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Università per Stranieri “Dante Alighieri” REGGIO CALABRIA Reggio Calabria Anno Accademico 2015-2016 _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SOCIETA’ E DELLA FORMAZIONE D’AREA MEDITERRANEA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN “Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali d’area mediterranea” ___________________________________________________________ TITOLO TESI RISVOLTI SOCIALI ED IMPLICAZIONI PSICOLOGICHE DEL DISTURBO DA DISMORFISMO CORPOREO. QUANDO LO SPECCHIO DIVENTA UN’OSSESSIONE. Tesi di Laurea di: Relatore: Mordà Marin Francesco Chiar.mo Prof. Vincenzo Maria Romeo ___________________________________________________________

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Università per Stranieri “Dante Alighieri” REGGIO CALABRIA

Reggio Calabria

Anno Accademico 2015-2016

____________________________

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SOCIETA’ E DELLA FORMAZIONE

D’AREA MEDITERRANEA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

“Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali d’area mediterranea”

___________________________________________________________

TITOLO TESI

RISVOLTI SOCIALI ED IMPLICAZIONI PSICOLOGICHE DEL DISTURBO DA DISMORFISMO

CORPOREO. QUANDO LO SPECCHIO DIVENTA UN’OSSESSIONE.

Tesi di Laurea di: Relatore:

Mordà Marin Francesco Chiar.mo

Prof. Vincenzo Maria Romeo

___________________________________________________________

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INDICE

INTRODUZIONE………………………………………………………Pag. 3

Capitolo 1: IL DISMORFISMO CORPOREO……………….………...Pag. 4

1.1 L’origine del disturbo……………………………………………… Pag. 4

1.2 Cosa si intende per “dismorfismo corporeo” ………..…………….. Pag. 16

1.3 Come riconoscere il disturbo: diagnosi e sue caratteristiche.…….....Pag. 25

1.4 La chirurgia estetica………………...…………………………….... Pag. 33

1.5 Il dismorfismo corporeo legato allo sport……...…………………... Pag. 38

Capitolo 2: I DATI STATISTICI …………………...………………….Pag. 48

2.1 L’eziopatogenesi del disturbo da dismorfismo corporeo…………....Pag. 48

2.2 Fenomenologia e demografia del disturbo....………………………..Pag. 54

2.3 Le teorie cognitive-comportamentali………………………………. Pag. 56

2.4 Fattori predisponenti, scatenanti e di mantenimento nel DDC……...Pag. 63

2.4.1 Le possibili conseguenze del disturbo………………………..Pag. 72

Capitolo 3: PREVENZIONE, CURA E

TRATTAMENTO DEL DDC…………………………………………. Pag. 87

3.1 Prevenzione e trattamento del DDC………………..……………… Pag. 87

3.2 Gli strumenti di valutazione del disturbo……………………….…. Pag. 94

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3.2.1 Un nuovo strumento digitale: il Body Image Revealer………Pag. 107

3.3 La terapia cognitivo-comportamentale……………………………...Pag. 111

3.4 La terapia psicofarmacologica del DDC……………………………Pag. 122

CONCLUSIONI………………………………………………………...Pag. 128

BIBLIOGRAFIA………………………………………………………..Pag. 129

SITOGRAFIA…………………………………………………………..Pag. 137

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INTRODUZIONE

La motivazione che mi ha spinto ad affrontare il tema del disturbo da dismorfismo

corporeo consiste nel fatto che esso lo ritengo un “problema comune”, nel senso che a

parer mio è un disturbo abbastanza “subdolo” ed allo stesso tempo molto diffuso tra la

popolazione specialmente tra i giovani, infatti come sappiamo è proprio tra questi ultimi

che si manifestano i sintomi di tale disturbo.

Nel primo capitolo parlo dell’immagine corporea citando alcuni autori tra cui uno dei più

importanti, ovvero Slade che nel 1935 descrive l’immagine corporea come la percezione

che ognuno di noi ha di sé stessi nella propria mente; successivamente parlerò del disturbo

da dismorfismo corporeo dal punto di vista storico e cioè i vari studi che sono stai effettuati

su quest’ultimo. Fatto ciò ho voluto parlare delle caratteristiche del disturbo e soprattutto

come diagnosticarlo; in seguito trattato l’argomento del disturbo da dismorfismo corporeo

legato sia alla chirurgia estetica che allo sport.

Il secondo capitolo l’ho voluto dedicare interamente ai dati statistici (come si può dedurre

dal nome del capitolo stesso) descrivendo in linee generali l’evoluzione e allo stesso tempo

la diffusione di questo disturbo tra la popolazione evidenziando come alcuni soggetti siano

predisposti ad avere tale disturbo rispetto ad altri. Per concludere il capitolo ho dedicato un

sotto paragrafo su quella che può essere potenzialmente una conseguenza a cui può portare

questo disturbo, ovvero il suicidio; è un particolare molto forte e molto difficile da trattare

anche perché secondo dati statistici ciò avviene, purtroppo, maggiormente nella fase

dell’adolescenza: come sappiamo è una fase della vita molto delicata e molto complicata e

questo disturbo se non trattato precocemente può spingere il soggetto a questa terribile

conseguenza.

Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, parlo dei vari strumenti di valutazione, ovvero quegli

strumenti attraverso i quali è possibile individuare il disturbo in un soggetto e soprattutto

(cosa più importante) attraverso i quali è possibile stabilire la gravità del disturbo;

successivamente parlo sugli eventuali trattamenti previsti per “curare” il disturbo da

dismorfismo corporeo o perlomeno per tentare di ridurne la sintomatologia.

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CAPITOLO 1: IL DISMORFISMO CORPOREO.

1.1 L’ORIGINE DEL DISTURBO.

L’immagine corporea è un costrutto multidimensionale caratterizzato dalle percezioni e

valutazioni dell’individuo in merito al proprio aspetto fisico (Cash e Pruzinsky, 2002).

Essa non è una struttura innata e preformata, fissa e statica, ma “è una struttura del nostro

essere altamente dinamica, dipendente dalla maturazione del sistema nervoso, dai vissuti

psico-emotivi, dal livello di percezione senso-motoria, dai processi resi possibili

dall’esperienza e dal continuo apprendimento motorio e posturale; essa opera sia a livello

della coscienza sia al di fuori della nostra consapevolezza, nel privato e nello spazio

sociale”. Quindi è qualcosa che va al di là della bellezza esteriore, il fascino dell’aspetto

fisico, la forma estetica o semplicemente l’apparenza: è proprio Slade uno dei principali

studiosi del dismorfismo corporeo che nel 1935 nella sua opera “L’immagine del corpo

umano” definisce l’immagine corporea come l’immagine del proprio corpo nella propria

mente ovvero il modo in cui il corpo appare a sé stessi. Negli anni seguenti ci sono stati

altri psicologi che hanno definito l’immagine corpora come ad esempio Piaget, il quale nel

1945 decide di affrontare il problema dal punto di vista psicogenetico: secondo l’autore il

bambino possiede sin dalla nascita dei meccanismi riflessi ed automatici dovuti ad alcuni

stimoli che ne determinano un comportamento istintivo ed innato. Un altro autore che si

occupa di definire l’IC (l’immagine corporea) è De Ajuiriguerra che nel 1973 definisce,

appunto, l’immagine corporea come la rappresentazione che l’uomo ha del proprio corpo

in posizione statica o dinamica; per egli, quindi, l’immagine corporea si costruisce

attraverso un processo cognitivo-affettivo-esperienziale che deriva dall’integrazione dei

dati sensoriali ed affettivi e dalla localizzazione delle posture e dei movimenti nello spazio.

Un altro studioso importante che si è occupato dell’immagine corporea è Le Boulch il

quale nel 1975 descrive l’immagine corporea come una conoscenza immediata del nostro

corpo allo stato statico oppure in movimento, nel rapporto delle sue diverse parti tra di loro

e nei suoi rapporti con lo spazio che lo circonda. In seguito, nel 1994, Slade tende a

spiegare l’immagine corporea più dettagliatamente definendola come “l’immagine che

abbiamo nella nostra mente della forma, dimensione, taglia del nostro corpo e i sentimenti

che proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle singole parti del nostro corpo”.

Ciò significa che egli definisce l’immagine corporea come la rappresentazione soggettiva

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che ogni persona ha del proprio corpo1. La maggior parte delle ricerche sull’immagine

corporea si sono occupate delle distorsioni percettive e dell’insoddisfazione corporea

considerando che è ampliamente dimostrato come un’immagine di sé positiva sia associata

a diversi indicatori importanti di equilibrio emotivo, somatico e di adattamento sociale ed è

strettamente correlata ad una buona autostima e sicurezza personale, mentre un’’immagine

corporea vista negativamente sarà correlata a fattori quali ansia e depressione. Potremmo

quindi dire che se un’immagine corporea è positiva allora essa esprime un rapporto

positivo col il proprio corpo e costituisce un indicatore del benessere psicofisico, mentre se

è negativa essa esprime un rapporto negativo causando disagio e costituendo un fattore

predisponente lo sviluppo di patologie.

Ad oggi l’immagine corporea viene definita prendendo in considerazione due dimensioni

fondamentali: quella topografica e quella emotiva. Alla dimensione topografica appartiene

il concetto di “schema del corpo”, una sorta di mappa che ciascuno di noi si crea durante lo

sviluppo delle singole aree del corpo. Questa mappa, ovviamente, può non essere

completamente accurata, in quanto spesso è influenzata (a volte in maniera persistente e

negativamente) dalla seconda componente ovvero quella emotiva. La dimensione emotiva,

infatti, comprende l’insieme di valutazioni e di sentimenti relativi a parti del corpo e al

corpo in generale. Queste due dimensioni appena descritte sono interdipendenti in quanto i

sentimenti sulle forme corporee influenzano la percezione di quest’ultime e viceversa,

quindi possiamo dedurre che queste due dimensioni vanno di pari passo tra loro. Da tale

reciproca influenza deriva l’immagine corporea: nelle persone che soffrono di disturbi

alimentari, ad esempio, si osserva la presenza concomitante di percezioni delle proprie

forme fisiche e del giudizio negativo su di esse.

Ma come avviene la costruzione dell’immagine corporea e quando? La costruzione

dell’immagine corporea è un processo che inizia già nei primi mesi e che continua a

svilupparsi, per tappe, durante tutto l’arco della vita. La prima grande “conquista” avviene

entro il terzo anno di età, periodo in cui il bambino inizia a stabilire la “coscienza di sé”

che rende possibile, tra l’altro, il riconoscimento della propria immagine allo specchio. In

seguito, fra il terzo ed il quarto anno di età il bambino prende coscienza del fatto che il

corpo degli altri è formato dalle sue stesse parti e successivamente, generalmente dopo i sei

anni, si precisa l’orientamento spazio-temporale e di conseguenza prende consapevolezza

del fatto che il proprio corpo occupa un certo spazio e che in diversi momenti può occupare

spazi assumendo forme differenti. Anche se raramente, a questa età si iniziano ad avere i

1 http://www.istitutomiller.it/psicoterapia-adulti/psicoterapia-disturbi-immagine-corporea.html

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primi disturbi alimentari che generalmente sono quelli che hanno un decorso peggiore con

una elevatissima probabilità di cronicizzarsi; ne deriva pertanto che l’età d’insorgenza è un

importantissimo fattore di prognosi. Con l’inizio dell’età adolescenziale, infine, il corpo

subisce tutta una serie di trasformazioni rilevanti: nei maschi per esempio la voce diventa

più profonda, la pelle del viso si irruvidisce e compare la barba, compaiono peli anche

sotto le ascelle, sul petto e sulle gambe. Nelle femmine i fianchi tendono ad allargarsi e

possono comparire cellulite e accumulo di adipe; aumenta, inoltre, la peluria nella zona

dell’inguine, delle ascelle e delle gambe. Proprio per via di tali trasformazioni è normale

che in questo periodo della vita avvenga una sorta di stravolgimento dell’immagine

corporea; non è un caso, in effetti, che la maggior parte di coloro che soffrono di un

disturbo alimentare lo sviluppino proprio in adolescenza. Il Disturbo di Dismorfismo

Corporeo (DDC) è entrato a far parte dei disturbi psicologi solo in epoca recente, infatti la

sua inclusione nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) risale al

1987. In realtà è un problema già conosciuto da più di un secolo, tanto che già agli inizi del

Novecento veniva descritto da studiosi come Emil Kraepelin (psichiatra e psicologo

tedesco) come una nevrosi compulsiva.

Il disturbo da dismorfismo corporeo è il “nuovo nome” di una “vecchia sindrome” la quale

è stata a lungo descritta nella letteratura europea, russa e giapponese sotto una varietà di

nomi tant’è vero che era più comunemente chiamato “dismorfofobia”, un termine coniato

da uno dei primi psichiatri che si occupò del DDC Enrico Morselli circa cento anni fa2.

Sebbene il termine “dismorfofobia” è stato usato in vari modi3, è stato generalmente

definito come un sentimento del tutto soggettivo di bruttezza o difetto fisico che il paziente

pensa sia evidente agli altri, a dispetto di una normale apparenza. Secondo Philippopoulos4

(noto psichiatra greco) questo termine viene da “dysmorfia”, una parola greca che significa

“bruttezza”, specificamente della faccia ed è apparso per la prima volta nell’opera

“Histories of Herodotus” riferendosi al mito della ragazza più brutta di Sparta la quale

veniva portata al santuario ogni giorno dalla sua infermiera in modo tale da essere

“liberata” dalla sua bruttezza. Emil Kraepelin5 e Pierre Marie Félix Janet 6(psicologo e

filosofo francese che operò tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo) sono tra gli

psicologi europei di fine secolo che hanno descritto la sindrome dismorfofobica. Kraepelin

2 Morselli E.: “Sulla dismorfofobia e sulla tafofobia”. Bollettino della R accademia di Genova 1891; 6:110-

119. 3 Munro A., Stewart M.: “Body dysmorphic disorder and the DSM-IV: the demise of dysmorphophobia.”

Can J Psychiatry 1991; 36:91-96. 4 Philippopoulos G. S.: “The analysis of a case of dysmorphophobia.” Can J Psychiatry 1979; 24:397-401. 5 Kraepelin E.: “Psychiatrie”, 8th ed. Leipzig, J. A. Barth, 1909-1915. 6 Janet P.: “Les obsessions et la psychiatrie.” Paris, Felix Alcan, 1903.

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credeva che la natura persistente ego distonica dei sintomi dismorfofobici garantiva la sua

classificazione come una nevrosi compulsiva; similarmente Janet classificò l’ossessione

con la vergogna del corpo entro una larga scala di sindromi simili al disturbo ossessivo-

compulsivo. Quest’ultimo credeva che tale preoccupazione era relativamente comune ed

egli enfatizzò l’estrema vergogna sperimentata da questi individui i quali temevano di

essere “brutti e ridicoli”. Un classico caso di dismorfofobia riguarda un paziente che ha

avuto precedentemente una nevrosi compulsiva analizzata da Freud; il soggetto “ha

trascurato la sua vita giornaliera ed il lavoro perché era troppo preoccupato per lo stato del

suo naso.”; in poche parole “La sua vita era centrata sul piccolo specchio che teneva

sempre con sé nella sua tasca, e il suo destino dipendeva da cosa esso rivelava o stava per

rivelare7. La psicoanalisi suggerì che il suo naso rappresentava il suo pene e che egli

desiderò di essere castrato e trasformato in una donna; un suo sintomo era anche

l’identificazione con sua madre attraverso il riflesso, in parte perché il suo esordio si è

verificato subito dopo aver visto una verruca sul naso di lei”.

“La bellezza dell’ipocondria” e “un soggetto preoccupato di essere brutto” sono due

concetti simili, usati da Jahrreiss nel 1930 e discussi da Ladee nel 19668, il quale catturò

alcune delle qualità centrali del disturbo da dismorfismo corporeo nella sua descrizione

della bellezza dell’ipocondria affermando che:” la preoccupazione è talmente centrata su

un aspetto dell’apparenza corporea, la quale è sperimentata come deformata, repulsiva,

inaccettabile o ridicola, che l’intera esistenza di un individuo è dominata da questa

preoccupazione e nient’altro ha più nessun significato; le caratteristiche di questa

preoccupazione erano il naso, i denti, la pelle e i capelli.”. Inoltre “l’ipocondria

dermatologica”9 è un altro termine usato per descrivere un disturbo dimorfico del corpo

come la sindrome che si focalizza su “difetti” della pelle e dei capelli. Nel 1949, Stekel10

(noto medico, psicologo e psicoanalista austriaco) scrisse sul “peculiare gruppo delle idee

compulsive che interessano il corpo.”. Secondo lo studioso ci sono persone che si

occupano di loro stesse continuamente con una specifica parte del corpo: in un caso è il

naso; in un altro caso è la testa pelata; in un terzo caso l’orecchio, gli occhi, oppure (nelle

donne) il seno, i genitali, ecc. Questi pensieri ossessivi sono molto tormentosi.

Sebbene nella letteratura europea la dismorfofobia e i suoi equivalenti erano generalmente

7 Brunswick R. M.: “A supplement to Freud’s “History of an Infantile Neurosis.” Int J Psichoanal 1928;

9:439-476. 8 Ladee G. A.: “Hypochondriacal Syndromes.” Amsterdam, Elsevier, 1966. 9 Zaidens S. H.: “Dermatologic hypochondriasis: a form of schizophrenia.” Psychosom Med 1950; 12:250-

253. 10 Stekel W.: “Compulsion and Doubt.”. Translated by Gutheil E. A. New York, Liveright, 1949.

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riferiti ad una preoccupazione non delirante, il termine era anche usato per descrivere una

preoccupazione di intensità delirante; in quanto tale, esso fu anche classificato come una

delle psicosi ipocondriache monosintomatiche. Questi disturbi psicotici consistono in una

singola credenza delirante di natura somatica, di solito in assenza di altri sintomi psicotici

prominenti e sono così simili al disturbo delirante, di tipo somatico, descritto nel DSM-III-

R nel 1987; gli altri due sintomi ipocondriaci monosintomatici comuni sono i deliri di

parassitosi (la credenza di un individuo di essere infettato da parassiti o altri insetti nocivi)

e la sindrome di riferimento olfattivo, o deliri di bromidrosi (la credenza che una persona

ha di emettere un fastidioso odore corporeo). Questa versione psicotica di dismorfofobia è

stata anche chiamata “deliri da dismorfofobia”11; il primo concetto di dismorfofobia entrò

nella nosologia psichiatrica del DSM-III-R ma come un esempio di un disturbo

somatoforme atipico e senza criteri diagnostici. Le sue versioni deliranti e non deliranti

non furono differenziate, la versione delirante inoltre non sembra avere un posto specifico

all’interno del DSM-III; esso, inoltre, potrebbe essere stato diagnosticato come un disturbo

somatoforme atipico o forse come una psicosi atipica12 oppure ancora come un disturbo

paranoide atipico13, le ultime similitudini tra l’ipocondria monosintomatica e il concetto di

paranoia di Kraepelin14. La dismorfofobia fu concordata per distinguere lo stato

diagnostico nel DSM-III il quale lo chiama disturbo dismorfobico del corpo e annota che il

termine “dismorfofobia” non è un termine appropriato perché il disturbo non implica

l’evitamento fobico15. Dietrich16 (noto psichiatra tedesco) nel 1962 attraverso l’opera

“Über dysmorphophobie”, tuttavia, giustificò l’uso del termine “dismorfofobia” sulla base

della paura dei pazienti del ridicolo e che turbano gli altri con la loro bruttezza. A

differenza del DSM-III, il DSM-III-R distingue il disturbo dismorfobico del corpo non

delirante dal disturbo delirante di tipo somatico (un nuovo tipo di disturbo delirante nel

DSM-III-R) il quale è classificato come un disturbo psicotico. Sebbene distinguere un

pensiero delirante da un pensiero non delirante di un disturbo dismorfobico corporeo può

11 Bishop E. R.: “Monosymptomatic hypochondriasis.” Psychosomatics 1980; 21:731-747. 12 Ross C. A., Siddiqui A. R., Matas M.: “DSM-III: problems in diagnosis of paranoia and obsessive-

compulsive disorder.” Can J Psychiatry 1987; 32:146-148. 13 Sondheimer A.: “Clomipramine treatment of delusional disorder-somatic type.” J Am Acad Child Adolesc

Psychiatry 1988; 27:188-192. 14 Munro A.: “Delusional (paranoid) disorders.” Can J Psychiatry 1988; 33:399-404. 15 Schachter M: Nevroses dysmorphiques (complexes de laideur) et délire ou conviction délirante de

dysmorphie.” Ann Med Psychiatry 1987; 32:146-148. 16 Dietrich H.:” Über dysmorphophobie (missgestaltfurcht).” Arch Psychiatr Zeit Neurol 1962; 203:511-518.

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essere estremamente difficile, alcuni autori17 18 hanno affermato che questa distinzione è

importante in quanto potrebbe comportare implicazioni nel corso del trattamento del

disturbo. Da una prospettiva psicologica, alcuni autori hanno suggerito che il disturbo da

dismorfismo corporeo insorge da uno spostamento inconscio di un conflitto sessuale o

emotivo oppure da un sentimento di inferiorità, colpevolezza, oppure una scarsa immagine

di sé su una parte del corpo; allo stesso modo, i sintomi corporali possono difendersi contro

una scarsa identità19 o riflettendo un deficit sottostante e un disturbo nella comunicazione

interpersonale20. Parecchi autori hanno suggerito che la parte del corpo prescelta può

essere simbolica di un’altra parte del corpo- per esempio il naso può simbolizzare

impotenza21-; alcuni pazienti possono identificare la parte del corpo prescelta con quella di

un’altra persona22, spesso un genitore. Philippopoulos nel 1979 suggerì che la paura di una

donna di essere brutta e repulsiva potrebbe verificarsi con il cedere alle tentazioni sessuali;

altri autori hanno suggerito che i desideri incestuosi e l’angoscia di castrazione sono motivi

inconsci nello sviluppo dei sintomi.

Sfondi familiari disarmonici ed esperienze infantili sfavorevoli spesso e volentieri

producono sentimenti come ad esempio non essere amato, essere insicuro e rifiutato così

come essere preso in giro per l’aspetto fisico sono stati considerati aspetti che incidono

notevolmente. Sempre nel 1966 Ladee postulò l’importanza di una dipendenza estrema e

altamente ambivalente da uno dei genitori, solitamente la madre, da parte di chi la bellezza

fisica è stata importante e che poi applicato questo criterio di valutazione per il bambino.

Alcuni individui invidiano segretamente e paragonano sé stessi con i loro fratelli più

attraenti e/o la sorella più attraente con cui i loro genitori possono anche confrontarli.

Parecchi studiosi come Philippopoulos (1979), Cotterill (nel 1981 attraverso l’opera

“Dermatological non-disease: a common and potentially fatal disturbance of cutaneous

body image.”), Kasahara (psicologo giapponese)23, Bloch e Glue24 hanno postulato che un

17 Riding J., Munro A.: “Pimozide in the treatment of monosymptomatic hypochondriacal psychosis.” Acta

Psychiatr Scand 1975; 25:23-30. 18 Thomas C. S.: “Dysmorphophobia and monosymptomatic hypochondriasis (letter).” Am J Psychiatry

1985; 142:1121. 19 Filkestein B. A.: “Dysmorphophobia.” Dis Nerv Syst 1962; 24:365-370. 20 Strian V. F.: “Dysmorphophobie- Selbstbild und Selbistidentität.” Z Klin Psychol Psychopathol Psychoter

1984; 32:117-122. 21 Liberman R.: “A propos des dysmorphophob Ies de l’adolescent.” Rev Neuropsychiatr Infant 1974;

22:695-699. 22 Shilder P.: “The image and appereance of the human body.” New York, International Universities Press,

1950. 23 Kasahara Y.: “Social phobia in Japan and Korea: proceedings of the first cultural psychiatry symposium

between Japan and Korea.” Seoul, Korea, East Asian Academy of cultural Psychiatry, 1987. 24 Bloch S., Glue P.: “Psychotherapy and dysmorphophobia: a case report.” Br J Psychiatry 1988; 152:271-

274.

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determinato fattore può provocare l'insorgenza dei sintomi, ad esempio un’osservazione

casuale sulla parte del corpo di cui l’individuo si preoccupa- per esempio quando al

soggetto viene detto:” Tu senza dubbio somigli a tuo padre”, “Sembri molto carino ma hai

una bocca piccola”, oppure ancora quando gli si chiede:” Perché hai la faccia metà rossa e

metà bianca?”. Hay25 ha riferito che una tale osservazione era almeno in parte responsabile

dell’insorgenza dei sintomi a 9 dei 17 pazienti; diversi casi clinici hanno notato

un’improvvisa insorgenza dei sintomi dopo un evento angosciante, come ad esempio la

relazione del coniuge oppure l’abbandono da parte di un fidanzato26.

I drammatici cambiamenti psicologi e fisici possono anche giocare un ruolo fondamentale

nello sviluppo del disturbo da dismorfismo corporeo27. Zaidens, scrivendo da una

prospettiva prettamente psicoanalitica nel 1950 nell’opera “Dermatologic

hypochondriasis: a form of schizophrenia”, credeva che i minori cambiamenti della pelle

nell’adolescenza, come ad esempio lo sviluppo dell’acne, potessero provocare i sintomi;

Zaidens teorizzò che un tale cambiamento possa portare ad un danneggiamento all’ego

vulnerabile di un individuo con una schizofrenia latente, causando un crollo dell’autostima.

La risultante “ipocondria” funge da protezione per alleviare l’ansia.

Il disturbo da dismorfismo corporeo raramente è associato a delle sindromi organiche

mentali28, sebbene alcuni autori per definizione hanno escluso i disturbi di immagine

corporea di una eziologia organica dalla loro definizione di disturbo da dismorfismo

corporeo. Come già notato, alcuni autori hanno dichiarato che il disturbo da dismorfismo

corporeo è radicato in alcuni tipi di personalità premorbose29. Altri autori come ad esempio

Andreasen suppone che può essere una variante di altri disturbi psichiatrici come ad

esempio i disturbi dell’umore, la schizofrenia, la fobia sociale oppure il disturbo ossessivo-

compulsivo. L’eziologia del disturbo da dismorfismo corporeo è più verosimilmente

complesso e difficile; come suggerì lo psichiatra Olley30: “le motivazioni sono diverse e

una spiegazione unitaria è del tutto improbabile”.

Il disturbo da dismorfismo corporeo è stato descritto per più di un secolo e sembra

identificare un gruppo di persone particolarmente angosciate la cui preoccupazione di un

25 Hay G. G.: “Dysmorphophobia.” Br J Psychiatry 1970; 116:399-406. 26 Vallat J. N., Leger J. M., Destruhout J., Garoux R.: “Dysmorphophobie: syndrome ou symptom?” Ann

Med Psychol (Paris) 1971; 2:45-65. 27 Andreasen N. C. Bardach J.: “Dysmorphophobia: symptom or disease?” Am J Psychiatry 1977; 134:673-

676. 28 Barsky A J.: “Somatoform disorders, in comprehensive textbook of psychiatry.” 5th ed., vol. 1. Edited by

Kaplan H. I., Sandock B J., Williams & Wilkins, 1989. 29 Andreasen N. C.: “Reply to K. Nakdimen: a neglected reference (letter).” Am J Psychiatry 1977;

134:1313-1314. 30 Olley P. C: “Psychiatric aspects of referral.” Br Med J 1974; 3:248-249.

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“difetto” nel loro aspetto può portare ad una disfunzione sociale ed occupazionale così

come inutili interventi chirurgici, tuttavia è assolutamente notevole quanto poco si sappia

di questo disturbo. Malgrado la sua tradizione storica, il lavoro empirico è stato largamente

limitato a determinati rapporti e a piccoli casi; la ragione di questa negligenza, però, non è

del tutto chiara. Un fattore contribuente può essere l’omissione del disturbo da

dismorfismo corporeo, fino a poco tempo fa, dai sistemi diagnostici ufficiali. A quanto

pare ancora più importante è il fatto che il disturbo da dismorfismo corporeo sia

considerato come un disturbo “misterioso”: molti individui con il disturbo da dismorfismo

corporeo mantengono le loro preoccupazioni su loro stessi perché si sentono essere

profondamente umilianti e imbarazzanti. Molto utile sarebbe anche l’applicazione dei

criteri diagnostici operazionalizzati per selezionare i pazienti e strumenti standardizzati per

valutare la comorbidità, valutazione sistematica della storia di famiglia e di risposta al

trattamento, attenta identificazione dell’intensità di opinione ed il livello di malformazione

attuale e la valutazione prospettica. Sebbene sia generalmente sottinteso che il disturbo da

dismorfismo corporeo è un disturbo psichiatrico a sé stante, pochi autori hanno suggerito

che esso è invece un sintomo non specifico che può verificarsi in una varietà di sindromi

psichiatrici o può essere di entrambi. Thomas31 32 ha messo in evidenza questa distinzione

distinguendo la dismorfofobia primaria da quella secondaria: la dismorfofobia primaria è

equivalente alla sindrome stratta del disturbo da dismorfismo corporeo mentre la

dismorfofobia secondaria è una sindrome non specifica di una varietà di disturbi

psichiatrici sottostanti come ad esempio la schizofrenia, la depressione, ipocondria

monosintomatica, l’anoressia nervosa e le gravi nevrosi. Tuttavia, Hollander et al.33 nel

1990 affermarono che non vi è alcuna prova a supporto della dicotomia e notarono che i

loro pazienti hanno risposto ai farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina

(SSRI) a prescindere dalla natura primaria o secondaria dei loro sintomi del disturbo da

dismorfismo corporeo, mettendo in dubbio la validità di questa distinzione. Tuttavia

un’evidenza empirica per un’associazione con i disturbi somatoformi è carente come fanno

notare gli autori Ross, Siddiqui e Matas nella loro opera "DSM-III: problems in diagnosis

of paranoia and obsessive-compulsive disorder.” pubblicata nel 1987; per esempio altri

disturbi somatoformi, come il disturbo da conversione e l’ipocondria, non sono stati

descritti in comorbidità con il disturbo da dismorfismo corporeo o presente tra i membri

31 Thomas C. S.: “Dysmorphophobia: a question of definition.” Br J Psychiatry 1984; 144: 513-516. 32 Thomas C. S.: “Body-dysmorphic disorder (letter).” Am J Psychiatry 1990; 147:816-817. 33 Hollander E., Decaria C., Liebowitz M. R., Klein D. F.: “Reply to C. S. Thomas: body-dysmorphic

disorder (letter).” Am J Psychiatry 1990; 147:817.

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all’interno del nucleo familiare dei pazienti che presentano un disturbo dismorfico, infatti,

molti autori hanno sostenuto che il disturbo da dismorfismo corporeo è correlato oppure è

una variante di uno dei disturbi non somatoformi tra cui la psicosi, i disturbi dell’umore, la

fobia sociale, ed il disturbo ossessivo-compulsivo. Alcuni hanno sottinteso che è

semplicemente un sintomo di uno di questi disturbi e quindi non un’entità diagnostica

distinta di per sé, ma molti suggeriscono che è un’entità diagnostica separata. c

ciononostante condivide caratteristiche e forse origini eziologiche con uno di questi

disturbi.

Il più forte supporto per un collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la

psicosi viene dalla remota letteratura europea, in cui il disturbo da dismorfismo corporeo

veniva infatti spesso classificato come una malattia psicotica (l’ipocondria

monosintomatica); in particolare, molti dei primi autori hanno considerato il disturbo da

dismorfismo corporeo un prodromo o meglio come una variante della schizofrenia, il quale

è stato riportato per coesistere con il disturbo da dismorfismo corporeo e per verificarsi nei

familiari senza schizofrenia. Tuttavia, sebbene il disturbo da dismorfismo corporeo può

spesso sembrare di intensità delirante, i sintomi schizofrenici sono spesso assenti. In

aggiunta, il concetto che il disturbo da dismorfismo corporeo è una variante della

schizofrenia si è indebolito da usi non definiti e probabilmente eccessivamente ampi del

termine “schizofrenia”. Il disturbo da dismorfismo corporeo sembra che coesista con il

disturbo dell’umore, e spesso esso risponde alla cura antidepressiva anche in assenza di

una depressione attuale; in aggiunta, una storia familiare del disturbo dell’umore esiste per

quei soggetti con disturbo da dismorfismo corporeo i quali non hanno alcun passato o

nessun disturbo dell’umore attuale. Questo suggerisce che il disturbo da dismorfismo

corporeo piuttosto che il disturbo dell’umore nei probandi può spiegare la presenza del

disturbo dell’umore in alcuni membri familiari rafforzando l’evidenza per un collegamento

tra il dismorfismo corporeo e l’umore; dall’altra parte la scarsa risposta del disturbo da

dismorfismo corporeo all’ECT (“electroconvulsive therapy”, ovvero la terapia

elettroconvulsiva) piuttosto indebolisce l’evidenza per la sua relazione al disturbo

dell’umore.

Nella letteratura giapponese e coreana il disturbo da dismorfismo corporeo è considerato

un sottotipo di uno dei più grandi gruppi di disturbi che ricorda da vicino la fobia sociale

del DSM-III-R oppure, similarmente, il disturbo evitante di personalità riflettendo una

focalizzazione degli aspetti interpersonali del disturbo da dismorfismo corporeo. Infatti

alcune delle caratteristiche associate e complicate del disturbo da dismorfismo corporeo

già notate precedentemente assomigliano agli aspetti di questi due disturbi. Tuttavia la

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letteratura giapponese e coreana classifica alcuni pazienti con disturbo da dismorfismo

corporeo come se avessero una “grave” fobia sociale, un tipo di fobia sociale con

caratteristiche non solo ossessive e fobiche ma anche alcune caratteristiche deliranti che

non si adatta perfettamente all’interno di nessuna categoria del DSM-III-R. Sebbene il

disturbo da dismorfismo corporeo sembra condividere la tenera età di esordio e spesso il

decorso cronico con la fobia sociale34 e il disturbo evitante di personalità, una ulteriore

ricerca è servita a determinare se questi disturbi condividono tra loro altre caratteristiche

come ad esempio la comorbidità, la storia familiare oppure la storia del trattamento. Alcuni

primi autori, tra cui Morselli, Kraepelin e Janet (che abbiamo citato precedentemente)

hanno suggerito che il disturbo da dismorfismo corporeo è strettamente collegato alla

nevrosi ossessivo-compulsiva; più recentemente Tynes et al.35 nel 1990 hanno proposto

tale collegamento, e Rapoport36 nel 1989 ha descritto “la somatica ossessione-

compulsione” come un tipo di disturbo ossessivo-compulsivo che coinvolge “una

preoccupazione per una parte del corpo” come ad esempio le orecchie larghe, il che suona

molto similarmente al disturbo da dismorfismo corporeo. Una debole evidenza empirica

viene dal lavoro psicometrico precedentemente descritto da Hay nel 1970 e Hardy e

Cotterill37 nel 1982. Un supporto più forte, sebbene fosse preliminare, viene da più rapporti

di casi di coesistenza del disturbo ossessivo-compulsivo nei probandi, una storia familiare

del disturbo ossessivo-compulsivo nei pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo ma

senza disturbo ossessivo-compulsivo, stessa età dell’insorgenza e decorso simile ed una

possibile risposta degli inibitori bloccanti della serotonina, della clomipramina e della

fluoxetina. In aggiunta, i sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo sembrano

fenomenologicamente simili a quelli del pensiero ossessivo in quanto essi sono persistenti,

pensieri angosciosi che sono invadenti e difficili da ignorare o reprimere; alcuni pazienti

con il disturbo da dismorfismo corporeo hanno comportamenti compulsivi ritualistici-come

un controllo frequente allo specchio-che hanno lo scopo di diminuire il grado di ansia,

senza però riuscirci38. In un filone più speculativo, il disturbo da dismorfismo corporeo può

essere più come un disturbo ossessivo-compulsivo rispetto ai disturbi somatoformi in quel

disturbo da dismorfismo corporeo che di solito comporta un tormento interiore piuttosto

34 Mannuzza S., Fyer A. J., Liebowitz M. R., Klein D. F.: “Delineating the boundaries of social phobia: its

relationship to panic disorder and agoraphobia.” J Anxiety Disorders 1990; 4:41-59. 35 Tynes L. L., White K., Steketee G. S.: “Toward a new nosology of obsessive-compulsive disorder.” Compr

Psychiatry 1990; 31:465-480. 36 Rapoport J. L.: “The boy who couldn’t stop washing: the experience and treatment of obsessive-

compulsive disorder.” New York, E. P. Dutton, 1989. 37 Hardy G. E., Cotterill J. A.: “A study of depression and obsessionality in dysmorphophobic and psoriatic

patients.” Br J Psychiatry 1982; 140:19-22. 38 Braddock L. E.: “Dysmorphophobia in adolescence: a case report.” Br J Psychiatry 1982; 140:199-201.

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che una sofferenza pubblica di pazienti, per esempio, con ipocondria oppure disturbo da

dolore somatoforme, il quale di solito mira attivamente a coinvolgerne altri individui;

come Kenyon39 affermò nel 1976:” questi pazienti (quelli con dismorfofobia) desiderano di

apparire normali ma avvertono che gli altri notano che essi non lo sono mentre gli

ipocondriaci vogliono avvicinarsi a sé stessi dicendo si essere normali”. A questo punto,

l’evidenza per una relazione con il disturbo ossessivo-compulsivo sembra molto più

convincente- almeno per alcuni casi di disturbo da dismorfismo corporeo” - ma è

preliminare. La relazione del disturbo da dismorfismo corporeo al disturbo delirante, di

tipo somatico, e, similarmente all’ipocondria monosintomatica merita una particolare

attenzione; sebbene potrebbe essere clinicamente importante provare a distinguere questi

due disturbi, questo può essere talvolta difficile ma non impossibile. Invece, il DSM-III-R

afferma che non è chiaro che il disturbo da dismorfismo corporeo e il disturbo delirante di

tipo somatico possono essere distinti o invece sono delle varianti dello stesso disturbo.

Molti autori hanno discusso affermando che la dismorfofobia comprende sia le condizioni

psicotiche che quelle non psicotiche oppure che esso possa essere variamente espresso

come una preoccupazione, una ossessione, un’idea oppure una delusione. In supporto a

questa prospettiva i sintomi non deliranti del disturbo da dismorfismo corporeo a volte

diventano deliranti e, quando sono deliranti, possono ancora reagire alla cura degli

antidepressivi; similarmente, nonostante il suggerimento che il disturbo delirante di tipo

somatico e l’ipocondria monosintomatica può meglio rispondere al pimozide40 (un farmaco

antipsicotico), molti rapporti di casi hanno descritto la risoluzione di questi disturbi con

una cura antidepressiva, con un’ulteriore distinzione tra disturbi deliranti e quelli non

deliranti. Queste scoperte sono in armonia con la convinzione di Hollander et al. del 1990

secondo i quali i criteri del disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbero essere in qualche

maniera allargati per includere i sintomi di entrambi i disturbi, sia di natura delirante che

non delirante. Sebbene la sovrapposizione del disturbo da dismorfismo corporeo con il

pensiero delirante sembrerebbe implicare un collegamento con la psicosi, inoltre esso è

compatibile con un collegamento con il disturbo ossessivo-compulsivo in quanto uno

spettro simile è stato proposto per questo disturbo, con gravi ossessioni essendo di

proporzioni deliranti. Tuttavia il limite del disturbo da dismorfismo corporeo con la

normalità può essere particolarmente confuso in quanto la preoccupazione con l’apparenza

fisica è quasi universale e potrebbe anche essere considerato una caratteristica di una

39 Kenyon F. E.: “Hypochondriacal states.” Br J Psychiatry 1976; 129:1-14. 40 Munro A., Chmara J.: “Monosymptomatic hypochondriacal psychosis: a diagnostic checklist based on 50

cases of the disorder.” Can J Psychiatry 1982; 27:374-376.

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normale adolescenza, infatti lo studio effettuato da Fitts et al.41 hanno scoperto che il 70%

di un campione di un college era almeno un po' insoddisfatto di alcuni aspetti della loro

apparenza, e molti soggetti in altri campioni non clinici è stato dimostrato di avere almeno

moderatamente un’immagine del corpo distorta42 43; in aggiunta i fattori culturali

influenzano come il corpo è considerato e come le sue imperfezioni ricevono così tanta

attenzione e preoccupazione. Nonostante la quasi certa esistenza di una zona di

sovrapposizione confusa tra la preoccupazione normale e quella non normale, tuttavia, c’è

chiaramente un gruppo di persone che sono eccessivamente preoccupate, gravemente

angosciate e spesso sostanzialmente indebolite dalla loro preoccupazione su una deformità

minima o addirittura non esistente, suggerendo che la preoccupazione per il corpo in questa

forma estrema può e dovrebbe essere distinta alla normale preoccupazione. Rimangono

però molti misteri e molti dubbi e molte domande a cui si tenta di dare una risposta, ad

esempio: dove questa linea di confine tra la preoccupazione normale e la preoccupazione

anormale dovrebbe essere disegnata? Il disturbo da dismorfismo corporeo è un’entità

separata? Che rapporti ha il disturbo da dismorfismo corporeo con gli altri disturbi? Alcuni

altri disturbi apparentemente simili, o delle varianti di essi, sono collegati al disturbo da

dismorfismo corporeo- come ad esempio la sindrome di riferimenti olfattivo e l’eritrofobia

(la paura di arrossire)? A questo punto possiamo dire che queste domande non hanno delle

risposte conclusive. Tuttavia, fino a quando non emerge un’evidenza, sembra che il

disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbe restare in una categoria diagnostica separata:

sebbene abbia qualche somiglianza con il disturbo ossessivo-compulsivo, le sue

caratteristiche cliniche sono uniche e non facilmente incluse da nessun’altra categoria

psichiatrica. Il disturbo da dismorfismo corporeo e il disturbo delirante di tipo somatico

sembrano sovrapporsi in diversi importanti modi non solo per quanto riguarda i loro

sintomi il decorso e, possibilmente, l’esito del trattamento; in aggiunta è estremamente

difficile, ma non impossibile, determinare in quali di queste categorie delle preoccupazioni

cadono. Sulla base di queste somiglianze ed enigmi diagnostici sembrerebbe, come hanno

suggerito Hollander, Liebowitz, Winchel, Klumker e Klein nel 1985 attraverso l’opera

“Treatment of body dismorphic disorder with serotonin reuptake blockers”, che i criteri per

il disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbe essere allargato per includere entrambi i

disturbi- ovvero per includere non solo i disturbi deliranti ma anche quelli non deliranti.

41 Fitts S. N., Gibson P., Redding C. A., Deiter P. J.: “Body dysmorphic disorder: implications for its validity

as a DSM-III-R clinical syndrome.” Psychol Rep 1989; 64:655-658. 42 Dolan B. M., Birtchnell S.A., Lacey J. H.: “Body image distortion in non-eating-disordered women and

men.” J Psychosomatic Res 1987; 31:513-520. 43 Thompson J. K.: “Body image disturbance: assessment and treatment.” New York, Pergamen Press, 1990.

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Questi dilemmi diagnostici diventeranno districati solo grazie ad altrettante ricerche come

quelle attualmente in corso44; una valutazione sistematica in diverse popolazioni della

fenomenologia, comorbidità, età di insorgenza, decorso, storia familiare, i segnali biologici

e l’esito del trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo può fornire indizi utili di

come questo disturbo dovrebbe essere classificato- se come somatico, psicotico,

dell’umore, oppure un disturbo d’ansia; ancora più importante, sono necessari tali dati per

guidare i medici nel riconoscere e nel trattare questo disturbo potenzialmente disabilitante

e, eventualmente, mettere luce sulla sua eziologia.

1.2 COSA SI INTENDE PER DISMORFISMO CORPOREO.

In una società in cui l’immagine è un elemento chiave del successo personale, sociale e

professionale, preoccuparsi del proprio aspetto è diventato fondamentale ed allo stesso

tempo difficile da ignorare. Senza ombra di dubbio il desiderio di piacere ed essere

apprezzati non può essere biasimato né tantomeno considerato patologico, così come non

lo è ricorrere a piccole o grandi correzioni estetiche per migliorare ulteriormente oppure

per compensare difetti oggettivi del viso o del corpo in generale. Come in tutte le cose,

però, anche nell’attenzione alla bellezza servono equilibrio e misura: due elementi a dir

poco fondamentali per discriminare tra una positiva cura di sé e l’espressione di un disagio

psicologico profondo che si esprime nella persistente insoddisfazione di come si appare. Di

fronte ad una esagerata attenzione a dettagli trascurabili del proprio aspetto ed al ripetuto

ricorso a trattamenti estetici o interventi chirurgici più o meno invasivi (dipende dai casi),

la probabilità che sia presente un disturbo di dismorfismo corporeo (in precedenza indicato

anche come una dismorfofobia o disturbo dismorfofobico) è molto elevata45. Il disturbo da

dismorfismo corporeo è una condizione cronica la quale deriva da un significativo

handicap sociale e psicologico.

L’età media di insorgenza del disturbo da dismorfismo corporeo solitamente è di 18 anni

confrontato con una gamma di 15-20 anni in altri studi e coincide con il momento in cui gli

individui sono più sensibili alla loro apparenza. La comorbidità ha incluso il disturbo

44 Phillips K.: “Body dysmorphic disorder: a report of 20 cases, in New Research Program and Abstracts,

144th annual meeting of the American Psychiatric Association.” Washington, APA 1991. 45 http://www.harmoniamentis.it/cont/enciclopedia/contenuti/3385/disturbo-dismorfismo-corporeo.html

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dell’umore, la fobia sociale e il disturbo ossessivo compulsivo: tutti disturbi che sono stati

riportati anche da Phillips et al.46 nel 1993 e Gomez-Perez et al.47 nel 1994 sebbene questi

studi abbiano registrato una elevata prevalenza. Il disturbo da dismorfismo corporeo, che

consiste in una preoccupazione di un difetto immaginato nell’apparenza fisica, ha una ricca

tradizione nella psichiatria europea ma è in gran parte sconosciuta negli Stati Uniti

(Andreasen et al., 1977), esso è infatti nuovo al DSM-III-R. Questo disturbo poco

conosciuto, tuttavia, può essere più comune di quanto si pensi in quanto può causare grave

angoscia e menomazione ma nonostante ciò può essere trattabile. La caratteristica

essenziale del disturbo, come viene definita nel DSM-III-R, è una preoccupazione di alcuni

difetti immaginati nell’apparenza in una persona apparentemente normale, oppure, se è

presente una lieve anomalia fisica la preoccupazione è enormemente eccessiva. I pazienti

possono lamentare, per esempio, di sopracciglia dall’aspetto subdolo, un naso

eccessivamente largo oppure la testa48, piccoli genitali, oppure una bocca allungata- tutte

deformità ipotizzate dai soggetti stessi e tutte caratteristiche attraverso le quali i pazienti

sentono di essere insopportabilmente brutti. Questa preoccupazione può essere persistente

e pervasiva, portando ad un ritiro sociale così come le visite ripetute dai dermatologi e

chirurghi plastici nel tentativo di correggere il difetto immaginato.

Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando possiamo esporre un caso prendendolo

come esempio di un soggetto che soffre di questo disturbo:

Caso 1: un uomo single di 28 anni ha iniziato a preoccuparsi all’età di 18 anni per la

sottigliezza dei suoi capelli. A dispetto della rassicurazione degli altri che gli dicevano che

la sua perdita di capelli non era evidente, lui si è preoccupato di ciò per ore al giorno

diventando profondamente depresso, socialmente ritirato e incapace di frequentare le

lezioni o fare i compiti. Sebbene potrebbe riconoscere l’eccessività della sua

preoccupazione egli non era capace di fermarsi; ha visto quattro dermatologi ma non era

convinto delle loro rassicurazioni sul fatto che la sua perdita di capelli fosse minore ed il

trattamento del tutto inutile. La preoccupazione del paziente e la successiva depressione

hanno persistito per dieci anni e hanno continuato ad interferire con la sua vita sociale ed il

lavoro al punto che evita la maggior parte degli eventi sociali ad ha potuto lavorare solo

come part-time come panettiere. Solo di recente ha cercato un rinvio psichiatrico, per

46 Phillips, K. A., McElroy, S. L., Keck, P.E. et al (1993) “Body dysmorphic disorder: 30 cases of imagined

ugliness.” American Journal of psychiatry, 150, 302-308. 47 Gomez-Perez, J. C., Marks, I. M. & Gutierrez-Fisac, J- L. (1994) “Dysmorphophobia: clinical features and

outcome with behaviour therapy.” European Psychiatry, 9, 229-235. 48 Solyom L., Di Nicola V. F., Phil M., Sookman D., Luchins D.: “Is there an obsessive psychosis?

Aetiological and prognostic factors of an atypical form of obsessive-compulsive neurosis.” Can J Psychiatry

1985; 30:372-380.

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insistenza della sua fidanzata la quale ha detto che i sui sintomi stavano rovinando la loro

relazione. Come già abbiamo accennato all’inizio del §1.1, il disturbo da dismorfismo

corporeo viene definito da Slade nel 199449 come “un’immagine che abbiamo nella nostra

testa della taglia, la forma e l’espressione del nostro corpo; e ai nostri sentimenti riguardo a

queste caratteristiche e alle nostre parti del corpo costituenti”. Secondo Slade l’immagine

corporea è quindi vista come se avesse due componenti fondamentali: una componente

percettiva (che consiste in come la persona visualizza la taglia e la forma del proprio

corpo); una componente attitudinale (ovvero quello che la persona pensa di sapere del

proprio corpo); una componente affettiva (che consiste nei sentimenti che la persona nutre

verso il proprio corpo) ed una componente comportamentale (che riguarda, ad esempio,

l’alimentazione e l’attività fisica). Slande, sempre nel 1994, ha affermato che i pazienti con

il disturbo alimentare hanno una rappresentazione mentale non ben definita della loro

immagine corporea tale che quando viene confrontata con quella dei ricercatori e medici

tendono a sovrastimare la misura del loro corpo. Egli afferma che la prova che la sovra

stimazione della misura corporea nei disturbi alimentari non è principalmente un fenomeno

in forte crescita percentuale ma allo stesso tempo è molto influenzato dall’aspetto

cognitivo e affettivo, quindi possiamo dire che il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC)

è un altro disturbo dell’immagine corporea che consiste in una preoccupazione di un

difetto immaginato nell’apparenza (Associazione Psichiatrica Americana, 1994)50 ed è

similarmente influenzato dalle variabili biologiche, cognitive, affettive, comportamentali e

culturali. Il termine “dismorfofobia” è più comunemente usato in Europa ed è tutt’ora

incluso nell’ICD-10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi

Sanitari Correlati) sotto le diagnosi del disturbo ipocondriaco (OMS, 1992)51.

Non ci sono modelli biologici per lo sviluppo ed il mantenimento del DDC; noi crediamo

che nessun modello di DDC necessita di essere integrato con altri disturbi dell’immagine

corporea per spiegare il motivo per cui un individuo può essere emotivamente ben adattato

per gravi ustioni oppure una grande macchia color vinaccia sul loro volto, mentre un altro

paziente ha un piccolo dosso sul naso è emotivamente disturbato e può psicologicamente

beneficiare della chirurgia estetica. Eravamo interessati quindi a costruire un modello

cognitivo-comportamentale dell’immagine corporea con un’enfasi particolare sul DDC il

che avrebbe guidato una prova pilota del trattamento. Teorie precedenti e i trattamenti

49 Slade P. D. (1994) “What is body image?” Behaviour research and therapy, 32, 497-502. 50 American Psychiatric Association (1994). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (4th ed.).

Washington: American Psychiatric Association. 51 World Health Organization (1992). The ICD-10. Classification of Mental and Behavioural Disorders.

Ginevra: World Health Organization.

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manuali dell’immagine corporea hanno sempre teso a focalizzarsi sui pazienti con i

disturbi alimentari oppure su quelle persone che sono preoccupate per il loro peso e la loro

forma. I particolari gruppi dei disturbi dell’immagine corporea che sembrano essere

rilevanti al nostro dibattito sono:

1. Pazienti con disturbi deliranti di tipo somatico (DDST) in aggiunta al DDC

indirizzato da alcuni autori52 come un “sottotipo” psicotico di DDC.

2. Pazienti con “reali” deformazioni i quali non cercano di ricorrere alla chirurgia

estetica o per i quali la chirurgia estetica non offre alcun aiuto e sono emotivamente

angosciate con la probabilità di tratte beneficio dalla chirurgia estetica.

3. I soggetti con “reali” deformazioni i quali non cercano di ricorrere alla chirurgia

estetica o per i quali la chirurgia estetica non offre alcun aiuto e sono emotivamente

ben adeguati.

4. Controlli che affermano che i soggetti non hanno alcuna deformazione.

Tornando al disturbo da dismorfismo corporeo, esso rientra attualmente nella categoria

diagnostica dei disturbi ossessivo-compulsivi; nello specifico la caratteristica fondamentale

del dismorfismo corporeo in una preoccupazione eccessiva per un difetto (reale oppure

immaginario) nell’aspetto fisico o comunque una risposta ansiosa eccessiva e protratta nel

tempo rispetto all’eventuale presenza del difetto. La persona affetta da dismorfismo

corporeo tende a focalizzare l’attenzione sul “difetto” il quale tende, di conseguenza, a

diventare il pensiero dominante nella vita quotidiana fino a coinvolgere inevitabilmente

tutti gli ambiti del soggetto tra cui ad esempio vita sociale, le relazioni interpersonali, il

lavoro ecc.; poco dopo la persona inizierà a pensare che la propria vita non sia

soddisfacente e che tutto sia a causa esclusivamente del proprio problema di natura fisica.

L’importanza di una buona immagine corporea di sé ed il rilievo culturale che viene dato

all’aspetto fisico possono in qualche maniera influenzare o addirittura accrescere le

preoccupazioni già esistenti circa un supposto difetto fisico ma non sono nelle condizioni

necessarie per la comprensione dell’eziopatogenetica del disturbo; solitamente questo

disturbo, infatti, viene riscontrato in egual modo sia nel sesso maschile che in quello

femminile ed è inoltre importante sottolineare che l’età di insorgenza di tale disturbo è da

ricondurre nell’adolescenza anche se spesso il problema emerge dopo anni. Il disturbo da

dismorfismo corporeo, come abbiamo già accennato precedentemente, consiste in una

preoccupazione con un difetto immaginato nell’apparenza; se è presente anche una lieve

52 McElroy S. L., Phillips K. A., Keck P. E. Jr., Hudson J. I. & Pope H. G. (1993). “Body dysmorphic

disorder: does it have a psychotic subtype?” Journal of clinical psychiatry, 54, 389-395.

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anomalia, la preoccupazione della persona diventa notevolmente eccessivo. Questo studio

ha due scopi fondamentali: il primo che consiste nel condurre uno studio sui pazienti che

soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo nel Regno Unito usando un’intervista clinica

strutturata per il DSM-III-R, con uno sguardo specifico ai dati demografici, al decorso

della malattia, al ricorso ad un aiuto precedente e alle convinzioni riguardo i deficit; il

secondo consiste nel confrontare i risultati ottenuti sull’esame del disturbo da dismorfismo

corporeo53 con una versione modificata della scala ossessivo-compulsivo Yale-Brown in

questo gruppo di persone affette da disturbo da dismorfismo corporeo.

Per soddisfare i criteri diagnostici per il DSM-IV, la preoccupazione deve causare un

disagio clinicamente significativo oppure una menomazione nelle funzioni sociali,

occupazionali oppure altri ambiti di funzionamento. Il disturbo da dismorfismo corporeo

era precedentemente conosciuto con il termine di “dismorfofobia” e fu originariamente

coniato da Morselli nel 1886 per descrivere una sensazione soggettiva di deformità o di

difetto fisico, per la quale il paziente ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo

aspetto rientri nella norma; nel DSM-IV se la convinzione è di intensità delirante il

paziente riceverebbe una diagnosi aggiuntiva di “disturbo delirante di tipo somatico” ma

c’è di più: nell’ICD-10 (OMS,1992) la dismorfofobia non delirante è inclusa nella diagnosi

del disturbo ipocondriaco, mentre, se la convinzione è di intensità delirante viene fornita la

diagnosi di “altri disturbi deliranti persistenti”. C’è stata una breve ricerca nel disturbo da

dismorfismo corporeo difficile da interpretare tant’è vero che il vecchio termine

“dismorfofobia” viene usato tantissimi modi differenti; l’unico studio trasversale ad oggi

che ha utilizzato un colloquio diagnostico strutturato è stato effettuato negli Stati Uniti da

Phillips e nel Regno Unito da Thomas, essi hanno condotto studi del disturbo da

dismorfismo corporeo i quali hanno soddisfatto i criteri diagnostici del DSM-IV. I soggetti

erano, tuttavia differenti da quelli descritti negli altri studi poiché prima di tutto essi erano

tutte femmine e secondariamente si comportavano più similarmente al gruppo di soggetti

con disturbi alimentari.

Dopo aver parlando del disturbo da dismorfismo corporeo in generale descrivendolo nelle

sua varie forme andiamo ora ad evidenziare quali sono i principali fattori che portano

all’insorgenza di questo disturbo; i principali ordini di fattori che influenzano, appunto,

l’insorgere di un’immagine corporea negativa e quindi del disturbo sono 354 e sono:

53 Rosen J. C., Reiter J. & Orosan P. (1995). “Cognitive behavioural body image therapy for body

dysmorphic disorder.” Journal of consulting and clinical psychology, 63, 263-269. 54 http://www.psicologo-parma-reggioemilia.com/percezione_immagine_corporea_negativa.html

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1) I fattori sociali: tra questi il più importante è rappresentato dall’insieme di norme

culturali sul fisico e sulla bellezza. Nella nostra epoca, per svariate ragioni, viene

promossa l’immagine di un corpo (soprattutto l’immagine femminile) asciutto,

magro e quindi quasi privo di forme; ciò può essere molto difficile per un

adolescente riuscire ad accettare i naturali processi evolutivi, quei processi di

maturazione corporea che portano l’individuo col passare del tempo ad

assomigliare ad un adulto. Il secondo fattore sociale rilevante è la perdita dello

status di “bambino”: per alcuni adolescenti può essere difficile accettare la nuova

immagine corporea se quest’ultima è associata alla perdita di attenzioni e di cure

che da piccoli erano loro destinate soprattutto da parte dei genitori.

2) I fattori cognitivi: tra questi il più rilevante è la tendenza a distorcere la percezione

delle proprie forme; abbiamo visto in precedenza come l’immagine corporea si

basi, prima di tutto, su un processo di tipo percettivo ovvero come il soggetto

percepisce il proprio corpo. Se esso non è accurato è possibile che si arrivi a

giudicare il proprio corpo come difettoso; la percezione delle forme inoltre è, a sua

volta, influenzata dalle convinzioni riguardo a proporzioni ideali, più esse sono

rigide, maggiore sarà la possibilità di sviluppare un’immagine corporea del tutto

negativa. Ciò è ancor più probabile in presenza del cosiddetto “perfezionismo”,

infatti più si cerca di andare verso il perfezionismo, più si crederà di dover fare

qualcosa per migliorare un corpo altrimenti inadeguato.

3) I fattori emotivi: tra questi vi sono l’autostima ed il senso di adeguatezza. Come

sappiamo questi due fattori fondamentali cominciano a svilupparsi già nel periodo

dell’infanzia e dipendono chiaramente da tanti fattori che vanno da quello biologico

(esempio tipico è il temperamento di un individuo) a quello psicologico oppure

addirittura a quello familiare; chiaramente qui ci occupiamo dell’influenza che

l’autostima e il senso di adeguatezza possono avere sullo sviluppo di un’immagine

corporea. Implicando un giudizio del tutto negativo su di sé, infatti, entrambi i

fattori possono portare il ragazzo (oppure la ragazza) a generalizzare questo

giudizio del proprio corpo tentando di modificare l’aspetto adottando ad esempio

delle diete drastiche e restrittive (quasi sempre implicate nell’insorgenza di disturbi

alimentari) accompagnate dallo svolgimento di attività fisica (spesso in maniera

troppo eccessiva).

In comune con altre teorie cognitive comportamentali, si propone che gli schemi di base

dei pazienti che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo si sviluppa attraverso un

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miscuglio di predisposizioni biologiche, le esperienze della prima infanzia e i fattori

culturali; le esperienze della prima infanzia potrebbero includere fattori generali che

predispongono l’individuo verso una scarsa stima di sé stesso. Abbiamo già discusso

l’importante fattore di attrazione fisica nel trovare un partner: avere la paura di un rifiuto

(specialmente durante l’adolescenza) è probabilmente biologicamente istintivo55; un

incremento del desiderio biologico dell’estetica in termini di un bisogno per la simmetria

oppure per la misura delle caratteristiche sessuali nell’apparenza di un soggetto

predisporrebbe inoltre un individuo verso il disturbo da dismorfismo corporeo. Il modello

suggerisce che una volta sviluppato il disturbo, un soggetto si occupa selettivamente del

difetto percepito e sviluppa un’intensa e più accurata immagine corporea con tutte le sue

imperfezioni; i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo inoltre diventano

eccessivamente vigilanti per qualsiasi altro cambiamento che possa ricorrere nella loro

apparenza. Si ipotizza che i pazienti con il disturbo da dismorfismo corporeo paragonano

la loro immagine corporea percepita con un impossibile ideale di perfezione che essi

pretendono; la larga discrepanza tra l’immagine corporea percepita ed il traguardo illusorio

è associato all’angoscia emotiva, inoltre il significato di questa discrepanza diventa distorta

a causa della proporzione della sua importanza e consolidato dalle ipotesi riguardo

l’importanza dell’apparenza. In comune con altri disturbi emotivi, i pazienti affetti da

disturbo da dismorfismo corporeo tendono ad ignorare oppure a distorcere l’informazione

che ha poco a che vedere con le loro convinzioni56. L’elaborazione delle informazioni è

anche più probabile che sia distorto quando ci sono elevati livelli di eccitazione come ad

esempio nelle situazioni sociali oppure quando esaminano loro stessi di fronte ad uno

specchio.

Si è ipotizzato che la discrepanza tra l’immagine corporea percepita e l’immagine corporea

ideale dovrebbe essere:

1. Maggiore nei pazienti con un disturbo delirante di tipo somatico rispetto a quelli affetti

da disturbo da dismorfismo corporeo;

2. Minore per i pazienti con deformazioni e che ricorrono alla chirurgia estetica rispetto ai

soggetti che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo;

3. Minore anche per quei soggetti che sono deformati ma sono emotivamente ben adattati

e nonostante ciò non ricorrono alla chirurgia estetica.

55 Marks I. M. (1987). “Fears, phobias and rituals” New York: Oxford University Press. 56 Padesky C. A. (1993). “Schema as self-prejudice.” Internationa cognitive therapy newsletter, 516, 16-17.

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L’eccessiva attenzione focalizzata su sé stessi e di conseguenza sull’immagine corporea

negativa porta la persona a presumere che le altre persone hanno esattamente la stessa

identica opinione su di loro ed inoltre porta la persona ad evitare le situazioni sociali

oppure utilizzare un mimetismo eccessivo. Poco è conosciuto sul decorso o sulla

conseguenza del disturbo da dismorfismo corporeo; sembra che la parte del corpo

interessata possa variare nel tempo e che la preoccupazione possa progredire al pensiero

delirante. Alcuni autori hanno riportato una risoluzione del disturbo (sebbene non abbiano

specificato la relazione tra il decorso ed il trattamento); tuttavia, molti casi riportati

suggeriscono che, senza trattamento, il disturbo da dismorfismo corporeo solitamente

persiste per almeno diversi anni, se non per decenni, e che i sintomi tendono ad essere

ininterrotti spesso peggiorando nel tempo.

Si può, dunque, concludere notando come il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC)

possa essere considerato un unico disturbo nel quale il pensiero di estende in un continuum

da non delirante a delirante o, similarmente, da pensieri ossessivi (con un buon insight)

attraverso l’ideazione sopravvalutata, al pensiero delirante considerando anche il fatto che

il DDC nella forma delirante risponde, come agli SSRI (“inibitori della ricaptazione della

serotonina”, una classe di farmaci che rientrano nella categoria dei cosiddetti antidepressivi

non triciclici) al pari di quello non delirante e che le due manifestazioni di disturbo da

dismorfismo corporeo sono molto simili per caratteristiche demografiche (con l’unica

differenza di minori conseguimenti scolastici nei deliranti), la tipologia della

sintomatologia (proprio perché il disturbo da dismorfismo corporeo si presenta con

maggiore gravità), il danneggiamento funzionale e qualitativo della vita dell’individuo

(anche se con numerosi tentativi di suicidio nei deliranti), la comorbidità, la storia

familiare e le elevate probabilità di remissione.

MENOMAZIONE E COMPLICAZIONI.

La letteratura enfatizza costantemente la sofferenza e la menomazione che può essere

causata dal disturbo da dismorfismo corporeo; le difficoltà nelle funzioni sociali, materiali

ed occupazionali possono incidere notevolmente nella vita del paziente tanto che essa può

essere “profondamente disturbata”. Una donna, ad esempio, con un “gonfiore facciale” ha

smesso di andare a scuola per evitare di essere vista dagli altri, oppure ancora un’altra

donna andava pericolosamente veloce con il suo motorino che ha attraversato il semaforo

rosso in modo tale che gli altri non potessero vedere i suoi eccessivi peli sul viso; un

giovane uomo usciva regolarmente solo con donne piccole e minute, pensando che il suo

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piccolo pene non sarebbe così rilevante per una donna di bassa statura: come suggeriscono

questi casi, tale comportamento è spesso dovuto a imbarazzo riguardo il difetto

immaginato, il quale può portare all’evitamento di siti di incontri oppure contatti sessuali,

lavoro, frequentare la scuola, fare shopping, nuotare e svolgere tante altre attività.

La menomazione funzionale può anche risultare dalla quantità sregolata di tempo che

alcuni pazienti trascorrono con la loro preoccupazione, il quale li porta di conseguenza a

trascurare tanti altri aspetti della loro vita; ciò è illustrato da una donna la quale ha

trascorso fino a ben 8 ore al giorno tagliando i suoi capelli in modo che siano perfettamente

simmetrici e da un’altra la quale ha trascorso molto tempo del giorno esaminando la sua

faccia con una lente d’ingrandimento per l’eccessivo pelo sul viso57. Una specifica

complicazione del disturbo da dismorfismo corporeo consiste in una richiesta di una inutile

chirurgia plastica; infatti, questo disturbo può stimare una percentuale pari al 2% di

pazienti che ricorrono alla chirurgia estetica. Dopo la chirurgia, essi possono diventare

anche più preoccupati per lo stesso difetto spesso portandoli a più operazioni oppure

possono focalizzarsi su un nuovo difetto come ad esempio un paziente che, dopo ben

quattro rinoplastiche, si è preoccupato molto riguardo i suoi fianchi e le spalle inclinate.

Hollander et al.58 nel 1989 hanno valutato cinque pazienti con il disturbo da dismorfismo

corporeo diagnosticato nel DSM-III-R e hanno trovato una storia familiare del disturbo

dell’umore in due di essi (entrambi i quali hanno avuto storie personali legate al disturbo

dell’umore) ed il disturbo ossessivo-compulsivo in due (uno dei quali ha avuto una storia

personale legata al disturbo ossessivo-compulsivo). Altri rapporti di casi sparsi

documentano storie familiari di disturbo dell’umore oppure di schizofrenia, con

approssimativamente metà dei pazienti che hanno un disturbo con sé stessi. Zaidens nel

1950 ha osservato “una preponderanza di un marcato comportamento nevrotico più che un

comportamento psicotico nei membri familiari; tuttavia, alcuni pazienti con disturbo da

dismorfismo corporeo non hanno alcuna storia familiare con il disturbo psichiatrico.

Sebbene questi dati della storia familiare non stabiliscono un modello familiare oppure un

chiaro collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo con qualsiasi altro disturbo

psichiatrico, essi suscitano la questione di un’associazione con il disturbo dell’umore, con

il disturbo ossessivo-compulsivo e schizofrenia già descritta. La valutazione sistematica

della storia familiare nella maggior parte dei casi è necessaria così come lo è una

57 Cotterill J. A.: “Dermatological non-disease: a common and potentially fatal disturbance of cutaneous body

image.” Br J Dermatol 1981; 104:611-619. 58 Hollander E., Liebowitz M. R., Winchel R., Klumker A., Klein D. F.: “Treatment of body-dysmorphic

disorder with serotonin reuptake blockers.” Am J Psychiatry 1989; 146:768-770.

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documentazione di diagnosi coesistenti nei probandi in quanto queste diagnosi non sono

spesso riportate e potrebbero essere rilevanti per la presenza di altri disturbi piuttosto che

del disturbo da dismorfismo corporeo nei membri familiari.

1.3 COME RICONOSCERE IL DISTURBO: DIAGNOSI E SUE

CARATTERISTICHE.

Il disturbo da dismorfismo corporeo si caratterizza per la presenza di una preoccupazione

notevole o, comunque, francamente eccessiva nei confronti di un difetto fisico inesistente o

considerato trascurabile dalla maggior parte delle persone; chi ne soffre tende a pensare

ripetutamente all’imperfezione reale oppure immaginata nell’arco della giornata dedicando

molte ore al giorno (forse troppe ore) ad escogitare dei sistemi per eliminarla o, quanto

meno, per nasconderla agli altri. Spesso, tutto ciò porta a sviluppare azioni denominate

“rituali” sovrapponibili per natura ed effetti a quelli tipici del disturbo ossessivo-

compulsivo (DOC): alcuni tendono a trascorrere ore ed ore davanti allo specchio ad

analizzare la pelle del viso, o la forma del naso o la piega di un labbro oppure ancora il

tono di una palpebra ecc.; altri possono addirittura accanirsi contro una peluria ritenuta

intollerabile anche quando essa è pressoché invisibile oppure si accaniscono contro un neo

insignificante il quale viene percepito come uno sfregio inaccettabile e capace di ledere

l’immagine della persona. Altri ancora possono non essere in grado di sostenere la vista

della propria immagine riflessa ed evitare accuratamente di soffermare lo sguardo su

specchi e vetrine.

Le parti più frequentemente oggetto di preoccupazione in entrambi i sessi (con qualche

prevalenza nel sesso femminile) sono la pelle, il naso, la bocca, gli occhi oppure il viso in

generale nel suo insieme ovvero sopracciglia e i capelli ma in realtà qualunque zona del

corpo e qualsiasi tipo di imperfezione possono diventare oggetto di ossessione da parte del

soggetto. Le donne spesso focalizzano l’attenzione sul seno (se magari per loro è troppo

grande, troppo piccolo, troppo poco tonico ecc.), sulle cosce e sui glutei; gli uomini,

invece, tendono spesso a soffrire di un sottotipo di disturbo dismorfofobico noto come

“dismorfofobia muscolare” caratterizzato dalla preoccupazione che la propria massa

muscolare sia troppo scarsa o comunque inadeguata (come vedremo nel paragrafo §1.4),

questa variante interessa principalmente ragazzi e giovani uomini sportivi e, in particolare,

chi pratica bodybuilding o attività analoghe. Quando, invece, la preoccupazione si

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focalizza sul rapporto tra massa muscolare e massa grassa ovvero sulla quantità di grasso

corporeo o sul peso, la malattia presente non è quasi mai un disturbo da dismorfismo

corporeo ma un disturbo del comportamento alimentare, di norma associato anche a

specifici e determinati comportamenti patologici nei confronti del cibo e delle sue modalità

di assunzione. La persona affetta da disturbo da dismorfismo corporeo è perseguitata dalla

propria imperfezione e ricerca costante rassicurazione tra gli amici e all’interno del nucleo

familiare riguardo la gravità e l’evidenza del difetto che la tormenta.

Il pensiero pervasivo del difetto fisico, il timore del giudizio altrui e le pratiche ripetute in

maniera ossessiva per cercare di eliminarlo si traducono in una seria compromissione della

qualità della vita, delle relazioni interpersonali, delle prestazioni, nello studio e/o nel

lavoro; il tono dell’umore e l’autostima, generalmente già bassi, ne risentono ulteriormente

portando i soggetti ad una vera e propria depressione, mentre gli eventuali tentativi di

eliminare il difetto il cui esito non viene mai ritenuto sufficientemente buono e quindi poco

soddisfacente, generano sentimenti di frustrazione ed ansia59. I soggetti con disturbo da

dismorfismo corporeo organizzano l’intera vita intorno all’idea del difetto, spesso lo fanno

passando gran parte della loro giornata a controllare l’aspetto fisico direttamente o su

qualunque superficie riflettente a loro disposizione; il più delle volte tendono a mette in

atto comportamenti esagerati di pulizia del proprio aspetto il che richiederebbe al soggetto

molto tempo (come ad esempio applicazioni ritualizzate di trucchi e cosmetici, eccessivi

nel pettinarsi o togliersi i peli, manipolazione della pelle ecc.). Alcune persone alternano

periodi durante i quali mettono in atto un eccessivo controllo a periodi di completo

evitamento; inoltre ci sono persone che riescono a trovare addirittura alcune strategie

specifiche per evitare qualsiasi superficie possa riflettere la loro immagine. Sebbene il

controllo dell’eventuale difetto fisico, e i rituali di cura e attenzione ad esso connessi,

abbiano il preciso scopo di fare diminuire l’ansia legata al difetto in realtà non producono

l’effetto sperato; saranno poi proprio questi atteggiamenti che in realtà manterranno e

porteranno ad un aggravamento del disturbo stesso. Spesso i pazienti con dismorfismo

corporeo pensano di essere oggetto di derisione da parte degli altri a causa del loro aspetto

fisico o per il singolo difetto, motivo per il quale tendono spesso e volentieri a nascondere

il difetto; per esempio portando un cappello per nascondere una supposta calvizie, occhiali

da sole, si fanno crescere la barba per nascondere eventuali cicatrici ritenute deturpanti, nei

o altri presunti difetti oppure tendono ad evitare attività quotidiane fino all’isolamento

sociale estremo, altre persone escono addirittura solo di notte quando ritengono di non

59 http://www.harmoniamentis.it/cont/enciclopedia/contenuti/3389/disturbo_dismorfismo_corporeo.html

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essere visti oppure (peggio ancora) restano chiuse in casa per anni. Il comportamento

evitante messo in atto da tali soggetti non va però confuso con il disturbo evitante di

personalità o la cosiddetta fobia sociale; l’evitamento e la tendenza al ritiro sociale non

solo non risolvono il problema ma a lungo andare possono peggiorare notevolmente

generando sintomi depressivi secondari oppure ansiosi-depressivi. Il disagio derivante

dalla percezione del “difetto” può portare la persona con diagnosi di disturbo di

dismorfismo corporeo a ricorrere continuamente a trattamenti medici generali come ad

esempio trattamenti medico odontoiatrici oppure ricorrere alla chirurgia estetica al fine di

migliorare il proprio aspetto e ridurre o addirittura eliminare il difetto; il ricorso alla

chirurgia estetica spesso comporta lo spostamento dell’attenzione su un’altra parte del

corpo sulla quale si vorrà nuovamente intervenire innescando in tal modo un circolo

vizioso, in sostanza tutti i tentativi messi in atto dai soggetti con dismorfismo (come

l’evitamento sociale, il controllo eccessivo del difetto, i rituali di cura dell’aspetto fisico)

per tentare di risolvere il problema ed evitare quindi la sofferenza ad esso connessa,

semplicemente non funzionano ma al contrario sono patogenetici.

Va ricordato inoltre che ogni tentativo di convincere la persona dicendole che il difetto non

esiste o che ci sia una esagerata attenzione sul problema, oppure fornire rassicurazione o

magari cercare di spiegare e far capire che i propri comportamenti siano alquanto eccessivi

o semplicemente dire alla persona frasi del tipo:” a me piaci così come sei” ecc. ecc.

tendono a produrre nel paziente una sensazione di frustrazione, ansia e angoscia derivante

da un incremento tensivo psicofisiologico. L’obiettivo quindi dell’intervento psicologico è

quello di bloccare li loop disfunzionale attraverso specifiche tecniche psicoeducative e

portare il disturbo verso una sua spontanea remissione, magari nei tempi più brevi possibili

e soprattutto senza uso di psicofarmaci e senza psicoterapia.

Spesso chi è convinto di avere qualche difetto fisico mette in atto “check della forma

corporea” ovvero azioni che consistono in un esame visivo, tattile o di altra natura della

parte interessata; solitamente chi le compie lo fa con due intenti apparentemente

contradditori: da un lato per accertarsi che il difetto sia sotto controllo o addirittura in

remissione; dall’altro lato per convalidare la presenza del supposto difetto: coerentemente

con l’immagine corporea negativa si intraprende il check aspettandosi la conferma delle

proprie convinzioni.

Per capire meglio il concetto presentiamo di seguito un breve elenco di check corporei:

a) Toccare oppure pizzicarsi ripetutamente l’addome, le cosce, le braccia, il collo per

controllare se si sentono le ossa o la carne.

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b) Usare il metro da sarta oppure nastri o spaghi per misurare la circonferenza di cosce,

braccia, vita o altre parti del corpo giudicate abbondanti.

c) Controllare quanto spazio rimane fra le gambe stando in piedi e tenendo le ginocchia

unite; in genere lo scopo è valutare l’ingombro delle cosce.

d) Controllare quanto stringono i cinturini degli orologi, gli anelli, le cinture per verificare

se il polso, le dita o la vita sono aumentati di volume.

e) Controllare da seduti o da sdraiati quanto le cosce si allargano oppure quanto sporge

l’addome rispetto ad altre parti.

f) Guardarsi allo specchio tenendo fissa l’attenzione sulla parte ritenuta difettosa.

g) Chiedere a qualcuno (solitamente a persone conosciute o intime) di dare un giudizio

del tutto “obiettivo”.

h) Guardare le forme degli altri per paragonarle alle proprie. In genere, questo tipo di

check viene fatto sui coetanei oppure guardando personaggi dello spettacolo in tv, sulle

riviste oppure sul web.

Studi recenti affermano che i check che abbiamo descritto influenzano negativamente

l’immagine corporea di un individuo, ma perché? Sotto tutti i punti di vista i check

possono essere considerati delle compulsioni e proprio come le compulsioni, infatti, i

check sono delle azioni ripetitive mirate a tenere sotto controllo un’emozione (in questo

caso emozioni come ansia, tristezza o rabbia) dovuta ad un pensiero negativo che consiste

nell’avere un difetto fisico come ad esempio l’essere grassi, avere i fianchi troppo larghi, il

naso troppo lungo o le orecchie “a sventola”. Che il difetto fisico sia presunto o reale, i

check in sé non hanno il potere di modificarlo e sono, oltre tutto, fra i maggiori

responsabili del fatto che non si riesce a smettere di pensarci in alcuni casi fino a sentirsi

costretti addirittura a rivolgersi al chirurgo estetico per cercare di eliminarlo. È proprio

questo, in effetti, che succede a chi soffre di dismorfismo corporeo; nel caso in cui si sia

sviluppata l’anoressia nervosa, invece, quasi certamente il modo attraverso cui si è cercato

di porre rimedio al “difetto” è stata una dieta rigida e prolungata.

Detto questo possiamo riassumere brevemente i motivi per cui i check sono

controproducenti:

1. Essendo azioni ripetitive e mirate, i check tendono a confermare la presenza del difetto;

chi passa il tempo a compierli su una parte del proprio corpo tenderà a pensare a sé

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stesso in termini di quella parte ignorando oppure minimizzando ciò che di sé non gli

appare difettoso.

2. I check tendono a peggiorare le distorsioni della percezione delle reali forme del corpo;

questo fenomeno, come il precedente, è legato all’attenzione ovvero più si guarda

qualcosa e meno si è lucidi nel valutarla. Probabilmente è anche in virtù di ciò che,

molto spesso, chi soffre di anoressia nervosa continua a percepirsi in sovrappeso

nonostante sia evidente il contrario.

3. La terza ragione si ricollega alla già discussa somiglianza fra check e compulsioni; ad

esempio coloro che si lavano le mani ripetutamente per contrastare il timore di essere

sporchi o contaminati sono, invariabilmente, anche quelli che più hanno paura dello

sporco e della contaminazione in generale. Come le compulsioni, infatti, anche i check

corporei tendono a tenere sotto controllo le emozioni negative solo all’inizio

dopodiché, quasi paradossalmente, ne producono di ancora peggiori60.

Un controllo frequente allo specchio, il che può far perdere delle ore e può essere

estremamente disturbante e difficile da resistere, è una caratteristica comune associata al

disturbo da dismorfismo corporeo; tuttavia alcuni pazienti evitano gli specchi in un

continuo tentativo senza successo di diminuire la loro angoscia e la loro preoccupazione,

mentre altri comportamenti associati includono una eccessiva pettinatura di capelli e la

rimozione dei peli. Gli individui con disturbo da dismorfismo corporeo sono spesso

preoccupati che gli altri possono guardare, parlare oppure deridere i loro difetti e di

conseguenza essi possono provare a nasconderli con il trucco, con le mani, con i capelli

oppure con un semplice cappello oppure possono costantemente alzare il sopracciglio

dall’aspetto subdolo oppure sporgere in avanti una mascella sfuggente.

Hay nel 1970 ha scoperto che solo un soggetto su ben diciassette con dismorfofobia era

depresso e inoltre ha scoperto che undici soggetti hanno avuto un grave disturbo di

personalità e cinque erano schizofrenici (sebbene quattro di questi hanno avuto una

preoccupazione corporea di proporzioni deliranti). Connolly e Gipson61 nel 1978 hanno

studiato ben 187 pazienti quindici anni dopo che essi si erano sottoposti alla rinoplastica,

hanno scoperto che circa il 50% dei pazienti che sono andati alla ricerca della chirurgia per

ragioni estetiche (molti dei quali erano considerati dismorfofobici) hanno avuto la

schizofrenia (6 pazienti su 86) ed inoltre chi ha corretto la reale deformità dovuta ad una

60 http://www.psicologo-parma-reggioemilia.com/percezione_disagio_forma_corpo.html 61 Connolly F. H., Gipson M.: “Dysmorphophobia –- a long-term study.” Br J Psychiatry 1978; 132:568-570.

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malattia oppure ad una ferita (1 su 101); altri soggetti hanno anche riportato una

coesistenza del disturbo da dismorfismo corporeo con la schizofrenia o la psicosi62. Il

disturbo ossessivo-compulsivo è anche associato al disturbo da dismorfismo corporeo; in

un gruppo di otto pazienti con grave disturbo ossessivo-compulsivo, tre di loro hanno

avuto il disturbo da dismorfismo corporeo. Hay, come già notato, ha trovato dei soggetti

con dismorfofobia ossessionati, mentre Hardy e Cotterill nel 1982 hanno scoperto che i

soggetti con dismorfofobia ed i soggetti controllati con psoriasi hanno tenuto il punteggio

più alto sul Leyton Obsessional Inventory (un questionario per la valutazione dei sintomi e

tratti ossessivi) rispetto ai soggetti sani controllati. L’evitamento sociale e l’isolamento,

l’introversione63, il disturbo evitante di personalità64, le relazioni con il malcontento65, la

vergogna e la scarsissima stima di sé stessi possono solo coesistere con un disturbo da

dismorfismo corporeo, così come può anche coesistere l’ansia, la sindrome da relazione

olfattiva, il “mangiare compulsivo” e l’anoressia nervosa; in un caso66 l’anoressia nervosa

era secondaria al disturbo da dismorfismo corporeo poiché il paziente ha preferito morire

di fame onde evitare che le sue guance fossero “troppo rosse e troppo tonde”. Le

caratteristiche cliniche descritte si sono basate non solo sull’insufficiente letteratura sul

disturbo da dismorfismo corporeo ma anche sulla più ampia letteratura sulle condizioni che

generalmente si conformano alla definizione del disturbo- originariamente dismorfofobia.

Questa analisi si focalizza su questi studi e casi i quali sembrano rispettare i criteri

diagnostici del DSM-III-R riguardo al disturbo da dismorfismo corporeo.

Quello condotto da Hardy e Cotterill è il primo studio per identificare formalmente alcune

delle assunzioni e delle convinzioni riguardo al significato del difetto percepito; questo ha

una particolare rilevanza per la terapia cognitiva la quale non mette in dubbio il parere

estetico fatto dal paziente ma le implicazioni delle loro convinzioni, questo studio inoltre

mette in evidenza i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo sono difficili da fare

contattare e quindi valutare.. Quando i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo

consultano i professionisti di salute mentale, essi possono presentare sintomi di

depressione, fobia sociale oppure disturbo ossessivo-compulsivo e non mostrano sintomi di

disturbo da dismorfismo corporeo. Qualche volta abbiamo avuto difficoltà nell’interpretare

62 Corbella T., Rossi L.: “La dysmorphophobie: ses aspects clinique et nosographiques.” Acta Neural Belg

1967; 67:691-700. 63 Fukuda O.: “Statistical analysis of dysmorphophobia in out-patient clinic.” Jpn J plastic and reconstructive

surgery 1977; 20:569-570. 64 De Leon J., Bott A., Simpson G. M.: “ Dysmorphophobia: body dysmorphic disorder or delusional

disorder, somatic subtype?” Compr Psychiatry 1989; 30:457-472. 65 Hardy G. E.:” Body image disturbance in dysmorphophobia.” Br J Psychiatry 1982; 141:181-185. 66 Von Zaumer J.: “Das krankheitsbild der dismorphophobie.” Méd et Hyg 1979; 37:329-330.

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i primi criteri diagnostici per il disturbo da dismorfismo corporeo all’interno del DS-IV

come una valutazione di “una lieve anomalia fisica”. Potrebbe essere d’aiuto aggiungere

un ulteriore criterio ovvero l’opinione di uno specialista come ad esempio un chirurgo

estetico oppure di un dermatologo; l’opinione è richiesta per accertare il disturbo del

paziente ed una connessione desiderata. Se lo specialista può concordare con la descrizione

del paziente del difetto percepito e la correzione desiderata, allora ciò potrebbe escludere

una diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo per prevenirlo dall’essere inclusivo.

Sarebbe consigliabile che il termine “difetto immaginato” sia rimosso dalla definizione di

disturbo da dismorfismo corporeo nel DSM-IV e ricollocato nei “difetti percepiti”; i

sintomi come ad esempio le allucinazioni o il dolore nel contesto dei fattori psicologici non

sono definiti come “immaginati” in quanto appaiono molto reali agli individui. Inoltre

pensiamo che la stessa terminologia dovrebbe essere usata particolarmente nei pazienti con

disturbo da dismorfismo corporeo perché possono avere una intensa consapevolezza del

loro aspetto.

Per la diagnosi clinica del disturbo di dismorfismo corporeo si ricorda che è sempre

necessario rivolgersi ad un professionista della salute esperto in materia in quanto, dal

punto di vista clinico, è necessaria sia la verifica dei criteri diagnostici sia la valutazione

dei criteri di esclusione quindi un’attenta valutazione di tipo diagnostico differenziale.

Nelle edizioni DSM-IV (1994) e DSM-IV-TR (2000) il disturbo da dismorfismo corporeo

rientrava tra i disturbi somatoformi; tale categoria diagnostica è stata soppressa nel DSM-V

(2014) e quindi il disturbo da dismorfismo corporeo è stato inserito, a mio avviso

correttamente, all’interno della categoria del disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi

correlati. Infatti è sempre apparso molto chiaro che la maggior parte dei disturbi clinici,

compreso il dismorfismo, siano in realtà disturbi di natura fobico-ossessiva. Per la

valutazione diagnostica secondo il DSM-V è necessario che il medico tenga in

considerazione la presenza contemporanea dei seguenti quattro criteri diagnostici:

1. Preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico, che

non sono osservabili oppure che appaiono ad altri in maniera lieve.

2. Durante il decorso del disturbo l’individuo abbia messo in atto tutta una serie di

comportamenti ripetitivi (per esempio guardarsi allo specchio, curarsi eccessivamente

nel proprio aspetto, ricercare continuamente rassicurazioni) oppure azioni mentali

(come ad esempio confrontare il proprio aspetto con quello degli altri).

3. La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo o compromissione del

funzionamento in ambito sociale, lavorativo e in altre aree importanti.

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4. La preoccupazione legata all’aspetto non è meglio giustificata da preoccupazioni legate

al grasso corporeo oppure al peso di un individuo i cui sintomi soddisfano i criteri

diagnostici per riconoscere un eventuale disturbo alimentare.

Precedentemente nel DSM-III il DDC compariva sotto il nome di dismorfofobia tra i

disturbi somatoformi atipici ma senza alcuna specificità dei criteri diagnostici.

Successivamente nel DSM-IV-TR (American Psychiatric Association, 2000) esso

compativa in base a tre determinati criteri:

• Il criterio A stabilisce che la persona deve essere preoccupata per difetto immaginario

nell’aspetto fisico oppure, se presente una piccola anomalia fisica, provare una

preoccupazione di gran lunga eccessiva

• Il criterio B indica che questa preoccupazione deve causare disagio significativo o

menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo oppure in altre aree.

• Il criterio C, infine, definisce che la preoccupazione non è meglio attribuibile ad un altro

disturbo mentale.

Per la diagnosi di questo disturbo, il paziente deve dimostrare una persistente convinzione

di bruttezza personale o relativa ad uno specifico difetto fisico ed essere assolutamente

certo che tali sue presunte mancanze estetiche siano evidenti ed ovvie anche per gli altri;

inoltre la preoccupazione relativa al difetto dovrebbe essere eccessiva e non facilmente

trasferibile ad un’altra parte del corpo considerata difettosa.

Solitamente le persone che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo vivono un

rilevante disagio per la propria ipotizzata deformità descrivendo spesso tali preoccupazioni

come intensamente dolorante, tormentose o addirittura devastanti; in genere tali pazienti

hanno difficoltà a controllare le proprie preoccupazioni e non tentano di resistervi e così

finiscono col passare molte ore al giorno pensando al loro difetto tanto che tali pensieri

divengono talora il punto focale della loro esistenza. Molte persone con questo disturbo

non riescono ad ammettere le difficoltà che i propri sintomi causano loro ma anzi tendono

a sottolineare costantemente l’utilità e la legittimità dei loro continui sforzi mirati a

correggere i difetti percepiti; inoltre molti sviluppano una relazione per così dire “speciale”

con gli specchi: si controllano continuamente ed alcuni restano come bloccati davanti a tali

superfici riflettenti per ore e ore ogni giorno intrappolati tra il desiderio di fuggire

dall’immagine poco attraente che vedono e l’impulso irresistibile di aggiustarla proprio

perché guardarsi allo specchio il più delle volte può generare ansia, mentre le persone che

hanno trovato in qualche modo di evitarli sostengono di sentirsi decisamente meglio.

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In base alla più recente revisione del Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie

Mentali (DSM-V) il disturbo da dismorfismo corporeo fa parte dello spettro del “disturbo

ossessivo-compulsivo e dei disturbi correlati” e per emettere una diagnosi differenziale

specifica è necessario riscontrare:

Preoccupazione nei confronti di uno o più difetti fisici non oggettivamente rilevabili o

trascurabili da parte di altre persone;

Adozione di comportamenti ripetitivi o rituali oppure atteggiamenti mentali in risposta

alla preoccupazione per il difetto fisico;

Forte stress, ansia e calo del tono dell’umore causati dalla persistente preoccupazione

per il difetto fisico;

Difetto fisico oggetto della preoccupazione diverso dal peso corporeo/massa grassa in

cui è probabile la presenza di un disturbo alimentare;

La consapevolezza che il difetto lamentato sia in realtà minimo o inesistente può essere

nulla, parziale o elevata ma ciò non incide sul grado di penetrazione dei nostri pensieri

nella vita quotidiana.

1.4 LA CHIRURGIA ESTETICA.

Generalmente si presuppone che la chirurgia estetica oppure il trattamento dermatologico è

una assoluta controindicazione per i pazienti che soffrono di disturbo da dismorfismo

corporeo ma nonostante ciò alcuni pazienti con una minima malformazione potrebbero

avere dei buoni risultati psicologici se hanno delle reali aspettative riguardanti l’esito67. Un

chirurgo plastico, Harris68 (1989) sostiene che la chirurgia estetica è probabile che abbia

successo con un paziente se, in particolare, riesce a descrivere chiaramente il difetto

percepito e la correzione desiderata e quindi il chirurgo può essere d’accordo con esso;

pertanto questo può essere il fattore più importante nella determinazione dell’esito. Un

altro chirurgo, Reich69 (1969) afferma che la chirurgia è controindicata nel momento in cui

è previsto che il paziente non è in grado di affrontare un risultato imperfetto e che quindi

67 Hay G. G. & Heather B. B. (1973) “Changes in psychometric test results following cosmetic nasal

operations.” British Journal of Psychiatry, 122, 89-90. 68 Harris D. (1989) “The benefits and hazards of cosmetic surgery.” British Journal of hospital medicine, 41,

540-545. 69 Reich J. (1969) “The surgery of appereance: psychological and related aspects.” Medical journal of

Australia, 2, 5-13.

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non lo soddisfa. Questi punti di vista si adatterebbero con il nostro modello proposto che

nel disturbo da dismorfismo corporeo c’è una larga discrepanza tra un aumento del difetto

percepito e l’ideale del paziente e che quando i pazienti con disturbo da dismorfismo

corporeo ricorrono alla chirurgia estetica essi generalmente hanno delle aspettative

sull’esito finale. Jerome70 ha anche ipotizzato che un buon risultato psicologico è più

probabile quando c’è una aspettativa positiva da un supporto dagli altri specialmente nel

periodo post-operazione quando un paziente non può avere più l’opportunità di intervenire

in modo selettivo al loro difetto percepito se è avvolte dalle bende. Tuttavia è improbabile

che ci sarà sempre uno studio controllato randomizzato dei pazienti con disturbo da

dismorfismo corporeo che hanno una minima malformazione che confronta la chirurgia

estetica con la terapia cognitiva comportamentale oppure un trattamento farmacologico.

Attualmente non esiste una categoria univocamente riconosciuta come “dipendenza da

chirurgia plastica” tant’è vero che essa viene generalmente considerata come un sintomo

del disturbo da dismorfismo corporeo. Come osserva il dott. Mark Griffiths:” La

dipendenza da chirurgia plastica piò suonare come una barzelletta ma in realtà è un

problema serio di cui sempre più persone soffrono al giorno d’oggi”, inoltre strutture di

importanza a livello mondiale come la OCD-BDD Clinic della California del Nord oppure

il Westwood Institute for Anxiety Disorders sono attive nella ricerca e nel trattamento di

questo specifico disturbo in quanto la specificità del disturbo consiste in un continuo

ricorso ad interventi di chirurgia plastica non giustificati da condizioni mediche

disfiguranti. La soddisfazione per il proprio aspetto estetico e l’incremento dell’autostima

successive all’intervento sono temporanee o assenti e la preoccupazione e

l’insoddisfazione per il proprio aspetto esteriore possono ritornare ad investire la parte già

operata oppure spostarsi per concentrarsi in un’altra parte del corpo tant’è vero che al

riemergere di queste emozioni negative, la persona ricorre nuovamente alla chirurgia e il

ciclo continua fino alle conseguenze più estreme. Nel caso in cui la persona dipendente sia

impossibilitata a ricevere una appropriata assistenza da parte del personale medico-

chirurgo qualificato essa può ricorrere ad auto-rimedi a dir poco disastrosi rivolgendosi ad

esempio a criminali bendisposti ad operarli in cambio di denaro senza avere le competenze

e/o le apparecchiature adeguate.

Per le persone affette da dipendenza da chirurgia estetica, questa si presenta come una

speranza, una possibile via di fuga dalla sofferenza costante causata dal disturbo ma, di

fatto, essa finisce per aggravare la sintomatologia; in poche parole l’ossessione del malato

70 Jerome L. (1980). “A study of the perception of body-image in patients requesting cosmetic rhinoplasty.”

(pp. 1-112).

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nei confronti della propria apparenza fisica non può risolversi con un intervento sul corpo,

trattandosi di un problema mentale. Successivamente all’operazione, la persona si sentirà

nuovamente insoddisfatta del proprio aspetto oppure tenderà a spostare la propria

insoddisfazione dalla parte del corpo operata ad un’altra: in entrambi i casi c’è un alto

rischio che egli ritorni a sottoporsi ad un altro intervento chirurgico, innescando così una

vera e propria dipendenza; inoltre uno studio condotto da Phillips riporta come l’82,6% di

un campione di persone affette da dipendenza da chirurgia plastica che si sono sottoposte a

vari interventi chirurgici mostrava costanza o addirittura un peggioramento del disturbo71.

Ma effettivamente cosa spinge le donne e gli uomini a rivolgersi, sempre con maggiore

frequenza, ad un chirurgo estetico e alla chirurgia estetica in generale? Esistono svariate

motivazioni: prima di tutto ci si rivolge al chirurgo plastico perché vi possono essere delle

motivazioni dettate da esigenze fisiologiche, ovvero nel caso in cui il difetto fisico

impedisce una vita corretta, oppure esigenze di tipo prettamente estetico oppure entrambe;

molto spesso la richiesta di un intervento chirurgico trova motivazioni psicologiche palesi

e/o inconsce, infatti il nesso tra chirurgia estetica e psicologia può essere facilmente

spiegato dalla proiezione che la mente ha sull’Io corporeo. Al parziale cambiamento del

nostro aspetto esteriore ottenuto dopo un intervento chirurgico, si assiste molto spesso ad

una rielaborazione della propria immagine interiorizzata ma allo stesso tempo proiettata

all’esterno, il che incide a livello psicologico talvolta in maniera sostanziale; da ciò deriva

quindi la valenza di questa tipologia di chirurgia sia per l’individuo che ne beneficia ma

anche per il soggetto inteso come componente di una comunità sia essa familiare,

produttiva oppure affettiva. In realtà tutti desiderano di essere più belli perché la bellezza è

spesso sinonimo di successo e gratificazione e un aspetto piacevole e bello aiuta noi stessi

ad avere maggiore fiducia in noi stessi e nel rapporto con gli altri, con il mondo esterno e

per questo siamo disposti a ricorrere alla chirurgia estetica.

Ma cosa avviene esattamente dopo l’intervento di chirurgia estetica? Si assiste molto

spesso ad una modifica positiva del paziente sia nei rapporti interpersonali che nei vari

ambiti della sua vita come ad esempio scuola e lavoro; la correzione dei difetti della forma

va ben oltre la correzione “esterna” per agire più profondamente sulla percezione dell’Io

corporeo e trasmettere all’esterno questa nuova elaborazione sotto forma di maggiore

autostima e maggiore disponibilità ad interagire con il mondo circostante, infatti il

giovamento che il paziente piò trarre dall’intervento di chirurgia estetica spesso non si

ferma al mero aspetto fisico, per quanto sia molto importante, ma si espande anche

71 http://www.siipac.it/dipendenza-da-chirurgia-plastica.html

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all’aspetto psicologico donando maggior sicurezza di sé stessi e nei confronti del mondo

esterno e nei rapporti con gli altri, regalando, in parole povere, maggiore felicità alla

propria esistenza proprio perché sentirsi più belli corrisponde con l’esserlo realmente,

ovvero se ci sentiamo più belli sicuramente appariremo più belli anche agli occhi degli

altri72. Un classico esempio che possiamo fare consiste nel fatto che il paziente che, dopo

un intervento di chirurgia estetica e risolto il difetto, inizi a ritenere altri parti del corpo

come “difettose”73: questa è un primo segnale della presenza di un disturbo, soprattutto

quando gli altri non considerano così importante ed eccessivo il difetto.

Anche nei soggetti che praticano attività fisica in maniera ossessiva, in particolare nei

body-builders, è spesso presente questo fenomeno soprattutto in coloro che decidono, già

dall’inizio o poco dopo l’inizio dell’attività sportiva, di ricorrere ad integratori e farmaci

(quali ad esempio gli steroidi) per incrementare più rapidamente la loro massa muscolare;

il problema è stato definito “reverse anorexia” ovvero anoressia inversa in quanto

l’attenzione è posta non tanto sulla magrezza ma sul sentirsi esile o comunque con poca

massa muscolare rispetto a quelli che sono i suoi ideali74 e perciò l’ansia di raggiungere

questo stato ideale da parte del soggetto viene scaricata attraverso l’utilizzo di quelle che

potremmo definire “scorciatoie”, inoltre è difficile che una persona affetta da disturbo da

dismorfismo corporeo si renda pienamente conto del problema di cui soffre senza neppure

prenderlo in considerazione minimamente. Il chirurgo plastico entra spesso in contatto con

questi pazienti ed ha il compito di valutare la presenza e l’entità dei difetti corporei che

vengono riferiti al paziente, di capire se l’entità del difetto è proporzionata all’importanza

che gli viene data dal soggetto, di dare quindi l’indicazione più o meno al trattamento e

infine di capire quelle che sono le aspettative del paziente informandolo sui risultati

realmente ottenibili. Lo scopo di questo studio è quello di valutare, tra i pazienti

appartenenti alla casistica personale, se:

a) Le richieste di chirurgia plastica a fini estetici da parte di soggetti che praticavano

attività fisica intensa fossero condivisibili e proporzionate al difetto indicato.

b) Quanto il trattamento prescelto sia stato in grado di risolvere il difetto e soddisfare il

paziente.

72 http://www.chirurgiestetici.net/psicologia.html 73 Pertschuk M. J., Sarwer D. B., Wadden T. A., Whitaker L. A.: “Body image dissatisfaction in male

cosmetic surgery patients.” Aesth Plast Surg 1998; 22:4-20. 74 Kanayama G., Barry S., Hudson J. I., Pope H. G. Jr.: “Body image and attitudes toward male roles in

anabolic-androgenic steroid users.” Am J Psychiatry 2006; 163:697-703.

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c) Individuare in seguito ad un consulto psichiatrico in quanti dei pazienti che

presentavano “incongruenza” tra il difetto lamentato e quello esistente sussistevano i

criteri diagnostici in modo da diagnosticare loro, appunto, il disturbo da dismorfismo

corporeo.

Sono stati inclusi in uno studio prospettico dal luglio 2004 al luglio 2006 i pazienti che

riferivano una particolare attenzione per le forme corporee, che praticavano attività

sportiva intensa sia a livello agonistico che amatoriale e che quindi consideravano i difetti

corporei come conseguenti dell’attività fisica troppo intensa. Tali difetti corporei sono stati

suddivisi in:

Alterazione delle proporzioni e dei contorni corporei da aumento del volume

distrettuale della massa muscolare nell’uomo, ipertrofia distrettuale di un settore

muscolare rispetto a quelli circostanti;

Alterazione delle proporzioni e dei contorni corporeo da aumento del volume

distrettuale del tessuto adiposo (chiamato “lipodistrofia distrettuale”);

Sviluppo di mammelle dall’aspetto femminile nell’uomo;

Ipertrofia e/o ptosi mammaria nella donna;

Svuotamento dei seni con sviluppo di ipomastia nella donna;

Aumento della peluria corporea fino all’ipertricosi;

Comparsa di rughe e depressioni marcate tra una unità anatomica e un’altra del

viso.

Su questi pazienti è stato valutato, tramite una attenta anamnesi ed un accurato esame

obiettivo, se le deformità lamentate dai pazienti fossero reali e proporzionate oppure

oggettivamente inesistenti o a dir poco sproporzionate alle loro reali entità, in più è stata

indagata l’eventuale assunzione di integratori e/o di farmaci finalizzata a raggiungere la

forma desiderata.

I pazienti che invece lamentavano difetti inesistenti o sproporzionati alla loro reale entità

sono stati indirizzati al consulto psichiatrico per la valutazione della sussistenza dei criteri

diagnostici di disturbo da dismorfismo corporeo, i pazienti infatti sono stati intervistati da

uno specialista psichiatra e hanno compilato i seguenti questionari:

Il Mini International Neuropsychiatric Interview (MINI) per l’eventuale diagnosi

psichiatrica;

Il Body Dysmorphic Disorder Examination (BDDE), per l’indagine degli aspetti

relativi al disturbo da dismorfismo corporeo.

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In chirurgia plastica è piuttosto frequente il riscontro di pazienti, prevalentemente di sesso

femminile, che manifestano un notevole disagio psichico anche per quadri clinici di lieve

entità. Le sindromi psichiatriche rilevate con maggiore frequenza sono i disturbi di

personalità ed il disturbo da dismorfismo corporeo il quale presenta una frequenza dal 6 al

15% tra i pazienti che si rivolgono al chirurgo plastico.

1.5 IL DISMORFISMO CORPOREO LEGATO ALLO SPORT.

Nel 1997 Harrison Pope e altri suoi collaboratori75 descrissero un disturbo chiamato

“dismorfismo muscolare”, una sottocategoria del più ampio disturbo da dismorfismo

corporeo, indicandolo come un’eccessiva preoccupazione ed insoddisfazione per la propria

grandezza corporea e muscolosità in cui il soggetto tende a vedere sé stesso come piccolo e

fragile anche quando la realtà tutto all’opposto, associata alla tendenza ossessiva ad

accrescere sempre di più la propria massa corporea; per indicare tale disturbo viene

utilizzato anche il termine “vigoressia” che indica una “fame di grossezza” ovvero il

desiderio da parte del soggetto di possedere un corpo più muscoloso e più “asciutto”. La

distorsione dell’immagine corporea che vi è alla base è sostanzialmente analoga a quella

dell’anoressia, da qui infatti anche l’utilizzo del termine inglese “reverse anorexia” ovvero

anoressia inversa76 appunto per la sua correlazione, anche se al contrario, con l’anoressia

nervosa; quando le persone che soffrono di anoressia nervosa si percepiscono grasse anche

se in realtà sono molto magre, i soggetti che soffrono di dismorfismo corporeo si vedono

insopportabilmente magri anche se in realtà possiedono una muscolatura regolare se non

addirittura abbastanza consistente infatti il punto centrale non consiste in una costante

paura di ingrassare ma il timore di non essere abbastanza grossi e quindi ciò che affligge il

soggetto non è tanto un eventuale sovrappeso quanto la percentuale di grasso corporeo che

chiaramente va sempre tenuta sotto controllo e quindi di conseguenza l’allenamento

diventa continuo senza nessuna interruzione e in più il soggetto tende a non preoccuparsi

dei dolori e i traumi che possono essere causati dall’eccessiva attività sportiva a cui il

fisico è sottoposto. Come ben possiamo immaginare il soggetto fa anche e soprattutto

attenzione all’alimentazione, infatti le diete sono rigorosissime e studiate nei minimi

75 Pope H. G. Jr., Gruber A. J., Choi P., Olivardia R., Phillips K. A. (1997). “Muscle dysmorphia. An

underrecognized form of body dysmorphic disorder.” Psychosomatics, 38, 548-557. 76 Pope H. G. Jr., Phllips K., Katz D. L. & Hudson J. I. (1993). “Anorexia nervosa and “reverse anorexia”

among 108 male bodybuilders.” Compr Psychiatry, 34, 406-409.

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dettagli. Ovviamente anche quando avviene l’aumento di massa e tonicità muscolare il

soggetto non rimane mai soddisfatto dei risultati ottenuti infatti tende a vedersi sempre

gracile e magro e continua ad avere una distorta visione di sé e del proprio corpo pensando

di essere sottopeso e sottotono; per il vigoressico il confronto con gli altri è solo uno

svantaggio, infatti non è un caso che, rispetto ai classici culturisti, non vi è uno sfoggio al

pubblico dei propri muscoli anzi ogni visibilità del fisico viene evitata anche utilizzando

abiti e vestiti ampi. Spesso, questa strenua rincorsa verso un fisico perfetto attraverso

l’esercizio fisico è accompagnata dall’assunzione di integratori alimentari che come ben

sappiamo favoriscono la crescita muscolare ed il suo mantenimento come ad esempio gli

steroidi anabolizzanti, GH e quant’altro; inoltre è davvero indescrivibile la quantità di volte

in cui un vigoressico si rivolge agli specchi tant’è vero che questa patologia, proprio per

questa sua peculiarità, sia stata ribattezzata come “complesso di Adone” in merito al

personaggio della mitologia greca in quanto rappresenta proprio l’idea della bellezza

maschile come perfezione fisica nella forma estetica. La patologia viene individuata o

perlomeno si può avere un primo sospetto della presenza di essa laddove queste pratiche

così totalizzanti in modo da interferire con tutti gli altri aspetti della vita dell’individuo

(studio, lavoro, relazioni e rapporti), momenti che spesso vengono in qualche maniera

evitati pur di non saltare una sola seduta in palestra con un obiettivo per preciso ovvero

quello di costruire un corpo perfetto anche se col tempo tutto questo porta il soggetto a

quello che viene definito “autolesionismo sociale”.

Tre sono i fattori determinanti del disturbo: in primis vi è una componente biologica

predisponente nel senso che rende alcuni soggetti più predisposti di altri a sviluppare

sintomi del tipo ossessivo-compulsivo; poi vi è una componente prettamente psicologica la

quale è legata ad una scarsissima autostima e al modo in cui gli individui tendono a

giudicare sé stessi; infine vi è il fattore di tipo sociale e culturale, è davvero necessario e

importante soffermarsi su quest’ultimo punto in quanto vivendo in una società strettamente

concentrata sull’immagine fisica, l’apparenza alla cultura incidentale determina appunto

l’adozione, spesso inconsapevole, di precisi ideali estetici proposti attraverso una

diffusione di simboli di bellezza e perfezione associati a dei richiami irresistibili per

l’uomo come il potere, la felicità, il benessere e quant’altro77. Un ruolo fondamentale è

dato dalla comunicazione di massa la quale influisce notevolmente in questo processo

poiché rappresenta la prima agenzia fornitrice di modelli, infatti i messaggi che

provengono dai mass media richiamano costantemente alla perfezione dei corpi il che

77 Wiseman C. V., Gray J. J., Mosimann J. E. & Ahrens A. H. (1992). “Cultural expectations of thinness on

women: an update.” International Journal of eating disorder, 11, 85-89.

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potrebbe avere anche delle gravi conseguenze tant’è vero che sembra molto preoccupante

che per tante persone diventa un imperativo categorico il cercare a tutti i costi di

avvicinarsi il più possibile ai canoni di bellezza dettati dagli schemi e dalle riviste78 79, ma

ancora più preoccupante è lo sguardo svilente che si può avere verso il proprio corpo nel

momento in cui lo si confronta con quello considerato perfetto dagli altri. Diffondere la

cultura del corpo perfetto non fa altro che favorire il rischio di sviluppo di disturbi

dell’immagine corporea; per quanto sia vero è necessario sottolineare che non si deve

assolutamente pensare che il body building sia di per sé una patologia80, infatti alcuni studi

hanno rilevato che solo circa il 10% dei culturisti uomini soffre di questo disturbo mentre

molti atri studi hanno comunque evidenziato nei body builder elevatissime percentuali di

insoddisfazione corporea legata a delle disfunzioni alimentari.

Tutto ciò serve a riflettere per quanto riguarda l’ambito sportivo, lo sport infatti può

assumere un grande valore educativo, psicologico e sociale perché è attraverso di esso ed il

confronto con i compagni che si inizia a chiarire o perlomeno farsi un’idea di quello che si

vuole essere e quello che effettivamente non si è; si acquisiscono e migliorano le abilità e

le competenze sportive nonché anche la competitività anche se un ambiente carico di

competizione, di aspettative, di ambizioni, di modelli ideali da perseguire può anche

diventare terreno fertile per lo sviluppo dell’insoddisfazione corporea. Veramente efficace

è inoltre il ruolo degli allenatori, dei nutrizionisti e di chi lavora comunque nell’ambito

sportivo in generale in quanto tendono a promuovere nell’atleta un miglioramento

dell’immagine corporea lavorando per esempio sull’autostima81 come un fattore protettivo

rispetto all’insorgenza di disturbi del comportamento alimentare: si tratta di interventi di

promozione della salute che mirano ad identificare e potenziare aspetti positivi del Sé con

l’unico scopo di produrre dei cambiamenti a livello di auto-percezione giungendo così alla

modifica dei comportamenti alimentari e ad una maggiore soddisfazione verso il proprio

aspetto fisico.

Ma quali sono i sintomi della vigoressia? I sintomi sono i seguenti:

1. Dispercezione corporea ovvero preoccupazione patologica di un corpo ritenuto non

sufficientemente asciutto e muscoloso.

78 Field A. E., Camargo C., Taylor B., Berkley C., Colditz G. A. (1999). “Relation of peer and media

influences to the development of purging behaviours among preadolescents and adolescents girls.” Archives

of pediatrics & adolescent medicine, 153, 11841189. 79 Cuzzolaro M. (2004). “Anoressie e Bulimie.” Bologna: Il Mulino. 80 Stevani J. (2006). “Muscoli e lacrime.” Psicologia contemporanea, 199, 18-25. 81Stice E. (2002). “Risk and maintenance factors for eating pathology: a meta analytic review.” Psychological

bulletin, 128, 825-848.

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2. Comportamento di addiction (ovvero di dipendenza) nei confronti dell’esercizio

fisico e dell’attività fisica in generale in quanto il vigorettico è schiavo

dell’allenamento al punto di trascorrere in palestra tutto il proprio tempo libero

tralasciando aspetti fondamentali della propria vita come il lavoro, gli amici e la

famiglia.

3. Possibile abuso di sostanze anabolizzanti per incrementare la massa muscolare e

migliorare le proprie prestazioni fisiche;

4. Comportamento alimentare disturbato fino ad arrivare all’ortoressia ovvero

all’applicazione di diete ferree e rigide. Si tratta di un piano alimentare, appunto,

molto rigido e sbilanciato, ricco di proteine e povero di grassi e con un preciso

calcolo delle calorie assunte e da assumere.

Dopo aver elencato i vari sintomi è necessario descrivere quali sono i criteri preposti per la

diagnosi della dismorfia muscolare e quindi come riconoscere questo disturbo in un

soggetto, ovvero:

• L’individuo è ossessionato dalla convinzione che il suo corpo dovrebbe essere più

magro e muscoloso; il soggetto dedica molto tempo al sollevamento dei pesi e le

ossessioni sulla propria dieta sono comuni.

• Almeno due dei seguenti quattro criteri dovrebbero essere presenti:

L’attenzione incontrollabile a perseguire il proprio allenamento e comportamento

alimentare fa sì che la persona si isoli completamente dal mondo che lo circonda;

Circostanze che comportano l’esposizione del corpo vengono preferibilmente

evitate e se ciò non è possibile si prova un senso di disagio e preoccupazione molto

significativo ed influente sulla propria autostima;

Le prestazioni nelle aree lavorative e sociali sono influenzate dal presunto deficit

corporeo;

Gli effetti potenzialmente negativi del regime di allenamento non riescono a

scoraggiare l’individuo a perseguire le pericolose pratiche.

A differenza dell’anoressia nervosa in cui la persona è preoccupata di essere in

sovrappeso o comunque di altri disturbi dismorfici del corpo in cui la

preoccupazione è rivolta verso altri aspetti fisici, l’individuo con dismorfismo

muscolare è convinto che il suo corpo non sia sufficientemente magro e/o

muscoloso.

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L’insoddisfazione, l’ansia e la perdita dell’autostima che derivano dalla convinzione di

essere poco muscolosi e poco tonici spingono questi soggetti ad allenarsi sempre di più

tant’è vero che le varie attività ricreative, sociali e lavorative vengono messe da parte per

fare spazio agli allenamenti o per evitare di trasgredire le regole alimentari; questa

condizione, se protratta nel tempo, implica una compromissione di tutta la vita del soggetto

sotto ogni punto di vista. Le principali complicazioni mediche si possono ricondurre ad

una serie di fattori, primo fra tutti gli allenamenti estenuanti che possono portare ad uno

stato di sovrallenamento senza adeguati tempi di recupero per cui si arriva ad uno stato

abbastanza critico di astenia, affaticabilità e alterazioni del ritmo cardiaco, inoltre il

soggetto può andare incontro a tendiniti, problemi alle articolazioni, calo del peso corporeo

e indebolimento del sistema immunitario; si possono avere anche delle alterazioni a carico

di prolattina, cortisolo e ACTH (ormone adrenocorticotropo) e complicanze al regime

alimentare in quanto troppo poco equilibrato. L’assunzione di ormoni androgeni e di

farmaci anabolizzanti può portare a gravi complicanze renali, epatiche e a carico del

sistema endocrinologico e riproduttivo; spesso la vigoressia si associa a fattori come la

depressione, tentativi di suicidio, abuso di sostanze, disturbi di personalità (specialmente il

disturbo narcisistico di personalità e quello ossessivo-compulsivo).

Molto tempo fa il valore attribuito al corpo risiedeva essenzialmente nella sua funzione

strumentale visto che la maggior parte delle attività era di tipo fisico, mentre oggi il corpo

ha assunto vari significati completamente diversi legati all’espressività soggettiva e alle

emozioni narcisistiche individuali; la società moderna gioca un ruolo fondamentale nella

ricerca del corpo ideale e quindi l’immagine corporea è ampiamente influenzata da quello

che la cultura considera esteticamente bello82 83: il mito del corpo possente per i ragazzi e

quello magro per le ragazze tende a condizionare non solo la visione di sé stessi ma anche

come ci si rapporta con gli altri.

Per molti avere un corpo perfetto significa avere controllo che a sua volta è sinonimo di

duro lavoro e ambizione; due assunti fondamentali sottendono questa aspirazione:

a. Avere un corpo perfetto rende la vita molto più facile anche se in realtà molte

ricerche hanno evidenziato come essere fisicamente attraenti porta vantaggi in

alcune aree ma anche svantaggi in altre;

82 Cattarin J. A., Thompson J. K., Thomas C. & Williams R. (2000). “Body image, mood, and televised

image of actractiveness: the role of social comparison.” Journal of social and clinical psychology, 19, 220-

239. 83 Dohnt H. K. & Tiggerman M. (2005). “Body image concerns in young girls: the role of peers and media

prior to adolescence.” Journal of youth and adolescence, 10, 1020-1038.

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b. Essendo il corpo malleabile, con la corretta combinazione di alimentazione ed

esercizio ciascuno può diventare fisicamente perfetto. Anche se le variabili

biologiche/genetiche influenzano la regolazione del peso e delle forme corporee e

impongono dei limiti naturali vi è la forte fiducia nelle possibilità che grazie ad

alcuni mezzi si può arrivare, o possa perlomeno avvicinarsi, al modello di

bellezza che la società considera tale.

Se da un lato è indubbio che lo svolgimento di una regolare attività fisica conferisca un

gran numero di effetti fisiologici e psicologici positivi come ad esempio la riduzione di

malattie cardiovascolari, di osteoporosi, di ipertensione84; dall’altro lato non si possono

tralasciare i rischi legati al concepire e al vivere lo sport in determinati modi, alcuni dei

quali spesso e volentieri risultano essere del tutto estremi e assolutamente contro

produttivi.

Nel tempo sono stati coniati termini nuovi come “negative addiction”, “compulsive

exercise” oppure “exercise dependance” per descrivere un tipo di attività fisica estrema sia

in termini di frequenza che in termini di durata, accompagnata da una irresistibile coazione

della prestazione e da possibili crisi di astinenza85. Sebbene il concetto di sovra-esercizio

sia di difficile classificazione e misurazione, esiste una quantità di dati sufficienti per

affermare con certezza che, in determinate circostanze, esso è strettamente legato

fortemente ad una insoddisfazione corporea e può causare disturbi alimentari86. Secondo

queste premesse è sempre bene sottolineare la distinzione che separa un tipo di esercizio

fisico sano ed equilibrato rivolto ad un’adeguata cura di sé, al mantenimento di un aspetto

desiderabile, ad un miglioramento della propria immagine e al potenziamento della propria

vitalità, da un altro modo di vivere lo sport in modo patologico laddove le pratiche legate

all’allenamento diventano così totalizzanti da interferire con la vita dell’individuo sotto

tutti i punti di vista; quello che certamente possiamo evidenziare è che gli sportivi, a causa

della loro professione e del loro stile di vita, appartengono ad una categoria particolare di

persone e appaiono oggi esposti a rischi maggiori di sviluppare dei disturbi legati

all’immagine corporea rispetto alla popolazione. Per un atleta il fisico riveste una

grandissima importanza in quanto è attraverso di esso che si può esprimere il proprio Sé e

le proprie potenzialità e spesso, in determinati sport e a determinati livelli, ciò si traduce in

uno stile di vita prettamente incentrato sul corpo; la magrezza e la tonicità sono fattori

84 Bouchard C., Shepard R. J. & Stephens T. (1993). “Physical activity, fitness and health consensus

statement.” Champaign, Illinois: Human Kinetics. 85 Morgan W. P. (1979). “Negative addiction in runners.” Psysician Sportmedicine, 7, 57-70. 86 Fox K. R., Page A & Armstrong N. (1994). “Dietary restraints and self-perceptions in early adolescence.”

Personality and individual differences, 17, 87-96.

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fondamentali per sviluppare certe abilità tecniche e determinare il costante miglioramento

della prestazione, da questo deriva la maggiore attenzione per il controllo del peso e per la

forma del corpo, la paura di ingrassare e spesso un’ostinata iperattività giornaliera

associata a veri e propri sintomi di astinenza in caso di impossibilità a svolgere i propri

esercizi quotidianamente. La partecipazione ad uno sport è, infatti, sempre collegata ad

un’alta prevalenza di disturbi dell’immagine corporea ed in particolar modo la lodo

diffusione è maggiore in certi tipi di sport o attività fisica come ad esempio il wrestling, il

diving oppure il body building87 88; in alcuni sport come la danza e la ginnastica artistica

dove la magrezza è ricercata al pari della flessibilità e della scioltezza nei movimenti, ed

altri come ad esempio il pugilato, il judo o il body building dove si gareggia in diverse

categorie in base al peso, le probabilità che insorgano disturbi legati al comportamento

alimentare è maggiore che in altre attività sportive dove il peso non è poi così rilevante

(come ad esempio il tiro con l’arco) anche se non è del tutto scontato che gli atleti di altre

discipline non affrontino problemi del genere.

A partire dagli anni ’80 sono iniziate le ricerche sulle relazioni esistenti tra insoddisfazione

corporea ed esercizio fisico innanzitutto con lo studio di alcune caratteristiche di

personalità associate entrambe ai disturbi dell’immagine corporea ed alla partecipazione ad

una determinata disciplina: la competitività, l’ansia da prestazione ed il perfezionismo sono

dei fattori fondamentali che, come confermano alcuni studi, sono strettamente correlati tra

loro89. Per un atleta è importante sì il raggiungimento di un determinato obiettivo oppure

un certo tipo di prestazione, ma anche di come si appare, di avere cioè un peso e una forma

ottimali: questo può determinare comportamenti e abitudini alimentari alquanto

disfunzionali. Oltre a motivazioni tecniche anche per gli sportivi esistono, infatti,

determinati modelli ed immagini ideali a cui riferirsi, ma ciò vale per tutti gli sport ma in

particolar modo per quegli sport ad alta componente estetica come ad esempio, appunto, il

body building. Non occorre guardare tanto lontano per capire come il body building abbia

influenzato la cultura contemporanea per quanto riguarda quello che viene definito per

eccellenza un fisico maschile possente e “scolpito”, anche se c’è da sottolineare che piano

piano sembra essere sempre più coinvolto anche il genere femminile. In realtà fino agli

inizi del XX secolo, il body building non era popolare ma lo divenne solo a partire dagli

87 Pope H. G. Jr., Philips K. A., Olivardia R. (2000). “The Adonis complex: the secret crisis of male body

obsession.” New York: Free Press. 88 Pickett T. C., Lewis R. J. & Cash T. F. (2005). “Men, muscle and body image: comparisons of competitive

bodybuilders, weight trainers and athletically active controls.” British journal of sports medicine, 39, 217-

222. 89 Smolak L., Murnen S. K. & Ruble A. E. (2000). “Female athletes and eating problems: a meta-analysis.”

International journal of eating disorder, 27, 371-380.

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anni ’40 quando Joe Weider imprenditore canadese) iniziò la pubblicazione di “Your

Physique”, una rivista con fini educativi per il sollevamento pesi; successivamente il nome

della rivista cambiò in “Muscle Builder” (1965), fu creata la famosissima gara Mr.

Olympia e vi fu il riconoscimento, da parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO),

dell’International Federation of Bodybuilders (IFBB) portando il body building ad essere

una parte integrante dello stile di vita delle masse90. Fin dall’inizio il body building è stato

presentato come un qualcosa che andava ben oltre il semplice sport configurandosi, per

praticanti e appassionati, come un vero e proprio stile di vita; il tutto si traduce in un

messaggio e in un modello preciso: il body builder, sia dilettante che professionista, deve

avere forza, capacità tecniche, flessibilità, equilibrio, un certo volume muscolare, la

massima definizione ed uno sviluppo simmetrico91. Occorre molta dedizione ed estrema

attenzione non solo riguardo ai programmi di allenamento ma anche e soprattutto la

preparazione dei pasti, ogni body builder, infatti, sa che per esserlo occorre rispettare

determinate regole alimentari, un rigoroso regime dietetico ed un costante controllo del

peso. Se è vero che oltre alla prestazione è importante anche come appare l’atleta lo è più

che mai nel body building dove il confronto con certi modelli ideali è continuo e motivante

per l’allenamento, modelli che gli atleti trovano spesso o nelle riviste oppure all’interno

della palestra in cui si allenano; alla luce di questi confronti è comunque frequente una

profonda insoddisfazione verso il proprio corpo, per tanto tempo l’attenzione è stata

sempre incentrata sui disturbi dell’immagine corporea negli sportivi concentrandosi a sua

volta sulle atlete femminili, in realtà la loro incidenza fra il sesso maschile ha avuto un

forte incremento negli ultimi anni92.

Pensare che l’anoressia riguardi prettamente il genere femminile è un grosso errore,

Stefano Erzegovesi, psichiatra, nutrizionista e responsabile del centro Disturbi del

Comportamento Alimentare Irccs presso l’Ospedale San Raffaele di Milano offre la sua

spiegazione dicendo che:” Se l’anoressia preferisce generalmente le ragazze è soprattutto

per una questione biologica perché le ragazze sono genericamente più forti nel sopportare

il digiuno. Quando un ragazzo inizia una dieta è molto più facile che ad un certo punto si

stanchi e la interrompa tornando a mangiare come prima, mentre una ragazza riesce ad

avere più costanza e anche più autocontrollo ed ottenere così un dimagrimento tale da farle

sentire gli effetti euforizzanti del digiuno. Questo è uno dei motivi biologici per cui le

90 Rhea A. L. (2004). “Costruire la bestia perfetta.” Firenze: Sandro Ciccarelli editore. 91 Hofmelker O. (2002). “The warrior diet.” (pp. 15-29). Firenze: Sandro Ciccarelli editore. 92 Nelson W. L., Hughes H. M., Katz B. & Searight H. R. (1999). “Anorexic eating attitudes and behaviours

of male and female college students.” Adolescence. 34, 621-633.

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donne sono più suscettibili al disturbo anoressico, perché sono geneticamente più resistenti

e riescono a mangiare di meno più a lungo rispetto ad un uomo; ma è un fenomeno

prettamente femminile anche per tutta una serie di aspetti sociali per cui l’immagine della

magrezza è più spinta verso il genere femminile.”.

I tempi però stanno cambiando e sempre più rapidamente e sempre più ci si imbatte in

fotografie di uomini dal fisico perfetto e invidiabile con inevitabili conseguenze anche per

gli uomini, così i casi di anoressia maschile sono in aumento sia per via di questo

fenomeno sia perché ora i medici sono più attendi ed è più facile diagnosticarla. “Se un

tempo nel nostro reparto l’anoressia maschile era una rarità, adesso mediamente su 20

persone abbiamo sempre un ragazzo” - continua Stefano Erzegovesi - “E’ un fenomeno più

raro ma allo stesso tempo più grave rispetto all’anoressia femminile: prima di tutto perché,

al contrario di quella femminile, è associata anche ad altri disturbi psichiatrici (come i

disturbi ossessivi-compulsivi o quelli di personalità) mentre nelle ragazze la versione più

comune è quella del disturbo anoressico puro; in secondo luogo perché nel momento in cui

c’è da seguire un programma di terapia il ragazzo fa più fatica a fidarsi perché avere un

disturbo concomitante rende il paziente più diffidente. L’anoressia maschile è rara ma

esiste: di fronte ad un dimagrimento eccessivo, a un ragazzo che inizia a diventare

silenzioso quando sta a tavola che sta attento a cosa mangia, che ha delle fissazioni

riguardanti il suo corpo e che rifiuta cibi che ha sempre mangiato senza problemi bisogna

soffermarsi un attimo.”.

In generale i sintomi sono simili in entrambi i sessi; si può parlare di forma restrittiva, la

classica anoressia nervosa, in cui il ragazzo o la ragazza mangia poco, o delle forme di

bulimia o disturbo da alimentazione incontrollata in cui si alternano fasi di “abbuffate” ad

altre di “eliminazione” del cibo assumendo lassativi, facendo attività fisica oppure

provocandosi il vomito con l’intento di eliminare subito tutto ciò che ha ingerito. Mentre

una forma tipicamente maschile è quella dell’anoressia inversa o vigoressia, in cui i ragazzi

non hanno la fissa della magrezza ma del corpo muscoloso.

“E’ una forma atipica” - sottolinea Erzegovesi – “perché manca la magrezza, ma siamo

comunque di fronte a ragazzi la cui vita è condizionata da un’ossessione, in questo caso per

il corpo e per i muscoli. La vigoressia arriva al medico ancora più raramente, si è riusciti

ad individuarla perché spesso queste persone fanno un uso notevole di anabolizzanti e altre

sostanze per arrivare ad ottenere un corpo perfetto. Arrivano dal medico solo quando

stanno male, ad esempio per un attacco di fegato o per altri danni causati da queste

sostanze, perciò i medici hanno collegato che chi abusava di questi farmaci aveva anche

questo tipo di fissazione a livello mentale.”. Va subito sottolineato però che fare attività

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fisica e andare in palestra fa bene, ma diventa anormale quando un hobby o una passione

diventa una vera e propria fissazione fino a sfociare nel patologico, ed è proprio ciò di cui

stiamo parlando cioè parliamo di ragazzi che non hanno una semplice passione della

palestra ma che hanno trasformato un passatempo in una vera e propria ossessione fino a

diventare la loro unica ragione di vita alienandosi dal contesto sociale e familiare.

“Sono prigionieri di una fissazione e non più del bisogno di essere in forma fisica” -

precisa Erzegovesi – “E’ difficile stimare una percentuale di persone colpite da vigoressia

perché raramente arrivano all’osservazione degli specialisti, ma i casi sono in notevole

aumento anche perché con internet è più facile procurarsi queste sostanze.”.

Quasi sempre i disturbi dell’anoressia sono legati a problemi di autostima e difficoltà a

relazionarsi con gli altri e spesso la terapia prevede diversi livelli di intervento, dallo

psicologo il quale va a lavorare proprio su questo aspetto per arrivare poi alla terapia

farmacologica. Il % dei ragazzi colpiti da disturbi del comportamento alimentare guarisce e

non ha ulteriori problemi in seguito, mentre circa un quarto guarisce e sta meglio,

riuscendo a riprendere una vita del tutto normale anche se ogni tanto convive con qualche

sintomo residuo non scomparso del tutto come per esempio fa fatica ad andare al ristorante

o mangiare con altre persone; e infine un altro 25% cronicizza e non guarisce, può avere

fasi di sollievo ma il cumulo della malattia rimane. “Il dato allarmante” - conclude

Erzegovesi – “è che di questo 25% circa il 10% muore. La mortalità nell’anoressia è un

fenomeno da segnalare assolutamente e da tenere sotto controllo, tra gli adolescenti è una

delle prima cause di morte e nei maschi poi ha anche una prognosi peggiore.”93.

93 http://www.linkiesta.it/it/article/2015/07/11/vigoressia-quando-lossessione-per-i-muscoli-diventa-una-

malattia.html

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CAPITOLO 2: I DATI STATISTICI.

2.1 L’EZIOPATOGENESI DEL DISTURBO DA DISMORFISMO

COPOREO.

Nel capitolo precedente abbiamo descritto il disturbo da dismorfismo corporeo nei suoi

vari aspetti ovvero in cosa consiste, le caratteristiche e soprattutto come diagnosticare il

disturbo in un soggetto. Ora però è necessario rispondere o perlomeno tentare di trovare

delle risposte alle seguenti domande: cos’è che può portare al disturbo da dismorfismo

corporeo? Quali sono le cause scatenanti? Come oramai sappiamo, il disturbo da

dismorfismo corporeo è una malattia complessa con una eziologia multifattoriale, esso

infatti sembra proprio essere il risultato di molteplici fattori di rischio, compresi gli agenti

eziologici di tipo biologico, psicologico e sociale che provocano lo sviluppo di questo

disturbo. Le esatte cause del disturbo da dismorfismo corporeo non sono note; tra i

meccanismi coinvolti è stata ipotizzata l’esistenza di un’alterazione nella

trasduzione/elaborazione degli stimoli visivi che porterebbe a valutare in modo scorretto il

proprio aspetto a prescindere dall’interferenza di fattori prettamente psicologici. Questa

relazione resta, tuttavia, da verificare; infatti studi di imaging cerebrale hanno evidenziato

inoltre delle anomalie di attivazione nelle aree cerebrali preposte all’elaborazione della

memoria verbale e non verbale e difetti di trasmissione degli stimoli nervosi tra queste

zone e la corteccia cerebrale prefrontale, analoghe a quelle riscontrate nel disturbo

ossessivo-compulsivo.

Che il disturbo abbia una base biologica e che sia correlato al disturbo ossessivo-

compulsivo, sia da questo punto di vista che da quello clinico, è dimostrato dal fatto che il

disturbo da dismorfismo corporeo tende a ripresentarsi in più membri della stessa famiglia

e in famiglie dove siano presenti una o più persone affette da disturbo ossessivo-

compulsivo; inoltre posta l’efficacia dei farmaci antidepressivi della classe degli SSRI

nel trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo, si ritiene pressoché certo un ruolo

chiave del sistema serotoninergico nell’insorgenza e nella convinzione della malattia. Sul

piano neuropsicologico, invece, si ritiene che lo sviluppo del disturbo da dismorfismo

corporeo sia causato da sollecitazioni esterne, che porta ad enfatizzare l’importanza

dell’aspetto fisico nella vita di tutti i giorni.

Un fattore predisponente lo sviluppo di disturbo di dismorfismo corporeo in giovane età è

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rappresentato dall'aver subito abusi o forti traumi psicologici nell'infanzia o essere stati

allevati in un contesto caratterizzato da un perfezionismo esasperato che non ha permesso

di sviluppare un adeguato livello di autostima. Una seconda fase della vita

particolarmente critica è quella che vede la comparsa delle prime rughe, la perdita di

luminosità della pelle, la caduta di qualche capello, il venir meno del tono di muscoli e

tessuti: tutti eventi inevitabili per ogni essere umano, che a qualcuno possono apparire

inaccettabili e da contrastare con ogni mezzo a disposizione, spesso, ottenendo risultati

peggiori dell'inestetismo che si voleva eliminare e, comunque, soltanto transitori.

Il Disturbo da Dismorfismo Corporeo, come tutti gli altri disturbi psicologici, ha diverse

cause che possono spiegarne l'eziopatogenesi cioè l'insieme dei fattori psicologici e

biologici e delle condizioni socio-ambientali che possono spiegare l'insorgenza di un dato

disturbo; tuttavia riteniamo che, ai fini del trattamento del DDC come di altri disturbi, sia

di prioritaria importanza conoscere, piuttosto che i motivi per cui il disturbo è insorto, le

cause per le quali esso persiste. È noto, infatti, che l'insorgenza di un dato disturbo

psicologico non sia, di per sé, in grado di produrne il proprio mantenimento. Per accadere,

devono subentrare fattori e condizioni particolari, la cui insorgenza è facilitata dalla

presenza del disturbo stesso.

Sono sempre maggiori gli studi che si concentrano proprio sulle cause di mantenimento

del dismorfismo corporeo come ad esempio quello di due ricercatori, Neziroglu e Veale,

che risulta essere molto più esaustivo rispetto ad altri studi nel rendere conto di tali

meccanismi. Con l'aiuto di un esempio pratico, di seguito spiegheremo come questo

disturbo possa mantenersi a causa di fattori di tipo emotivo, cognitivo e comportamentale

studiati dai due ricercatori e per farlo utilizzeremo uno schema, sperando possa facilitare

la comprensione di quanto esposto.

Utilizziamo l'esempio di una ragazza che vede la forma delle proprie orecchie come

difettosa, e consideri tale difetto come grave ed evidente: potremmo, in questo caso,

trovarci al cospetto di un disturbo di dismorfismo corporeo. Se il disturbo è grave, il

tempo speso a pensare al proprio difetto sarà molto ampio, ma difficilmente arriverà ad

estendersi ad ogni ora del giorno, tutti i giorni. Più tipicamente, invece, le preoccupazioni

e le emozioni collegate con il difetto immaginato vengono innescate da un evento; un

possibile innesco, nel nostro esempio, è guardarsi allo specchio. Questo evento, per una

persona con dismorfismo, non è neutrale, poiché innesca a sua volta tutta una serie di

immagini e pensieri relativi al sé come “oggetto estetico" (Figura 1).

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Figura 1.

In altre parole, le persone con dismorfismo hanno determinate convinzioni relative alla

propria immagine corporea dal punto di vista di un osservatore esterno e cioè come se

fossero nei panni di un’altra persona che li osserva. Non è detto che tale immagine sia più

precisa di quella che hanno le persone non dismorfiche, ma è certo che le persone

dismorfiche attribuiscono a tale immagine molta più importanza di quanto non facciano le

persone che non soffrono di tale disturbo. Tali convinzioni sulla propria immagine vista

dall'esterno favoriscono l'emissione di una valutazione negativa della parte del corpo

percepita come difettosa (in questo caso le orecchie) (Figura 2).

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Figura 2.

Tale valutazione negativa comporterà automaticamente l'aumento dell'attenzione che la

persona pone sul proprio difetto immaginato e sui pensieri ed emozioni collegati al fatto di

avere parti del corpo giudicate dagli altri e soprattutto da sé stesso come difettose (Figura

3).

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Figura 3.

L'aumento di tale attenzione provocherà, a sua volta, l'accrescimento, da un lato delle

emozioni negative (rabbia, vergogna, depressione ecc., Figura, freccia blu) e dall'altro del

giudizio negativo su di sé (Figura 4, freccia gialla).

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Figura 4.

Per contrastare le emozioni e i pensieri collegati alla convinzione di avere un difetto fisico,

in genere vengono messi in atto tutta una serie di comportamenti, fra cui l'evitamento

(ovvero non mostrare le proprie orecchie, coprirle con i capelli, ecc.), la ricerca di

rassicurazioni (ovvero chiedere conferma agli altri di quanto le proprie orecchie sono o non

sono difettose) e i cosiddetti check (come ad esempio: toccarsi le orecchie quando non si è

allo specchio, per giudicarne la forma; guardarsi le orecchie allo specchio molte volte al

giorno, ecc.…). Tali comportamenti producono un aumento dell'attenzione sulla

caratteristica giudicata difettosa (Figura 5, freccia verde) e dei giudizi negativi sulla

propria immagine corporea (Figura 5, freccia rossa).

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Figura 5.

Attraverso questo circolo vizioso, che può innescarsi e ripresentarsi anche decine di volte

al giorno, il dismorfismo corporeo si mantiene e può aggravarsi nel tempo.

2.2 FENOMENOLOGIA E DEMOGRAFIA DEL DISTURBO.

I pazienti con il disturbo da dismorfismo corporeo sono intensamente preoccupati per un

difetto immaginato o in modo del tutto eccessivo in alcuni aspetti della loro apparenza,

guardandolo con “odio, ripugnanza e vergogna”, delle volte al punto di essere “torturato”

dalla loro preoccupazione e incapaci di pensare ad altro. Più comunemente, i lamenti di

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questi soggetti coinvolgono i difetti del viso come ad esempio le rughe, chiazze, cicatrici,

marcatura vascolare, acne, pallore o rossore della carnagione, eccessivi peli sul viso, o

anormalità dei capelli come l’assottigliamento accompagnato da una paura nell’impedire la

calvizie.

Qualsiasi altra parte del corpo può essere il focus della preoccupazione, includendo i

genitali, il seno, le natiche, l’addome94, le braccia, le mani, i piedi, le gambe, i fianchi, le

spalle, la colonna vertebrale o la pelle; a differenza dei pazienti con anoressia che soffrono

di transessualismo, essi non hanno un disturbo del corpo nel complesso.

Sebbene la prevalenza del disturbo da dismorfismo corporeo sia sconosciuta,

probabilmente non è rara, contrariamente a quanto affermava Morselli secondo il quale il

DDC era un disturbo non comune. Fitts et al. nel 1989 hanno provato ad estimare la sua

prevalenza all’interno di una popolazione non clinica e hanno scoperto che il 70% dei 258

studenti di college hanno riportato alcune insoddisfazioni ed il 46% hanno riportato alcune

preoccupazioni con un aspetto della loro apparenza; il 28% sembra che abbia riscontrato

tutti i criteri di questo disturbo. Tuttavia, questa scoperta sembra probabilmente

sopravvalutare la prevalenza del disturbo da dismorfismo corporeo perché l’anoressia

nervosa e la preoccupazione legata al solo peso non era esclusa e la diagnosi veniva fatta

tramite un questionario.

Nei campioni psichiatrici clinici, sembrerebbe che il disturbo da dismorfismo corporeo è

probabile che sia sottorappresentato e sotto diagnosticato a causa della segretezza dei

pazienti sui loro sintomi e la loro riluttanza ad andare a cercare un trattamento

psichiatrico95; infatti, gli psichiatri probabilmente vedono una piccola frazione dei pazienti

con questo disturbo, molti dei quali consultano dermatologi o chirurghi plastici.

Il rapporto delle donne con gli uomini nei casi riportati è approssimativamente 1.3:1,

sebbene il 62% di 274 individui dismorfofobici i quali hanno ricorso alla chirurgia estetica

erano maschi; più individui con il disturbo da dismorfismo corporeo non sono sposati;

l’85% dei soggetti in casi clinici di individui di 19 anni o più grandi erano single. L’età di

esordio è solitamente dalla prima adolescenza fino ai 20 anni; 19 anni è l’età media nei casi

riportati, ma i pazienti aspettano una media di più di 6 anni prima di ricorrere al

trattamento psichiatrico.

94 Bezoari M., Falcinelli D.: “Immagine del corpo e relazioni oggettuali: note sulla dismorfofobia.” Rass

Studi Psychiat 1977; 66:489-510. 95 Korkina M. B., “The syndrome of dysmorphomania (dysmorphophobia) and the development of

psychopatic personality.” Zh Neuropatol Psikiatr 1965; 65:1212-1217.

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2.3 LE TEORIE COGNITIVE-COMPORTAMENTALI.

Le teorie comportamentali cognitive utilizzano un’analisi a tre sistemi come un modo di

concettualizzare i fenomeni clinici96. Le seguenti analisi perciò prendono in considerazione

le componenti comportamentali, cognitive e affettive del disturbo da dismorfismo

corporeo.

LA COMPONENTE COGNITIVA.

Percezione dell’immagine corporea. Un chirurgo plastico, Harris (1981)97, ha

proposto il termine “esteticità” per descrivere la sensibilità della percezione

estetica; egli discute sul fatto che questa variazione di sensibilità delle proporzioni

estetiche determina il perché un individuo può essere gravemente disturbato da un

piccolo difetto e di conseguenza va alla ricerca di un chirurgo plastico.

L’attenzione selettiva è un importantissimo fattore nel mantenimento di disturbi

emotivi gravi98; per esempio l’attenzione auto-focalizzata incrementerà la

consapevolezza del soggetto delle sensazioni corporee interne99. Un esempio è il

DAP ovvero il disturbo di attacchi di panico nel quale i pazienti sono più accurati

nell’estimare il loro ritmo cardiaco rispetto ai normali controlli100; una

consapevolezza intensificata delle sensazioni corporee non incrementa

necessariamente l'accuratezza delle valutazioni sulla causa delle sensazioni e un

paziente con attacchi di panico il quale ha una intensificata percezione del suo

cuore è probabile che fraintenda le sensazioni come una evidenza di una malattia

cardiaca101.

Un’ipotesi centrale da testare è quindi che i pazienti con disturbo da dismorfismo

corporeo prestano selettivamente attenzione al loro difetto percepito e che questo è

96 Lang P. J. (1970). “Stimulus control, response control and the desensitization of fear.” Learning

approaches to therapeutic behaviour, Chicago: Aldine Press. 97 Harris D. (1981). “The symptomatology of abnormal appearance: an anecdotal survey.” British journal of

plastic surgery, 35, 312-323. 98 Wells A., Matthews G. (1994). “Attention and emotion.” Hillsdale: Lawrence Erlbaum Associates. 99 Scheier M. F., Carver C. S. & Matthews K. A. (1983). “Attentional factors in the perception of bodily

states.” In J. T. Cacioppo & R. E. Petty (Eds.), Social psychopathology. New York, Pergamon Press. 100 Ehlers A. & Breuer P. (1992). “Increased cardiac awareness in panic disorder.” Journal of abnormal

psychology, 101, 371-382. 101 Gibbons F. X. & Gaeddert W. D. (1984). “Self-focus and placebo utility.” Journal of experimental social

psychology, 20, 159-176.

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un fattore di mantenimento nel loro disturbo. L’ipotesi predice che i pazienti con

disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbero essere estremamente perspicaci e più

attenti sul loro aspetto rispetto ai controlli sani. L’unica evidenza indiretta per

questo finora viene da Jerome nel 1980 il quale ha studiato un gruppo di 19 pazienti

su una lista d’attesa per la rinoplastica e 15 per i controlli di salute; tutti i pazienti

hanno avuto un controllo iniziale fatto da un chirurgo estetico, ma non sono stati

considerati tali da richiedere un’attenzione urgente e così furono messi in una lista

d’attesa. Jerome scoprì che i pazienti erano più attenti, rispetto ai controlli di salute,

nell’estimare la misura del loro naso e inoltre scoprì che essi hanno trascorso più

tempo guardando la loro caratteristica tra gli specchi. I pazienti erano classificati da

un medico su una scala di deformazione che va da 1 (“caratteristica perfetta”) e 9

(“imperfezione molto marcata”); la gamma dei giudizi degli osservatori erano da 2

(“caratteristica quasi perfetta”) a 8 (“imperfezione marcata”) con una notevole

variazione all’interno e tra i valutatori. Non fu registrata nessuna diagnosi di forma

psichiatrica perciò non si sa quale proporzione del soggetto dovrebbe aver ricevuto

una diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo; se le scoperte sono generalizzate

ai pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo, allora i pazienti con tale disturbo

dovrebbero avere una più elevata e una più accurata rappresentazione di queste

parti del loro corpo considerate come “difettose”; questa elevata percezione può

avere una influenza negativa oltre che a qualsiasi giudizio estetico o convinzioni

sulla loro immagine corporea nello stesso modo in cui una elevata percezione del

ritmo cardiaco ha una influenza negativa sul suo significato nel disturbo di panico.

Si ipotizza che i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo hanno una

attenzione selettiva più elevata sul loro difetto percepito rispetto ai pazienti che si

sottopongono alla chirurgia estetica a causa della loro preoccupazione legata

all’immagine corporea; inoltre è stato ipotizzato che i pazienti con DDST (ovvero il

“Digit symbol substitution test”) prestano selettivamente attenzione al loro difetto

corporeo percepito più dei pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo mentre le

loro convinzioni riguardo la loro immagine corporea sono anche più gravi. Al

contrario, alcuni pazienti con disturbi alimentari probabilmente tendono ad evitare

di osservare i loro corpi (per esempio fissandosi continuamente allo specchio):

questo può essere un ulteriore fattore che contribuisce la libera rappresentazione

mentale dell’immagine corporea e la sovra stimazione della misura corporea che

non è discussa nel modello di alterazione dell’immagine corporea di Slade (1994).

Il fatto di fissarsi allo specchio ha anche dimostrato che riduce la considerazione

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della misura corporea nei pazienti con disturbi alimentari102. Alcuni possono evitare

selettivamente le loro deformazioni in modo da non ricordare a sé stessi il proprio

difetto, altri tuttavia possono essere “selettivamente neutrali”.

Convinzioni e attitudini verso l’immagine corporea. Le attitudini verso l’immagine

corporea possono includere un’esigenza di perfezionismo o di simmetria nell’aspetto di

un individuo. In una ricerca di 50 pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo, il

69% hanno affermato fortemente la convinzione “Io devo avere la perfezione nel mio

aspetto”103; simili convinzioni avranno bisogno di essere paragonati ai soggetti di altri

disturbi dell'immagine corporea per determinare la loro specificità. Negli esseri umani,

le donne con dei seni alla pari furono scoperte essere più feconde rispetto ad un gruppo

di donne dotate di un seno meno uniforme; in un altro studio condotto da Thornhill &

Gangestad104 nel 1994, gli uomini hanno preferito fotografie di donne con

caratteristiche facciali simmetriche e viceversa. Le mascelle allargate, i menti e gli

zigomi sono esempi di caratteristiche sessuali facciali secondarie che sono considerate

dalle donne sessualmente attraenti. L'evidenza emergente dalla letteratura suggerisce

un certo numero di possibili ipotesi sull’eziologia del disturbo da dismorfismo

corporeo che devono essere esclusi:

1. I pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo sono meno simmetrici nella loro

apparenza e hanno meno attrazione verso le caratteristiche facciali sessuali

secondarie rispetto ai controlli sani oppure rispetto i pazienti con altri disturbi

psichiatrici;

2. i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo nei pazienti con deformazioni che

vanno alla ricerca della chirurgia plastica sono più sensibili nella loro percezione

estetica alla mancanza di simmetria e misura di caratteristiche sessuali secondarie

confrontate con i controlli sani.

Se le prime ipotesi sono state dimostrate la definizione corrente diventerebbe

fondamentalmente scorretta. C'è un supporto limitato per le ipotesi in uno studio fatto da

102 Norris D. L. (1984). “The effects of mirror confrontation on self-estimation in anorexia nervosa, bulimia

and two control groups.” Psychological medicine, 32, 573-577. 103 Veale D., Boocock A., Gournay K., Dryden W., Shah F., Willson R. & Walburn J. (1996). “Body

dysmorphic disorder- a survey of 50 cases.” British journal of psychiatry, 169, 196-201. 104 Thotnhill R. & Gangestad S. W. (1994). “Human fluctuating asymmetry and sexual behaviour.”

Psychological science, 5, 297-302.

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Thomas e Goldberg105 nel 1995 i quali hanno condotto la morfo-analisi su tre gruppi; essi

non hanno specificamente esaminato per asimmetria o misura delle caratteristiche sessuali

secondarie ma hanno misurato un certo numero di dimensioni tra i punti di riferimento

anatomici come ad esempio la distanza tra gli occhi ed un’immagine frontale e laterale. Se

la prima ipotesi è corretta rispetto alla seconda ipotesi è che i pazienti disturbo di

dismorfismo corporeo possono essere migliori nell'individuare tali differenze; potrebbe

essere che la maggior parte dei professionisti della salute e il pubblico in generale non sono

a conoscenza delle sottili differenze nell’asimmetria facciale o la misura delle

caratteristiche facciali sessuali secondarie: questo è collegato al concetto di estetica come

proposto da Harris nel 1981. L'ipotesi alternativa è che i pazienti con disturbo da

dismorfismo corporeo sono altrettanto simmetrici e hanno la stessa misura delle

caratteristiche sessuali secondarie e non sono migliori nell'individuare l'attrazione in altri

ma sono diventati più consapevoli di queste caratteristiche presenti in sé stessi a causa

della loro attenzione selettiva ed una maggiore richiesta per simmetria e perfezione nelle

loro attitudini. Il bisogno di simmetria e precisione negli oggetti o attività è un sintomo ben

riconosciuto del disturbo ossessivo compulsivo il quale è solitamente associato con la

ripetizione del conteggio delle compulsioni106; i sintomi del disturbo da dismorfismo

corporeo sono molto simili alla descrizione di Janet dei pazienti con disturbo-ossessivo

compulsivo i quali sono tormentati da un senso interno di imperfezione e sentire che le

loro azioni non sono mai stati raggiunte dalla loro soddisfazione107, infatti l'associazione ad

una richiesta di simmetria rafforza l'ipotesi che il disturbo da dismorfismo corporeo è uno

spettro del disturbo ossessivo compulsivo collegato ad altri disturbi.

Altre attitudini sul difetto percepito furono studiati in un questionario somministrato a 50

pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo; i pazienti hanno fortemente appoggiato

frasi del tipo:“ Se non sono attraente allora resterò da solo isolato per tutta la mia vita”

oppure “Se non sono attraente allora non sono amabile”, convinzioni abbastanza negative

sul non essere attraente sono connessi a dei fattori culturali e biologici potenti che si

riferiscono all'abilità di una persona di attrarre o meno un partner. Walster, Aronson,

Abrahams e Rottman108 nel 1966 hanno dimostrato in uno studio che per alcuni studenti

105 Thomas C. S. & Goldberg D. P. (1995). “Appearance, body image and distress in facial

dysmorphophobia.” Acta psychiatrica scandinavica, 92, 231-236. 106 Baer L. (1994). “Factor analysis of symptom subtypes of obsessive-compulsive disorder and their relation

to personality and tic disorders.” Journal of clinical psychiatry, 55, 18-23. 107 Pitman R. K. (1987). “Pierre Janet on obsessive-compulsive disorder (1903) review and commentary.”

Archives of general psychiatry, 44, 226-232. 108Walster E. A., Aronson V., Abrahams D. & Rottman L. (1966). “Importance of physical attractiveness in

dating behaviour.” Journal of personality and social psychology, 4, 508-516.

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destinati ad un appuntamento al buio solo un fattore ha previsto una soddisfazione e questo

fattore è l'attrazione fisica. Psicologi esperti hanno ripetutamente dimostrato che

l'attrazione è veramente importante in qualsiasi contesto sociale in quanto gli individui

rispondono più positivamente alle persone fisicamente attraenti.

Tuttavia si è ipotizzato che:

1. I pazienti con reali difetti che si sottopongono alla chirurgia estetica dovrebbero

tenere tali attitudini sulla apparenza meno fortemente rispetto ai soggetti con

disturbo da dismorfismo corporeo e renderli più condizionali sopra ogni

circostanza.

2. i pazienti con reali deformazioni i quali non sono emotivamente bene adattati

approveranno queste attitudini anche meno fortemente rispetto a quelli che sono

emotivamente angosciati e che vanno alla ricerca della chirurgia estetica ma verrà

fatta loro una valutazione più forte rispetto ai controlli esami senza alcun difetto.

I SISTEMI AFFETTIVI E PSICOLOGICI.

Abbiamo scoperto che i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo tendono a

sperimentare un mix di emozioni i quali possono trovare difficoltà da articolare e

districare. Crediamo che essi provano disgusto verso il proprio corpo il quale aumenta

sempre più ogni qualvolta che essi sono esposti agli stimoli che sono associati con il loro

difetto percepito; essi tendono anche a provare un senso di ansia ed eccitazione psicologica

la quale tende ad aumentare in determinate situazioni sociali. C'è un'alta frequenza dei

sintomi depressivi in quali se abbastanza gravi possono essere parte di un disturbo di

comorbidità; i sintomi depressivi possono essere parzialmente secondari all'isolamento

sociale e alla frustrazione di non essere capace di convincere gli altri sul loro difetto

percepito e le convinzioni di inutilità e di disperazione nel futuro. I pazienti che ricorrono

alla chirurgia estetica in teoria dovrebbero avere meno angoscia emotiva sul loro corpo

rispetto al disturbo da dismorfismo corporeo perché la loro attenzione è meno focalizzata

sulla loro apparenza, le loro attitudini sono meno rigide ed inoltre essi hanno la speranza di

cambiare grazie, appunto, alla chirurgia estetica.

LA COMPONENTE COMPORTAMENTALE.

I comportamenti nel disturbo da dismorfismo corporeo sono entrambi eccessivi, in termini

di ore di auto ispezione e controllo negli specchi o altre superfici riflettenti come ad

esempio le vetrine nei negozi oppure possono consistere in una miriade di comportamenti

di evitamento in situazioni sociali i quali perpetuano il disturbo. Abbiamo identificato un

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numero di verifiche diverse e rituali ripetuti i quali hanno delle funzioni differenti per

pazienti differenti:

1. Il controllo sul camuffamento. Il controllo ripetuto del difetto percepito tramite uno

specchio può essere diretto a garantire qualsiasi altro camuffamento (come ad

esempio il trucco, gli occhiali da sole oppure la posizione dei capelli) il che sarebbe

adeguato nascondere il difetto percepito in pubblico. Questo tipo di controllo

includerebbe anche la ricerca di rassicurazione da altri sentendosi dire che il difetto

è ben nascosto. È ipotizzato che i controlli di camuffamento dovrebbero essere

molto evidenti nei soggetti più interessati alla valutazione sociale, a prescindere dal

fatto che essi soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo o meno. Il controllo sul

camuffamento dovrebbe verificarsi meno frequentemente nei pazienti con reali

deformazioni i quali sono emotivamente ben adattati.

2. Il controllo sul comfort. Il controllo ripetuto di un difetto in maniera ritualistica può

essere diretto al raggiungimento di un senso di soddisfazione interna fino a che il

paziente si sentirà “adeguato”. Un esempio è fornito da una paziente la quale

ripetutamente pettinava e curava i suoi capelli per ore fino a quando non si sentiva

bene e fino a quando essa era convinta di avere un caschetto perfetto; un'altra

paziente si spellava ripetutamente la pelle del viso fino a quando anch’essa non

sentiva la sua pelle “liscia e morbida.”. I criteri usati per fermare un rituale

sembrano avere una somiglianza impressionante con i pazienti che soffrono di

disturbo ossessivo-compulsivo che abbiamo appena descritto. Richards109 nel 1995

scoprì che i pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo erano più probabili usare i

criteri che erano focalizzati su una qualità soggettiva di esperienza (per esempio il

sentimento di adeguatezza oppure le cose che fanno stare bene) oppure l'utilizzo di

una regola idiosincratica per terminare un rituale. L'ipotesi è che questo tipo di

controllo basato sui criteri interni dovrebbe essere evidente nel disturbo da

dismorfismo corporeo ma non dovrebbe verificarsi nei pazienti con reali

deformazioni i quali ricorrono alla chirurgia estetica oppure sono emotivamente

ben adattati.

3. I controlli oltre i dubbi. Il controllo del difetto percepito può anche verificarsi a

causa di alcuni dubbi sulla sua gravità. È ipotizzato che questo tipo di controllo

dovrebbe essere guidato da una percezione intensificata dell'immagine corporea

109 Richards C. H. (1995). “The cognitive phenomenology of OCD repeated rituals.” Post presented at World

Congress of behavioural and cognitive therapies, Copenhagen.

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portando così i pazienti a controllare ripetutamente la natura di questo difetto e

raccogliere più informazioni possibili su di esso. A tal proposito i pazienti possono

anche mentalmente paragonare la loro anomalia percepita con altri oppure andando

a cercare rassicurazione da altri sulla gravità del difetto. È ipotizzato che:

I pazienti con reali difetti i quali ricorrono alla chirurgia estetica dovrebbero

controllare di meno e discuterne con il chirurgo in modo tale che poi essi

possano concordare sulla anomalia e sul fatto che non vi è alcun dubbio sulla

gravità del difetto.

I pazienti con reali difetti i quali sono emotivamente ben adattati dovrebbero

controllare di meno rispetto ai pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo in

quanto non vi è alcun dubbio nella loro testa riguardo la gravità del loro difetto.

I pazienti con DDST (ovvero con il disturbo delirante di tipo somatico)

dovrebbero verificare di meno rispetto ai pazienti con disturbo da dismorfismo

corporeo in quanto essi sono fermamente convinti sul loro difetto e non hanno

dubbi sulla gravità di esso.

Nel nostro studio di 50 soggetti con disturbo da dismorfismo corporeo (Veale at al., 1996),

abbiamo scoperto che l’80% di essi venne classificato come dei “controllori” (se essi

stavano controllando il loro difetto percepito in almeno metà dei giorni del mese

precedente) e il 18% fu classificato come “evitatori” (se essi stavano evitando di guardare

alle loro difetto percepito con la stessa frequenza); il 10% è risultato essere entrambi

ovvero sia “controllori” che “evitatori” con la stessa frequenza, forse dipendendo dal loro

stato d'animo o dalla loro situazione. Si è ipotizzato che l'evitamento di un difetto percepito

dovrebbe essere evidente ogni volta che il sentimento di disgusto verso il difetto percepito

sia elevato. Ogni volta che l'individuo controlla o evita il suo difetto percepito, c'è un

evitamento frequente delle situazioni sociali e pubbliche; alcuni pazienti possono sentirsi

costretti a stare a casa ed evitare così di mostrare il loro difetto percepito in pubblico.

Crediamo che una più dettagliata analisi funzionale sui rituali di controllo e il

comportamento di evitamento necessitano di essere portati a termine dai pazienti con

disturbo da dismorfismo corporeo e che collega questi comportamenti con le loro

specifiche convenzioni.

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2.4 FATTORI PREDISPONENTI, SCATENANTI E DI

MANTENIMENTO NEL DDC.

Come sappiamo il disturbo da dismorfismo corporeo fa parte dei disturbi somatoformi i

quali sono inseriti all’interno del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi

mentali); tra i disturbi somatoformi troviamo sette disturbi che hanno una caratteristica che

li accomuna tutti, ovvero una lamentela fisica o una preoccupazione somatica che non è

meglio attribuibile ad una condizione medica generale o ad un altro disturbo mentale. I

sette disturbi somatoformi sono i seguenti:

Disturbo di conversione;

Disturbo di somatizzazione;

Disturbo somatoforme indifferenziato;

Disturbo algico;

Ipocondria;

Disturbo di dismorfismo corporeo;

Disturbo somatoforme non altrimenti specificato (NAS).

Sono disturbi al limite tra le condizioni mediche generali e i disturbi mentali, e i soggetti

che presentano questi quadri tendono a fare la spola tra ambienti medici e psichiatrici;

questo può portare a diagnosi errate da entrambe le parti (per es., un soggetto con disturbo

di somatizzazione può subire molti interventi chirurgici non necessari, e ad un paziente con

sclerosi multipla può essere diagnosticato un disturbo di conversione).

Importante è la diagnosi differenziale con:

1. Sintomi fisici attribuibili ad una condizione medica generale che non si è ancora

manifestata;

2. Sintomi fisici meglio attribuibili ad un altro disturbo psichico (per es., Disturbo di

Panico, Disturbo Depressivo Maggiore, Astinenza da Cocaina);

3. Sintomi fisici prodotti intenzionalmente dal soggetto (Disturbo fittizio,

Simulazione).

Come abbiamo accennato precedentemente il disturbo da dismorfismo corporeo è

strettamente correlato a questi disturbi somatoformi appena elencati in quanto hanno,

appunto, una caratteristica in comune che consiste nel fatto che il soggetto percepisce dei

difetti sul suo corpo anche se magari non ne ha ma è convinto di averne tanto da far

scaturire tutta una serie di conseguenze psicologiche che in qualche maniera vanno ad

intaccare e quindi ad incidere negativamente sul suo corpo e sul suo organismo talvolta con

effetti davvero terribili.

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Il confine fra questo disturbo e le normali preoccupazioni ed insoddisfazioni per il proprio

aspetto fisico è difficile da definire, e la diagnosi dovrebbe limitarsi a quelle persone che

sono dominate e tormentate dalla preoccupazione, fino a passare molte ore allo specchio

oppure dedicare molto tempo a cercare di nascondere il presunto difetto con la convinzione

che tutti lo notino. La diagnosi viene fatta di solito dai chirurghi plastici, ai quali questi

pazienti si rivolgono nella speranza, spesso vana, di trovare sollievo alla loro angoscia.

Oltre a questi disturbi il DDC è collegato anzi, per meglio dire, potrebbe collegarsi ad altri

due disturbi fondamentali che possiamo in qualche maniera considerarli come una sorta di

conseguenza al DDC: parliamo della fobia sociale e dei disturbi del comportamento

alimentare.

La fobia sociale.

Il disturbo d’ansia sociale (DAS) noto anche come fobia sociale è un disturbo

d’ansia caratterizzato da un’intensa paura che provoca notevole disagio. La

diagnosi del disturbo d’ansia sociale può essere di disturbo specifico (quando sono

temute solo alcune situazioni particolari) o un disturbo generalizzato. Il disturbo

d’Ansia generalizzato sociale solitamente comporta una persistente, intensa, paura

cronica di essere giudicati dagli altri e di essere imbarazzati o umiliati dalle proprie

azioni; questi timori possono essere attivati da un controllo apparente o reale dagli

altri. Quando i soggetti con fobia sociale pensano di essere in pericolo di

valutazione dagli altri, essi spostano l’attenzione al monitoraggio dettagliato e

all’osservazione di sé stessi, in poche parole sembrano usare l’informazione per

costruire una opinione per una convinzione oppure un’immagine che poi assumono

altre persone e che tengono su di loro; invece di essere coinvolti nel mondo esterno

e magari frequentare altre persone i soggetti con fobia sociale si girano verso

l’interno per avere informazioni su sé stesso e ritengono che gli altri li stanno in

qualche modo valutando. Questo è stato descritto da fattori che sono stati nominati

“ragionamenti emotivi” (“perché mi sento inadeguato, è il fatto che sono

inadeguato”) e “la lettura della mente” (ritenendo che gli altri pensano allo stesso

modo senza nessuna dimostrazione).

I disturbi da comportamento alimentare.

Per i disturbi del comportamento alimentare (DCA) la letteratura segnala

costantemente l’importanza di integrare i tradizionali metodi ed approcci di

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trattamento con specifici interventi sugli aspetti nucleari del disturbo con il solo

scopo di migliorarne l’efficacia e allo stesso tempo l’efficienza. Sebbene i disturbi

da comportamento alimentare non possano essere considerati dei veri e propri

disturbi dell’immagine corporea, negli ultimi cinquant’anni un vasto numero di

indagini ha confermato il ruolo importante che una sua alterazione ha sia nello

sviluppo che nel loro mantenimento,

Perciò, a tal proposito, la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) offre degli

ottimi strumenti di trattamento, appunto, che comportano una perfetta sintonia tra le

strategie sia per i disturbi da comportamento alimentare che per quelli da

dismorfismo corporeo.

La presenza dei criteri diagnostici esposti nel §1.3 dovrebbe far pensare alla

presenza di un problema di dismorfismo, tenendo in dovuta considerazione il fatto

che essi possono presentarsi ad un diverso grado di gravità da persona a persona e

in periodi diversi, e produrre quindi dismorfismo corporeo di diversa gravità.

Come abbiamo detto nel §1.2 il disturbo da dismorfismo corporeo è caratterizzato

principalmente per la continua preoccupazione del soggetto relativa ad eventuali e

forse improbabili difetti del proprio corpo; la costante presenza di questa

preoccupazione relativa ad ipotizzati difetti corporei è riscontrata anche in altri

disturbi, primo tra tutti i disturbi alimentari. Nell’anoressia nervosa, ad esempio, la

persona è costantemente preoccupata per la propria forma corporea e nello

specifico è preoccupata per il proprio peso ed è convinta di avere qualche forma in

più; per questo motivo è molto importante, nella formulazione della diagnosi del

dismorfismo corporeo, escludere la presenza di preoccupazioni che possano essere

riferibili ad un disturbo alimentare, per fare ciò occorre indagare sulla natura di

questa preoccupazione del paziente. Nel dismorfismo, infatti, essa non è collegata

alla forma del corpo ed al peso; sebbene anche nell’anoressia si riscontrino spesso

delle preoccupazioni importanti relative a delle parti specifiche del corpo, nel

dismorfismo corporeo tali preoccupazioni vengono solitamente considerate le

principali. In poche parole la persona con anoressia nervosa riferisce, in maniera

particolare, una preoccupazione specifica relativa al peso e alle proprie forme,

mentre la persona con dismorfismo corporeo riferisce di avere delle preoccupazioni

per la forma del proprio naso, del proprio viso, per la sottigliezza o lo spessore dei

propri capelli, per la forma delle mani, del proprio seno ecc. Se ad essere presenti

sono principalmente preoccupazioni relative a peso e forma corporea non sarebbe

corretto diagnosticare un disturbo da dismorfismo corporeo ma sarebbe più

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opportuno rivolgere la propria attenzione ad una diagnosi della sfera dei disturbi

alimentari.

Abbiamo identificato cinque studi i quali hanno esaminato gli effetti del DDC e del DOC

sulla suicidalità ma solo due di questi studi si sono focalizzati sulla comorbidità del

disturbo da dismorfismo corporeo con il disturbo ossessivo-compulsivo110 111; questi due

studi hanno dimostrato che gli individui con comorbidità di disturbo da dismorfismo

corporeo con il disturbo ossessivo-compulsivo hanno avuto un rischio incrementato di

suicidalità al di là del disturbo ossessivo-compulsivo. Gli studi di confronto tra i livelli di

suicidalità tra due gruppi distinti di pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo

da dismorfismo corporeo hanno dimostrato che l’ideazione suicidaria era

significativamente più elevato nei gruppi con disturbo da dismorfismo corporeo rispetto ai

gruppi con disturbo ossessivo-compulsivo ma nessuna differenza era osservata nelle scale

di tentativi di suicidio.

In aggiunta al disturbo ossessivo-compulsivo, Phillips et al.112 (2005) hanno dimostrato che

una gamma di diagnosi psichiatriche con comorbidità erano probabilmente implicate nei

percorsi sottostanti di suicidalità nei soggetti con DDC, come disturbi depressivi, disturbi

alimentari, disturbo post-traumatico da stress e disturbi di personalità.

Tra questi, il disturbo con comorbidità maggiore fu scoperto essere il più forte predittore

dell’ideazione suicidaria nel disturbo da dismorfismo corporeo, laddove il disturbo post-

traumatico da stress con comorbidità, i disturbi da uso di sostanze erano i più forti

predittori dei tentativi di suicidio nel DDC. Due studi supplementari hanno riportato

sostanzialmente un rischio incrementato di tentativi di suicidio nel disturbo da dismorfismo

corporeo dovuto alla presenza dell’anoressia nervosa con comorbidità113 e i disturbi da

utilizzo di sostanze114.

Il disturbo da dismorfismo corporeo ha una prevalenza stimata che varia da 0.7 a 2.4%

110 Coincecao Costa D. L., Chagas Assuncao M., Arzeno Ferrao Y., Archetti Conrado L., Hajaj Gonzalez C.,

Franklin Fontenelle L. et al. (2012). “Body dysmorphic disorder in patients with obsessive-compulsive

disorder: prevalence and clinical correlates.” Depression and anxiety, 29, 966-975. 111 Frare F., Perugi G., Ruffolo G. & Toni C. (2004). “Obsessive-compulsive disorder and body dysmorphic

disorder: a comparison of clinical features.” European psychiatry, 19, 292-298. 112 Phillips K. A., Coles M. E., Menard W., Yen S., Fay C. & Weisberg R. B. (2005). “Suicidal ideation and

suicidal attempts in body dysmorphic disorder.” Journal of clinical psychiatry, 66, 717-725. 113 Grant J. E., Kim S. W. & Eckert E. D. (2002). “Body dysmorphic disorder in patients with anorexia

nervosa: prevalence, clinical features and delusionality of body image.” International journal of eating

disorders, 32, 291-300. 114 Grant J. E., Menard W., Pagano M. E., Fay C. & Phillips K. A. (2005). “Substance use disorders in

individuals with body dysmorphic disorder.” Journal of clinical psychiatry, 66, 309-405.

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anche se ancora l’attuale prevalenza del DDC può essere sotto riportato115 116;

approssimativamente il 9-14% dei pazienti in cliniche generali di dermatologia hanno una

diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo, e nell’ambito della chirurgia estetica si

pensa che la prevalenza sia addirittura più elevata. Anche come conseguenza delle

pressioni sociali e commerciali, il disturbo da dismorfismo corporeo è divenuto un

problema abbastanza comune negli ultimi decenni arrivando ad interessare circa il 2,5%

della popolazione generale ed addirittura il 7-15% delle persone che si sottopongono a cure

dermatologiche e/o interventi di chirurgia estetica.

Tuttavia, secondo gli esperti, le prevalenze stimate sulla base degli studi epidemiologici

rappresenterebbero soltanto la punta dell’iceberg; i casi reali, infatti, sarebbero molto più

numerosi ma ampiamente sotto-diagnosticati a causa di una generalizzata tendenza a

sottovalutare i sintomi del disturbo e soprattutto della mancata ricerca di aiuto specialistico

da parte dei diretti interessati. Il disturbo da dismorfismo corporeo tende ad interessare

donne e uomini con frequenza paragonabile (anche se poco più maggiore tra le donne) e

può insorgere in qualunque momento della vita di un individuo; tuttavia, esistono due età a

maggiore rischio: l’adolescenza, ovvero quando le intese e le repentine trasformazioni del

corpo possono essere particolarmente difficili da “metabolizzare”; e i 45-50 anni, ovvero

quando i primi segni dell’invecchiamento si scontrano con il desiderio di piacere a

prescindere dal tempo che passa e con i dettami di una società che vorrebbe tutti sempre

giovani, toni e smaglianti.

Nonostante le cause restino in gran parte da definire (come abbiamo detto nel §2.1), sia sul

piano biologico che su quello neuropsicologico, il disturbo da dismorfismo corporeo può

essere efficacemente curato attraverso terapie farmacologiche mirate e basate

principalmente su antidepressivi della classe degli SSRI (“Selective Serotonin Reuptake

Inhibitors” ovvero gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) ed interventi

psicoterapici (tra cui ad esempio la terapia psico-comportamentale). Intervenire

precocemente è importante non solo per migliorare il benessere e la qualità di vita di chi

soffre ma anche prevenire il ricorso a trattamenti estetici medici e/o chirurgici non

necessari; ma per quanto riguarda la prevenzione ed il trattamento del disturbo da

dismorfismo corporeo ne parleremo più dettagliatamente nel prossimo capitolo.

Una lettera fu mandata a 220 consulenti psichiatrici, 160 dermatologi, e 151 chirurghi

115 Mufaddel A., Osman O., Almugaddam F., Jafferany M. (2013). “A review of body dysmorphic disorder

and its presentation in different clinical settings.” Prim Care Companion CNS Disorder; 15. 116 Koran L., Abujaoude E., Large M., Serpe R. (2008). “The prevalence of body dysmorphic disorder in the

United States adult population.” CNS Spectrum; 13:316-322.

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plastici nel centro e al nord di Londra, in Hertfordshire e in Essex richiedendo rinvii per i

pazienti con dismorfofobia. Altri pazienti sottoposero sé stessi allo studio in seguito alla

comparsa di un articolo di giornale non richiesto sul disturbo da dismorfismo corporeo in

due giornali nazionali (“The Times” e “The Daily Mail”) ed una rivista per donne (il

famoso “Cosmopolitan”). Abbiamo scritto a tutti i pazienti potenzialmente identificati

come aventi il disturbo da dismorfismo corporeo, invitandoli a partecipare a questo

sondaggio: i pazienti che hanno aderito hanno partecipato ad una serie di interviste al

Grovelands Priory Hospital durando approssimativamente due ore per paziente. Le

interviste diagnostiche furono condotte da alcuni esperti e i pazienti erano inclusi se essi

riscontravano i criteri del DSM-III-R per quanto riguarda il disturbo da dismorfismo

corporeo; i criteri di esclusione erano la schizofrenia, il disturbo delirante, il danno

cerebrale organico, la dipendenza da droga oppure quelli in cui i soggetti erano preoccupati

primariamente per il loro peso o la loro forma corporea. Queste interviste erano strutturate

nel modo che segue:

a) Intervista clinica strutturata per il DSM-III-R117 e per i disturbi di personalità di

Asse II;

b) L’esame del disturbo da dismorfismo corporeo: questa è un’intervista clinica semi

strutturata che è ideata per accelerare le diagnosi di disturbo da dismorfismo

corporeo. Esso misura l’insoddisfazione e la preoccupazione per l’aspetto fisico,

l’evitamento di situazioni sociali e attività psicologiche, comportamento di

controllo corporeo, camuffamento corporeo e ricerca di rassicurazione.

c) Modifica del Yale-Brown Obsessive-Compulsive Scale per il disturbo da

dismorfismo corporeo;

d) Scala di valutazione di depressione di Montgomery & Ȧsberg118.

Ma come valuta il paziente questo esame? L’intervistato/il paziente valuta l’esame

precedentemente descritto pensando che:

Un questionario è stato creato dagli autori per suscitare le convinzioni ipotizzate dei

pazienti e le loro attitudini riguardanti il loro difetto percepito. Ai pazienti era stato

chiesto di valutare il grado in cui erano d’accordo con dichiarazioni del tipo “se la

117 Spitzer R. L., Williams J. B. W., Gibbon M. et al. (1990). “Structured clinical interview for DSM-III-R.”

Washington, DC: American Psychiatric Press. 118 Mongomery S. A. & Ȧsberg M. (1979). “A new depression rating scale designed to be sensitive to

change.” British journal of psychiatry, 134, 382-389.

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mia apparenza è imperfetta allora sono indegno” su una scala che va da 1 (“non del

tutto”) a 6 (“crederlo fortemente”).

La gravità del difetto percepito era valutato dallo stesso intervistatore e da ogni

paziente su una scala da 1 a 6, dove 1 rappresenta nessuna anomalia mentre 6 una

maggiore deformazione.

L’informazione era anche ottenuta su un precedente trattamento ricevuto.

89 persone furono invitate a partecipare all’intervista e 61 di questi furono valutati per un

periodo di oltre nove mesi. Un uomo con un’apparente disturbo da dismorfismo corporeo

si è addirittura suicidato prima di essere valutato; 27 hanno preferito non prenderne parte.

Dei 61 valutati, 50 (ovvero l’82%) hanno soddisfatto i criteri diagnostici per il disturbo da

dismorfismo corporeo come loro prima diagnosi; due hanno avuto una prima diagnosi di

schizofrenia paranoide, uno ha avuto la diagnosi di disturbo delirante di tipo somatico, due

con episodi depressivi, due con disturbo ossessivo-compulsivo (OCD), uno con disturbo

d’ansia generalizzato, uno con disturbo da dolore psicogeno, uno di ipocondria e uno altro

faceva un cattivo uso di alcool. 36 soggetti dei 50 con disturbo da dismorfismo corporeo

come diagnosi principale erano auto-rinvii, mentre 14 furono rinviati da un altro specialista

o da un’altra agenzia (cinque pazienti da chirurgi plastici o dermatologi, cinque da

psichiatri e due dal loro medico di medicina generale). C’era solo una differenza

statisticamente significativa sulle variabili demografiche e le scale di valutazione tra questi

pazienti che furono auto-rinviati e quelli rinviati da un’altra agenzia; questo era un

punteggio composto per il grado di evitamento sull’esame del disturbo da dismorfismo

corporeo. I risultati dei due gruppi sono stati di conseguenza analizzati insieme; i dati

demografici ed i risultati ottenuti dalla comorbidità e le scale di valutazione psichiatriche

sono dimostrate nella tabella 1.

.

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I pazienti hanno avuto una elevata prevalenza di tentativi di suicidio (il 24%) ed episodi

depressivi (il 36%). C’era anche un’elevata frequenza di disturbi di personalità nel nostro

studio: al 72% dei pazienti è stato diagnosticato uno o più disturbi di personalità, il 48%

hanno avuto uno o più disturbi, il 26% hanno avuto tre o più disturbi ed il 4% quattro o più

disturbi. I più comuni e frequenti disturbi di personalità erano il disturbo evitante (con il

38%), disturbo paranoide (anch’esso con il 38%), ed il disturbo ossessivo-compulsivo (con

il 28%); altri disturbi di personalità trovati furono il disturbo passivo aggressivo (il16%), il

disturbo dipendente (il 12%), disturbo istrionico (l’8%), disturbo narcisistico (il 6%) e

quello borderline (anch’esso il 6%).

I punteggi sulla BDDE per le donne sono molto simili allo studio condotto da Rosen &

Reiter nel 1996 sugli 82 soggetti con disturbo da dismorfismo corporeo il cui punteggio

medio per le donne era 90.7; il 28% dei pazienti hanno segnato un punteggio oltre il 20 sul

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MADRS, indicando una depressione clinica significativa. Il punteggio medio Derriford era

notevolmente più alto rispetto a quello osservato in uno studio di pazienti di chirurgia

estetica; il punteggio Derriford era anche correlato con il YBOCS.

La tabella 2 elenca i risultati del nostro questionario riguardante le convinzioni del difetto

percepito. C’era solo una differenza statisticamente rilevante tra i soggetti che erano

clinicamente depressi e quelli che non lo erano, ovvero la convinzione seguente:” Sarei

ancora poco attraente se non avessi il mio difetto”, pazienti che erano clinicamente

depressi erano più propensi ad affermare questa convinzione. Per la valutazione del difetto

percepito, il 77% (ovvero 36/47) dei pazienti ha avuto una normale apparenza (punteggio 1

ed il restante 23% ha avuto un minore difetto che era all’interno dei limiti cosiddetti

normali (punteggio 2); nessuna differenza di nessuna delle misure fu trovata tra i soggetti

dei punteggi 1 e 2. Tuttavia, il 71% (ovvero 34/48) dei pazienti, quando valutano sé stessi,

segnano un punteggio tra 4 e 6.

Il 38% (ovvero 18/48 soggetti) del nostro campione non ha detto al loro medico delle loro

preoccupazioni in quanto provavano un sentimento di imbarazzo credendo allo stesso

tempo che il loro medico non avrebbe capito, non avrebbe preso il problema seriamente.

Del 62% che ha detto al medico delle loro preoccupazioni, l’83% era insoddisfatto oppure

molto insoddisfatto per la loro risposta. Dei 26 che hanno ricevuto entrambi i trattamenti,

sia psicologico che psichiatrico per il loro disturbo da dismorfismo corporeo, il 92%

(ovvero 24/26) erano insoddisfatti o molto insoddisfatti di entrami i trattamenti ricevuti. Il

48% avevano visto o un chirurgo estetico o un dermatologo almeno una volta ed il 26%

aveva subito uno o più operazioni sul loro difetto percepito. L’81% (ovvero 17/21) hanno

valutato sé stessi come insoddisfatti o molto insoddisfatti per l’esito della consultazione o

dell’operazione. Il 28% aveva visto uno psichiatra ad un certo punto nel passato ed il 12%

ha avuto spesso per molti mesi un trattamento psichiatrico degente. Al momento della

valutazione, il 12% stava prendendo clomipramina, al 4% era stato prescritto un

antidepressivo SSRI, ad un altro 4% era stato prescritto un altro antidepressivo ed il 10%

prendeva benzodiazepine.

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2.4.1 LE POSSIBILI CONSEGUENZE DEL DISTURBO.

Il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC) è una grave ed una invalidante condizione di

salute mentale caratterizzata da tutta una serie di sintomi legati alle preoccupazioni

dell’immagine corporea, come ad esempio pensieri intrusivi ricorrenti sulle deformazioni

percepite oppure difetti nell’aspetto fisico. La prevalenza del disturbo da dismorfismo

corporeo è stimata su circa il 2% della popolazione generale119 anche se tra le persone che

ricorrono alla chirurgia estetica è stata riportata una percentuale del 15.6% (Buhlmann et

al., 2010). Sebbene più comuni rispetto ad altre gravi condizioni di salute mentale, come ad

esempio la schizofrenia e l’anoressia nervosa che variano in prevalenza da 0.5 a 1% nella

119 Buhlmann U., Glaesmer H., Mewes R., Fama J. M., Wilhelm S., Brähler E. & Rief W. (2010). “Updates

on the prevalence of body dysmorphic disorder: a population-based survey.” Psychiatry research, 178, 171-

175.

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popolazione generale120, il DDC rimane spesso non riconosciuto nella pratica clinica e la

sua associazione con altre gravi avversità di salute mentale, inclusa l’ideazione suicidaria

ed i tentativi di suicidio, ha ricevuto scarsa attenzione dalla ricerca121. In questo studio il

termine “suicidalità” era usato come riferimento all’ideazione suicidaria, piani e tentativi e

morti suicide; dovrebbe essere noto che presso le strutture ospedaliere psichiatriche, il

disturbo da dismorfismo corporeo è raramente identificato a meno che non venga utilizzata

una intervista diagnostica strutturata.

Il DDC è classificato sotto la categoria del disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi

correlati nel DSM-V, laddove nelle versioni precedenti del DSM esso era incluso nella

categoria dei disturbi somatoformi. Questo cambiamento nella concettualizzazione del

disturbo da dismorfismo corporeo è conforme con la letteratura scientifica mostrando che il

DDC ed il DOC sono distinti ma allo stesso tempo strettamente collegati, e spesso sono

malattie mentali con delle comorbidità. Una recente analisi sistematica ed una meta analisi

hanno confermato che c’è una forte relazione tra il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e

la suicidalità, considerando, perciò, le caratteristiche che hanno in comune il DDC ed il

DOC, che sono accompagnati da livelli simili di danneggiamento funzionale, abbiamo

scoperto che la suicidalità si manifesta anche nelle persone che soffrono di disturbo da

dismorfismo corporeo. Concorde con questa opinione, un numero di studi ha dimostrato

che i pazienti con DDC sono a rischio particolarmente elevato di sperimentare il suicidio,

per esempio, le stime di prevalenza dei tentativi di suicidio nelle persone con disturbo da

dismorfismo corporeo sono state riportate come il 7.2%. La prevalenza di tali tentativi

nella popolazione generale è stata documentata come il 2.7% in tutto il mondo e nei

soggetti con disturbi d’ansia e la schizofrenia come rispettivamente il 3.4% ed il 10.9%.

Come sappiamo il DDC è accompagnato da gradi molto elevati di angoscia psicologica,

disperazione e sentimenti di imbarazzo, vergogna o sconforto collegato all’apparenza e

all’immagine corporea; di conseguenza, le persone con disturbo da dismorfismo corporeo

spesso si sentono socialmente ansiose e tendono ad allontanarsi dalle interazioni sociali o

addirittura evitarle completamente. Modelli contemporanei di suicidalità indicano che tali

sentimenti negativi, esperienze e percezioni, specialmente quando sono connessi

all’isolamento sociale, sono fattori di rischio per l’innesco ed il mantenimento di pensieri,

comportamenti e atti di suicidio. I sintomi depressivi con comorbidità sono anche delle

120 Hoek H. W. & Hoeken D. (2003). “Review of the prevalence and incidence of eating disorders.”

International journal of eating disorders, 34, 383-396. 121 Veale D. & Bewley A. (2015). “Body dysmorphic disorder.” Bmj, 350, h2278.

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caratteristiche comuni del disturbo da dismorfismo corporeo122 e può amplificare le

relazioni tra le percezioni negative associate al fatto di avere il disturbo da dismorfismo

corporeo e la suicidalità. Fino ad oggi, solo uno studio ha tentato di indagare sui percorsi

che portano alla suicidalità nelle persone con DDC seguendo una struttura teorica come

postulata dalla teoria psicologica-interpersonale del suicidio; in assenza di un’analisi

sistematica, tuttavia, è difficile accertarne i livelli ed i meccanismi sottostanti la suicidalità

a coloro che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo, perciò abbiamo deciso di

intraprendere un’analisi sistematica ed una meta analisi con i seguenti tre obiettivi centrali:

a. Sintetizzare sistematicamente e quantificare qualsiasi legame tra il disturbo da

dismorfismo corporeo e la suicidalità.

b. Esaminare i meccanismi sottostanti di suicidalità nel DDC, che probabilmente

includono caratteristiche specifiche del DDC (ad es. gravità, sintomi specifici e

sottotipi), comorbidità psichiatriche (ad es. la depressione, il DOC) ed altri fattori

clinici, psicologici o demografici.

c. Esaminare se la co-presentazione del DOC e del DDC aumenta ulteriormente il

rischio di suicidalità oltre agli effetti di tali disturbi presi singolarmente.

Questa analisi sistematica e meta analisi fu eseguita e presentata con l’affermazione del

Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta Analyses (PRISMA) (Moher,

Liberati, Tetzlaff & Altman, 2009).

Gli studi identificati hanno dovuto soddisfare tre criteri per essere inclusi nell’analisi:

a) applicato un progetto di ricerca quantitativa;

b) indagato sulla relazione tra la suicidalità e la diagnosi di disturbo da dismorfismo

corporeo, oppure esplorato qualunque fattore che abbia contribuito a questa

relazione;

c) scritto in inglese e pubblicato in una rivista specializzata.

Dal momento che questa è la prima analisi nel campo, abbiamo deciso di adottare un

approccio inclusivo e di non aggiungere alcun limite d’età per il partecipante anche se

abbiamo scoperto che la vasta maggioranza degli studi idonei assumerebbe adulti.

Sono stati presi in considerazione cinque database tra i quali Medline, PsychInfo, Embase,

122 Phillips K. A., Didie E. R. & Menard W. (2007). “Clinical features and correlates of major depressive

disorder in individuals with body dysmorphic disorder.” Journal of affective disorder, 97, 129-135.

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Web of Science and CINAHL; le ricerche erano condotte dall’inizio di giugno 2015. La

nostra strategia di ricerca includeva entrambe le parole di testo e i termini MeSH (Medical

Subjective Headings) e due termini chiave: suicidio (suicidio oppure autolesionismo) e

DDC (disturbo da dismorfismo corporeo).

La valutazione della qualità metodologica degli studi era eseguita su alcuni criteri adottati

dal Centro per Analisi e la guida di Diffusione per intraprendere le analisi nell’assistenza

sanitaria (CAD) e lo Strumento di Valutazione di Qualità per gli studi quantitativi123.

Questi criteri erano i seguenti:

i. progetto di ricerca;

ii. linea base del tasso di risposta dei partecipanti;

iii. ulteriore tasso di risposta dei partecipanti;

iv. misura del disturbo da dismorfismo corporeo;

v. misura di suicidalità:

Il risultato degli studi individuali misurando la relazione tra la suicidalità ed il DDC erano

stati raggruppati usando le tecniche di analisi meta-analitica; le probabilità di rapporti e la

confidenza di intervalli associata per l’esito delle misure di questi studi erano calcolati

usando STATA 12.1 (Stata, 2011). Le probabilità di rapporti erano raggruppati nella

dimensione dell’effetto perché la vasta maggioranza degli studi ha riportato gli esiti

categorici, come ad esempio le proporzioni dei partecipanti con o senza DDC i quali hanno

evidenziato una ideazione e dei tentativi di suicidio; solo uno studio ha riportato un esito

continuo (numero medio di tentativi di suicidio nei partecipanti con e senza disturbo da

dismorfismo corporeo), il quale era convertito ad una probabilità di rapporto basato su una

formula solitamente usata suggerita da Borenstein, Hedges, Higgins & Rothstein (2005)124.

Abbiamo effettuato una analisi di sottogruppo per esaminare se i risultati del legame tra il

DDC e la suicidalità sono variati attraverso i diversi tipi di studi; tutte le analisi sono state

condotte usando un modello di effetti casuali a causa della anticipata eterogeneità:

l’eterogeneità era valutata usando la statistica l2 (Higgins, Thompson, Deeks, Altman,

2003)125.

123 Thomas B. H., Ciliska D., Dobbins M. & Micucci S. (2004). “A process for systematically reviewing the

literature: providing the research evidence for public health nursing interventions.” World views on evidence-

based nursing, 1, 176-184. 124 Borestein M., Hedges L., Higgins J. & Rothstein H. (2005). Comprehensive meta-analysis, Englewoodn

NJ: Biostat. 125 Higgins J. P. T., Thompson S. G., Deeks J. J. & Altman D. G. (2003). “Measuring inconsistency in meta-

analysis.” British medical journal, 327, 557-560.

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La strategia di ricerca ha fruttato 325 articoli: di questi 325 articoli, 51 erano rilevanti per il

controllo del testo completo. Come dimostrato nel diagramma (Figura 1), 37 studi erano

idonei per essere inclusi nell’esame, ma 18 erano basati sullo stesso campione di

partecipanti. Tra questi 18 studi solo uno (il quale ha fornito i dati più completi) fu inserito

nella meta analisi, quindi questo esame ha compreso 20 studi.

La tabella 1 rappresenta le caratteristiche dei 20 studi che erano inclusi nell’analisi. Di

questi studi, dieci erano condotti negli USA (il 50%), otto in Europa (il 40%) e due in

Brasile (il 10%). Tutti gli studi includevano i partecipanti di entrambi i sessi, ma allo stesso

tempo la maggior parte degli studi includevano un’elevata proporzione di donne; l’età

media dei partecipanti era 38 anni con una oscillazione che andava da 26.6 a 51 anni.

Due studi erano condotti con bambini ed adolescenti con un’età media di 14.85 anni.

Come dimostrato nella tabella 1, a eccezione dei due studi (che non erano basati né sul

DSM-III-R né sul DSM-V), una diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo e

l’accertamento della gravità dei sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo erano basati

sui criteri del DSM-IV. Una vasta gamma di strumenti diagnostici per il DDC era

impiegata da studi diversi; quindici studi hanno impiegato interviste cliniche per assegnare

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una diagnosi del DDC, mentre cinque studi utilizzati hanno convalidato dei questionari; le

più comuni misure di valutazione erano l’intervista clinica strutturata per il DSM-IV126 ed

il questionario sul disturbo da dismorfismo corporeo127. Sette studenti hanno fornito dati

inerenti all’ideazione suicidaria ed ai tentativi di suicidio, quattro studi hanno misurato

solo l’ideazione suicidaria e due studi si sono focalizzati solo sui tentativi di suicidio. Uno

studio ha riportato un punteggio complessivo di suicidalità la quale veniva determinata

usando domande dentro il contesto delle interviste cliniche (n=7) e questionari auto-

rapporto (n=7). Tuttavia, solo tre studi usati hanno convalidato questionari

specificatamente progettati per misurare la suicidalità; per di più, sei studi hanno fallito

nello specificare la misura utilizzata per accedere alla suicidalità e solo uno studio ha

esaminato il collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo con le morti suicide.

126 First M. B., Spitzer R. L., Gibbon M & Williams J. B. W. (2002). “Structured clinical interview for DMS-

IV-TR axis I disorders, research version, patient edition. (SCID-1/P).” New York: Biometrics research: New

York state psychiatric institute. 127 Phillips K. (1998). “The broken mirror: understanding and treating body dysmorphic disorder.” Oxford:

Oxford University Press.

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Le stime dell’ideazione suicidaria negli individui con disturbo da dismorfismo corporeo

sono state collocate tra il 17% ed il 77.2%, mentre le stime dei tentativi di suicidio sono

state collocate tra il 2.6% ed il 62.5% (vedi tabella 1). Sei studi hanno anche esaminato le

stime di ideazione suicidaria ed i tentativi di suicidio attribuiti esclusivamente al DDC: il

disturbo da dismorfismo corporeo che ha indotto l’ideazione suicidaria si è collocato tra il

19.1% ed il 697%, mentre il disturbo da dismorfismo corporeo che ha indotto i tentativi di

suicidio si è collocato tra l’1.5% ed il 22.2%.

Alla fine, l’informazione sulle morti suicide era scarsa; solo uno studio ha riportato che

due partecipanti sono morti di suicidio su un campione di 185 partecipanti con disturbo da

dismorfismo corporeo128.

Quattordici studi hanno fornito dei dati riguardanti il collegamento tra il disturbo da

dismorfismo corporeo e la suicidalità che era anche disponibile per la meta-analisi. I

rimanenti sei studi si sono focalizzati sull’esaminare i potenziali meccanismi che stanno

alla base della suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo, oppure non hanno fornito

informazioni sufficienti per consentire il calcolo di una dimensione dell'effetto riguardo il

collegamento tra il DDC e la suicidalità. Nessuno degli studi ha incluso dati disponibili con

128 Phillips K. A. & Menard W. (2006). “Suicidality in body dysmorphic disorder: a prospective study.”

American journal of psychiatry, 163, 1280-1282.

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rispetto al collegamento tra il DDC e le morti suicide; solo i dati dei tentativi di suicidio

erano stati inseriti nell’analisi per gli studi riportando dati sia per l’ideazione suicidaria sia

per i tentativi di suicidio in quanto l’ultimo è più prossimale alle morti suicide.

La dimensione dell'effetto aggregati con altri 14 confronti rilevanti era statisticamente

importante e positiva, ma l’elevata eterogeneità era presente (OR= 3.35,95% CL= 2.23 a

4,47, l2 = 69.5%, p <0.001, vedi figura 2).

Questi risultati indicano che gli individui con DDC erano quattro volte più probabili che

esponessero stime elevate di suicidalità confrontate con gli individui senza DDC (compresi

gli individui diagnosticati con disturbi alimentari, disturbo ossessivo-compulsivo e

qualsiasi altro disturbo d’ansia). Tra questi 14 confronti, solo uno ha riportato una

probabilità di rapporti inferiore a 1 indicando che i livelli di suicidalità erano inferiori negli

individui con disturbo da dismorfismo corporeo rispetto al gruppo di controllo, ma questo

effetto non era statisticamente importante.

Nell’esaminare l’ideazione suicidaria ed i tentativi di suicidio in questi soggetti con e senza

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DDC, quelli con DDC erano quattro volte più probabili aver sperimentato l’ideazione

suicidaria e 2.6 volte più probabili aver messo in atto tentativi di suicidio. Tuttavia,

l’eterogeneità era elevata negli studi esaminando entrambi le analisi sull’ideazione

suicidaria e sui tentativi di suicidio (vedi Figura 3).

Questa analisi focalizzata sul collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la

suicidalità attraverso gli studi si è basata sulla popolazione clinica ed una larga comunità di

ricerche e sondaggi basati sulle popolazioni non cliniche. Attraverso gli studi basati sulle

popolazioni cliniche, i soggetti con DDC erano oltre due volte più probabili aver

sperimentato la suicidalità confrontati con quelli senza DDC (tipicamente pazienti

psichiatrici diagnosticati con una gamma di altre diagnosi in aggiunta al DDC come i

disturbi alimentari, il disturbo ossessivo-compulsivo o altri disturbi d’ansia) (vedi Figura

4).

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Attraverso indagini comunitarie, quei soggetti con DDC erano pressoché sei volte più

probabili aver sperimentato la suicidalità rispetto a quelli senza DDC.

La qualità metodologica degli studi era medio-alta (come si può notare dalla tabella 2).

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Dei 14 studi analizzati, sette hanno riscontrato tre dei quattro criteri di qualità; la

dimensione dell’effetto di questi sette studi era simile alla dimensione effetto dell’analisi

principale di tutti e 14 gli studi indicando che questi risultati non erano influenzati dalle

valutazioni della qualità metodologica. Conforme con questo, il test di Egger (2001) non

era rilevante per gli studi i quali esaminavano il collegamento tra il disturbo da

dismorfismo corporeo e la suicidalità (vedi Figura 5).

Nella sezione noi tendiamo a delineare i fattori, i quali sono propensi a fungere da

meccanismi che sono alla base della suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo.

C’era qualche evidenza che specifici fattori del disturbo da dismorfismo corporeo hanno

contribuito alla suicidalità dei pazienti con tale disturbo; lo studio condotto da Phillips et

al. (2005) ha dimostrato che il disturbo da dismorfismo corporeo era la ragione principale

per l’ideazione suicidaria e per i tentativi di suicidio tant’è vero che sono stati individuati

oltre il 70% dei soggetti diagnosticati con DDC che hanno riportato un’ideazione suicidaria

ed oltre il 50% che hanno precedentemente messo in atto tentativi di suicidio. La cosa più

rilevante è che gli individui con il DDC erano altamente propensi a sperimentare

l’ideazione suicidaria ed i tentativi di suicidio attribuiti esclusivamente ai sintomi del

disturbo da dismorfismo corporeo come ad esempio le preoccupazioni legate all’immagine

corporea.

Caratteristiche certe del disturbo da dismorfismo corporeo, comprese le preoccupazioni sul

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peso e le preoccupazioni sulla dismorfofobia muscolare, erano a rischio incrementato di

tentativi di suicidio. Per concludere questo concetto possiamo fare un breve riassunto dei

principali risultati elencandoli di seguito:

1. il primo scopo di questa analisi sistematica e meta-analisi era di indagare sul

collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC) ed i pensieri, i

tentativi suicidari e le morti suicide. Le nostre scoperte hanno confermato che la

suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo è una preoccupazione

sostanziale che non ha ricevuto sufficiente attenzione nella ricerca infatti gli

individui diagnosticati con DDC erano quattro volte più propensi a sperimentare

l’ideazione suicidaria e 2.6 volte più propensi ad assumere tentativi di suicidio

paragonati agli individui senza disturbo da dismorfismo corporeo. Queste stime

sono elevate come quelle individuate nei disturbi d’ansia (OR=2.89 95%

CL=2.09 a 4.00 per l’ideazione suicidaria e OR=2.47 95% CL=1.96 a 3.15 per i

tentativi di suicidio)129 e paragonabili con gravi stati psicologici psichiatrici

come ad esempio il disturbo post-traumatico da stress e depressione maggiore.

Con riguardo alle morti suicide, i centri di controllo e prevenzione della malattia

hanno riportato una scala di morte suicida del 12.6% per 100,000 cittadini negli

USA; in questa analisi abbiamo scoperto solo uno studio longitudinale il quale

ha riportato che 2/185 individui con disturbo da dismorfismo corporeo sono

morti di suicidi nel giro di un anno. Tuttavia, questo studio ha utilizzato un

numero davvero piccolo di partecipanti e ha avuto un breve periodo. Una scala

di morte suicida del 2.2% è stata riportata per i pazienti con schizofrenia in un

anno130 e l’1% per i pazienti con depressione maggiore in un periodo di 18

mesi131.

Al fine di indagare sulla suicidalità nelle persone che provano il disturbo da

dismorfismo corporeo è, forse, necessario un misto di metodi e l’approccio

fornito potrebbe non essere quello adeguato; per esempio, potrebbe essere preso

un approccio diagnostico inclusivo al disturbo da dismorfismo corporeo, con

tecniche qualitative e quantitative per esaminare i fattori di rischio prossimali e

129 Kanwar A., Malik S., Prokop L. J., Sim L. A., Feldstein D., Wang Z. & Murad M. H. (2013). “The

association between anxiety disorders and suicidal behaviours: a systematic review and meta-analysis.”

Depression and anxiety, 30, 917-929. 130 Limosin F., Loze J. V., Phillipe A., Casadebaig F & Rouillon F. (2007). “Ten-year prospective follow-up

study of the mortality by suicide in schizophrenic patients.” Schizofrenia research, 94, 23-28. 131 Sokero T. P., Melartin T. K., Rytsala H. J., Leskela U. S., Lestela-Mielonen P. S. & Isometsa E. T. (2005).

“Prospective study of risk factors for attempted suicide among patients with DSM-IV major depressive

disorder.” British journal of psychiatry, 186, 314-318.

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distali per quanto riguarda i pensieri ed i tentativi di suicidio. Un nuovo modo di

procedere in questo sforzo potrebbe essere quello di esaminare non solo i fattori

di rischio per la suicidalità, ma anche tutti quei fattori che hanno permesso le

persone con DDC di diventare resilienti ai pensieri ed ai comportamenti di

suicidio.

2. Il secondo scopo di questa meta-analisi era quello di indagare sui meccanismi

sottostanti la relazione tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la suicidalità

con una particolare attenzione sulle caratteristiche specifiche del disturbo

collegato all’immagine corporea e all’apparenza, le malattie mentali e altri

fattori cilici, psicologici o demografici compreso l’isolamento o il ritiro sociale.

Nessuna evidenza era disponibile nella letteratura riguardante i meccanismi

sottostanti la suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo, con l’eccezione

di un solo studio che ha esaminato la relazione tra il disturbo stesso e la capacità

acquisita del suicidio dalla seguente teoria interpersonale-psicologica del

suicidio132; questo studio ha suggerito che il disturbo post-traumatico da stress,

il disturbo di depressione maggiore e la vita con disturbo da dismorfismo

corporeo legata e l’aspirazione ad una vita alimentare restrittiva erano tra le

variabili chiave essendo responsabili della suicidalità nei pazienti con disturbo

da dismorfismo corporeo.

3. Il terzo scopo di questa meta-analisi era quello di determinare la vastità con cui

la comorbidità tra il disturbo ossessivo-compulsivo ed il disturbo da

dismorfismo corporeo ha incrementato le probabilità di suicidalità in entrambi i

disturbi (DOC e DDC); inoltre è stato scoperto che il disturbo da dismorfismo

corporeo ha incrementato la suicidalità oltre gli effetti del disturbo ossessivo-

compulsivo.

Queste scoperte indicano che la suicidalità potrebbe essere una maggiore

preoccupazione tra le persone che presentano i sintomi del disturbo da dismorfismo

corporeo nell’ambito clinico.

Fino ad ora, non è stato fatto nessuno sforzo sulla suicidalità a scopo terapeutico nei

soggetti con DDC; per esempio, protocolli o terapie psicologiche, con lo scopo di

trattare il disturbo da dismorfismo corporeo, che escludono i pazienti dall’essere

132 Witte T. K., Didie E. R., Menrad W. & Phillips K. A. (2012). “The relationship between body dysmorphic

disorder behaviours and the acquired capability for suicide.” Suicide % Life-threatening behaviour, 42, 318-

331.

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potenziali suicidi133. Tuttavia, è incomprensibile che persone con disturbo da

dismorfismo corporeo, che sperimentano anche la suicidalità, sono una popolazione

particolarmente impegnativa ed è molto importante non escludere i pazienti da

eventuali interventi: questa è la prima analisi sistematica e meta-analisi del

collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la suicidalità.

Sebbene i modelli all’interno del collegamento sono abbastanza complessi, il disturbo

da dismorfismo corporeo è notevolmente associato alla suicidalità.

133 Wilhelm S., Phillips K. A., Fama J., Greenberg J. L. & Steketee G. (2011). “Modular cognitive-

behavioural therapy of body dysmorphic disorder.” Behaviour therapy, 42, 624-633.

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CAPITOLO 3: PREVENZIONE, CURA E

TRATTAMENTO DEL DDC.

3.1 PREVENZIONE E TRATTAMENTO DEL DDC.

Il termine prevenzione nel campo psicologico fa riferimento a politiche e programmi

che hanno l’obiettivo di eludere o perlomeno di prevenire il possibile sviluppo di

disturbi psicologici proteggendo così non solo la persona in sé ma anche e soprattutto la

popolazione in generale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito tre

livelli differenti di prevenzione:

Prevenzione di tipo primaria: è una tipologia di prevenzione che ha come

obiettivo quello di adottare interventi specifici e programmi in grado di evitare o

ridurre la possibilità di insorgenza e lo sviluppo di una malattia e si attua

riducendo i fattori di rischio dai quali potrebbe derivare un aumento

dell’incidenza di quella determinata patologia.

Prevenzione di tipo secondaria: è una tipologia di prevenzione che si riferisce

alla diagnosi precoce di una patologia, permettendo in questo modo un

intervento tempestivo senza riuscire ad evitarne o ridurne però la comparsa.

L’intervento precoce aumenta le opportunità terapeutiche migliorando la

progressione ed allo stesso tempo riducendo gli effetti negativi e prevenendo,

inoltre, il peggioramento del problema.

Prevenzione di tipo terziaria: questa tipologia di prevenzione è rivolta alle

complicazioni, alla possibilità di recidiva e addirittura di morte.

Oltre alle tipologie di prevenzione, sono stati identificati da Gordon nel 1983 tre livelli

di prevenzione che si distinguono l’uno dall’altro in base ai target di riferimento:

1) La prevenzione universale è rivolta a tutta la popolazione e non è ritagliata sui

fattori di rischio individuali; in sostanza questa tipologia di prevenzione

promuove la modifica ed il cambiamento di leggi, regolamentazioni attraverso

politiche pubbliche ed interventi a livello istituzionale.

2) La prevenzione selettiva consiste nell’identificazione dei sottogruppi target a

rischio all’interno della popolazione e, come la prevenzione universale, questa

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selettiva non è disegnata su fattori di rischio individuali. In sostanza questa

prevenzione si rivolge a persone che non hanno ancora sviluppato il disagio ma

che comunque presentano fattori di rischio importanti.

3) Infine abbiamo la prevenzione individuale, è una tipologia di prevenzione

ritagliata sulle caratteristiche individuali, appunto, e sui fattori di rischio.

Nell’ambito dei disturbi legati all’immagine corporea, la prevenzione è un fattore del

tutto nuovo si può dire nel quale non si ha ancora chiarezza rispetto all’efficacia dei vari

programmi di intervento che si basano su vari approcci teorici diversi tra loro. Negli

ultimi anni si è evidenziato il passaggio da una concezione della prevenzione in cui essa

è prevalentemente incentrata sull’individuo ad una più ampia concezione in cui la

prevenzione considera il contesto e l’ambiente e quindi non solo l’individuo ma anche e

soprattutto ciò che lo circonda.

La cosiddetta prevenzione ecologica identifica e si rivolge a diversi aspetti del contesto

culturale e sociale con l’obiettivo di ridurre drasticamente il livello di rischio e

migliorare i fattori di protezione per prevenire, appunto, eventuali problemi legati

all’immagine corporea; è un approccio che in parole povere considera la natura

multidimensionale del contesto e, dunque, dei livelli di intervento.

L’ambiente può essere scomposto in tre principali livelli: il microsistema, che consiste

nell’ambiente interpersonale diretto come ad esempio la famiglia; le comunità o

organizzazioni di appartenenza come ad esempio la scuola e le organizzazioni sportive

ed infine il macrosistema che comprende le leggi, i ruoli all’interno della società, i

regolamenti e le strutture sociali. Ognuno di questi livelli può rappresentare il target di

interventi di prevenzione che si basano sull’approccio ecologico.

Come abbiamo già accennato precedentemente le strategie di intervento nella

prevenzione dei disturbi dell’immagine corporea si stanno piano piano orientando verso

un approccio che considera le relazioni tra le varie dimensioni del contesto all’interno

del quale l’intervento di prevenzione si manifesta. Esempi di intervento focalizzati sul

macrosistema sono le politiche pubbliche nell’ambito della salute che mirano ad

incidere su fattori di rischio generali e su fattori protettivi come ad esempio:

Influenza dell’ambiente socioculturale attraverso la diffusione di standard di

bellezza fisica irrealistica;

Promozione di strategie di mantenimento di un peso corporeo sano che non

inducano pressioni verso l’adesione a standard di bellezza inesistenti;

Tendenza a confrontare sé stessi con gli altri;

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Scarsissima autostima di sé stessi e depressione;

Credenze radicate sull’indispensabilità degli standard di bellezza fisica per

l’accettabilità, l’avvenenza ed il successo personale.

Lavorare sul piano del macrosistema vuol dire agire sul sistema legislativo per regolare

alcuni comportamenti ritenuti seriamente rischiosi per possibili sviluppi di disturbi

dell’immagine corporea. La mobilitazione a livello legislativo non è, però, ancora

diffusa in quanto si ritiene che sia l’ultima opzione su cui intervenire quando ci si rende

conto che le persone, i gruppi e le comunità non sono capaci di autoregolarsi; tuttavia le

varie istituzioni governative sono in grado di promuovere codici di condotta non

vincolanti che regolano in qualche modo i comportamenti di aziende ed istituzioni, un

esempio che possiamo fare è quello inerente alla stipula di codici di condotta sia per le

aziende di moda che per i media, elaborati da alcuni paesi tra cui anche l’Italia, con lo

scopo principale di influenzare la diffusione di immagini maschili e femminili in modo

protettivo rispetto all’emergere di disturbi legati all’immagine corporea e del

comportamento alimentare. Infine, nell’ambito del social marketing vi sono delle

iniziative che hanno l’obiettivo di produrre cambiamenti negli atteggiamenti e

comportamenti individuali sul tema di interesse. Tuttavia queste iniziative non sono

ancora molto utilizzate in quanto sarebbero necessarie moltissime e ripetute esposizioni

ai vari messaggi per produrre azioni di cambiamento nei singoli soggetti. Nell’ambito

delle comunità e delle organizzazioni vengono sviluppati alcuni interventi di

prevenzione che incidono notevolmente su alcuni fattori di rischio come ad esempio:

Ambienti scolastici che non accettano la diversità;

Essere inseriti all’interno di ambienti i quali tendono a discriminare in modo

diretto o indiretto particolari forme corporee del soggetto;

Far parte di ambienti in cui è presente il comportamento di ridicolizzazione e

presa in giro rispetto all’immagine corporea;

Avere spesso delle conversazioni riguardo all’aspetto corporeo.

I programmi che si riferiscono al microsistema prevedono interventi psico-educativi e

alcuni interventi di sviluppo dell’autostima che si rivolgono sia alla singola persona sia

alla famiglia. Due approcci teorici guidano la strutturazione e l’implementazione di

questi programmi di intervento:

La teoria social-cognitiva di Bandura;

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La teoria cognitivo-comportamentale.

Per quanto riguarda la teoria social-cognitiva, Bandura nel 1997 sostiene che i fattori

socio-culturali tendono a creare e quindi a dare forma e mantenere credenze, emozioni,

motivazioni e comportamenti che costituiscono i principali fattori predisponenti per lo

sviluppo dei disturbi dell’immagine corporea; in parole povere i programmi di

prevenzione hanno come obiettivo fondamentale quello di ridurre i fattori di rischio e,

allo stesso tempo, quello di migliorare le attitudini a comportamenti sani relativi

all’immagine corporea.

Le tipologie di intervento variano da esercizi per comprendere e diventare consapevoli

della propria immagine corporea ad esercizi di analisi e modifica delle credenze

irrealistiche o addirittura negative sul peso e alla forma del proprio corpo; da

informazioni ed istruzioni relative alla nutrizione e all’alimentazione ad informazioni

riguardo il conflitto tra fattori di sviluppo e messaggi culturali che tendono ad esaltare

la magrezza includendo il terrore di un soggetto di essere grasso.

I programmi di prevenzione basati sulla teoria cognitivo-comportamentale prevedono

interventi psico-educativi inerenti alla natura e alle dimensioni costitutive

dell’immagine corporea, formazione sulla capacità di automonitoraggio per

consapevolizzare tutti quei fattori che tendono ad influenzare pensieri, emozioni e

comportamenti connessi all’immagine corporea ed esercizi mirati allo sviluppo di

pensieri e credenze più positive riguardo alla propria immagine corporea ed infine lo

sviluppo di abilità di coping per gestire in maniera del tutto efficace situazioni che

hanno generato nel passato ansia legata al corpo.

Il trattamento psicologico del disturbo da dismorfismo corporeo oggi risulta essere

molto efficace e non prevede inoltre né l’utilizzo di farmaci né la psicoterapia. Il

disturbo è spesso complicato da sintomi di natura “psicosomatica” secondari e dalla

convinzione del soggetto di avere un difetto fisico, infatti ogni tentativo da parte di altri

soggetti di rassicurarlo (familiari, amici, ecc.), di fargli capire che il proprio difetto è in

realtà molto meno esagerato di quello che egli pensa (o addirittura inesistente) oppure

fargli capire che la sua reazione difronte ad un eventuale difetto fisico sia del tutto

esagerata e che non produce alcun effetto anzi porta il soggetto a soffrire di

dismorfismo corporeo e a percepire coloro che tentano di rassicurarlo come dei veri e

propri “persecutori”. Il paziente si sente in questo modo incompreso e considerato

malato o pazzo; il risultato delle rassicurazioni dirette da parte di altri viene vista spesso

come un comportamento aggressivo, infatti il paziente pensa anzi è convinto che una

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volta eliminato il difetto egli sarebbe felice e starebbe molto meglio sia con sé stesso

che con gli altri. Va però sottolineato che il dismorfismo corporeo è un disturbo e si

manifesta indipendentemente dal trattamento estetico nella maggior parte dei casi,

infatti di solito il paziente con dismorfismo quando “risolve” un difetto (o presunto tale)

tende ad individuarne subito uno nuovo e così via; molti di coloro che frequentano

centri estetici, palestre oppure centri di chirurgia estetica in maniera del tutto ossessiva

potrebbero presentare una diagnosi di disturbo di dismorfismo corporeo.

Il trattamento psicologico adottando l’approccio della psicologia emo-cognitiva non va

a rassicurare il paziente e quindi non cerca di convincerlo o di fargli capire l’assurdità e

la gravità della sua condotta ma piuttosto interviene sui processi sistemici e

psicofisiologici che stanno alla base della sintomatologia; l’applicazione tecnica del

colloquio psicologico nella psicologia emo-cognitiva mira a modificare

psicofisiologicamente lo schema circolare, definito “loop disfunzionale” (Baranello,

2006) che sostiene il disturbo a livello longitudinale nel tempo.

La terapia psicologica riabilitativa nella psicologia emo-cognitiva per il dismorfismo

corporeo prevede oggi due possibilità d’intervento:

Il trattamento individuale diretto sul paziente. Applicato nei casi per i quali sia

il paziente stesso a richiedere aiuto in quanto si rende conto dell’eccessività del

problema o del fatto che il problema stia causando un notevole disagio a livello

personale, relazionale, sociale e lavorativo (oppure scolastico).

Il trattamento indiretto su un familiare. Questo tipo di intervento psicologico

(e allo stesso tempo educativo) prevede l’assenza del soggetto probabilmente

affetto da disturbo di dismorfismo corporeo, infatti lo psicologo mira ad

intervenire su almeno un familiare stretto o un partner ovvero su una persona

che abbia maggiori contatti con il paziente. In questo modo si interviene a

livello sistematico modificando i processi di comunicazione e comportamento di

chi vorrebbe aiutare il paziente. Lo psicologo suggerirà, dopo una valutazione

adeguata, specifiche strategie di comunicazione finalizzate allo sblocco del loop

disfunzionale ed al ripristino di un normale processo di funzionamento. Questo

trattamento è quello che viene adottato con maggiore frequenza nei casi di

dismorfismo corporeo.

A differenza dei vecchi modelli, la psicologia emo-cognitiva tende ad incentrare

l’attenzione clinica non tanto su ipotetiche cause simboliche o sul passato della persona

attraverso l’anamnesi, ma su quelle che vengono considerate le vere cause del disturbo

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e che agiscono sempre ed esclusivamente nel momento della manifestazione del

problema. Per la teoria emo-cognitiva la vera causa del disturbo sta nell’organizzazione

del sistema in relazione alle proprie convinzioni, convinzioni errate che chiaramente

possono portare a delle modalità organizzative non funzionali. Inoltre ciò che la teoria

emo-cognitiva ha sempre cercato in qualche maniera di risolvere è cercare di

individuare quali siano gli strumenti adatti, quali possono essere i reali processi di

funzionamento sistemico: in poche parole possiamo dire che ciò che cambia nella teoria

emo-cognitiva è il contenuto della comunicazione. Attualmente il trattamento in

psicologia emo-cognitiva è di breve-media durata; in genere uno sblocco iniziale della

situazione si inizia ad avere entro le 4/6 sedute. Le prime 4-5 sedute si svolgono a

cadenza fissa (una volta a settimana oppure una volta ogni due settimane) per poi essere

sempre più in aumento nel tempo.

Il trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo non implica le procedure estetiche,

infatti, dopo un intervento chirurgico, circa il 90% non riporterà nessun cambiamento o

peggio riporterà i sintomi del DDC134 135.

Le incertezze sull’eziologia del disturbo da dismorfismo corporeo sono rispecchiati

nella diversità dei suoi trattamenti i quali includono cura, psicoterapia, terapia

comportamentale e chirurgia estetica; inoltre le relazioni di un certo numero di casi

hanno riportato la soluzione al disturbo da dismorfismo corporeo con gli antidepressivi.

La maggior parte degli esiti hanno avuto successo per i bloccanti della ricaptazione

della serotonina-clomipramina (quattro casi) e la fluoxetina (due casi) anche se la

clomipramina era inefficace in un caso136. È necessario sottolineare che la

clomipramina e la fluoxetina hanno trattato con successo i sintomi che a volte

sembravano deliranti e la clomipramina ha efficacemente trattato i sintomi deliranti così

come i sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo, l’ipocondria monosintomatica137

ed il disturbo delirante di tipo somatico138. Le scoperte mediche negative sono difficili

da valutare perché possono essere dovuti ad una dose inadeguata oppure ad una durata

inadeguata del trattamento il quale nella maggior parte dei casi non potrebbe essere

134 Phillips K. A., Grant J., Siniscalchi J., Albertini R. S. (2001). “Surgical and non-psychiatric medical

treatment of patients with body dysmorphic disorder.” Psychosomatics, 42, 504-510. 135 Crerand C. E., Phillips K. A., Menard W., Fay C. (2005). “Non-psychiatric medical treatment of body

dysmorphic disorder.” Psychosomatics, 46, 549-555. 136 Vitiello B., de Leon J. (1990). “Dysmorphophobia misdiagnosed as obsessive-compulsive disorder.”

Psychosomatics, 31, 220-222. 137 Fernando N. (1988). “Monosymptomatic hypochondriasis treated with a tricyclic antidepressant.” Br J

psychiatry, 152, 851-852. 138 Sondheimer A. (1988). “Clomipramine treatment of delusional disorder-somatic type.” J Am Acad Child

Adolescent Psychiatry, 27, 188-192.

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valutato ed accertato in base all’informazione fornita. Per questi pazienti i quali hanno

risposto alla cura antidepressiva, la depressione simultanea era riportata in meno

rispetto alla metà; sia il disturbo da dismorfismo corporeo che la depressione maggiore

sono stati risolti in tre casi e il disturbo da dismorfismo corporeo è stato risolto in uno

solo.

Gli esiti di successo erano mantenuti con un trattamento continuato per la durata dei

seguiti segnalati che andavano dai 4 mesi ai 3 anni; tuttavia, i sintomi si ripresentavano

nei pazienti nei quali la cura fosse in diminuzione oppure interrotta. Gli antipsicotici

sono stati largamente inefficaci; risultati negativi sono stati riportati per loxitane139,

trifluoperazina, tioridazina, flupentixolo140, pimozide141 e agenti non specificati;

tuttavia, un paziente ha avuto una reazione al pimozide e un altro paziente ha reagito

alla combinazione di un farmaco non specificato tra neurolettico e antidepressivo142.

Alcuni autori hanno consigliato la terapia comportamentale oppure la psicoterapia

supportiva ma non hanno fornito alcuna evidenza per quanto riguarda la loro efficacia;

esiti documentati con questi approcci sono stati mescolati. La psicoanalisi, la

psicoterapia psicoanalitica e la psicoterapia supportiva sono stati anch’essi sia inefficaci

che efficaci; sfortunatamente, molti dei trattamenti inefficaci non erano descritti

dettagliatamente, rendendo difficile la valutazione della loro adeguatezza.

Alcuni autori hanno suggerito che pazienti con minime deformità possono avere un

buon esito ma enfatizzano l’importanza del controllo psichiatrico prima della

chirurgia143. Tuttavia, Fukuda nel 1977 afferma che molti pazienti rifiutano il consulto

psichiatrico e che è rischioso operare su di essi perché le loro aspettative per la

chirurgia sono spesso irrealistiche e spesso insoddisfatti per i risultati e quindi allo

stesso tempo tendono ad intensificare i loro lamenti e portando rancore. Andreasen e

Bardach (1977) hanno anch’essi affermato ciò perché il reale difetto dei soggetti è

emotivo piuttosto che psicologico nel senso che gli individui con il disturbo da

dismorfismo corporeo raramente sono pienamente soddisfatti per i risultati chirurgici e

spesso trovano un nuovo difetto che necessita di correzione. Ladee (1966) ha avvisato

che la chirurgia estetica - specialmente la rinoplastica negli uomini – può avere un esito

139 Jenike M. A. (1984). “A case report of successful treatment of dysmorphophobia.” Am J psychiatry, 141,

1463-1464. 140 Thomas C. S. (1985). “Dysmorphophobia or monosymptomatic hypochondriasis?” Br J psychiatry, 146,

672. 141 Cotterill J. A. (1981). “Dermatological non-disease: a common and potentially fatal disturbance of

cutaneous body image.” Br J Dermatology, 201, 611-619. 142 Campanella F. N., Zuccoli E. (1968). “In tema di dismorfofobia.” Neuropsichiatria, 24, 475-486. 143 Crisp A. H. (1981). “Dysmorphophobia and the search for cosmetic surgery.” Br Med J, 282, 1099-1100.

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contrario perché esso può “soddisfare l’esigenza per auto-punizioni, masochismo e

desideri passivi” e “può scatenare tali aggressioni sfrenati in risposta che sia il paziente

stesso o delle volte anche il dottore diventa la vittima da ciò”; per evitare tali esiti

avversi, la collaborazione di psichiatri con dermatologi e chirurghi plastici è consigliata

per la valutazione ed il trattamento di pazienti in cerca di chirurgia estetica. Sebbene

non esiste un trattamento definitivo in questo momento, l’evidenza preliminare

suggerisce che molte cure antidepressive- tra cui forse inibitori selettivi della

ricaptazione della serotonina- possono essere utili per almeno alcuni pazienti. In

aggiunta l’antipsicotico pimozide è stato consigliato grazie al suo successo nel trattare

l’ipocondria monosintomatica ed il disturbo delirante di tipo somatico144, il quale può

essere difficile da distinguere dal punto di vista clinico dal disturbo da dismorfismo

corporeo; tuttavia, è stato anche suggerito che questa cura non è utile nei pazienti

chiaramente non-deliranti.

3.2 GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEL DDC.

Alcuni pazienti sono stati reclutati dai primi 19 idonei in un sondaggio di pazienti con

disturbo da dismorfismo corporeo (Veale et al., 1996) ed erano, inoltre, un misto di auto-

rinvii e rinvii da altre agenzie; il 90% del campione era composto da persone di genere

femminile del quale il 40% erano sposate. Tutti i pazienti hanno soddisfatto tutti i criteri

diagnostici per il disturbo da dismorfismo corporeo nel DSM-IV (American Psychiatric

Association, 1994). Lo studio ha escluso sia i pazienti con DDC dei quali la

preoccupazione principale era il loro peso o la loro forma, sia i pazienti con una demenza

simultanea oppure un disturbo cerebrale organico come ad esempio la schizofrenia,

disturbo delirante e abuso di alcool o sostanze oppure chi ha avuto intenti suicidi. I

pazienti con altre diagnosi comorbide (ad esempio il disturbo ossessivo-compulsivo, la

fobia sociale, il disturbo depressivo) erano inclusi nella prova finché la preoccupazione

principale del paziente era il difetto nella sua apparenza.

Le misure seguenti furono usate a valutazione iniziale:

144 Munro A. (1982). “Delusional (paranoid) disorders.” Can J Psychiatry, 33, 399-404.

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1. L’Esame del Disturbo da Dismorfismo Corporeo (EDDC) (Rosen & Reiter,

1996)145;

2. La Scala modificata Yale Brown del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (SYBDOC)

per il disturbo da dismorfismo corporeo (Hollander & Phillips);

3. Scala di valutazione della depressione (Montgomery & Asberg, 1979)146;

I pazienti erano assegnati casualmente ad uno dei due gruppi e rivisti dopo 12 settimane;

i gruppi consistevano entrambi di una terapia cognitivo-comportamentale oppure il

controllo della lista d’attesa. La randomizzazione era composta da:

a) Il grado di evitamento sull’esame del disturbo da dismorfismo corporeo (Rosen

& Reiter, 1996);

b) la gravità di depressione sulla scala di depressione di Montgomery e Asberg

(Montgomery & Asberg, 1979).

Queste variabili furono scelte in quanto il grado di evitamento e la gravità dei sintomi

depressivi possono in qualche modo predire la prognosi di disturbi come il disturbo

ossessivo-compulsivo147 148. La terapia venne fatta da terapisti cognitivi-comportamentali

esperti; i dati venivano analizzati da prove non parametriche di significatività, vale a dire

il Wilcoxon (uno dei più potenti test utilizzati per verificare se due campioni statistici

provengono dalla stessa popolazione) con SPSS (un software di statistica) per Windows

su un personal computer.

Non c’erano significanti differenze trai due gruppi di pretrattamento in termini di età, età

di insorgenza, durata media e la distribuzione del sesso (vedi tabella 1).

145 Rosen J. C. & Reiter J. (1996). “Development of the Body Dysmorphic Disorder Examination.”

Behaviour research and therapy, 34, 755-766. 146 Montgomery S. A. & Asberg M. (1979). “A new depression rating scale designed to be sensitive to

change.” British Journal of psychiatry, 134, 382-389. 147 Foa E. B. & Emmelkamp P. M. G. (1983). “Failures in behaviour therapy.” New York: Wiley. 148 Cottraux J., Messy P., Marks I. M., Mollard E. & Bouvard M. (1993). “Predictive factors in the treatment

of obsessive-compulsive disorders with fluvoxamine and/or behaviour therapy.” Behavioural psychotherapy,

21, 45-50.

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Non c’erano differenze tra le misure del pretrattamento psicopatologico (vedi tabella 2).

Non c’erano significanti differenze all’interno del gruppo della lista d’attesa il quale è

rimasto stabile per oltre 12 settimane; differenze significative sono state individuate

all’interno dei gruppi per la terapia cognitivo-comportamentale sull’esame del disturbo

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da dismorfismo corporeo, la Scala modificata Yale Brown del Disturbo Ossessivo-

Compulsivo, il punteggio dell’ansia da ospedale, la scala di valutazione della depressione

di Montgomery e Asberg ed il punteggio totale della scala Derriford. C’erano differenze

significative tra i gruppi ma non all’interno dei gruppi per quanto riguarda il punteggio

della fobia sociale: sette dei nove pazienti trattati sono stati valutati come se avessero un

disturbo da dismorfismo corporeo assente oppure subclinico alla fine della prova, mentre

tutti i pazienti nella lista d’attesa sono stati valutati come se avessero un disturbo

nell’ambito clinico anch’essi alla fine della prova.

Abbiamo delineato un modello cognitivo-comportamentale del disturbo da dismorfismo

corporeo e abbiamo dimostrato in uno studio che è possibile trattare con successo i

pazienti affetti da disturbo da dismorfismo corporeo. L’approccio è basato su un modello

di psicopatologia che può essere testato empiricamente negli studi futuri. Abbiamo

dimostrato che i sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo sono estremamente stabili

in una lista d’attesa di 12 settimane e quindi siamo in grado di ottenere una riduzione del

50% dei sintomi nella nostra misura di risultato principale, la scala del disturbo ossessivo-

compulsivo Yale Brown (modificata per il DDC).

Questo è lo stesso sistema ottenuto nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) sia per la

farmacoterapia che per la terapia cognitivo-comportamentale negli studi che hanno usato

la stessa scala; il punteggio medio alla fine della prova (pari a 10.75) è leggermente più

alto di quello ottenuto nello studio del SYBDOC in una popolazione non clinica di

studenti (8.75). Il nostro approccio avrebbe richiesto più sessioni per ottenere degli

ulteriori profitti in alcuni pazienti in quanto queste sessioni possono essere molto utili

all’inizio della terapia quando è fondamentale coinvolgere il paziente e ridurre

l’attenzione ed eventuali rituali. Molti dei nostri pazienti hanno avuto tuttora sintomi

residuali alla fine della nostra prova e sospettiamo che essi possano richiedere almeno 15

o 20 sessioni per ridurre il rischio di una eventuale ricaduta. Questa è stata anche

l’esperienza di Neziroglu e Yaryura Tobias149 150 (1993) i quali descrivono un programma

di una terapia giornaliera all’insorgenza del disturbo.

Lo studio ci ha incoraggiato a valutare inoltre il ruolo della terapia cognitivo-

comportamentale nel disturbo da dismorfismo corporeo in confronto con altri approcci;

sarebbe teoricamente importante smantellare il trattamento in modo da determinare

149 Neziroglu F. & Yaryura Tobias J. A. (1993a). “Body dysmorphic disorder: phenomenology and case

descriptions.” Behavioural psychotherapy, 21, 27-36. 150 Neziroglu F. & Yaryura Tobias J. A. (1993b). “Exposure, response prevention and cognitive therapy in

the treatment of body dysmorphic disorder.” Behaviour therapy, 24, 431-438.

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l’impatto relativo all’esposizione ed il responso solamente della prevenzione oppure in

combinazione con la terapia cognitiva. Crediamo che la priorità della ricerca sia una

prova controllata che mette a confronto la terapia cognitivo-comportamentale con un altro

trattamento psicologico come ad esempio la terapia interpersonale che ha avuto molto

successo nella depressione e nei disturbi legati all’immagine corporea come ad esempio

la bulimia151. Tuttavia non ci aspettiamo che sia efficace come la terapia cognitivo-

comportamentale in quanto quest’ultima si rivolge specificamente all'elusione e al

controllo di comportamento. La ricerca nei bisogni della farmacoterapia per determinare

se il trattamento ottimale è un ISRS (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina),

un IMAO (ovvero inibitore della mono-amino ossidasi) oppure un neurolettico (un

farmaco che abbassa le funzioni nervose). La priorità sarà allora quella di confrontare il

trattamento psicologico più efficace con il trattamento farmacologico più efficace ed una

combinazione dei trattamenti che può fornire un approccio sinergico migliorando lo stato

d’animo della depressione e la motivazione ad un trattamento psicologico. Gli

antidepressivi ISRS possono anche avere un ruolo diretto nella riduzione dei sintomi

dismorfici; tuttavia, l’esperienza degli antidepressivi ISRS nel disturbo ossessivo-

compulsivo suggerirebbe che ci sarà un alto tasso di ricaduta sull’interruzione del

farmaco152 e che il trattamento psicologico sarà essenziale per ridurre il rischio di

ricaduta.

Al giorno d’oggi esistono numerosi strumenti di valutazione come ad esempio quelli

citati finora, ma ve ne sono altri due molto importanti che andiamo immediatamente a

spiegare: sono stati reclutati 54 pazienti collocati presso l’ambulatorio di chirurgia

plastica dell’Università degli studi di L’Aquila nel periodo che va da Novembre 2006 ad

Aprile 2007. A questi pazienti sono stati somministrati un questionario in maniera del

tutto anonima per la semplice raccolta dei dati socio-demografici; i questionari sono la

Symptom Check List 90 (SCL-90) per la valutazione della psicopatologia generale ed il

Body Uneasiness Test (BUT) per la valutazione della percezione della propria immagine

corporea.

La Symptom Check List 90 (SCL-90), come abbiamo detto precedentemente, è una scala

di valutazione generale della psicopatologia basata sull’autovalutazione del paziente;

codesto questionario è composto da 90 item (infatti proprio per questo motivo si chiama

151 Weissman M. M. & Markowitz J. C. (1994). “Interpersonal psychotherapy – current status.” Archived of

general psychiatry, 51, 599-606. 152 Gournay K. (1995). “The treatment of obsessive-compulsive disorder: approaches using behavioural

psychotherapy alone or in combination with other treatments.” European psychiatry, 9, 229-235.

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SCL-90) che indagano su una eventuale presenza di sintomi nella settimana che precede

la compilazione del questionario. I 90 item fanno capo a ben dieci fattori fondamentali:

1) somatizzazione;

2) ossessività-compulsività;

3) sensibilità interpersonale;

4) depressione;

5) ansia;

6) rabbia/ostilità;

7) fobia;

8) psicoticismo;

9) paranoia;

10) disturbi del sonno.

Il punteggio va da 0 a 4 ed un valore inferiore ad 1 indica che la patologia è presente in

un soggetto.

Il Body Uneasiness Test (BUT) è una scala di autovalutazione indicata per lo studio

dell’immagine corporea e delle sue patologie. Il BUT è composto da ben 71 item con

risposta a scelta multipla ed è diviso in due parti:

BUT a, composta da 34 item clinici;

BUT b, composto da 37 item che elencano parti e funzioni del corpo.

Gli item sono valutati su una scala da 0 (che corrisponde a “mai”) a 5 (che corrisponde a

“sempre”); i punteggi più alti indicano una maggiore compromissione. Oltre al punteggio

totale, si calcola il Global Severity Index (GSI) o punteggio medio complessivo che si

ottiene sommando i punteggi della prima parte del BUT (il BUT a) e dividendo per il

numero degli item appartenenti al BUT a ovvero 34: il numero degli item con punteggio

≥1 corrisponde al Positive Symptom Total (PST); la somma dei punteggi degli item con

punteggio ≥1 diviso per il PST fornisce il Positive Symptom Distress Index (PSDI).

Nella valutazione della scala BUT, la presenza di un disagio corporeo molto importante

è improbabile se il punteggio GSI è <1,2 mentre è probabile se il punteggio GSI è >1,2.

Gli altri punteggi e le risposte ai singoli item possono essere d’aiuto per individuare aree

problematiche sulle quali soffermarsi nel lavoro terapeutico ed inoltre per seguire

l’andamento dei fenomeni nel corso del tempo. Nel nostro studio abbiamo considerato

positivo per un’alterazione della percezione dell’immagine corporea un punteggio GSI

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≥1,2; il campione è stato suddiviso e valutato distinguendo le più frequenti procedure

“ricostruttive” (A) da quelle “estetiche” (B) come possiamo notare nella tabella I.

In base alla positività al BUT il campione è stato ulteriormente suddiviso in un gruppo

BUT positivo, ovvero composto da pazienti che mostravano un’alterazione

dell’immagine corporea, ed in gruppo BUT negativo. Nei gruppi appena citati sono state

trovare alcune differenze nelle caratteristiche psicopatologiche grazie all’utilizzo della

SCL-90. Le caratteristiche socio-demografiche e cliniche del campione le possiamo

notare nella tabella II.

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Il 37% del campione complessivo è risultato positivo alla scala BUT (GSI≥1,2: punteggio

medio=2,1, ds=0,7), mentre il 62,3% non presentava nessuna alterazione importante della

propria immagine corporea (GSI<1,2; punteggio medio=0,4; ds=0,3).

I punteggi medi delle varie dimensioni ed il punteggio totale della scala SCL-90 sono

rappresentati nella figura 1.

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Nel campione totale, la valutazione psicopatologica con la scala SCL-90 ha segnalato che

le dimensioni sintomatologiche più rappresentate erano:

Depressione (punteggio medio=9,70; ds=10,1);

Somatizzazione (punteggio medio=9,41; ds=8,1);

Ossessività-compulsività (punteggio medio=8,25; ds=7,4);

Ansia (punteggio medio=8,02; ds=7,5).

Del campione totale formato da 54 soggetti, il 42,6% erano candidati ad intervento di

chirurgia ricostruttiva ed il 57,4% ad intervento di chirurgia estetica. Le caratteristiche

socio-demografiche e cliniche dei due gruppi suddivisi in base al tipo di intervento a cui

erano candidati i 54 individui sono riassunti nella tabella III.

Non sono state evidenziate differenze statisticamente importanti trai due gruppi nelle

variabili socio-demografiche e cliniche; la percentuale di individui positivi (GSI≥1,2) e

negativi (GSI<1,2) alla scala BUT sono rappresentate nella figura 2.

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Non sono riscontrate differenze statisticamente rilevanti tra i due gruppi nella percentuale

di soggetti rispettivamente positivi e negativi al BUT; i punteggi medi delle dimensioni

e del punteggio totale della scala SCL-90 sono rappresentati nella figura 3.

Sono state riscontrate differenze statisticamente importanti (p<0,05) tra i due gruppi nei

punteggi medi delle dimensioni “somatizzazione” e “ossessività/compulsività” più

elevati nel gruppo dei soggetti candidati ad interventi di chirurgia estetica rispetto al

gruppo di soggetti candidati ad una chirurgia ricostruttiva. Il campione totale è stato

suddiviso anche in base alla positività al BUT, considerando positivo una alterazione

della percezione dell’immagine corporea in quanto è stato riscontrato un punteggio

GS≥1,2. Il 33,92% dei soggetti sono risultati positivi al BUT riscontrando un punteggio

GSI>1,2 con un punteggio medio pari a 2,11, mentre il 66,02 dei soggetti non

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presentavano una alterazione importante della propria immagine corporea.

Le caratteristiche sociodemografiche dei due campioni sono riportate nella tabella IV.

I due gruppi di pazienti non presentavano differenze statisticamente rilevanti per quanto

riguarda la tipologia di intervento richiesta anche se un maggior numero di soggetti con

BUT positivo avevano effettuato un intervento di chirurgia estetica. La valutazione

psicopatologica nei due campioni mette in evidenza delle differenze statisticamente

molto importanti in tutte le dimensioni della SCL-90 nei due gruppi nel senso di punteggi

significativamente più elevati nei soggetti positivi al BUT (vedi figura 4).

La valutazione psicopatologica nei gruppi con BUT positivo e negativo ha evidenziato

che i soggetti con alterazione dell’immagine corporea presentavano caratteristiche

psicopatologiche molto marcate. Nel gruppo che ha presentato il BUT positivo si

osservano, in contrasto al gruppo che ha presentato il BUT negativo, punteggi molto più

elevati in tutte le dimensioni psicopatologiche della scala SCL-90; tali risultati

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sottolineano ancora la necessità di valutazione psichiatrica più dettagliata nei soggetti

che presentano un’alterazione della propria immagine corporea anche quando questa

alterazione non rientra in un quadro conducibile al disturbo da dismorfismo corporeo.

L’obiettivo di questo studio era quello di indagare per una eventuale presenza di

sintomi psicopatologici nel campione preso in considerazione. Se si osservano, però,

questi risultati nell’ambito di una diagnosi dimensionale e non in base ai criteri

diagnostici del DSM-IV, si evidenzia che i sintomi per lo più comuni e presenti sono la

depressione, la somatizzazione, l’ossessività/compulsività e l’ansia; tali sintomi sono

perfettamente riconducibili sia ad un disturbo depressivo che ad un disturbo d’ansia,

così come sono riconducibili ad un disturbo da dismorfismo corporeo.

In letteratura è stato ampiamente riportato che i soggetti che si sottopongono ad

interventi di chirurgia estetica presentano un disturbo tra depressione, ansia e disturbo

da dismorfismo corporeo; su questa linea si possono anche comprendere i risultati avuti

in seguito alla valutazione delle differenze psicopatologiche nei campioni che si

sottopongono ad interventi di chirurgia estetica e chirurgia ricostruttiva. Dai dati

riportati emerge che i soggetti candidati alla chirurgia estetica mostrano, rispetto ai

soggetti candidati ad una chirurgia ricostruttiva, punteggi molto più alti nelle

dimensioni “somatizzazione” e “ossessività/compulsività” dalla scala SCL-90

perfettamente riconducibile ad un disturbo da dismorfismo corporeo. Da quanto

riportato finora possiamo capire benissimo come le alterazioni dell’immagine corporea

sono assolutamente fondamentali e giocano un ruolo chiave nel motivare i pazienti a

ricorrere alla chirurgia estetica e questo è il motivo per cui quest’ultima è stata definita

come la “psicoterapia dello scalpello”.

I nostri risultati sembrano confermare la presenza di alterazioni dell’immagine corporea

tra i pazienti che richiedono un intervento di chirurgia plastica e la loro comorbidità con

altri disturbi psichiatrici; tale prevalenza sembra, inoltre, non avere nulla a che vedere

con il tipo di intervento richiesto. I dati riportati sottolineano l’importanza di una

collaborazione attiva tra i servizi di chirurgia plastica e i servizi di psichiatria di

consultazione con lo scopo di fare una diagnosi precoce, selezionare una popolazione

candidabile all’intervento chirurgico, migliorare la prognosi e l’esito dell’intervento ed

evitare, infine, l’instaurarsi di una compromissione del funzionamento globale del

soggetto e migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Fino ad ora abbiamo visto numerosissimi strumenti di intervento tutti con l’obiettivo di

studiare la possibile insorgenza del disturbo da dismorfismo corporeo e la sua

diffusione. Tra questi strumenti di valutazione ve n’è uno da non dimenticare

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assolutamente in quanto è considerato lo strumento di valutazione per eccellenza;

stiamo parlando dell’EDDC ovvero l’Esame del Disturbo da Dismorfismo Corporeo

(Rosen e Reiter, 1990); questo strumento consiste in un’intervista semi strutturata

messa a punto per la diagnosi, per la valutazione della gravità dell’immagine negativa

del corpo e per il monitoraggio della risposta al trattamento. La scala esplora sei aree:

Preoccupazione e valutazione negativa per l’aspetto fisico;

Coscienza di sé, imbarazzo, sentirsi osservato in pubblico;

Eccessiva importanza data all’aspetto fisico nella valutazione di sé;

Evitamento delle situazioni sociali o delle attività in pubblico ed evitamento del

contatto fisico con gli altri;

Mascheramento del corpo;

Comportamento di controllo del corpo.

Oltre ai questionari menzionati, vengono spesso utilizzati, nella fase di assessment e di

presa in carico (ambulatoriale, in day hospital oppure in ospedalizzazione) delle interviste

al fine di rilevare dati principalmente qualitativi e relativi all’immagine corporea e alle sue

correlazioni con alcuni comportamenti riguardanti l’alimentazione. Inoltre, per una

diagnosi completa, solitamente i questionari appena illustrati consentono di individuare

casi sospetti ma non di formulare diagnosi di un disturbo dell’immagine corporea: per

questo ultimo aspetto è necessaria un’intervista che dia conferma ad eventuali dubbi

riguardante il soggetto.

Le interviste possono essere:

Non strutturate: consistono nel fatto che lo sperimentatore chiede di esprimersi

liberamente sull’argomento;

Semi-strutturate: hanno inferiore grado di direttività rispetto a quelle

strutturate. Consistono nel fatto che lo sperimentatore pone una serie di

domande agli intervistati lasciando però libertà di rispondere con

argomentazioni più ampie.

Strutturate: consistono in una serie di domande precise poste dallo

sperimentatore al soggetto intervistato. Il numero di dati raccolti è inferiore

rispetto al metodo precedente ma molto più mirato.

Lo svantaggio di questi strumenti, siano essi non strutturati, strutturati o semi-strutturati è

che per la loro somministrazione è necessario un adeguato investimento di tempo

(mediamente dai 15 minuti sino anche alle 2 ore) oltre alla presenza di uno

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psicologo/psicoterapeuta adeguatamente esperto nella raccolta e nell’interpretazione dei

dati. Ai fini della ricerca scientifica, infine, i dati raccolti possono non essere scevri di un

bias causato dai fattori legati ad età, sesso ed eventuali caratteristiche fisico-psichiche del

professionista incaricato della somministrazione e siglatura.

Alcuni esempi di interviste sono:

L’ Eating Disorder Examination chiamata anche EDE (Cooper, Cooper, &

Fairburn, 1989): intervista strutturata per lo studio dei disturbi del comportamento

alimentare, che consente di formulare diagnosi secondo le categorie del DSM-IV e

fornisce punteggi relativi a restrizione, preoccupazione per il cibo, preoccupazione

per il peso e preoccupazione per la forma del corpo. L'applicazione dell'intervista

richiede 20-30 minuti per ciascun paziente, essa è un prezioso strumento di

approfondimento diagnostico nei pazienti che sono risultati oltre la soglia di

attenzione per il disturbo da alimentazione incontrollata e non.

La SIAB-EX ovvero la “Structured Interview for Anorexic and Bulimic disorders

for DSM-IV and ICD-10 (Fichter & Quadflieg, 2001)” è una intervista strutturata

per l’anoressia e la bulimia nervosa con 85 item che spaziano su diversi argomenti,

compresa l’immagine corporea negli ultimi tre mesi.

3.2.1 UN NUOVO STRUMENTO DIGITALE: IL “BODY IMAGE

REVEALER”.

Nel primo capitolo (più precisamente nel §1.1) abbiamo parlato dell’immagine corporea

descrivendola praticamente come un costrutto multidimensionale che si riferisce ad aspetti

cognitivi, percettivi, attitudinali e comportamentali nei confronti del proprio corpo (Cash &

Pruzinsky, 2004; J. K. Thompson et al., 1999; Trautmann, Lokken Worthy & Lokken,

2007); in poche parole l’IC rappresenta il modo in cui un individuo percepisce il proprio

corpo e ad essere eccessivamente preoccupate per quanto riguarda il proprio aspetto sono

le donne in quanto il desiderio di magrezza è molto presente in Occidente. Una persona

con un’immagine corporea negativa risulta essere ansiosa ed eccessivamente preoccupata

per l’aspetto fisico sentendosi perciò a disagio soprattutto nel periodo dell’adolescenza;

inoltre un’immagine corporea negativa è una caratteristica che sta alla base dell’insorgenza

di un disturbo alimentare oltre che di un disturbo da dismorfismo corporeo (APA, 1994).

Dal punto di vista metodologico vi è una forte esigenza di metodi in grado di valutare

l’immagine corporea nella sua interezza. Per valutare l’IC è stata sviluppata una nuova

tecnica di simulazione computerizzata denominata Body Image Revealer (BIR). Il BIR è

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una tecnica di simulazione al computer che risulta molto facile da usare grazie

all’interfaccia grafica-utente (la cosiddetta GUI, ovvero Graphical User Interface) che,

dopo alcune direttive da parte dello specialista, può essere gestita dall’individuo sottoposto

al test. Questa tecnica, estremamente realistica, è preferita a tanti altre tecniche già esistenti

come ad esempio la video-distorsione mediante lenti anamorfiche, il morphing basato sulla

divisione in fotogrammi delle immagini o gli altri software che prendono in considerazione

l’intera immagine senza prendere in considerazione la figura corporea come invece fa il

BIR.

La metodologia mediante il BIR oggi rappresenta una più mirata elaborazione

dell’immagine corporea ottenuta mediante fotocamera digitale oppure tramite video con la

possibilità di selezionare la zona o più zone di intervento oltre che alla qualità di

simulazione da applicare all’immagine del soggetto da trattare; questo strumento di

valutazione del tutto tecnologico è caratterizzato da un software che utilizza le foto dei

soggetti con l’obiettivo di misurare la discrepanza tra le dimensioni dell’immagine reale

quelle che invece attribuisce si attribuisce; le foto digitalizzate dei soggetti vengono

caricate nel programma che a sua volte le modifica di dimensione simulando così il

sovrappeso oppure il sottopeso dell’individuo. Il compito del soggetto in esame è quello di

ridimensionare la propria immagine fino alla dimensione da lui ritenuta corretta basandosi

solo sulle informazioni che possiede a memoria della propria immagine corporea.

Ma come funzione esattamente il Body Image Revealer? Lo sperimentatore chiede al

soggetto in esame di ripristinare la propria immagine corporea in quattro diverse idee:

1) Come pensi di essere.

2) Come senti di essere.

3) Come pensi che gli altri ti vedano.

4) Come vorresti essere.

Ipotizzando che vari soggetti eseguano in maniera diversa i quattro compiti lo scopo

principale è quello di discriminare gli aspetti più percettivi dell’IC con la prima domanda,

gli aspetti affettivi con la seconda domanda, esaminare la componente meta-cognitiva nella

terza domanda e, infine, misurare l’immagine del sé ideale con la quarta ed ultima

domanda. Questo perché l’immagine corporea dovrebbe necessariamente avere gli

strumenti giusti per poter valutare ogni elemento che compone il costrutto. La procedura

del metodo, sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista di una ricerca, con il BIR

viene eseguita mediamente in 10-12 minuti e prevede i seguenti passaggi:

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Step 1: al soggetto viene scattata una foto mediante una fotocamera digitale connessa al

computer.

Step 2: durante la videoproiezione a grandezza naturale l’immagine del soggetto viene

presentata con una simulazione sia di sovrappeso che di sottopeso con l’obiettivo di

valutare le distorsioni dell’immagine corporea e soprattutto valutare la gravità

dell’insoddisfazione corporea (vedi Figura 15).

Step 3: L’operatore pone alcuni quesiti al soggetto che deve rispondere correggendo

l’immagine simulata premendo semplicemente due pulsanti (+ e -) situati su un comando a

distanza.

Al termine della seduta del test si discute sui risultati valutando quindi una eventuale

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esistenza di un problema legato all’immagine corporea; in alcuni casi il test viene ripetuto

più volte durante il percorso di supporto psicologico. Per quanto riguarda i dettagli tecnici

e di interesse esclusivo dell’operatore che esegue il test, va precisato che l’immagine del

soggetto viene acquisita da un sensore CCD (praticamente uno di quei sensori che si

trovano all’interno di una qualsiasi fotocamera digitale) ed interfacciata con il calcolatore

che possiede all’interno il software di diagnosi. Il sensore CCD ha il compito di consentire

la miglior risoluzione possibile con l’obiettivo di permettere di settare la soglia in almeno 5

megapixel per una gestione ottimale dell’immagine (il pixel è un diminutivo di picture

element; in poche parole è la più piccola unità di un’immagine, corrispondente ad un

puntino sullo schermo: maggiore è il numero di queste unità migliore è la risoluzione a

video dell’immagine ottenuta). (vedi Figura 16)

Dopo aver acquisito l’immagine del soggetto il software spesso richiede i punti da cui far

partire la simulazione ovvero la zone oppure le zone interessate all’algoritmo dello

strumento. Per semplificare le cose, la zona sarà racchiusa in un quadrato/rettangolo che

potrà essere definito a proprio piacimento all’interno dell’immagine acquisita; la zona

verrà quindi estrapolata per permettere l’individuazione e, dopo aver settato i parametri che

stabiliscono le percentuali di simulazione dell’immagine da presentare al paziente ed aver

invertito i suoi dati, inizia il test vero e proprio.

Il range del BIR va da +75% (rispetto all’immagine di partenza e che simula il sovrappeso)

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a -75% (rispetto all’immagine di partenza e che simula il sottopeso). (vedi Figura 17)

3.3 LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE.

Se non affrontato precocemente con terapie specifiche il disturbo da dismorfismo

corporeo può determinare un notevole calo della qualità della vita con conseguenze

molto rilevanti sul piano sociale, familiare e lavorativo nonché ciò implicherebbe

l’insorgenza di ulteriori disturbi come la depressione maggiore, il disturbo ossessivo-

compulsivo, la fobia sociale e talvolta anche i disturbi del comportamento alimentare o

abuso di sostanze e/o farmaci. Dal punto di vista fisico questa ossessione dei confronti

del difetto o dei difetti da eliminare può mettere in serio rischio la salute del soggetto

(per esempio può ricorrere alla chirurgia estetica invasiva) oppure ciò potrebbe

determinare esiti non accettabili o parzialmente accettabili dal soggetto che in fin dei

conti non fanno altro che peggiorare la situazione. Riconoscere l’esistenza del problema

fin dai primissimi sintomi permette di iniziare una serie di trattamenti farmacologici o

psicoterapici molto efficaci che permettono di equilibrare il rapporto con il proprio

corpo e di focalizzare l’attenzione sul disagio psicologico di base che ha portato a

sviluppare un atteggiamento di tipo ossessivo nei confronti di una parte del corpo (come

ad esempio il naso, la bocca o il mento) privo di particolari pecche.

La psicoterapia può essere molto utile per superare il disturbo da dismorfismo corporeo

ma va sempre utilizzata insieme al trattamento farmacologico e quindi non come unico

intervento. La strategia che si è dimostrata più efficace è la terapia psico-

comportamentale con l’obiettivo di “desensibilizzare” il paziente nei confronti dello

stimolo negativo grazie all’esposizione graduale allo stimolo stesso: in poche parole in

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questo caso che parliamo di disturbo da dismorfismo corporeo ciò consiste nel chiedere

al soggetto di prendere parte ad un’attività che prima evitava per via del suo difetto o

dei suoi difetti per poi esaminare gli esiti e le implicazioni dell’esperienza per elaborare

chiaramente il disagio.

Le situazioni da elaborare possono essere reali (terapia comportamentale) oppure

soltanto immaginarie (terapia cognitiva); vediamoli singolarmente:

Il termine "cognitivo" fa riferimento a tutto ciò che accade internamente alla

mente, ovvero tutti i processi mentali come pensiero, ragionamento, attenzione,

memoria etc.

Il termine "comportamentale" fa riferimento invece ai comportamenti manifesti

da parte del soggetto e, dunque, non solo azioni e condotte ma tutte le attività

osservabili dell'organismo in rapporto con l'ambiente.

Tra i trattamenti psicoterapeutici che vengono utilizzati nel trattamento del disturbo da

dismorfismo corporeo vi è la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) all’interno del

quale i pazienti lavorano per cambiare i propri pensieri e comportamenti negativi

inerenti al DDC. Tra le varie terapie questa sembra la più promettente in termini di

risultati ottenuti.

I pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo sono generalmente considerati come

difficili da trattare o da coinvolgere nelle terapie psicologiche tant’è vero che non è del

tutto sorprendente come ci sia un elevato grado di comorbidità con la depressione, i

disturbi di personalità ed il comportamento evitante tutti comunque fattori che sono

conosciuti per predire un eventuale insuccesso nel trattamento del disturbo ossessivo-

compulsivo (Foa & Emmelkamp, 1983; Cottraux et al. 1993).

Prima di descrivere la TCC nel suo complesso è necessario fare un piccolo passo

indietro sottolineando, ad esempio, che questa tipologia di terapia è suddivisa in “tre

generazioni”:

1. LA PRIMA GENERAZIONE è rappresentata dalla terapia comportamentale, un

tipo di psicoterapia che si occupa esclusivamente del comportamento

dell’individuo, appreso all'interno del proprio ambiente o nel corso di particolari

esperienze di vita. L’obiettivo è quello di aiutare il paziente a modificare i suoi

comportamenti/sintomi problematici. La terapia comportamentale origina dagli

studi di psicologia sperimentale sul condizionamento classico di Ivan Pavlov

(1849-1936) e sul condizionamento operante di Burrhus Skinner (1904); ad essi si

aggiunsero i contributi di Joseph Wolpe (1915) sulla desensibilizzazione e di Hans

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Eysenck (1916) sulla "Teoria dei Tratti". Dagli anni '70, si parla appunto di

neocomportamentismo per definire la rielaborazione operativa degli originari

contributi teorici di Pavlov e Skinner in un'ottica specificatamente clinica; dopo una

prima fase di sviluppo avvenuta prevalentemente negli Stati Uniti (tra gli anni '60

ed i primi anni '80), si è poi diffusa progressivamente anche in Europa e nel resto

del mondo. Le principali tecniche d'intervento comportamentali sono: il

condizionamento/decondizionamento (finalizzato all'estinzione o rimodulazione di

risposte comportamentali e psicofisiologiche), la desensibilizzazione sistematica,

l'uso di tecniche di rilassamento (come il rilassamento muscolare progressivo di

Jacobson, le tecniche di controllo delle respirazioni), ed il Biofeedback (BFB).

2. LA SECONDA GENERAZIONE è rappresentata dalla psicoterapia

cognitivo-comportamentale a partire dagli studi empirici di fine anni ’60 su

come i pensieri avevano un impatto diretto sulle emozioni e sul comportamento

dell’individuo. In particolare fu Aron Beck, verso la fine degli anni’70, che

elaborò un modello d’intervento clinico basato sulla riflessione cosciente sulle

proprie emozioni e sui pensieri ad esse associati e la messa in discussione dei

pensieri che interferivano con l'equilibrio emotivo della persona. Il termine

“Psicoterapia Cognitiva” deriva proprio dal sostenere che il pensiero costituisce

sia il problema psicologico primario che la sua cura, in seguito altri autori hanno

dato un contributo importante alla terapia cognitiva, come ad esempio la terapia

razionale-emotiva di Albert Ellis, il costruttivismo di George Kelly, la terapia

multimodale di Arnold Lazarus, il modello teorico di Michael Mahoney, il

cognitivismo post-razionalista di Vittorio Guidano (noto psichiatra italiano

1944-1999). La rivoluzione cognitiva in psicoterapia è stata inoltre facilitata

dallo sviluppo delle scienze cognitive ed in particolare il contributo della

psicologia sociale con la teoria dell’attribuzione e lo sviluppo della scienza e

programmazione informatica che hanno permesso l’analogia tra il software del

computer e la mente per comprendere le regole di programmazione del cervello

umano e del comportamento.

3. LA TERZA GENERAZIONE è rappresentata dalle più recenti psicoterapie

cognitivo-comportamentale: Acceptance and Commitment Therapy (ACT),

Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) e Mindfulness-Based Cognitive

Therapy (MBCT), Functional Analytic Psychotherapy (FAP), Dialectical

Behavior Therapy (DBT) e Integrative Behavioral Couple Therapy (IBCT); vi

sono alcuni elementi che accomunano i modelli basati più o meno direttamente

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sull’acceptance (ACT, DBT, FAP, IBCT) e quelli basati prevalentemente sulla

mindfulness (MBSR, MBCT). Nelle terapie di terza generazione, l’obiettivo non

è più quello di trasformare direttamente i pensieri e le convinzioni disfunzionali

in pensieri alternativi più razionali e funzionali (come prescrivono le tecniche di

ristrutturazione cognitiva), ma individuare delle strategie di cambiamento

contestuali ed esperienziali che modificano la funzione degli eventi psicologici

senza intervenire sulla loro forma. Gli interventi proposti da queste terapie di

terza generazione, invece che focalizzarsi sul cambiamento diretto degli eventi

psicologici, si propongono di cambiare la loro funzione e relazione degli

individui con gli stessi, mediante strategie quali la mindfulness, l’accettazione o

de-fusione cognitiva (Teasdale, 2003).

Ora ci sono diversi casi clinici che descrivono l’uso della terapia comportamentale varie

forme di esposizione: tra i casi clinici Munjack nel 1978153 ha descritto il trattamento di

successo di un paziente che lamentava di un eccessiva carnagione rossa dovuta alla

desensibilizzazione; Beary e Cobb nel 1981154 hanno trattato per l'esposizione e la

risposta di prevenzione tre pazienti con l'illusione che puzzavano di flatulenze o alito

cattivo; Braddock nel 1982155 ha descritto un adolescente il quale lamentava di una

fronte rugosa che era trattata da una formazione di assertività ed ignorando i lamenti del

paziente. Gomez-Perez, Mariks e Gutierrez-Fisac nel 1994156 dalla stessa unità hanno

rivisto il trattamento di 30 casi di terapia comportamentale ed un trattamento aggiuntivo

di antidepressivi in sei casi. Neziroglu e Yaryura Tobias descrivono nel 1993 l’uso

dell’esposizione e della prevenzione della risposta in cinque casi come indifferente alla

cura. In tutti gli esempi citati sopra, l’esposizione giornaliera potrebbe implicare

l’entrare a far parte di situazioni sociali senza l’uso di camuffamento e quindi senza

nascondere i loro difetti; le strategie della prevenzione della risposta includeva il fatto

di non interrogare gli altri sul difetto percepito ed far esercitare i parenti a non

rispondere alle richieste di rassicurazione, infatti se il paziente va alla ricerca del difetto

nelle superfici riflettenti allora sarebbero incoraggiati a resistere. Rosen, Reiter ed

153 Munjack D. (1978). “Behavioural treatment of dysmorphophobia.” Journal of behavioural therapy and

experimental psychiatry, 9, 53-56. 154 Beary M. & Cobb J. (1981). “Solitary psychosis – three cases of monosymptomatic delusion of alimentary

tract stench treated with behavioural psychotherapy.” British journal of psychiatry, 138, 64-66. 155 Braddock L. E. (1982). “Dysmorphophobia in adolescence: a case report.” British journal of psychiatry.

140, 199-201. 156 Gomez-Perez J. C., Marks I. M. & Gutierrez-Fisac J. L. (1994). “Dysmorphophobia: clinical features and

outcome with behaviour therapy.” European psychiatry, 9, 229-235.

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Orosan nel 1995157 hanno condotto una prova casuale controllata di un gruppo di

terapia cognitivo-comportamentale per sedici ore; il trattamento prevedeva

l’allenamento nello stimare correttamente la misura o la forma delle parti del corpo;

l’auto-esposizione davanti ad uno specchio; la modifica delle convinzioni

sopravvalutate riguardo l’importanza dell’apparenza fisica, tecniche per sfidare i

pensieri intrusivi sull’apparenza; l’esposizione per provocare l’auto-coscienza riguardo

l’apparenza e la prevenzione della risposta di controllo, di ricerca di rassicurazione e

confrontando sé stessi con gli altri. Rosen et al. nel 1995 descrivono le strategie che

implicano l’allenamento della stima corretta della misura e della forma, questo può

essere utile per i pazienti i quali evitano in ogni modo di esaminare il loro difetto

percepito ma la maggior parte dei pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo

tendono sempre a controllare il loro aspetto e sono più accurati nella percezione rispetto

ai controlli sanitari (Jerome, 1980). Una strategia di auto-esposizione ad uno specchio

può quindi essere controproducente sebbene Rosen afferma che può essere ancora utile

se fatta con la ristrutturazione cognitiva.

Warwick e Salkovkis nel 1989158 tentano di coinvolgere pazienti ipocondriaci nella

terapia cognitivo-comportamentale come un esercizio di verifica di ipotesi per un

periodo limitato; essi suggeriscono al paziente che poiché egli ha cercato una evidenza

di una causa fisica ai loro sintomi (spesso per parecchi anni), allora egli sarebbe

disponibile a cercare una spiegazione alternativa dei loro sintomi per tre mesi e se

nessun progresso è fatto in terapia allora il terapista potrebbe chiedere al medico

generale del paziente di rinviarli ad un altro fisico; questa strategia potrebbe essere

usata per i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo e crediamo che ci dovrebbero

essere dei buoni collegamenti tra i medici che trattano il disturbo da dismorfismo

corporeo, i chirurghi plastici ed i dermatologi. I pazienti che non hanno avuto una

opinione da un chirurgo plastico o da un dermatologo potrebbero beneficiare da uno

all’inizio del trattamento in modo tale che siano chiaramente informati se le loro

aspettative per un cambiamento sono realistiche; crediamo che fornire un modello

psicologico alternativo di DDC (come abbiamo descritto poc’anzi) è cruciale ad una

fase iniziale per coinvolgere i pazienti.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale è una forma di terapia psicologica che si

157 Rosen J. C., Reiter J & Orosan P. (1995). “Cognitive behavioural body image therapy for body

dysmorphic disorder.” Journal of consulting and clinical psychology, 63, 263-269. 158 Warwick H. M. & Salkovskis P. M. (1989). “Cognitive therapy of hypochondriasis.” In J. Scott, J. M. G.

Williams & A. T. Beck (Eds.), Cognitive therapy in clinical practice. London: Croom Helm.

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basa sul presupposto che vi è una stretta relazione tra pensieri, emozioni e

comportamenti e che i problemi emotivi sono influenzati da ciò che pensiamo e

facciamo nel presente. La ricerca scientifica, infatti, ha dimostrato che le nostre reazioni

emotive e comportamentali sono determinate dal modo in cui interpretiamo le varie

situazioni e quindi dal significato che diamo agli eventi. Secondo la teoria cognitiva, le

persone cercano di dare un senso a ciò che le circonda e si organizzano l'esperienza per

non essere sopraffatte dalla grande quantità di stimoli a cui sono sottoposte ogni giorno.

Con il passare del tempo le varie interpretazioni portano ad alcuni convincimenti e

apprendimenti, che possono essere più o meno aderenti alla realtà e più o meno

funzionali al benessere della persona. Il modello cognitivo sostiene che ci sono tre

livelli di cognizioni:

• convinzioni profonde;

• convinzioni intermedie;

• pensieri automatici.

Le convinzioni profonde sono delle strutture interpretative di base con cui la persona

rappresenta sé stesso e gli altri e organizza il suo pensiero, in altre parole uno schema è

una tendenza stabile ad attribuire un certo significato agli eventi. Ad esempio, una

persona che ha uno schema di sé del tipo "Non sono amabile" penserà che nessuno mai

potrà amarlo e può interpretare la fine di una relazione non come un evento che può

capitare a tutti e che di solito è influenzato da più fattori, ma come la prova che nessuno

effettivamente lo può amare. I contenuti degli schemi cognitivi vengono considerati come

delle verità assolute. Questi pensieri sono, infatti, più globali, rigidi e ipergeneralizzati

rispetto alle altre forme di cognizione e possono riguardare noi stessi (schema di sé), gli

altri (schema dell'altro) e la relazione di sé con l'altro (schema interpersonale).

Le convinzioni intermedie sono delle idee o interpretazioni su noi stessi, sugli altri e sul

mondo che ci permettono di organizzare l'esperienza, prendere decisioni in tempi brevi e

orientarci nelle relazioni con le altre persone. Esse sono più malleabili rispetto alle

convinzioni di base. Le convinzioni intermedie sono costituite da opinioni (es. "È

umiliante andare all'esame impreparato!"), regole (es. "Devo sempre essere all'altezza

della situazione!") e assunzioni (es. "Se prendo trenta tutti mi stimeranno"!).

I pensieri automatici, infine, sono le cognizioni più vicine alla consapevolezza conscia e

sono delle parole, piccole frasi o immagini che attraversano la mente della persona ad un

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livello più superficiale (ad esempio "Sarò sempre un fallito!"). Essi sono facilmente

modificabili e sono direttamente responsabili delle emozioni provate dalla persona stessa.

Secondo il modello cognitivo, le convinzioni profonde influenzano le convinzioni

intermedie e quelle intermedie influenzano i pensieri automatici; questi, infine,

interferiscono direttamente sullo stato emotivo della persona. Ad esempio, lo schema

"Sono un incapace!" può portare la persona ad avere la convinzione intermedia "Se non

riesco a studiare vuol dire che sono davvero un fallito!"; tale assunzione, infine può far

emergere il pensiero automatico "Sono proprio un fallito!".

Ma cosa serve la terapia cognitivo-comportamentale? Alcune volte le convinzioni che

abbiamo su noi stessi, sugli altri o sul mondo che ci circonda possono essere

disfunzionali, cioè possono distorcere la realtà delle cose, attivarsi in modo rigido

indipendentemente dai contesti, generare pensieri automatici negativi che producono

nient’altro che sofferenza. Il modello cognitivo ipotizza che il pensiero distorto e

disfunzionale sia comune a tutti i disturbi e che sia il responsabile del protrarsi delle

emozioni dolorose e della sintomatologia del paziente. In alcuni casi, infatti, il pensiero

distorto e disfunzionale può portare allo sviluppo di circoli viziosi che mantengono la

sofferenza nel tempo.

Le emozioni negative intense (ad esempio elevati livelli di tristezza, vergogna, colpa o

ansia), inoltre, possono essere così dolorose e invalidanti da interferire con le capacità

della persona di pensare chiaramente alla soluzione del problema; è possibile supporre

che senza tali meccanismi di mantenimento, la persona troverebbe da sola la soluzione

dei suoi problemi psicologici utilizzando la capacità di risoluzione dei problemi

(problem-solving) insita nell'essere umano. La psicoterapia cognitivo-comportamentale,

pertanto, interviene sui pensieri automatici negativi, sulle convinzioni intermedie e sugli

schemi cognitivi disfunzionali al fine di regolare le emozioni dolorose, interrompere i

circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo e creare le condizioni per la

soluzione del problema.

Come sappiamo la terapia cognitivo-comportamentale non è l’unica terapia esistente e

utilizzata ma ce ne sono tante altre che vedremo in seguito; a differenza delle altre

psicoterapie, la TCC si focalizza sul presente, è più breve ed è più orientata alla soluzione

dei problemi attuali. I clienti apprendono alcune specifiche abilità che possono utilizzare

per il resto della vita; queste abilità riguardano l’identificazione di modi distorti di

pensare, la modificazione di convinzioni irrazionali e il cambiamento di comportamenti

disadattivi. Inoltre, una differenza importante è che la TCC poggia su una base

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sperimentale e un metodo scientifico, e la sua efficacia nel trattamento di numerosi

disturbi psicologici è stata convalidata empiricamente. Quali sono dunque le principali

differenze tra la terapia cognitivo-comportamentale e le altre terapie esistenti? Le

principali differenze sono le seguenti:

1) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è fondata scientificamente. Studi

scientifici controllati hanno dimostrato l'efficacia della terapia cognitiva nel

trattamento della maggior parte dei disturbi psicologici, tra cui la depressione

maggiore, il disturbo di panico, la fobia sociale, il disturbo d'ansia generalizzato,

il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi dell'alimentazione, le psicosi. Altre

ricerche condotte sia a livello nazionale (ad esempio quelle condotte dall’Istituto

Superiore della Sanità) che internazionale (come quelle condotte

dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno dimostrato che la psicoterapia

cognitiva ha un'efficacia maggiore o pari agli psicofarmaci nella cura di molte

patologie psichiatriche. Se paragonata agli psicofarmaci, inoltre, la terapia

cognitiva risulta essere più utile nella prevenzione delle ricadute. In alcuni

disturbi (ad esempio il disturbo bipolare o la psicosi) il trattamento farmacologico

continua ad essere indispensabile. È stato anche provato che questo tipo di terapia

è efficace indipendentemente dal livello d’istruzione, stato sociale e reddito della

persona che richiede il trattamento.

2) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è orientata allo scopo. Dopo la

prima fase di valutazione diagnostica, il terapeuta ed il paziente stabiliscono

insieme quali sono gli obiettivi della terapia ed il piano terapeutico da adottare.

Generalmente il terapeuta cognitivo-comportamentale interviene dapprima sui

sintomi che, al momento, generano maggiore sofferenza e successivamente sugli

altri aspetti del disturbo. Periodicamente si verificano i progressi fatti rispetto agli

scopi prefissati, anche mediante valutazioni logiche.

3) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è centrata sul problema attuale. Lo

scopo della terapia è la risoluzione dei problemi attuali del paziente e l'attenzione

del terapeuta è rivolta soprattutto al qui ed ora. In modo particolare il terapeuta

pone la sua attenzione su ciò che nel presente contribuisce a mantenere la

sofferenza, pur considerando gli eventi passati e le esperienze infantili come utili

fonti d'informazione circa l'origine e l'evoluzione dei sintomi. Alcuni esempi di

problemi attuali sono la riduzione dei sintomi depressivi, la gestione dell'ansia che

porta agli attacchi di panico e la risoluzione dei comportamenti compulsivi.

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4) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è basata sulla collaborazione attiva

tra terapeuta e paziente. Terapeuta e paziente collaborano attivamente per capire

il problema e sviluppare delle strategie adeguate al padroneggiamento della

sofferenza generata dal disturbo. I due decidono l'argomento della seduta e

lavorano per identificare, mettere in discussione e sostituire i pensieri

disfunzionali che portano allo sviluppo dei problemi emotivi.

5) La psicoterapia cognitivo - comportamentale mira a far diventare il paziente

terapeuta di sé stesso. Il terapeuta istruisce il paziente sulla natura del suo

disturbo, sul processo della terapia e sulle tecniche cognitive e comportamentali.

Il paziente, quindi, viene allenato a prendere consapevolezza del proprio

funzionamento mentale e ad utilizzare le tecniche per gestire la propria

sofferenza. L'acquisizione delle abilità di gestione delle emozioni dolorose

permette al soggetto di beneficiare del trattamento anche dopo la conclusione

della terapia.

6) La psicoterapia cognitivo-comportamentale utilizza una molteplicità di tecniche.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale fa uso di una serie di tecniche che

servono a gestire gli stati emotivi dolorosi del paziente. Le tecniche che vengono

utilizzate variano in base al tipo di problema presentato e alla fase della terapia.

Nell’ultimo punto (il punto 6) abbiamo parlato delle tecniche che vengono utilizzate della

terapia cognitivo-comportamentale; le principali tecniche utilizzate sono le seguenti:

Il dialogo socratico è un metodo di conduzione del colloquio che consiste in una

serie mirata di domande ed osservazioni volte a guidare il paziente alla scoperta

delle sue convinzioni disfunzionali e a promuovere in lui un atteggiamento critico

nei confronti di queste.

La scoperta guidata o tecnica della freccia discendente è un metodo di

conduzione del colloquio che consiste nel chiedere progressivamente al paziente il

significato dei suoi pensieri, al fine di rilevare le convinzioni sottostati che egli ha

su sé stesso, sulle altre persone e sul mondo.

La tecnica dell'ABC è una tecnica con cui terapeuta e paziente possono

identificare il contenuto dei pensieri automatici. Tale tecnica è applicata nel modo

seguente: si chiede al paziente quali sono le emozioni principali coinvolte nella

sua esperienza problematica, in quali situazioni insorgono e quali pensieri o

immagini (pensieri automatici) le precedono, accompagnano e seguono. Poiché le

persone di solito hanno difficoltà ad identificare i propri pensieri automatici, il

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paziente viene, dapprima, allenato a riconoscerli in seduta e, in un secondo

momento, viene invitato ad utilizzare questa tecnica di auto-osservazione durante

la settimana.

Il problem-solving. In aggiunta ai disturbi psicologici, a volte, i pazienti

presentano una specifica difficoltà nel risolvere i problemi della vita quotidiana; il

problem-solving è una tecnica che viene insegnata al paziente per trovare

soluzioni ai problemi della vita reale. Tale tecnica consiste nell'identificazione del

problema pratico presentato dal paziente e nella promozione di un atteggiamento

attivo rispetto alla soluzione di questo. Più in dettaglio si chiede al paziente di

escogitare diverse soluzioni del problema, di sceglierne una tra queste, di metterla

in atto e di valutarne l'efficacia. Inizialmente il terapeuta può assumere un

atteggiamento propositivo e suggerire al paziente possibili soluzioni alternative,

ma con il passare del tempo egli incoraggerà la persona ad utilizzare

autonomamente tale tecnica.

Gli esperimenti comportamentali sono dei veri e propri "esperimenti" che

terapeuta e paziente progettano insieme in seduta. Questi hanno lo scopo di

falsificare le convinzioni (es. aspettative) disfunzionali che sono alla base dei

disturbi emotivi del paziente. Una persona con disturbo di panico, ad esempio,

può avere la convinzione disfunzionale che le vertigini presenti durante le crisi di

ansia portino ad un imminente svenimento. In questo caso potrebbe essere

opportuno realizzare questo esperimento comportamentale: terapeuta e paziente

insieme fanno degli esercizi d’iperventilazione (cioè aumentano la frequenza e la

profondità del respiro) per auto-indursi un eccesso di ossigeno al cervello e,

dunque, un'innocua sensazione di sbandamento. La riproduzione di tale

esperimento nel corso del tempo farà costatare al paziente che le vertigini che

avverte in determinate circostanze sono causate dall'eccesso di ossigeno al

cervello dovuto al modo in cui respira durante lo stato di ansia.

Il promemoria (o “coping cards”) sono dei bigliettini su cui il paziente e il

terapeuta scrivono le strategie cognitive e comportamentali che il paziente

dovrebbe mettere in atto durante la situazione problematica. Il paziente viene

incoraggiato dal terapeuta a tenere i promemoria sempre con sé (es. in tasca, nel

portafogli) e ad utilizzarli regolarmente (es. due volte al giorno) o al bisogno.

L’esposizione graduale è una tecnica che consiste nel programmare la

modificazione di un comportamento disfunzionale facendo un piccolo passo alla

volta. Il terapeuta chiede al paziente di scomporre l'obiettivo (il comportamento

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problematico) in sotto-obiettivi di difficoltà minore e di esporsi a questi, ossia di

affrontarli, in modo graduale, dal più facile al più difficile. Prendiamo come

esempio una persona con disturbo di panico che, apprese le tecniche di gestione

dell'ansia, ha come obiettivo terapeutico quello di riprendere la metropolitana per

andare al lavoro. Il terapeuta inviterà il paziente a scomporre quest’obiettivo in

piccoli passi più facilmente raggiungibili e a realizzarli gradatamente: il primo

giorno, ad esempio, il paziente andrà sulla banchina della metropolitana senza

prendere il mezzo, il secondo giorno prenderà la metropolitana per una fermata, il

terzo giorno per due fermate e così via.

I compiti a casa, infine, sono una parte importante della terapia. Attraverso di essi

il terapeuta cerca di estendere le opportunità di regolazione cognitiva, emotiva e

comportamentale a tutta la settimana. Esempi di compiti a casa sono

l'automonitoraggio dei pensieri automatici negativi attraverso la tecnica dell'ABC

e gli esperimenti comportamentali. Non tutti i pazienti, però, eseguono i compiti a

casa, alcuni studi scientifici, infatti, affermano che i pazienti che si adoperano nei

compiti a casa presentano maggiori progressi rispetto a quelli che non lo fanno.

Per quanto riguarda le sedute, le prime vengono dedicate alla conoscenza dei problemi

del cliente e alla costruzione della relazione terapeutica. La fase di anamnesi viene

condotta utilizzando, oltre al colloquio clinico, alcuni test psicodiagnostici ed è volta alla

valutazione dello stato emotivo del cliente, alla ricostruzione delle esperienze salienti

della sua vita e alla chiara definizione dei suoi problemi attuali e dei suoi obiettivi.

Quando il caso e la diagnosi clinica saranno abbastanza chiari, il terapeuta propone al

cliente un contratto terapeutico. Egli riassumerà le sue valutazioni, prospetterà al cliente

le sue ipotesi e formulerà delle interpretazioni degli eventi; delineerà un progetto

terapeutico, con strategie e obiettivi concreti, utili e raggiungibili, connessi con i

problemi esplicitati dal cliente e coerenti con le sue aspettative. Successivamente il

terapeuta spiegherà i principi teorici e le finalità della terapia ed illustrerà brevemente le

tecniche che verranno utilizzate, nonché i tempi, il costo e le probabilità di successo della

terapia, per quanto ciò sia possibile. Poi si passerà all’intervento terapeutico vero e

proprio, in un clima di fiducia e di orientamento positivo al cambiamento. Verso la fine

della terapia, quando il cliente si sentirà meglio, le sedute potranno essere diradate nel

tempo fino alla conclusione.

Potranno poi seguire delle sedute di richiamo (cosiddette di follow-up) a tre, sei e dodici

mesi dalla conclusione della terapia.

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Di solito le sedute si svolgono all’interno di uno studio con delle poltrone e un tavolino o

una scrivania. Il terapeuta e il cliente sono seduti faccia a faccia, ma la loro posizione può

eventualmente variare nel caso in cui vengano utilizzate determinate le tecniche

(rilassamento, role-playing, modeling, ecc.). Le sedute durano circa un’ora, e la loro

frequenza è settimanale (più raramente, bisettimanale); il clima è disteso, empatico e

collaborativo. Oltre al colloquio, spesso si utilizzano in seduta alcuni materiali

terapeutici, vengono spesso somministrati dei test e dei questionari psicodiagnostici, diari

giornalieri per la registrazione e il monitoraggio delle attività del cliente, schede per

esercizi in studio e per i compiti a casa. Dopo un rapido controllo dell’umore del

paziente, si fissa un ordine del giorno, stabilendo gli argomenti di cui si tratterà nella

seduta. In maniera collaborativa, i problemi verranno trattati facendo ricorso alle tecniche

più appropriate. Poi si passerà all’assegnazione di alcuni compiti a casa, ovvero degli

esercizi che il cliente svolgerà durante la settimana e che verranno discussi insieme nella

seduta successiva.

La terapia cognitivo-comportamentale del disturbo da dismorfismo corporeo può

assomigliare a quello del disturbo ossessivo-compulsivo nel mettere in discussione non le

ossessioni che hanno di sé stessi ma il significato di essi159 160. In comune con altri

disturbi la ristrutturazione cognitiva è più probabile che sia efficace quando c’è qualche

eccitazione emotiva (ma non troppo elevata o il paziente è probabile che non sia in grado

di sviluppare un caso per una convinzione alternativa). I pazienti possono così necessitare

di pratica nello sviluppare convinzioni alternative quando confrontano sé stessi allo

specchio o essere osservati da vicino dal loro terapista.

3.4 LA TERAPIA PSICOFARMACOLOGICA DEL DDC.

Come sappiamo il disturbo da dismorfismo corporeo è stato collegato allo spettro dei

disturbi ossessivi-compulsivi e dovrebbe perciò rispondere agli inibitori selettivi della

ricaptazione della serotonina (Hollander, 1993)161. La maggior parte delle ricerche

biologiche sul disturbo ossessivo-compulsivo è focalizzata sugli anelli neuronali tra i

159 Slakovskis P. M. (1985). “Obsessive-compulsive problems: a cognitive behavioural analysis.” Behaviour

research and therapy, 23, 571-583. 160 Van Oppen P. & Arntz A. (1994). “Cognitive therapy for obsessive-compulsive disorder.” Behaviour

research and therapy, 32, 79-87. 161 Hollander E. (1993). “Obsessive-compulsive spectrum disorders: an overview.” Psychiatric annals,

23,355-358.

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gangli basali e del lobo frontale e le anomalie strutturali del corpo striato (Wise &

Rapoport, 1988; Robinson, Wu, Munne, Ashtari, Alvir, Lerner, Koreen, Cole &

Bogerts, 1995); finora non ci sono stati studi neuropsicologici o di neuroimaging (il

processo di produzione di immagini della struttura o l'attività del cervello o altre parti

del sistema nervoso con tecniche come la risonanza magnetica o la tomografia

computerizzata) nel disturbo da dismorfismo corporeo per determinate le similitudini e

le differenza con il disturbo ossessivo-compulsivo o altri disturbi d’ansia. Craven e

Rodin nel 1987162 hanno riportato un caso di una donna la quale ha sviluppato il

disturbo da dismorfismo corporeo dopo l’abuso cronico di ciproeptadina che è

un’antagonista della serotonina in quanto porta alla deregolazione dei recettori della

serotonina; l’esaurimento acuto da triptofano è stato scoperto per accentuare i sintomi

del disturbo da dismorfismo corporeo in un singolo paziente di sesso femminile con

DDC e depressione. Hollander ha trovato un’accentuazione dei sintomi del disturbo da

dismorfismo corporeo in un singolo paziente con disturbo da dismorfismo corporeo con

un antagonista della serotonina molto efficace, l’m-CPP (1-[3-clorofene] -piperazina):

un risultato simile a quello trovato nel disturbo ossessivo-compulsivo163 164. Tale ricerca

è estremamente fondamentale e la deregolazione dei recettori della serotonina non è del

tutto specifica; non ci sono stati prove di controlli casuali degli inibitori selettivi della

ricaptazione della serotonina nel disturbo da dismorfismo corporeo. I pazienti

certamente sembra che rispondano preferenzialmente agli efficaci inibitori della

ricaptazione della serotonina negli studi dei casi ma non rispondono in tutti i casi; non è

conosciuta quale sia la proporzione di pazienti in qualsiasi studio che abbia avuto anche

un disturbo delirante oppure un episodio di depressione maggiore.

Proponiamo di seguito una rassegna dei dati presenti in letteratura in merito alla terapia

psicofarmacologica ed il BDD:

BDD e antidepressivi.

BDD e triciclici.

Dalla letteratura emerge che l’antidepressivo triciclico (TCA) più

studiato in relazione al BDD è la clomipramina come afferma

162 Craven J. L. & Rodin G. M. (1987). “Cyproheptadine dependence associated with an atypical somatoform

disorder.” Canadian journal of psychiatry, 32, 143-145. 163 Hollander E., Fay M. Cohen B. & Campeas R. (1988). “Serotonergic and noradrenergic sensitivity in

obsessive-compulsive disorder: behavioural findings.” 140th annual meeting of the American Psychiatric

Association, 1987, Chicago, American journal of psychiatry, 145, 1015-1017. 164 Zohar J., Mueller E. A. & Insel T. R. (1987). “Serotonergic responsivity in obsessive-compulsive

disorder.” Archived of general psychiatry, 44, 946-951.

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Sondheimer nel 1988165. Da uno studio condotto da Hollander et al. nel

1999166 emerge che la clomipramina (un potente inibitore del reuptake

della serotonina) ha un’efficacia maggiore della desipramina, un

inibitore selettivo del reuptake della noradrenalina, testimoniato da un

punteggio più basso alla BDD-Y-BOCS. alla BDD-NIMMH (una

versione modificata del National Institute of Mental Health Global

Obsessive-Compulsive Scale) e alla BDD-CGI (Clinical Global

Impression Scale) alla fine delle 16 settimane di trattamento con le due

molecole. L’efficacia della terapia è indipendente dalla comorbidità di

DOC, depressione o fobia sociale. Inoltre, risulta efficace anche nei

pazienti deliranti con disturbo da dismorfismo corporeo. Questo è il

primo studio sistematico sul trattamento farmacologico della

dismorfofobia. Alcune volte la combinazione di clomipramina con un

SSRI può essere efficace quando i risultati di un trattamento con SSRI

sono discontinui o inefficaci. Questa combinazione è ben tollerata ma

deve essere usata con cautela, dato che gli SSRI determinano un

aumento dei livelli plasmatici della clomipramina.

BDD e gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI).

Diversi dati provenienti da studi retrospettivi e da casistiche cliniche

suggeriscono che gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI)

sono i più efficaci nel trattamento della dismorfofobia. In uno studio

retrospettivo si è riscontrato un miglioramento clinico significativo nel

42% dei 65 pazienti trattati con SSRI (fluoxetina, paroxetina, sertralina o

fluvoxamina); analogo miglioramento si ha nel 30% dei 23 pazienti

trattati con IMAO, nel 15% dei 48 pazienti trattati con triciclici, nel 3%

di quelli con neurolettici, nel 6% di quelli con altri medicamenti

(benzodiazepine o stabilizzatori dell’umore) e nello 0% di quelli trattati

con la terapia elettroconvulsiva. La risposta agli SSRI solitamente

corrisponde a una diminuzione della sofferenza, della preoccupazione e

dei “comportamenti rituali” così come a un miglioramento delle

funzioni. Alcuni SSRI determinano un miglioramento dell’insight e un

165 Sondheimer A.: “Clomipramine treatment of delusional disorder, somatic type.” Journal of the American

Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 1988, 27, 188-192. 166 Hollander E., Allen A., Know J.: “Clomipramine vs desipramine cross-over trial in body dysmorphic

disorder: selective efficacy of a serotonin-reuptake inhibitor in imagined ugliness.” Archives of General

Psychiatry, 1999, 56, 1033-1039.

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decremento delle idee di riferimento. Tra gli inibitori della ricaptazione

della serotonina, la fluvoxamina risulta il più usato nel trattamento del

BDD (68-70). Con Phillips e McElroy S. L. nel 1995167 si ha il primo

lavoro sistematico con SSRI sulla dismorfofobia; in questo studio di 16

settimane, 20 pazienti con diagnosi di DCC secondo i criteri del DSM-

IV sono trattati con fluvoxamina, a un dosaggio medio di 240±81 mg al

giorno fino a un massimo di 300 mg. I soggetti sono valutati all’inizio e

a intervalli regolari con la BDDY-BOCS (31-33), con la Hamilton

Rating Scale for Depression (HAM-D) a 24 item, con la Brown

Assessment of Beliefs Scale (BABS, per valutare il grado del delirio),

con la CGI e altre scale. I risultati mostrano un miglioramento

significativo alla BDDY- BOCS (p<.001), alla CGI (p<.001) e alla

HAM-D (p<.001). I pazienti deliranti hanno la stessa risposta dei non-

delirante nella terapia con fluoxetina. La risposta al trattamento è

indipendente sia dalla durata e dalla gravità del BDD sia dalla presenza

di depressione maggiore, di DOC o disturbi di personalità. La fluoxetina

è in generale ben tollerata.

BDD e neurolettici.

I neurolettici non sono ritenuti farmaci di prima scelta nel trattamento del BDD.

In letteratura si rinvengono pochi case report in cui le forme deliranti vengano

trattate con neurolettici: la pimozide così come il risperidone e l’olanzapina

sono risultati farmaci efficaci per il DDC delirante (psicosi ipocondriaca

monosintomatica). In letteratura sono presenti pochi lavori sul trattamento della

dismorfofobia con utilizzo di soli antipsicotici, infatti in uno studio con sulpiride

si è dimostrato come questa molecola abbia una buona efficacia e tollerabilità.

L’utilità della sulpiride nel BDD è confermata anche da un altro lavoro del 1991

in cui si paragona l’effetto del L-sulpiride a quello dell’analogo racemico. Si

conosce soltanto un caso di non-delirante BDD trattato con successo mediante

un neurolettico atipico: il paziente, uomo di 46 anni, con diagnosi di dipendenza

da alcool, disturbo bipolare di tipo II e BDD, trattato con olanzapina, ha

presentato un significativo miglioramento clinico al termine delle 3 settimane di

terapia. Nel trattamento del DCC l’utilizzo di neurolettici si riscontra

167 Phillips K. A., McElroy S. L.: “An open-label study of Fluvoxamine in body dysmorphic disorder.” In:

Scientific Abstracts of 34th Annual Meeting of the American College of Neuropsychopharmacology;

December 11-15, 1995, San Juan, Puerto Rico.

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126

principalmente in associazione con un SSRI quando quest’ultimo ha una

parziale o scarsa efficacia.

BDD e augmentation.

Nei pazienti refrattari al trattamento sono state tentate strategie di augmentation

come sottolineano Phillips et al.168 si è riscontrato un miglioramento di 6

pazienti (46%) dopo l’associazione del buspirone (parziale agonista

serotinergico) al trattamento di base. La dose media di buspirone era 48.3±14.7

mg/die. Per pazienti con DDC delirante che non rispondono completamente agli

SSRI, si può associare anche un antipsicotico quale la pimozide. In 9 (60%) di

15 casi, l’augmentation neurolettica risulta migliorare l’insight e diminuire le

idee di riferimento.

La terapia dei pazienti con DCC è quasi sempre infruttuosa169 se tentata con procedure

chirurgiche, dermatologiche, odontoiatriche o con altri interventi volti a correggere il

presunto difetto170. Diversi dati suggeriscono che il DCC risponde agli inibitori della

ricaptazione della serotonina (SSRI), mentre altri agenti psicotropi o terapia

elettroconvulsiva (TEC) appaiono generalmente inefficaci171, sebbene le informazioni

in nostro possesso siano ancora limitate. Studi sistematici sono stati condotti con

fluvoxamina, clomipramina e fluoxetina: unici studi controllati sono quello di

Hollander172 con la clomipramina e quello di Phillips173 con la fluoxetina. Quando gli

SSRI determinano un blando miglioramento, utile è lo studio di una strategia di

augmentation174. Tutti i trattamenti di augmentation presentano buoni risultati. La

terapia di augmentation con buspirone si è dimostrata in più casi efficace175.

168 Phillips K. A., Albertini R. S., Siniscalchi J. M., Khan A., Robinson M.: “Effectiveness of

pharmacotherapy for body dysmorphic disorder: a chart-review study.” Journal of Clinical Psychiatry, 2001,

62, 721-727. 169 Phillips K. A., McElroy S. L., Keck P. E. Jr., Prope H. G. Jr., Hudson J. I.: “Body dysmorphic disorder: 30

cases of imagined ugliness.” American Journal of Psychiatry, 1993, 150, 302-308. 170 Phillips K. A., McElroy S. L., Lion J. R.: “Plastic surgery and psychotherapy in the treatment of

psychologically disturbed patients.” Journal of Plastic and Reconstructive Surgery, 1992, 90, 333-335. 171 Phillips K.A.: “Body dysmorphic disorder: clinical features and drug treatment.” CNS Drugs, 1995, 3, 30-

40. 172 Hollander E., Allen A., Know J.:” Clomipramine vs desipramine cross-over trial in body dysmorphic

disorder: selective efficacy of a serotonin-reuptake inhibitor in imagined ugliness.” Archives of General

Psychiatry, 1999, 56, 1033-1039. 173 Phillips K. A., Albertini R. S., Steven M. D., Rasmussen M. D.: “A randomised placebo-controlled trial of

fluoxetine in body dysmorphic disorder.” Archives of General Psychiatry, 2002, 59, 381-388. 174 Phillips K. A., Albertini R. S., Siniscalchi J. M., Khan A., Robinson M.: “Effectiveness of

pharmacotherapy for body dysmorphic disorder: a chart-review study.” Journal of Clinical Psychiatry, 2001,

62, 721-727. 175 Phillips K.A.: “A preliminary open study of buspirone augmentation of SSRI in body dysmorphic

disorder.” Psychopharmacology Bulletin, 1996, 32, 175-180.

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Studi preliminari evidenziano l’efficacia della terapia cognitivo comportamentale nel

trattamento del DCC, anche in pazienti con parziale risposta alla farmacoterapia. È

possibile, tuttavia, che valgano per il disturbo da dismorfismo corporeo le stesse

limitazioni che le terapie cognitivo comportamentali sembrano avere nel trattamento del

DOC176. Le tecniche psicoterapiche psicodinamiche e di supporto sembrano essere

efficaci in alcuni casi come approccio aggiuntivo, ma non è stata dimostratala loro

efficacia come unico presidio terapeutico.

176 Biondi M., Picardi A.: “Terapia integrata.” In: Smeraldi E (ed) Trattato

italiano di Psichiatria. “Il disturbo ossessivo-compulsivo e il suo spettro.” Masson, Milano, 2003.

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CONCLUSIONI

In seguito al lavoro svolto possiamo affermare che il disturbo da dismorfismo corporeo

è un disturbo molto diffuso e al tempo stesso abbastanza problematico in quanto spesso

e volentieri si hanno delle ripercussioni psicologiche e sociali, talvolta con esiti,

purtroppo, drammatici.

A mio parere è impossibile prevenire questo disturbo non solo a causa della società che

ci circonda la quale ormai ha fatto del corpo e dell’immagine corporea in generale un

elemento fondamentale e senza la quale non può farne a meno, ma anche e soprattutto a

causa dei mass-media ovvero i mezzi di comunicazioni di massa (tra i quali ovviamente

la televisione) i quali tendono tutti i giorni 24h su 24 a riempirci le giornate di vari

programmi televisivi e pubblicità di ogni genere mostrando fisici “scolpiti” e

quant’altro.

Possiamo dire che siamo pervasi da questi canoni di bellezza che invadono la nostra

mente e soprattutto quella dei giovani i quali ne sono oramai ossessionati tant’è vero

che a quanto pare per molti di loro (la stragrande maggioranza) è diventato di vitale

importanza frequentare ogni giorno o quasi le palestre con il solo ed unico scopo di

ottenere degli ottimi risultati.

Io sono dell’idea che non è molto importante l’aspetto estetico: certo “anche l’occhio

vuole la sua parte” come si suol dire, ma secondo me la cosa più importante in una

persona (maschio o femmina che sia) è il carattere e soprattutto quello che essa riesce a

trasmettere agli altri; alla fine io penso che c’è sempre qualcuno che ti apprezza e ti

accetta per come sei indipendentemente dall’aspetto esteriore anche se oggi è diventato

più difficile trovare questo “qualcuno”.

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