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TRIBUNALE DI Ricorso ex art. 696-bis c.p.c. promosso da PP, con l’avv. F. C., ricorrente, contro Azienda per i Servizi Sanitari, resistente, con l’avv. L. L. R.G. _____/2014. P.I. dott. GS. CONSULENZA TECNICA MEDICO LEGALE D’UFFICIO L’ill.mo P.I. nominava CTU il sottoscritto dott. BB, medico legale, per ottenere un parere tecnico relativo a problematiche sanitarie riguardanti la vertenza in oggetto. All’Udienza di affidamento dell’incarico, del 13/10/14, si poneva il quesito come da ricorso introduttivo; in particolare si chiedeva al CTU di accertare: se vi è stato nesso di causalità tra le cure sanitarie prestate a P. F. e il decesso dello stesso, avvenuto in data 06.07.2005, in particolare, se vi è stata negligenza, imprudenza, imperizia da parte dei sanitari dell’Azienda ASL, nell’eseguire gli interventi e prestare le cure sanitarie di cui in narrativa, e a stabilire se al momento della morte si fossero consolidati postumi permanenti o temporanei sotto il profilo del danno biologico”. Fissato l’inizio delle operazioni di consulenza per il 31/10/14, ore 18.30, presso lo studio dello scrivente, in via CA; nominati CTP per parte ricorrente il dott. C. GG, per la A. la dott.ssa C. C.. Concessi, a far tempo dall’inizio delle operazioni di consulenza, 40 gior ni per l’invio di una bozza di CTU ai CTP, 15 giorni per le eventuali

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TRIBUNALE DI

Ricorso ex art. 696-bis c.p.c. promosso da PP, con l’avv. F. C.,

ricorrente,

contro

Azienda per i Servizi Sanitari, resistente, con l’avv. L. L.

R.G. _____/2014. P.I. dott. GS.

CONSULENZA TECNICA MEDICO LEGALE D’UFFICIO

L’ill.mo P.I. nominava CTU il sottoscritto dott. BB, medico legale, per

ottenere un parere tecnico relativo a problematiche sanitarie riguardanti

la vertenza in oggetto. All’Udienza di affidamento dell’incarico, del

13/10/14, si poneva il quesito come da ricorso introduttivo; in particolare

si chiedeva al CTU di accertare:

“se vi è stato nesso di causalità tra le cure sanitarie prestate a P. F. e il

decesso dello stesso, avvenuto in data 06.07.2005, in particolare, se vi è

stata negligenza, imprudenza, imperizia da parte dei sanitari

dell’Azienda ASL, nell’eseguire gli interventi e prestare le cure sanitarie

di cui in narrativa, e a stabilire se al momento della morte si fossero

consolidati postumi permanenti o temporanei sotto il profilo del danno

biologico”.

Fissato l’inizio delle operazioni di consulenza per il 31/10/14, ore 18.30,

presso lo studio dello scrivente, in via CA; nominati CTP per parte

ricorrente il dott. C. GG, per la A. la dott.ssa C. C..

Concessi, a far tempo dall’inizio delle operazioni di consulenza, 40 giorni

per l’invio di una bozza di CTU ai CTP, 15 giorni per le eventuali

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osservazioni e 15 giorni per le repliche.

Seguiva ritardo nel deposito dell’elaborato a causa di notevole

sovraccarico di lavoro giudiziario per lo scrivente CTU.

OPERAZIONI DI CONSULENZA

Premesse

Parte ricorrente nelle memorie prodotte sostanzialmente afferma:

- P. F. era affetto da ipertensione arteriosa, broncopneumopatia cronica

ostruttiva enfisematosa, aortosclerosi, arteriopatia obliterante agli arti

inferiori, gonartrosi;

- in data 11/7/04 veniva accolto presso l’Ortopedia dell’Ospedale di N

per un intervento di artroprotesizzazione al ginocchio destro;

- in data 2/3/05 ancora accolto presso la stessa struttura per una frattura

pertrocanterica del collo femorale destro e rottura della cuffia dei rotatori

alla spalla sinistra, da caduta accidentale in casa; la spalla sinistra era

considerata inoperabile; per il femore destro si procedeva a un

intervento chirurgico di osteosintesi metallica;

- l’intervento causava una perdita di sangue con perdita di emoglobina di

circa 4 grammi;

- in data 4/7/05 altra caduta accidentale e frattura diafisaria del femore

destro; seguiva accesso al pronto soccorso di N e accoglienza presso il

reparto di Ortopedia; esami ematochimici erano nella norma, a parte la

presenza di anemia;

- il 6/7/05, alle ore 12.30, sottoposto a un intervento chirurgico per il

femore di osteosintesi chiusa con chiodo PNF, con descrizione “...priva

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di ogni particolare relativo alla copiosa emorragia intraoperatoria...”; alle

ore 12.44 si dimostrava una emoglobina pari a 7.4 g/dl; richieste quattro

sacche di emazie concentrate; alle ore 13.45 il paziente veniva intubato

e si richiedevano tre sacche di emazie concentrate e due di plasma

fresco per emorragia intraoperatoria ed emoglobina pari a 7; poco dopo

il termine dell’intervento, alle ore 14.45, il quadro si complicava per il

manifestarsi di insufficienza respiratoria e di shock ipovolemico, anche

con arresto cardio-circolatorio; il paziente poteva essere rianimato e alle

15.55, in stato di coma, era trasferito in Rianimazione; infuse due

sacche di emazie concentrate; alle ore 16 interveniva un secondo

arresto cardiorespiratorio; alle ore 16.33 si constatava il decesso dopo

tentativi di rianimazione purtroppo senza esito; dall’autopsia, dell’8/7/05

emergevano una grave coronarosclerosi trivasale e un edema

polmonare;

- parte ricorrente individuava gravi colpe dei curanti da negligenza e

imperizia:

a) per non aver adeguatamente verificato la situazione cardiologica nel

pre-operatorio;

b) per non aver informato adeguatamente il paziente sui rischi e sulle

possibili conseguenze;

c) per non aver adeguatamente compilato la cartella clinica affinchè si

potesse ricostruire il decorso pre e post-operatorio.

La resistente A. in atti sosteneva:

- l’insussistenza di fondati motivi di censura sull’operato dei curanti

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chiamati in causa in relazione alle terapie prestate al paziente;

- le condizioni preoperatorie erano discrete (normale funzione renale ed

epatica e metabolica, e solo una lieve anemia, classe di rischio

operatorio intermedio ASA 2-3, in preoperatorio pressione arteriosa,

frequenza cardiaca e saturazione di ossigeno nella norma, soggetto

neurologicamente orientato);

- non vi erano pertanto controindicazioni all’intervento, che era urgente

per evitare allettamento, dolori intollerabili, piaghe da decubito,

complicanze cardio-polmonari ed elevata mortalità;

- l’emorragia intraoperatoria veniva trattata con plurimi presidi e portava

a una discreta stabilità emodinamica (da una instabilità emodinamica),

che consentiva il risveglio, l’estubazione, la ripresa della coscienza, una

buona ossigenazione e perfusione; si verificavano tuttavia dispnea e

perdita di coscienza, con necessità di assistenza ventilatoria, di

intubazione, di rianimazione cardiopolmonare; alle 15.30, dopo le cure, il

circolo riprendeva, per attività elettrica e polso centrale; si verificava uno

shock emorragico, trattato, ma con esito nel decesso;

- tutte le condotte dei curanti erano idonee e tempestive in ogni fase

dell’iter clinico.

===...===

Le operazioni di consulenza iniziavano alla data stabilita; presente il

dott. GG, CT per parte ricorrente con il quale si discuteva del caso; il

dott. GG confermava sostanzialmente i contenuti dell’Atto di Ricorso e

sosteneva i seguenti aspetti critici del caso:

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- una negligente visita anestesiologica pre-operatoria;

- la non esecuzione di una visita cardiologica in un paziente noto

cardiopatico;

- una preparazione errata del paziente e negligenza per la mancata

preparazione di sacche di sangue compatibili per una trasfusione,

prevedibile per interventi di questo tipo e per pazienti di questo tipo;

- un verosimile errore nell’estrazione del chiodo inserito in occasione del

precedente intervento di 4 mesi prima per la frattura pertrocanterica; da

ciò l’emorragia pre-operatoria da rottura vasale o comunque da altro

evento traumatico legato a manovra incongrua, errore che collega

causalmente il fatto jatrogeno al decesso;

- errata gestione intraoperatoria del paziente che dopo l’emorragia,

avvenuta pochi minuti dopo l’inizio dell’intervento veniva lasciato in sala

operatoria sino alla fine dell’intervento (due ore dopo);

- grave e negligente incompletezza dei referti operatori che impediscono

di conoscere con certezza la causa dell’evento emorragico;

- del pari grave negligenza per incompletezza del referto autoptico privo

delle parti essenziali riferite agli esiti dell’intervento chirurgico;

- radiografie pre e post-operatorie non messe a disposizione

dall’Ospedale, pur dopo una specifica richiesta.

Dalla documentazione sanitaria ritualmente prodotta (si riportano i dati

ritenuti di rilievo ai fini del presente accertamento)

- da cartella clinica relativa alla degenza del Sig. F. P. presso l’Ospedale

di N ( in reparto di Ortopedia dall’11/7 al 20/7/04, in reparto di Medicina

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dal 20/7 al 10/8, in reparto di Riabilitazione dal 10/8 al 15/9/04); dalla

cartella clinica fra l’altro risulta: ricovero motivato da una gonartrosi e

una lussazione del legamento crociato anteriore; dall’anamnesi remota:

intervento per fistola anale nel 1979, gastroresezione per ulcera nel

1980, trauma cranico nel 1987, ernia inguinale operata nel 1998,

ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico da 2 mesi, enfisema

polmonare noto da anni; da 3 anni dolore ingravescente al ginocchio

destro, obbiettivamente instabile; il 12/7 sottoposto a intervento di

artroprotesizzazione al ginocchio destro; l’emocromo pre-operatorio del

18/6 dimostrava globuli rossi a 4.390.000 ed emoglobina a 13.7;

l’emocromo post-operatorio del 13/7 dimostrava globuli rossi a

2.810.000 ed emoglobina a 9.0; il 14/7 emoglobina pari a 7.7; un

emocromo pre-dimissione, del 4/8, dimostrava globuli rossi a 3.700.000

ed emoglobina a 10.7; radiografie al torace dimostravano segni di

broncopatia cronica ed enfisema; una TAC cranica dimostrava

importanti segni di atrofia cerebrale e di sofferenza vascolare cronica,

possibilmente ischemica in evoluzione all’emisfero di destra; una TAC al

torace anche dimostrava placche pleuriche; nel corso della degenza

emotrasfuso il 14/7 con due sacche di emazie concentrate; il 20/7

trasferito al reparto di Medicina per stato confusionale e afasia, da

meningite linfocitaria ad evoluzione benigna; dimesso il 10/8/04 con la

diagnosi di “gonartrosi ds dolorosa, meningite linfocitaria, ipertensione

arteriosa essenziale”; non rientrava a domicilio ma veniva trasferito al

reparto di Riabilitazione; una risonanza cerebrale confermava la

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presenza di discreta ischemia cronica diffusa; un emocromo all’ingresso,

dell’11/8, dimostrava globuli rossi a 3.610.000 ed emoglobina a 11.6; un

emocromo alla dimissione, del 15/9, dimostrava globuli rossi a

3.490.000 ed emoglobina a 11.1; sottoposto a trattamenti riabilitativi;

dimesso il 15/9/04 con la diagnosi di “postumi meningite linfocitaria,

postumi protesizzazione ginocchio dx”;

- da cartella clinica di degenza presso il reparto di Ortopedia

dell’Ospedale di N dal 2/3 al 14/3/05; fra l’altro risulta; accolto per una

frattura pertrocanterica femorale destra; un emocromo all’ingresso, del

2/3, dimostrava globuli rossi a 3.970.000 ed emoglobina a 11.5; in data

2/3, dalle ore 14 alle ore 14.30, sottoposto a intervento chirurgico di

osteosintesi femorale con chiodo PFN stabilizzato con viti prossimali e

distali; un emocromo post-operatorio, del 2/3, , dimostrava globuli rossi a

2.700.000 ed emoglobina a 7.9; emotrasfuso con emazie concentrate

(due sacche) il 2/3 in serata (dalle ore 20 alle ore 23); un emocromo pre-

dimissione, del 10/3, dimostrava globuli rossi a 3.130.000 ed

emoglobina a 9.2; dimesso il 14/3/05 con la diagnosi di “frattura femore

pertrocanterica”; non rientrava a domicilio e, per riabilitazione e

assistenza, veniva trasferito alla RSA SP, di N; sottoposto a

riabilitazione; radiografie al femore destro operato dimostravano

monconi in asse e abbastanza bene affrontati, con parziale

rappresentazione di callo osseo riparativo; dimesso il 9/4/05 con la

diagnosi di “esiti di intervento chirurgico di osteosintesi con chiodo PFN

per frattura pertrocanterica del femore destro, rottura cuffia dei rotatori

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spalla dx inoperabile”;

- da cartella clinica di degenza presso il reparto di Ortopedia

dell’Ospedale di N dal 4/7 al 6/7/05; fra l’altro risulta; accolto per frattura

diafisi femorale destra; riferita, nello stesso giorno del ricovero, una

caduta accidentale con trauma all’arto inferiore destro; obbiettivamente

arto inferiore destro accorciato, abdotto, extraruotato, dolente al terzo

medio di coscia con motilità praeternaturale; sottoposto a trazione

transcheletrica; un ECG del 5/7 dimostrava ritmo sinusale con QRS a

basso voltaggio; un emocromo preoperatorio del 5/7/05 dimostrava

globuli rossi a 3.690.000 (v.n. 4.5-6.2 milioni), emoglobina a 11.0 (v.n.

14-18), ematocrito a 33.0 (42-52); in via preliminare all’intervento

chirurgico nella cartella anestesiologica si indicava un “rischio ASA 2-3”,

l’urgenza del trattamento chirurgico da farsi, il rilievo di una pressione

arteriosa a 140/80 e di una frequenza cardiaca a 92, ritmica; il 6/7

sottoposto a un intervento chirurgico in anestesia generale dalle ore

12.30 alle ore 14.45 (inizio anestesia ore 11.45); si descriveva “frattura

femore diafisi...esiti di recente inchiodamento endomidollare prox.

Intervento: rimozione PFN A 7865, osteosintesi femore chiusa con

chiodo PFN A long 7915. Descrizione intervento: 1° tempo: incisione

sulle precedenti cicatrici e rimozione di chiodo PFN A standard...2°

tempo: sotto controllo scopico si riduce la frattura e si introduce filo

guida attraverso il quale si inserisce chiodo PFN A lon 10 x 125 x 38 mm

bloccato prossimalmente con lama elicoidale da 120 mm e distalmente

con viti da 48 mm e 54 mm in montaggio statico. Lavaggio abbondante,

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completamento dell’emostasi, sutura per piani su drenaggio di recupero,

medicazione, rx di controllo in sala operatoria”; alle ore 12.44

emoglobina pari a 7.4 (v.n. 11.5-17.4), ematocrito pari a 22.4 (v.n. 35-

50); alle ore 15.31 emoglobina pari a 7.9, ematocrito pari a 19.8; dalla

cartella anestesiologica intraoperatoria risulta: inizio anestesia ore 11.45

la somministrazione di 5 sacche di sangue, dalle ore 13.15 alle ore

14.35, pressione arteriosa intorno ai 140 sino alle 12.15, a 80 alle 12.30,

a 100 alle 12.45, a 60 alle 12.55, a 40 alle 13.15 e alle 13.45, a 80 alle

14, a 90 alle 14.15 e 14.30, a 95 alle 14.45 e alle 15.10; si annotava

“...ore 15.15 viene estubato...illeggibile...è sveglio e non sopporta il tubo,

satura...in AA, poi improvvisa dispnea con perdita di coscienza, viene

ventilato in maschera e poi intubato...illeggibile...si inizia MCE, si

somministra 2 fiale Adrenalina in tubo e si continua MCE con

ventilazione con O2...ripresa di circolo ore 15.30...”; in cartella clinica

alle ore 15.55 (dopo l’intervento) nel diario clinico si annotava “...durante

l’intervento perdite importanti (trasfuso con 5 sacche GRC, 1500 ml

Voluven, 4000 ml crist., 600 p.f.c) instabilità emodinamica, Hb fine

procedura 7.9. A fine intervento risvegliato con buona attività

respiratoria, improvvisa perdita di coscienza, bradicardia ed ipotermia >

quindi AC (arresto cardiaco, n.d.r.), MCE (massaggio cardiaco esterno,

n.d.r.) dalle 15.15 alle 15.30 dopo rianimazione (CPR). Trasferito con

attività elettrica e polso centrale. In TI (Terapia Intensiva, n.d.r.): pz

intubato...illeggibile...in coma, midriasi bilat.. Si

collega...illeggibile...polso periferico assente, centrale flebile FC 110. H

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16 bradicardia, > CO2, non polso centrale, in corso Nora, 2 sacche GRC

> nuovo inizio di MCE e RCP (rianimazione cardio polmonare, n.d.r.).

16.33 si sospendono manovre rianimatorie e si constata decesso”; dal

diario infermieristico “...16...8 fl di Adrenalina ev, in infusione

noradrenalina ed adrenalina...”; risulta la richiesta e la somministrazione

delle seguenti sacche di sangue: richieste delle ore 13.03, 13.55, 13.56;

trasfusioni: dalle 13.15 alle 13.30; dalle 13.30 alle 13.45; dalle 13.45 alle

14.05; dalle 14.10 alle 14.35; dalle 14.35 alle 14.45; dalle 15.00 alle

15.30; dalle 15.30 alle 15.45; dalle 16.05 alle 16.30; dalle 16.10 alle

16.30; in cartella clinica riportate visite cardiologiche ospedaliere del

28/12/2000 (“ipertensione arteriosa di ndd di recente riscontro”) e del

29/3/2004 (“ipertensione arteriosa, BPCO, aortosclerosi (possibile SAO)

art. ostruttiva arti inf.”.

La diagnosi clinica di morte prevedeva “enfisema polmonare,

ipertensione arteriosa, recente frattura pertrocanterica, frattura diafisi

femorale dx per caduta accidentale. Operato il 6/7/05. Shock

emorragico. Arresto cardio-respiratorio post-operatorio”.

All’autopsia si rilevava “arteriosclerosi, osteoporosi, pregressa antica

gastroresezione tipo B II, pregressa applicazione di protesi di ginocchio

e di anca dx, severa coronarosclerosi trivascolare, recente frattura del

femore dx (4.7.05) per caduta accidentale a domicilio, piccole emorragie

subpleuriche e modesti ematomi del sottocute e retroperitoneo (regione

sopraclavicolare dx; retroperitoneo dx), fratture costali da massaggio

cardiaco, edema polmonare”.

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Prodotta in atti una lettera del 24/7/14, indirizzata alla Sig.ra P. M dal

dott. P. C, Direttore del Servizio di Radiologia dell’Ospedale di N; si

comunicava che, in relazione a una richiesta di rilascio delle copie degli

esami radiologici eseguiti sul Sig. P. F. nel periodi di ricovero dal 4/7 al

6/7/05, le indagini domandate non risultavano reperibili nè presso

l’archivio della Radiologia, nè presso l’archivio Centrale Regionale….

DISCUSSIONE

Sul caso in esame lo scrivente ritiene di poter svolgere le seguenti

considerazioni.

Causa di morte di F. P.

Il paziente era accolto presso l’Ortopedia dell’Ospedale di N in data

4/7/05, a causa di una frattura della diafisi femorale destra, da caduta

accidentale.

La frattura risultava clinicamente ben chiara, alla luce dell’obbiettività

clinica che dimostrava l’arto inferiore accorciato, abdotto, extraruotato,

dolente al terzo medio e con motilità praeternaturale, in un contesto

appunto tipico per il verificarsi di una rottura diafisaria del femore,

attendibilmente instabile stante la pratermotilità.

Della frattura non abbiamo comunque evidenze radiologiche, per la

mancanza di referti specifici nella cartella clinica e pure per la mancanza

di ‘lastre’ radiologiche (richieste da parte ricorrente all’Ospedale di N, ma

non disponibili, come da lettera prodotta del 24/7/14).

La lesione, per le sue caratteristiche, richiedeva di necessità un

intervento chirurgico di riduzione e osteosintesi metallica, da farsi dopo

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la rimozione di un chiodo endomidollare PFN A 7865 stabilizzato con viti

prossimali e distali, applicato in precedenza il 2/3/05 nello stesso

reparto, per il trattamento di una frattura femorale pertrocanterica.

Quella del 4/7/05 era pertanto una rifrattura dello stesso osso, sia pure

in un punto diverso (nel mese di marzo del 2005 frattura pertrocanterica,

quindi prossimale, nel mese di luglio del 2005 frattura diafisaria).

Da considerare che il paziente presentava in partenza un rischio

operatorio significativo, rappresentato:

- da patologie sistemiche pregresse e note, descritte in cartella clinica e

nelle cartelle cliniche precedenti (ipertensione arteriosa, arteriopatia

ostruttiva arti inferiori, broncopatia cronica ostruttiva, aortosclerosi,

encefalopatia vascolare);

- da patologie cardiache probabili, considerando l’elevata probabilità di

una cardiopatia ischemica, molto frequente nei pazienti con turbe

vascolari encefaliche, arteriopatici agli arti inferiori e pure ipertesi

(l’autopsia confermava poi una coronaropatia grave e pertanto una

cardiopatia ischemica);

- da patologie distrettuali femorali, date dal precedente intervento con

applicazione di mezzi di sintesi per la cura della frattura femorale

pertrocanterica;

- dall’età (73 anni).

La situazione relativa al rischio di partenza era identificata in via

preliminare all’intervento, osservando che l’anestesista classificava una

situazione di “rischio ASA 2-3”.

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Secondo la classificazione internazionale ASA:

- il rischio 2 ricorre nel caso di: malattia sistemica lieve correlata o no

alla ragione dell’intervento chirurgico (ad esempio: bronchite cronica,

obesità moderata, diabete controllato, infarto del miocardio di vecchia

data, ipertensione arteriosa moderata);

- il rischio 3 ricorre nel caso di: malattia sistemica severa ma non

invalidante correlata o no alla ragione dell’intervento chirurgico (ad

esempio: cardiopatia ischemica con angor, diabete insulino-dipendente,

obesità patologica, insufficienza respiratoria moderata).

A parere dello scrivente la classificazione del rischio, pur corretta, si

avvicinava più alla classe 3 che a quella 2, considerando che il paziente

pure presentava un fattore pregresso di rilievo nella sua storia clinica,

dato dal manifestarsi di importanti emorragie chirurgiche avvenute in

occasione di precedenti interventi ortopedici, sempre effettuati presso lo

stesso reparto; infatti:

- il 12/7/04 era stato sottoposto ad artroprotesizzazione del ginocchio

destro, per artrosi; nel post-operatorio si era verificata una importante

anemia, con la perdita di ben 6.0 grammi di emoglobina, passata dal

valore di 13.7 al valore di 7.7; per la cospicua perdita ematica si

rendevano necessarie emotrasfusioni;

- il 2/3/05 era stato sottoposto alla sopra ricordata osteosintesi della

frattura femorale destra pertrocanterica; anche in questa occasione si

era verificata una significativa perdita ematica post-chirurgica, con valori

di emoglobina pre-operatori passati da 11.5 a 7.9 (perdita di 3.6

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14

grammi); l’anemia veniva trattata con trasfusioni e si correggeva

gradualmente e parzialmente.

Per un paziente di questo tipo, con la tendenza anamnestica

documentata a presentare anemie in corso di intervento o dopo

l’intervento, era ovviamente necessaria l’applicazione di una particolare

prudenza nel gesto chirurgico, idoneo nel causare anemizzazione

(l’emorragia è una delle complicanze operatorie e/o post-operatorie).

In ogni modo l’intervento era necessario e doveva essere attuato, e le

condizioni preoperatorie, di salute generale e relative ai parametri

cardiovascolari, lo consentivano.

Purtroppo la complicanza emorragica si manifestava, in maniera grave,

anche per l’ultimo l’intervento del 6/7/05.

Dalla cartella clinica apprendiamo infatti, viste le annotazioni dei curanti

e il diario anestesiologico, che un calo sensibile dell’emoglobina (quindi

anemia) rispetto a quello di partenza pre-operatorio del 5/7/05 pari a

11.0, si manifestava alle ore 12.44, solo 14 minuti dopo l’inizio della

procedura chirurgica, cominciata alle ore 12.30 (12.30 inizio intervento,

11.45 inizio anestesia); alle 12.44 il valore dell’emoglobina era pari a

7.4, a rappresentarci una perdita di 3.6 grammi; contestualmente si

abbassava in maniera sensibile la pressione arteriosa.

Si era pertanto trattato di una emorragia cospicua, come definita dagli

stessi curanti, e rapida, visti i tempi di manifestazione descritti.

La perdita ematica veniva trattata con plurime trasfusioni di globuli rossi

concentrati (5 sacche trasfuse nel corso dell’intervento, e altre dopo

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l’intervento), che purtroppo non bastavano a salvare il paziente.

Dopo il completamento della procedura chirurgica (rimozione del chiodo

già in sede e posizionamento di un nuovo chiodo bloccato

prossimalmente e distalmente), dopo le trasfusioni e la

somministrazione di farmaci anti-shock e di espansione del volume

ematico, e dopo un risveglio iniziale del paziente, si manifestava infatti,

in tempi brevi, una perdita di coscienza improvvisa con arresto cardiaco;

le manovre rianimatorie facevano sperare in una timida ripresa, ma alla

fine, alle ore 16.33 si doveva constatare il decesso, correttamente

attribuito dai curanti ospedalieri a uno shock ipovolemico (da emorragia);

tale condizione di shock, pur a fronte di una emoglobina a fine intervento

pari a 7.9 (ore 15.31), bassa ma non critica in via assoluta, era

spiegabile sia dalla rapidità della perdita ematica, sia dalle preesistenti

condizioni di fragilità del soggetto, vasculopatico e cardiopatico.

Al termine di questa prima parte della disamina è infine con certezza

affermabile la sussistenza di nesso causale tra l’intervento chirurgico del

6/7/05 e il decesso, appunto avvenuto a causa di uno shock ipovolemico

post-emorragico, per emorragia intraoperatoria.

Sui profili di responsabilità

Per quanto riguarda questo aspetto allo stato degli atti non è possibile

esprimere un giudizio.

Si premette che l’emorragia operatoria, che avviene nel corso di un

intervento chirurgico, è una complicanza prevedibile che può derivare o

da fatto ineluttabile, o da fatto colposo.

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Per la valutazione medico legale di una eventuale responsabilità, sia in

via generale per interventi di questo tipo, sia in via più specifica, è

indispensabile avere a disposizione una dettagliata descrizione

dell’intervento chirurgico e gli esami radiografici del caso.

Un tanto consente di apprezzare le modalità del gesto chirurgico, che

per la situazione in esame prevedeva prima la rimozione del chiodo e

quindi il posizionamento di un secondo chiodo, secondo specifiche

modalità tecniche.

Per il paziente la descrizione dell’intervento chirurgico è carente, e non

prevede sufficienti particolari descrittivi: si enuncia la prima fase di

rimozione (primo tempo chirurgico), e si enuncia la seconda fase di

posizionamento del chiodo (secondo tempo chirurgico).

Non sono poi disponibili, né in referto, né in visione diretta (cosa che

sarebbe stata altamente auspicabile) le radiografie pur eseguite nel

corso della degenza, sia prima dell’intervento, sia nel corso

dell’intervento, laddove l’esame dei radiogrammi avrebbe consentito la

verifica e la valutazione delle complicanze, anche possibilmente in

rapporto alla loro origine.

Il giudizio sulla responsabilità non può pertanto essere espresso sulla

base degli elementi a disposizione.

Da segnalare inoltre che:

- le varie procedure di trattamento e rianimatorie erano adeguate dopo la

manifestazione della complicanza emorragica, e in effetti, per quanto

risulta, consentivano di evitare un calo ulteriore dell’emoglobina;

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- il referto autoptico era pure carente, e non aiutava per la disamina, in

quanto non descriveva lo stato della frattura femorale diafisaria e l’esito

del trattamento.

Rispondendo all’ultima parte del quesito (consolidazione di postumi

permanenti o temporanei) si ritiene che la rapidità del decesso, avvenuto

circa due ore dopo il termine della chirurgia non consentiva né il

consolidarsi di postumi permanenti, né la concreta realizzazione di una

temporanea inabilità, laddove il paziente anche nel caso di esito non

letale si sarebbe comunque trovato, subito dopo l’intervento, in uno stato

di temporanea inabilità.

CONCLUDENDO

In risposta ai quesiti formulati è possibile rispondere nel seguente modo:

- sussiste nesso causale fra il trattamento sanitario prestato a P. F. e il

suo decesso;

- per la carenza di elementi documentali necessari ai fini della

valutazione medico legale del caso, nei termini espressi nell’elaborato,

non è possibile esprimersi sui profili di responsabilità;

- la rapidità del decesso non consentiva il consolidarsi né di postumi

permanenti, né di una concreta temporanea inabilità.

9 febbraio 2015

dott. RR

La presente relazione viene inviata ai CTP per le loro eventuali

osservazioni.

===...===

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Il CTP per la resistente A., dott.ssa CC., comunicava di concordare con

le conclusioni della CTU.

Il CTP per i ricorrenti, dott. GG inviava le osservazioni che si allegano in

forma integrale al presente elaborato, e che di seguito si commentato.

A pagina 1 delle osservazioni il Collega, nei punti a, b, c, d, e, prendeva

sostanzialmente atto delle conclusioni della CTU; aggiungeva che la

cartella clinica non prevede la “dimostrazione dell’avvenuta informazione

al paziente (manca il foglio consenso informato sottoscritto)”.

A tale considerazione si risponde che il documento di consenso

informato, per quanto si legge in cartella, in effetti manca; tale aspetto

non è stato trattato dallo scrivente nella bozza di CTU poichè il quesito

non prevedeva considerazioni sul ‘consenso’.

Le restanti osservazioni esposte a pagina 1 non richiedono risposta in

quanto elencano alcune argomentazioni del CTU.

A pagina 2 delle sue note il CTP, procedendo nelle osservazioni, chiede

al CTU di esprimersi su specifiche circostanze riportate nell’elaborato in

bozza.

Si procede riportando quanto osservato dal CTP punto per punto,

fornendo la relativa risposta:

“1) Se sia diligente la mancanza in cartella di una consulenza

cardiologica completa per un paziente cardiopatico conosciuto e

aortosclerotico come si evince dalle consulenze in cartella delle quali

l’ultima risalente al 29/3/2004 dove è prescritto di effettuare un ECO

prima dell’intervento chirurgico di artroprotesi al ginocchio dx”.

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Risposta del CTU

Nella cartella clinica relativa all’intervento de quo, prodotta in atti, è

contenuto il referto di una visita cardiologica del 29/3/04, riportato a

pagina 10 della bozza, che prescriveva di effettuare un’ecografia

cardiaca prima dell’intervento chirurgico di protesizzazione al ginocchio

destro (intervento eseguito in data 12/7/04).

Prima dell’intervento del 6/7/05 non si procedeva a una visita

cardiologica, ma per tale circostanza non si ravvisa una negligenza in

quanto in ogni modo la situazione di rischio del paziente, peraltro

sottoposto ad elettrocardiogramma pre-operatorio, era correttamente

valutata dall’anestesista, figura professionale che per la stima del rischio

chirurgico ha competenze specifiche analoghe a quelle del cardiologo,

se non superiori; la consulenza cardiologica, ove eseguita unitamente

all’Ecocardigramma, avrebbe poi evidenziato, possibilmente, una

cardiopatia ischemica, patologia che non avrebbe mutato in sostanza

l’indicato profilo di rischio.

“2) Se sia diligente non preparare una scorta di emazie preoperatoria in

un soggetto con anemia preoperatoria (Hb 11), predisposizione a

importante perdita emoglobinica intra e post-operatoria e previsione di

un intervento che prevede un cospicuo sanguinamento. A tale riguardo

si vuol precisare come ci son voluti 30 minuti prima di iniziare una

infusione di emazie post emorragia (tempo prezioso per evitare ischemie

cardiache!)”.

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Risposta del CTU

Nella bozza si è detto che il paziente, come dimostrato dagli interventi

precedenti (protesi di ginocchio, frattura femorale prossimale),

facilmente andava incontro ad anemizzazione nel corso della chirurgia

ortopedica; l’ultimo intervento da farsi prevedeva inoltre, come fatto

normale, una perdita ematica, pur se abitualmente non cospicua; si

trattava però di un paziente in partenza anemico, a specifico e personale

rischio di anemia ‘chirurgica’, ed una perdita ematica importante, come

complicanza, rappresentava una circostanza prevedibile.

Ciò detto vanno ritenute calzanti le osservazioni del CTP; si ritiene infatti

che la disponibilità immediata di sangue da trasfondere (sangue che

poteva essere facilmente e semplicemente preparato prima

dell’intervento, in maniera da avere la sua pronta disponibilità nel corso

dell’intervento e già al suo inizio), avrebbe risparmiato i tempi di richiesta

e di fornitura ai fini della prima infusione; poichè l’emorragia si verificava

nella prima fase dell’intervento e al suo inizio (intervento cominciato alle

ore 12.30, anemia evidente già alle ore 12.44, per emoglobina pari a

7.4; richiesta di sangue alle ore 13.03, prima trasfusione alle ore 13.15),

una preliminare disponibilità della trasfusione, per sangue già in

precedenza preparato, avrebbe consentito di anticipare la trasfusione di

circa mezz’ora; tale anticipazione, rispetto a quanto avvenuto, avrebbe

consentito di ridurre la velocità e l’entità della perdita e le sue negative

conseguenze, con una riduzione delle probabilità (concrete e

significative, pur se non esattamente quantificabili in termini numerici)

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del manifestarsi dello shock e del secondario decesso.

La mancata preparazione di un scorta pre-operatoria di sangue da

trasfondere integrava pertanto una condotta non diligente ed anche

imprudente in rapporto alle note caratteristiche specifiche del paziente.

“3) quale sia la più logica delle cause dell’emorragia intraoperatoria

avvenuta nei primi 10 minuti dell’intervento chirurgico conoscendo due

fatti essenziali:

a) non documentata emorragia pre-operatoria;

b) importante emorragia improvvisa nei primi 10-12 minuti (tanto da

perdere circa 4 gr di Hb al 14mo minuto) proprio quando il chirurgo

effettua una lunga incisione del muscolo e quindi sfila il chiodo

endomidollare: origine vascolare o ossea (da rottura dell’osso

femorale?). L’incipiente emorragia ha più carattere vascolare da lesione

dell’arteria perforante o addirittura della femorale profonda che decorre

medialmente al femore in sede prossimale. Altro fatto che

presuntivamente fa ipotizzare una lesione vascolare è il fatto che l’Hb da

7.4 scende a 7 dopo infusione di 4 sacche di emazie e dopo ulteriori tre

sacche sale solo a 7.9. Il tutto non può che far pensare ad una

prolungata emorragia di origine vascolare.”

Risposta del CTU

E’ vero che una emorragia pre-operatoria non è documentata e pure è

vero, come più volte ripetuto, che l’emorragia era iniziale ed improvvisa;

quella più probabile, come di norma nel caso delle emorragie

chirurgiche, è la genesi vascolare, anche protratta, oltre che inizialmente

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rapida, pure visto il permanere del calo emoglobinico nonostante le

trasfusioni plurime.

“4) Se, indipendentemente da quanto detto al punto precedente, può

escludersi con certezza o comunque con verosimiglianza qualsiasi fatto

medico colposo legato all’evento emorragico sopravvenuto”.

Un fatto medico colposo, per negligenza e imprudenza, è stato sopra

confermato, ed è relativo alla mancata preparazione preventiva di

sacche di sangue da trasfondere, con ritardo di circa mezz’ora per la

prima infusione.

Un giudizio sui restanti aspetti della responsabilità (correttezza del gesto

chirurgico, in particolare) richiede l’esame della documentazione già

definita non disponibile e/o insufficiente, per carenze della cartella

clinica.

“5) Se sia fortuita la incompleta descrizione dei referti operatori e

dell’esame autoptico”.

La incompleta descrizione dei referti operatori e dell’esame autoptico

corrisponde a una negligente insufficiente descrizione di quanto,

secondo una corretta prassi, si doveva descrivere.

“6) Se in considerazione della documentazione depositata in atti sia

escludibile qualsiasi profilo di responsabilità dei sanitari e della struttura

sanitaria”.

Un profilo di responsabilità è stato definito (mancata preparazione

preventiva del sangue da trasfondere); per il resto si ribadisce che

un’affermazione per altri aspetti della responsabilità (non escludibili, nè

Commentato [c1]: Qui il ctu non ha avuto il coraggio di

additare la colpa ai sanitari per semplice deduzione, come se

il referto operatorio fosse l’unico elemento in grado mdi

dimostrare una emorragia vascolare!

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confermabili con certezza) richiede una più ampia ed esaustiva

documentazione medica, non fornita dalla cartella clinica in atti.

Con un tanto si spera di aver risposto in maniera esauriente alle

osservazioni del CT ricorrente.

In conclusione si confermano pertanto le precedenti conclusioni, esposte

a pagina 17 dell’elaborato, che vanno integrate con le ultime

considerazioni ora svolte in risposta alle osservazioni del CTP ricorrente.

11 febbraio 2015

dott. RR

Allegati:

1) osservazioni del CT di parte ricorrente;

2) istanza di liquidazione.