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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 75 GENNAIO 2019 CITTÀ DEL VATICANO Riforme non rivoluzione

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 75 GENNAIO 2019 CITTÀ DEL VAT I C A N O

Riformenon rivoluzione

numero 75gennaio 2019

L’INTERVENTO AL SINOD O SUI G I O VA N I

È davvero ora!REINHARD MARX A PA G I N A 3

LE RELIGIOSE PUNTO DI FORZA DA RICONOSCERE

Non più ombre grigie e obbedientiLU C E T TA SCARAFFIA A PA G I N A 7

PER TUTTI I C O N S A C R AT I , D ONNE COMPRESE

Diritto a un percorso di studi solidoe coerente

NICLA SP E Z Z AT I A PA G I N A 11

ANCHE NEL TERZO MOND O

Far studiare una suora non è tempo sprecatoRI TA MBOSHU KONGO A PA G I N A 14

NEL CONVENTO BENEDETTINO DI FAHR

Dalla tradizione alla profeziaBARBARA CAMPLANI A PA G I N A 17

NEL DIRITTO CANONICO

Una rivoluzione dimenticataAGNESE CAMILLI A PA G I N A 19

1° GENNAIO 2050

Una domenicana prende la parolaCAT H E R I N E AUBIN A PA G I N A 22

DONNE DI VA L O R E

Julia ChingGIANNI CRIVELLER A PA G I N A 26

CO N S A C R AT E

S t u d i a renella cella

CRISTIANA DOBNER A PA G I N A 29

SIMBOLI NELLA BIBBIA

Corp odi donna

XABIER PI KA Z A A PA G I N A 32

ME D I TA Z I O N E

Contagiatidalla luceLE SORELLE DI BOSE A PA G I N A 39

D ONNE CHIESA MOND O 2 D ONNE CHIESA MOND O3

L’INTERVENTO AL SINOD O SUI G I O VA N I

È davvero ora!

Umberto Boccioni«La città che sale»

(1910-1911, particolare)

Non è necessaria una rivoluzione per dare alle donne il posto chemeritano nella Chiesa, non è indispensabile concedere loro il sacer-dozio, e neppure il tanto sospirato, ma al tempo stesso temuto, dia-conato. Bastano infatti un po’ di coraggio e la capacità profetica diguardare al futuro con occhi positivi, accettando cambiamenti chespesso sono già iscritti nell’ordine delle cose. In questo numero di«donne chiesa mondo» proviamo a proporre cambiamenti che po-trebbero essere realizzati fin d’ora, senza toccare dogmi né codici didiritto canonico. Seguendo anche i suggerimenti tracciati al sinodosui giovani dal cardinale Marx.

Il codice di diritto canonico del 1983 apre ai laici — e quindi alledonne — molte possibilità di partecipazione istituzionale, anche secerto poi, alla prova dei fatti, bisogna vincere le resistenze di chi,senza una ragione né un appoggio giuridico, cerca di escluderle dairuoli più importanti. In questo caso, come in molti altri, gli impedi-menti sono solo nel rifiuto di molti di rendere reale una parità altri-menti in teoria riconosciuta e accettata, ma mai concretamente messain opera.

Certo un ostacolo non piccolo alla pratica di questa parità sta nel-la disparità di preparazione culturale delle religiose rispetto a quellariservata a religiosi e sacerdoti. Chi lo direbbe oggi che all’inizio delNovecento le religiose sono state fra le prime donne a laurearsi nelleuniversità di stato, per insegnare nelle loro scuole, le prime ad aprirecorsi per infermiere e scuole magistrali per le ragazze? Da avanguar-die le religiose sono diventate il fanalino di coda.

Le donne — e in particolare le religiose — possono già essere invi-tate a partecipare a molti organismi, compreso il Consiglio di cardi-nali istituito da Francesco un mese esatto dopo la sua elezione, o aparlare nelle congregazioni che precedono il conclave.

Le organizzazioni di religiose già esistenti, che eleggono le lororappresentanti, possono diventare valide interlocutrici delle istituzio-ni ecclesiastiche, venire consultate al momento delle decisioni e ascol-tate nelle loro esperienze. È preferibile che la presenza femminile nel-la Chiesa sia quella espressa liberamente dalle associazioni, invecedella pratica ora in vigore di scegliere singole figure femminili daparte della gerarchia. Si eviterebbe così un rapporto paternalisticonei confronti delle religiose e una selezione che rischia di premiarenon le più competenti ma le più obbedienti. (lucetta scaraffia)

L’EDITORIALE

D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romanodiretto da

LU C E T TA SCARAFFIA

In redazioneGIULIA GALEOTTI

SI LV I N A PÉREZ

Comitato di redazioneCAT H E R I N E AUBIN

MARIELLA BALDUZZI

ELENA BUIA RUTT

ANNA FOA

MARIE-LUCILE KUBACKI

RI TA MBOSHU KONGO

SAMUELA PAGANI

MA R G H E R I TA PELAJA

NICLA SP E Z Z AT I

Progetto graficoPIERO DI DOMENICANTONIO

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v ad c m @ o s s ro m .v a

per abbonamenti:d o n n e c h i e s a m o n d o @ o s s ro m .v a

di REINHARD MARX*

L’Instrumentum laboris critica che «la rabbia dei giovani di fronte allacorruzione dilagante, alla crescente disuguaglianza strutturale, aldisprezzo per la dignità umana, alla violazione dei diritti umani,alla discriminazione delle donne [anche nella Chiesa] e delle mino-ranze, alla violenza organizzata, all’ingiustizia non sembra esseretenuta in debita considerazione dalle risposte delle conferenze epi-scopali» (n. 128).

I vescovi tedeschi nel 2013 si sono impegnati con una dichiarazio-ne: ad aumentare sensibilmente il numero delle donne nei ruoli dileadership nella Chiesa accessibili a tutti i laici; ad approfondire dalpunto di vista teologico e pastorale la partecipazione delle donne (edei laici in generale) ai compiti di leadership della Chiesa; a promuo-vere una pastorale sensibile ai generi nella teologia e nella pratica.

Al fine di mettere in pratica tale dichiarazione sono stati avviati di-versi progetti.

I vescovi tedeschi nel 2015 si sono confrontati teologicamente inGemeinsam Kirche sein (“essere Chiesa insieme”) con le questioni dellaleadership anche da parte delle donne nella Chiesa.

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Se, come chiede l’Instrumentum laboris, la Chiesa vuole promuoverela dignità della donna (cfr. n. 158), allora non basta ripetere i testimagisteriali pertinenti. Dobbiamo affrontare le richieste dei giovani,spesso scomode e impazienti, di uguaglianza delle donne anche nellaChiesa. Non possiamo più tenerci semplicemente fuori dai discorsidel presente e dobbiamo imparare di nuovo una cultura del confron-to, per inserirci argomentando e offrendo orientamenti nei dibattitisociali su questioni importanti dell’umanità come la sessualità, ilruolo delle donne e degli uomini e il modo in cui si modellano i rap-porti umani. E, per amore di credibilità, dobbiamo coinvolgere anco-ra di più le donne nei compiti di leadership a tutti i livelli dellaChiesa, dalla parrocchia alla diocesi, alla conferenza episcopale e an-che al Vaticano stesso. Dobbiamo volerlo davvero e anche metterloin pratica!

L’impressione che quando si tratta di potere la Chiesa in fondo èuna Chiesa degli uomini va superata nella Chiesa universale, e anchequi in Vaticano. Altrimenti le giovani donne da noi non troverannouna vera possibilità di realizzazione. È davvero ora!

*Cardinale arcivescovo di München und FreisingPresidente della conferenza episcopale tedesca

Un programma di mentoring per le donne nella Chiesa (Hildegar-dis-Verein insieme alla Conferenza episcopale tedesca) ha mostratochiaramente la molteplicità delle funzioni di leadership nella Chiesae preparato quasi cento donne a un compito di leadership nellaChiesa.

Nel corso di una giornata di studi i vescovi tedeschi si sono occu-pati del dibattito sul gender, affrontando anche questioni più ampieriguardanti l’antropologia e la morale sessuale, la teologia dei sacra-menti e dei ministeri, nonché una maggiore giustizia di genere nellaChiesa, al di là dei ruoli di genere tradizionali e dei modelli di ruoloegualitari.

L’ampio studio del 2018 Sexueller Missbrauch an Minderjährigen

durch katholische Priester, Diakone und männliche Ordensangehörige im

Bereich der Deutschen Bischofskonferenz (“Abusi sessuali nei confronti diminori da parte di sacerdoti, diaconi e membri di ordini cattolicinell’ambito della Conferenza episcopale tedesca”) indica soprattutto«strutture clericali e una gestione clericale nella Chiesa cattolica» chehanno contribuito ad abusi sessuali così massicci e al loro insab-biamento nella Chiesa. Le donne nelle posizioni di leadership nellaChiesa contribuiscono decisamente a spezzare i circoli clericalichiusi.

Jean Guitton«La Chiesa nel tempo

del concilio» (1962)

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LE RELIGIOSE PUNTO DI FORZA DA RICONOSCERE

Non più ombregrigie e obbedienti

di LU C E T TA SCARAFFIA

Se si osservano con attenzione le varie esperienze della Chiesa che so-no in corso nel mondo, si rimane colpiti dal fatto che nei più diversisettori (cultura, pastorale, diritto, missioni, evangelizzazione) i contri-buti più innovativi, quelli che hanno incontrato maggiore successo,vengono da donne, e non da donne qualsiasi, ma dalle religiose. Sì,proprio quelle religiose che — se uno le osserva dalla Santa Sede, odalle istituzioni centrali delle Chiese locali — sembrano solo ombregrigie e obbedienti, felici del loro ruolo dimesso e dimenticato.

Ma se si alzano gli occhi, e si osserva ciò che accade, si scopre chele religiose, ancora la grande maggioranza dei consacrati, sono moltocambiate: piene di progetti e di vita, in realtà costituiscono per laChiesa un punto di forza fondamentale, un tesoro, al quale però legerarchie non attingono mai. Proprio di fronte al Vaticano, ad esem-pio, c’è la sede della Uisg, l’Unione internazionale delle superiori ge-nerali dei principali istituti di vita attiva del mondo. Se si varca quel-la porta, non si trova nessuna atmosfera burocratica e dimessa, mavita, progetti, respiro mondiale e sguardo al futuro. Ma la presidentee il direttivo non sono mai consultati dagli organi di governo della

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Chiesa, come se non avessero niente da dire. Eppure ascoltarli nonsarebbe certo una decisione rivoluzionaria: l’istituzione già esiste dadecenni, ha una solida esperienza in vari campi, conosce in modo ap-profondito la situazione dei cattolici nel mondo, è fertile di idee e dinuove esperienze di evangelizzazione.

Viene spontaneo domandarsi come mai in un contesto in cui sicerca in molti modi di dare un volto sinodale alla Chiesa, non si siamai pensato di coinvolgere nelle riunioni le rappresentanti di questae di altre associazioni mondiali di religiose: non sarebbe forse neces-saria la loro voce nelle riunioni del consiglio di cardinali costituitodal Papa un mese dopo la sua elezione, e non sarebbe indispensabileprevedere la loro attiva partecipazione alle congregazioni generali cheprecedono e preparano il conclave?

Allo stesso modo, le conferenze episcopali dei vari paesi non po-trebbero coinvolgere le congregazioni di suore impegnate al lorofianco, per ascoltarle ed eventualmente valutare le loro proposte?Non sarebbe prudente e utile coinvolgerle nel discernimento che pre-cede ogni promozione di un sacerdote all’interno della Chiesa?

Chiunque si può rendere conto che nei momenti decisionali dellavita della Chiesa le donne — ma soprattutto le religiose — non sonopreviste, non sono ascoltate, e si procede come se non esistessero, co-me se non costruissero da millenni la tradizione cristiana insieme congli uomini.

Se si vuole veramente dare un colpo al clericalismo, bisogna co-minciare di lì, dalle religiose, e non tanto come singole persone — co-sa che ovviamente può anche succedere, ma solo in casi di competen-za specifica — ma soprattutto nella forma collettiva delle associazionigià esistenti.

Perché inserire la presenza di qualche donna qua e là nei dicasteri,in genere isolata e scelta fra le più ubbidienti, non cambia niente. Èsolo una foglia di fico, che simbolicamente significa qualcosa, manella realtà continua ad avere poca rilevanza. Se si pensa che perfinonella congregazione per i religiosi — nonostante le donne costituisca-no quasi i due terzi del numero complessivo dei religiosi — c’è unasola sottosegretaria, ovviamente sovrastata, per quanto si possa darda fare per far sentire la sua voce, da tutti i dirigenti sacerdoti, si ca-pisce come le religiose non siano mai ascoltate nella loro realtà com-plessiva, attraverso persone elette da loro.

La scelta di coinvolgere le associazioni di religiose esistenti — lecui dirigenti sono votate democraticamente — è il solo modo persfuggire al pericolo evidente di paternalismo nei loro confronti.

Nelle pagine 6, 9 e 10tre fotografie

di Sebastiana Papasulla vita religiosa

tratte dal libro«Le Repubbliche

delle Donne»(Roma, Postcart/Iccd

2013, pagine 460)

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PER TUTTI I C O N S A C R AT I , D ONNE COMPRESE

Diritto a un percorsodi studi solido e coerente

di NICLA SP E Z Z AT I

Simone Weil nel saggio Riflessioni dell’utilità degli studi scolastici al fine

dell’amore di Dio rimanda allo studio come sapienza dello sguardo,sottolineando la valenza femminile di quell’attitudine all’a p p re n d i -mento che mentre si arricchisce di dati e di nozioni, li supera nellavisione d’anima, come sintesi feconda che non permette di irrigidire,in stereotipi e forme annose, persone, situazioni, istituzioni. Il fem-minile porta a gestazione e genera, rifiutando la stagnazione e gli in-fossamenti in cui intelletto, vitalità e pratiche potrebbero gemere.L’attenzione all’umano e ai suoi significati universali, oltre le diverseappartenenze, viene indicata da Simone Weil come fondamentale peril terzo millennio: «Il cristianesimo deve contenere in sé tutte le vo-cazioni, senza eccezione, perché è cattolico». Ma occorre che le don-ne consacrate abbiano la possibilità concreta di procedere in questocammino di abilitazione.

Papa Francesco nel 2017 ha approvato la pubblicazione degliorientamenti Per vino nuovo otri nuovi, emanati dalla Congregazioneper gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e cheguardano con favore gli studi per le religiose, ma in cui si riflette un

Certo questa proposta si scontra con un pregiudizio molto radica-to: che ascoltare le religiose non sia di nessun interesse, che le reli-giose non pensino proprio niente, prive come sono di cultura e dedi-te a lavori servili (quasi sempre nei confronti dei preti). Ho sentitoperfino un dirigente vaticano chiamare le suore «teste di cotone» persottolineare la loro povertà intellettiva. Certo gli esempi in questosenso non mancano: le molte suore che lavorano incessantemente concompiti di servizio di vario tipo in Vaticano devono tenere un conte-gno sottomesso, accettare che il loro lavoro intellettuale se buonovenga attribuito al superiore di turno, devono in sostanza scomparirecome personalità individuali. «Sono loro che preferiscono così» miviene detto spesso…

Come se il sacrificio di sé fosse l’unico modo per vivere la voca-zione religiosa, come se questa non fosse l’unica moneta di scambiodi cui dispongono le congregazioni femminili per ottenere qualcosadi cui hanno bisogno, come se si volessero chiudere gli occhi davantialla realtà: il sacrificio delle donne è utilizzato solo per rafforzare ilpotere di chi già ce l’ha.

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per la persona: «L’impegno dello studio non si può ridurre alla for-mazione iniziale o al conseguimento di titoli accademici e di compe-tenze professionali. Esso è piuttosto espressione del mai appagato de-siderio di conoscere più a fondo Dio, abisso di luce e fonte di ogniumana verità» (Vita consecrata, cit.). A più voci e da più assisi autore-voli si propone di rivedere le rationes formationis d’istituto e di com-pletarle con le rationes studiorum, affinché anche alle donne consacra-te, come ai candidati al presbiterato e alla vita religiosa, sia garantitoun percorso di studi coerente e solido, adeguato alla identità e allamissione che a loro è data di vivere nella Chiesa.

La verità, alètheia, richiede un vivace e libero movimento di avvici-namento, un cammino spinto dalla meraviglia, una nostalgia di rive-lazione. Aristotele plasma un’immagine di verità rivelata come luceche ci fascia e ci circonda, mentre l’occhio della nostra intelligenza èsimile all’occhio delle nottole: non riesce a vedere quando c’è luce vi-vida (cfr. Me t a f i s i c a , II, 993). Lo studio, dunque, come cammino versola verità, richiede che l’occhio interiore si alleni nella ricerca enell’applicazione amorosa dell’anima in tale lavoro fascinoso. L’unicoin grado di accendere cambiamento e trasformazione.

Non sono le macro-rivoluzioni, ma i micro-processi, intuiti, volutie perseguiti a cambiare la storia. Le macro-rivoluzioni generano vio-lenza e durezza. I micro-processi operano il cambiamento nei vissuticoncreti, trasformano apparati annosi, ingranaggi improbabili, modi-ficano resistenze a oltranza con tocco lieve. Nei processi storici ledonne hanno offerto un apporto peculiare, senza rivoluzioni, gesten-do il quotidiano con ingegnosa e critica tenacia. Così per le donneconsacrate le svolte operate sono il frutto di micro-processi, di intui-zioni, di decisioni, di azioni audaci, talora silenziose: dall’intelligenzaal centro del cuore ove ci si decide per l’humanum e per Dio. Conlievità.

Maria Lai, «Sindone»(1998, particolare)

La suorache inseguei giovani adultiaustralianiin fugadalla ChiesaA «The Record»,mensile dellaarcidiocesi di Perth,suor MargaretScharf, religiosadomenicana da 42anni, ha raccontato ilsenso e lo scopo delsuo nuovo ruolo dicoordinatore dellaformazione degliadulti nella fede:elaborare strategieper riprendere igiovani adulti infuga dalla Chiesa. Selo scopo finale dellavoro condotto dallaarcidiocesi è quellodi «riportare Cristonella Chiesa e laChiesa di nuovo aCristo», processo cherichiede moltotempo, il punto dacui partire — sostienesuor Margaret — èquello di individuarele lacune presenti.«Uno dei vuoti cheabbiamo identificatoè relativo ai giovaniadulti: rimangono inambiente cattolico

DAL MOND O

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atteggiamento di resistenza nella comunità ecclesiale, e a volte anchefra le stesse donne consacrate, verso questa nuova mentalità. Pur coni notevoli progressi fatti, bisogna riconoscere che non si è ancora rag-giunta una sintesi equilibrata e una purificazione degli schemi e deimodelli ereditati. Troppi ostacoli persistono nelle strutture e troppadiffidenza permane quando si verifica l’occasione di dare alle donne«spazi di partecipazione in vari settori e a tutti i livelli, anche neiprocessi di elaborazione delle decisioni, soprattutto in ciò che le ri-guarda» (Vita consecrata, 58).

Per aprire queste possibilità per le donne consacrate, è necessarioche esse ricevano una preparazione culturale adeguata, mai minorita-ria; gli istituti di vita consacrata, infatti, al maschile e al femminile,«hanno sempre avuto un grande influsso nella formazione e nellatrasmissione della cultura» (Vita consecrata, 98). L’ardore e la dedizio-ne presenti nel vivere delle donne consacrate vanno pertanto sostenu-te dallo studio: «Senza la verità, la carità viene relegata in un ambitoristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi dicostruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogotra i saperi e le operatività» (Caritas in veritate, 4).

Da più voci nasce l’invito allo studio sistematico delle scienze edella teologia nella loro pluralità e non solo, per non regredire, ri-spetto ai cammini percorsi nell’immediato post-concilio. La pressionedelle opere spinge con frequenza a scegliere percorsi culturali e uni-versitari brevi, svalutando un patrimonio di competenze che gli isti-tuti con lungimiranza hanno favorito e promosso durante il XX seco-lo. Paradossalmente, nel passato, più che oggi, le congregazioni ap-paiono esploratrici della cultura, facendo studiare le religiose e per-correndo strade inedite, guidando scuole e ospedali. In Italia comein altri paesi europei le prime donne a frequentare università statali, afine Ottocento, sono state delle religiose. E fin dagli inizi del Nove-cento, negli Stati Uniti d’America, le religiose hanno frequentato fa-coltà universitarie per discipline umanistiche, scientifiche, artistiche.In sostanza, le religiose sono state pioniere dell’istruzione femminilein ambito laico, in anni in cui erano ancora loro precluse le universi-tà cattoliche, e quindi la possibilità di studiare esegesi, teologia, dirit-to canonico. Dopo il concilio Vaticano II queste porte si sono aperte,con la possibilità per molte ricercatrici e intellettuali di inserirsi concreatività e coraggio nei dibattiti culturali aperti, e soprattutto diaprirne dei nuovi.

L’oggi, con gli andamenti critici delle culture nei processi di muta-zione e di rifusione dell’umano, chiama con urgenza coloro che ren-dono il servizio dell’autorità negli istituti ad avere speciale attenzione

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alle università e quelle che hanno le loro case madri in occidente evengono mandate là per studiare. Su queste ultime, in genere, graval’obbligo di studiare e frequentare i corsi senza sospendere la loro vi-ta di servizio, il lavoro manuale al quale l’istituto di appartenenza ledestina.

Nel complesso, però, alle religiose le borse di studio concedonoun tempo troppo breve per la preparazione, che non contempla ilperiodo necessario a imparare la lingua nella quale si svolgono le le-zioni e il necessario ambientamento di fronte a nuove materie e nuo-vi metodi di studio, tempo che invece viene abitualmente concesso asacerdoti e seminaristi, che inoltre non sono mai sottoposti all’obbli-go di lavori domestici.

In sostanza, si tratta di un’offerta di studio di natura decisamenteinferiore rispetto a quella della quale usufruiscono i maschi, come sel’istruzione delle donne fosse un problema facoltativo e secondario.

Ma i tempi sono cambiati, le donne desiderano occupare posti didirezione come gli uomini, come loro sanno di essere state create aimmagine e somiglianza di Dio.

Le religiose che vivono nelle loro comunità devono avere il tempoa disposizione per lo studio ed essere libere di fare programmi o pro-getti, perché lo studio è un tempo di preparazione per il servizio allaChiesa. Più abbiamo religiose ben formate più possiamo fare bene ilnostro servizio. Sono ben consapevole che i tre anni della formazionealla vita consacrata non bastano e non possono bastare per capire co-sa sia il servizio alla Chiesa, come va fatto e perché si fa.

La nostra urgenza non è occupare posti, bensì formare persone ca-paci di dare il meglio di sé, poiché non si può dare agli altri quelloche non si possiede, come dice il proverbio italiano: «La botte dà ilvino che ha». Bisogna dare alle consacrate il tempo e i mezzi perstudiare bene, in questo modo avranno la possibilità di conoscersi edi sviluppare la propria autostima, per poter apprezzare anche lebuone qualità degli altri, essere esigenti con se stesse prima di esserlocon gli altri, essere contemporaneamente oggettive e comprensive.Colei che non si conosce a sufficienza o che non ha stima di sé, vivesotto l’influsso della paura: paura di non conoscersi, paura della suaresponsabilità e paura della libertà degli altri. In una parola, paura dise stessa e del suo vuoto interiore. Questa insicurezza personale nonaiuta la religiosa nel suo apostolato, anzi la porta quasi inevitabil-mente ad assumere atteggiamenti di rigidità, severità, fissazione, rigo-rosità e inflessibilità con gli altri.

finché non finisconola scuola, e tornanosolo quando,divenuti genitori aloro volta,desiderano che i figliricevano isacramenti». Lacolpa però non èloro, precisa ancorala religiosaintervistata daAmanda Murthy:manca infatti nellaChiesa spazio eattenzione per questafascia di età.Con una formazioneaccademicanell’ambito dellaspiritualità, suorMargaret Scharf hauna vasta esperienzain direzionespirituale esupervisione, e daanni conduce ritiri epresentazioni perparrocchie, personalescolastico cattolico ecomunità religiose.Tra l’altro, un suoobiettivo è quello diuna seria formazioneper gli educatoricattolici: «Hoscoperto, infatti checi sono pochissimiprogrammi specificirivolti a loro. È cosìimportante inveceche gli educatoricattolici siano dotatidelle conoscenzenecessarie perconsentire ai lorostudenti e alpersonale di essereleader migliori,impegnati a favore diuna società chedavvero incarni gli

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Far studiare una suoranon è tempo sprecato

di RI TA MBOSHU KONGO

Le donne dei paesi del Terzo Mondo trovano indubbiamente nellaChiesa una possibilità di istruzione e di preparazione professionalemolto importante, in diversi luoghi unica. E questa possibilità riguar-da ovviamente anche quelle che scelgono la vita religiosa, scelta chespesso matura nelle scuole che frequentano, gestite da suore. Questadell’accesso all’istruzione è una possibilità importante, si può addirit-tura definire un’esigenza dovuta alla propria missione di donna. Amaggior ragione valida per le religiose chiamate a servire in tutto ilmondo, che hanno il diritto e il dovere di essere ben formate, benpreparate per compiere il servizio che viene loro richiesto.

Ma purtroppo l’iter scolastico di preparazione delle religiose è de-cisamente insufficiente: solo tre anni di formazione alla vita consacra-ta, e per molte lo studio si ferma lì, con l’ovvia conseguenza che laloro destinazione diventerà quella del servizio domestico, dei lavoridi fatica. Poi ci sono quelle che riescono a continuare grazie a delleborse di studio e che perfezionano i loro studi, in genere a Roma.Queste ultime si possono distinguere in due categorie: quelle chehanno ricevuto borse di studio e vengono ospitate da collegi annessi

ANCHE NEL TERZO MOND O

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Sono cose note, ma le ripeto perché troppe volte lo studio di unareligiosa viene visto come tempo sprecato, come se la religiosa, stu-diando, perdesse il senso di obbedienza e di umiltà. Purtroppo que-sta è ancora l’opinione che tante persone hanno delle suore che stu-diano, perché credono che la religiosa dopo lo studio si monti la te-sta. Ma io nella mia piccola esperienza posso affermare che lo studiomi ha aiutata a capire il senso più profondo del servizio, a percepirele difficoltà degli altri. Quindi ringrazio tanto la mia superiora chemi ha dato questa possibilità. Non si può esaltare troppo l’aspetto diGesù servo, dimenticando lo stesso Gesù maestro che insegnava neltempio. Questo per dire che c’è pure quello che si potrebbe chiamarel’apostolato o il servizio intellettuale.

Chiediamo prima di tutto alla madre Chiesa che si impegni moltoper la formazione delle religiose: suore capaci di operare delle scelteradicali per Cristo e per la dignità della donna. Formare delle religio-se combattenti che hanno il coraggio di denunciare e dire no agli an-tivalori, che umiliano la donna e impoveriscono il senso e il valoredella consacrazione religiosa. La Chiesa ha bisogno di religiose chepossano fare un servizio intellettuale a tutti i livelli per riscoprire ilvalore autentico del servizio.

Gino Severini«Donna che legge»

(1915)

NEL CONVENTO BENEDETTINO DI FAHR

Dalla tradizionealla profezia

di BARBARA CAMPLANI

Sul finire del mese di ottobre inizia a circolare sui mezzi di informa-zione una fotografia che ritrae una quindicina di suore sorridenti efiere; fra le mani reggono cartelli in cui si legge: «Voto per le donnecattoliche». È un’immagine potente, proveniente da un angolo remo-to della Svizzera: il convento benedettino femminile di Fahr.

La loro azione aderisce a una campagna di protesta internazionalecontro le disparità di genere presenti al sinodo sui giovani, che haammesso fra i votanti un paio di padri superiori non ordinati, manon le madri superiori. Una diseguaglianza che non ha cause dottri-nali, ma è solo frutto di una mentalità difficile da sradicare.

La priora del convento, Priorin Irene, mi accoglie cordiale e, nellepause fra le ore di preghiera e di lavoro che scandiscono la giornatabenedettina, racconta la sua testimonianza: «Noi donne facciamoparte di questa Chiesa, e quindi dobbiamo poter far sentire la nostravoce e apportare il nostro contributo».

«La nostra azione — continua — è il risultato di un lungo cammi-no fatto insieme su questo tema». La parola “cammino” non potreb-be essere più indicata: nel 2016, infatti, le suore di Fahr sono state frale protagoniste di un pellegrinaggio a piedi da San Gallo (Svizzera)

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a Roma per chiedere a Papa Francesco una Chiesa «con le donne»,che includa e coinvolga veramente le donne. Al pellegrinaggio, sulquale è stato girato il documentario Habemus feminas e pubblicato illibro Einweiter Weg, hanno partecipato più di mille donne, uomini,laici, consacrati e vescovi. Giunti a Roma non è stato però possibileottenere un’udienza dal Papa o dai suoi collaboratori.

Mi permetto di chiederle se abbia perso la speranza: «No» affer-ma convinta. «Papa Francesco ha fatto passi importanti, come peresempio istituire per Maria Maddalena una liturgia uguale a quelladegli apostoli, innalzandola al pari di essi». Priorin Irene intreccia lemani, il suo racconto diventa preghiera: «D’altra parte spero che ilPapa su questo tema diventi ancora più concreto».

Nel suo piccolo il convento di Fahr mostra come uomini e donnepossano lavorare gli uni a fianco alle altre. Si tratta infatti di uno deirarissimi doppi conventi rimasti al mondo: la congregazione maschileè a Einsiedeln e quella femminile a Fahr, ma fra le due ci sono im-portanti collaborazioni e l’abate è unico.

A Fahr attualmente rimangono venti suore, che affrontano la crisidelle vocazioni con serenità. «Il convento è stato fondato nel 1130 edha saputo diventare un punto di riferimento per la comunità» rac-conta Priorin Irene. «Forse in futuro non saranno più le suore, ma ungruppo di donne che lavorano e con una propria casa a fare andareavanti questo posto. Il convento continuerà a esistere come luogo dispiritualità, ne sono certa».

«Noi siamo pronte a cambiare insieme alla società» aggiunge so-rella Petra, la suora più anziana: ha 86 anni, ma ride come una ra-gazzina quando prova a ricordare qualche frase in italiano. SorellaPetra faceva l’insegnante e io le chiedo di quale materia: «Di vita» ri-sponde. «Insegnavo alle contadine della regione a vivere. Le mie ma-terie erano nutrizione, igiene, cura della casa e del bambino». Moltedi quelle donne hanno poi deciso di chiamare le proprie figlie Petra,come segno di gratitudine e affetto.

Oggi il convento di Fahr non è più una scuola ma si continua apercepire, da parte delle consorelle, la soddisfazione di aver vissutopienamente la propria vocazione spirituale ed evangelica. «Sa — con-fessa sorella Petra — io sono in convento da sessantaquattro anni e hoavuto davvero una vita piena». Le chiedo quale futuro auspichi perla Chiesa: «Vorrei che le donne si sentano di nuovo incoraggiate egratificate nel scegliere questa via — risponde — per trasmettere ilmessaggio di Dio felici. Credo che oggi ci sia bisogno di un cambia-mento, altrimenti non so dove andrà a finire la Chiesa. E perchéquesto avvenga, c’è bisogno delle donne».

NEL DIRITTO CANONICO

Una rivoluzionedimenticata

di AGNESE CAMILLI

Nel diritto canonico la rivoluzione c’è stata nel 1983, al momentodell’entrata in vigore del codice vigente, accolto con grande interesseanche alla luce delle significative riforme introdotte, a cominciare daquella, capitale, di un nuovo linguaggio, per molti versi paritario, cir-ca i compiti e i ruoli dei Christifideles.

Importante soprattutto il secondo libro del codice, efficacementeintitolato De populo Dei, che apriva la parte prima della trattazionecon la definizione del termine Christifideles, che riuniva in un’unicacategoria i fedeli tutti, qualsiasi fosse il loro ruolo nella Chiesa.

I lavori preparatori al Codice hanno ampiamente documentatol’importanza e la profondità del dibattito sul «problema definitorio»e l’approfondito studio a suo tempo condotto era mirato a individua-re, anche nel linguaggio utilizzato, la missione unificatrice e identifi-cativa della Chiesa.

Del resto il concilio Vaticano II aveva tracciato ampiamente questastrada e la recezione nell’ambito della codificazione finalmente for-

insegnamenti dellaChiesa».

La diplomazia delledonne salverà laTerra santaIzzeldin Abuelaish, ilmedico palestineseche nel 2009 a Gazaperse tre figlie ucciseda un colpod’artiglieria israelianadurante l’op erazionePiombo fuso, ne èassolutamenteconvinto: dopo annie anni di negoziatifallimentari, è venutal’ora di cambiaredecisamente stradaper raggiungere lapace in Terra santa,lasciando il campoalla diplomazia delledonne. Originario diGaza, Izzeldin — cheda qualche tempolavora pressol’università diToronto — è tornatonella sua terrad’origine perpartecipare al primoc o n g re s s ointernazionale sullarimozione dellebarriere alla pace inMedio oriente,organizzato a TelAviv dal movimentoWomen Wage Peace(“le donne fannopace”). «Cidovrebbero esserepiù donne coinvolteal tavolo delletrattative» ha detto ilmedico durante laconferenza stampa(come riportato dal

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schile, mentre oggi le donne costituiscono un’importante fettadell’azione costitutiva della Chiesa nel mondo. Religiose e laichecompetenti e formate, attente alle istanze di una vita globalizzata masempre vigili sulle necessità delle realtà particolari, costituiscono,supportano e promuovono strutture ove sono diventate punti di rife-rimento solidi e continui.

Quindi qualche piccolo, timido passo è stato fatto in questo sensoe già se ne vedono i frutti, anche se molto, molto rimane da fare. Ildato che colpisce è che, mentre nella quotidianità del lavoro, l’ele-mento femminile costituisce una decisiva costante di riferimento,quando poi si guarda ai ruoli di vertice negli uffici, improvvisamentela presenza femminile diminuisce sino a scomparire, in un indistintot r a s p a re n t e .

Il diritto canonico non annulla, né deve annullare, la differenzia-zione tra uomo e donna. Se facesse questo negherebbe oggettivi

aspetti di realtà, ma altra cosa è ammettere, implicitamente o esplici-tamente, condizioni di diseguaglianze.

E allora cosa si aspetta a varcare la soglia?

Professioniste valenti, di comprovata dedizione e formazione ani-mano da anni gli uffici giudiziari del mondo ecclesiastico e vaticano,unendo, a livelli di competenza indiscusse, capacità di gestione e diapprofondimento umane e professionali a tutto tondo.

Né si può, ormai, ricorrere a “motivazioni” e “giustificazioni” dipiù o meno complessa natura…

Un conto è incardinare questo tema nella prospettiva della potestàdi ordine; ben diverso è innestarlo nella potestà di giurisdizione ove,certamente, è ben possibile, anzi ormai doveroso, cominciare a doverdisp orre.

sito terrasanta.net).«Le donne danno lavita, e quindi sannomeglio di chiunquealtro cosa essa sia, equale valore abbia.Sono sicuro chep otrebb eroraggiungere deirisultati laddovemolti uomini hannoinvece fallito sinora».In memoria dellefiglie, Izzeldin hacreato la fondazioneDaughters for Life(“figlie per la vita”)che si basa sull’ideache il cambiamentosociale e la soluzionedei problemi delMedio orientepassino attraversol’educazione dellegiovani donne, a cuideve essere datomaggiore spazio emaggior potere nellasocietà e nelleistituzioni.

Le pescatricidel lago Kivu perun nuovo Rwanda«Here we go! MayGod watch over us!»è il ritornello chetradizionalmente ipescatori recitanocalando al tramontole loro piccole navidi legno nel lagoKivu. Da qualchetempo però alle vocimaschili, se ne sonoaggiunte difemminili. Nelbellissimo reportageuscito qualchesettimana fa sul

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malizzava e concretizzava un percorso che si lasciava alle spalle im-portanti rigidità che possiamo definire clericali.

Anni sono trascorsi da quel momento e la storia dei nostri giorniha consolidato alcuni traguardi, anche se l’importante presenza fem-minile in ogni profilo della vita della Chiesa presupporrebbe la con-cretizzazione di maggiori risultati.

Le donne costituiscono ormai, infatti, un punto di riferimento im-prescindibile in ogni attività e funzione. L’evangelizzazione è costel-lata di importanti e fondamentali esempi contemporanei, così comele donne sono presenti, discrete ma tenaci, in ogni ambito che sup-porti la vita e la struttura ecclesiale in ogni sua manifestazione.

Tuttavia, nonostante importanti aperture succedutesi nel tempo eannunciate in fondamentali documenti pontifici, la strada per il rico-noscimento di una piena condizione paritaria sembra ancora non deltutto aperta, anche se il cambiamento del linguaggio dovrebbe stimo-lare un cambiamento di mentalità. Nella Evangelii gaudium, ad esem-pio, è significativo il linguaggio adottato: «un popolo per tutti»,«tutti siamo discepoli e missionari», «da persona a persona».

Nella stessa esortazione apostolica l’insegnamento della Chiesasulle questioni sociali è pieno, ed espressi sono il riferimento e il ri-chiamo ad aprirsi e a farsi portatori del messaggio di san Francesco edi santa Teresa di Calcutta, quindi un uomo e una donna.

Molte sono le Christifideles, siano esse religiose o laiche, che svol-gono ruoli di fondamentale importanza sia per gli ordini cui appar-tengono sia quando vengono chiamate a collaborare in uffici dellaCuria romana.

La nota che contraddistingue la loro presenza è una piena com-

prehensio, nel senso etimologico del termine, della situazione in cuisono chiamate a collaborare o hanno scelto di farlo.

Il canone 208 riconosce la piena vigenza della eguaglianza tra fe-deli: eguaglianza di dignità e azione, ciascuno secondo la propriacondizione e il proprio munus, così come tracciato dalla Lumen gen-

tium, tuttavia appare ancora lungo il percorso da compiere.

Nella prassi, infatti, non si ha riscontro di quanto ampiamenteenunciato nel dettato del Codice e nei documenti successivamentepubblicati.

Basti pensare alla evoluzione che si è verificata nel corso degli an-ni negli ambiti giudiziari.

I luoghi ove si amministrava la giustizia in ambito ecclesiastico ingenere, erano, sino al 1983, di pressoché esclusiva competenza ma-

Massimo Campigli«Le tessitrici»(1950, particolare)

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1° GENNAIO 2050

Una domenicanaprende la parola

di CAT H E R I N E AUBIN

Care sorelle e cari fratelli,

«Simone, quando sono venuto a casa tua, non mi hai lavato i pie-di, né baciato e neppure profumato. Simone, dove sei? Che cosaguardi? Che cosa senti? Che cosa vuoi sentire da me? Adulazioni econvenevoli? Conversazioni mondane e ragionamenti? Simone, alzati,solleva la testa e per una volta ascoltami:

Chi ha offerto tutto ciò che aveva per vivere nel Tempio? Ti seiaccorto di quella vedova? L’hai vista? Rispondimi, Simone.

D ov’eri quando stavo dinanzi a Pilato? Qual era la tua parola (an-zi la tua predicazione) quando la folla gridava “libera Barabba”? Checosa hai gridato tu? Simone, rispondimi.

Chi ha asciugato il mio volto insanguinato sulla via della mia pas-sione? Chi è rimasto ai piedi della croce mente esalavo l’ultimo respi-ro? Dov’eri tu, Simone?

Chi è venuto alle prime luci dell’alba a prendersi cura del mio cor-po sfigurato? Chi ha sfidato i soldati in pattugliamento all’a u ro r a ?

Chi ha riconosciuto la mia voce quel mattino? Chi ha creduto cheero risorto dai morti e ha annunciato la buona novella?

Chi? Chi? Chi? Simone! Rispondimi.

A chi ho detto “beati coloro che ascoltano la parola e la osserva-no”, ricordati Simone, a chi ho parlato così? Chi ha ascoltato quelleparole e le ha messe subito in pratica? Chi è rimasto ai miei piediper ascoltarmi e studiare la mia parola? Chi ha scelto la “parte mi-g l i o re ”, quella dello studio e della riflessione? Rispondimi, Simone,chi?

Chi mi ha dato da bere presso il pozzo quando ero stanco? Quelgiorno, chi mi ha riconosciuto e creduto? Chi è andato ad annunciar-lo? C’è bisogno che cammini a lungo con te, come con i tuoi compa-gni sulla via di Emmaus, per spiegarti ciò che alcune hanno capito ecreduto quasi all’istante?

Simone, rispondimi, e dimmi: chi non ha creduto alla buona no-vella pensando che fosse vaneggiamento? Rispondimi. Chi è per meun fratello, una sorella e una madre? A chi si rivolge la mia parola?Verso chi si volgono il mio sguardo e il mio orecchio?

Alza gli occhi, Simone, non temere, ma ritorna. Ritorna alle tueorigini, alla tua fonte. Quella che ti ha generato e cullato. Quella cheti ha insegnato a parlare. Lascia che le sue risposte riaffiorino in te eritrova nel tuo profondo ciò che hai dimenticato. Come Giuseppe,non temere di prendere con te Maria. Non temere di dare la parola atutte le Marie.

Care sorelle e cari fratelli, Cristo c’interroga e ci apre l’intelligenza.Riconosciamo i nostri gravi errori e le nostre mancanze. Per troppotempo abbiamo indossato paraocchi, riducendo così la nostra visuale,il nostro ascolto e persino la nostra intelligenza. Abbiamo guardato eascoltato solo ciò che volevamo udire e osservare. I nostri concili, inostri decreti, le nostre lettere apostoliche, i nostri documenti ufficialierano redatti da noi, uomini. Abbiamo persino avuto l’ardire di rego-lamentare la vita intima delle donne e degli uomini. Oggi, non indu-riamo il nostro cuore, ascoltiamo ciò che lo Spirito dice a noi, Chiesadel XXI secolo. Fermiamoci e facciamo una pausa per udire quel checi viene detto al di là delle parole.

I miei predecessori hanno riconosciuto il genio femminile, non ba-stava? Oserei dire che non siamo andati molto lontano in questa ri-flessione e dunque in certe innovazioni. Alcuni anni fa gli scandali diabusi di ogni sorta ci hanno ghermiti: è stato un cataclisma e un di-luvio paragonabile a quello di Noè che ha devastato e distrutto labarca-Chiesa, e che al tempo stesso ci ha riformati, liberati, anzi sal-

«New York Times»,infatti, ShannonSims ha raccontatola battaglia (vinta)delle donne ruandesi,che rappresentano il70 per cento dellapopolazione in unpaese decimato dalgenocidio, per poteraccedere a un ambitofinora ritenuto solomaschile. Quellodella pesca. «Sonostanchissima dopouna notte al largo»ha raccontato latrentaduenne ZawadiKarikumutina. «Maora — le fa ecoBonifridaMukabideri — unadonna può dire:Posso costruirmi unacasa. Possooccuparmi della miafamiglia. E anche semio marito dovessemorire, saremmo ingrado di vivere unavita migliore».O vviamentedifficoltà e pericolinon mancano; perquesto le pescatrici sisono raggruppate incooperative che leaiutano in tutto,dalla cura dei figlialla sicurezzadurante i turni, finoalla vendita dellamerce. Il lago Kivu,del resto, non è solouno dei grandi laghiafricani. È diventatoil drammaticosimbolo delgenocidio ruandeseda quando le sueacque furono invasedai corpi dellevittime dell’o dio.

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da lui “il Signore è con te”, scendiamo fin lì perché la salvezza cheviene per le donne e per gli uomini venga a dimorare in noi. Ringra-zio tutte le diocesi che non hanno atteso l’annuncio di questa riformaper arricchirsi con la predicazione delle donne nel corso dell’ome-lia».

Care sorelle e cari fratelli, questa omelia è stata pronunciata diecianni fa dal nostro amato vescovo ora scomparso. Lui è stato un pila-stro di questa grande riforma. Ringraziamolo oggi, primo giornodell’anno 2050, per questo cammino di cambiamento che prosegue.Che su di noi, figlie e figli di Abramo, discenda la benedizione dinostro Dio, affinché la nostra parola sia fecondata dal suo sguardo,dal suo Spirito e dalla sua compassione per ognuno. Amen.

vati. Da qualche anno viviamo un altro modo di fare Chiesa; e rin-grazio tutte quelle che nel mezzo delle tempeste, come pure nei mo-menti di calma e in modo invisibile, catechizzano, organizzano lepreparazioni al matrimonio e anche le celebrazioni funebri. Le rin-grazio per essersi alzate e aver osato gridare, protestare e averci quasi“b oicottato” per lunghe settimane. Ricordiamocelo: è stata una verapresa di coscienza. Che cosa saremmo senza le donne? E che cosa sa-remmo diventati senza di loro? Verso quale tracollo saremmo andatisenza la loro efficace presenza?

Oggi vorrei che le nostre orecchie fossero libere e aperte ad altrerisonanze. Noi abbiamo nel nostro patrimonio donne dottori dellaChiesa, ed è una fortuna. Penso a santa Ildegarda di Bingen e a san-ta Caterina da Siena che hanno percorso il mondo, annunciato la sal-vezza in ogni occasione opportuna e non opportuna. Ancora più lon-tano, penso alle profetesse della Bibbia, si chiamino esse Ester o De-bora, o ancora a tutte le donne citate nella genealogia di Gesù.

La salvezza viene dalle donne e viene anche attraverso le loro pa-role. Le nostre omelie — come dice il significato greco — esistono perentrare in conversazione. È quindi urgente invitarle a prendere la pa-rola e lasciare a loro le omelie. Faremo tutto il possibile per dare alledonne e ai laici la possibilità di tenere le omelie durante le nostremesse domenicali.

Ad alcuni ciò sembra una rivoluzione, ma non è così. San Tomma-so d’Aquino nel suo commento su san Giovanni spiega che la sama-ritana è il modello della predicazione apostolica. In effetti per lui ilfine della predicazione — e vale anche per le omelie — è una cono-scenza della fede fondata sull’incontro con Cristo. Questa donna, lasamaritana, nutrita dell’ascolto di Cristo, annuncia ciò che è necessa-rio perché quanti l’ascoltano vadano incontro a Cristo, e Tommasod’Aquino aggiunge in modo chiaro e preciso: “Questa donna assumela funzione degli apostoli portando il messaggio”.

Pensiamo all’appellativo dato a Maria Maddalena fin dai primi se-coli; era chiamata “l’apostolo degli apostoli”. È giunto il momento diaprire gli occhi e le orecchie per ridare alle donne il loro posto nellatrasmissione della parola durante le nostre eucaristie.

Oggi la salvezza entra in noi e come Zaccheo scendiamo. Scendia-mo dalle nostre illusioni, dai nostri pregiudizi, dalle nostre false cre-denze, dalle nostre inerzie, dalle nostre parole vuote, dalle nostre fal-se scuse, scendiamo in un luogo che ci separi da questi idoli, separia-moci dalle nostre illusioni. Scendiamo per raggiungere gli invisibili, imuti, i feriti e i fragili, scendiamo dentro di noi per esservi visitati eperdonati, scendiamo a prendere la mano di Cristo e a sentirci dire

Albert Gleizes«La donna con il vaso

di fiori» (1910)

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La copertinadell’a u t o b i o g ra f i aDONNE DI VA L O R E

di GIANNI CRIVELLER

Julia Ching, morta a 67 anni nel2001, è stata una sinologa di fa-ma mondiale per i suoi studisulle religioni e sulla filosofiadella Cina. Tra i suoi numerosilibri, due sono considerati fon-damentali per lo studio dei dueimportantissimi filosofi confu-ciani Zhuxi e Wang Yangming.Hans Küng l’aveva scelta comeinterlocutrice accademica per lastesura del volume sulle religio-ni cinesi, nell’ambito del suo

noto progetto di confronto tra cristianesimo ereligioni mondiali.

Morì dopo una lunga battaglia contro il can-cro, nella quale aveva riportato vittorie e scon-fitte. Vicende che descrisse, come un lungo inti-

mo viaggio, nella bellissima autobiografia Th e

Butterfly Healing (La guarigione della farfalla,1998).

I primi segni della malattia erano comparsiquando Julia era suora cattolica a Taiwan, mem-bro dell’ordine delle orsoline. Facendo la doc-cia, aveva scoperto una cisti nel seno, ma la su-periora non le permise controlli tempestivi equesto contribuì all’aggravarsi della malattia e,anni dopo, all’abbandono della vita religiosache mise a rischio la sua fede cattolica.

La famiglia Ching era fuggita dalla nativaShanghai durante la seconda guerra mondialeper trovare rifugio a Hong Kong. Julia, nata nel1934, nella ex colonia britannica frequentò scuo-le cattoliche fin da piccola. Il liceo per sole ra-gazze era gestito dalle suore canossiane italiane,Julia ne fu ben impressionata, e a 16 anni decise

Julia Ching

di ricevere il battesimo nella Chiesa cattolica.Frank, il fratello, seguì il suo esempio.

Giovane brillantissima, si trasferì negli StatiUniti per intraprendere gli studi universitari alNew Rochelle College (New York), che appar-tiene all’ordine delle orsoline. Attratta dalla per-sonalità di suor Hilda, sua insegnante di filoso-fia, Julia decise di diventare suora. Conseguitoun master all’Università cattolica d’America(Washington), non convinse però le superioredella sua vocazione agli studi e, in ossequio allamentalità per cui lo spirito di obbedienza dove-va essere testato per contrarietà, fu inviata in

una remota area montagnosa dell’isola di Tai-wan. Julia accettò obbedendo con devozione.Ma la comunità religiosa era francese e non par-lava la lingua della gente, il cinese. Julia, chesapeva molte lingue, faceva fatica a esprimersiin francese. La superiora, la stessa che non siera allarmata per i primi segni del cancro, nonsolo non mostrò alcuna simpatia per la giovanesorella cinese educata in America, ma leggeva lesue lettere, violando le regole dell’ordine che tu-telavano il diritto alla privacy.

Dopo la triste vicenda di Taiwan, Julia nonabbandonò la vita religiosa, nonostante si sen-

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tisse sempre più estranea, ma lasciò l’ordine do-po il ritorno del cancro. Il medico le confermòche l’aggravamento era, molto probabilmente,in relazione con il ritardato intervento iniziale.Ritornò allora alla ricerca accademica: ottenutoun dottorato in studi asiatici presso l’Universitànazionale d’Australia (Canberra) e posizioni diinsegnamento nelle prestigiose università di Co-lumbia e di Yale (Stati Uniti d’America), con-cluse la sua vita accademica come professoreall’Università di Toronto. Sposò il collega Wil-lard Oxtoby, uno studioso dell’Asia meridionaleche le fu vicino con affetto e devozione fino allafine. La coppia adottò un ragazzo di origine ci-nese.

La vicenda di Julia Ching è affascinante estraziante allo stesso tempo. Il memoriale auto-biografico, arricchito di approfondimenti cultu-rali, religiosi e filosofici sulla grande tradizionecinese della quale è interprete, ci introducenell’anima di Julia, donna che ha vissuto traoriente e occidente, attraversando da protagoni-sta religioni, culture e filosofie.

La sua è la storia di una donna asiatica, de-terminata e coraggiosa, che ha sperimentato lagenerosità della conversione e della scelta delconvento; un’ottusità crudele nella vita religiosacattolica; la discriminazione e la subalternità acui una donna, per di più orientale, fu costrettain ambienti accademici dominati da uomini.

Il cancro non curato tempestivamente ritornòben quattro volte a turbare la sua vita e i suoiprogetti. L’ultima le fu fatale. Il dolore e il pen-siero dell’ingiustizia subita mentre era religiosatornavano come un incubo a turbarle le notti, isogni, l’animo. Scrisse una lettera a suor Hilda,diventata superiora generale, denunciandol’ostilità della superiora di Taiwan e la malattiache la metteva, ripetutamente, in pericolo di vi-ta. Suor Hilda la invitò a perdonare e ad affi-darsi a Dio. Ma Julia faceva fatica a credere an-cora in quel Dio.

I momenti di sconforto furono numerosi, neiquali si chiese quale fosse il senso della sua vita;il perché di tanto dolore. Nel tentativo di guari-re si affidò alle cure convenzionali, a operazionichirurgiche invasive, alla chemioterapia e allapsicoanalisi ma anche, su suggestioni di amicheasiatiche, tentò la via della medicina cinese, del-le cure erboristiche che avevano guarito altri, edelle discipline di meditazione orientale.

Nelle pagine più commoventi della sua auto-biografia Julia descrive le sue paure e il suo rap-porto conflittuale con Dio, al quale lei sa dinon potersi più sottrarre. Dove posso trovare laforza per combattere? Perché capita a me? E chisono io? Sono cinese, americana; sono cattolica,sono una ex suora? Sono confuciana, buddhi-sta, o persino taoista? In cosa credo? In chi cre-do? «Mi considero ancora cristiana, anzi cattoli-ca, ma sono spiritualmente anche taoista, bud-dhista e persino confuciana. Io vengodall’oriente, e la malattia e i miei tentativi diguarigione mi hanno spinto a tornare, cultural-mente, alle mie radici».

A quel punto decise di perdonare Dio. «Eroarrabbiata con Dio, ma nello stesso tempo nonavevo nessun altro a cui rivolgermi. Ma anchequando ero più arrabbiata, non sono mai arriva-ta a rinnegare la Chiesa, il mio ordine, o la miapassata vita religiosa. Ma devo ancora impararea perdonare. Le persone più difficili da perdo-nare sono me stessa e Dio. Quando ero in novi-ziato, mi sono abbandonata a Dio. Feci un pat-to privato con lui. Gli ho detto che avrebbe po-tuto fare di me qualsiasi cosa, anche farmi sof-frire. Forse Dio mi ha preso troppo in parola.Ora non credo più in patti di questo genere».

Julia Ching è morta cattolica, e il suo funera-le fu celebrato con una santa messa. Nei mo-menti che precedevano l’immersione nella came-ra iperbarica, o le operazioni di rimozione dellemasse cancerogene, Julia si affidava alla pre-ghiera, recitando in latino i versi dei salmi im-parati negli anni del noviziato.

CO N S A C R AT E «PER E VA N G E L I C A CONSILIA»

Studiare nella cella

di CRISTIANA DOBNER

Donne e sepolte vive? È questo lo sguardo che la società odierna posasu di noi?

Certo nei sepolcreti parlare di cultura sembra davvero assurdo. Ep-pure ci si scontra, così pensando, solo con pregiudizi ben radicatiproprio nell’assenza della cultura stessa!

Si potrebbe ripercorrere la storia delle monache che respiraronocultura nei loro monasteri: dalla romana Marcella alla contemporaneasvizzera Silja Walter, passando per la grande Ildegarda di Bingen,tuttavia la presa diretta sul tessuto monastico odierno risulta più cre-dibile e sfata la leggenda della non vita delle sepolte vive!

La donna monaca oggi non ha nulla da invidiare al maschio mo-naco: l’iter teologico, richiesto non solo per poter maturare un mini-stero sacerdotale ma per poter vivere in pienezza la vita intessuta insilenzio e solitudine, non conosce differenza di genere e di capacitàc e re b r a l e .

Qualche aneddoto potrà concretamente mettere in luce la necessitàdella cultura biblica e teologica per non lasciare in una palude diignoranza proprio chi, cercata da Dio e cercandolo, ha bisogno delnutrimento di una fede riflessa.

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Una monaca proveniente da una ricca famiglia, educata in collegiesclusivi ma ancora con l’impronta della scuola “femminile”, scoprì laParola di Dio, consegnata nella Bibbia. Ebbene, in monastero nonveniva consegnata alle sorelle. Le riuscì di contattare un prete amicoche la fece incontrare con il presidente dell’Associazione biblica e co-sì la Bibbia varcò il sacro recinto!

Da qui nacque l’urgente necessità di capire e comprendere per nondifendere a spada tratta la tesi che Ambrogio era nato a Roma e cheBenedetto e Francesco vivevano nello stesso secolo!

Ora le giovani generazioni — perché esistono ancora! — arrivano inmonastero non a seppellirsi vive ma per pienamente vivere.

Se in mattinata i lavori domestici assorbono tutto il tempo, il po-meriggio, nella solitudine della cella, è speso nello studium veritatis,

nello studium amoris.

Il volto di Cristo si scolpisce nella storia della giovane monaca e siriflette ubiquamente, perché la Parola si rifrange in tutto l’universopassando per il microcosmo della persona che prega. Così si cambiala storia, si entra nei suoi nodi cruciali, se ne trova il senso rivolgen-doli al risorto.

Il cammino biblico e teologico può conoscere le tappe (fatidiche!)degli esami ma può anche non conoscerle perché il traguardo non èrappresentato dal diploma, più o meno strappato, ma da quell’acquaviva che gorgoglia dentro e corrobora il ritmo monastico quotidiano.

Di grande aiuto sono i corsi a distanza che consentono di perma-nere nel silenzio e nella solitudine pur curvandosi nello studio.

Diverte (ma anche un poco offende!) quando nel corso di unesame ci si sente apostrofare: «Guardi diritto nella telecamera!».Quindi è insinuata la presenza di un gobbo che agevolerebbe l’inter-ro g a t o r i o .

Chi così si comporta, non ha afferrato quanto lo studio per le mo-nache sia perfettamente gratuito. Non conta fregiarsi di un titolo,guadagnare una cattedra ma rendersi trasparenti al mistero dell’i r ru -zione di Dio nella storia. In quella contemporanea che cerca a tento-ni risposte. In quella personale che risponde in quanto donna delXXI secolo, abitualmente laureata e abilitata alla propria professione.

Non cade così il problema della “distrazione”? Dove per distrazio-ne si intenda tutto quanto distolga alla presenza di Dio nella Parolae nell’eucaristia?

Una conoscenza vera non distoglie ma conduce ad approfondire, alasciarsi trapassare dal mistero, non per ridurlo al nostro limitato ce-

rebro ma per portare, magari con fatica, il nostro cerebro sul pianodell’infinito e dell’assoluto.

Si gioca così un’altra relazione con la storia stessa, quella deglieventi quotidiani che toccano il vivere del cosmo, del pianeta,dell’Europa per giungere al microcosmo del proprio monastero.

La concretezza dei fatti esige una risposta altrettanto fattiva chesappia diventare lievito e oblazione di sé. Certamente non significaspaziare su tutti i giornali possibili e imbottirsi di gossip! Come pe-raltro accadrebbe se si fosse legati ancora al pregiudizio del gossip diassoluta specificità muliebre.

Si cammina fianco a fianco con tutta l’umanità, non su nuvolemaldestramente immaginate ma su realtà condivise e insieme patite.

La monaca allora non è costretta in binari mortificanti di esclusivilavori servili, in cui la linfa del pensiero e della conoscenza sia messain conserva e rinchiusa in un barattolo perché solo l’anima possa re-spirare e levitare.

Se accettiamo l’insegnamento del teologo Ratzinger la persona og-gi è aperta all’infinito, ne viene sfiorata e lasciata libera nell’aderirvi.

La strada della bellezza non può quindi che innamorare e traspor-tare. Cadono allora le cosiddette costumanze, retaggio di galatei ditempi passati e polverosi, e si lascia spazio a una creatività che si po-ne in ascolto della Parola e spende il proprio arco di storia nell’en-trarvi sempre più profondamente.

Il tempo richiesto dalla lettura, dall’assaporare i grandi testi dellanostra tradizione, forgia una giovane che non si relega nei servizi piùbassi perché così è certa di vivere in umiltà e di attirarsi le grazie delSignore. Questa concezione è sterile perché umilia la donna e non lafa fiorire per quella che è: persona pensante.

Indubbiamente tutto il mondo monastico richiede servizi di lavoromanuale ma non conta, in fondo, la postura interiore che rende qual-siasi servizio impregnato dell’assoluto?

Si avverte però ancora oggi il triste peso di una cultura maschilistain cui la suora e la monaca vengono considerate come ingranaggi dilavoro, mani laboriose e basta.

Bisogna abbattere alcuni muri e, magari a mani nude, aprirvi deivarchi, solo così la definizione della monaca di Hans Urs von Bal-thasar acquista tutta la sua luce: «Io ho incontrato Dio».

La testimonianza diventa visibile agli occhi della fede e di chiun-que si scopra pensante.

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Corpo di donna

di XABIER PI KA Z A

La donna biblica è corpo, non come materia opposta all’anima, ma co-me carne personale, in riferimento all’uomo (ad altri esseri umani) ea Dio, in una storia messianica aperta al compimento futuro. Questocorpo di donna nella Bibbia si può studiare da prospettive differenti,con diversi argomenti, che espongo qui in modo generale, tracciandouna visione che va dalla Genesi all’Apocalisse, nell’ottica dell’esegesicanonica o credente.

Genesi 1-2. Corpo di donna, una relazione. La donna biblica non èun corpo-dea, come la Venere o la Madre divina, dal ventre e dal se-no grande, che troviamo non solo nei popoli di quell’area, ma nellastessa terra d’Israele, dove essa è stata, insieme all’uomo-toro, il se-gno più frequente della divinità. Questa donna-dea (Ashera,Ishtar/Astarte o regina dei cieli) è stata cancellata e rifiutata dallaBibbia, ma la sua ombra (vuoto) riappare spesso, dal Pentateucoall’Ap o c a l i s s e di Giovanni.

Scompare la dea corpo ed emerge al suo posto il corpo concretodella donna persona, vincolata all’uomo in uguaglianza, come diceGenesi 1, 27-29 («maschio e femmina li creò»), formando così l’unica

umanità, a immagine e somiglianza di Dio. Il primo simbolodell’umanità non è quindi un uomo o una donna, ma i due uniti, co-me corpo duale, portatori di vita (siate fecondi e moltiplicatevi), condominio comune sulla terra.

Ma subito dopo aver detto «maschio e femmina li creò», Genesi 2,4-25 afferma, da una prospettiva diversa, che Dio iniziò creando unAdamo o (“essere umano”) nella sua totalità, con dominio sugli ani-mali, ma in solitudine, senza compagnia. Poco dopo, perché avessecompagnia, Dio fece scendere un torpore su di lui, tolse una costoladal suo corpo e plasmò con essa una donna in carne e ossa, di modoche scomparve l’uomo unità (totalità) e ne nacquero al tempo stessodue, come persone: l’uomo (con una parte fuori da se stesso, nelladonna) e la donna (anch’essa con una parte fuori da se stessa,nell’uomo).

In tal modo nacquero uomo e donna, allo stesso tempo, già comepersone, per cui l’uomo risultante poté proclamare la propria parola(come quella di Dio in Genesi 1), ratificando l’identità della donnache si leva già di fronte a lui, come corpo in relazione, ossia comepersona: «Questa volta essa è carne (basar) dalla mia carne e ossodalle mie ossa (…) Per questo l’uomo (ish) abbandonerà suo padre esua madre e si unirà a sua moglie (issah) e i due saranno una solacarne (basar)» (Genesi 2, 23-24).

Non ci fu pertanto un uomo previo, dal quale nacque poi la don-na, ma un essere umano indefinito, che, nel venire diviso da Dio, furicreato sotto forma di uomo e donna, due persone allo stesso tempo,una prima dell’altra e con l’altra, di modo che ognuna fosse al tempostesso dentro di sé e fuori di sé. Uomo e donna nacquero in tal sensoincompleti, ma in modo tale che la loro stessa carenza finì col pre-sentarsi come la loro maggiore ricchezza, perché ognuno trovò la suapienezza nell’altro ed entrambi poterono parlarsi e unirsi formandouna carne completa (b a s a r, s a rx ), l’umanità intera, come parola e cor-po condivisi.

Genesi 3, 1-8. Corpo di donna, rischio e ricchezza di Dio. La donnabiblica non è corpo-dea, come Ashera-Ishtar, ma è vicina alla divini-

SIMBOLI NELLA BIBBIA

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l’espressione di una corporalità fatta parola, da un lato dinanzi alDio della vita e dall’altro dinanzi al dubbio di Dio, che è il serpente,che la tradizione posteriore (cfr. Ap o c a l i s s e 12, 1-6) interpreterà comedrago anti-divino.

Genesi 3, 14-20. Madre di tutti i viventi. Solo in quel momento, quan-do la donna ha mangiato e ha dato da mangiare all’uomo il fruttodella conoscenza (occupando in qualche modo il posto di Dio), il te-sto ci può porre di fronte alla verità più profonda: «L’uomo chiamòla moglie Eva (hawwa, zoè), perché essa è/sarà la madre di tutti i vi-venti» (Genesi 3, 20).

L’uomo dice così che la donna non è più soltanto «carne dallamia carne e osso dalle mie ossa», bensì hawwa, ossia “vivente”. Nonè riuscita a essere Dio (ha mangiato il frutto della conoscenza, manon la vita di Dio), ma si è fatta Eva (hawwa, zoè), madre di tutto ciòche vive (kol hai, “di tutti i viventi”, ton zònton).

Certamente, la donna non è Dio in sé, ma è una corporizzazione

Docente della Facoltàdi teologia dell’Uni-versità pontificia diSalamanca (1973-2003),è esperto di esegesibiblica e di storia dellereligioni. Giàmercedario, è sposatocon María IsabelPérez Chaves.Tra le sue opere:Hombre y mujer en las

re l i g i o n e s (Estella,

tà, come il testo continua a indicare. L’uomo ha iniziato cantando ladonna («essa è carne dalla mia carne») ma poi resta in silenzio e la-scia l’iniziativa nelle mani di lei, che l’assume e si pone dinanzi almandato di Dio, in gesto di rischio e di grandezza.

La donna esplora così il significato della parola di Dio che ha or-dinato loro (a lei e all’uomo) «del frutto dell’albero [della conoscen-za] (…) non dovete mangiare (…), altrimenti morirete» (Genesi 3, 3).L’uomo è rimasto passivo di fronte a quella parola, come se nonavesse altro desiderio se non sua moglie. La donna invece dialogacon il suo pensiero interiore, che appare come serpente sacro, rischiae mangia il frutto dell’albero, porgendolo all’uomo perché anche luilo mangi.

Questa donna che esplora e mangia, penetrando con rischio nelcammino della conoscenza, nonostante l’avvertimento di Dio, è

L’a u t o re

La creazione di Evain una formella

di Andrea Pisanoper il campanile

del duomo di Firenze

Verbo Divino, 1996);Evangelio de Marcos

(Estella, Verbo Divino,2011); Las mujeres

en la Biblia judía

(Barcelona, Clie, 2013);Gran diccionario

de la Biblia

(Estella, Verbo Divino,2015); Evangelio

de Mateo (Estella,Verbo Divino, 2017).

di Dio, come incarnazione umana della vita infinita.Non è una semplice costola/carne dell’uomo, il qualescopre in e con lei la sua pienezza personale, ma pre-senza e linguaggio di Dio, perché appare come madrenon solo degli uomini, ma di tutti i viventi, poiché ilsuo corpo-vita è segno (parola viva) della feconditàcosmica.

Genesi 4, 6. Corpo, causa di peccato? Continuiamo aleggere e vediamo che la prima lotta e morte fra uo-mini non avviene per colpa di donne, come talvolta èstato detto, ma di fratelli che si affrontano (Caino eAbele in Genesi 4, 1-16); subito viene però la guerra acausa di donne, come indica il canto di Lamech, cheha preso due mogli, minacciando di uccidere chi toccherà il corpo diuna di esse (cfr. Genesi 4, 19-24). Emerge così il primo mercato e laprima guerra della storia, come disputa tra uomini a causa del corpo(e della maternità) delle donne. Per causa loro (per possederle e ru-barle) gli uomini combattono, istaurando una legge di dominio e divendetta. Il testo prosegue su questa linea, narrando il primo peccato“totale” della storia.

«Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nac-quero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini eranobelle (tobim, buone/appetitose, come il frutto della conoscenza, cheera tob, cfr. Genesi 3, 6) e ne presero per mogli quante ne vollero (…)

D ONNE CHIESA MOND O 36 D ONNE CHIESA MOND O37

C’erano sulla terra i giganti a quei tempi (…) gli eroi (gibborim)dell’antichità, uomini famosi» (Genesi 6, 1-4).

Questo passo riassume l’argomento di una tradizione molto diffu-sa negli apocrifi (1 Enoch, Giubilei, vari testi di Qumran) dove si diceche alcuni esseri angelici discesero in passato dal loro cielo per vio-lentare le donne, generando attraverso di esse i giganti guerrieri e/odemoni. Secondo questo racconto, il peccato “originale” (fondamen-tale) della storia è la violenza lasciva e possessiva di alcuni “figli diD io” (uomini forti) che possiedono e violentano donne, che sono“corp o” di attrazione-peccato per loro, iniziando una violenza checonduce al diluvio (Genesi 6-8), che avrebbe distrutto tutta l’umanitàse Dio non si fosse pentito salvando Noè e i suoi familiari.

La donna di Genesi 3 aveva mangiato il frutto dell’albero della co-noscenza, iniziando così una vita di rischio, per la quale appare come“madre di tutti i viventi”. Ma il peccato “originale” in senso stretto èstato quello dei figli di Dio (uomini in carne e ossa o angeli custodi)che cominciano a possedere le donne e che generano così i gibborim,guerrieri-violentatori maschili.

Corpo di donna, un rischio. Certamente, secondo Genesi 6, l’originedel male non era il corpo desiderabile-buono (tob) di Eva, che il pri-mo Adamo di Genesi 2, 23-24 aveva desiderato con gioia innocente,ma gli occhi malvagi dei “figli di Dio” (angelici o umani). A partireda qui però una gran parte della teologia successiva attribuirà la col-pa del peccato alle donne per il loro essere belle di corpo e attrarreaddirittura gli angeli (come pensa lo stesso Paolo in 1 Corinzi 11, 10,quando dice alle donne profetesse di coprirsi “a causa degli angeli”).

I suddetti due significati del corpo di donna (madre di tutti i vi-venti e oggetto di desiderio/peccato per gli uomini) attraversano l’in-tera Bibbia, come indica, da un lato il racconto di Sara, desidera-ta/posseduta dal demonio Asmodeo (nel libro di To b i a ) e dall’altro lamadre dei martiri maccabei (cfr. 2 Maccabei 7), che presenta la suamaternità come dimostrazione e testimonianza suprema della presen-za creatrice di Dio.

Tra questi due modi d’intendere il corpo di donna (segno del dia-volo o rivelazione di Dio) si muove tutto l’Antico Testamento, con ledonne straniere che tentano e distruggono gli israeliti (cfr. E s d ra eNeemia), ma anche con le matriarche e/o amiche che offrono la piùbella testimonianza del Dio della vita, da Agar a Sara (spose diAbramo) fino alla sulamita del Cantico dei cantici, che il libro esaltacon immagini e segni supremi di bellezza personale e pienezzaumana.

Gislebertus«La tentazione di Eva»

(particolare, Autun)

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GI O VA N N I 1,29-34

Tra i vangeli con cui siapre l’anno ascoltiamo latestimonianza resa a Gesùda Giovanni il Precursore,colui che discerne e pro-clama la presenza del Cri-sto che deve crescerementre lui diminuire (cfr.

Giovanni 3, 30), decentrandosi per diventare contutto se stesso segno che rimanda a lui. L’icono-grafia ce lo ricorda spesso nel porre in evidenzal’indice di Giovanni puntato verso di lui.

ME D I TA Z I O N E

Contagiatidalla luce

a cura delle sorelle di Bose

Tiziano, San Giovanni Battista (1542)

Al centro di questa storia resta il corpo sofferente, fatto parola edomanda, di molte donne, come quello della sposa/concubina del le-vita, consegnata, uccisa e divisa (cfr. Giudici 19) per iniziare una guer-ra di vendetta contro i beniaminiti, o quello della figlia di Iefte, sa-crificata dal padre al Dio della vittoria (cfr. Giudici 11). E restano an-che altre donne, come Ester e Giuditta, i cui corpi suscitano il desi-derio di nemici e di re potenti, che loro vincono o mettono al servi-zio della vita del popolo di Dio. E rimane infine la figlia-Sion (figliadi Sion), corpo di donna, come simbolo della città di Dio, Gerusa-lemme.

A modo di conclusione, Nuovo Testamento. Mi limito a riportare treriferimenti significativi.

Paolo riprende una tradizione che presenta Gesù come «nato dadonna, nato sotto la legge» (Galati 4, 4), vincolandolo così alla don-na con un tipo di sottomissione. Ma subito prima (Galati 3, 28) ave-va dichiarato che non c’è più «uomo né donna» perché tutti sono«uno» in Cristo, come credenti, persone, per reinterpretare, su questabase, il tema post-paolino di Efesini 5, 21-33, dove l’uomo-sposo ap-pare come capo e la moglie come corpo.

La tradizione dei vangeli dell’infanzia (Ma t t e o 1-2 e Luca 1-2) vin-cola la madre di Gesù con lo Spirito santo, presentandola come don-na che dialoga con Dio, non per impossessarsi della sua “conoscen-za” (come Eva in Genesi 3), ma per ricevere la vita di Dio nel suocorpo-persona, divenendo così madre del Figlio di Dio. In tal sensoappare come “donna forte”, ossia come gebirà (cfr. Luca 1, 43: «la ma-dre del mio Signore»), riprendendo e superando il segno delle ma-dri-dee (ventre e seno; cfr. Luca 11, 27).

Il libro dell’Ap o c a l i s s e presenta la metamorfosi di quattro donne.12, 1-6: donna madre celeste, che appare nel travaglio del parto, per-seguitata dal serpente di Genesi 3, trasformato ora in drago-diavolo.12,13-1: donna-Chiesa fedele, comunità messianica perseguitata sullaterra. 17, 3-6: donna prostituta, ricchezza assolutizzata che è servitadal potere militare (prima bestia) e dal potere ideologico (secondabestia), ovvero l’impero antimessianico di Roma, così come apparenel capitolo 13 della stessa Ap o c a l i s s e 21-22: la fidanzata che scendedal cielo. È la donna della salvezza definitiva, che è città (nuova Ge-rusalemme) e sposa dell’Agnello, espressione e compendio delle noz-ze di Dio con l’umanità. Nel cammino che porta la dea-madre deimiti orientali alla donna-sposa dell’Agnello, nuova Gerusalemme, sicolloca l’apporto della Bibbia al simbolo centrale del corpo delladonna.

D ONNE CHIESA MOND O 40

Non ci si dà la fede da se stessi, è necessariala testimonianza umana, e Giovanni sembra da-re inizio a questo movimento di traditio nel rico-noscere Gesù, che si rivela come colui che bat-tezza nello Spirito santo. Giovanni ripete dinon conoscere colui che era prima di lui, eppuresa riconoscere i segni del suo venire, sa prepara-re la strada adempiendo al suo compito, conquel che gli è dato da vivere, riconoscendolo co-me proveniente dal Padre.

Nei versetti precedenti al nostro brano si leg-ge una testimonianza in negativo: viene chiestoa Giovanni della sua identità ed egli rispondecon verità e franchezza quel che non è: non è ilCristo né Elia né il profeta. Dice di sé di essere«voce di uno che grida nel deserto: rendete di-ritta la via del Signore» (Giovanni 1, 23).

«In principio era il Verbo, e il Verbo erapresso Dio, e il Verbo era Dio» (Giovanni 1, 1):il Verbo, la Parola fatta carne che il mistero delNatale ci ha fatto contemplare è la luce vera ve-nuta nel mondo per illuminare ogni uomo (cfr.Giovanni 1, 9). E a «rendere testimonianza allaluce» venne un uomo, scrive l’evangelista, il cuinome era Giovanni, venuto come «testimone adare testimonianza alla luce» (Giovanni 1, 7).

Questo il compito del Precursore, e con luidi ogni credente: lasciar risplendere la presenzadel Figlio, il veniente, colui che è già in mezzoa noi.

«Vedendo Gesù venire verso di lui»: Gesùviene, e Giovanni vede che Gesù viene. Occorresaper vedere e riconoscere questo suo venire, dicui diventare testimoni.

«Io non lo conoscevo»: c’è un approssimarsi,un approfondirsi della relazione. È necessariodel tempo, come per ogni relazione, che richie-de attesa perché ci si possa accogliere, incontra-re, conoscere. Occorre tempo «perché il deside-rio, purificato dall’ascolto, diventi occhio capacedi vedere ciò che è già donato» (Silvano Fau-sti). Giovanni attende Gesù senza conoscerlo,

eppure può conoscerlo proprio perché lo atten-de.

Lo riconosce per sé e lo indica ad altri, fa se-gno, è segno della presenza di Gesù, il maestro.L’identità di Gesù si precisa sulla bocca delPrecursore: è «l’Agnello di Dio, colui che togliei peccati del mondo». Il verbo può indicare ilprendere sulle spalle, quindi il condividere, maanche proprio il togliere via, il liberare: l’incon-tro con il Signore può rendere capaci di vincereil peccato, la radice di tutti i mali, la forza cheorigina i comportamenti che allontanano dallaluce, la tenebra che inficia la capacità di vederee distinguere.

La voce del Padre lo rende capace di vedere econtemplare il rimanere dello Spirito su Gesù,in Gesù. Lo Spirito discende dall’alto e rimanesu di lui: saranno i primi discepoli, «il giornodopo» a rimanere-dimorare con Gesù (cfr. Gio-

vanni 1, 39).

«E io ho visto e testimoniato»: la visioneesteriore diviene conoscenza intima, possibilitàdi approfondimento dello sguardo interiore, equesto plasma l’esistenza intera.

In tutto il nostro racconto Gesù non proferi-sce parola. È colui che viene verso Giovanni,per il quale diviene oggetto di contemplazione,rivelazione del rapporto tra il Padre e il Figlioattraverso lo Spirito. Di questa contemplazioneGiovanni ci rende partecipi grazie al suo testi-moniare, al suo essere segno della presenza delS i g n o re .

Chiediamo allora al Signore di renderci at-tenti a riconoscere la sua presenza, ad attender-lo nelle nostre vite tanto da lasciarci da lui in-contrare, e poterlo in questo modo conoscere ericonoscere. Così, ricolmi della sua luce, conta-giati dalla testimonianza di Giovanni, potremoanche noi, personalmente e comunitariamente,indicare il Signore Gesù, diventare segno stupi-to e gioioso della sua presenza.