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Storia dell’alchimia Misticismo ed esoterismo all’origine della chimica moderna II edizione rivista e ampliata FIRENZE UNIVERSITY PRESS Salvatore Califano

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  • Storia dell’alchimiaMisticismo ed esoterismo all’origine della chimica modernaII edizione rivista e ampliata

    FIRENZEUNIVERSITY

    PRESS

    Salvatore Califano

  • Libere carte

    – 4 –

  • Libere carte

    – 4 –

  • Salvatore Califano

    Storia dell’alchimiaMisticismo ed esoterismo

    all’origine della chimica moderna

    ii edizione rivista e ampliata

    FIRENZE UNIVERSITY PRESS2016

    Certificazione scientifica delle OpereTutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientifici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione più analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti ufficiali pubblicati sul catalogo on-line della casa editrice (www.fupress.com).Consiglio editoriale Firenze University PressG. Nigro (Coordinatore), M.T. Bartoli, M. Boddi, R. Casalbuoni, C. Ciappei, R. Del Punta, A. Dolfi, V. Fargion, S. Ferrone, M. Garzaniti, P. Guarnieri, A. Mariani, M. Marini, A. Novelli, M.C. Torricelli, M. Verga, A. Zorzi.

    © 2016 Firenze University PressUniversità degli Studi di FirenzeFirenze University Pressvia Cittadella, 7, 50144 Firenze, Italywww.fupress.comPrinted in Italy

    Storia dell’alchimia : misticismo ed esoterismo all’origine della chimica moderna : II edizione rivista e ampliata / Salvatore Califano. – Firenze : Firenze University Press, 2016.(Libere carte ; 4)

    http://digital.casalini.it/9788866559993

    ISBN 978-88-6655-998-6 (print)ISBN 978-88-6655-999-3 (online)

    Progetto grafico di Alberto Pizarro Fernández, Pagina Maestra snc

  • Salvatore Califano

    Storia dell’alchimiaMisticismo ed esoterismo

    all’origine della chimica moderna

    ii edizione rivista e ampliata

    FIRENZE UNIVERSITY PRESS2016

    Certificazione scientifica delle OpereTutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientifici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione più analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti ufficiali pubblicati sul catalogo on-line della casa editrice (www.fupress.com).Consiglio editoriale Firenze University PressG. Nigro (Coordinatore), M.T. Bartoli, M. Boddi, R. Casalbuoni, C. Ciappei, R. Del Punta, A. Dolfi, V. Fargion, S. Ferrone, M. Garzaniti, P. Guarnieri, A. Mariani, M. Marini, A. Novelli, M.C. Torricelli, M. Verga, A. Zorzi.

    © 2016 Firenze University PressUniversità degli Studi di FirenzeFirenze University Pressvia Cittadella, 7, 50144 Firenze, Italywww.fupress.comPrinted in Italy

    Storia dell’alchimia : misticismo ed esoterismo all’origine della chimica moderna : II edizione rivista e ampliata / Salvatore Califano. – Firenze : Firenze University Press, 2016.(Libere carte ; 4)

    http://digital.casalini.it/9788866559993

    ISBN 978-88-6655-998-6 (print)ISBN 978-88-6655-999-3 (online)

    Progetto grafico di Alberto Pizarro Fernández, Pagina Maestra snc

  • Dedico questo libro ai miei due figli, Andrea, professore alla Columbia University di New York,

    e Francesco, professore di struttura della materia all’Università di Pisa

  • Dedico questo libro ai miei due figli, Andrea, professore alla Columbia University di New York,

    e Francesco, professore di struttura della materia all’Università di Pisa

  • SOMMARIO

    INTRODUZIONE IX

    CAPITOLO IL’ALCHIMIA EGIZIANA 1

    CAPITOLO 2L’ALCHIMIA ALESSANDRINA E PALEOCRISTIANA 3

    CAPITOLO 3L’ALCHIMIA CINESE 7

    CAPITOLO 4LO STUDIO DELLA NATURA NEL MONDO GRECO 13

    CAPITOLO 5L’ALCHIMIA NEL MONDO ISLAMICO 25

    CAPITOLO 6LA TRADUZIONE DELL’ALCHIMIA CLASSICA 33

    CAPITOLO 7I PRIMI VERI LABORATORI DI ALCHIMIA 39

    CAPITOLO 8UMANISTI ED ENCICLOPEDISTI 49

    CAPITOLO 9I PRIMI LIBRI EUROPEI DI TECNICA 67

    CAPITOLO 10 L’ALCHIMIA NELL’ALTO MEDIOEVO 71

    CAPITOLO 11L’ALCHIMIA NEL RINASCIMENTO ITALIANO 85

    VIII STORIA DELLA CHIMICA

    CAPITOLO 12PARACELSO E LA IATROCHIMICA 95

    CAPITOLO 13 DA VAN HELMONT A BOYLE 103

    CAPITOLO 14 ISAAC NEWTON ALCHIMISTA E DIRETTORE DELLA ZECCA 123

    CAPITOLO 15 DA GASSENDI A CARTESIO 131

    CAPITOLO 16 ESOTERISMO E STREGONERIA NEL SEICENTO 137

    CAPITOLO 17 L’ALCHIMIA ALLA CORTE DI ELISABETTA I TUDOR 145

    CAPITOLO 18 L’ALCHIMIA IN EUROPA CENTRALE 153

    CAPITOLO 19 L’ALCHIMIA IN AMERICA 157

    BIBLIOGRAFIA 167

  • SOMMARIO

    INTRODUZIONE IX

    CAPITOLO IL’ALCHIMIA EGIZIANA 1

    CAPITOLO 2L’ALCHIMIA ALESSANDRINA E PALEOCRISTIANA 3

    CAPITOLO 3L’ALCHIMIA CINESE 7

    CAPITOLO 4LO STUDIO DELLA NATURA NEL MONDO GRECO 13

    CAPITOLO 5L’ALCHIMIA NEL MONDO ISLAMICO 25

    CAPITOLO 6LA TRADUZIONE DELL’ALCHIMIA CLASSICA 33

    CAPITOLO 7I PRIMI VERI LABORATORI DI ALCHIMIA 39

    CAPITOLO 8UMANISTI ED ENCICLOPEDISTI 49

    CAPITOLO 9I PRIMI LIBRI EUROPEI DI TECNICA 67

    CAPITOLO 10 L’ALCHIMIA NELL’ALTO MEDIOEVO 71

    CAPITOLO 11L’ALCHIMIA NEL RINASCIMENTO ITALIANO 85

    VIII STORIA DELLA CHIMICA

    CAPITOLO 12PARACELSO E LA IATROCHIMICA 95

    CAPITOLO 13 DA VAN HELMONT A BOYLE 103

    CAPITOLO 14 ISAAC NEWTON ALCHIMISTA E DIRETTORE DELLA ZECCA 123

    CAPITOLO 15 DA GASSENDI A CARTESIO 131

    CAPITOLO 16 ESOTERISMO E STREGONERIA NEL SEICENTO 137

    CAPITOLO 17 L’ALCHIMIA ALLA CORTE DI ELISABETTA I TUDOR 145

    CAPITOLO 18 L’ALCHIMIA IN EUROPA CENTRALE 153

    CAPITOLO 19 L’ALCHIMIA IN AMERICA 157

    BIBLIOGRAFIA 167

  • INTRODUZIONE

    L’alchimia, antica progenitrice della chimica, è nata prima che il metodo scientifico divenisse parte integrante delle moderne teorie chimiche. Sin dall’inizio della storia dell’umanità i protagonisti del suo sviluppo hanno cercato di scoprire e ricostruire in laboratorio i meccanismi nascosti con cui la natura realizzava lo sviluppo di piante e animali, riproducendosi da millenni sempre eguale a se stessa, secondo regole ben precise e costan-ti che sfuggivano all’umana comprensione. I tentativi d’interpretazione dei processi che accadevano nel mondo fisico erano inevitabilmente me-scolati e confusi con tanti altri aspetti diversi dello scibile umano, dallo studio del comportamento e del movimento degli astri e dei pianeti, al-la cure delle ferite e delle malattie, a concezioni mistiche e religiose che affidavano il futuro a divinità arcane, al trattamento dei metalli, perfino a miti che richiamavano le gesta dei tanti personaggi che popolavano le storie tramandate da generazioni. Le procedure messe a punto da questi primi sperimentatori servivano a interrogare una natura spesso ostile e violenta, agitata da fenomeni incomprensibili come terremoti, alluvioni e tempeste. I nomi fantastici assegnati ai composti utilizzati da questi pro-to-chimici, anziché richiamare con termini chiari le proprietà e il com-portamento della materia, si rifacevano in genere a personaggi mitici o a immagini fantasiose, nascondendo le proprietà dei composti dietro termi-ni esotici, giunti addirittura fino ai giorni nostri per creare un’atmosfera di mistero e d’incantesimo.

    L’impianto generale dell’alchimia, che prendeva il nome di ‘Gran-de Opera’ o Opus alchemico, richiedeva che tutti gli enti fisici subissero processi di trasformazione dallo stato primitivo a uno stato di perfezio-ne finale nel quale la materia prima moriva (Nigredo), poi era ricomposta (Albedo) e infine ricostruita (Rubedo). Questi tre stadi delle trasmutazioni materiali corrispondevano ai tre colori, nero, bianco e rosso, e alle tre divi-sioni dell’essere, corpo, spirito e anima. In stadi successivi dello sviluppo dell’alchimia comparve anche la Citrinitas, in greco xanthosis, una specie di distillazione purificatrice, corrispondente al colore giallo che nel linguag-gio alchemico rappresentava la trasformazione dell’argento in oro puro.

    L’evoluzione dell’alchimia ha visto quindi sovrapporsi nei secoli un co-acervo di concetti e credenze che passavano dal misticismo alla stregoneria alle pratiche esoteriche (alchimia mistica). Questo lungo processo di tra-

    X STORIA DELLA CHIMICA

    sformazione ha permesso però di sviluppare raccolte di conoscenze em-piriche sia di chimica sia di medicina e farmacia (alchimia sperimentale) che hanno aperto la strada alla scienza moderna (Thorndyke 1923-1958).

    Figura 1 – Il laboratorio dell’alchimista, illustrazione di Hans Vredeman de Vries, contenuta nell’Amphitheatrum sapientiae aeternae di Heinrich Khunrath.

    Per molti lettori di libri di storia della scienza la parola ‘alchimia’ richia-ma alla mente un oscuro laboratorio medievale, pieno di storte, alambicchi e crogiuoli in cui un eccentrico personaggio, vestito di una lunga tonaca nera, qualcosa d’intermedio tra il mago e lo stregone, cerca con ostinazio-ne di scoprire la Pietra Filosofale per impossessarsi dell’elisir di lunga vita e per realizzare il sogno della trasmutazione dei metalli in oro (fig. 1). Il personaggio tipico dell’alchimista medievale è stato magnificamente trat-teggiato nel famoso libro di Marguerite Yourcenar L’opera al nero (1968), le cui vicende ruotano attorno alla figura di Zenone, filosofo, scienziato e alchimista, che l’autrice immagina essere nato in Belgio nel XVI secolo. Dal libro è stato tratto nel 1988 un film diretto da André Delvaux con lo stesso titolo, con l’attore Gian Maria Volonté nel ruolo di Zenone. Altret-tanto orientato a disegnare il personaggio dell’alchimista è il romanzo La Recherche de l’Absolu, terzo volume degli studi di costume della Comédie humaine di Honoré de Balzac (Balzac 1842), che narra le vicende di Bal-thazar Claës, un agiato borghese di Douai, una cittadina nel nord della

  • INTRODUZIONE

    L’alchimia, antica progenitrice della chimica, è nata prima che il metodo scientifico divenisse parte integrante delle moderne teorie chimiche. Sin dall’inizio della storia dell’umanità i protagonisti del suo sviluppo hanno cercato di scoprire e ricostruire in laboratorio i meccanismi nascosti con cui la natura realizzava lo sviluppo di piante e animali, riproducendosi da millenni sempre eguale a se stessa, secondo regole ben precise e costan-ti che sfuggivano all’umana comprensione. I tentativi d’interpretazione dei processi che accadevano nel mondo fisico erano inevitabilmente me-scolati e confusi con tanti altri aspetti diversi dello scibile umano, dallo studio del comportamento e del movimento degli astri e dei pianeti, al-la cure delle ferite e delle malattie, a concezioni mistiche e religiose che affidavano il futuro a divinità arcane, al trattamento dei metalli, perfino a miti che richiamavano le gesta dei tanti personaggi che popolavano le storie tramandate da generazioni. Le procedure messe a punto da questi primi sperimentatori servivano a interrogare una natura spesso ostile e violenta, agitata da fenomeni incomprensibili come terremoti, alluvioni e tempeste. I nomi fantastici assegnati ai composti utilizzati da questi pro-to-chimici, anziché richiamare con termini chiari le proprietà e il com-portamento della materia, si rifacevano in genere a personaggi mitici o a immagini fantasiose, nascondendo le proprietà dei composti dietro termi-ni esotici, giunti addirittura fino ai giorni nostri per creare un’atmosfera di mistero e d’incantesimo.

    L’impianto generale dell’alchimia, che prendeva il nome di ‘Gran-de Opera’ o Opus alchemico, richiedeva che tutti gli enti fisici subissero processi di trasformazione dallo stato primitivo a uno stato di perfezio-ne finale nel quale la materia prima moriva (Nigredo), poi era ricomposta (Albedo) e infine ricostruita (Rubedo). Questi tre stadi delle trasmutazioni materiali corrispondevano ai tre colori, nero, bianco e rosso, e alle tre divi-sioni dell’essere, corpo, spirito e anima. In stadi successivi dello sviluppo dell’alchimia comparve anche la Citrinitas, in greco xanthosis, una specie di distillazione purificatrice, corrispondente al colore giallo che nel linguag-gio alchemico rappresentava la trasformazione dell’argento in oro puro.

    L’evoluzione dell’alchimia ha visto quindi sovrapporsi nei secoli un co-acervo di concetti e credenze che passavano dal misticismo alla stregoneria alle pratiche esoteriche (alchimia mistica). Questo lungo processo di tra-

    X STORIA DELLA CHIMICA

    sformazione ha permesso però di sviluppare raccolte di conoscenze em-piriche sia di chimica sia di medicina e farmacia (alchimia sperimentale) che hanno aperto la strada alla scienza moderna (Thorndyke 1923-1958).

    Figura 1 – Il laboratorio dell’alchimista, illustrazione di Hans Vredeman de Vries, contenuta nell’Amphitheatrum sapientiae aeternae di Heinrich Khunrath.

    Per molti lettori di libri di storia della scienza la parola ‘alchimia’ richia-ma alla mente un oscuro laboratorio medievale, pieno di storte, alambicchi e crogiuoli in cui un eccentrico personaggio, vestito di una lunga tonaca nera, qualcosa d’intermedio tra il mago e lo stregone, cerca con ostinazio-ne di scoprire la Pietra Filosofale per impossessarsi dell’elisir di lunga vita e per realizzare il sogno della trasmutazione dei metalli in oro (fig. 1). Il personaggio tipico dell’alchimista medievale è stato magnificamente trat-teggiato nel famoso libro di Marguerite Yourcenar L’opera al nero (1968), le cui vicende ruotano attorno alla figura di Zenone, filosofo, scienziato e alchimista, che l’autrice immagina essere nato in Belgio nel XVI secolo. Dal libro è stato tratto nel 1988 un film diretto da André Delvaux con lo stesso titolo, con l’attore Gian Maria Volonté nel ruolo di Zenone. Altret-tanto orientato a disegnare il personaggio dell’alchimista è il romanzo La Recherche de l’Absolu, terzo volume degli studi di costume della Comédie humaine di Honoré de Balzac (Balzac 1842), che narra le vicende di Bal-thazar Claës, un agiato borghese di Douai, una cittadina nel nord della

  • XI INTRODUZIONE

    Francia, discendente della famiglia spagnola della Casa-Real. La vita di Claës scorreva serena e armoniosa, fino al giorno in cui, aiutato dal fede-le domestico Lemulquinier, decise di dedicare il suo tempo all’alchimia, nella speranza di riuscire a trovare l’Assoluto, la sostanza comune a tutte le creazioni. Questa fissazione non lo abbandonerà mai e lo costringerà a sperperare tutti i beni di famiglia per acquistare prodotti e attrezzature per questa sua attività che lo assorbirà totalmente fino a portarlo al limite della follia. Il romanzo finisce con Balthazar invecchiato e povero in pun-to di morte, accudito da sua figlia Margherite e dal marito Emmanuel, il quale leggendo un articolo di giornale racconta al suocero della scoperta dell’Assoluto realizzata da suoi concorrenti.

    Un personaggio ancora più favoloso compare nel romanzo L’alchimi-sta dello scrittore e poeta brasiliano Paolo Coelho (Coelho 1995), che rac-conta la storia fantastica del giovane pastore Santiago che è incoraggiato dal vecchio e saggio Re di Salem, Melchisedec, a vendere le sue pecore e intraprendere un viaggio nel quale, dopo essere stato derubato e aver vis-suto una serie di avventure, conosce in un’oasi nel deserto un alchimista inglese che gli racconta come trovare un tesoro. Dopo una serie di mira-bolanti avventure il pastore ottiene dal capo di un gruppo di beduini l’in-formazione necessaria per trovare la via del tesoro e diventa ricco non solo di soldi ma anche di esperienza di vita (fig. 2).

    Figura 2 – Pieter Bruegel il Vecchio (1526/1530-1569), The Alchimist – Kupferstich-kabinett Berlin.

    Il personaggio dell’alchimista era stato però ampiamente trattato nella letteratura internazionale già da prima, soprattutto nel periodo dal Tre-cento al Cinquecento, come ad esempio nel racconto The Canon’s Yeoman’s Tale del 1391, una delle più note novelle delle Canterbury Tales di Geoffrey Chaucher, «il padre della letteratura inglese» (Chaucher 2007) o nell’Elogio della Follia del 1509 di Erasmo da Rotterdam, che sarcasticamente accen-nava a cacciatori e alchimisti (Erasmo da Rotterdam 2012) come persone

    XII STORIA DELLA CHIMICA

    che sprecano tempo e denaro, e come loro i giocatori d’azzardo, men-tre al contrario, coloro che propalano ‘miracoli e favolette di prodigi’ hanno per scopo di ‘cavar quattrini, come usano principalmente preti e predicatori popolari’ (Erasmo da Rotterdam 2012: 39).

    Queste immagini romanzesche e spesso denigratorie degli alchimi-sti non fanno però onore al bagaglio di conoscenze accumulato nell’arco dei secoli da questi proto-scienziati, e nemmeno fanno notare il profon-do desiderio di cultura che li ha animati, spingendoli a sacrificare la par-te migliore della loro vita e spesso anche i loro beni materiali alla ricerca di una comprensione profonda della natura, guidati da quel fuoco sacro della conoscenza scientifica che nello spazio dei secoli ha dato origine alla moderna scienza chimica (fig. 3).

    Le prime notizie che abbiamo sulla nascita dell’alchimia sono da ricer-carsi nei miti e nelle leggende che animavano la cultura dei popoli dell’In-dia, dell’antica Cina e delle popolazioni del Medio Oriente, dai sumeri agli egizi, fino ai babilonesi.

    Figura 3 – Laboratorio Alchemico, disegno di Michael Maier (1568-1622).

    Il termine alchimia deriva probabilmente dall’associazione del termine arabo al kimiyà (la pietra filosofale) con quello egiziano Al Kemi (la terra) e perfino con l’antico cinese kim-iya (succo per fare l’oro). L’interazione tra queste espressioni diede così origine alla parola khymeia o khume-ia (χυμεία), che significa in greco ‘fondere’ e che poi diventerà ‘alchimia’ nella cultura alessandrina (Berthelot 1889). L’alchimia, sviluppatasi quasi contemporaneamente nel mondo orientale, Cina e India da una parte e in Egitto e nel Medio Oriente dall’altra, era all’inizio soprattutto legata a pratiche di trattamento di materiali diversi, creta, pietre colorate, sali ed estratti vegetali come profumi, veleni e succhi medicinali. A queste pra-tiche erano poi associati i processi di lavorazione di materiali come il le-gno e l’argilla o di fusione di minerali per estrarre i metalli, in particolare

  • XI INTRODUZIONE

    Francia, discendente della famiglia spagnola della Casa-Real. La vita di Claës scorreva serena e armoniosa, fino al giorno in cui, aiutato dal fede-le domestico Lemulquinier, decise di dedicare il suo tempo all’alchimia, nella speranza di riuscire a trovare l’Assoluto, la sostanza comune a tutte le creazioni. Questa fissazione non lo abbandonerà mai e lo costringerà a sperperare tutti i beni di famiglia per acquistare prodotti e attrezzature per questa sua attività che lo assorbirà totalmente fino a portarlo al limite della follia. Il romanzo finisce con Balthazar invecchiato e povero in pun-to di morte, accudito da sua figlia Margherite e dal marito Emmanuel, il quale leggendo un articolo di giornale racconta al suocero della scoperta dell’Assoluto realizzata da suoi concorrenti.

    Un personaggio ancora più favoloso compare nel romanzo L’alchimi-sta dello scrittore e poeta brasiliano Paolo Coelho (Coelho 1995), che rac-conta la storia fantastica del giovane pastore Santiago che è incoraggiato dal vecchio e saggio Re di Salem, Melchisedec, a vendere le sue pecore e intraprendere un viaggio nel quale, dopo essere stato derubato e aver vis-suto una serie di avventure, conosce in un’oasi nel deserto un alchimista inglese che gli racconta come trovare un tesoro. Dopo una serie di mira-bolanti avventure il pastore ottiene dal capo di un gruppo di beduini l’in-formazione necessaria per trovare la via del tesoro e diventa ricco non solo di soldi ma anche di esperienza di vita (fig. 2).

    Figura 2 – Pieter Bruegel il Vecchio (1526/1530-1569), The Alchimist – Kupferstich-kabinett Berlin.

    Il personaggio dell’alchimista era stato però ampiamente trattato nella letteratura internazionale già da prima, soprattutto nel periodo dal Tre-cento al Cinquecento, come ad esempio nel racconto The Canon’s Yeoman’s Tale del 1391, una delle più note novelle delle Canterbury Tales di Geoffrey Chaucher, «il padre della letteratura inglese» (Chaucher 2007) o nell’Elogio della Follia del 1509 di Erasmo da Rotterdam, che sarcasticamente accen-nava a cacciatori e alchimisti (Erasmo da Rotterdam 2012) come persone

    XII STORIA DELLA CHIMICA

    che sprecano tempo e denaro, e come loro i giocatori d’azzardo, men-tre al contrario, coloro che propalano ‘miracoli e favolette di prodigi’ hanno per scopo di ‘cavar quattrini, come usano principalmente preti e predicatori popolari’ (Erasmo da Rotterdam 2012: 39).

    Queste immagini romanzesche e spesso denigratorie degli alchimi-sti non fanno però onore al bagaglio di conoscenze accumulato nell’arco dei secoli da questi proto-scienziati, e nemmeno fanno notare il profon-do desiderio di cultura che li ha animati, spingendoli a sacrificare la par-te migliore della loro vita e spesso anche i loro beni materiali alla ricerca di una comprensione profonda della natura, guidati da quel fuoco sacro della conoscenza scientifica che nello spazio dei secoli ha dato origine alla moderna scienza chimica (fig. 3).

    Le prime notizie che abbiamo sulla nascita dell’alchimia sono da ricer-carsi nei miti e nelle leggende che animavano la cultura dei popoli dell’In-dia, dell’antica Cina e delle popolazioni del Medio Oriente, dai sumeri agli egizi, fino ai babilonesi.

    Figura 3 – Laboratorio Alchemico, disegno di Michael Maier (1568-1622).

    Il termine alchimia deriva probabilmente dall’associazione del termine arabo al kimiyà (la pietra filosofale) con quello egiziano Al Kemi (la terra) e perfino con l’antico cinese kim-iya (succo per fare l’oro). L’interazione tra queste espressioni diede così origine alla parola khymeia o khume-ia (χυμεία), che significa in greco ‘fondere’ e che poi diventerà ‘alchimia’ nella cultura alessandrina (Berthelot 1889). L’alchimia, sviluppatasi quasi contemporaneamente nel mondo orientale, Cina e India da una parte e in Egitto e nel Medio Oriente dall’altra, era all’inizio soprattutto legata a pratiche di trattamento di materiali diversi, creta, pietre colorate, sali ed estratti vegetali come profumi, veleni e succhi medicinali. A queste pra-tiche erano poi associati i processi di lavorazione di materiali come il le-gno e l’argilla o di fusione di minerali per estrarre i metalli, in particolare

  • XIII INTRODUZIONE

    quelli che si trovavano allo stato nativo. I più antichi reperti archeologici testimoniano che metalli e argilla erano i materiali di cui l’uomo dispo-neva fin dal periodo neolitico (ca. 7000 a.C.). Man mano che i primi esseri umani, associatisi in piccoli gruppi per meglio difendere il loro territorio da predatori e da gruppi rivali, s’organizzavano apprendendo ad allevare animali e a seminare piante per il loro nutrimento, iniziarono le prime forme di organizzazione sociale. Cominciavano così a formarsi personag-gi capaci sia di usare il fuoco per fondere minerali, sia di costruire uten-sili per la vita quotidiana, sia di estrarre da piante coltivate o raccolte nei campi decotti e succhi medicinali. Furono questi i progenitori di quelli che diventeranno in seguito nelle società organizzate artigiani specializzati in vari mestieri, capaci di fondere i metalli o di costruire navi, di colorare tessuti, di costruire case e templi, di fondere e soffiare il vetro, di plasma-re vasi e orci per contenere alimenti e di preparare medicamenti e tisane estraendoli dalle piante. Nell’impossibilità di spiegare i fenomeni naturali con le poche conoscenze di cui disponevano, riti magici e religiosi spesso diversi da gruppo a gruppo servivano a controllare i misteriosi rapporti con la natura. Gli uomini primitivi erano infatti impauriti dalla natura ostile, dai fulmini, dai tuoni, dalle alluvioni, dai terremoti e non avendo spiegazioni plausibili cercavano disperatamente di affidare il proprio de-stino con invocazioni e riti propiziatori alla protezione di possibili divi-nità, sensibili alle loro richieste e disponibili ad aiutarli (Geymonat 1970).

    I riti rappresentavano pertanto la forma più diretta di rapporto con le divinità e per renderli più solenni cominciarono ad apparire i primi luoghi dedicati al culto. L’intervento di divinità era necessario in tutti gli aspetti della vita, dalla cura delle malattie alle faccende domestiche, dal lavoro dei campi alle attività artigianali. In Mesopotamia e in Egitto ad esempio, i luoghi nei quali si svolgeva la lavorazione dei metalli, erano as-sociati agli edifici del culto religioso (Califano 2010: 17). Anche l’astrolo-gia, che cercava di collegare il cielo, immaginata residenza delle divinità, con l’esistenza umana, si arricchì in maniera considerevole di concetti e termini di carattere religioso o magico (Rossi 1988).

    Naturalmente i primi metalli utilizzati furono quelli che si trovava-no in forma nativa come il rame e l’oro; e infatti nelle tombe più antiche dell’Egitto e della Mesopotamia si trovano spesso oggetti d’oro e di rame (Eliade 1956). Proprio dall’uso dei metalli ha avuto origine la classifica-zione in età della pietra, del rame, del bronzo e del ferro dei grandi perio-di iniziali della storia dell’umanità.

    Le pratiche di conoscenze empiriche di metallurgia, mineralogia, bo-tanica e anatomia pian piano si trasformarono in una vera e propria pro-fessione, che vedeva i depositari del sapere dispensare il bagaglio delle loro esperienze e conoscenze ad allievi e seguaci, dando così origine a personag-gi che conoscevano le proprietà dei materiali, sapevano preparare decotti e infusi per curare malattie e alleviare i dolori, ma continuavano anche a ricorrere a pratiche magiche credendo di poter controllare i poteri degli astri e dei fenomeni naturali (Cantoni 1963).

    XIV STORIA DELLA CHIMICA

    Ringraziamenti

    Questo libro è nato su sollecitazione di diversi colleghi sia dell’Università di Firenze sia dell’Accademia Nazionale dei Lincei che, conoscendo i miei interessi per la storia della chimica, mi hanno sollecitato a conservare in un libro tutto il materiale che avevo raccolto negli anni sull’argomento e che in piccola parte era stato incluso nel primo capitolo del mio libro sulla storia della chimica pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2011. A questo proposito sento il dovere di ringraziare il mio grandissimo amico Paolo Rossi, uno dei più importanti rappresentanti della storia della scienza internazionale, che in un lungo periodo di fraterna amicizia mi ha fatto conoscere gli interessi della storia della filosofia della scuola da lui creata a Firenze e il prof. Vincenzo Schettino, prima mio giovanissimo studente, poi mio collaboratore ed amico a Padova e Firenze e in seguito mio col-lega all’Accademia e poi anche direttore del Dipartimento di Chimica di Firenze e mio preside. Devo anche ringraziare sentitamente la professo-ressa Paola Zambelli per avermi illustrato i grandi contributi della scuo-la filosofica di Firenze e in particolare quelli suoi sul pensiero magico ed alchemico del Rinascimento e per avermi fatto conoscere i contributi in questo campo della professoressa Michela Pereira, una delle principali rappresentanti della storia dell’alchimia e della magia.

  • XIII INTRODUZIONE

    quelli che si trovavano allo stato nativo. I più antichi reperti archeologici testimoniano che metalli e argilla erano i materiali di cui l’uomo dispo-neva fin dal periodo neolitico (ca. 7000 a.C.). Man mano che i primi esseri umani, associatisi in piccoli gruppi per meglio difendere il loro territorio da predatori e da gruppi rivali, s’organizzavano apprendendo ad allevare animali e a seminare piante per il loro nutrimento, iniziarono le prime forme di organizzazione sociale. Cominciavano così a formarsi personag-gi capaci sia di usare il fuoco per fondere minerali, sia di costruire uten-sili per la vita quotidiana, sia di estrarre da piante coltivate o raccolte nei campi decotti e succhi medicinali. Furono questi i progenitori di quelli che diventeranno in seguito nelle società organizzate artigiani specializzati in vari mestieri, capaci di fondere i metalli o di costruire navi, di colorare tessuti, di costruire case e templi, di fondere e soffiare il vetro, di plasma-re vasi e orci per contenere alimenti e di preparare medicamenti e tisane estraendoli dalle piante. Nell’impossibilità di spiegare i fenomeni naturali con le poche conoscenze di cui disponevano, riti magici e religiosi spesso diversi da gruppo a gruppo servivano a controllare i misteriosi rapporti con la natura. Gli uomini primitivi erano infatti impauriti dalla natura ostile, dai fulmini, dai tuoni, dalle alluvioni, dai terremoti e non avendo spiegazioni plausibili cercavano disperatamente di affidare il proprio de-stino con invocazioni e riti propiziatori alla protezione di possibili divi-nità, sensibili alle loro richieste e disponibili ad aiutarli (Geymonat 1970).

    I riti rappresentavano pertanto la forma più diretta di rapporto con le divinità e per renderli più solenni cominciarono ad apparire i primi luoghi dedicati al culto. L’intervento di divinità era necessario in tutti gli aspetti della vita, dalla cura delle malattie alle faccende domestiche, dal lavoro dei campi alle attività artigianali. In Mesopotamia e in Egitto ad esempio, i luoghi nei quali si svolgeva la lavorazione dei metalli, erano as-sociati agli edifici del culto religioso (Califano 2010: 17). Anche l’astrolo-gia, che cercava di collegare il cielo, immaginata residenza delle divinità, con l’esistenza umana, si arricchì in maniera considerevole di concetti e termini di carattere religioso o magico (Rossi 1988).

    Naturalmente i primi metalli utilizzati furono quelli che si trovava-no in forma nativa come il rame e l’oro; e infatti nelle tombe più antiche dell’Egitto e della Mesopotamia si trovano spesso oggetti d’oro e di rame (Eliade 1956). Proprio dall’uso dei metalli ha avuto origine la classifica-zione in età della pietra, del rame, del bronzo e del ferro dei grandi perio-di iniziali della storia dell’umanità.

    Le pratiche di conoscenze empiriche di metallurgia, mineralogia, bo-tanica e anatomia pian piano si trasformarono in una vera e propria pro-fessione, che vedeva i depositari del sapere dispensare il bagaglio delle loro esperienze e conoscenze ad allievi e seguaci, dando così origine a personag-gi che conoscevano le proprietà dei materiali, sapevano preparare decotti e infusi per curare malattie e alleviare i dolori, ma continuavano anche a ricorrere a pratiche magiche credendo di poter controllare i poteri degli astri e dei fenomeni naturali (Cantoni 1963).

    XIV STORIA DELLA CHIMICA

    Ringraziamenti

    Questo libro è nato su sollecitazione di diversi colleghi sia dell’Università di Firenze sia dell’Accademia Nazionale dei Lincei che, conoscendo i miei interessi per la storia della chimica, mi hanno sollecitato a conservare in un libro tutto il materiale che avevo raccolto negli anni sull’argomento e che in piccola parte era stato incluso nel primo capitolo del mio libro sulla storia della chimica pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2011. A questo proposito sento il dovere di ringraziare il mio grandissimo amico Paolo Rossi, uno dei più importanti rappresentanti della storia della scienza internazionale, che in un lungo periodo di fraterna amicizia mi ha fatto conoscere gli interessi della storia della filosofia della scuola da lui creata a Firenze e il prof. Vincenzo Schettino, prima mio giovanissimo studente, poi mio collaboratore ed amico a Padova e Firenze e in seguito mio col-lega all’Accademia e poi anche direttore del Dipartimento di Chimica di Firenze e mio preside. Devo anche ringraziare sentitamente la professo-ressa Paola Zambelli per avermi illustrato i grandi contributi della scuo-la filosofica di Firenze e in particolare quelli suoi sul pensiero magico ed alchemico del Rinascimento e per avermi fatto conoscere i contributi in questo campo della professoressa Michela Pereira, una delle principali rappresentanti della storia dell’alchimia e della magia.

  • CAPITOLO I

    L’ALCHIMIA EGIZIANA

    Secondo gli alchimisti occidentali fioriti sulla costa del Mediterraneo, la culla dell’alchimia nacque nell’antico Egitto. Una materia esoterica così importante per la religione dei faraoni, che facevano risalire tutti gli avve-nimenti che riguardavano i comportamenti del genere umano al loro rap-porto con le divinità, non poteva che venire dal più grande e potente degli Dei della religione egizia come Ermete Trismegisto (Ἑρμῆς ὁ Τρισμέγιστος), tre volte grandissimo, discendente di Thot, dio egiziano delle matematiche e delle scienze che reggeva l’universo, governava sulle tre parti della sag-gezza, cioè sapienza, scrittura e magia, e controllava le leggi del mondo.

    Il figlio di Thot, Agathodemon, avrebbe generato un figlio di nome Ermete. Molto probabilmente il nome Ermete Trismegisto deriva da una singolare contaminazione del nome del dio egiziano Toth con quello del dio greco Ermes (fig. 1).

    Figura 1 – Hermes Trismegistus.

    2 STORIA DELLA CHIMICA

    I Miti che raccontano le imprese di Thot lo descrivono come un Dio esperto in astronomia, mago e medico per eccellenza, chiamato sia «il Contatore delle Stelle», che «il Numeratore della Terra» o anche il «Dio degli Scribi e della Scrittura geroglifica» e perfino il «Signore delle Parole Divine», cioè delle «parole di potere con cui è possibile dar forma e po-tenza al pensiero» (Russo Pavan 2000).

    Ermete Trismegisto, celebrato per la sua saggezza e per le sue opere, avrebbe scritto la famosa Tabula Smaragdina (Tavola di smeraldo), uno dei documenti più antichi di natura alchemica, noto nel primo Medioevo nella traduzione latina di Ugo di Santalla (Holmyard 1957: 103). La figura di Ermete Trismegisto ha colpito la fantasia di moltissimi scrittori e artisti del Medioevo e fu perfino rappresentata nel 1488 da Giovanni di Stefano, figlio di Giovanni di Consolo, noto come ‘il Sassetta’, nel primo riquadro della navata centrale del pavimento del Duomo di Siena. Il nome di Ermete Trismegisto era noto anche a Sant’Agostino che però bollava con veemenza le pratiche magiche che sono contenute nella Tavola, dichiarando Ermete rappresentante in terra del demonio. Testimonianze su Ermete Trismegisto (Pereira 2006: 263) comparvero anche nella Crisopea di un anonimo del VII-IX secolo, nella Historia Nea dello storico bizantino Zosimo e nella in-troduzione al Testamento di Morieno romano, il primo testo d’alchimia tra-dotto dall’arabo nel 1144, dall’inglese Roberto di Chester (Pereira 2006: 241):

    Leggiamo nelle antiche storie sacre che vi furono un tempo tre filoso-fi, ognuno dei quali ebbe nome Ermete. Il primo di essi fu Enoch, che con altro nome fu chiamato Ermete e con un altro ancora Mercurio. Il secondo fu Noè, anche lui denominato inoltre Ermete e Mercurio. Il terzo infine fu quell’Ermete che regnò a lungo in Egitto dopo il diluvio. Questi fu chiamato dai nostri predecessori ‘Triplice’, a motivo delle tre dignità che Dio gli aveva conferito. Egli infatti fu re, filosofo e profeta.

    Il testamento di Morieno comparve anche nella Bibliotheca chemica curiosa, pubblicata a Ginevra dal medico e collezionista di scritti alche-mici Jean Jacques Manget nel 1702.

    Anche l’egiziano Bolos di Mendes (Bolo Democrito), vissuto tra il III e il II secolo a.C., fu tra i primi alchimisti a descrivere le tecniche degli artigiani egiziani, persiani, babilonesi e siriani, in un testo, Physika, in quattro libri. A differenza degli altri alchimisti, egli s’interessava alle tra-sformazioni della materia, che riteneva corrispondessero ai cambiamenti di colore dei metalli nella preparazione di leghe. Il suo scopo era di trovare ricette per fare in modo che un metallo vile rassomigliasse all’oro. Queste sue idee segnarono la nascita della pietra filosofale e del sogno degli alchi-misti. Bolos era anche noto come pseudo-Democrito perché ben presto molte sue opere circolarono, forse per intento dello stesso autore, sotto il nome del famoso filosofo; di conseguenza i suoi trattati furono falsamen-te attribuiti a Democrito da eruditi posteriori come ad esempio Varrone, Plinio il giovane e Petronio.

  • CAPITOLO I

    L’ALCHIMIA EGIZIANA

    Secondo gli alchimisti occidentali fioriti sulla costa del Mediterraneo, la culla dell’alchimia nacque nell’antico Egitto. Una materia esoterica così importante per la religione dei faraoni, che facevano risalire tutti gli avve-nimenti che riguardavano i comportamenti del genere umano al loro rap-porto con le divinità, non poteva che venire dal più grande e potente degli Dei della religione egizia come Ermete Trismegisto (Ἑρμῆς ὁ Τρισμέγιστος), tre volte grandissimo, discendente di Thot, dio egiziano delle matematiche e delle scienze che reggeva l’universo, governava sulle tre parti della sag-gezza, cioè sapienza, scrittura e magia, e controllava le leggi del mondo.

    Il figlio di Thot, Agathodemon, avrebbe generato un figlio di nome Ermete. Molto probabilmente il nome Ermete Trismegisto deriva da una singolare contaminazione del nome del dio egiziano Toth con quello del dio greco Ermes (fig. 1).

    Figura 1 – Hermes Trismegistus.

    2 STORIA DELLA CHIMICA

    I Miti che raccontano le imprese di Thot lo descrivono come un Dio esperto in astronomia, mago e medico per eccellenza, chiamato sia «il Contatore delle Stelle», che «il Numeratore della Terra» o anche il «Dio degli Scribi e della Scrittura geroglifica» e perfino il «Signore delle Parole Divine», cioè delle «parole di potere con cui è possibile dar forma e po-tenza al pensiero» (Russo Pavan 2000).

    Ermete Trismegisto, celebrato per la sua saggezza e per le sue opere, avrebbe scritto la famosa Tabula Smaragdina (Tavola di smeraldo), uno dei documenti più antichi di natura alchemica, noto nel primo Medioevo nella traduzione latina di Ugo di Santalla (Holmyard 1957: 103). La figura di Ermete Trismegisto ha colpito la fantasia di moltissimi scrittori e artisti del Medioevo e fu perfino rappresentata nel 1488 da Giovanni di Stefano, figlio di Giovanni di Consolo, noto come ‘il Sassetta’, nel primo riquadro della navata centrale del pavimento del Duomo di Siena. Il nome di Ermete Trismegisto era noto anche a Sant’Agostino che però bollava con veemenza le pratiche magiche che sono contenute nella Tavola, dichiarando Ermete rappresentante in terra del demonio. Testimonianze su Ermete Trismegisto (Pereira 2006: 263) comparvero anche nella Crisopea di un anonimo del VII-IX secolo, nella Historia Nea dello storico bizantino Zosimo e nella in-troduzione al Testamento di Morieno romano, il primo testo d’alchimia tra-dotto dall’arabo nel 1144, dall’inglese Roberto di Chester (Pereira 2006: 241):

    Leggiamo nelle antiche storie sacre che vi furono un tempo tre filoso-fi, ognuno dei quali ebbe nome Ermete. Il primo di essi fu Enoch, che con altro nome fu chiamato Ermete e con un altro ancora Mercurio. Il secondo fu Noè, anche lui denominato inoltre Ermete e Mercurio. Il terzo infine fu quell’Ermete che regnò a lungo in Egitto dopo il diluvio. Questi fu chiamato dai nostri predecessori ‘Triplice’, a motivo delle tre dignità che Dio gli aveva conferito. Egli infatti fu re, filosofo e profeta.

    Il testamento di Morieno comparve anche nella Bibliotheca chemica curiosa, pubblicata a Ginevra dal medico e collezionista di scritti alche-mici Jean Jacques Manget nel 1702.

    Anche l’egiziano Bolos di Mendes (Bolo Democrito), vissuto tra il III e il II secolo a.C., fu tra i primi alchimisti a descrivere le tecniche degli artigiani egiziani, persiani, babilonesi e siriani, in un testo, Physika, in quattro libri. A differenza degli altri alchimisti, egli s’interessava alle tra-sformazioni della materia, che riteneva corrispondessero ai cambiamenti di colore dei metalli nella preparazione di leghe. Il suo scopo era di trovare ricette per fare in modo che un metallo vile rassomigliasse all’oro. Queste sue idee segnarono la nascita della pietra filosofale e del sogno degli alchi-misti. Bolos era anche noto come pseudo-Democrito perché ben presto molte sue opere circolarono, forse per intento dello stesso autore, sotto il nome del famoso filosofo; di conseguenza i suoi trattati furono falsamen-te attribuiti a Democrito da eruditi posteriori come ad esempio Varrone, Plinio il giovane e Petronio.

  • CAPITOLO 2

    L’ALCHIMIA ALESSANDRINA E PALEOCRISTIANA

    L’alchimia cominciò a svilupparsi come scienza nel Delta del Nilo, ad Alessandria, città fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C., che divenne in breve tempo il più importante centro culturale dell’epoca, culla dell’al-chimia ellenistica nata dalla fusione della filosofia greca con il misticismo orientale e con la tecnologia egiziana (Califano 2010: 33).

    Alla morte di Alessandro, Tolomeo Sotere (ca. 367-283 a.C.) divenne satrapo d’Egitto e nel 305 a.C. si proclamò re, iniziando la dinastia dei Tolomei, grandi mecenati della cultura e dell’arte. Sotto il governo di To-lomeo II Filadelfo (309-246 a.C.) furono fondati la Biblioteca e il Museo di Alessandria.

    Tolomeo Filadelfo riuscì a procurarsi la biblioteca di Aristotele e fon-dò l’Università o Museo al fine di raccogliere i maggiori studiosi del mon-do. La biblioteca era dotata di oltre 50000 volumi, che raccoglievano tutta la cultura dell’epoca. Alessandria divenne un centro di grande cultura, di letteratura, grammatica, filologia, linguistica e di numerose attività scien-tifiche (Dumas 1937). Fu in questo clima che Bolo di Mende scrisse la sua Physika dedicata alla preparazione dell’oro, dell’argento, delle gemme pre-ziose e della porpora. Acquistarono una straordinaria importanza anche i contatti con l’estero attraverso il porto commerciale di Alessandria e le città del Delta come Mende, nome greco dell’antica capitale Permanebse-te, o Djedet, di uno dei distretti del basso Egitto.

    Le scienze naturali furono rappresentate ad Alessandria da famosi dot-ti i cui nomi fanno capire quale fosse il livello della sua cultura tecnico-scientifica. La scuola di matematica nacque con Euclide (ca. 325-270 a.C.), il più famoso geometra di tutti i secoli, e divenne grande grazie alla pre-senza di Apollonio di Perga (ca. 262-190 a.C.), altro importante geometra, autore del trattato Le Coniche in otto volumi. Al suo sviluppo contribu-irono inoltre Ipparco di Nicea (ca. 190-120 a.C.), Eratostene (ca. 276-194 a.C.) di Cirene, direttore della biblioteca di Alessandria, così come Clau-dio Tolomeo (83-168 d.C.), autore dell’Almagesto e del modello geocentri-co dell’universo che ha dominato l’astronomia fino a Copernico e Galileo (Califano 2010: 34). Nel tempo però la cultura alessandrina perse il suo slancio iniziale, sotto l’influsso delle religioni orientali che si affiancaro-no alla religione ufficiale dei faraoni. All’osservazione subentrava la rive-lazione mistica mentre alla fiducia nella ragione e nella logica cominciava

    4 STORIA DELLA CHIMICA

    a sostituirsi la fede nell’illuminazione e nei riti magici che trovava nella filosofia degli gnostici la sua espressione più significativa.

    Lo gnosticismo, dal greco γνώσις (‘conoscenza’), era un antichissimo movimento legato a un’antica religione babilonese, nel quale si fondevano motivi provenienti dalle religioni orientali, da quelle greche, dall’ebraismo e dalla religione cristiana. Lo gnosticismo ebbe la sua massima diffusione nel II e III secolo d.C. predicando il dualismo tra gli opposti. Nel III secolo d.C. si sviluppò poi il neoplatonismo, fondato da Ammonio Sacca, ‘Am-monius Saccas’ (175?-252 d.C.), il cui esponente più importante fu Plotino (204-270 d.C.), che rivedeva il pensiero di Platone. Secondo Plotino Dio non avrebbe creato, ma emanato volontariamente il mondo, come il sole ema-na calore. Dio creò quindi i diversi livelli di realtà per ‘ipostasi’, cioè per emanazione diretta secondo una precisa struttura gerarchica. Nell’ordine l’emanazione più vicina a Dio creò l’intelletto (il nous), quella successiva il principio vitale di ogni cosa e quella all’ultimo livello il mondo terreno.

    Il mondo alchemico alessandrino è ben documentato. Un papiro del III secolo d.C. trovato a Leida nel 1885 (Caley 1926) contiene ricette di metal-lurgia e metodi di lavorazione dei metalli (Pereira 2006: 8):

    L’oro si tinge in modo che diventi buono. Misi (pirite di ferro), sale e aceto per la purificazione dell’oro vengano mescolati tutti insieme e si getti il detto oro nel vaso in mezzo alle medicine; gettatovelo, si lasci stare per un po’ di tempo; lo si tolga dal vaso, si scaldi sul carbone e si getti di nuovo nel vaso dov’è la detta medicina. Si faccia questo più volte finché non diventi buono. (Papiro di Leida, ricetta n.14, Tintura d’oro).

    Un secondo papiro, trovato a Stoccolma nel 1913 e risalente anch’esso al III secolo d.C., noto anche come papiro Holmiensis, contiene stralci di ricette di mordenzatura e tintura di tessuti e di fabbricazione di false pie-tre preziose (Pereira 2006: 15):

    Fai bollire dell’asfodelo e del nitro. Immergivi la lana, otto dracme per volta, allargandola. Poi prendi una mina di vinaccia, battila e mettila in infusione in aceto lasciandovela per sei ore. Poi, dopo che ha bolli-to, immergivi la lana.

    I due papiri, molto probabilmente compilati a Tebe, in un periodo tra il 250 e il 350 d.C., da un unico amanuense che probabilmente si servì di fonti diverse, comprendono raccolte di tecniche metallurgiche e chimi-che, come fabbricazione di colori, di inchiostri ecc. I testi sono stilati in uno strano greco, ricco di barbarismi e di errori di ortografia, forse dovuti alle imprecisioni della lingua parlata in Egitto in quell’epoca. In entram-bi manca quasi completamente la parte esoterica e magica, che di regola serviva ad iniziare un testo, che invece in questo caso si limita alle nor-mali invocazioni agli Dei. Questi antichissimi scritti alchemici riguarda-no soprattutto la contraffazione dell’oro, dell’argento e di pietre preziose

  • CAPITOLO 2

    L’ALCHIMIA ALESSANDRINA E PALEOCRISTIANA

    L’alchimia cominciò a svilupparsi come scienza nel Delta del Nilo, ad Alessandria, città fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C., che divenne in breve tempo il più importante centro culturale dell’epoca, culla dell’al-chimia ellenistica nata dalla fusione della filosofia greca con il misticismo orientale e con la tecnologia egiziana (Califano 2010: 33).

    Alla morte di Alessandro, Tolomeo Sotere (ca. 367-283 a.C.) divenne satrapo d’Egitto e nel 305 a.C. si proclamò re, iniziando la dinastia dei Tolomei, grandi mecenati della cultura e dell’arte. Sotto il governo di To-lomeo II Filadelfo (309-246 a.C.) furono fondati la Biblioteca e il Museo di Alessandria.

    Tolomeo Filadelfo riuscì a procurarsi la biblioteca di Aristotele e fon-dò l’Università o Museo al fine di raccogliere i maggiori studiosi del mon-do. La biblioteca era dotata di oltre 50000 volumi, che raccoglievano tutta la cultura dell’epoca. Alessandria divenne un centro di grande cultura, di letteratura, grammatica, filologia, linguistica e di numerose attività scien-tifiche (Dumas 1937). Fu in questo clima che Bolo di Mende scrisse la sua Physika dedicata alla preparazione dell’oro, dell’argento, delle gemme pre-ziose e della porpora. Acquistarono una straordinaria importanza anche i contatti con l’estero attraverso il porto commerciale di Alessandria e le città del Delta come Mende, nome greco dell’antica capitale Permanebse-te, o Djedet, di uno dei distretti del basso Egitto.

    Le scienze naturali furono rappresentate ad Alessandria da famosi dot-ti i cui nomi fanno capire quale fosse il livello della sua cultura tecnico-scientifica. La scuola di matematica nacque con Euclide (ca. 325-270 a.C.), il più famoso geometra di tutti i secoli, e divenne grande grazie alla pre-senza di Apollonio di Perga (ca. 262-190 a.C.), altro importante geometra, autore del trattato Le Coniche in otto volumi. Al suo sviluppo contribu-irono inoltre Ipparco di Nicea (ca. 190-120 a.C.), Eratostene (ca. 276-194 a.C.) di Cirene, direttore della biblioteca di Alessandria, così come Clau-dio Tolomeo (83-168 d.C.), autore dell’Almagesto e del modello geocentri-co dell’universo che ha dominato l’astronomia fino a Copernico e Galileo (Califano 2010: 34). Nel tempo però la cultura alessandrina perse il suo slancio iniziale, sotto l’influsso delle religioni orientali che si affiancaro-no alla religione ufficiale dei faraoni. All’osservazione subentrava la rive-lazione mistica mentre alla fiducia nella ragione e nella logica cominciava

    4 STORIA DELLA CHIMICA

    a sostituirsi la fede nell’illuminazione e nei riti magici che trovava nella filosofia degli gnostici la sua espressione più significativa.

    Lo gnosticismo, dal greco γνώσις (‘conoscenza’), era un antichissimo movimento legato a un’antica religione babilonese, nel quale si fondevano motivi provenienti dalle religioni orientali, da quelle greche, dall’ebraismo e dalla religione cristiana. Lo gnosticismo ebbe la sua massima diffusione nel II e III secolo d.C. predicando il dualismo tra gli opposti. Nel III secolo d.C. si sviluppò poi il neoplatonismo, fondato da Ammonio Sacca, ‘Am-monius Saccas’ (175?-252 d.C.), il cui esponente più importante fu Plotino (204-270 d.C.), che rivedeva il pensiero di Platone. Secondo Plotino Dio non avrebbe creato, ma emanato volontariamente il mondo, come il sole ema-na calore. Dio creò quindi i diversi livelli di realtà per ‘ipostasi’, cioè per emanazione diretta secondo una precisa struttura gerarchica. Nell’ordine l’emanazione più vicina a Dio creò l’intelletto (il nous), quella successiva il principio vitale di ogni cosa e quella all’ultimo livello il mondo terreno.

    Il mondo alchemico alessandrino è ben documentato. Un papiro del III secolo d.C. trovato a Leida nel 1885 (Caley 1926) contiene ricette di metal-lurgia e metodi di lavorazione dei metalli (Pereira 2006: 8):

    L’oro si tinge in modo che diventi buono. Misi (pirite di ferro), sale e aceto per la purificazione dell’oro vengano mescolati tutti insieme e si getti il detto oro nel vaso in mezzo alle medicine; gettatovelo, si lasci stare per un po’ di tempo; lo si tolga dal vaso, si scaldi sul carbone e si getti di nuovo nel vaso dov’è la detta medicina. Si faccia questo più volte finché non diventi buono. (Papiro di Leida, ricetta n.14, Tintura d’oro).

    Un secondo papiro, trovato a Stoccolma nel 1913 e risalente anch’esso al III secolo d.C., noto anche come papiro Holmiensis, contiene stralci di ricette di mordenzatura e tintura di tessuti e di fabbricazione di false pie-tre preziose (Pereira 2006: 15):

    Fai bollire dell’asfodelo e del nitro. Immergivi la lana, otto dracme per volta, allargandola. Poi prendi una mina di vinaccia, battila e mettila in infusione in aceto lasciandovela per sei ore. Poi, dopo che ha bolli-to, immergivi la lana.

    I due papiri, molto probabilmente compilati a Tebe, in un periodo tra il 250 e il 350 d.C., da un unico amanuense che probabilmente si servì di fonti diverse, comprendono raccolte di tecniche metallurgiche e chimi-che, come fabbricazione di colori, di inchiostri ecc. I testi sono stilati in uno strano greco, ricco di barbarismi e di errori di ortografia, forse dovuti alle imprecisioni della lingua parlata in Egitto in quell’epoca. In entram-bi manca quasi completamente la parte esoterica e magica, che di regola serviva ad iniziare un testo, che invece in questo caso si limita alle nor-mali invocazioni agli Dei. Questi antichissimi scritti alchemici riguarda-no soprattutto la contraffazione dell’oro, dell’argento e di pietre preziose

  • 5 L’ALCHIMIA ALESSANDRINA E PALEOCRISTIANA

    e appartengono al periodo in cui le tecniche empiriche sviluppate dagli artigiani greco-egiziani entrarono a far parte della tradizione alchemica.

    L’alchimia era importante anche nel mondo paleocristiano, come è testimoniato da una specie di enciclopedia dell’alchimia in 28 volumi, le Operazioni manuali, scritta da Zosimo di Panopolis (Mertens 2006), cit-tà dell’alto Egitto, intorno al 300 d.C. Zosimo, noto ai romani come Ro-sinus, è quasi certamente il primo alchimista greco di cui si abbia notizia certa (Zosimo di Panopoli 2004: 126-139). Solo cinque libri dell’enciclo-pedia di Zosimo si sono salvati dall’incuria del tempo, tra cui le Memorie autentiche, dedicate a una dama Theosebia, nominata come sua sorella. I testi noti sono un intreccio di magia, filosofia e ricette alchemiche (Via-no 2005). Le procedure alchemiche, descritte come strumento di salvezza spirituale, testimoniano la fiducia nel significato religioso e mistico della materia e si configurano come il primo stadio dell’alchimia spirituale che divenne poi importante nel Rinascimento. Zosimo racconta nei testi di essere stato allievo di Maria la giudea, nota anche come Maria Profetis-sa o come Maria d’Alessandria, una antica filosofa ed alchimista, vissuta probabilmente ad Alessandria d’Egitto tra il primo ed il terzo secolo d.C.

    Di Maria la giudea non si conoscono opere, ma è citata da tutti gli scrit-tori posteriori come l’inventore di molti strumenti alchemici tra i quali il kerotàkis, un alambicco suddiviso in tre parti, fatto per preparare col calore solfuri di metalli, ottenuti lasciando che i vapori di zolfo provenienti dal fondo dell’apparecchio reagissero con i metalli allo stato puro; il trìbikos, un sublimatore in rame e il bagno-Maria, un recipiente pieno di acqua o anche di sabbia per riscaldare recipienti senza tenerli in contatto diretto col fuoco (Patai 1982: 82-83; Patai 1995: 60-91).

    La tradizione ellenistica era tipicamente esoterica e occultistica, soste-nendo che la Natura fosse conoscibile solo per rivelazione divina. L’idea che la conoscenza rivelata, depositata in scritti contenenti concezioni al-chemiche ed esoteriche, non dovesse essere di dominio pubblico divenne una continua preoccupazione degli alchimisti che consideravano indispen-sabile sottrarla al volgo per evitarne svilimenti o abusi. Incredibilmente questa idea è sopravvissuta fino a noi. Perfino un grande scienziato come Isaac Newton scrisse una lettera al suo amico Robert Boyle pregandolo di mantenere il silenzio sull’alchimia, convinto che il sapere degli alchimi-sti dovesse essere riservato a pochi eletti perché la sua diffusione poteva rappresentare un pericolo per persone non preparate.

    Secondo i principi della tradizione che gli enciclopedisti paleocristiani e poi quelli romani e medievali codificarono, i misteri della Natura dove-vano essere registrati nei libri secretorum contenenti experimenta da tra-mandare ai posteri che andavano dalle proprietà curative di erbe, animali e pietre, alle arti meccaniche come la lavorazione dei metalli, la pittura e la tintura, alle magie e agli illusionismi, a varie tecniche artigianali e per-fino a ricette culinarie. Nel II e nel III secolo le arti meccaniche divenne-ro l’oggetto di una ricca trattazione ermetica e iniziatica, che in seguito si affermerà come lo stile ufficiale della letteratura alchemica.

    6 STORIA DELLA CHIMICA

    La storia dell’alchimia paleocristiana fu anche storia di persecuzioni, emarginazioni, esili ed eresie. La lapidazione della filosofa, matematica e astronoma Ipatia, ingiustamente accusata di eresia, obiettivo innocen-te della collera cristiana, è un chiaro esempio delle violenze che carat-terizzarono la scienza in quel periodo. Proprio a degli eretici i cristiani orientali, detti anche Nestoriani, cacciati da Edessa nel 489 e rifugiatisi in Persia, dobbiamo invece in gran parte la trasmissione dell’arte sacra nel vicino Oriente e la nascita delle traduzioni in greco dei testi arabi a Nibisi e a Jund-î Shâpurî dove sorsero i primi centri per la traduzione dal greco.

  • 5 L’ALCHIMIA ALESSANDRINA E PALEOCRISTIANA

    e appartengono al periodo in cui le tecniche empiriche sviluppate dagli artigiani greco-egiziani entrarono a far parte della tradizione alchemica.

    L’alchimia era importante anche nel mondo paleocristiano, come è testimoniato da una specie di enciclopedia dell’alchimia in 28 volumi, le Operazioni manuali, scritta da Zosimo di Panopolis (Mertens 2006), cit-tà dell’alto Egitto, intorno al 300 d.C. Zosimo, noto ai romani come Ro-sinus, è quasi certamente il primo alchimista greco di cui si abbia notizia certa (Zosimo di Panopoli 2004: 126-139). Solo cinque libri dell’enciclo-pedia di Zosimo si sono salvati dall’incuria del tempo, tra cui le Memorie autentiche, dedicate a una dama Theosebia, nominata come sua sorella. I testi noti sono un intreccio di magia, filosofia e ricette alchemiche (Via-no 2005). Le procedure alchemiche, descritte come strumento di salvezza spirituale, testimoniano la fiducia nel significato religioso e mistico della materia e si configurano come il primo stadio dell’alchimia spirituale che divenne poi importante nel Rinascimento. Zosimo racconta nei testi di essere stato allievo di Maria la giudea, nota anche come Maria Profetis-sa o come Maria d’Alessandria, una antica filosofa ed alchimista, vissuta probabilmente ad Alessandria d’Egitto tra il primo ed il terzo secolo d.C.

    Di Maria la giudea non si conoscono opere, ma è citata da tutti gli scrit-tori posteriori come l’inventore di molti strumenti alchemici tra i quali il kerotàkis, un alambicco suddiviso in tre parti, fatto per preparare col calore solfuri di metalli, ottenuti lasciando che i vapori di zolfo provenienti dal fondo dell’apparecchio reagissero con i metalli allo stato puro; il trìbikos, un sublimatore in rame e il bagno-Maria, un recipiente pieno di acqua o anche di sabbia per riscaldare recipienti senza tenerli in contatto diretto col fuoco (Patai 1982: 82-83; Patai 1995: 60-91).

    La tradizione ellenistica era tipicamente esoterica e occultistica, soste-nendo che la Natura fosse conoscibile solo per rivelazione divina. L’idea che la conoscenza rivelata, depositata in scritti contenenti concezioni al-chemiche ed esoteriche, non dovesse essere di dominio pubblico divenne una continua preoccupazione degli alchimisti che consideravano indispen-sabile sottrarla al volgo per evitarne svilimenti o abusi. Incredibilmente questa idea è sopravvissuta fino a noi. Perfino un grande scienziato come Isaac Newton scrisse una lettera al suo amico Robert Boyle pregandolo di mantenere il silenzio sull’alchimia, convinto che il sapere degli alchimi-sti dovesse essere riservato a pochi eletti perché la sua diffusione poteva rappresentare un pericolo per persone non preparate.

    Secondo i principi della tradizione che gli enciclopedisti paleocristiani e poi quelli romani e medievali codificarono, i misteri della Natura dove-vano essere registrati nei libri secretorum contenenti experimenta da tra-mandare ai posteri che andavano dalle proprietà curative di erbe, animali e pietre, alle arti meccaniche come la lavorazione dei metalli, la pittura e la tintura, alle magie e agli illusionismi, a varie tecniche artigianali e per-fino a ricette culinarie. Nel II e nel III secolo le arti meccaniche divenne-ro l’oggetto di una ricca trattazione ermetica e iniziatica, che in seguito si affermerà come lo stile ufficiale della letteratura alchemica.

    6 STORIA DELLA CHIMICA

    La storia dell’alchimia paleocristiana fu anche storia di persecuzioni, emarginazioni, esili ed eresie. La lapidazione della filosofa, matematica e astronoma Ipatia, ingiustamente accusata di eresia, obiettivo innocen-te della collera cristiana, è un chiaro esempio delle violenze che carat-terizzarono la scienza in quel periodo. Proprio a degli eretici i cristiani orientali, detti anche Nestoriani, cacciati da Edessa nel 489 e rifugiatisi in Persia, dobbiamo invece in gran parte la trasmissione dell’arte sacra nel vicino Oriente e la nascita delle traduzioni in greco dei testi arabi a Nibisi e a Jund-î Shâpurî dove sorsero i primi centri per la traduzione dal greco.

  • CAPITOLO 3

    L’ALCHIMIA CINESE

    L’alchimia si sviluppò in Cina nello stesso periodo in cui nasceva in Mesopotamia e nell’antico Egitto (Mason 1962: 69 sgg.), anche se è mol-to probabile che scambi commerciali avvenuti seguendo le carovane che trasportavano mercanzie e informazioni abbiano fin dall’inizio prodotto trasferimenti d’idee tra le due culture (Holmyard 1957).

    Riferimenti a pratiche alchemiche si trovano in molti miti e leggende della Cina antica. Un testo fondamentale per la comprensione dell’alchi-mia cinese è rappresentato dal libro Myths & Legends of China del 1922, scritto da Edward Theodore Chalmers Werner (1864-1954), un diploma-tico britannico e sinologo specializzato nello studio di superstizioni, mi-ti e pratiche magiche in Cina (Werner 2007). Il libro di Werner contiene molte notizie sull’alchimia cinese nel periodo pre-cristiano. A titolo di esempio riportiamo una citazione riportata nel libro, estratta da vecchi documenti cinesi:

    Chang Tao-Ling, il primo grande sacerdote della religione Taoista nato nel A.D. 35 durante il regno dell’imperatore Kuang Wu Ti della dina-stia Hari, si dedicò allo studio e alla meditazione, rifiutando tutte le offerte di entrare al servizio dello Stato. Ritiratosi nelle montagne della Cina occidentale si era dedicato allo studio dell’alchimia e a coltivare le virtù di purezza e di astrazione mentale. Dalle mani dell’alchimista Lao Tzu, ricevette un trattato mistico la cui lettura gli permise di ot-tenere l’elisir della vita.

    Alla base di tutto il pensiero alchemico cinese dell’antichità compare sempre il cinabro, solfuro di mercurio, un solido di colore rossiccio terroso che, per la sua capacità di trasformarsi in mercurio, rivestiva un ruolo di primaria importanza nelle tecniche di longevità e di ricerca dell’immor-talità, proprie del taoismo. Il cinabro è però una sostanza velenosa e molti imperatori cinesi morirono avvelenati proprio per aver ingerito cinabro nel tentativo di divenire immortali.

    I cinesi furono anche tra i primi a utilizzare il minerale cinabro (sol-furo di mercurio) anche come uno dei più importanti materiali dell’arte pittorica. In Occidente questo pigmento sembra essere arrivato solo nel VI secolo a.C.; nel IV scolo a.C. il cinabro era però già citato da Teofrasto

    8 STORIA DELLA CHIMICA

    con il termine kinnabari o kimmabazi (puzzo di becco), che designava sia il rosso ottenuto con il cinabro, sia un rosso a base di piombo, il ‘minio’.

    Nel libro dei nove elisir (Huangdi jiuding shendan jing) e in altri testi dei primi secoli d.C. il cinabro non era sempre però l’ingrediente principale di un elisir, ma poteva essere sostituito dall’amalgama di piombo e mercurio. L’elisir era trasmutato in oro gettandovi dentro piccolissime parti del me-tallo. Gli alchimisti credevano che, ingerendo oro, metallo incorruttibile ed eterno, si raggiungesse l’immortalità. Dal 144 a.C. un editto imperiale condannava a morte chi falsificava l’oro. La trasformazione dei metalli in oro aveva quindi scopi diversi da quella che ebbe nel mondo occidentale. Chen Shaowei ad esempio descrisse la preparazione di un elisir ottenuto raffinando il cinabro in cicli successivi di raffinamento per produrre un ‘oro’ che poteva essere ingerito senza problemi.

    Secondo una leggenda cinese, vecchia di circa 2500 anni, il grande pa-triarca Yen Tzu fondò, nelle montagne di una provincia della parte orien-tale della Cina, una famosa accademia che attrasse l’interesse di grandi mercanti così come di singole persone, predicando i segreti di una nuova alchimia che avrebbe procurato benessere e felicità. Yen Tzu, membro del circolo dei saggi taoisti, avrebbe conosciuto la saggezza metafisica degli anziani. La sua filosofia seguiva i concetti della comprensione interna at-traverso l’autocontrollo della comprensione interiore. Yen Tsu promette-va di poter arricchire lo Stato tramite l’alchimia e sosteneva che grazie ai suoi segreti era riuscito a far maturare velocemente il miglio in una regio-ne dove la stagione era stata freddissima.

    Gli imperatori cinesi erano molto sensibili alla possibilità di ottenere oro con metodi alchemici. Vecchi testi cinesi raccontano che l’imperato-re Wu accolse alla sua corte un alchimista che asseriva di avere scoperto il segreto dell’immortalità e di trasmutare il cinabro in oro e che l’impe-ratore Suan incaricò il giovane e colto Liu Hsiang di condurre esperimenti alchemici per fabbricare l’oro secondo le antiche ricette di Tsu Yen conte-nute nei testi Il gran Tesoro e I segreti del Parco.

    Molte notizie sull’alchimia cinese si ritrovano anche nel Tsan-tung-chi (il documento dei tre simili) del II o III secolo d.C., opera probabilmente di molti autori in cui è esposta la preparazione della pillola d’oro dell’im-mortalità. Il grande maestro taoista Ko-Hung (254-334), che scriveva sotto lo pseudonimo di Bao-Pu-Dzu (l’antico savio sereno) espose in dettaglio tutte le regole per la preparazione di elisir di lunga vita capaci di conver-tire il mercurio in oro e la lega stagno-piombo in argento, ottenuti usan-do solfuro d’arsenico, zolfo, cianuro, allume, mica, gesso e resina di pino. Questi elisir ingeriti in piccolissime dosi, per un centinaio di giorni rende-vano immortali. Il testo parlava anche di elisir fatti con farmaci vegetali, ma insisteva nel dire che l’immortalità si raggiungeva solo con gli elisir minerali. Specificava anche che per imparare l’alchimia non ci sono testi sufficienti perché il segreto è tenuto nascosto e si rivela solo oralmente.

    In Cina la provincia dell’Yunnan fu per secoli un importante centro estrattivo di mercurio, che era poi inviato in Asia e in India. Fu proprio

  • CAPITOLO 3

    L’ALCHIMIA CINESE

    L’alchimia si sviluppò in Cina nello stesso periodo in cui nasceva in Mesopotamia e nell’antico Egitto (Mason 1962: 69 sgg.), anche se è mol-to probabile che scambi commerciali avvenuti seguendo le carovane che trasportavano mercanzie e informazioni abbiano fin dall’inizio prodotto trasferimenti d’idee tra le due culture (Holmyard 1957).

    Riferimenti a pratiche alchemiche si trovano in molti miti e leggende della Cina antica. Un testo fondamentale per la comprensione dell’alchi-mia cinese è rappresentato dal libro Myths & Legends of China del 1922, scritto da Edward Theodore Chalmers Werner (1864-1954), un diploma-tico britannico e sinologo specializzato nello studio di superstizioni, mi-ti e pratiche magiche in Cina (Werner 2007). Il libro di Werner contiene molte notizie sull’alchimia cinese nel periodo pre-cristiano. A titolo di esempio riportiamo una citazione riportata nel libro, estratta da vecchi documenti cinesi:

    Chang Tao-Ling, il primo grande sacerdote della religione Taoista nato nel A.D. 35 durante il regno dell’imperatore Kuang Wu Ti della dina-stia Hari, si dedicò allo studio e alla meditazione, rifiutando tutte le offerte di entrare al servizio dello Stato. Ritiratosi nelle montagne della Cina occidentale si era dedicato allo studio dell’alchimia e a coltivare le virtù di purezza e di astrazione mentale. Dalle mani dell’alchimista Lao Tzu, ricevette un trattato mistico la cui lettura gli permise di ot-tenere l’elisir della vita.

    Alla base di tutto il pensiero alchemico cinese dell’antichità compare sempre il cinabro, solfuro di mercurio, un solido di colore rossiccio terroso che, per la sua capacità di trasformarsi in mercurio, rivestiva un ruolo di primaria importanza nelle tecniche di longevità e di ricerca dell’immor-talità, proprie del taoismo. Il cinabro è però una sostanza velenosa e molti imperatori cinesi morirono avvelenati proprio per aver ingerito cinabro nel tentativo di divenire immortali.

    I cinesi furono anche tra i primi a utilizzare il minerale cinabro (sol-furo di mercurio) anche come uno dei più importanti materiali dell’arte pittorica. In Occidente questo pigmento sembra essere arrivato solo nel VI secolo a.C.; nel IV scolo a.C. il cinabro era però già citato da Teofrasto

    8 STORIA DELLA CHIMICA

    con il termine kinnabari o kimmabazi (puzzo di becco), che designava sia il rosso ottenuto con il cinabro, sia un rosso a base di piombo, il ‘minio’.

    Nel libro dei nove elisir (Huangdi jiuding shendan jing) e in altri testi dei primi secoli d.C. il cinabro non era sempre però l’ingrediente principale di un elisir, ma poteva essere sostituito dall’amalgama di piombo e mercurio. L’elisir era trasmutato in oro gettandovi dentro piccolissime parti del me-tallo. Gli alchimisti credevano che, ingerendo oro, metallo incorruttibile ed eterno, si raggiungesse l’immortalità. Dal 144 a.C. un editto imperiale condannava a morte chi falsificava l’oro. La trasformazione dei metalli in oro aveva quindi scopi diversi da quella che ebbe nel mondo occidentale. Chen Shaowei ad esempio descrisse la preparazione di un elisir ottenuto raffinando il cinabro in cicli successivi di raffinamento per produrre un ‘oro’ che poteva essere ingerito senza problemi.

    Secondo una leggenda cinese, vecchia di circa 2500 anni, il grande pa-triarca Yen Tzu fondò, nelle montagne di una provincia della parte orien-tale della Cina, una famosa accademia che attrasse l’interesse di grandi mercanti così come di singole persone, predicando i segreti di una nuova alchimia che avrebbe procurato benessere e felicità. Yen Tzu, membro del circolo dei saggi taoisti, avrebbe conosciuto la saggezza metafisica degli anziani. La sua filosofia seguiva i concetti della comprensione interna at-traverso l’autocontrollo della comprensione interiore. Yen Tsu promette-va di poter arricchire lo Stato tramite l’alchimia e sosteneva che grazie ai suoi segreti era riuscito a far maturare velocemente il miglio in una regio-ne dove la stagione era stata freddissima.

    Gli imperatori cinesi erano molto sensibili alla possibilità di ottenere oro con metodi alchemici. Vecchi testi cinesi raccontano che l’imperato-re Wu accolse alla sua corte un alchimista che asseriva di avere scoperto il segreto dell’immortalità e di trasmutare il cinabro in oro e che l’impe-ratore Suan incaricò il giovane e colto Liu Hsiang di condurre esperimenti alchemici per fabbricare l’oro secondo le antiche ricette di Tsu Yen conte-nute nei testi Il gran Tesoro e I segreti del Parco.

    Molte notizie sull’alchimia cinese si ritrovano anche nel Tsan-tung-chi (il documento dei tre simili) del II o III secolo d.C., opera probabilmente di molti autori in cui è esposta la preparazione della pillola d’oro dell’im-mortalità. Il grande maestro taoista Ko-Hung (254-334), che scriveva sotto lo pseudonimo di Bao-Pu-Dzu (l’antico savio sereno) espose in dettaglio tutte le regole per la preparazione di elisir di lunga vita capaci di conver-tire il mercurio in oro e la lega stagno-piombo in argento, ottenuti usan-do solfuro d’arsenico, zolfo, cianuro, allume, mica, gesso e resina di pino. Questi elisir ingeriti in piccolissime dosi, per un centinaio di giorni rende-vano immortali. Il testo parlava anche di elisir fatti con farmaci vegetali, ma insisteva nel dire che l’immortalità si raggiungeva solo con gli elisir minerali. Specificava anche che per imparare l’alchimia non ci sono testi sufficienti perché il segreto è tenuto nascosto e si rivela solo oralmente.

    In Cina la provincia dell’Yunnan fu per secoli un importante centro estrattivo di mercurio, che era poi inviato in Asia e in India. Fu proprio

  • 9 L’ALCHIMIA CINESE

    nell’Yunnan che il più antico alchimista cinese, Ko Hung, si fece trasfe-rire per continuare i propri esperimenti alchemici, grazie alla facile di-sponibilità di cinabro, convinto che proprio tramite l’oro e il cinabro si potesse raggiungere l’elisir di lunga vita. Ko Hung era un tipico alchimi-sta convinto della necessità di non divulgarne i segreti in giro, perché la conoscenza dell’alchimia doveva essere riservata a pochi eletti. In antichi testi consigliava di mantenere il riserbo sui testi alchemici e di trascriver-li utilizzando testi metaforici, come le fiabe. Consigliava inoltre a chi as-sumesse l’elisir di continuare a mescolarsi ai mortali e di non svelare la propria immortalità. 

    Secondo la tradizione cinese la materia era composta di cinque elemen-ti – acqua, fuoco, legno, metallo e terra – generati dalla lotta tra i due po-teri contrastanti, l’yang e l’yin (Eliade 1956). Nella cultura cinese grande importanza aveva il numero cinque: cinque erano gli elementi, cinque le direzioni dello spazio (nord, sud, est, ovest e centro), cinque i colori (gial-lo, azzurro, rosso, bianco e nero), cinque i metalli (oro, argento, piombo, rame e ferro) e cinque i pianeti della cosmologia cinese (Mercurio, Mar-te, Giove, Venere e Saturno). Tutte queste cose erano raggruppate cinque a cinque: nero, acqua, nord, ferro e Mercurio; rosso, fuoco, sud, rame e Marte; azzurro, legno, est, piombo e Giove; bianco, ovest, metallo, argento e Venere; giallo, terra, centro, oro e Saturno. Il compito dell’alchimista era di percorrere in senso inverso la serie di trasmutazioni che portavano dallo stato iniziale del non-essere a quello finale, l’eternità. L’insegnamento era affidato a un ‘maestro’ che impartiva le istruzioni necessarie a compiere la trasformazione per raggiungere l’eternità. La trasformazione si realizzava o con elisir composti di minerali e metalli o nella mente dell’alchimista. La trasformazione richiedeva che si superassero i limiti di spazio e tempo, i due aspetti fondamentali del cosmo. Lo spazio era delimitato e protetto da talismani (fu) e sia il laboratorio sia gli strumenti di lavoro dovevano essere orientati correttamente nello spazio. Il riscaldamento del crogiuo-lo in cui mescolava le sostanze per la preparazione dell’elisir doveva esse-re regolato da cicli di tempo esattamente definiti affinché l’adepto potesse compiere in poco tempo il lavoro compiuto dalla natura in migliaia di an-ni. Nella filosofia taoista il tempo era circolare e quindi arrivare alla fine del tempo o ritornare indietro al suo inizio era la stessa cosa.

    Per l’alchimista era quindi essenziale raggiungere la separazione tra inizio e fine del tempo e dello spazio, in modo da riuscire a realizzare l’immortalità, cioè l’assenza di tempo e spazio. Il centro dello spazio cor-rispondeva, in effetti, al punto dove si trovava l’alchimista. Una volta che aveva eliminati spazio e tempo, l’alchimista si spostava dal punto più bas-so, lo yuan, a quello più alto, il tian (Califano 2010: 37).

    Il più importante metodo dell’alchimia esteriore richiedeva invece l’u-so del cinabro (yang), molto abbondante nel sud della Cina, che si estraeva principalmente da cave nelle montagne. Il cinabro giocava nella tradizio-ne cinese un ruolo paragonabile a quello dell’oro in quella occidentale. Il mercurio contenuto nel cinabro veniva estratto e poi ricombinato con lo

    10 STORIA DELLA CHIMICA

    zolfo. Questo procedimento ripetuto nove volte portava finalmente a un elisir che conteneva le qualità luminose del puro Yang (Holmyard 1957: 35). La composizione dell’elisir era illustrata con istruzioni allegoriche e figurate, come nel brano preso dal testo di Holmyard (Holmyard 1957: 35) che descrive una soluzione che evapora lasciando cristalli di soluto:

    La cottura e la distillazione si operano nella caldaia; sotto splende la ruggente fiamma. Esce prima, segnando la via la Tigre bianca seguita dal dragone grigio, Chu-niao [uccello scarlatto] battendo le ali getta via i cinque colori. Dibattendosi nelle reti che lo avvolgono è rigettato giù senza speranza, e ridotto all’impotenza grida con passione come un bambino dietro alla madre. Volente o nolente è gettato nella cal-daia con gran danno delle sue penne. Prima che metà del tempo sia maturato, ecco apparire, veloci ed in gran numero i Draghi. I cinque colori abbaglianti cambiano senza posa. Il fluido bolle con violenza nel ting [forno]… Quando Yin e Yang si sono convenientemente con-giunti ritorna la tranquillità.

    Nel periodo della dinastia Tang si realizzò lentamente la transizione dall’alchimia sperimentale a quella spirituale (alchimia esteriore) nella quale giocò un ruolo decisivo la tradizione taoista che attribuiva grande importanza alla meditazione anche se non trascurava l’uso degli elisir. Questa transizione è spesso considerata da un lato la conseguenza dell’al-to numero d’avvelenamenti, molti dei quali tra gli imperatori, dovuti alla somministrazione di elisir, e dall’altro della diffusione del buddismo. In tutti i casi non c’è dubbio che l’alchimia sperimentale perse sempre più importanza e intorno agli anni 1000 era praticamente sparita mentre il suo linguaggio ermetico e figurato veniva adottato dall’alchimia spirituale.

    Un importante occultista e alchimista fu Zhang Guo il vecchio (figg. 1-2), il più eccentrico degli otto immortali nella mitologia cinese, che si di-ceva avesse raggiunto i cento anni e che al tempo dell’imperatrice Wu vive-va come un eremita nel Zhongtiao Shan nella Prefettura Heng (Héngzhōu) durante la dinastia Tang. Sostenitore accanito della negromanzia dichiara-va di essere stato ministro dell’imperatore Yao durante una sua precedente incarnazione. Zhang Guo Lao amava il vino ed era noto per preparare per hobby un liquore da erbe e viticci che altri membri del gruppo degli otto immortali bevevano ritenendo che avesse proprietà mediche.

    Le informazioni più importanti sull’alchimia cinese sono incluse nella collezione di testi taoisti, il Daozang, del XV secolo, in cui sono illustrate le due principali dottrine alchemiche, l’alchimia sperimentale o esteriore wai-tan, e l’alchimia spirituale o interiore nai-tan. La prima è basata sulla preparazione di elisir ottenuti da sostanze naturali e da metalli, mentre la seconda è una disciplina finalizzata a formare la conoscenza trascenden-tale nella mente dell’alchimista. L’alchimista e saggio cinese noto con lo pseudonimo di Wei Po-yang compose il Tsan-tung-chi o Documento sui Tre Simili in cui espose la preparazione della ‘pillola d’immortalità’ costi-

  • 9 L’ALCHIMIA CINESE

    nell’Yunnan che il più antico alchimista cinese, Ko Hung, si fece trasfe-rire per continuare i propri esperimenti alchemici, grazie alla facile di-sponibilità di cinabro, convinto che proprio tramite l’oro e il cinabro si potesse raggiungere l’elisir di lunga vita. Ko Hung era un tipico alchimi-sta convinto della necessità di non divulgarne i segreti in giro, perché la conoscenza dell’alchimia doveva essere riservata a pochi eletti. In antichi testi consigliava di mantenere il riserbo sui testi alchemici e di trascriver-li utilizzando testi metaforici, come le fiabe. Consigliava inoltre a chi as-sumesse l’elisir di continuare a mescolarsi ai mortali e di non svelare la propria immortalità. 

    Secondo la tradizione cinese la materia era composta di cinque elemen-ti – acqua, fuoco, legno, metallo e terra – generati dalla lotta tra i due po-teri contrastanti, l’yang e l’yin (Eliade 1956). Nella cultura cinese grande importanza aveva il numero cinque: cinque erano gli elementi, cinque le direzioni dello spazio (nord, sud, est, ovest e centro), cinque i colori (gial-lo, azzurro, rosso, bianco e nero), cinque i metalli (oro, argento, piombo, rame e ferro) e cinque i pianeti della cosmologia cinese (Mercurio, Mar-te, Giove, Venere e Saturno). Tutte queste cose erano raggruppate cinque a cinque: nero, acqua, nord, ferro e Mercurio; rosso, fuoco, sud, rame e Marte; azzurro, legno, est, piombo e Giove; bianco, ovest, metallo, argento e Venere; giallo, terra, centro, oro e Saturno. Il compito dell’alchimista era di percorrere in senso inverso la serie di trasmutazioni che portavano dallo stato iniziale del non-essere a quello finale, l’eternità. L’insegnamento era affidato a un ‘maestro’ che impartiva le istruzioni necessarie a compiere la trasformazione per raggiungere l’eternità. La trasformazione si realizzava o con elisir composti di minerali e metalli o nella mente dell’alchimista. La trasformazione richiedeva che si superassero i limiti di spazio e tempo, i due aspetti fondamentali del cosmo. Lo spazio era delimitato e protetto da talismani (fu) e sia il laboratorio sia gli strumenti di lavoro dovevano essere orientati correttamente nello spazio. Il riscaldamento del crogiuo-lo in cui mescolava le sostanze per la preparazione dell’elisir doveva esse-re regolato da cicli di tempo esattamente definiti affinché l’adepto potesse compiere in poco tempo il lavoro compiuto dalla natura in migliaia di an-ni. Nella filosofia taoista il tempo era circolare e quindi arrivare alla fine del tempo o ritornare indietro al suo inizio era la stessa cosa.

    Per l’alchimista era quindi essenziale raggiungere la separazione tra inizio e fine del tempo e dello spazio, in modo da riuscire a realizzare l’immortalità, cioè l’assenza di tempo e spazio. Il centro dello spazio cor-rispondeva, in effetti, al punto dove si trovava l’alchimista. Una volta che aveva eliminati spazio e tempo, l’alchimista si spostava dal punto più bas-so, lo yuan, a quello più alto, il tian (Califano 2010: 37).

    Il più importante metodo dell’alchimia esteriore richiedeva invece l’u-so del cinabro (yang), molto abbondante nel sud della Cina, che si estraeva principalmente da cave nelle montagne. Il cinabro giocava nella tradizio-ne cinese un ruolo paragonabile a quello dell’oro in quella occidentale. Il mercurio contenuto nel cinabro veniva estratto e poi ricombinato con lo

    10 STORIA DELLA CHIMICA

    zolfo. Questo procedimento ripetuto nove volte portava finalmente a un elisir che conteneva le qualità luminose del puro Yang (Holmyard 1957: 35). La composizione dell’elisir era illustrata con istruzioni allegoriche e figurate, come nel brano preso dal testo di Holmyard (Holmyard 1957: 35) che descrive una soluzione che evapora lasciando cristalli di soluto:

    La cottura e la distillazione si operano nella caldaia; sotto splende la ruggente fiamma. Esce prima, segnando la via la Tigre bianca seguita dal dragone grigio, Chu-niao [uccello scarlatto] battendo le ali getta via i cinque colori. Dibattendosi nelle reti che lo avvolgono è rigettato giù senza speranza, e ridotto all’impotenza grida con passione come un bambino dietro alla madre. Volente o nolente è gettato nella cal-daia con gran danno delle sue penne. Prima che metà del tempo sia maturato, ecco apparire, veloci ed in gran numero i Draghi. I cinque colori abbaglianti cambiano senza posa. Il fluido bolle con violenza nel ting [forno]… Quando Yin e Yang si sono convenientemente con-giunti ritorna la tranquillità.

    Nel periodo della dinastia Tang si realizzò lentamente la transizione dall’alchimia sperimentale a quella spirituale (alchimia esteriore) nella quale giocò un ruolo decisivo la tradizione taoista che attribuiva grande importanza alla meditazione anche se non trascurava l’uso degli elisir. Questa transizione è spesso considerata da un lato la conseguenza dell’al-to numero d’avvelenamenti, molti dei quali tra gli imperatori, dovuti alla somministrazione di elisir, e dall’altro della diffusione del buddismo. In tutti i casi non c’è dubbio che l’alchimia sperimentale perse sempre più importanza e intorno agli anni 1000 era praticamente sparita mentre il suo linguaggio ermetico e figurato veniva adottato dall’alchimia spirituale.

    Un importante occultista e alchimista fu Zhang Guo il vecchio (figg. 1-2), il più eccentrico degli otto immortali nella mitologia cinese, che si di-ceva avesse raggiunto i cento anni e che al tempo dell’imperatrice Wu vive-va come un eremita nel Zhongtiao Shan nella Prefettura Heng (Héngzhōu) durante la dinastia Tang. Sostenitore accanito della negromanzia dichiara-va di essere stato ministro dell’imperatore Yao durante una sua precedente incarnazione. Zhang Guo Lao amava il vino ed era noto per preparare per hobby un liquore da erbe e viticci che altri membri del gruppo degli otto immortali bevevano ritenendo che avesse proprietà mediche.

    Le informazioni più importanti sull’alchimia cinese sono incluse nella collezione di testi taoisti, il Daozang, del XV secolo, in cui sono illustrate le due principali dottrine alchemiche, l’alchimia sperimentale o esteriore wai-tan, e l’alchimia spirituale o interiore nai-tan. La prima è basata sulla preparazione di elisir ottenuti da sostanze naturali e da metalli, mentre la seconda è una disciplina finalizzata a formare la conoscenza trascenden-tale nella mente dell’alchimista. L’alchimista e saggio cinese noto con lo pseudonimo di Wei Po-yang compose il Tsan-tung-chi o Documento sui Tre Simili in cui espose la preparazione della ‘pillola d’immortalità’ costi-

  • 11 L’ALCHIMIA CINESE

    tuita d’oro alchemico. La pillola era tanto efficace che doveva essere pic-colissima. In un commento di Wei Po-Yang al Libro delle mutazioni (circa 142 a.C.), il puro Yang si separa nei due principi complementari, quello maschile, yang, attivo e associato al sole e quello femminile, yin, passivo e associato alla luna.

    Figura 1 – Ermete Trismegisto, con il pesce tamburo.

    Figura 2 – Una rappresentazione di Zhang Guo Lao.

    È però importante far notare che l’alchimia cinese aveva finalità completamente diverse da quelle dell’alchimia occidentale. Il suo scopo non era come in Europa la trasformazione di metalli vili in oro, quanto la

    12 STORIA DELLA CHIMICA

    preparazione di un elisir dell’immortalità che avrebbe dato al corpo uma-no la perfezione e l’armonia con l’universo. Le ricette erano mescolate con concezioni cosmologiche e magiche, aggiungendo alle tecniche sperimen-tali anche metodi taoisti per la conquista dell’immortalità. Due erano i più comuni e importanti metodi di preparazione dell’elisir, descritti spesso in modo allusivo e con un linguaggio ricco di metafore e di nomi segreti. Il primo metodo era basato sul piombo (yin) e sul mercurio (yang). Queste due sostanze erano raffinate e mescolate in un amalgama le cui proprietà erano paragonate alla situazione dell’Unità cosmica primordiale. Nell’al-chimia interiore il piombo denotava la conoscenza del dao, puro Yang, di cui ogni essere umano era dotato in principio ma che era oscurato nel suo stato naturale, cioè trasformato in yin. Il mercurio invece rappresentava la mente individuale. Il puro Yang non deve essere confuso con l’yang com-plementare e opposto all’yin, ma rappresenta l’assoluto, prima della sua separazione nei due opposti.

  • 11 L’ALCHIMIA CINESE

    tuita d’oro alchemico. La pillola era tanto efficace che doveva essere pic-colissima. In un commento di Wei Po-Yang al Libro delle mutazioni (circa 142 a.C.), il puro Yang si separa nei due principi complementari, quello maschile, yang, attivo e associato al sole e quello femminile, yin, passivo e associato alla luna.

    Figura 1 – Ermete Trismegisto, con il pesce tamburo.

    Figura 2 – Una rappresentazione di Zhang Guo Lao.

    È però importante far notare che l’alchimia cinese aveva finalità completamente diverse da quelle dell’alchimia occidentale. Il suo scopo non era come in Europa la trasformazione di metalli vili in oro, quanto la

    12 STORIA DELLA CHIMICA

    preparazione di un elisir dell’immortalità che avrebbe dato al corpo uma-no la perfezione e l’armonia con l’universo. Le ricette erano mescolate con concezioni cosmologiche e magiche, aggiungendo alle tecniche sperimen-tali anche metodi taoisti per la conquista dell’immortalità. D