizione del gastroenterologo pediatra per la valutazione del piccolo intestino, anche se il loro esatto ruolo negli algoritmi diagnostici deve essere ancora definito. Inoltre, lo straordinario sviluppo tecnologico ha permesso la realizzazione di una nuova generazione di endoscopi ad alta risoluzione, che utilizzano l’elet-tronica applicata all’immagine, con notevole miglioramento delle capacità diagnostiche (endoscopia ad alta risoluzione, a banda stretta con magnificazione, endomicroscopia confocale, cromoe-ndoscopia).Nonostante le notevoli capacità nel delineare piccole alterazioni strutturali, le correnti tecniche di imaging non sono ancora in gra-do di evidenziare molti stati patologici precoci di malattia. Per tale motivo, nel prossimo futuro, l’utilizzo di ulteriori metodiche in grado di fornire informazioni sull’attività molecolare (tomografia ad emis-sione di positroni) negli stati fisiologici e patologici potrà aumentare

la nostra capacità di evidenziare e caratterizzare diverse alterazioni del tratto gastrointestinale. In questa review saranno discusse queste nuove tecniche di imaging ed endoscopiche e saranno inoltre valutate le principali e possibili applicazioni in gastroenterologia pediatrica.

Obiettivi e metodologia della ricerca bibliografica effettuata

Questa review si propone di illustrare le moderne tecniche di ima-ging ed endoscopiche, evidenziandone i possibili vantaggi in ga-stroenterologia pediatrica.È stata realizzata una ricerca bibliografica degli ultimi 5 anni, uti-lizzando il motore di ricerca PubMed, con le seguenti parole chiave e termini Medical Subject Heading (MeSH) da soli o in combinazio-ne: “MR enterography”, “MR colonography”, “capsule endoscopy”, “doubleballoon endoscopy”, “magnification endoscopy”, “confocal endomicroscopy and chromoendoscopy”, “narrow band imaging” e “positron emission tomography”.

Tecniche di imaging

La risonanza magnetica Per diversi anni, la RM del piccolo intestino ha rappresentato un campo inesplorato della diagnostica gastrointestinale. Dal 1998 il numero di pubblicazioni relativo a tale metodica è aumentato pro-

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E. Miele, C. Di Lorenzo

gressivamente. Le difficoltà incontrate all’inizio erano dovute so-prattutto all’inadeguatezza degli scanner a realizzare indagini in assenza di artefatti legati al movimento. Con lo sviluppo di nuovi hardware e software che hanno ovviato a questo inconveniente, si è aperto un nuovo panorama di indicazioni all’utilizzo di tale metodica. L’alta risoluzione di contrasto del tessuto morbido, l’acquisizione di immagini multiplanari e la possibilità di ottenere informazioni fun-zionali rendono la RM un’interessante tecnica di imaging per la va-lutazione delle patologie del piccolo intestino. L’assenza di radiazioni ionizzanti costituisce un’importante caratteristica delle indagini RM dato che malattie infiammatorie, quali la malattia di Crohn (MC), ri-chiedono studi ripetuti, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti. Il maggiore vantaggio della RM paragonato alle tecniche radiografiche tradizionali è la diretta visualizzazione della parete del piccolo in-testino. Questa caratteristica cambia drammaticamente il processo di interpretazione dell’immagine. Il radiologo deve spostare la sua attenzione dall’analisi del profilo mucosale e dal calibro del lume alla valutazione diretta dello spessore della parete intestinale e delle alterazioni infiammatorie parietali. La distensione intestinale è un prerequisito importante per qualsiasi studio del piccolo intestino, per tale motivo, ne sono stati studiati diversi metodi. Gli approcci per la RM del piccolo intestino sono due: 1) studio successivo alla somministrazione orale di mezzo di contrasto (Enterografia) (Fig. 1); e 2) studio successivo alla distensione luminale ottenuta con mezzo di contrasto introdotto con sondino nasogastrico (Enteroclisi) (Lei-ghton, 2006). I mezzi di contrasto utilizzati sono classificati in ac-cordo alla loro apparenza nelle sequenze dipendenti in T1 e in T2. Mezzi di contrasto negativi producono un segnale di bassa intensità sia nelle immagini dipendenti in T1 che in T2, mentre un contrasto positivo nelle stesse sequenze produce un segnale di alta intensità. Infine, mezzi di contrasto bifasici risultano di bassa intensità in una sequenza e di alta nella restante. La maggior parte dei mezzi di con-trasto bifasici presenta un basso segnale di intensità nelle immagi-ni dipendenti in T1 ed un alto segnale nelle immagini in T2 (Fidler,

2007). Nella scelta del mezzo di contrasto, diversi autori concordano che per l’enterografia pediatrica debbano essere preferiti agenti bi-fasici quali il PEG 4000 o altre soluzioni acquose non riassorbibili. L’uso endovenoso di chelati del gadolinio, mezzo di contrasto posi-tivo, risulta essere utile per la valutazione dello stato di attività. Gli studi iniziali della RM realizzati nelle IBD hanno correlato il reperto radiologico con i risultati della ileocolonoscopia e degli indici di atti-vità di malattia (Paolantoni et al., 2009). In studi pediatrici, la RM-enterografia ha mostrato una sensibilità dell’84-96% e una specificità del 92-100% per la diagnosi di malattia infiammatoria cronica o ileite erosiva in quelli sottoposti a ileocolono-scopia (Laghi et al., 2003). Al momento, non vi è nessuna evidenza che dimostri la superiorità della RM enteroclisi rispetto alla RM-enterografia in pazienti pediatrici con sospetta MC. Il riconoscimento di una stenosi mediante RM risulta essere agevole, considerando che il normale dia-metro del piccolo intestino è di circa 2.5 cm (Fig. 1). La RM è in grado di differenziare una stenosi fibrosa di lunga durata (strato intestinale sot-tile ipo-intenso in assenza di enhancement del contrasto) che richiede terapia chirurgica, da una stenosi infiammatoria (con enhancement del contrasto) che può beneficiare della terapia medica. La RM, inoltre, è diventata la metodica di scelta per la valutazione delle fistole perianali e delle complicanze della MC. Infatti, essa può definirne l’estensione e la localizzazione della malattia, fornendo informazioni essenziali per il trattamento chirurgico (Dabarbari et al., 2004). Uno dei principali limiti della RM è costituito dalla inferiore risoluzione spaziale e temporale rispetto alla tomografia assiale computerizzata (TC). Grazie ai moderni TC scanner, è possibile ottenere con un singolo atto respiratorio immagini dell’addome dai 2 ai 3 mm di ottima defini-zione, invece lo spessore delle scansioni ottenuto con i moderni scan-ner RM va dai 4 ai 6 mm e talvolta la loro acquisizione richiede diverse interruzioni del respiro. Ciò determina una riduzione della risoluzione temporale e della qualità delle immagini, soprattutto in un paziente non collaborante, quale il bambino. Attualmente, esistono dati limitati che paragonano la RM con la TC enterografia o enteroclisi (Bruining et al., 2008). Esiste un unico studio prospettico, condotto su 50 pazienti adulti affetti da diversi disordini del piccolo intestino, che ha dimo-strato una sensibilità più alta della TC enteroclisi rispetto a quella RM (Schmidt et al., 2003). Comunque, dati definitivi che paragonino la TC, la RM ed eventualmente la CE, al momento, mancano. La RM colonografia è stata valutata quale alternativa diagnostica alle tecniche endoscopiche in pazienti con sospetta o accertata IBD. Le conclusioni degli studi finora condotti in pazienti adulti risultano essere discordanti. Infatti la sensibilità della tecnica varia dal 31% all’84%. Per tale motivo il suo ruolo negli algoritmi diagnostici e nel discernere una colite da MC da una colite ulcerativa rimangono in-certi (Schreyer et al., 2005). In conclusione, la RM offre grosse potenzialità nello studio del picco-lo intestino. La RM-enterografia è una tecnica accurata e non inva-siva per la diagnosi ed il follow-up della MC e delle sue complicanze in età pediatrica. Al momento, la RM-colonografia rappresenta solo una prospettiva.

Tecniche Endoscopiche

La videocapsula endoscopicaLa CE rappresenta una delle più recenti invenzioni che ha già di-mostrato di avere notevole impatto sul work-up diagnostico delle malattie gastrointestinali, in particolar modo quelle del piccolo in-testino, che non possono essere facilmente esplorato dalle tecni-che endoscopiche tradizionali. Dall’approvazione del suo uso nei

Figura 1.RM-enterografia dopo distensione con PEG: reperto di stenosi ileale (cerchio; sequenza dipendente in T2) in un ragazza di 14 anni affetta da malattia di Crohn Ileo-colonica.

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Nuove tecniche di imaging ed endoscopiche in Gastroenterologia

bambini (10-18 anni), avvenuta negli Stati Uniti nel 2003, sono stati pubblicati diversi studi relativi ai campi di applicazione di questo test diagnostico in gastroenterologia pediatrica. Il sistema include tre componenti: la CE, un’antenna ricevente ester-na (rappresentata da 8 sensori), collegata ad un hard disc portatile (data recorder) e una PC workstation con software dedicato per la revisione e l’interpretazione delle immagini. La CE (11 mm ×26 mm, 3,64 g) è costituita da un chip che cattura le immagini, una lente focale corta, una fonte luminosa di 6 diodi luminosi, 2 batterie ed un trasmettitore telemetrico. Le caratteristiche delle immagini sono: un campo di visione di 1400, una magnificazione di 1:8, una profondità di visione da 1 a 30 mm, e una misura minima di rilevazione di circa 0,1 mm. La CE attivata fornisce immagini, a una frequenza di 2 scatti per secondo fino ad esaurimento delle batterie, dopo circa 8 ore, permettendo al dispositivo di collezionare fino a 55.000 im-magini. I pazienti da sottoporre all’indagine dovrebbero digiunare per 12 ore prima di deglutire la CE. Dovrebbe essere effettuato un lavaggio intestinale, come per una colonoscopia. Non è stato ancora determinato quale sia la migliore preparazione intestinale, sembra che l’uso di polietilenglicole, di sodio picosolfato, di solfato di sodio, o di simeticone possa migliorare la qualità delle immagini. Al pazien-te è concesso bere liquidi chiari 2 ore dopo l’ingestione della CE e assumere un pasto leggero 4 ore dopo. La principale limitazione dell’uso in età pediatrica è data dalla inca-pacità di deglutire la CE, che ha dimensioni non trascurabili. Per tale motivo, in casi selezionati, si preferisce utilizzare la metodica, che permette il rilascio della CE al di là del piloro per mezzo di una esofa-gogastroduodenoscopia tradizionale. Con tale tecnica, si evita inoltre lo stazionamento della CE nello stomaco, che talvolta prolungandosi, non consente la visione completa di tutto il piccolo intestino. La letteratura sull’uso della CE in età pediatrica è limitata. Negli adulti, le principali indicazioni includono il sanguinamento gastroin-testinale oscuro (SGIO), l’anemia sideropenica, la sospetta MC, i tu-

mori del piccolo intestino e la malattia celiaca refrattaria. Allo stesso modo, nei bambini, le principali indicazioni includono il SGIO e la sospetta MC, anche se molte altre possibili indicazioni all’uso della CE sono riportate in Tabella (Shamir et al., 2008). La maggior parte degli studi condotti in età pediatrica riguardano l’utilizzo della CE nella diagnosi della MC. In uno studio prospettico pediatrico sulla diagnosi delle patologie del piccolo intestino, la CE ha dimostrato la presenza di lesioni multiple riferibili a MC in 10 dei 20 soggetti arruolati (Guilhon de Araujo Sant’Anna et al., 2005). In un altro studio, la CE veniva utilizzata in bambini con sospetta MC, non evidenziabile con le tecniche endoscopiche e radiologiche tradizionali, risultando essere diagnostica in sette dei 12 pazienti arruolati ed evi-denziando lesioni soprattutto dell’ileo (Arguelles-Arias et al., 2004). Un ulteriore studio prospettico in 16 bambini, che paragonava l’utilità della CE nella diagnosi della MC rispetto alle tecniche endoscopiche e radiologiche tradizionali, concludeva che la CE e la ileocolonoscopia risultavano essere complementari nella definizione dell’estensione della malattia (Thomson et al., 2007). In una revisione di 46 proce-dure, in 7 di 9 bambini, in cui si poneva una nuova diagnosi di MC, il trattamento veniva modificato in seguito al reperto della CE (Moy et al., 2007). In un recente studio retrospettivo italiano, che include la più ampia casistica di pazienti pediatrici (87 soggetti, range d’età: 18 mesi-18 anni), la CE è risultata essere uno strumento molto utile nella diagnostica delle patologie del piccolo intestino. L’alta frequenza di procedure positive riscontrata veniva attribuita alla selezione accurata delle indicazioni all’esame (de Angelis et al., 2007). Recentemente la Società Nord Americana di Gastroenterologia, Epa-tologia e Nutrizione Pediatrica (NASPGHAN) ha concluso, basandosi tuttavia sulla letteratura dell’adulto, che la sensibilità della CE nel-l’identificare ulcerazioni o stenosi del piccolo intestino, sembra essere superiore al tenue seriato ed all’enteroclisi (Bousvaros, 2007) (Fig. 2). Il principale evento avverso legato all’uso della CE è rappresentato dalla possibile ritenzione della capsula dovuta a stenosi, riportata anche in età pediatrica. Il previo utilizzo della capsula patency, con-sigliato dal produttore in caso di sospetta stenosi, potrebbe, tuttavia, ovviare a questo inconveniente. Questa capsula, costituita da un polimero solubile, contente una barretta radio-opaca, viene escreta intatta, a meno che non venga bloccata da una stenosi, nel qual caso, si disintegra entro 40 ore (El-Matary, 2008). In conclusione, la CE è un promettente strumento per la diagnostica del piccolo intestino. Allo stato attuale, il suo uso in età pediatrica è raccomandato nella diagnosi della MC del piccolo intestino, en-doscopicamente negativa. Ulteriori studi pediatrici sono auspicabili per verificare l’utilità e l’applicabilità della CE nelle altre affezioni del piccolo intestino.

tabella I.Potenziali indicazioni della CE in Gastroenterologia pediatrica.

Infiammazioni intestinali

• Malattia di Crohn• Malattia celiaca

Sanguinamenti intestinali occulti o oscuri

• Malformazioni vascolari• Vasculiti (Porpora Henoch-Schönlein)• Diverticolo di Meckel

Enteropatia proteino-disperdente

• Linfangectasia intestinale

Miscellanea

• Sindrome di Peutz-Jeghers• Poliposi familiare e non familiare• Enteropatia eosinofila• Allergia alimentare

Danni mucosali

• Farmaci• Chemioterapia• Radioterapia• Graft versus host disease

Neoplasie

Dolore addominale cronico

Figura 2.Videocapsula endoscopica: ulcerazione della mucosa ileale (cerchio) in un ragazzo di 14 anni affetto da malattia di Crohn ileale endoscopica-mente negativa.

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E. Miele, C. Di Lorenzo

L’enteroscopia a doppio palloneAgli inizi del 2001, Yamamoto et al riportarono lo sviluppo del meto-do a doppio pallone come nuova tecnica di inserzione enteroscopica che consente l’osservazione dell’intero piccolo intestino (Yamamoto, 2001). Successivamente, nel 2003, veniva descritto un nuovo siste-ma di EDP per la diagnosi ed il trattamento dei disordini del piccolo intestino (Yamamoto, 2003). L’EDP consiste di un endoscopio di 200 cm di lunghezza con un pal-lone all’estremità finale, un tubo esterno flessibile di 145 cm con un ulteriore pallone, e un sistema pneumatico che permette di gonfiare e sgonfiare i palloni. In pratica, dopo aver spinto la sonda fino a che è possibile avanzare si gonfia il palloncino per ancorare l’endoscopio al punto di arrivo, dopodiché si fa avanzare il tubo esterno che “irri-gidisce” il sistema e, gonfiato anche il secondo palloncino, si opera una lieve trazione per “raddrizzare” le volute che si sono create con il primo avanzamento; a questo punto, mantenendo gonfio il palloncino del tubo coassiale e sgonfiando quello dell’enteroscopio si ricomincia da capo. In questo modo, raccogliendo man mano il piccolo intesti-no sullo strumento è possibile esplorare l’intero tratto intestinale. La procedura può essere eseguita sia oralmente che analmente (Fig. 3). Il tempo medio di procedura nell’adulto ed in mani esperte è di circa 115 min, con l’86% di esami completati. Nonostante la sua natura invasiva, il vantaggio della EDP rispetto alla CE è rappresentato dalla capacità di ottenere biopsie e di essere eventualmente operativa. I rischi legati alla EDP sono gli stessi dell’endoscopia tradizionale, quali perforazione e danni derivanti da sedazione prolungata. Nell’adulto, l’uso della EDP si sta rapidamente sviluppando, ma nel bambino resta piuttosto limitato. May et al. hanno riportato i risultati di uno studio prospettico di fattibilità in 137 pazienti adulti con sospetta malattia del piccolo intestino. Il rendimento della EDP è stato dell’80% (109 su 137 pazienti), facendo porre una nuova diagnosi nel 34% dei casi (in 47 su 137 pazienti). In 18 pazienti veniva posta diagnosi di MC (May et al., 2005). In un più recente studio di coorte su 40 pazienti adulti con MC, l’EDP è risultata essere superiore al tenue seriato o all’enteroclisi nell’evidenziare erosioni o piccole ulcerazioni nell’ileo distale (Oshi-tani, 2006). Il potenziale terapeutico della EDP è stato evidenziato da reports su dilatazioni di stenosi e sul recupero di CE ritenute (Fig. 4). In uno studio retrospettivo di Leung, sono state valutate procedure con EDP, condotte in 26 pazienti (14 anterograde, 16 retrograde, 4 sia anterograde che retrograde). Cinque soggetti erano più giovani dei 10 anni di età, 10 presentavano un’età compresa tra gli 11 e i 20 anni, e 11 tra i 21 e i 29 anni. Le indicazioni alla EDP includevano: sanguina-mento gastrointestinale, dolore addominale ricorrente, MC, tubercolosi intestinale e vomito con evidenza radiologica di stenosi. Per i pazienti

con sanguinamento (8 soggetti), la diagnosi era di porpora di Schon-lein-Henoch in 3, anomalie vascolari in 2, polipo in 1, sanguinamento diffuso da anticoagulanti in 1, e indeterminata in 1. Per i pazienti con dolori addominali (9 soggetti) la diagnosi era di enteropatia eosinofila in 4, porpora di Schonlein- Henoch, ulcerazione del piccolo intestino in 2, ileite aspecifica in 1, e duplicazione intestinale in 1. Sei pazienti con sospetta MC, furono sottoposti alla EDP per stadiazione delle lesio-ni del piccolo intestino. Un paziente affetto da tubercolosi intestinale veniva sottoposto alla EDP per valutare una stenosi a 200 cm dalla valvola ileo-cecale. Due pazienti venivano sottoposti alla procedura per sospetta stenosi del piccolo intestino e vomito, ma non furono evidenziate lesioni specifiche (Leung, 2007).In conclusione, l’EDP è un sistema innovativo per lo studio del pic-colo intestino, attualmente accettato nell’adulto. Nella popolazione pediatrica l’EDP non è ancora ampiamente utilizzata, e comunque il suo uso è limitato da diversi fattori: mancanza di opportunità di trai-ning per i gastroenterologi pediatri; mancanza di strumenti dedicati al bambino e basso rapporto costo/efficacia dell’indagine, dovuto al numero molto ridotto di indicazioni.

Il futuro delle tecniche di imaging ed endoscopiche? È già iniziato!Sebbene l’endoscopia ottica sia notevolmente migliorata negli ultimi anni, vi è l’esigenza di una migliore qualità di immagine per identifi-care lesioni minime attribuibili a displasia o a cancro colo-rettale so-prattutto nei pazienti affetti da IBD di lunga durata. Diverse tecniche sono state ideate e la cromoendoscopia è risultata essere la tecnica di maggiore successo. La cromoendoscopia offre il potenziale van-taggio di migliorare la sensibilità della sorveglianza colonosocopica per neoplasia permettendo le biopsie mirate di mucosa che appare anormale. La cromoendoscopia è una metodica che si basa sull’uti-lizzo di coloranti specifici impiegati durante gli esami endoscopici per individuare con maggior precisione displasie e carcinomi. I co-loranti utilizzati possono essere distinti in 4 categorie fondamentali: vitali, che vengono assorbiti dalla mucosa, di contrasto, reattivi e per tatuaggi. Trial prospettici in pazienti adulti affetti da colite ulcerativa hanno riportato una migliore identificazione di displasia con l’uso di blu di metilene e indigo carminio (Kiesslich, 2003; Rutter, 2004).

Figura 3.Enteroscopio a doppio pallone.

Figura 4. Endoscopia a doppio pallone: emangioma del piccolo intestino in una ragazza di 14 anni con anemia sideropenica e sangue occulto positivo. La lesione era stata identificata dalla CE e rilevata dalla EDP a 315 cm oltre il piloro (ileo medio).

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Nuove tecniche di imaging ed endoscopiche in Gastroenterologia

La endomicroscopia laser confocale è una ulteriore tecnica che facili-ta la visione della mucosa colonica. Un endomicroscopio rappresenta l’integrazione di un microscopio laser confocale sull’estremità di un colonoscopio convenzionale (EC3870K; Pentax, Tokio, Japan). Tale integrazione permette l’identificazione in-vivo delle microstrutture cellulari e subcellulari e consente, quindi, una diagnosi istologica di tessuto in-vivo ed in tempo reale. Queste caratteristiche rendono la microscopia confocale endoscopica potenzialmente utile nella diagno-si precoce di lesioni tumorali o displastiche, così come nella ottimiz-zazione delle biopsie e del trattamento endoscopico resettivo mirato. Uno studio pilota realizzato applicando la cromoendoscopia associata all’endomicroscopia laser confocale nello screening per cancro colon-rettale ha dimostrato che questa tecnica può predire la presenza di alterazioni neoplastiche con grande accuratezza (Kiesslich, 2004). Endoscopia ad alta risoluzione (HR) è un termine coniato per de-scrivere l’avvento dell’elettronica applicata ai videoendoscopi e rappresenta un ulteriore miglioramento delle proprietà meccaniche e del campo di visione dei precedenti endoscopi. La risoluzione di un’immagine endoscopica differisce dalla magnificazione e viene definita come capacità di distinguere due punti vicini. L’alta risolu-zione migliora la definizione del dettaglio, mentre la magnificazione ingrandisce l’immagine (fino a 100 volte) che oltre certi livelli perde di qualità. Un’ulteriore applicazione dell’elettronica all’endoscopia è rappresentata dal sistema Narrow Band Imaging (NBI) (Olympus Optical Co Ltd). L’NBI è un sistema nel quale le caratteristiche spet-trali vengono modificate dal restringimento, per mezzo di filtri ottici, della larghezza della banda spettrale di trasmissione. L’NBI modifi-cata permette un migliore contrasto delle strutture, quali superficie mucosale e microvasi, senza la necessità di colorazioni. L’NBI usa due bande di luce: una blu a 415 nm ed una verde a 540 nm. La banda ristretta blu evidenzia la rete capillare superficiale, mentre la luce verde evidenzia quella sottoepiteliale e quando combinate offrono un contrasto di immagine estremamente alto della superfi-cie tissutale. L’HR-NBI rappresenta una tecnica molto promettente che può aumentare le possibilità di riconoscere lesioni neoplastiche precoci del tratto gastrointestinale ed aiutare ad effettuare biopsie mirate nella sorveglianza di alcune condizioni a rischio. Al momento, tuttavia, sia nell’adulto che nel bambino, non esistono studi che per-

mettono di definire l’ambito di impiego di questa nuova tecnologia nelle diverse patologie gastrointestinali (Larghi et al., 2008).Nell’ambito delle tecniche di imaging, quella molecolare, cioè il ri-lievo, la localizzazione spaziale, e la quantizzazione di specifici ber-sagli molecolari e di eventi che sono alla base di diverse patologie, rappresenta un campo promettente che di sicuro verrà sviluppato nel prossimo futuro. La tomografia ad emissione di positroni (PET) è una delle tecniche di imaging molecolare e rappresenta un’attraente metodica non invasiva che non richiede la preparazione intestinale ed espone il paziente a minori radiazioni del tenue seriato. Essa è capace di rilevare allo stesso tempo aree infiammate del piccolo in-testino e del colon. La PET prevede l’uso di isotopi emettenti positro-ni, quali il fluoro- 2-desossi-glucosio marcato con fluorina 18 (FDG), che possono aiutare a definire l’attività di infiammazione soprattutto nelle IBD. Uno studio in età pediatrica condotto su 65 bambini (55 con IBD, 10 con dolore addominale ricorrente) ha paragonato l’effi-cacia della FDG-PET verso il tenue seriato e la colonoscopia nel ri-levare infiammazione. La FDG-PET identificava infiammazione attiva nell’80% dei bambini con IBD, verso l’83.3% della colonoscopia e il 75% del tenue seriato. Nei soggetti con dolore addominale ricorren-te la FDG-PET non identificava alcuna area di infiammazione, dimo-strandosi così un valido strumento diagnostico (Lemberg, 2005).

ConclusioniNegli ultimi anni sono stati compiuti significativi progressi nel campo delle tecniche diagnostiche delle malattie gastrointestinali. Questi progressi sono stati realizzati soprattutto nell’ambito del-l’endoscopia digestiva e della radiologia. La capsula CE e l’EDP hanno permesso una completa visualizzazione della mucosa del piccolo intestino. Tecniche endoscopiche avanzate quali la cro-moendoscopia, la magnificazione endoscopica e l’HR-NBI possono aiutare nell’identificare alterazioni della mucosa agli stadi iniziali. La RM può essere utile quale indagine non invasiva nella diagnosi e nel follow-up del bambino affetto da MC. Infine la FDG-PET può rappresentare, in un futuro non lontano, un valido mezzo diagno-stico per l’identificazione e la definizione dello stato di infiamma-zione nei soggetti affetti da IBD.

Cosa sapevamo prima• Nelle ultime decadi, significativi progressi sono stati realizzati nel campo delle tecniche diagnostiche delle malattie gastrointestinali. • I progressi hanno riguardato soprattutto le tecniche di imaging ed endoscopiche del tratto gastrointestinale.

Cosa sappiamo oggi• L’RM-enteroclisi o l’RM-enterografia permettono una valutazione accurata sia luminale che extra-luminale con il vantaggio di non esporre il pa-

ziente a radiazioni.• La capsula endoscopica e l’enteroscopia a doppio pallone hanno permesso la visualizzazione completa di tutto il tratto gastrointestinale.• Tecniche di imaging avanzate, quali la cromoendoscopia, la magnificazione endosocpica, l’alta risoluzione, la Narrow Band Imaging e l’endomicro-

spia laser confocale possono essere d’aiuto nella sorveglianza colonoscopica di malattie infiammatorie intestinali.

Cosa ci riserva il futuro• L’imaging molecolare (es. PET) aggiungerà ulteriori informazioni alle tecniche tradizionali, sia endoscopiche che radiologiche, ed aiuterà il clinico

nell’evidenziare lesioni ad uno stadio precoce della malattia e nel definire l’efficacia della terapia più rapidamente rispetto alle altre tecniche tra-dizionali.

Box di orientamento

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E. Miele, C. Di Lorenzo

dott. Erasmo Miele, Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli “Federico II”, via S. Pansini 5, 80131 Napoli. E-mail:[email protected]

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Abbreviazioni: RM: risonanza Magnetica

IBD: malattie infiammatorie intestinali

CE: capsula endoscopica

EDP: enteroscopia a doppio pallone

MC: malattia di Crohn

TC: tomografia assiale computerizzata

SGIO: sanguinamento gastrointestinale oscuro

HR: endoscopia ad alta risoluzione

NBI: narrow band imaging

PET: tomografia ad emissione di positroni

FDG: fluoro- 2-desossi-glucosio marcato con fluorina 18

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recenti novità nel trattamento delle malattie reumatiche

Clara Malattia, Alberto MartiniDipartimento di Pediatria, Università di Genova, Pediatria II, Istituto G. Gaslini

Introduzione

Nonostante la sempre migliore comprensione dei meccanismi che regolano la risposta immunitaria, la eziologia delle malattie reumati-che rimane ancora sostanzialmente ignota. Una eccezione è rappre-sentata dalla recente individuazione di un gruppo di malattie, chia-mate autoinfiammatorie, dovute a mutazioni di geni che codificano per proteine coinvolte nella regolazione della risposta immunitaria innata; per la loro descrizione si rimanda ad un recente articolo di Prospettive in Pediatria (Gattorno et al., 2006). Progressi significa-tivi sono anche stati compiuti nella comprensione dei meccanismi attraverso cui il sistema immune genera il danno; queste ricerche, grazie alla disponibilità di versioni ricombinanti di inibitori naturali e di anticorpi monoclonali che neutralizzano selettivamente singole molecole o popolazioni cellulari, hanno permesso una autentica ri-voluzione nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche in generale e delle malattie reumatiche in particolare. Quindi anche se non disponiamo ancora di terapie causali in grado di guarire queste malattie possediamo però potenti farmaci in grado di inibire il pro-cesso infiammatorio e quindi il danno d’organo.Per questa revisione sono stati analizzati gli articoli comparsi su Pubmed negli ultimi 3 anni digitando: juvenile idiopathic arthritis, systemic lupus erythematosus, juvenile dermatomyositis, sistemic sclerosis, vasculitis. Sono stati analizzati solo quegli articoli che han-no avuto un rilevante impatto sulla pratica clinica in età pediatrica. Si tratta principalmente di studi che hanno riguardato la artrite idio-patica giovanile la più frequente tre le malattie reumatiche croniche del bambino.

Artrite idiopatica giovanile

Come è noto l’artrite idiopatica giovanile (AIG) non costituisce una singola malattia ma una diagnosi di esclusione che raggruppa tutte

le artriti croniche del bambino di causa sconosciuta; nel suo ambito, sulla base di criteri clinici, sono stati identificate varie forme che corrispondono ad entità cliniche diverse. Reviews generali recenti sulla AIG sono disponibili sia nella letteratura internazionale (Ravelli e Martini, 2007) che in Prospettive in Pediatria (Martini, 2008). Negli ultimi tre anni i contributi di maggiore impatto sulla pratica clinica hanno riguardato l’utilizzo dei farmaci biologici nella terapia.

Gli inibitori del TNFIl tumor necrosis factor (TNF) è una citochina che svolge un ruolo rilevante nell’infiammazione sinoviale e la sua neutralizzazione ha rappresentato uno dei progressi più importanti nella terapia delle artriti croniche sia nell’adulto che nel bambino. Le indicazioni all’im-piego degli anti-TNF nell’ambito del trattamento dell’AIG sono state di recente riviste in un articolo di Prospettive in Pediatria (Martini, 2008). Il solo farmaco anti-TNF fino ad ora registrato in Europa è Etanercept (proteina di fusione in cui due molecole di un recettore del TNF sono associate con il frammento costante di una immuno-globulina). Lo studio che ne dimostrò l’efficacia è del 2000 (Lovell et al., 2000). Al momento della introduzione degli anti-TNF in terapia gli effetti collaterali più temuti erano rappresentati dalle infezioni e dalla pos-sibile comparsa di tumori. Oggi una estesa letteratura, soprattutto nell’adulto ma anche nel bambino, ha mostrato una bassa incidenza di infezioni e, almeno fino ad oggi, nessuna chiara evidenza di una aumentata incidenza di neoplasie. Sarà comunque necessario se-guire i pazienti ancora per lungo tempo. Tra le infezioni particolare attenzione deve essere posta a quelle dovute a patogeni intracellula-ri ed in particolare alla tubercolosi; la terapia con anti-TNF comporta infatti un rischio concreto di riattivazione di un processo tubercolare e tutti i pazienti devono essere sottoposti ad uno “screening” per la tubercolosi prima di iniziare la terapia. Negli ultimi anni sono comparsi numerosi dati non solo sulla efficacia

RiassuntoL’artrite idiopatica giovanile è la più frequente malattia reumatica cronica del bambino ed una causa importante di disabilità acquisita in età pediatrica. La recente disponibilità di farmaci in grado di neutralizzare le maggiori citochine proinfiammatorie ha rivoluzionato il trattamento di questa condizione.Negli ultimi anni in particolare è stata dimostrata l’efficacia di due anticorpi monoclonali contro il TNF (Infliximab and Adalimumab) e di un inibitore del-l’attivazione linfocitaria (Abatacept). Inoltre, dati ormai molto consistenti indicano nell’inibizione di IL-6 o di IL-1 le basi della futura terapia della forma sistemica.

SummaryJuvenile idiopathic arthritis is the most common childhood chronic rheumatic disease and represents an important cause of acquired disability in the pedi-atric age. The recent availability of drugs able to specifically target the most important proinflammatory cytokines has deeply modified its treatment. In the last few years in particular, the efficacy and safety of two anti-TNF monoclonal antibodies (Infliximab and Adalimumab) as well as that of an inhibitor of lymphocyte activation (Abatacept) has been demonstrated. Moreover, it is now clear that the inhibition of IL-6 or of IL-1 will represent the basis for future therapies of the systemic form.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 153-156 REuMAtOLOGIA

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C. Malattia, A. Martini

a più lungo termine dell’Etanercept ma anche sulla sua tollerabilità e sicurezza. Nel 2004 fu pubblicata una larga coorte di 322 bambini trattati con Etanercept (Horneff et al., 2004) che testimoniava un assai soddisfacente profilo di sicurezza del farmaco. Più di recente un altro studio di follow-up su 146 bambini con JIA (Prince et al., 2009) ha confermato una incidenza bassa di eventi avversi di rilievo (0,029 per paziente per anno). Nell’adulto numerosi studi hanno mostrato che l’associazione metho-trexate anti-TNF è più efficace dell’anti-TNF da solo. Studi controllati simili non sono stati condotti nel bambino ma recentemente uno studio retrospettivo (Horneff et al., 2009), che ha valutato l’efficacia della terapia a 12 mesi in 55 pazienti trattati con Etanercept ed in 376 che avevano ricevuto sia Etanercept che methotrexate, sugge-risce una maggiore efficacia della terapia combinata. Più recenti sono gli studi nell’AIG con due altri inibitori del TNF, en-trambi anticorpi monoclonali.Il primo, Infliximab, è un anticorpo chimerico, cioè costituito da una componente umana e da una murina (quest’ultima limitata alla parte variabile che lega il TNF). Uno studio contro placebo (Ruperto et al., 2007) in 122 pazienti (di età compresa tra 4 e 17 anni) che non avevano risposto al methotrexate non ha mostrato una differenza statisticamente significativa rispetto al placebo alla 16a settimana. Tuttavia questo risultato è probabilmente falsamente negativo e ascrivibile ad un campione limitato di soggetti e ad un effetto place-bo che, in questo studio, è stato particolarmente elevato. In effetti i risultati a più lungo termine sono stati molto buoni e paragonabili a quelli ottenuti con gli altri farmaci anti-TNF: a partire dalla 16 set-timana tutti i pazienti venivano trattati con l’anticorpo (a una dose di 3 o 6 mg/kg/die) in associazione al methotrexate ed alla 52 setti-mana circa il 70% aveva ottenuto un miglioramento del 50%. Que-sto studio ha anche fornito risultati importanti per quanto riguarda la sicurezza del trattamento; pur essendosi le due dosi dimostrate egualmente efficaci, i pazienti trattati con 3 mg/kg sviluppavano an-ticorpi contro la componente murina ed avevano una percentuale di reazioni infusionali (il solo rilevante effetto avverso osservato nello studio) che era tre volte superiore rispetto ai pazienti trattati con 6 mg/kg. Quest’ultima dose quindi risultava, a parità di efficacia, assai meglio tollerata.Il secondo anticorpo anti-TNF (Adalimumab) è interamente umano. La sua efficacia è stata valutata in uno studio che ha impiegato un disegno sperimentale spesso utilizzato nell’AIG e che ha lo scopo di ridurre il più possibile l’esposizione al placebo (withdrawal de-sign). Secondo questo disegno tutti i pazienti vengono trattati con il farmaco attivo. Quelli che rispondono vengono poi randomizzati in doppio cieco a ricevere o il farmaco o il placebo e l’effetto viene valutato confrontando la percentuale delle ricadute che si osserva-no nei due bracci. L’esposizione al placebo è limitata perché non appena il paziente ricade viene trattato nuovamente con il farmaco. Nello studio (Lovell et al., 2009) sono stati trattati 171 pazienti (di età compresa tra 4 e 17 anni) divisi in due bracci come schematizzato nella Figura 1. Dopo la randomizzazione la percentuale di ricadute fu significativamente maggiore nei pazienti che continuavano a ri-cevere il farmaco rispetto a quelli che avevano ricevuto il placebo; il farmaco risultò anche ben tollerato. Dopo 104 settimane di tera-pia con Adalimumab circa il 70% di quei pazienti che avevano fin dall’inizio risposto al farmaco mostrava un miglioramento del 70%. Lo studio, oltre a dimostrare l’efficacia di Adalimumab, ha anche suggerito che la contemporanea somministrazione di Adalimumab e methotrexate dia risultati migliore della somministrazione isolata di Adalimumab: alla 16a settimana di trattamento il 91% dei pazienti che avevano ricevuto Adalimumab e methotrexate mostravano un

miglioramento del 50% contro il 64% di quelli che avevano ricevuto il solo Adalimumab. Sono risultati simili, come prima accennato, a quelli ottenuti nello studio retrospettivo di Horneff et al. (2009) nei pazienti trattati con etanercept e a quanto osservato nell’artrite reu-matoide dell’adulto. Non esistono studi che abbiano paragonato tra loro i differenti inibi-tori del TNF. Le percentuali di miglioramento ottenute negli studi che hanno valuto i singoli farmaci sono risultate piuttosto sovrapponibili. Nel complesso circa il 70% dei pazienti con AIG mostra una soddi-sfacente risposta agli inibitori del TNF. L’artrite associata ad entesite rappresenta una forma particolare di AIG e costituisce l’equivalente nel bambino delle spondiloartropa-tie dell’adulto, malattie caratterizzate da un interessamento dello scheletro assiale (articolazioni sacro-iliache e colonna vertebrale), delle articolazioni periferiche e delle entesi (aree di inserzione sul-l’osso dei tendini e dei legamenti). Nel bambino l’interessamento dello scheletro assiale è infrequente e tardivo mentre prevale quello delle articolazioni periferiche e delle entesi. Nelle spondiloartropa-tie dell’adulto i farmaci anti-TNF si sono dimostrati efficaci in studi controllati. Nel bambino con artrite associata ad entesite l’efficacia di questi farmaci è stata per ora osservata solo in alcuni studi non controllati (Tse et al., 2005, 2006).I farmaci anti-TNF sono stati di recente studiati anche come possi-bile terapia dell’iridociclite che colpisce circa il 30% dei pazienti con AIG oligo o poliarticolare che sono positivi per gli anticorpi antinucleo (Ravelli e Martini, 2007; Martini, 2008). Anche se la maggioranza dei pazienti, specie se diagnosticati precocemente, risponde bene alla terapia topica con steroidi e midriatici una percentuale significativa è più resistente al trattamento ed ha un rischio concreto di svilup-pare complicazioni a distanza (Thorne et al., 2007). Questi pazienti vengono trattati con steroidi per via sistemica che, nei casi più resi-stenti, vengono associati ad immunosoppressori (in genere metho-trexate o ciclosporina) in assenza però di studi clinici controllati che abbiano fornito una chiara evidenza di efficacia. Il trattamento delle uveiti severe resta pertanto un problema non risolto. Uno studio ran-domizzato su una piccola popolazione di pazienti (Smith et al., 2005)

Figura 1. Studio dell’efficacia di Adalimumab con un withdrawal design. I 171 pazienti hanno ricevuto tutti Adalimumab per un periodo di 16 setti-mane e sono stati divisi in due bracci: A rappresentato da pazienti che erano già stati trattati con methotrexate (MTX) ma che non avevano risposto ho avevano mostrato una risposta insufficiente B rappresentato da pazienti che richiedevano una terapia di secondo livello ma che non erano stati trattati con MTX. Ciascun braccio è stato poi randomizzato a ricevere il placebo o il farmaco attivo per 32 settimane o fino a quando non compariva la ricaduta.

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Recenti novità nel trattamento delle malattie reumatiche

non aveva mostrato differenze tra i pazienti trattati con etanercept e quelli che avevano ricevuto il placebo. Risultati simili erano stati ot-tenuti in un altro studio non controllato (Schmeling e Horneff, 2005). Per contro numerosi recenti studi non controllati sembrano mostrare una buona efficacia degli anticorpi monoclonali anti-TNF, sia Inflixi-mab (Tynjälä et al., 2007; Foeldvari et al., 2007) che Adalimumab (Biester et al., 2007; Tynjälä et al., 2008). Bisognerà comunque at-tendere studi controllati che confermino questi risultati.

Gli inibitori dell’attivazione linfocitariaLe artriti croniche sono ritenute la conseguenza di una risposta autoimmune secondaria all’attivazione di linfociti T autoreattivi. I linfociti T per essere attivati devono riconoscere il peptide verso cui sono specifici che viene presentato nel contesto delle mole-cole di istocompatibilità sulla superficie cellulare delle cellule che presentano l’antigene (APC). Tuttavia questo segnale da solo non è sufficiente anzi genera una anergia cellulare cioè uno stato di resistenza all’attivazione. Perché quest’ultima avvenga è neces-sario che la APC fornisca al linfocita T anche un secondo segnale attraverso l’espressione sulla superficie della cellula di molecole cosiddette per l’appunto di attivazione. Abatacept è una molecola di fusione in cui il frammento costante di una immunoglobulina è legato ad un recettore linfocitario ricombinante che ha una alta affinità per la più importante classe di molecole di attivazione. Il legame tra abatacept e molecole di attivazione sulla superficie dell’APC riduce la possibilità di queste ultime di attivare i T linfociti. Abatacept si è mostrato efficace nella terapia dell’artrite reumatoi-de dell’adulto, indicazione per cui è già registrato. Risultati positivi sono stati di recente ottenuti (Ruperto et al., 2008) in uno studio controllato in 190 pazienti con AIG (di età compresa tra 6-17 anni) che ha utilizzato anch’esso un withdrawal design e in cui la per-centuale di ricadute si è mostrata superiore nel braccio che aveva ricevuto il placebo. Le percentuali di risposta ottenute, come anche la tollerabilità, sono state simili a quelle osservate negli studi che avevano utilizzato inibitori del TNF. Lo studio ha anche suggerito che Abatacept possa essere efficace in una discreta percentuale di pazienti resistenti agli anti-TNF. Dei 190 pazienti infatti, 57 ave-vano fallito una precedente terapia con inibitori del TNF; di questi, il 25% mostrò un miglioramento del 50% dopo 4 mesi di terapia con Abatacept.

La terapia della AIG sistemicaLa AIG sistemica differisce dalle altre forme di AIG per la presen-za di sintomi sistemici importanti (febbre elevata ed intermittente, rash, sierositi, epatosplenomegalia, linfoadenomegalie) accompa-gnati sul piano umorale da una marcata infiammazione. I farmaci anti-TNF si sono mostrato meno efficaci nella AIG sistemica ri-spetto a quanto osservato nelle altre forme di AIG (Quartier et al., 2003). In effetti studi effettuati negli anni ’90 avevano suggerito che il processo infiammatorio in corso di AIG avesse caratteristi-che particolari e che interleuchina-6 (IL-6), un’altra potente cito-china proinfiammatoria, e non TNF vi svolgesse un ruolo centrale (De Benedetti e Martini, 1998). Questa ipotesi è stata di recente confermata dagli eccellenti risultati ottenuti da uno studio control-lato giapponese in 56 pazienti (di età compresa tra 2 e 19 anni) che utilizzando un withdrawal design ha impiegato un anticorpo monoclonale (Tocilizumab) diretto contro il recettore di IL-6 (es-

senziale affinché la citochina possa esercitare la sua azione) (Yo-kota et al., 2008). Un secondo studio di conferma contro placebo è attualmente in corso. Pochi anni prima uno studio americano aveva osservato un marcato effetto terapeutico anche con l’inibizione di interleuchina-1 (IL-1) in 9 pazienti con AIG sistemica (Pascual et al., 2005). Questo effetto non è in contraddizione con quanto osservato con l’inibizione di IL-6 perché IL-1 è in grado di indurre la produzione di IL-6. Il farmaco utilizzato nello studio era Anakinra, la forma ricombinante di una molecola naturale (l’antagonista recettoriale di IL-1) che si lega al recettore di IL-1 con un’affinità molto maggiore rispetto a IL-1 ma che non è però in grado di indurre l’attivazione cellulare. Uno stu-dio successivo su 22 pazienti (Gattorno et al., 2008) ha mostrato come il trattamento con Anakinra sia in grado di caratterizzare due differenti popolazioni nell’ambito dei pazienti con AIG sistemica. Un gruppo di pazienti ha una risposta spettacolare alla terapia con com-pleta normalizzazione dei segni clinici e di laboratorio nella spazio di una settimana. Il secondo gruppo ha invece una risposta meno evidente o anche del tutto assente. La risposta al trattamento nel primo gruppo è molto simile a quella che si osserva nelle malattie autoinfiammatorie (Gattorno et al., 2006). È quindi possibile che nel-l’ambito della AIG sistemica esistano forme ad eziologia diversa, al-cune delle quali assimilabili alle malattie autoinfiammatorie. Questo lavoro è un esempio di come l’efficacia di farmaci in grado di inibire selettivamente singole molecole possa fornire informazioni di tipo patogenetico. Questo processo, in cui i dati ottenuti al letto del ma-lato forniscono informazioni utili a stimolare ricerche di laboratorio sulla patogenesi della malattia, viene chiamata “reverse translation” in contrapposizione alla classica “translational medicine” in cui le ricerche di laboratorio rappresentano il punto di partenza per indivi-duare terapie efficaci. Un altro recente esempio di “reverse translation” è l’osservazione della spettacolare efficacia di Anakinra, in 3 casi di pericarditi ricor-renti idiopatiche (Picco et al., 2009). Anche questa osservazione fa supporre che almeno alcune forme di pericarditi ricorrenti idiopati-che possano rappresentare delle malattie autoinfiammatorie.

Altre malattie reumatiche croniche

Nelle altre malattie reumatiche l’introduzione dei farmaci biologici non è ancora arrivata a modificare gli schemi terapeutici nonostante i molti studi in corso e la varietà dei farmaci studiati.Nel lupus eritematoso sistemico i nuovi potenziali approcci tera-peutici sono molteplici ma tutti ancora in fase iniziale (per una recente review vedi Karim et al., 2009). Rituximab, un anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene CD-20 (presente sulla su-perficie delle cellule B ma non delle plasmacellule), ha dato risul-tati positivi in vari studi aneddotici non ancora confermati in studi controllati.Non esistono ancora sostanziali novità terapeutiche per la dermato-miosite giovanile (per una review recente vedi Feldman et al., 2008) e per la sclerodermia sistemica; per la terapia di quest’ultima sono state di recente pubblicate le linee guida della Società Europea di Reumatologia (Kowal-Bielecka et al., 2009) che valgono anche per la forma giovanile. Per la malattia di Kawasaki sono state pubblicate su Prospettive in Pediatria le linee guida italiane (Marchesi et al., 2008).

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C. Malattia, A. Martini

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** Il lavoro che ha dimostrato come la risposta alla terapia con Anakinra, un in-ibitore, di IL-1, sia in grado di caratterizzare due diverse popolazioni nell’ambito dei pazienti con AIG sistemica.

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* Interessante studio retrospettivo su un numero elevato di pazienti che sug-gerisce una maggiore efficacia di etanercept se dato in combinazione con il methotrexate.

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** Linee guida per la terapia della sclerodermia sistemica pubblicate dalla Soci-età Europea di Reumatologia.

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**Lo studio che ha dimostrato l’efficacia di Adalimumab, monoclonale umano contro il TNF, nella terapia dell’AIG.

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** Dimostra una marcata efficacia di Anakinra nelle pericarditi idiopatiche ricor-renti suggerendo una patogenesi simile a quella delle malattie autoinfiamma-torie.

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* L’unico studio controllato sull’impiego di infliximab, un anticorpo chimerico anti-TNF, nella terapia dell’AIG.

Ruperto N, Lovell DJ, Quartier P, et al. Efficacy and safety of abatacept in children with juvenile idiopathic arthritis: a randomized, double-blind, placebo-controlled withdrawal trial. Lancet 2008;372:383-91.

** Lo studio che ha dimostrato l’efficacia di Abatacept nel trattamento dell’AIG.

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** Lo studio che ha dimostrato l’efficacia di Tocilizumab, monoclonale chimerico contro il recettore di IL-6, nella terapia dell’AIG.

La recente disponibilità di farmaci in grado di neutralizzare specifiche molecole o gruppi cellulari sta rivoluzionando la terapia delle malattie infiamma-torie croniche. Di recente è stata dimostrata l’efficacia di due anticorpi monoclonali contro il TNF (Infliximab, Adalimumab) e di un inibitore dell’attiva-zione linfocitaria (Abatacept) nell’artrite idiopatica giovanile (AIG); inoltre dati molto consistenti indicano come l’inibizione di IL-6 e quella di IL-1 abbiano un ruolo molto importante nella terapia della artrite idiopatica giovanile sistemica.

Box di orientamento

prof. Alberto Martini, Dipartimento di Pediatria, Università di Genova, Pediatria II, Istituto G. Gaslini, largo Gaslini 5, 16147 Genova. E-mail: [email protected]

Corrispondenza

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La sindrome PFaPa 20 anni dopo: quando diagnosticarla, come trattarla?

Maria Antonietta Pelagatti, Roberta Caorsi, Silvia Federici, Marco GattornoU.O. Pediatria II, Istituto G. Gaslini e Dipartimento di Pediatria, Università di Genova

RiassuntoLe manifestazioni cliniche associate alla sindrome PFAPA presentano un ampio grado di sovrapposizione con quelle presenti nelle febbri periodiche con una precisa eziologia molecolare: la febbre familiare mediterranea, la sindrome TRAPS, e il deficit di mevalonato chinasi (o sindrome con Iper IgD). Per questo motivo i criteri diagnostici attualmente in uso per la PFAPA si sono dimostrati poco specifici per tale condizione in quanto numerosi pazienti affetti da febbri periodiche geneticamente determinate possono soddisfare tali criteri. Questa revisione è mirata ad illustrare le problematiche legate alla diagnostica differenziale nei pazienti affetti da febbre periodica e le più recenti novità nell’approccio terapeutico alla sindrome PFAPA.

SummaryThe clinical manifestations of PFAPA syndrome overlap with those of three monogenic periodic fevers: Familial Mediterranean Fever (FMF), tumor necrosis factor (TNF) receptor-associated periodic syndrome (TRAPS) and Mevalonate kinase deficiency (MKD). The current diagnostic criteria for PFAPA syndrome displayed a low specificity in the discrimination of patients with periodic fever carrying mutations of genes involved in inherited periodic fevers. Aim of the present review is to illustrate the more recent progresses in the differential diagnosis of periodic fevers and the last novelties in the treatment of PFAPA syndrome.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 157-161 REuMAtOLOGIA

IntroduzioneLa sindrome PFAPA (dall’acronimo inglese: periodic fever, aphthous stomatitis, pharyngitis and cervical adenitis) è una entità clinica di origine infiammatoria caratterizzata da febbre periodica, associata ad almeno uno delle seguente manifestazioni cliniche: aftosi orale, faringo-tonsillite eritematosa o essudativa e linfoadenite latero-cer-vicale (Marshall, 1987). Tali episodi si distinguono dalle normali infe-zioni ricorrenti dei primi anni di vita per l’esordio in pieno benessere, l’assenza di chiari segni di infezione delle alte vie respiratorie, la peculiare tendenza ad una periodicità talvolta estremamente rego-lare, la tendenza all’auto-risoluzione con scarsa risposta alla terapia antibiotica (Thomas, 1999; Padeh, 1999; Tasher, 2006). La prima descrizione come entità clinica distinta risale al 1987, quando Marshall e collaboratori descrivevano il primo gruppo di 12 bambini che presentavano le caratteristiche cliniche sopra citate (Marshall, 1987). L’esordio della malattia avviene generalmente en-tro i 5 anni di età e si caratterizza per episodi ricorrenti di febbre ele-vata della durata di 3-6 giorni, con periodo intercritico regolare. Gli

episodi febbrili sono in genere prontamente responsivi alla terapia steroidea per via orale. I pazienti mostrano un completo benessere nei periodi intercritici ed un normale accrescimento staturo-pon-derale ed un adeguato sviluppo cognitivo. Gli esami di laboratorio dimostrano un quadro di leucocitosi ed un aumento degli indici di flogosi in concomitanza degli episodi febbrili, con completa norma-lizzazione di tali parametri negli intervalli tra gli attacchi. La diagnosi di PFAPA è eminentemente clinica e viene stabilita sulla base dei criteri proposti per la prima volta nel 1989 (Marshall, 1989) e succes-sivamente modificati da Thomas et al. (Thomas, 1999), aggiungendo ai criteri esistenti l’esclusione formale della neutropenia ciclica (Tab. I).Sia i criteri diagnostici proposti nel tempo che le casistiche descritte negli anni successivi non hanno tuttavia preso in considerazione la

Tabella I. Criteri diagnostici per la sindrome PFAPA (da Marshall et al. 1989, mod. da Thomas et al., 1999).

Episodi febbrili ricorrenti con esordio prima dei 5 anni di età

Sintomi costituzionali, in assenza di infezioni delle alte vie respiratorie con almeno uno tra:

• Stomatite aftosa

• Linfadenite cervicale

• Faringite

Esclusione della neutropenia ciclica mediante controlli seriati dei globuli bianchi prima, durante e dopo i periodi sintomatici

Periodi asintomatici tra gli accessi febbrili

Normale crescita staturo-ponderale e normale sviluppo psico-fisico

Tabella II. Principali cause di febbre periodica in età pediatrica.

Malattie Infettive Infezioni ricorrenti delle alte vie respiratorieInfezioni delle vie urinarieVirali (EBV, Parvovirus B19, HSV 1 e 2)Batteriche (infezioni occulte, Borrelia, Brucella)Parassitarie (Malaria)

Difetti immunitari congeniti

Immunodeficienze primitiveNeutropenia ciclica

Malattie infiammatorie multifattoriali

Malattia di BehcetLupus eritematoso sistemicoMalattia di Crohn

Malattie Autoinfiammatorie ereditarie

Febbre Familiare MediterraneaDeficit parziale di mevalonato-chinasi (Iper IgD)Sindrome TRAPSSindrome di Muckle-Wells

Malattie neoplastiche Leucemia linfoblastica acutaLeucemia mieloide acutaLinfoma (Febbre di Pel Epstein)

Forme idiopatiche Sindrome PFAPA

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M.A. Pelagatti et al.

Tabella III.Basi genetiche e caratteristiche cliniche delle sindromi autoinfiammatorie ereditarie.

Malattia Gene Ereditarietà Caratteristiche cliniche

Febbri periodiche Febbre familiare mediterranea MEVF AR Breve durata degli episodi febbrili associati a dolori addominali e toracici. Rash simil-erisipela al dorso del piede, artrite.Risposta alla Colchicina

Sindrome da Iper IgD MVK AR Esordio precoceDurata episodi febbrile di 3-5 giorniRash cutaneo e interessamento addominale

TRAPS TNFRSF1A AD Lunga durata degli episodi febbrili ( > 10 giorni). Edema periorbitale, mialgie, dolore scrotale.

Sindromi associatealla famiglia NALP

FCASS. di Muckle-WellsCINCA

NALP3 (CIAS1) AD Orticaria e febbre scatenata dall’esposizione al freddoOrticaria cronica, sordità neurosensoriale, amiloidosicome sopra + displasie ossee, ritardo intellettivo, me-ningite cronica

Sindrome periodica associata a NALP12

NALP12 AD Lesioni orticarioidi, artro-mialgie e febbre scatenati dall’ esposizione al freddo, sordità neurosensoriale

Malattie piogeniche PAPA CD2BP1(PSTPIP1) AD Episodi ricorrenti di artrite asettica responsiva a FANS/steroide, pioderma gangrenoso, acne.

S. di Majeed LPIN2 AR Osteomielite cronica multifocale ricorrente associa-ta ad anemia congenita diseritropoietica e dermatosi neutrofilica

Malattie granulomatose Sindrome di Blau CARD15 (NOD2) AD Artrite poliarticolare granulomatosa ad esordio precoceRash cutaneo, panuveite

TRAPS: Tumor necrosis factor (TNF) receptor-associated periodic syndrome; TNFRI: recettore per TNF tipo I; FCAS: Familial cold autoinflammatory syndro-me; CINCA: Chronic Infantile Neurological Cutaneous Articular syndrome; PFAPA: periodic fever, aphthous stomatitis, pharyngitis, adenitis; PAPA: Pyogenic Sterile Arthritis, Pyoderma Gangrenosum, Acne

possibile sovrapposizione clinica tra la sindrome PFAPA e un gruppo di malattie infiammatorie ricorrenti molecolarmente definite anch’esse caratterizzate da febbre ricorrente: le febbri periodiche monogeniche. Tali malattie presentano un ampio margine di sovrapposizione con la PFAPA, tale da mettere in seria discussione la specificità dei criteri diagnostici per la PFAPA attualmente utilizzati. È importante qui sotto-lineare che la sindrome PFAPA non riconosce al momento una chiara origine genetica ed è caratterizzata, al contrario delle forme ereditarie, da una evidente tendenza alla risoluzione spontanea nel tempo.

Obiettivi della revisione

Fare il punto sulla reale utilità della PFAPA, dei criteri diagnostici attualmente in uso per la distinzione dalle forme periodiche mole-colarmente definite sulla base delle evidenze emerse dalla recente letteratura ed illustrare le principali novità relative alle possibili stra-tegie terapeutiche. A questo fine sono stati analizzati i lavori relativi a questi argomenti pubblicati nel corso degli ultimi 5 anni utilizzando come motore di ricerca PubMed con le seguenti parole chiave: PFAPA, treatment, dif-ferential diagnosis, tonsillectomy. Sono state anche considerate le novità provenienti dall’ultimo congresso internazionale sulle sindromi Autoinfiammatorie tenutosi a Roma nell’Aprile 2008 (Gattorno, 2009).

La diagnosi differenziale nelle forme febbrili periodiche

La presenza di una febbre periodica o ricorrente non è assolutamen-te esclusiva di una PFAPA o di una febbre periodica su base mole-colarmente definita. Di fronte a una condizione di questo genere è

pertanto necessario considerare un ampio ventaglio di condizioni a genesi infettiva, autoimmune ed emato-oncologica che entrano pertanto in diagnostica differenziale (Long, 2005) (Tab. II). Tuttavia, le forme che più frequentemente presentano il più alto gra-do di sovrapposizione con la PFAPA sono le sindromi autoinfiam-matorie periodiche molecolarmente definite. Si tratta di malattie in-fiammatorie periodiche che fanno parte del più ampio spettro delle cosiddette malattie autoinfiammatorie, legate a mutazioni dei geni coinvolti nella regolazione della risposta infiammatoria (Tab. III).Come la PFAPA, anche le febbri periodiche su base molecolarmente definite sono caratterizzate da accessi febbrili spesso accompagnati da sintomatologia muco-cutanea, gastrointestinale e articolare. Si tratta in particolare della Febbre Familiare Mediterranea, della sin-drome TRAPS e della sindrome da difetto incompleto di mevalonato-chinasi, già nota come Sindrome con IperIgD. Per una revisione re-cente di queste malattie si rimanda alle referenze (Gattorno, 2008a) e (Touitou e Kone-Paut, 2008).

Limiti dei criteri diagnostici della PFAPA attualmente esistenti

L’ampliamento delle conoscenze sulle caratteristiche cliniche pro-prie delle febbri periodiche monogeniche in età pediatrica (Frenkel, 2001; Bakkaloglu, 2003; D’Osualdo, 2005; D’Osualdo, 2006) ha per-messo di comprendere il grado di sovrapposizione di queste ultime forme con la forma idiopatica attualmente nota con il termine PFAPA, come testimoniato da una serie di osservazioni cliniche (Atas, 2003; Saulsbury e Wispelwey, 2005).Un recente studio ha analizzato la specificità degli attuali criteri PFAPA in una ampia casistica di 234 bambini con febbre periodica

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La sindrome PFAPA 20 anni dopo: quando diagnosticarla, come trattarla?

caratterizzati dal punto di vista molecolare per le tre forme monoge-niche note (geni MEFV, MVK e TNFRSF1A). Dei 112 pazienti che sod-disfacevano i criteri clinici per PFAPA, ben 20 erano in realtà affetti da malattie monogeniche autoinfiammatorie (15 Iper IgD, 4 TRAPS, 1 FMF) e altri 30 erano comunque portatori di mutazioni a bassa penetranza (come la R92Q per il gene TNFRSF1A) o eterozigoti per mutazioni del gene MEFV (Fig. 1) (Gattorno, 2008b). Tale dato indica la bassa specificità dei criteri PFAPA nell’ individuare i pazienti con febbre periodica di natura “idiopatica”, ma soprattutto la necessità di dover formalmente escludere una forma periodica su base mono-genica prima di poter porre diagnosi di PFAPA.

Uno score diagnostico per individuare i pazienti con febbre periodica a più alto rischio di essere portatori di mutazioni dei geni noti L’indagine molecolare rappresenta ovviamente l’elemento diagno-stico dirimente per poter distinguere le forme ereditarie di febbre periodica dalla PFAPA. Tuttavia, la diffusione della conoscenza di queste forme da parte della comunità pediatrica ha comportato un notevole aumento di richieste delle analisi molecolare dei geni asso-ciati a febbre periodica, con la conseguente necessità di giungere ad

Figura 1.Distribuzione dei pazienti che soddisfano i criteri PFAPA tra quelli affetti da febbri periodiche (Iper IgD, TRAPS, Febbre familiare mediterranea), quelli portatori di mutazioni a bassa penetranza del gene TNFRS1A o eterozigoti per MEFV e i pazienti geneticamente negativi.

Tabella IV.Differenze cliniche tra i pazienti con febbre periodica negativi allo screening genetico e i pazienti con forme periodiche geneticamente determinate.

HIDS TRAPS* TRAPS R92Q MEFV omoz. MEFV eteroz. Negativi

N. 18 7 15 13 39 142 P

Età di esordio in mesi (media ± DS) 10,4 ± 8,2 17,8 ± 17,1 58,8 ± 66,4 16,6 ± 11,2 29,6 ± 44 68 ± 102 0,0001

Durata attacco (giorni) (media ± DS) 4,3 ± 1,4 15,2 ± 7 4,7 ± 3,7 3,1 ± 2,0 5,8 ± 9,1 6,4 ± 10,3 0,001

Familiarità (%) 17 86 7 19 21 10 0,0001

Periodicità (%) 66 66 61.5 57.1 59.1 55 NS

Stomatite aftosa (%) 38 14 40 16 38 43 0,04

Faringite (%) 78 72 66 44 81 60 NS

Rash (%) 66 43 34 9 40 29 NS

Linfoadenopatia laterocervicale (%) 95 43 60 42 58 61 0,007

Dolore addominale (%) 100 86 60 92 62 45 0,0001

Diarrea (%) 72 57 44 25 41 19 0,0001

Artralgie (%) 72 43 27 42 47 42 NS

Mialgie (%) 50 50 54 44 16 44 0,01

Dolore toracico (%) 6 15 14 42 5 6 0,01

una razionalizzazione della loro esecuzione, anche in considerazione degli alti costi e della complessità connessa a tali indagini.Appare necessario pertanto individuare dei criteri clinici in grado di individuare i pazienti con più alto rischio di essere portatori di muta-zioni dei geni noti associati a febbre periodica. In questo senso, l’analisi della casistica dei 234 pazienti con febbre periodica sopra-riportata ha permesso di evidenziare quali sono i sintomi clinici in grado di distinguere i pazienti affetti da febbre pe-riodica geneticamente determinata (IperIgD, TRAPS, FMF) da quelli negativi per i geni noti (Gattorno, 2008b). Lo studio è stato condotto analizzando i dati clinici dei pazienti con so-spetta febbre periodica nei quali è stato possibile analizzare tutti e tre i geni (MEFV, MVK e TNFRSF1A). Per poter entrare nello studio i pazienti dovevano presentare un febbre periodica o ricorrente (> 38°C) di natura sconosciuta, con periodi intercritici liberi da sintomi clinici, incluso la normalità degli indici di flogosi. Per ogni paziente venivano registrati i sintomi associati all’episodio febbrile, nonché la frequenza con cui gli stessi si ripresentavano ad ogni episodio (talvolta, spesso, sempre). La Tabella IV mostra la diversa frequenza dei sintomi rilevati nelle forme geneticamente determinate e nei pazienti geneticamente negativi. L’analisi di regressione logistica univariata delle diverse variabili ha permesso di identificare le manifestazioni cliniche in grado di di-stinguere i soggetti geneticamente positivi da quelli negativi per i geni noti. Le variabili così ottenute sono state inserite in un modello di analisi multivariata che ha permesso di individuare un insieme di 6 variabili indipendenti (età di esordio, storia familiare positiva, presenza di dolore addominale, dolore toracico e diarrea nel corso dell’ episodio, assenza di stomatite aftosa) in grado di identificare i pazienti a più alto rischio di essere portatori di una mutazione di uno dei tre geni, tenendo anche in considerazione la frequenza delle variabili considerate nei diversi episodi febbrili (Gattorno, 2008b). La combinazione lineare di queste variabili, pesate ciascuna con il coefficiente stimato dal modello logistico utilizzato, ha permesso di mettere a punto uno Score Diagnostico in grado di determinare il grado di probabilità per un determinato paziente di risultare positivo al test genetico. La sensibilità e la specificità di questo Score Dia-gnostico sono state quindi verificate sul secondo sottogruppo di 71 pazienti (Validation set), mostrando un’elevata sensibilità (87%) e specificità (72%) (Gattorno, 2008b).

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M.A. Pelagatti et al.

Pertanto, di fronte ad ogni paziente per il quale si sospetta una febbre periodica, il calcolo dello score (facilmente eseguibile al sito www.printo.it/periodicfever) permette di individuare il grado di rischio di essere portatore di una mutazione. Secondo quanto descritto i pa-zienti ad alto rischio dovrebbero essere sottoposti ad analisi gene-tica, scegliendo il gene da analizzare sulla base di alcuni parametri clinici (etnia, durata degli episodi febbrili, presenza di splenomega-lia e/o vomito) (Fig. 2). I pazienti a basso rischio dovrebbero invece essere seguiti longitudinalmente per valutare l’eventuale compar-sa di nuove manifestazioni cliniche o la tendenza alla risoluzione spontanea degli episodi febbrili, come spesso si osserva nei pazienti PFAPA geneticamente negativi (Fig. 2). Uno studio ancora più recen-te ha confermato l’utilità dello Score Diagnostico nel distinguere, tra i bambini che soddisfano i criteri PFAPA, i soggetti geneticamente positivi da quelli negativi (Caorsi, 2008). Dal punto di vista pratico appare pertanto proponibile avviare ad indagine genetica solo i pa-zienti con un fenotipo PFAPA ad alto rischio allo score diagnostico. Al contrario, i pazienti con fenotipo PFAPA a basso rischio possono essere diagnosticati come tali senza bisogno di escludere le altre forme periodiche monogeniche tramite l’analisi genetica.

Principali novità terapeutiche per la PFAPA I pazienti PFAPA mostrano una drammatica risposta alla terapia ste-roidea per os, con pronta risoluzione dei sintomi anche in seguito ad una mono-somministrazione del farmaco. Tale provvedimento, previa attenta esclusione di episodi infettivi intercorrenti, rappresen-ta pertanto il trattamento di scelta, tanto da indurre alcuni Autori a proporre di introdurre la pronta risposta allo steroide tra i criteri clinici suggestivi di PFAPA.L’osservazione di possibili fenomeni di rebound (riavvicinamento degli episodi febbrili, aumento progressivo della dose minima di ste-roide efficace) e la mancanza di dati relativi alla persistenza dell’ef-ficacia a lungo termine del trattamento con steroide all’occorrenza hanno aperto l’interesse sull’eventuale efficacia di trattamenti di fondo in grado di ridurre la frequenza e l’intensità degli episodi feb-brili. Alcuni lavori avevano in passato evidenziato una risposta sod-

disfacente alla terapia profilattica con cimetidina (Thomas, 1999), anche se tale dato non è stato successivamente confermati, nean-che dalla recente analisi del registro internazionale per la PFAPA riportata da M. Hofer (Losanna, CH) nel corso dell’ultimo Congresso Internazionale sulle sindromi Autoinfiammatorie (Hofer, 2008). Recentemente è stata riportata la risposta di 9 pazienti al trattamen-to continuativo con Colchicina (Tasher, 2008). I pazienti selezionati presentavano un numero di episodi febbrili superiore a 2 al mese e sono stati trattati con un dosaggio tra 0.5 e 1 mg per un periodo di 6-48 mesi. Il trattamento con colchicina ha indotto un significati-vo aumento dell’intervallo libero da episodi nella maggior parte dei pazienti (8 su 9), passando da una media di un episodio ogni 1,7 settimane nel periodo pre-trattamento a 8,4 settimane nel follow-up (Tasher, 2008). Come per altri studi, l’estrema esiguità della casisti-ca e l’assenza di una randomizzazione non ha permesso di evitare il bias più rilevante in questo tipo di studi sulla PFAPA che è legato alla normale tendenza alla riduzione spontanea della frequenza degli episodi nel corso del tempo. Ancor più anedottica la segnalazione di una soddisfacente risposta alla talidomide in un paziente di 22 anni con una lunga storia di episodi febbrili ricorrenti (Marque, 2007). La scarsa maneggevolezza di questo farmaco legato al potenziale te-ratogeno ed il rischio di effetti collaterali per l’uso prolungato, come la neuropatia periferica, sembra tuttavia limitare significativamente l’effettiva utilità di questo approccio terapeutico. Nel corso degli ultimi anni una serie di studi ha cercato di analizza-re l’utilità della tonsillectomia nella PFAPA, con risultati abbastanza discordanti (Dahn, 2000; Galanakis, 2002; Parikh, 2003; Licameli, 2008; Wong, 2008). Tale variabilità è verosimilmente legata all’esi-guità delle casistiche riportate, alla scarsa omogeneità delle casisti-che studiate e dalla difficoltà di poter discriminare il risultato del-l’intervento dalla naturale tendenza alla risoluzione spontanea della malattia (Leong, 2006). In questo senso, recentemente è stato riportato da Renko e collabo-ratori il primo studio randomizzato che ha coinvolto 26 pazienti PFAPA (Renko, 2007). Quattordici pazienti sono stati sottoposti ad interven-to di tonsillectomia, risultando tutti liberi da sintomi dopo 6 mesi di follow-up; dei 12 pazienti restanti, non sottoposti a chirurgia, solo 6 risultavano in remissione al follow-up. Pur con gli evidenti limiti legati all’esiguità del follow-up successivo all’intervento, e qualche dubbio sollevato in merito alla corretta caratterizzazione dei pazienti (Hofer, 2008), questo studio ha il merito di cercare di affrontare con metodo scientifico il difficile argomento della valutatone oggettiva dei possibili provvedimenti terapeutici nei pazienti affetti da PFAPA.

Conclusioni e prospettive per il futuroL’identificazione di un nuove forme di febbre periodiche di natura genetica ha evidenziato la necessità di dover distinguere queste ultime malattie dalla forma “idiopatica” costituita dalla PFAPA. Lo score diagnostico recentemente messo a punto si è rilevato utile nel distinguere i pazienti con più alta probabilità di essere portatori di mutazioni dei geni responsabili di febbre periodica su base genetica e si propone come un utile strumento evidence-based per raziona-lizzare il ricorso all’analisi molecolare e per la più precisa identifi-cazione dei soggetti PFAPA su basi cliniche. Il miglioramento della definizione diagnostica delle varie forme di febbre periodica potrà permettere uno studio più accurato della storia naturale della PFAPA e la messa a punto di studi in grado di analizzare adeguatamente la reale efficacia dei possibili trattamenti proposti per ridurre l’impatto della malattia sulla qualità di vita dei pazienti affetti.

Figura 2.Proposta di flow-chart diagnostica nei pazienti con febbre periodica (Gattorno, 2008). Lo score diagnostico può essere facilmente calcolato sul sito www.printo.it/periodicfever, inserendo l’età di esordio, la pre-senza di familiarità e la frequenza nei diversi episodi di lesioni aftose al cavo arale, dolore addominale, diarrea e dolore toracico.

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La sindrome PFAPA 20 anni dopo: quando diagnosticarla, come trattarla?

Cosa si sapeva ieriLa definizione clinica della sindrome PFAPA risale a circa 20 anni or sono. I quel periodo non erano ancora noti i difetti molecolari responsabili delle forme di febbre periodica che riconoscono una precisa eziologia molecolare. Il primo gene (MEFV) responsabile della Febbre familiare Mediterranea è stato infatti individuato nel 1997. Cosa si sa oggiI criteri diagnostici attualmente in uso per la PFAPA si sono dimostrati scarsamente utili nel differenziare i pazienti PFAPA da quelli affetti dalle febbri periodiche geneticamente determinate. L’analisi delle manifestazioni cliniche associate agli episodi febbrili in una ampia casistica di bambini con febbre periodica ha permesso di mettere a punto uno score diagnostico in grado di identificare i soggetti a maggior rischio di essere portatori di una forma di febbre periodica su base genetica.Cosa ci attendiamo nel futuroL’utilizzo dello score diagnostico permetterà una razionalizzazione dell’impiego dell’analisi molecolare e una più puntuale classificazione dei soggetti con febbre periodica. La possibilità di disporre di casistiche più omogenee faciliterà l’esecuzione di studi clinici controllati in grado di valutare la storia naturale della malattia, il reale impatto sulla qualità di vita e l’efficacia dei trattamenti proposti.

Box di orientamento

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** Messa a punto di uno score diagnostico in grado di distinguere i pazienti con febbre periodica a più alto rischio di essere affetti dalle forme a base genetica.

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* Un chiaro esempio della necessità di una attenta diagnostica differenziale nei pazienti con febbre periodica.

Leong SC, Karkos PD, Apostolidou MT. Is there a role for the otolaryngolo-gist in PFAPA syndrome? A systematic review. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2006;70:1841-5.

* Revisione esaustiva e discussione critica delle esperienze disponibili in let-teratura relative all’efficacia della tonsillectomia nella PFAPA.

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** Prima descrizione della sindrome PFAPA.

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** Pur con limiti legati alla definizione dei pazienti e alla brevità del follow-up rappresenta il primo studio randomizzato condotto su un numero consistente di pazienti con PFAPA.

Saulsbury FT, Wispelwey B. Tumor necrosis factor receptor-associated periodic syndrome in a young adult who had features of periodic fever, aphthous stoma-titis, pharyngitis, and adenitis as a child. J Pediatr 2005;14:283-5.

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* Analisi della possibile efficacia della Colchicina nel ridurre la frequenza degli episodi febbrili in una piccola casistica di soggetti PFAPA.

Thomas KT, Feder HM, Lawton AR, et al. Periodic fever syndrome in children. Journal of Pediatrics 1999;135:15-21.

** Proposta dei criteri diagnostici attualmente più ultilizzati.

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Wong KK, Finlay JC, Moxham JP. Role of Tonsillectomy in PFAPA Syndrome. Arch Otolaryngol Head Neck Surg 2008:134:16-9.

dott. Marco Gattorno, U.O. Pediatria II, Istituto G. Gaslini, largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Tel. +39 010 5636793. E-mail: [email protected]

Corrispondenza

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FRONtIERE

La sindrome da antifosfolipidi

Sergio Davì, Sara Dalprà, Sara Verazza, Angelo RavelliDipartimento di Scienze Pediatriche G. De Toni, Università di Genova e Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico G. Gaslini, Genova

IntroduzioneLa sindrome da antifosfolipidi (SAF) è una condizione autoimmu-ne sistemica caratterizzata dall’associazione di trombosi venose o arteriose e aborti ricorrenti con la presenza in circolo di anti-corpi antifosfolipidi (aPL), in particolare dell’anticoagulante lupico (LAC) e degli anticorpi anticardiolipina (aCL) (Harris et al., 2003; Levine et al., 2002). Questa sindrome può svilupparsi isolatamente oppure manifestarsi in associazione con una malattia sistemica, soprattutto con il lupus eritematoso sistemico (LES). La prima de-scrizione della SAF in età pediatrica risale al 1979. Negli anni più recenti la SAF è stata descritta con frequenza crescente in bambini e adolescenti (Avcin, 2008; Cimaz et al., 2006; Ravelli et al., 1994; Ravelli et al., 2007). Tuttavia, fino a poco tempo fa le informazio-ni disponibili su questa sindrome in ambito pediatrico derivano in massima parte da segnalazioni singole o da casistiche esigue. Recentemente è stato creato un registro multinazionale di pazienti pediatrici con SAF, che ha consentito di analizzare le caratteristi-che di questa condizione in un ampio gruppo di pazienti (Avcin et al., 2008).In questo articolo vengono illustrate le caratteristiche principali della SAF in età pediatrica e viene discusso l’approccio terapeutico alla trombosi correlata agli aPL nel bambino.

Metodologia della ricerca bibliograficaLa ricerca degli articoli rilevanti sulla sindrome da antifosfolipidi in età pediatrica è stata effettuata sulla banca bibliografica Medline utiliz-zando come motore di ricerca PubMed e come parole chiave “Anti-phospholipid syndrome and children” e “Antiphospholpid antibodies and children”. Gli articoli citati sono stati selezionati sulla base della loro rilevanza per l’argomento. Sono stati, inoltre, inclusi gli articoli ge-nerali più importanti sulla sindrome da antifosfolipidi conosciuti dagli autori. La descrizione degli approcci terapeutici è stata basata princi-palmente sulle evidenze fornite da trial controllati e randomizzati.

Gli anticorpi antifosfolipidiGli aPL sono il marker sierologico centrale della SAF (Bertolaccini et al., 2006; Wilson et al., 1999) e costituiscono un gruppo eterogeneo di anticorpi con caratteristiche patogenetiche differenti. Gli aPL più strettamente associati con le manifestazioni cliniche della SAF sono quelli che interagiscono prevalentemente con le proteine seriche che legano i fosfolipidi (in passato definiti “cofattori”), piuttosto che con i fosfolipidi di per sé. Le più comuni di queste proteine sono la β2-glicoproteina I (β2-GPI) e la protrombina. Oltre a questi anticor-pi, ne esistono altri che si legano direttamente ai fosfolipidi. Questi

RiassuntoLa sindrome da antifosfolipidi (SAF) è una causa importante di trombosi vascolare in età pediatrica. Questa condizione è caratterizzata dalla presenza di anticorpi antifosfolipidi (aFL) circolanti, i più comuni dei quali sono l’anticoagulante lupico, gli anticorpi anticardiolipina e gli anticorpi anti-β2 glicoproteina I. Con l’ovvia eccezione della morbilità gravidica, la maggior parte delle manifestazioni cliniche della SAF osservate in pazienti adulti sono state anche descritte nei bambini e negli adolescenti con la sindrome. La sede più frequente di trombosi venosa è rappresentata dalle vene profonde degli arti inferiori inferiori, mentre le trombosi arteriose coinvolgono principalmente le arterie cerebrali. Oltre alle occlusioni vascolari, la cui correlazione con gli aFL è ben definita, i pazienti con la SAF possono presentare manifestazioni non-trombotiche, come livedo reticularis, corea, malattia valvolare cardiaca, ischemia cerebrale transitoria, mielite traversa, emicrania, anemia emolitica e piastrinopenia, che non sono, tuttavia, universalmente accettate come componenti della sindrome. Numerosi studi hanno dimostrato che la trombosi associata agli aFL tende a recidivare. Vi è quindi ampio consenso circa l’opportunità di sottoporre i pazienti con SAF a profilassi antitrombotica per prevenire le ricorrenze. La durata e l’intensità di questo trattamento non sono, tuttavia, stabilite. Poiché la SAF è rara in età pediatrica, non esistono studi terapeutici controllati. La terapia è, quindi, basata sui dati ottenuti nei pazienti adulti. Recenti trial randomizzati hanno suggerito che la terapia con warfarin mirata a raggiungere un INR compreso tra 2,0 e 3,0 conferisca una protezione adeguata nei soggetti con trombosi associata agli aFL.

SummaryAntiphospholipid syndrome (APS) is a leading cause of vascular thrombosis in the pediatric age. This syndrome is characterized by the presence of circulat-ing antiphospholipid antibodies, namely the lupus anticoagulant, the anticardiolipin antibodies, and the anti- β2 glycoprotein I antibodies. With the obvious exception of pregnant morbidity, most of the clinical features that may occur in adults with APS have been described also in children. The deep veins of the lower limbs represent the most common site of venous thrombosis, whereas arterial thombosis is observed most commonly in the cerebral arteries. Beside vascular occlusions, whose relationship with aPL is well established, patients with APS may develop several non-thombotic clinical manifestations, including livedo reticularis, chorea, cardiac valve disease, transient cerebral ischemia, transverse myelitis, migraine, hemolytic anemia, and throbocyto-penia. However, these clinical manifestations are not universally recognized as component of the syndrome. A number of studies have shown that aPL-related thrombosis tends to recur. There is, therefore, consensus about the need to give these patients anti-thombotic prophylaxis to prevent recurrences. The intensity and duration of this treatment are not established, however. Because APS is rare in childhood, no therapeutic studies exist. Management is, therefore, guided by information obtained in adult patients. Recent randomized, controlled trials have suggested that warfarin administered with a target INR of 2.0 to 3.0 confer an adequate protection in patients with aPL-associated thrombosis.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 162-166 REuMAtOLOGIA

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La sindrome da antifosfolipidi

anticorpi compaiono in genere in pazienti con infezioni, come la sifi-lide, la mononucleosi infettiva o l’HIV o a seguito della esposizione a particolari farmaci e non sono in genere patogeni. Gli aPL più comuni sono il LAC, gli aPL e gli anti-β2-GPI. Il LAC è de-terminato attraverso la dimostrazione di un allungamento del tempo di coagulazione con test funzionali, mentre gli aCL e gli anti-β2-GPI sono identificati con metodiche ELISA. Relativamente alle manifestazioni cli-niche della SAF, il LAC ha maggiore specificità, mentre gli aCL sono più sensibili. L’isotipo IgG di entrambi gli anticorpi ha specificità superiore rispetto agli isotipi IgM e le IgA. I pazienti con SAF presentano a volte la cosiddetta falsa positività dei test standard per la sifilide, che valutano la capacità degli aPL di precipitare un antigene, ad esempio la VDRL, contenente una miscela di cardiolipina, fosfatidilcolina e colesterolo.

Criteri di classificazione e aspetti diagnosticiNel 1998 sono stati proposti dei criteri diagnostici della SAF (cosid-detti criteri di Sapporo) (Wilson et al., 1999). Questi criteri sono stati aggiornati nel 2005 a Sydney (Myakis et al., 2006) (Tab. I). Sebbene questi criteri diagnostici siano stati proposti per assicurare il corretto inserimento dei pazienti con SAF negli studi di ricerca e nei trial clinici, essi vengono utilizzati nella pratica clinica come guida diagnostica in singoli pazienti. Esistono, tuttavia, pazienti con probabile SAF che non soddisfano i criteri, in quanto presentano manifestazioni cliniche e di laboratorio, come livedo reticularis, corea, malattia valvolare cardia-ca, ischemia cerebrale transitoria, mielite traversa, emicrania, anemia emolitica e piastrinopenia, che non sono universalmente accettate come componenti della sindrome (Cervera et al., 2002). Rispetto ai criteri di Sapporo, i criteri di Sydney riconoscono l’importanza di al-cune di queste manifestazioni cliniche per la diagnosi di SAF, anche se non per l’inclusione dei pazienti nei trial clinici. Inoltre, i criteri del 2005 hanno sostituito la denominazione di SAF primaria e secondaria con quella di SAF associata o non associata a una malattia reumatica e hanno riconosciuto come condizioni separate la SAF catastrofica a la presenza isolata di aPL in assenza di sintomatologia clinica.Sul piano pratico, la ricerca degli aPL deve essere considerata nei bambini e negli adolescenti che presentano trombosi arteriosa o venosa di natura non determinata, soprattutto in caso di episodi

ricorrenti (Tab. II). Analogamente, l’insorgenza di trombocitopenia, anemia emolitica, corea, livedo reticularis e di un prolungamento del tempo di tromboplastina parziale di eziologia non chiara deve indurre a determinare gli aPL.

Meccanismi patogeneticiNonostante la stretta associazione tra gli aPL e l’insorgenza di trom-bosi, i meccanismi responsabili della formazione del trombo vascolare in vivo non sono stati ancora elucidati. I meccanismi fisiopatologici ad oggi considerati possono essere suddivisi in almeno 4 gruppi princi-pali (Espinosa et al., 2003): 1) interferenza degli aPL con la funzione delle proteine leganti i fosfolipidi coinvolte nella cascata coagulativa, con conseguente induzione di uno stato pro-coagulante; 2) attivazio-ne delle cellule endoteliali, con aumentata espressione di molecole di adesione e ipersecrezione di citochine e prostaglandine ad azione pro-coagulativa; 3) danno endoteliale ossidativo, secondario all’atti-vazione macrofagica mediata dalle lipoproteine ossidate a bassa den-sità; 4) attivazione piastrinica, con conseguente accresciuta adesione delle piastrine o aumentata sintesi di trombossano. Studi in modelli animali hanno, inoltre, suggerito che peptidi virali o batterici possano indurre la produzione di aPL patogeni attraverso un meccanismo di mimetismo molecolare. Gli effetti degli aPL sulle cellule endoteliali, sui monociti e sulle piastrine sono schematizzati nella Figura 1.Indipendentemente dal meccanismo patogenetico, è presumibile che altri fattori svolgano un ruolo determinante nell’indurre lo svi-luppo di trombosi nei pazienti con aPL. In effetti, la maggior parte dei pazienti con livelli persistentemente elevati di questi anticorpi non sviluppano trombosi. È pertanto necessario un secondo fattore per-ché si sviluppi la trombosi (Giron-Gonzalez et al., 2004; Hudson et al., 2003). Ad esempio, molti altri fattori pro-trombotici come il fumo, la pillola contraccettiva, l’obesità, l’ipertensione e l’aterosclerosi, possono aumentare il rischio di trombosi nei soggetti aPL-positivi.

Manifestazioni cliniche Con l’ovvia eccezione della morbilità gravidica, la maggior parte delle manifestazioni cliniche descritte nei pazienti adulti con SAF

Tabella I. Criteri diagnostici della sindrome da antifosfolipidi.

Criteri clinici

1. Trombosi vascolare: uno o più episodi clinici di trombosi vascolare arteriosa, venosa o dei piccoli vasi in qualunque organo o tessuto.

2. Patologia gravidica:

a) uno o più morti fetali con feto morfologicamente normale alla decima settimana di gestazione o successivamente, oppure

b) uno o più parti prematuri con neonato morfologicamente normale alla 34a settimana di gravidanza o prima, a causa di severa pre-eclampsia o eclampsia oppure di severa insufficienza placentare, oppure

c) tre o più aborti spontanei e di origine non determinata prima della decima settimana di gestazione, in assenza di anomalie materne ormonali o anatomiche o di patologie cromosomiche paterne o materne.

Criteri di laboratorio

1. Anticorpi anticardiolipina di classe IgG e/o IgM a titolo intermedio o elevato nel siero o nel plasma (ad esempio, oltre 40 unità fosfolipidiche G o M op-pure a titolo superiore al 99° centile), presenti in due o più occasioni a distanza di almeno 12 settimane, determinati con un metodo ELISA standardizzato per gli anticorpi anticardiolipina β2-glicoproteina I-dipendenti.

2. Anticoagulante lupico presente nel plasma in due o più occasioni a distanza di almeno 12 settimane, dimostrato secondo le linee guida della Interna-tional Society on Thrombosis and Hemostasis (Scientific Subcommittee on Lupus Anticoagulant/Phospholipid-Dependent Antibodies).

3. Anticorpi anti β2-glicoproteina I di classe IgG e/o IgM nel siero o nel plasma (a titolo superiore al 99° centile), presenti in due o più occasioni a distanza di almeno 12 settimane, determinati con un metodo ELISA standardizzato, in accordo con le procedure suggerite.

La diagnosi di sindrome da antifosfolipidi viene posta in presenza di almeno un criterio clinico e di almeno un criterio di laboratorio.

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S. Davì et al.

sono state osservate anche nei bambini con questa sindrome. I fenomeni trombotici possono virtualmente colpire qualunque di-stretto arterioso e venoso e produrre un ampio spettro di sintomi clinici (Tab. III). Allo scopo di descrivere le caratteristiche cliniche della SAF in età pediatrica, è stato recentemente istituito un registro internazionale (Avcin et al., 2008). A tutto il 2007, questo registro ha raccolto 121 casi pediatrici di SAF provenienti da 14 paesi. La maggior parte di questi pazienti erano di sesso femminile (54%) e l’età media al-l’esordio della SAF era di 10,7 anni (1,0-17,9 anni). La metà circa dei pazienti (49,5%) aveva una malattia sistemica autoimmune, più frequentemente il LES. Il 60% dei pazienti ha presentato trombosi venosa, il 32% trombosi arteriosa, il 6% trombosi dei piccoli vasi e il 2% trombosi mista, arteriosa e venosa. La sede più frequente di trombosi venosa è stata rappresentata dalle vene profonde del-le estremità inferiori, mentre le trombosi arteriose hanno coinvolto

principalmente le arterie cerebrali. Gli aPL più frequentemente ri-scontrati sono stati gli aCL (81% dei casi), seguiti dal LAC (72%) e dagli anti-β2-GPI (67%). I pazienti con SAF primaria erano più giovani e avevano una frequenza più elevata di eventi trombotici arteriosi, mentre quelli con SAF associata ad una malattia sistemica avevano età maggiore e presentavano più comunemente trombosi venose associate a manifestazioni ematologiche e cutanee.

Sindrome antifosfolipidica catastrofica

Nei pazienti con SAF gli episodi trombotici insorgono di solito singo-larmente e le recidive compaiono in genere a distanza di mesi o anni dall’evento iniziale. Sono stati, tuttavia, descritti casi occasionali di SAF nei quali la sindrome si è manifestata in maniera acuta e deva-stante, con l’insorgenza di occlusioni vascolari simultanee e multiple in numerosi distretti dell’organismo. In questa condizione, denomi-nata SAF catastrofica (Asherson et al., 2003), gli eventi trombotici tendono a colpire più raramente i grandi vasi, mentre si manifestano soprattutto con una microangiopatia acuta che colpisce i piccoli vasi di organi multipli. Il rene rappresenta l’organo più frequentemente coinvolto, seguito dal polmone, dal sistema nervoso centrale, dal cuore e dalla cute. La SAF catastrofica ha mortalità elevata, dell’or-dine del 50%. Sono stati descritti numerosi eventi precipitanti della SAF catastrofica, come infezioni, procedure chirurgiche, neoplasie, riaccensioni di LES, brusca interruzione della terapia anticoagulante e terapia contraccettiva.

SAF neonatale

È stato dimostrato che nelle donne in gravidanza che presentano aPL, questi anticorpi possono attraversare la barriera placentare ed essere ritrovati nel sangue del neonato, dove permangono per circa 6 mesi, per poi scomparire (Avcin, 2008; Ravelli et al., 2007). Ciò nonostante, la trombosi neonatale, secondaria al passaggio trans-placentare di aPL, rappresenta un evento eccezionale. Sono stati, comunque, riportati di recente casi di trombosi vascolari in neonati

Tabella II. Diagnostica differenziale della trombosi vascolare associata agli anticorpi antifosfolipidi.

Presenza del fattore V di Leiden (resistenza alla proteina C attivata)

Deficienza di proteina C

Deficienza di proteina S

Deficienza di antitrombina III

Iper-omocisteinemia

Mutazione della protrombina (G20210A) nel 3’ non tradotto del RNA messaggero

Sindrome nefrosica

Assunzione di contraccettivi orali

Malattie mieloproliferative

Sindrome di Behçet

Vasculite sistemiche

Trombosi da eparina

Figura 1. Effetto degli anticorpi antifosfolipidi sulle cellule endoteliali, sui monociti e sulle pia-strine.

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La sindrome da antifosfolipidi

di madri aPL-positive. Non è tuttavia chiaro se gli anticorpi trasmessi al neonato abbiano avuto un ruolo primario dell’indurre la trombosi oppure abbiano semplicemente rappresentato un secondo fattore pro-trombotico capace di facilitare lo sviluppo di trombosi in neonati esposti ad altri fattori di rischio, come il posizionamento di un cate-tere ombelicale. È stato recentemente stabilito, nel contesto dell’Eu-ropean APL Forum, un registro internazionale volto a raccogliere casi di trombosi neonatale associati alla presenza di aPL nella madre (Boffa et al., 2004).

Terapia della SAF

Soggetti asintomatici con positività degli aPL

Sia gli aCL che il LAC possono essere ritrovati in bambini che non presentano alcuna evidenza di malattia (Avcin, 2008; Ravelli et al., 2007). Si tratta in genere di anticorpi a basso titolo, correlati a pre-gresse infezioni o vaccinazioni. Poiché questi anticorpi sono spesso transitori, la loro positività deve essere sempre verificata con deter-minazioni successive alla risoluzione dell’infezione. Nonostante l’associazione tra la presenza di aPL e lo sviluppo di trombosi sia chiaramente stabilita, la maggior parte dei soggetti in cui viene scoperta casualmente la presenza di aPL non va incon-tro fenomeni trombotici. L’indicazione alla profilassi antitromboti-ca nei soggetti che mostrano persistente positività degli aPL, ma non hanno mai avuto trombosi, è controversa, in quanto il rischio trombotico in questi casi non è noto (Alarcon-Segovia et al., 2003;

Harris et al., 1991). Alcuni non ritengono necessaria alcuna profi-lassi, mentre altri preferiscono somministrare una terapia antiag-gregante con aspirina a basse dosi. Il quesito verrà probabilmente chiarito dagli studi controllati ad ampio raggio attualmente in cor-so. L’idrossiclorochina, che possiede una qualche attività anticoa-gulante, può essere utile nei pazienti con LES e positività degli aPL a scopo preventivo. Poiché i soggetti pediatrici sono esposti in misura minore rispet-to agli adulti ai fattori pro-trombotici concomitanti sopra citati, è presumibile che il rischio di trombosi nei bambini aPL-positivi asintomatici sia molto più basso che negli adulti. In questi bam-bini è tuttavia necessario monitorare con attenzione l’esposizione ad altri fattori pro-trombotici che possono aumentare il rischio di trombosi. L’esecuzione di una profilassi eparinica dovrà, ad esem-pio, essere considerata in caso di immobilizzazione prolungata o intervento chirurgico, o in presenza di un’altra anomalia della coagulazione. Gli adolescenti aPL-positivi devono essere informati circa la necessità di evitare altre situazioni di rischio, come il fumo o la pillola contraccettiva.Non è ancora chiaro se i bambini aPL-positivi che non hanno avuto trombosi, ma presentano altre manifestazioni cliniche, come live-do reticularis, piastrinopenia, anemia emolitica, corea, vegetazioni valvolari cardiache o disturbi cognitivi, debbano essere sottoposti a profilassi anticoagulante.

Pazienti aPL-positivi con trombosi

La terapia della trombosi vascolare nei pazienti con SAF è simile a quella dei pazienti con trombosi dovuta ad altre cause. Il trattamento con steroidi a dosaggio elevato, ciclofosfamide e plasmaferesi volto a ridurre il livello degli aPL circolanti, assieme alla terapia anticoagulan-te, è indicato soltanto nelle situazioni più drammatiche, come la SAF catastrofica. In questa condizione sono stati recentemente riportati ri-sultati favorevoli con l’uso del rituximab. In altre istanze, il trattamento immunosoppressivo non è indicato, in quanto gli aPL ritornano rapi-damente al livello iniziale dopo la sospensione della terapia. Inoltre, questi farmaci non sono in grado di prevenire le recidive trombotiche.Numerosi studi retrospettivi nell’adulto hanno dimostrato chiara-mente che la trombosi associata agli aPL tende a recidivare. Vi è quindi ampio consenso circa l’opportunità di sottoporre questi pazienti a profilassi antitrombotica per prevenire le ricorrenze trombotiche (Khamashta et al., 1995). La durata e l’intensità di questo trattamento non sono, tuttavia, stabilite e sono controverse. Gli studi più recenti, randomizzati e controllati, hanno suggerito che la terapia con warfarin mirata a raggiungere un INR compreso tra 2.0 e 3.0 conferisca una protezione adeguata nei soggetti che non abbiano avuto precedenti recidive di trombosi durante tratta-mento con anticoagulanti orali (Crowther et al., 2003; Finazzi et al., 2003). Sebbene non esistano dati specifici per l’età pediatrica, l’approccio attuale alla trombosi aPL-correlata nel bambino si rifà agli schemi dell’adulto. Rimangono tuttavia numerosi quesiti an-cora irrisolti: non è, ad esempio, ancora stabilito se la trombosi arteriosa e venosa richiedano la stessa intensità di trattamento anticoagulante, se e quando la profilassi con warfarin possa esse-re sospesa e se i pazienti che sviluppano trombosi in associazione ad altri fattori di rischio debbano essere trattati diversamente da quelli che non hanno altri fattori di rischio al di fuori degli aPL. Inoltre, il trattamento ottimale dei pazienti che presentano ricor-renze di trombosi nonostante la terapia anticoagulante a intensità elevata è tuttora ignoto.

tabella III. Principali sedi di trombosi vascolari nella sindrome da antifosfolipidi.

Vasi sanguigni colpiti Manifestazioni cliniche

Circolo venoso

• Vene degli arti Trombosi profondaTrombosi superficiale

• Grandi vasi venosi Trombosi della vena cava superiore o inferiore

• Vene polmonari Embolia polmonareIpertensione polmonare

• Vene cutanee Livedo reticularis

• Vene cerebrali Trombosi dei seni venosi cerebrali

• Vene epatiche

- Grandi vasi venosi Sindrome di Budd-Chiari

- Piccoli vasi venosi Epatomegalia, elevazione degli enzimi epatici

• Vene oculari Trombosi della vena retinica

• Ghiandole surrenali Malattia di Addison

Circolo arterioso

• Arterie cerebrali Infarto cerebrale, attacchi ischemici transitori

• Arterie renali

- Grandi vasi arteriosi Trombosi dell’arteria renale

- Piccoli vasi arteriosi Microangiopatia trombotica

• Arterie degli arti Ischemia, gangrena

• Arterie coronarie Infarto miocardico

• Arterie epatiche Infarto epatico

• Arterie intestinali Trombosi dell’arteria mesenterica

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S. Davì et al.

Che cosa di sapeva primaFino a pochi anni fa la possibile associazione tra lo sviluppo di trombosi e la presenza di anticorpi antifosfolipidi circolanti era poco nota in età pediatrica. Conseguentemente, la determinazione di questi anticorpi veniva raramente inclusa nell’iter diagnostico dei bambini e degli adolescenti che presentava-no un’occlusione vascolare di eziologia non determinata. Inoltre, l’approccio terapeutico ai pazienti con questa sindrome non era stabilito.Cosa sappiamo adessoNegli anni più recenti vi è stato un considerevole aumento delle segnalazioni di casi di sindrome di antifosfolipidi in età pediatrica. Poiché diverse indagini in pazienti adulti hanno dimostrato che la trombosi associata agli anticorpi anti-fosfolipidi tende a recidivare, vi è ampio consenso circa la necessità di sottoporre i bambini con questa condizione a profilassi anticoagulante a lungo termine. La durata ottimale di questa profilassi e la sua intensità non sono, tuttavia, definite. Analogamente, non è ancora chiaro se i pazienti con anticorpi antifosfolipidi circolanti che non hanno mai avuto trombosi richiedano un trattamento preventivo antiaggregante o anticoagulante. Quali sono le ricadute sulla pratica clinicaLa sindrome da antifosfolipidi è una causa importante di trombosi vascolare in età pediatrica. È quindi necessario inserire la determinazione degli anticorpi antifosfolipidi nell’iter diagnostico dei bambini e degli adolescenti che presentino trombosi vascolare di natura non determinata. I pazienti con trombosi vascolare associata agli anticorpi anti-fosfolipidi devono essere sottoposti per un tempo indefinito a profilassi antitrombotica per prevenire le ricorrenze. Una protezione adeguata può essere ottenuta somministrando warfarin a dosaggio sufficiente a mantenere un INR compreso tra 2.0 e 3.0. Poiché l’approccio ottimale ai pazienti con anticorpi antifosfolipidi circolanti che non hanno mai avuto trombosi non è stabilito, non possono ad oggi essere fornite raccomandazioni circa l’opportunità di sottoporre questi soggetti a profilassi antiaggregante o a nessun trattamento.

Box di orientamento

Bibliografia

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Finazzi G, Marchioli R, Barbui T. A randomized clinical trial of oral anticoagulant therapy in patients with antiphospholipid antibody syndrome: the WAPS study [abstract]. J Thromb Haemost 2003;1(Suppl 1):OC365. Giron-Gonzalez JA, Garcia Del Rio E, Rodriguez C, et al. Antiphospholipid syn-drome and asymptomatic carriers of antiphospholipid antibody: prospective analysis of 404 individuals. J Rheumatol 2004;31:1560-7.Harris EN, Spinnato JA. Should anticardiolipin tests be performed in otherwise healthy pregnant women? Am J Obstet Gynecol 1991;165:1272-7. Harris NE, Khamashta MA. Antiphospholipid syndrome. In: Hochberg MC, Sil-man AJ, Smolen JS, et al. eds. Rheumatology. 3rd edition. Philadelphia: Elsevier 2003, pp. 1445-1453. Hudson M, Herr A-L, Rauch J, et al. The presence of multiple prothrombotic risk factors is associated with a higher risk of thrombosis in individuals with anticar-diolipin antibodies. J Rheumatol 2003;30:2385-91.Khamashta MA, Cuadrado MJ, Mujic F, et al. The management of thrombosis in the antiphospholipid-antibody syndrome. N Engl J Med 1995;332:993-7. Levine JS, Branch DW, Rauch J. The antiphospholipid syndrome. N Engl J Med 2002;346:752-63.Motta M, Tincani A, Lojacono A, et al. Neonatal outcome in patients with rheu-matic disease. Lupus 2004;13:718-23.Myakis S, Lockshin MD, Atsumi T, et al. International consensus statement on an update of the classification criteria for definite antiphospholipid syndrome. J Thromb Haemost 2006;4:295-306.** Questo lavoro riporta la revisione più recente dei criteri diagnostici della sin-drome da antifosfolipidi. Ravelli A, Martini A, Burgio GR. Antiphospholipid antibodies in paediatrics. Eur J Pediatr 1994;153:472-9.Ravelli A, Martini A. Antiphospholipid antibody syndrome in Pediatrics. Rheum Dis Clin N Am 2007;52:499-523. ** Questa review fornisce una descrizione dettagliata delle manifestazioni cliniche della sindrome da antifosfolipidi in età pediatrica e un’analisi degli studi sul signifi-cato clinico degli anticorpi antifosfolipidi nelle malattie infiammatorie sistemiche. Von Landenberg P, Lehmann HW, Knoll A, et al. Antiphospholipid antibodies in pediatric and adult patients with rheumatic disease are associated with parvovi-rus B19 infection. Arthritis Rheum 2003;48:1939-47.Wilson WA, Gharavi AE, Koike T, et al. International consensus statement on pre-liminary classification criteria for definite antiphospholipid syndrome. Report of an international workshop. Arthritis Rheum 1999;42:1309-11.* Questo lavoro riporta i cosiddetti criteri di Sapporo, che rappresentano i criteri diagnostici originari della sindrome da antifosfolipidi. Questi criteri sono stati recentemente aggiornati (vedi voce bibliografica 25).

prof. Angelo Ravelli, Pediatria II, Istituto G. Gaslini, largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Tel. +39 010 5636386. Fax +39 010 5636211. E-mail: [email protected]

Corrispondenza

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FRONtIERE

Genome-wide array nella pratica clinica: certezze e dubbi

Orsetta Zuffardi* **, Annalisa Vetro*

* Genetica Medica, Università di Pavia; **Fondazione IRCCS Casimiro Mondino, Pavia

Introduzione

L’analisi del genoma tramite array genomici, siano essi array-CGH (Comparative Genomic Hybridization) o SNP-array (Single Nucleotide Polymorphism), è ormai entrata nella flow chart diagnostica di diverse patologie, in primis del ritardo mentale idiopatico. L’approccio è quello della citogenetica convenzionale e cioè l’analisi dell’intero genoma, ma la risoluzione è enormemente più alta. Ne consegue che l’ana-lisi genome-wide array (da qui in poi “cariotipo molecolare” o “array citogenetici”) non solo permette di evidenziare sbilanci (delezioni o duplicazioni) di regioni genomiche al di sotto delle fatidiche 5-10 Mb, considerate il limite di risoluzione della citogenetica, ma permette an-che di identificare quali sono i geni contenuti nella regione sbilanciata. Fra questi, quelli sensibili al dosaggio dovrebbero essere alla base del fenotipo del paziente. Tuttavia, il principio che ha guidato i clinici nell’interpretazione delle correlazioni genotipo-fenotipo delle anoma-lie citogenetiche, e cioè che uno sbilancio visibile citogeneticamente, specie se de novo, è la causa del ritardo psicomotorio o mentale del paziente, non può essere esteso sic et simpliciter all’interpretazione del cariotipo molecolare. Infatti ciascuno di noi, individui normali o ritenuti tali, presenta una serie delezioni, duplicazioni o amplifica-zioni per diverse regioni genomiche. Il dato inatteso che una parte del nostro genoma non è diploide pur senza apparenti conseguenze fenotipiche, comporta che nell’interpretazione degli array citogenetici occorra filtrare gli sbilanci noti come benigni. Tuttavia una serie di pro-blematiche può comunque complicare l’interpretazioni del cariotipo molecolare rendendo talvolta il referto finale di dubbio valore circa la patogenicità degli sbilanci identificati.

Variazioni genomiche “benigne” del numero di copie (CNP: copy number polymorphisms)Si tratta di delezioni e duplicazioni di sequenze genomiche con dimen-sioni da 1 kb a qualche Mb che costituiscono i maggiori responsabili della diversità genetica e fenotipica nell’uomo. I CNP sono spesso in stati allelici multipli (alcuni variano da zero a più di 10 copie) e con-tengono geni coinvolti, fra l’altro, nell’immunità, nella percezione sen-soriale, nella risposta ai farmaci. Queste variazioni sono reperibili in uno specifico database (Database of Genomic Variants, http://projects.tcag.ca/variation/) che raccoglie tutte le variazioni strutturali maggiori di 1 kb identificate in campioni di controllo sani e dà informazioni sul-la presenza di varianti genomiche comuni nella regione di interesse. Tuttavia è importante sottolineare che al momento attuale 1) non è possibile escludere che la variante in studio sia un fattore di suscetti-bilità per una qualche patologia in un certo campione di pazienti e 2) la mancanza di varianti nella regione genomica in studio non significa necessariamente che in quella regione non vi siano varianti comuni. Altri studi di popolazione sono necessari per completare la lista del-le varianti comuni e occorreranno diversi anni prima di definire quali varianti agiscono come fattori di suscettibilità per certe malattie e in quali condizioni di numero di copie. Inoltre, dal momento che il data-base è stato costruito utilizzando dati provenienti da studi di popola-zione effettuati con piattaforme sia di sonde a BAC (80-200 kb) che a oligomeri (poche decine di paia di basi), alcune regioni considerate varianti attraverso i BAC possono rappresentare dei falsi positivi nel senso che solo una parte della regione coperta dal BAC è effettiva-mente variante (Fig. 1). In generale, le regioni identificate come va-

RiassuntoL’analisi dell’intero genoma (sia mediante array-CGH che SNP-array) fa ormai parte del percorso diagnostico di molte malattie, in primis del ritardo mentale idio-patico. L’approccio metodologico di questa tecnologia è lo stesso della citogenetica convenzionale nel senso che, con un unico esperimento, si analizza l’intero genoma ma la risoluzione è enormemente più alta. Inoltre con questa tecnologia non solo si identificano sbilanciamenti genomici di dimensioni inferiori al limite di risoluzione del cariotipo ma si ottengono immediate informazioni su quali siano i geni contenuti nella regione deleta o duplicata. Tuttavia, il vecchio principio secondo cui uno sbilanciamento cromosomico, specie se de novo, è la causa del fenotipo anomalo non può essere totalmente utilizzato nell’interpretazione del cariotipo molecolare. Infatti ciascuno di noi presenta variazioni del numero di copie di regioni genomiche (delezioni e duplicazioni) di dimensioni varianti da 1 kb a qualche Mb apparentemente prive di effetti fenotipici. Questo fatto e l’inattesa frequenza di sbilanciamenti associati a dominanza incompleta può complicare l’interpretazione finale dei dati sperimentali.

SummaryThe analysis of the entire genome through array (both array-CGH and SNP-array) is now part of the diagnostic flow-chart of many diseases, first at all of idiopathic mental retardation. The approach of this technology is the same of conventional cytogenetics, involving the analysis of the entire genome, but the resolution is extremely higher. As a consequence, genome-wide array (also known as molecular karyotype or cytogenetic-array) is not only able to reveal imbalances (deletions or duplications) of genomic regions smaller than 5-10 Mb, that is the resolution limit of conventional cytogenetics, but it is also able to identify which genes are contained within the deletion/duplication region. Among these genes, those dosage-sensitive should be responsible for the patient’s phenotype. However, the old principle that a visible chromosomal imbalance, particularly when de novo, can be assumed to be the cause of a child’s mental retardation or developmental abnormalities, cannot be immediately applied to the interpretation of molecular karyotype. In fact, each of us has copy number variations (deletions or duplications usually 1 kb to 1 Mb) that do not appear to have any evident effect on the phenotype. This finding and the unexpected high frequency of incomplete penetrance can complicate the final interpretation of the experimental results.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 167-171 FRONtIERE

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O. Zuffardi, A. Vetro

rianti in studi diversi sono quelle più credibili, mentre quelle trovate in un singolo studio sono da considerare come estremamente rare o comunque con maggiore cautela. Ciascuno di noi ha in media di 3-7 varianti genomiche, per una me-dia totale di 540 kb (0,02% del genoma). Il 5-10% degli individui sani ha nel suo genoma una variante di dimensioni maggiori alle 500 kb e l’1-2% una variante di più di 1 Mb. Come regola generale, tanto maggiore è la densità genica e la taglia della variante quanto più essa è rara nella popolazione (Itsara et al., 2009). Rimane comunque il fatto che l’attuale paucità di dati sulle varianti rare crea non pochi problemi nell’interpretazione degli array citogenetici.

Interpretazione delle variazioni del numero di copie (CNV)La valutazione di delezioni/duplicazioni (CNV) non presenti nel data-base delle varianti richiede quasi sempre l‘estensione dell’indagine ai genitori.

CNV de novoSe la CNV risulta de novo è molto probabile che abbia un significato clinico. Infatti il 99% delle varianti benigne è risultato essere ere-ditato (McCarrol et al., 2008). Quindi la probabilità che la variante de novo sia un polimorfismo raro è estremamente bassa. Occorre tuttavia tener presente la possibilità di non paternità, per cui varianti apparentemente de novo potrebbero invece essere presenti nel pa-dre biologico. Se la CNV ricopre regioni già riportate in associazione alla sindrome del paziente l’interpretazione è immediata, mentre, se non è mai stata precedentemente descritta e non è riportata nei principali database di correlazione fra sbilanci genomici e relativi fe-notipi (DECIPHER, ECARUCA), occorre valutarne il contenuto genico mediante consultazione di database genomici (Ensembl o UCSC). In alcuni casi questo approccio permette di identificare geni plausibil-mente correlabili con la patologia del paziente, sulla base della loro

espressione tissutale o del loro ruolo in pathway biologici già noti. Più spesso, l’attuale mancanza di dati su quali geni siano sensibili al dosaggio impedisce tali correlazioni e occorre aspettare che altri laboratori raccolgano casi simili. Questo evidentemente implica che, ai fini di una buona diagnostica, il laboratorio faccia parte di una rete internazionale di contatti con i gruppi che operano in questo settore. Un altro problema interpretativo è posto da quelle delezioni/du-plicazioni che interessano regioni genomiche prive di geni (desert regions). Si stanno infatti moltiplicando gli esempi che dimostrano come l’espressione di molti geni dipenda da sequenze di DNA lo-calizzate anche parecchie kb a monte o a valle del gene stesso. La perdita o la duplicazione di tali regioni, pur prive di sequenza codificante, altera di fatto i livelli di espressione genica e può ri-sultare in sintomatologie parzialmente o totalmente sovrapponibili a quelle date dalla mutazione del gene. Un esempio calzante è quello di delezioni a monte o a valle del gene SOX9 (Benko et al., 2009) che possono risultare nella sequenza Pierre Robin (micrognatia e palato-schisi), mentre le mutazioni di SOX9 sono associate a nanismo cam-pomelico, caratterizzato fra l’altro da micrognatia e palatoschisi.

CNV ereditate da un genitore non affettoSebbene inizialmente ci sia stata una tendenza a sottovalutare que-ste situazioni e la delezione/duplicazione ereditata venisse ritenuta una variante benigna rara, attualmente l’approccio è quello di con-siderare due possibilità: 1) oltre alla CNV ereditata, il paziente ha la mutazione di un gene compreso nella regione di delezione sul cromosoma omologo. Questa situazione crea quindi una patologia autosomica recessiva nel probando con un genitore deleto e l’altro mutato per il gene-malattia, oppure 2) la CNV ha una penetranza incompleta e/o un’espressività variabile. Sebbene la prima possi-bilità sembri un’evenienza rara, non pochi lavori hanno riportato questa situazione (si vedano ad esempio: Lesnik Oberstein et al., 2006; Balikova et al., 2009; van Kullenberg et al., 2009). Per quanto riguarda la penetranza incompleta, un esempio pregnante è dato dalla sindrome di TAR (trombocitopenia ipomegacariocitica e aplasia radiale bilaterale). In 30 pazienti con la patologia de novo è stata identificata una microdelezione di 200 kb in 1q21.1. L’analisi dei genitori non affetti ha identificato la stessa delezione nel 75%, men-tre nel 25% dei casi essa risultava de novo (Klopocki et al., 2007). Inoltre la delezione risultava assente in una coorte di 700 individui di controllo. Questo dato indica che la delezione (o meglio l’aploin-sufficienza per uno dei geni nella regione di delezione) è necessaria ma non sufficiente al manifestarsi della sindrome. Dal momento che il tipo di eredità della sindrome non si accorda né con una modalità autosomica recessiva né con imprinting genomico, appare verosi-mile una situazione oligogenica come osservato per la sindrome di Bardet-Biedl (Katsanis, 2004). Gli esempi di sbilanci associati a penetranza incompleta/espressività variabile sono sempre più nu-merosi (del/dup1q21.1, Brunetti-Pierri et al., 2008 e Mefford et al., 2008; dup7q11.23, Torniero et al., 2008; del/dup15q13, van Bon et al., 2009; del16p11.2, Weiss et al., 2008) tanto da considerare que-sta situazione uno dei fattori di maggior impatto nell’interpretazione dell’analisi e nella consulenza genetica.

L’importanza di un’interpretazione coordinata fra il medico e il laboratorioNell’interpretazione dei dati degli array citogenetici, può capitare che il laboratorista nell’analizzare il contenuto genico di una CNV vi trovi dei geni che in dosaggio alterato si associano ad una sindrome non ri-

Figura 1.Esempio di un polimorfismo per numero di copie (CNP) riportato nel Database of Genomic Variants. Fra 95 individui normali (Sample Size) il BAC RP11-129E3 (in verde nella figura) è stato trovato duplicato in 2 (Observed Gain) e deleto in uno solo (Observed Loss). Il BAC sottende il gene SOX9, che in aploinsufficienza è responsabile di nanismo cam-pomelico. L’esempio dimostra come il BAC, delle dimensioni di 200 kb (vedi Genomic Position) non possa essere una variante di popola-zione per tutta la sua dimensione, in quanto l’unico individuo riportato dal database con la delezione non presenta nanismo campomelico ma appartiene alla popolazione di controllo. In questo esempio la reale di-mensione del polimorfismo è stata quindi sovrastimata.

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Genome-wide array nella pratica clinica: certezze e dubbi

conosciuta come tale dal medico richiedente, che ne aveva segnalato solo alcuni aspetti patologici più affini alla propria branca specialistica. Ad esempio, l’epilettologo può inviare ad analisi un paziente con epi-lessia e ritardo mentale; l’identificazione di una delezione in 2q22.3 che comprenda fra gli altri il gene ZEB2 orienterà verso la sindrome di Mowat-Wilson e, grazie all’interazione fra medico e laboratorio, si valuterà la presenza nel paziente di altri sintomi precedentemente sottovalutati (stitichezza, dismorfismi facciali caratteristici). Si parla in questo caso di “reverse genetics”. Quest’approccio, lungi dallo smi-nuire le capacità diagnostiche del medico, è fondamentale per chiarire le basi molecolari di fenotipi complessi, dove gli effetti patogenetici dello sbilancio di uno specifico gene possono essere complicati dalla concomitante delezione/duplicazione di più geni.È quindi importante che ciascun risultato di laboratorio venga sem-pre discusso con il medico richiedente prima di essere comunicato al paziente.

La consulenza geneticaNel caso di CNV de novo, dal momento che l’array non vede riarran-giamenti bilanciati, occorre escludere che il genitore abbia un’in-serzione della regione deleta/duplicata nel probando su un alro cro-mosoma. Allo scopo, è opportuno analizzare le metafasi dei genitori tramite FISH con sonde della regione deleta/duplicata per escludere questa possibilità. Il rischio di ricorrenza in caso di inserzione è ov-viamente alto. Inoltre, laddove il risultato dell’analisi evidenzi una traslocazione sbilanciata, occorre effettuare l’indagine citogenetica dei genitori per valutare se uno dei due sia portatore del corrispon-dente riarrangiamento bilanciato. Un problema legato all’indagine genome-wide array riguarda la pos-sibilità di evidenziare CNV responsabili di malattie a esordio tardivo e non correlate al motivo dell’analisi.

Aspetti tecniciUn problema spesso dibattuto riguarda quale sia la migliore piatta-forma per l’analisi del cariotipo molecolare. La maggior controversia è se siano più adatte le piattaforme a BAC o quelle a oligomeri e quale sia la risoluzione ideale.La differenza sostanziale fra le due piattaforme di array genomici consiste nella lunghezza delle sonde utilizzate. Negli array a BAC (Bacterial Artificial Chromosomes) si tratta di grossi inserti geno-mici (fra le 80 e le 200 kb) che, pur garantendo una buona spe-cificità di ibridazione con il DNA bersaglio, mancano di precisione nella definizione molecolare della taglia della CNV, sovrastimando la dimensione dello sbilancio. Inoltre, considerando che CNV più piccole della dimensione della sonda non sono ovviamente identi-ficabili, il limite di risoluzione non può comunque essere inferiore a circa 80 kb, anche utilizzando piattaforme a BAC con alta copertura (tiling-path). Nelle piattaforme ad oligomeri ad alta densità, inve-ce, la sonda ha dimensioni notevolmente ridotte (nelle più diffuse 60 basi), permettendo una migliore definizione molecolare dello sbilancio. La minore specificità della sonda corta viene superata ponendo come soglia per l’identificazione della CNV un minimo di più sonde consecutive che risultino omogeneamente delete/dupli-cate. Questo espediente permette di identificare CNV di dimensioni molto inferiori alle 80 kb e di ridurre il numero di falsi positivi. Inoltre le piattaforme ad oligomeri sono in genere più flessibili ed è possibile, in molti casi, servirsi di un disegno personalizzato per investigare a maggior risoluzione (fino a poche centinaia di paia di basi) specifiche regioni genomiche.Fra le piattaforme a oligomeri l’utilizzo di array-CGH anziché di SNP array dipende dall’esperienza dei singoli laboratori. L’array-CGH è più

sensibile nell’identificare variazione del numero di copie, mentre gli SNP-array compensano a questa mancanza fornendo informazioni aggiuntive ad esempio su eventuali regioni di disomia uniparentale. L’utilizzo di array a BAC a risoluzione non superiore alle 500 kb im-pedisce sia di identificare sbilanci causativi di piccole dimensioni che di effettuare precise correlazioni genotipo-fenotipo, vanificando lo scopo primario di queste tecniche. È auspicabile che, nell’approc-cio al paziente con ritardo mentale idiopatico o autismo, si arrivi ad un accordo nella comunità scientifica per l’utilizzo di piattaforme con risoluzione non inferiore a 10-20 kb, con lo stesso principio che ha portato negli anni passati ad analizzare questi pazienti con cario-tipo a risoluzione non inferiore alle 500 bande (Curry et al.,1997). Va invece considerato ormai completamente superato l’approccio con piattaforme di array “targeted”, nelle quali cioè vengono coperte da sonde (a BAC o ad oligomeri) soltanto discrete regioni genomiche, già note per essere associate a sindromi da microdelezione/dupli-cazione. Queste piattaforme, che avevano inizialmente incontrato il favore di molti laboratori specialmente negli Stati Uniti, impediscono l’identificazione di CNVs in regioni inattese e andrebbero continua-mente aggiornate per coprire regioni di delezione/duplicazione as-sociate alle nuove sindromi che si stanno via via delineando. Sono state quindi in gran parte sostituite da piattaforme che oltre a regioni genomiche attese coprono anche le altre regioni del genoma even-tualmente ad una risoluzione più bassa. Una volta identificato uno sbilancio genomico, esso viene in genere confermato o ripetendo l’analisi o con metodiche indipendenti. Va comunque sottolineato che la probabilità che l’analisi genome-wide array generi dei falsi positivi diminuisce con l’aumentare della di-mensione dello sbilancio e che i sistemi di controllo di qualità forniti dai software di analisi sono molto efficaci ad indicare la bontà e la qualità dell’esperimento.

Nuove Sindromi identificate mediante genome-wide arrayNegli ultimi anni un’intensa collaborazione fra vari laboratori con grande esperienza nel campo degli array genomici ha permesso di definire un numero crescente di nuove sindromi da microdelezione/duplicazione, generalmente note come disordini genomici.Ne elenchiamo di seguito solo due fra quelle finora meglio descritte e con penetranza completa.

Sindrome da microdelezione 17q21.31

Ne sono riportati oltre trenta casi. La prevalenza stimata della sin-drome è di 1:16,000 nati e la sua incidenza nel ritardo mentale idiopatico dello 0,64%. La sindrome è attualmente riconoscibile sulla base di alcuni tratti caratteristici. In tutti i casi la regione di delezione si estende per circa 480 kb e contiene 6 geni. Si tratta infatti di un riarrangiamento ricorrente nella popolazione, in quanto la delezione è mediata da duplicazioni segmentali altamente omo-loghe mediante un meccanismo noto come ricombinazione omo-loga non allelica (NAHR). La delezione è sempre de novo e in tutti i casi esaminati si è sempre verificata alla meiosi di un genitore portatore di un comune polimorfismo di inversione di 900 kb in 17q21.31. Tale polimorfismo sembra quindi il fattore necessario per il verificarsi della delezione. Le caratteristiche cliniche, ampia-mente definite da Koolen et al. (2008) comprendono ritardo dello sviluppo, ipotonia, una facies piuttosto tipica, e un comportamento particolarmente socievole.

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O. Zuffardi, A. Vetro

Sindrome da duplicazione di Xq28

Ne sono riportati oltre cinquanta casi. Questa duplicazione è presente nel 2% dei maschi con encefalopatia grave, probabilmente causata dall’alterato dosaggio del gene MECP2. Come noto, mutazioni di questo gene si associano alla sindrome di Rett nelle femmine. Le duplicazioni riportate, che non hanno punti di rottura ricorrenti, variano da 200 kb a qualche Mb e possono comprendere oltre a MECP2 altri geni. Nella maggior parte dei casi sono compresi nella regione duplicata i due geni fiancheggianti MECP2: FLNA e IRAK1. Si ritiene la pseudostruzione intestinale e le infezioni gravi e ricorrenti, spesso riportate in questi pazienti siano associate alla duplicazione di questi due geni. Questo riarrangiamento può essere presente nella stessa famiglia in femmine non affette. Per una più precisa descrizione della sintomatologia, si ve-dano Clayton-Smith et al. (2009) e Lugtenberg et al. (2009).

Oltre all’identificazione di nuove sindromi, l’applicazione di genome-wide array in grossi campioni di pazienti con autismo e schizofrenia ha inoltre portato a identificare numerose CNV associate ad un rischio aumentato di malattia. Questi studi hanno permesso di identificare geni di suscettibilità, molti dei quali responsabili della corretta morfologia e funzione delle sinapsi (Glessner et al., 2009; Need et al., 2009).

Quando richiedere l’analisi genome-wide array; prima o dopo l’analisi cromosomica?

L’analisi genome-wide è spesso richiesta in quei casi in cui il quadro fenotipico del paziente è fortemente evocativo di un’anomalia cromo-somica ma il cariotipo è risultato normale. Di fatto questo approccio è limitante rispetto alle potenzialità della tecnica e sempre più numerosi sono gli esempi di microdelezioni/duplicazioni associate ad anomalie fenotipiche lievi. Ad esempio in una donna di 22 anni con disprassia verbale che aveva avuto uno sviluppo psicomotorio leggermente ritar-dato (caso 1 in De Gregori et al. 2007), è stata identificata una dele-zione de novo di circa 8 Mb in 7q22.3-q31.1 contenente, fra gli altri, il gene FOXP2 la cui aploinsufficienza è causa di disordini del linguaggio. Quindi in generale, quest’indagine andrebbe richiesta non soltanto con i criteri con i quali si richiede l’indagine citogenetica ma ogni qualvolta il clinico si trovi di fronte a situazioni non inquadrabili come sindromi cromosomiche o mendeliane. Dal punto di vista costi-benefici sarebbe forse più corretto richiedere l’array genomico in prima battuta anche se la maggior diffusione dell’analisi citogenetica convenzionale rende attualmente poco verosimile questo approccio. Va anche notato che l’array genomico non vede i riarrangiamenti bilanciati quindi non va utilizzato in coppie con infertilità o aborti ripetuti nelle quali si possono trovare traslocazioni reciproche o robertsoniane.

Lo studio genome-wide di riarrangiamenti identificati mediante citogenetica convenzionale ha rilevato dati inattesi

Le traslocazioni reciproche associate a fenotipi anomaliFin dal 1991 Warburton aveva evidenziato che il 6,1% dei soggetti portatori di traslocazioni cromosomiche de novo apparentemente bi-lanciate presentano fenotipo anomalo (ritardo mentale di vario grado e anomalie congenite). L’effetto patogenetico di tali riarrangiamenti potrebbe essere dovuto a: 1) perdita di materiale genetico conseguen-te al formarsi della traslocazione, 2) rottura di un gene sensibile al dosaggio in corrispondenza dei punti di rottura della traslocazione e

la sua conseguente aploinsufficienza, 3) disomia uniparentale per uno dei cromosomi traslocati se questo contiene geni imprinted. Vari studi mediante genome-wide array hanno dimostrato che almeno il 40% di questi riarrangiamenti non è realmente bilanciato ma si associa a perdita di materiale sia a livello dei punti di rottura della traslocazione che altrove nel genoma (Fig. 2) (De Gregori et al., 2007; Baptista et al., 2008). In tutti i casi di traslocazioni de novo apparentemente bilancia-te, sia associate ad anomalie fenotipiche che identificate in diagnosi prenatale, occorre quindi vagliare l’eventuale presenza di delezioni tramite genome-wide array. In diagnosi prenatale il rischio residuo di anomalie fenotipiche causate dalla traslocazione per i casi negativi al cariotipo molecolare è quindi poco maggiore del 3%.

I cromosomi ad anello presentano talvolta duplicazioni genomiche associate alle delezioni atteseSebbene si sia da sempre ritenuto che le anomalie fenotipiche as-sociate ai cromosomi ad anello fossero dovute a perdita di materiale ad uno o ambedue le estremità dell’anello, l’analisi mediante array genomici di un campione di pazienti con cromosomi ad anello ha dimostrato che nel 20% di essi oltre alla delezione è presente una duplicazione contigua. Questo dato va tenuto presente per associa-zioni genotipo-fenotipo (Rossi et al., 2008).

Il cariotipo molecolare può rilevare anomalie cromosomiche in mosaicoIl mosaicismo cromosomico è sempre stato citato come possibile causa di ritardo mentale idiopatico sebbene la frequenza di questa si-tuazione sia poco nota a parte che nella sindrome di Pallister-Killian dove l’isocromosoma 12p soprannumerario è presente nei fibroblasti cutanei piuttosto che nei linfociti. Vari lavori in passato hanno suggerito l’importanza di estendere l’indagine del cariotipo a tessuti diversi dai

Figura 2.Il paziente F.G., con ritardo mentale ed epilessia, è risultato porta-tore di una traslocazione reciproca de novo tra il cromosoma 2 e il cromosoma 7 (vedi cariotipo a sinistra). Il profilo del cromosoma 2 dopo analisi mediante array-CGH alla risoluzione di circa 20 kb (array 244K, Agilent) mostra una delezione in 2q22.3q23.1 di cir-ca 1,13 Mb. L’aploinsufficienza per il gene MBD5 contenuto nella regione di delezione è primariamente responsabile del fenotipo del paziente, come dimostrato da casi simili in letteratura. L’ingran-dimento a destra mostra anche i geni contenuti nella regione di delezione.

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Genome-wide array nella pratica clinica: certezze e dubbi

linfociti periferici in pazienti con asimmetria corporea e/o anomalie del-la pigmentazione (Curry et al., 1997). Il cariotipo molecolare potrebbe superare alcuni problemi di selezione delle cellule normali rispetto a quelle aneuploidi in quanto non richiede la coltura della cellule. Di fatto molti recenti lavori dimostrano che la presenza dell’isocromosoma 12p viene facilmente rilevata mediante array genomici anche su cellule da

sangue non coltivate (Theisen et al., 2009). La soglia di rilevamento del mosaicismo mediante array genomici varia nei diversi laboratori. In generale si può assumere che il mosaicimo è sospettabile anche al di sotto del 30% se la regione deleta/duplicata è sufficientemente grande. Ad esempio trisomie di interi cromosomi sono più facilmente sospettabili rispetto a regioni di dimensioni sotto ad 1 Mb.

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DECIPHER - https://decipher.sanger.ac.uk/application/

prof.ssa Orsetta Zuffardi, Genetica Medica, via Forlanini 14, 27100 Pavia. E-mail: [email protected]

Corrispondenza

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Lo stato della ricerca pediatrica in Italia

Ignazio Barberi, Lucia MarsegliaU.O.C. Terapia Intensiva Neonatale, Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Policlinico “G. Martino”, Università di Messina

Introduzione

Se “Scientia est potentia” grande problema degli Stati moderni è come promuovere e allevare i migliori intelletti, favorirne la libera attività e svilupparne la ricerca. E non è soltanto un problema di investimenti, ma anche di regole, di educazione, di mentalità, e dun-que di cultura.

La ricerca scientifica in italia

La ricerca scientifica in Italia, soffre da sempre di una drammatica penuria di finanziamenti che, con l’acuirsi delle difficoltà economi-che del paese, è diventata ormai insostenibile e minaccia di portare l’Italia fuori dal novero dei paesi culturalmente avanzati (European Commission, 2007). I ricercatori italiani sono pochissimi. Secondo l’ormai famoso articolo pubblicato su Nature dall’inglese David King, in Italia vi sono meno di 3 ricercatori per 1000 lavoratori attivi, men-tre in Giappone ve ne sono 9, negli USA 8 e la media nell’Unione Europea si attesta attorno a 6 (King, 2004). Si potrebbe affermare che il numero non conta. Gli Enti di Ricerca Italiani vantano colla-borazioni internazionali di altissimo livello e numerosi successi di

grande valore scientifico. Se si misura il valore dei ricercatori di un paese dal numero delle citazioni che i loro lavori scientifici ricevono nell’ambito di altri lavori scientifici, le citazioni delle pubblicazioni dei ricercatori italiani, se normalizzate per il numero dei ricercatori stessi, si collocano al settimo posto di una graduatoria internazio-nale, in una posizione migliore anche di quella del paese che viene in genere considerato lo standard d’oro della ricerca (gli USA) o di altri paesi di grande tradizione (Tab. I). L’alta qualità è testimoniata dal livello di reclutamento di studenti e ricercatori italiani al di fuori del nostro Paese: la “fuga dei cervelli”, triste fenomeno per il siste-ma università e ricerca, è anche, paradossalmente, prova della sua apprezzata capacità formativa (Editorial. Nature Materials, 2004). Si profila certa la perdita, per il sistema, di una intera generazione di ricercatori attualmente precari in Italia: all’impossibilità pratica di reclutamento nelle università e negli enti di ricerca si aggiungono la drastica riduzione del turn-over nel triennio 2009-2012 e la cancel-lazione delle stabilizzazioni, con tempi strettissimi per eventuali as-sunzioni prima della eliminazione dei contratti a tempo determinato (Ministero dell’Università e della Ricerca). Tutto ciò si pone in netto contrasto con l’inesorabile invecchiamento della classe docente. Da un recente documento del Comitato Nazionale per la valutazione del

RiassuntoLa ricerca scientifica in Italia soffre da sempre di una drammatica penuria di finanziamenti che minaccia di portare l’Italia fuori dal novero dei paesi culturalmente avanzati. Nonostante abbia sottoscritto l’agenda di Lisbona dell’Unione Europea, con la quale gli Stati membri si impegnano a investire in ricerca e sviluppo il 3% del prodotto interno lordo, l’Italia ha la percentuale di PIL dedicata alla ricerca tra le più basse dei paesi del G8. Le principali fonti di finanziamenti destinata alla ricerca in Italia provengono dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR), dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), dall’Unione Europea e da una quota irrisoria di investimenti da parte di enti privati. Per quanto concerne la ricerca in ambito pediatrico qualità e quantità hanno sempre presentato un andamento altalenante. La Società Italiana di Pediatria ha inoltre organizzato un Osser-vatorio della ricerca pediatrica in Italia, coordinato dalla Commissione formazione e ricerca, con lo scopo di monitorare ogni anno lo “stato di salute” della ricerca pediatrica italiana. Si tratta di un Database interattivo, con aggiornamento periodico, delle pubblicazioni (reperibili su PubMed) prodotte da Gruppi italiani che hanno avuto un ruolo leader nella conduzione della ricerca italiana, sia clinica che di base, nei vari settori pertinenti alla pediatria, catalogate per categorie specialistiche e per riviste. Nel periodo compreso tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2008 l’osservatorio ha reperito e catalogato 2064 articoli. 1022 (49,5%) sono frutto del lavoro di Ricercatori appartenenti ad istituzioni pediatriche, versus 1042 prodotti da ricercatori senza “affiliation” pediatrica. L’osservatorio della ricerca pediatrica della SIP ha lo scopo di monitorare lo stato di salute della ricerca pediatrica “made in Italy” e di divulgare nell’am-biente pediatrico i risultati dell’attività scientifica dei gruppi di ricerca italiani. Sarebbe auspicabile un ruolo della SIP anche nell’azione di orientamento della ricerca in direzione delle aree che presentano maggiori lacune di evidenze.

SummaryItalian scientific research constantly suffers from a dramatic shortage (lack) of fundings that threatens to leave Italy far away from culturally advanced countries. Although Italy subscribed the Lisbon’s agenda of the European Union, that commits all the member States to invest 3% of the Gross Domestic Product (GDP) in research and progress, its GDP’s percentage earmarked for research is one of the lowest of G8 countries. In Italy, the main sources of research fundings come from the Health Ministry, the Education and Research Ministry, the Italian Agency of Drugs, the European Union and, for the small-est part, from private organizations. Concerning pediatric research, its quality and quantity has always been fluctuating. The Italian Pediatric Society (SIP) created an “Observatory” of the pediatric research in Italy, coordinated by the formation and research Commission, in order to monitor yearly the “health state” of pediatric Italian research. It consists of a periodically updated interactive Database containing all the papers (available on PubMed) published by Italian leader groups in clinical and basic research; all the papers are classified according to the specific field of research and to the publication journal. Between January 1st and December 31st 2008, the Observatory found and catalogued 2064 articles. 1022 (49.5%) are from researchers affiliated to pediatric institutions, while 1042 (50.5%) are from researchers with no pediatric affiliation. The Observatory of pediatric research of the SIP has the aim to monitor the health state of pediatric research in Italy and to divulge the results of the scientific activity of Italian research groups. A role of the SIP could be helpful also for directing the research in the fields with a more urgent need of investigations.

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 172-176 FOCuS Su:

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Lo stato della ricerca pediatrica in Italia

sistema universitario emerge che, secondo le distribuzioni in funzio-ne dell’età, entro il 2017 oltre il 50% degli attuali docenti/ricercatori sarà collocato a riposo (Fig. 1) (Silos Labini et al., 2007; National Research Council, 2007). Ma un paese che non finanzia adeguatamente la ricerca è destinato al declino, ed è ciò che sta accadendo ora in Italia. Nonostante nel 2000 abbia sottoscritto l’agenda di Lisbona dell’Unione Europea, con

la quale gli Stati membri si impegnano a investire in ricerca e svi-luppo il 3% del prodotto interno lordo, l’Italia ha la percentuale di PIL dedicata alla ricerca tra le più basse dei paesi del G8, raggiungendo a malapena l’1,07% (meno della metà di quanto spendono Francia e Germania) (Mannucci, 2005).

I finanziamenti alla ricerca scientifica

Le principali fonti di finanziamenti destinata alla ricerca in Italia provengono dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Istru-zione dell’Università e della Ricerca (MIUR), dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), dall’Unione Europea e da una quota irrisoria di investimenti da parte di enti privati. La Commissione nazionale per la ricerca sanitaria del Ministero della Salute stabilisce i criteri di assegnazione dei fondi per la ricerca sanitaria previsti dalla Legge Finanziaria (Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche So-ciali). Tali fondi (in base all’art. 12 bis del decreto legislativo 502 del 1992 e successive modificazioni) sono riservati alle Regioni, all’ Istituto Superiore di Sanità, all’ Istituto Superiore di Preven-zione e Sicurezza sul Lavoro, all’Agenzia per i servizi sanitari re-gionali, agli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico e agli Istituti zooprofilattici sperimentali. Gli altri enti di ricerca, compre-se le Università, gli istituti privati e le imprese pubbliche e private, possono concorrere alla realizzazione di tali progetti, ma solo sulla

tabella I.Distribuzione della produzione scientifica nelle 25 aree subspecialistiche.

Categoria % deltotale

SenzaIF%

IF0-2,5%

IF2,6-5%

IF5,1-10%

IF10,1-20%

Pediatria generale, Neonatologia, perinatologia 13,22 40 28 32

Neurologia, Neuropsichiatria infantile, Psicologia 11,47 7 60 22 11

Endocrinologia Diabetologia 7,69 17 38 41 4

Ematologia Oncologia 7,58 12 45 41 4

Genetica, Malattie metaboliche 6,49 53 35 12

Cardiologia, Cardiochirurgia, Medicina vascolare 6,25 53 33 8 3 3

Gastroenterologia, Epatologia 4,88 12 46 23 4 15

Allergologia, Immunologia 4,80 12 24 44 20

Infettivologia 4,10 6 19 50 25

Nefrologia, Urologia 3,93 11 55 30 4

Chirurgia, Chirurgia pediatrica 3,81 14 86

Biochimica, Biologia, Fisiologia 2,98 37 21 42

Anestesia/rianimazione, Emergenze 2,73 60 40

Reumatologia 2,77 29 29 42

Trapianti 2,60 4 80 16

Farmacologia 2,39 45 44 11

Varie 2,19 60 20 20

Anatomia patologica 1,82 6 33 33 13 15

Pneumologia 1,74 12 62 13 13

Nutrizione 1,49 85 11 4

Otorinolaringoiatria 1,36 100

Diagnostica per immagini 1,24 83 17

Oculistica 0,45 50 50

Dermatologia 0,80 86 14

Ortopedia 0,12 100

Figura 1.Età dei docenti universitari italiani ed europei.

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I. Barberi, L. Marseglia

base di specifici accordi o convenzioni con i suddetti Destinatari Istituzionali di tali finanziamenti. In totale nella Finanziaria 2007 si è trattato di:• 76 milioni di euro finalizzati al trasferimento di conoscenze

scientifiche tra laboratorio, clinica e innovazione nell’organizza-zione dei servizi sanitari;

• 15 milioni di euro riservati ai giovani ricercatori “under 40”;• 6 milioni di euro per la ricerca sulle cellule staminali;• 6 milioni di euro per la ricerca nel campo della salute e la sicu-

rezza nei luoghi di lavoro.Tra i contributi del MIUR al sostegno della ricerca scientifica spic-cano i finanziamenti annualmente assegnati ai Programmi di Ri-cerca di interesse nazionale (PRIN). I fondi riservati all’area medica sono stati nel 2004 pari a 23.722.00 €, dei quali 761.000 € desti-nati a progetti di interesse pediatrico (3,2%); nel 2005 26.953.000 € con 982.000 € (3,5%) di finanziamenti pediatrici; nel 2006, a fronte di una riduzione del totale dei fondi stanziati per l’area me-dica (15.828.880 €) si è assistito ad un aumento della percentuale (6,9%) assegnata ai gruppi di ricerca pediatrica (937.000 €). In controtendenza nel 2007 tra i progetti finanziati, per un totale di 19.222.637 €, la percentuale assegnata ai progetti di interesse pediatrico è stata solo del 2,3% (466.000 €) (Programmi di Ricerca di interesse nazionale).L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) è organismo di diritto pubblico che opera sulla base degli indirizzi e della vigilanza del Ministero della Salute. Tra gli obiettivi dell’AIFA si legge: • “promuovere la conoscenza e la cultura sul farmaco e la raccol-

ta e valutazione delle best practices internazionali” • “favorire e premiare gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S)

in Italia …”

In particolare l’AIFA ha costituito nel 2006, anticipando altre nazioni, il Gruppo di lavoro sui farmaci per i bambini per garantire i bisogni (e il diritto) dei bambini di disporre di farmaci efficaci, sicuri e utiliz-zati in modo razionale (AIFA). Attualmente solo il 30% dei medicinali usati in pediatria in Europa hanno indicazioni pediatriche. Le ragio-ni di questa mancanza sono da cercarsi sia nella difficoltà etica e complessità scientifica della ricerca in campo pediatrico, che nella mancanza di convenienza economica, per le case farmaceutiche, ad investire mezzi consistenti nella ricerca di farmaci con ristretto mercato. A tale proposito è inquietante notare come, in tutto il mon-do, meno del 15% di tutti i farmaci commercializzati e meno del 50% di quelli espressamente destinati al bambino vengano com-mercializzati sulla base di prove cliniche attestanti le specifiche ca-ratteristiche di rischio/beneficio nel bambino. In Italia, in particolare, nel 1997 i farmaci commercializzati sulla base di evidenze cliniche dimostrate nel bambino erano solo 123, pari all’1,3% su un totale di circa 10.000 farmaci commercializzati. Purtroppo la mancanza di studi clinici pediatrici comporta che i farmaci vengano utilizzati nel bambino ‘off-label’ ossia con dosaggi, indicazioni e formulazioni non provati specificatamente per l’età pediatrica. È pertanto impor-tante ricordare l’attività di promozione e finanziamento della ricerca indipendente promossa e gestita dall’AIFA nel periodo 2005-2007: anche questa un’iniziativa esclusiva a livello internazionale. In ac-cordo con il mandato ricevuto, il Gruppo ha suggerito temi di ricer-ca ritenuti prioritari per l’area pediatrica con soddisfacente esito: la “popolazione fragile” che comprende i bambini tra 0 e 18 anni è oggetto di 36 studi approvati e finanziati, pari al 23,8% del totale dei progetti finanziati dall’ AIFA.

L’impegno della SIP e il ruolo della Commissione Formazione e Ricerca Per quanto concerne la ricerca in ambito pediatrico qualità e quan-tità hanno sempre presentato un andamento altalenante e la So-cietà Italiana di Pediatria (SIP) è da sempre molto attenta a questo aspetto. Al punto 1 dell’articolo 3 dello statuto si legge che “La SIP persegue i seguenti obiettivi: a) promuovere la ricerca e la divulga-zione scientifica in campo pediatrico.” Per tale motivo si è costituita la Commissione Formazione e Ricerca.La Società Italiana di Pediatria ha inoltre organizzato un Osservato-rio della ricerca pediatrica in Italia, coordinato dalla Commissione formazione e ricerca, con lo scopo di monitorare ogni anno lo “stato di salute” della ricerca pediatrica italiana, in generale, nei vari set-tori specialistici e in relazione alla sua competitività internazionale (SIP). L’Osservatorio ha l’obiettivo di diffondere le informazioni nella

Tabella II. Investimenti e prodotti della ricerca: confronto tra Italia ed altri paesi europei, ed USA.

Intensità di spesa in R&S finanziata dallo Stato

Quota delle spese in R&D universitarie finanziate

dalle imprese

Pubblicazioni per Ricercatore Universitario

Pubblicazioni più citate (top 1%) per ricercatore

Italia 0,51 3,8 5,8 0,06

Regno Unito 0,59 6,7 7,0 0,10

Francia 0,95 3,2 4,1 0,05

Germania 0,83 9,2 4,8 0,06

UE-15 0,69 6,1 4,6 0,04

Stati Uniti 0,85 5,7 6,8 0,13

(da King DA. The Scientific Impact of Nations. Nature 2004;430:311-6, mod.).

Figura 2.Progetti di ricerca di interesse nazionale: percentuale dei finanziamenti delle ricerche pediatriche sui totali.

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Lo stato della ricerca pediatrica in Italia

comunità pediatrica nazionale per facilitare le collaborazioni e quindi l’efficienza della ricerca e migliorare le possibilità di interazione per l’acquisizione di finanziamenti nazionali ed internazionali. La raccol-ta delle informazioni avviene tramite parole chiave in database di internet (per es. PubMed), per invio diretto di informazioni da parte dei ricercatori, delle Società affiliate e dei Gruppi di studio. Si tratta pertanto di un Database interattivo, con aggiornamento periodico, delle pubblicazioni (reperibili su PubMed) prodotte da Gruppi italiani che hanno avuto un ruolo leader nella conduzione della ricerca ita-liana, sia clinica che di base, nei vari settori pertinenti alla pediatria, catalogate per categorie specialistiche e per riviste. Le informazioni raccolte dall’Osservatorio sono reperibili sul sito internet della SIP, nell’area riservata al’Osservatorio stesso. Annualmente, in occasio-ne del Congresso Nazionale SIP, il Coordinatore della Commissione Formazione e Ricerca espone il consuntivo del lavoro svolto dal-l’Osservatorio con lo scopo di effettuare un’analisi dell’andamento della ricerca in campo pediatrico in Italia in termini sia qualitativi che quantitativi e metterla a confronto con gli altri paesi europei. Nel pe-riodo compreso tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2008 l’osservatorio ha reperito e catalogato 2064 articoli. Le riviste indicizzate,con re-lativo impact factor (IF) riferito all’anno 2007 sono state circa 1000, 82 delle quale di esclusivo interesse pediatrico. I lavori sono stati divisi in base all’ argomento trattato e alla rivista sulla quale erano pubblicati in 25 categorie, di seguito elencate nella Tabella I con relativa percentuale. Andando a valutare le diverse categorie sulla base dell’IF si evin-ce un netto contrasto: nonostante gli articoli inerenti argomenti di Pediatria Generale e Neonatologia rappresentino numericamente la percentuale più cospicua (13,22%), le riviste sulle quali sono pubbli-cati per circa il 40% non hanno IF, per il 30% circa hanno un IF infe-riore a 2,5 e per il restante 20% hanno un IF compreso tra 2,5 e 5. È infatti risaputo che la rivista pediatrica più prestigiosa, Pediatrics, ha un Impact Factor di appena 4,473 (aggiornato al 2007).L’area specialistica con il maggior numero di lavori pubblicati ri-sulta essere la neurologia/neuropsichiatria (11,47% del totale degli articoli pubblicati), seguita dall’endocrinologia/diabetologia (7,69%), dall’ematologia/oncologia (7,58%), dalla genetica /malattie metabo-liche (6,49%). Se, invece, si prende in considerazione l’impact factor delle riviste, la gastroenterologia/ epatologia e l’anatomia patologica sono le aree specialistiche con la maggiore percentuale di articoli pubblicati con IF > di 10 (15%), seguite dall’endocrinologia/diabeto-logia e dall’ematologia/oncologia (4%).Dei 2064 articoli prodotti, 1022 (49,5%) sono frutto del lavoro di Ricercatori appartenenti ad istituzioni pediatriche (Fig. 3), vs. 1042 (50,5%) prodotti da ricercatori senza “affiliation” pediatrica. Se sud-divisi per IF si evidenzia che dei 1022 lavori l’ 11% sono stati pub-blicati su riviste senza IF, l’11% su riviste con IF compreso tra 0 e 1, il 58% tra 1 e 3, il 13% tra 3 e 5, il 6% tra 5 e 10, l’1% dei lavori è stato pubblicato su riviste con Impact Factor maggiore di 10.

La provenienza di questi ricercatori con affiliation pediatrica è l’Uni-versità per il 60%, gli IRCSS per il 20%, l’Ospedale per il 16%.

Conclusioni La Ricerca Italiana vanta un buon livello qualitativo riconosciuto sen-za riserve anche in ambito internazionale, ma i punti critici del siste-ma sono ben noti: dalla necessità di meritocrazia nel reclutamento e progressione di carriera dei ricercatori e docenti che ha permesso l’instaurarsi di un fenomeno di precariato cronico, all’utilizzo a volte inappropriato delle (scarse) risorse. In ambito pediatrico, risulta importante l’attività di promozione e fi-nanziamento della ricerca promossa e gestita dall’AIFA. Nel biennio 2005-2007 circa un quarto dei progetti finanziati hanno riguardato la popolazione pediatrica.La ricerca di interesse pediatrico in Italia è per la metà diretta da ri-cercatori pediatri che sono per il circa 2/3 di afferenza universitaria, ma è fondamentale la collaborazione e l’integrazione con la ricerca di afferenza non pediatrica.L’osservatorio della ricerca pediatrica della SIP ha lo scopo di mo-nitorare lo stato di salute della ricerca pediatrica “made in Italy” e di divulgare nell’ambiente pediatrico i risultati dell’attività scientifica dei gruppi di ricerca italiani. Sarebbe auspicabile un ruolo della SIP anche nell’azione di orienta-mento della ricerca in direzione delle aree che presentano maggiori lacune di evidenze. Ciò è quanto intrapreso dall’European Medicines Agency con la creazione di un elenco, il “Priority list”, di 25 aree terapeutiche prioritarie nei bambini per le quali si ritiene necessario condurre studi clinici (specificando su quali farmaci e per ottenere quali precise informazioni).

Figura 3.Divisione per Impact Factor delle pubblicazioni dei ricercatori “Pediatri”.

L’Italia ha la percentuale di Prodotto Interno Lordo dedicata alla ricerca tra le più basse dei paesi del G8. Le principali fonti di finanziamenti destinata alla ricerca in Italia provengono dallo stato con una quota irrisoria di investimenti da parte di privati. Attualmente solo il 30% dei medicinali usati in pediatria in Europa hanno indicazioni pediatriche. È pertanto importante ricordare l’attività di promozione e finanziamento della ricerca indipendente promossa e gestita dall’AIFA.La Società Italiana di Pediatria (SIP) ha organizzato un Osservatorio della ricerca pediatrica in Italia con lo scopo di monitorare ogni anno lo “stato di salute” della ricerca pediatrica italiana. I risultati sono pubblicati periodicamente sul sito della SIP con lo scopo di monitorare lo stato di salute della ricerca pediatrica “made in Italy” e di divulgare nell’ambiente pediatrico i risultati dell’attività scientifica dei gruppi di ricerca italiani.

Box di orientamento

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I. Barberi, L. Marseglia

Bibliografia

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Società Italiana di Pediatria. http://www.sip.it/rp/index/atom/1145.

prof. Ignazio Barberi, UOC Patologia Neonatale e TIN, Policlinico Universitario “G. Martino”, via Consolare Valeria 1, 98125 Messina. E-mail: [email protected]

Corrispondenza

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LINEE GuIDA

La sincope in età pediatricaLinea Guida a cura di:SIP, SIMEUP, SICP, FMSI, AIAC, SIC Sport, FIMP, GSCP, GSMESPO, SINPIA, LICE, SINC, SINPSocietà Italiana di Pediatria (SIP), Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza (SIMEUP), Società Italiana di Cardiologia Pediatrica (SICP), Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI), Associazione Italiana Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC), Società Italiana di Cardiologia dello Sport (SIC Sport), Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), Gruppo di Studio di Cardiologia Pediatrica della SIP (GSCP), Gruppo di Studio di Medicina Sportiva della SIP (GSMESPO), Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE), Gruppo di Studio di Neurofisiologia Clinica in età pediatrica della Società Italiana di Neurofisiologia Clinica (SINC), Società Italiana di Neurologia Pediatrica (SINP)

Gruppo di Lavorou. Raucci1 (coordinatore), P. Di Pietro2, R. Longhi3, A. Palmieri2, M. Osti1, S. Scateni1, A. tozzi1 (SIP); A. Reale1 (SIMEuP); A. Rimini2 (SICP); F. Giada4 (FMSI); G. Foglia Manzillo5, G.M. Francese6 (AIAC); F. Ammirati7, F. Drago1 (SIC Sport); G. Semprini8 (FIMP); M. Campisi9, F. Rando10 (GSCP); u. Giordano1 (GSMESPO); P. Veggiotti11 (SINPIA); F. Vigevano1 (LICE); M. Di Capua1, M.G. Natali-Sora 12 (SINC); S. Savasta13, A. Suppiej14 (SINP)

1 IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 2 IRCCS Ospedale G. Gaslini, Genova; 3 Azienda Ospedaliera S. Anna, Como; 4 Ospedale Dell’Angelo, Mestre Venezia; 5 Ospedale Valduce, Como; 6 Ospedale Garibaldi-Nesina, Catania; 7 Ospedale G.B. Grassi, Ostia Roma; 8 Pediatra di Famiglia, Genova; 9 Ospedale Ferrarotto, Catania; 10 Pe-diatra di Famiglia, Messina; 11 IRCCS Istituto Neurologico C. Mondino, Pavia; 12 IRCCS Ospedale S. Raffaele, Mila-no; 13 Fondazione IRCCS, Policlinico S. Matteo, università di Pavia; 14 Dipartimento di Pediatria-Azienda Ospedale, università di Padova

Con la consulenza della Commissione tecnica Linee Guida della SIP:Coordinatore: R. LonghiComponenti: M. Osti, A. Palma, S. Santucci, R. Sassi, A. Villani, R. Zanini

Definizioni

La sincope è definita come una forma di perdita di coscienza, transitoria, con o senza prodromi, improvvisa, con incapacità a man-tenere il tono posturale e con possibile caduta a terra, breve, con risoluzione spontanea solitamente completa e rapida. Il meccani-smo fisiopatologico è da ricercare, principalmente, in un’alterazione della funzione cerebrale diffusa dovuta a ipoperfusione transitoria globale 1-9. In alcuni soggetti, può essere preceduta da prodromi con sintomi aspecifici quali scotomi, nausea, sudorazione, debolezza muscolare, offuscamento del visus che rappresentano un avverti-mento dell’incombente perdita di coscienza 3 4.La pre-sincope è caratterizzata da una sensazione di malessere con restringimento dello stato di coscienza tale che il soggetto per-cepisce l’incombenza della perdita di coscienza; i sintomi di solito sono aspecifici (vertigini, astenia, offuscamento del visus, nausea, difficoltà a mantenere la posizione eretta) e spesso si sovrappongo-no a quelli associati con la fase prodromica della sincope.Il termine lipotimia, ancora talvolta impiegato nella terminologia corrente, per indicare una breve, parziale compromissione dello stato di coscienza, associata o meno a sintomi di probabile origine neurove-getativa è obsoleto, quindi da abolire dalla terminologia medica.La perdita improvvisa della coscienza da episodio sincopale in età

pediatrica rappresenta ancora oggi un motivo di grande preoccupa-zione e ansia, non solo per i genitori e il bambino, ma anche per il personale insegnante e gli operatori sanitari. La prima difficoltà ge-stionale è quella di differenziare la sincope “vera” da altre condizioni simili, ma non causate necessariamente da ipoafflusso cerebrale (epilessia, cefalea, disturbi metabolici, TIA vertebro-basilare, ipossia) o con perdita di coscienza solo apparente (drop attacks, disturbi di somatizzazione e/o conversione, iperventilazione psicogena, attac-chi di panico, sindrome di Munchausen per procura) 1 4 8.

Scopo della Linea GuidaLo scopo dell’elaborazione della Linea Guida (LG) è quello di pervenire a un percorso clinico condiviso dai referenti nominati dalle Società Scientifiche che hanno aderito al progetto e di fornire una sintesi di raccomandazioni basate sull’evidenza. La LG non considera l’età neo-natale ed è indirizzata ai soggetti di età superiore a 1 mese ed infe-riore a 18 anni. Il gruppo di lavoro è costituito da figure professionali con competenza pediatrica, cardiologica, aritmologica, neurologica, neuropsichiatrica, neurofisiologica, epidemiologica. La mancanza di LG dedicate esclusivamente all’età pediatrica è uno dei motivi che ha condotto la Società Italiana di Pediatria (SIP) a scegliere tale sintomo-patologia, poiché attualmente sono presenti solo LG orientate essen-

Luglio-Settembre 2009 • Vol. 39 • N. 155 • Pp. 177-192

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Gennaio-Marzo 2009 • Vol. 39 • N. 153 • Pp. 65-70 LINEE GuIDALa sincope in età pediatrica

zialmente alla gestione del soggetto adulto e nelle quali è dedicato un breve spazio al soggetto in età pediatrica 1-5 10-13.Il sistema ideale di gestione, oltre alla diagnosi differenziale tra le va-rie forme di perdita di coscienza transitoria, dovrebbe portare ad una rapida stratificazione del paziente anche in età pediatrica, come già è avvenuto per l’età adulta, in: pazienti a basso rischio, gestibili ambula-torialmente in tempi ordinari dal pediatra o dallo specialista; pazienti a rischio intermedio, da gestire in tempi brevi in ambulatorio specialistico o tramite osservazione breve in Dipartimenti di emergenza; pazienti a rischio elevato, che necessitano di ricovero in urgenza, con l’esecuzio-ne immediata di adeguate procedure diagnostiche e terapeutiche 14.

Destinatari

Pediatri, Cardiologi, Medici dello Sport, Neuropsichiatri, Neurologi e altre figure professionali coinvolte nell’iter diagnostico della sincope.

Implementazione

a) Presentazione e discussione al Congresso Nazionale della SIP, delle Società affiliate e delle Società Scientifiche che hanno aderito alla rea-lizzazione della presente LG; b) Pubblicazione sul sito internet della SIP e altri siti interessati; c) Pubblicazione su riviste scientifiche; d) Corsi di formazione e aggiornamento (presentazione teorica pratica a gruppi di discenti); e) Audit delle procedure d’implementazione delle LG a livello locale con identificazione dei punti critici.

Valutazione di efficacia

Monitoraggio di indicatori specifici per la valutazione dell’efficacia della LG:

• percentuale di pazienti con diagnosi di ingresso in PS di sincope che eseguono ECG (target 100%);

• percentuale di pazienti con diagnosi di ingresso in PS di sincope che eseguono misurazione della PA e FC (target 100%);

• percentuale di pazienti con diagnosi di ingresso in PS di sincope che vengono inviati a ricovero (target < 30%);

• percentuale di pazienti con diagnosi di ingresso in PS di sincope che eseguono esami ematochimici (target < 20%);

• percentuale di pazienti con diagnosi di sincope che eseguono il Tilt Test (target < 20%);

• percentuale di pazienti con diagnosi di sincope che eseguono EEG (target < 20%).

Aggiornamento

Un aggiornamento sarà effettuato ogni 3 anni o prima, in caso com-paiano in letteratura nuove evidenze che possono modificare le rac-comandazioni del documento.

Finanziamenti e conflitti d’interesse

Nessuno degli estensori ha ricevuto finanziamenti di alcun genere per la stesura di questa LG o ha indicato potenziali conflitti d’interesse.

I Prove ottenute da più studi clinici controllati randomizza-ti e/o da revisioni sistematiche di studi randomizzati.

II Prove ottenute da un solo studio randomizzato di disegno adeguato

III Prove ottenute da studi di coorte non randomizzati con controlli concorrenti storici o loro metanalisi

IV Prove ottenute da studi retrospettivi tipo caso-controllo o loro metanalisi.

V Prove ottenute da studi di casistica (serie di casi) senza gruppo di controllo.

VI Prove basate sull’opinione di esperti autorevoli o di co-mitati di esperti come indicato in linee guida o consen-sus conference, o basata su opinioni del gruppo di lavoro responsabile di queste linea guida.

Box 1 Livelli di evidenza o di prova.

Metodologia È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura ricer-cando i lavori scientifici sulla base della piramide delle evidenze, considerando in ordine di priorità: 1) revisioni sistematiche con o senza metanalisi; 2) studi randomizzati controllati in doppio cieco; 3) studi randomizzati controllati; 4) studi di coorte; 5) studi caso-controllo; 6) serie di casi; 7) case reports; 8) editoriali-review, report di congressi, idee e opinioni di esperti.Per il reperimento delle fonti (identificazione e analisi della lettera-tura) è stata effettuata una ricerca bibliografica, mediante parole chiave variamente combinate e con stringhe di ricerca orientate, sulle banche dati PubMed/Medline, Embase, Cochrane Library, BIO-SIS, Cochrane Controlled Trials Register, fino al 31 dicembre 2008. Inoltre, sono stati ricercati altri documenti rilevanti non indicizzati, attraverso motori di ricerca generici e LG già pubblicate sull’argo-mento. I risultati di tale ricerca sono stati inviati a tutti i componenti che hanno integrato la ricerca, in modo specifico per il compito affi-dato, con dati bibliografici raccolti personalmente. Per la stesura delle LG, è stato consultato il manuale metodologico del Sistema Nazionale per le Linee Guida (SNLG) dell’Istituto Su-periore di Sanità (www.snlg.it) 19. Le prove di efficacia e le racco-mandazioni contenute nelle LG sono state classificate basandosi sui livelli di evidenza del SNLG. Tali livelli hanno lo scopo di riflettere il grado di validità dei risultati e delle conclusioni riportate nei singoli lavori utilizzati, portando alla formulazione della forza delle racco-mandazioni (Box 1, 2).In considerazione del fatto che lo scopo finale della LG è di fornire raccomandazioni specifiche per il percorso diagnostico del soggetto con sincope, sono state date indicazioni, seguendo un percorso si-mile a quello già attuato in LG pubblicate sull’adulto 2-4, anche quan-do i dati della letteratura non erano esaustivi e definitivi, basandosi sul consenso del gruppo di lavoro.Il gruppo di lavoro ha focalizzato l’attenzione su alcuni quesiti:

1. Quali elementi vanno considerati nell’anamnesi per il corretto in-quadramento diagnostico e nosografico del soggetto con sincope?

2. Quali segni dell’esame obiettivo vanno accuratamente valutati per la diagnosi?

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LINEE GuIDALa sincope in età pediatrica

3. Quali esami ematochimici o strumentali vanno eseguiti nella va-lutazione iniziale?

4. Quando eseguirli in urgenza (stratificazione del rischio)?

5. Come stratificare il rischio del soggetto con sincope e quali sono le modalità d’intervento?

6. Una volta inquadrato il paziente in uno dei raggruppamenti dia-gnostici specifici, quale risulta essere l’iter diagnostico da ese-guire?

7. Quali sono le indicazioni alla consulenza specialistica?

8. Quali sono i criteri di appropriatezza al ricovero?

9. Il paziente con sincope può praticare attività sportiva?

Questa LG potrà portare alla riduzione di test diagnostici e ricove-ri impropri che comportano un costo eccessivo in termini di spesa sanitaria, di risorse dell’ospedale e d’impegno psicologico del pa-ziente 6 15-18.

EpidemiologiaStudi su adulti hanno indicato che la sincope è una causa frequente di accesso al Dipartimento di Emergenza-Accettazione (DEA) essen-do responsabile del 3-5% degli accessi e del 1-6% dei ricoveri 3 13 20. Difficile è la stima del fenomeno in età pediatrica. L’incidenza dei casi di sincope in età pediatrica che richiedono intervento medico è stima-ta in 125.8/100.000 soggetti 21 ed il 15% dei bambini può aver avuto esperienza di un episodio sincopale entro i 18 anni 3 6 9. La sincope è re-sponsabile di un ricorso al PS pediatrico nello 0.4-1% degli accessi an-nuali 15 22 23 e del 3,4-4,5% delle consulenze cardiologiche 24 25. Nel 5% dei soggetti, l’eziologia è determinata da una condizione tipicamente pediatrica, definita come breath holding spells o “spasmi affettivi” o sincope infantile 9 21 22. La sincope neuromediata è sicuramente la più frequente (61-80%), seguita dalle non-sincopi neurologiche-neuropsi-chiatriche (11-19%) e dalla sincope cardiaca (6-11,5%) 6 7 11 17 23 25-28.L’incidenza di morti improvvise in bambini apparentemente sani è di 1-1,5 per 100.000 per anno; la valutazione retrospettiva rivela spes-so un’anamnesi positiva per sincope 29. Inoltre, va considerato che la morte improvvisa rappresenta il 10% delle varie cause di morte in età pediatrica; almeno in 1 paziente su 6 la causa rimane sconosciuta 30.

A L’esecuzione di quella particolare procedura o test diagno-stico è fortemente raccomandata. Indica una particolare raccomandazione sostenuta da prove scientifiche di buona qualità, anche se non necessariamente di tipo I o II.

B Si nutrono dei dubbi sul fatto che quella particolare pro-cedura o intervento debba essere sempre raccomandata, ma si ritiene che la sua esecuzione debba essere atten-tamente considerata.

C Esiste una sostanziale incertezza a favore o contro la rac-comandazione di eseguire la procedura o l’intervento.

D L’esecuzione della procedura non è raccomandata.

E Si sconsiglia fortemente l’esecuzione della procedura.

Tabella I.Classificazione delle sincopi.

Sincopi cardiovascolari extracardiache o da anomalie del tono-con-trollo-volume vascolare o autonomiche

Sincopi riflesse o neuromediate

• Sincope vasovagale

• Sincope situazionale (Tabella III)

• Breath holding spell o sincope infantile o “spasmi affettivi”

Ipotensione ortostatica (idiopatica, disautonomia familiare)

Sincopi cardiache

Strutturali

• Cardiopatia valvolare

• Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva

• Mixoma striale

• Dissezione aortica acuta

• Malattie del pericardio, tamponamento cardiaco

• Embolia polmonare, ipertensione polmonare

• Anomalie coronariche congenite o acquisite (malattia di Kawasaki)

• A seguito di intervento cardiochirurgico di malattie congenite (in particolare intervento di Mustard, Senning, Fontan)

Aritmiche: tachiaritmiche o bradiaritmiche

• Disfunzione sinusale

• Disturbi della conduzione atrioventricolare

• Tachicardie parossistiche sopraventricolari e ventricolari

• Sindromi ereditarie (S. del QT lungo, S. di Brugada)

• Malfunzionamento di dispositivi impiantabili

• Proaritmia indotta da farmaci

Box 2Forza delle raccomandazioni.

In Italia, nel 2005, sono stati registrati poco più di 4000 ricoveri con diagnosi principale di sincope (ICD IX CM:780.2) sul territorio italiano in bambini fino a 14 anni. Di questi, oltre 2800 dai 5 ai 14 anni. La degenza media dei casi registrati è di circa 3 giorni, con un carico complessivo di quasi 12.000 giornate di degenza (dati www.ministe-rosalute.it) 31. Episodi sincopali possono essere associati a vaccina-zione con tassi di frequenza variabili tra 0,28 e 0,54 casi per milione di dosi di vaccino somministrate annualmente, di cui la maggior parte segnalati in adolescenti dopo 15 minuti dall’esecuzione della vaccina-zione ed inquadrate generalmente come sincopi neuromediate 32.

EziologiaLa distribuzione nosografica delle sincopi è piuttosto complessa, pur po-tendosi distinguere 2 gruppi principali (Tab. I) 3 6-9 16 31 32. La situazione è ulteriormente complicata dall’esistenza di episodi di perdita di coscien-za transitoria che non presentano le caratteristiche della sincope e rien-trano nel gruppo delle “non sincopi” o pseudo-sincopi (Tab. II) 3 6-9 16 31 3.La maggior parte degli episodi nella popolazione pediatrica è il ri-sultato di una reazione vasovagale usualmente benigna; tuttavia, alcune condizioni cardiache, potenzialmente fatali con elevata mortalità se non diagnosticate, possono avere il sintomo sinco-pe come iniziale manifestazione 9 29 30 33-35. Inoltre, il paziente può essere a rischio di importanti traumatismi secondari alla caduta improvvisa per la perdita della coscienza e del tono posturale. Ancora oggi, l’inquadramento nosografico del soggetto con sin-cope può essere difficile, permanendo l’origine indeterminata nel 15-20% dei casi, con percentuale sicuramente migliorata rispetto al 40% del passato 3 9 26.

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Fisiopatologia

A prescindere dalle diverse cause eziologiche, la patogenesi del-l’episodio sincopale è da ricondurre alla riduzione del flusso ema-tico cerebrale per riduzione della gittata cardiaca o per vasodi-latazione o per entrambi i meccanismi, con conseguente perdita transitoria della coscienza e del tono posturale 3 7. Infatti, la perdita di coscienza nella sincope è l’espressione di una disfunzione ce-rebrale improvvisa, transitoria e diffusa, secondaria a una brusca riduzione del flusso ematico globale. La pressione di perfusione cerebrale dipende direttamente dalla pressione arteriosa siste-mica, pertanto tutti i fattori che determinano una riduzione della gittata cardiaca comportano una diminuzione della pressione ar-teriosa sistemica ed un’ipoperfusione cerebrale, con improvvisa riduzione dell’apporto di ossigeno a livello corticale 3. Un’ischemia cerebrale della durata di 8-10 secondi comporta una completa perdita di coscienza e, se si prolunga per più di 15 secondi, può associarsi a contrazioni tonico-cloniche generalizzate, fenomeni convulsivi secondari causati dall’ipoperfusione cerebrale 9. Questi ultimi fenomeni convulsivi associati vanno distinti da quelli primi-tivi che sono espressione di alterazioni elettriche parossistiche del sistema nervoso centrale come nell’epilessia. La maggior parte delle attuali nozioni fisiopatologiche si basa sull’analisi di soggetti normali adulti o in età pediatrica sottoposti a stress ortostatico durante una prolungata posizione eretta per sincope situazionale o riflessa di tipo neuromediato (Tab. III) 36-44.

Caratteristiche cliniche

Se è vero che le manifestazioni cliniche delle varie forme di sincope sono simili, essendo causate dallo stesso meccanismo patogenetico (ipoafflusso cerebrale), è altrettanto vero che esistono delle peculia-rità che sono proprie di ciascuna forma.

Sincope riflessa o neuromediata. È spesso causata da situazioni quali posizione eretta prolungata o stazionamento in ambienti cal-di o affollati. Inoltre, molti pazienti presentano una sincope durante malattie intercorrenti virali o durante l’assunzione di farmaci o per lieve disidratazione, spesso associata a scarsa assunzione di flui-di e sale o nel sesso femminile durante il ciclo mestruale. Questi pazienti con sincope situazionale hanno generalmente dei triggers stereotipati che determinano fenomeni ricorrenti (Tab. III). Soggetti sani sviluppano sincope dopo esercizio fisico intenso 45. Il meccani-smo sottostante implica aggiustamenti autonomici complessi come l’iperventilazione e la relativa disidratazione che entrano in gioco alla cessazione dell’esercizio fisico. Tale tipo di sincope segue tipi-camente l’esercizio fisico e non avviene durante, come accade nei pazienti con patologia cardiaca.

I pazienti con sincope riflessa presentano tipicamente tre fasi: fase prodromica, perdita di coscienza, periodo di recupero. La prima può durare da secondi ad alcuni minuti ed è spesso ricordata dal paziente, sebbene di breve durata. Sintomi comuni sono: vertigi-ni, confusione, nausea, dolore addominale, sensazione di caldo o freddo, diaforesi, modificazioni dell’udito o della vista, cefalea e anticipazione della perdita di coscienza 21. La fase successiva, ca-ratterizzata da perdita di coscienza e di durata variabile da pochi secondi ad alcuni minuti (in genere 5-20 secondi), non viene ricor-data dai pazienti sebbene alcuni abbiano la sensazione di sentirsi “disconnessi”, con capacità di udire le voci dei presenti, ma con incapacità a rispondere. Durante questa fase, gli osservatori de-scrivono il paziente pallido, cinereo con cute fredda e sudorazione profusa, dilatazione pupillare (occasionale), incontinenza (rara). La fase di recupero dura da 5 a 30 minuti ed è caratterizzata da fatica, vertigini, debolezza, cefalea e nausea, con successivo ritorno alla normalità. Tuttavia, alcuni pazienti possono presentare tali sintomi per alcune ore.

Spasmi affettivi. I bambini in età prescolare possono presentare particolari episodi sincopali detti spasmi affettivi o apnea infantile o sincope infantile (Breath Holding Spells, nella lingua inglese). Sono manifestazioni comuni 46 47, prevalentemente benigne, spesso fonte di notevole ansia per i familiari. La diagnosi è basata sul riconoscimento di una specifica e stereotipata sequenza di eventi clinici. Iniziano con un evento scatenante (rabbia, frustrazione, dolore) che porta a pianto o stato emozionale, seguito da una silenziosa e prolungata espirazione forzata, associata a variazione del colorito cutaneo e, nelle forme se-vere, a perdita di coscienza e del tono posturale, con possibile presen-za di spasmi clonici generalizzati, opistotono e bradicardia. Nel 1967 Lombroso 47 ne ha distinti due tipi: cianotico e pallido. Lo “spasmo af-fettivo” cianotico è caratterizzato da pianto vigoroso, il bimbo presenta dispnea, gasping, arresto del respiro, cianosi e perdita di conoscenza. Il meno comune “spasmo affettivo” pallido viene associato a maggior gravità ed è caratterizzato da un pianto più flebile o assente (in genere scatenato da dolore più che da rabbia) e da perdita di coscienza che si instaura rapidamente, con perdita del tono posturale, in seguito ad una asistolia che può durare anche molti secondi. In questi bambini, si è dimostrato un esagerato riflesso oculocardiaco che porta, nel 60%

Tabella II.Classificazione di altre forme di perdita di coscienza transitoria attri-buibili a “non sincope” o pseudo-sincope (comunemente ed erronea-mente diagnosticate come sincope).

Origine metabolica (ad esempio ipossiemia, ipoglicemia)

Intossicazione da farmaci-sostanze da abuso

Origine neurologica (epilessia, cefalea, accidenti cerebrovascolari, traumi)

Origine psicogena (disturbi di somatizzazione e/o conversione, depres-sione, iperventilazione psicogena, attacchi di panico, sindrome di Mun-chausen per procura)

Tabella III.Situazioni predisponenti alla sincope riflessa o neuromediata situa-zionale.

Stimolazione vie aeree Bagno caldo

Apnea Minzione

Pressione seni carotidei Emicrania

Bevande fredde Oculo-vagale

Tosse Post-prandiale

Defecazione Procedure mediche

Diving in apnea Rasatura barba

Post-esercizio Starnutire

Riflesso glossofaringeo Stiramento

Pettinarsi Deglutizione

Altitudine Strumenti a fiato

Doccia calda Manovra di Valsalva

Iperventilazione Vomito

Vaccinazioni Calo ponderale

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dei casi, ad asistolia, mentre nei bambini con tipo cianotico ciò avvie-ne solo nel 25% dei casi 46 48.L’età di insorgenza varia dai 6 ai 12 mesi di età, raramente si pre-senta nella prima settimana di vita o dopo i due anni. La frequenza media degli episodi varia da giornaliera a settimanale e il picco di frequenza si ha tra i 13 e 24 mesi. In genere, terminano verso i 3-4 anni e raramente durano fino a 6-7. La distribuzione nei due sessi è simile. Il 10-15% dei soggetti può arrivare a presentare spasmi clo-nici generalizzati (convulsioni anossiche) 49 ed il 15-20%, terminati gli spasmi, può soffrire in età peripuberale di sincopi vasovagali 48. È presente familiarità nel 25-30% dei casi e si suppone un’ereditarietà dominante con ridotta penetranza 47 48.Per quanto riguarda l’etiopatogenesi, da lungo tempo è conosciuta l’associazione tra spasmi e carenza marziale 50, probabilmente per il ruolo rivestito dal ferro nel metabolismo delle catecolamine, nel funzionamento di enzimi e neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale 51 52. Di Mario 48, in uno studio prospettico, non ha rilevato nessuna significativa differenza clinica al follow-up tra bambini con i due tipi di spasmi affettivi ed ha inoltre notato che alcuni bambini presentavano indifferentemente apnee infantili dei due tipi. Questo ha portato ad ipotizzare che sia presente una comune unificante patogenesi, ossia una disregolazione del sistema nervoso autono-mo che, nella maggior parte dei casi, può portare ad una iperat-tività del simpatico, nel caso delle apnee infantili cianotiche o ad una iperattività del parasimpatico, nel caso delle pallide; tuttavia, in alcuni soggetti si verifica un’alternanza di queste due possibilità. La proporzione tra le varie forme è 50% per le cianotiche, 30% per le pallide e 20% per entrambe.La raccolta di una accurata anamnesi è il cardine diagnostico e usual-mente, da sola, suggerisce la diagnosi 53, ma le forme più severe, con perdita di coscienza seguiranno, ovviamente, l’iter delle sincopi, con l’esecuzione di un elettrocardiogramma (ECG) (in letteratura sono se-gnalati casi infausti di sindrome del QT lungo scambiati per spasmi affettivi) 54. Nei casi in cui la distinzione con gravi aritmie rimane in-certa, come in un bambino con intervallo QTc borderline, può essere di utilità un monitoraggio ECG continuo (tipo loop-recorder) (vedi capitolo esami cardiologici) 22. Nei casi che permangono di dubbia origine tra forma epilettica o sincopale, può essere effettuata in ambiente specia-listico l’elicitazione del riflesso oculomotore durante l’esecuzione di un EEG videoregistrato, con contestuale esecuzione di ECG, che dimostri la tipica risposta dello spasmo affettivo pallido 55.

Sindrome da tachicardia posturale ortostatica (POTS). È una for-ma di insufficienza vegetativa 56 che si estrinseca nella inabilità del sistema vascolare periferico a vasocostringersi adeguatamente, in risposta allo stress ortostatico. Questa sindrome è la più frequen-te causa che porta pazienti adulti, con intolleranza all’ortostatismo, all’attenzione del medico e ormai si tende a valutarla come una va-riante della intolleranza ortostatica in quanto non prevede la pre-senza di ipotensione. Colpisce generalmente le giovani adolescenti, in particolare dopo il menarca, con un rapporto maschi:femmine di 1:1.5, e si presenta in più del 50% dei casi con un esordio brusco, a seguito di un episodio infettivo minore, talvolta un trauma o un intervento chirurgico 57.La POTS è caratterizzata da tachicardia e sintomi di ipoperfusione cerebrale che si manifestano durante la stazione eretta 58. I pazienti si lamentano di palpitazioni e sensazione di testa leggera, intolle-ranza all’esercizio fisico, visione offuscata, tremori, talvolta segni di edema e acrocianosi e possono sperimentare episodi sincopali 59 o pre-sincopali 60. I pazienti possono, inoltre, sperimentare sintomi di origine non ortostatica, come fatica, cefalea, dolore al petto, incapa-

cità di concentrazione, sintomi gastrointestinali in particolar modo nausea 59. Dal riscontro di livelli plasmatici tendenzialmente elevati di adrenalina e noradrenalina 61 62, si è ipotizzato che le alterazioni della frequenza cardiaca siano correlate alla diminuita funzione α-adrenergica in un contesto di intatta innervazione cardiaca, da ciò la tachicardia. L’incremento della frequenza cardiaca durante la posi-zione eretta è dunque un meccanismo compensatorio per mantene-re a livelli adeguati la pressione sistemica sanguigna e la perfusione cerebrale 63.La POTS può essere di origine acquisita o ereditaria 57 63-65. I pazienti presentano una disabilità quotidiana, a differenza dei pazienti con sincopi neuromediate benigne. I tradizionali test di funzionalità neu-rovegetativa sono generalmente normali, ma si osserva un pattern specifico al tilt test che inizia al passaggio dal clinostatismo all’orto-statismo e prosegue nei minuti seguenti, suggestivo per la diagnosi; inoltre una delle caratteristiche distintive è che durante la sperimen-tazione dell’evento sincopale, la pressione arteriosa è mantenuta o diminuisce minimamente, mentre la frequenza cardiaca aumenta fortemente.I criteri diagnostici per la POTS, identificati da Low. nel 1997 58, sono stati successivamente studiati da altri Autori e sono riassunti nella Tabella IV 66.

Sincope cardiaca. L’importanza di un corretto inquadramento dia-gnostico clinico, basato sulla triade anamnesi/esame obiettivo/ECG, è fondamentale per distinguere la sincope neuromediata da altre forme di sincope potenzialmente fatali (cardiaca o collegata ad accidenti cerebrovascolari). Nei bambini e adolescenti, la sincope può rappresentare il sintomo di esordio di condizioni life threate-ning quali la sindrome del QT lungo, la sindrome di Kearn-Sayre (oftalmoplegia associata a progressivo blocco cardiaco), sindrome di Brugada, fibrillazione atriale in pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White, tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminer-gica, aritmie in pazienti con cardiopatie congenite, cardiomiopatia

Tabella IV.Criteri diagnostici per sindrome da tachicardia posturale ortostatica (POTS) 66.

Criteri diagnostici

Ritmo cardiaco basale sinusale in assenza di evidenze di aritmia o di patologia cardiaca

Incremento della frequenza cardiaca persistente > 30 battiti al minuto rispetto alla frequenza basale, nei primi 10 minuti dall’assunzione della posizione eretta o dall’inizio del tilt test

Frequenza cardiaca > 120 battiti al minuto nei primi 10 minuti dall’as-sunzione della posizione eretta o dall’inizio del tilt test e che si risolve con l’assunzione del clinostatismo

Sintomi presenti da più di 3 mesi: sensazione di testa leggera, debolezza, palpitazioni, visione offuscata, difficoltà respiratorie, nausea, cefalea

Criteri di esclusione

Ipotensione ortostatica definita come diminuzione della pressione arterio-sa sistolica di 30 mmHg o più nei primi 3 minuti del tilt test

Gravidanza o allattamento

Presenza di altre cause di insufficienza vegetativa

Presenza di patologie sistemiche che possono interessare il Sistema Ner-voso Autonomo

Terapie concomitanti con anticolinergici, α-adrenergici e antagonisti β-adrenergici o altre farmaci che possono interferire nella valutazione delle funzioni vegetative

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ipertrofica, anomalie delle arterie coronariche, ipertensione arteriosa polmonare o miocarditi, tumori intracardiaci (Tab. I) 29 30.

Prognosi

La prognosi del paziente con sincope dipende dalla patologia sot-tostante in quanto la perdita transitoria di coscienza può essere il sintomo sia di alterazioni del sistema nervoso autonomo che di patologie cardiache, neurologiche, metaboliche e psichiatri-che 6 9 22 23, con prognosi decisamente più infausta per quelle car-diache. La maggior parte degli episodi sincopali nella popolazione pediatrica rientra nel gruppo delle sincopi autonomiche, caratte-rizzate da una prognosi usualmente benigna; tuttavia, alcune con-dizioni cardiache, potenzialmente fatali, con elevata mortalità se non diagnosticate, possono avere il sintomo sincope come iniziale manifestazione 9 33-35. Inoltre, il paziente può essere a rischio di im-portanti traumatismi secondari alla caduta improvvisa da perdita della coscienza e del tono posturale.La prognosi appare particolarmente grave ed infausta qualora coinvolga soggetti d’età compresa nel primo anno di vita con accertata eziopatogenesi sincopale cardiaca sia di tipo cardio-aritmico che con alterazioni morfostrutturali, raggiungendo una mortalità pari al 18-33%. È necessario, per migliorare l’approc-cio diagnostico e quindi prognostico, riferirsi a delle linee guida pediatriche che inseriscano il paziente con sincope in un pro-tocollo specifico e scrupoloso che sia in grado di identificare il soggetto a rischio di mortalità 67-71.

Iter diagnostico

Valutazione inizialeLa valutazione iniziale del paziente con sospetto episodio sincopa-le dovrà fornire al medico gli elementi per confermare o meno la diagnosi, intuire l’eziologia, poter programmare il piano diagnostico futuro. L’eterogeneità dell’eziologia, le intuibili difficoltà e le insidie diagnostiche hanno portato alcuni Autori ad affermare che l’anam-nesi e l’esame obiettivo accurati non erano in grado di identificare i pazienti con una eziologia cardiaca della sincope 35; tuttavia un protocollo diagnostico che comprenda nello screening un’anamnesi familiare e personale, un esame obiettivo con misurazione della PA ed un ECG sarebbe in grado di identificare, con una sensibilità pari al 96%, una sincope di origine cardiaca, come è risultato in uno studio condotto da Ritter 72.Pertanto, una valutazione che comprenda un’attenta anamnesi rivolta al paziente (compatibilmente con l’età) e ai testimoni, l’esame obietti-vo, il controllo dei parametri vitali, la misurazione della pressione arte-

riosa (PA) in ortostatismo/ clinostatismo e l’esecuzione di un ECG a 12 derivazioni potrà portare alla diagnosi nella maggior parte dei pazienti senza cardiopatia senza eseguire altri esami 1-5 9-13 73-75.La tempistica nell’esecuzione dell’ECG o di altri esami ed il com-pletamento dell’iter diagnostico devono essere stabiliti in relazione alla stratificazione del rischio in pazienti a rischio basso, intermedio o elevato (Tab. V). Il fine è quello di individuare situazioni, sintomi o segni di allarme, suggestivi di potenziale eziologia cardiaca della sincope 1 16 23 76 77 (Tab. VI).

Raccomandazione 1L’iter diagnostico del paziente con sincope comprende nel-la fase iniziale l’anamnesi accurata mirata, l’esame obiettivo orientato e l’ECG. Le modalità e la tempistica dell’ECG e di ulte-riori esami dipendono dalla stratificazione del rischio che viene effettuata in questa prima fase.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

Tabella V.Stratificazione del rischio nel paziente con sincope in età pediatrica.

1 Pazienti a rischio basso Pazienti senza elementi di rischio per potenziale patolo-gia cardiaca (Tabella VI) oppure soggetti con sincope già definita dopo la prima valutazione

Gestione ambulatoriale in tempi ordinari dal pediatra e/o dallo specialista di competenza

2 Pazienti a rischio intermedio Pazienti con elementi di potenziale rischio per patologia cardiaca (Tabella VI) o con un episodio transitorio di per-dita di coscienza non definito

Gestione in tempi brevi in ambulatorio specialistico o tra-mite osservazione breve in Dipartimento di Emergenza

3 Pazienti a rischio elevato Pazienti risultati positivi per patologia cardiaca.Vedi criteri per ricovero in Tabelle XII, XIII

Gestione in regime di ricovero in urgenza con l’esecu-zione immediata di adeguate procedure diagnostiche e terapeutiche

Tabella VI.Elementi suggestivi di sincope a potenziale eziologia cardiaca.

Familiarità

Inspiegabile morte improvvisa in soggetti di età inferiore ai 40 anni

Aritmia o malattia cardiaca familiare nota (S. QT lungo, cardiomiopatia)

Infarto miocardico precoce

Anamnesi personale remota

Malattia cardiaca strutturale nota

Aritmia nota

Sospetta patologia cardiaca (intolleranza all’esercizio fisico, astenia re-cente)

Anamnesi patologica prossima

Sincope preceduta da palpitazioni o dolore toracico

Sincope che avviene durante l’esercizio fisico o stress

Sincope in piscina

Sincope che avviene in posiziona supina

Sincope senza prodromi

Sincope dopo rumore forte/fastidioso

Eventi che necessitano di rianimazione cardiopolmonare

Eventi con sequele neurologiche

Esame obiettivo alterato: ritmo irregolare, toni e soffi cardiaci patologici, sfregamento pericardico

ECG alterato

(da Massin, 2007 76, mod. e bibliografia correlata 1 16 23 77).

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Raccomandazione 2È raccomandata la misurazione della pressione arteriosa (PA) e della frequenza cardiaca (FC) in clinostatismo e ortostatismo con stand-up di 1-3-5-10 minuti; la fattibilità di quest’ultima procedura è chiaramente dipendente dall’età del pazienteLivello di evidenza VI – Forza della raccomandazione A

AnamnesiL’anamnesi svolge un ruolo centrale nell’iter diagnostico. Essa, rivol-ta anche ai testimoni dell’evento, deve comprendere: storia familiare, anamnesi patologica, farmaci e/o sostanze eventualmente assunti, fattori ambientali, modalità d’esordio con ricerca dei fattori determi-nanti-scatenanti, sintomi avvertiti dal soggetto in fase prodromica, di stato e del periodo post-critico, con descrizione dell’evento e della sua durata, segni e/o sintomi associati (Tab. VII). L’anamnesi, esegui-ta correttamente ed in maniera sistematica, può essere diagnostica sino al 45% dei casi o, comunque, risultare di notevole aiuto per suggerire l’eventuale strategia di valutazione 9 78 79.Anamnesi familiare. Occorre ricercare la presenza di morte improv-visa sotto i 40 anni, infarto miocardico sotto i 30 anni, cardiopatie congenite e/o aritmogene familiari, episodi di perdita di coscienza in familiari di primo grado (la ricorrenza familiare è comune e tipica nelle sincopi benigne neuromediate, anche se, raramente, potrebbe nascondere una pericolosa cardiopatia aritmogena genetica) 19 79.

Anamnesi personale. Bisogna focalizzare l’attenzione su pregres-se cardiopatie e aritmie, problematiche neurologiche, malattie me-taboliche e farmacoterapie. Non è mai da escludere la possibilità di una incongrua assunzione di farmaci, alcool o altre sostanze tossi-che (soprattutto nella prima infanzia) o l’eventuale uso di sostanze stupefacenti. Nei casi di sincope ricorrente, si dovranno raccogliere informazioni sull’età di esordio, sulla frequenza degli episodi, con particolare riguardo alle caratteristiche, alla durata e alla presenza di stereotipia dei vari episodi. Anamnesi specifica. Deve indagare l’ambiente, le sensazioni av-vertite dal paziente prima dell’evento, le caratteristiche dell’evento stesso e la ripresa. Tipologia di ambiente: luoghi affollati e/o caldi, immersione o tuffo o doccia con acqua fredda o calda, eventuale intossicazione da mo-nossido di carbonio.Posizione: in piedi, seduto o supino.Ora del giorno e intervallo dall’ultimo pastoAttività: esercizio fisico o evento stressante (importante stabilire se prima-durante-dopo sforzo), cambio di postura, rapporto con min-zione o defecazione, tosse, sputo, deglutizione, starnuto o utilizzo di strumenti a fiato.Fattori precipitanti l’evento: prolungata posizione eretta, digiuno, ma-lattie febbrili intercorrenti, disidratazione, movimenti bruschi del col-lo, pressione dei glomi carotidei, compressione oculare, spazzolarsi i capelli o stirarsi, manovre ortodontiche, traumi dentali, toracentesi e paracentesi, situazioni stressanti o emozionali (paura e dolore anche minimi, come veno-puntura e vista del sangue), traumi.Inizio dell’attacco (prodromi): nausea, vomito, dolori addominali, ce-falea, senso di freddo, sudorazione, offuscamento del visus, aura, sensazioni visive o uditive, dolore a torace/collo/spalle, palpitazioni, nessun segnale premonitore.Manifestazioni dell’attacco: modalità di caduta a terra (brusca o sci-volando sulle ginocchia), colorito cutaneo (pallore, cianosi o arrossa-mento), durata della perdita di coscienza, caratteristiche del respiro, morsicatura della lingua, deviazione dello sguardo, opistotono, mo-vimenti (tonici, tonico-clonici o minimo mioclono, automatismi) con loro durata ed inizio rispetto alla perdita di coscienza.Fine dell’attacco: nausea, vomito, sudorazione, senso di freddo, tempo di ripresa (breve o prolungato), dilatazione pupille, colorito cutaneo, confusione, incontinenza fecale e urinaria, dolori muscola-ri, dolori retrosternali, palpitazioni, ferite, necessità di rianimazione cardiopolmonare e sequele neurologiche.Esame obiettivoL’esame obiettivo deve essere completo ed orientato verso l’esclusio-ne di patologie cardiache o neurologiche e deve comprendere anche la misurazione dei parametri vitali. L’esplorazione cardiovascolare dovrà includere il reperimento di anomalie della frequenza e/o del ritmo cardiaco, la presenza di soffi cardiaci patologici, toni aggiunti o fissamente sdoppiati, click, ritmo di galoppo, fremiti, sfregamento pericardico e la valutazione dei polsi periferici (arti superiori e infe-riori) valutandone la qualità, la ritmicità e la simmetria 69. L’esame deve includere la misurazione della PA sia basale in clinostatismo, sia dopo 1-3-5-10 minuti di ortostatismo. Negli adolescenti, una PA sistolica in ortostatismo inferiore ad 80 mmHg andrebbe considera-ta un segno di “allarme clinico”; diagnostico di ipotensione ortosta-tica è un calo di 20-30 mmHg o più della PA sistolica o un calo di 10 mmHg o più della diastolica, entro 3 minuti dall’assunzione della posizione eretta, soprattutto se associata sensazione di annebbia-mento visivo; suggestivo per “sindrome da tachicardia ortostatica posturale” è un anomalo incremento della frequenza cardiaca (oltre 28-30 bpm) in assenza di ipotensione ed associato ad annebbia-

Tabella VII.Importanti aspetti anamnestici 2.

Valutazione sulle circostanze immediatamente prima della sincopePosizione (supina, seduta o in piedi)

Attività (riposo, cambiamento di postura, durante o dopo esercizio, duran-te o immediatamente dopo minzione, defecazione, tosse o deglutizione)

Fattori predisponenti (ad es., luoghi caldi e affollati, prolungato ortostati-smo, periodo postprandiale) ed eventi precipitanti (paura, dolore intenso, movimenti del collo)

Valutazione circa i prodromi della sincopeNausea, vomito, dolore addominale, sensazione di freddo, sudorazione, aura, dolore al collo o alle spalle, offuscamento del visus

Domande sulla sincope (ai testimoni)Modalità della caduta (caduta improvvisa o piegando le ginocchia), co-lore della pelle (pallore, cianosi, arrossamento), durata della perdita di coscienza, modalità di respirazione (russante), movimenti (tonici, clonici, tonico-clonici o minime mioclonie, automatismi) e loro durata, esordio dei movimenti e la loro relazione con la caduta, morsicatura della lingua

Domande sulla fine della sincopeNausea, vomito, sudorazione, sensazione di freddo, confusione, dolori muscolari, colorito della cute, lesioni, dolore al petto, palpitazioni, incon-tinenza urinaria o fecale

Domande sui precedentiStoria familiare di morte improvvisa, malattia cardiaca aritmogena con-genita o pregressi episodi sincopali

Precedente malattia cardiaca

Storia di malattia neurologica (epilessia, narcolessia)

Disturbi metabolici (diabete, ecc.)

Farmaci (antiipertensivi, antianginosi, antidepressivi, antiaritmici, diuretici e agenti che allungano il QT)

(In caso di sincopi ricorrenti) Informazioni sulle recidive così come sul tem-po trascorso dal primo episodio sincopale e sul numero degli attacchi

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mento visivo, affaticamento, presincope, capogiri dopo 10 minuti di postura eretta 19 21 36 80. A tale proposito, il gruppo ritiene utile indicare come riferimento le tabelle dei valori pressori a riposo divise per sesso, da 1 anno in su che, secondo il percentile di altezza, fornisco-no i relativi percentili della PA pubblicate su Pediatrics nel 2004 81.La valutazione neurologica deve essere completa e tendere ad escludere la presenza di segni derivanti da patologie del sistema nervoso quali alterazioni dello stato di coscienza, deficit focali, di-sturbi del movimento, atassia 82-85. Inoltre, vanno escluse nell’esa-me obiettivo generale condizioni pre-esistenti particolari associate a sindromi cardiovascolari e neurologiche quali fenotipo Marfan, dismorfie facciali, sordità, chiazze caffè-latte e palatoschisi. Infine, particolare attenzione dovrebbe essere posta a considerare lo stato di idratazione ed ematosi del paziente.

ElettrocardiogrammaL’ECG rappresenta l’esame strumentale fondamentale nella valutazio-ne iniziale del paziente con sincope e la sua utilità è stata suggerita da vari Autori 3-8 69 73-75. Hegazy, in uno studio retrospettivo su 234 pazien-ti, ha riscontrato alterazioni ECG in 25 di essi (10,7%), indicando che tale metodica è fortemente raccomandata nel paziente con sincope 28. Vari lavori 3 5 12 23 69 76 77 individuano i fattori di rischio utili (Tab. VI) per stabilire una stratificazione del rischio (Tab. V). L’ECG va eseguito di routine nei pazienti con sincope e refertato da un cardiologo, ponen-do particolare attenzione al ritmo, alla conduzione, alla presenza di onde delta o al prolungamento dell’intervallo QT. Oltre ad essere utile per identificare condizioni aritmiche come la sindrome del QT lungo e la sindrome di Brugada, esso può far sospettare malattie cardiache strutturali sottostanti 13. Vi sono infatti anomalie elettrocardiografiche diagnostiche di sincope aritmica ed altre che suggeriscono una sin-cope aritmica (Tabb. VIII IX) 5-7. Un’anormalità dell’ECG di base è un possibile predittore di sincope cardiaca e suggerisce la necessità di

Tabella VIII.Elementi diagnostici di sincope aritmica 2.

Blocco atrioventricolare di secondo grado di tipo Mobitz II o di terzo grado

Blocco di branca destra e sinistra alternante

Tachicardia parossistica sopraventricolare veloce o tachicardia ventricolare

Malfunzionamento di pacemaker con bradiaritmie, malfunzionamento di defibrillatore impiantabile (ICD), eventi proaritmici indotti da farmaci

Tabella IX.Anormalità ECG suggestive, anche se non diagnostiche di sincope aritmica 2.

Blocco bifascicolare (definito come blocco di branca sinistra o blocco di branca destra combinato con emiblocco anteriore o posteriore sinistro)

Altre anomalie della conduzione intraventricolare (durata del QRS ≥ 0,12 sec)

Blocco atrioventricolare di secondo grado di tipo Mobitz 1

Bradicardia sinusale asintomatica (età dipendente) o blocco senoatriale o pause sinusali > 3 secondi in assenza di farmaci cronotropi negativi

Complessi QRS preeccitati

QT lungo

Blocco di branca destra con ST sopraslivellato in V1-V3 (sindrome di Bru-gada)

Onde T negative nelle derivazioni precordiali, onde epsilon e potenziali tar-divi ventricolari suggestivi di displasia aritmogena del ventricolo destro

Onde Q suggestive di infarto miocardico

eseguire una consulenza cardiologica. Alcuni Autori 13 86 hanno evi-denziato che l’interpretazione dell’ECG da parte di un cardiologo con competenza pediatrica può ridurre il rischio di non diagnosticare una patologia aritmica potenzialmente fatale; tuttavia, gli Autori sottolinea-no che le discordanze maggiori nella interpretazione dell’ECG risulta-no clinicamente non significative 86.

Raccomandazione 3 L’ECG a 12 derivazioni è l’unico esame strumentale da effettua-re nella valutazione iniziale del paziente con sincope. La tem-pistica nell’esecuzione dell’ECG è legata alla stratificazione del rischio. Livello di evidenza V - Forza della raccomandazione A

Raccomandazione 4La refertazione dell’ECG dovrebbe essere effettuata da un car-diologo, preferenzialmente con competenza pediatrica.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione B

Il Gruppo di Lavoro ritiene che i risultati della valutazione iniziale (anamnesi, esame obiettivo, ECG, misurazione della PA in clino- ed ortostatismo) siano diagnostici dell’eziologia della sincope nei se-guenti casi:

a. sincope vasovagale, se eventi precipitanti come paura, intenso do-lore, forte emozione, prelievo ematico/procedure analoghe o pro-lungato ortostatismo sono associati con i tipici sintomi prodromici;

b. sincope situazionale, se essa si verifica durante o immediatamen-te dopo la minzione, la defecazione, la tosse o la deglutizione;

c. sincope ortostatica, quando c’è la documentazione di ipotensio-ne ortostatica associata a sincope o pre-sincope. La misurazione della PA è raccomandata dopo 5 minuti di decubito supino; la PA viene misurata dopo 1 o 3 minuti di ortostatismo e ulteriormente monitorata se la PA continua a scendere al terzo minuto;

d. sincope aritmica, se l’ECG mostra:

• bradicardia sinusale (FC età dipendente) o blocchi senoatria-li ripetitivi o pause sinusali > 3 sec;

• blocco atrioventricolare di secondo grado tipo Mobitz 2 o di terzo grado;

• blocco di branca destra e sinistra alternante;• tachicardia parossistica sopraventricolare veloce o tachicar-

dia ventricolare;• malfunzionamento del pacemaker con asistolia;

e. sincope ischemica, in caso vi sia evidenza di ischemia acuta all’ECG, con o senza alterazioni indicative di infarto miocardico ed indipendentemente dalla causa dell’ischemia.

Raccomandazione 5I risultati della valutazione iniziale sono diagnostici della ezio-logia della sincope nella maggior parte dei casi con sincope vasovagale, situazionale, ortostatica, aritmica, ischemica (vedi testo).Livello di evidenza VI – Forza della raccomandazione A

Esami ematochimiciGli esami ematochimici non vanno eseguiti routinariamente, in as-senza di segni e/o sintomi clinici che indichino l’utilità nel corso del-

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la valutazione del paziente all’esecuzione di glicemia, emocromo, elettroliti sierici, emogasanalisi, esame urine, carbossiemoglobina, screening tossicologico. In uno studio su una popolazione pediatri-ca composta di 154 soggetti con sincope, 116 sono stati sottoposti ad esami ematochimici; alterazioni sono state riscontrate solo in 3 soggetti, ognuno dei quali con una storia clinica definita e sugge-stiva per possibile disidratazione 26. L’utilizzazione indiscriminata di esami viene criticata, in assenza di segni e sintomi clinici suggestivi di patologia metabolica, coma o possibile intossicazione di farmaci/sostanze in uno studio su 140 soggetti 13.

Raccomandazione 6Gli esami ematochimici sono indicati solamente se si sospetta che la sincope sia dovuta a emorragia o disidratazione o nei quadri clinici simil sincopali, quando si sospetta una causa me-tabolica. Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

Valutazioni ed indagini specialistiche

Valutazione cardiologicaLa consulenza specialistica del cardiologo, preferibilmente con competenza pediatrica, è indicata quando la valutazione iniziale individua situazioni, sintomi o segni di allarme, suggestivi di poten-ziale eziologia cardiaca della sincope 1 16 23 76 77 (Tab. VI), ponendo la possibile presenza nel paziente di una cardiopatia strutturale e/o aritmica quale causa di sincope.

Raccomandazione 7La consulenza specialistica del cardiologo, preferibilmente con competenza pediatrica, è indicata quando la valutazione inizia-le evidenzia il dubbio di una cardiopatia strutturale e/o aritmica quale causa di sincope. Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

Valutazione neurologica, elettroencefalogramma La consulenza dello specialista con competenza neurologica e l’elet-troencefalogramma (EEG) sono indicati nei pazienti con perdita di co-scienza prolungata, attività convulsiva e fase post-ictale con letargia.

Raccomandazione 8La valutazione specialistica neurologica è indicata nei pazienti in cui la perdita di coscienza non è attribuibile a sincope o a disturbi metabolici, specialmente nei primi anni di vita.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

Molti Autori hanno sottolineato la sovrautilizzazione dell’EEG ed il suo basso valore diagnostico nei pazienti con sincope 82 87 88. L’utilità dell’EEG è stata valutata in uno studio condotto in 534 soggetti in cui l’esame era richiesto nell’iter diagnostico di condizioni neurologiche comuni; nei 19 pazienti con sincope l’esame è sempre risultato normale 82. All’uti-lizzazione dell’EEG nel paziente con sincope tra i 5 ed i 16 anni è stato attribuito scarso significato diagnostico in uno studio su 547 soggetti (54 con sincope), che eseguivano l’esame nella valutazione di comuni patologie neurologiche 87. La sincope di origine non definita,invece, può essere il primo sintomo di una epilessia, specialmente nel sesso fem-minile. Quindi si rende necessario in questi pazienti un follow-up EEG-neurologico di almeno 1 anno. L’importanza dell’EEG e del follow-up neurologico è stata enfatizzata in uno studio su 18 soggetti con sincope indeterminata dopo work-up diagnostico completo; durante il follow-up (7-19 mesi), la diagnosi di epilessia è stata posta in 4 (EEG con anomalie

epilettiche focali) dei 18 pazienti (prevalenza sesso femminile), trattati con successo con terapia antiepilettica 83.

Raccomandazione 9L’EEG è indicato solo nel sospetto di epilessia e nei soggetti con disturbo dello stato di coscienza non definito, quindi non attribuibile a sincope o a disturbi metabolici, soprattutto nei primi anni di vita.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

NeuroimagingLe indagini di tipo neuroradiologico vanno considerate in casi sele-zionati. Vari autori hanno indicato l’eccesiva utilizzazione di Tomogra-fia Computerizzata (TC) o di Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) cerebrale in pazienti con sincope, risultate sempre negative nei pazienti con esame neurologico normale. Le neuroimaging sono in-dicate solo nei pazienti con deficit neurologici focali o altri segni e sintomi di interessamento del sistema nervoso centrale 13 23.

Raccomandazione 10Le indagini neuroradiologiche (TC) o di neuroimaging (RMN) vanno eseguite solo nei soggetti con segni focali o altri segni o sintomi suggestivi di interessamento del sistema nervoso centrale e possibilmente concordate dopo visita neurologica specialistica.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

Valutazione psichiatricaNell’ambito della diagnosi differenziale, va anche considerata la “non sincope” o pseudo-sincope di origine psicogena, di pertinenza dello specialista con competenza psichiatrica, disturbo di tipo fun-zionale con manifestazioni sia di conversione isterica che di attacchi di panico. Il quadro clinico è costituito da paura intensa soggetti-va, tremore con caratteristiche palpebre “tremolanti” e semichiuse, iperventilazione, tachicardia sinusale (> 120 bpm) o altri sintomi non associati a variazioni della PA 89.

Raccomandazione 11La valutazione psichiatrica è indicata quando i sintomi suggeri-scono un episodio di “non sincope” di origine psicogena o se il paziente ha una malattia psichiatrica già diagnosticata.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

Altri esami di competenza cardiologicaAltri esami di pertinenza cardiologica come l’ecocardiogramma, il Tilt test, l’Holter ECG 24 ore, il monitoraggio della PA 24 ore, il moni-toraggio mediante loop recorder e lo studio elettrofisiologico vanno eseguiti su indicazione dei dati clinico-anamnestici ed ECG desunti dalla prima valutazione e concordati con il cardiologo in modo da seguire l’iter diagnostico più appropriato.

EcocardiogrammaL’ecocardiogramma è frequentemente usato nella popolazione adul-ta come test di screening per individuare malattie cardiache nei pazienti con sincope. Sebbene numerosi “case reports” pubblicati abbiano enfatizzato l’importante ruolo dell’ecocardiogramma nel-l’identificare la causa o il meccanismo della sincope, studi più ampi hanno dimostrato che il potere diagnostico dell’ecocardiogramma è basso, sia in età adulta 90-92 che in età pediatrica 28 72 93 94, in as-senza di rilievi anamnestici, obiettivi o elettrocardiografici suggestivi di cardiopatia. L’ecocardiogramma va considerato nella valutazione

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iniziale quando è presente una anamnesi positiva per sincope da sforzo e/o intolleranza all’esercizio fisico, una familiarità positiva per aritmie o morti improvvise, un esame obiettivo cardiologico alterato, un ECG patologico o un sospetto clinico di patologia cardiaca 30 72.

Raccomandazione 12L’ecocardiogramma non va considerato come esame di routine, ma è raccomandato nel paziente con sincope quando è sospet-tata una malattia cardiaca.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione A

Tilt testIl tilt test è un esame impiegato per ricercare le cause della sincope e consiste nel posizionamento del paziente su un lettino basculante che viene progressivamente innalzato fino alla posizione verticale (60°-90°) durante monitoraggio elettrocardiografico e pressorio. Il test viene considerato positivo quando il paziente presenta i sintomi di una sincope o pre-sincope.Principi e razionale del tilt test. Per effetto dello stimolo gravitazionale, nell’individuo sano l’assunzione della posizione ortostatica è seguita da un sequestro di sangue nel distretto venoso ad alta capacitanza situato al di sotto del cuore, stimato nell’ordine di 300-800 ml. Ne consegue una riduzione della pressione venosa centrale, della gittata cardiaca e della pressione arteriosa sistemica. Le concomitante disattivazione dei meccanismi inibitori barocettivi arteriosi e cardiopolmonari produce una riduzione dell’attività vagale ed un aumento riflesso dell’attività nervosa simpatica con conseguente vasocostrizione venosa e arteriosa e incre-mento della frequenza e dell’inotropismo cardiaci tali da mantenere i valori di pressione e di perfusione cerebrale. Inoltre, la distensione del distretto vascolare splancnico attiverebbe afferenze nervose simpatiche che con meccanismo a feedback positivo potrebbero concorrere a so-stenere il globale incremento di attività nervosa simpatica. L’alterazione a carico di uno dei citati meccanismi nervosi di regolazione cardiova-scolare può portare ad una intolleranza ortostatica occasionale (per esempio sincope vasovagale) o abituale (intolleranza ortostatica idiopa-tica e intolleranza ortostatica cronica) 95.Protocolli di tilt test. Il protocollo di esecuzione può variare, sebbe-ne alcune regole generali siano state pubblicate nel 1996 come do-cumento ufficiale da un’apposita commissione 96. La sala dove viene eseguito il test deve essere priva di rumori e con luce soffusa 97. I pazienti devono essere digiuni da almeno due ore prima del test e rimanere in posizione supina 15-20 minuti prima del tilt. Questo intervallo di tempo è stato proposto per diminuire la probabilità di una reazione vasovagale in risposta all’incannulazione venosa 98 99. Si consiglia un monitoraggio della PA non invasivo battito-battito, che ha dimostrato di essere altamente accurato e ripetibile anche nei bambini 100, sebbene la misura intermittente della pressione con lo sfigmomanometro sia ancora praticata, soprattutto nei bambini. Il tavolo del tilt deve essere in grado di far assumere la posizione ortostatica rapidamente e di far riprendere la posizione supina al-trettanto velocemente (in meno di 10 secondi) quando il test è finito, per evitare le conseguenze di una prolungata perdita di coscienza. L’esame è solitamente indicato nei soggetti di età non inferiore a 7 anni, istruiti sulle modalità di esecuzione del test unitamente al ge-nitore/tutore, al fine di evitare la riduzione di sensibilità e specificità ed ottenere risultati più attendibili 101. Dai pochi dati di letteratura disponibili, nella routine pediatrica, il tilt test ha un basso potere dia-gnostico, con molti falsi positivi e falsi negativi, per cui non dovrebbe essere considerato come gold standard nella diagnosi della sincope neuromediata 41 102 103 e inoltre, non risulta essere un buon predit-tore di ricorrenza della sincope o di efficacia del trattamento 104.

L’esecuzione dell’esame con stimolo farmacologico (isoproterenolo o nitroglicerina sublinguale) può essere indicata in casi selezionati, in soggetti con sincope non definita 105. Le indicazioni e le controin-dicazioni all’utilizzazione del tilt test sono riassunte in Tabella X.

Raccomandazione 13L’esecuzione del tilt test in condizioni basali e/o con stimolo farmacologico (isoproterenolo o nitroglicerina sublinguale) è indicata in casi selezionati, in soggetti con sincope atipica o ricorrente non definita o nella diagnosi differenziale tra sincope e forme non sincopali di origine psicogena e/o epilettica.Livello di evidenza III – Forza della raccomandazione B

Risposte al tilt test. Mediante l’analisi dei quadri delle risposte emo-dinamiche al tilt test, Pongiglione nel 1990 (Tab. XI) 43 e Sutton 106 hanno proposto una classificazione delle risposte positive.

Tabella X.Indicazioni e controindicazioni al tilt test.

Indicazioni

Sincopi ricorrenti con > 2 episodi ogni 6 mesi

Sincopi da causa ignota senza evidenza di cardiopatia significativa

Anche singolo episodio sincopale se è stato causa di trauma o di inciden-te (soprattutto se avvenuto in situazioni potenzialmente pericolose)

Presenza di una cardiopatia che potrebbe non essere la causa dell’episo-dio sincopale, dopo che sono state comunque escluse cause cardiache

Sincope indotta o associata ad attività fisica

Ricorrenti episodi convulsivi da causa ignota, con EEG ripetutamente ne-gativi e che non rispondono a terapia standard

Controindicazioni

Cardiopatia ostruttiva ventricolare sinistra severa (per esempio stenosi aortica e/o mitralica)

Cardiopatia ostruttiva ventricolare destra

Ipertensione polmonare

Coronaropatia ostruttiva prossimale

Malattia cerebrovascolare ostruttiva critica

Tabella XI.Classificazione delle risposte positive al tilt test 43.

Risposta tipo 1 mista

FC: al momento della sincope vi è una riduzione del 10%, ma si mantiene sempre > 40 b/min o cala a meno di 40 b/min per meno di 10 s, con o senza asistolia < 3 s. PA: può inizialmente salire, ma cala prima che la FC inizi a scendere

Risposta tipo 2A cardioinibitoria

FC: al momento della sincope vi è una riduzione a valori < 40 b/min per più di 10 s o compare un’asistolia per più di 3 s. PA: può inizialmente salire, ma cala prima che la FC inizi a scendere

Risposta tipo 2B cardioinibitoria

FC: al momento della sincope vi è una riduzione a valori < 40 b/min per più di 10 s o compare un’asistolia per più di 3 s. PA: può inizialmente salire e cala a livelli ipotensivi (< 80 mmHg) solo contemporaneamente o successivamente al calo della FC

Risposta tipo 3 vasodepressiva pura

FC: la FC sale progressivamente e non scende più del 10% (rispetto al valore massimo) al momento della sincope. PA: la PA cala fino a causare la sincope

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Complicanze. Il tilt test è una procedura sicura e la percentuale di complicanze è molto bassa. Sebbene siano state descritte pause asistoliche fino a 73 secondi 107, la presenza di una prolungata asi-stolia durante una risposta positiva non può essere considerata una complicanza, poiché questo è uno degli scopi del test.

Monitoraggio elettrocardiografico (non invasivo e invasivo)Il monitoraggio ECG (monitoraggio Holter 24-48 ore, monitoraggio prolungato ECG o loop recorder esterno o impiantabile) è una proce-dura impiegata per la diagnosi di bradi- e tachiaritmie intermittenti. Tuttavia, la tecnologia del monitoraggio ECG ha attualmente impor-tanti limiti. È improbabile riuscire a porre una diagnosi con l’Holter convenzionale in pazienti con sincope molto rara, con recidive nel-l’arco di mesi o di anni, perché la probabilità di correlazione sinto-mo-ECG è molto bassa. In queste circostanze, si deve considerare il registratore ECG impiantabile 6. Indicato nella popolazione adulta 108, utilizzato in età pediatrica in casistiche selezionate 109-112, può essere sostituito in età pediatrica da registratori a memoria digitale che permettono la registrazione prolungata nei giorni (7-10 giorni) o per eventi (loop recorder esterno, event recorder).

Raccomandazione 14L’esecuzione del monitoraggio elettrocardiografico (invasivo o non invasivo) è raccomandato nelle seguenti condizioni:

1. monitoraggio ospedaliero (a letto/telemetria), in caso di si-gnificative cardiopatie, ad alto rischio di aritmia, potenzial-mente letali;

2. monitoraggio Holter 24-48 ore, in pazienti che presentano caratteristiche cliniche o ECG che suggeriscono una sin-cope aritmica ed episodi sincopali frequenti (almeno 1 per settimana) e nei pazienti con cardiopatia strutturale, nei quali si sospetti un’aritmia e non la cardiopatia di per sé quale causa della sincope;

3. loop recorder esterno o impiantabile in pazienti con episodi sincopali ricorrenti, soprattutto se con traumi e caratteristi-che cliniche e/o ECG suggestive di una sincope potenzial-mente aritmica o di eziologia indeterminata dopo valutazio-ne completa.

Livello di evidenza IV – Forza della raccomandazione A

Raccomandazione 15Il monitoraggio elettrocardiografico è diagnostico quando si evidenzia una correlazione tra la sincope e una anomalia elet-trocardiografica (bradi- o tachiaritmia); ai fini prognostici è uti-le evidenziare una “non correlazione” tra episodio sincopale ed anomalia elettrocardiografica.Livello di evidenza IV – Forza della raccomandazione A

Monitoraggio della pressione arteriosa 24 oreIl monitoraggio della pressione arteriosa 24 ore (Ambulatory Blood Pressure Monitoring – ABPM) è una metodica ampiamente valida-ta, sia nell’adulto sia in età pediatrica, che consente di program-mare un registratore oscillometrico a registrare i valori pressori ad intervalli stabiliti, fornendo circa 70 misurazioni/24 ore. Ciò per-mette la valutazione dell’andamento circadiano, con i valori medi di pressione arteriosa sistolica, diastolica e media nel corso del giorno e della notte. Sono stati pubblicati studi che provvedono a

valori medi di riferimento per l’altezza, a partire dal 50° centile di PA 113. Dati non ancora pubblicati di un partecipante il gruppo di lavoro (Giordano) su una popolazione di 146 bambini di età com-presa tra 3 e 18 anni (età media 9,4 ± 5,6 anni) giunti al DEA per sincopi ripetute di tipo neuromediato e sottoposti ad ABPM, hanno mostrato valori medi di pressione arteriosa inferiori al 50° centile nell’91% dei casi, suggerendo l’ipotensione arteriosa (molto spes-so familiare) come situazione predisponente allo sviluppo di epi-sodi sincopali. L’ABPM è in grado di rafforzare i sospetti di sincope neuro mediata, quando la storia è suggestiva, senza imporre la significativa componente emotiva che genera invece l’esecuzione del tilt test. Può inoltre essere eseguito in pazienti non collaboran-ti all’esecuzione del tilt test, vista l’attendibilità del test anche in bambini molto piccoli 114.

Raccomandazione 16L’esecuzione del monitoraggio della pressione arteriosa 24 ore è indicata nei pazienti con storia suggestiva di ipotensione fa-miliare o costituzionale, di età superiore ai 3 anni.Livello di evidenza V – Forza della raccomandazione B

Test da sforzoIl test da sforzo dovrebbe essere eseguito nei pazienti che hanno avuto un evento sincopale durante uno sforzo fisico e non imme-diatamente o dopo poco dalla fine dello sforzo 37 115-127. La diagnosi differenziale è fondamentale in quanto, nel primo caso, la sinco-pe è sicuramente di origine cardiaca (aritmie ventricolari maggiori, cardiomiopatie ostruttive, valvulopatie gravi) 2 mentre la seconda e generalmente neuromediata 2 115 117 118 128, spesso favorita dalla disi-dratazione per sudorazione.

Raccomandazione 17L’esecuzione del test da sforzo è raccomandata solo in pazienti che presentano sincope durante lo sforzo fisico.Livello di evidenza IV – Forza della raccomandazione A

Raccomandazione 18Il test da sforzo è diagnostico quando induce sincope durante o immediatamente dopo sforzo, in presenza di alterazioni ECG e/o emodinamiche oppure se induce blocco atrioventricolare (BAV) di secondo grado tipo Mobitz 2 o di terzo grado, anche senza sincope.Livello di evidenza IV – Forza della raccomandazione A

Lo studio elettrofisiologico, il cateterismo cardiaco e l’angiografia vengono eseguiti in casi selezionati e solo su indicazione di un car-diologo esperto in aritmologia.

Indicazioni al ricoveroLa ragione principale per ricoverare un paziente con sincope do-vrebbe essere che il paziente sia stato classificato ad elevato rischio per eventi disritmici o per morte improvvisa e che l’osservazione clinica ed il monitoraggio del paziente possano condurre ad un ade-guato trattamento.Per il pediatra, è fondamentale saper differenziare, nell’ambito delle perdite di coscienza transitorie, gli episodi non sincopali dalle sincopi vere e proprie e, nell’ambito di queste ultime, le sincopi benigne, ge-neralmente gestibili nell’ambito della medicina generale pediatrica, da quelle potenzialmente pericolose da inviare ad appropriati accertamenti specialistici e che potrebbero necessitare di ricovero ospedaliero.

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Nei casi in cui l’eziologia rimane indeterminata dopo la valutazione iniziale, per decidere se ricoverare o meno, può essere utilizzato un sistema di stratificazione del rischio (Tab. V). Nei pazienti in cui l’eziologia della sincope è stata individuata dopo la valutazione ini-ziale, la decisione di ospedalizzare è subordinata alla prognosi della patologia sottostante e/o al tipo di trattamento necessario per questi pazienti.Anche l’età costituisce un criterio importante. Infatti un episodio sincopale che si verifichi al di sotto dell’anno di età non dovrebbe prudenzialmente mai essere considerato benigno, in quanto più fre-quentemente imputabile a cause pericolose (apnea, epilessia, arit-mie cardiache). In questa fascia di età sarebbe prudente ricorrere al ricovero, salvo che l’episodio sincopale abbia le caratteristiche cliniche di uno spasmo affettivo cianotico. La decisione di ospedalizzare può essere presa in considerazione con due diversi scopi: diagnostico (Tab. XII) o terapeutico (Tab. XIII). Si dovrebbe inoltre tener conto che l’interpretazione dell’ECG da parte di un cardiologo pediatra prima di pianificare il ricovero ospedaliero potrebbe ridurre in parte tale necessità. Alcuni studi riportano, infatti, una discrepanza di interpretazione dell’ECG in un dipartimento di emergenza compresa fra il 13% ed il 24%. (17,21). Data l’attuale disponibilità di fax e/o di trasmissione elettronica di dati, quando possibile, si dovrebbero sottoporre gli ECG con interpretazione dub-bia o sospetti patologici al giudizio di un cardiologo pediatra, prima di programmare un ricovero sulla base dello stesso.

Raccomandazione 19Il ricovero viene raccomandato nei soggetti con:

a) sincope da causa non determinata o che sono affetti da scompenso cardiaco e/o da cardiopatia congenita o acqui-sita;

b) sincope con caratteristiche cliniche che portino alla loro stratificazione come soggetti a rischio elevato per eventi avversi.

Livello di evidenza VI – Forza della raccomandazione B

Trattamento della sincopeIl trattamento della sincope deve essere stabilito in funzione dell’in-quadramento nosografico del paziente. Le sincopi di origine cardia-ca (Tab. I) e le non sincopi (neurologiche, psichiatriche, metaboliche) (Tab. II) dovranno essere seguite in collaborazione con lo specialista di competenza. Il trattamento della sincope neuromediata sarà principalmente di tipo comportamentale; i pazienti ed i genitori, come prima cosa, de-vono essere rassicurati sulla benignità dell’evento e istruiti sui mec-canismi d’azione della sincope riflessa, in modo da poter prevenire la sincope all’insorgenza dei sintomi ed eseguire le manovre che ne impediscono lo sviluppo. In generale, il primo approccio a tutte le forme neuromediate è solamente di tipo comportamentale (evitare ambienti caldi e/o affollati, la disidratazione e quindi l’ipovolemia). In questo caso, si consiglia di mantenere un adeguato introito sodico e idrico per evitare l’ipovolemia, eseguire manovre capaci di sottrar-re sangue agli arti inferiori e/o generanti aumenti della pressione arteriosa (indossare calza contenitive, accavallare le gambe o assu-mere la posizione di “squatting”, hand-grip). Suggerire di eseguire cambi di postura non repentini così come, se obbligati alla stazione eretta, cercare di muovere i piedi per mantenere la pompa venosa. Se questi consigli non sortiscono gli effetti desiderati, deve essere sottolineata la necessità, all’insorgenza dei sintomi premonitori, di assumere rapidamente la posizione supina, possibilmente a gambe leggermente sollevate. In queste condizioni, l’utilizzo di sostanze sti-molanti, quali caffeina (anche coca-cola), teina o cioccolata possono aiutare il paziente ad una ripresa più rapida, anche se l’utilizzo cro-nico è sconsigliato visto l’effetto anche diuretico di queste sostanze che contribuirebbe di conseguenza a successiva, relativa, disidrata-zione. Studi clinici hanno consigliato, anche se con controversie, il “tilt training”, cioè un allenamento a mantenere per tempi sempre più lunghi la posizione eretta, possibilmente con la schiena poggiata sul muro, partendo da cinque minuti fino ad arrivare anche a 15 -30 minuti.Se i sintomi continuano, può essere necessario instaurare un tratta-mento farmacologico, specie se gli episodi sincopali hanno generato traumi fisici. Studi prospettici, randomizzati, controllati con placebo hanno evidenziato tre agenti farmacologici efficaci in età pediatrica:

• la midodrina (cominciando con 5 mg due/tre volte al dì), un alfa-agonista selettivo, è indicata in quanto diminuisce la capacitanza venosa ed è efficace a dosaggi che non determinano aumento della PA 129. Il farmaco non attraversa la barriera emato-ence-falica, quindi non ha effetti collaterali sul SNC. Negli USA viene considerato come un trattamento di prima scelta 130 e studi su adulti ne hanno dimostrato l’efficacia nel trattamento preventivo delle recidive 131 132;

Tabella XII.Indicazioni al ricovero a scopo diagnostico.

Cardiopatia strutturale, nota o sospetta, clinicamente rilevante

Anamnesi positiva per scompenso cardiaco, patologia valvolare cardiaca emodinamicamente significativa, aritmie, crisi ipossiche, “spasmi affettivi pallidi” che richiedano vigorosa stimolazione per risol-versi;

Sincope durante attività fisica o associata a dolore toracico o a trauma grave o improvvisa insorgenza di palpitazioni poco prima della sincope, anche in soggetti non cardiopatici

Episodio sincopale che abbia richiesto rianimazione cardiopolmonare

Anomalie ECG indicative di possibile sincope aritmica (Tabelle VIII, IX)

Anamnesi familiare positiva per morte improvvisa giovanile < 40 anni

Cardiopatia di grado minimo o lieve qualora vi sia elevato sospetto clinico di sincope cardiogena

Sincope insorta in posizione supina e/o recidive sincopali frequenti

Importanti patologie extracardiache associate (esempio anemia signifi-cativa)

Gravi effetti collaterali da farmaci di pertinenza specialistica o necessità di importanti modifiche terapeutiche;

Ingestione di sostanze tossiche

Ictus o deficit neurologici focali, stato epilettico, segni di irritazione me-ningea

Tabella XIII.Indicazione del ricovero a scopo terapeutico.

Sincope causata da aritmie cardiache

Sincope causata da ischemia miocardica

Sincope secondaria a patologie strutturali cardiache o cardiopolmonari (Tabella I)

Ictus o deficit neurologici focali

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LINEE GuIDALa sincope in età pediatrica

• la paroxetina un inibitore selettivo del reuptake della serotonina, è considerata efficace nel trattamento delle POTS 133 134;

• il fludrocortisone serve a favorire il mantenimento della vole-mia;

• non sono risultati, invece, efficaci i betabloccanti.

La terapia farmacologica può essere interrotta quando trascorre un periodo sufficientemente lungo senza sintomi (almeno 12 mesi) ed eventualmente ripresa, se i sintomi si ripresentano 135.Terapia degli spasmi affettivi. Nella maggior parte dei casi, si può li-mitare ad un accurato counseling familiare. La conoscenza della sto-ria naturale della malattia e ciò che essa prevede può notevolmente sollevare l’ansietà dei genitori. È stato dimostrato che il trattamento con ferro porta a miglioramento dei bambini con deficit 51 136 137. I casi con prolungata asistolia possono necessitare dell’ impianto di un pacemaker permanente 138. L’atropina è stata proposta in passa-to come efficace nel ridurre la severità e la frequenza delle sincopi, ma sono frequenti effetti avversi, quali perdita di concentrazione, secchezza delle fauci, disturbi intestinali e alterazioni dell’umore 139. Alcuni Autori hanno riportato l’efficacia del piracetam 140 141.

Raccomandazione 20In caso di sincope riflessa o neuromediata il trattamento è so-prattutto comportamentale per prevenire eventuali successivi episodi. Quando possibile, oltre ai genitori/tutore, deve essere coinvolto anche il paziente.Livello di evidenza VI – Forza della raccomandazione A

Idoneità sportivaAl pediatra viene spesso richiesto un parere sull’opportunità che un paziente con sincope possa iniziare/continuare un’attività sportiva. Nella maggioranza degli atleti giovani, la sincope ha un’origine neu-romediata ed una prognosi benigna. Tuttavia, essa può costituire l’epifenomeno di una patologia cardiaca misconosciuta, anche a prognosi fatale e rappresentare un potenziale marker di rischio di morte improvvisa. Inoltre, a prescindere dalla causa, la sincope può associarsi al rischio di traumatismi, soprattutto in atleti praticanti sport a rischio intrinseco elevato. Nella valutazione iniziale dell’atle-ta che ha avuto una sincope vanno perseguiti tre obiettivi prioritari: differenziare la sincope da altre condizioni presunte non cardiogene; ricercare gli elementi clinici in grado di suggerire la diagnosi; valuta-re l’eventuale presenza di cardiopatia. Sono già state pubblicate Li-nee guida su protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità sportiva agonistica, anche in pazienti con malattie cardiovascolari 142-144.

Raccomandazione 21Si raccomanda l’astensione/sospensione dall’attività sportiva

nel paziente con perdita di coscienza transitoria fino a diagnosi avvenutaLivello di evidenza VI – Forza della raccomandazione A

La sincope neuromediata nell’atleta sembra avere prognosi favo-revole. Quindi, una volta accertato che la perdita di coscienza è do-vuta a tale meccanismo, l’atleta potrà essere riammesso allo sport competitivo. Tuttavia, criteri restrittivi devono essere adottati negli atleti praticanti sport a rischio intrinseco elevato, nei quali la perdita di coscienza può comportare un’elevata possibilità di gravi eventi avversi per l’atleta.

Raccomandazione 22Al paziente con sincope riflessa o neuromediata il medico deve consentire di praticare attività sportiva.Livello di evidenza VI – Forza della raccomandazione A

Nelle sincopi di origine cardiaca aritmica, la concessione dell’idoneità dovrà essere basata sul tipo di aritmia riscontrata e/o sull’eventuale patologia cardiovascolare associata, nonché sui risultati dell’eventua-le studio elettrofisiologico. Le sindromi da QT lungo congenito con-troindicano in senso assoluto ogni tipo di attività sportiva, anche in assenza di aritmie ventricolari maggiori documentate. Ricordiamo che nel soggetto con sindrome del QT lungo, la bradicardia può essere uno degli elementi del quadro clinico (specie nel giovane e nel bambino). Pertanto, nel soggetto bradicardico, va sempre esclusa la presenza di QT prolungato. I soggetti asintomatici con PR corto e QRS stretto possono essere fatti idonei. Sebbene non possano essere stilate li-nee di comportamento generali valide in tutti i casi, vi sono patologie che, per gravità e/o complessità, controindicano di per sé la pratica sportiva agonistica. A questo gruppo appartengono: anomalia di Eb-stein; atresia della tricuspide; atresia della polmonare, a setto integro o con difetto interventricolare (quando non è stato possibile il recupero completo del ventricolo destro); sindrome di Eisenmenger; ipertensio-ne polmonare primitiva; trasposizione congenitamente corretta del-le grandi arterie; trasposizione delle grandi arterie corretta secondo Mustard o Senning; difetti associati dell’efflusso ventricolare sinistro; origine anomala delle arterie coronarie; cuore univentricolare; sin-drome di Marfan; sindrome di Ehlers-Danlos. Debbono essere inoltre comprese tutte le cardiopatie in cui la correzione chirurgica implichi l’apposizione di condotti protesici e/o protesi valvolari.

Raccomandazione 23Al paziente con sincope di origine cardiaca aritmica e/o struttu-rale, l’idoneità alla pratica sportiva sarà certificata dal pediatra curante, dopo opportuna valutazione del cardiologo pediatra. La certificazione allo sport agonistico è ovviamente a cura dello specialista in Medicina dello Sport.Livello di evidenza VI – Forza della raccomandazione A

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dott. Umberto Raucci, DEA-Pediatria dell’Emergenza, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, piazza Sant’Onofrio 4, 00165 Roma. E-mail: [email protected]

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