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Repubblica Italiana N. 92/2010 In Nome del Popolo Italiano La Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto Il Giudice Unico delle Pensioni Nella persona del 1° Referendario dott. Giovanni Co mite. Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con r.d.12 luglio 1934, n.1214, e successive modifiche; visti gli artt.1 e 6, del d.l. 15 /11/93 n. 453, convertito nella l.19/1994; visto l’art. 5, della legge 21 luglio 2000 n.205; visti gli artt. 131, 420, 430 e 431 c.p.c. nonché 421, 429 e 132 c.p.c., così come novellati, rispettivamente, dall’art. 53, del d.l. 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni, dalla legge n.133, del 06 agosto 2008, e dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n.69, e l’art. 26 del Reg. di Proc. per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti, di cui al r.d. 13 agosto 1933, n.1038; visto l’atto introduttivo del giudizio; esaminati gli altri atti e i documenti tutti di causa; chiamato il giudizio alla pubblica udienza del 19 febbraio 2010, con l’assistenza del segretario sig.ra Nicoletta Niero, ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso in materia di pensioni, iscritto al n. 26359 del registro di segreteria, promosso da Z. M., nata, il OMISSIS, a OMISSIS, residente a OMISSIS, in OMISSIS, elettivamente domiciliata presso patronato INCA – CGIL di via Settembrini n. 06, Verona, contro l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (I.N.P.D.A.P.),

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Repubblica Italiana N. 92/2010

In Nome del Popolo Italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto

Il Giudice Unico delle Pensioni

Nella persona del 1° Referendario dott. Giovanni Co mite.

Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con r.d.12 luglio 1934,

n.1214, e successive modifiche;

visti gli artt.1 e 6, del d.l. 15 /11/93 n. 453, convertito nella l.19/1994;

visto l’art. 5, della legge 21 luglio 2000 n.205;

visti gli artt. 131, 420, 430 e 431 c.p.c. nonché 421, 429 e 132 c.p.c., così come novellati,

rispettivamente, dall’art. 53, del d.l. 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni,

dalla legge n.133, del 06 agosto 2008, e dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno

2009, n.69, e l’art. 26 del Reg. di Proc. per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti, di cui al r.d.

13 agosto 1933, n.1038;

visto l’atto introduttivo del giudizio;

esaminati gli altri atti e i documenti tutti di causa;

chiamato il giudizio alla pubblica udienza del 19 febbraio 2010, con

l’assistenza del segretario sig.ra Nicoletta Niero,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso in materia di pensioni, iscritto al n. 26359 del registro di segreteria, promosso

da Z. M., nata, il OMISSIS, a OMISSIS, residente a OMISSIS, in OMISSIS, elettivamente

domiciliata presso patronato INCA – CGIL di via Settembrini n. 06, Verona, contro l’Istituto

Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (I.N.P.D.A.P.),

Direzione provinciale di Verona, in persona del direttore legale rappresentante del

tempo, in particolare avverso <…il provvedimento n. 9647/U/25, del 21 febbraio 2007…

mediante il quale viene ordinato …di rifondere la somma di € 4.723,00 applicando una

ritenuta cautelativa mensile di € 143,12 a decorrere dal 1° aprile 2007>.

Considerato in

FATTO

Con il ricorso in epigrafe indicato, ritualmente notificato e depositato il 25 maggio 2009, M.

Z. si gravava del provvedimento n.9647/U/25, del 21 febbraio 2007, con il quale la sede

provinciale INPDAP di Verona intimava la restituzione della somma di € 4.723,00, quale

indebito costituitosi sul trattamento provvisorio di pensione, fruito dal 18 luglio 1990 al 31

dicembre 2006.

Dalla documentazione in atti emergeva che la ricorrente, operatrice amministrativa del

Ministero della Difesa, è cessata dal servizio, per dimissioni, il 17 luglio 1990.

Con nota n. 1314, del precedente 18 giugno 1990, indirizzata, tra l’altro, all’allora Direzione

Provinciale del Tesoro (ora INPDAP) di Verona, la Regione Militare Nord Est conferiva, alla

medesima, il trattamento provvisorio di pensione, a norma dell’art. 162, del T.U. n.

1092/1973, nella misura di £ 7.172.800 (€ 3.704,45) dal 18 luglio 1990, con apertura di

partita di pagamento presso la predetta articolazione territoriale.

Con decreto definitivo n. 804, del 26 maggio 2004, pervenuto all’INPDAP di Verona il 27

luglio 2006, il Comando Regione Militare Nord, attribuiva, alla ricorrente, la pensione

definitiva nell’importo di € 3.503,31 (già £ 6.783.354).

Dall’applicazione, sulla rata di dicembre 2006, (lotto di lavorazione n.32, del 28 novembre

2006) del predetto decreto, l’Istituto convenuto, riscontrava che gli importi pagati per i

periodi pregressi, a titolo provvisorio, risultavano superiori a quelli effettivamente dovuti e,

pertanto, provvedeva a partecipare all’ex dipendente civile, con nota n.41495/U/25, del 30

novembre 2006 (ricevuta il successivo 06 dicembre), l’esistenza di un debito,

successivamente quantificato in € 4.723,00 complessivi e ingiunto con la comunicazione

n.9647/U/25, del 21 febbraio 2007.

L’indebito, costituitosi dal 18 luglio 1990 al 31 dicembre 2006, è recuperato, sulla pensione

ordinaria diretta con ritenuta cautelativa mensile di € 143,12, dal 1° aprile 2007.

Con ricorso, prodotto il 05 giugno 2008, la pensionata chiedeva all’INPDAP, alla luce di

quanto statuito dalla sentenza n.7/2007/QM, del 07 agosto 2007, delle Sezioni Riunite di

questo Istituto, la revoca, in sede di autotutela, del provvedimento di recupero emesso,

riscontrata negativamente, con nota n.28765/U/30, del 10 giugno 2008, poiché <…ogni

sentenza si applica esclusivamente al ricorrente e non è estensibile automaticamente a

casi simili a quello specifico oggetto della sentenza>.

Seguiva, pertanto, il gravame odierno, nel quale l’attrice rivendicava la non esigibilità delle

somme erroneamente corrisposte, poiché l’erogazione riguardava un lungo periodo di

tempo, che ha ingenerato nella stessa il convincimento della correttezza e della certezza di

quanto attribuitogli.

Richiamava, al riguardo, la propria buona fede e giurisprudenza di questa Corte, in

particolare i principi affermati nella sentenza n. 07/2007/QM delle Sezioni Riunite, in tema

d’irripetibilità delle somme corrisposte in più sul trattamento provvisorio di pensione,

decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo.

Terminava per l’annullamento del provvedimento impugnato, con rimborso delle somme nel

frattempo recuperate e delle spese di giudizio.

Con memoria, in atti all’11 giugno 2009, si costituiva in giudizio la sede INPDAP di Verona,

che, con riserva di dispiegare più articolate controdeduzioni, proponeva eccezione di

prescrizione quinquennale, che agiva, comunque, dal 05 maggio 2009 (recte 08 maggio

2009), data di notifica del ricorso.

Con memoria successiva, del 27 gennaio 2010, prodotta congiuntamente al fascicolo

amministrativo, l’Istituto previdenziale articolava in maniera compiuta le proprie difese,

terminando, in via preliminare, per la propria estromissione dal giudizio, attesa la carenza di

legittimazione processuale passiva, o quanto meno consentire la chiamata del terzo,

Ministero della Difesa – Regione Militare Nord Est, ad integrazione del contraddittorio; in

via principale di merito chiedeva, invece, il rigetto del ricorso; in via subordinata, nell’ipotesi

denegata di accoglimento, instava acché la restituzione del credito erariale fosse limitata

alla sola quota capitale, trattandosi, comunque, di indebito oggettivo; in ulteriore gradato

subordine, chiedeva la condanna dell’Amministrazione Militare alla rifusione, in favore di

esso Ente, delle somme dichiarate inesigibili.

In sintesi l’Istituto pagatore, evidenziava il proprio ruolo di ordinatore secondario di spesa,

rientrando, quindi, nelle competenze dell’Amministrazione della Difesa ogni attività volta

alla liquidazione del trattamento di quiescenza che poi esso medesimo deve applicare.

Soggiungeva che l’Amministrazione attiva (Regione Militare Nord Est) era l’unico soggetto

al quale <…spetta emettere e, quindi, dare attuazione ai provvedimenti di pensione

provvisoria, prima, definitiva, in seguito, a favore della Z.>.

Richiamava, al riguardo, la sent. n.197, del 03 marzo 2009, di questa Corte, che, in un caso

<…del tutto sovrapponibile…>, ha ritenuto legittima l’azione di recupero intrapresa per

insussistenza dell’affidamento della pensionata, poiché, a suo tempo, aveva rilasciato una

dichiarazione scritta, sussistente e prodotta tra gli allegati anche per la fattispecie di causa

(dichiarazione del 19 aprile 1990), di autorizzazione, dell’Amministrazione militare, a

trattenere tutte le somme che in sede di attribuzione del trattamento provvisorio di

quiescenza eventualmente le fossero state corrisposte indebitamente.

Ciò precisato, soggiungeva che a voler comunque considerare l’INPDAP quale legittimato

processuale passivo, si ravvisava in fattispecie un’ipotesi di litisconsorzio necessario

comportante l’indispensabilità ai fini del decidere dell’Amministrazione di appartenenza del

pensionato, quale organo competente alla determinazione del trattamento di quiescenza

dello stesso.

In ragione di ciò chiedeva l’integrazione del contraddittorio.

Nel merito, rilevava la correttezza del proprio operato giacché l’indebito si era costituito sul

trattamento provvisorio e, pertanto, così come precisato dalla sentenza delle Sezioni

Riunite n. 1/1999/QM, non rilevava la buona fede essendo il conguaglio, con eventuali

poste a debito o a credito, attività doverosa.

E, ancora, l’Ente, pur prendendo atto di quanto le Sezioni Riunite avevano statuito nella

sentenza n. 7/2007/QM, richiamava giurisprudenza di talune Corti Territoriali che avversava

la trasformazione del provvedimento provvisorio di pensione in definitivo con l’esaurimento

dei termini regolamentari per la sua emanazione, atteso che la norma di cui all’art. 206 era

da considerarsi eccezionale e non suscettibile di interpretazione analogica.

Rilevava, inoltre, come la tutela dell’affidamento non poteva <…comunque essere invocata

per dichiarare l’irripetibilità dell’indebito scaturito dal conguaglio tra pensione definitiva e

provvisoria, dal momento che il conguaglio è ammesso e previsto dal Legislatore, in quanto

insito nella natura stessa dell’istituto della pensione provvisoria>.

Evidenziava, come il superamento dei termini fissati dai regolamenti, previsti dall’art. 2,

della legge n.241/1990, non poteva avere l’effetto di sanare l’indebito; l’art. 162, del D.P.R.

n.1092/1973 e successive modifiche ed integrazioni, legittimava, pertanto il conguaglio a

debito o a credito in sede di liquidazione della pensione definitiva, senza prefissione di un

termine finale e, quindi, lo stesso conguaglio non era soggetto per legge ad alcun termine

di prescrizione. Soggiungeva che se un termine era previsto esso non poteva coincidere

con quello procedimentale ma con quell’ordinario decennale di prescrizione. Rilevava,

ancora, che la legge <... prevede in favore del ricorrente il rimedio consistente nel mettere

in mora l’Amministrazione in caso d’inosservanza dei termini...fino alla denuncia di

omissione di atti d’ufficio, qualora l’inerzia si protragga ulteriormente>.

Precisava, infine, come nel relativo procedimento erano intervenute diverse

Amministrazioni, comprese la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei Conti, in sede

di controllo, oltre l’Amministrazione attiva dell’interessato, da chiamare a rendere conto del

loro operato.

Terminava, quindi, evidenziando l’obbligo giuridico a ripetere quanto indebitamente erogato

in applicazione dell’art.2033 c.c.

Alla pubblica udienza odierna, non rappresentata la ricorrente, presente, per l’I.N.P.D.A.P.,

il dott. Mauro Dal Corso, che si riportava agli scritti defensionali in atti, la causa, ritenuta

matura, è trattenuta e decisa come da dispositivo letto pubblicamente, ex art. 5, della legge

n. 205/2000, consegnato al termine e riportato in calce alla sentenza, data per letta

mediante deposito nella segreteria della Sezione.

Ritenuto in

DIRITTO

In via pregiudiziale la Sezione è chiamata a vagliare le questioni di rito denunciate

dall’Amministrazione previdenziale.

In primis, l’Istituto eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva, in considerazione

del ruolo di ordinatore secondario di spesa tenuto dallo stesso nella vicenda di causa.

In sostanza, chiedeva di essere estromesso dalla causa, giacché carente d’interesse a

contraddire alla domanda, ai sensi di quanto previsto dall’art. 100 c.p.c.

La doglianza, priva di pregio, deve essere disattesa.

Al riguardo va precisato che a seguito dell’emanazione del decreto legislativo 30 giugno

1994, n.479, che ha istituito l’I.N.P.D.A.P. (art.4), e della legge 08 agosto1995 n.335 (art.2),

che ha creato, a far tempo dal 1° gennaio 1996, pre sso l’Istituto la gestione separata dei

trattamenti pensionistici ai dipendenti delle Amministrazioni statali (Cassa dei trattamenti

pensionistici dei dipendenti dello Stato: C.T.P.S.), l’Ente previdenziale, con decorrenza 01

ottobre 2005, ha assunto la competenza a liquidare ed erogare i trattamenti pensionistici

anche di tale ultimo personale con l ’eccezione degli appartenenti alle Forze Armate

(compresi i dipendenti civili) e alle Forze di Poli zia ad ordinamento militare (cfr.

circolare INPDAP n.67, del 16 dicembre 2004, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.32, del

27 dicembre 2004).

Con successivi atti normativi interni (si veda la Circolare n.18, per il personale addetto al

Corpo della Guardia di Finanza, n. 19, per il personale dell’Esercito Italiano, n. 20, per il

personale dell’Aeronautica Militare, n. 21, per i dipendenti della Marina Militare, n. 22, per

gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, tutte datate 18 settembre 2009), previ accordi con

gli Enti interessati, l’INPDAP ha assunto, dal 1° gennaio 2010, le competenze in tema di

liquidazione dei trattamenti pensionistici, decorrenti dalla predetta data, esclusivamente nei

confronti dei finanzieri, militari e carabinieri collocati direttamente nella posizione di riserva

o di congedo assoluto (ossia personale collocato a riposo a domanda, per infermità o

perdita del grado) mentre è rimasto di competenza delle amministrazioni di appartenenza la

liquidazione dei trattamenti pensionistici del personale che transita in posizione di ausiliaria,

nonché la determinazione di tutti i provvedimenti pensionistici riferiti al personale collocato

in riserva anteriormente al 1° gennaio 2010, anche con riguardo alla definizione di

domande di riscatto, prosecuzione volontaria, ricongiunzione, computo e sistemazione

contributiva per le istanze presentate anteriormente alla predetta data.

Ne conseguiva, quindi, che, <ratione temporis>, la competenza a emanare il trattamento

definitivo dell’odierna ricorrente, operatrice amministrativa civile dell’Esercito Italiano,

cessata dal servizio, a domanda, e collocata in quiescenza con decorrenza 18 luglio 1990,

era, in via esclusiva, dell’Amministrazione datrice di lavoro (Ministero della Difesa e sue

articolazioni), mentre all’INPDAP spettava l’effettivo pagamento delle somme previste dai

provvedimenti in questione.

Orbene, nell’ipotesi di causa, l’Amministrazione Militare aveva ottemperato, pur se come

vedremo in violazione dei termini procedimentali, alle proprie incombenze liquidando i

provvedimenti di pensione provvisoria e definitiva, trasmettendo, altresì, all’Ente pagatore

l’integrale documentazione a supporto per operare un corretto conguaglio, a credito o a

debito, sul trattamento fruito dalla pensionata.

E tale documentazione, versata nel fascicolo processuale, non essendo in contestazione il

merito del provvedimento definitivo di pensione, modificativo in termini lievemente deteriori

del trattamento provvisorio, per il quale non sono in discussione le prerogative

dell’Amministrazione datrice di lavoro (in questo caso sì da evocare in giudizio), ma solo

l’indebito, tout court, da esso scaturito, è da ritenere adeguata e sufficiente per valutare la

pretesa rivendicata ai fini del giusto decidere.

In sostanza, non essendo la domanda dell’ex dipendente civile diretta a contestare la

legittimità del decreto definitivo di pensione (n. 804, del 26 maggio 2004) e, quindi, a

mantenere fermo l’originario maggiore trattamento provvisorio, resta confermata l’esclusiva

legittimazione passiva dell’INPDAP nel giudizio de quo.

Pertanto, la Corte, ravvisa in fattispecie un concreto interesse a contraddire, ex art 100

c.p.c., in capo all’INPDAP, sia in quanto esclusivo soggetto promotore, per previsione

normativa (nel caso di specie art. 3, del D.P.R. n.1544, del 30 giugno 1955, art. 3, del

R.D.L. 19 gennaio 1939, n.295, nonché art.162, comma 7, del T.U. n.1092/1973), della

relativa procedura recuperatoria, sia per i conseguenti propri adempimenti che

scaturirebbero da un eventuale accoglimento della domanda d’irripetibilità dell’indebito (cfr.

Corte dei Conti, Sezione 2°, sent. n.62/2008, del 1 2 febbraio 2008).

E, invero, l’art. 3, del D.P.R. 30 giugno 1955, n. 1544, ha demandato agli Uffici Provinciali

del Tesoro, poi Direzioni Provinciali del Tesoro e, in subentro, in universum ius, INPDAP,

<…il compito di provvedere al recupero dei crediti erariali derivanti da indebite riscossioni

effettuate da dipendenti dello Stato in attività di servizio o da pensionati ed altri assegnatari

in relazione alle competenze oggetto dei ruoli di spesa fissa che detti Uffici amministrano. Il

recupero predetto deve essere effettuato osservando le disposizioni di cui all’art. 3 del regio

decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295>.

La succitata disposizione trovava conferma nel comma 7, dell’art. 162, del T.U. n.

1092/1973 (così come sostituito dall’art.7, del D.P.R. n.138, del 19 aprile 1986), che così

statuiva: <Qualora l’importo della pensione definitiva diretta o di reversibilità risultante dal

decreto di concessione registrato alla Corte dei Conti non sia uguale a quello attribuito in

via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro (ora INPDAP, nota nostra) provvede alle

necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito>

Disposizioni correttamente interpretate dall’Ente previdenziale che ha operato il conguaglio

a debito, poi ingiunto alla ricorrente.

Resta, pertanto, confermata l’esclusiva legittimazione passiva dell’INPDAP nel giudizio de

quo, non senza richiamare, altresì, evidenti ragioni di economia e di ragionevole durata del

processo, che dilazionamenti non necessari e integrazioni superflue del contraddittorio

potrebbero minare (art. 111, comma 2° Cost.).

E il prevalente ruolo rivestito dall’Ente previdenziale nella vicenda di causa, con piena

legittimazione passiva, esclude, altresì, che la Sezione possa favorevolmente valutare la

richiesta d’integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetti pubblici intervenuti a

vario titolo nel procedimento amministrativo pensionistico (Amministrazione attiva,

Ragioneria dello Stato e Corte dei Conti in sede di Controllo), istanza, comunque, specifica

nei confronti del Ministero della Difesa, da ritenere non ammissibile oltre che ultronea ai fini

dell’odierno decidere.

E ciò perché non può negarsi che la stessa, non mirando la domanda attorea a contestare

il decreto definitivo di pensione e, quindi, come detto in sostanza a mantenere fermo

l’originario maggiore trattamento, è finalizzata a regolare i rapporti obbligatori correnti tra

l’Istituto previdenziale e le predette Amministrazioni, per i quali difetta la giurisdizione di

questa Corte.

Infatti, è da precisare che mentre è devoluta alla Corte dei Conti sia l’azione del privato

avente ad oggetto l’accertamento del diritto all’an ed al quantum di pensione, che l’azione

di recupero intrapresa dall’Amministrazione Previdenziale e quella di rivalsa nei confronti

del pensionato ex CPDEL, disposta da parte dell’Ente datore di lavoro il quale abbia rifuso

l’indebito predetto all’Ente previdenziale (cfr. Corte di Cassazione SS.UU., sentenza n.

920/1999, e Corte dei Conti Sezione Lombardia sent. n.442/2005, Sezione Veneto, sent.

n.584/2006 e n.628/2007), rimane, invece, estranea alla giurisdizione contabile la

controversia sull’esistenza o meno dell’obbligo, ovvero la determinazione della misura della

sua eventuale sussistenza, dell’Ente di appartenenza del pensionato, o di altri Uffici, di

rifondere all’Amministrazione Previdenziale l’importo indebitamente erogato, per effetto di

errore contenuto negli atti di liquidazione del trattamento di quiescenza. In tale fattispecie,

la domanda giudiziale attiene a un rapporto obbligatorio distinto da quello pensionistico e

sorgente tra soggetti diversi dal pensionato ed in base a un titolo e a presupposti differenti

(ex multis Corte dei Conti Sezione III, sent. n. 62/2000, n.198/2000, Sezione Sicilia sent. n.

1235/2003, id. Sezione Lazio, sent. n. 547/2004).

Così come compiutamente evidenziato dalla Sezione III centrale d’appello il <…difetto di

giurisdizione appare giustificato dal fatto che…le parti processuali in senso formale e

sostanziale sono soggetti che, in questa specifica fase, nulla hanno a che vedere con la

determinazione di un trattamento di pensione…(omissis) controvertendo tra loro soltanto in

ordine all’individuazione del soggetto cui dovranno essere addossate le responsabilità di un

versamento erariale ritenuto conseguenza…(omissis) di errori imputabili

all’Amministrazione di appartenenza ovvero all’Ente liquidatore del trattamento di

pensione>(cfr. Corte dei Conti, Sezione III, sentt. n.62/2000 e n.24/2005).

In sintesi la chiamata in giudizio di un terzo soggetto (Ministero della Difesa – Regione

Militare Nord), ritenuto litisconsorte necessario, non può prescindere dalla sussistenza, in

capo al medesimo, di una posizione sostanzialmente pregnante sulla quale devono poter

incidere, efficacemente, le statuizioni dell’odierna sentenza, cosa che nella fattispecie di

causa, anche per le considerazioni sopra formulate in tema di obbligo di rifondere il debito

da parte dell’Istituzione militare e per la non censura in sé del decreto definitivo, con

l’intento di mantenere sostanzialmente fermo l’originario maggiore trattamento, non è dato

rilevare.

Ciò chiarito, prima del vaglio delle questioni di merito, la Sezione deve osservare,

contrariamente a quanto rivendicato da parte attrice in termini di accoglimento del ricorso

previo annullamento del provvedimento impugnato, che in fattispecie la giurisdizione di

questa Corte ha natura dichiarativa poiché tende all’accertamento del diritto a pensione e

nella misura di legge (rientrando nella cognizione della stessa anche le conseguenze in

termini di recupero): in tale evenienza l’atto o gli atti gravati sono degradati a meri

presupposti processuali proprio perché la giurisdizione investe l’intero rapporto.

La pienezza di quest’ultima consente, quindi, di conoscere di ogni aspetto del

provvedimento impugnato (legittimità e merito) all’unico scopo di accertare il diritto

soggettivo a pensione nella sua esatta misura con esclusione di pronunce a carattere

caducatorio o annullatorio, estranee al potere ascritto alla Corte dei Conti.

Un tanto premesso, nel merito va evidenziato che l’odierna controversia riguarda la

giuridica possibilità, per l’Amministrazione Previdenziale, di ripetere o non somme di

denaro corrisposte in più e non dovute, nella misura complessiva di € 4.723,00, costituitesi

sul trattamento provvisorio di quiescenza dell’accipiens – pensionato, nel periodo 18 luglio

1990 – 31 dicembre 2006.

Sosteneva la ricorrente che, nella predetta fattispecie, la non esigibilità era una

conseguenza automatica della buona fede e dell’affidamento ingenerato dal conferimento,

per un lungo lasso di tempo, di un trattamento di quiescenza errato nel suo ammontare ed

erogato a seguito di determinazione delle amministrazioni preposte, senza alcuna propria

partecipazione procedimentale.

L’indebito, pertanto, andava dichiarato irripetibile in maniera integrale, in ragione dei

principi enunciati nella sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte, n. 7/2007/QM.

L’Amministrazione previdenziale, da parte sua, avversava le predette conclusioni in ragione

dell’obbligo giuridico al recupero, gravante sulla medesima, delle somme indebitamente

corrisposte, attese le norme di diritto comune (art. 2033 c.c.) e di diritto amministrativo (art.

162 T.U. n.1092/1973) che regolavano la materia.

Rilevava che il superamento dei termini fissati dai regolamenti, previsti dall’art.2, della

legge n. 241/1990, non poteva avere l’effetto di sanare l’indebito, mentre le operazioni di

conguaglio non erano, per legge, soggette ad alcuna prescrizione.

Sosteneva, inoltre, che la buona fede e l’affidamento, nell’ipotesi di causa, non erano

invocabili, attesa la dichiarazione di rinuncia sottoscritta dal ricorrente in data 19 aprile

1990.

Per le ragioni di seguito espresse, il ricorso si appalesa non fondato e, pertanto, da

respingere.

Al riguardo è necessario, preliminarmente, inquadrare la fattispecie sotto l’aspetto

normativo – disciplinare.

L’art. 2033 del c.c. disciplina il c.d. pagamento non dovuto, poiché non supportato da

idonea causa (ad es. solvendi, donandi), accordando al solvens la ripetizione di quanto

pagato, indipendentemente da ogni altra considerazione relativa alla scusabilità dell’errore

ed alla buona fede dell’accipiens: ciò in ragione del fatto che il nostro Ordinamento non

ammette l’esecuzione di una prestazione non sorretta da giustificazione causale

giuridicamente rilevante.

La giurisprudenza ha poi introdotto, progressivamente, il principio della tutela

dell’affidamento ingenerato nel privato in buona fede, nel senso che la legittimità del

provvedimento amministrativo, con cui si agiva per il recupero dell’indebito, era valutata

anche alla stregua di tale affidamento. Per altro verso, la non ripetizione delle somme

pagate in più rispetto a quelle dovute, da parte di talune amministrazioni, trovava riscontro

in proprie peculiari discipline, che attribuivano rilevanza all’elemento psicologico del

beneficiato. Tra tali normative, particolari e derogatorie al principio generale della

ripetizione dell’indebito, merita menzione, per il favorevole trattamento che ne conseguiva

per i pensionati, l’art. 206 del D.P.R. 1092 del 1973, che stabiliva il principio dell’irripetibilità

dell’indebito emergente a seguito di revoca o modifica del provvedimento definitivo di

pensione, in assenza di fatto doloso dell’interessato. La norma era autenticamente

interpretata dal 1° comma, dell’ art. 3, della legge 428/1985, nel senso che il recupero era

escluso quando, in presenza delle condizioni stabilite dagli artt. 204 e 205 del T.U.

1092/1973, il provvedimento definitivo di concessione o di riliq uidazione di pensione

veniva modificato o revocato da altra determinazione formale soggetta a registrazione.

Analoga disciplina si rinviene nell’ambito delle pensioni a carico dell’Assicurazione

Generale Obbligatoria (AGO), ove l’art. 52, della legge n.88 del 1989, anch’esso

interpretato autenticamente dal Legislatore con l’art. 13, della legge 412 del 1991,

precisava che la <…sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base

a formale, definitivo provvedimento …che risulti viziato da errore di qualsiasi natura

imputabile all’Ente erogatore…>, fatto, comunque, salvo il caso di percezione dolosa.

La suddetta disciplina, con riferimento all’art. 52, della legge 88/1989, avente formulazione

letterale e sostanziale identica all’art. 206 del T.U. 1092 del 1973, in termini di definitività

del provvedimento di pensione, ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale, con

la sentenza n.383, del 31 luglio 1990, del Giudice delle Leggi.

Quest’ultima affermava che <…in altri termini, è sancita l’irripetibilità delle somme erogate,

sia che l’errore sia caduto sull’an, sia sul quantum. Unica condizione richiesta è quella della

mancanza di dolo dell’interessato…La suddetta interpretazione…è adeguatrice ai precetti

costituzionali, ponendo su un piano di parità il trattamento dei pensionati INPS e quello dei

pensionati ex dipendenti pubblici…>.

Ne conseguiva, quindi, che l’Amministrazione attiva dell’interessata e l’Ente previdenziale,

nei casi previsti, potevano revocare o modificare, quale espressione del loro potere di

autotutela, un provvedimento definitivo di pensione, alla presenza di errore di fatto in cui le

stesse fossero incorse in sede di liquidazione del trattamento di quiescenza, con

conseguente irripetibilità delle somme in più corrisposte, in assenza di dolo dell’interessato.

Ora, la normativa vigente, in specie l’art.162 del D.P.R. 1092/1973, nel testo modificato

dall’art. 7 del D.P.R.138/1986, per i dipendenti delle Amministrazioni Statali, ha previsto,

altresì, l’attribuzione, in favore dell’interessato e nelle more dell’emanazione del

provvedimento definitivo, del trattamento provvisorio di pensione.

La succitata disciplina prevedeva, inoltre, che qualora l’importo della pensione definitiva

risultante dal decreto di concessione registrato alla Corte dei Conti non fosse uguale a

quello attribuito in via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro doveva provvedere alle

necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito.

Con chiarezza, non sempre agevolmente riscontrabile nel risultato del procedimento

normativo, emergeva l’esistenza di un dovere giuridico, in capo all’Amministrazione, di

verificare la sussistenza dei presupposti per operare un conguaglio a debito o a credito

sulle poste di pensione, una volta intervenuto il provvedimento definitivo di quiescenza.

Ciononostante, le lunghe dilazioni temporali che, sopra tutto per il passato, informavano il

procedimento amministrativo pensionistico, hanno sollevato, da un punto di vista

interpretativo, il problema della estensione analogica dell’art. 206 del T.U. 1092/1973, in

tema di irripetibilità di indebito derivante da pensione, quando si era in presenza di revoca o

di modifica di decreti di liquidazione provvisoria di pensione, come nel caso che ci riguarda,

accompagnata dalla sussistenza di determinate condizioni, quali la buona fede del

percettore e la tardività del provvedimento che aveva fatto emergere l’indebito.

Ora pare ragionevole ritenere che la <ratio> della norma che prevedeva la irripetibilità delle

somme corrisposte in più (art. 206 T.U. n.1092/1973) fosse da rinvenire nell’affidamento

che ingenerava, nel pensionato, la concessione del trattamento definitivo di pensione e

nella sua buona fede nel percepire somme che la stessa Amministrazione riconosceva

definitivamente dovute.

Secondo la più autorevole giurisprudenza, seguita anche da questo Giudicante,

l'affidamento <dell'accipiens> era ammissibile soltanto con riferimento all'esistenza di una

determinazione finale che avesse carattere di definitività, per cui doveva ritenersi che al di

fuori delle ipotesi di cui agli artt. 205 e 206 del T.U., conseguenti a provvedimenti di revoca

o modifica di pensioni definitive, che avevano carattere eccezionale e derogatorio e non

erano suscettibili d’interpretazione analogica, non sussisteva la possibilità per il giudice di

attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte

dall'amministrazione su trattamenti provvisori (Corte dei conti, Sezioni Riunite, 14 gennaio

1999, n. 1/QM; id. Corte dei conti, Sezione 2^, 10 luglio 2002, n. 228).

Tuttavia, giova rammentare che, secondo quanto ritenuto dalla stessa Corte Costituzionale,

nel settore previdenziale sembra essersi affermato un principio di settore secondo il quale

<...diversamente dalla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell'indebito,

trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione

in presenza di una situazione di fatto...avente come minimo comune denominatore la non

addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta> (Corte cost., sent. n. 166, del 24

maggio 1996, ma anche sentenze n.431, del 14 dicembre 1993, e n. 240, del 10 giugno

1994).

In ragione di tale principio, parte della giurisprudenza contabile, soprattutto di primo grado,

ha affermato, in più occasioni, che l’erroneità nell’erogazione di somme non dovute non

legittima l'azione di recupero da parte dell'ente previdenziale nei confronti del pensionato

quando questi le abbia riscosse in buona fede e sia trascorso un tempo così lungo da

indurre nel percipiente il ragionevole pensiero che le somme risultassero effettivamente

dovute (Corte dei conti, Sezione Piemonte, sent. n.1590, del 15 settembre 2003, id, 28

ottobre 2003, n. 1834; Sez. giurisdizionale Sicilia, sent. n.1, del 2 gennaio 2004).

Ora non vi è chi non vede come il sistema normativo, che prevede l'irripetibilità delle sole

somme erogate al pensionato in forza del trattamento pensionistico definitivo, appare

legittimo, ragionevole e sostenibile solo se il lasso di tempo che intercorre tra la

concessione del trattamento provvisorio e l'erogazione di quello definitivo è contenuto e tale

da non indurre in errore il percipiente di buona fede che fa affidamento sulla pensione per il

soddisfacimento delle sue esigenze di vita.

Al riguardo, infatti, era bene precisare che dal momento del collocamento a riposo del

lavoratore si apriva il procedimento amministrativo di concessione del trattamento

pensionistico, che comportava l'accertamento del diritto al trattamento stesso e la

determinazione del suo ammontare.

Riguardo a tali adempimenti l'art. 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in

materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi)

ha stabilito che le amministrazioni pubbliche dovevano fissare il termine entro il quale ogni

procedimento doveva concludersi, a meno che lo stesso fosse già determinato dalla legge,

e che in mancanza di determinazioni il procedimento doveva concludersi entro trenta giorni

poi elevati a novanta.

Attualmente, le Amministrazioni statali possono individuare, con apposito regolamento da

emanarsi ai sensi dell’art.17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.400, un termine per

l’ultimazione del procedimento non superiore a novanta giorni, ovvero, nei casi di

particolare organizzazione amministrativa, della natura e degli interessi pubblici tutelati e

della particolare complessità del procedimento, non superiore a centottanta giorni, così

come disposto dall’art. 7, comma 1°, lettera b, della legge 18 giugno 2009, n.69, pubblicata

sul suppl. ord., n.95/L, alla Gazz. Uff. n.140, del 19 giugno 2009, che ha sostituito il

succitato articolo 2 (novella applicabile dal 04 luglio 2009).

Si trattava di un principio di civiltà giuridica diretto a favorire l'efficienza dell'azione

amministrativa e a evitare che l'incertezza delle situazioni giuridiche si prolungasse

indefinitamente, con danno sia per l'amministrazione che, soprattutto, per il cittadino.

Deve, quindi, ritenersi, anche per evitare censure di violazione degli artt. 3, 38 e 97 della

Costituzione, che nell'ordinamento esista una norma generale che impone

all'Amministrazione di appartenenza del pensionato ed all'ente previdenziale di concludere

in tempi brevi e ragionevoli il procedimento per la concessione del trattamento definitivo di

pensione e che qualora tale termine venga superato non può onerarsi, il pensionato in

buona fede, dell’eventuale recupero di somme costituitesi sul trattamento provvisorio ma

emergenti in sede di conguaglio con il trattamento definitivo, effettuato a notevole distanza

temporale, nel caso di specie dopo oltre 16 anni(dicembre 2006).

Così posta la questione appare evidente che ogni qualvolta l'ente previdenziale pretenda

dal pensionato la ripetizione di somme occorre verificare se si è in presenza di un indebito

in senso proprio ovvero se, a causa dell'inerzia dell'amministrazione che ha protratto

indefinitamente un procedimento, il diritto al mantenimento delle maggiori somme percepite

si è consolidato nel percipiente.

Nel primo caso gli Enti potranno ripetere le somme erroneamente corrisposte secondo le

normali regole civilistiche, nel caso di specie troverà applicazione l’art. 2033 c.c. quale

norma di chiusura, operante nei casi non soggetti a discipline speciali; nella seconda

ipotesi non potrà farsi luogo alla ripetizione perché, in buona fede, il pensionato è

legittimato a ritenere che il procedimento per la concessione del trattamento pensionistico

si sia ormai concluso e che, pertanto, l'importo percepito sia definitivo.

Tali considerazioni hanno trovato conferma nell’Autorevole pronuncia, costituzionalmente

orientata, delle Sezioni Riunite di questo Istituto, n.7/QM/2007, dell’11 luglio – 07 agosto

2007, la quale, risolvendo talune questioni di massima, tutte riferibili alla problematica

relativa alla ripetibilità o meno dell’indebito corrisposto a titolo di trattamento pensionistico

provvisorio, ha statuito che: <...in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto

nell’art. 162, del D.P.R. n.1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul

trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina

sopravvenuta contenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in

vigore di detta legge n. 241 del 1990, decorso il termine posto per l’emanazione del

provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero

dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto

nell’amministrazione>.

Ciò comportava, a parere di questo Giudicante, non una deroga al principio dell’esigibilità

dell’indebito costituitosi sul trattamento provvisorio di pensione, ma una conferma del

principio di settore riguardante l’irripetibilità di maggiori somme percepite in buona fede solo

su pensione definitiva, giacché dal combinato disposto della richiamata normativa in tema

di pensione provvisoria e della disciplina sopravvenuta di cui alla legge n.241/1990,

derivava la trasformazione del provvedimento provvisorio in definitivo qualora quest’ultimo

non fosse stato emanato nei termini legali o regolamentari disciplinanti la materia.

Soggiungeva, al riguardo, l’Autorevole Giudice che: <Il termine di legge o regolamentare

amministrativo entro il quale l’Amministrazione deve procedere all’emissione del

provvedimento definitivo di quiescenza assume dunque - atteso l’inequivoco dettato

normativo relativo alla contestualità dell’emissione del provvedimento di pensione definitiva

e dell’eventuale, conseguente conguaglio - portata identificativa del connesso limite

temporale da ritenersi sussistente per l’eventuale esercizio legittimo del potere

recuperatorio destinato a incidere sfavorevolmente sull’assetto economico del

percettore...Alla scadenza del predetto limite temporale non si può dunque ravvisare alcuna

ulteriore possibilità di esercizio del potere di recupero, e ciò nella considerazione che i limiti

temporali fissati nella subiecta materia sono previsti a tutela (e non già a discapito) degli

interessi privati coinvolti nel procedimento e operano come limite esterno destinato a

segnare il discrimine tra esercizio dinamicamente legittimo del potere restrittivo da parte

dell’Amministrazione e il sopravvenire della preclusiva carenza del potere stesso>.

Naturalmente l’individuazione del limite temporale per l’emanazione del provvedimento

definitivo sul trattamento di quiescenza, decorso il quale non poteva più effettuarsi il

recupero dell’indebito, era rimesso all’accertamento ed alla valutazione del Giudice di

merito, così come precisato nella succitata sentenza, che limitava l’operatività

<...della ...pronuncia di massima solo per le fattispecie successive alla data di entrata in

vigore della richiamata legge 07 agosto 1990 n.241>.

Deve, comunque, soggiungersi, ad avviso di questo giudicante, che la mancanza di una

norma che indichi il termine entro il quale il procedimento deve concludersi non implicava

mai che allo stesso non fosse applicabile alcuna scadenza e che l'Amministrazione potesse

protrarlo indefinitamente senza giungere alla sua conclusione.

<In buona sostanza l’entrata in vigore delle disposizioni di cui alla legge n.241 del 1990

quali integrate dalle disposizioni di legge e regolamentari ex art. 2 della legge stessa ha

innovato non tanto con riguardo all’obbligo – già esistente - di portare a compimento atti

dovuti, quanto rispetto alle modalità stesse dell’adempimento, per le quali ora vige il dovere

di adottare un provvedimento espresso entro il termine univocamente applicabile.

Tale innovazione, per quel che qui rileva, è destinata a tutelare i pensionati destinatari

dell’azione della pubblica amministrazione, i quali da un lato possono ora riporre un

affidamento qualificato nella durata dei procedimenti che li riguardano, e, dall’altro, possono

immediatamente far valere le conseguenze dell’inadempimento per superamento del

termine prefissato, dovendo peraltro escludersi nella subiecta materia la necessità di previa

diffida per contrastare l’inadempimento, in quanto nella fattispecie si fanno valere diritti

soggettivi non subordinati all’adozione di un provvedimento costitutivo

dell’Amministrazione..., fermo restando la diversa e autonoma problematica relativa alle

modalità per accertare e far valere, anche facendo ricorso alle modalità già

sommariamente indicate con la sentenza di queste Sezioni Riunite n.1/QM del 1999

( diffida ex legge n.241 del 1990 e/o denuncia di omissione di atti d’ufficio), eventuali

responsabilità in ordine al ritardo e/o all’omissione del provvedimento di liquidazione della

pensione definitiva...> .(Corte dei Conti, SS.RR. sent. n.7/2007/QM).

In tal modo il Giudice delle Questioni di Massima, con funzione nomofilattica, ha chiarito

che il superamento del termine, di legge o regolamentare, entro il quale la P.A.

previdenziale deve procedere all’emissione del provvedimento definitivo di pensione,

<...assume...portata identificativa del connesso limite temporale da ritenersi sussistente per

l’eventuale esercizio legittimo del potere recuperatorio destinato ad incidere

sfavorevolmente sull’assetto economico del percettore>.

A ciò, inoltre, era da aggiungere, come enunciato con chiaro argomentare dalle Sezioni

Riunite, che limitare la tutela del pensionato alla mera applicabilità, in materia di recupero di

un indebito tardivo e/o abnorme, delle norme sulla prescrizione decennale, <...non soddisfa

l’esigenza di pervenire ad una soluzione costituzionalmente orientata e coerente con il

complessivo quadro normativo vigente e applicabile...>.

In fattispecie, la ricorrente è cessata dal servizio il 17 luglio 1990, quindi, prima dell’entrata

in vigore della legge 07 agosto 1990 n.241. Da tanto discendeva non l’inapplicabilità di

qualunque termine alla vicenda di causa, bensì l’applicazione del termine, originariamente

di trenta giorni, previsto dall’art.2, comma 3, della legge n. 241/1990, ovvero di quello

previsto da apposita normativa regolamentare, statuente il limite temporale entro cui

emanare il provvedimento definitivo di pensione, da far decorrere non tanto dalla data di

collocamento a riposo e, quindi, di emanazione del trattamento provvisorio, ma dalla data di

entrata in vigore della legge predetta e con riguardo al provvedimento definitivo conclusivo

del procedimento.

Con riguardo ai termini in questione il Decreto Ministeriale 16 settembre 1993, n.603

(Regolamento recante disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 07 agosto

1990, n.241, nell’ambito dell’Amministrazione della Difesa), ha disposto che il procedimento

di quiescenza doveva essere ultimato entro 330 giorni, periodo che il successivo decreto, 8

agosto 1996, n.690 (recante Disposizioni di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge 07

agosto 1990, n. 241, nell’ambito degli Enti, dei distaccamenti, dei reparti dell’Esercito, della

Marina, dell’Aeronautica nonché quelli di carattere interforze) disciplinava, nelle tabelle

allegate, in 180 giorni, poi uniformato interpretativamente (anche in esito a rilievi delle

Sezioni Controllo di questa Corte) in 330, con riguardo alla pensione definitiva ordinaria

diretta.

In seguito, il decreto legge n. 79, del 28 marzo 1997, convertito, con modificazioni, nella

legge 28 maggio 1997, n. 140, all’art.3 ha previsto che <Il trattamento pensionistico dei

dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art.1, comma 2, del decreto legislativo

03 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, compresi quelli di cui ai commi 4 e 5

dell’art. 2 dello stesso decreto legislativo (ora art. 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001,

n.165) è corrisposto in via definitiva entro il mese successivo alla cessazione dal servizio…

> (comma 1), almeno con riferimento alle fattispecie di collocamento a riposo a domanda

(dimissioni) o a seguito di destituzione, così come emergente dal comma 5 dello stesso

articolo (cfr. Sezione Centrale di Controllo di Legittimità, delib. n.8, del 14 luglio 2004).

Anche l’INPDAP provvedeva, comunque, a indicare tali termini nella chiara e puntuale

Circolare n. 31, del 17 maggio 1999, ove il tempo per l’adozione del provvedimento

definitivo era mutuato dai vari Decreti Ministeriali riguardanti la materia (cfr. DD.MM.

n.304/1992, n.325/1997 e n.352/1998).

E invero, con decorrenza 18 febbraio 1993, l’INPDAP ha stabilito criteri temporali uniformi

entro i quali concludere il procedimento pensionistico: nella specie 540 giorni per le

cessazioni dal servizio avvenute a tutto il 31 dicembre 1991, 180 giorni per le cessazioni

collocate tra il 01 gennaio 1992 e sino al 17 febbraio 1993, 120 giorni, per i collocamenti a

riposo avvenuti tra il 18 febbraio 1993 ed il 28 marzo 1997, e 30 giorni, a far tempo dal 29

marzo 1997 in poi.

Il superamento della predetta previsione temporale (330 giorni, previsti dal Regolamento

dell’Amministrazione attiva) potrà conservare, comunque, la conformità a norma solo nella

misura in cui lo stesso si presenti come ragionevole e congruo: in sintesi il tempo è

funzione dell’affidamento, inteso quale situazione giuridica protetta dal protrarsi di esso

oltre ogni ragionevole limite d’incertezza (cfr. in senso conforme Consiglio di Stato, Sezione

V, sent. n.1224, del 28 febbraio 2002, e Adunanza Plenaria, dec. n.20, del 12 dicembre

1992, nonché Corte dei Conti, Sezione Lombardia, sent. 309, del 29 aprile 2005).

Nel caso che ci occupa il provvedimento provvisorio di quiescenza, risaliva al 18 giugno

1990 (n.1314), il decreto definitivo era del 26 maggio 2004 (n.804), concretamente

applicato dall’INPDAP di Verona sulla rata di dicembre 2006 (lotto di lavorazione n. 32, del

28 novembre 2006), quindi è intervenuto, di certo, oltre ogni ragionevole previsione (dopo

quasi 13 anni dalla scadenza del termine procedimentale e applicato dopo ulteriori anni

due), trasformando così il provvedimento provvisorio in definitivo.

Il protrarsi del procedimento di determinazione del trattamento definitivo di pensione per un

così lungo periodo deve, però, essere accompagnato dalla buona fede e dall’affidamento

del percettore delle maggiori somme.

E il concetto di affidamento, quale valore fondamentale dello Stato di diritto,

costituzionalmente protetto nel nostro Ordinamento (si veda al riguardo Corte

Costituzionale, sent. n.39, del 10 febbraio 1993, e n. 155, del 04 aprile 1990) ed in quello

Comunitario, che ha accentuato le tutele dell’interesse privato nei confronti delle azioni

normativa e amministrativa delle Istituzioni europee (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità

Europee, 15 luglio 2004, causa C – 459/02), per essere definito legittimo e tutelabile deve

collocarsi, chiaramente, nel contesto di una condotta, del percettore delle maggiori somme,

caratterizzata dall’assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza.

Ora, nella fattispecie di causa, la richiesta d’inesigibilità non poteva trovare accoglimento

poiché non assistita dal requisito dell’affidamento, atteso che la ricorrente con dichiarazione

sottoscritta il 19 aprile 1990, resa all’Istituzione militare di appartenenza, autorizzava <…

l’Amministrazione militare a trattenere tutte le somm e che in sede di attribuzione del

trattamento provvisorio di quiescenza eventualmente le dovessero venire

corrisposte indebitamente .

Quanto sopra anche nel caso in cui dovesse emergere un debito verso l’Erario per somme

percepite in più presso l’Ente di provenienza>.

Conseguentemente, a fronte dell’indebito contestato, maturato a causa dell’errore

commesso dalle Amministrazioni intervenute nel procedimento pensionistico, che hanno

conferito un maggiore trattamento provvisorio, la dichiarazione resa si presentava come

ostativa alla formulata pretesa d’inesigibilità, atteso che la sua natura volitiva e

autorizzatoria, determinante assunzione di piena responsabilità contrattuale, incideva, non

facendolo affatto sorgere, sull’affidamento asseritamente ingenerato, integrando una sorta

di preventiva rinuncia al mantenimento delle maggiori somme percepite, con incidenza

sullo stato soggettivo della buona fede.

E il predetto documento, che, come detto, risaliva al 19 aprile 1990, spiegava efficacia con

riguardo all’intero periodo di percezione del trattamento provvisorio, anche se di gran lunga

superiore al termine procedimentale entro il quale doveva essere emanato il provvedimento

definitivo, durante il quale, tra l’altro, la ripetibilità era sempre ammessa a prescindere da

qualunque dichiarazione resa in tal senso dal pensionato.

In ragione di quanto premesso, è da disattendere la domanda d’inesigibilità dell’indebito di

€ 4.723,00, intimato con il provvedimento del 21 febbraio 2007, n. 9647/U/25, così come

preannunciato con nota n. 41495/U/25, del 30 novembre 2006, con conseguente

declaratoria di legittimità dell’azione di recupero intrapresa.

Circa il regolamento delle spese di giudizio, ritiene questo Giudice che sussistano espliciti

motivi, da individuare nella complessità delle questioni trattate e nella non pacifica

giurisprudenza delle Sezioni territoriali sull’argomento, per disporne la compensazione ai

sensi dell’art. 92, 2° comma, c.p.c.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale regionale per il Veneto, Giudice Unico delle

Pensioni, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente

pronunciando:

1. in via pregiudiziale, rigetta la richiesta di estromissione dal giudizio e d’integrazione

del contraddittorio formulate dall’Istituto previdenziale.

2. Nel merito, respinge il ricorso in epigrafe indicato, ritenendo legittima l’azione di

recupero intrapresa.

Dichiara integralmente compensate, tra le parti, le spese di giudizio.

Dà atto, inoltre, dell’avvenuta lettura delle ragioni di fatto e di diritto, secondo il novellato

art. 429 c.p.c., in forma equipollente, attraverso il deposito della sentenza nello stesso

giorno dell’udienza.

Manda alla segreteria della Sezione per i successivi adempimenti.

Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio, all’esito della pubblica udienza del 19

febbraio 2010.

IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

(F.to dott. Giovanni Comite)

Il Giudice Unico delle Pensioni, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52, del D.Lgs.

30 giugno 2003, n.196

DISPONE

che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52,

nei riguardi della ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.

Il GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

(F.to dott. Giovanni Comite)

Depositata in Segreteria il 19.02.2010

Il Dirigente

F.to Daniela Gubbiotti

In esecuzione del provvedimento del G.U.P., ai sensi dell’art.52, del decreto legislativo 30

giugno 2003, n.196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi

della ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa.

Venezia, 19.02.2010

Il Dirigente

F.to Daniela Gubbiotti