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anno 1 - numero 0 - 2007 1

frammenti

Un giornale “del” carcere o “per” il carcere?

Se vi piace, preferirei “del” carcere “per” il carcere.

Sono fermamente convinto che dal confronto di idee tutti possano trarre benefi-

cio, a condizione che ci si disponga non partendo dalla errata convinzione di esse-

re depositari di Verità assolute e immodificabili, ma pronti a recepire tutto quanto

possa in qualche misura contribuire al miglioramento delle condizioni sia detenti-

ve che lavorative di quanti, volenti o nolenti, in questo mondo trascorrono momen-

ti importanti della loro esistenza.

Qualcosa infatti accomuna l’operatore penitenziario ed il detenuto: è il “clima

generale dell’organizzazione” in cui si è a diverso titolo inseriti.

Se l’ambiente di lavoro è sereno, infatti, ne beneficerà l’operatore penitenziario,

a cui sicuramente farà più piacere poter tornare a casa senza portarsi dietro preoc-

cupazioni e tensioni tipiche di una difficile giornata lavorativa; ne potrà beneficia-

re la persona detenuta, che avrà la possibilità di vivere la sua difficile condizione di

persona privata della libertà personale in maniera costruttiva, pensando al rientro

nella società con ottimismo.

Intorno al giornale potranno essere valorizzate le esperienze quotidiane della

“comunità penitenziaria”, spesso ignorate anche dalla cosiddetta “società civile”.

Si potrà conoscere ed apprezzare il senso di un servizio reso allo Stato ed alla

comunità tutta spesso nel silenzio e nell’indifferenza; si potrà vedere e scoprire che

dietro il “delinquente” c’è un “Uomo”, che ha commesso un errore e lo sta pagan-

do, ma che, opportunamente guidato e supportato, ha tutte le carte in regola per

riacquistare pienamente e legittimante il posto che gli spetta nella sua comunità,

nella sua famiglia, nell’intera società.

Concludo con un ringraziamento a tutti coloro i quali vorranno dare il proprio

contributo alla realizzazione del giornale ed agli operatori penitenziari che hanno

consentito l’avvio del progetto attraverso il loro personale impegno.

Auguri a tutti!!!

Dott. Liberato Guerriero

Il saluto del Direttore

anno 1 - numero 0 - 20072

frammenti

Le alternative al carcere nonmancano nella legislazionesugli stupefacenti, anche

dopo che la legge Fini-Giovanardivi ha fatto la sua pesante iniezio-ne di repressione. Anzi. Sia inmateria di custodia cautelare percoloro che hanno un processo incorso, sia in materia di esecuzio-ne della pena, la legislazione pro-pone una preferenza per le solu-zioni alternative al carcere, se iltossicodipendente - o anche l’al-cooldipendente - avanzano unarichiesta per lo svolgimento di unprogramma terapeutico idoneo,del quale sia documentata la pos-sibilità. E, allora, perché i tossico-dipendenti continuano ad esseretanti in carcere? Quali ne sono leragioni?

Era singolare che il DPR309/90, che già conteneva quellepossibilità di alternative, conte-nesse anche l’art. 95, con la pre-visione di “istituti (carceri) idoneiper lo svolgimento di programmiterapeutici e socioriabilitativi” edestinasse in particolare a questifini l’acquisizione di case manda-mentali (istituti di piccole dimen-sioni gestiti dai comuni, oggi sop-pressi). Fra l’altro fu attivatoanche un vasto programma edili-zio al riguardo, con spese rag-guardevoli, e poi semiabbando-nato, con risultati minimi. Si pen-sava, in sostanza, che il carcere itossicodipendenti li avrebbe avutisempre con sé, che sarebbe statobene pensare ad istituti diversidai soliti e, poi, ci se ne è dimen-

ticati: i tossicodipen-denti ci sono rimasti emolto numerosi e sonorimasti nei soliti carceri.

Quanti sono? Tanti!Prima dell’indulto eranocirca il 27% del totale:erano stati sorpassati, inquesta gara coatta frapoveri, dagli stranieri,ormai al 33% (inToscana, gli stranieri, al31/7/2007, erano il48%: a proposito della“politica lassista” neiloro confronti). Si tengaconto di un altro dato:quello della quota distranieri arrestati perreati della legge stupe-facenti sono circa il60% degli stranieri nel2005 e restano tanti nel2006. Evidentementemolti sono detenuti perlo spaccio al minuto, mamolti di loro sono diven-tati tossici nel corsodella loro attività: unamalattia professionalecome un’altra.

In numeri assoluti,comunque, i tossicisono calcolati in 17.000circa, con riferimento alle presen-ze prima dell’indulto: di questi,un terzo erano in custodia caute-lare. Dopo l’indulto, si è rovescia-to il rapporto fra detenuti incustodia cautelare e in esecuzio-ne di pena, per cui sono questi,oggi, che sono circa un terzo del

totale, che è però diminuito, acirca 46.000 presenze, peraltro inrapida crescita.

Il numero prima dell’indulto siavvia dunque a riformarsi: anzi, laFini-Giovanardi con la sua vogliadi galera, farà operare il balzo inavanti. Ci sono criteri diversi nelle

Due problemi complessi peri quali non sono accettabilisemplificazioni ideologicheo, peggio, propagandisticheche, viceversa fanno polpette della serietà, del buonsenso e persinodella fantasia

editoriale

TOSSICODIPENDENZAE CARCERE

anno 1 - numero 0 - 2007 3

frammenti

singole carceri per calcolare talipresenze. E’ quindi probabile cheil numero di persone detenuteche hanno incontrato gli stupefa-

centi fino a farlo diventare unproblema siano più di quelli cherisultano dalle approssimativestatistiche esistenti.

Si pone proprio a questo pro-posito la questione centrale: lanecessità di un filtro all’ingressosu tutti i detenuti che entrano incarcere, filtro che chiarisca qualisono le persone con problemi didipendenza e le prenda in carico.Come è noto, l’assistenza e curadei tossicodipendenti in carcere èpassata al servizio sanitario nazio-nale. La presenza dei SERT all’in-terno degli istituti resta, in variistituti (nella mia esperienza nonpochi), molto debole, così chequesto filtro totale non viene

compiuto. I casi si evidenziano dasoli per particolari situazioni criti-che, non vengono evidenziatiattraverso una ricerca capillare.

Si noti che vi sonobuone prospettive per-ché tutto il serviziosanitario penitenziariopassi al servizio sanita-rio nazionaledall’1/1/2008.

Allora il SERT inter-no diventerà parte delservizio sanitario inter-no, sarà una parte dellaASL che svolge il pro-prio lavoro in un datocarcere. E’ lecito spera-re che il servizio sanita-rio complessivo dovràprendere in carico iSERT e dare loro unaidoneità organizzativacapace di prendere incarico, a loro volta, tutticoloro che presentanosituazioni di dipenden-za. Prendere in carico èessenziale, ma nonbasta: bisogna avere adisposizione le risorse

che possono dare risposte alledomande che vengono dai casiindividuati, risposte che nondovranno operare discriminazio-ni, come quelle in atto per glistranieri.

Effettuata la presa in carico, sideve lavorare con gli interessatiper la accettazione di un pro-gramma da attuare in alternativaal carcere. Non tutti sono pronti eentusiasti a sentire parlare di que-sto, non a tutti basta la prospetti-va di lasciare il carcere, molti cistanno, a loro modo, tranquilli esenza alcun impegno.

Questi sono quelli che non sifarebbero vivi e invece ancheper loro deve valere il tentativodi costruire un rapporto e di

finalizzarlo ad una alternativa alcarcere: per loro sarà un impe-gno di cui farebbero a meno,ma si tratta di stimolarli a prova-re, di fare qualcosa anzichélasciarli andare alla deresponsa-bilizzazione del carcere e aisogni di un buco. Insomma: undiscorso non facile, ma è quelloper cui il servizio esiste.

Accanto alla efficienza del ser-vizio per le dipendenze, dotatodelle risorse necessarie per pro-porre qualcosa a tutti (sia conprogrammi ambulatoriali presso iservizi, sia con programmi comu-nitari), ci devono essere gli opera-tori penitenziari (educatori, assi-stenti sociali) in grado di collabo-rare con le loro competenze peravviare e svolgere il percorso cheporta alle decisioni del tribunaledi sorveglianza. E anche qui civorrà attenzione e la convinzioneche il carcere come tale non serveperché il tossico rifiuti, una voltain libertà, le sostanze, ma che,per questo, servono le alternativeal carcere per la attuazione deiprogetti terapeutici e socioriabili-tativi.

Ritorniamo alla domanda ini-ziale. Perché tanti tossicodipen-denti in carcere? Perché ognunodi questi passaggi - i SERT, gli ope-ratori penitenziari, l’autorità giu-diziaria o la magistratura di sorve-glianza - presentano varie debo-lezze organizzative e di convinzio-ni sulla necessità di battere la stra-da delle alternative al carcere. Ilcarcere è la risposta semplice, conla quale sono perfettamente com-patibili le varie debolezze dellecomponenti del sistema.

C’è la volontà di cambiare? Ovviamente dimenticando e

possibilmente facendo fuori laFini-Giovanardi.

Sandro Margara

anno 1 - numero 0 - 20074

frammenti

Tribunale di Sorveglianza:anche in tal senso laCampania è un circuitochiuso dove non si scor-

ge uno spiraglio di luce.Non si fa altro che parlare di

reinserimento nella società, masolo a chiacchiere, i fatti sono inalto mare. La disparità e la discri-minazione tra una persona dete-nuta al sud e l’altra al nord èimmensa anzi, forse è il caso didire che una persona che capitanel guaio giudiziario, nella sfortu-na deve avere la fortuna di esseredetenuto in un carcere del nord,per quanto lontano dalla suafamiglia, solo per avere delle misu-re alternative al carcere una voltache il suo reato sia diventato defi-nitivo.

In carcere nessun Magistrato diSorveglianza crede nel reinseri-mento della persona detenuta,nonostante il soggetto abbia par-tecipato a tutte le opere di riedu-cazione offertegli dall’istituto. Irigetti dei benefici richiesti sonotutti supportati dagli stessi motivi,confrontandoli sembrano fotoco-pie, cambiano solo i dati dei desti-natari, e naturalmente tutti respin-ti: una volta si tratta del lungo finepena, un’altra per ulteriore osser-vazione, il più comune è quellobasato sulle informazioni negativeda parte degli organi di polizia, enon si tratta certo della PoliziaPenitenziaria, bensì della Polizia diStato o dei Carabinieri, i quali nonsolo sono completamente al buiocirca gli eventuali cambiamentiavvenuti durante la detenzione,ma essi sono istituzionalmentededicati all’arresto delle persone e

certo non possono vedere di buonocchio alcuna motivazione permettere una persona detenuta inmisura alternativa.

A tal punto che quasi mai laloro relazione chiesta dalMagistrato risulta positiva.

Forse sarebbe più opportunoprendere in considerazione larelazione sul soggetto fatta dall’i-stituto penitenziario, che giornoper giorno segue le personeristrette, sia perché è più aggior-

nata e sia perché, avendo piùcontatto diretto con il soggetto,può dare un giudizio comporta-mentale più vicino alla realtà. Inverità si tratta solo di un pretestoper rigettare la richiesta.

Ora, è pur vero che inCampania c’è un alto indice dicriminalità, così com’è vero chesono stati tanti a non rispettare lemisure alternative una volta con-cesse, però non è giusto genera-lizzare e penalizzare tutti, magari

teorica/mente

Reinserimento a

anno 1 - numero 0 - 2007 5

frammenticontro/versi

anche chi veramente vorrebbeche gli venisse tesa una mano inun percosso già così difficile.Penso che a qualsiasi essereumano gli si dovrebbe concedereuna seconda possibilità nella vita,dargli la possibilità di riscattarsi enon è giusto non concedere unapossibilità solo perché un magi-strato parte dal presupposto chesbaglierà ancora. Fanno tutti delfinto moralismo sul reinserimen-to, ma nei fatti non c’è niente.

Pretendono che una volta fuorinon si commetta nessun tipo direato, ma non si curano di but-tarlo fuori a fine pena senza unpunto di riferimento lavorativo eassistenziale, forse è propriodopo avere pagato il suo debitocon la giustizia che un soggettova aiutato e magari fargli capireche la sua maggior colpevolezza,a prescindere dal suo tipo direato, sia proprio quella di butta-re la propria vita in questo modo.Anzi, forse la carta del riferimen-to orientativo all’esterno, dellavoro, dovrebbe essere giocataprima che la pena finisca,mediante le misure alternative alcarcere appositamente istituite edi cui il Magistrato giudicantetiene conto nel comminare unapena. Se davvero si volesse unamaggiore sicurezza sociale, alloraquesti percorsi non dovrebberotrovare l’ostilità che vediamo suigiornali ogni volta che capita la…mela marcia, quando si mette incroce il Magistrato che ha con-cesso tale beneficio.

Si tratta quasi sempre diMagistrati giovani, che dunquelegittimamente pensano alla car-riera e che la crocifissione media-tica mette seriamente in discus-sione. E, si sa, un modo per nonincorrere in errore c’è: assumen-do meno rischi possibili. Eccolosvelato l’arcano che induce lagran parte dei Magistrati diSorveglianza a bocciare le richie-ste di misure alternative, pur inpresenza - come succede spessis-simo - dei requisiti necessari d’ac-cesso.

Carmine Caruso

chiacchiere Io ci saròI conti daccapo farò.Vedrò cosa manca, quali macchie si sono diffuse nell’anima, nel cuore, sull’agenda, cancellando persempre una data, un nome.Io, di lato, muto satellite. Con rimedi occasionali cercherò di tenere a bada il mal di luna, il mal di testa.Non abbandonarmi, amore, abbi la benevolenza di aspet-tarmi, di assistermi se saròpunto dallo scorpione. Tracciami la giusta rotta!Con te mi alleerò, per com-battere il caos che avanza.Tese ho le antenne!Le unghie affilate!Spinto dall’ansia di vederedove precipiterà il magma del Vesuvio.I conti daccapo farò, per arginare le perdite…

Raffaele Corona

OrizzonteLe cose belle hanno sempre in sé il loro splendore come l’imbrunire del tramontoche regala a noi, comuni mortali, quell’emozione d’incontro, prima di sparire d’incanto dietro la linea d’orizzonte.Adesso che non ho la luce dei tuoi occhi, ora che si è abbassato l’orizzonte sulla prigione, mi sento un comune mortale, spento nel buio della notte...senza il tuo amore!

Michele Badini

anno 1 - numero 0 - 20076

frammenti

Sono Attilio, ho 40 anni eun’infanzia travagliata,emigrante con famiglia in

Germania, i miei genitori sonofigli del dopo-guerra, senza istru-zione e senza lavoro, ma con l’ar-te del sopravvivere, i nonni, inve-ce... contrabbandavano sale dallaSicilia. Mio padre è cresciuto ven-dendo bibite sui treni e con qual-che problema con la giustizia.

Eravamo 6 figli, ora 5; oggicapisco perchè papà menava leguardie della ferrovia, con 6 boc-che da sfamare! Ed io sono cre-sciuto in tutto questo, imparandosin da piccolo a vendere le siga-rette di contrabbando e bibite suitreni per tutta l’Italia. Il mio giocoera... la responsabilità di portare isoldi a casa, e... crescendo inquesto modo ho incrociato ladroga. Un innamoramento.Sembrava la medicina per tutte lemie responsabilità che avvertivocome un gravame insopportabile.

Ovviamente non tardò ad arri-vare anche l’esperienza del carce-re con tutto il suo peso distruttivo,le comunità e quindi... ancora sof-ferenze, lontano dalla mia fami-glia. Alla fine degli anni novantacapisco di essere stanco, senza piùforza di fare storie di droga.

Cominciai a chiedermi “perchèmi drogo?”, decisi così di iniziareun programma alla ComunitàAquilone a Potenza, per capirecosa mi spingesse giorno dopogiorno, ora dopo ora a farmi.

Le regole, una vita di orari, igruppi, i lavori terapeutici, ledelusioni, i lutti, i desideri, i disa-gi, non pensavo sarebbe stato

così, la mia vita così eratotalmente diversa, manonostante tutto sonoriuscito a portare il pro-gramma avanti conserietà. Il carcere per unverso e la comunità perun altro.

Non uno spazio indi-viduale, una vita solo esempre collettiva. Il risul-tato lo vedo oggi, conuna famiglia, un figlio eduna casa.

Sono tornato nel car-cere dopo 10 anni, perrapina (ho usato cocainae farmaci), e dopo averpagato tutto con la giu-stizia mi ritrovo con laspecifica reinterata, e quindi nonso a cosa vado incontro.

La mia domanda è “noi ex otossicodipendenti, avendo la sen-sibilità particolare, siamo fortuna-ti o sfortunati in questa vita?”. Ilmio senso di colpa è esserepadre, per quanto l’ho sempredesiderato, oggi mi trovo ai collo-qui a giocare con mio figlio,come nel film di Benigni “la vita èbella”. Lui sa che io lavoro, ridi-pingo le stanze, e ogni stanza èun punto, e più punti faccio...prima torno a casa.

Mi ritrovo sempre a doverripartire da capo, a ricucire rap-porti e relazioni. Dopo la strada,dopo il carcere, dopo la comunitàe poi di nuovo dopo il carcere.

Mi chiedo come farò a spiega-re a mio figlio una vita così dan-nata, nella quale certo c’è la miaresponsabilità, ma c’è pure la

volontà di riprovare ad uscire daquesti bordelli una volta pertutte, anche perché ormai si trat-ta... fare il ripetente a vita, o diinforcare nuovi sentieri, girarepagina… So che non è facile, cheavrei bisogno di aiuto, ma chipuò ragionevolmente investire suun ex tossico?

Sapete che c’è? Che mi sentoanche una persona! Che vorreiessere trattato come tale e nonpiù come una pratica polverosa inchissà quanti polverosi uffici. Unapersona piccola piccola, comeuna formica, ma pur sempre unapersona… che ha il problema didover spiegare la propria vita adun bimbo che velocemente cre-sce e comincerà a fare domande,a non accontentarsi più del pun-teggio delle stanze colorate.Qualcuno se la sente di aiutareuna formica?

Attilio Perna

La formica: piccola-grandepotenza sociale

il racconto

anno 1 - numero 0 - 2007 7

frammenti

Tanti sono in tutta l’Italia adire ergastolo, carcere avita, come un male chenon si può curare. La

sopravvivenza dell’ergastolano èla cosa più devastante che possaannidarsi in un essere umano.L’unica ragione che alimenta que-sta sopravvivenza è l’affetto deipropri cari che costituiscono lasola ragione di vita.

Dal nord al sud, isole compre-se, chiedano l’abolizione dell’er-gastolo; imprigionare una perso-na per sempre è un come untogliere tutto e non lasciare nien-te, neppure la sofferenza, ladisperazione, il dolore.

Con l’ergastolo la vita diventauna malattia e gli ergastolani nonvengono uccisi, peggio, sonolasciati morire, goccia a goccia,giorno dopo giorno, ora dopoora! La pena dell’ergastolo superai limiti della ragione e fa diventareesclusivamente corpi gesticolanti,neppure la pace del cimitero!

L’ergastolo comporta in primoluogo una palese violazione dellanostra Costituzione, il cui articolo27, non lascia spazio a dubbi.Forse il richiamo alla CartaCostituzionale è diventato desue-to, visto lo scempio che ne è

stato fatto specialmente negliultimi anni. Tuttavia, se si vuoleuscire dal marasma completo nelquale è caduto tutto il mondopolitico, dobbiamo trovare unpunto dal quale poter dire “daqui io parto”, e quel punto dipartenza, o ripartenza, non puòche essere proprio quella matriceuniversalistica condivisa per tutte

le leggi, per tutte le regole: laCarta Costituzionale!

“Le pene non possono consi-stere in trattamenti diversi dalsenso di umanità e devono tende-re alla rieducazione del condan-nato”, è l’articolo 27 dellaCostituzione a dirlo.

Ora, sorvolando sulla parola“rieducazione” che per un versoè superato dalla storia e per altroverso forse richiama esperienzefatte ad altre latitudini, dove “rie-ducavano” coi lavori forzati (maallora non lo si sapeva), il sensocomplessivo di questo articolosembra suggerire che non puòessere rimosso gratuitamente ilfine della condanna, il nessoteleologico della stessa punizione,altrimenti insensata. Ma suggeri-sce anche quel senso di umanità,che è cosa ben diversa dal “finepena mai”.

E’ cosa ben diversa dalla can-cellazione di ogni speranza: una

pena che uccide ad ogni istante;ogni giorno morire ancora unavolta, è davvero faticoso, sovru-mano. Una vendetta incredibile,che serve (se serve) solo a riempi-re… la pancia, il basso ventresenza testa!

Morire ogni giorno, ogniistante, ancora una volta, senzasoluzione di continuità, è davvero

qualcosa che rasenta la folliapura, alla pari e di più della penadi morte, che tanto deprechiamoe che certo, è dimostrato, nonfunziona neppure da deterrente!

Giuseppe Gianicolo

La carica dei 600

Non sempre ci si rendeconto di quanti e qualiguasti derivano dallamanipolazione opportu-nistica della Costituzione

Articolo 27 della Costituzione

La responsabilità pena-le è personale.L’imputato non è consi-derato colpevole sinoalla condanna definitiva.Le pene non possonoconsistere in trattamen-ti contrari al senso diumanità e devono ten-dere alla rieducazionedel condannato.

lo sguardodalle sbarre

anno 1 - numero 0 - 20078

frammenti

Da qualche parte delmondo, in questomomento, ci sonoprigioni segrete,che nessuno cono-

sce. Dentro sono rinchiuse perso-ne-fantasma, che possono esseretorturate, non hanno alcun con-tatto con l’esterno e non hannodiritto a farsi difendere da unavvocato.

La loro vita è appesa al filodella sospensione - in nome diuna legge - di ogni legge e diogni garanzia costituzionale.L’obbrobrio giuridico che ha con-dotto a questo stato di cose sichiama Patriot Act e venneapprovato in fretta e furia, invirtù dei poteri straordinari confe-riti al presidente, nell’America diBush all’indomani dell’11 settem-bre del 2001. Il clima negli StatiUniti, allora, era da psicosi collet-tiva. La politica era più che maiostaggio della paura, della retori-ca patriottica, della sindromedella potenza assediata. Nessuno(neppure il partito democraticoall’opposizione) osava contraddi-re il presidente-comandantesupremo, pena essere indicatocome un fiancheggiatore del ter-

rorismo internazionale. La parolad’ordine inventata dal presidenteBush, e servilmente ripetuta datutti i principali giornali e televi-sioni americani, era brutalmentesemplice e ultimativa: “Chi non ècon noi, è contro di noi”. Questoslogan venne strombazzato aduso interno e verso l’esterno. Eradiretto cioè all’opinione pubblicaamericana e a tutti i governi delmondo, all’Onu, alle istituzioniinternazionali. L’obiettivo dichia-rato era combattere il terrorismodi Al Qaida con ogni mezzo. Cosìfu e... così è ancora.

Sono passati più di sei anni daquei giorni. L’unilateralismo ame-ricano, nel frattempo, si è tradot-to nella guerra preventiva, nell’in-vasione dell’Afghanistan e poidell’Iraq (sulla base di prove falsesu presunte armi di distruzione dimassa che non esistevano), al dilà e contro il parere dell’Onu(massimo organismo della lega-lità internazionale). Due guerreche hanno avuto un esito total-mente fallimentare, con un caricodi centinaia di migliaia di mortiinnocenti, insicurezza generaliz-zata, nazioni distrutte, intereregioni del pianeta rese instabili,

nuova corsa agli armamenti. Edespansione di quel terrorismo chesi proclamava di voler combatte-re. Un disastro!

Se questi sono stati gli esiti nelpanorama mondiale, l’altra gran-de vittima lasciata sul campo èrappresentata dal diritto. Ma nonè solo il diritto internazionale (cheregola i rapporti tra gli Stati), adessere stato brutalizzato e calpe-stato. Il Patriot Act ha spalancatole porte alla tortura, alle prigionisegrete della Cia sparse nelmondo, alla cattura - al di là diogni regola - di cittadini stranieri,all’istituzione di veri e proprilager, come il campo di concen-tramento di Guantanamo, istitui-to in una base militare americana

...l’inl’attualità

anno 1 - numero 0 - 2007 9

frammenti

al di fuori del territorio america-no, dove per lunghissimo temponon si è potuto conoscere neppu-re il numero esatto dei detenuti.

Il punto è che tutto questo haavuto un effetto a cascata, cheha valicato ampiamente i confinidegli Stati Uniti, producendo unariduzione delle libertà democrati-che e un arretramento generaliz-zato del dibattito sui diritti: in

primo luogo, dei diritti dei dete-nuti. Da questo punto di vista èapparsa per molti versi parados-sale la vicenda del boss mafiosoRosario Gambino. Un giudiceamericano ne ha negato l’estradi-zione in Italia con la motivazioneche il detenuto avrebbe rischiato-una volta estradato- di esseresottoposto al regime del 41bis,considerandolo una forma di tor-

tura. “Da che pulpito!”, è stato(giustamente) osservato. Macome? Proprio loro che hannoancora nel loro ordinamento lapena di morte, proprio loro chehanno commesso atrocità nelcarcere di Abu Ghraib (con lievis-sime condanne per gli aguzzini,in alcuni casi addirittura con lapromozione dei militari torturato-ri), proprio loro che hanno osta-colato le indagini su MarioLozano, il marine che ha uccisoNicola Calipari a Baghdad, pro-prio loro se la prendono con il41bis? Il fatto è che la decisionedel giudice californiano D.Sitgraves non corrisponde affattoall’orientamento del potere politi-co, tanto è vero che l´amministra-zione Bush ha presentato ricorso.E tanto per chiarire come real-mente stanno le cose, proprio ilgiorno successivo alla pubblica-zione sul Los Angeles Times delcaso-Gambino, la tv americanaCbs ha trasmesso un servizio sulcarcere speciale Supermax diFlorence, in Colorado. Le cellesono sotterranee, senza finestreche guardino il cielo. I detenuti

ferno pulitoIl terrorismo è sempre l’esito delle separatezze,dove la legge della giungla -la legge del più forte-declina la sua ragione tentando di omologarlafuori e lontano da ogni anelito di giustizia. E’ la ragione della forza, già più volte condannatadalla storia, che fa strage della convivenza pacificadegli individui, dei popoli, del pianeta.

>continua

Racconto favole perché nonho la pazienza di ragionare.Ho allergia per le molteparole. Le favole non cam-biano il mondo, ma

possono aiutarci a cambiare la vita.So che è difficile fare Natale incarcere. Tutto è difficile in carcere,soprattutto a Natale. Ma, a qual-siasi costo, dobbiamo vivere, “oggi equi”. Non possiamo perderci. E forse anche “oggi e qui” troviamo unaiuto, una speranza, una via.

C’era una volta una vecchia caffettiera.Abbandonata sulla montagna di

immondizie nella discarica pubblica.Buttata via dai signori del palazzo

di città.Non serviva più... era stata sostitui-

ta da una moderna macchina per caffè.Malinconica ed abbattuta era lì...

non serviva più, la vecchia caffettiera.Era la notte di Natale, passava di

là un vecchio barbone per cer-care tra le immondizie la suafortuna.

Vide la vecchia caffettie-ra, la guardò con tenerezzae la portò con sé, sotto ilponte dove era la sua

casa di cartoni. La pulìcon cura.

Quella notte la vecchia caf-fettiera brillava come le luci di

Natale. Il vecchietto lariempì di caffè e la poggiòsul fuoco.

Pieno di gioia, dopopoco tempo, la bella caf-

fettiera inondò l’aria di unsorprendente profumo.

Si avvicinarono altri barboni attrattidall’insolito odore. Si accovacciarono insieme,

sotto il ponte, intorno alla vecchia caffettiera.Trascorsero così il loro Natale.Grazie, vecchia caffettiera.

Carlo Petrella

anno 1 - numero 0 - 200710

frammenti

sono rinchiusi per 23 ore al gior-no e l’ora d’aria si svolge in un’al-tra cella, dove vengono condottiincatenati. Una sola telefonata almese, giornali e riviste censurati.Nelle celle di 2 metri per 3,5 unatv in bianco e nero trasmette soloprogrammi a circuito chiuso. LaCbs ha intitolato il suo servizio“L´inferno pulito”.

Lo scenario mondiale è que-sto. Ed è in questo scenario cheoggi appare più difficile e compli-cato rilanciare il dibattito sullecondizioni della pena, sul tratta-mento dei detenuti, sui regimicarcerari. L’imbarbarimento deldiritto ha fatto abbassare la

soglia dei diritti. Che è sempreabbassamento di civiltà. Mentreci si attarda ancora nella polemi-ca sull’ultimo indulto, nel dibatti-to politico è entrata di prepoten-za una singolare espressione: insi-curezza percepita. Dando perscontato che non è alla giusta elegittima domanda di sicurezzadei cittadini che lo Stato ha ildovere di rispondere, ma alla per-cezione della sicurezza-insicurez-za. Procedendo secondo questoschema, si rischia di entrare nel-l’ordine di idee secondo il qualenon è con la realtà che saremmotenuti a confrontarci, ma con lasua rappresentazione mediatica.Detto in parole più semplici, ilrischio è quello di spostare l’at-tenzione su fasulle emergenzesociali, montate da una partedella stampa e della politica, perdare una sensazione, una perce-zione di sicurezza. Con la conse-guenza di criminalizzare lapovertà, il disagio sociale e la pre-carietà. Così, se non esiste nes-sun articolo di legge che vieta di

pulire il vetro di un’automobile, èil lavavetri in sé che viene rappre-sentato come un criminale. Manon sembra proprio che conl´espulsione o l´incarcerazione diqualche povero cristo si affronta-no seriamente i temi della giusti-zia. In Italia sono in costruzione17 nuovi istituti di pena: rappre-senteranno un’occasione per ren-dere più civili le condizioni dellecarceri o risponderanno semplice-mente all’esigenza di mostrareche c´è più carcere? L’aria che tiranon sembra delle migliori, nonsolo a Guantanamo.

Francesco Romanetti

la favola

La Ca

ffettie

ra

anno 1 - numero 0 - 2007 11

frammenti

Ho letto sui vari giornalie ho sentito la notiziaper i vari mass-mediache la sonda inviata sul

pianeta Marte è alla ricerca dellavita su quel pianeta. La ricerca èconcentrata sull’acqua, la cui pre-senza in ogni stato (solido, liqui-do o gassoso), testimonierebbe lapresenza di qualche forma di vita.

Per questa ricerca sono stateprofuse molte risorse, soprattutto

economiche (si parla di milioni didollari... parecchi). Sono curiosodi vedere quando e se scopriremola presenza di vita su Marte, checosa cambia per noi.

Io conosco un pianeta delnostro sistema solare, sul qualesicuramente c’è l’acqua, e vi assi-curo che c’è vita. Per scoprirlonon ho speso un centesimo, mi è

bastato scendere dal letto questamattina e prendere coscienza,dopo essermi lavato la faccia,appunto con l’acqua, di esseresul pianeta Terra. Poi ho letto suuna rivista che ci sono degli abi-tanti di questo pianeta, e precisa-mente nel continente che chia-miamo Africa, che per accedereall’acqua, sono costretti a fare trechilometri a piedi nella giunglaper andare a bere in un corso

d’acqua dove poche deci-ne di metri oltre ci sonocarogne di animali, poi siammalano e muoiono per-ché non hanno i soldi percurarsi e non ci sono nem-meno le strutture percurarli.

Cari Signori “padronidel mondo” basterebberomolti meno dollari per farein modo che questa risorsa(l’acqua) giunga a tutti,ricordate che il mondo chestate costruendo sarà l’e-redità dei vostri discenden-ti, i quali vi giudicheranno.Non basta abitare in casedi super lusso, super blin-

date, avere vestiti caldi e profu-mati; l’olezzo delle vostre nefan-dezze va oltre le apparenze esupera ogni parvenza di “civiltà”.

Nei paesi in via di sviluppo,come amiamo ormai chiamarli,non vi sono industrie. Non sicostruisce nulla. Io penso che sead un popolo gli dai dei trattori e

dei motozappa, quel popolo hagrandi possibilità di diventareagricoltore. Se viceversa gli daidei carriarmati e dei fucili, vistoche con quelli non puoi lavorarela terra sicuramente sì metterà afare la guerra. Quando finirà que-sta commedia?

Perdonatemi tutte le ovvietàche ho scritto... ho pensato adalta voce.

Carlo Loreto

l ’enigma

L’acqua: semprepiù oro blu

La solitudineIl mio sguardo spazia nell’in-finito cielo, dove vagano nubicupe, come la disperazioneche mi attanaglia. Sorrido e canto ma... sonolacrime, quelle che si avverto-no nella mia voce.E nell’infinito e perso sguar-do, io ti stringo forte forte ame, ti accarezzo e bacio le tuelabbra di fanciulla, dagli occhidolcissimi, due occhi di sognoper un cuore che sanguina.

Raffaele Corona

anno 1 - numero 0 - 200712

frammenti

...è l’opinione della maggio-ranza della popolazione mondiale.

La stragrande maggioranzadella popolazione mondiale ritie-ne che le attività umane sianoresponsabili dei cambiamenti cli-matici, e che bisogna agire imme-diatamente per contrastare ilriscaldamento globale.

È questo il risultato di un son-daggio del World Service dellaBBC, che ha coinvolto oltre22.000 persone dei 21 paesidiversi, interpellati tra il 29Maggio e il 26 Luglio scorsi.Secondo lo studio (commissiona-to all’agenzia Globescom) per il79% dell’opinione pubblicamondiale le attività industriali e itrasporti sono le principali causedei cambiamenti climatici. Inoltre,nove intervistati su dieci sonoconvinti che sia necessario agireper cambiare rotta, e due su tre

vanno oltre: non solo ènecessario cambiare mabisogna farlo ora.

L’Italia con l’86%degli intervistati è alsecondo posto dopo laSpagna nella lista deipaesi più favorevoli all’a-dozione di una strategiaimmediata per la salva-guardia del clima. Imeno favorevoli sono irussi con il 43%, e gliindiani con solo il 37%.

Il sondaggio rivelaancora che il 65% dellacoalizione intervistataritiene necessari dei

passi significativi per la riduzionedelle emissioni di gas serra, il25% crede che siano sufficientimisure modeste, mentre solo il6% pensa che non ci sia bisognodi alcun contenimento.

In nessuno dei paesi indagatiè emersa una maggioranza con-traria ad azioni per contrastare icambiamenti climatici.

In 18 dei 21 paesi la maggio-ranza è favorevole a limitare leemissioni di gas serra, non solonelle nazioni più ricche, maanche in quelle in via di sviluppo.

Solo tre paesi: Italia, Egitto eNigeria ritengono non necessariauna limitazione delle emissioni daparte dei paesi più poveri.

“È difficile immaginare un’opi-nione più favorevole a un’azionedei dirigenti nazionali in favore delclima” ha commentato il Presidentedi Globescom, Doug Miller.

Ora, a me pare che non si trat-ti tanto di ridurre le emissioni digas. Il problema è di dimensioniancora più gravi, ecosistemiche.In breve, sono i nostri stili di vita, imodelli economici che le nostresocietà sono andate producendo,a mettere in discussione l’equili-brio uomo-natura. C’è la neces-sità di un’inversione di tendenzaculturale e… antropologica. Nonsi tratta di… di tornare al lume apetrolio o alla clava, ma ci sonoaltre direzioni possibili e bisognaprepotentemente volerle, cercar-le, provarle, abbandonando l’illu-sione storica di poter manipolaretutto gratuitamente e l’illusione dipoter manomettere senza criteriola natura o di pensare che possaessere infinita la possibilità disfruttarla, senza subire rovescicome quello dell’effetto serra. Inun mondo che non sa più comeaffrontare il problema dei rifiuti,c’è qualcosa che non va. In realtà,il mondo non dovrebbe produrre“rifiuti”. Evidentemente lo squili-brio è ormai troppo grande perilludersi ancora una volta di poter-lo fronteggiare con… l’aspirina!

Tuttavia una speranza dobbia-mo poterla coltivare, non solo sulmodo di affrontare il problema“rifiuti”. La parola “rifiuto”, rife-rita alle cose, ma soprattutto rife-rita alle persone, denuncia un’in-tolleranza inaccettabile.

Un’intolleranza che è in sèmalattia grave e corre il rischio didiventare epidemica…

Giovanni Agliarulo

L’effetto serra:COLPA DELL’UOMO

l’indagine

Credere o no credere?Una delle tante pro-blematiche questioniche anima le popola-zioni della terra da

2000 anni: nelle conversazioniattorno alla fede e a chi non lapossiede propongo una distinzio-ne tra ateo e non credente.

L’ateo ha risolto la faccendauna volta per tutte: esclude ladivinità e non ha stima di chi lariconosce. Per l’ateo la persona difede è un sano che ricorre ad unaprotesi, uno insomma che ingan-na se stesso. L’ateo non ha unsentimento di superiorità, maattribuisce a chi ha fede unavolontaria attribuzione di inferio-rità. Il suo piano è per forzasopraelevato rispetto a quello dichi si abbassa e si umilia di frontealla divinità.

Il non credente, invece, è unoche obbedisce alla propriavolontà di non credere. Quandosi pone la domanda se credere omeno, la sua risposta è no! Sipuò dire che il non credente stasullo stesso piano del credente,che a sua volta si chiede ognigiorno se credere e si risponderinnovando il suo atto di credista,fiducia e affidamento.

Tuttavia la demarcazione piùnetta non sta tra chi è credente echi no, ma tra il non credente el’ateo. L’assoluta convinzione del-l’ateo lo separa profondamentedal credente e dal suo atto difede. Lo stesso vale nel campodella fede. Il credente è separatoin casa dal talebano, tra loroemerge una crepa. L’ateo e il tale-bano sono affini, hanno esclusol’alternativa, sono in arrocco,fermi nell’angolo della scacchie-ra. Il credente e il non credente,invece, battono ogni giorno lapista della domanda, frugando lascacchiera insieme, senza ostilità.Il credente sfrega ogni giorno la

lampada di Aladino per farneuscire il genio, per costringerlo adessere presente nella sua vita.

Il credente spicca mandato dicomparizione verso la divinità,perché si manifesti; è in continuaricerca di conferma, di un segno;perseguita amorosamente la divi-nità. Il non credente sa che nellalampada di Aladino ci può stare ilgenio, come nella scrittura sacraci può stare la mano della divi-nità, ma non si permette la mossadi sfregare la lampada, di dare undiretto e frontale al genio rac-chiuso nella scrittura sacra.

Credenti e non, tutti impu-gnano il magico della lampada, incomune hanno il tempo presen-te, ossia partecipano allo stessopresente. L’ateo e il talebano,invece, partecipano allo stessopassato, in cui hanno fondato laloro certezza imbalsamata.

La mia impressione è che ladifferenza principale in materia difede, non passa tra chi la detienee chi no, ma tra chi dubita e rin-nova la sua difficile domanda echi ha smesso di porsela. Chi hain mano la lampada quotidiana diAladino è opposto a chi non laimpugna più. I credenti e i nonsono contemporanei tra loro edestemporanei all’altra coppia.

Per venire ai nostri giorni escendere nel dettaglio: far vacilla-re il talebano e l’ateo, questo èl’ordine del giorno della chiesa.

N.d.R. Non pare giustificato ilparallelo tra l’ateo e il talebano,così come appare gratuita la man-cata stima per il credente da partedell’ateo. Ammenochè non siintenda precipitare la ricerca di unaqualche fede verso derive fonda-mentaliste di dubbio gusto…

Salvatore Muscato

Alla ricerca di un solo Dio

anno 1 - numero 0 - 2007 13

frammentiteorica/mente

anno 1 - numero 0 - 200714

frammenti

Il consiglio regionale dellaCampania ha approvato lalegge per la dignità e la citta-dinanza sociale, la n.11 del 23

ottobre 2007. Una legge di gran-de importanza che definisce ilfunzionamento del sistema degliinterventi e dei servizi sociali.

Nell’itinerario della approva-zione della legge, c’è stato unforte coinvolgimento di soggettisociali e culturali, di portatori dibisogni, fino alla proposta finaleal Consiglio regionale, fatta all’u-nanimità, a cura della sesta com-missione consiliare, presiedutadalla consigliera Bossa.

Vi è stata in aula, pur nelle dif-ferenze ideali, a volte aspre eprofonde, una comune preoccu-pazione dei legislatori verso latensione culturale e politica che ibisogni sociali oggi storicamenteesprimono, anche grazie al per-corso istituzionale della legge

quadro 328/’00. Ho avvertito inmolti, tra quelli a favore e quellicontrari, una sorta di adesioneculturale, in qualche caso unaresa, alla necessità di dare rispo-ste a bisogni maturi e ad una par-tecipazione dal basso, che nonammetteva più rinvii.

Il potere legislativo regionale èstato, così, contaminato da unaresponsabilità condivisa versoquelle povertà del Novecento edel nuovo secolo non più cancella-bili dall’agenda politica. Per unavolta non si è registrato il vuoto, ilcorto circuito diffuso, fra rappre-sentanza e bisogno dei molti e deifragili. La politica si è confrontatacon la necessità di ascolto verso itanti cittadini ed operatori, singolie associati, socialmente pressanti,fisicamente e civilmente presentiin un densissimo e partecipatodibattito diffuso nei territori enelle comunità, approdato formal-mente in commissione ed in aula.

E’ in questo humus culturaleistituzionale ed in questa presen-za sociale e politica di popolo cheritrovo, in primo luogo, la dignitàdi questa legge.

Vorrei provare a rappresentarela portata dell’impatto legislativosul futuro richiamando anche lescelte strutturali del presente(DGRC 1403/’07 - Verso il pianosociale regionale), proprio perchéil modello di welfare campanonon nasce oggi.

Esso muove, in realtà, pursedimentato nella attuale norma-tiva, dal lavoro di tante donne eduomini, volontari, operatorisociali pubblici e del terzo setto-re, operatori scolastici e sanitariche, in questi ultimi dieci anni,hanno realizzato esperienzestraordinarie di impegno e diciviltà, promuovendo una rifles-sione politicamente più maturasul bisogno come diritto socialedi cittadinanza.

In questo processo di emanci-pazione della domanda c’è lavera forza della spinta di cambia-mento della norma.

Vi è nell’articolato (Titolo I)dei principi generali e delle fina-lità un forte richiamo all’Europasociale. E’ evidente l’intento dellegislatore di sottolineare, purnell’applicazione locale dellenorme quadro nazionali, la den-sità dell’effettivo esercizio deidiritti sociali come esperienzastorica della civiltà europea nelquadro di un nuovo sostenibilesviluppo mondiale.

La nuova legge regionale

LA DIGNITÀ DI UNA

l’attualità

anno 1 - numero 0 - 2007 15

frammenti

Lo spessore del sistema digoverno pubblico dedicato aidiritti sociali, con la definizionedel Piano Sociale Regionale trien-nale (Titolo II e III), pone l’archi-tettura istituzionale del modellodi welfare campano come unapre-condizione dello sviluppo edella sicurezza nelle comunitàlocali e negli Ambiti territorialicorrispondenti ai distretti sanitari.

Saper scegliere e saper con-trollare, dunque, non solo la qua-lità/quantità dei servizi sociali, maanche costruire uno sviluppolocale interrogandosi su come sicostruiscono le case, come difen-diamo il verde e gli spazi dei bam-bini, dove offriamo più opportu-nità, come si promuove la legalitàgarantendo assieme acqua econoscenza come risorse pubbli-che e beni comuni.

L’ampiezza e l’approfondi-mento degli articoli riservati allaqualità dei bisogni (Titolo IV e V)sancisce il dovere della rete deiservizi di affrontare tali bisogniattraverso una formale ed espres-sa presa in carico personalizzata.

In particolare, mi sembraopportuno ricordare in questasede, l’art. 341 della legge cheprevede come specifica area diintervento quelle per le personedetenute, internate o comunqueprive della libertà personale.

La garanzia dei LivelliEssenziali di Assistenza è unastrategia già assunta dalla DGRC1403/’07 con la definizione deiProgetti Sociali individualizzati,

garantiti da quote significative dirisorse economiche vincolatedirettamente ai bisogni, comestrategia elettiva di presa in cari-co delle persone.

In queste scelte di intensifica-zione del controllo di qualità deitrasferimenti monetari si realizzail vantaggio di una maggiore effi-cacia della governance, pur inpresenza di una forte sussidia-rietà gestionale degli AmbitiTerritoriali e del Terzo Settore.

La strategia della programma-zione partecipata e di tutte leforme di informazione, di tutela edi controllo da parte delle perso-ne utenti e dei cittadini singoli edassociati (Titolo VI e VII) richiamala dimensione territoriale del wel-fare di comunità, fondato sullegaranzie dei soggetti gestori,sulle risorse dei quartieri, sulleverifiche di efficacia, sul grado disoddisfazione delle persone edelle famiglie.

Sono già una realtà operativadella attuale programmazione stra-tegica regionale ed una sostanzialeanticipazione della legge:

a) la attivazione dei controlli diqualità e di efficacia con ilsuperamento della sola verificacontabile (Dec. Dir. n.671/’07-Valutazione Partecipata diQualità); la definizione di unastraordinaria semplificazioneamministrativa con la approva-zione dei Piani Sociali di Zona eil trasferimento del 100% dellerisorse assegnate ai Comuni,entro 20 gg dalla loro presen-tazione (Dec. Dir. n.277/’07 esuccessivi);

b) il processo di stabilizzazionedella rete dei servizi e degliinterventi integrati e del lavo-ro sociale diffusi sui nostri ter-ritori, attraverso la pianifica-zione triennale dei piani socia-li di Zona e l’avvio del supera-mento della insostenibile pre-carizzazione della filiera terri-toriale degli operatori. Le scelte di investimento delle

risorse economiche potrannoessere verificate, infine, nella con-sistenza effettiva del FondoSociale Regionale di nuova istitu-zione (Titolo VIII ).

su welfare e cittadinanza:

LEGGE

>continua

anno 1 - numero 0 - 200716

frammenti

Nel nuovo esercizio finanziario2008, ancor prima della imple-mentazione della legge,l’Assessore D’Amelio e la Giuntaregionale hanno garantito un indi-rizzo politico straordinario e inno-vativo: la proposta al Consiglio diimpegnare un fondo assoluta-mente più significativo rispettoallo stanziamento storico sui capi-toli gestionali delle politiche socia-li, con una prima copertura di circa33 milioni di euro, oltre la legisla-zione specifica sulla povertà, il tra-sferimento del Fondo Nazionale ela linea di finanziamento europea2007/2013.

Un dato nuovo che interpretain modo coerente l’esigenza uni-versalistica della norma e chegarantirà, per la prima volta,risposte soddisfacenti e genera-lizzate rispetto ai bisogni essen-ziali a partire dalla non autosuffi-cienza.

Un dato storico, perché nellasinergia complessiva delle fonti difinanziamento del SistemaIntegrato di Interventi e ServiziSociali si supererà la quota capita-ria di 100 euro per abitante, l’o-biettivo dichiarato dall’Assessoreall’inizio della legislatura.

In queste scelte strategiche diinvestimento si rileva la concre-tezza di impatto della norma.

Qualcosa di più di una piat-taforma programmatica, un indi-rizzo politico e culturale meridio-nalista ed europeo, di rilanciodello stato sociale, con investi-

mento di risorse strutturali,locali e nazionali, nelrispetto dell’art. 117 dellaCostituzione.

Una chiara inversione ditendenza da cui partire perlavorare con una nuovaforte responsabilità eticanelle nostre comunitàscientifiche ed istituzionali.

La cultura delle differen-ze può essere il filo sociale

di emancipazione anche per rin-novare le forme ed i contenutidella rappresentanza: non si trattadi esercitare la rappresentanzacome delega di potere e di domi-nio, ma di centrarla su una fecon-da responsabilità verso le personee le comunità, esercitandola inuna dimensione comunitaria epartecipativa da tempo perduta,per il rispetto che dobbiamo aitanti cittadini esclusi che ancoranon riusciamo a prendere in cari-co, per la tanta prevenzione di cuisi ha ancora bisogno oltre, moltooltre, l’esaltazione del razionali-smo del prodotto interno lordosenza conoscenza degli indici disviluppo umano.

Questa strategia di program-mazione territoriale rimanda adun’idea di Regione comeCampania Sociale che può e deveessere costruita sul potenziamen-

to della programmazione parteci-pata di comunità e su un welfareinclusivo, fondato sui diritti socia-li di cittadinanza, sia come strate-gia di contrasto all’esclusione,che come promozione dell’agio edella qualità dei tempi di vita e dilavoro.

1 Le politiche per persone detenute,internate e prive della libertà perso-nale.1. La Regione, in accordo con ilMinistero della giustizia, nelle suediverse articolazioni, con gli enti loca-li e con i soggetti interessati promuo-ve iniziative a favore della popolazio-ne adulta detenuta, internata e privadi libertà personale sulla base deiseguenti criteri: a) realizzazione dipolitiche tese al reinserimento socialee lavorativo di detenuti ed ex detenu-ti; b) sostegno al miglioramento dellecondizioni di vita dei detenuti nellecarceri mediante attività di prepara-zione professionale, sportive, cultura-li, ricreative e progetti di attività lavo-rative intramurarie; c) promozione diprogetti di sostegno alle famiglie e dimediazione fra vittime e autori direato; d) promozione di progetti mira-ti a rispondere a progetti specifici diparticolari tipologie di persone dete-nute, quali popolazione femminile,donne con figli, immigrati non comu-nitari, persone con problemi di dipen-denza, detenuti che necessitano di unparticolare trattamento rieducativo inrelazione al tipo di reato commesso

Salvatore Esposito

anno 1 - numero 0 - 2007 17

frammenti

Spesso chi soffre di questidisturbi è abbandonato a sestesso. L’atteggiamentodella gente comune verso

le persone con disturbi mentali èdiverso da quello di chi soffre di altrapatologia. L’atteggiamento versouna persona con una qualsiasi altramalattia è soggetta a comprensionee solidarietà, mentre verso una per-sona con disturbi mentali è quello diimbarazzo e rifiuto.

Entro certi limiti si può direche la situazione delle malattiementali oggi è simile a quella dichi aveva un tumore trenta annifa. Queste malattie sono un argo-mento tabù in qualsiasi conversa-zione; la semplice presenzaanche in famiglia di una personacon un tumore era motivo diimbarazzo. Le persone evitano diparlarne, le famiglie ne hannovergogna e la società ha unatteggiamento di rifiuto, perchèappaiono misteriose e soprattut-to incurabili.

In passato, spesso, le personeafflitte da disturbi mentali veniva-no emarginate dalla società e rin-chiusi nei manicomi, in ospedalipsichiatrici, che quasi sempre sirivelavano veri e propri lagher.

Se le persone sapessero che lemalattie mentali sono patologiemolto diffuse e che chiunque ne

può essere colpito eche, inoltre, le tera-pie per le cure sonomolto complicate,forse... l’atteggia-mento di tutti cam-bierebbe notevol-mente. Ma quelladella diffusione del-l’informazione èsolo una delledimensioni del pro-blema, un’altra èquella del riconoscimento e del-l’accoglienza nei confronti di chiappare diverso.

Chi ha oggi un handicap fisicoha meno possibilità, rispetto alpassato, di essere rifiutato edemarginato; lo stesso non si puòdire, purtroppo, per chi ha unhandicap mentale. Le personecon patologie mentali gravi sonooggetto di rifiuto ed emarginazio-ne, anche perchè la gente pensache essi siano imprevedibili epotenzialmente aggressive e/oviolente, e quindi ne ha paura.Questo è un tabù da superare:avranno, forse, un comportamen-to un pò incongruo di un sorrisofuori posto, di una parola incom-prensibile o un modo di faregoffo, ma spesso hanno un com-portamento del tutto innocuo.

A scuola si studia la matema-tica, la geografia, l’italiano e le

civiltà antiche, ma si parla troppopoco dei problemi della nostrasocietà e dell’importanza di nondiscriminare chi è diverso da noi,questo sarebbe di aiuto sia a noiche a chi ci circonda nella vitaquotidiana.

Io credo che la nozione diciviltà risiede proprio nella capa-cità di declinare l’eterogeneità diun popolo. Ciascuno è diverso, invario modo, da tutti gli altri,all’interno di un popolo e tra tuttii popoli della terra. Riconoscereed accogliere questa diversità,come elemento di propulsione, èindice di civiltà. Per questo noidiciamo no alla separazione, aimuri, al rifiuto, alla paura, pen-sando piuttosto alla costruzionedi “ponti” per l’inclusione di tuttii diversi nel seno della società. Lamalattia mentale spesso è il pro-dotto di una scarsa socialità,come ebbe a dimostrare coi fattiil compianto Basaglia mettendoalla berlina i manicomi. La stradadella civiltà sa farsi carico dei pro-pri problemi, anzi sa riconoscereche… una persona è sempre unarisorsa e mai un problema.

Antonio Rossetti

I malati mentali spessoemarginati dalla società

così va il mondo

anno 1 - numero 0 - 200718

frammenti

La lotta contro la disoccupa-zione e il lavoro nero devediventare un altro tasselloimportante in questa bat-

taglia, troppi ragazzi sono costret-ti a lasciare la loro terra percostruirsi un futuro onesto altrove.

Dobbiamo ricostruire le garan-zie affinchè un ragazzo che è natoe cresciuto a Secondigliano possastudiare e realizzarsi nella suacittà, così come uno cresciuto inun’altra provincia d’Italia, per que-sto bisogna potenziare le offerteformative e tutti i canali d’accessoal mondo del lavoro, abbattendola morsa del clientelismo, chetroppo spesso fa credere ai giova-ni che si va avanti solo se si cono-sce il potente di turno e non gra-zie al merito e all’impegno.

Troppi, poi, sonocoloro che per soprav-vivere sono costrettiad accettare lavorisenza contratto, senzagaranzie e rispetto peri diritti. A volte ci sidomanda se davveroc’è la volontà dei politici per evita-re la nera soglia della società.

Contro il lavoro nero deveesserci una lotta da potenziare,con l’aiuto delle forze sociali. Lacamorra non può e non devediventare l’unica alternativa pergarantirsi il futuro. Del resto, lacamorra non garantisce nessunfuturo, per nessuno. Anche se sulterreno occupazionale sembraessere più competitiva di quantonon sia l’agenzia per l’impiego!

Giancarlo Siani descriveva, inuno dei suoi ritratti della societànapoletana, i “muschilli”, i bambi-ni che la camorra utilizzava perspacciare la droga. In un altrotempo un uomo con un’altra sto-ria e un’altra sfida da vincere, disseun giorno “ciò che mi impressionanon è il rumore dei malvagi, ma ilsilenzio degli onesti”. Quell’uomosi chiamava Martin Luter King, e lasua sfida... quella del suo popololui l’ha vinta! E noi?

Gennaro Ferrara

La speranza

La cosa che colpisce di piùdel Pastore Tedesco è lasua straordinaria intelli-genza. Nessun’altra razza

ha una così vasta possibilità diimpiego e in tutti i compiti neiquali sono stati impiegati questi

splendidi cani,hanno dato risul-tati eccellenti. Ilmerito è della svi-luppatissima intel-ligenza che per-mette loro diimparare con faci-lità ogni cosa,senza più dimenti-carla e anche dellasensibilità che lirende capaci di

percepire sentimenti, situazioni estati d’animo all’istante. Visto l’u-tilizzo del Pastore Tedesco, haindotto qualcuno a chiamarlo “ilLeonardo da Vinci”. Ha bisognodi un compagno che tenga sem-pre testa alla sua intelligenza.

Un cane così dotato e sensibi-le richiede un padrone che siadisposto a stare molto tempo conlui, che voglia condividere con luitutti gli aspetti della vita e chesappia apprezzare le straordinariedoti. Il Pastore Tedesco non èsolo un ottimo cane per la fami-glia, ma è anche un lavoratorefuori dal comune, infatti, vieneimpiegato in tutte le squadredella Protezione Civile, nella ricer-ca di persone sepolte da macerieo valanghe, nella conduzione deinon vedenti, nei corpi di polizia edi vigilanza. Tutte queste splendi-de caratteristiche fuori da comu-ne, hanno reso per anni questarazza la più popolare d’Italia.

Domenico Friscia

l’enigma

Comportamenti animalitra servitù e distorsione

effetto natura

anno 1 - numero 0 - 2007 19

frammenti

La Politica,quella deipartiti, oggi,esercita per

la maggiore la suapersuasione attra-verso i mezzi dicomunicazione. Imedia hanno unanotevole influenzacirca atteggiamentie opinioni politiche.

I temi di cui Tv egiornali parlano tuttii giorni diventanoimportanti proprioper il ripetersi dellenotizie, ed è proprioin base a questo“martellare” che siformulano giudizi supersonaggi politici epartiti politici. Essi,ovviamente, cercanodi concentrare leloro attenzioni suitemi congeniali efunzionali alla loropolitica, passano a parlare di sicu-rezza e economia se questi sono iloro punti di forza.

In epoca fascista l’ordine dellenotizie era deciso dall’alto, il darepoco rilievo alle notizie di cronacaportava l’opinione pubblica a cre-dere che la criminalità fosse incalo grazie al regime. Per conver-so, se c’era da giustificare larepressione, allora le notizie dicronaca venivano esaltate.

Uno degli argomenti di mag-giore persuasione è la paura.Seminare paura o toglierla sembraessere la mission dei media (non acaso lottizzati dai partiti e daipoteri forti). I messaggi di piùeffetto sono quelli che rappresen-tano il concreto pericolo delle con-seguenze di scelte a rischio. Undocente di Scienze delleComunicazione americano ha

analizzato e evidenziato l’uso poli-tico della paura, ha dimostratocome i leader sfruttino argomentidi preoccupazione collettiva.

L’occupazione principale deipolitici è quella di ottenere consen-si. In realtà l’influenza della propa-ganda politica si esercita soprattut-to sugli indecisi e non su chi ha giàidee ben precise, le strategie per-suasive si sono tuttavia adeguate;c’è sempre più una spettacolariz-zazione e personalizzazione dellapolitica, l’immagine del leaderviene continuamente esaltata. Intal senso non si può evitare diesternare il turbamento e la rabbiaper l’arroganza che è rappresenta-ta da questa sottile e perversaforma di violenza psicologica.

In un certo senso la politicadovrebbe essere l’arte del benecomune, della discussione chericerca il vero e il giusto, attraver-

so il confronto dia-lettico degli argo-menti, azioni efilosofie di vita;invece, chi ci rap-presenta oggi, e ciha rappresentatoin passato, nelleistituzioni statualisi può solo definirearte proprietaria,propria di chi per-segue i propri inte-ressi fingendo chesi tratti degli inte-ressi collettivi. Loschifo che staprendendo semprepiù corpo negliultimi tempi staevidenziando conchiarezza che l’uni-co obiettivo di chidovrebbe rappre-sentarci è esclusi-vamente la ricercadel potere perso-nale, con tutti ibenefici che tale

arma può conseguire: ricchezza,impunità, agevolazioni, privilegi.

Premesso che non simpatizzoper alcun partito politico e che ilmio orientamento spiritualeancora non mi è chiaro, oso direche la politica italiana, o meglio lapolitica rappresentativa dei parti-ti, ha scavato una voragine tra sée la civile convivenza dei cittadiniche dai partiti non si sentono piùrappresentati. La fine della politi-ca? No di certo, visto che la polisesiste eccome! Piuttosto è la finedei partiti che non si identificanopiù con un corpo sociale diappartenenza, bensì con prosaiciinteressi individuali o di piccolacasta potente, l’unico partitopolitico SANO che il mondo abbiamai avuto, attenendoci allanostra storia è quello di Cristo,tutto il resto puzza!

Francesco Pappalardo

Antipoliticao antipartito?

l’enigma

anno 1 - numero 0 - 200720

frammenti

Solo due flash. Scriveròdi due casi in cui le“misure sono stateprese” con metri diver-si. Il primo riguarda

Lello (lo chiamerò così per garan-tirne la riservatezza).

Poco più di ventanni, figlio diuna famiglia perbene diGiugliano, un recente e brevepassato che lo ha visto attraversa-re i tempi dell’adolescenza con isuoi vuoti di vita e di senso, comecapita a tutti i 18enni. Come capi-ta a tanti ragazzi di questa fasciadi età, Lello si trova ad incontraresostanze come eroina e cocaina.

Quest’ultima, con i suoi con-traccolpi, lascia, nella acerba per-sona in maturazione, le peggioritracce. Scossoni dentro la vita e lapsiche di Lello che, in un baleno,diventa un ragazzo con due dia-gnosi: una di tossicodipendenteed una di sofferente psichiatrico.

Due diagnosi ma un’unica sof-ferenza che ingabbia lui e la suafamiglia nel troppo noto percorsodi disagio, paure e disperazioni,che portano (secondo legge!) allatappa obbligata del carcere.

È qui che ho incontrato Lellola prima volta e ne ho ricostruitola sua storia.

Apprendo che Lello è un gio-vane, delicato, di buoni studi, difamiglia dai sani principi. Manonostante questo, ha ben pre-sto espresso una fragilità nei pro-cessi di crescita e di emancipazio-ne. Quasi scontato che neppureventenne, abbia già “consacra-to” il rapporto con l’eroina.

Prime cure con il sert del suopaese, qualche periodo di remis-sione, poi alti e bassi, e arriva cosìad associare, all’uso dell’eroina,quello della cocaina.

Un sisma! Questo è l’effetto della cocai-

na sulla fragilità psichica di Lello. Così ai trattamenti per la

dipendenza da eroina si aggiun-gono quelli per i deliri e le alluci-nazioni indotte dall’uso di cocai-na. Si rende allora necessarioinserire Lello in un centro specia-lizzato - per utenti in doppia dia-gnosi (così si dice quando allatossicodipendenza si associamalattia psichiatrica). Questocentro è alle porte di Napoli, è ilcentro Giano, creato (e difeso!)da Gilberto Di Petta.

Giano, personaggio bifronte,come la sofferenza di Lello, con lesue due facce. Inizia nuove cure,percorre un po’ di strada, maaumentano i periodi di crisi. Ènecessario aggiustare meglio lamira. Comincia allora un pro-gramma presso il Centro diurnodi Saman nel quartiere Sanità diNapoli, continuando, comunque,le cure farmacologiche indispen-sabili per la sua situazione.

Il percorso, nel Centro Diurno,è preparatorio ad un programmapiù globale che si svolgerà nellacomunità residenziale, che Saman

gestisce a Latina, specializzataproprio per i giovani come lui.

Poi un pomeriggio di sabato,Lello esce dalla comunità diurnaper tornare a casa, ma qualcosa,tra le pieghe degli impulsi e deisuoi terrori, lo spinge ad entrare

in un negozio di Giugliano perfare una rapina.

Esibendo un coltellino si fadare l’incasso e fugge. Poi tornaa casa e dice tutto al padre ed alfratello. Questi, ascoltano la sto-ria raccontata dal ragazzo e poi loportano al Commissariato diPolizia per denunciare il fatto.

La scena prosegue con il rapi-nato per niente motivato a confer-mare i fatti: non tanto per pauraod omertà, quanto consapevole(forse più degli altri) della interadinamica del gesto compiuto daLello e della brutta piega, che lastoria rischia di prendere. Ma lasituazione va avanti: qualcuno ras-sicura i familiari che è meglio por-tare Lello a Poggioreale, così siferma un po’ e non fa altre cavo-late. Qualcun altro dirà ai familiari,che nel frattempo si parlerà con ilgiudice per farlo andare diretta-mente in una comunità.

A tutt’oggi il risultato ottenu-to è costituito da una serie ininter-rotta di rigetti alle richieste di esse-re affidato, in regime di arrestidomiciliari, presso struttura spe-cializzata per tossicodipendenti.

La prima richiesta è statarespinta perché ritenuto pocoappropriato un programma pres-

...decisioni fcosì va il mondo

anno 1 - numero 0 - 2007 21

frammenti

so centro diurno. Il rigetto dellaseconda, invece, è motivato inbase ad una (presunta) incomple-tezza della documentazione ditossicodipendenza.

L’ultimo rigetto lo si ha a finesettembre: nonostante la docu-mentazione clinica esaustiva e ladisponibilità di programma resi-denziale (senza farlo tornare acasa cioè!) della comunità tera-peutica specializzata Saman diLatina, è stata respinta la richiestaper una valutazione di pericolo-sità della personalità del giovane.Insomma questa storia inizia aluglio 2007. Sto scrivendo in ungiorno di metà ottobre e Lello èancora in carcere a Poggioreale.

Il ragazzo ha una problemati-ca, tossicomanica e psichiatrica,che lo ha portato a compiere unreato. Un episodio di crisi cheesprime con chiarezza tutta lacomplessa situazione del giovanee tutta la neces-sità che sia affi-dato a cure spe-cializzate pernon farlo torna-re più in carcere.

Ma dal car-cere si esce soloper tornarci.Come succede,il più delle voltequando la penaè scontata interamente senzaoffrire chance al condannato,tutto questo accade nonostantevi sia una legge che aumenta lapunibilità per chi si droga, mavuole (vorrebbe) offrire anche piùopportunità per avere la conces-sione di una misura alternativa(leggi CURA alternativa alla con-danna per chi ha sbagliato pro-

prio per colpa della droga).Un’altra storia fuori misura: in

Italia si riesce ad evadere anchese la tua casa è una panchina.

Una vita senza né tetto né leggepotremmo ben dire.

È cronaca di questi ultimi gior-ni (La repubblica del 5 ottobrescorso) la notizia di un uomo, alquale il giudice, a Milano, avevaconcesso gli arresti domiciliaripresso una panchina del parcopubblico. Sì! Avete letto bene,non è un errore di stampa!

La panchina è quella di piaz-zale Aquileia:una panchinacon vista pano-ramica sul car-cere di SanVittore. La pre-scrizione delgiudice cheaveva concessogli arresti domi-ciliari a questouomo, senza

fissa dimora, era quella di nonallontanarsene entro un certoorario, per compiere, sembra, unclamoroso furto di calzini,comunque senza spargimenti disangue, ha commesso evasione.Ora è di nuovo davanti al giudi-ce, sembra per patteggiare.

Due storie dove la giustizia èlasciata ad interpretazioni. La sto-

ria di Lello, (comunque consenti-ta dalla normativa), dove la deci-sione del giudice è quella di nonprenderne proprio di decisioni equella dell’homeless, dove il giu-dice, sempre con il consenso delcodice penale, sceglie coraggio-samente, valutando la interacomplessità del caso, di nonaggravare il percorso di margina-lità e disagio di chi ha davanti.

Sempre naturalmente nelrispetto delle esigenze di giustiziae sicurezza sociale.

Ci capita di scoraggiarci, nellavoro quotidiano che facciamo,negli interventi di assistenza,valutazione, orientamento eaccompagnamento alle misuraalternative. Ci troviamo a fare iltutto sempre in un clima didimensione ignota.

La domanda che ci poniamo è:“cosa riusciremo ad ottenere perquesto utente? Quando si sapràqualcosa? Come andrà a finire?”.

Domande che ci fanno passa-re la voglia di lavorare.

Come Sìsifo, il personaggiodella mitologia greca, condannatoa portare un masso in cima allamontagna ma che, appena arrivatoalla cima, questo gli rotolava dinuovo giù. Questa era la sua, esembra essere la nostra, condanna.

Poi leggiamo della notizia diMilano, e speriamo che almeno que-sta volta acchiappiamo anche noi ungiudice come quello di Milano.

Allora ricominciamo a lavora-re ad un altro caso.

Rino Pastore

fuori misura...

Curare le dipenden-ze è gia un proble-ma gravoso fuoridal carcere, comepuò mai esse tratta-to dentro? Perchènon applicare lemisure alternative?

anno 1 - numero 0 - 200722

frammenti

La Camelia è conosciutasoprattutto come messag-gera della primavera, por-tatrice di missione. Di

sicuro è una gradita apparizionequando la vegetazione dellepiante sembra addormentata, inattesa del clima mite (o delcaldo). Una pianta particolarenata da un fiore e da incroci dipiante diverse (ibrida), la piùconosciuta in Italia è la CameliaeJaponice, ma vi sono varietà chesbocciano da settembre/ottobrefino a febbraio, piante sempreverdi adatte a formare siepi o ter-razzini in città, resistono allebasse temperature, e si adattanosia all’ombra che al sole. Nonrichiedono potature particolari oaltre cure specifiche. I fiori sonosemplici o doppi, a coppa, oppu-re assai piccoli. Le sfumaturevanno dal bianco al rosa, fino alrosso, sono piante secolari cheraggiungono la grandezza di unalbero di agrumi. In Italia esistonogiardini storici di camelie, lungole sponde del Lago Maggiore tro-viamo le più belle.

L’altra signora è la Peonia

anche essa sempli-ce da coltivare,forse meno cono-sciuta, è ciò che sipotrebbe descrive-re nell’ammirare leforme, l’aspetto diquei fiori dai petalisetati, vellutati,dalle sfumaturestriate, dal profu-mo lieve e dolce-mente intenso,sensuale e delicatoallo stesso momen-to... la bellezza.

I fiori sembrano avere semprequalcosa di nascosto, di misterio-so, di segreto, i petali riuniti conforme rotonde, compatte e constrati sovrapposti intorno al cer-chio che racchiude il polline. Unarosa o l’altra faccia, o similare. Disicuro è un’emozione unicaammirare una Peonia in fiore, èuno spettacolo, è una bellezzarara di splendore spontaneo eperché no con… un fascinoammaliante e sconosciuto. Le ori-gini delle Peonie sono antiche. InCina si parla di circa mille anni

prima della nascitadi Cristo. In Europaarrivarono i primisegnali di questofiore come quellodella rosa senzaspine.

I botanici hannoeseguito stupendiibridi, i risultatisono arrivati dopomoltissimi anni, perla lentezza dellacrescita della pian-ta, che impiega

circa sette anni dalla semina perprodurre il primo fiore. È una cul-tura ancora oggi poco conosciutae diffusa, è una pianta longeva,arriva anche a duecento o trecen-to anni di vita. La Poenia è ancorauna rarità, attorno alla sua bellez-za sia in oriente, che oggi inEuropa, ci sono racconti che con-tribuiscono ad accrescerne il fasci-no ed il mistero.

Le Poenie si suddividono indue gruppi, le erbacee che rag-giungono un metro di altezza, fio-riscono da maggio e in autunnoscompaiono, per riapparire la suc-cessiva primavera, e le arbustive,che raggiungono un’altezza didue metri ed un diametro di tre oquattro metri, perdono le fogliedurante l’inverno e riprendonovitalità a febbraio.

Piante a crescita lenta, moltolongeva da cento a duecentoanni, esistono esemplari da tre-cento o quattrocento anni.

Il fiore simile alle rose, masenza spine, con molte varietà dicolori dal bianco al rosa, dal gial-lo al rosso, con tante tonalità.

Antonio Collaro

La Camelia e la Peonia:due signore dei fiori

effetto natura

Camelia

Peonia

anno 1 - numero 0 - 2007 23

frammenti

In un mondo in cui il linguaggio diplomaticomaschera spesso il lato peggiore della realtà,abbiamo termini più tolleranti e meno depri-menti di “carcere e prigione”. Preferiamo dire

“casa di reclusione” o “istituto penitenziario”, in cuisi ricevono “formazione professionale” o “servizisociali”.

Preferiamo anche il termine “detenuto” a paroledisumane quali “prigioniero e carcerato”. Ma se siguarda oltre le apparenze è chiaro che oggi le pri-gioni si trovano di fronte a problemi seri, quali lespese in vertiginoso aumento che bisogna sostenereper tenere i delinquenti dietro le sbarre e l’abissocrescente tra gli obiettivi della carcerazione e i risul-tati effettivi.

Alcuni mettono in discussione l’efficacia delle pri-gioni. Fanno notare che, benché il numero delle per-sone detenute in tutto il mondo cresce in modoesponenziale rispetto alla popolazione, in moltipaesi non c’è stata una significativa diminuzionedel tasso della criminalità. Inoltre benché ungran numero di quelli che sono in pri-gione siano finiti dentro per reaticonnessi alla droga, la facilità concui ci si può procurare stupefa-centi per strada è ancora moti-vo di seria preoccupazione.

Questi dati semplici auto-rizzano alcune sempliciconsiderazioni. Elencando:

la prigione non fun-ziona da deterrente; laconflittualità socialetende a crescere (eanche quella tra paesidiversi); le risorse pro-dotte in ogni paesenon trovano equar e d i s t r i b u z i o n e ,accentuando l’aper-tura della forbice trai troppo ricchi ed itroppo poveri.

Ciò nonostantemolti ritengono chela reclusione sia la

punizione migliore. Pensano che quando il delin-quente viene messo in galera giustizia è fatta, madimenticano stoltamente che ogni pena prima o poifinisce… Evidentemente si accontentano di insegui-re una vendetta, che come un boomerang… tornaal mittente in modo aggravato.

Ci sono quattro ragioni principali per cui i tra-sgressori vengono messi in prigione: 1. punire i colpevoli;2. proteggere la società;3. evitare che si commettano altri reati; 4. riabilitare i criminali, insegnando loro a rispettare

la legge e ad essere elementi produttivi dellasocietà.Se queste direttive fossero vere non avremmo in

alcun caso una prigione affittiva, umiliante, mortifi-cante. Non avremmo il serpeggiare della vendettache i giornali gon-

fiano e sgonfia-no a loro piacimento.

“Umiliare e mortificare le personedetenute, infatti, è il modo peggiore di preparar-

li per il mondo esterno”. Con buona pace per l’illu-sione sicuritaria, che sembra imperversare come lapanacea di tutti i mali. In verità, possiamo dire che…ci sarà sicurezza per tutti o non potrà esserci per nes-suno, il palinsesto è nella giustizia da cui si diparte ilsenso vero della legalità.

Non si tratta di essere “buoni” o “cattivi” con gliautori di reati, bensì di non fare polpette di quellascala di valori indivisibili o universali. Parlare di lega-lità non ha senso se manca la giustizia, né la legalitàsi può ottenere mediante la sola repressione.

E’ noto che la pena di morte non riduce i reatiche la prevedono e questo vale anche per gli altrireati. Non si arresta un fiume costruendo la diga avalle, è a monte, è alla sorgente che bisogna agire,con politiche sociali (ed occupazionali) preventiveimprontate a principi universalistici di giustizia.

Luigi Svetti

E’ possibile rieducarele persone detenute?

lo sguardodalle sbarre

anno 1 - numero 0 - 200724

frammenti

In questi ultimi tempi, sia intelevisione che sui giornali siè sentito parlare diMyanmar. La prima voltache l’ho sentito

pronunciare, non riu-scivo a capire di cosaparlassero, ma subitoi cronisti hanno spe-cificato: era unoStato, l’ex Birmania,un piccolo fazzolettodi terra che si trova inAsia, ai confini con laCina, il Nepal, l’Indiae la Thailandia.

Le notizie chesono man mano arri-vate erano spavento-se, enormi cortei dimonaci buddistiimpossibilitati, per viadella repressione mili-tare, a protestarepacificamente nellecittà principali.

Decine di persone sono morte,stando a quanto riferito dai diplo-matici presenti sul posto; le forzemilitari hanno continuato anchedopo l’intervento del mondo inte-ro, del consiglio dell’ONU, arastrellare numerosi quartieri,addirittura sono arrivati ad oscura-re le fonti televisive e internet.

Migliaia di persone comuni edi monaci sono stati deportaticome si usava tanti anni fa, e nonsi sa dove sono stati portati, male autorità del paese dicono chela situazione è nell’assoluta nor-malità.

L’ONU ha inviato un suoosservatore che sta cercando distabilire un contatto con le auto-rità per cercare, se è possibile, di

porre fine alla repressione violen-ta delle proteste cominciate ametà agosto, quando l’annunciodella giunta militare di aumenta-

re il prezzo della benzina, avevadato inizio al malcontento dellapopolazione. L’inviato dell’ONUha chiesto che la giunta liberassei prigionieri che si sono macchiatidi un grave reato: protestarepacificamente.

Da quello che è trapelato,pare che alcuni militari si sonoscusati con chi protestava, chie-dendo perdono per quello chestavano facendo, costretti adubbidire. Inoltre, alcuni ufficialisono stati passati per le armi, peressersi rifiutati di dare l’ordine disparare sulla folla…

Certo la diplomazia mondialesta cercando in tutti i modi diporre fine a questa assurdarepressione, ma anche qui il

Myanmar, ex Birmal’attualità

anno 1 - numero 0 - 2007 25

frammenti

Consiglio di Sicurezza dell’ONUancora non è giunto ad una deci-sione operativa condivisa per faraprire un dialogo tra le parti in

modo civile e democratico. IlConsiglio di Sicurezza, infatti, perprendere una decisione necessitadell’unanimità del consenso; èsufficiente che uno dei cinquemembri permanenti ponga il vetoper impedire qualsiasi decisione.E si capisce che a frenare l’oppo-sizione alla Giunta militare sia laCina per via del contenzioso sulTibet.

Migliaia di persone in tutto ilmondo hanno manifestato perfar conoscere ancora di più il pro-blema e per fare pressione afavore del Premio Nobel per lapace agli arresti domiciliari dal1991!

Io credo che anche questoepisodio dovrebbe farci rifletterecirca le vere responsabilità.Infatti, dietro tutte le dittature

militari c’è sempre la mano inte-ressata di paesi che non sonogovernati da dittature militari, mache le sostengono. Si tratta sem-pre di paesi che in modo diretto oindiretto, palese o mascherato,fanno capo ai cinque membrieffettivi dell’ONU. L’elenco ipocri-ta di questa macelleria umana èlunghissimo. Di queste forze sinutre la dichiarata democrazia, diquesto si nutre il nostro perbeni-smo, la nostra supremazia demo-cratica rispetto alle dittature. Ed èdi questo che anche noi, con lanostra democrazia, siamoresponsabili!

Dario Di Francesco

nia, quale libertà?

anno 1 - numero 0 - 200726

frammenti

Ho voluto aspettare che ilclima si raffreddassedopo la rapina com-messa dal brigatista

ergastolano Cristoforo Piancone,in regime di semi-libertà, arresta-to in fragranza di nuovo reato aSiena.

Tale fatto deliberato ha susci-tato un concitato allarme sociale,che ha spinto molti alle grida giu-stizialiste di “abolire la LeggeGozzini”, che prevede beneficiquali la semi-libertà ed altro, aquei detenuti, che durante l’e-spiazione della pena definitiva,abbiano dato dimostrazione diun comportamento rieducativo,tale da poter essere “riammessi”nella società.

Non cono-scendo ilPiancone, nonposso entrare nelmerito dellabontà o meno diquel provvedi-mento del qualeha beneficiato,che prescrive il lavoro all’esternodurante il giorno, ed il pernotta-mento in carcere durante lanotte.

Desidero invece fare un’osser-vazione sulla Gozzini oggi, che damolti, poco informati, vieneposta in discussione per una suaabrogazione o rivisitazione, men-tre da altri, e sono in tanti (per lopiù tecnici del diritto) viene difesaa spada tratta, visti i risultati chela stessa ha prodotto.

Questa mia riflessione prendelo spunto da una convinzionebasata sulla non conoscenza diquesta Legge da parte di molti, emai adeguatamente illustrata dai

mass media e dalle isti-tuzioni.

La legge Gozzini,introdotta da oltre unventennio nel nostrosistema giudiziario,aderisce al dettatodella Costituzionedella RepubblicaItaliana, la cui finalità èsia quella di consentireun graduale inserimen-to del condannato,favorendo contatti con l’esterno,sia quella di ridurre la durata dellapena, ovvero di sostituire la sanzio-ne carceraria con una misura alter-nativa, dopo aver espiato un certonumero di anni in carcere.

L’introduzione di tale Leggeha trasformato in meglio la vitacarceraria, segnatamente e finoad allora tempestata di conti-nue rivolte al suo interno, congravi fatti di sangue verificatisi,portando la calma piatta in tuttigli Istituti con una naturale nor-malità.

La Gozzini ha introdotto, èvero, i benefici per le personedetenute (estendendo peraltro inumeri della detenzione che èdiventata intra ma pure extramu-raria), ma ha pure introdotto il“trattamento individualizzato”,rompendo tutti i vincoli di solida-rietà, al solo scopo di azzerare le

lotte e la creatività collettiva. La desolidarizzazione (che

risponde al principio del “dividi etimpera”), ossia la rottura dei…legami sociali, con la Gozzini si èriprodotto dentro il carcere ciòche si era verificato in ambitosociale all’esterno del carcere!

Come disconoscere questiaspetti?

Durante gli anni, nei momentidi emergenza qualche governoha introdotto delle limitazioni atale normativa, ma è pur vero chela Corte Costituzionale si è pro-

Una riflessione a “bl’attualità

Ai ripetenti della “certezzadella pena”, che vorrebberoabolire la “Legge Gozzini”,indichiamo che il giudice dimerito quando stabilisce unapena tiene conto anche della“Legge Gozzini”...

anno 1 - numero 0 - 2007 27

frammenti

nunciata sull’incostituzionalità dialcuni articoli, difendendo laLegge, rispettosa dellaCostituzione, che stabilisce il finedella pena che è quello della rie-ducazione del condannato.

Tuttavia il sentimento diffuso èche la certezza della pena non cisia. Ma non è vero, giacchè anchela semilibertà è una pena! Inverità con l’espressione della “cer-tezza della pena” si intende la“certezza del carcere per tutte lepene”, ma questo… non si puòdire senza perdere la faccia! E labugia è doppia perché i nemicidella Gozzini “trascurano” diaggiungere che anche dal carcereprima o poi si esce… non dicono(e sono in malafede!) che oggi si

chiude dietro le sbarre uno scip-patore e gli dicono che deve farsifino all’ultimo giorno; ma sempreoggi esce di diritto lo scippatoreche era stato messo dietro le sbar-re tre anni fa! Naturalmente tra-scuriamo il fatto che i propugna-tori della “certezza della pena”gridarono alla persecuzione quan-do a dover andare in carcere eraqualcuno che aveva rubato millemiliardi di vecchie lire allo Statoitaliano (vedi Previti e combricco-la). Si tratta di una furbizia dibassa lega, di bugie deliberate, diuna doppia morale accuratamen-te coltivata allo scopo d’inganna-re una comunità intera. In questoi mass media diventano lo stru-mento indispensabile delladisinformazione, che informandodeformano, che autorizzando vie-tano, generano la colpa e semina-no la paura.

Va comunque osservato che iltrattamento non è uguale in tuttigli Istituti; si assiste ad una diversi-ficazione, che mi accingo a citare:• orari delle ore di passeggio;• socialità tra i detenuti;• numero delle telefonate;• attività lavorative e sportive;• professione del culto religioso;• porte aperte delle celle in

alcune ore;• regolamentazione dei collo-

qui;• oggetti che si possono tenere

o no in cella, e altro ancora.Quanto sopra porta alla natu-

rale osservazione che non solo idetenuti devono essere ammuc-chiati e tra di loro divisi, ma cheogni carcere è una Repubblicaseparata da ogni altro.

Certo, la divisione e la diffe-renziazione aiutano la gestione,

ma non si può poi pretendere unbuon esito da individui divisi, cia-scuno parato su se stesso comeun fungo: la perdita di socialità,di legame sociale, di senso comu-ne, è la vera tragedia dentro efuori dal carcere.

La Gozzini ha dato speranzaper un verso, ma per altri versil’ha tolta inesorabilmente. I for-caioli forse farebbero bene a stu-diare prima di sbraitare. Ma, infondo, anche loro non sono chefunghi parati su se stessi!!!

Martino Badalamenti

occe ferme”contro/versi

SorridiUomo

Sorridi uomo, non sentirtisfortunato, non è una sceltalibera trovarsi carcerato, tiportano di forza, ti chiudonotra i muri, nessuno qui sisalva, nemmeno i veri duri.

Come un leone al circo tigiri nella gabbia, sfogando nelsilenzio tutta la tua rabbia.

Ti metti sulla branda, cer-chi di pensare la rima dell’a-more da scrivere e mandare.

L’appuntato sta chiaman-do, il tuo amore sta aspet-tando.

Ti vesti cosi in fretta, l’an-sia sta salendo.

Già è passata un’ora, nonte ne accorgi, ma il tempovola, e quando te ne vai tirimane un nodo in gola.

Ritorni tra le sbarre comeun leone inferocito, aspettan-do che ti calmi e far passare iltuo ruggito.

Allora sorridi uomo che ungiorno arriverà la tua dolce eamata libertà.

Eduardo Pignalosa

Un

gior

no d

i te

anno 1 - numero 0 - 200728

frammenti

PremessaLa presente fa parte di un rac-colta di lettere, indirizzate apersone immaginarie, e vuoleessere uno spazio di pensieri,di sentimenti e di emozioninel quale tutti possono ritro-varsi fosse anche per un atti-mo a vivere la nostra umanità

…sono rilassato e misento meravigliosamentebene… a tratti combattuto eansioso per questo nuovofine settimana che è alleporte, e tu non ci sarai…comunque non ci sarai perme… non mi vengono paroleper descrivere la giornata pas-sata insieme, forse non esi-stono parole che possanodescriverla... come del restonon è possibile descrivere una sensazione,un’emozione… un odore… un sapore perrenderne al massimo l’idea o semplicementeper aiutarsi, fosse anche per un attimo, ariviverlo con il ricordo.

Penso che alla fine quello che rendeunico un momento è proprio questo… l’im-possibilità di riviverlo, di riprodurre nella pro-pria testa il suono di una voce, l’odore di unapersona… il sapore di un’essenza… tuttigiacciono in una zona del cervello… sappia-mo che sono lì… ma vengono liberati quan-do qualcosa o qualcuno li rievoca… vivendonel frattempo nella scia di quello che rima-ne… un contorno sfumato che ci porta sullasottile linea che separa la realtà dalla fanta-sia. Questo accade credo quando i momentiche viviamo sono talmente belli che sembra-no sfuggenti, rincorrerli senza afferrarli…prenderli per i capelli… ma in mano poi ciresta giusto la sensazione che vi siano stati…a differenza di quelli brutti, che ci appaionocosì reali da averne paura continuamente,cercando di evitarli.

Allora vorrei cogliere questo tempo… apoca distanza dai tuoi baci, per cercare dicatturare ciò che so che non posso cattura-re… di vivere ciò che so che non posso rivi-vere, ma solo nell’illusione di rendere questascia di un nostro “Insieme” più lunga possi-bile… o semplicemente per continuare a

stare in tua compagnia... o forse per allonta-nare pensieri brutti alla vigilia di un fine set-timana, che non dividiamo nella presenza diun Noi tangibile…

Voglio quindi dedicarmi a cercare di cat-turare oggi… fra le tante cose… un senso...che ha convissuto con te appena qualcheora fa… uno a caso… non più né menoimportante degli altri… quello del toccar-ti…Toccarti con le mani… toccarti con ogniparte del corpo… pelle… caldo… umori dite... che rendono il tuo copro ancora piùliscio… più intenso al tatto… superfici chenascondono attività frenetiche del sangue,che riesco vivo a percepire nelle sue folliesottopelle sulle mie dita… sulle mie estre-mità a te più vicine… nel profondo che fasempre più vicini…

Avverto ancora ora un formicolio stra-no… diverso da quando mi manca la tuapelle… è qualcosa che stenta a calmarsi per-ché ancora ha voglia di ripercorrere i sentie-ri del tuo corpo... quelli che forse ho trascu-rato o che per fortuna ho percorso senzavolerlo... semplicemente nella mia smania diesplorare il tuo corpo… ahhhhhhhhhh…credo che ora basti… mi sa che non condivi-derò con te questi pensieri… non credo siasalutare desiderarti tanto.

Ciao Amore mio… Antimo Cicala

il racconto

anno 1 - numero 0 - 2007 29

frammenti

Yam PatataCassava

La Nigeria è un paese afri-cano, ed è la nazione piùpopolata del continente,con più di cento milioni di

abitanti. Il paese fu colonizzatodalla Gran Bretagna e divenneindipendente il 1 ottobre 1960.La popolazione è formata datanti gruppi etnici come gliHausa, gli Igbo e gli Yoruba.Nell’anno 1967 gli Igbo tentaro-no di scappare dal paese e questoportò ad una guerra civile chedurò tre anni e costò altre vite atutta la nazione.

Fin dalla fine della guerra lanazione è sempre stata dominatada una dittatura militare.Attualmente c’è una democraziacon sistema presidenziale digoverno. Tale governo eletto restaal potere quattro anni e resta duevolte per un massimo di otto anni.

La capitale è Abuja e si trovaal centro della nazione, nellostato del Niger. La religione prin-cipale del paese è quella musul-mana, ma c’è anche chi professala religione cristiana e pagana,c’è totale libertà di religione intutta la nazione.

I musulmani possono averefino a quattro mogli, i cristiani

dovrebbero sposarsi solo unavolta, e i pagani sono liberi dipraticare la poligamia.

L’alimento principale è il riso.Può essere preparato in varimodi, bollito, al vapore, fritto.

I fagioli possono essere consu-mati col riso, da soli, preparati inun dolce detto AKARA, e ancheusati per la zuppa.

Lo yam può essere mangiatocome purè, si può friggere o

essere usato come farina.La cassava, anche conosciuta

come tajoka, è un cibo ghiotto inNigeria e può essere consumatoin varie forme: ridotto in farina emangiato come contorno, puòessere cucinato con lo Yam perpreparare il purè, può esseretagliato e consumato con il cocco.

Il cocoyam può essere cotto,fritto o ridotto in polvere peressere consumato come semolinoo mischiato con la cassava perfare il purè.

Il platano può essere cucinatoacerbo, o usato per fare una sortadi patatine fritte, o in polverecome semolino, oppure tostato.

Le patate sono di diversi tipi,da preparare arrostite o fritteoppure ridotte in purè.

…io credo che il cibo, il mododi confezionarlo e di assumerlo,così variegato da paese a paese,sia uno degli aspetti della culturadei popoli, ciascuno dei quali sug-gerisce qualcosa arricchendosi (oevolvendosi) reciprocamente.

Diversamente dai McDonald’sche della cultura dei popoli fa volen-tieri… polpette (o hamburger)!

Patrick OgbeidePlatano

Cocoyam

NINI GGGG EEEE RRRR IAIA

effetto natura

anno 1 - numero 0 - 200730

frammenti

Ancora un giornale. Afronte della selva digiornali, locali, nazio-nali, continentali e

planetari, con frequenza periodi-ca, quotidiana, ed in tempo reale,a supporto cartaceo, radiofonico,televisivo e soprattutto informati-co, un piccolo giornale come ilnostro, che esce periodicamenteda un Istituto Penitenziario puòsembrare poca cosa.

Eppure io penso che nellaconfusione generale che stiamovivendo da alcuni anni nel nostropaese, con le velocità mozzafiatoche ci vengono imposte, quasiaccantonando l’umana esistenzae la sua naturale velocità biologi-

ca; dove i mezzi di comunicazio-ne, che informando deformano,autorizzando vietano, generanola colpa e seminano la paura,hanno un potere così pervasivoper intensità ed estensione dadeterminare una vera e propriacrisi democratica.

In questo scenario mediatico-compulsivo una piccola voce con-creta, lenta quanto basta, masoprattutto autentica e senza altriscopi, che restituisca tempo espazio alle voci sommesse; ossia,un giornale che pretende di con-cedersi un’anima senza bombar-dare nessuno, io credo sia unabuona cosa.

Si tratta di uno spazio espres-

sivo per interloquire, lontanodalle pretese omologanti o, peg-gio, dalla manipolazione dellecoscienze.

Uno spazio senza griglie pre-determinate, che vuole dare sup-porto alla polifonia delle vocisilenziate, che pure vanno cer-candosi, asintonico rispetto allemode. Uno spazio e un pontedove fare infrangere (o dialettiz-zare) le antiche e desolanti anti-nomie, per spiazzare pareti e pre-tese. E’ il giornale del carcerenella sua interezza, il crocevia ditutte le debolezze, quel luogosulle cui macerie il mondo interopontifica, spesso con saccenzaarrogante, raramente con la

IIII llll gggg iiii oooo rrrr nnnn aaaa llll eeee dddd eeee llll cccc aaaa rrrr cccc eeee rrrr eeee dddd iiii SSSS eeee cccc oooo nnnn dddd iiii gggg llll iiii aaaa nnnn oooo ::::

qqqq uuuu aaaa nnnn dddd oooo ““““ eeee ssss pppp rrrr iiii mmmm eeee rrrr ssss iiii ”””” èèèè cccc oooo mmmm iiii nnnn cccc iiii aaaa rrrr eeee aaaa vvvv iiii vvvv eeee rrrr eeee .... .... ....

teorica/mente

anno 1 - numero 0 - 2007 31

frammenti

necessaria consapevolezza ocognizione di causa.

Il carcere, la penultima ferma-ta dal capolinea dell’umanità,dunque quasi ai confini, dovetutto si torce e si contorce finoallo spasimo…

Frammenti non è un mezzo dicomunicazione, né di massa, néd’élite, data la sua periodicità (laprevisione è quella di un bime-strale) e la sua tiratura (1500copie), che non accede, perragioni di costi, ai circuiti delladistribuzione.

Non è neppure il luogo dovefar sedimentare la famosa libertàdi pensiero, giacchè, io credo,non esiste libero pensiero in uncorpo recluso (infatti, una partedei redattori è composta da per-sone recluse).

Neppure abbiamo la pre-tesa di… formare dei gior-nalisti, magari vaneg-giando opportu-nità lavorative inprospettiva.

Niente di tuttoquesto! Frammentiè e vuole essere unpretesto per suscitarelegami, interazionirelazionali, dove regnainimicizia e separazione, doveciascuno vive di solitudine, paran-dosi conseguentemente su sestesso, tronfio della sua solitariapresunzione.

Nulla retroagisce di più deisegni rinsecchiti della scrittura.

Scrivere, infatti, significaesporre il proprio punto di vista,suscitando la critica da altri puntidi vista e scoprendo così che ognicosa contiene più verità; significarelativizzarsi, spuntare le presun-zioni, imparare ad ascoltare “l’al-tro”, lavorare sui dubbi, spazzarevia le certezze granitiche, o comesi usa dire, mettersi in discussio-ne, scoprire lentamente, ricono-scere l’altro da sé, accoglierlo e

crescere finalmentemediante le molte-plici interconnes-sioni multilaterali.In breve, socializza-re, condividere quelnoi collettivo chesoffoca e gioisce,restituendo saporeal sapere.

Naturalmente,un giornale fabbri-cato in carcere nonpuò esimersi dallacritica seria al car-cere stesso, damolti ritenuto erro-neamente la solu-zione di un proble-ma, piuttosto cheun ulteriore problema. Di più!Molti amano continuare a pensa-

re il carcere come una realtàseparata, un mondo che

non ci appartiene,che non ci riguar-da, delegando lasua gestione agliaddetti, rifiutando

la responsabilità econ ciò i doveri di

cittadinanza.Criticare il carcere

significa contribuire alsuperamento di quest’ottica

miope della separatezza; significaforzare l’orizzonte dell’ostilità edell’inimicizia, raccordando inmodo sinergico tutte le risorseverso il fine comune e di produr-re maggiore sicurezza per tutti.Con/vincere signifi-ca andare oltre ilvincere, significavincere insieme.

Per dirla conDon Milani, “uscir-ne da soli è avari-zia, uscirne insiemeè politica”,… l’artedel bene comune!

Beppe Battaglia

Mi sento soloLe vie del dolore, sono il miopensiero e la mia preghiera.Vive lì la felicità profonda dellamia storia.Di anno in anno, si sono adden-sate lacrime, ombre e paure.Spesso vedo volti che lottanocon la morte, e ogni giorno cheva via racconta la fuga da uninferno all’altro.E mi porto una mano al cuoreper sostenerlo.Il mondo crede che io possasuperare l’odio dall’umano sen-tire e che la mia voce da solanutra la speranza.Spesso chiuso nella mia cella,confido all’invisibile Dio, lamia invincibile fragilità.E oggi che per la prima voltaincontro questa via, di cuitanto si parla, ma che nessunoveramente sa com’è fatta…Mi pare di sentirmi solo.

Raffaele Corona

contro/versi

anno 1 - numero 0 - 200732

frammenti

La nostra civiltà, e non solola nostra, riconosce all’e-lemosina un significatofondamentale. Per i cri-

stiani esercitare la carità è unbisogno dello spirito, è un mezzoper raggiungere la salvezza; per ilaici un tentativo di ridistribuire laricchezza e una parziale rispostadella società alla povertà.

Ogni religione impone l’obbli-go di venire incontro ai bisognidei meno fortunati.

Il comunismo si è illuso dipoter risolvere le disuguaglianze,ma il suo fallimento è sotto gliocchi di tutti; fino a quando esi-sterà la povertà è dovere di ogniuomo di buona volontà cercare diporvi rimedio.

Ed è dovere della politica sal-vaguardare la dignità delle perso-ne, superando la dimensione del-l’offensiva elemosina. Tuttavia viè una differenza abissale tra ilchiedere l’elemosina e cercare diestorcere denaro, e questa diffe-renza va sottolineata per toglierefiato e argomenti ai soliti mene-freghisti che per la loro incuria, e

per il loro egoismocostringono le per-sone a commetterereati per poter tirareavanti con le pro-prie famiglie. A pro-posito di ciò ricor-diamo l’evento lava-vetri o i parcheggia-tori abusivi i qualisono stati conside-rati dei veri e propridelinquenti soloperché cercavanoquei pochi centesi-mi per una presta-zione, che magariqualcuno consideracome estorsione.

Addirittura sen-tiamo dai giornaliche si tratterebbe di reati di parti-colare allarme sociale.

Ora, che lo dicano i giornalipotrebbe anche passare, giacchèdietro ogni giornale c’è un edito-re che ha e deve coltivare partico-lari interessi di parte, ma che lapolitica, i partiti e addirittura ilgoverno corre dietro a questi

interessi, è dav-vero tragico!Paragonare unoscippatore adun mafioso o unterrorista è dav-vero troppo.Soprattutto èun’offesa gran-de fatta all’intel-ligenza dei citta-dini onesti, cheper pagare letasse non arriva-no a fine mese.E’ evidente lagrandiosità dellabufala. Un lava-

vetri o un bambino rom, comegrande allarme sociale, significasolo che… bisogna estorcere (orasi) il consenso a tutti i costi!

I problemi della società, oggi,non sono questi che i media ciespongono, ma come vivonomilioni di persone delle quali siconoscono le difficoltà della vitae non si fa niente per aiutarle,solo perché il nostro governo èimpegnato in battibecchi tramaggioranza e minoranza e nonsi accorge che l’Italia è diventatala terra dei sommersi. La terra deifantasmi e dei deserti. Se i lava-vetri agli incroci delle strade sonoparificati ai mafiosi e ai terroristisignifica che deve essere forte lapressione politica di questi ultimisui partiti e sul governo. Delresto, le mafie non esisterebberosenza le necessarie collusioni conla politica. Scippatori e lavavetri,grande allarme sociale.

Ma a chi vogliono raccontarla?Antonio Lamberti

I poveri e la povertàl’attualità