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Page 1: Scritti politici e autobiografici, di Carlo Rosselli · 2020. 11. 25. · SCRITTI POLITICI E AUTOBIOGRAFICI POLIS EDITRICE Napoli 1944 7. EROE TUTTO PROSA* Matteotti è diventato

Carlo RosselliScritti politici e autobiografici

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Scritti politici e autobiograficiAUTORE: Rosselli, CarloTRADUTTORE: CURATORE: Salvemini, GaetanoNOTE:CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Scritti politici e autobiografici / CarloRosselli ; con prefazione di Gaetano Salvemini. -Napoli : Polis, 1944. - 201 p. ; 18 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 25 novembre 2020

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa

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TRATTO DA: Scritti politici e autobiografici / CarloRosselli ; con prefazione di Gaetano Salvemini. -Napoli : Polis, 1944. - 201 p. ; 18 cm.

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1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:BIO010000 BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA / PoliticaPOL007000 SCIENZE POLITICHE / Ideologie Politiche /Democrazia

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Oliva, [email protected]

REVISIONE:Mario Sciubba Caniglia

IMPAGINAZIONE:Mario Sciubba Caniglia

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:BIO010000 BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA / PoliticaPOL007000 SCIENZE POLITICHE / Ideologie Politiche /Democrazia

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Oliva, [email protected]

REVISIONE:Mario Sciubba Caniglia

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4EROE TUTTO PROSA..............................................8COME TURATI LASCIÒ L’ITALIA.......................13IL PROCESSO DI SAVONA(Lettera a Filippo Turati)..........................................23FUGA IN QUATTRO TEMPI..................................27IL DIRITTO DEI POPOLI AD INSORGERE CON-TRO LA TIRANNIA................................................48UNA BATTAGLIA PERDUTA................................52VILTÀ.......................................................................60ALLARGARE GLI ORIZZONTI............................63IL SILENZIO DI ROMA.........................................68LA LEZIONE DELLA SARRE...............................71PERCHÉ SIAMO CONTRO LA GUERRA D’AFRI-CA.............................................................................76REALISMO ANCORA............................................83RISPOSTA A MUSSOLINI.....................................8759 ANNI DI GALERA AGLI INTELLETTUALI PIEMONTESI ACCUSATI DI APPARTENERE A «G. L.»......................................................................97LA GUERRA CHE TORNA..................................105AGLI ORDINI DEL POPOLO DI SPAGNA.........117GIORNALE D’UN MILIZIANO...........................120LETTERA ALLA MOGLIE...................................140CATALOGNA,

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4EROE TUTTO PROSA..............................................8COME TURATI LASCIÒ L’ITALIA.......................13IL PROCESSO DI SAVONA(Lettera a Filippo Turati)..........................................23FUGA IN QUATTRO TEMPI..................................27IL DIRITTO DEI POPOLI AD INSORGERE CON-TRO LA TIRANNIA................................................48UNA BATTAGLIA PERDUTA................................52VILTÀ.......................................................................60ALLARGARE GLI ORIZZONTI............................63IL SILENZIO DI ROMA.........................................68LA LEZIONE DELLA SARRE...............................71PERCHÉ SIAMO CONTRO LA GUERRA D’AFRI-CA.............................................................................76REALISMO ANCORA............................................83RISPOSTA A MUSSOLINI.....................................8759 ANNI DI GALERA AGLI INTELLETTUALI PIEMONTESI ACCUSATI DI APPARTENERE A «G. L.»......................................................................97LA GUERRA CHE TORNA..................................105AGLI ORDINI DEL POPOLO DI SPAGNA.........117GIORNALE D’UN MILIZIANO...........................120LETTERA ALLA MOGLIE...................................140CATALOGNA,

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BALUARDO DELLA RIVOLUZIONE................144OGGI IN SPAGNA, DOMANI IN ITALIA...........151A SUO FIGLIO......................................................158PERCHÉ ANDAMMO IN SPAGNA....................161UN ALTRO PASSO VERSO IL PRECIPIZIO......167PER L’UNIFICAZIONE POLITICA DEL PROLE-TARIATO ITALIANO............................................173

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BALUARDO DELLA RIVOLUZIONE................144OGGI IN SPAGNA, DOMANI IN ITALIA...........151A SUO FIGLIO......................................................158PERCHÉ ANDAMMO IN SPAGNA....................161UN ALTRO PASSO VERSO IL PRECIPIZIO......167PER L’UNIFICAZIONE POLITICA DEL PROLE-TARIATO ITALIANO............................................173

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CARLO ROSSELLI

SCRITTI POLITICIE AUTOBIOGRAFICI

POLIS EDITRICENapoli 1944

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CARLO ROSSELLI

SCRITTI POLITICIE AUTOBIOGRAFICI

POLIS EDITRICENapoli 1944

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EROE TUTTO PROSA*

Matteotti è diventato il simbolo dell’antifascismo edell’eroismo antifascista. In qualunque riunione si fac-cia il suo nome, il pubblico balza in piedi o applaude.Comitati Matteotti, Fondi Matteotti, Circoli Matteotti,Case Matteotti. Matteotti, come l’ombra di Banco, ac-compagna Mussolini. E Mussolini lo sa.

Eppure, nessun uomo fu meno «simbolo», meno«eroe», nel senso usuale dell’espressione, di Matteotti.Gli mancavano per questo le doti di popolarità, di orato-ria, di facilità che creano nel popolo il feticcio; e la suavita breve non registra neppure uno di quei gesti dram-matici che colpiscono la fantasia e promuovono a«eroe» il semplice mortale.

Matteotti possedeva però in grado eminente una qua-lità rara tra gli italiani e rarissima tra i parlamentari: ilcarattere. Era tutto d’un pezzo. Alle sue idee ci credevacon ostinazione, e con ostinazione le applicava. Quando

* L’assassinio di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924) determinò lapartecipazione piena e intensa di Carlo Rosselli (che già primaaveva dimostrato interesse per le lotte politiche e sociali) alla bat -taglia antifascista. Su Matteotti scrisse e parlò più volte; tra i varisaggi scegliamo questo che non solo è il più completo, ma accen -na alle sue relazioni personali col martire socialista. (Dall’Alma-nacco Socialista 1934.)

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EROE TUTTO PROSA*

Matteotti è diventato il simbolo dell’antifascismo edell’eroismo antifascista. In qualunque riunione si fac-cia il suo nome, il pubblico balza in piedi o applaude.Comitati Matteotti, Fondi Matteotti, Circoli Matteotti,Case Matteotti. Matteotti, come l’ombra di Banco, ac-compagna Mussolini. E Mussolini lo sa.

Eppure, nessun uomo fu meno «simbolo», meno«eroe», nel senso usuale dell’espressione, di Matteotti.Gli mancavano per questo le doti di popolarità, di orato-ria, di facilità che creano nel popolo il feticcio; e la suavita breve non registra neppure uno di quei gesti dram-matici che colpiscono la fantasia e promuovono a«eroe» il semplice mortale.

Matteotti possedeva però in grado eminente una qua-lità rara tra gli italiani e rarissima tra i parlamentari: ilcarattere. Era tutto d’un pezzo. Alle sue idee ci credevacon ostinazione, e con ostinazione le applicava. Quando

* L’assassinio di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924) determinò lapartecipazione piena e intensa di Carlo Rosselli (che già primaaveva dimostrato interesse per le lotte politiche e sociali) alla bat -taglia antifascista. Su Matteotti scrisse e parlò più volte; tra i varisaggi scegliamo questo che non solo è il più completo, ma accen -na alle sue relazioni personali col martire socialista. (Dall’Alma-nacco Socialista 1934.)

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lo conobbi a Torino insieme a Gobetti ricordo che en-trambi rimanemmo colpiti dalla sua serietà e dal suo sti-le antiretorico e ci comunicammo la nostra impressione.Era magro, smilzo nella persona, non assumeva posegladiatorie, rideva volentieri, ma da tutto il suo atteggia-mento e soprattutto da certe sue dichiarazioni brevi sisprigionava una grande energia.

L’antifascismo era in Matteotti un fatto istintivo, inti-mo, d’ordine morale prima che politico. Tra lui e i fasci-sti correva una differenza di razza e di clima. Due mon-di, due concezioni opposte della vita. In questo sensoegli poteva dirsi veramente l’anti-Mussolini. Le astuzietattiche e oratorie di Mussolini restavano senza presa suMatteotti. Quando Mussolini parlava alla Camera en-trando in quello stato di eccitazione morbosa che parecontraddistingua la sua oratoria e possa esercitare un fa-scino magnetico, Matteotti, pessimo medium, restavaimpenetrabile e ai passaggi più goffi rideva col suo risoun po’ stridulo e nervoso. Quando invece era Matteotti aparlare, Mussolini gettava fiamme dagli occhi.

Eppure Matteotti non era eloquente; o per lo meno lasua eloquenza era tutto l’opposto dell’oratoria tradizio-nale socialista. Ragionava a base di fatti, freddo, preci-so, tagliente. Metodo salveminiano. Quando affermava,provava.

Niente esasperò più i fascisti del metodo di analisi diMatteotti che sgonfiava un dopo l’altro tutti i loro pallo-ni retorici.

Abbiamo lasciato 3,000 morti per le strade d’Italia,

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lo conobbi a Torino insieme a Gobetti ricordo che en-trambi rimanemmo colpiti dalla sua serietà e dal suo sti-le antiretorico e ci comunicammo la nostra impressione.Era magro, smilzo nella persona, non assumeva posegladiatorie, rideva volentieri, ma da tutto il suo atteggia-mento e soprattutto da certe sue dichiarazioni brevi sisprigionava una grande energia.

L’antifascismo era in Matteotti un fatto istintivo, inti-mo, d’ordine morale prima che politico. Tra lui e i fasci-sti correva una differenza di razza e di clima. Due mon-di, due concezioni opposte della vita. In questo sensoegli poteva dirsi veramente l’anti-Mussolini. Le astuzietattiche e oratorie di Mussolini restavano senza presa suMatteotti. Quando Mussolini parlava alla Camera en-trando in quello stato di eccitazione morbosa che parecontraddistingua la sua oratoria e possa esercitare un fa-scino magnetico, Matteotti, pessimo medium, restavaimpenetrabile e ai passaggi più goffi rideva col suo risoun po’ stridulo e nervoso. Quando invece era Matteotti aparlare, Mussolini gettava fiamme dagli occhi.

Eppure Matteotti non era eloquente; o per lo meno lasua eloquenza era tutto l’opposto dell’oratoria tradizio-nale socialista. Ragionava a base di fatti, freddo, preci-so, tagliente. Metodo salveminiano. Quando affermava,provava.

Niente esasperò più i fascisti del metodo di analisi diMatteotti che sgonfiava un dopo l’altro tutti i loro pallo-ni retorici.

Abbiamo lasciato 3,000 morti per le strade d’Italia,

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tuonava Mussolini. – Pardon, 144, secondo il vostrogiornale, replicava Matteotti.

— Il fascismo ha messo fine agli scioperi. Le ferroviecamminano. L’autorità dello Stato è stata restaurata.Matteotti, tra la stupefazione dei fascisti, interrompevaper rinfacciare al duce gli articoli del ’19-20 inneggiantiagli scioperi, alla invasione delle fabbriche, delle terre,dei negozi.

Dopo la famosa requisitoria di Matteotti contro i me-todi elettorali fascisti (maggio 1924) gridata alla Came-ra tra altissime minacce e interruzioni, Mussolini pub-blicò il 3 giugno sul «Popolo d’Italia» il seguente corsi-vo: «Mussolini ha trovato fin troppo longanime la con-dotta della maggioranza, perché l’On. Matteotti ha tenu-to un discorso mostruosamente provocatorio che avreb-be meritato qualche cosa di più tangibile che l’epiteto«masnada» lanciato dall’On. Giunta».

L’8 giugno il giornale dichiarava che «Matteotti è unamolecola di questa masnada che una mossa energica delDuce penserà a spazzare».

Il 10 giugno Dumini, Volpi e Putato spazzavano...Il 3 gennaio 1925 Mussolini dichiarava: «Come pote-

vo pensare, senza essere colpito da morbosa follia, di farcommettere non dico un delitto, ma nemmeno il più te-nue, il più ridicolo sfregio a quell’avversario che io sti-mavo perché aveva una certa crânerie, un certo corag-gio, che rassomigliavano al mio coraggio e alla mia osti-natezza nel sostenere la tesi?».

Due cose colpiscono in questa disperata difesa: il

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tuonava Mussolini. – Pardon, 144, secondo il vostrogiornale, replicava Matteotti.

— Il fascismo ha messo fine agli scioperi. Le ferroviecamminano. L’autorità dello Stato è stata restaurata.Matteotti, tra la stupefazione dei fascisti, interrompevaper rinfacciare al duce gli articoli del ’19-20 inneggiantiagli scioperi, alla invasione delle fabbriche, delle terre,dei negozi.

Dopo la famosa requisitoria di Matteotti contro i me-todi elettorali fascisti (maggio 1924) gridata alla Came-ra tra altissime minacce e interruzioni, Mussolini pub-blicò il 3 giugno sul «Popolo d’Italia» il seguente corsi-vo: «Mussolini ha trovato fin troppo longanime la con-dotta della maggioranza, perché l’On. Matteotti ha tenu-to un discorso mostruosamente provocatorio che avreb-be meritato qualche cosa di più tangibile che l’epiteto«masnada» lanciato dall’On. Giunta».

L’8 giugno il giornale dichiarava che «Matteotti è unamolecola di questa masnada che una mossa energica delDuce penserà a spazzare».

Il 10 giugno Dumini, Volpi e Putato spazzavano...Il 3 gennaio 1925 Mussolini dichiarava: «Come pote-

vo pensare, senza essere colpito da morbosa follia, di farcommettere non dico un delitto, ma nemmeno il più te-nue, il più ridicolo sfregio a quell’avversario che io sti-mavo perché aveva una certa crânerie, un certo corag-gio, che rassomigliavano al mio coraggio e alla mia osti-natezza nel sostenere la tesi?».

Due cose colpiscono in questa disperata difesa: il

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«morbosa follia» che tocca uno degli aspetti della perso-nalità mussoliniana (Mussolini è intelligentissimo, ma lasua intelligenza si innesta su un fondo psicopatico) e i«mi rassomigliava». Dopo l’assassinio, Mussolini è sta-to costretto ad ammirare Matteotti. Ma Matteotti hasempre disprezzato Mussolini.

Il socialismo di Matteotti fu una cosa estremamenteseria. Non l’avventura del giovane borghese eretico cheè rivoluzionario a venti anni, radicale a trenta (matrimo-nio carriera), forcaiolo a quaranta. No. Fu una consape-vole e maschia elezione del destino.

Nato ricco, dovette superare le difficoltà che ai socia-listi ricchi giustamente si oppongono. Non lo superò conle sparate demagogiche, con le rinunce mistiche, o pro-fondendo denari in banchetti elettorali o in paternalismicooperativi e sindacali. Ma partecipando in persona pri-ma al moto di emancipazione proletaria, costituendo li-bere istituzioni operaie, organizzando i contadini dellesue terre ai quali dirigeva manifesti di una sobrietà cheera poco in uso attorno al ’19,

Solo a un temperamento del suo stampo poteva venirein mente, nel corso delle elezioni del 1924, di scenderein Piazza Colonna con un pentolino di colla ad appicci-care sotto il naso dei fascisti i manifesti elettorali delpartito che erano stati tutti stracciati. Matteotti, l’econo-mista, il giurista, il ricco Matteotti appiccicava manife-sti, scorazzava l’Italia per rimettere in piedi le traballan-ti organizzazioni, saltava dai treni, si travestiva per sot-trarsi agli inseguimenti fascisti, prendeva con disinvol-

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«morbosa follia» che tocca uno degli aspetti della perso-nalità mussoliniana (Mussolini è intelligentissimo, ma lasua intelligenza si innesta su un fondo psicopatico) e i«mi rassomigliava». Dopo l’assassinio, Mussolini è sta-to costretto ad ammirare Matteotti. Ma Matteotti hasempre disprezzato Mussolini.

Il socialismo di Matteotti fu una cosa estremamenteseria. Non l’avventura del giovane borghese eretico cheè rivoluzionario a venti anni, radicale a trenta (matrimo-nio carriera), forcaiolo a quaranta. No. Fu una consape-vole e maschia elezione del destino.

Nato ricco, dovette superare le difficoltà che ai socia-listi ricchi giustamente si oppongono. Non lo superò conle sparate demagogiche, con le rinunce mistiche, o pro-fondendo denari in banchetti elettorali o in paternalismicooperativi e sindacali. Ma partecipando in persona pri-ma al moto di emancipazione proletaria, costituendo li-bere istituzioni operaie, organizzando i contadini dellesue terre ai quali dirigeva manifesti di una sobrietà cheera poco in uso attorno al ’19,

Solo a un temperamento del suo stampo poteva venirein mente, nel corso delle elezioni del 1924, di scenderein Piazza Colonna con un pentolino di colla ad appicci-care sotto il naso dei fascisti i manifesti elettorali delpartito che erano stati tutti stracciati. Matteotti, l’econo-mista, il giurista, il ricco Matteotti appiccicava manife-sti, scorazzava l’Italia per rimettere in piedi le traballan-ti organizzazioni, saltava dai treni, si travestiva per sot-trarsi agli inseguimenti fascisti, prendeva con disinvol-

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tura le bastonate e, nel pieno della lotta, faceva una pun-ta a Asolo per i funerali della Duse rientrando poi in ca-mion coi fascisti, perché, così spiegò, gli pareva giustoche il proletariato italiano fosse rappresentato ai funeralidella Duse. Quanto al camion fascista era stato necessa-rio servirsene per essere presente a una adunanza delpartito. Se i fascisti lo avessero riconosciuto sarebbe sta-ta la fine. Ma Matteotti scherzava ormai con la morte,con grande orrore dei compagni posapiano.

Era fatale quindi che morisse l’antifascista-tipo Mat-teotti, eroe tutto prosa. Come dovevano morire nellostesso torno di tempo Amendola e Gobetti. Come do-vranno morire, se non li salveremo, Rossi, Gramsci,Bauer e molti altri Matteotti che si sono formati in que-sti anni. Tutti caratteri, psicologie, che sono l’oppostodel carattere e della sensibilità mussoliniana. Mussolinisente, sa quali sono i suoi autentici avversari. Ha il fiutodell’oppositore. Imbattibile con uomini del suo stampo,singolarmente impotente con uomini che sfuggono alsuo orizzonte mentale. Perciò li sopprime.

Uccidendo Matteotti ha indicato all’antifascismo qua-li debbono essere le sue preoccupazioni costanti e supre-me: il carattere; l’antirettorica; l’azione.

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tura le bastonate e, nel pieno della lotta, faceva una pun-ta a Asolo per i funerali della Duse rientrando poi in ca-mion coi fascisti, perché, così spiegò, gli pareva giustoche il proletariato italiano fosse rappresentato ai funeralidella Duse. Quanto al camion fascista era stato necessa-rio servirsene per essere presente a una adunanza delpartito. Se i fascisti lo avessero riconosciuto sarebbe sta-ta la fine. Ma Matteotti scherzava ormai con la morte,con grande orrore dei compagni posapiano.

Era fatale quindi che morisse l’antifascista-tipo Mat-teotti, eroe tutto prosa. Come dovevano morire nellostesso torno di tempo Amendola e Gobetti. Come do-vranno morire, se non li salveremo, Rossi, Gramsci,Bauer e molti altri Matteotti che si sono formati in que-sti anni. Tutti caratteri, psicologie, che sono l’oppostodel carattere e della sensibilità mussoliniana. Mussolinisente, sa quali sono i suoi autentici avversari. Ha il fiutodell’oppositore. Imbattibile con uomini del suo stampo,singolarmente impotente con uomini che sfuggono alsuo orizzonte mentale. Perciò li sopprime.

Uccidendo Matteotti ha indicato all’antifascismo qua-li debbono essere le sue preoccupazioni costanti e supre-me: il carattere; l’antirettorica; l’azione.

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COME TURATI LASCIÒ L’ITALIA*

Prima che il tempo attenui la memoria delle cose vis-sute io vorrei consegnare, su questo foglio, ch’Egli tantoamò, un ricordo della sua evasione; una delle più aspre,certo la più dolorosa, di quante vide l’Italia dopo la pro-mulgazione delle leggi eccezionali.

Un doveroso riserbo non consente che una rievoca-zione sommaria; ma i particolari taciuti non saranno talida modificare, nell’insieme, il racconto.

Come Filippo Turati si risolse all’esilio?Oh, non di slancio, col giovanile ardore di chi, aven-

do la vita dinanzi a sé, è sicuro di rivedere un giorno,nell’attimo sublime della liberazione, la patria! Turati,lasciando Milano e l’Italia, intuiva che il viaggio sareb-be stato senza ritorno, presentiva che la Morte lo avreb-be ghermito in esilio come tanti grandi italiani che per* Dopo avere, nel 1925, stampato a Firenze il foglio clandestino

«Non mollare» e nel 1926 diretto a Milano la rivista di coltura so-cialista «Il Quarto Stato», Rosselli aiutò validamente, quando ilregime fascista istituì le leggi eccezionali, l’emigrazione di perso-nalità antifasciste. La più celebre di queste evasioni fu quella diFilippo Turati, patriarca del socialismo italiano. Essa costò a Ros-selli prigione e confino. Togliamo questi suoi ricordi sulla fuga,di Turati, dalla «Libertà» giornale della Concentrazione Antifa-scista, pubblicato a Parigi. Lo scritto del Rosselli apparve il 14aprilè 1932.

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COME TURATI LASCIÒ L’ITALIA*

Prima che il tempo attenui la memoria delle cose vis-sute io vorrei consegnare, su questo foglio, ch’Egli tantoamò, un ricordo della sua evasione; una delle più aspre,certo la più dolorosa, di quante vide l’Italia dopo la pro-mulgazione delle leggi eccezionali.

Un doveroso riserbo non consente che una rievoca-zione sommaria; ma i particolari taciuti non saranno talida modificare, nell’insieme, il racconto.

Come Filippo Turati si risolse all’esilio?Oh, non di slancio, col giovanile ardore di chi, aven-

do la vita dinanzi a sé, è sicuro di rivedere un giorno,nell’attimo sublime della liberazione, la patria! Turati,lasciando Milano e l’Italia, intuiva che il viaggio sareb-be stato senza ritorno, presentiva che la Morte lo avreb-be ghermito in esilio come tanti grandi italiani che per* Dopo avere, nel 1925, stampato a Firenze il foglio clandestino

«Non mollare» e nel 1926 diretto a Milano la rivista di coltura so-cialista «Il Quarto Stato», Rosselli aiutò validamente, quando ilregime fascista istituì le leggi eccezionali, l’emigrazione di perso-nalità antifasciste. La più celebre di queste evasioni fu quella diFilippo Turati, patriarca del socialismo italiano. Essa costò a Ros-selli prigione e confino. Togliamo questi suoi ricordi sulla fuga,di Turati, dalla «Libertà» giornale della Concentrazione Antifa-scista, pubblicato a Parigi. Lo scritto del Rosselli apparve il 14aprilè 1932.

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troppo amore d’Italia dovettero fuggirne il suolo usurpa-to.

Un vecchio non si sradica senza profondissime lace-razioni dal suo centro abituale di affetti, di interessi, divita, dalla vecchia casa dove una stanza vuota richiamasenza posa alla mente la compagna dei giorni felici eprepara senza rimpianti all’idea della morte. Quando poiquesto vecchio è Filippo Turati, animo delicato di poetadalla sensibilità raffinata e dolorosa, la lacerazione di-viene crollo, terremoto psicologico e morale.

E neppure va taciuta l’indegna congiura che pochi de-boli e vili ordirono intorno a lui in quei giorni per dis-suaderlo a non lasciare Milano, a preservare il corpo or-mai fragile dalle fatiche e emozioni dell’evasione, masoprattutto a non abbandonarli – come dicevano – allerappresaglie del dittatore irato. Perché questa congiurarende ancora più bella la virile risoluzione presa nel fuo-co dei contrari pareri, sotto il peso degli anni e degli af-fanni, e getta un bagliore di luce rivelatrice sul suo altis-simo senso del dovere e su quella che fu, come bene haricordato Adler, la sua virtù cardinale in ogni frangentedella vita e della carriera politica: l’intransigenza mora-le. Turati capo partito potè qualche volta peccare per in-dulgenza e indecisione, qualità d’altronde bellissimedell’uomo Turati; ma reagì sempre fieramente a ognicalcolo meschino, a ogni consiglio vile.

Come dimenticare quel drammatico colloquio mattu-tino nella domenica in cui si iniziò l’evasione – 21 no-vembre 1926 –, colloquio che servì a prendere gli ultimi

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troppo amore d’Italia dovettero fuggirne il suolo usurpa-to.

Un vecchio non si sradica senza profondissime lace-razioni dal suo centro abituale di affetti, di interessi, divita, dalla vecchia casa dove una stanza vuota richiamasenza posa alla mente la compagna dei giorni felici eprepara senza rimpianti all’idea della morte. Quando poiquesto vecchio è Filippo Turati, animo delicato di poetadalla sensibilità raffinata e dolorosa, la lacerazione di-viene crollo, terremoto psicologico e morale.

E neppure va taciuta l’indegna congiura che pochi de-boli e vili ordirono intorno a lui in quei giorni per dis-suaderlo a non lasciare Milano, a preservare il corpo or-mai fragile dalle fatiche e emozioni dell’evasione, masoprattutto a non abbandonarli – come dicevano – allerappresaglie del dittatore irato. Perché questa congiurarende ancora più bella la virile risoluzione presa nel fuo-co dei contrari pareri, sotto il peso degli anni e degli af-fanni, e getta un bagliore di luce rivelatrice sul suo altis-simo senso del dovere e su quella che fu, come bene haricordato Adler, la sua virtù cardinale in ogni frangentedella vita e della carriera politica: l’intransigenza mora-le. Turati capo partito potè qualche volta peccare per in-dulgenza e indecisione, qualità d’altronde bellissimedell’uomo Turati; ma reagì sempre fieramente a ognicalcolo meschino, a ogni consiglio vile.

Come dimenticare quel drammatico colloquio mattu-tino nella domenica in cui si iniziò l’evasione – 21 no-vembre 1926 –, colloquio che servì a prendere gli ultimi

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accordi per sottrarlo con uno stratagemma dal l’apparta-mento che dieci guardie notte e giorno vigilavano?

Gli occhi dolorosi, quegli stessi occhi che rivedemmopoi alla vigilia dell’agonia, posava Egli sulle care dolcicose con le quali aveva convissuto trent’anni: il piccolocanapè verde nell’angolo da cui Ella, malata, sorridevaai fedeli amici; la scrivania che nelle lunghe veglie pro-lungantisi sino all’alba, aveva conosciuto la redazionedei discorsi e degli scritti più celebri, le vetrine coi libri,libri innumerevoli, dossiers ammonticchiati, la CriticaSociale, cervello di una generazione italiana; l’immensafinestra vetrata, occhio spalancato sulla fantastica seriedi torri, cuspidi, pinnacoli della cattedrale ambrosiana.

Sospirava il Grande Vecchio e l’espressione del suoviso era così straziante che per un attimo dubitai nonreggesse a così immenso dolore. «Turati – mormorai ti-mido – se la Signora Anna fosse qui, forse anche lei...»– «Oh, non facciamo parlare i morti», mi replicò doloro-samente.

Tacque. Sospirò ancora ponendosi la mano sul cuore,tanto forte pulsava; poi, con voce rassegnata, decise.

Ci saremmo rivisti alle 21.Turati era l’uomo politico più popolare d’Italia.

L’odio che il dittatore gli portava e che non ha cedutoneppure di fronte alla morte, era per tre quarti dovutoalla segreta invidia che destava in lui la popolarità diTurati, popolarità spontanea, commovente, resistente atutte le avversità ed a tutte le sconfitte. Quando, perquella disciplina che lo induceva a fare tutto personal-

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accordi per sottrarlo con uno stratagemma dal l’apparta-mento che dieci guardie notte e giorno vigilavano?

Gli occhi dolorosi, quegli stessi occhi che rivedemmopoi alla vigilia dell’agonia, posava Egli sulle care dolcicose con le quali aveva convissuto trent’anni: il piccolocanapè verde nell’angolo da cui Ella, malata, sorridevaai fedeli amici; la scrivania che nelle lunghe veglie pro-lungantisi sino all’alba, aveva conosciuto la redazionedei discorsi e degli scritti più celebri, le vetrine coi libri,libri innumerevoli, dossiers ammonticchiati, la CriticaSociale, cervello di una generazione italiana; l’immensafinestra vetrata, occhio spalancato sulla fantastica seriedi torri, cuspidi, pinnacoli della cattedrale ambrosiana.

Sospirava il Grande Vecchio e l’espressione del suoviso era così straziante che per un attimo dubitai nonreggesse a così immenso dolore. «Turati – mormorai ti-mido – se la Signora Anna fosse qui, forse anche lei...»– «Oh, non facciamo parlare i morti», mi replicò doloro-samente.

Tacque. Sospirò ancora ponendosi la mano sul cuore,tanto forte pulsava; poi, con voce rassegnata, decise.

Ci saremmo rivisti alle 21.Turati era l’uomo politico più popolare d’Italia.

L’odio che il dittatore gli portava e che non ha cedutoneppure di fronte alla morte, era per tre quarti dovutoalla segreta invidia che destava in lui la popolarità diTurati, popolarità spontanea, commovente, resistente atutte le avversità ed a tutte le sconfitte. Quando, perquella disciplina che lo induceva a fare tutto personal-

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mente, scendeva ogni sera a impostare il voluminosocorriere, anche gli avversari si fermavano tra incuriositie ammirati per segnarselo a dito: «L’è el Turati!» Quan-te volte salito sul tram, doveva schermirsi dalle dimo-strazioni di affetto del fattorino, del passeggero ignotoche voleva a ogni costo baciargli la mano...

Perciò la fuga di Turati era doppiamente rischiosa.Anche se si fosse riusciti a sortire inosservati dal palaz-zo sovrastante i portici sempre affollati, rimaneva il pro-blema dell’avvicinamento alla frontiera ormai munita,l’imprevisto dell’incontro, del riconoscimento fortuito.

L’uscita avvenne senza incidenti. Per colmo di pre-cauzione una coppia complice con un giornale spiegatoe un cane al guinzaglio diede di cozzo, al momento de-cisivo, contro due agenti di stazione a uno dei portoni.Proteste, scuse, tiro di corda al cane... ma intanto Turati,la barba nascosta e il cappello calato sugli occhi, avevavarcato il portone a lui inconsueto.

Dopo una breve sosta in casa amica, fu condotto aCaronno Ghiringhello, in quel di Varese, in una villettadi proprietà di Ettore Albini, critico dell’Avanti! e bellatempra di socialista.

In casa di Albini, cui tenemmo celato il disegno diespatrio, Turati avrebbe dovuto trattenersi un sol giorno.Ve ne dovette invece trascorrere undici, tediosissimi, inun’atmosfera fumosa da baracchetta di guerra, battendola notte i denti in un’immensa stanza gelata. Il ritardoera dovuto all’improvviso chiudersi della via comascasu cui si contava. La sorveglianza essendosi fatta fortis-

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mente, scendeva ogni sera a impostare il voluminosocorriere, anche gli avversari si fermavano tra incuriositie ammirati per segnarselo a dito: «L’è el Turati!» Quan-te volte salito sul tram, doveva schermirsi dalle dimo-strazioni di affetto del fattorino, del passeggero ignotoche voleva a ogni costo baciargli la mano...

Perciò la fuga di Turati era doppiamente rischiosa.Anche se si fosse riusciti a sortire inosservati dal palaz-zo sovrastante i portici sempre affollati, rimaneva il pro-blema dell’avvicinamento alla frontiera ormai munita,l’imprevisto dell’incontro, del riconoscimento fortuito.

L’uscita avvenne senza incidenti. Per colmo di pre-cauzione una coppia complice con un giornale spiegatoe un cane al guinzaglio diede di cozzo, al momento de-cisivo, contro due agenti di stazione a uno dei portoni.Proteste, scuse, tiro di corda al cane... ma intanto Turati,la barba nascosta e il cappello calato sugli occhi, avevavarcato il portone a lui inconsueto.

Dopo una breve sosta in casa amica, fu condotto aCaronno Ghiringhello, in quel di Varese, in una villettadi proprietà di Ettore Albini, critico dell’Avanti! e bellatempra di socialista.

In casa di Albini, cui tenemmo celato il disegno diespatrio, Turati avrebbe dovuto trattenersi un sol giorno.Ve ne dovette invece trascorrere undici, tediosissimi, inun’atmosfera fumosa da baracchetta di guerra, battendola notte i denti in un’immensa stanza gelata. Il ritardoera dovuto all’improvviso chiudersi della via comascasu cui si contava. La sorveglianza essendosi fatta fortis-

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sima in tutta la zona, dopo nuove e vane ricerche, ci sirisolse per la via del mare,

Troppo lungo sarebbe raccontare le ansie, i tormenti,le corse febbrili che facemmo in quei giorni con Parri ePertini, cui si aggiunsero Oxilia, Da Bove, Boyancè. Percinque giorni la polizia fu ingannata e continuò a mon-tare la guardia alla casa vuota; ma al venerdì l’allarmefu dato. Un ispettore generale piombò a Milano conl’ordine personale di Mussolini di ritrovare ad ogni co-sto Turati, di impedire, come ebbe ad esprimersi, «unatto inutilmente, stupidamente irreparabile». Tutte lestazioni dei carabinieri furono mobilitate, una per unavennero visitate le case amiche, minacciati gli intimi, ar-restati portieri, domestici, mentre una ricerca sistematicain tutte le possibili ville complici veniva ordinata. Il fat-to che dopo tanti giorni nessuna notizia dell’arrivo diTurati in terra straniera trapelasse, raddoppiava l’energiapoliziesca.

La situazione già grave, si fece insostenibile quandoalla muta si unì, vogliamo credere per cieca debolezza,uno pseudo amico del Turati, fornendo indicazioni pre-ziose. V’era di che impazzire. Essere ripresi così, lemani nel sacco, vederlo rientrare a Milano tra le beffefasciste, accompagnato da tutta la polizzottaglia autoriz-zata ormai a tutti gli arbitrî, vederlo rinchiudere definiti-vamente in una casa cui solo i vili e i venduti avrebberoavuto libero l’accesso, era per tutti noi, era per Turati unincubo. Recandogli un giorno l’annunzio di un nuovorinvio mi mostrò la rivoltella carica sotto il cuscino e mi

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sima in tutta la zona, dopo nuove e vane ricerche, ci sirisolse per la via del mare,

Troppo lungo sarebbe raccontare le ansie, i tormenti,le corse febbrili che facemmo in quei giorni con Parri ePertini, cui si aggiunsero Oxilia, Da Bove, Boyancè. Percinque giorni la polizia fu ingannata e continuò a mon-tare la guardia alla casa vuota; ma al venerdì l’allarmefu dato. Un ispettore generale piombò a Milano conl’ordine personale di Mussolini di ritrovare ad ogni co-sto Turati, di impedire, come ebbe ad esprimersi, «unatto inutilmente, stupidamente irreparabile». Tutte lestazioni dei carabinieri furono mobilitate, una per unavennero visitate le case amiche, minacciati gli intimi, ar-restati portieri, domestici, mentre una ricerca sistematicain tutte le possibili ville complici veniva ordinata. Il fat-to che dopo tanti giorni nessuna notizia dell’arrivo diTurati in terra straniera trapelasse, raddoppiava l’energiapoliziesca.

La situazione già grave, si fece insostenibile quandoalla muta si unì, vogliamo credere per cieca debolezza,uno pseudo amico del Turati, fornendo indicazioni pre-ziose. V’era di che impazzire. Essere ripresi così, lemani nel sacco, vederlo rientrare a Milano tra le beffefasciste, accompagnato da tutta la polizzottaglia autoriz-zata ormai a tutti gli arbitrî, vederlo rinchiudere definiti-vamente in una casa cui solo i vili e i venduti avrebberoavuto libero l’accesso, era per tutti noi, era per Turati unincubo. Recandogli un giorno l’annunzio di un nuovorinvio mi mostrò la rivoltella carica sotto il cuscino e mi

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avvertì che non si sarebbe lasciato prendere vivo.Il giovedì 2 dicembre, la polizia era riuscita a stabilire

che Albini era scomparso da vari giorni dal suo domici-lio. Indagava per sapere dove fosse e se avesse una casain campagna. Decidemmo un immediato spostamentonotturno. Turati fu prelevato all’improvviso, sotto gliocchi stupefatti degli ospiti, e portato con una lunga cor-sa notturna in un’altra regione. La polizia arrivò pocheore dopo con a capo prefetto, ispettore, amico sicurodella preda. E Albini pagò la delusione con 8 mesi dicarcere sopportati in modo esemplare.

La caccia riprese. Il motoscafo su cui contavamo si ri-velò alle prove insufficiente. Nuovo spostamento di Tu-rati. A Milano intanto gli amici ci annunciavano rag-gianti che Turati era stato visto a Lugano a braccetto diCanevascini.

Al motoscafo sostituimmo una barca a motore, men-tre Turati compieva l’ultimo definitivo spostamento not-turno sugli Appennini gelati. Preceduti da una automo-bile staffetta viaggiammo dalle otto di sera alle tre delmattino. Turati fumava filosoficamente. Di tanto in tan-to, girando il capo verso l’interno della vettura, scorge-vo il cerchio rosso del sigaro acceso, segno indubbioche il vecchio reggeva.

Mancato l’appuntamento, stanchi morti, osammol’albergo presentandoci come babbo e figliolo, dormen-do, caro Turati, nello stesso letto.

Savona. Nuova attesa di cinque giorni: paziente Tura-ti, ammirevole Turati, prigioniero da venti giorni della

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avvertì che non si sarebbe lasciato prendere vivo.Il giovedì 2 dicembre, la polizia era riuscita a stabilire

che Albini era scomparso da vari giorni dal suo domici-lio. Indagava per sapere dove fosse e se avesse una casain campagna. Decidemmo un immediato spostamentonotturno. Turati fu prelevato all’improvviso, sotto gliocchi stupefatti degli ospiti, e portato con una lunga cor-sa notturna in un’altra regione. La polizia arrivò pocheore dopo con a capo prefetto, ispettore, amico sicurodella preda. E Albini pagò la delusione con 8 mesi dicarcere sopportati in modo esemplare.

La caccia riprese. Il motoscafo su cui contavamo si ri-velò alle prove insufficiente. Nuovo spostamento di Tu-rati. A Milano intanto gli amici ci annunciavano rag-gianti che Turati era stato visto a Lugano a braccetto diCanevascini.

Al motoscafo sostituimmo una barca a motore, men-tre Turati compieva l’ultimo definitivo spostamento not-turno sugli Appennini gelati. Preceduti da una automo-bile staffetta viaggiammo dalle otto di sera alle tre delmattino. Turati fumava filosoficamente. Di tanto in tan-to, girando il capo verso l’interno della vettura, scorge-vo il cerchio rosso del sigaro acceso, segno indubbioche il vecchio reggeva.

Mancato l’appuntamento, stanchi morti, osammol’albergo presentandoci come babbo e figliolo, dormen-do, caro Turati, nello stesso letto.

Savona. Nuova attesa di cinque giorni: paziente Tura-ti, ammirevole Turati, prigioniero da venti giorni della

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sua fuga. Si giuoca ormai l’ultima partita. La riviera èposta in stato d’assedio per la cattura dell’inafferabileSante Pollastri. Sui treni e sulle strade la sorveglianza siè fatta ossessionante. Oxilia, che si recava a Genova inautomobile per acquistare uno strumento marino vienefermato alle porte di Savona da una pattuglia di carabi-nieri coi moschetti puntati. Motoscafi armati incrocianodavanti a Ventimiglia.

Finalmente il 12 dicembre, alle ore 20 di sera, si par-te. L’appuntamento è su un punto deserto della costa diVado. Il tempo, bellissimo nei giorni di attesa, si è im-provvisamente mutato: un forte vento di libeccio spira.Eccoci tutti appiattati dietro i sassi, sui margini dellastrada, in vista del molo abbandonato. Di tanto in tanto ifari di un’automobile fanno trattenere il fiato e chinare ilcapo. Pani ispeziona la costa. Nulla. Il vento raddoppiadi violenza e le onde si frangono con grandi spume sulmolo. Al luogo dell’appuntamento invece della barcatroviamo un veliero guardato da un agente daziario.

Siamo già in piedi per rincasare, quando il rumore diun’automobile ci ributta per terra. L’automobile rallenta,si ferma. Un tuffo al cuore: siamo stati traditi. La figuradi Oxilia appare. Con voce ansante ci invita a salire inotto sulla vettura: «Non si può partire di qui, partiamodai Pesci Vivi» (osteria ai margini del porto di Savona).Scaricati ai Pesci Vivi scendiamo la ripida scaletta, ciimbarchiamo a pochi passi dagli agenti. Comandi sec-chi, la barca si scosta. «Buona pesca» ci grida all’uscitaun pescatore. «Grazie».

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sua fuga. Si giuoca ormai l’ultima partita. La riviera èposta in stato d’assedio per la cattura dell’inafferabileSante Pollastri. Sui treni e sulle strade la sorveglianza siè fatta ossessionante. Oxilia, che si recava a Genova inautomobile per acquistare uno strumento marino vienefermato alle porte di Savona da una pattuglia di carabi-nieri coi moschetti puntati. Motoscafi armati incrocianodavanti a Ventimiglia.

Finalmente il 12 dicembre, alle ore 20 di sera, si par-te. L’appuntamento è su un punto deserto della costa diVado. Il tempo, bellissimo nei giorni di attesa, si è im-provvisamente mutato: un forte vento di libeccio spira.Eccoci tutti appiattati dietro i sassi, sui margini dellastrada, in vista del molo abbandonato. Di tanto in tanto ifari di un’automobile fanno trattenere il fiato e chinare ilcapo. Pani ispeziona la costa. Nulla. Il vento raddoppiadi violenza e le onde si frangono con grandi spume sulmolo. Al luogo dell’appuntamento invece della barcatroviamo un veliero guardato da un agente daziario.

Siamo già in piedi per rincasare, quando il rumore diun’automobile ci ributta per terra. L’automobile rallenta,si ferma. Un tuffo al cuore: siamo stati traditi. La figuradi Oxilia appare. Con voce ansante ci invita a salire inotto sulla vettura: «Non si può partire di qui, partiamodai Pesci Vivi» (osteria ai margini del porto di Savona).Scaricati ai Pesci Vivi scendiamo la ripida scaletta, ciimbarchiamo a pochi passi dagli agenti. Comandi sec-chi, la barca si scosta. «Buona pesca» ci grida all’uscitaun pescatore. «Grazie».

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Il pesce grosso ha rotto la rete e corre verso l’altomare. Pertini intona l’Internazionale, mentre noi guar-diamo scomparire le luci d’Italia.

Dodici ore durò la traversata, orribile. Più volte do-vemmo darci il cambio alla pompa per eliminare l’acquache ogni ondata ci regalava. Oxilia e Dabove, mirabililupi di mare, si davano il cambio al timone, sapiente-mente accogliendo le ondate. Al mattino, dopo novantamiglia di navigazione Capo Corso rimaneva introvabile.Una nuvolaglia bruna impediva la vista: è un momentodi smarrimento e di incertezza a bordo. Si discute persapere dove stia di casa la Corsica. Forse è quella nuvo-laglia a sinistra, lontanissima; il vento ci aveva fatto de-viare dalla rotta sensibilmente. Col mutamento di rottala danza si fa più selvaggia. L’onda sbatte con violenzasulla fragile chiglia e pare debba ad ogni colpo schian-tarsi.

Turati, steso sui cordami a prua, resiste stupendamen-te al mare, e solo nelle ultime ore sembra soffrire. È cal-mo, mirabilmente calmo, indifferente a tutti i destini. Halasciato la sua casa, i suoi morti, Milano, l’Italia; ormaitutto è eguale. Annegare in mare o annegare in esilio, asettantanni...

Ma ecco la linea dei monti farsi più chiara col M.Cinto che tutti li sovrasta. L’isola Rossa ci saluta, ci sa-luta il sole. Calvi svela il suo forte proteso sul mare. Ilmare, via via che ci avviciniamo alla costa, si rabboni-sce fino a farsi calmissimo. Navighiamo ora in un’atmo-sfera di sogno, ritti in piedi protesi verso la terra amica.

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Il pesce grosso ha rotto la rete e corre verso l’altomare. Pertini intona l’Internazionale, mentre noi guar-diamo scomparire le luci d’Italia.

Dodici ore durò la traversata, orribile. Più volte do-vemmo darci il cambio alla pompa per eliminare l’acquache ogni ondata ci regalava. Oxilia e Dabove, mirabililupi di mare, si davano il cambio al timone, sapiente-mente accogliendo le ondate. Al mattino, dopo novantamiglia di navigazione Capo Corso rimaneva introvabile.Una nuvolaglia bruna impediva la vista: è un momentodi smarrimento e di incertezza a bordo. Si discute persapere dove stia di casa la Corsica. Forse è quella nuvo-laglia a sinistra, lontanissima; il vento ci aveva fatto de-viare dalla rotta sensibilmente. Col mutamento di rottala danza si fa più selvaggia. L’onda sbatte con violenzasulla fragile chiglia e pare debba ad ogni colpo schian-tarsi.

Turati, steso sui cordami a prua, resiste stupendamen-te al mare, e solo nelle ultime ore sembra soffrire. È cal-mo, mirabilmente calmo, indifferente a tutti i destini. Halasciato la sua casa, i suoi morti, Milano, l’Italia; ormaitutto è eguale. Annegare in mare o annegare in esilio, asettantanni...

Ma ecco la linea dei monti farsi più chiara col M.Cinto che tutti li sovrasta. L’isola Rossa ci saluta, ci sa-luta il sole. Calvi svela il suo forte proteso sul mare. Ilmare, via via che ci avviciniamo alla costa, si rabboni-sce fino a farsi calmissimo. Navighiamo ora in un’atmo-sfera di sogno, ritti in piedi protesi verso la terra amica.

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Entriamo in rada alle dieci del mattino, sfiniti,inzuppati ma felici. Scendiamo. Turati è subitoriconosciuto. Sbrigate le pratiche con la polizia, ilcircolo repubblicano locale improvvisa un ricevimento.Turati si schermisce, è stanco dopo la terribile notte. Magli altri insistono e conviene cedere. «Au nom de ladémocratie française, au nom de la Corse...». Il leaderlocale saluta l’Italia, l’antifascismo, Turati.

Turati si alza. È miracoloso il vecchio. Risponde inperfetto francese, improvvisando uno di quelle cause-ries in cui andava maestro. Descrive l’Italia in catene,parla della lotta per la libertà, saluta la libera terra diFrancia. La stanchezza, la traversata, il mal di mare, tut-to finito. Il vecchio sauro scalpita, il sangue sempre gio-vane ribolle. Ah ! Turati, come ti vogliamo bene, quantosei bravo, Turati. Ora tu stesso vedi da questo primo in-contro quanto preziosa potrà essere la tua presenzaall’estero.

Il giorno dopo ripartiamo. Egli non vorrebbe. Al mat-tino è venuto lui stesso a svegliarci e ci tratta come fi-glioli. Ci abbracciamo.

Dal piccolo molo di Calvi, con Pertini a fianco, agitaa lungo il fazzoletto mentre le lacrime gli rigano il vol-to.

Addio, Turati, addio. Anzi, arrivederci, presto, in Ita-lia.

E invece no. Turati è morto a Parigi, e Pertini è incarcere, dove certo già è volata la tremenda notizia, eParri è ancora una volta a Lipari e noi torniamo dal ci-

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Entriamo in rada alle dieci del mattino, sfiniti,inzuppati ma felici. Scendiamo. Turati è subitoriconosciuto. Sbrigate le pratiche con la polizia, ilcircolo repubblicano locale improvvisa un ricevimento.Turati si schermisce, è stanco dopo la terribile notte. Magli altri insistono e conviene cedere. «Au nom de ladémocratie française, au nom de la Corse...». Il leaderlocale saluta l’Italia, l’antifascismo, Turati.

Turati si alza. È miracoloso il vecchio. Risponde inperfetto francese, improvvisando uno di quelle cause-ries in cui andava maestro. Descrive l’Italia in catene,parla della lotta per la libertà, saluta la libera terra diFrancia. La stanchezza, la traversata, il mal di mare, tut-to finito. Il vecchio sauro scalpita, il sangue sempre gio-vane ribolle. Ah ! Turati, come ti vogliamo bene, quantosei bravo, Turati. Ora tu stesso vedi da questo primo in-contro quanto preziosa potrà essere la tua presenzaall’estero.

Il giorno dopo ripartiamo. Egli non vorrebbe. Al mat-tino è venuto lui stesso a svegliarci e ci tratta come fi-glioli. Ci abbracciamo.

Dal piccolo molo di Calvi, con Pertini a fianco, agitaa lungo il fazzoletto mentre le lacrime gli rigano il vol-to.

Addio, Turati, addio. Anzi, arrivederci, presto, in Ita-lia.

E invece no. Turati è morto a Parigi, e Pertini è incarcere, dove certo già è volata la tremenda notizia, eParri è ancora una volta a Lipari e noi torniamo dal ci-

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mitero.Da quel luminoso mattino di Calvi ad oggi, quasi sei

anni, sei anni di esilio sono passati. E Turati è morto.Hai aspettato tanto, Turati, e forse hai sperato di potertornare, per morire.

Ogni 26 novembre, ogni Capo d’anno, ti dicevamo:torneremo insieme, Turati, in Italia, a Milano. Ma daqualche tempo in qua, egli, guardandoci con quei suoiocchi supremamente umani, ci rispondeva scuotendo ilcapo leonino: no, io non tornerò; voi tornerete.

Eppure, sicuro com’era ormai di non tornare, di nonrivedere l’alba della libertà italiana, di non contemplaredalla sua finestra Milano ai suoi piedi acclamante, Eglinon ha piegato, e fino all’ultima ora della sua giornatamortale ha dedicato tutto di sè alla causa. Suprema le-zione di dignità, di attaccamento al dovere. L’ironista, illetterato che ci potè apparire alle volte scettico per il suovezzo di scherzare su tutto, era uno stoico per il quale lavita era una cosa straordinariamente seria, per il qualenon il successo conta ma la intrinseca moralità.

Turati è morto; a noi non resta che continuare, fortidel suo esempio e del suo sacrificio, con la melanconiaprofonda che lasciano questi distacchi, la nostra, la Suabattaglia.

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mitero.Da quel luminoso mattino di Calvi ad oggi, quasi sei

anni, sei anni di esilio sono passati. E Turati è morto.Hai aspettato tanto, Turati, e forse hai sperato di potertornare, per morire.

Ogni 26 novembre, ogni Capo d’anno, ti dicevamo:torneremo insieme, Turati, in Italia, a Milano. Ma daqualche tempo in qua, egli, guardandoci con quei suoiocchi supremamente umani, ci rispondeva scuotendo ilcapo leonino: no, io non tornerò; voi tornerete.

Eppure, sicuro com’era ormai di non tornare, di nonrivedere l’alba della libertà italiana, di non contemplaredalla sua finestra Milano ai suoi piedi acclamante, Eglinon ha piegato, e fino all’ultima ora della sua giornatamortale ha dedicato tutto di sè alla causa. Suprema le-zione di dignità, di attaccamento al dovere. L’ironista, illetterato che ci potè apparire alle volte scettico per il suovezzo di scherzare su tutto, era uno stoico per il quale lavita era una cosa straordinariamente seria, per il qualenon il successo conta ma la intrinseca moralità.

Turati è morto; a noi non resta che continuare, fortidel suo esempio e del suo sacrificio, con la melanconiaprofonda che lasciano questi distacchi, la nostra, la Suabattaglia.

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IL PROCESSO DI SAVONA(LETTERA A FILIPPO TURATI)*

Caro Turati, Dieci di questi processi, ebbe a dire un avvocatone fa-

scista del direttorio di Genova, e il regime è spacciato.Nella evidente esagerazione del suo giudizio devi vede-re l’influsso dell’atmosfera specialissima, straordinaria,del processo. Furono circa cinque giornate indimentica-bili, durante le quali assistemmo ad una progressiva ine-sorabile rivalutazione di cose, di uomini, di idee che sicredevano da tutti sepolte. Si è parlato di te, della pove-ra signora Anna, di Matteotti, di Amendola, di sociali-smo, di libertà in tono sempre più alto e commosso. Unmiracoloso concorso di circostanze soprattutto senti-mentali ha trasformato l’aula delle Assise di Savona inun’isola non conformista dove anche i pochi avversaripresenti furono costretti ad inchinarsi di fronte alla tuapersonalità, al tuo passato, alle nostre idee, alle nostrestesse persone.

Una volta rotto il ghiaccio coi nostri interrogatorii nei* Rosselli e i suoi compagni scoperti ed arrestati al loro ritorno dal-

la Corsica vennero condannati dal Tribunale di Savona a diecimesi di carcere. Questa lettera, che descrive il processo, vennecontrabbandata fuori dalla prigione e fu pubblicata da «Giustiziae Libertà» dopo la morte di Rosselli.

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IL PROCESSO DI SAVONA(LETTERA A FILIPPO TURATI)*

Caro Turati, Dieci di questi processi, ebbe a dire un avvocatone fa-

scista del direttorio di Genova, e il regime è spacciato.Nella evidente esagerazione del suo giudizio devi vede-re l’influsso dell’atmosfera specialissima, straordinaria,del processo. Furono circa cinque giornate indimentica-bili, durante le quali assistemmo ad una progressiva ine-sorabile rivalutazione di cose, di uomini, di idee che sicredevano da tutti sepolte. Si è parlato di te, della pove-ra signora Anna, di Matteotti, di Amendola, di sociali-smo, di libertà in tono sempre più alto e commosso. Unmiracoloso concorso di circostanze soprattutto senti-mentali ha trasformato l’aula delle Assise di Savona inun’isola non conformista dove anche i pochi avversaripresenti furono costretti ad inchinarsi di fronte alla tuapersonalità, al tuo passato, alle nostre idee, alle nostrestesse persone.

Una volta rotto il ghiaccio coi nostri interrogatorii nei* Rosselli e i suoi compagni scoperti ed arrestati al loro ritorno dal-

la Corsica vennero condannati dal Tribunale di Savona a diecimesi di carcere. Questa lettera, che descrive il processo, vennecontrabbandata fuori dalla prigione e fu pubblicata da «Giustiziae Libertà» dopo la morte di Rosselli.

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quali tra l’altro sostenemmo la tesi della legittima dife-sa, fu una gara a superarsi. Da parte degli avvocati chesi sentivano sostenuti dal pubblico – e nell’ultima oradall’intera città – fu un autentico bombardamento, unarequisitoria aperta, fiera, ostinata contro il regime. Ventivolte i giudici tollerarono che la legge fosse definitamostruosa. Più volte il nome di Matteotti risuonònell’aula. Si giunse al punto di leggere l’elenco dei mor-ti e delle devastazioni di novembre!

L’ultima sera, quando parlò stupendamente bene ilmodesto avvocato Luzzatti (un tuo antico seguace) fu untrionfo. Piangevano tutti nell’aula, giudici e fascisticompresi. Al P. M. che pietosamente aveva voluto rin-tracciare il movente politico della tua fuga nel dolore date provato per la soppressione della tua rivista, bene ri-spose che la «Critica Sociale» non appartiene più a tema alla storia del nostro paese. Così pure altamente sim-bolico fu il duello finale tra il vecchio Erizzo e l’infuria-to giovane rappresentante della legge. Da un lato lo Sta-to – questo Stato con la sua forza cieca, brutale, dispoti-ca, soffocatrice –, dall’altro tutto un grande patrimoniogiuridico e la coscienza morale dell’indivìduo che a uncerto punto grida il suo «basta» e rivendica con gli attiil supremo diritto alla ribellione.

Il processo fu un dramma continuo, nel quale le pas-sioni si purificarono e i cuori non di rado batteronoall’unisono. Tutti sentivano chiaramente che non era piùin gioco la sorte miserabile di qualche uomo, ma la vitadi un grande principio morale. I giudici che per loro

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quali tra l’altro sostenemmo la tesi della legittima dife-sa, fu una gara a superarsi. Da parte degli avvocati chesi sentivano sostenuti dal pubblico – e nell’ultima oradall’intera città – fu un autentico bombardamento, unarequisitoria aperta, fiera, ostinata contro il regime. Ventivolte i giudici tollerarono che la legge fosse definitamostruosa. Più volte il nome di Matteotti risuonònell’aula. Si giunse al punto di leggere l’elenco dei mor-ti e delle devastazioni di novembre!

L’ultima sera, quando parlò stupendamente bene ilmodesto avvocato Luzzatti (un tuo antico seguace) fu untrionfo. Piangevano tutti nell’aula, giudici e fascisticompresi. Al P. M. che pietosamente aveva voluto rin-tracciare il movente politico della tua fuga nel dolore date provato per la soppressione della tua rivista, bene ri-spose che la «Critica Sociale» non appartiene più a tema alla storia del nostro paese. Così pure altamente sim-bolico fu il duello finale tra il vecchio Erizzo e l’infuria-to giovane rappresentante della legge. Da un lato lo Sta-to – questo Stato con la sua forza cieca, brutale, dispoti-ca, soffocatrice –, dall’altro tutto un grande patrimoniogiuridico e la coscienza morale dell’indivìduo che a uncerto punto grida il suo «basta» e rivendica con gli attiil supremo diritto alla ribellione.

Il processo fu un dramma continuo, nel quale le pas-sioni si purificarono e i cuori non di rado batteronoall’unisono. Tutti sentivano chiaramente che non era piùin gioco la sorte miserabile di qualche uomo, ma la vitadi un grande principio morale. I giudici che per loro

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stessa confessione soffersero terribilmente durante il di-battimento, erano consapevoli della storica responsabili-tà del loro verdetto.

Tu avresti dovuto vedere l’ultima sera. Si ritirano igiudici, la folla si accalca fino all’inverosimile, studentie combattenti, amici noti ed ignoti circondano la gabbia.Intanto durante le quattro ore di deliberazione, il grandecortile del palazzo e la piazza antistante si riempiono diuna grande folla operaia, muta ma inflessibile. Davaproprio l’impressione di essere là per giudicare i giudi-catori.

Finalmente il campanello suona. Il verdetto viene ac-colto con un grido unanime di gioia e con una grandesalva di applausi. La gabbia è presa d’assalto. Dopoun’ora, poiché la folla in cortile non si smuoveva, fum-mo fatti sortire per una uscita secondaria, e a piedi ingran fretta raggiungemmo il carcere. Ti risparmio i cen-to particolari gentili, dai fiori che dovevano essere getta-ti al nostro (al tuo...) passaggio, ai carabinieri che, to-gliendoci le manette, ci stringevano la mano commossi,all’impresario dei trasporti che volle mettere i cuscini divelluto rosso sulle panche della diligenza destinata aigiudicabili. E neppure sto a descrivere la gioia dellemamme e delle mogli. Te lo puoi immaginare.

Alle volte avemmo la sensazione che ciò che avveni-va nella piccola città provinciale potesse significare qualcosa di nuovo. Non m’illudo. Controllo i miei 28 anni!Quel che però mi pare assodato è che la gente è stufa,che il popolo ha bisogno per rinnovarsi di potenti ele-

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stessa confessione soffersero terribilmente durante il di-battimento, erano consapevoli della storica responsabili-tà del loro verdetto.

Tu avresti dovuto vedere l’ultima sera. Si ritirano igiudici, la folla si accalca fino all’inverosimile, studentie combattenti, amici noti ed ignoti circondano la gabbia.Intanto durante le quattro ore di deliberazione, il grandecortile del palazzo e la piazza antistante si riempiono diuna grande folla operaia, muta ma inflessibile. Davaproprio l’impressione di essere là per giudicare i giudi-catori.

Finalmente il campanello suona. Il verdetto viene ac-colto con un grido unanime di gioia e con una grandesalva di applausi. La gabbia è presa d’assalto. Dopoun’ora, poiché la folla in cortile non si smuoveva, fum-mo fatti sortire per una uscita secondaria, e a piedi ingran fretta raggiungemmo il carcere. Ti risparmio i cen-to particolari gentili, dai fiori che dovevano essere getta-ti al nostro (al tuo...) passaggio, ai carabinieri che, to-gliendoci le manette, ci stringevano la mano commossi,all’impresario dei trasporti che volle mettere i cuscini divelluto rosso sulle panche della diligenza destinata aigiudicabili. E neppure sto a descrivere la gioia dellemamme e delle mogli. Te lo puoi immaginare.

Alle volte avemmo la sensazione che ciò che avveni-va nella piccola città provinciale potesse significare qualcosa di nuovo. Non m’illudo. Controllo i miei 28 anni!Quel che però mi pare assodato è che la gente è stufa,che il popolo ha bisogno per rinnovarsi di potenti ele-

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menti sentimentali; infine occorre dare una anima e uncontenuto più preciso, definito, indipendente, alla nostraposizione oppositoria che è e deve essere la risolventedei due bestiali estremi ai quali sembra talvolta che ilnostro paese non possa sottrarsi.

Come avrai già saputo, il procuratore generale ha 40giorni per ricorrere. Speriamo che non se ne faccia nul-la. In tal caso, dovremmo noi pure ritirare il nostro ap-pello e alla fine di dicembre partiremmo per il confino.Durante questi quaranta giorni (ma non oltre per carità!)sei pregato, insieme a Pertini, di essere..... savio. E conquesto umoristico consiglio (umoristico data la fonte) viabbraccio tutti anche a nome di Parri, Albini, Da Bove.

P. S. Avrai forse saputo dell’assoluzione di Como. Ungran peso levato. In questi ultimi tempi ho ripreso a la-vorare e può essere che più in là vi mandi qualcosa. Pia-ni per l’avvenire non ne faccio. Credo però non rimarròpiù di un anno al confino. Leggi doppiamente fra le ri-ghe...

Seguo attentamente la situazione economica. Moltograve, senza dubbio, ma non risolutiva. Sorriderai,vero?, quando ti dirò che a questa conclusione mi ciporta, prima che il mio modesto giudizio di economista,il mio volontarismo.

Di nuovo affettuosamente.Savona 18-9-27.

CARLO ROSSELLI

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menti sentimentali; infine occorre dare una anima e uncontenuto più preciso, definito, indipendente, alla nostraposizione oppositoria che è e deve essere la risolventedei due bestiali estremi ai quali sembra talvolta che ilnostro paese non possa sottrarsi.

Come avrai già saputo, il procuratore generale ha 40giorni per ricorrere. Speriamo che non se ne faccia nul-la. In tal caso, dovremmo noi pure ritirare il nostro ap-pello e alla fine di dicembre partiremmo per il confino.Durante questi quaranta giorni (ma non oltre per carità!)sei pregato, insieme a Pertini, di essere..... savio. E conquesto umoristico consiglio (umoristico data la fonte) viabbraccio tutti anche a nome di Parri, Albini, Da Bove.

P. S. Avrai forse saputo dell’assoluzione di Como. Ungran peso levato. In questi ultimi tempi ho ripreso a la-vorare e può essere che più in là vi mandi qualcosa. Pia-ni per l’avvenire non ne faccio. Credo però non rimarròpiù di un anno al confino. Leggi doppiamente fra le ri-ghe...

Seguo attentamente la situazione economica. Moltograve, senza dubbio, ma non risolutiva. Sorriderai,vero?, quando ti dirò che a questa conclusione mi ciporta, prima che il mio modesto giudizio di economista,il mio volontarismo.

Di nuovo affettuosamente.Savona 18-9-27.

CARLO ROSSELLI

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FUGA IN QUATTRO TEMPI*

Primo tempo.Siamo non meno di cento nel «pozzo». Il «pozzo» è il

transito ufficiale del carcere di Palermo.Confusione e luridume. Ergastolani che assaporano la

brusca rottura della disciplina ordinaria, mafiosi sfollatidalla cloaca massima rigurgitanti, liberandi che debbonopatire settimane di traduzione, coatti, confinati.

È un vociferare confuso, rotto da qualche protesta piùalta per la minestra che non viene.

Parri, Da Bove, Albini, Spirito, Amelio sono con me.Facciamo circolo su una coperta. Albini è desolato,l’hanno destinato a Lipari. Noi andiamo a Ustica. Godequeste ultime ore in comune come un innamorato. Albi-ni ha 58 anni, ma è fiero di portarsi come un giovanotto.Per trentanni ha fatto l’impiegato alla Cassa di Rispar-mio di Milano e ha tenuto, alla sera, cattedra di criticadrammatica sull’«Avanti!». Ferocissimo, intelligentissi-mo critico.

La prigione ha voluto dire per Albini: lettura. Legge

* Dopo il processo di Savona e dopo la prigionia, Carlo Rosselli fuinviato al confino, in varie residenze, e alla fine a Lipari. Nel1929 riusciva ad evadere in una leggendaria fuga, che narrònell’Almanacco Socialista del 1931.

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FUGA IN QUATTRO TEMPI*

Primo tempo.Siamo non meno di cento nel «pozzo». Il «pozzo» è il

transito ufficiale del carcere di Palermo.Confusione e luridume. Ergastolani che assaporano la

brusca rottura della disciplina ordinaria, mafiosi sfollatidalla cloaca massima rigurgitanti, liberandi che debbonopatire settimane di traduzione, coatti, confinati.

È un vociferare confuso, rotto da qualche protesta piùalta per la minestra che non viene.

Parri, Da Bove, Albini, Spirito, Amelio sono con me.Facciamo circolo su una coperta. Albini è desolato,l’hanno destinato a Lipari. Noi andiamo a Ustica. Godequeste ultime ore in comune come un innamorato. Albi-ni ha 58 anni, ma è fiero di portarsi come un giovanotto.Per trentanni ha fatto l’impiegato alla Cassa di Rispar-mio di Milano e ha tenuto, alla sera, cattedra di criticadrammatica sull’«Avanti!». Ferocissimo, intelligentissi-mo critico.

La prigione ha voluto dire per Albini: lettura. Legge

* Dopo il processo di Savona e dopo la prigionia, Carlo Rosselli fuinviato al confino, in varie residenze, e alla fine a Lipari. Nel1929 riusciva ad evadere in una leggendaria fuga, che narrònell’Almanacco Socialista del 1931.

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con ingordigia, a razioni mostruose. Suoi piatti forti: Di-derot, Voltaire. Liquidate le 400 pagine giornaliere, Al-bini passeggia con me intorno alle brande. Alla nottedorme come un bebé di due anni. Se non ci fosse la si-gnora Eugenia a crucciarsi nella solitaria casa di ViaGuastalla, l’«Albinacc» sarebbe contento di passare glianni che gli avanzano prigioniero in una biblioteca.

Il vociferare si fa tumulto, si corre verso la porta chedomina il «pozzo» dall’alto di una scala. Siamo chiama-ti. Abbracciamo Albini, emozionatissimo. Il distacco daParri, che lo trattava come un bimbo grande viziato, lofa soffrire.

Notte lunga, notte eterna, nell’ultimo transito. Tristedolcezza dell’ultimo tramonto dalla prigione. Si vedonogli alberi del cortile, i merli del vecchio castello, la Di-rezione e una grande fetta in cielo.

Vegliamo al lume di una candela. Un coatto toscano,occhi verdi e parlantissimi, mi presenta il suo caso e miintroduce alla vita dell’isola.

Questa promiscuità dopo qualche ora pesa. Liti brevi,sonni fragorosi, conversazioni sommesse, rumori d’ognisorta e natura – molta natura – si confondono.

Il carcere si addormenta lentamente.Suonano le ultime campanelle.Passano stracchi i pochi guardiani. Da Savona a Pa-

lermo quante razze diverse di guardiani. Qui sono tra-sandati e camorristi, ma forse più umani.

Giungono sino a noi i rumori della vita di fuori,dell’altra vita, di quella che noi chiamiamo «normale».

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con ingordigia, a razioni mostruose. Suoi piatti forti: Di-derot, Voltaire. Liquidate le 400 pagine giornaliere, Al-bini passeggia con me intorno alle brande. Alla nottedorme come un bebé di due anni. Se non ci fosse la si-gnora Eugenia a crucciarsi nella solitaria casa di ViaGuastalla, l’«Albinacc» sarebbe contento di passare glianni che gli avanzano prigioniero in una biblioteca.

Il vociferare si fa tumulto, si corre verso la porta chedomina il «pozzo» dall’alto di una scala. Siamo chiama-ti. Abbracciamo Albini, emozionatissimo. Il distacco daParri, che lo trattava come un bimbo grande viziato, lofa soffrire.

Notte lunga, notte eterna, nell’ultimo transito. Tristedolcezza dell’ultimo tramonto dalla prigione. Si vedonogli alberi del cortile, i merli del vecchio castello, la Di-rezione e una grande fetta in cielo.

Vegliamo al lume di una candela. Un coatto toscano,occhi verdi e parlantissimi, mi presenta il suo caso e miintroduce alla vita dell’isola.

Questa promiscuità dopo qualche ora pesa. Liti brevi,sonni fragorosi, conversazioni sommesse, rumori d’ognisorta e natura – molta natura – si confondono.

Il carcere si addormenta lentamente.Suonano le ultime campanelle.Passano stracchi i pochi guardiani. Da Savona a Pa-

lermo quante razze diverse di guardiani. Qui sono tra-sandati e camorristi, ma forse più umani.

Giungono sino a noi i rumori della vita di fuori,dell’altra vita, di quella che noi chiamiamo «normale».

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Ero a Palermo, «en touriste», sette anni fa, proprio inquesto mese di maggio. Chi sa quante volte sono passa-to davanti alla porta di Ucciardone, senza pensare.

Divertente questo parallelo. Inseguimento di pensieri.Ritmo più rapido, cinematografia. Conduco la fantasiaper mano come una bambina curiosa che si arresta da-vanti a ogni vetrina. Fermiamoci a casa. Sarà nato aquest’ora il Mirtillino? (è già deciso che lo chiameremocosì). Savona, Carrara, Como, Milano, processo. Roma.Interrogativi per il confino. Suvvia, dormiamo. Non sipuò. Cerchiamo l’ora. Non si riesce ad afferrarla.L’inseguimento dei pensieri prosegue. Guardo Parri.Come il suo viso fine, pallido, incorniciato da una barbadi venti giorni, spira nobiltà. Parri è la mia seconda co-scienza, il mio fratello maggiore. Se la prigione non miavesse dato altro, la sua melanconica amicizia mi baste-rebbe. Questi uomini alti e puri sono tristi, terribilmentetristi e solitari. Scherzano, ridono, amano come tutti glialtri. Ma c’è nel fondo del loro essere una tragica dispe-razione, una specie di disperazione cosmica. La vita èper loro dovere. Fino alla conoscenza di Parri, l’eroemazziniano mi era parso astratto e retorico. Ora me lovedo steso vicino, con tutto il dolore del mondo ma an-che tutta la morale energia del mondo, incisa sul volto.

Anche Parri non può dormire. Le invernate in trincealo fanno soffrire.

Domani, finalmente, arriveremo.Domani no, stamani. Sono le due. La guardia dice:

«Fuori con tutta la roba». Le valigie e i sacchi sono

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Ero a Palermo, «en touriste», sette anni fa, proprio inquesto mese di maggio. Chi sa quante volte sono passa-to davanti alla porta di Ucciardone, senza pensare.

Divertente questo parallelo. Inseguimento di pensieri.Ritmo più rapido, cinematografia. Conduco la fantasiaper mano come una bambina curiosa che si arresta da-vanti a ogni vetrina. Fermiamoci a casa. Sarà nato aquest’ora il Mirtillino? (è già deciso che lo chiameremocosì). Savona, Carrara, Como, Milano, processo. Roma.Interrogativi per il confino. Suvvia, dormiamo. Non sipuò. Cerchiamo l’ora. Non si riesce ad afferrarla.L’inseguimento dei pensieri prosegue. Guardo Parri.Come il suo viso fine, pallido, incorniciato da una barbadi venti giorni, spira nobiltà. Parri è la mia seconda co-scienza, il mio fratello maggiore. Se la prigione non miavesse dato altro, la sua melanconica amicizia mi baste-rebbe. Questi uomini alti e puri sono tristi, terribilmentetristi e solitari. Scherzano, ridono, amano come tutti glialtri. Ma c’è nel fondo del loro essere una tragica dispe-razione, una specie di disperazione cosmica. La vita èper loro dovere. Fino alla conoscenza di Parri, l’eroemazziniano mi era parso astratto e retorico. Ora me lovedo steso vicino, con tutto il dolore del mondo ma an-che tutta la morale energia del mondo, incisa sul volto.

Anche Parri non può dormire. Le invernate in trincealo fanno soffrire.

Domani, finalmente, arriveremo.Domani no, stamani. Sono le due. La guardia dice:

«Fuori con tutta la roba». Le valigie e i sacchi sono

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pronti, la coperta è piegata – questa cura nel piegare ilcencio sconcio ha un sapore ironico – il gregge è prontoper uscire.

Sortiamo. Eterne formalità dei guardiani assonnati oesasperati. Arrivano i carabinieri. Otto. Il canto delle ca-tene accompagna il passo pesante. Visi di ragazzi sepoltisotto il gigantesco tricorno.

In fila, ci contano, ci ricontano, ci chiamano e ci ri-chiamano. Bisogna farsi una mentalità da pacco postale,in traduzione. Manette, catene. Il carabiniere addetto aichiavistelli è cattivo stamani. Stringe la manetta strettastretta. Saranno pasticci per la valigia.

«Avanti, march». Ma non si marcia. Il traffico per ab-brancare valigie e sacchi è laborioso. Il brigadiere urla,qualcuno debolmente protesta; nuove urla, spintoni, mi-nacce. «Chi vi insegna a portare questa roba? Vi facciovedere io. C’è bisogno di tutta questa roba?». Parri ha ilviso pallido e le orecchie di bragia. Grida: «Queste cosele dica al “suo” governo». Al «suo» governo. Il posses-sivo è sottolineato aspramente.

Il brigadiere d’incanto si tace. Forse i distintivi dellemedaglie che «noi» abbiamo pregato Parri di portare,hanno fatto il miracolo. Quei distintivi, che Parri chiama«chincaglierie» hanno già fatto abbassare gli occhi ai fa-scisti, sul piroscafo. Altra volta, in piena stazione diRoma, alle otto di sera, pensiline gremite, solcare la fol-la incatenati con un sorriso sardonico che è tutta una fi-losofia politica e un giudizio sul carattere italiano.

Finalmente si parte. La colonna marcia pesantissima.

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pronti, la coperta è piegata – questa cura nel piegare ilcencio sconcio ha un sapore ironico – il gregge è prontoper uscire.

Sortiamo. Eterne formalità dei guardiani assonnati oesasperati. Arrivano i carabinieri. Otto. Il canto delle ca-tene accompagna il passo pesante. Visi di ragazzi sepoltisotto il gigantesco tricorno.

In fila, ci contano, ci ricontano, ci chiamano e ci ri-chiamano. Bisogna farsi una mentalità da pacco postale,in traduzione. Manette, catene. Il carabiniere addetto aichiavistelli è cattivo stamani. Stringe la manetta strettastretta. Saranno pasticci per la valigia.

«Avanti, march». Ma non si marcia. Il traffico per ab-brancare valigie e sacchi è laborioso. Il brigadiere urla,qualcuno debolmente protesta; nuove urla, spintoni, mi-nacce. «Chi vi insegna a portare questa roba? Vi facciovedere io. C’è bisogno di tutta questa roba?». Parri ha ilviso pallido e le orecchie di bragia. Grida: «Queste cosele dica al “suo” governo». Al «suo» governo. Il posses-sivo è sottolineato aspramente.

Il brigadiere d’incanto si tace. Forse i distintivi dellemedaglie che «noi» abbiamo pregato Parri di portare,hanno fatto il miracolo. Quei distintivi, che Parri chiama«chincaglierie» hanno già fatto abbassare gli occhi ai fa-scisti, sul piroscafo. Altra volta, in piena stazione diRoma, alle otto di sera, pensiline gremite, solcare la fol-la incatenati con un sorriso sardonico che è tutta una fi-losofia politica e un giudizio sul carattere italiano.

Finalmente si parte. La colonna marcia pesantissima.

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Sbarco a Ustica. Un pugno di casette basse, bianchis-sime, arrampicate su una terra pietrosa e bruciata. Bel-lezza tragica e nuda; atmosfera greca, civiltà africana.

Cadono ferri e catene. Un po’ di massaggio ai polsi,formalità, saluti e poi via in ricognizione per i vicolisporchi e animatissimi: maiali, galline, cani, pulcini,guardie, confinati, coatti. L’arca di Noè non doveva es-sere precisamente piacevole. Eppure, quale ebbrezzastrana mi prende? Questo primo giorno di vita usticese èeccitante, mi pare d’essere nato una seconda volta.

Dopo una lunga prigione il primo giorno di confino èl’orgia, l’esplosione dell’«io» fìsico.

Sì, lo so: tra otto giorni non sarà più così. Tra ottogiorni sarà peggio forse che in prigione. Ma intanto la-sciatemi godere. Il nostro destino è di perdere in esten-sione e di guadagnare in intensità. In un giorno noi con-quistiamo quello che una vita banale e volgare non daràmai. Anche in prigione, nell’aula della Corte d’Assise diSavona, abbiamo toccato punte altrimenti inaccessibili.

Tutta la nostra vita è tesa in questo sforzo di arrivare,per un’ora, altissimi. Che importa sapere che si dovràpoi ridiscendere? Chi si è sollevato su per un «camino»nella montagna rocciosa, mi capisce.

Anche noi siamo in cordata. Parri aiuta me, io aiutoaltri. Arriveremo alla cima.

Secondo tempo.Ustica, Lipari. Quasi due anni di confino, dopo uno di

prigione. Ustica, parentesi breve tra due prigioni. Lipari

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Sbarco a Ustica. Un pugno di casette basse, bianchis-sime, arrampicate su una terra pietrosa e bruciata. Bel-lezza tragica e nuda; atmosfera greca, civiltà africana.

Cadono ferri e catene. Un po’ di massaggio ai polsi,formalità, saluti e poi via in ricognizione per i vicolisporchi e animatissimi: maiali, galline, cani, pulcini,guardie, confinati, coatti. L’arca di Noè non doveva es-sere precisamente piacevole. Eppure, quale ebbrezzastrana mi prende? Questo primo giorno di vita usticese èeccitante, mi pare d’essere nato una seconda volta.

Dopo una lunga prigione il primo giorno di confino èl’orgia, l’esplosione dell’«io» fìsico.

Sì, lo so: tra otto giorni non sarà più così. Tra ottogiorni sarà peggio forse che in prigione. Ma intanto la-sciatemi godere. Il nostro destino è di perdere in esten-sione e di guadagnare in intensità. In un giorno noi con-quistiamo quello che una vita banale e volgare non daràmai. Anche in prigione, nell’aula della Corte d’Assise diSavona, abbiamo toccato punte altrimenti inaccessibili.

Tutta la nostra vita è tesa in questo sforzo di arrivare,per un’ora, altissimi. Che importa sapere che si dovràpoi ridiscendere? Chi si è sollevato su per un «camino»nella montagna rocciosa, mi capisce.

Anche noi siamo in cordata. Parri aiuta me, io aiutoaltri. Arriveremo alla cima.

Secondo tempo.Ustica, Lipari. Quasi due anni di confino, dopo uno di

prigione. Ustica, parentesi breve tra due prigioni. Lipari

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parentesi aperta.Sono a Lipari da sei mesi. Marion è qui, il Mirtillino

è qui. Cerco di educare il mio scarso senso di paternità.Chi si occupa dell’umanità in genere, difficilmente èbuon padre. Forse con gli anni...

Ho molti amici, vivo discretamente, leggo, di nasco-sto scrivo. Ma sono già stufo, orrendamente stufo diquesta vita da pollaio, di questa falsa apparenza di liber-tà. Meglio forse la prigione. In una cella la impossibilitàdi fuggire è evidente e il sacrificio più netto.

Il confino è una grande cella senza muri, tutta cielo emare. Funzionano da muri le pattuglie dei militi. Muridi carne e ossa, non di calce e di pietra. La voglia di sca-valcarli diventa ossessionante.

Il mare è solcato da navi e da barche. I motoscafi del-la polizia sono il nostro supplizio di Tantalo.

Lunghi calcoli sulle carte. Tunisi, Malta, Corsica. 300miglia, 250 miglia, 400 miglia. Studio dei servizi, deiviottoli. Non sono fatto per la vita di pollaio. Invece,pare impossibile, tutti ritengono Rosselli sistematissimo.C’è un «cliché» che gira anche in Direzione; pacifico,studioso, passerà bene i cinque anni. Faccio di tutto percolorire le tinte. Solo qualche amico sa che il «cliché» èfalso.

Il «cliché» funzionerà a meraviglia il 30 marzo 1930.Roma telegrafa di appioppare straordinario servizio disorveglianza al confinato Rosselli, sospetto di nutrireprave intenzioni di fuga. I primi a sorridere dell’ordineromano sono gli agenti. Il cav. Cannata, direttore della

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parentesi aperta.Sono a Lipari da sei mesi. Marion è qui, il Mirtillino

è qui. Cerco di educare il mio scarso senso di paternità.Chi si occupa dell’umanità in genere, difficilmente èbuon padre. Forse con gli anni...

Ho molti amici, vivo discretamente, leggo, di nasco-sto scrivo. Ma sono già stufo, orrendamente stufo diquesta vita da pollaio, di questa falsa apparenza di liber-tà. Meglio forse la prigione. In una cella la impossibilitàdi fuggire è evidente e il sacrificio più netto.

Il confino è una grande cella senza muri, tutta cielo emare. Funzionano da muri le pattuglie dei militi. Muridi carne e ossa, non di calce e di pietra. La voglia di sca-valcarli diventa ossessionante.

Il mare è solcato da navi e da barche. I motoscafi del-la polizia sono il nostro supplizio di Tantalo.

Lunghi calcoli sulle carte. Tunisi, Malta, Corsica. 300miglia, 250 miglia, 400 miglia. Studio dei servizi, deiviottoli. Non sono fatto per la vita di pollaio. Invece,pare impossibile, tutti ritengono Rosselli sistematissimo.C’è un «cliché» che gira anche in Direzione; pacifico,studioso, passerà bene i cinque anni. Faccio di tutto percolorire le tinte. Solo qualche amico sa che il «cliché» èfalso.

Il «cliché» funzionerà a meraviglia il 30 marzo 1930.Roma telegrafa di appioppare straordinario servizio disorveglianza al confinato Rosselli, sospetto di nutrireprave intenzioni di fuga. I primi a sorridere dell’ordineromano sono gli agenti. Il cav. Cannata, direttore della

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colonia, siciliano ignorante e violento, ma non perfido,risponde a un dipresso: «Rosselli confinato modello,magari fossero tutti così. Escludo ipotesi avanzata cote-sto Superiore Ufficio. Ritengo non necessario specialeservizio sorveglianza, chiedo autorizzazione levarlo» (edire che allora eravamo già stati in acqua due volte).

A quattro mesi data, felice evasione del raccomandatoe dei suoi due compagni. Cannata si strappa i capelli efinisce in casa di salute (sono crudele); Roma giura checi fu corruzione (non ci fu). La verità è che Cannata me-rita zero in intuizione, zero in prevenzione, zero in tuttoe nulla più. La sua vera stoltezza la commise il giornoche decise di censurare personalmente le lettere del«confinato modello», assieme ad altre poche; permisecosì al «confinato modello» di insinuargli dolcementenel cervello il famoso «cliché»; tutto famiglia, studio,serietà, con una strana rotella che non funziona (quellache lo rende antifascista). Ma sincero, soprattutto since-ro.

No, no, non sono nato per il pollaio.Il nostro pollaio non ammette imprevisti politici. Solo

nei periodi difficili le divisioni scompaiono e lo spiritodi corpo prevale. Di solito il pollaio è diviso in gruppi esottogruppi. Il comunista parla con compatimento delsocialista; il socialista accusa di formalismo il repubbli-cano; l’anarchico ci mette tutti in un mazzo. Poi ci sonoi trotzkiani e gli staliniani, i massimalisti, gli unitari, ifautori dell’unità, i repubblicani socialisti, i repubblicanitradizionalisti, gli individualisti, i comunisti anarchici, i

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colonia, siciliano ignorante e violento, ma non perfido,risponde a un dipresso: «Rosselli confinato modello,magari fossero tutti così. Escludo ipotesi avanzata cote-sto Superiore Ufficio. Ritengo non necessario specialeservizio sorveglianza, chiedo autorizzazione levarlo» (edire che allora eravamo già stati in acqua due volte).

A quattro mesi data, felice evasione del raccomandatoe dei suoi due compagni. Cannata si strappa i capelli efinisce in casa di salute (sono crudele); Roma giura checi fu corruzione (non ci fu). La verità è che Cannata me-rita zero in intuizione, zero in prevenzione, zero in tuttoe nulla più. La sua vera stoltezza la commise il giornoche decise di censurare personalmente le lettere del«confinato modello», assieme ad altre poche; permisecosì al «confinato modello» di insinuargli dolcementenel cervello il famoso «cliché»; tutto famiglia, studio,serietà, con una strana rotella che non funziona (quellache lo rende antifascista). Ma sincero, soprattutto since-ro.

No, no, non sono nato per il pollaio.Il nostro pollaio non ammette imprevisti politici. Solo

nei periodi difficili le divisioni scompaiono e lo spiritodi corpo prevale. Di solito il pollaio è diviso in gruppi esottogruppi. Il comunista parla con compatimento delsocialista; il socialista accusa di formalismo il repubbli-cano; l’anarchico ci mette tutti in un mazzo. Poi ci sonoi trotzkiani e gli staliniani, i massimalisti, gli unitari, ifautori dell’unità, i repubblicani socialisti, i repubblicanitradizionalisti, gli individualisti, i comunisti anarchici, i

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democratici indipendenti, un popolare perché non si per-da la razza.

Scoperta di Dolci e di Fabbri.Dolci è il più intelligente di tutti. Tutto lo interessa,

tutto comprende. Silvestri (che ha pure altre virtù) fa laginnastica sistema Muller. Dolci fa la ginnastica con leidee. Tutti gli attrezzi sono buoni. Passa dalla radio allafilosofia, dalla musica alla biologia. Gran signore, devetutto a se stesso. C’è in lui un distacco costituzionale datutto ciò che forma l’ambizione dell’uomo normale. An-che nella lotta, lotta per ginnastica morale, per guardarsidal filisteismo borghese. Naviga e vola con la stessa in-differenza con cui prepara uno schema radio.

La compagnia di Dolci mi ha consolato durante unalunga estate solitaria.

Fabbri è l’opposto di Dolci. Figlio della terra, ne con-serva la concretezza e la fruttuosità. Terra bolognese:grassa e generosa. Colono, poi organizzatore di contadi-ni, infine capo della resistenza molinellese. Fabbri è lariprova della vitalità del socialismo. Un movimento cheproduce dei Fabbri, dei Bentivogli, dei Bagni, può con-cedersi di ipotecare il futuro. La gramigna non è riuscitaa vietare il buon grano.

Fabbri è un grande organizzatore (socialisti italiani,imparate il suo nome). A Lipari si accontentava di fare illavandaio. Ma un lavandaio autoritario. Quando venivaa prendere la biancheria il servo eri tu, non lui. Termina-to il bucato, Fabbri studiava il francese e leggeva con lastessa energia con cui per tanti anni aveva maneggiato la

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democratici indipendenti, un popolare perché non si per-da la razza.

Scoperta di Dolci e di Fabbri.Dolci è il più intelligente di tutti. Tutto lo interessa,

tutto comprende. Silvestri (che ha pure altre virtù) fa laginnastica sistema Muller. Dolci fa la ginnastica con leidee. Tutti gli attrezzi sono buoni. Passa dalla radio allafilosofia, dalla musica alla biologia. Gran signore, devetutto a se stesso. C’è in lui un distacco costituzionale datutto ciò che forma l’ambizione dell’uomo normale. An-che nella lotta, lotta per ginnastica morale, per guardarsidal filisteismo borghese. Naviga e vola con la stessa in-differenza con cui prepara uno schema radio.

La compagnia di Dolci mi ha consolato durante unalunga estate solitaria.

Fabbri è l’opposto di Dolci. Figlio della terra, ne con-serva la concretezza e la fruttuosità. Terra bolognese:grassa e generosa. Colono, poi organizzatore di contadi-ni, infine capo della resistenza molinellese. Fabbri è lariprova della vitalità del socialismo. Un movimento cheproduce dei Fabbri, dei Bentivogli, dei Bagni, può con-cedersi di ipotecare il futuro. La gramigna non è riuscitaa vietare il buon grano.

Fabbri è un grande organizzatore (socialisti italiani,imparate il suo nome). A Lipari si accontentava di fare illavandaio. Ma un lavandaio autoritario. Quando venivaa prendere la biancheria il servo eri tu, non lui. Termina-to il bucato, Fabbri studiava il francese e leggeva con lastessa energia con cui per tanti anni aveva maneggiato la

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vanga.Ringrazio il confino per queste ed altre amicizie. Ma

ora basta. Troppo tempo perduto. Lipari va bene perpensionati politici, non per uomini che intendono batter-si, lavorare. Le ragioni che ci hanno condotto qui sonogià scontate, dimenticate. Abbiamo sete di nuovi reati,sete d’azione. Non siamo delinquenti occasionali. Treanni di inattività sono un omaggio già enorme al fasci-smo. Bisogna far punto e da capo.

Il più stufo è Lussu. Nella prima visita che gli feci siparlò dell’Aventino e del Risorgimento. Nella secondadi fuga. Abbiamo poi sempre parlato di fuga, fino allanoia, fino alla reciproca esasperazione.

Fuga con variazioni, in tutti i tempi, passati, presenti,futuri, condizionali. Fughe in barca, in motoscafo, in pi-roscafo, in aeroplano, in dirigibile. Fuga, fuga, fuga.Ora, dietro consiglio di Turati, maestro di stile, abbiamoimparato a chiamarla «evasione».

È più dignitoso. Ma allora la chiamavamo fuga.Nitti e Dolci erano della partita.Comunico a mia moglie la decisione. Trova naturalis-

simo. Sono io che non trovo naturale che trovi la cosanaturale. Il vecchio orgoglio maschile mi acceca: credoche lo spirito di avventura sia privilegio dei maschi. Di-mentico sempre che in Inghilterra sono le donne a re-gnare.

Terzo tempo.Il 17 novembre 1928 siamo stati in acqua venti minu-

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vanga.Ringrazio il confino per queste ed altre amicizie. Ma

ora basta. Troppo tempo perduto. Lipari va bene perpensionati politici, non per uomini che intendono batter-si, lavorare. Le ragioni che ci hanno condotto qui sonogià scontate, dimenticate. Abbiamo sete di nuovi reati,sete d’azione. Non siamo delinquenti occasionali. Treanni di inattività sono un omaggio già enorme al fasci-smo. Bisogna far punto e da capo.

Il più stufo è Lussu. Nella prima visita che gli feci siparlò dell’Aventino e del Risorgimento. Nella secondadi fuga. Abbiamo poi sempre parlato di fuga, fino allanoia, fino alla reciproca esasperazione.

Fuga con variazioni, in tutti i tempi, passati, presenti,futuri, condizionali. Fughe in barca, in motoscafo, in pi-roscafo, in aeroplano, in dirigibile. Fuga, fuga, fuga.Ora, dietro consiglio di Turati, maestro di stile, abbiamoimparato a chiamarla «evasione».

È più dignitoso. Ma allora la chiamavamo fuga.Nitti e Dolci erano della partita.Comunico a mia moglie la decisione. Trova naturalis-

simo. Sono io che non trovo naturale che trovi la cosanaturale. Il vecchio orgoglio maschile mi acceca: credoche lo spirito di avventura sia privilegio dei maschi. Di-mentico sempre che in Inghilterra sono le donne a re-gnare.

Terzo tempo.Il 17 novembre 1928 siamo stati in acqua venti minu-

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ti. Il giorno abbiamo disperatamente zappato il giardinoper convincere amici e nemici della stabilità della nostradimora. Per arrivare al luogo di appuntamento siamo co-stretti a scorticarci sugli scogli che affiorano. I sacchettiimpermeabili coi vestiti si riempiono d’acqua. Fatica or-ribile, freddo birbone.

Quadro degli evadendi: Lussu, appollaiato su una roc-cia, con un binocolo. Esce da una pleurite ed è bagnatis-simo. Con la sua prepotente fiducia dichiara di non sen-tir freddo: «Ho la maglia, ho la maglia», diceva. Comese non avesse nuotato con la maglia.

Dolci faceva il colosso di Rodi tra la roccia di Lussue un’altra roccia. Nitti stava aggrappato per modo didire. Ad ogni lieve ondata piombava sulla gamba sini-stra di Dolci, il quale a sua volta si sedeva sulla mia te-sta e mi cacciava sott’acqua. Nitti più freddoloso per na-tura faceva un involontario concerto coi denti. Io galleg-giavo emettendo lievi proteste ogni qual volta la demo-crazia nittiana (repubblicana) mi spingeva indirettamen-te sott’acqua.

Trenta minuti sono mille e ottocento secondi. Chi haatteso un motoscafo che non arriva può dire di aver per-corso tutta l’èra cristiana.

Ci scambiavamo poche parole rapide. «Vedoun’ombra laggiù».

È la roccia di una punta vicina. – «Sst, sento un ru-more». – Tratteniamo tutti il respiro. I denti di Nitti ces-sano di tambureggiare. – «È un motorino fuori bordo».– A cento metri, attraccato alla banchina, sta il piroscafo

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ti. Il giorno abbiamo disperatamente zappato il giardinoper convincere amici e nemici della stabilità della nostradimora. Per arrivare al luogo di appuntamento siamo co-stretti a scorticarci sugli scogli che affiorano. I sacchettiimpermeabili coi vestiti si riempiono d’acqua. Fatica or-ribile, freddo birbone.

Quadro degli evadendi: Lussu, appollaiato su una roc-cia, con un binocolo. Esce da una pleurite ed è bagnatis-simo. Con la sua prepotente fiducia dichiara di non sen-tir freddo: «Ho la maglia, ho la maglia», diceva. Comese non avesse nuotato con la maglia.

Dolci faceva il colosso di Rodi tra la roccia di Lussue un’altra roccia. Nitti stava aggrappato per modo didire. Ad ogni lieve ondata piombava sulla gamba sini-stra di Dolci, il quale a sua volta si sedeva sulla mia te-sta e mi cacciava sott’acqua. Nitti più freddoloso per na-tura faceva un involontario concerto coi denti. Io galleg-giavo emettendo lievi proteste ogni qual volta la demo-crazia nittiana (repubblicana) mi spingeva indirettamen-te sott’acqua.

Trenta minuti sono mille e ottocento secondi. Chi haatteso un motoscafo che non arriva può dire di aver per-corso tutta l’èra cristiana.

Ci scambiavamo poche parole rapide. «Vedoun’ombra laggiù».

È la roccia di una punta vicina. – «Sst, sento un ru-more». – Tratteniamo tutti il respiro. I denti di Nitti ces-sano di tambureggiare. – «È un motorino fuori bordo».– A cento metri, attraccato alla banchina, sta il piroscafo

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Messina-Napoli. Luci, ombre che sfilano, urla di facchi-ni, divise di militi.

— Forse non osano avvicinarsi per via del piroscafo.— Ma no, al contrario. Le luci abbagliano chi sta a

terra.— Ma la prenderanno per una torpe...Paff. Il gruppo Nitti-Dolci è crollato di nuovo.— Porca miseria, non puoi star fermo?— L’onda mi butta giù. I sacchetti mi tirano giù. Ma-

ledetti sacchi.Silenzio di cinque minuti. Guardiamo gli orologi che

sono tutti guasti (meno quello di Lussu). Dio come iltempo passa presto. Siamo alla fine.

Ancora tre minuti, due minuti, un minuto. Ultimo la-cerante sguardo. Nulla. Finito. Tutto finito. Lussu,l’esplosivo Lussu, da quando è in azione è diventato dipietra. Sta sulla roccia come un vecchio guerriero dellasua terra.

E il binoccolo sembra un fucile.Solo suo commento: «È penoso. Dopo sei mesi, è pe-

noso». Lussu è calmo, calmissimo.Non ci sono dubbi. Torniamo. Ma l’aratro del mondo

– come amava dirci spesso – gli è passato sul cuore.Ciaf, ciaf, ciaf. I tre sono in acqua. Rosselli, balenot-

tero veloce, precede con i sacchi. Si fila presto.Nuotiamo veloci. Arriviamo a riva, stracciamo i pac-

chi, i vestiti sono completamente inzuppati. Mentre a fa-tica li infiliamo suona la tromba fatale. Sono le otto. Bi-sogna correre a casa.

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Messina-Napoli. Luci, ombre che sfilano, urla di facchi-ni, divise di militi.

— Forse non osano avvicinarsi per via del piroscafo.— Ma no, al contrario. Le luci abbagliano chi sta a

terra.— Ma la prenderanno per una torpe...Paff. Il gruppo Nitti-Dolci è crollato di nuovo.— Porca miseria, non puoi star fermo?— L’onda mi butta giù. I sacchetti mi tirano giù. Ma-

ledetti sacchi.Silenzio di cinque minuti. Guardiamo gli orologi che

sono tutti guasti (meno quello di Lussu). Dio come iltempo passa presto. Siamo alla fine.

Ancora tre minuti, due minuti, un minuto. Ultimo la-cerante sguardo. Nulla. Finito. Tutto finito. Lussu,l’esplosivo Lussu, da quando è in azione è diventato dipietra. Sta sulla roccia come un vecchio guerriero dellasua terra.

E il binoccolo sembra un fucile.Solo suo commento: «È penoso. Dopo sei mesi, è pe-

noso». Lussu è calmo, calmissimo.Non ci sono dubbi. Torniamo. Ma l’aratro del mondo

– come amava dirci spesso – gli è passato sul cuore.Ciaf, ciaf, ciaf. I tre sono in acqua. Rosselli, balenot-

tero veloce, precede con i sacchi. Si fila presto.Nuotiamo veloci. Arriviamo a riva, stracciamo i pac-

chi, i vestiti sono completamente inzuppati. Mentre a fa-tica li infiliamo suona la tromba fatale. Sono le otto. Bi-sogna correre a casa.

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Partiamo come briganti che han fallito la preda mason decisi a non farsi acciuffare.

Lussu si avvolge attorno al collo un pantalone bagna-to. Ricorderò finché vivo il gesto maestoso con il qualel’avvolgimento fu fatto. Gesto da capo, che si getta lamantella sulla spalla prima di lanciarsi all’attacco. Mal’epica precipita. Incontriamo un Tizio che Lussu suppo-ne sia pescatore. Gli pare una bellissima trovata dire adalta voce, rivolto a Dolci: «Ma che pescione, che pe-scione». E accompagna le parole con un largo gesto.Lussu, decisamente, non è pescatore. E il suo accentonon è liparuota. E il pescatore è un confinato. Ci lascia-mo al primo vicolo. Gli amici sono impensieriti per ilmio ritorno.

Prenderò la via dei campi.Ma gli occhiali sono perduti, ma gli occhi sono pieni

di sale. Non ci vedo.Tiro via, incespicando spesso. Corro. Casco in pieno

su una siepe di filo spinato. Quattro punte mi bucano so-pracciglia e zigomi, e, mi pare, un occhio. Orgasmo.Sangue. Mi stropiccio per sapere se vedo. Vedo. Alloravia. Nell’ultimo tratto infilo un viottolo. Una bambinaguarda – spaventatissima – questo gigantesco coso ba-gnato. Entro in casa ansante. Corro allo specchio.

La faccia è tutta rossa di sangue. Ora capisco la pauradella bambina.

Lavoro febbrile per nascondere i corpi del reato. An-che la carta di permanenza è ridotta a una poltiglia. Mirivesto. Viene, dopo quindici minuti, la pattuglia.

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Partiamo come briganti che han fallito la preda mason decisi a non farsi acciuffare.

Lussu si avvolge attorno al collo un pantalone bagna-to. Ricorderò finché vivo il gesto maestoso con il qualel’avvolgimento fu fatto. Gesto da capo, che si getta lamantella sulla spalla prima di lanciarsi all’attacco. Mal’epica precipita. Incontriamo un Tizio che Lussu suppo-ne sia pescatore. Gli pare una bellissima trovata dire adalta voce, rivolto a Dolci: «Ma che pescione, che pe-scione». E accompagna le parole con un largo gesto.Lussu, decisamente, non è pescatore. E il suo accentonon è liparuota. E il pescatore è un confinato. Ci lascia-mo al primo vicolo. Gli amici sono impensieriti per ilmio ritorno.

Prenderò la via dei campi.Ma gli occhiali sono perduti, ma gli occhi sono pieni

di sale. Non ci vedo.Tiro via, incespicando spesso. Corro. Casco in pieno

su una siepe di filo spinato. Quattro punte mi bucano so-pracciglia e zigomi, e, mi pare, un occhio. Orgasmo.Sangue. Mi stropiccio per sapere se vedo. Vedo. Alloravia. Nell’ultimo tratto infilo un viottolo. Una bambinaguarda – spaventatissima – questo gigantesco coso ba-gnato. Entro in casa ansante. Corro allo specchio.

La faccia è tutta rossa di sangue. Ora capisco la pauradella bambina.

Lavoro febbrile per nascondere i corpi del reato. An-che la carta di permanenza è ridotta a una poltiglia. Mirivesto. Viene, dopo quindici minuti, la pattuglia.

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La mattina dopo ci rivediamo. Come se le avessimobuscate. Lividi di qua, lividi di là. I miei occhi stannobene, solo la cornea lievemente offesa. Il medico si con-gratula per il miracolo e crede a una avventura amorosa,mia moglie assente. Nonostante ch’io viva ritirato ocammini leggendo attentamente un giornale, i compagniammiccano. C’è chi mi dice: «Le hai prese, eh?».

Io sorrido dolcemente e rispondo! «No, no, sono ca-duto ieri, in giardino».

Il secondo appuntamento va pure a vuoto. Dolci solorifà la nuotata e torna ubriaco. Per vincere il freddos’era bevuto mezzo litro di cognac.

Siamo a terra, letteralmente «a terra». Le tempestesuccedono alle tempeste. I nervi, già provati da cinquemesi di attesa, sono percorsi dalla corrente elettrica.

Finalmente sappiamo. La tempesta, un quasi naufra-gio. Poi guasti.

Sia fatta, Destino, la tua volontà.Un altro anno di confino ci aspetta.

Quarto tempo.Quattro dicembre. Dolci parte. È duro il distacco. Si

porta via un lembo di cuore nostro. È deciso che a mar-zo fuggirà per aiutarci. Bravo Giovacchino, qua lamano. I suoi occhi profondi, su cui le palpebre calanocon lenta sapienza, sono tanto tristi. Addio, addio.Dove, quando ci rivedremo? In acqua, speriamo.

Sbarca Bartellini, socialista di Trieste, ottimo acqui-sto. Torna anche mia moglie dalla lontana Inghilterra,

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La mattina dopo ci rivediamo. Come se le avessimobuscate. Lividi di qua, lividi di là. I miei occhi stannobene, solo la cornea lievemente offesa. Il medico si con-gratula per il miracolo e crede a una avventura amorosa,mia moglie assente. Nonostante ch’io viva ritirato ocammini leggendo attentamente un giornale, i compagniammiccano. C’è chi mi dice: «Le hai prese, eh?».

Io sorrido dolcemente e rispondo! «No, no, sono ca-duto ieri, in giardino».

Il secondo appuntamento va pure a vuoto. Dolci solorifà la nuotata e torna ubriaco. Per vincere il freddos’era bevuto mezzo litro di cognac.

Siamo a terra, letteralmente «a terra». Le tempestesuccedono alle tempeste. I nervi, già provati da cinquemesi di attesa, sono percorsi dalla corrente elettrica.

Finalmente sappiamo. La tempesta, un quasi naufra-gio. Poi guasti.

Sia fatta, Destino, la tua volontà.Un altro anno di confino ci aspetta.

Quarto tempo.Quattro dicembre. Dolci parte. È duro il distacco. Si

porta via un lembo di cuore nostro. È deciso che a mar-zo fuggirà per aiutarci. Bravo Giovacchino, qua lamano. I suoi occhi profondi, su cui le palpebre calanocon lenta sapienza, sono tanto tristi. Addio, addio.Dove, quando ci rivedremo? In acqua, speriamo.

Sbarca Bartellini, socialista di Trieste, ottimo acqui-sto. Torna anche mia moglie dalla lontana Inghilterra,

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dove era vissuta aspettando. Fiasco totale, senza speran-za.

Lussu vive rinchiuso nella brutta buia casa. Dalla ter-razza, come la Niobe, «le braccia tende su’l selvaggiomare». È inavvicinabile. Esce un’ora, non vuole nessu-no, cammina sino alla Marina Lunga a grandi passi fu-riosi. Quando ci vediamo, tono elegiaco o bestemmiato-re.

Passano, lenti, i mesi invernali. Con grande sforzo cimettiamo tutti al lavoro, a un lavoro qualsiasi. Faccio imiei conti col marxismo, getto giù la trama di un libro.Nuovi amici sopraggiungono, altri partono.

Monotonia, monotonia. Nulla di nuovo.Ambrosini zuppifica l’universo con le sue tesi sinda-

caliste-fasciste-comuniste. Ci parliamo dieci minuti intutto. «Io aspiro a diventare il Marx delle classi medie»,mi dice. Cioè vuol diventare l’anti-Marx. Ha l’agilità in-tellettuale di un bisonte. Lo dicono in buona fede, ma èatrocemente bottonaro.

Porcelli, anima candida di romantico, anarchico «de-senchanté», raffinato esteta, ci vogliamo un gran bene.Penso alla «Sensitiva» di Shelley. Catalogato comeanarchico pericoloso, non lo molleranno. Da quattroanni al confino.

Silvestri, magnifico combattente antifascista, caroamico e compagno di cella. Fabiani, entusiasta e puro,consolante coi suoi vent’anni. Dorè comunista, Chiossi,Molinari, Pagani, Bruno e cento altri che dovrei ricorda-re. Galleani, nobile figura di vecchio, che cela, sotto la

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dove era vissuta aspettando. Fiasco totale, senza speran-za.

Lussu vive rinchiuso nella brutta buia casa. Dalla ter-razza, come la Niobe, «le braccia tende su’l selvaggiomare». È inavvicinabile. Esce un’ora, non vuole nessu-no, cammina sino alla Marina Lunga a grandi passi fu-riosi. Quando ci vediamo, tono elegiaco o bestemmiato-re.

Passano, lenti, i mesi invernali. Con grande sforzo cimettiamo tutti al lavoro, a un lavoro qualsiasi. Faccio imiei conti col marxismo, getto giù la trama di un libro.Nuovi amici sopraggiungono, altri partono.

Monotonia, monotonia. Nulla di nuovo.Ambrosini zuppifica l’universo con le sue tesi sinda-

caliste-fasciste-comuniste. Ci parliamo dieci minuti intutto. «Io aspiro a diventare il Marx delle classi medie»,mi dice. Cioè vuol diventare l’anti-Marx. Ha l’agilità in-tellettuale di un bisonte. Lo dicono in buona fede, ma èatrocemente bottonaro.

Porcelli, anima candida di romantico, anarchico «de-senchanté», raffinato esteta, ci vogliamo un gran bene.Penso alla «Sensitiva» di Shelley. Catalogato comeanarchico pericoloso, non lo molleranno. Da quattroanni al confino.

Silvestri, magnifico combattente antifascista, caroamico e compagno di cella. Fabiani, entusiasta e puro,consolante coi suoi vent’anni. Dorè comunista, Chiossi,Molinari, Pagani, Bruno e cento altri che dovrei ricorda-re. Galleani, nobile figura di vecchio, che cela, sotto la

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cortesia esteriore, la più fiera delle intransigenze. Paoli-nelli, focoso e leale, bella tempra romana. Kralj, slovenoe cristiano, giornalista e studioso, che ci apprende il te-desco. Lorenzo Da Bove – lo zio ammiraglio – colui checon Oxilia guidò la barca di Turati, Savona-Calvi. Bib-bi, Guadagnini, Penna, Trebbi, Morea, solidale nelle oredifficili.

Gli amici sono molti, ma l’inverno è lungo a passare.Gennaio e febbraio, pioggia e vento furioso. La piccolacasa è come percorsa dal rombo.

Qualche giorno passa lieto. È quasi bello non doverpensare alla fuga, perché «non si può» fuggire. Ma poil’idea fissa ritorna. Fuggire, fuggire, fuggire.

La tela spezzata si ricompone pazientemente (la piùdura vittoria è quella sul tempo). Chi non ha più pazien-za è Lussu, cui pare manchi la terra sotto i piedi. L’ideadi aspettare sino a giugno-luglio lo mette talvolta in fu-rore. Sfoghi segreti, perché di fronte al piccolo mondoconfinato, Lussu è una sfinge e rispetta il feroce orariodi uscita, necessario a spistare gli agenti.

Ci avviciniamo al gran giorno. L’«Almanacco Bem-porad» reca le fasi lunari. Fissiamo i periodi possibili: 5,6, 7 luglio; 26, 27, 28 luglio. Di agosto non ci occupia-mo: non ne vogliamo sapere di attendere. Arrivano frat-tanto confortanti notizie. Il motoscafo è acquistato – 26-30 miglia orarie; – più veloce di quelli polizieschi. Lus-su raccomanda: armi a bordo, fucili, bombe a mano.

Amerebbe una battaglia navale.Il progetto è perfetto nei suoi particolari. Tutto è cal-

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cortesia esteriore, la più fiera delle intransigenze. Paoli-nelli, focoso e leale, bella tempra romana. Kralj, slovenoe cristiano, giornalista e studioso, che ci apprende il te-desco. Lorenzo Da Bove – lo zio ammiraglio – colui checon Oxilia guidò la barca di Turati, Savona-Calvi. Bib-bi, Guadagnini, Penna, Trebbi, Morea, solidale nelle oredifficili.

Gli amici sono molti, ma l’inverno è lungo a passare.Gennaio e febbraio, pioggia e vento furioso. La piccolacasa è come percorsa dal rombo.

Qualche giorno passa lieto. È quasi bello non doverpensare alla fuga, perché «non si può» fuggire. Ma poil’idea fissa ritorna. Fuggire, fuggire, fuggire.

La tela spezzata si ricompone pazientemente (la piùdura vittoria è quella sul tempo). Chi non ha più pazien-za è Lussu, cui pare manchi la terra sotto i piedi. L’ideadi aspettare sino a giugno-luglio lo mette talvolta in fu-rore. Sfoghi segreti, perché di fronte al piccolo mondoconfinato, Lussu è una sfinge e rispetta il feroce orariodi uscita, necessario a spistare gli agenti.

Ci avviciniamo al gran giorno. L’«Almanacco Bem-porad» reca le fasi lunari. Fissiamo i periodi possibili: 5,6, 7 luglio; 26, 27, 28 luglio. Di agosto non ci occupia-mo: non ne vogliamo sapere di attendere. Arrivano frat-tanto confortanti notizie. Il motoscafo è acquistato – 26-30 miglia orarie; – più veloce di quelli polizieschi. Lus-su raccomanda: armi a bordo, fucili, bombe a mano.

Amerebbe una battaglia navale.Il progetto è perfetto nei suoi particolari. Tutto è cal-

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colato al minuto. La strada già nota.Parte mia moglie col Mirtillino ammalato. 23 giugno.

Il 5 luglio partiremo noi.Sera del 4 luglio; ancora ventiquattr’ore e ci siamo.

Mi proietto nella sera dopo, seguo già tutti i miei passi.Il mare è quieto, il cielo è terso. Steso sulla poltrona asdraio, ora inseguo calmo i pensieri. Questa sera c’è«lui» a bordo. Ci troverà. Verrà, non può ritardare. Co-nosce i rischi dei viaggi a vuoto.

Passi affrettati sulla scala. Telegramma. Maledizione.È il telegramma di rinvio (convenzionale).

Giro due ore intorno alla tavola, bestemmiando, al-manaccando. Poi mi rassegno.

Rinunzio alla descrizione di Lussu.Nuove notizie. È fissato per il 26.26 luglio: bis del 17 novembre. Mare divinamente

placido, miliziotti tranquilli, noi tranquillissimi. Leesperienze passate ci hanno insegnato a prevedere il fia-sco. Lasciamo perciò i panni all’asciutto. E il ritorno –come cani bastonati – non conosce incidenti.

27 luglio: sabato. Com’è vero che Dio paga il sabato.Stasera fuggiremo. Nella notte ho sognato un leone chemi insegue su un «tapis roulant». Sogno a conclusionelieta. Lussu interpreta fulmineo: tapis roulant-fuga.Leone-Africa. Finalmente ci siamo.

Ma all’ora dovuta non ci sono. O se ci sono, non sisono visti i segnali. L’annunzio è tardivo e a questo pun-to c’è sotto un mistero che almeno per ora non si può ri-velare. Il nostro gruppo è spezzato. Procediamo in ordi-

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colato al minuto. La strada già nota.Parte mia moglie col Mirtillino ammalato. 23 giugno.

Il 5 luglio partiremo noi.Sera del 4 luglio; ancora ventiquattr’ore e ci siamo.

Mi proietto nella sera dopo, seguo già tutti i miei passi.Il mare è quieto, il cielo è terso. Steso sulla poltrona asdraio, ora inseguo calmo i pensieri. Questa sera c’è«lui» a bordo. Ci troverà. Verrà, non può ritardare. Co-nosce i rischi dei viaggi a vuoto.

Passi affrettati sulla scala. Telegramma. Maledizione.È il telegramma di rinvio (convenzionale).

Giro due ore intorno alla tavola, bestemmiando, al-manaccando. Poi mi rassegno.

Rinunzio alla descrizione di Lussu.Nuove notizie. È fissato per il 26.26 luglio: bis del 17 novembre. Mare divinamente

placido, miliziotti tranquilli, noi tranquillissimi. Leesperienze passate ci hanno insegnato a prevedere il fia-sco. Lasciamo perciò i panni all’asciutto. E il ritorno –come cani bastonati – non conosce incidenti.

27 luglio: sabato. Com’è vero che Dio paga il sabato.Stasera fuggiremo. Nella notte ho sognato un leone chemi insegue su un «tapis roulant». Sogno a conclusionelieta. Lussu interpreta fulmineo: tapis roulant-fuga.Leone-Africa. Finalmente ci siamo.

Ma all’ora dovuta non ci sono. O se ci sono, non sisono visti i segnali. L’annunzio è tardivo e a questo pun-to c’è sotto un mistero che almeno per ora non si può ri-velare. Il nostro gruppo è spezzato. Procediamo in ordi-

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ne sparso. Io giungo tardi, divoro a passi di lupo la ban-china, mi getto completamente vestito in acqua. Crede-vo di aver fatto un tuffo in stile, invece batto in pieno lapancia. Constato che nuotare con le scarpe e tutto è tre-mendamente difficile, tanto che arrivo al luogodell’appuntamento quasi sfinito. Ho la sensazione di po-ter essere inseguito. «Lussu, dov’è la barca?» Lussu,che al vedermi si è illuminato, mi grida pianissimo: «Labarca non c’è; non ci sono. Ma dove sono?» Impreca.Mi hanno detto che erano già qui. Non ci sono. Madov’è Nitti?... Minuti d’angoscia, i più angosciosi di tut-ti. Non c’è che dire: siamo fregati.

Le nove sono passate da un pezzo, la visita passeràtra pochi minuti. Anche volendo non si fa più a tempo atornare. Rassegnazione. Gli incidenti occorsi rendonopressoché certo l’arrivo dei militi. È questione di minuti.

Vorrei levarmi i calzoni, che mi stringono maledetta-mente. No, no, ci rinunzio, non sarebbe dignitoso per-correre in camicia il paese inquadrato tra i militi.

La ritirata è suonata da un pezzo, siamo già teorica-mente in galera. Ma non ci muoviamo. Succeda quelche vuol succedere, bisogna giuocare tutto per tutto.

Bum bum: nella calda notte di luglio si odono dei ru-mori sordi, come di martellate provenienti dal fondomarino. Un’ombra nera si profila, là a ottanta metri ver-so il porto. Cosa sarà? Non può essere, quello non è illuogo dell’appuntamento. Eppure il cuore ci dice chesono loro, che non possono essere che loro.

Il rumore si fa più distinto, ma ancora non riusciamo

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ne sparso. Io giungo tardi, divoro a passi di lupo la ban-china, mi getto completamente vestito in acqua. Crede-vo di aver fatto un tuffo in stile, invece batto in pieno lapancia. Constato che nuotare con le scarpe e tutto è tre-mendamente difficile, tanto che arrivo al luogodell’appuntamento quasi sfinito. Ho la sensazione di po-ter essere inseguito. «Lussu, dov’è la barca?» Lussu,che al vedermi si è illuminato, mi grida pianissimo: «Labarca non c’è; non ci sono. Ma dove sono?» Impreca.Mi hanno detto che erano già qui. Non ci sono. Madov’è Nitti?... Minuti d’angoscia, i più angosciosi di tut-ti. Non c’è che dire: siamo fregati.

Le nove sono passate da un pezzo, la visita passeràtra pochi minuti. Anche volendo non si fa più a tempo atornare. Rassegnazione. Gli incidenti occorsi rendonopressoché certo l’arrivo dei militi. È questione di minuti.

Vorrei levarmi i calzoni, che mi stringono maledetta-mente. No, no, ci rinunzio, non sarebbe dignitoso per-correre in camicia il paese inquadrato tra i militi.

La ritirata è suonata da un pezzo, siamo già teorica-mente in galera. Ma non ci muoviamo. Succeda quelche vuol succedere, bisogna giuocare tutto per tutto.

Bum bum: nella calda notte di luglio si odono dei ru-mori sordi, come di martellate provenienti dal fondomarino. Un’ombra nera si profila, là a ottanta metri ver-so il porto. Cosa sarà? Non può essere, quello non è illuogo dell’appuntamento. Eppure il cuore ci dice chesono loro, che non possono essere che loro.

Il rumore si fa più distinto, ma ancora non riusciamo

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a vedere. Aggrappati alla roccia, fissiamo l’ombra finoad incorporarvicisi. Lussu stende una mano, miracolo,ha trovato una lampadina. La lampadina dimenticata ierisera sulla roccia. Facciamo segnali, l’ombra si muove,sì, sembra muoversi verso di noi, sono loro, sono loro, inostri fratelli venuti a liberarci, presto presto. Via a nuo-to, ogni tanto drizzando la testa per convincerci che nonci sbagliamo. Ma perdio, vanno alla deriva verso il por-to. Sulla piazzetta del porto c’è il «Signor Direttore»con tutte le autorità a sorbire il gelato. Gli amici tentano,invano, coi remi di contrastare la corrente. La derivacontinua, non c’è tempo da perdere. In moto i motorisotto il naso dei miliziotti di guardia. Una corda gettatada bordo si impiglia nell’elica, cerco salire con l’altra.«Issa», da bordo mi aiutano. Ci sono. Ci siamo. Nitti èlà. Lussu non ha ancora scavalcato il bordo che chiede:«Avete armi?» Sì. Lussu sorride.

Il sorriso di Lussu ricorda stranamente Lenin.Qualche sbuffo sordo, poi il motore riprende. Il rumo-

re ci sembra enorme, tutti debbono sentire (lo sciacquìoera lieve come una carezza, stasera).

Un ultimo sguardo ansioso. Via, partiamo lenti eguardinghi, poi veloci. «Paul, quanti giri?» «1400».«Metti 1800». L’imbarcazione ha un balzo, sgusciamovelocissimi. Nessun segno d’allarme.

L’audace timoniere passa a 45 all’ora in mezzo a unafitta serie di barche da pesca. Le barche danzano furio-samente, i pescatori ci ingiuriano, i bagliori intensi dellelampade illuminano ad ogni poco la barca. Lussu è ac-

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a vedere. Aggrappati alla roccia, fissiamo l’ombra finoad incorporarvicisi. Lussu stende una mano, miracolo,ha trovato una lampadina. La lampadina dimenticata ierisera sulla roccia. Facciamo segnali, l’ombra si muove,sì, sembra muoversi verso di noi, sono loro, sono loro, inostri fratelli venuti a liberarci, presto presto. Via a nuo-to, ogni tanto drizzando la testa per convincerci che nonci sbagliamo. Ma perdio, vanno alla deriva verso il por-to. Sulla piazzetta del porto c’è il «Signor Direttore»con tutte le autorità a sorbire il gelato. Gli amici tentano,invano, coi remi di contrastare la corrente. La derivacontinua, non c’è tempo da perdere. In moto i motorisotto il naso dei miliziotti di guardia. Una corda gettatada bordo si impiglia nell’elica, cerco salire con l’altra.«Issa», da bordo mi aiutano. Ci sono. Ci siamo. Nitti èlà. Lussu non ha ancora scavalcato il bordo che chiede:«Avete armi?» Sì. Lussu sorride.

Il sorriso di Lussu ricorda stranamente Lenin.Qualche sbuffo sordo, poi il motore riprende. Il rumo-

re ci sembra enorme, tutti debbono sentire (lo sciacquìoera lieve come una carezza, stasera).

Un ultimo sguardo ansioso. Via, partiamo lenti eguardinghi, poi veloci. «Paul, quanti giri?» «1400».«Metti 1800». L’imbarcazione ha un balzo, sgusciamovelocissimi. Nessun segno d’allarme.

L’audace timoniere passa a 45 all’ora in mezzo a unafitta serie di barche da pesca. Le barche danzano furio-samente, i pescatori ci ingiuriano, i bagliori intensi dellelampade illuminano ad ogni poco la barca. Lussu è ac-

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covacciato in un angolo con Nitti che batte i denti e sor-ride. L’equipaggio è raggiante.

Sfiliamo lungo Vulcano, sotto il faro viriamo: i suoiequi raggi investono a intermittenza noi pure. Ci lancia-mo nel grande mare Tirreno. Lipari e Vulcano sono or-mai grandi ombre ornate di luci.

Una grande tristezza mi prende dopo la tumultuosagioia iniziale. Contemplo la scia fosforescente, i piccolilumi, penso a tutti i compagni, agli amici, di noi menofortunati. Diamo l’ultimo addio a Lipari silenziosamen-te. A quest’ora l’allarme è dato.

Si ama la cella, si ama il confino, si ama l’antica trin-cea. Rivedo il mio arrivo all’isola due anni fa.

Vulcano sparisce esso pure e infine il suo faro. Sorgela luna; gialla, immensa, beffarda, accompagnerà noi egli inseguitori tutta la notte.

Più che la gioia per la liberazione vale in quest’ora ilfazioso compiacimento per la beffa giuocata. La naturadell’uomo è maligna. Ci divertiamo a ricostruire le sce-ne. Cannata, col cappello sulle ventitré, ansante, esalta-to, ha già perso la testa. Quel vecchio arnese di Questuradel maresciallaccio Allò, aguzzino dei confinati, è certoverde di rabbia e gira per il paese mordendosi le mani.Lo abbiamo visto trionfante riaccompagnare in prigionecinque nostri sfortunati predecessori (Canepa, Magri,Domaschi, Michelagnoli, Spangaro) e poi commentare,fregandosi le mani: «Da Lipari non si scappa». Sì, si-gnor «maresciallo», si scappa.

L’ultima isola, Alicudi, cono emergente sul vasto

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covacciato in un angolo con Nitti che batte i denti e sor-ride. L’equipaggio è raggiante.

Sfiliamo lungo Vulcano, sotto il faro viriamo: i suoiequi raggi investono a intermittenza noi pure. Ci lancia-mo nel grande mare Tirreno. Lipari e Vulcano sono or-mai grandi ombre ornate di luci.

Una grande tristezza mi prende dopo la tumultuosagioia iniziale. Contemplo la scia fosforescente, i piccolilumi, penso a tutti i compagni, agli amici, di noi menofortunati. Diamo l’ultimo addio a Lipari silenziosamen-te. A quest’ora l’allarme è dato.

Si ama la cella, si ama il confino, si ama l’antica trin-cea. Rivedo il mio arrivo all’isola due anni fa.

Vulcano sparisce esso pure e infine il suo faro. Sorgela luna; gialla, immensa, beffarda, accompagnerà noi egli inseguitori tutta la notte.

Più che la gioia per la liberazione vale in quest’ora ilfazioso compiacimento per la beffa giuocata. La naturadell’uomo è maligna. Ci divertiamo a ricostruire le sce-ne. Cannata, col cappello sulle ventitré, ansante, esalta-to, ha già perso la testa. Quel vecchio arnese di Questuradel maresciallaccio Allò, aguzzino dei confinati, è certoverde di rabbia e gira per il paese mordendosi le mani.Lo abbiamo visto trionfante riaccompagnare in prigionecinque nostri sfortunati predecessori (Canepa, Magri,Domaschi, Michelagnoli, Spangaro) e poi commentare,fregandosi le mani: «Da Lipari non si scappa». Sì, si-gnor «maresciallo», si scappa.

L’ultima isola, Alicudi, cono emergente sul vasto

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mare, ci accompagna per lungo tratto. Grandi pensieri siaccavallano fantasticamente, mentre piccoli ad ognipoco si sovrappongono. Giuoco di luci e di ombre, vitacerebrale che dà le vertigini.

Triangolo di luci tricolori davanti a noi: sono i lumi diposizione di una nave mercantile italiana. Il nocchierovuole perfezionare la beffa e passa a cinquanta metri.Utile beffa, ché il capitano dissuaderà più tardi i nostriinseguitori dal proseguire. Pare abbia detto: «Inutile in-sistiate. Vanno come diavoli».

Ascoltiamo la voce amica dei motori Hispano. Labarca è bella, il mare continua a essere calmo.

Alba caliginosa su un’acqua smeraldina e palpitante.Sorge il sole a tenerci compagnia. Lontano, a sinistra,

appare Marittimo, ultimo branco di terra italiana. Dietroc’è la base navale. Vorremmo brindare, ma ecco, laggiù,la sagoma di una nave da guerra. Allarme a bordo, dodi-ci occhi «per fila sinistra», la rotta è spostata. Qualcheminuto d’ansia, poi la nave lentamente scompare mentrericompaiono le due bottiglie. Si brinda alla libertà delnostro paese, ai nostri cari.

Così continua la corsa per il grande mare. La gigante-sca riserva di benzina (300 litri alla partenza), scompare.

A mezzodì l’Africa appare. L’idea di sbarcare su unaltro continente seduce. Resti di geografia infantile. Lacosta viene ora verso di noi con esasperante lentezza. Facaldo e ora si vorrebbe arrivare. Seduti a poppa, ascol-tiamo lo scroscio dell’acqua squarciata, sotto la prote-zione della bandiera inglese. Alle 15 gettiamo l’ancora a

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mare, ci accompagna per lungo tratto. Grandi pensieri siaccavallano fantasticamente, mentre piccoli ad ognipoco si sovrappongono. Giuoco di luci e di ombre, vitacerebrale che dà le vertigini.

Triangolo di luci tricolori davanti a noi: sono i lumi diposizione di una nave mercantile italiana. Il nocchierovuole perfezionare la beffa e passa a cinquanta metri.Utile beffa, ché il capitano dissuaderà più tardi i nostriinseguitori dal proseguire. Pare abbia detto: «Inutile in-sistiate. Vanno come diavoli».

Ascoltiamo la voce amica dei motori Hispano. Labarca è bella, il mare continua a essere calmo.

Alba caliginosa su un’acqua smeraldina e palpitante.Sorge il sole a tenerci compagnia. Lontano, a sinistra,

appare Marittimo, ultimo branco di terra italiana. Dietroc’è la base navale. Vorremmo brindare, ma ecco, laggiù,la sagoma di una nave da guerra. Allarme a bordo, dodi-ci occhi «per fila sinistra», la rotta è spostata. Qualcheminuto d’ansia, poi la nave lentamente scompare mentrericompaiono le due bottiglie. Si brinda alla libertà delnostro paese, ai nostri cari.

Così continua la corsa per il grande mare. La gigante-sca riserva di benzina (300 litri alla partenza), scompare.

A mezzodì l’Africa appare. L’idea di sbarcare su unaltro continente seduce. Resti di geografia infantile. Lacosta viene ora verso di noi con esasperante lentezza. Facaldo e ora si vorrebbe arrivare. Seduti a poppa, ascol-tiamo lo scroscio dell’acqua squarciata, sotto la prote-zione della bandiera inglese. Alle 15 gettiamo l’ancora a

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ridosso di un promontorio deserto e tormentato. Primocontatto con la terra libera, terra d’esilio.

Eccoci infine, salvi. I cuori scoppiano, le labbra sorri-dono involontarie. Come avessimo cambiato pelle. Di-ciotto ore fa eravamo a Lipari, eppure sembra già tantolontana nel tempo. Nuovi interessi, nuove speranze, ur-gono. Il confino è fulmineamente entrato nel reparto ri-cordi.

Siamo tutti protesi verso l’avvenire. Vogliamo lavora-re, combattere, riprendere il nostro posto. Un solo pen-siero ci guiderà nella terra ospitale: fare di questa libertàpersonale faticosamente conquistata uno strumento perla riconquista della libertà di tutto un popolo.

Solo così ci par lecito barattare una prigionia in patriacon una libertà in esilio.

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ridosso di un promontorio deserto e tormentato. Primocontatto con la terra libera, terra d’esilio.

Eccoci infine, salvi. I cuori scoppiano, le labbra sorri-dono involontarie. Come avessimo cambiato pelle. Di-ciotto ore fa eravamo a Lipari, eppure sembra già tantolontana nel tempo. Nuovi interessi, nuove speranze, ur-gono. Il confino è fulmineamente entrato nel reparto ri-cordi.

Siamo tutti protesi verso l’avvenire. Vogliamo lavora-re, combattere, riprendere il nostro posto. Un solo pen-siero ci guiderà nella terra ospitale: fare di questa libertàpersonale faticosamente conquistata uno strumento perla riconquista della libertà di tutto un popolo.

Solo così ci par lecito barattare una prigionia in patriacon una libertà in esilio.

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IL DIRITTO DEI POPOLI AD INSORGERE CON-TRO LA TIRANNIA*

«Io, Bassanesi, Tarchiani e migliaia di altri compa-trioti ci battiamo per riconquistare l’Italia alla libertà ealla civiltà. «Giustizia e Libertà», il movimento al qualemi onoro di appartenere, ha questo, terso programma.Noi vogliamo una Italia libera, democratica, repubblica-na, una Italia che sia madre equa di tutti i suoi figli,un’Italia pacifica in una Europa pacificata, lontana cosìdagli estremi del fascismo come da quelli del comuni-smo.

Lo Stato che noi vagheggiamo è lo Stato che voi Tici-nesi vi siete dato. La libertà per la quale combattiamo èquella che voi conoscete. Questa libertà me la avete ap-presa ad amare, sin da bambino, quando mi entusiasma-vo per Tell e disprezzavo in Gessler il Tiranno di tutte le

* Il 4 luglio 1930, l’aviatore antifascista Giovanni Bassanesi volavasu Milano, per gettarvi dei manifestini di «Giustizia e Libertà», lagiovane organizzazione che Rosselli e i suoi compagni avevanofondato in Italia e in esilio. Al ritorno, l’aeroplano di Bassanesi siinfranse sul Gottardo, e ne seguì, nella Svizzera, un processo, alquale Rosselli e Tarchiani comparvero come complici di Bassa-nesi. Gli imputati furono assolti.Da «Libertà», 28 novembre 1930: Dichiarazioni di Carlo Rossel-li.

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IL DIRITTO DEI POPOLI AD INSORGERE CON-TRO LA TIRANNIA*

«Io, Bassanesi, Tarchiani e migliaia di altri compa-trioti ci battiamo per riconquistare l’Italia alla libertà ealla civiltà. «Giustizia e Libertà», il movimento al qualemi onoro di appartenere, ha questo, terso programma.Noi vogliamo una Italia libera, democratica, repubblica-na, una Italia che sia madre equa di tutti i suoi figli,un’Italia pacifica in una Europa pacificata, lontana cosìdagli estremi del fascismo come da quelli del comuni-smo.

Lo Stato che noi vagheggiamo è lo Stato che voi Tici-nesi vi siete dato. La libertà per la quale combattiamo èquella che voi conoscete. Questa libertà me la avete ap-presa ad amare, sin da bambino, quando mi entusiasma-vo per Tell e disprezzavo in Gessler il Tiranno di tutte le

* Il 4 luglio 1930, l’aviatore antifascista Giovanni Bassanesi volavasu Milano, per gettarvi dei manifestini di «Giustizia e Libertà», lagiovane organizzazione che Rosselli e i suoi compagni avevanofondato in Italia e in esilio. Al ritorno, l’aeroplano di Bassanesi siinfranse sul Gottardo, e ne seguì, nella Svizzera, un processo, alquale Rosselli e Tarchiani comparvero come complici di Bassa-nesi. Gli imputati furono assolti.Da «Libertà», 28 novembre 1930: Dichiarazioni di Carlo Rossel-li.

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epoche e di tutte le terre. Ricordo che allora nessuno mifece osservare che Tell, rifiutando di togliersi il cappellodinanzi a Gessler, aveva violato, come certamente violò,regolamenti.

Ora in Italia la libertà – tutte le libertà – sono morte.Il popolo è diviso in due fazioni: da un lato una piccolaminoranza armata che impera, dall’altro una immensamaggioranza che langue nella miseria fisica e morale.Nessuna possibilità di opposizione legale ci è rimasta.Non abbiamo più alcun diritto di critica e di controllo. IlTribunale vorrà permettermi di citare la mia esperienzapersonale. Non perché essa possa avere minimamenteconcorso a determinare la mia opposizione – al contra-rio – ma perché questa mia esperienza può considerarsitipica.

Avevo una casa: me l’hanno devastata. Avevo ungiornale: me lo hanno soppresso. Avevo una cattedra:l’ho dovuta abbandonare. Avevo, come ho oggi, delleidee, una dignità, un ideale: per difenderli ho dovuto an-dare in galera. Avevo dei maestri, degli amici – Amen-dola, Matteotti, Gobetti –: me li hanno uccisi.

Purtroppo la mia esperienza è quella di infiniti com-pagni miei che per troppo amore d’Italia sono stati cac-ciati d’Italia.

La nostra colpa – quella che il fascismo non può per-donarci – è di non rassegnarci, di non chinare il capo difronte a tanta tragedia, di continuare a lottare. Lottiamo.Lottiamo come tutti i popoli hanno lottato, con lo stessoanimo con cui probabilmente lottavano sei secoli or

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epoche e di tutte le terre. Ricordo che allora nessuno mifece osservare che Tell, rifiutando di togliersi il cappellodinanzi a Gessler, aveva violato, come certamente violò,regolamenti.

Ora in Italia la libertà – tutte le libertà – sono morte.Il popolo è diviso in due fazioni: da un lato una piccolaminoranza armata che impera, dall’altro una immensamaggioranza che langue nella miseria fisica e morale.Nessuna possibilità di opposizione legale ci è rimasta.Non abbiamo più alcun diritto di critica e di controllo. IlTribunale vorrà permettermi di citare la mia esperienzapersonale. Non perché essa possa avere minimamenteconcorso a determinare la mia opposizione – al contra-rio – ma perché questa mia esperienza può considerarsitipica.

Avevo una casa: me l’hanno devastata. Avevo ungiornale: me lo hanno soppresso. Avevo una cattedra:l’ho dovuta abbandonare. Avevo, come ho oggi, delleidee, una dignità, un ideale: per difenderli ho dovuto an-dare in galera. Avevo dei maestri, degli amici – Amen-dola, Matteotti, Gobetti –: me li hanno uccisi.

Purtroppo la mia esperienza è quella di infiniti com-pagni miei che per troppo amore d’Italia sono stati cac-ciati d’Italia.

La nostra colpa – quella che il fascismo non può per-donarci – è di non rassegnarci, di non chinare il capo difronte a tanta tragedia, di continuare a lottare. Lottiamo.Lottiamo come tutti i popoli hanno lottato, con lo stessoanimo con cui probabilmente lottavano sei secoli or

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sono gli Svizzeri «Confederati» sul campo di Grutli.In questa lotta dura, disuguale, contro uno Stato po-

tente deciso a difendersi con tutte le armi, noi intravve-demmo un giorno la possibilità di un gesto umano e bel-lo, che fosse di incitamento e di sollievo per i fratelli inpatria. Su un fragile apparecchio due giovani volerannosu Milano e vi recheranno la parola della libertà. Ri-schieranno forse la vita; forse l’apparecchio non torneràe il piombo della milizia suggellerà l’audace gesto. Vor-rei che quei manifestini potessero essere qui riletti. Vi siritroverebbero in sintesi i principii fondamentali dellaCostituzione Svizzera».

— Presidente: «La lotta tra l’idealismo e l’ordine co-stituito è vecchia come la storia. La vera libertà sta nelrispetto della legge».

— Rosselli: «C’è un ordine giuridico e un ordine mo-rale. In tutti gli ordinamenti giuridici sorgono ai marginidei conflitti drammatici tra morale e diritto. La funzionedei giudici è appunto quella di superarli, conciliando ledue esigenze. La nostra tragedia sta appunto in questo:che nella lotta per la libertà noi non disponiamo più deimezzi legali. Noi ci troviamo posti di fronte a drammati-che alternative: o non agire per riconquistare quello Sta-to di diritto che dovrà seppellire e cancellare per sempreanche il ricordo dello Stato-fazione, dello Stato-partito;o agire violando non scientemente, ma nel fatto, i rego-lamenti di un altro paese.

Nel compiere il gesto, Bassanesi, e noi che con tuttoil cuore l’aiutammo, violammo una norma del diritto ae-

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sono gli Svizzeri «Confederati» sul campo di Grutli.In questa lotta dura, disuguale, contro uno Stato po-

tente deciso a difendersi con tutte le armi, noi intravve-demmo un giorno la possibilità di un gesto umano e bel-lo, che fosse di incitamento e di sollievo per i fratelli inpatria. Su un fragile apparecchio due giovani volerannosu Milano e vi recheranno la parola della libertà. Ri-schieranno forse la vita; forse l’apparecchio non torneràe il piombo della milizia suggellerà l’audace gesto. Vor-rei che quei manifestini potessero essere qui riletti. Vi siritroverebbero in sintesi i principii fondamentali dellaCostituzione Svizzera».

— Presidente: «La lotta tra l’idealismo e l’ordine co-stituito è vecchia come la storia. La vera libertà sta nelrispetto della legge».

— Rosselli: «C’è un ordine giuridico e un ordine mo-rale. In tutti gli ordinamenti giuridici sorgono ai marginidei conflitti drammatici tra morale e diritto. La funzionedei giudici è appunto quella di superarli, conciliando ledue esigenze. La nostra tragedia sta appunto in questo:che nella lotta per la libertà noi non disponiamo più deimezzi legali. Noi ci troviamo posti di fronte a drammati-che alternative: o non agire per riconquistare quello Sta-to di diritto che dovrà seppellire e cancellare per sempreanche il ricordo dello Stato-fazione, dello Stato-partito;o agire violando non scientemente, ma nel fatto, i rego-lamenti di un altro paese.

Nel compiere il gesto, Bassanesi, e noi che con tuttoil cuore l’aiutammo, violammo una norma del diritto ae-

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reo svizzero. Ce ne dispiace immensamente. Ma oravengo qui dinanzi ai miei giudici e dico: se abbiamocontravvenuto, eccomi qui pronto a pagare. Siamo anda-ti in prigione in Italia. Siamo pronti ad andare in prigio-ne anche in Svizzera, in qualunque altro paese d’Europao del mondo, dovunque vi sia per noi la possibilità di af-fermare in forma umana e civile la nostra fede. Noi nondesisteremo da questo proposito se non quando il nostroscopo sarà raggiunto. Crediamo in tal guisa di servirenon solo gli interessi supremi del nostro Paese, ma quel-li della stessa civiltà Europea».

(Tra il Presidente e l’imputato si stabilisce una corte-se discussione sul diritto dei popoli all’insurrezione).

«Tutti i popoli, dice Rosselli, hanno conquistato laloro libertà attraverso la rivoluzione. Grandi giuristi an-che di parte conservatrice – ricordo Blackstone – hannosostenuto la tesi del diritto del popolo all’insurrezionecontro il Tiranno. Ricordo una frase di Gladstone: «Se ilpopolo d’Inghilterra avesse dovuto attendere le sue li-bertà dal ricorso ai mezzi legali, esso le aspetterebbe an-cora».

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reo svizzero. Ce ne dispiace immensamente. Ma oravengo qui dinanzi ai miei giudici e dico: se abbiamocontravvenuto, eccomi qui pronto a pagare. Siamo anda-ti in prigione in Italia. Siamo pronti ad andare in prigio-ne anche in Svizzera, in qualunque altro paese d’Europao del mondo, dovunque vi sia per noi la possibilità di af-fermare in forma umana e civile la nostra fede. Noi nondesisteremo da questo proposito se non quando il nostroscopo sarà raggiunto. Crediamo in tal guisa di servirenon solo gli interessi supremi del nostro Paese, ma quel-li della stessa civiltà Europea».

(Tra il Presidente e l’imputato si stabilisce una corte-se discussione sul diritto dei popoli all’insurrezione).

«Tutti i popoli, dice Rosselli, hanno conquistato laloro libertà attraverso la rivoluzione. Grandi giuristi an-che di parte conservatrice – ricordo Blackstone – hannosostenuto la tesi del diritto del popolo all’insurrezionecontro il Tiranno. Ricordo una frase di Gladstone: «Se ilpopolo d’Inghilterra avesse dovuto attendere le sue li-bertà dal ricorso ai mezzi legali, esso le aspetterebbe an-cora».

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UNA BATTAGLIA PERDUTA*

Ci siamo riletto in questi giorni il discorso che Turatipronunciò il 27 giugno 1924 in memoria di Matteottidavanti all’Assemblea dei Deputati di opposizione.Nell’atmosfera di generale esaltazione di quei giorni ildiscorso ebbe vastissima eco e fu giudicato un capola-voro di umanità e di stile.

Oggi lascia freddi, quasi urtati. Possibile che il 27giugno 1924 l’opposizione potesse tenere un linguaggiosimile?

Poi ci siamo riletto il Patto delle opposizioni. È undocumento grigio, redatto nel più irreprensibile stile co-stituzionale. Apparentemente era rivolto al paese, ma ef-fettivamente al Sovrano. Dopo aver reclamato le dimis-sioni di Mussolini, l’abolizione della milizia, la finedell’illegalismo, concludeva affermando che la restaura-zione dell’ordine giuridico e politico «non è effettuabilese non per opera di un governo alla cui composizione leopposizioni non possono che rimanere estranee».

Come certificato d’impotenza non c’è male. L’Aven-tino, a cui i giovani chiedevano in quei giorni di rinno-vare il mito della «Pallacorda» rivendicando di frontealle masse il potere, l’Aventino invocava dal Re la ditta-

* Da «Giustizia e Libertà»: 8 giugno 1934.

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UNA BATTAGLIA PERDUTA*

Ci siamo riletto in questi giorni il discorso che Turatipronunciò il 27 giugno 1924 in memoria di Matteottidavanti all’Assemblea dei Deputati di opposizione.Nell’atmosfera di generale esaltazione di quei giorni ildiscorso ebbe vastissima eco e fu giudicato un capola-voro di umanità e di stile.

Oggi lascia freddi, quasi urtati. Possibile che il 27giugno 1924 l’opposizione potesse tenere un linguaggiosimile?

Poi ci siamo riletto il Patto delle opposizioni. È undocumento grigio, redatto nel più irreprensibile stile co-stituzionale. Apparentemente era rivolto al paese, ma ef-fettivamente al Sovrano. Dopo aver reclamato le dimis-sioni di Mussolini, l’abolizione della milizia, la finedell’illegalismo, concludeva affermando che la restaura-zione dell’ordine giuridico e politico «non è effettuabilese non per opera di un governo alla cui composizione leopposizioni non possono che rimanere estranee».

Come certificato d’impotenza non c’è male. L’Aven-tino, a cui i giovani chiedevano in quei giorni di rinno-vare il mito della «Pallacorda» rivendicando di frontealle masse il potere, l’Aventino invocava dal Re la ditta-

* Da «Giustizia e Libertà»: 8 giugno 1934.

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tura dei generali. Continuò ad invocarla sempre,nell’ottobre, nel dicembre ’24, dopo il 3 gennaio con unmachiavellico disinteresse; fino a che Mussolini, pro-mulgate le leggi eccezionali, mise un bel generale, ilSanna, alla presidenza del Tribunale Speciale e si inse-diò al Ministero della guerra.

In verità l’opposizione era degna di perdere, di essereseppellita.

Più si studia la crisi Matteotti e più ci si convince che,se ebbe un immenso valore dal lato morale, non fu e nonpoteva rappresentare una crisi politica decisiva perl’antifascismo. Fu una crisi di trapasso e di liquidazioneche scarnificò il fascismo rivelandone i metodi brigante-schi e la sostanza di classe e obbligandolo a precipitarela dittatura, ma fu anche una crisi che mise in luce latragica debolezza delle opposizioni ufficiali.

L’illusione dell’Aventino riposava sulla mancata co-scienza della gravità della sconfitta subita dalle forzeoperaie tra il 1921-22, non solo in Italia ma in tutta Eu-ropa. Mancata coscienza non solo nei capi, ma nellemasse, e di tutti i partiti, comunista compreso.

Un’opposizione di maggioranza.Fino al giugno del 1924 i partiti di opposizione erano

vissuti su una situazione falsa, iperbolica, come certifalliti che continuano a godere di credito e a condurrevita lussuosa fino a quando l’iniziativa di uno qualunquedei creditori determina il crollo totale. L’opposizione erastata battuta nelle strade, ma a causa del compromesso

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tura dei generali. Continuò ad invocarla sempre,nell’ottobre, nel dicembre ’24, dopo il 3 gennaio con unmachiavellico disinteresse; fino a che Mussolini, pro-mulgate le leggi eccezionali, mise un bel generale, ilSanna, alla presidenza del Tribunale Speciale e si inse-diò al Ministero della guerra.

In verità l’opposizione era degna di perdere, di essereseppellita.

Più si studia la crisi Matteotti e più ci si convince che,se ebbe un immenso valore dal lato morale, non fu e nonpoteva rappresentare una crisi politica decisiva perl’antifascismo. Fu una crisi di trapasso e di liquidazioneche scarnificò il fascismo rivelandone i metodi brigante-schi e la sostanza di classe e obbligandolo a precipitarela dittatura, ma fu anche una crisi che mise in luce latragica debolezza delle opposizioni ufficiali.

L’illusione dell’Aventino riposava sulla mancata co-scienza della gravità della sconfitta subita dalle forzeoperaie tra il 1921-22, non solo in Italia ma in tutta Eu-ropa. Mancata coscienza non solo nei capi, ma nellemasse, e di tutti i partiti, comunista compreso.

Un’opposizione di maggioranza.Fino al giugno del 1924 i partiti di opposizione erano

vissuti su una situazione falsa, iperbolica, come certifalliti che continuano a godere di credito e a condurrevita lussuosa fino a quando l’iniziativa di uno qualunquedei creditori determina il crollo totale. L’opposizione erastata battuta nelle strade, ma a causa del compromesso

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iniziale cui Mussolini aveva dovuto piegarsi per salire alpotere, aveva conservato a «Palazzo» una situazione diprivilegio. La Camera, eletta nel 1921, era in maggio-ranza antifascista; la stampa, idem; in tutti i corpi dellostato il fascismo era appena tollerato.

Questa situazione maggioritaria doveva riuscire fataleall’opposizione, mentre avvantaggiava singolarmenteMussolini che proprio da questa debolezza formale rica-vava il massimo di dinamismo. Mussolini, non avendo ivalori legali, apparenti, badava ai sostanziali e sopratut-to alla forza, alla giovinezza, all’iniziativa, all’attacco;le opposizioni, avendo conservato per concessione deldittatore («avrei potuto fare di quest’aula sorda e gri-gia...») le posizioni legali, si battevano sul terreno for-male e morale, contestando la validità giuridica dei de-creti mussoliniani, e rivendicando la rappresentanza diun’Italia che viveva ormai solo nelle loro memorie.Scambiando i reali rapporti di forza sociale con i vecchirisultati elettorali, vedevano nel fascismo un semplicecolpo di mano contro il suffragio universale, un’avven-tura di stile sud-americano destinata a conchiudersi fa-talmente nel giro di qualche mese: e non si preoccupa-vano di rovesciare il rapporto di forze che aveva per-messo al fascismo di spazzare il movimento operaio enon si preparavano in nessun modo a resistere e a con-trattaccare nelle piazze.

E come avrebbero potuto farlo? Per condurre la lottacon stile offensivo nel paese, avrebbero dovuto essere inposizione di minoranza e di illegalità: ora l’opposizione

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iniziale cui Mussolini aveva dovuto piegarsi per salire alpotere, aveva conservato a «Palazzo» una situazione diprivilegio. La Camera, eletta nel 1921, era in maggio-ranza antifascista; la stampa, idem; in tutti i corpi dellostato il fascismo era appena tollerato.

Questa situazione maggioritaria doveva riuscire fataleall’opposizione, mentre avvantaggiava singolarmenteMussolini che proprio da questa debolezza formale rica-vava il massimo di dinamismo. Mussolini, non avendo ivalori legali, apparenti, badava ai sostanziali e sopratut-to alla forza, alla giovinezza, all’iniziativa, all’attacco;le opposizioni, avendo conservato per concessione deldittatore («avrei potuto fare di quest’aula sorda e gri-gia...») le posizioni legali, si battevano sul terreno for-male e morale, contestando la validità giuridica dei de-creti mussoliniani, e rivendicando la rappresentanza diun’Italia che viveva ormai solo nelle loro memorie.Scambiando i reali rapporti di forza sociale con i vecchirisultati elettorali, vedevano nel fascismo un semplicecolpo di mano contro il suffragio universale, un’avven-tura di stile sud-americano destinata a conchiudersi fa-talmente nel giro di qualche mese: e non si preoccupa-vano di rovesciare il rapporto di forze che aveva per-messo al fascismo di spazzare il movimento operaio enon si preparavano in nessun modo a resistere e a con-trattaccare nelle piazze.

E come avrebbero potuto farlo? Per condurre la lottacon stile offensivo nel paese, avrebbero dovuto essere inposizione di minoranza e di illegalità: ora l’opposizione

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era la legalità, la vecchia legalità, mentre il governo eral’illegalità. Il governo, non l’opposizione, era rivoluzio-nario. Il governo era un gruppo deciso, senza scrupoli,che messosi con un colpo di mano al centro della vec-chia legalità, la scomponeva a pezzo a pezzo. Quella le-galità non era che un residuo sospeso ad un filo, al filodella continuità costituzionale che il sovrano aveva vo-luto che si rispettasse (violare, ma con le forme).L’opposizione si attaccò disperatamente a quel filo. Ilgiorno che il filo sarà tagliato, l’opposizione – quellaopposizione – sarà liquidata. Essa sconterà così per anniil passivismo mostrato durante la Marcia su Roma.

Abbiamo preso molto in giro Mussolini perché, men-tre i fascisti marciavano allegramente su Roma, se nestava a Milano. Ma che cosa stavano a fare i deputatidella sinistra a Roma? Tra il girare nei corridoi atten-dendo il decreto di stato d’assedio e l’andare nel paese aorganizzare la resistenza, era meglio andare nel paese. Ea Roma, oltre Montecitorio, c’era San Lorenzo, dove ilpopolo si batteva; ma nessuno o quasi se ne ricordò inquei giorni. Come nessuno sentì che l’opporre in parla-mento superbi squarci oratorii alle parole sprezzanti del«duce», era fare il suo giuoco.

L’Aventino.Le elezioni dell’aprile 1924 avevano in parte corretto

questo stato di cose. L’opposizione diventava per la pri-ma volta opposizione, minoranza; come minoranza,avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d’attacco. Ma

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era la legalità, la vecchia legalità, mentre il governo eral’illegalità. Il governo, non l’opposizione, era rivoluzio-nario. Il governo era un gruppo deciso, senza scrupoli,che messosi con un colpo di mano al centro della vec-chia legalità, la scomponeva a pezzo a pezzo. Quella le-galità non era che un residuo sospeso ad un filo, al filodella continuità costituzionale che il sovrano aveva vo-luto che si rispettasse (violare, ma con le forme).L’opposizione si attaccò disperatamente a quel filo. Ilgiorno che il filo sarà tagliato, l’opposizione – quellaopposizione – sarà liquidata. Essa sconterà così per anniil passivismo mostrato durante la Marcia su Roma.

Abbiamo preso molto in giro Mussolini perché, men-tre i fascisti marciavano allegramente su Roma, se nestava a Milano. Ma che cosa stavano a fare i deputatidella sinistra a Roma? Tra il girare nei corridoi atten-dendo il decreto di stato d’assedio e l’andare nel paese aorganizzare la resistenza, era meglio andare nel paese. Ea Roma, oltre Montecitorio, c’era San Lorenzo, dove ilpopolo si batteva; ma nessuno o quasi se ne ricordò inquei giorni. Come nessuno sentì che l’opporre in parla-mento superbi squarci oratorii alle parole sprezzanti del«duce», era fare il suo giuoco.

L’Aventino.Le elezioni dell’aprile 1924 avevano in parte corretto

questo stato di cose. L’opposizione diventava per la pri-ma volta opposizione, minoranza; come minoranza,avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d’attacco. Ma

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aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita dauomini che avevano gustato le gioie del potere e dellapopolarità, che si erano fatti in tutt’altra atmosfera. Glioratori più celebri, usi al successo in un parlamento incui si trovavano come in famiglia, non resistevanoall’ambiente nuovo e ostile creato dai fascisti. Erano de-pressi, stanchi, preoccupati; non avevano la psicologiadell’attacco ma della ritirata. Tornando ai collegi dopodure battaglie parlamentari, si sorprendevano di trovarei giovani (ahimè, i rari giovani) in stato di eccitazione.Matteotti era un isolato. Quando terminò la sua improv-visata requisitoria alla Camera, un suo compagno (Bal-desi) – morto poche settimane or sono in dignitoso si-lenzio – lo interpellò bruscamente: «Sicché tu ci vuoitutti morti?»

Quando la crisi scoppiò, la depressione era al colmo.La decisione di ritirarsi dai lavori della Camera non fuun atto volontario diretto a portare la battaglia nel paese,ma un atto necessario di chi, non potendone più, si riti-ra. Ma poiché la retorica vuole la sua parte, così l’Aven-tino fu presentato alle masse come la decisione energicadi gente che passa all’attacco. Di questo equivoco morràl’Aventino. L’appello al Re fu un altro riflesso di questostato depressivo. Solo lui può far traboccare le forze ma-teriali dalla nostra parte – pensavano i deputati aventi-niani. Quanto alle masse popolari, che si mostravano neiprimi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avessetentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le mi-noranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le

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aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita dauomini che avevano gustato le gioie del potere e dellapopolarità, che si erano fatti in tutt’altra atmosfera. Glioratori più celebri, usi al successo in un parlamento incui si trovavano come in famiglia, non resistevanoall’ambiente nuovo e ostile creato dai fascisti. Erano de-pressi, stanchi, preoccupati; non avevano la psicologiadell’attacco ma della ritirata. Tornando ai collegi dopodure battaglie parlamentari, si sorprendevano di trovarei giovani (ahimè, i rari giovani) in stato di eccitazione.Matteotti era un isolato. Quando terminò la sua improv-visata requisitoria alla Camera, un suo compagno (Bal-desi) – morto poche settimane or sono in dignitoso si-lenzio – lo interpellò bruscamente: «Sicché tu ci vuoitutti morti?»

Quando la crisi scoppiò, la depressione era al colmo.La decisione di ritirarsi dai lavori della Camera non fuun atto volontario diretto a portare la battaglia nel paese,ma un atto necessario di chi, non potendone più, si riti-ra. Ma poiché la retorica vuole la sua parte, così l’Aven-tino fu presentato alle masse come la decisione energicadi gente che passa all’attacco. Di questo equivoco morràl’Aventino. L’appello al Re fu un altro riflesso di questostato depressivo. Solo lui può far traboccare le forze ma-teriali dalla nostra parte – pensavano i deputati aventi-niani. Quanto alle masse popolari, che si mostravano neiprimi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avessetentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le mi-noranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le

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opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesiae il sovrano. Ai funerali del tramviere Oldani a Milano,avvenuto pochi giorni dopo il delitto Matteotti, Caldarascongiurò la folla tutt’altro che ardita, di mantenersi cal-ma.

Il 10 giugno, Matteotti era stato assassinato. Ma il 27giugno, Mussolini aveva già vinto. La cosa veramentestrana è che non se ne sia accorto prima, come Farinac-ci, che girava per il paese e vedeva.

L’Italia visse così sei mesi in atmosfera d’illusione edi romanticismo, oscillando tra la ribellione moralisticae puritana e i complotti di corridoio. Finché il 3 gennaioMussolini – forzato, a quanto pare, dai suoi più fedeli –porterà il dibattito sul terreno della forza. Se mi voletemorto, venitemi a prendere.

I più giovani ebbero subito la sensazione che Musso-lini avesse guadagnato la partita, e che ormai non rima-nesse che la via insurrezionale. Ma non ci fu verso difare intendere la realtà ai capi dell’Aventino. Essi, checoncepivano la rivoluzione sotto la forma di dimissionidi due ministri militari, giudicarono quel discorso l’ulti-mo disperato tentativo di salvataggio di un uomo ormailiquidato di cui non valeva la pena di occuparsi. E atte-sero i decreti di Villa Ada. Ve ne sono che attendono an-cora.

II mito della cautela.Fu questo il miracolismo dell’Aventino. Credere di

poter vincere con le armi legali l’avversario che ha già

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opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesiae il sovrano. Ai funerali del tramviere Oldani a Milano,avvenuto pochi giorni dopo il delitto Matteotti, Caldarascongiurò la folla tutt’altro che ardita, di mantenersi cal-ma.

Il 10 giugno, Matteotti era stato assassinato. Ma il 27giugno, Mussolini aveva già vinto. La cosa veramentestrana è che non se ne sia accorto prima, come Farinac-ci, che girava per il paese e vedeva.

L’Italia visse così sei mesi in atmosfera d’illusione edi romanticismo, oscillando tra la ribellione moralisticae puritana e i complotti di corridoio. Finché il 3 gennaioMussolini – forzato, a quanto pare, dai suoi più fedeli –porterà il dibattito sul terreno della forza. Se mi voletemorto, venitemi a prendere.

I più giovani ebbero subito la sensazione che Musso-lini avesse guadagnato la partita, e che ormai non rima-nesse che la via insurrezionale. Ma non ci fu verso difare intendere la realtà ai capi dell’Aventino. Essi, checoncepivano la rivoluzione sotto la forma di dimissionidi due ministri militari, giudicarono quel discorso l’ulti-mo disperato tentativo di salvataggio di un uomo ormailiquidato di cui non valeva la pena di occuparsi. E atte-sero i decreti di Villa Ada. Ve ne sono che attendono an-cora.

II mito della cautela.Fu questo il miracolismo dell’Aventino. Credere di

poter vincere con le armi legali l’avversario che ha già

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vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie deltrionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti iproblemi (Gobetti diceva: l’Aventino ha un mito, il mitodella cautela) sperando che la borghesia dimentichi il’19. Attendere che il re e i generali tolgano le castagnedal fuoco col solo intento di consegnarle, a sei mesidata, a lor signori dell’opposizione non appena scottinomeno. Supporre che i valori morali possano da soli ro-vesciare i rapporti obbiettivi di classe.

La crisi Matteotti, a parte i suoi riflessi morali, anzi-ché liquidare, prolungò, ingigantì l’equivoco di cui s’èparlato più sopra. Per anni ed anni la vecchia opposizio-ne che aveva vissuto l’estate del ’24, che aveva visto ifascisti tremare, le «cimici» scomparire. Mussolini bal-bettare, che s’era creduta a un pelo dal successo, puntòsul miracolo improvviso liquidatore. E in questa attesasi esaurì.

È sorta una nuova generazione, una nuova opposizio-ne, che non ha conosciuto le illusioni generose e impo-tenti del ’24, che non ha visto gli altarini per Matteottiper le vie di Milano, la gente che singhiozza, i deputatiinginocchiati, il sen. Einaudi portare 100 lire alla «Giu-stizia», molti borghesi complici della prima ora distac-carsi da Mussolini. Cresciuta in clima di dittatura non sicommuove facilmente. La demagogia fascista l’ha abi-tuata a guardare alla realtà delle cose e dei rapporti diclasse; e se una crisi risolutiva dovesse aprirsi, sapràpuntare sugli obbiettivi decisivi: le armi, le masse, il po-tere.

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vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie deltrionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti iproblemi (Gobetti diceva: l’Aventino ha un mito, il mitodella cautela) sperando che la borghesia dimentichi il’19. Attendere che il re e i generali tolgano le castagnedal fuoco col solo intento di consegnarle, a sei mesidata, a lor signori dell’opposizione non appena scottinomeno. Supporre che i valori morali possano da soli ro-vesciare i rapporti obbiettivi di classe.

La crisi Matteotti, a parte i suoi riflessi morali, anzi-ché liquidare, prolungò, ingigantì l’equivoco di cui s’èparlato più sopra. Per anni ed anni la vecchia opposizio-ne che aveva vissuto l’estate del ’24, che aveva visto ifascisti tremare, le «cimici» scomparire. Mussolini bal-bettare, che s’era creduta a un pelo dal successo, puntòsul miracolo improvviso liquidatore. E in questa attesasi esaurì.

È sorta una nuova generazione, una nuova opposizio-ne, che non ha conosciuto le illusioni generose e impo-tenti del ’24, che non ha visto gli altarini per Matteottiper le vie di Milano, la gente che singhiozza, i deputatiinginocchiati, il sen. Einaudi portare 100 lire alla «Giu-stizia», molti borghesi complici della prima ora distac-carsi da Mussolini. Cresciuta in clima di dittatura non sicommuove facilmente. La demagogia fascista l’ha abi-tuata a guardare alla realtà delle cose e dei rapporti diclasse; e se una crisi risolutiva dovesse aprirsi, sapràpuntare sugli obbiettivi decisivi: le armi, le masse, il po-tere.

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L’affare Matteotti non solleva i suoi sdegni infuocati.Le sembra naturale che essendoci tra cento e più deputa-ti antifascisti un uomo delle sue qualità, Mussolini lo fa-cesse sopprimere. E non ama le commemorazioni.

Niente commemorazioni, dunque, poiché tutto fu det-to; poiché in questi anni duri è sorta la generazione deiMatteotti.

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L’affare Matteotti non solleva i suoi sdegni infuocati.Le sembra naturale che essendoci tra cento e più deputa-ti antifascisti un uomo delle sue qualità, Mussolini lo fa-cesse sopprimere. E non ama le commemorazioni.

Niente commemorazioni, dunque, poiché tutto fu det-to; poiché in questi anni duri è sorta la generazione deiMatteotti.

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VILTÀ*

Il Tribunale Speciale ha ripreso a funzionare in gran-de stile. Quattro, sedici, diciotto, ventidue anni di gale-ra, – secoli di galera per diffusione di stampati, ricostitu-zione di partiti disciolti, offese a lui, Mussolini. Tutte leprovincie italiane sfilano attraverso i loro più nobili rap-presentanti nel gabbione di Roma. Ma chi sfila? Chisono questi uomini, questi condannati, come si chiama-no?

Non si sa. I giornali fascisti, dopo aver soppresso lacronaca dei processi, hanno ricevuto l’ordine di soppri-mere anche il nome dei condannati. Gli oppositori daora in poi si seppelliscono come i morti poveri, comeMalatesta, nella fossa comune, nella prigione comune.

«Un gruppo di sobillatori di Padova», «Un abitante diGenova», «Un gruppo di Bari»...

Anche il nome hanno tolto a questi nostri compagni.Perché nessuno conosca il loro sacrificio, il loro eroi-smo. Perché sulla loro condanna non si possano insce-nare «speculazioni».

A ordinare la cancellazione dei nomi è stato l’ex-sov-versivo, e l’uomo che eresse la sua fortuna politica inuna condanna, su un processo clamoroso; l’uomo che il

* Da «Giustizia e Libertà»: 27 luglio 1934.

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VILTÀ*

Il Tribunale Speciale ha ripreso a funzionare in gran-de stile. Quattro, sedici, diciotto, ventidue anni di gale-ra, – secoli di galera per diffusione di stampati, ricostitu-zione di partiti disciolti, offese a lui, Mussolini. Tutte leprovincie italiane sfilano attraverso i loro più nobili rap-presentanti nel gabbione di Roma. Ma chi sfila? Chisono questi uomini, questi condannati, come si chiama-no?

Non si sa. I giornali fascisti, dopo aver soppresso lacronaca dei processi, hanno ricevuto l’ordine di soppri-mere anche il nome dei condannati. Gli oppositori daora in poi si seppelliscono come i morti poveri, comeMalatesta, nella fossa comune, nella prigione comune.

«Un gruppo di sobillatori di Padova», «Un abitante diGenova», «Un gruppo di Bari»...

Anche il nome hanno tolto a questi nostri compagni.Perché nessuno conosca il loro sacrificio, il loro eroi-smo. Perché sulla loro condanna non si possano insce-nare «speculazioni».

A ordinare la cancellazione dei nomi è stato l’ex-sov-versivo, e l’uomo che eresse la sua fortuna politica inuna condanna, su un processo clamoroso; l’uomo che il

* Da «Giustizia e Libertà»: 27 luglio 1934.

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25 novembre 1911 fu condannato a pochi mesi di pri-gione per aver sostenuto lo sciopero generale sabotatorecontro la guerra di Tripoli, divelti i binari della ferroviaper impedire che i soldati partissero. Lui, disertore, ri-belle emigrato.

Lui.Benito Mussolini.Ciò è vile, ciò è abietto. Glielo diciamo con molta

calma, dolenti solo di dover scrivere dall’estero, dove sisembra al sicuro. Ma egli sa che queste cose gliele ab-biamo dette e scritte in Italia, dalla prigione e dal confi-no, quando eravamo nelle sue mani. Possiamo perciò ri-petergliele da Parigi.

Qual fine Benito Mussolini crede di raggiungere sop-primendo il nome dei condannati? Impedirci di esaltarele vittime, di concentrare l’attenzione dell’opinione pub-blica su casi singolari? Impedirci di pubblicare nomi, efar apparire per condannati degli arrestati in attesa digiudizio? È probabile. Ma il calcolo è sbagliato. I com-battenti rivoluzionari che Mussolini, con una proceduraunica nella storia della reazione, ricaccia nell’anonimo,risorgono come folla, come popolo. Il «gruppo di sobil-latori di Padova», diventa Padova.

Il «gruppo di sobillatori di Bari» diventa Bari.La galera è l’Italia.Siamo in luglio, luglio italiano. Ricomincia per

Gramsci, Rossi, Pertini, Bauer, Terracini, Roberto, Lu-cetti, Calace, Schicchi, Zaniboni, Spinelli, Tulli, An-dreis, Traquandi, Cianca, Delfini e gli altri molti, la fata-

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25 novembre 1911 fu condannato a pochi mesi di pri-gione per aver sostenuto lo sciopero generale sabotatorecontro la guerra di Tripoli, divelti i binari della ferroviaper impedire che i soldati partissero. Lui, disertore, ri-belle emigrato.

Lui.Benito Mussolini.Ciò è vile, ciò è abietto. Glielo diciamo con molta

calma, dolenti solo di dover scrivere dall’estero, dove sisembra al sicuro. Ma egli sa che queste cose gliele ab-biamo dette e scritte in Italia, dalla prigione e dal confi-no, quando eravamo nelle sue mani. Possiamo perciò ri-petergliele da Parigi.

Qual fine Benito Mussolini crede di raggiungere sop-primendo il nome dei condannati? Impedirci di esaltarele vittime, di concentrare l’attenzione dell’opinione pub-blica su casi singolari? Impedirci di pubblicare nomi, efar apparire per condannati degli arrestati in attesa digiudizio? È probabile. Ma il calcolo è sbagliato. I com-battenti rivoluzionari che Mussolini, con una proceduraunica nella storia della reazione, ricaccia nell’anonimo,risorgono come folla, come popolo. Il «gruppo di sobil-latori di Padova», diventa Padova.

Il «gruppo di sobillatori di Bari» diventa Bari.La galera è l’Italia.Siamo in luglio, luglio italiano. Ricomincia per

Gramsci, Rossi, Pertini, Bauer, Terracini, Roberto, Lu-cetti, Calace, Schicchi, Zaniboni, Spinelli, Tulli, An-dreis, Traquandi, Cianca, Delfini e gli altri molti, la fata-

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le estate.Nelle celle si soffoca. La luce abbaglia di giorno. Di

notte le colonne di cimici attaccano.Passano i giorni, lunghi, eterni. Il prigioniero sogna:

verrà la liberazione? I compagni morti in galera sonogià diecine. Altri stanno morendo. Le suore perseguita-no Camilla Ravera, Giorgina Rossetti, le carcerate pro-letarie.

Facciamo forza a noi stessi.Non imprechiamo.Intensifichiamo invece il lavoro.Verrà il giorno della resa dei conti: verrà la liberazio-

ne.

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le estate.Nelle celle si soffoca. La luce abbaglia di giorno. Di

notte le colonne di cimici attaccano.Passano i giorni, lunghi, eterni. Il prigioniero sogna:

verrà la liberazione? I compagni morti in galera sonogià diecine. Altri stanno morendo. Le suore perseguita-no Camilla Ravera, Giorgina Rossetti, le carcerate pro-letarie.

Facciamo forza a noi stessi.Non imprechiamo.Intensifichiamo invece il lavoro.Verrà il giorno della resa dei conti: verrà la liberazio-

ne.

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ALLARGARE GLI ORIZZONTI*

Mentre qualcuno tra gli esuli più debole e più dispe-rato si pone il problema di un ritorno materiale in patriaa prezzo di rinunce, noi insistiamo con gli esuli per unritorno ideale: cioè per un nuovo sforzo inteso a stabilireun rapporto sempre più vivo, di profonda mutua com-prensione con gli elementi migliori, più appassionati,della generazione nuova in Italia. Che cosa pensano?Come reagiscono agli eventi che tutti viviamo?

Senza il loro concorso attivo nulla di grande faràl’antifascismo.

Dicevamo appunto nel nostro ultimo articolo che que-sto è il solo attuale, vero problema per un antifascismooperante e realista: far corpo coi giovani, essere la nuo-va generazione, abbandonando gli schemi di un antifa-scismo finito e l’utopia di una riforma compiutadall’esterno, in qualità di pedagoghi infallibili.

Esprimevamo queste esigenze in forma generica,mentre nello stesso numero del giornale appariva un mi-rabile studio – Nuova Generazione – che fornivaun’acuta quanto generosa interpretazione del drammadella nuova generazione europea. Nessuno era riuscitosinora come l’autore di questo scritto – uno spirito vera-

* Da «Giustizia e Libertà»; 24 agosto 1934.

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ALLARGARE GLI ORIZZONTI*

Mentre qualcuno tra gli esuli più debole e più dispe-rato si pone il problema di un ritorno materiale in patriaa prezzo di rinunce, noi insistiamo con gli esuli per unritorno ideale: cioè per un nuovo sforzo inteso a stabilireun rapporto sempre più vivo, di profonda mutua com-prensione con gli elementi migliori, più appassionati,della generazione nuova in Italia. Che cosa pensano?Come reagiscono agli eventi che tutti viviamo?

Senza il loro concorso attivo nulla di grande faràl’antifascismo.

Dicevamo appunto nel nostro ultimo articolo che que-sto è il solo attuale, vero problema per un antifascismooperante e realista: far corpo coi giovani, essere la nuo-va generazione, abbandonando gli schemi di un antifa-scismo finito e l’utopia di una riforma compiutadall’esterno, in qualità di pedagoghi infallibili.

Esprimevamo queste esigenze in forma generica,mentre nello stesso numero del giornale appariva un mi-rabile studio – Nuova Generazione – che fornivaun’acuta quanto generosa interpretazione del drammadella nuova generazione europea. Nessuno era riuscitosinora come l’autore di questo scritto – uno spirito vera-

* Da «Giustizia e Libertà»; 24 agosto 1934.

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mente europeo – a dissociare nei suoi componenti unostato d’animo che riesce ai più inafferabile o ripugnante.

Ribellione antisociale, questa dei giovani d’oggi, giu-dica A. C., irrisione a freddo di tutti i valori prostituitida mezzo secolo di pratica «democratica», frenesia dievasione, delirio di cimento, qualunque esso sia, spiritod’avventura, nihilismo che si accompagna, con contrad-dizione solo apparente, alla accettazione di discipline diinaudito rigore.

Non è solo scetticismo, non è solo carrierismo, esalta-zione sportiva, volgarità. Questa ribellione che a noi ap-pare cieca e assurda è il riflesso dello sgretolarsi di unmondo, della precarietà di tutti i destini, dell’universalecorrompersi di ogni principio e misura.

La conclusione dell’A. non è pessimistica.«Quello che induce a bene augurare della gioventù contempo-

ranea (s’intende della élite) è la brutale coraggiosa sincerità. Vo-gliono la verità assoluta. Ma si sentono oppressi e nauseati dai re-sidui di religioni infrante e di fedi naufragate che ingombrano laciviltà occidentale dopo il grande uragano. Quando rifiutano didiscutere, quando chiudono la bocca all’avversario ed alzano lavoce come se volessero assordare la propria ragione, vuol direche sentono l’inanità di ogni sforzo critico e l’impossibilità discegliere se non a occhi chiusi».

Stupendamente detto. E chiaramente delineato ilcompito di un antifascismo che non voglia ridursi al cul-to delle memorie.

Bisogna capire questi giovani, rendendo chiari e coe-renti i motivi istintivi che li agitano e portando alle

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mente europeo – a dissociare nei suoi componenti unostato d’animo che riesce ai più inafferabile o ripugnante.

Ribellione antisociale, questa dei giovani d’oggi, giu-dica A. C., irrisione a freddo di tutti i valori prostituitida mezzo secolo di pratica «democratica», frenesia dievasione, delirio di cimento, qualunque esso sia, spiritod’avventura, nihilismo che si accompagna, con contrad-dizione solo apparente, alla accettazione di discipline diinaudito rigore.

Non è solo scetticismo, non è solo carrierismo, esalta-zione sportiva, volgarità. Questa ribellione che a noi ap-pare cieca e assurda è il riflesso dello sgretolarsi di unmondo, della precarietà di tutti i destini, dell’universalecorrompersi di ogni principio e misura.

La conclusione dell’A. non è pessimistica.«Quello che induce a bene augurare della gioventù contempo-

ranea (s’intende della élite) è la brutale coraggiosa sincerità. Vo-gliono la verità assoluta. Ma si sentono oppressi e nauseati dai re-sidui di religioni infrante e di fedi naufragate che ingombrano laciviltà occidentale dopo il grande uragano. Quando rifiutano didiscutere, quando chiudono la bocca all’avversario ed alzano lavoce come se volessero assordare la propria ragione, vuol direche sentono l’inanità di ogni sforzo critico e l’impossibilità discegliere se non a occhi chiusi».

Stupendamente detto. E chiaramente delineato ilcompito di un antifascismo che non voglia ridursi al cul-to delle memorie.

Bisogna capire questi giovani, rendendo chiari e coe-renti i motivi istintivi che li agitano e portando alle

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estreme conclusioni il processo che hanno iniziato. Nonmezzi termini. Verità assolute e ideali integrali. Rinun-cia alla propaganda vecchio stile, o rovesciamento deisuoi termini. Anziché partire dal fatto assiomatico «Lot-ta contro il fascismo», rivoluzione, per porre le basi diun nuovo stato, partire dalla conquista morale e intellet-tuale del mondo nuovo, dalla netta affermazione di valo-ri non contaminati per portare la nuova generazione allalotta a morte contro lo stato consacrato delle cose.

La relativa accettazione del fascismo in Italia da partedi molti giovani non significa solo addormentamentodelle coscienze, rinuncia a pensare; è la riprova diun’insufficiente presa del nostro antifascismo, della bas-sa temperatura, della limitata vibrazione dei nostri pro-grammi e delle nostre idee. L’errore è stato di credereche in questa fase la lotta potesse essere meramente po-litica e economica.

È indispensabile allargare gli orizzonti, risalire allecause prime e affrontare i temi essenziali di fronte a cui,se si possiede un pensiero forte e puro, nessuno, e tantomeno i giovani, può restare a lungo indifferente; valoredell’uomo, della vita, nozione della libertà, della giusti-zia, significato della cultura, posto del lavoro, della fa-miglia, della patria, dello stato. Scavo in profondità, fis-sazione per linee massicce della fisionomia di questomondo nuovo che la rivoluzione si incaricherà di rivela-re, di fissare esteriormente.

È un’opera immane per una generazione, che giustifi-ca una vita intera, un esilio, una prigionia e che richiede

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estreme conclusioni il processo che hanno iniziato. Nonmezzi termini. Verità assolute e ideali integrali. Rinun-cia alla propaganda vecchio stile, o rovesciamento deisuoi termini. Anziché partire dal fatto assiomatico «Lot-ta contro il fascismo», rivoluzione, per porre le basi diun nuovo stato, partire dalla conquista morale e intellet-tuale del mondo nuovo, dalla netta affermazione di valo-ri non contaminati per portare la nuova generazione allalotta a morte contro lo stato consacrato delle cose.

La relativa accettazione del fascismo in Italia da partedi molti giovani non significa solo addormentamentodelle coscienze, rinuncia a pensare; è la riprova diun’insufficiente presa del nostro antifascismo, della bas-sa temperatura, della limitata vibrazione dei nostri pro-grammi e delle nostre idee. L’errore è stato di credereche in questa fase la lotta potesse essere meramente po-litica e economica.

È indispensabile allargare gli orizzonti, risalire allecause prime e affrontare i temi essenziali di fronte a cui,se si possiede un pensiero forte e puro, nessuno, e tantomeno i giovani, può restare a lungo indifferente; valoredell’uomo, della vita, nozione della libertà, della giusti-zia, significato della cultura, posto del lavoro, della fa-miglia, della patria, dello stato. Scavo in profondità, fis-sazione per linee massicce della fisionomia di questomondo nuovo che la rivoluzione si incaricherà di rivela-re, di fissare esteriormente.

È un’opera immane per una generazione, che giustifi-ca una vita intera, un esilio, una prigionia e che richiede

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l’universale collaborazione. Il calvario del disoccupato,l’esperienza dura del proletario non sono meno impor-tanti dell’analisi dell’intellettuale, anch’egli, se vero in-tellettuale, oggi quasi sempre disoccupato e sfruttato.

Sarebbe questo un passo indietro, un ritorno a un anti-fascismo generico? No: è un balzo avanti, su terrenovergine, oltre gli steccati convenzionali, uno spregiudi-cato esame di coscienza a cui tutti debbono partecipare.

Che i morti seppelliscano i morti. Lasciamo i fascistiufficiali epilogare sulle corporazioni e l’èra imperiale, iservi prezzolati lustrare il dittatore, le borghesie anglo-francesi tentar di arrestare la valanga con l’appello aprincipii traditi, l’antifascismo vecchio stile disputarsinei piccoli porti dell’esilio la purità marxista e il nonplus ultra dell’estremismo. Noi ripartiamo verso l’altomare; noi proponiamo ai giovani di associarsi a questagrande impresa. Al vecchio mondo che rovina bisognasostituirne uno nuovo nel quale l’uomo conti comeuomo, come potenza spirituale, e non come potenza ani-male o monetaria. Nuovo umanesimo.

Non ci lasceremo più impressionare dalle cataloga-zioni di moda e dalla politica pura che in regime totali-tario fascista si risolve in esercizio retorico. Il fascismoha creduto di straniarci dall’Italia bandendoci dal terri-torio o privandoci di ogni diritto e umanità. Ebbene, noil’Italia la riconquisteremo lottando con la giovane gene-razione italiana ed europea in una congiura alla luce delsole. Quando la nuova fede si sarà propagata con forzairresistibile le idee troveranno le loro armi e i giovani

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l’universale collaborazione. Il calvario del disoccupato,l’esperienza dura del proletario non sono meno impor-tanti dell’analisi dell’intellettuale, anch’egli, se vero in-tellettuale, oggi quasi sempre disoccupato e sfruttato.

Sarebbe questo un passo indietro, un ritorno a un anti-fascismo generico? No: è un balzo avanti, su terrenovergine, oltre gli steccati convenzionali, uno spregiudi-cato esame di coscienza a cui tutti debbono partecipare.

Che i morti seppelliscano i morti. Lasciamo i fascistiufficiali epilogare sulle corporazioni e l’èra imperiale, iservi prezzolati lustrare il dittatore, le borghesie anglo-francesi tentar di arrestare la valanga con l’appello aprincipii traditi, l’antifascismo vecchio stile disputarsinei piccoli porti dell’esilio la purità marxista e il nonplus ultra dell’estremismo. Noi ripartiamo verso l’altomare; noi proponiamo ai giovani di associarsi a questagrande impresa. Al vecchio mondo che rovina bisognasostituirne uno nuovo nel quale l’uomo conti comeuomo, come potenza spirituale, e non come potenza ani-male o monetaria. Nuovo umanesimo.

Non ci lasceremo più impressionare dalle cataloga-zioni di moda e dalla politica pura che in regime totali-tario fascista si risolve in esercizio retorico. Il fascismoha creduto di straniarci dall’Italia bandendoci dal terri-torio o privandoci di ogni diritto e umanità. Ebbene, noil’Italia la riconquisteremo lottando con la giovane gene-razione italiana ed europea in una congiura alla luce delsole. Quando la nuova fede si sarà propagata con forzairresistibile le idee troveranno le loro armi e i giovani

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delle scuole e delle officine si batteranno in massa.Allora non noi, ma il fascismo, sarà il grande fuoru-

scito della storia moderna.Il suo sarà un esilio senza ritorni.

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delle scuole e delle officine si batteranno in massa.Allora non noi, ma il fascismo, sarà il grande fuoru-

scito della storia moderna.Il suo sarà un esilio senza ritorni.

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IL SILENZIO DI ROMA*

Roma è muta. Il fascismo ha compiuto il miracolosopprimendo le trombe degli autoveicoli. I forestieri nonlasceranno più la città eterna spaventati dal rumore. Icittadini potranno dormire. «L’equilibrio psichico e ve-getativo» non sarà più turbato. Finito il pericolo «di coa-gulazioni delle proteine animali», di «cattivo funziona-mento del fegato».

«L’eliminazione avvenuta senza attrito – così continua lo «An-griff» quotidiano nazionalsocialista, citato a gara dai fogli fascisti– del rumore stradale, può farci riflettere: si è sofferto per questorumore, lo si è accettato come un male inevitabile e ci si è adattatiad esso. Ed ora, tutto ad un tratto, in seguito a una saggia decisio-ne, si constata che il male si poteva benissimo evitare e che per ladurata di anni si era stati esposti ad un tormento inutile. Altrettan-to avviene in molti altri campi della vita, senza che noi ce ne ren-diamo conto».

Quale grande verità ha detto l’«Angriff» senza saper-lo! Provate, lettori, a sostituire nel brano citato la parola«dittatura» all’espressione «rumore stradale». Il periodocorre a meraviglia. Anche la dittatura gli italiani l’hannoaccettata come un male inevitabile. Ci si è adattati adessa. Ma se ne soffre. Mentre basterebbe una saggia,un’energica decisione...* Da «Giustizia e Libertà»: 4 gennaio 1935

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IL SILENZIO DI ROMA*

Roma è muta. Il fascismo ha compiuto il miracolosopprimendo le trombe degli autoveicoli. I forestieri nonlasceranno più la città eterna spaventati dal rumore. Icittadini potranno dormire. «L’equilibrio psichico e ve-getativo» non sarà più turbato. Finito il pericolo «di coa-gulazioni delle proteine animali», di «cattivo funziona-mento del fegato».

«L’eliminazione avvenuta senza attrito – così continua lo «An-griff» quotidiano nazionalsocialista, citato a gara dai fogli fascisti– del rumore stradale, può farci riflettere: si è sofferto per questorumore, lo si è accettato come un male inevitabile e ci si è adattatiad esso. Ed ora, tutto ad un tratto, in seguito a una saggia decisio-ne, si constata che il male si poteva benissimo evitare e che per ladurata di anni si era stati esposti ad un tormento inutile. Altrettan-to avviene in molti altri campi della vita, senza che noi ce ne ren-diamo conto».

Quale grande verità ha detto l’«Angriff» senza saper-lo! Provate, lettori, a sostituire nel brano citato la parola«dittatura» all’espressione «rumore stradale». Il periodocorre a meraviglia. Anche la dittatura gli italiani l’hannoaccettata come un male inevitabile. Ci si è adattati adessa. Ma se ne soffre. Mentre basterebbe una saggia,un’energica decisione...* Da «Giustizia e Libertà»: 4 gennaio 1935

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In luogo della soppressione della dittatura, gli italianiottengono la soppressione delle trombe e dei klaxon: af-finché i cittadini dormano, dormano sempre, di notte edi giorno, e le proteine animali non si coagulino.

Oh commovente sollecitudine del regime! Quale curaha esso mai per i nervi dei sudditi ! Non importa che gliitaliani non possano vivere, parlare liberamente; non im-porta che la gente del lavoro debba patire umiliazioni efame senza nome; che milioni di uomini debbano curva-re la schiena sotto la minaccia della galera. Non sonoquesti i fatti capaci di rovinare i nervi dei sudditi, di farcoagulare le proteine animali turbando il funzionamentodel fegato. Quel che conta, nell’italico regno, sono letrombe strombettanti, lo spavento dei forestieri – sotto-dittatori di Italia – il rumore stradale.

Il silenzio di Roma è simbolico. È il silenzio delletombe e delle prigioni. In prigione effettivamente i ru-mori sono ridotti al minimo. Qualche grido soffocato,qualche nenia, e la notte il suono delle inferriate percos-se col ferro di controllo. Così è Roma. Così è l’Italia tut-ta. Silenziosa, prona, disciplinata. Non manca ormai cheinventare il linguaggio muto perché i sudditi non turbinocon la loro favella i suoni delle generazioni imperiali ela fatica operosa del Capo.

Un solo rumore, una sola voce può levarsi in Italia: lasua. E dopo la sua, la risposta fragorosamente sadicadella folla ridotta a polvere umana che grida DU-CE,DU-CE.

È questo rumore abbietto di servitù che occorre far

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In luogo della soppressione della dittatura, gli italianiottengono la soppressione delle trombe e dei klaxon: af-finché i cittadini dormano, dormano sempre, di notte edi giorno, e le proteine animali non si coagulino.

Oh commovente sollecitudine del regime! Quale curaha esso mai per i nervi dei sudditi ! Non importa che gliitaliani non possano vivere, parlare liberamente; non im-porta che la gente del lavoro debba patire umiliazioni efame senza nome; che milioni di uomini debbano curva-re la schiena sotto la minaccia della galera. Non sonoquesti i fatti capaci di rovinare i nervi dei sudditi, di farcoagulare le proteine animali turbando il funzionamentodel fegato. Quel che conta, nell’italico regno, sono letrombe strombettanti, lo spavento dei forestieri – sotto-dittatori di Italia – il rumore stradale.

Il silenzio di Roma è simbolico. È il silenzio delletombe e delle prigioni. In prigione effettivamente i ru-mori sono ridotti al minimo. Qualche grido soffocato,qualche nenia, e la notte il suono delle inferriate percos-se col ferro di controllo. Così è Roma. Così è l’Italia tut-ta. Silenziosa, prona, disciplinata. Non manca ormai cheinventare il linguaggio muto perché i sudditi non turbinocon la loro favella i suoni delle generazioni imperiali ela fatica operosa del Capo.

Un solo rumore, una sola voce può levarsi in Italia: lasua. E dopo la sua, la risposta fragorosamente sadicadella folla ridotta a polvere umana che grida DU-CE,DU-CE.

È questo rumore abbietto di servitù che occorre far

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cessare in Italia. L’Italia è silenzio: sia pure. Ma che siatutta silenzio. Che il dittatore giri solo coi suoi sgherriper le vie silenziose. Che un silenzio fondo risponda allesue grida e alle sue smorfie.

Il silenzio dei popoli è la condanna dei potenti.Nel silenzio universale si sente meglio il rumore delle

catene.

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cessare in Italia. L’Italia è silenzio: sia pure. Ma che siatutta silenzio. Che il dittatore giri solo coi suoi sgherriper le vie silenziose. Che un silenzio fondo risponda allesue grida e alle sue smorfie.

Il silenzio dei popoli è la condanna dei potenti.Nel silenzio universale si sente meglio il rumore delle

catene.

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LA LEZIONE DELLA SARRE*

Facciamo pure la dovuta parte al terrore, alla propa-ganda hitleriana, ai milioni del Fronte Tedesco, alla crisieconomica, al rancore per la Francia, al doppio giocovaticanesco, alla debolezza dei protettori, alla incon-gruenza di una battaglia per lo «statu quo» quando lo«statu quo» è sinonimo di miseria universale; ma non siarriva a spiegare quel terribile 90 per cento, che ha giàassunto il significato di una adesione cosciente, a dueanni data, alla rivoluzione hitleriana.

Per consolarsi, il Fronte Unico ricorda che la Sarre ètedesca e che era naturale e previsto che la grande mag-gioranza si pronunciasse comunque per il ritorno allamadre patria.

Se era naturale e previsto, allora perché il Fronte Uni-co ha dato battaglia nella Sarre su quel certo terreno e siè illuso di poter raccogliere il 30-40 per cento dei voti?

Dopo la collezione di disfatte degli ultimi anni, sareb-be stato opportuno risparmiare ai combattenti per la li-bertà in Europa una nuova grossa sconfitta proprio sulterreno più dolente, quello del suffragio. Ma pare che lesinistre abbiano in Europa il sadismo della sconfitta. Ilfascismo ha scelto come motto «Me ne frego». L’antifa-

* Da «Giustizia e Libertà»: 18 gennaio 1935

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LA LEZIONE DELLA SARRE*

Facciamo pure la dovuta parte al terrore, alla propa-ganda hitleriana, ai milioni del Fronte Tedesco, alla crisieconomica, al rancore per la Francia, al doppio giocovaticanesco, alla debolezza dei protettori, alla incon-gruenza di una battaglia per lo «statu quo» quando lo«statu quo» è sinonimo di miseria universale; ma non siarriva a spiegare quel terribile 90 per cento, che ha giàassunto il significato di una adesione cosciente, a dueanni data, alla rivoluzione hitleriana.

Per consolarsi, il Fronte Unico ricorda che la Sarre ètedesca e che era naturale e previsto che la grande mag-gioranza si pronunciasse comunque per il ritorno allamadre patria.

Se era naturale e previsto, allora perché il Fronte Uni-co ha dato battaglia nella Sarre su quel certo terreno e siè illuso di poter raccogliere il 30-40 per cento dei voti?

Dopo la collezione di disfatte degli ultimi anni, sareb-be stato opportuno risparmiare ai combattenti per la li-bertà in Europa una nuova grossa sconfitta proprio sulterreno più dolente, quello del suffragio. Ma pare che lesinistre abbiano in Europa il sadismo della sconfitta. Ilfascismo ha scelto come motto «Me ne frego». L’antifa-

* Da «Giustizia e Libertà»: 18 gennaio 1935

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scismo: «Se non sono legnate non le vogliamo». I duemotti riescono, ahimè, complementari.

Anziché dare una battaglia impossibile in nome dello«statu quo» – parola d’ordine assurda per forze rivolu-zionarie, giacché suona attesa, difesa, rinunzia, conser-vazione – sarebbe stato forse meglio creare, a fianco delplebiscito, ufficiale, un plebiscito libero in cui la dichia-razione di voto per il ritorno alla Germania si accompa-gnasse con una dichiarazione di fede nella libertà e conun impegno di lotta per una Germania e un’Europa libe-re. Si sarebbe avuto allora non Fronte Tedesco controFronte della Libertà-«statu quo», ma Fronte Hitlerianocontro Fronte della nuova Germania. I voti, per pochiche fossero stati, avrebbero avuto un enorme valoreideale, avrebbero segnato l’inizio di un’offensiva e nonfornito una contro-prova della sconfitta del 1932.

Senno del poi, si dirà. Ma come s’ha da fare? Se siavanzano critiche in precedenza, si è accusati di sabota-re la battaglia in corso. Se si avanzano dopo, si è accu-sati di giudicare a cose fatte.

La verità è ormai chiara, e chi non l’ha ancora capitapuò cacciarsi a letto e spengere il lume in attesa di tempimigliori. La verità è che socialismo tradizionale, comu-nismo, le vecchie ideologie, i partiti battuti del prefasci-smo, sono universalmente liquidati. Con essi si passa disconfitta in sconfitta. Il loro potenziale è infimo in con-fronto al potenziale fascista. Non sono più capaci di ri-montare la corrente, di sollevare entusiasmi offensivi.Anche nei paesi relativamente liberi, come la Francia e

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scismo: «Se non sono legnate non le vogliamo». I duemotti riescono, ahimè, complementari.

Anziché dare una battaglia impossibile in nome dello«statu quo» – parola d’ordine assurda per forze rivolu-zionarie, giacché suona attesa, difesa, rinunzia, conser-vazione – sarebbe stato forse meglio creare, a fianco delplebiscito, ufficiale, un plebiscito libero in cui la dichia-razione di voto per il ritorno alla Germania si accompa-gnasse con una dichiarazione di fede nella libertà e conun impegno di lotta per una Germania e un’Europa libe-re. Si sarebbe avuto allora non Fronte Tedesco controFronte della Libertà-«statu quo», ma Fronte Hitlerianocontro Fronte della nuova Germania. I voti, per pochiche fossero stati, avrebbero avuto un enorme valoreideale, avrebbero segnato l’inizio di un’offensiva e nonfornito una contro-prova della sconfitta del 1932.

Senno del poi, si dirà. Ma come s’ha da fare? Se siavanzano critiche in precedenza, si è accusati di sabota-re la battaglia in corso. Se si avanzano dopo, si è accu-sati di giudicare a cose fatte.

La verità è ormai chiara, e chi non l’ha ancora capitapuò cacciarsi a letto e spengere il lume in attesa di tempimigliori. La verità è che socialismo tradizionale, comu-nismo, le vecchie ideologie, i partiti battuti del prefasci-smo, sono universalmente liquidati. Con essi si passa disconfitta in sconfitta. Il loro potenziale è infimo in con-fronto al potenziale fascista. Non sono più capaci di ri-montare la corrente, di sollevare entusiasmi offensivi.Anche nei paesi relativamente liberi, come la Francia e

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l’Inghilterra – i paesi dello «statu quo» – sono destinatia decadere, a meno di un profondissimo rinnovamento.

Il riformismo fascista si è ormai impadronito di granparte della meccanica del socialismo riformista. E la dit-tatura fascista neutralizza o devia la spinta dittatorialecomunista. La bandiera della libertà, inalberata all’ulti-ma ora come pis aller, è gettata nella polvere da quellanazionale e imperiale.

Ci vuol altro per rovesciare il fascismo. Le trasfusionidi sangue riescono quando sono fatte in tempo e tra spe-cie animali non troppo dissimili.

Da questo modesto foglio di esilio ci rivolgiamo nonsolo ai compagni italiani, ma anche ai compagni tede-schi, alle migliaia di giovani che combattono con noi ilfascismo, perché vogliamo riflettere seriamente alla le-zione della Sarre.

Quel che è avvenuto il 13 gennaio in Sarre è la provaultima, in vitro, della cadaverica impotenza di tutte leforze, partiti, uomini del passato prefascista. Chi si osti-na a combattere il fascismo da quelle trincee, dà unbell’esempio di coerenza, ma fissa la sua dimora nei ci-miteri.

Rispettiamo pure la coerenza dei vecchi. Ma i giovanidebbono fare punto e da capo; rompere bruscamente;spogliarsi dei vecchi idoli cerebrali per dire pane al panee vino al vino; per vedere insomma che cosa accade, checosa è realmente accaduto in questi anni, e ripensare tut-ti i problemi dalla radice.

Per conto nostro l’esperienza della Sarre ci conferma

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l’Inghilterra – i paesi dello «statu quo» – sono destinatia decadere, a meno di un profondissimo rinnovamento.

Il riformismo fascista si è ormai impadronito di granparte della meccanica del socialismo riformista. E la dit-tatura fascista neutralizza o devia la spinta dittatorialecomunista. La bandiera della libertà, inalberata all’ulti-ma ora come pis aller, è gettata nella polvere da quellanazionale e imperiale.

Ci vuol altro per rovesciare il fascismo. Le trasfusionidi sangue riescono quando sono fatte in tempo e tra spe-cie animali non troppo dissimili.

Da questo modesto foglio di esilio ci rivolgiamo nonsolo ai compagni italiani, ma anche ai compagni tede-schi, alle migliaia di giovani che combattono con noi ilfascismo, perché vogliamo riflettere seriamente alla le-zione della Sarre.

Quel che è avvenuto il 13 gennaio in Sarre è la provaultima, in vitro, della cadaverica impotenza di tutte leforze, partiti, uomini del passato prefascista. Chi si osti-na a combattere il fascismo da quelle trincee, dà unbell’esempio di coerenza, ma fissa la sua dimora nei ci-miteri.

Rispettiamo pure la coerenza dei vecchi. Ma i giovanidebbono fare punto e da capo; rompere bruscamente;spogliarsi dei vecchi idoli cerebrali per dire pane al panee vino al vino; per vedere insomma che cosa accade, checosa è realmente accaduto in questi anni, e ripensare tut-ti i problemi dalla radice.

Per conto nostro l’esperienza della Sarre ci conferma

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la verità di due tesi che abbiamo già sostenuto con gran-de scandalo dei marxisti ortodossi: potenza ancora gran-de dell’idea nazionale, specie nei paesi di più recenteunità, come la Germania e l’Italia dove, assunta a mito,si fa strumento della demagogia reazionaria; assurdità diconcepire e condurre la lotta contro il fascismo su pianoestensivo e di massa.

L’internazionalismo astratto, coreografico, da Con-gressi, più o meno mondiali, ha fatto il suo tempo: è unmito burocratico (II), o è un asservimento alla politicarussa (III). Come già altra volta scrivemmo, l’interna-zionalismo, per esistere, deve salire dal basso versol’alto, farsi positivo, vivere prima nella personalità sin-gola, nella classe, nella patria. La rivoluzione italianaavrà vigore e valore internazionale non in ragione delbollo delle Internazionali, ma in ragione della validitàuniversale dei suoi motivi e della concretezza europeadella sua politica. (Internazionalisti al cento per cento, evoi, comunisti ortodossi, perché non riconoscete ad altavoce le esperienze dell’esilio? Perché non scrivete quelche dite nei conversari a proposito del... nazionalismo ditroppi comunisti francesi?)

Quanto alle masse, è ora di dire che la massa, inquanto massa, è brutale, ignorante, impotente, femmini-le, preda di chi fa più chiasso, di chi ha più quattrini, dichi ha la forza e il successo. I fascismi sono i più perfet-ti regimi di massa della storia, quelli in cui l’uomoscompare per diventare la frazione di un corteo, di unosanna, di un plebiscito, di un esercito.

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la verità di due tesi che abbiamo già sostenuto con gran-de scandalo dei marxisti ortodossi: potenza ancora gran-de dell’idea nazionale, specie nei paesi di più recenteunità, come la Germania e l’Italia dove, assunta a mito,si fa strumento della demagogia reazionaria; assurdità diconcepire e condurre la lotta contro il fascismo su pianoestensivo e di massa.

L’internazionalismo astratto, coreografico, da Con-gressi, più o meno mondiali, ha fatto il suo tempo: è unmito burocratico (II), o è un asservimento alla politicarussa (III). Come già altra volta scrivemmo, l’interna-zionalismo, per esistere, deve salire dal basso versol’alto, farsi positivo, vivere prima nella personalità sin-gola, nella classe, nella patria. La rivoluzione italianaavrà vigore e valore internazionale non in ragione delbollo delle Internazionali, ma in ragione della validitàuniversale dei suoi motivi e della concretezza europeadella sua politica. (Internazionalisti al cento per cento, evoi, comunisti ortodossi, perché non riconoscete ad altavoce le esperienze dell’esilio? Perché non scrivete quelche dite nei conversari a proposito del... nazionalismo ditroppi comunisti francesi?)

Quanto alle masse, è ora di dire che la massa, inquanto massa, è brutale, ignorante, impotente, femmini-le, preda di chi fa più chiasso, di chi ha più quattrini, dichi ha la forza e il successo. I fascismi sono i più perfet-ti regimi di massa della storia, quelli in cui l’uomoscompare per diventare la frazione di un corteo, di unosanna, di un plebiscito, di un esercito.

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Combattere i regimi di massa fascisti a forza di mas-sa, è tempo perso.

I regimi di massa, i fascismi, si combattono ridandoall’uomo, alla ragione, alla libertà il loro valore; creandoin ciascun uomo, nel massimo numero di uomini, e perora in una minoranza di intellettuali e di operai, una co-scienza forte della propria personalità ed autonomia.Rompere la massa e la vita di massa, spezzare il totalita-rismo fascista con nuclei pensanti ed agenti, ecco ilcompito dell’opposizione, che non è più a vero dire op-posizione, o lo è solo allo stesso modo che la vita sicontrappone alla morte.

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Combattere i regimi di massa fascisti a forza di mas-sa, è tempo perso.

I regimi di massa, i fascismi, si combattono ridandoall’uomo, alla ragione, alla libertà il loro valore; creandoin ciascun uomo, nel massimo numero di uomini, e perora in una minoranza di intellettuali e di operai, una co-scienza forte della propria personalità ed autonomia.Rompere la massa e la vita di massa, spezzare il totalita-rismo fascista con nuclei pensanti ed agenti, ecco ilcompito dell’opposizione, che non è più a vero dire op-posizione, o lo è solo allo stesso modo che la vita sicontrappone alla morte.

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PERCHÉ SIAMO CONTRO LA GUERRA D’AFRI-CA*

Fin dalla prima notizia della mobilitazione, G. L. hadichiarato la sua «opposizione intransigente, assoluta,alla guerra d’Africa, da chiunque fatta, comunque moti-vata, oggi, domani, sempre».

Quella dichiarazione significa che la nostra opposi-zione non deriva solo da motivi di antifascismo.

Siamo contro la guerra d’ Africa:a) perché è una guerra fascista;b) perché è una guerra capitalista-statale;c) perché è una guerra coloniale;d) perché è una guerra.

Il motivo pacifista puro, il motivo umanitario viene,come si vede, solo in quarta linea. Non è possibile met-terlo in prima linea nel mondo attuale, in cui la politicadelle dittature si risolve già in una guerra contro i popo-li. Difficile sopratutto per un movimento rivoluzionarioche non si fa illusioni su placidi tramonti, che riconoscela legittimità delle guerre di indipendenza e la necessitàattuale della guerra civile nei paesi fascisti.

Analizziamo i quattro motivi.Guerra fascista. Tra la dittatura fascista e il popolo

* Da «Giustizia e Libertà»: 8 marzo 1935.

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PERCHÉ SIAMO CONTRO LA GUERRA D’AFRI-CA*

Fin dalla prima notizia della mobilitazione, G. L. hadichiarato la sua «opposizione intransigente, assoluta,alla guerra d’Africa, da chiunque fatta, comunque moti-vata, oggi, domani, sempre».

Quella dichiarazione significa che la nostra opposi-zione non deriva solo da motivi di antifascismo.

Siamo contro la guerra d’ Africa:a) perché è una guerra fascista;b) perché è una guerra capitalista-statale;c) perché è una guerra coloniale;d) perché è una guerra.

Il motivo pacifista puro, il motivo umanitario viene,come si vede, solo in quarta linea. Non è possibile met-terlo in prima linea nel mondo attuale, in cui la politicadelle dittature si risolve già in una guerra contro i popo-li. Difficile sopratutto per un movimento rivoluzionarioche non si fa illusioni su placidi tramonti, che riconoscela legittimità delle guerre di indipendenza e la necessitàattuale della guerra civile nei paesi fascisti.

Analizziamo i quattro motivi.Guerra fascista. Tra la dittatura fascista e il popolo

* Da «Giustizia e Libertà»: 8 marzo 1935.

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italiano c’è stato permanente di guerra, o rapporto disoggezione. Il fascismo tratta gli italiani peggio di quelche gli austriaci trattassero i veneti o i lombardi. Gli ita-liani, anche se tesserati fascisti, non hanno nessun dirit-to, nessuna libertà, nessun autogoverno, eccezione fattaper un gruppo di capi politici e di grossi papaveri bor-ghesi.

La vita del fascismo è di parassita: si svolge a prezzodi inaudite sofferenze e di umiliazioni del popolo, e so-pratutto della classe lavoratrice.

Non esiste la benché minima speranza di trasformaregradualmente il fascismo da regime di eccezione a regi-me di collaborazione. Tredici anni di esperienza lo con-fermano. L’oppressione, anziché diminuire, aumenta.

Perciò la rottura è fatale. Qualunque avvenimento vo-luto o fortuito che indebolisca il fascismo, avvantaggiail popolo italiano. La guerra, per le sue probabili riper-cussioni economiche e politiche e per la parte di impre-visto che comporta, può offrire possibilità eccezionali dicolpirlo. Senza un attimo di esitazione bisogna profittar-ne; si deve avere la coerenza di desiderare la sconfittadel fascismo; si deve essere disfattisti integrali e pratici.

La guerra fascista non è la guerra degli italiani, È im-presa privata della dittatura. Il popolo italiano funzionasolo da vittima. E la vittima non ha obblighi di solida-rietà. Ha solo l’obbligo di liberarsi.

Guerra capitalista. Non sappiamo fino a che punto ilcapitalismo attuale cerchi coscientemente la guerra, di-mostratasi, dopo l’esperienza russa, foriera di rivoluzio-

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italiano c’è stato permanente di guerra, o rapporto disoggezione. Il fascismo tratta gli italiani peggio di quelche gli austriaci trattassero i veneti o i lombardi. Gli ita-liani, anche se tesserati fascisti, non hanno nessun dirit-to, nessuna libertà, nessun autogoverno, eccezione fattaper un gruppo di capi politici e di grossi papaveri bor-ghesi.

La vita del fascismo è di parassita: si svolge a prezzodi inaudite sofferenze e di umiliazioni del popolo, e so-pratutto della classe lavoratrice.

Non esiste la benché minima speranza di trasformaregradualmente il fascismo da regime di eccezione a regi-me di collaborazione. Tredici anni di esperienza lo con-fermano. L’oppressione, anziché diminuire, aumenta.

Perciò la rottura è fatale. Qualunque avvenimento vo-luto o fortuito che indebolisca il fascismo, avvantaggiail popolo italiano. La guerra, per le sue probabili riper-cussioni economiche e politiche e per la parte di impre-visto che comporta, può offrire possibilità eccezionali dicolpirlo. Senza un attimo di esitazione bisogna profittar-ne; si deve avere la coerenza di desiderare la sconfittadel fascismo; si deve essere disfattisti integrali e pratici.

La guerra fascista non è la guerra degli italiani, È im-presa privata della dittatura. Il popolo italiano funzionasolo da vittima. E la vittima non ha obblighi di solida-rietà. Ha solo l’obbligo di liberarsi.

Guerra capitalista. Non sappiamo fino a che punto ilcapitalismo attuale cerchi coscientemente la guerra, di-mostratasi, dopo l’esperienza russa, foriera di rivoluzio-

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ni. Non siamo neppure certi che la fine del capitalismosignificherà automaticamente la fine delle guerre. Quel-lo che però sappiamo è che le guerre attuali, in regimecapitalistico, e di dittatura dei magnati, sono il fenome-no più sordido e repulsivo che si possa immaginare.Dietro i contrasti politici si nascondono rivalità e specu-lazioni economiche che fanno mercato della vita degliuomini. E mentre gli uni, i cenci, muoiono, gli altri pro-fittano.

Capitalismo è però una parola troppo sintetica che co-pre molte cose e risparmia di pensare. Copre, per esem-pio, lo statalismo, forse più del capitalismo, in strettosenso, responsabile delle guerre. Gli stati moderni, buro-cratici, accentrati, imperialisti, sono delle macchine ter-ribili che tendono ad espandersi per logica interna, tra-sformando l’uomo, intere generazioni di uomini, in stru-menti di potenza bruta.

I popoli, cioè gli uomini nelle loro formazioni civilisociali, messi gli uni di fronte agli altri, difficilmente sibatterebbero. Sono questi intermediari inafferrabili, mo-struosi, queste macchine anonime, gli stati, che hannoun preteso onore da salvare e un interesse da difendereche non è quello degli uomini in carne ed ossa e deiquali gli stati maggiori e gli eserciti permanenti sonouno degli ingranaggi essenziali; sono gli stati i qualidrizzano i popoli gli uni contro gli altri. La guerra mo-derna, terribile devastatrice, che coinvolge l’universale,nasce difatti con Napoleone, cioè con lo stato moderno.La Svizzera, ogni stato federativo dove l’uomo, i gruppi

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ni. Non siamo neppure certi che la fine del capitalismosignificherà automaticamente la fine delle guerre. Quel-lo che però sappiamo è che le guerre attuali, in regimecapitalistico, e di dittatura dei magnati, sono il fenome-no più sordido e repulsivo che si possa immaginare.Dietro i contrasti politici si nascondono rivalità e specu-lazioni economiche che fanno mercato della vita degliuomini. E mentre gli uni, i cenci, muoiono, gli altri pro-fittano.

Capitalismo è però una parola troppo sintetica che co-pre molte cose e risparmia di pensare. Copre, per esem-pio, lo statalismo, forse più del capitalismo, in strettosenso, responsabile delle guerre. Gli stati moderni, buro-cratici, accentrati, imperialisti, sono delle macchine ter-ribili che tendono ad espandersi per logica interna, tra-sformando l’uomo, intere generazioni di uomini, in stru-menti di potenza bruta.

I popoli, cioè gli uomini nelle loro formazioni civilisociali, messi gli uni di fronte agli altri, difficilmente sibatterebbero. Sono questi intermediari inafferrabili, mo-struosi, queste macchine anonime, gli stati, che hannoun preteso onore da salvare e un interesse da difendereche non è quello degli uomini in carne ed ossa e deiquali gli stati maggiori e gli eserciti permanenti sonouno degli ingranaggi essenziali; sono gli stati i qualidrizzano i popoli gli uni contro gli altri. La guerra mo-derna, terribile devastatrice, che coinvolge l’universale,nasce difatti con Napoleone, cioè con lo stato moderno.La Svizzera, ogni stato federativo dove l’uomo, i gruppi

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conservano ampie sfere di autonomia, fanno assai piùdifficilmente la guerra. Lo stesso impero britannico,come tale, sembra incapace di grandi guerre. Capitali-smo, statalismo, accentramento, oppressione sono aspet-ti di uno stesso fenomeno di cui la guerra è la manifesta-zione più appariscente.

Il capitalismo fascista questi fenomeni li ha sviluppatitutti, metodicamente, sino ad esasperarli. Tutta l’attivitàeconomica italiana è stata organizzata in Italia in vistadella guerra. Chi avesse conservato qualche dubbio inproposito è stato illuminato dal comunicato della Com-missione Suprema di Difesa, da cui dipende ormail’economia nazionale. Il capitalismo fascista si avviaalla guerra per una necessità inesorabile. È già in guerralarvata da anni.

Guerra coloniale. La guerra coloniale è la guerra ca-pitalista per eccellenza dominata da puri motivi di inte-resse e di dominio.

Si conquistano le colonie «per allargare il mercato deiprodotti, dei capitali, degli uomini, e per affermare ilprestigio statale. Nel mondo delle concorrenze forsenna-te dei varii imperialismi, la colonia è la base d’appog-gio, il mezzo di rifornimento. Le popolazioni colonialisono ad un tempo macchine di lavoro che assicurano unenorme plus-valore e assorbitrici di prodotti. La penetra-zione della cosidetta civiltà cammina di pari passo con iprofitti.

Tutte le guerre coloniali si equivalgono in principio.Sono delle speculazioni in cui i capitali sono forniti in

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conservano ampie sfere di autonomia, fanno assai piùdifficilmente la guerra. Lo stesso impero britannico,come tale, sembra incapace di grandi guerre. Capitali-smo, statalismo, accentramento, oppressione sono aspet-ti di uno stesso fenomeno di cui la guerra è la manifesta-zione più appariscente.

Il capitalismo fascista questi fenomeni li ha sviluppatitutti, metodicamente, sino ad esasperarli. Tutta l’attivitàeconomica italiana è stata organizzata in Italia in vistadella guerra. Chi avesse conservato qualche dubbio inproposito è stato illuminato dal comunicato della Com-missione Suprema di Difesa, da cui dipende ormail’economia nazionale. Il capitalismo fascista si avviaalla guerra per una necessità inesorabile. È già in guerralarvata da anni.

Guerra coloniale. La guerra coloniale è la guerra ca-pitalista per eccellenza dominata da puri motivi di inte-resse e di dominio.

Si conquistano le colonie «per allargare il mercato deiprodotti, dei capitali, degli uomini, e per affermare ilprestigio statale. Nel mondo delle concorrenze forsenna-te dei varii imperialismi, la colonia è la base d’appog-gio, il mezzo di rifornimento. Le popolazioni colonialisono ad un tempo macchine di lavoro che assicurano unenorme plus-valore e assorbitrici di prodotti. La penetra-zione della cosidetta civiltà cammina di pari passo con iprofitti.

Tutte le guerre coloniali si equivalgono in principio.Sono delle speculazioni in cui i capitali sono forniti in

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sangue e in denaro dalle moltitudini, e i profitti sono ri-scossi da pochi. Solo che mentre quelle dei secoli scorsirendevano, quelle attuali non rendono più.

La guerra coloniale che il fascismo si appresta a fareè particolarmente odiosa e stupida, sia perché direttacontro un popolo indipendente da quattordici secoli, siaperché costosissima e durissima, sia infine perché, nellamigliore delle ipotesi, dopo anni e anni di guerriglia,aprirebbe la via alla colonizzazione non del capitalismoitaliano, troppo povero e impoverito, ma del capitalismoanglo-franco-belga-americano. Gli eventuali coloni ita-liani funzionerebbero da negri di prima qualità, non cer-to da colonizzatori. Il decreto De Bono di fissazione deisalari massimi degli operai italiani nella colonia eritreadichiara espressamente che bisogna non «guastare» ilmercato indigeno, uso a tariffe infinitamente più basse.Se mai avesse ad arrivare il giorno in cui gli operai e icontadini italiani dovessero in gran numero stanziarsi inAbissinia, si può essere certi che sarebbe loro riservatoun trattamento quasi analogo a quello degli abissini.

Né d’altronde il fascismo sembra farsi troppe illusionisul valore economico della prossima guerra. Più cheeconomica, la guerra sarà di prestigio e di necessitàcome mezzo di consolidamento di un dominio vacillantee come sortita da una situazione insostenibile.

Guerra. Non siamo pacifisti vecchio stile. Non amia-mo il sangue, ma non siamo gandhisti. La morale gand-hista e l’obbiezione di coscienza sono altamente rispet-tabili nel singolo, ma non costituiscono una politica, non

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sangue e in denaro dalle moltitudini, e i profitti sono ri-scossi da pochi. Solo che mentre quelle dei secoli scorsirendevano, quelle attuali non rendono più.

La guerra coloniale che il fascismo si appresta a fareè particolarmente odiosa e stupida, sia perché direttacontro un popolo indipendente da quattordici secoli, siaperché costosissima e durissima, sia infine perché, nellamigliore delle ipotesi, dopo anni e anni di guerriglia,aprirebbe la via alla colonizzazione non del capitalismoitaliano, troppo povero e impoverito, ma del capitalismoanglo-franco-belga-americano. Gli eventuali coloni ita-liani funzionerebbero da negri di prima qualità, non cer-to da colonizzatori. Il decreto De Bono di fissazione deisalari massimi degli operai italiani nella colonia eritreadichiara espressamente che bisogna non «guastare» ilmercato indigeno, uso a tariffe infinitamente più basse.Se mai avesse ad arrivare il giorno in cui gli operai e icontadini italiani dovessero in gran numero stanziarsi inAbissinia, si può essere certi che sarebbe loro riservatoun trattamento quasi analogo a quello degli abissini.

Né d’altronde il fascismo sembra farsi troppe illusionisul valore economico della prossima guerra. Più cheeconomica, la guerra sarà di prestigio e di necessitàcome mezzo di consolidamento di un dominio vacillantee come sortita da una situazione insostenibile.

Guerra. Non siamo pacifisti vecchio stile. Non amia-mo il sangue, ma non siamo gandhisti. La morale gand-hista e l’obbiezione di coscienza sono altamente rispet-tabili nel singolo, ma non costituiscono una politica, non

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consentono una lotta efficace contro la guerra e controla dittatura capitalista fascista. E noi siamo per la lotta.

Oggi, di fronte al mondo fascista, accettiamo di com-battere la guerra civile. L’accettiamo appunto perché ci-vile nei suoi scopi, perché diretta ad arrestare una guerrain cui si opprime e si ammazza da una sola parte, perchédiretta a conquistare un’umanità superiore.

Pur non trovando particolarmente ideale la morte suuna barricata o in una prigione, ci pare che per abbattereil fascismo il sacrificio sia utile, che la vita dei combat-tenti rivoluzionari sia spesa bene.

La guerra civile, quando si presenta come l’unicomezzo di lotta contro una dittatura che abolisce ogni op-posizione legale, a parte i suoi scopi, contiene un aspet-to che la rende accettabile: è una lotta in cui l’uomo par-tecipa consapevole e volontario, in cui conserva l’inizia-tiva e in cui può trovare anche occasioni di grandezzavera.

I quattrocento morti di Vienna e di Linz sapevano, invita, a che cosa andavano probabilmente incontro. I due-mila delle Asturie pure. Certo anche tra loro si contanole vittime ignare. Ma sono la minoranza. Gli altri aveva-no scelto il loro destino.

Ma la guerra militare, la guerra imperialista, la guerrastatale, la guerra degli eserciti obbligatori, quale barba-rie, e sopratutto quale inutilità! L’uomo è ridotto in pol-vere dal momento in cui viene mobilitato. Venti e piùanni dopo il 1914, ci troviamo in un mondo più povero,più disperato, e non meno minacciato dalla catastrofe. I

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consentono una lotta efficace contro la guerra e controla dittatura capitalista fascista. E noi siamo per la lotta.

Oggi, di fronte al mondo fascista, accettiamo di com-battere la guerra civile. L’accettiamo appunto perché ci-vile nei suoi scopi, perché diretta ad arrestare una guerrain cui si opprime e si ammazza da una sola parte, perchédiretta a conquistare un’umanità superiore.

Pur non trovando particolarmente ideale la morte suuna barricata o in una prigione, ci pare che per abbattereil fascismo il sacrificio sia utile, che la vita dei combat-tenti rivoluzionari sia spesa bene.

La guerra civile, quando si presenta come l’unicomezzo di lotta contro una dittatura che abolisce ogni op-posizione legale, a parte i suoi scopi, contiene un aspet-to che la rende accettabile: è una lotta in cui l’uomo par-tecipa consapevole e volontario, in cui conserva l’inizia-tiva e in cui può trovare anche occasioni di grandezzavera.

I quattrocento morti di Vienna e di Linz sapevano, invita, a che cosa andavano probabilmente incontro. I due-mila delle Asturie pure. Certo anche tra loro si contanole vittime ignare. Ma sono la minoranza. Gli altri aveva-no scelto il loro destino.

Ma la guerra militare, la guerra imperialista, la guerrastatale, la guerra degli eserciti obbligatori, quale barba-rie, e sopratutto quale inutilità! L’uomo è ridotto in pol-vere dal momento in cui viene mobilitato. Venti e piùanni dopo il 1914, ci troviamo in un mondo più povero,più disperato, e non meno minacciato dalla catastrofe. I

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dieci milioni di morti sono caduti proprio invano e, quelche è più orribile, sono caduti quasi tutti coatti.

Ora la guerra che il fascismo si prepara a fare in Afri-ca cumula in sé tutte le ignominie che abbiamo elencato.È guerra di conquista e di conservazione della dittatura,guerra di capitalismo e di stato, guerra mercantile e co-loniale, è macello obbligatorio di gioventù che avrà lascelta tra la morte e magari lo sventramento in battagliae la malaria, la dissenteria, l’anemia tropicale.

Per accettare una simile guerra, e ancor più per esal-tarla, bisogna essere dei pazzi o dei rincretiniti da diecianni di regime.

Per combatterla basta invece voler bene al paese, vo-lere il bene degli italiani. Restare umani.

Noi abbiamo scelto la nostra via.

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dieci milioni di morti sono caduti proprio invano e, quelche è più orribile, sono caduti quasi tutti coatti.

Ora la guerra che il fascismo si prepara a fare in Afri-ca cumula in sé tutte le ignominie che abbiamo elencato.È guerra di conquista e di conservazione della dittatura,guerra di capitalismo e di stato, guerra mercantile e co-loniale, è macello obbligatorio di gioventù che avrà lascelta tra la morte e magari lo sventramento in battagliae la malaria, la dissenteria, l’anemia tropicale.

Per accettare una simile guerra, e ancor più per esal-tarla, bisogna essere dei pazzi o dei rincretiniti da diecianni di regime.

Per combatterla basta invece voler bene al paese, vo-lere il bene degli italiani. Restare umani.

Noi abbiamo scelto la nostra via.

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REALISMO ANCORA*

Nella lotta contro il fascismo rapporto caratteristicodi G. L., oltre quello di un attivismo costante, è stato losforzo per elevarsi ad una visione realistica e di insiemedel fenomeno fascista. Il fascismo noi non l’abbiamomai considerato con gli occhi nostalgici del prefasci-smo, vivendo alla giornata in una perpetua attesa del mi-racolo liquidatorio.

G. L. non esisteva nel 1922. G. L. è nata in pieno fa-scismo. Ha sempre considerato il fascismo come il pun-to di partenza della sua azione e come un’esperienzastorica decisiva. E ha insistito sulla necessità di fare, piùche dell’antifascismo, del postfascismo.

Anche tra settembre e febbraio, nel periodo in cui lasperanza di una crisi prossima era più diffusa in Italia eall’estero, G. L. si è rifiutata di abbandonare il terrenodell’opposizione storica per ripiegare su quello del pic-colo opportunismo politico. Perché? Appunto perché eraconsapevole dell’importanza fondamentale dell’espe-rienza che si compieva; dell’impossibilità che un feno-meno come il fascista potesse finire in coda di pesce;dei valori essenziali che erano in giuoco e che essa eraben decisa, contro ogni calcolo meschino e machiavelli-

* Da «Giustizia e Libertà»: 15 maggio 1936.

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REALISMO ANCORA*

Nella lotta contro il fascismo rapporto caratteristicodi G. L., oltre quello di un attivismo costante, è stato losforzo per elevarsi ad una visione realistica e di insiemedel fenomeno fascista. Il fascismo noi non l’abbiamomai considerato con gli occhi nostalgici del prefasci-smo, vivendo alla giornata in una perpetua attesa del mi-racolo liquidatorio.

G. L. non esisteva nel 1922. G. L. è nata in pieno fa-scismo. Ha sempre considerato il fascismo come il pun-to di partenza della sua azione e come un’esperienzastorica decisiva. E ha insistito sulla necessità di fare, piùche dell’antifascismo, del postfascismo.

Anche tra settembre e febbraio, nel periodo in cui lasperanza di una crisi prossima era più diffusa in Italia eall’estero, G. L. si è rifiutata di abbandonare il terrenodell’opposizione storica per ripiegare su quello del pic-colo opportunismo politico. Perché? Appunto perché eraconsapevole dell’importanza fondamentale dell’espe-rienza che si compieva; dell’impossibilità che un feno-meno come il fascista potesse finire in coda di pesce;dei valori essenziali che erano in giuoco e che essa eraben decisa, contro ogni calcolo meschino e machiavelli-

* Da «Giustizia e Libertà»: 15 maggio 1936.

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co, a mantenere nel giuoco.Quando altri diceva: – Via dall’Africa, libertà borghe-

si, compromesso – , essa rispondeva: – trasformazionetotale, lotta rivoluzionaria – . E questo non già per intel-lettualismo o utopismo, ma perché sentiva che la dialet-tica del totalitarismo fascista avrebbe reso impossibili imezzi termini.

Il 16 gennaio, analizzando la tecnica della guerra fa-scista, noi scrivevamo che la guerra totalitaria avrebbeavuto una soluzione totalitaria, netta; che come il fasci-smo aveva distrutto i mezzi termini nella vita interna edesasperato progressivamente la situazione, così avrebbedistrutto i mezzi termini nella vita internazionale.

E ciò è avvenuto, in un senso naturalmente diverso daquello da noi voluto. Il fascismo ha avuto la vittoria to-tale militare. E il fascismo finirà quasi certamente peravere la vittoria anche sul terreno diplomatico.

Noi ci rifiutiamo a lasciarci ingannare dall’ultimo attodella commedia ginevrina. Certo, l’annessionedell’Abissinia è un osso duro da ingoiare per i giuristitartufi della Lega; e può darsi che per evitare la soffoca-zione immediata preferiscano coprire il ritiro delle san-zioni con una provvisoria esclusione dell’Italia fascista.(E anche in questo campo Mussolini ha preso l’iniziati-va ritirando Aloisi da Ginevra).

Ma resti ben chiaro che siamo all’ultimo atto e chenon sarà a guerra finita che le potenze troveranno la de-cisione e la forza per ricacciare l’aggressore.

Questa vittoria totale non significa, naturalmente, che

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co, a mantenere nel giuoco.Quando altri diceva: – Via dall’Africa, libertà borghe-

si, compromesso – , essa rispondeva: – trasformazionetotale, lotta rivoluzionaria – . E questo non già per intel-lettualismo o utopismo, ma perché sentiva che la dialet-tica del totalitarismo fascista avrebbe reso impossibili imezzi termini.

Il 16 gennaio, analizzando la tecnica della guerra fa-scista, noi scrivevamo che la guerra totalitaria avrebbeavuto una soluzione totalitaria, netta; che come il fasci-smo aveva distrutto i mezzi termini nella vita interna edesasperato progressivamente la situazione, così avrebbedistrutto i mezzi termini nella vita internazionale.

E ciò è avvenuto, in un senso naturalmente diverso daquello da noi voluto. Il fascismo ha avuto la vittoria to-tale militare. E il fascismo finirà quasi certamente peravere la vittoria anche sul terreno diplomatico.

Noi ci rifiutiamo a lasciarci ingannare dall’ultimo attodella commedia ginevrina. Certo, l’annessionedell’Abissinia è un osso duro da ingoiare per i giuristitartufi della Lega; e può darsi che per evitare la soffoca-zione immediata preferiscano coprire il ritiro delle san-zioni con una provvisoria esclusione dell’Italia fascista.(E anche in questo campo Mussolini ha preso l’iniziati-va ritirando Aloisi da Ginevra).

Ma resti ben chiaro che siamo all’ultimo atto e chenon sarà a guerra finita che le potenze troveranno la de-cisione e la forza per ricacciare l’aggressore.

Questa vittoria totale non significa, naturalmente, che

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la storia si arresti. La storia continua. Gli eventi di que-sti mesi ne accelereranno anzi il ritmo formidabilmente.

Ma ciò significa che in Italia siamo arrivati ad unasvolta importante. Un periodo finisce. Uno nuovo se neapre. Nulla sarebbe più stolto, nulla darebbe più la mi-sura della nostra impotenza a capire e a reagire, che ilcontinuare come se nulla fosse sui vecchi solchi, in unaagonia indegna, sofisticando sul successo avversario omantenendo accese delle speranze di rovesciamentoall’ora ultima.

Meglio riconoscere con franchezza virile che il fasci-smo, almeno sul piano interno che è poi quello che piùdi ogni altro ci concerne, esce rafforzato, consolidato daquesta crisi. Molta gente che ancora riteneva possibileuna rapida soluzione e conservava vivi dei rancori, siconvertirà al fascismo. Altri si rassegneranno. L’urto so-ciale sarà ancora deviato e contenuto. Si entra in unafase di liquidazione relativa per gli uni e di stabilizza-zione relativa per gli altri. Una serie di fenomeni del do-poguerra che avrebbero potuto essere decisivi perl’opposizione avranno un’importanza assai più limitatae saranno facilmente dominati dal fascismo. Anche ledifficoltà economiche e finanziarie, innegabili e cre-scenti, non saranno tali da minacciare il regime dopo ilrecente successo. Le dittature non sono mai cadute perragioni economiche e finanziarie. Le difficoltà economi-che possono spingerle, se mai, a cercare nella guerra undiversivo. Ma quando la guerra è vinta, il diversivo fun-ziona e la crisi è contenuta.

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la storia si arresti. La storia continua. Gli eventi di que-sti mesi ne accelereranno anzi il ritmo formidabilmente.

Ma ciò significa che in Italia siamo arrivati ad unasvolta importante. Un periodo finisce. Uno nuovo se neapre. Nulla sarebbe più stolto, nulla darebbe più la mi-sura della nostra impotenza a capire e a reagire, che ilcontinuare come se nulla fosse sui vecchi solchi, in unaagonia indegna, sofisticando sul successo avversario omantenendo accese delle speranze di rovesciamentoall’ora ultima.

Meglio riconoscere con franchezza virile che il fasci-smo, almeno sul piano interno che è poi quello che piùdi ogni altro ci concerne, esce rafforzato, consolidato daquesta crisi. Molta gente che ancora riteneva possibileuna rapida soluzione e conservava vivi dei rancori, siconvertirà al fascismo. Altri si rassegneranno. L’urto so-ciale sarà ancora deviato e contenuto. Si entra in unafase di liquidazione relativa per gli uni e di stabilizza-zione relativa per gli altri. Una serie di fenomeni del do-poguerra che avrebbero potuto essere decisivi perl’opposizione avranno un’importanza assai più limitatae saranno facilmente dominati dal fascismo. Anche ledifficoltà economiche e finanziarie, innegabili e cre-scenti, non saranno tali da minacciare il regime dopo ilrecente successo. Le dittature non sono mai cadute perragioni economiche e finanziarie. Le difficoltà economi-che possono spingerle, se mai, a cercare nella guerra undiversivo. Ma quando la guerra è vinta, il diversivo fun-ziona e la crisi è contenuta.

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Dobbiamo dunque prospettarci un periodo, la cui du-rata dipenderà da fattori non calcolabili, duro e difficile.Un periodo nel quale l’opposizione, se vorrà avere deirisultati, dovrà riesaminare con la massima spregiudica-tezza la sua formazione e i suoi metodi. Questo riesamenon va fatto con precipitazione. Va fatto con calma, conponderatezza, dopo un’inchiesta approfondita, chiaman-do a collaborare tutti, e principalmente coloro che sonoin Italia.

Noi non vogliamo anticipare. Diremo solo che se maici fu un periodo in cui le posizioni di principio autono-me, positive, non polemiche, ebbero valore, questo è ilperiodo.

Il vecchio antifascismo è morto. Morte sono tutte leposizioni formali e organizzative che si trascinino dietroil peso o anche solo il fato della sconfitta o l’obbligo diuna coerenza antistorica o il legame con impostazionisuperate ed equivoche.

Anche noi di G. L. esamineremo il nostro problema,con spregiudicatezza, perché quello che a noi premesono gli ideali, non i nomi e le forme.

E magari questo riesame coraggioso alla luce del solepotesse farsi contemporaneamente e in comune, con di-sinteresse totale, oltre i compartimenti stagni delle varieorganizzazioni che sono spesso degli strumenti di artifi-ciale sopravvivenza!

Sarebbe probabilmente questa la via anche per supe-rare l’inevitabile depressione dei prossimi mesi, rispon-dendo alla vittoria fascista con un atto di vita.

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Dobbiamo dunque prospettarci un periodo, la cui du-rata dipenderà da fattori non calcolabili, duro e difficile.Un periodo nel quale l’opposizione, se vorrà avere deirisultati, dovrà riesaminare con la massima spregiudica-tezza la sua formazione e i suoi metodi. Questo riesamenon va fatto con precipitazione. Va fatto con calma, conponderatezza, dopo un’inchiesta approfondita, chiaman-do a collaborare tutti, e principalmente coloro che sonoin Italia.

Noi non vogliamo anticipare. Diremo solo che se maici fu un periodo in cui le posizioni di principio autono-me, positive, non polemiche, ebbero valore, questo è ilperiodo.

Il vecchio antifascismo è morto. Morte sono tutte leposizioni formali e organizzative che si trascinino dietroil peso o anche solo il fato della sconfitta o l’obbligo diuna coerenza antistorica o il legame con impostazionisuperate ed equivoche.

Anche noi di G. L. esamineremo il nostro problema,con spregiudicatezza, perché quello che a noi premesono gli ideali, non i nomi e le forme.

E magari questo riesame coraggioso alla luce del solepotesse farsi contemporaneamente e in comune, con di-sinteresse totale, oltre i compartimenti stagni delle varieorganizzazioni che sono spesso degli strumenti di artifi-ciale sopravvivenza!

Sarebbe probabilmente questa la via anche per supe-rare l’inevitabile depressione dei prossimi mesi, rispon-dendo alla vittoria fascista con un atto di vita.

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RISPOSTA A MUSSOLINI*

Venerdì 16 maggio (si vedrà più avanti perché importiprecisare la data) veniva posto in vendita a Parigi il nu-mero di G. L. dedicato all’impero che Mussolini avevadichiarato il 9.

In prima pagina, su sei colonne, un grande titolo:«Contro l’impero, per la nazione». Quel titolo reggevacinque articoli, due pagine di contrattacco politico, sto-rico, economico. Era più che un programma: una con-trapposizione di ideali e di destini.

A voi, fascisti, l’impero; a noi, la nazione. A voi laRoma della decadenza; a noi l’Italia repubblicana, co-munale, risorgimentale, protesa verso il nuovo umanesi-mo proletario. A voi lo stato tirannico totalitario, da mi-surarsi a chilometri quadri e a sagre, lenzuolo funebredella società italiana; a noi le speranze di rinascita diquesta società, rimbarbarita e impoverita, ma ricca ditutte le vitalità dell’avvenire e dei fermenti accumulatiin quindici anni di lotte cui un genio precoce, Piero Go-betti, morto in esilio, aveva indicato le vie del riscattocon gli ideali dell’autonomia e della rivoluzione liberaleoperaia.

La terza pagina si apriva con l’editoriale: «Realismo

* Da «Giustizia e Libertà»: 21 maggio 1936.

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RISPOSTA A MUSSOLINI*

Venerdì 16 maggio (si vedrà più avanti perché importiprecisare la data) veniva posto in vendita a Parigi il nu-mero di G. L. dedicato all’impero che Mussolini avevadichiarato il 9.

In prima pagina, su sei colonne, un grande titolo:«Contro l’impero, per la nazione». Quel titolo reggevacinque articoli, due pagine di contrattacco politico, sto-rico, economico. Era più che un programma: una con-trapposizione di ideali e di destini.

A voi, fascisti, l’impero; a noi, la nazione. A voi laRoma della decadenza; a noi l’Italia repubblicana, co-munale, risorgimentale, protesa verso il nuovo umanesi-mo proletario. A voi lo stato tirannico totalitario, da mi-surarsi a chilometri quadri e a sagre, lenzuolo funebredella società italiana; a noi le speranze di rinascita diquesta società, rimbarbarita e impoverita, ma ricca ditutte le vitalità dell’avvenire e dei fermenti accumulatiin quindici anni di lotte cui un genio precoce, Piero Go-betti, morto in esilio, aveva indicato le vie del riscattocon gli ideali dell’autonomia e della rivoluzione liberaleoperaia.

La terza pagina si apriva con l’editoriale: «Realismo

* Da «Giustizia e Libertà»: 21 maggio 1936.

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ancora», bilancio freddo dell’oppositore che non vacilla.In esso si riconosceva il fatto della vittoria militare edella conseguente probabile vittoria diplomatica; si pre-vedeva una svolta nelle cose e nelle coscienze deboli, unperiodo difficile nella lotta; si constatava la fine del vec-chio antifascismo polemico, negativo, ombra del fasci-smo, trascinantesi nella speranza del miracolo capovol-gitore; si riaffermava la funzione storica di una nuovaopposizione che assumendo il fascismo a punto di par-tenza ed esperienza del secolo, si definisce in nome diprincipii autonomi e positivi, ossia di ideali, e guardaunicamente al futuro.

Per noi giellisti cotesti sono latinetti vecchi. Difatti iltitolo recava: «Realismo ancora». Ma per certi zelantifascisti convertiti, rimasti, quanto a opposizione,all’Aventino, tanta spregiudicatezza ha fatto impressio-ne. Il 15 usciva il giornale. E il 15 pomeriggio l’articoloera telefonato a Roma.

Il «primo giornalista d’Italia» getta un’occhiata rapi-da sul testo. Il frenetico bisogno di estorcere consensidovunque e comunque, lo induce a staccare, mutilando-li, due periodi del nostro articolo: il periodo in cui si di-chiara che la vittoria consoliderà provvisoriamente il re-gime, riducendo i contraccolpi economici; e il periodoin cui si dice che il vecchio antifascismo è morto. Incol-lati i brani su un pezzo di carta, scrive lui stesso, con laben nota perizia, i titoli. In alto: «Ironie della storia».Sotto, più in grande: la «Resa a discrezione» politicadell’antifascismo italiano all’estero. Poi ancora: «Il vec-

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ancora», bilancio freddo dell’oppositore che non vacilla.In esso si riconosceva il fatto della vittoria militare edella conseguente probabile vittoria diplomatica; si pre-vedeva una svolta nelle cose e nelle coscienze deboli, unperiodo difficile nella lotta; si constatava la fine del vec-chio antifascismo polemico, negativo, ombra del fasci-smo, trascinantesi nella speranza del miracolo capovol-gitore; si riaffermava la funzione storica di una nuovaopposizione che assumendo il fascismo a punto di par-tenza ed esperienza del secolo, si definisce in nome diprincipii autonomi e positivi, ossia di ideali, e guardaunicamente al futuro.

Per noi giellisti cotesti sono latinetti vecchi. Difatti iltitolo recava: «Realismo ancora». Ma per certi zelantifascisti convertiti, rimasti, quanto a opposizione,all’Aventino, tanta spregiudicatezza ha fatto impressio-ne. Il 15 usciva il giornale. E il 15 pomeriggio l’articoloera telefonato a Roma.

Il «primo giornalista d’Italia» getta un’occhiata rapi-da sul testo. Il frenetico bisogno di estorcere consensidovunque e comunque, lo induce a staccare, mutilando-li, due periodi del nostro articolo: il periodo in cui si di-chiara che la vittoria consoliderà provvisoriamente il re-gime, riducendo i contraccolpi economici; e il periodoin cui si dice che il vecchio antifascismo è morto. Incol-lati i brani su un pezzo di carta, scrive lui stesso, con laben nota perizia, i titoli. In alto: «Ironie della storia».Sotto, più in grande: la «Resa a discrezione» politicadell’antifascismo italiano all’estero. Poi ancora: «Il vec-

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chio antifascismo è morto!»Poche righe di presentazione precedono le citazioni:

«Giustizia e Libertà, organo dei fuorusciti italiani, nelsuo numero odierno pubblica un articolo editoriale checontiene i seguenti significativi passaggi».

La nota, telefonata la stessa sera del 15 a Milano, ap-pare su due colonne inquadrate sul «Popolo d’Italia» del16 mattina. Il duce si frega le mani. Il colpetto giornali-stico è fatto. Il 9, fondazione dell’impero. Il 16, liquida-zione dell’antifascismo. Gli antifascisti ridotti a viveredi iniezioni di canfora, svengono.

Senonché il 16 sera arriva sul tavolo del duce unesemplare di G. L.

Ma dove è la resa a discrezione? I giellisti attaccanol’impero, mi sbattono in faccia non uno ma cinque arti-coli d’attacco. Altro che resa, imbecille di un corrispon-dente parigino.

Ordine è dato ai giornali di astenersi dal riprodurre lanota del «Popolo d’Italia». Difatti il silenzio, dopo lastamburata del 16, è, ad eccezione della «Stampa», ge-nerale. L’antifascismo morto il 16, è più vivo che mai il17. La speculazione è abortita. Il duce ha fatto una gaf-fe. Naturalmente il duce conta sulla censura, conta sullaimpossibilità in cui ci troviamo di opporgli in patria unasmentita pubblica. Il giornale fuoruscito è la pulce in co-spetto al Ministero della Propaganda elefante.

Altro che resa!La favola della nostra «resa a discrezione politica(!)»

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chio antifascismo è morto!»Poche righe di presentazione precedono le citazioni:

«Giustizia e Libertà, organo dei fuorusciti italiani, nelsuo numero odierno pubblica un articolo editoriale checontiene i seguenti significativi passaggi».

La nota, telefonata la stessa sera del 15 a Milano, ap-pare su due colonne inquadrate sul «Popolo d’Italia» del16 mattina. Il duce si frega le mani. Il colpetto giornali-stico è fatto. Il 9, fondazione dell’impero. Il 16, liquida-zione dell’antifascismo. Gli antifascisti ridotti a viveredi iniezioni di canfora, svengono.

Senonché il 16 sera arriva sul tavolo del duce unesemplare di G. L.

Ma dove è la resa a discrezione? I giellisti attaccanol’impero, mi sbattono in faccia non uno ma cinque arti-coli d’attacco. Altro che resa, imbecille di un corrispon-dente parigino.

Ordine è dato ai giornali di astenersi dal riprodurre lanota del «Popolo d’Italia». Difatti il silenzio, dopo lastamburata del 16, è, ad eccezione della «Stampa», ge-nerale. L’antifascismo morto il 16, è più vivo che mai il17. La speculazione è abortita. Il duce ha fatto una gaf-fe. Naturalmente il duce conta sulla censura, conta sullaimpossibilità in cui ci troviamo di opporgli in patria unasmentita pubblica. Il giornale fuoruscito è la pulce in co-spetto al Ministero della Propaganda elefante.

Altro che resa!La favola della nostra «resa a discrezione politica(!)»

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farà dunque il giro d’Italia. Chi ci conosce alzerà lespalle. Chi non ci conosce ci riterrà provvisoria mentesuicidati.

Ma poi? Poi la verità verrà a galla. Si saprà che G. L.continua come giornale a Parigi e come movimento ri-voluzionario in Italia. L’annunziata resa si rivelerà comeuna ennesima truffa mussoliniana.

— Perché ha truffato? — si domanderà la gente. Evi-dentemente perché questa G. L. dà noia; perché si annet-te importanza ai suoi giudizi, alle sue ammissioni.L’opposizione esiste, l’opposizione conta. Un preteso ri-conoscimento dell’opposizione vale agli occhi del ducepiù di un omaggio di folla o di un indirizzo dell’Accade-mia d’Italia.

Il «Popolo d’Italia» ha infiniti abbonati e inserzionistid’obbligo, ma pochissimi lettori. Ogni ditta, ogni societàcapitalista è abbonata a dieci, a cento, cinquecento copieche passa al macero, lieta di garantire così, assieme albilancio della famiglia Mussolini, il proprio bilancio.

Tuttavia tra i lettori ci saranno pure dei giovani fasci-sti, delle anime candide e ignare, allevate in una visionestereotipa dell’antifascismo. A leggere quei periodiasciutti di G. L., dove è detto pane al pane e vino al vinoe si parla di ideali e si afferma l’esistenza di una nuovaopposizione, che avranno quei giovani pensato?

Avranno pensato:— Ci sono dunque, qui o per il vasto mondo, degli

italiani che non sono fascisti, che non sono neppure an-tifascisti vecchio stampo, italiani refrattari all’epidemia

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farà dunque il giro d’Italia. Chi ci conosce alzerà lespalle. Chi non ci conosce ci riterrà provvisoria mentesuicidati.

Ma poi? Poi la verità verrà a galla. Si saprà che G. L.continua come giornale a Parigi e come movimento ri-voluzionario in Italia. L’annunziata resa si rivelerà comeuna ennesima truffa mussoliniana.

— Perché ha truffato? — si domanderà la gente. Evi-dentemente perché questa G. L. dà noia; perché si annet-te importanza ai suoi giudizi, alle sue ammissioni.L’opposizione esiste, l’opposizione conta. Un preteso ri-conoscimento dell’opposizione vale agli occhi del ducepiù di un omaggio di folla o di un indirizzo dell’Accade-mia d’Italia.

Il «Popolo d’Italia» ha infiniti abbonati e inserzionistid’obbligo, ma pochissimi lettori. Ogni ditta, ogni societàcapitalista è abbonata a dieci, a cento, cinquecento copieche passa al macero, lieta di garantire così, assieme albilancio della famiglia Mussolini, il proprio bilancio.

Tuttavia tra i lettori ci saranno pure dei giovani fasci-sti, delle anime candide e ignare, allevate in una visionestereotipa dell’antifascismo. A leggere quei periodiasciutti di G. L., dove è detto pane al pane e vino al vinoe si parla di ideali e si afferma l’esistenza di una nuovaopposizione, che avranno quei giovani pensato?

Avranno pensato:— Ci sono dunque, qui o per il vasto mondo, degli

italiani che non sono fascisti, che non sono neppure an-tifascisti vecchio stampo, italiani refrattari all’epidemia

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imperiale, che credono a un ideale di emancipazioneumana, che per questo ideale sono stati capaci di andarein galera, o di troncare vita e carriera facendo la fame inesilio. Chi sono? Che fanno? Che pensano? Quanti annihanno?

Trenta, venti anni.Si può dunque aver venti anni e non essere fascisti?Sì. Ed è l’unico modo di avere venti anni. Mussolini a

venti anni era sovversivo.Esisteva prima del fascismo, questa «Giustizia e Li-

bertà»?No. È nata dopo. È il frutto della rivolta. È l’anima

della rivolta. Vuole essere l’anima della rivoluzione li-beratrice di domani.

Perché è sorta? Perché continua? Guardati intorno, giovane italiano. Vedi la miseria,

l’avvilimento, l’ipocrisia regnanti; il vuoto di ideali del-la società italiana; questa indifferenza fonda, questoscetticismo straripante; l’una gente che impera mentrel’altra langue; il posto che occupa a parole e il posto chenon occupa a fatti, nella produzione, nella politica, nellavita civile, l’operaio, il contadino, l’intellettuale libero;il posto tuo, se ti arrischi ad agire o pensare con la tuatesta, l’orizzonte che ti si apre in Italia e anche in colo-nia, se non hai la fortuna di trovarti a capotavola. Scan-daglia la tua coscienza. Non c’è letizia; non fermento nésperanza. Vegeti come una pianta artificiale senza radi-ci. Sei un giovane tragicamente vecchio cui in nomedella giovinezza è commesso di tenere in piedi le cose

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imperiale, che credono a un ideale di emancipazioneumana, che per questo ideale sono stati capaci di andarein galera, o di troncare vita e carriera facendo la fame inesilio. Chi sono? Che fanno? Che pensano? Quanti annihanno?

Trenta, venti anni.Si può dunque aver venti anni e non essere fascisti?Sì. Ed è l’unico modo di avere venti anni. Mussolini a

venti anni era sovversivo.Esisteva prima del fascismo, questa «Giustizia e Li-

bertà»?No. È nata dopo. È il frutto della rivolta. È l’anima

della rivolta. Vuole essere l’anima della rivoluzione li-beratrice di domani.

Perché è sorta? Perché continua? Guardati intorno, giovane italiano. Vedi la miseria,

l’avvilimento, l’ipocrisia regnanti; il vuoto di ideali del-la società italiana; questa indifferenza fonda, questoscetticismo straripante; l’una gente che impera mentrel’altra langue; il posto che occupa a parole e il posto chenon occupa a fatti, nella produzione, nella politica, nellavita civile, l’operaio, il contadino, l’intellettuale libero;il posto tuo, se ti arrischi ad agire o pensare con la tuatesta, l’orizzonte che ti si apre in Italia e anche in colo-nia, se non hai la fortuna di trovarti a capotavola. Scan-daglia la tua coscienza. Non c’è letizia; non fermento nésperanza. Vegeti come una pianta artificiale senza radi-ci. Sei un giovane tragicamente vecchio cui in nomedella giovinezza è commesso di tenere in piedi le cose

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più vecchie di tutti i tempi: la chiesa, il monarcato, il pa-dronato, il culto di Roma – e una vecchia classe di spe-culatori del combattentismo che non cederanno il postoai nuovi combattenti d’Africa.

Scuoti le catene di dosso, giovane italiano. Conosce-rai la bellezza del non conformismo e di una lotta auten-tica. La dignità di una vita libera e responsabile, l’ansiadell’esplorazione nel misterioso futuro. Perderai un im-pero di cartapesta, ma, come il proletario del «Manifestodei comunisti», avrai tutto un mondo da conquistare, ilmondo dei giusti, degli eguali, il mondo del comunismoliberale, del socialismo umanista, il mondo della co-scienza, il mondo per cui lotta «Giustizia e Libertà»,movimento rivoluzionario antifascista.

L’Italia del duce.Ci rivolgiamo ora a lui, al duce. Non è retorico il dia-

logo. Da lunga pezza sapevamo che ci seguiva con cu-riosità non scevra di preoccupazione. Ora ce ne fornisceuna prova piccola ma significativa.

Che cosa sperava il duce di ricavare dalla nostra mor-te politica?

Nulla potrebbe ottenere. Nell’ipotesi assurda che noicadessimo, altri prenderebbe il nostro posto.

Non sente il duce la volgarità estrema di quel suo tito-lo interpretativo: «Resa a discrezione», che implica resadi italiani ad altri italiani?

L’ideale del duce, nell’ora della vittoria africana e deldelirio unanimistico, sarebbe di poter dire che neppure

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più vecchie di tutti i tempi: la chiesa, il monarcato, il pa-dronato, il culto di Roma – e una vecchia classe di spe-culatori del combattentismo che non cederanno il postoai nuovi combattenti d’Africa.

Scuoti le catene di dosso, giovane italiano. Conosce-rai la bellezza del non conformismo e di una lotta auten-tica. La dignità di una vita libera e responsabile, l’ansiadell’esplorazione nel misterioso futuro. Perderai un im-pero di cartapesta, ma, come il proletario del «Manifestodei comunisti», avrai tutto un mondo da conquistare, ilmondo dei giusti, degli eguali, il mondo del comunismoliberale, del socialismo umanista, il mondo della co-scienza, il mondo per cui lotta «Giustizia e Libertà»,movimento rivoluzionario antifascista.

L’Italia del duce.Ci rivolgiamo ora a lui, al duce. Non è retorico il dia-

logo. Da lunga pezza sapevamo che ci seguiva con cu-riosità non scevra di preoccupazione. Ora ce ne fornisceuna prova piccola ma significativa.

Che cosa sperava il duce di ricavare dalla nostra mor-te politica?

Nulla potrebbe ottenere. Nell’ipotesi assurda che noicadessimo, altri prenderebbe il nostro posto.

Non sente il duce la volgarità estrema di quel suo tito-lo interpretativo: «Resa a discrezione», che implica resadi italiani ad altri italiani?

L’ideale del duce, nell’ora della vittoria africana e deldelirio unanimistico, sarebbe di poter dire che neppure

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un gruppo di italiani serbò fede nei principii che sospin-sero l’umanità nella sua storia: l’Italia a farsi nazione, ilproletariato a lottare per emanciparsi, lui stesso a ribel-larsi nei suoi giovani anni: fede nella libertà, nella giu-stizia, nella possibilità per il nostro popolo di riscattarsie di vivere autonomo e dignitoso, senza duci né tiranni,senza tribunali speciali né grandi feudali dell’industria edella terra, senza censura, senza lustrascarpe accademicie suburra che invade il Palatino.

Quanto pagherebbe il duce per avere anche noi dietroil suo carro, a dire che ci sbagliammo, che i principii peri quali lottammo erano falsi e che ora non resta che li-quidare a buon mercato, con la promessa di un postonell’ovile, come Bombacci, come Labriola.

Finché noi restiamo, finché noi lottiamo, resta il ri-morso, resta la vergogna. Noi siamo la rivincita esternadella sua coscienza, l’interrogativo dell’avvenire.

Che Italia lurida e vile ha in mente il duce, dove iltradimento assurge a imperativo categorico! Il sillogi-smo ufficiale è questo: «Il duce ha tradito. Ma il duce hasempre ragione. Dunque tutti possono e debbono tradireimpunemente». Ché dove tutti tradiscono, nessuno tradi-sce.

Se anche pochi, invece, rifiutano, l’unanimità è rotta.La coscienza riprende i suoi diritti. La morale anche. Econ la morale la storia. E con la storia la lotta politica.

Il totalitarismo fascista, estremo tentativo di salvezzadi una classe finita, si rivela sul terreno morale comealibi di coscienza.

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un gruppo di italiani serbò fede nei principii che sospin-sero l’umanità nella sua storia: l’Italia a farsi nazione, ilproletariato a lottare per emanciparsi, lui stesso a ribel-larsi nei suoi giovani anni: fede nella libertà, nella giu-stizia, nella possibilità per il nostro popolo di riscattarsie di vivere autonomo e dignitoso, senza duci né tiranni,senza tribunali speciali né grandi feudali dell’industria edella terra, senza censura, senza lustrascarpe accademicie suburra che invade il Palatino.

Quanto pagherebbe il duce per avere anche noi dietroil suo carro, a dire che ci sbagliammo, che i principii peri quali lottammo erano falsi e che ora non resta che li-quidare a buon mercato, con la promessa di un postonell’ovile, come Bombacci, come Labriola.

Finché noi restiamo, finché noi lottiamo, resta il ri-morso, resta la vergogna. Noi siamo la rivincita esternadella sua coscienza, l’interrogativo dell’avvenire.

Che Italia lurida e vile ha in mente il duce, dove iltradimento assurge a imperativo categorico! Il sillogi-smo ufficiale è questo: «Il duce ha tradito. Ma il duce hasempre ragione. Dunque tutti possono e debbono tradireimpunemente». Ché dove tutti tradiscono, nessuno tradi-sce.

Se anche pochi, invece, rifiutano, l’unanimità è rotta.La coscienza riprende i suoi diritti. La morale anche. Econ la morale la storia. E con la storia la lotta politica.

Il totalitarismo fascista, estremo tentativo di salvezzadi una classe finita, si rivela sul terreno morale comealibi di coscienza.

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No. Noi non tradiremo. Né ci arrenderemo a discre-zione.

Un periodo finisce. Un altro se ne apre. Ma la lottacontinua.

Il problema dell’emigrazione politica.All’uomo che aspira a riassumere in sé l’Italia non di-

fetta solo la grandezza autentica; difetta perfino la capa-cità di adeguare lo stile al suo effimero successo.

Mentre noi ci sforziamo di dare una serietà e perfinodi scoprire una ragione teorica al fascismo, rifiutandociai motteggi e alle ironie delle quali si compiacque peranni la piccola opposizione, il duce del fascismo nonriesce a vedere nei suoi oppositori che male copie sue edei suoi servi, Fracassa e Stenterelli, gente di baccano edi forchetta, che corron dietro il vento e la corrente.

Volete grande il fascismo? Auguratevi una grande op-posizione. Rimpicciolendo noi, rimpicciolite voi stessi.

Affermate di possedere ormai non solo la forza, mal’entusiastico consenso delle moltitudini. Animo, dun-que. Questa è l’ora, per il vecchio sovversivo, dopoquattordici anni di potere assoluto, di fornire le provedecisive.

Non è con l’amnistia che ci riavrete. La liberazionedei prigionieri è una conseguenza elementare. Chi per lanascita di una femminuccia regale spalancò alcune celle,per la fondazione dell’impero avrebbe già dovuto spa-lancarle tutte.

Il problema dell’emigrazione politica può essere ri-

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No. Noi non tradiremo. Né ci arrenderemo a discre-zione.

Un periodo finisce. Un altro se ne apre. Ma la lottacontinua.

Il problema dell’emigrazione politica.All’uomo che aspira a riassumere in sé l’Italia non di-

fetta solo la grandezza autentica; difetta perfino la capa-cità di adeguare lo stile al suo effimero successo.

Mentre noi ci sforziamo di dare una serietà e perfinodi scoprire una ragione teorica al fascismo, rifiutandociai motteggi e alle ironie delle quali si compiacque peranni la piccola opposizione, il duce del fascismo nonriesce a vedere nei suoi oppositori che male copie sue edei suoi servi, Fracassa e Stenterelli, gente di baccano edi forchetta, che corron dietro il vento e la corrente.

Volete grande il fascismo? Auguratevi una grande op-posizione. Rimpicciolendo noi, rimpicciolite voi stessi.

Affermate di possedere ormai non solo la forza, mal’entusiastico consenso delle moltitudini. Animo, dun-que. Questa è l’ora, per il vecchio sovversivo, dopoquattordici anni di potere assoluto, di fornire le provedecisive.

Non è con l’amnistia che ci riavrete. La liberazionedei prigionieri è una conseguenza elementare. Chi per lanascita di una femminuccia regale spalancò alcune celle,per la fondazione dell’impero avrebbe già dovuto spa-lancarle tutte.

Il problema dell’emigrazione politica può essere ri-

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solto in un modo solo: col ritorno alla libertà, o almenoa una possibilità di effettiva lotta politica. Ma non sieteabbastanza forte, né abbastanza coraggioso per tentarlo.Il totalitarismo fascista scaturisce da una insopprimibilenecessità di difesa.

Si spalanchino le prigioni, si sgombrino le isole, sisopprima il Tribunale Speciale, si cancellino i decreti dieccezione travasati nel codice Rocco, si ammettaun’opposizione indipendente e libera che sia in grado diproporre agli italiani, in uno stato non più totalitario, al-tri ideali e altre organizzazioni da quelli ufficiali. Moltiallora rientrerebbero, non già per arrendersi, bensì percombattere a viso aperto, con nuovi rischi, se occorre, dirappresaglie e di galera, quella lotta che altrimenti noisiamo decisi a proseguire fino alla morte nell’illegalità enell’esilio.

Non è la nostalgia della terra dove nascemmo che cifa soffrire. È la nostalgia della lotta. Soffriamo di questalontananza, di queste lotte a distanza, di questa inegua-glianza tremenda. Il massimo delitto del fascismo appa-rirà un giorno quello di avere costretto al silenzio eall’inazione, oppure alla ribellione suprema, le energiepiù maschie e libere, gli uomini che di ogni paese costi-tuiscono il lievito, il fermento attivo e progressivo. Perdieci che lottano in Italia, mille piegano e si rassegnano.In zone immense non cresce né grano né gramigna: terreincolte, desertiche.

Pure, questo è il destino e noi lo accettiamo con sere-nità e con sicura fede nel domani.

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solto in un modo solo: col ritorno alla libertà, o almenoa una possibilità di effettiva lotta politica. Ma non sieteabbastanza forte, né abbastanza coraggioso per tentarlo.Il totalitarismo fascista scaturisce da una insopprimibilenecessità di difesa.

Si spalanchino le prigioni, si sgombrino le isole, sisopprima il Tribunale Speciale, si cancellino i decreti dieccezione travasati nel codice Rocco, si ammettaun’opposizione indipendente e libera che sia in grado diproporre agli italiani, in uno stato non più totalitario, al-tri ideali e altre organizzazioni da quelli ufficiali. Moltiallora rientrerebbero, non già per arrendersi, bensì percombattere a viso aperto, con nuovi rischi, se occorre, dirappresaglie e di galera, quella lotta che altrimenti noisiamo decisi a proseguire fino alla morte nell’illegalità enell’esilio.

Non è la nostalgia della terra dove nascemmo che cifa soffrire. È la nostalgia della lotta. Soffriamo di questalontananza, di queste lotte a distanza, di questa inegua-glianza tremenda. Il massimo delitto del fascismo appa-rirà un giorno quello di avere costretto al silenzio eall’inazione, oppure alla ribellione suprema, le energiepiù maschie e libere, gli uomini che di ogni paese costi-tuiscono il lievito, il fermento attivo e progressivo. Perdieci che lottano in Italia, mille piegano e si rassegnano.In zone immense non cresce né grano né gramigna: terreincolte, desertiche.

Pure, questo è il destino e noi lo accettiamo con sere-nità e con sicura fede nel domani.

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Sappiamo che la libertà non si dona: si conquista. Dadentro: non da fuori. Fuori si può aiutare un popolo, nonsostituirsi ad esso.

A conquistare la nuova libertà italiana dovrà essere ilpopolo italiano, la nuova generazione che presto scopri-rà la contraddizione mortale di questo impero compostonon di cittadini ma di servi.

La nostra missione è quella di tener duro quando tutticedono: di alzare la fiaccola dell’ideale nella notte checirconda; di anticipare con l’intelligenza e l’azionel’immancabile futuro.

Sfidiamo il duce a riprodurre sui suoi giornali questaultima breve frase di «Giustizia e Libertà».

Se non la riproduce, resterà confermata la speculazio-ne indegna.

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Sappiamo che la libertà non si dona: si conquista. Dadentro: non da fuori. Fuori si può aiutare un popolo, nonsostituirsi ad esso.

A conquistare la nuova libertà italiana dovrà essere ilpopolo italiano, la nuova generazione che presto scopri-rà la contraddizione mortale di questo impero compostonon di cittadini ma di servi.

La nostra missione è quella di tener duro quando tutticedono: di alzare la fiaccola dell’ideale nella notte checirconda; di anticipare con l’intelligenza e l’azionel’immancabile futuro.

Sfidiamo il duce a riprodurre sui suoi giornali questaultima breve frase di «Giustizia e Libertà».

Se non la riproduce, resterà confermata la speculazio-ne indegna.

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59 ANNI DI GALERA AGLI INTELLETTUALI PIE-MONTESI ACCUSATI DI APPARTENERE A «G. L.»*

Prof. Giua 15 anni – Avv. Foà 15 anni – Dott. Massi-mo Mila 8 anni – Perelli, padre e figlio, 8 anni ciascuno– Prof. Augusto Monti 5 anni. – Stupendo contegno de-gli imputati.

La stampa fascista ignora il processo, mentre annun-cia la medaglia d’argento ai figli del duce “per valoreassoluto”.

Io vidi gente sotto infino al ciglio,E il gran centauro disse: E’ son tiranniChe dier nel sangue e nell’aver di piglio:

Quivi si piangon li spietati danni.Dante, Inferno, Canto XII

(Nel primo girone del settimo cerchio il poeta colloca i violenticontro il prossimo immersi nel sangue bollente).

Un processo impressionante! Stupendo e orribile in-sieme. L’Italia sbirra, borbonica, ducesca, contro l’Italialibera e fiera. Fascisti illusi, invertebrati, accecati, checredete che l’eroismo stia in Africa, giù il cappello di-nanzi a questi eroi autentici, fatti pallidi dalla prigionianella cella senza sole e senz’aria in cui il vostro duce, la

* Da «Giustizia e Libertà»: 20 marzo 1936.

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59 ANNI DI GALERA AGLI INTELLETTUALI PIE-MONTESI ACCUSATI DI APPARTENERE A «G. L.»*

Prof. Giua 15 anni – Avv. Foà 15 anni – Dott. Massi-mo Mila 8 anni – Perelli, padre e figlio, 8 anni ciascuno– Prof. Augusto Monti 5 anni. – Stupendo contegno de-gli imputati.

La stampa fascista ignora il processo, mentre annun-cia la medaglia d’argento ai figli del duce “per valoreassoluto”.

Io vidi gente sotto infino al ciglio,E il gran centauro disse: E’ son tiranniChe dier nel sangue e nell’aver di piglio:

Quivi si piangon li spietati danni.Dante, Inferno, Canto XII

(Nel primo girone del settimo cerchio il poeta colloca i violenticontro il prossimo immersi nel sangue bollente).

Un processo impressionante! Stupendo e orribile in-sieme. L’Italia sbirra, borbonica, ducesca, contro l’Italialibera e fiera. Fascisti illusi, invertebrati, accecati, checredete che l’eroismo stia in Africa, giù il cappello di-nanzi a questi eroi autentici, fatti pallidi dalla prigionianella cella senza sole e senz’aria in cui il vostro duce, la

* Da «Giustizia e Libertà»: 20 marzo 1936.

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vostra polizia li rinchiude per anni ed anni, sino alla tur-bercolosi e, per alcuni, alla morte. Giù il cappello.

Ecco qua, un padre: Michele Giua. Quarantacinqueanni, professore universitario. Arrivato, arrivatissimo, afuria non di inchini e servilismi, ma di sgobbo in biblio-teca e in laboratorio, e, in guerra, di rischi. Fronte au-striaco, non fronte abissino.

I suoi peccati mortali? Questi: aver rifiutato il giura-mento, aver distrutto «la carriera». Avere un figlio che sipermette, in liceo, anno IX, di andare in galera. Aver vi-sitato questo figlio in esilio. Avere scritto al figlio. Ave-re visto gli amici di questo figlio.

Quindici anni! E con lui arrestata la moglie per unmese intero, la madre di due figli piccoletti rimasti soli acasa.

Giua fa coppia con un giovane trentenne, VittorioFoà. Giurista, economista, ha osservato sul vivo, nel fat-to, l’ingiustizia fatta al lavoratore. La macchina del regi-me egli l’ha vista funzionare nei dettagli, con quegli oc-chi che è così difficile, in Italia, tener aperti.

Non organizzazione, non cospirazione, non attentati.Povero, Vittorio Foà lavorava da mane a sera. Arrestaro-no lui, il fratello, il padre. Il fratello ha perduto il posto;lui, 15 anni.

E fanno 30.Massimo Mila. Un giovane dall’apparenza esile, fine,

anima delicata di poeta e di musicista, alpinista, accade-mico – oh, Italiani sportivi e guerrieri –, autore, a venti-quattro anni, d’un libro sul melodramma verdiano che lo

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vostra polizia li rinchiude per anni ed anni, sino alla tur-bercolosi e, per alcuni, alla morte. Giù il cappello.

Ecco qua, un padre: Michele Giua. Quarantacinqueanni, professore universitario. Arrivato, arrivatissimo, afuria non di inchini e servilismi, ma di sgobbo in biblio-teca e in laboratorio, e, in guerra, di rischi. Fronte au-striaco, non fronte abissino.

I suoi peccati mortali? Questi: aver rifiutato il giura-mento, aver distrutto «la carriera». Avere un figlio che sipermette, in liceo, anno IX, di andare in galera. Aver vi-sitato questo figlio in esilio. Avere scritto al figlio. Ave-re visto gli amici di questo figlio.

Quindici anni! E con lui arrestata la moglie per unmese intero, la madre di due figli piccoletti rimasti soli acasa.

Giua fa coppia con un giovane trentenne, VittorioFoà. Giurista, economista, ha osservato sul vivo, nel fat-to, l’ingiustizia fatta al lavoratore. La macchina del regi-me egli l’ha vista funzionare nei dettagli, con quegli oc-chi che è così difficile, in Italia, tener aperti.

Non organizzazione, non cospirazione, non attentati.Povero, Vittorio Foà lavorava da mane a sera. Arrestaro-no lui, il fratello, il padre. Il fratello ha perduto il posto;lui, 15 anni.

E fanno 30.Massimo Mila. Un giovane dall’apparenza esile, fine,

anima delicata di poeta e di musicista, alpinista, accade-mico – oh, Italiani sportivi e guerrieri –, autore, a venti-quattro anni, d’un libro sul melodramma verdiano che lo

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rivelava uno dei primi critici musicali e scrittori d’Italia.Sì, Massimo Mila aveva conosciuto da giovanissimoGobetti e la famiglia di «Rivoluzione Liberale». Sì,Massimo Mila aveva per amici degli antifascisti, perchénon poteva avere che amici intelligenti. Dallo stato tota-litario evadeva sulle ali della musica. Sgobbava per vi-vere, con la mamma e la sorella a carico, dando lezioni,redigendo enciclopedie, sempre sereno e dolce, con quelnon so che di cherubino.

Otto anni, gli avete dato.E fanno 38.I Perelli, figlio e babbo. Il babbo impiegato di prefet-

tura nella città provinciale, Cuneo. Il figlio segnatocome pecora nera era stato processato e assolto dal Tri-bunale Speciale, dopo sei mesi di prevenzione nel 1932.

Sedici anni a una famiglia. Sedici anni di galera.E fanno 54.Monti. Sa Mussolini chi è Augusto Monti? Lo chieda

ad Agnelli. La coscienza più pura, più nobile di Torino.Alla sua scuola è passata l’aristocrazia dell’ingegno.Monti è l’Alain italiano. Scrittore, poeta, combattente.Adorava la scuola. A cinquant’anni la dovette lasciare,perché non respirava più. Viveva dando lezione ai figlidi Agnelli – sì, di Agnelli – e scrivendo libri tersi comegioielli. Riceveva di quando in quando i vecchi allievi.E certo l’esempio di dignità era contagioso. Mais faut-ildonc mourir pour prouver que l’on est sincère? Arresta-re Monti è come arrestare Alain in Francia, Mellon inInghilterra. Alain coltiva i fiori del suo giardino e scrive

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rivelava uno dei primi critici musicali e scrittori d’Italia.Sì, Massimo Mila aveva conosciuto da giovanissimoGobetti e la famiglia di «Rivoluzione Liberale». Sì,Massimo Mila aveva per amici degli antifascisti, perchénon poteva avere che amici intelligenti. Dallo stato tota-litario evadeva sulle ali della musica. Sgobbava per vi-vere, con la mamma e la sorella a carico, dando lezioni,redigendo enciclopedie, sempre sereno e dolce, con quelnon so che di cherubino.

Otto anni, gli avete dato.E fanno 38.I Perelli, figlio e babbo. Il babbo impiegato di prefet-

tura nella città provinciale, Cuneo. Il figlio segnatocome pecora nera era stato processato e assolto dal Tri-bunale Speciale, dopo sei mesi di prevenzione nel 1932.

Sedici anni a una famiglia. Sedici anni di galera.E fanno 54.Monti. Sa Mussolini chi è Augusto Monti? Lo chieda

ad Agnelli. La coscienza più pura, più nobile di Torino.Alla sua scuola è passata l’aristocrazia dell’ingegno.Monti è l’Alain italiano. Scrittore, poeta, combattente.Adorava la scuola. A cinquant’anni la dovette lasciare,perché non respirava più. Viveva dando lezione ai figlidi Agnelli – sì, di Agnelli – e scrivendo libri tersi comegioielli. Riceveva di quando in quando i vecchi allievi.E certo l’esempio di dignità era contagioso. Mais faut-ildonc mourir pour prouver que l’on est sincère? Arresta-re Monti è come arrestare Alain in Francia, Mellon inInghilterra. Alain coltiva i fiori del suo giardino e scrive

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«Propos». Monti, lo avete incatenato per cinque anni.E fanno 59.Non erano, no, solertissima «OVRA», costoro dei rivo-

luzionari professionali. G. L. ha avuto ed ha nelle suefile rivoluzionari per temperamento e capacità. Ma nonsono questi. Questi sono il fiore dell’intelligenza italia-na, gli uomini che danno a un paese l’aria, la luce mora-le e intellettuale. L’anima della patria, le speranze dellapatria.

Sono antifascisti perché il pensiero non può essere fa-scista, perché l’intelligenza non può sacrificare all’irra-zionale. Sono antifascisti perché la dignità non può tol-lerare la visione del tiranno e della folla incatenata oubriaca che sfila tristemente in parata od osanna.

Sono uomini liberi. Il loro crimine è di non saper vi-vere nello stato totalitario, di non avere la schiena fatta ascala mobile. Delitto di stato? Certo. Ma delitto che sen-za conseguenze, e, anzi, con molti applausi e favori,commisero per vent’anni, il caro Duce, e il babbo delDuce, e il fratello del Duce, e tutta la famiglia dei Duci,ducini, sottoduci, sovversivi rientrati, che han messogiudizio, pancia e vettura. E ora, con la benedizione deivescovi, predicano l’ordine e condannano a pene mo-struose Pesenti, Guernandi, Rossi, Bauer, Cianca equanti (quanti, solo lui, il Duce, lo sa), che da dieci annivegetano nel nucleo vitale dello stato fascista, la galera.

Non rivoluzionari professionali, ma intellettuali strap-pati ai libri, agli affetti, a qualche raro compagno. C’era-no forse, tra questi compagni, anche degli operai, di

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«Propos». Monti, lo avete incatenato per cinque anni.E fanno 59.Non erano, no, solertissima «OVRA», costoro dei rivo-

luzionari professionali. G. L. ha avuto ed ha nelle suefile rivoluzionari per temperamento e capacità. Ma nonsono questi. Questi sono il fiore dell’intelligenza italia-na, gli uomini che danno a un paese l’aria, la luce mora-le e intellettuale. L’anima della patria, le speranze dellapatria.

Sono antifascisti perché il pensiero non può essere fa-scista, perché l’intelligenza non può sacrificare all’irra-zionale. Sono antifascisti perché la dignità non può tol-lerare la visione del tiranno e della folla incatenata oubriaca che sfila tristemente in parata od osanna.

Sono uomini liberi. Il loro crimine è di non saper vi-vere nello stato totalitario, di non avere la schiena fatta ascala mobile. Delitto di stato? Certo. Ma delitto che sen-za conseguenze, e, anzi, con molti applausi e favori,commisero per vent’anni, il caro Duce, e il babbo delDuce, e il fratello del Duce, e tutta la famiglia dei Duci,ducini, sottoduci, sovversivi rientrati, che han messogiudizio, pancia e vettura. E ora, con la benedizione deivescovi, predicano l’ordine e condannano a pene mo-struose Pesenti, Guernandi, Rossi, Bauer, Cianca equanti (quanti, solo lui, il Duce, lo sa), che da dieci annivegetano nel nucleo vitale dello stato fascista, la galera.

Non rivoluzionari professionali, ma intellettuali strap-pati ai libri, agli affetti, a qualche raro compagno. C’era-no forse, tra questi compagni, anche degli operai, di

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quelli che a lavorare a catena imparano a odiare tutte lecatene e prima fra tutte quella che fa di un operaio mo-derno un paria sociale. E certo queste confidenze quantomai innocenti tra intellettuale e operaio eran segnate sullibro nero della Imperial Regia Questura fascista di To-rino, dove l’ideale degli ideali è di far vivere tutta Tori-no in catena come alla Fiat, senatore Agnelli, Thaon diRevel e altri pochi esclusi.

E ora sentite il processo. Una cosa straordinaria, nonunica, ma certo rara nel salone pesante di quel Palazzodi Giustizia che, costruito a forza di scandali e di frodi,la frode, lo scandalo supremo doveva ospitare, il Tribu-nale Speciale.

Due giorni è durato il processo: 27 e 28 febbraio.Tutti gli imputati, salvo lo Zanetti, assolto, si sono

portati magnificamente, ciascuno assumendo tutte le sueresponsabilità, e ciascuno cercando di scaricarne gli al-tri. Ma erano così poche, piccole, modeste quelle re-sponsabilità, che l’accusa annaspava.

Agli sciagurati in montura che giudicavano apparivastrana, incomprensibile la sproporzione tra la piccolezzadelle accuse e il contegno fierissimo, diritto, degli accu-sati.

— Non avete fatto che questo?— Sì, non ho fatto che questo. Ma sono antifascista.

Ma credo nella libertà.Così, senza pose, senza iattanze.E allora l’accusa, per tenere in piedi il suo edificio di

menzogne o di esagerazioni assurde, precipita nel ridi-

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quelli che a lavorare a catena imparano a odiare tutte lecatene e prima fra tutte quella che fa di un operaio mo-derno un paria sociale. E certo queste confidenze quantomai innocenti tra intellettuale e operaio eran segnate sullibro nero della Imperial Regia Questura fascista di To-rino, dove l’ideale degli ideali è di far vivere tutta Tori-no in catena come alla Fiat, senatore Agnelli, Thaon diRevel e altri pochi esclusi.

E ora sentite il processo. Una cosa straordinaria, nonunica, ma certo rara nel salone pesante di quel Palazzodi Giustizia che, costruito a forza di scandali e di frodi,la frode, lo scandalo supremo doveva ospitare, il Tribu-nale Speciale.

Due giorni è durato il processo: 27 e 28 febbraio.Tutti gli imputati, salvo lo Zanetti, assolto, si sono

portati magnificamente, ciascuno assumendo tutte le sueresponsabilità, e ciascuno cercando di scaricarne gli al-tri. Ma erano così poche, piccole, modeste quelle re-sponsabilità, che l’accusa annaspava.

Agli sciagurati in montura che giudicavano apparivastrana, incomprensibile la sproporzione tra la piccolezzadelle accuse e il contegno fierissimo, diritto, degli accu-sati.

— Non avete fatto che questo?— Sì, non ho fatto che questo. Ma sono antifascista.

Ma credo nella libertà.Così, senza pose, senza iattanze.E allora l’accusa, per tenere in piedi il suo edificio di

menzogne o di esagerazioni assurde, precipita nel ridi-

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colo, nel miserabile.Contesta, ad esempio, ad Augusto Monti, quando i

Giua padre e madre furono imprigionati, di essere anda-to lui a prendere i bambini, di averli accompagnati ascuola.

— Dunque voi solidarizzavate col padre.Monti non aveva voluto avvocato. Tanto a che serve

l’avvocato, al Tribunale Speciale? Si alzò in piedi e dis-se:

— Certamente l’ho fatto, e me ne onoro. E mi vergo-gno che in un paese che si vanta di essere civile si possaapporre ad accusa di avere avuto pietà di due ragazzi ri-masti soli in casa. Sì, signori: li ho accompagnati ascuola e al cine, e ho rammaricato di non essere più ric-co (è povero come Giobbe, Monti), ché li avrei presi incasa e avrei fatto di più per loro.

I giudici – militari, quasi tutti – erano commossi allelacrime. Così pure il difensore d’ufficio. Nell’aula, vera-mente «sorda e grigia», era passato un soffio di umanità.

La sera del 27 la posizione degli imputati era grande-mente migliorata. Ma il 28 mattina l’accusa torna allacarica. Non potendo colpirli su fatti precisi, li rende re-sponsabili di quanto ha fatto, fa, ha detto e dice «Giusti-zia e Libertà», «questa associazione sovversiva, questogiornale organo di tutti i denigratori dell’Italia all’este-ro, ecc. ecc.». Qualche giudice avrebbe voluto indulge-re.

Ma gli ordini sono gli ordini. Tutti, meno uno, sonocondannati, anche Augusto Monti. Cinquantanove anni

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colo, nel miserabile.Contesta, ad esempio, ad Augusto Monti, quando i

Giua padre e madre furono imprigionati, di essere anda-to lui a prendere i bambini, di averli accompagnati ascuola.

— Dunque voi solidarizzavate col padre.Monti non aveva voluto avvocato. Tanto a che serve

l’avvocato, al Tribunale Speciale? Si alzò in piedi e dis-se:

— Certamente l’ho fatto, e me ne onoro. E mi vergo-gno che in un paese che si vanta di essere civile si possaapporre ad accusa di avere avuto pietà di due ragazzi ri-masti soli in casa. Sì, signori: li ho accompagnati ascuola e al cine, e ho rammaricato di non essere più ric-co (è povero come Giobbe, Monti), ché li avrei presi incasa e avrei fatto di più per loro.

I giudici – militari, quasi tutti – erano commossi allelacrime. Così pure il difensore d’ufficio. Nell’aula, vera-mente «sorda e grigia», era passato un soffio di umanità.

La sera del 27 la posizione degli imputati era grande-mente migliorata. Ma il 28 mattina l’accusa torna allacarica. Non potendo colpirli su fatti precisi, li rende re-sponsabili di quanto ha fatto, fa, ha detto e dice «Giusti-zia e Libertà», «questa associazione sovversiva, questogiornale organo di tutti i denigratori dell’Italia all’este-ro, ecc. ecc.». Qualche giudice avrebbe voluto indulge-re.

Ma gli ordini sono gli ordini. Tutti, meno uno, sonocondannati, anche Augusto Monti. Cinquantanove anni

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per sei imputati. Per Giua il procuratore aveva chiesto24 anni. Il Tribunale li ridusse a 15.

Quindici anni! Lettore, e tu, turista italiano di passag-gio che leggi questo piccolo foglio con qualche appren-sione, e tu, italiano che lo leggi in Italia di nascosto inedizione lillipuziana, riesci a immaginare che cosa si-gnifichino quin-di-ci an-ni di ga-le-ra, per avere amatola libertà? Pensa: alzarsi alle 6, pulire la cella, lavarsi inun catino di coccio infinitesimale, infilarsi la tenuta delcarcerato, aspettare una brodaglia nera che chiamasi caf-fè (da Kaffa, Abissinia), fare i sei passi, andare, e nonsempre, all’aria per un’ora che si riduce spesso a mezzo-ra, rientrare in cella, leggiucchiare un libro – uno allasettimana e della biblioteca del carcere –, poi aspettarela spesa: tre lire al giorno; ma chi le ha? –, e un pappo-ne, una minestra orrenda che deve servirti per tutto ilgiorno, e una forma di pane mal cotto che ti resta nelgozzo, poi- poi-, che cosa fai, carcerato, della tua gior-nata, del pomeriggio eterno che comincia alle 11? Checosa fai? Leggi. Sì, leggi, rileggi, ingurgiti per mesi, peranni. Poter almeno lavorare, come prescrive il codiceRocco. Ma «le leggi son...». Poter almeno scrivere,prendere un appunto. Ma no. Né penna, né lapis, né car-ta sono ammessi. Puoi ritrovarti per qualche ora conqualche compagno. Parli, parli. Poi anche il parlare tistanca. E ti imprigioni nella tua prigione interiore. Allequattro o alle cinque, dopo aver tremato o sudato o spa-simato per la primavera e una fetta di cielo o di stelle,passa il controllo per la seconda, la terza volta. Conti i

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per sei imputati. Per Giua il procuratore aveva chiesto24 anni. Il Tribunale li ridusse a 15.

Quindici anni! Lettore, e tu, turista italiano di passag-gio che leggi questo piccolo foglio con qualche appren-sione, e tu, italiano che lo leggi in Italia di nascosto inedizione lillipuziana, riesci a immaginare che cosa si-gnifichino quin-di-ci an-ni di ga-le-ra, per avere amatola libertà? Pensa: alzarsi alle 6, pulire la cella, lavarsi inun catino di coccio infinitesimale, infilarsi la tenuta delcarcerato, aspettare una brodaglia nera che chiamasi caf-fè (da Kaffa, Abissinia), fare i sei passi, andare, e nonsempre, all’aria per un’ora che si riduce spesso a mezzo-ra, rientrare in cella, leggiucchiare un libro – uno allasettimana e della biblioteca del carcere –, poi aspettarela spesa: tre lire al giorno; ma chi le ha? –, e un pappo-ne, una minestra orrenda che deve servirti per tutto ilgiorno, e una forma di pane mal cotto che ti resta nelgozzo, poi- poi-, che cosa fai, carcerato, della tua gior-nata, del pomeriggio eterno che comincia alle 11? Checosa fai? Leggi. Sì, leggi, rileggi, ingurgiti per mesi, peranni. Poter almeno lavorare, come prescrive il codiceRocco. Ma «le leggi son...». Poter almeno scrivere,prendere un appunto. Ma no. Né penna, né lapis, né car-ta sono ammessi. Puoi ritrovarti per qualche ora conqualche compagno. Parli, parli. Poi anche il parlare tistanca. E ti imprigioni nella tua prigione interiore. Allequattro o alle cinque, dopo aver tremato o sudato o spa-simato per la primavera e una fetta di cielo o di stelle,passa il controllo per la seconda, la terza volta. Conti i

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giorni passati dall’ ultima visita (una al mese), pensi allalettera settimanale. Sogni. Tutto è grigio e attendi. E senon sai attendere, impazzisci. Alla sera ti infili nella tuabranda; guardi, se puoi, le chiazze sul muro bianco spor-co, le iscrizioni dei tuoi predecessori, e preghi il sonnodi venire presto a liberarti.

Ma il sonno stenta tanto a venire, in prigione.E così di seguito, per una, due, tre, quattro, cinque,

sei, sette settimane come nella canzone dei bambini; ecosì di seguito, per mesi e anni.

Eppure, quando a Bauer e a Rossi chiesero se voles-sero domandare la grazia, la risposta fu:

— No.«Dove sventola la bandiera italiana, quivi è la liber-

tà», disse nel primo proclama africano De Bono.Anche a Regina Coeli, a Civitavecchia sventola la

bandiera d’Italia. E le vie d’Italia sono tutte pavesate.Ma la libertà non c’è. La libertà è morta in Italia. E per-ché rinasca, Giua, Foà, Mila, Perelli padre e figlio, Au-gusto Monti hanno accettato senza battere ciglio cin-quantanove anni di galera.

Cari amici e compagni nostri, come siete bravi. Ecome soffriamo di questo esilio e di questa lentezzanell’agire. Ma voi lo sapete, voi ce lo diceste. Lenta, dif-ficile è la rinascita. Perché sia rinascita, deve venire dalpaese, dal popolo, dai giovani.

Verrà.

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giorni passati dall’ ultima visita (una al mese), pensi allalettera settimanale. Sogni. Tutto è grigio e attendi. E senon sai attendere, impazzisci. Alla sera ti infili nella tuabranda; guardi, se puoi, le chiazze sul muro bianco spor-co, le iscrizioni dei tuoi predecessori, e preghi il sonnodi venire presto a liberarti.

Ma il sonno stenta tanto a venire, in prigione.E così di seguito, per una, due, tre, quattro, cinque,

sei, sette settimane come nella canzone dei bambini; ecosì di seguito, per mesi e anni.

Eppure, quando a Bauer e a Rossi chiesero se voles-sero domandare la grazia, la risposta fu:

— No.«Dove sventola la bandiera italiana, quivi è la liber-

tà», disse nel primo proclama africano De Bono.Anche a Regina Coeli, a Civitavecchia sventola la

bandiera d’Italia. E le vie d’Italia sono tutte pavesate.Ma la libertà non c’è. La libertà è morta in Italia. E per-ché rinasca, Giua, Foà, Mila, Perelli padre e figlio, Au-gusto Monti hanno accettato senza battere ciglio cin-quantanove anni di galera.

Cari amici e compagni nostri, come siete bravi. Ecome soffriamo di questo esilio e di questa lentezzanell’agire. Ma voi lo sapete, voi ce lo diceste. Lenta, dif-ficile è la rinascita. Perché sia rinascita, deve venire dalpaese, dal popolo, dai giovani.

Verrà.

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LA GUERRA CHE TORNA*

È triste dover parlare di guerra senza riferirsi al pas-sato. Ed è anche pericoloso, perché si rischia di venirfraintesi e di incorrere nei fulmini dei pacifisti candidi.

I pacifisti candidi trasportano, nell’analisi della situa-zione internazionale, i metodi cari alla Christian Scienceo al dottor Coué. Più la situazione si aggrava, più essi tiimpongono di ripetere: Ça passe.

E... si ça ne passe pas? Se l’edificio della pace crollanelle sue fondamenta? Allora, silenzio. Proibito di con-statare che le fondamenta sono crollate, proibito di direche la guerra, cancellata dal vocabolario, messa fuorilegge dal patto Kellog, ma riapparsa in America e inAsia, ritorna ad essere un’ipotesi possibile, probabile,forse fatale anche in Europa.

Proibito. Perché la pace è prima di tutto fede. E lafede non si discute.

Diffusissima nei paesi anglosassoni, questa sorta dipacifismo ha attraversato recentemente la Manica perinnestarsi in larghi settori della sinistra democratica esocialista in Europa. Siamo sinceri: per impiantarsi in

* Rosselli pubblicò questo articolo pochi mesi dopo l’avvento delnazismo in Germania, nel N.o 9 dei «Quaderni di Giustizia e Li-bertà», rivista del movimento, iniziata nel gennaio 1932.

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LA GUERRA CHE TORNA*

È triste dover parlare di guerra senza riferirsi al pas-sato. Ed è anche pericoloso, perché si rischia di venirfraintesi e di incorrere nei fulmini dei pacifisti candidi.

I pacifisti candidi trasportano, nell’analisi della situa-zione internazionale, i metodi cari alla Christian Scienceo al dottor Coué. Più la situazione si aggrava, più essi tiimpongono di ripetere: Ça passe.

E... si ça ne passe pas? Se l’edificio della pace crollanelle sue fondamenta? Allora, silenzio. Proibito di con-statare che le fondamenta sono crollate, proibito di direche la guerra, cancellata dal vocabolario, messa fuorilegge dal patto Kellog, ma riapparsa in America e inAsia, ritorna ad essere un’ipotesi possibile, probabile,forse fatale anche in Europa.

Proibito. Perché la pace è prima di tutto fede. E lafede non si discute.

Diffusissima nei paesi anglosassoni, questa sorta dipacifismo ha attraversato recentemente la Manica perinnestarsi in larghi settori della sinistra democratica esocialista in Europa. Siamo sinceri: per impiantarsi in

* Rosselli pubblicò questo articolo pochi mesi dopo l’avvento delnazismo in Germania, nel N.o 9 dei «Quaderni di Giustizia e Li-bertà», rivista del movimento, iniziata nel gennaio 1932.

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Francia.La sinistra francese, pur di non constatare il fallimen-

to obbiettivo della sua politica dopo l’avvento hitlerianoe l’uscita clamorosa della Germania dalla Società delleNazioni, preferisce continuare a supporre che la sua po-litica possa ancora, per un miracolo pietoso, trionfare.La sua ostinazione è tanto maggiore quanto più si proce-de dal centro verso l’estrema. Daladier non aveva pro-babilmente illusioni e si limitava a manovrare. Renaudelne conserva un discreto numero. Ma Blum le ha ancorao fa mostra di averle pressoché tutte.

La situazione diventa così paradossale: coloro che piùhanno contribuito a dimostrare che fascismo e guerrasono sinonimi, che la Lega delle Nazioni non può fun-zionare che tra nazioni democratiche, che il disarmomateriale senza disarmo morale è una trappola, che ilcontrollo del disarmo è impossibile senza l’attiva colla-borazione delle organizzazioni operaie libere, che il ca-pitalismo porta nel suo seno la guerra – sono oggi i piùrecisi nel pretendere che si possa nonostante tutto otte-nere una pace seria e un disarmo effettivo con la Germa-nia hitleriana e il fascismo italiano, per non parlare dellealtre dittature europee.

Questa politica pare che si voglia giustificare nelnome di Marx.

Povero Marx.

A costo di essere fraintesi e lapidati vogliamo direquello che tutti hanno sul cuore in Europa da quando

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Francia.La sinistra francese, pur di non constatare il fallimen-

to obbiettivo della sua politica dopo l’avvento hitlerianoe l’uscita clamorosa della Germania dalla Società delleNazioni, preferisce continuare a supporre che la sua po-litica possa ancora, per un miracolo pietoso, trionfare.La sua ostinazione è tanto maggiore quanto più si proce-de dal centro verso l’estrema. Daladier non aveva pro-babilmente illusioni e si limitava a manovrare. Renaudelne conserva un discreto numero. Ma Blum le ha ancorao fa mostra di averle pressoché tutte.

La situazione diventa così paradossale: coloro che piùhanno contribuito a dimostrare che fascismo e guerrasono sinonimi, che la Lega delle Nazioni non può fun-zionare che tra nazioni democratiche, che il disarmomateriale senza disarmo morale è una trappola, che ilcontrollo del disarmo è impossibile senza l’attiva colla-borazione delle organizzazioni operaie libere, che il ca-pitalismo porta nel suo seno la guerra – sono oggi i piùrecisi nel pretendere che si possa nonostante tutto otte-nere una pace seria e un disarmo effettivo con la Germa-nia hitleriana e il fascismo italiano, per non parlare dellealtre dittature europee.

Questa politica pare che si voglia giustificare nelnome di Marx.

Povero Marx.

A costo di essere fraintesi e lapidati vogliamo direquello che tutti hanno sul cuore in Europa da quando

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Hitler comanda in Germania: l’illusione della pace è fi-nita. La meccanica pacifista, ginevrina, è schiantata. Lapace torna ad essere quello che fu sempre nella storia:uno stato negativo e precario, una parentesi tra dueguerre, una guerra, come Clausewitz diceva, che conti-nua sotto forme mutate.

A meno di un capovolgimento totale, la guerra viene,la guerra verrà. Verrà perché è fatale che le stesse causeabbiano a produrre gli stessi effetti, perché milioni digiovani sono allevati nel delirio a volerla, perché i fasci-smi, padroni di mezzo continente, vi saranno trascinaticome alla prova suprema o alla risorsa estrema, perchéla miseria e la fame furono sempre, come Proudhon ciha insegnato, il più potente motivo di guerra, perché lalotta tra fascismo e antifascismo si avvia al giudizio diDio, perché la vecchia Europa – ecco il punto – che cre-devamo seppellita con dieci milioni di morti sui campidi battaglia, risorge.

La Germania di Hitler, è la Germania di Guglielmo II.Quel che le manca in potenza guerresca, le sovrabbondain audacia, in disperazione, in follia. Prima di essere na-zionalsocialista è pangermanista. E il suo socialismo èbene quello che si usava chiamare «di guerra», cioè di-sciplina ferrea imposta a tutte le classi nel campo deiconsumi e dell’indirizzo produttivo. Il piatto unico pre-cede la carta del pane. Quanto ai discorsi pacifisti di Hi-tler, ai tronchi di ulivo offerti goffamente alla Franciaall’indomani del colpo di scena ginevrino, nulla di nuo-vo: Guglielmo II si compiaceva, prima del ’14, di gesti

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Hitler comanda in Germania: l’illusione della pace è fi-nita. La meccanica pacifista, ginevrina, è schiantata. Lapace torna ad essere quello che fu sempre nella storia:uno stato negativo e precario, una parentesi tra dueguerre, una guerra, come Clausewitz diceva, che conti-nua sotto forme mutate.

A meno di un capovolgimento totale, la guerra viene,la guerra verrà. Verrà perché è fatale che le stesse causeabbiano a produrre gli stessi effetti, perché milioni digiovani sono allevati nel delirio a volerla, perché i fasci-smi, padroni di mezzo continente, vi saranno trascinaticome alla prova suprema o alla risorsa estrema, perchéla miseria e la fame furono sempre, come Proudhon ciha insegnato, il più potente motivo di guerra, perché lalotta tra fascismo e antifascismo si avvia al giudizio diDio, perché la vecchia Europa – ecco il punto – che cre-devamo seppellita con dieci milioni di morti sui campidi battaglia, risorge.

La Germania di Hitler, è la Germania di Guglielmo II.Quel che le manca in potenza guerresca, le sovrabbondain audacia, in disperazione, in follia. Prima di essere na-zionalsocialista è pangermanista. E il suo socialismo èbene quello che si usava chiamare «di guerra», cioè di-sciplina ferrea imposta a tutte le classi nel campo deiconsumi e dell’indirizzo produttivo. Il piatto unico pre-cede la carta del pane. Quanto ai discorsi pacifisti di Hi-tler, ai tronchi di ulivo offerti goffamente alla Franciaall’indomani del colpo di scena ginevrino, nulla di nuo-vo: Guglielmo II si compiaceva, prima del ’14, di gesti

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analoghi. Si dice che Guglielmo II non volesse la guerramondiale e addirittura piangesse alla notizia della di-chiarazione di guerra britannica. Probabilmente Hitlerpiangerà alla notizia di tutte le dichiarazioni di guerra.La sua tragedia, la tragedia della Germania, è proprio labuona fede. Se fosse, come il suo inascoltato maestroMussolini, un cinico, potremmo sperare che rinsavisse.Ma non può rinsavire e andrà fino in fondo all’abisso.

Se dalla Germania volgiamo il capo altrove non tro-viamo che inquietitudini e conflitti latenti. Sul Danubiouna lotta decisiva si ingaggia. Alla valanga hitleriana sioppone la vecchia Austria-Ungheria legittimista e rea-zionaria sotto il controllo mussoliniano. Il rimedio starivelandosi peggiore del male. Comunque nél’Anschluss né la restaurazione asburgica sono concepi-bili senza guerra.

Nei Balcani, bulgari, albanesi, croati, macedoni atten-dono l’occasione propizia per vendicarsi dei torti subitie delle oppressioni crescenti.

La Russia, dopo sedici anni di rivoluzione, premutadal Giappone e da Hitler, riprecipita nell’alleanza fran-cese, quasi a dimostrare che neppure un così grande ca-povolgimento sociale la sottrae al magnetismo dei vec-chi rapporti di forza.

L’Inghilterra, divisa tra l’Europa e l’impero, fino aieri filotedesca ma oggi filofrancese per conservazione eragionamento, che tutto subordina all’accordo con gliStati Uniti e alla ripresa dei suoi commerci, è incapacedi una politica decisa. In caso di complicazioni la ritro-

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analoghi. Si dice che Guglielmo II non volesse la guerramondiale e addirittura piangesse alla notizia della di-chiarazione di guerra britannica. Probabilmente Hitlerpiangerà alla notizia di tutte le dichiarazioni di guerra.La sua tragedia, la tragedia della Germania, è proprio labuona fede. Se fosse, come il suo inascoltato maestroMussolini, un cinico, potremmo sperare che rinsavisse.Ma non può rinsavire e andrà fino in fondo all’abisso.

Se dalla Germania volgiamo il capo altrove non tro-viamo che inquietitudini e conflitti latenti. Sul Danubiouna lotta decisiva si ingaggia. Alla valanga hitleriana sioppone la vecchia Austria-Ungheria legittimista e rea-zionaria sotto il controllo mussoliniano. Il rimedio starivelandosi peggiore del male. Comunque nél’Anschluss né la restaurazione asburgica sono concepi-bili senza guerra.

Nei Balcani, bulgari, albanesi, croati, macedoni atten-dono l’occasione propizia per vendicarsi dei torti subitie delle oppressioni crescenti.

La Russia, dopo sedici anni di rivoluzione, premutadal Giappone e da Hitler, riprecipita nell’alleanza fran-cese, quasi a dimostrare che neppure un così grande ca-povolgimento sociale la sottrae al magnetismo dei vec-chi rapporti di forza.

L’Inghilterra, divisa tra l’Europa e l’impero, fino aieri filotedesca ma oggi filofrancese per conservazione eragionamento, che tutto subordina all’accordo con gliStati Uniti e alla ripresa dei suoi commerci, è incapacedi una politica decisa. In caso di complicazioni la ritro-

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veremo sulle stesse posizioni del 1914. Rimarrà esitantefino all’ultimo istante, nella speranza di poter arbitrare,limitare e magari sfruttare il conflitto, certo rendendoloancora più certo col suo atteggiamento enigmatico. Enell’attesa aumenterà le sue flotte sul mare e nell’aria.

La Francia, prudente e calma, che a pezzi e bocconiaveva concesso alla Germania democratica un lento ri-sorgere e che ora solo si apprestava, in faccia alla Ger-mania hitleriana (ironia della storia!), a distruggere conun’audace politica di disarmo le clausole militari delTrattato di Versailles, è risospinta alla intransigenza to-tale, alla politica dello stato maggiore.

Quanto all’Italia fascista, responsabile primadell’immenso rigurgito, dopo aver provocato, sobillato,ricattato, ora paventa lo scatenarsi delle forze elementariche travolgeranno con sé l’Europa. Mussolini non è Bi-smark. Ama il piccolo giuoco e la vincita certa. Al mo-mento dello scoppio lo vedremo tremare e accodarsi,come sempre, all’Inghilterra.

Rinasce, contro tutte le volontà, l’Intesa. Rinasce laTriplice. Fallisce il disarmo, fallisce la Lega delle Na-zioni; saltano i Patti Kellog e Mussolini; e Locarno ri-torna ad essere una città sul Lago Maggiore...

Invano nei mesi venturi le cancellerie, gli esperti, idittatori si affanneranno per ristabilire un ordine nelvecchio continente sconvolto. A meno di eventi impre-vedibili, di crolli verticali di regimi, l’inevitabile, laguerra, verrà.

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veremo sulle stesse posizioni del 1914. Rimarrà esitantefino all’ultimo istante, nella speranza di poter arbitrare,limitare e magari sfruttare il conflitto, certo rendendoloancora più certo col suo atteggiamento enigmatico. Enell’attesa aumenterà le sue flotte sul mare e nell’aria.

La Francia, prudente e calma, che a pezzi e bocconiaveva concesso alla Germania democratica un lento ri-sorgere e che ora solo si apprestava, in faccia alla Ger-mania hitleriana (ironia della storia!), a distruggere conun’audace politica di disarmo le clausole militari delTrattato di Versailles, è risospinta alla intransigenza to-tale, alla politica dello stato maggiore.

Quanto all’Italia fascista, responsabile primadell’immenso rigurgito, dopo aver provocato, sobillato,ricattato, ora paventa lo scatenarsi delle forze elementariche travolgeranno con sé l’Europa. Mussolini non è Bi-smark. Ama il piccolo giuoco e la vincita certa. Al mo-mento dello scoppio lo vedremo tremare e accodarsi,come sempre, all’Inghilterra.

Rinasce, contro tutte le volontà, l’Intesa. Rinasce laTriplice. Fallisce il disarmo, fallisce la Lega delle Na-zioni; saltano i Patti Kellog e Mussolini; e Locarno ri-torna ad essere una città sul Lago Maggiore...

Invano nei mesi venturi le cancellerie, gli esperti, idittatori si affanneranno per ristabilire un ordine nelvecchio continente sconvolto. A meno di eventi impre-vedibili, di crolli verticali di regimi, l’inevitabile, laguerra, verrà.

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Non subito. Sarà tra due anni, come si prevede in In-ghilterra. Tra cinque, magari tra dieci anni, quando laGermania si riterrà sufficientemente forte per sfidarel’Europa (o, secondo vuole la psicologia hitleriano-freu-diana: per resistere all’Europa che l’accerchia) e suffi-cientemente abile per neutralizzare il mondo anglosas-sone; quando la corsa agli armamenti, la minaccia reci-proca, il delirio patriottico avranno avvelenato la vita ela politica di tutti i popoli così da renderli tutti egual-mente responsabili della catastrofe.

Potrebbe venire anche prima, magari sotto forma diuna grossa operazione di polizia internazionale, qualorail riarmamento della Germania o un’altra qualsiasi com-plicazione determinassero un intervento armato dellepotenze firmatarie del Trattato di Versailles; portasserocioè, per usare l’espressione che leggiamo frequente-mente su autorevoli organi britannici, alla guerra pre-ventiva.

Ma la guerra preventiva è improbabile. Le guerre pre-ventive sono operazioni strategiche che possono allevolte risparmiare una guerra sanguinosa e terribile a piùlunga scadenza, ma non sono possibili, o difficilmentepossibili, in regime di democrazia. In regime di demo-crazia le opinioni pubbliche, se non comandano, frena-no, ritardano gli impulsi volontari. L’opinione pubblicain Francia e in Inghilterra è ostile alla guerra preventivae anche ad una pressione economica e militare. Nonvuole saperne, dopo l’esperienza della Ruhr, di avventu-re, di colpi di testa, di generali che riprendono a coman-

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Non subito. Sarà tra due anni, come si prevede in In-ghilterra. Tra cinque, magari tra dieci anni, quando laGermania si riterrà sufficientemente forte per sfidarel’Europa (o, secondo vuole la psicologia hitleriano-freu-diana: per resistere all’Europa che l’accerchia) e suffi-cientemente abile per neutralizzare il mondo anglosas-sone; quando la corsa agli armamenti, la minaccia reci-proca, il delirio patriottico avranno avvelenato la vita ela politica di tutti i popoli così da renderli tutti egual-mente responsabili della catastrofe.

Potrebbe venire anche prima, magari sotto forma diuna grossa operazione di polizia internazionale, qualorail riarmamento della Germania o un’altra qualsiasi com-plicazione determinassero un intervento armato dellepotenze firmatarie del Trattato di Versailles; portasserocioè, per usare l’espressione che leggiamo frequente-mente su autorevoli organi britannici, alla guerra pre-ventiva.

Ma la guerra preventiva è improbabile. Le guerre pre-ventive sono operazioni strategiche che possono allevolte risparmiare una guerra sanguinosa e terribile a piùlunga scadenza, ma non sono possibili, o difficilmentepossibili, in regime di democrazia. In regime di demo-crazia le opinioni pubbliche, se non comandano, frena-no, ritardano gli impulsi volontari. L’opinione pubblicain Francia e in Inghilterra è ostile alla guerra preventivae anche ad una pressione economica e militare. Nonvuole saperne, dopo l’esperienza della Ruhr, di avventu-re, di colpi di testa, di generali che riprendono a coman-

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dare; non vuole saperne di «ficcar lo viso a fondo», diessere costretta a riconoscere che la pace concepitacome assenza di guerra, come stato negativo e passivo,è una pace precaria e poltrona che alla lunga cedeall’assalto delle forze volontarie che portano alla guerra.

Non vuole saperne sopratutto – e chi potrebbe con-dannarla? – di agire contro la Germania in base al Trat-tato di Versailles. Il Trattato di Versailles è condannatonella coscienza dei popoli. Una guerra preventiva fattain nome del Trattato di Versailles sarebbe un’impresamiserabile, che non sanerebbe il male, ma lo aggrave-rebbe, che isolerebbe non la Germania, ma la Francia, eche ben lungi dall’abbattere il regime hitleriano lo raf-forzerebbe in modo definitivo.

Una sola politica di intervento, volta a far risparmiareal mondo un nuovo massacro, sarebbe concepibile edaccettabile: un intervento rivoluzionario; un interventoche avesse lo scopo preciso e proclamato di appoggiareuna rivoluzione antifascista in Germania, una solleva-zione a Vienna, a Milano.

Una Francia democratica e socialista che in un mo-mento importante della lotta civile in Germania intervie-ne e innalza in faccia a Hitler un governo tedesco liberoe rivoluzionario, che a sua volta con un’armata di operaitedeschi si ricongiunge ai fratelli ribelli in patria; unaFrancia che assume l’impegno solenne di fronte al mon-do di abbandonare il Reno senza un centesimo di inden-nità, non appena un governo libero e umano si sia costi-tuito e che promette la parità nel disarmo e la revisione

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dare; non vuole saperne di «ficcar lo viso a fondo», diessere costretta a riconoscere che la pace concepitacome assenza di guerra, come stato negativo e passivo,è una pace precaria e poltrona che alla lunga cedeall’assalto delle forze volontarie che portano alla guerra.

Non vuole saperne sopratutto – e chi potrebbe con-dannarla? – di agire contro la Germania in base al Trat-tato di Versailles. Il Trattato di Versailles è condannatonella coscienza dei popoli. Una guerra preventiva fattain nome del Trattato di Versailles sarebbe un’impresamiserabile, che non sanerebbe il male, ma lo aggrave-rebbe, che isolerebbe non la Germania, ma la Francia, eche ben lungi dall’abbattere il regime hitleriano lo raf-forzerebbe in modo definitivo.

Una sola politica di intervento, volta a far risparmiareal mondo un nuovo massacro, sarebbe concepibile edaccettabile: un intervento rivoluzionario; un interventoche avesse lo scopo preciso e proclamato di appoggiareuna rivoluzione antifascista in Germania, una solleva-zione a Vienna, a Milano.

Una Francia democratica e socialista che in un mo-mento importante della lotta civile in Germania intervie-ne e innalza in faccia a Hitler un governo tedesco liberoe rivoluzionario, che a sua volta con un’armata di operaitedeschi si ricongiunge ai fratelli ribelli in patria; unaFrancia che assume l’impegno solenne di fronte al mon-do di abbandonare il Reno senza un centesimo di inden-nità, non appena un governo libero e umano si sia costi-tuito e che promette la parità nel disarmo e la revisione

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pacifica dei trattati al libero popolo tedesco.Sogni, si dirà. Sogni, ammettiamo anche noi. Le de-

mocrazie di governo in Europa non sono da tanto. Biso-gnerebbe che per lo meno in Francia e in Inghilterra esi-stessero dei partiti di democrazia socialista veramenterivoluzionari, composti di democratici e di socialisti cheavessero fede nei loro principii, nella loro missione uni-versale, di rivoluzionari che non continuassero a baloc-carsi con le formule pacifiste care ai soci delle societàprotettrici degli animali e con gli omaggi ipocriti e cer-vellotici alla teoria del non intervento.

Non intervento? E quando mai i rivoluzionari inalbe-rarono la bandiera del non intervento? Quando mai af-fermarono che le tirannie, poggiassero pure su una tradi-zione di secoli e su un consenso passivo, erano affare in-terno dei popoli? Le autentiche rivoluzioni, quelle che siispirarono a un principio universale, furono sempre in-tervenzioniste. Intervenzioniste la rivoluzione francese,la rivoluzione delle nazionalità, la rivoluzione russa. Fi-nanco Mazzini, Kossuth, Mickievitcz, Garibaldi chepure lottavano perché ogni popolo fosse libero di di-sporre del suo destino e maledicevano gli interventi del-la Santa Alleanza, di Luigi Filippo, di Napoleone, di-chiararono bastarda e mendace la teoria del non inter-vento.

Dovremmo diventare partigiani del non intervento,noi antifascisti, socialisti, internazionalisti, noi che cibattiamo per superare le vecchie patrie, le stolte divisio-ni dei popoli, noi che per definizione neghiamo che la

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pacifica dei trattati al libero popolo tedesco.Sogni, si dirà. Sogni, ammettiamo anche noi. Le de-

mocrazie di governo in Europa non sono da tanto. Biso-gnerebbe che per lo meno in Francia e in Inghilterra esi-stessero dei partiti di democrazia socialista veramenterivoluzionari, composti di democratici e di socialisti cheavessero fede nei loro principii, nella loro missione uni-versale, di rivoluzionari che non continuassero a baloc-carsi con le formule pacifiste care ai soci delle societàprotettrici degli animali e con gli omaggi ipocriti e cer-vellotici alla teoria del non intervento.

Non intervento? E quando mai i rivoluzionari inalbe-rarono la bandiera del non intervento? Quando mai af-fermarono che le tirannie, poggiassero pure su una tradi-zione di secoli e su un consenso passivo, erano affare in-terno dei popoli? Le autentiche rivoluzioni, quelle che siispirarono a un principio universale, furono sempre in-tervenzioniste. Intervenzioniste la rivoluzione francese,la rivoluzione delle nazionalità, la rivoluzione russa. Fi-nanco Mazzini, Kossuth, Mickievitcz, Garibaldi chepure lottavano perché ogni popolo fosse libero di di-sporre del suo destino e maledicevano gli interventi del-la Santa Alleanza, di Luigi Filippo, di Napoleone, di-chiararono bastarda e mendace la teoria del non inter-vento.

Dovremmo diventare partigiani del non intervento,noi antifascisti, socialisti, internazionalisti, noi che cibattiamo per superare le vecchie patrie, le stolte divisio-ni dei popoli, noi che per definizione neghiamo che la

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nostra rivoluzione possa trionfare nell’angusto quadronazionale?

E quando mai i rivoluzionari furono pacifisti, nel sen-so sentimentale, tolstoiano della parola, nel senso in cuilo sono ad esempio gli obiettatori di coscienza? Marx,Plekhanov, Guesde, Kautski, Hyndman, Mehring, Le-nin, come in un documentatissimo articolo della «Criti-que sociale» ricordava Boris Souvarine, hanno fatto as-segnamento sulle guerre inevitabili per marciareall’assalto dello stato. E pur rifiutandosi di sposare lacausa dell’una o dell’altra parte, si guardarono benedall’assumere un atteggiamento di neutralità passiva eseppero di volta in volta distinguere (Marx nel 1854-55,nel ’70, nel ’77; Lenin nel 1904) a quale parte fosse me-glio augurare e anche facilitare la vittoria.

Sappiamo, a questo punto, l’accusa che si leva a sep-pellirci. Voi, antifascisti, dopo undici anni di regime fa-scista, volete la guerra, puntate sulla guerra, perché sieteconvinti che solo la sconfitta militare sarà capace di ab-battere la dittatura feroce che vi opprime. Siete logicicome rivoluzionari. Ma i popoli sono stanchi, schiaccia-ti sotto il peso della guerra mondiale e della crisi. I po-poli vogliono la pace a tutti i costi. I popoli sono anti-intervenzionisti, sono conservatori. I popoli – intendia-mo riferirci alla psicologia francese – preferiranno subi-re i ricatti hitleriani piuttosto che liquidare oggi una par-tita che si può rinviare a domani.

Rispondiamo: no. Noi non puntiamo sulla guerra. Senon altro per averla fatta, l’aborriamo con tutte le nostre

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nostra rivoluzione possa trionfare nell’angusto quadronazionale?

E quando mai i rivoluzionari furono pacifisti, nel sen-so sentimentale, tolstoiano della parola, nel senso in cuilo sono ad esempio gli obiettatori di coscienza? Marx,Plekhanov, Guesde, Kautski, Hyndman, Mehring, Le-nin, come in un documentatissimo articolo della «Criti-que sociale» ricordava Boris Souvarine, hanno fatto as-segnamento sulle guerre inevitabili per marciareall’assalto dello stato. E pur rifiutandosi di sposare lacausa dell’una o dell’altra parte, si guardarono benedall’assumere un atteggiamento di neutralità passiva eseppero di volta in volta distinguere (Marx nel 1854-55,nel ’70, nel ’77; Lenin nel 1904) a quale parte fosse me-glio augurare e anche facilitare la vittoria.

Sappiamo, a questo punto, l’accusa che si leva a sep-pellirci. Voi, antifascisti, dopo undici anni di regime fa-scista, volete la guerra, puntate sulla guerra, perché sieteconvinti che solo la sconfitta militare sarà capace di ab-battere la dittatura feroce che vi opprime. Siete logicicome rivoluzionari. Ma i popoli sono stanchi, schiaccia-ti sotto il peso della guerra mondiale e della crisi. I po-poli vogliono la pace a tutti i costi. I popoli sono anti-intervenzionisti, sono conservatori. I popoli – intendia-mo riferirci alla psicologia francese – preferiranno subi-re i ricatti hitleriani piuttosto che liquidare oggi una par-tita che si può rinviare a domani.

Rispondiamo: no. Noi non puntiamo sulla guerra. Senon altro per averla fatta, l’aborriamo con tutte le nostre

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forze. Se dipendesse da noi, oggi, scegliere tra la rivolu-zione a prezzo di una guerra e il perpetuarsi del fasci-smo coi benefici della pace, non esiteremmo. Ma l’alter-nativa non si pone. Il fascismo, non l’antifascismo, è lacausa del fallimento della pace.

Non puntiamo sulla guerra. Constatiamo che la guerraviene. Non riusciamo a far nostre le illusioni di Hender-son e di gran parte della sinistra europea. Sappiamo cheper qualche tempo ancora con i procedimenti dei fallitiche tentano di procrastinare la dichiarazione di fallimen-to, si riuscirà a nascondere ai popoli la realtà della situa-zione.

Ma i popoli alla fine comprenderanno. Comprende-ranno perché per quindici anni fu detto loro che la pacenon è possibile senza il disarmo e senza l’organizzazio-ne di una comunità internazionale capace di imporsi atutti i dissenzienti. Quando vedranno che in luogo di di-sarmare si riarma, che su sette grandi potenze mondialiquattro sono fuori della Lega (e delle tre che restano unaè l’Italia fascista!), che la Germania non ritorna a Gine-vra, allora l’idea della fatalità della guerra, che nella psi-che prebellica era latente ma velata dallo stesso scettici-smo secolare sulla possibilità di una pace definitiva, siimpadronirà dei popoli con una violenza, con un’ango-scia così grandi da precipitare non la rivoluzione, comepensano certi estremisti, ma il conflitto.

E ancora! Non contiamo troppo sulla stanchezza deipopoli. I popoli che si dicono stanchi, proprio in ragionedella loro stanchezza, della loro miseria, di questa crisi

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forze. Se dipendesse da noi, oggi, scegliere tra la rivolu-zione a prezzo di una guerra e il perpetuarsi del fasci-smo coi benefici della pace, non esiteremmo. Ma l’alter-nativa non si pone. Il fascismo, non l’antifascismo, è lacausa del fallimento della pace.

Non puntiamo sulla guerra. Constatiamo che la guerraviene. Non riusciamo a far nostre le illusioni di Hender-son e di gran parte della sinistra europea. Sappiamo cheper qualche tempo ancora con i procedimenti dei fallitiche tentano di procrastinare la dichiarazione di fallimen-to, si riuscirà a nascondere ai popoli la realtà della situa-zione.

Ma i popoli alla fine comprenderanno. Comprende-ranno perché per quindici anni fu detto loro che la pacenon è possibile senza il disarmo e senza l’organizzazio-ne di una comunità internazionale capace di imporsi atutti i dissenzienti. Quando vedranno che in luogo di di-sarmare si riarma, che su sette grandi potenze mondialiquattro sono fuori della Lega (e delle tre che restano unaè l’Italia fascista!), che la Germania non ritorna a Gine-vra, allora l’idea della fatalità della guerra, che nella psi-che prebellica era latente ma velata dallo stesso scettici-smo secolare sulla possibilità di una pace definitiva, siimpadronirà dei popoli con una violenza, con un’ango-scia così grandi da precipitare non la rivoluzione, comepensano certi estremisti, ma il conflitto.

E ancora! Non contiamo troppo sulla stanchezza deipopoli. I popoli che si dicono stanchi, proprio in ragionedella loro stanchezza, della loro miseria, di questa crisi

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senza uscita, crederanno di trovare nella guerra la sal-vezza o almeno l’evasione dal tragico quotidiano. Vor-remmo essere cattivi profeti, ma noi temiamo che giàoggi quella parte del popolo tedesco che è fanatizzata daHitler andrebbe alla guerra con frenesia, con gioia;come con tripudio vi andrebbe una parte della gioventùitaliana. Mussolini non faceva solo della retorica quandodiceva che egli avrebbe potuto portare la temperaturadel popolo – o di quella parte di popolo che ne subiscel’influsso – a un grado mai visto. Perché sa che cosa haseminato in questi anni. Sa quali valori, quali passioniha agitato nella fantasia dei giovani. La solenne conse-gna delle mitragliatrici di guerra ai giovani avanguardi-sti nell’anniversario della Marcia su Roma, non fu unacommemorazione, ma un auspicio, e come auspicio fupresentato. Che cosa volete capire voi, vecchi o giovanisaggi dei paesi dove regna la ragione, la libertà, lo spiri-to critico, della mistica della dittatura, della mistica del-la servitù? Voi non potete capire. E se capite, subito di-menticate. Continuate a ragionare e ad agire come se laragione avesse molti adepti in Europa, come se il fasci-smo fosse capace di rinsavire. E non vi accorgete chel’irrazionale sta perdendo anche voi.

La guerra viene, la guerra verrà.Un solo modo esiste per scongiurarla: prevenirla. Pre-

venirla con un’azione risoluta, con un intervento rivolu-zionario che nei paesi dove il fascismo domina rovescile parti nella guerra civile.

In luogo di organizzare la guerra, o di subirla passiva-

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senza uscita, crederanno di trovare nella guerra la sal-vezza o almeno l’evasione dal tragico quotidiano. Vor-remmo essere cattivi profeti, ma noi temiamo che giàoggi quella parte del popolo tedesco che è fanatizzata daHitler andrebbe alla guerra con frenesia, con gioia;come con tripudio vi andrebbe una parte della gioventùitaliana. Mussolini non faceva solo della retorica quandodiceva che egli avrebbe potuto portare la temperaturadel popolo – o di quella parte di popolo che ne subiscel’influsso – a un grado mai visto. Perché sa che cosa haseminato in questi anni. Sa quali valori, quali passioniha agitato nella fantasia dei giovani. La solenne conse-gna delle mitragliatrici di guerra ai giovani avanguardi-sti nell’anniversario della Marcia su Roma, non fu unacommemorazione, ma un auspicio, e come auspicio fupresentato. Che cosa volete capire voi, vecchi o giovanisaggi dei paesi dove regna la ragione, la libertà, lo spiri-to critico, della mistica della dittatura, della mistica del-la servitù? Voi non potete capire. E se capite, subito di-menticate. Continuate a ragionare e ad agire come se laragione avesse molti adepti in Europa, come se il fasci-smo fosse capace di rinsavire. E non vi accorgete chel’irrazionale sta perdendo anche voi.

La guerra viene, la guerra verrà.Un solo modo esiste per scongiurarla: prevenirla. Pre-

venirla con un’azione risoluta, con un intervento rivolu-zionario che nei paesi dove il fascismo domina rovescile parti nella guerra civile.

In luogo di organizzare la guerra, o di subirla passiva-

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mente, aiutare la rivoluzione.Questa è, nell’ora attuale, l’unica forma di pacifismo

virile che si conviene a dei rivoluzionari; l’unico, l’uni-co metodo di salvare la pace.

Trionferà? Non crediamo. I rivoluzionari che hanno ilcoraggio di guardare in faccia le realtà sono rari in Eu-ropa.

Le diplomazie democratiche continueranno la lorovana schermaglia coi Mussolini e cogli Hitler.

I partiti socialisti continueranno ad invocare il disar-mo, la pace, l’intesa dei popoli.

Intanto le fabbriche d’armi lavoreranno e gli statimaggiori perfezioneranno i piani di mobilitazione.

Nell’ora che nessuno può prevedere, per una causache nessuno può anticipare, la nuova catastrofe piombe-rà sull’Europa.

Si rimpiangeranno allora le occasioni perdute, le ini-ziative trascurate, tutte le cecità e le impotenze del paci-fismo sentimentale e teorico.

Ma sarà troppo tardi.Quanto a noi, piccolo pugno di rivoluzionari italiani,

la nostra strada è segnata. Non ci recheremo in pellegri-naggio al muro delle lamentazioni; e neppure aderiremoalla guerra. Ci serviremo della guerra contro il fascismo.Trasformeremo la guerra fascista in rivoluzione sociale.

Mussolini può lanciare sin d’ora il suo anatema con-tro i traditori della patria fascista.

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mente, aiutare la rivoluzione.Questa è, nell’ora attuale, l’unica forma di pacifismo

virile che si conviene a dei rivoluzionari; l’unico, l’uni-co metodo di salvare la pace.

Trionferà? Non crediamo. I rivoluzionari che hanno ilcoraggio di guardare in faccia le realtà sono rari in Eu-ropa.

Le diplomazie democratiche continueranno la lorovana schermaglia coi Mussolini e cogli Hitler.

I partiti socialisti continueranno ad invocare il disar-mo, la pace, l’intesa dei popoli.

Intanto le fabbriche d’armi lavoreranno e gli statimaggiori perfezioneranno i piani di mobilitazione.

Nell’ora che nessuno può prevedere, per una causache nessuno può anticipare, la nuova catastrofe piombe-rà sull’Europa.

Si rimpiangeranno allora le occasioni perdute, le ini-ziative trascurate, tutte le cecità e le impotenze del paci-fismo sentimentale e teorico.

Ma sarà troppo tardi.Quanto a noi, piccolo pugno di rivoluzionari italiani,

la nostra strada è segnata. Non ci recheremo in pellegri-naggio al muro delle lamentazioni; e neppure aderiremoalla guerra. Ci serviremo della guerra contro il fascismo.Trasformeremo la guerra fascista in rivoluzione sociale.

Mussolini può lanciare sin d’ora il suo anatema con-tro i traditori della patria fascista.

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AGLI ORDINI DEL POPOLO DI SPAGNA*

La settimana trascorsa fu piena di ansia. La situazioneera grave in Castiglia. E i generali ribelli avevano fattocorrere le notizie più allarmanti sulla sorte di Madrid.

Terranno le milizie popolari improvvisate?Somosierra, il valico dell’invasione napoleonica,

manteneva in sospeso l’animo dei popoli.La Sierra Guadarrama, che minacciosa avvolge l’ari-

da piana dove sorge Madrid, e che la munita Segoviaguarda alle spalle, era l’incubo dei nostri giorni e dellenostre notti.

Tutti i passi e le posizioni strategiche erano stati oc-cupati di sorpresa mentre Madrid lottava per soffocarela rivolta; l’Escurial minacciato, perfino il parco di ElPrado, alle porte di Madrid, si dava perduto.

Terranno, non terranno?Sì, tengono, resistono, attaccano, i meravigliosi com-

pagni nostri improvvisati soldati.Tengono in Castiglia, avanzano nella pietrosa Arago-

na, si battono come leoni nelle Asturie e a San Sebastia-no.

Italiani sempre più numerosi combattono mescolati alpopolo in armi. È la face del Risorgimento che si riac-

* Da «Giustizia e Libertà»: 7 agosto 1936

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AGLI ORDINI DEL POPOLO DI SPAGNA*

La settimana trascorsa fu piena di ansia. La situazioneera grave in Castiglia. E i generali ribelli avevano fattocorrere le notizie più allarmanti sulla sorte di Madrid.

Terranno le milizie popolari improvvisate?Somosierra, il valico dell’invasione napoleonica,

manteneva in sospeso l’animo dei popoli.La Sierra Guadarrama, che minacciosa avvolge l’ari-

da piana dove sorge Madrid, e che la munita Segoviaguarda alle spalle, era l’incubo dei nostri giorni e dellenostre notti.

Tutti i passi e le posizioni strategiche erano stati oc-cupati di sorpresa mentre Madrid lottava per soffocarela rivolta; l’Escurial minacciato, perfino il parco di ElPrado, alle porte di Madrid, si dava perduto.

Terranno, non terranno?Sì, tengono, resistono, attaccano, i meravigliosi com-

pagni nostri improvvisati soldati.Tengono in Castiglia, avanzano nella pietrosa Arago-

na, si battono come leoni nelle Asturie e a San Sebastia-no.

Italiani sempre più numerosi combattono mescolati alpopolo in armi. È la face del Risorgimento che si riac-

* Da «Giustizia e Libertà»: 7 agosto 1936

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cende, è il Risorgimento politico che dà la mano al Ri-sorgimento sociale e proletario.

Italia proletaria, non senti? Attraverso il falso siste-matico atroce dei fogli fascisti che han taciuto l’invio airibelli dei ventun trimotori Savoia – Savoia anche quelli–, che taceranno lo sbarco, avvenuto testé, di approvvi-gionamenti e armi da parte di quattro bastimenti mer-cantili mussoliniani, non capirà il popolo nostro che nel-la storia d’Europa siamo avviati alla svolta suprema eche l’ora di rialzare la testa è giunta?

La Radio di Barcellona lancia in italiano parole di li-bertà per gli italiani. Gli italiani migliori sono già ostanno andando nel Sud latino.

Vanno e sempre più numerosi andranno.Leva in massa dell’antifascismo maschio e combatti-

vo.Finite le divisioni di partito e di gruppo.Un antifascismo solo.Il primo segno di risveglio già nel 1820 venne all’Ita-

lia dalla Spagna. La storia non conosce ritorni, ma legrandi cause, le grandi passioni e vittorie non possonomancare di produrre grandi effetti.

Certo dalla vittoria spagnola anche la causa della li-bertà italiana uscirà rafforzata.

Un mese fa l’orizzonte era grigio, nessuna speranzasoccorreva. Ora ecco lo squarcio, e una grande luceall’orizzonte.

Mentre in Abissinia la battaglia tra il fango e le piog-ge riprende alle porte stesse di Addis Abeba, l’impero

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cende, è il Risorgimento politico che dà la mano al Ri-sorgimento sociale e proletario.

Italia proletaria, non senti? Attraverso il falso siste-matico atroce dei fogli fascisti che han taciuto l’invio airibelli dei ventun trimotori Savoia – Savoia anche quelli–, che taceranno lo sbarco, avvenuto testé, di approvvi-gionamenti e armi da parte di quattro bastimenti mer-cantili mussoliniani, non capirà il popolo nostro che nel-la storia d’Europa siamo avviati alla svolta suprema eche l’ora di rialzare la testa è giunta?

La Radio di Barcellona lancia in italiano parole di li-bertà per gli italiani. Gli italiani migliori sono già ostanno andando nel Sud latino.

Vanno e sempre più numerosi andranno.Leva in massa dell’antifascismo maschio e combatti-

vo.Finite le divisioni di partito e di gruppo.Un antifascismo solo.Il primo segno di risveglio già nel 1820 venne all’Ita-

lia dalla Spagna. La storia non conosce ritorni, ma legrandi cause, le grandi passioni e vittorie non possonomancare di produrre grandi effetti.

Certo dalla vittoria spagnola anche la causa della li-bertà italiana uscirà rafforzata.

Un mese fa l’orizzonte era grigio, nessuna speranzasoccorreva. Ora ecco lo squarcio, e una grande luceall’orizzonte.

Mentre in Abissinia la battaglia tra il fango e le piog-ge riprende alle porte stesse di Addis Abeba, l’impero

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nascente vacilla.Sgomentato dal fallimento del disegno di conquista

immediata, il generale spagnolo fascista ordisce nuovecongiure con le dittature. Franco spavaldamente annun-cia l’incidente internazionale che vendichi con una con-flagrazione generale la sconfitta locale.

Tutti eguali, i fascisti. Prepotenti nella vittoria, ricat-tatori e vili nella sconfitta.

Lo stretto di Gibilterra è tutto una mina. Da un’oraall’altra la situazione può precipitare, perché i fascismi,forti delle esperienze passate e delle dichiarazioni sem-pre timide e rinunciatarie delle democrazie, si fannosempre più provocanti. Con chi non darà mai l’alt, tutti irischi si possono correre impunemente.

Ma il popolo di Spagna non è la diplomazia d’Occi-dente.

La commedia diplomatica volge al suo termine.Ideali, passioni, forze pure riprendono laggiù il so-

pravvento.Non è più la cronaca della Bisanzio borghese.È un grande capitolo dell’epopea proletaria.

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nascente vacilla.Sgomentato dal fallimento del disegno di conquista

immediata, il generale spagnolo fascista ordisce nuovecongiure con le dittature. Franco spavaldamente annun-cia l’incidente internazionale che vendichi con una con-flagrazione generale la sconfitta locale.

Tutti eguali, i fascisti. Prepotenti nella vittoria, ricat-tatori e vili nella sconfitta.

Lo stretto di Gibilterra è tutto una mina. Da un’oraall’altra la situazione può precipitare, perché i fascismi,forti delle esperienze passate e delle dichiarazioni sem-pre timide e rinunciatarie delle democrazie, si fannosempre più provocanti. Con chi non darà mai l’alt, tutti irischi si possono correre impunemente.

Ma il popolo di Spagna non è la diplomazia d’Occi-dente.

La commedia diplomatica volge al suo termine.Ideali, passioni, forze pure riprendono laggiù il so-

pravvento.Non è più la cronaca della Bisanzio borghese.È un grande capitolo dell’epopea proletaria.

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GIORNALE D’UN MILIZIANO*

Al termine di un immenso viale lussuoso e deserto,addossata alle colline che fanno corona al Tibidabo,ecco Pedralbes, la grande caserma di fanteria di Barcel-lona. Da Pedralbes partì, il 19 luglio, la rivolta. Ma isoldati non ubbidirono e gli ufficiali sopravvissuti furo-no trasportati sull’Uruguay, prigione navigante. OggiPedralbes è il centro di formazione delle milizie popola-ri, delle colonne anarchiche Ascaso, Aguiluchos, Royoy Negro. Durruti è già partito. Sperava di entrare a Sara-gozza prima che la resistenza si organizzasse. Invece iprimi reparti, attaccati sulla strada dall’aviazione, dovet-tero fermarsi.

Non ha nulla della caserma, Pedralbes, benché sia unacaserma modello. È un immenso castello rococò, divisoin vari edifici e torrioni, che fa pensare a uno scenario dicartone e stucco. Sarebbe orrendo, se non si adagiassesu questi colli, immerso nel sole allucinante enell’azzurro mediterraneo.

* Questo diario fu ritrovato, interrotto, tra le carte di Carlo Rosselli,che stava redigendolo su ricordi al momento della sua partenzaper Bagnoles de l’Orne, dove venne assassinato. Si riferisce aiprimissimi momenti della sua permanenza in Spagna.Dal libro «Oggi in Spagna, domani in Italia». (Barcellona) 12agosto 1936

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GIORNALE D’UN MILIZIANO*

Al termine di un immenso viale lussuoso e deserto,addossata alle colline che fanno corona al Tibidabo,ecco Pedralbes, la grande caserma di fanteria di Barcel-lona. Da Pedralbes partì, il 19 luglio, la rivolta. Ma isoldati non ubbidirono e gli ufficiali sopravvissuti furo-no trasportati sull’Uruguay, prigione navigante. OggiPedralbes è il centro di formazione delle milizie popola-ri, delle colonne anarchiche Ascaso, Aguiluchos, Royoy Negro. Durruti è già partito. Sperava di entrare a Sara-gozza prima che la resistenza si organizzasse. Invece iprimi reparti, attaccati sulla strada dall’aviazione, dovet-tero fermarsi.

Non ha nulla della caserma, Pedralbes, benché sia unacaserma modello. È un immenso castello rococò, divisoin vari edifici e torrioni, che fa pensare a uno scenario dicartone e stucco. Sarebbe orrendo, se non si adagiassesu questi colli, immerso nel sole allucinante enell’azzurro mediterraneo.

* Questo diario fu ritrovato, interrotto, tra le carte di Carlo Rosselli,che stava redigendolo su ricordi al momento della sua partenzaper Bagnoles de l’Orne, dove venne assassinato. Si riferisce aiprimissimi momenti della sua permanenza in Spagna.Dal libro «Oggi in Spagna, domani in Italia». (Barcellona) 12agosto 1936

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Il terrazzo e il portico d’ingresso brulicano di gioven-tù. Per chi sale a Pedralbes coi ricordi di una grigia ca-serma piemontese, è il capogiro, il carnevale, tale è il tu-multo di gente che va e viene, senza meta apparente.Comunione non solo morale, ma fisica. Si vive, ci sitocca, ci si urta, ci si sposta in gruppo. La vita del singo-lo resta inghiottita dalla moltitudine. Ma che vita.

Anche lo scalone che a destra porta al comando rigur-gita di umanità. Abiti civili, tute marroni grigie bleu;guerrieri col fucile, pistolone, pugnale; uomini fatti, ra-gazzi, miliziane, col fazzoletto rosso e nero al collo, ebandiera della F.A.I. e C.N.T.

Di tanto in tanto una grossa automobile arriva rom-bando e strombazzando per incorporarsi nella folla.Ecco Santillan, l’improvvisato capo delle milizie. Nonha nulla di militare, nonostante la severità del lungo visoe i cuoi del cinturone che disegnano sulla bianca cami-cia geometriche figure. Difatti Santillan è un intellettua-le, uno dei rari intellettuali sindacalisti anarchici. Sale lascala accompagnato da cento compañeros.

— Escucha, Santillan... Cuando se sale?... Santillan,Santillan... Più che una caserma, Pedralbes sembra uncollegio all’ora della ricreazione.

Migliaia di volontari vivono, mangiano, dormono,fanno istruzione ultra sommaria, a Pedralbes. Il tapumdei Mauser, che si provano al tiro a segno nel cortileadiacente, traversa, spesso, il baccano. Ma è raro che ilmiliziano, cioè l’operaio trasformato in soldato, riesca atirare qualche colpo di fucile a salve prima di partire per

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Il terrazzo e il portico d’ingresso brulicano di gioven-tù. Per chi sale a Pedralbes coi ricordi di una grigia ca-serma piemontese, è il capogiro, il carnevale, tale è il tu-multo di gente che va e viene, senza meta apparente.Comunione non solo morale, ma fisica. Si vive, ci sitocca, ci si urta, ci si sposta in gruppo. La vita del singo-lo resta inghiottita dalla moltitudine. Ma che vita.

Anche lo scalone che a destra porta al comando rigur-gita di umanità. Abiti civili, tute marroni grigie bleu;guerrieri col fucile, pistolone, pugnale; uomini fatti, ra-gazzi, miliziane, col fazzoletto rosso e nero al collo, ebandiera della F.A.I. e C.N.T.

Di tanto in tanto una grossa automobile arriva rom-bando e strombazzando per incorporarsi nella folla.Ecco Santillan, l’improvvisato capo delle milizie. Nonha nulla di militare, nonostante la severità del lungo visoe i cuoi del cinturone che disegnano sulla bianca cami-cia geometriche figure. Difatti Santillan è un intellettua-le, uno dei rari intellettuali sindacalisti anarchici. Sale lascala accompagnato da cento compañeros.

— Escucha, Santillan... Cuando se sale?... Santillan,Santillan... Più che una caserma, Pedralbes sembra uncollegio all’ora della ricreazione.

Migliaia di volontari vivono, mangiano, dormono,fanno istruzione ultra sommaria, a Pedralbes. Il tapumdei Mauser, che si provano al tiro a segno nel cortileadiacente, traversa, spesso, il baccano. Ma è raro che ilmiliziano, cioè l’operaio trasformato in soldato, riesca atirare qualche colpo di fucile a salve prima di partire per

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il fronte.— Sparerete lassù. Lassù vi daranno tutto, cartucce,

cartuccere, elmi, calze, scarpe, bombe, piatti, cucchiai.Invece «lassù» non c’è niente, o c’è poco. Appena un

camion di fucili arriva, una colonna parte.Sembra che la guerra sfugga di mano. La guerra che

si immagina con occhi cittadini, come barricata e insur-rezione.

— Quando, ma quando si parte?— Mañana (domani),Mañana, la parola fatidica, la formula-chiave della

psicologia e della tecnica di questo popolo adorabile,ma lento e disorganizzato. Con la musica ampia dei suoitre a, mañana sembra spalancare tutto l’avvenire.

Dal cortile giunge un fragore umano. Grida, applausi,inni. Poi, nell’improvviso silenzio, un discorso impetuo-so. È un comizio nell’immenso cortile, è il saluto dellacolonna Ascaso che parte.

Parte la colonna Ascaso su tre fila. I compañeros sitengono a non marciare al passo, fanno uno sforzo pernon marciare al passo. Non vogliono essere confusi coimilitari, loro. Si canta, si drizza il pugno. La gioia deipartenti è visibile come il corruccio dei restanti.

Evidentemente questo non è un esercito, o non è an-cora un esercito. È popolo che parte per una dimostra-zione armata, per portare la rivoluzione a Saragozza,senza esperienza, senza tecnici, senza artiglieria, senzamitraglie. Una, due, tre, dieci, venti colonne. Se la Fran-cia ufficiale non si fosse autolesionata con la dichiara-

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il fronte.— Sparerete lassù. Lassù vi daranno tutto, cartucce,

cartuccere, elmi, calze, scarpe, bombe, piatti, cucchiai.Invece «lassù» non c’è niente, o c’è poco. Appena un

camion di fucili arriva, una colonna parte.Sembra che la guerra sfugga di mano. La guerra che

si immagina con occhi cittadini, come barricata e insur-rezione.

— Quando, ma quando si parte?— Mañana (domani),Mañana, la parola fatidica, la formula-chiave della

psicologia e della tecnica di questo popolo adorabile,ma lento e disorganizzato. Con la musica ampia dei suoitre a, mañana sembra spalancare tutto l’avvenire.

Dal cortile giunge un fragore umano. Grida, applausi,inni. Poi, nell’improvviso silenzio, un discorso impetuo-so. È un comizio nell’immenso cortile, è il saluto dellacolonna Ascaso che parte.

Parte la colonna Ascaso su tre fila. I compañeros sitengono a non marciare al passo, fanno uno sforzo pernon marciare al passo. Non vogliono essere confusi coimilitari, loro. Si canta, si drizza il pugno. La gioia deipartenti è visibile come il corruccio dei restanti.

Evidentemente questo non è un esercito, o non è an-cora un esercito. È popolo che parte per una dimostra-zione armata, per portare la rivoluzione a Saragozza,senza esperienza, senza tecnici, senza artiglieria, senzamitraglie. Una, due, tre, dieci, venti colonne. Se la Fran-cia ufficiale non si fosse autolesionata con la dichiara-

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zione di non-intervento delle armi, Franco sarebbe giàliquidato. Invece sarà un’impresa lunga. Quanto? Unmese, pensano i miei compagni ottimisti.

Miracolo di Pedralbes. Sotto il caos comincia a spun-tare un ordine nuovo. I servizi della caserma funziona-no. Funzionano le cucine. Non ci sono liti, non inciden-ti. Si crea la routine senza trombe e ufficiali di giornata.

Dalle finestre si abbraccia la metropoli, il cerchio del-le colline, gli alberi e i fiori preziosi del parco reale, ilmare, dominato dal Montjuich che solo per associazionedi ricordi è fosco.

Pedralbes, strano e dolce nome per una caserma. Quila rivoluzione si sente meglio che a Barcellona, dove ilvecchio mondo moribondo coesiste tuttavia col nuovo.La città sta sospesa come tra due tempi e se le signorehanno soppresso il cappello e i borghesi il colletto e lacravatta, naturalmente si riconoscono. Umanità rivelatri-ce dei drappi bianchi appesi alle finestre degli apparta-menti di lusso sul viale che porta a Pedralbes; nei quar-tieri popolari di drappi bianchi ce n’è pochi. Buono ri-voluzionario. Invece qui è un tempo solo, un cuore solo,soprattutto una smania sola.

La giovinezza della rivoluzione, tutto il suo idealismoe tutta la sua innocenza. Il popolo gioca alla guerracome un bambino.

— Compañeros, onde stan los italianos?Il compañero sorride, ricambia energico la stretta di

mano e accenna un gesto. Non è sicuro, ma crede chestiano laggiù, in fondo al cortile, a sinistra, nel caseggia-

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zione di non-intervento delle armi, Franco sarebbe giàliquidato. Invece sarà un’impresa lunga. Quanto? Unmese, pensano i miei compagni ottimisti.

Miracolo di Pedralbes. Sotto il caos comincia a spun-tare un ordine nuovo. I servizi della caserma funziona-no. Funzionano le cucine. Non ci sono liti, non inciden-ti. Si crea la routine senza trombe e ufficiali di giornata.

Dalle finestre si abbraccia la metropoli, il cerchio del-le colline, gli alberi e i fiori preziosi del parco reale, ilmare, dominato dal Montjuich che solo per associazionedi ricordi è fosco.

Pedralbes, strano e dolce nome per una caserma. Quila rivoluzione si sente meglio che a Barcellona, dove ilvecchio mondo moribondo coesiste tuttavia col nuovo.La città sta sospesa come tra due tempi e se le signorehanno soppresso il cappello e i borghesi il colletto e lacravatta, naturalmente si riconoscono. Umanità rivelatri-ce dei drappi bianchi appesi alle finestre degli apparta-menti di lusso sul viale che porta a Pedralbes; nei quar-tieri popolari di drappi bianchi ce n’è pochi. Buono ri-voluzionario. Invece qui è un tempo solo, un cuore solo,soprattutto una smania sola.

La giovinezza della rivoluzione, tutto il suo idealismoe tutta la sua innocenza. Il popolo gioca alla guerracome un bambino.

— Compañeros, onde stan los italianos?Il compañero sorride, ricambia energico la stretta di

mano e accenna un gesto. Non è sicuro, ma crede chestiano laggiù, in fondo al cortile, a sinistra, nel caseggia-

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to, los italianos emigrati accorsi dalla Francia, dal Bel-gio, dalla Svizzera, dall’Algeria.

— Salve, compagni.Spasimano anche loro per la partenza che non viene.

Ma accolgono festosamente il nuovo arrivato.— Anche tu? Sì, anch’io.Per fortuna c’è Angeloni che ci farà partire.Solo il genio anonimo della rivoluzione poteva inven-

tare questa straordinaria ma al tempo stesso naturale di-visa: la tuta.

La guerra dei lavoratori si farà in uniforme da lavoro.Il 19 luglio non ci fu tempo per spogliarsi. Gli operaiuscirono dalle fabbriche in tuta per lanciarsi contro lecolonne militari. Cinquecento sono morti. Ma la rivolu-zione ha vinto in città e ora l’officina stende la sua so-vranità sulla caserma.

L’operaio anarchico avrebbe rifiutato la divisa. Indos-sa, invece, senza sforzo, la tuta, il suo vestito di tutti igiorni.

Fascisti, che studiate minuziosamente composizione ecolori della divisa, Hitler, che racconta in Mein Kampfdi averla discussa giornate intere col sarto, e voi, troppoprogrammatici rivoluzionari insurrezionisti, ecco comesalta fuori l’uniforme nuova. Carlyle potrebbe aggiun-gere una nota al Sartor Resartus. Sì, l’abito fa la rivolu-zione.

L’intellettuale che s’infila per la prima volta la tutaprova un sentimento ineffabile di letizia.

— Ecco, mi spoglio del mio passato, delle mie abitu-

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to, los italianos emigrati accorsi dalla Francia, dal Bel-gio, dalla Svizzera, dall’Algeria.

— Salve, compagni.Spasimano anche loro per la partenza che non viene.

Ma accolgono festosamente il nuovo arrivato.— Anche tu? Sì, anch’io.Per fortuna c’è Angeloni che ci farà partire.Solo il genio anonimo della rivoluzione poteva inven-

tare questa straordinaria ma al tempo stesso naturale di-visa: la tuta.

La guerra dei lavoratori si farà in uniforme da lavoro.Il 19 luglio non ci fu tempo per spogliarsi. Gli operaiuscirono dalle fabbriche in tuta per lanciarsi contro lecolonne militari. Cinquecento sono morti. Ma la rivolu-zione ha vinto in città e ora l’officina stende la sua so-vranità sulla caserma.

L’operaio anarchico avrebbe rifiutato la divisa. Indos-sa, invece, senza sforzo, la tuta, il suo vestito di tutti igiorni.

Fascisti, che studiate minuziosamente composizione ecolori della divisa, Hitler, che racconta in Mein Kampfdi averla discussa giornate intere col sarto, e voi, troppoprogrammatici rivoluzionari insurrezionisti, ecco comesalta fuori l’uniforme nuova. Carlyle potrebbe aggiun-gere una nota al Sartor Resartus. Sì, l’abito fa la rivolu-zione.

L’intellettuale che s’infila per la prima volta la tutaprova un sentimento ineffabile di letizia.

— Ecco, mi spoglio del mio passato, delle mie abitu-

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dini e necessità borghesi per consacrarmi alla causa deilavoratori. Entro nella rivoluzione col solo corpo e l’ani-ma. Saremo fratelli, compagni in tuta. Ogni distinzioneè sparita, come ogni grado.

19 agosto – sera

Partiamo dopo la estenuante attesa. Non solo i fucilici hanno dato, ma quattro mitragliatrici che dobbiamoguardare a vista. La sezione italiana parte per prima, con18 muli e una cucina da campo. Siamo di tutti i partiti.Anarchici, giellisti, comunisti. Due ali di popolo saluta-no lungo il percorso fino alla stazione i vecchi soldatiche marciano al passo e cantano.

Il treno-tradotta fa fatica a partire. Addio Barcellona,addio civile Europa, vecchia politica e famiglietta gio-vane. Andiamo in Aragona, verso la pietrosa, infuocataAragona. Racconti di bambini e ricordi di un viaggiolontano da Barcellona a Madrid si intrecciano confusa-mente. Ora i canti della partenza si sono quietati. Scom-parse le ultime luci della metropoli, la notte meridionaleci avvolge mentre il treno sale lentissimo e ansimante. Icorpi si rilasciano, le teste penzolano e il sonno lega inpose strane e tra respiri grevi i dieci compagni del com-partimento. Magrini, con le coscie larghe e il viso baffu-to professorale, dorme sul piccolo Tulli, rincantucciato.Sino a pochi giorni fa Magrini coltivava amorosamenteCézanne, tra riproduzioni e libri. È goffo nella sua tutagrigio polvere. Ma è bella la sua decisione di partire,

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dini e necessità borghesi per consacrarmi alla causa deilavoratori. Entro nella rivoluzione col solo corpo e l’ani-ma. Saremo fratelli, compagni in tuta. Ogni distinzioneè sparita, come ogni grado.

19 agosto – sera

Partiamo dopo la estenuante attesa. Non solo i fucilici hanno dato, ma quattro mitragliatrici che dobbiamoguardare a vista. La sezione italiana parte per prima, con18 muli e una cucina da campo. Siamo di tutti i partiti.Anarchici, giellisti, comunisti. Due ali di popolo saluta-no lungo il percorso fino alla stazione i vecchi soldatiche marciano al passo e cantano.

Il treno-tradotta fa fatica a partire. Addio Barcellona,addio civile Europa, vecchia politica e famiglietta gio-vane. Andiamo in Aragona, verso la pietrosa, infuocataAragona. Racconti di bambini e ricordi di un viaggiolontano da Barcellona a Madrid si intrecciano confusa-mente. Ora i canti della partenza si sono quietati. Scom-parse le ultime luci della metropoli, la notte meridionaleci avvolge mentre il treno sale lentissimo e ansimante. Icorpi si rilasciano, le teste penzolano e il sonno lega inpose strane e tra respiri grevi i dieci compagni del com-partimento. Magrini, con le coscie larghe e il viso baffu-to professorale, dorme sul piccolo Tulli, rincantucciato.Sino a pochi giorni fa Magrini coltivava amorosamenteCézanne, tra riproduzioni e libri. È goffo nella sua tutagrigio polvere. Ma è bella la sua decisione di partire,

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miope e impacciato com’è. Sfuggirà così al destino fili-steo, che sembrava designarlo professore. Anche Erne-sto, comunista livornese emigrato a Marsiglia, inesauri-bile conversatore, pronto alla celia e alla risposta, si èappisolato per mancanza di vittime.

Chi sa se dorme Calosso? Ha voluto viaggiare dentrola Ford, che abbiamo caricato assieme su un carro merciagganciato al treno. Calosso è il nostro grande letterato,paradossale e scintillante nella cultura, nello stile,nell’arguzia. A venti anni dette alle stampe un librosull’Anarchia di Alfieri, che lo rivelò finissimo critico.Ora siamo all’anarchia di Calosso che ben più paziente-mente di Alfieri sopporta le incongruenze in una rivolu-zione.

Un testone di capelli irsuti, una fronte bassissima dacui si stacca un nasone doppiato dall’eterna pipa, e die-tro gli occhiali un paio di occhietti vivacissimi che con-trastano con la rotondità soave della pancia che la tutarivela. Con l’elmetto in testa Calosso oscilla tra SanchoPancia e il vecchio fante. Invece è un Don Chisciotteironico che sogghigna sulla nostra avventura.

Il pensiero torna a concentrarsi sul suo inevitabilecentro, io. Bilancio di dieci anni tra prigioni, deportazio-ni, evasioni, esilii e lotta clandestina. Ma è naturale, ègiusto; è necessario. Dopo aver predicato la necessitàdell’intervento, bisogna partecipare in persona primanoi, gli intellettuali, senza domandarci se la nostra atti-vità avrebbe reso meglio altrove. Vale, del resto, piùquesta esperienza umana e questo sforzo di coerenza di

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miope e impacciato com’è. Sfuggirà così al destino fili-steo, che sembrava designarlo professore. Anche Erne-sto, comunista livornese emigrato a Marsiglia, inesauri-bile conversatore, pronto alla celia e alla risposta, si èappisolato per mancanza di vittime.

Chi sa se dorme Calosso? Ha voluto viaggiare dentrola Ford, che abbiamo caricato assieme su un carro merciagganciato al treno. Calosso è il nostro grande letterato,paradossale e scintillante nella cultura, nello stile,nell’arguzia. A venti anni dette alle stampe un librosull’Anarchia di Alfieri, che lo rivelò finissimo critico.Ora siamo all’anarchia di Calosso che ben più paziente-mente di Alfieri sopporta le incongruenze in una rivolu-zione.

Un testone di capelli irsuti, una fronte bassissima dacui si stacca un nasone doppiato dall’eterna pipa, e die-tro gli occhiali un paio di occhietti vivacissimi che con-trastano con la rotondità soave della pancia che la tutarivela. Con l’elmetto in testa Calosso oscilla tra SanchoPancia e il vecchio fante. Invece è un Don Chisciotteironico che sogghigna sulla nostra avventura.

Il pensiero torna a concentrarsi sul suo inevitabilecentro, io. Bilancio di dieci anni tra prigioni, deportazio-ni, evasioni, esilii e lotta clandestina. Ma è naturale, ègiusto; è necessario. Dopo aver predicato la necessitàdell’intervento, bisogna partecipare in persona primanoi, gli intellettuali, senza domandarci se la nostra atti-vità avrebbe reso meglio altrove. Vale, del resto, piùquesta esperienza umana e questo sforzo di coerenza di

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ogni più alta missione politica.Scivola anche la mia testa sul compagno di destra.

Treno, procedi. Esperienza, procedi.La notte inghiotte anche me.È l’una. Siamo fermi in una stazione. Una folla enor-

me, compatta – sono migliaia e migliaia – ha invaso ilmarciapiede, i binari. Grida, applaude, si arrampica sulvagone. Presto, afferra. Dal finestrino dove sta già ungruzzolo di compagni, penetra ogni ben di Dio. Meloni,cocomeri, pane, prosciutti, salami, vino, formaggi.

— Viva la rivoluzione,— Viva la Spagna.— Viva l’Italia.È l’offerta di Tarrasa ai partenti. Le donne sono le più

entusiaste.Durante dieci minuti è un colloquio frenetico tra treno

e stazione, tra volontari e popolo. La città di Tarrasa ètutta in stazione a salutare i volontari italiani. Tutta. Ilgrosso borgo industriale non dorme più da quindici gior-ni. Ogni notte va a salutare i treni, va a festeggiare i vo-lontari.

Tarrasa, Tarrasa! Il coro si spezza. Le conversazionisi fanno più particolari. Il compagno ha trovato unacompagna.

Ora il treno sta per partire.Un oratore del comitato ci saluta. Rispondi, mi grida-

no i compagni. Grido il nostro grazie e il nostro augurio,in un italiano spagnolizzato.

Il treno si muove, la folla è presa da un fremito, i miei

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ogni più alta missione politica.Scivola anche la mia testa sul compagno di destra.

Treno, procedi. Esperienza, procedi.La notte inghiotte anche me.È l’una. Siamo fermi in una stazione. Una folla enor-

me, compatta – sono migliaia e migliaia – ha invaso ilmarciapiede, i binari. Grida, applaude, si arrampica sulvagone. Presto, afferra. Dal finestrino dove sta già ungruzzolo di compagni, penetra ogni ben di Dio. Meloni,cocomeri, pane, prosciutti, salami, vino, formaggi.

— Viva la rivoluzione,— Viva la Spagna.— Viva l’Italia.È l’offerta di Tarrasa ai partenti. Le donne sono le più

entusiaste.Durante dieci minuti è un colloquio frenetico tra treno

e stazione, tra volontari e popolo. La città di Tarrasa ètutta in stazione a salutare i volontari italiani. Tutta. Ilgrosso borgo industriale non dorme più da quindici gior-ni. Ogni notte va a salutare i treni, va a festeggiare i vo-lontari.

Tarrasa, Tarrasa! Il coro si spezza. Le conversazionisi fanno più particolari. Il compagno ha trovato unacompagna.

Ora il treno sta per partire.Un oratore del comitato ci saluta. Rispondi, mi grida-

no i compagni. Grido il nostro grazie e il nostro augurio,in un italiano spagnolizzato.

Il treno si muove, la folla è presa da un fremito, i miei

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compagni cantano a squarciagola per coprire la commo-zione, io pure ho le lacrime, eccola dunque la rivoluzio-ne nel suo momento di fraternità immensa, oh Spagna,come vale la pena di battersi per te, oh come si può es-sere disposti, dopo Tarrasa, per Tarrasa, per tutte le infi-nite Tarrase grige, monotone, salariate, oppresse d’Euro-pa, a dare la vita.

L’angoscia segreta della partenza è sparita sul viso ditutti. Nella notte il treno ospita un’esplosione di vita. Cibattiamo le spalle, gridiamo, ci guardiamo negli occhiumidi fin nel profondo, e tra una fetta di cocomero e unpanino imbottito confessiamo senza ritegno la fede.

Sì, vale la pena. La nostra Dulcinea si chiamerà ormaiTarrasa.

20 agosto

Dopo Lerida, ultimo capoluogo catalano, la piana siallarga e comincia l’Aragona. Sparisce la vite, spariscel’olivo, spariscono gli orti, gli alberi si diradano, il verdesi fa più raro, mentre il sole infuoca.

La terra, come il viso e le case dei contadini, è risec-chita, grigia, tormentata da rughe, da rilievi dolorosi estrani. Il fumo del treno resta sospeso nella caligine. Ilsole è avvolto in un velo. È un caldo compatto, visibile,oltre che sensibile, che grava sulla natura immobile.L’unica cosa viva nel deserto pietroso siamo noi, è il tre-no che caccia ogni tanto un lamento inutile! Melancoliadei piccoli alberelli di stazione, sorrisi sudati e saluti di

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compagni cantano a squarciagola per coprire la commo-zione, io pure ho le lacrime, eccola dunque la rivoluzio-ne nel suo momento di fraternità immensa, oh Spagna,come vale la pena di battersi per te, oh come si può es-sere disposti, dopo Tarrasa, per Tarrasa, per tutte le infi-nite Tarrase grige, monotone, salariate, oppresse d’Euro-pa, a dare la vita.

L’angoscia segreta della partenza è sparita sul viso ditutti. Nella notte il treno ospita un’esplosione di vita. Cibattiamo le spalle, gridiamo, ci guardiamo negli occhiumidi fin nel profondo, e tra una fetta di cocomero e unpanino imbottito confessiamo senza ritegno la fede.

Sì, vale la pena. La nostra Dulcinea si chiamerà ormaiTarrasa.

20 agosto

Dopo Lerida, ultimo capoluogo catalano, la piana siallarga e comincia l’Aragona. Sparisce la vite, spariscel’olivo, spariscono gli orti, gli alberi si diradano, il verdesi fa più raro, mentre il sole infuoca.

La terra, come il viso e le case dei contadini, è risec-chita, grigia, tormentata da rughe, da rilievi dolorosi estrani. Il fumo del treno resta sospeso nella caligine. Ilsole è avvolto in un velo. È un caldo compatto, visibile,oltre che sensibile, che grava sulla natura immobile.L’unica cosa viva nel deserto pietroso siamo noi, è il tre-no che caccia ogni tanto un lamento inutile! Melancoliadei piccoli alberelli di stazione, sorrisi sudati e saluti di

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ferrovieri stanchi. Qui si capisce il mañana, il tira acampar. Il treno, avvicinandosi alla meta, si inoltra in unterreno più accidentato, tra pareti di tufo rosso e sagomestranissime di monti marrone-scuro seghettati e tagliuz-zati su cui si incastrano vecchissimi paesi desolati. Inlontananza la Sierra Guara.

Disperazione di questo orizzonte carico di luce, inuti-lità di questa terra. Perché disputarsela? Ci incrociamocon un treno ospedale. A Monzon alcuni carri merci ca-richi di biada. È tutta la guerra che abbiamo visto sinora.

A Grañen scendiamo.Nell’attesa dei camions, ci gettiamo sporchi e goccio-

lanti sul selciato della stazione. Sono le due, cinquanta-cinque gradi al sole, acqua non ce n’è, ma polvere incompenso molta, sospesa nell’aria, veicolo dell’altipia-no.

Pochi giorni or sono a Parigi pioveva e il termometrosegnava quindici gradi. Un bel salto. Qualche compagnosoffre, io pure non godo. Ho sempre odiato il caldo evolontariamente mi arruolo in Aragona. Siamo pari, fa-scisti di casa. Voi l’Abissinia, noi l’Aragona.

Parto in un camion, gremito, avvolto in una nube. Madue dei tre camions si guastano immediatamente. Metàdei compagni dovranno proseguire a piedi per diciottochilometri. Noi marceremo la sera, in una direzionevaga.

Attenzione al bivio: Huesca a destra. Vicien a sinistra.A Huesca ci sono i fascisti.

Procediamo lenti, a tentoni, in un alto silenzio. Dove

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ferrovieri stanchi. Qui si capisce il mañana, il tira acampar. Il treno, avvicinandosi alla meta, si inoltra in unterreno più accidentato, tra pareti di tufo rosso e sagomestranissime di monti marrone-scuro seghettati e tagliuz-zati su cui si incastrano vecchissimi paesi desolati. Inlontananza la Sierra Guara.

Disperazione di questo orizzonte carico di luce, inuti-lità di questa terra. Perché disputarsela? Ci incrociamocon un treno ospedale. A Monzon alcuni carri merci ca-richi di biada. È tutta la guerra che abbiamo visto sinora.

A Grañen scendiamo.Nell’attesa dei camions, ci gettiamo sporchi e goccio-

lanti sul selciato della stazione. Sono le due, cinquanta-cinque gradi al sole, acqua non ce n’è, ma polvere incompenso molta, sospesa nell’aria, veicolo dell’altipia-no.

Pochi giorni or sono a Parigi pioveva e il termometrosegnava quindici gradi. Un bel salto. Qualche compagnosoffre, io pure non godo. Ho sempre odiato il caldo evolontariamente mi arruolo in Aragona. Siamo pari, fa-scisti di casa. Voi l’Abissinia, noi l’Aragona.

Parto in un camion, gremito, avvolto in una nube. Madue dei tre camions si guastano immediatamente. Metàdei compagni dovranno proseguire a piedi per diciottochilometri. Noi marceremo la sera, in una direzionevaga.

Attenzione al bivio: Huesca a destra. Vicien a sinistra.A Huesca ci sono i fascisti.

Procediamo lenti, a tentoni, in un alto silenzio. Dove

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sia il nemico e dove siano gli amici, non sappiamo. Ab-biamo caricato il fucile. Una foltissima nube si avanza,carica di fetore. Un gregge.

Ogni tanto guazziamo nell’acqua di un ruscello cheattraversa la strada.

21 agosto

Finalmente dopo due ore giungiamo al quartier gene-rale. Vicien. Pochi casolari sconsolati, a malapena intra-visti nel buio assoluto. Una piazzetta ingombra di vettu-re, camions, carri, bestie, uomini. Chiedo il comando,mi dirigono al comitato che siede in un antro fumoso.Alla luce di una candela si disegnano contro il murosporco alcuni miliziani intenti a mangiare. È tardi. Noinon abbiamo mangiato da stamattina. E la sete è orribi-le. Ma prima di mangiare, bisogna cercare di Ascaso,uno dei comandanti della colonna a cui siamo aggregati,il fratello del famoso espropriatore, morto da eroe il 19luglio.

Giriamo da una casa all’altra. Finalmente lo trovo, se-duto in fondo a un camino, circondato da alcuni fidi.Perché tacerlo? Mi è sembrato di trovarmi dinanzi alcapo brigante.

Ascaso è piccolo, ma robusto; un pistolone gli pendealla cintura; gli occhi neri sarebbero vivacissimi se nonfosse per... che gli dà un’espressione sulle prime torva.Ma mi accoglie bene. Conosce il francese, avendo vis-suto lunghi anni come emigrato, e parla discretamente

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sia il nemico e dove siano gli amici, non sappiamo. Ab-biamo caricato il fucile. Una foltissima nube si avanza,carica di fetore. Un gregge.

Ogni tanto guazziamo nell’acqua di un ruscello cheattraversa la strada.

21 agosto

Finalmente dopo due ore giungiamo al quartier gene-rale. Vicien. Pochi casolari sconsolati, a malapena intra-visti nel buio assoluto. Una piazzetta ingombra di vettu-re, camions, carri, bestie, uomini. Chiedo il comando,mi dirigono al comitato che siede in un antro fumoso.Alla luce di una candela si disegnano contro il murosporco alcuni miliziani intenti a mangiare. È tardi. Noinon abbiamo mangiato da stamattina. E la sete è orribi-le. Ma prima di mangiare, bisogna cercare di Ascaso,uno dei comandanti della colonna a cui siamo aggregati,il fratello del famoso espropriatore, morto da eroe il 19luglio.

Giriamo da una casa all’altra. Finalmente lo trovo, se-duto in fondo a un camino, circondato da alcuni fidi.Perché tacerlo? Mi è sembrato di trovarmi dinanzi alcapo brigante.

Ascaso è piccolo, ma robusto; un pistolone gli pendealla cintura; gli occhi neri sarebbero vivacissimi se nonfosse per... che gli dà un’espressione sulle prime torva.Ma mi accoglie bene. Conosce il francese, avendo vis-suto lunghi anni come emigrato, e parla discretamente

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l’italiano.Per il mangiare mi indica l’antro. E per il dormire?Si stringe nelle spalle.— Una casa?— Stasera è impossibile. Buttatevi sui pagliai, ci sono

dei pagliai fuori del villaggio.Al commiato, mi batte fraternamente la mano sulla

spalla e mi grida:— Mañana se parte en batalla...— Ma siamo stanchi morti. Molti compagni sono ar-

rivati ieri e non conoscono neppure il fucile. Dateci, sepotete, due, tre giorni per organizzarci.

Un sorriso.— Nò, no. Mañana se parte en batalla...Più tardi otterrò i tre giorni indispensabili. Avevo di-

menticato il significato di mañana.Notte indimenticabile di Vicien, cercando la cuccia

all’aperto dove almeno non si soffoca come nell’antrodove ci hanno dato un pezzo di pane e una minestra.Con Calosso riesco finalmente a sistemarmi sul di vanodella Ford, ancorata in piazza. Il quadro di quell’accam-pamento di briganti schilleriani, che avrebbe forse de-presso molti altri, provoca in me un riso pazzo. Il risodell’avventura, il riso che mi ha sempre sorretto sotto gliocchi dei carabinieri per fuggire in Francia, quando nuo-tavo verso la barca salvatrice all’isola della deportazio-ne, quando mi trovavo in gabbia coi compagni, senzapossibilità di negativa, confuso dalle prove schiaccianti.Per un’avventura è un’avventura. Sino a ieri rispettabile

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l’italiano.Per il mangiare mi indica l’antro. E per il dormire?Si stringe nelle spalle.— Una casa?— Stasera è impossibile. Buttatevi sui pagliai, ci sono

dei pagliai fuori del villaggio.Al commiato, mi batte fraternamente la mano sulla

spalla e mi grida:— Mañana se parte en batalla...— Ma siamo stanchi morti. Molti compagni sono ar-

rivati ieri e non conoscono neppure il fucile. Dateci, sepotete, due, tre giorni per organizzarci.

Un sorriso.— Nò, no. Mañana se parte en batalla...Più tardi otterrò i tre giorni indispensabili. Avevo di-

menticato il significato di mañana.Notte indimenticabile di Vicien, cercando la cuccia

all’aperto dove almeno non si soffoca come nell’antrodove ci hanno dato un pezzo di pane e una minestra.Con Calosso riesco finalmente a sistemarmi sul di vanodella Ford, ancorata in piazza. Il quadro di quell’accam-pamento di briganti schilleriani, che avrebbe forse de-presso molti altri, provoca in me un riso pazzo. Il risodell’avventura, il riso che mi ha sempre sorretto sotto gliocchi dei carabinieri per fuggire in Francia, quando nuo-tavo verso la barca salvatrice all’isola della deportazio-ne, quando mi trovavo in gabbia coi compagni, senzapossibilità di negativa, confuso dalle prove schiaccianti.Per un’avventura è un’avventura. Sino a ieri rispettabile

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profugo, professore in ritiro, giornalista. E tu, Calosso,insegnante nelle rigide scuole anglosassoni. Eccoci qui,ora, in capo al mondo, anzi in fondo al mondo, a fare laguerriglia in Aragona.

Contro uno sportello è addossato un mulo. Sul predel-lino di destra sono seduti due compagni. Tra la fiera, ilcirco e l’accampamento. Ridi Calosso. Gioventù nostranon sei finita, la vita ci offre un supplemento. Non c’ènulla di più inebriante che il sentirsi capaci di trasforma-zione, di evasione dal monotono quotidiano, autori e at-tori assieme del proprio destino contro ogni regola e lo-gica. Ci bombardiamo di frizzi e paradossi, poi il discor-so si fa più serio, la Spagna, Unamuno, l’universalismospagnolo, la sua tragicità ma anche il suo effimero, lanecessità di passare dalla guerriglia alla guerra, dal cre-puscolo alla coscienza.

Ogni tanto lo sportello si apre, qualcuno cerca di en-trare; tramestìo di corpi e di armi.

Sonno di bambini sulla piazza di Vicien, quartier ge-nerale della colonna Ascaso.

Alle quattro giriamo con la tuta a metà rovesciata sul-le spalle alla ricerca di un piccolo rigagnolo dove centi-naia di miliziani si lavano visi, mani, piedi.

Vicien non è un gruppo di casolari. È un Comune di200 anime. I contadini hanno proclamato il comunismolibertario. Alcuni proprietari sono stati fucilati.

Huesca è a sei chilometri. Sentiamo il cannone.Ricognizione con Ascaso al nostro futuro fronte.

Fronte per modo di dire perché la zona è res nullius. Fu

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profugo, professore in ritiro, giornalista. E tu, Calosso,insegnante nelle rigide scuole anglosassoni. Eccoci qui,ora, in capo al mondo, anzi in fondo al mondo, a fare laguerriglia in Aragona.

Contro uno sportello è addossato un mulo. Sul predel-lino di destra sono seduti due compagni. Tra la fiera, ilcirco e l’accampamento. Ridi Calosso. Gioventù nostranon sei finita, la vita ci offre un supplemento. Non c’ènulla di più inebriante che il sentirsi capaci di trasforma-zione, di evasione dal monotono quotidiano, autori e at-tori assieme del proprio destino contro ogni regola e lo-gica. Ci bombardiamo di frizzi e paradossi, poi il discor-so si fa più serio, la Spagna, Unamuno, l’universalismospagnolo, la sua tragicità ma anche il suo effimero, lanecessità di passare dalla guerriglia alla guerra, dal cre-puscolo alla coscienza.

Ogni tanto lo sportello si apre, qualcuno cerca di en-trare; tramestìo di corpi e di armi.

Sonno di bambini sulla piazza di Vicien, quartier ge-nerale della colonna Ascaso.

Alle quattro giriamo con la tuta a metà rovesciata sul-le spalle alla ricerca di un piccolo rigagnolo dove centi-naia di miliziani si lavano visi, mani, piedi.

Vicien non è un gruppo di casolari. È un Comune di200 anime. I contadini hanno proclamato il comunismolibertario. Alcuni proprietari sono stati fucilati.

Huesca è a sei chilometri. Sentiamo il cannone.Ricognizione con Ascaso al nostro futuro fronte.

Fronte per modo di dire perché la zona è res nullius. Fu

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nostra, fu loro, ora provvisoriamente è inoccupata. Mis-sione: tagliare l’unica grande strada di comunicazionetra Saragozza e Huesca. Nemico a destra e nemico a si-nistra. Posizione sandwich, posizione in aria.

Da una superba Buick passiamo a una faticosissimamarcia sulle zolle dei campi abbandonati e bruciati dalsolleone. La bocca diventa pastosa, i fiati grossi. Ci pre-cede una pattuglia di miliziani seminudi che evolve e siinerpica con una abilità consumata.

Eccoci infine sopra la cresta. Scelta la posizione, pre-cipitiamo al piano in direzione di un’oasi di verde al cuicentro sta un piccolo lago. Mi calo nell’acqua con l’oro-logio e in un successivo tuffo di testa mi slogo unamano contro un tronco d’albero del fondo. Soddisfazio-ne intensa per non essermi rotto la testa.

Sull’imbrunire concentriamo la colonna nei pressi delcimitero di Vicien per un’esperienza con le bombe amano che sono di modello sconosciuto. Il campanile diHuesca spicca contro le montagne della Sierra Guara,parallela ai Pirenei. Due immensi torrioni di roccia rossasembrano l’ingresso dell’inferno. A sinistra Almudebartra le fiamme del tramonto. Pace della campagna checomincia a farsi meno nemica. Orizzonte rosa, viola, li-vido. E il bombardamento non viene. Finalmente arrivacon tre bombe. Due non scoppiano. La terza scoppia,ma pochi hanno potuto rendersi conto del modo col qua-le va messo l’innesto.

Domattina all’alba andremo in linea, o meglio ci fare-mo la linea.

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nostra, fu loro, ora provvisoriamente è inoccupata. Mis-sione: tagliare l’unica grande strada di comunicazionetra Saragozza e Huesca. Nemico a destra e nemico a si-nistra. Posizione sandwich, posizione in aria.

Da una superba Buick passiamo a una faticosissimamarcia sulle zolle dei campi abbandonati e bruciati dalsolleone. La bocca diventa pastosa, i fiati grossi. Ci pre-cede una pattuglia di miliziani seminudi che evolve e siinerpica con una abilità consumata.

Eccoci infine sopra la cresta. Scelta la posizione, pre-cipitiamo al piano in direzione di un’oasi di verde al cuicentro sta un piccolo lago. Mi calo nell’acqua con l’oro-logio e in un successivo tuffo di testa mi slogo unamano contro un tronco d’albero del fondo. Soddisfazio-ne intensa per non essermi rotto la testa.

Sull’imbrunire concentriamo la colonna nei pressi delcimitero di Vicien per un’esperienza con le bombe amano che sono di modello sconosciuto. Il campanile diHuesca spicca contro le montagne della Sierra Guara,parallela ai Pirenei. Due immensi torrioni di roccia rossasembrano l’ingresso dell’inferno. A sinistra Almudebartra le fiamme del tramonto. Pace della campagna checomincia a farsi meno nemica. Orizzonte rosa, viola, li-vido. E il bombardamento non viene. Finalmente arrivacon tre bombe. Due non scoppiano. La terza scoppia,ma pochi hanno potuto rendersi conto del modo col qua-le va messo l’innesto.

Domattina all’alba andremo in linea, o meglio ci fare-mo la linea.

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La stalla di Vicien sembra una reggia in confrontodella sassaia dove andremo a collocarci. Amen.

22 agosto.

Siamo arrivati. Il caldo è terribile. Non v’è un albero,un ciuffo d’erba. Il sole a picco schianta anche i più re-sistenti. Non ho mai provata un’impressione simile. Misembra che non solo i piedi ma anche le scarpe brucino.E la nausea complica le cose. Tuttavia ci preoccupiamodel servizio. Organizzazione della posizione e riforni-menti. La richiesta d’ acqua si fa accanita e non c’è unfilo d’acqua nei dintorni né una casa con pozzo. Soloverso le due arrivano i muli coi rifornimenti. L’acqua ècalda e sporca, ma chi se ne preoccupa? Il rancio è ab-bondante ma a base di montone. Pochi riescono a man-giare. Un vino grosso di venti gradi mi libera dalla nau-sea, ma dopo pochi minuti ho non solo i piedi ma anchela testa in fiamme. Eppure non ho bevuto che pochi sor-si. Le discussioni si accendono tra i militi e dobbiamointervenire e sorvegliare il vino.

(Un reparto può essere formato di dei. Ma gli dei inun reparto tornano bambini).

Cominciamo a scavare, a fissar guardie, a tagliare lastrada. L’ordine è di guardarsi da un’incursione prove-niente da Huesca.

Davanti a noi, sulla nostra sinistra, dovrebbero trovar-si 300 spagnoli. Ma per ora non ne vediamo la traccia.

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La stalla di Vicien sembra una reggia in confrontodella sassaia dove andremo a collocarci. Amen.

22 agosto.

Siamo arrivati. Il caldo è terribile. Non v’è un albero,un ciuffo d’erba. Il sole a picco schianta anche i più re-sistenti. Non ho mai provata un’impressione simile. Misembra che non solo i piedi ma anche le scarpe brucino.E la nausea complica le cose. Tuttavia ci preoccupiamodel servizio. Organizzazione della posizione e riforni-menti. La richiesta d’ acqua si fa accanita e non c’è unfilo d’acqua nei dintorni né una casa con pozzo. Soloverso le due arrivano i muli coi rifornimenti. L’acqua ècalda e sporca, ma chi se ne preoccupa? Il rancio è ab-bondante ma a base di montone. Pochi riescono a man-giare. Un vino grosso di venti gradi mi libera dalla nau-sea, ma dopo pochi minuti ho non solo i piedi ma anchela testa in fiamme. Eppure non ho bevuto che pochi sor-si. Le discussioni si accendono tra i militi e dobbiamointervenire e sorvegliare il vino.

(Un reparto può essere formato di dei. Ma gli dei inun reparto tornano bambini).

Cominciamo a scavare, a fissar guardie, a tagliare lastrada. L’ordine è di guardarsi da un’incursione prove-niente da Huesca.

Davanti a noi, sulla nostra sinistra, dovrebbero trovar-si 300 spagnoli. Ma per ora non ne vediamo la traccia.

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Notte dal 22 al 23 agosto.

La notte è scesa veloce. Dopo il gran fuoco del giornol’aria ha un che di morbido e di palpabile. Una brezzalieve soffia da occidente sull’oceano di terra umida, ca-rezzando il viso e asciugando il corpo affranto.

Immensamente lunga ci è sembrata questa primagiornata vissuta tra terra e sole: giornata-barriera versoil nostro passato. Siamo soli, in cento su una piegadell’altipiano, stretti da una solidarietà necessaria e tota-le. Il bene che voglio ai compagni diventa istintivo, qua-si fisico. Essi sono tutta l’umanità. Lungo la trincea, at-torno alle improvvisate cuccie circolano ombre; e il ti-mido sussurrìo delle ultime conversazioni rispettose del-la notte è commovente. Ogni tanto una, due ombre fila-no contro il cielo e le montagne, personaggi strani delmondo notturno.

La profondità densa del cielo rende straordinariamen-te luminose le stelle. Migliaia, milioni di stelle intreccia-te in costellazioni capricciose per i nostri occhi ignoran-ti. Fissandole, il ritmo della loro luce sembra un respiro.Miseria notturna della terra in cospetto a questa ricchez-za inesplorata del cielo.

Ma ecco che a levante si scoprono delle luci, tre gran-di luci geometricamente allineate. Huesca. A occidente,altre luci corrispondono in direzione di Almudebar. Etra quelle luci si inizia uno strano linguaggio di segnali.Sono i nemici assediati che corrispondono. Una nuovaluce si accende improvvisa nella pianura sottostante,

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Notte dal 22 al 23 agosto.

La notte è scesa veloce. Dopo il gran fuoco del giornol’aria ha un che di morbido e di palpabile. Una brezzalieve soffia da occidente sull’oceano di terra umida, ca-rezzando il viso e asciugando il corpo affranto.

Immensamente lunga ci è sembrata questa primagiornata vissuta tra terra e sole: giornata-barriera versoil nostro passato. Siamo soli, in cento su una piegadell’altipiano, stretti da una solidarietà necessaria e tota-le. Il bene che voglio ai compagni diventa istintivo, qua-si fisico. Essi sono tutta l’umanità. Lungo la trincea, at-torno alle improvvisate cuccie circolano ombre; e il ti-mido sussurrìo delle ultime conversazioni rispettose del-la notte è commovente. Ogni tanto una, due ombre fila-no contro il cielo e le montagne, personaggi strani delmondo notturno.

La profondità densa del cielo rende straordinariamen-te luminose le stelle. Migliaia, milioni di stelle intreccia-te in costellazioni capricciose per i nostri occhi ignoran-ti. Fissandole, il ritmo della loro luce sembra un respiro.Miseria notturna della terra in cospetto a questa ricchez-za inesplorata del cielo.

Ma ecco che a levante si scoprono delle luci, tre gran-di luci geometricamente allineate. Huesca. A occidente,altre luci corrispondono in direzione di Almudebar. Etra quelle luci si inizia uno strano linguaggio di segnali.Sono i nemici assediati che corrispondono. Una nuovaluce si accende improvvisa nella pianura sottostante,

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nella nostra zona. Un’altra ancora, più lontana, fa pensa-re a un faro fisso. Entrano entrambe nel colloquio not-turno, luci spie, luci traditrici, che raccontano quello chehanno veduto durante il giorno lungo le strade polvero-se, nei villaggi sporchi e congestionati, e quello chehanno ascoltato dalla ingenua confidenza dei miliziani oattraverso il filo dei rari telefoni.

La conversazione si complica, si allarga. Una, due, trestelle filanti tagliano veloci il cielo con una semplicitàsicura ed elegante. A destra delle luci di Almudebar siaccende una piccola costellazione tremolante e ci rivelaun villaggio. Più lontano un’altra costellazione, un altrovillaggio. È come una musica di luci col tema fisso dellesegnalazioni e l’accompagnamento ritmico delle costel-lazioni.

Al chiarore di una lampadina cerco sulla carta Miche-lin – l’unica esistente – il nome. Non c’è dubbio. La pri-ma costellazione è Alcalà de Gurrea. Ma la seconda?Sulla carta non sono segnati nelle vicinanze altri paesi.Evidentemente non interessano nonostante il nomegrandiloquente. Eppure nella notte sono questi paesi checi ricollegano alla vita del nostro mondo abituale, lucimulticolori di Parigi, Marsiglia, Barcellona, confusionedi réclames e torrenti di vetture sui boulevards e i Cam-pi Elisi. Ci vuole un certo sforzo per ricordarsi la guerra.Dov’è la guerra? Solo il grido insistente e triste delle ci-vette rompe il silenzio.

Ora la brezza si è trasformata in vento forte, violento,che arriva a ondate trasportando un carico vario di detri-

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nella nostra zona. Un’altra ancora, più lontana, fa pensa-re a un faro fisso. Entrano entrambe nel colloquio not-turno, luci spie, luci traditrici, che raccontano quello chehanno veduto durante il giorno lungo le strade polvero-se, nei villaggi sporchi e congestionati, e quello chehanno ascoltato dalla ingenua confidenza dei miliziani oattraverso il filo dei rari telefoni.

La conversazione si complica, si allarga. Una, due, trestelle filanti tagliano veloci il cielo con una semplicitàsicura ed elegante. A destra delle luci di Almudebar siaccende una piccola costellazione tremolante e ci rivelaun villaggio. Più lontano un’altra costellazione, un altrovillaggio. È come una musica di luci col tema fisso dellesegnalazioni e l’accompagnamento ritmico delle costel-lazioni.

Al chiarore di una lampadina cerco sulla carta Miche-lin – l’unica esistente – il nome. Non c’è dubbio. La pri-ma costellazione è Alcalà de Gurrea. Ma la seconda?Sulla carta non sono segnati nelle vicinanze altri paesi.Evidentemente non interessano nonostante il nomegrandiloquente. Eppure nella notte sono questi paesi checi ricollegano alla vita del nostro mondo abituale, lucimulticolori di Parigi, Marsiglia, Barcellona, confusionedi réclames e torrenti di vetture sui boulevards e i Cam-pi Elisi. Ci vuole un certo sforzo per ricordarsi la guerra.Dov’è la guerra? Solo il grido insistente e triste delle ci-vette rompe il silenzio.

Ora la brezza si è trasformata in vento forte, violento,che arriva a ondate trasportando un carico vario di detri-

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ti che disturba gli occhi.Sulla cresta si sta a mala pena in piedi e si ha quasi

freddo.Muoviamoci dunque per la prima ronda alle sentinel-

le.— Salute, compagno. Come va la guardia?— Va bene. Hai visto quei lumi laggiù?— Sì. Probabilmente sono segnali. Domani ci infor-

meremo, manderemo magari una pattuglia.Alle raccomandazioni di buona guardia, risponde un

sorriso franco, giovane. Qualche scambio di impressio-ni, qualche ricordo ancora, e poi la ronda continua.

— Ohè ! Chi è? Ho urtato un corpo avvolto nella co-perta.

— Niente, sono io, Perrone. Come va la mitragliatri-ce? A posto?

— A posto.Il capo mitraglia si avvicina.— Senti un rumore? Mi sembra un motore.Scrutiamo insieme la notte.— Non ti sembra di vedere delle luci di camions?— Già, sembra. Forse sono camions che vanno da Al-

mudebar a Huesca. Rinforzi di Saragozza.— Buona notte.— Buona notte.Conversazioni ellittiche in cui il giuoco della voce è

tutto.La ronda è finita. Sotto la cresta su cui corre la trincea

c’è uno spiazzato breve. Là mi stendo vicino ad alcuni

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ti che disturba gli occhi.Sulla cresta si sta a mala pena in piedi e si ha quasi

freddo.Muoviamoci dunque per la prima ronda alle sentinel-

le.— Salute, compagno. Come va la guardia?— Va bene. Hai visto quei lumi laggiù?— Sì. Probabilmente sono segnali. Domani ci infor-

meremo, manderemo magari una pattuglia.Alle raccomandazioni di buona guardia, risponde un

sorriso franco, giovane. Qualche scambio di impressio-ni, qualche ricordo ancora, e poi la ronda continua.

— Ohè ! Chi è? Ho urtato un corpo avvolto nella co-perta.

— Niente, sono io, Perrone. Come va la mitragliatri-ce? A posto?

— A posto.Il capo mitraglia si avvicina.— Senti un rumore? Mi sembra un motore.Scrutiamo insieme la notte.— Non ti sembra di vedere delle luci di camions?— Già, sembra. Forse sono camions che vanno da Al-

mudebar a Huesca. Rinforzi di Saragozza.— Buona notte.— Buona notte.Conversazioni ellittiche in cui il giuoco della voce è

tutto.La ronda è finita. Sotto la cresta su cui corre la trincea

c’è uno spiazzato breve. Là mi stendo vicino ad alcuni

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compagni. E dormo fino alla prossima ronda.

(Fronte d’Huesca) 23-26 agosto.

Giornate di organizzazione e di lavoro duro. Dobbia-mo guardarci su tre fronti e non abbiamo collegamenti.Temo un attacco di sorpresa dai valloni tortuosi che sal-gono da Almudebar. E per l’appunto in quella direzioneil nostro fronte è più sguarnito. Angeloni che comandala compagnia mitragliatrice, vuole tenersi alla consegna,che è di sbarrare la strada. Io, che comando la compa-gnia fucilieri, non sono convinto e chiedo uno sposta-mento delle mitragliatrici. Alla fine ottengo che una del-le mitragliatrici si porti sul nostro fronte.

Non è facile tenere i compagni sulla posizione duran-te il giorno. La lontananza del nemico e la scarsitàd’acqua inducono all’esplorazione dei dintorni. Chi vaper recipienti e mezzi di trasporto, chi per semplice spi-rito d’avventura. Senza contare il lago.

Il terreno e il sole comandano la guerra. Da quanto hopotuto capire nelle conversazioni avute con militi spa-gnoli, la guerra qui si fa fino alle nove del mattino; soloin casi straordinari sino alle dieci. Dopo, il caldo el’arsura impediscono ogni combattimento. Sacre poisono, da una parte e dall’altra, le ore della comida, delpasto. Quando c’è battaglia, il combattimento, sospesoper la comida, riprende verso le quattro del pomeriggioe si svolge quasi sempre intorno alle cascine e alle rareville o ai ciuffi d’alberi. La fortificazione è ignota.

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compagni. E dormo fino alla prossima ronda.

(Fronte d’Huesca) 23-26 agosto.

Giornate di organizzazione e di lavoro duro. Dobbia-mo guardarci su tre fronti e non abbiamo collegamenti.Temo un attacco di sorpresa dai valloni tortuosi che sal-gono da Almudebar. E per l’appunto in quella direzioneil nostro fronte è più sguarnito. Angeloni che comandala compagnia mitragliatrice, vuole tenersi alla consegna,che è di sbarrare la strada. Io, che comando la compa-gnia fucilieri, non sono convinto e chiedo uno sposta-mento delle mitragliatrici. Alla fine ottengo che una del-le mitragliatrici si porti sul nostro fronte.

Non è facile tenere i compagni sulla posizione duran-te il giorno. La lontananza del nemico e la scarsitàd’acqua inducono all’esplorazione dei dintorni. Chi vaper recipienti e mezzi di trasporto, chi per semplice spi-rito d’avventura. Senza contare il lago.

Il terreno e il sole comandano la guerra. Da quanto hopotuto capire nelle conversazioni avute con militi spa-gnoli, la guerra qui si fa fino alle nove del mattino; soloin casi straordinari sino alle dieci. Dopo, il caldo el’arsura impediscono ogni combattimento. Sacre poisono, da una parte e dall’altra, le ore della comida, delpasto. Quando c’è battaglia, il combattimento, sospesoper la comida, riprende verso le quattro del pomeriggioe si svolge quasi sempre intorno alle cascine e alle rareville o ai ciuffi d’alberi. La fortificazione è ignota.

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Quando la pressione nemica è troppo forte si abbandonala posizione, salvo riattaccarla al momento opportuno.

Ma la posizione che ci è affidata – l’unica del settoresenza una casa, un albero, un rifugio ombroso – non sipuò abbandonare, senza scoprire alle spalle le colonneche investono Huesca. Perciò prolunghiamo la trincea,la prima di tutto il fronte.

27 agosto.

Siamo partiti all’alba per la terza esplorazione, ap-punto verso Almudebar. Angeloni con una pattugliaesplora i valloni sulla sinistra della strada; io conun’altra esploro il terreno alberato sulla destra.

Per quattro lunghi chilometri nulla e nessuno. Vignetie mandorleti cintati, casupole abbandonate. In vista diAlmudebar l’altra pattuglia ci raggiunge. Le rovine ci-clopiche di un castello dominano il mazzo delle casupo-le. Tutto il fianco destro del paese è di case trogloditicheritagliate nella collina. Nella piana antistante si scorge ilnemico e la sua rete di piccoli posti appoggiati a unacollinetta conica fortificata. Vediamo delle artiglierie.Nonostante fossimo nascosti in una cava di pietre, il ne-mico ci ha avvistati. L’allarme è evidente. Un gruppo disoldati corre verso il villaggio, un altro esce verso lastrada. Ma non spariamo. È inutile. Completati i rilievi,sempre con l’occhio alla strada di dove potrebbe venireun’incursione avvolgente, ci ritiriamo.

È difficile prendere sul serio questa guerra.

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Quando la pressione nemica è troppo forte si abbandonala posizione, salvo riattaccarla al momento opportuno.

Ma la posizione che ci è affidata – l’unica del settoresenza una casa, un albero, un rifugio ombroso – non sipuò abbandonare, senza scoprire alle spalle le colonneche investono Huesca. Perciò prolunghiamo la trincea,la prima di tutto il fronte.

27 agosto.

Siamo partiti all’alba per la terza esplorazione, ap-punto verso Almudebar. Angeloni con una pattugliaesplora i valloni sulla sinistra della strada; io conun’altra esploro il terreno alberato sulla destra.

Per quattro lunghi chilometri nulla e nessuno. Vignetie mandorleti cintati, casupole abbandonate. In vista diAlmudebar l’altra pattuglia ci raggiunge. Le rovine ci-clopiche di un castello dominano il mazzo delle casupo-le. Tutto il fianco destro del paese è di case trogloditicheritagliate nella collina. Nella piana antistante si scorge ilnemico e la sua rete di piccoli posti appoggiati a unacollinetta conica fortificata. Vediamo delle artiglierie.Nonostante fossimo nascosti in una cava di pietre, il ne-mico ci ha avvistati. L’allarme è evidente. Un gruppo disoldati corre verso il villaggio, un altro esce verso lastrada. Ma non spariamo. È inutile. Completati i rilievi,sempre con l’occhio alla strada di dove potrebbe venireun’incursione avvolgente, ci ritiriamo.

È difficile prendere sul serio questa guerra.

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LETTERA ALLA MOGLIE*

Tento! di scriverti una lettera. Da quando sono partitoho avuto un’esistenza fantastica, senza un attimo di tem-po per raccogliermi e riordinare le infinite impressioni eemozioni. Sono come un uomo trasportato di colpo dal-la terra alla luna. Tutti i rapporti, le abitudini capovolte.Per fortuna che resto adattabile e giovanile di spirito, e –l’ho constatato con piacere – di corpo.

Dunque, partiamo da Barcellona il 18 sera, mercoledì.Angeloni aveva il comando della compagnia mitraglieri,io della fucilieri. Assieme dirigevamo il reparto italianodestinato alla Colonna Ascaso. Accoglienze straordina-rie la notte nei paesi catalani traversati dal nostro treno,in particolare a Tarrasa dove tutto un popolo, all’una dinotte, circondò il treno portando frutta, pane, vino, in-neggiando alla rivoluzione e all’Italia.

La notte successiva, dopo varie vicissitudini, arrivam-mo in una infima località del fronte aragonese e si ini-ziava la fantastica vita di accampamento e poi di guerrache spero conoscerai già attraverso le corrispondenze diCalosso in «Giustizia e Libertà». Riuscimmo durante tregiorni ad organizzarci su basi militari, con istruzioni,muli, cucine. Il quarto giorno, occupammo una linea as-

* Dal libro: Oggi in Spagna, domani in Italia. 31 agosto 1936.

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LETTERA ALLA MOGLIE*

Tento! di scriverti una lettera. Da quando sono partitoho avuto un’esistenza fantastica, senza un attimo di tem-po per raccogliermi e riordinare le infinite impressioni eemozioni. Sono come un uomo trasportato di colpo dal-la terra alla luna. Tutti i rapporti, le abitudini capovolte.Per fortuna che resto adattabile e giovanile di spirito, e –l’ho constatato con piacere – di corpo.

Dunque, partiamo da Barcellona il 18 sera, mercoledì.Angeloni aveva il comando della compagnia mitraglieri,io della fucilieri. Assieme dirigevamo il reparto italianodestinato alla Colonna Ascaso. Accoglienze straordina-rie la notte nei paesi catalani traversati dal nostro treno,in particolare a Tarrasa dove tutto un popolo, all’una dinotte, circondò il treno portando frutta, pane, vino, in-neggiando alla rivoluzione e all’Italia.

La notte successiva, dopo varie vicissitudini, arrivam-mo in una infima località del fronte aragonese e si ini-ziava la fantastica vita di accampamento e poi di guerrache spero conoscerai già attraverso le corrispondenze diCalosso in «Giustizia e Libertà». Riuscimmo durante tregiorni ad organizzarci su basi militari, con istruzioni,muli, cucine. Il quarto giorno, occupammo una linea as-

* Dal libro: Oggi in Spagna, domani in Italia. 31 agosto 1936.

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sai importante che immediatamente fortificammo.Fu questa fortificazione concepita e realizzata con

seri criteri militari che ci permise di resistere a un attac-co improvviso di una colonna motorizzata, cinque o seivolte superiore e appoggiata da un’autoblindata.

Ecco la mia ferita: dato l’allarme, mi portai sulla trin-cea; stavo osservando alle prime luci dell’alba la zonaantistante quando cominciarono a fioccare le prime pal-lottole. Sentii un leggerissimo colpo sulla parte destra.Nessun dolore. Scesi in trincea, vidi che perdevo un po’di sangue, mi recai all’infermeria. Una palla straordina-riamente fortunata: entrata e uscita superficiale, nessunalesione e, straordinario, nessun dolore.

Mentre stavo al posto di medicazione la battaglia svi-luppava. Ma tu sapessi come è difficile seguire una bat-taglia: si spezzetta in mille episodi secondari. Contegnodei nostri straordinario, meraviglioso, come non avreisupposto, nonostante che fossi molto ottimista, il più ot-timista di tutti. L’attacco durò quattro ore. Le perdite av-versarie furono dieci volte superiori alle nostre. Le no-stre tuttavia furono alte, troppo alte.

(Sospensione per servizio).L’alta percentuale delle perdite credo che in parte sia

dovuta alla temerarietà di cui fecero mostra alcuni, onuovi al fuoco o sprezzanti della vita.

Riprendo il filo del racconto. Dunque, vedendo che lalotta continuava e il fuoco avversario si stringeva, scen-devo a un posto vicino a prendere rinforzi che attaccan-do di fianco l’avversario lo costringevano a battere in ri-

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sai importante che immediatamente fortificammo.Fu questa fortificazione concepita e realizzata con

seri criteri militari che ci permise di resistere a un attac-co improvviso di una colonna motorizzata, cinque o seivolte superiore e appoggiata da un’autoblindata.

Ecco la mia ferita: dato l’allarme, mi portai sulla trin-cea; stavo osservando alle prime luci dell’alba la zonaantistante quando cominciarono a fioccare le prime pal-lottole. Sentii un leggerissimo colpo sulla parte destra.Nessun dolore. Scesi in trincea, vidi che perdevo un po’di sangue, mi recai all’infermeria. Una palla straordina-riamente fortunata: entrata e uscita superficiale, nessunalesione e, straordinario, nessun dolore.

Mentre stavo al posto di medicazione la battaglia svi-luppava. Ma tu sapessi come è difficile seguire una bat-taglia: si spezzetta in mille episodi secondari. Contegnodei nostri straordinario, meraviglioso, come non avreisupposto, nonostante che fossi molto ottimista, il più ot-timista di tutti. L’attacco durò quattro ore. Le perdite av-versarie furono dieci volte superiori alle nostre. Le no-stre tuttavia furono alte, troppo alte.

(Sospensione per servizio).L’alta percentuale delle perdite credo che in parte sia

dovuta alla temerarietà di cui fecero mostra alcuni, onuovi al fuoco o sprezzanti della vita.

Riprendo il filo del racconto. Dunque, vedendo che lalotta continuava e il fuoco avversario si stringeva, scen-devo a un posto vicino a prendere rinforzi che attaccan-do di fianco l’avversario lo costringevano a battere in ri-

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tirata. Credo che nessun altro reparto avrebbe tenuto laposizione in condizioni simili.

Ora la posizione sul fronte è profondamente modifi-cata a nostro favore. I nostri avanzano, noi abbiamoavuto rinforzi di uomini e materiali, tra pochi giorni lasituazione sarà risolta in questa zona a nostro favore. Siporrà perciò abbastanza presto il problema del nostro ri-torno.

La piccola ferita non mi dà la minima noia, tanto èvero che sono rimasto col reparto di cui ho assunto ilcomando, aiutato magnificamente da Tulli, Magrini,Tortora, e soprattutto da un eccezionalmente in gambaex-ufficiale anarchico delle truppe coloniali, Bifolchi,venuto da Bruxelles, di cui credo che Calosso abbia giàfatto le lodi sul giornale.

Preferisco non parlarti dei compagni caduti. Ne scri-verò un giorno come meritano. Angeloni è morto comeun eroe classico: «Addio, compagni», gridò sul ciglionedove si era troppo scoperto. Cantò l’Internazionale, par-lò dei suoi, serbò coscienza fino alla fine (fu trasportatoall’ospedale). Agli spagnoli disse che era bello e facilemorire per la libertà.

Come chiederti ora di non vivere in ansia per me? Tupenserai che anche per me sussistono grandi rischi,mentre ti assicuro formalmente che non è così, o me-glio, non è più così. Siamo in posizione più tranquilla,anzi tranquillissima e attacchi di sorpresa come quellidel 28 non possono più avvenire.

Avrei pagine e pagine da scriverti sulla vita al campo,

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tirata. Credo che nessun altro reparto avrebbe tenuto laposizione in condizioni simili.

Ora la posizione sul fronte è profondamente modifi-cata a nostro favore. I nostri avanzano, noi abbiamoavuto rinforzi di uomini e materiali, tra pochi giorni lasituazione sarà risolta in questa zona a nostro favore. Siporrà perciò abbastanza presto il problema del nostro ri-torno.

La piccola ferita non mi dà la minima noia, tanto èvero che sono rimasto col reparto di cui ho assunto ilcomando, aiutato magnificamente da Tulli, Magrini,Tortora, e soprattutto da un eccezionalmente in gambaex-ufficiale anarchico delle truppe coloniali, Bifolchi,venuto da Bruxelles, di cui credo che Calosso abbia giàfatto le lodi sul giornale.

Preferisco non parlarti dei compagni caduti. Ne scri-verò un giorno come meritano. Angeloni è morto comeun eroe classico: «Addio, compagni», gridò sul ciglionedove si era troppo scoperto. Cantò l’Internazionale, par-lò dei suoi, serbò coscienza fino alla fine (fu trasportatoall’ospedale). Agli spagnoli disse che era bello e facilemorire per la libertà.

Come chiederti ora di non vivere in ansia per me? Tupenserai che anche per me sussistono grandi rischi,mentre ti assicuro formalmente che non è così, o me-glio, non è più così. Siamo in posizione più tranquilla,anzi tranquillissima e attacchi di sorpresa come quellidel 28 non possono più avvenire.

Avrei pagine e pagine da scriverti sulla vita al campo,

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il ritorno allo stato di natura, la psicologia di questo po-polo straordinario, la grandiosità di questa guerra rivolu-zionaria di popolo. Ma non ho il tempo, non ho il modo.Mi lavo ogni tre o quattro giorni, dormo si e no qualcheora per notte, trotto sul giorno, bevo e mangio quandocapita (per verità i rifornimenti sin qui sono stati larghi ela nostra cucina ottima), insomma vita militare da cam-pagna pura, bella, entusiasmante.

Marion cara, quale esperienza straordinaria. Torneròarricchito, fortificato, ringiovanito. Sento che tornerò,come sentivo, ma non te l’avevo detto, che l’onore dellaprima palla (intelligentissima) sarebbe stato mio.

La colonna italiana ha già scritto una pagina di storia.Penso a Rossi e alla sua frase: «A nulla servono le ideese non si è pronti a servirle con l’azione».

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il ritorno allo stato di natura, la psicologia di questo po-polo straordinario, la grandiosità di questa guerra rivolu-zionaria di popolo. Ma non ho il tempo, non ho il modo.Mi lavo ogni tre o quattro giorni, dormo si e no qualcheora per notte, trotto sul giorno, bevo e mangio quandocapita (per verità i rifornimenti sin qui sono stati larghi ela nostra cucina ottima), insomma vita militare da cam-pagna pura, bella, entusiasmante.

Marion cara, quale esperienza straordinaria. Torneròarricchito, fortificato, ringiovanito. Sento che tornerò,come sentivo, ma non te l’avevo detto, che l’onore dellaprima palla (intelligentissima) sarebbe stato mio.

La colonna italiana ha già scritto una pagina di storia.Penso a Rossi e alla sua frase: «A nulla servono le ideese non si è pronti a servirle con l’azione».

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Page 144: Scritti politici e autobiografici, di Carlo Rosselli · 2020. 11. 25. · SCRITTI POLITICI E AUTOBIOGRAFICI POLIS EDITRICE Napoli 1944 7. EROE TUTTO PROSA* Matteotti è diventato

CATALOGNA,BALUARDO DELLA RIVOLUZIONE*

La Catalogna tiene oggi nelle mani i destini dellaSpagna intera.

Così credo di poter riassumere, dopo due mesi e mez-zo di fronte, le mie impressioni sulla situazione spa-gnuola.

Il pessimismo che domina in molti ambienti amici misembra ingiustificato o esagerato. Se Madrid è accer-chiata, se il Sud è in buona parte in mano dei ribelli, tut-to il litorale mediterraneo, tutta la Catalogna sono entu-siasticamente repubblicani. La Catalogna, da sola, signi-fica il 24 per cento della popolazione, la metà della ric-chezza, i tre quarti dell’industria e del commercio spa-gnuoli. (Purtroppo la Catalogna difetta di industria pe-sante e di munizioni).

Sul fronte aragonese, a 350 chilometri dal mare, at-tacca un importante esercito catalano che ogni giornomigliora in disciplina ed efficienza.

Franco è a 20 chilometri da Madrid; ma Durruti a 15chilometri da Saragozza, la principale piazzaforte spa-gnuola. I ribelli hanno Mola; ma i catalani hanno GarciaOliver, l’uomo destinato a esercitare una parte decisiva

* Da «Giustizia e Libertà»: 6 novembre 1936.

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CATALOGNA,BALUARDO DELLA RIVOLUZIONE*

La Catalogna tiene oggi nelle mani i destini dellaSpagna intera.

Così credo di poter riassumere, dopo due mesi e mez-zo di fronte, le mie impressioni sulla situazione spa-gnuola.

Il pessimismo che domina in molti ambienti amici misembra ingiustificato o esagerato. Se Madrid è accer-chiata, se il Sud è in buona parte in mano dei ribelli, tut-to il litorale mediterraneo, tutta la Catalogna sono entu-siasticamente repubblicani. La Catalogna, da sola, signi-fica il 24 per cento della popolazione, la metà della ric-chezza, i tre quarti dell’industria e del commercio spa-gnuoli. (Purtroppo la Catalogna difetta di industria pe-sante e di munizioni).

Sul fronte aragonese, a 350 chilometri dal mare, at-tacca un importante esercito catalano che ogni giornomigliora in disciplina ed efficienza.

Franco è a 20 chilometri da Madrid; ma Durruti a 15chilometri da Saragozza, la principale piazzaforte spa-gnuola. I ribelli hanno Mola; ma i catalani hanno GarciaOliver, l’uomo destinato a esercitare una parte decisiva

* Da «Giustizia e Libertà»: 6 novembre 1936.

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nella guerra rivoluzionaria. La Catalogna ha saputo, insoli tre mesi, sostituire al vecchio ordine crollato unnuovo ordine sociale, rivelando – essi, gli anarchici – unnotevole senso di misura, di realismo, di organizzazio-ne.

Chi avesse visitato Barcellona in luglio e agosto, ogginon la riconoscerebbe più. Scomparsi i civili armati, lebarricate, la circolazione caotica, la ridda di controlli.Barcellona ha oggi una fisionomia normale. Tutti i ser-vizi pubblici, taxi compresi, funzionano regolarmente.Così gli spettacoli.

Certo vi è più eguaglianza tra i cittadini. Non si vedo-no più né cappelli femminili, né gioielli, né passeggiateeleganti sul Paseo. Il tono della vita è più serio. E negliuffici pubblici, ferve intensa la vita, la vita di una rivo-luzione effettiva e costruttiva.

La Catalogna è il paese dove tutte le forze rivoluzio-narie si sono unite su un concreto programma socialistasindacale: socializzazione delle grandi industrie e dei la-tifondi (con indennità per le imprese straniere), rispettodelle piccole proprietà e delle piccole imprese, controllooperaio. Il programma reca la firma della C.N.T. – lapotente organizzazione sindacalista anarchica – e dellaU.G.T., l’organizzazione socialista. È stato adottato dal-la «Esquerra Catalana». È il programma del governo.Perché, questo è importante, alla direzione della nuovaCatalogna si trovano oggi anche gli anarchici. Il sinda-calismo anarchico, diffamato, misconosciuto sta rivelan-do grandi virtù costruttive.

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nella guerra rivoluzionaria. La Catalogna ha saputo, insoli tre mesi, sostituire al vecchio ordine crollato unnuovo ordine sociale, rivelando – essi, gli anarchici – unnotevole senso di misura, di realismo, di organizzazio-ne.

Chi avesse visitato Barcellona in luglio e agosto, ogginon la riconoscerebbe più. Scomparsi i civili armati, lebarricate, la circolazione caotica, la ridda di controlli.Barcellona ha oggi una fisionomia normale. Tutti i ser-vizi pubblici, taxi compresi, funzionano regolarmente.Così gli spettacoli.

Certo vi è più eguaglianza tra i cittadini. Non si vedo-no più né cappelli femminili, né gioielli, né passeggiateeleganti sul Paseo. Il tono della vita è più serio. E negliuffici pubblici, ferve intensa la vita, la vita di una rivo-luzione effettiva e costruttiva.

La Catalogna è il paese dove tutte le forze rivoluzio-narie si sono unite su un concreto programma socialistasindacale: socializzazione delle grandi industrie e dei la-tifondi (con indennità per le imprese straniere), rispettodelle piccole proprietà e delle piccole imprese, controllooperaio. Il programma reca la firma della C.N.T. – lapotente organizzazione sindacalista anarchica – e dellaU.G.T., l’organizzazione socialista. È stato adottato dal-la «Esquerra Catalana». È il programma del governo.Perché, questo è importante, alla direzione della nuovaCatalogna si trovano oggi anche gli anarchici. Il sinda-calismo anarchico, diffamato, misconosciuto sta rivelan-do grandi virtù costruttive.

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Oggi un solo imperativo sovrasta – mi diceva quattrogiorni fa uno dei principali esponenti dell’anarchismocatalano –: vincere la guerra. Tutto deve subordinarsialla guerra. Se occorre, anche lo sviluppo della rivolu-zione.

Santillan mi parla della creazione di una potente indu-stria di guerra. Un tecnico francese gli ha detto: «Voi ca-talani, in fatto di mobilitazione industriale, siete giuntiin tre mesi al punto in cui noi eravamo giunti dopo dueanni di guerra mondiale».

Della imponenza di questa mobilitazione industrialece ne siamo accorti noi, soldati del fronte. Partiti conuna tuta di tela, una maglietta e un paio di «espadrillas»,siamo sulla via di diventare il meglio equipaggiato eser-cito del mondo; uniformi di fustagno, indumenti di lana,scarpe, impermeabili, stivali, giubbe di cuoio, rancio ab-bondante, variato. Un miracolo: miracolo il cui segretosta nell’adesione del popolo alla rivoluzione, nella capa-cità dei sindacati e dei capi.

Non sono anarchico, ma credo obbligo di giustizia il-luminare l’opinione sulle caratteristiche dell’anarchismocatalano, troppo spesso presentato come forza puramen-te critica e distruttiva, quando non addirittura criminale.

L’anarchismo catalano è una delle grandi correnti delsocialismo occidentale. Si riallaccia a Bakunin e a Prou-dhon, alla Ia Internazionale, e ha sempre proclamato lavirtù dell’organizzazione operaia. È anzi proprio perquesta sua fede prepotente nella organizzazione operaiae nell’azione diretta, che ha combattuto i partiti politici

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Oggi un solo imperativo sovrasta – mi diceva quattrogiorni fa uno dei principali esponenti dell’anarchismocatalano –: vincere la guerra. Tutto deve subordinarsialla guerra. Se occorre, anche lo sviluppo della rivolu-zione.

Santillan mi parla della creazione di una potente indu-stria di guerra. Un tecnico francese gli ha detto: «Voi ca-talani, in fatto di mobilitazione industriale, siete giuntiin tre mesi al punto in cui noi eravamo giunti dopo dueanni di guerra mondiale».

Della imponenza di questa mobilitazione industrialece ne siamo accorti noi, soldati del fronte. Partiti conuna tuta di tela, una maglietta e un paio di «espadrillas»,siamo sulla via di diventare il meglio equipaggiato eser-cito del mondo; uniformi di fustagno, indumenti di lana,scarpe, impermeabili, stivali, giubbe di cuoio, rancio ab-bondante, variato. Un miracolo: miracolo il cui segretosta nell’adesione del popolo alla rivoluzione, nella capa-cità dei sindacati e dei capi.

Non sono anarchico, ma credo obbligo di giustizia il-luminare l’opinione sulle caratteristiche dell’anarchismocatalano, troppo spesso presentato come forza puramen-te critica e distruttiva, quando non addirittura criminale.

L’anarchismo catalano è una delle grandi correnti delsocialismo occidentale. Si riallaccia a Bakunin e a Prou-dhon, alla Ia Internazionale, e ha sempre proclamato lavirtù dell’organizzazione operaia. È anzi proprio perquesta sua fede prepotente nella organizzazione operaiae nell’azione diretta, che ha combattuto i partiti politici

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socialisti, nei quali vedeva, come Sorel, un pericolo bu-rocratico e riformistico.

I comunisti libertari della Catalogna sono dei volonta-risti, per i quali il processo sociale non è il risultatomeccanico dello sviluppo delle forze produttive, ma del-lo sforzo creatore e della lotta delle masse.

II socialismo marxista parte dalla massa, dalla collet-tività. Il comunismo libertario parte dal singolo. Vuolepersonalità forti, coscienti, sociali che affermino nellacerchia della loro vita interna ed esterna il fatto emanci-patore. La rivoluzione deve fare dell’uomo lo strumen-to, la misura, il fine. Non accentramento e regola buro-cratica; ma libertà attiva, positiva, in tutte le sferedell’esistenza. Umanesimo libertario, ecco che cosa èl’anarchismo catalano. Nota è la sua passione di cultura.Il suo più grande martire è un educatore, Francisco Fer-rer. La Catalogna pullula di riviste, di cenacoli.

Gli anarchici «espropriatori», i Durruti, gli Ascaso, iGarcia Oliver, i Jover, al tempo in cui venivano trattatida banditi, fondavano a Parigi una... libreria editrice. (EStalin non è stato anche lui un «espropriatore»?).

In Catalogna sta nascendo una nuova forma di demo-crazia sociale, sintesi teorica e pratica dell’esperienzarussa con l’eredità dell’Occidente.

L’anarchismo catalano è una forza ingenua e fresca,certo per alcuni lati primitiva, ma, appunto per questo,aperta sull’avvenire. I suoi capi non sono vecchi perso-naggi paludati, afflosciati da trenta anni di parlamentari-smo. Sono giovani rivoluzionari, di 30-35 anni, maturati

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socialisti, nei quali vedeva, come Sorel, un pericolo bu-rocratico e riformistico.

I comunisti libertari della Catalogna sono dei volonta-risti, per i quali il processo sociale non è il risultatomeccanico dello sviluppo delle forze produttive, ma del-lo sforzo creatore e della lotta delle masse.

II socialismo marxista parte dalla massa, dalla collet-tività. Il comunismo libertario parte dal singolo. Vuolepersonalità forti, coscienti, sociali che affermino nellacerchia della loro vita interna ed esterna il fatto emanci-patore. La rivoluzione deve fare dell’uomo lo strumen-to, la misura, il fine. Non accentramento e regola buro-cratica; ma libertà attiva, positiva, in tutte le sferedell’esistenza. Umanesimo libertario, ecco che cosa èl’anarchismo catalano. Nota è la sua passione di cultura.Il suo più grande martire è un educatore, Francisco Fer-rer. La Catalogna pullula di riviste, di cenacoli.

Gli anarchici «espropriatori», i Durruti, gli Ascaso, iGarcia Oliver, i Jover, al tempo in cui venivano trattatida banditi, fondavano a Parigi una... libreria editrice. (EStalin non è stato anche lui un «espropriatore»?).

In Catalogna sta nascendo una nuova forma di demo-crazia sociale, sintesi teorica e pratica dell’esperienzarussa con l’eredità dell’Occidente.

L’anarchismo catalano è una forza ingenua e fresca,certo per alcuni lati primitiva, ma, appunto per questo,aperta sull’avvenire. I suoi capi non sono vecchi perso-naggi paludati, afflosciati da trenta anni di parlamentari-smo. Sono giovani rivoluzionari, di 30-35 anni, maturati

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nelle galere, negli esili, dotati, come tutti i catalani, diuna visione larga e pratica della vita. Non li imbarazzauna dottrina meticolosa e statica. Il loro socialismo sinutre di esperienza e la loro personalità è troppo forteper non comprendere le ferree esigenze della guerra edella rivoluzione.

Un episodio fra tanti:Un celebre anarchico settantenne andava brontolando

per Barcellona contro le eterodossie dei suoi giovanicompagni.

— Come, degli anarchici nel governo catalano?Come, la «Solidaridad Obrera» osa chiedere la discipli-na e la militarizzazione delle milizie? Come, una dele-gazione anarchica in Russia?

Il vecchio anarchico va a protestare da Garcia Oliver,il segretario generale della guerra, l’idolo di Barcellonaproletaria; ma un idolo chiaroveggente, dotato di selfcontrol. Dopo mezz’ora di colloquio esce convertito.

Come spiegare il fascino di Garcia Oliver? Un corag-gio impetuoso; una intelligenza prontissima assimilatri-ce assistita da una memoria ferrea; una eccezionale ca-pacità organizzatrice e animatrice. Dovunque GarciaOliver si presenti, l’atmosfera si rasserena. Entrano conlui l’ottimismo e la giovinezza. Col suo passo sicuro eun po’ spavaldo dà sicurezza; col suo sorriso aperto efresco, entusiasmo.

Ricordo al fronte un discorsino improvvisato di Gar-cia Oliver ai militi di una centuria, pronunciato dal per-gamo di una chiesa. Cominciò evocando il viaggio di

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nelle galere, negli esili, dotati, come tutti i catalani, diuna visione larga e pratica della vita. Non li imbarazzauna dottrina meticolosa e statica. Il loro socialismo sinutre di esperienza e la loro personalità è troppo forteper non comprendere le ferree esigenze della guerra edella rivoluzione.

Un episodio fra tanti:Un celebre anarchico settantenne andava brontolando

per Barcellona contro le eterodossie dei suoi giovanicompagni.

— Come, degli anarchici nel governo catalano?Come, la «Solidaridad Obrera» osa chiedere la discipli-na e la militarizzazione delle milizie? Come, una dele-gazione anarchica in Russia?

Il vecchio anarchico va a protestare da Garcia Oliver,il segretario generale della guerra, l’idolo di Barcellonaproletaria; ma un idolo chiaroveggente, dotato di selfcontrol. Dopo mezz’ora di colloquio esce convertito.

Come spiegare il fascino di Garcia Oliver? Un corag-gio impetuoso; una intelligenza prontissima assimilatri-ce assistita da una memoria ferrea; una eccezionale ca-pacità organizzatrice e animatrice. Dovunque GarciaOliver si presenti, l’atmosfera si rasserena. Entrano conlui l’ottimismo e la giovinezza. Col suo passo sicuro eun po’ spavaldo dà sicurezza; col suo sorriso aperto efresco, entusiasmo.

Ricordo al fronte un discorsino improvvisato di Gar-cia Oliver ai militi di una centuria, pronunciato dal per-gamo di una chiesa. Cominciò evocando il viaggio di

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Ulisse e le vere virtù della guerra, coraggio e intelligen-za; e terminò con una benedizione scherzosa. Ricordoancora la sua impassibilità a tavola mentre scoppiavanointorno le bombe dei Caproni, e la predica a un motori-sta impaurito, che gli fornì l’occasione di esporre unaconcezione dinamica e combattiva della vita.

Sono stato 75 giorni al fronte e in trincea con glianarchici. Li ammiro. Gli anarchici catalani sono unadelle avanguardie eroiche della rivoluzione occidentale.È nato con essi un nuovo mondo che è bello servire.

Rivoluzionari dottrinari, riformisti della lettera, uomi-ni della II e III Internazionale, governanti di Madrid,che storcete la bocca quando si parla dell’anarchismocatalano, ricordatevi il 19-20 a Barcellona: uno dei mi-gliori generali della Spagna, Goded, aveva preparatoscientificamente l’assassinio della Catalogna. 40.000uomini della guarnigione occupano di sorpresa i puntistrategici. Barcellona è teoricamente caduta.

Ma a Barcellona è la C.N.T., sono migliaia di operairivoluzionari, di capi giovani e volitivi, ai quali si è in-segnato che la rivoluzione non è opera né della Storia,né dell’Economia, né di un Partito, né di un Comitato: èopera del singolo, che porta in sé tutte le possibilità etutta la responsabilità dell’avvenire.

In un attimo questi operai, questi uomini, ammaestratidalla lezione dell’aprile ’31 e soprattutto dell’ottobre’34, si gettano nella mischia: attaccano le mitragliatrici,i cannoni con misere rivoltelle, coltelli, camions. In po-che ore il fascismo feudale è spazzato. Tutta la Catalo-

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Ulisse e le vere virtù della guerra, coraggio e intelligen-za; e terminò con una benedizione scherzosa. Ricordoancora la sua impassibilità a tavola mentre scoppiavanointorno le bombe dei Caproni, e la predica a un motori-sta impaurito, che gli fornì l’occasione di esporre unaconcezione dinamica e combattiva della vita.

Sono stato 75 giorni al fronte e in trincea con glianarchici. Li ammiro. Gli anarchici catalani sono unadelle avanguardie eroiche della rivoluzione occidentale.È nato con essi un nuovo mondo che è bello servire.

Rivoluzionari dottrinari, riformisti della lettera, uomi-ni della II e III Internazionale, governanti di Madrid,che storcete la bocca quando si parla dell’anarchismocatalano, ricordatevi il 19-20 a Barcellona: uno dei mi-gliori generali della Spagna, Goded, aveva preparatoscientificamente l’assassinio della Catalogna. 40.000uomini della guarnigione occupano di sorpresa i puntistrategici. Barcellona è teoricamente caduta.

Ma a Barcellona è la C.N.T., sono migliaia di operairivoluzionari, di capi giovani e volitivi, ai quali si è in-segnato che la rivoluzione non è opera né della Storia,né dell’Economia, né di un Partito, né di un Comitato: èopera del singolo, che porta in sé tutte le possibilità etutta la responsabilità dell’avvenire.

In un attimo questi operai, questi uomini, ammaestratidalla lezione dell’aprile ’31 e soprattutto dell’ottobre’34, si gettano nella mischia: attaccano le mitragliatrici,i cannoni con misere rivoltelle, coltelli, camions. In po-che ore il fascismo feudale è spazzato. Tutta la Catalo-

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gna è libera.E dopo una settimana le prime colonne di popolani

armati prendono l’offensiva in Aragona.Concludo come ho cominciato: la Catalogna tiene in

mano i destini della Spagna e della rivoluzione. In unmese potrà armare 300.000 uomini e vincere.

Perché non lo ha già fatto?Perché è stata, se non boicottata, trascurata. Il sociali-

smo madrileno, accerchiato, ha continuato a inseguire ilsuo sogno centralista, unitario, mentre a Barcellona nonarrivavano che le briciole.

Il socialismo, il comunismo internazionale guardava-no con preoccupazione questa creatura eterodossa.

Ora, fortunatamente tutto ciò sta per mutare.Garcia Oliver, arrestato e torturato sotto la repubblica,

oggi fa parte del governo di Madrid, insieme ad altri trecompagni della C.N.T.

Si potranno perdere ancora delle battaglie; ma si vin-cerà la guerra.

La ragione di questa fede è molto semplice: un mon-do nuovo è sbocciato, un popolo intero ha gustato i frut-ti della libertà non solo nei comizi, ma nell’officina, neicampi, al fronte.

Questo popolo non potrà più rassegnarsi alla schiavi-tù.

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gna è libera.E dopo una settimana le prime colonne di popolani

armati prendono l’offensiva in Aragona.Concludo come ho cominciato: la Catalogna tiene in

mano i destini della Spagna e della rivoluzione. In unmese potrà armare 300.000 uomini e vincere.

Perché non lo ha già fatto?Perché è stata, se non boicottata, trascurata. Il sociali-

smo madrileno, accerchiato, ha continuato a inseguire ilsuo sogno centralista, unitario, mentre a Barcellona nonarrivavano che le briciole.

Il socialismo, il comunismo internazionale guardava-no con preoccupazione questa creatura eterodossa.

Ora, fortunatamente tutto ciò sta per mutare.Garcia Oliver, arrestato e torturato sotto la repubblica,

oggi fa parte del governo di Madrid, insieme ad altri trecompagni della C.N.T.

Si potranno perdere ancora delle battaglie; ma si vin-cerà la guerra.

La ragione di questa fede è molto semplice: un mon-do nuovo è sbocciato, un popolo intero ha gustato i frut-ti della libertà non solo nei comizi, ma nell’officina, neicampi, al fronte.

Questo popolo non potrà più rassegnarsi alla schiavi-tù.

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OGGI IN SPAGNA, DOMANI IN ITALIA*

Compagni, fratelli, italiani, ascoltate.Un volontario italiano vi parla dalla Radio di Barcel-

lona per portarvi il saluto delle migliaia di antifascistiitaliani esuli che si battono nelle file dell’armata rivolu-zionaria.

Una colonna italiana combatte da tre mesi sul frontedi Aragona. Undici morti, venti feriti, la stima dei com-pagni spagnuoli: ecco la testimonianza del suo sacrifi-cio.

Una seconda colonna italiana, formatasi in questigiorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti sitrovano volontari italiani, uomini che avendo perduto lalibertà nella propria terra, cominciano col riconquistarlain Ispagna, fucile alla mano.

Giornalmente arrivano volontari italiani: dalla Fran-cia, dal Belgio, dalla Svizzera, dalle lontane Americhe.Dovunque sono comunità italiane, si formano comitatiper la Spagna proletaria. Anche dall’Italia oppressa par-tono volontari. Nelle nostre file contiamo a decine icompagni che, a prezzo di mille pericoli, hanno varcatoclandestinamente la frontiera. Accanto ai veterani

* Discorso pronunciato alla radio di Barcellona il 13 novembre1936.

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OGGI IN SPAGNA, DOMANI IN ITALIA*

Compagni, fratelli, italiani, ascoltate.Un volontario italiano vi parla dalla Radio di Barcel-

lona per portarvi il saluto delle migliaia di antifascistiitaliani esuli che si battono nelle file dell’armata rivolu-zionaria.

Una colonna italiana combatte da tre mesi sul frontedi Aragona. Undici morti, venti feriti, la stima dei com-pagni spagnuoli: ecco la testimonianza del suo sacrifi-cio.

Una seconda colonna italiana, formatasi in questigiorni, difende eroicamente Madrid. In tutti i reparti sitrovano volontari italiani, uomini che avendo perduto lalibertà nella propria terra, cominciano col riconquistarlain Ispagna, fucile alla mano.

Giornalmente arrivano volontari italiani: dalla Fran-cia, dal Belgio, dalla Svizzera, dalle lontane Americhe.Dovunque sono comunità italiane, si formano comitatiper la Spagna proletaria. Anche dall’Italia oppressa par-tono volontari. Nelle nostre file contiamo a decine icompagni che, a prezzo di mille pericoli, hanno varcatoclandestinamente la frontiera. Accanto ai veterani

* Discorso pronunciato alla radio di Barcellona il 13 novembre1936.

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dell’antifascismo lottano i giovanissimi che hanno ab-bandonato l’università, la fabbrica e perfino la caserma.Hanno disertato la guerra borghese per partecipare allaguerra rivoluzionaria.

Ascoltate, italiani. È un volontario italiano che vi par-la dalla Radio di Barcellona. Un secolo fa, l’Italia schia-va taceva e fremeva sotto il tallone dell’Austria, delBorbone, dei Savoia, dei preti. Ogni sforzo di liberazio-ne veniva spietatamente represso. Coloro che non eranoin prigione, venivano costretti all’esilio. Ma in esilionon rinunciarono alla lotta. Santarosa in Grecia, Gari-baldi in America, Mazzini in Inghilterra, Pisacane inFrancia, insieme a tanti altri, non potendo più lottare nelpaese, lottarono per la libertà degli altri popoli, dimo-strando al mondo che gli italiani erano degni di vivereliberi. Da quei sacrifici, da quegli esempi uscì consacra-ta la causa italiana. Gli italiani riacquistarono fiducianelle loro forze.

Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliantedell’antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domi-na. Siamo noi che ci siamo lasciati mettere il piede sulcollo da una minoranza faziosa, che utilizzando tutte leforze del privilegio tiene in ceppi la classe lavoratrice edil pensiero italiani.

Ogni sforzo sembra vano contro la massiccia armatadittatoriale. Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo chele dittature passano e che i popoli restano. La Spagna cene fornisce la palpitante riprova. Nessuno parla più di deRivera. Nessuna parlerà più domani di Mussolini. E

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dell’antifascismo lottano i giovanissimi che hanno ab-bandonato l’università, la fabbrica e perfino la caserma.Hanno disertato la guerra borghese per partecipare allaguerra rivoluzionaria.

Ascoltate, italiani. È un volontario italiano che vi par-la dalla Radio di Barcellona. Un secolo fa, l’Italia schia-va taceva e fremeva sotto il tallone dell’Austria, delBorbone, dei Savoia, dei preti. Ogni sforzo di liberazio-ne veniva spietatamente represso. Coloro che non eranoin prigione, venivano costretti all’esilio. Ma in esilionon rinunciarono alla lotta. Santarosa in Grecia, Gari-baldi in America, Mazzini in Inghilterra, Pisacane inFrancia, insieme a tanti altri, non potendo più lottare nelpaese, lottarono per la libertà degli altri popoli, dimo-strando al mondo che gli italiani erano degni di vivereliberi. Da quei sacrifici, da quegli esempi uscì consacra-ta la causa italiana. Gli italiani riacquistarono fiducianelle loro forze.

Oggi una nuova tirannia, assai più feroce ed umiliantedell’antica, ci opprime. Non è più lo straniero che domi-na. Siamo noi che ci siamo lasciati mettere il piede sulcollo da una minoranza faziosa, che utilizzando tutte leforze del privilegio tiene in ceppi la classe lavoratrice edil pensiero italiani.

Ogni sforzo sembra vano contro la massiccia armatadittatoriale. Ma noi non perdiamo la fede. Sappiamo chele dittature passano e che i popoli restano. La Spagna cene fornisce la palpitante riprova. Nessuno parla più di deRivera. Nessuna parlerà più domani di Mussolini. E

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come nel Risorgimento, nell’epoca più buia, quandoquasi nessuno osava sperare, dall’estero vennerol’esempio e l’incitamento, così oggi noi siamo convintiche da questo sforzo modesto, ma virile dei volontariitaliani, troverà alimento domani una possente volontàdi riscatto.

È con questa speranza segreta che siamo accorsi inIspagna. Oggi qui, domani in Italia.

Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontarioitaliano che vi parla dalla Radio di Barcellona.

Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampafascista, che dipinge i rivoluzionari spagnuoli come ordedi pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta, la rivolu-zione in Ispagna è trionfante. Penetra ogni giorno di piùnel profondo della vita del popolo rinnovando istituti,raddrizzando secolari ingiustizie. Madrid non è caduta enon cadrà. Quando pareva in procinto di soccombere,una meravigliosa riscossa di popolo arginava l’invasio-ne ed iniziava la controffensiva. Il motto della milizia ri-voluzionaria che fino ad ora era «No pasaran» è diven-tato «Pasaremos», cioè non i fascisti, ma noi, i rivolu-zionari, passeremo.

La Catalogna, Valencia, tutto il litorale mediterraneo,Bilbao e cento altre città, la zona più ricca, più evoluta eindustriosa di Spagna sta solidamente in mano alle forzerivoluzionarie.

Un ordine nuovo è nato, basato sulla libertà e la giu-stizia sociale. Nelle officine non comanda più il padro-ne, ma la collettività, attraverso consigli di fabbrica e

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come nel Risorgimento, nell’epoca più buia, quandoquasi nessuno osava sperare, dall’estero vennerol’esempio e l’incitamento, così oggi noi siamo convintiche da questo sforzo modesto, ma virile dei volontariitaliani, troverà alimento domani una possente volontàdi riscatto.

È con questa speranza segreta che siamo accorsi inIspagna. Oggi qui, domani in Italia.

Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontarioitaliano che vi parla dalla Radio di Barcellona.

Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampafascista, che dipinge i rivoluzionari spagnuoli come ordedi pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta, la rivolu-zione in Ispagna è trionfante. Penetra ogni giorno di piùnel profondo della vita del popolo rinnovando istituti,raddrizzando secolari ingiustizie. Madrid non è caduta enon cadrà. Quando pareva in procinto di soccombere,una meravigliosa riscossa di popolo arginava l’invasio-ne ed iniziava la controffensiva. Il motto della milizia ri-voluzionaria che fino ad ora era «No pasaran» è diven-tato «Pasaremos», cioè non i fascisti, ma noi, i rivolu-zionari, passeremo.

La Catalogna, Valencia, tutto il litorale mediterraneo,Bilbao e cento altre città, la zona più ricca, più evoluta eindustriosa di Spagna sta solidamente in mano alle forzerivoluzionarie.

Un ordine nuovo è nato, basato sulla libertà e la giu-stizia sociale. Nelle officine non comanda più il padro-ne, ma la collettività, attraverso consigli di fabbrica e

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sindacati. Sui campi non trovate più il salariato costrettoad un estenuante lavoro nell’interesse altrui. Il contadi-no è padrone della terra che lavora, sotto il controllo deimunicipii. Negli uffici, gli impiegati, i tecnici, non ob-bediscono più a una gerarchia di figli di papà, ma ad unanuova gerarchia fondata sulla capacità e la libera scelta.Obbediscono, o meglio collaborano, perché nella Spa-gna rivoluzionaria, e soprattutto nella Catalogna liberta-ria, le più audaci conquiste sociali si fanno rispettandola personalità dell’uomo e l’autonomia dei gruppi uma-ni.

Comunismo, sì, ma libertario. Socializzazione dellegrandi industrie e del grande commercio, ma non stato-latria: la socializzazione dei mezzi di produzione e discambio è concepita come mezzo per liberare l’uomo datutte le schiavitù.

L’esperienza in corso in Ispagna è di straordinario in-teresse per tutti. Qui, non dittatura, non economia da ca-serma, non rinnegamento dei valori culturali dell’Occi-dente, ma conciliazione delle più ardite riforme socialicon la libertà. Non un solo partito che, pretendendosi in-fallibile, sequestra la rivoluzione su un programma con-creto e realista: anarchici, comunisti, socialisti, repub-blicani collaborano alla direzione della cosa pubblica, alfronte, nella vita sociale. Quale insegnamento per noiitaliani!

Fratelli, compagni italiani, ascoltate. Un volontarioitaliano vi parla dalla Radio di Barcellona per recarvi ilsaluto dei volontari italiani. Sull’altra sponda del Medi-

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sindacati. Sui campi non trovate più il salariato costrettoad un estenuante lavoro nell’interesse altrui. Il contadi-no è padrone della terra che lavora, sotto il controllo deimunicipii. Negli uffici, gli impiegati, i tecnici, non ob-bediscono più a una gerarchia di figli di papà, ma ad unanuova gerarchia fondata sulla capacità e la libera scelta.Obbediscono, o meglio collaborano, perché nella Spa-gna rivoluzionaria, e soprattutto nella Catalogna liberta-ria, le più audaci conquiste sociali si fanno rispettandola personalità dell’uomo e l’autonomia dei gruppi uma-ni.

Comunismo, sì, ma libertario. Socializzazione dellegrandi industrie e del grande commercio, ma non stato-latria: la socializzazione dei mezzi di produzione e discambio è concepita come mezzo per liberare l’uomo datutte le schiavitù.

L’esperienza in corso in Ispagna è di straordinario in-teresse per tutti. Qui, non dittatura, non economia da ca-serma, non rinnegamento dei valori culturali dell’Occi-dente, ma conciliazione delle più ardite riforme socialicon la libertà. Non un solo partito che, pretendendosi in-fallibile, sequestra la rivoluzione su un programma con-creto e realista: anarchici, comunisti, socialisti, repub-blicani collaborano alla direzione della cosa pubblica, alfronte, nella vita sociale. Quale insegnamento per noiitaliani!

Fratelli, compagni italiani, ascoltate. Un volontarioitaliano vi parla dalla Radio di Barcellona per recarvi ilsaluto dei volontari italiani. Sull’altra sponda del Medi-

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terraneo un mondo nuovo sta nascendo. È la riscossa an-tifascista che si inizia in Occidente. Dalla Spagna gua-dagnerà l’Europa. Arriverà innanzi tutto in Italia, cosìvicina alla Spagna per lingua, tradizioni, clima, costumie tiranni. Arriverà perché la storia non si ferma, il pro-gresso continua, le dittature sono delle parentesi nellavita dei popoli, quasi una sferza per imporre loro, dopoun periodo d’inerzia e di abbandono, di riprendere inmano il loro destino.

Fratelli italiani che vivete nella prigione fascista, iovorrei che voi poteste, per un attimo almeno, tuffarvinell’atmosfera inebriante in cui vive da mesi, nonostantetutte le difficoltà, questo popolo meraviglioso. – Vorreiche poteste andare nelle officine per vedere con qualeentusiasmo si produce per i compagni combattenti; vor-rei che poteste percorrere le campagne e leggere sul visodei contadini la fierezza di questa dignità nuova e so-prattutto percorrere il fronte e parlare con i militi volon-tari. Il fascismo, non potendosi fidare dei soldati chepassano in blocco alle nostre file, deve ricorrere ai mer-cenarii di tutti i colori. Invece, le caserme proletarie bru-licano di una folla di giovani reclamanti le armi. – Valepiù un mese di questa vita, spesa per degli ideali umani,che dieci anni di vegetazione e di falsi miraggi imperialinell’Italia mussoliniana.

E neppure crederete alla stampa fascista che dipingela Catalogna, in maggioranza sindacalista anarchica, inpreda al terrore e al disordine. L’anarchismo catalano èun socialismo costruttivo, sensibile ai problemi di liber-

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terraneo un mondo nuovo sta nascendo. È la riscossa an-tifascista che si inizia in Occidente. Dalla Spagna gua-dagnerà l’Europa. Arriverà innanzi tutto in Italia, cosìvicina alla Spagna per lingua, tradizioni, clima, costumie tiranni. Arriverà perché la storia non si ferma, il pro-gresso continua, le dittature sono delle parentesi nellavita dei popoli, quasi una sferza per imporre loro, dopoun periodo d’inerzia e di abbandono, di riprendere inmano il loro destino.

Fratelli italiani che vivete nella prigione fascista, iovorrei che voi poteste, per un attimo almeno, tuffarvinell’atmosfera inebriante in cui vive da mesi, nonostantetutte le difficoltà, questo popolo meraviglioso. – Vorreiche poteste andare nelle officine per vedere con qualeentusiasmo si produce per i compagni combattenti; vor-rei che poteste percorrere le campagne e leggere sul visodei contadini la fierezza di questa dignità nuova e so-prattutto percorrere il fronte e parlare con i militi volon-tari. Il fascismo, non potendosi fidare dei soldati chepassano in blocco alle nostre file, deve ricorrere ai mer-cenarii di tutti i colori. Invece, le caserme proletarie bru-licano di una folla di giovani reclamanti le armi. – Valepiù un mese di questa vita, spesa per degli ideali umani,che dieci anni di vegetazione e di falsi miraggi imperialinell’Italia mussoliniana.

E neppure crederete alla stampa fascista che dipingela Catalogna, in maggioranza sindacalista anarchica, inpreda al terrore e al disordine. L’anarchismo catalano èun socialismo costruttivo, sensibile ai problemi di liber-

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tà e di cultura. Ogni giorno esso fornisce prove delle suequalità realistiche. Le riforme vengono compiute conmetodo, senza seguire schemi preconcetti e tenendosempre in conto l’esperienza. La migliore prova ci èdata da Barcellona, dove, nonostante le difficoltà dellaguerra, la vita continua a svolgersi regolarmente e i ser-vizi pubblici funzionano come e meglio di prima.

Italiani che ascoltate la radio di Barcellona, attenzio-ne. I volontari italiani combattenti in Ispagna, nell’inte-resse, per l’ideale di un popolo intero che lotta per la sualibertà, vi chiedono di impedire che il fascismo prose-gua nella sua opera criminale a favore di Franco e deigenerali faziosi. Tutti i giorni areoplani forniti dal fasci-smo italiano e guidati da aviatori mercenari che disono-rano il nostro paese, lanciano bombe contro città inermi,straziando donne e bambini. Tutti i giorni, proiettili ita-liani costruiti con mani italiane, trasportati da navi ita-liane, lanciati da cannoni italiani, cadono nelle trinceedei lavoratori. Franco avrebbe già da tempo fallito, senon fosse stato per il possente aiuto fascista. Quale ver-gogna per gli italiani sapere che il proprio governo, ilgoverno di un popolo che fu un tempo all’avanguardiadelle lotte per la libertà, tenta di assassinare la libertàdel popolo spagnuolo!

Che l’Italia proletaria si risvegli. Che la vergogna ces-si. Dalle fabbriche, dai porti italiani non debbono piùpartire le armi omicide. Dove non sia possibile il boicot-taggio aperto, si ricorra al boicottaggio segreto. Il popo-lo italiano non deve diventare il poliziotto d’Europa.

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tà e di cultura. Ogni giorno esso fornisce prove delle suequalità realistiche. Le riforme vengono compiute conmetodo, senza seguire schemi preconcetti e tenendosempre in conto l’esperienza. La migliore prova ci èdata da Barcellona, dove, nonostante le difficoltà dellaguerra, la vita continua a svolgersi regolarmente e i ser-vizi pubblici funzionano come e meglio di prima.

Italiani che ascoltate la radio di Barcellona, attenzio-ne. I volontari italiani combattenti in Ispagna, nell’inte-resse, per l’ideale di un popolo intero che lotta per la sualibertà, vi chiedono di impedire che il fascismo prose-gua nella sua opera criminale a favore di Franco e deigenerali faziosi. Tutti i giorni areoplani forniti dal fasci-smo italiano e guidati da aviatori mercenari che disono-rano il nostro paese, lanciano bombe contro città inermi,straziando donne e bambini. Tutti i giorni, proiettili ita-liani costruiti con mani italiane, trasportati da navi ita-liane, lanciati da cannoni italiani, cadono nelle trinceedei lavoratori. Franco avrebbe già da tempo fallito, senon fosse stato per il possente aiuto fascista. Quale ver-gogna per gli italiani sapere che il proprio governo, ilgoverno di un popolo che fu un tempo all’avanguardiadelle lotte per la libertà, tenta di assassinare la libertàdel popolo spagnuolo!

Che l’Italia proletaria si risvegli. Che la vergogna ces-si. Dalle fabbriche, dai porti italiani non debbono piùpartire le armi omicide. Dove non sia possibile il boicot-taggio aperto, si ricorra al boicottaggio segreto. Il popo-lo italiano non deve diventare il poliziotto d’Europa.

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Fratelli, compagni italiani, un volontario italiano viparla dalla Radio di Barcellona, in nome di migliaia dicombattenti italiani.

Qui si combatte, si muore, ma anche si vince per la li-bertà e l’emancipazione di tutti i popoli. – Aiutate, ita-liani, la rivoluzione spagnuola. Impedite al fascismo diappoggiare i generali faziosi e fascisti. Raccogliete de-nari. – E se per persecuzioni ripetute o per difficoltà in-sormontabili, non potete nel vostro centro combattereefficacemente la dittatura, accorrete a rinforzare le co-lonne dei volontari italiani in Ispagna.

Quanto più presto vincerà la Spagna proletaria, tantopiù presto sorgerà per il popolo italiano il tempo dellariscossa.

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Fratelli, compagni italiani, un volontario italiano viparla dalla Radio di Barcellona, in nome di migliaia dicombattenti italiani.

Qui si combatte, si muore, ma anche si vince per la li-bertà e l’emancipazione di tutti i popoli. – Aiutate, ita-liani, la rivoluzione spagnuola. Impedite al fascismo diappoggiare i generali faziosi e fascisti. Raccogliete de-nari. – E se per persecuzioni ripetute o per difficoltà in-sormontabili, non potete nel vostro centro combattereefficacemente la dittatura, accorrete a rinforzare le co-lonne dei volontari italiani in Ispagna.

Quanto più presto vincerà la Spagna proletaria, tantopiù presto sorgerà per il popolo italiano il tempo dellariscossa.

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A SUO FIGLIO*

Castillo de San Luis, 22 dicembre. Dall’ambulanza svizzera.

Caro Mirtillino,

La tua cartolina mi ha fatto un gran piacere. Sei statotanto tempo senza mandare un rigo al povero babbo in-valido che quasi pensavo tu mi avessi dimenticato. Spe-cialmente ora che impari le frazioni, non ti dovrebberiuscire difficile impiegare una... frazione della tua gior-nata per scrivermi. Ti alzi alle 7, vai a letto alle 20.30,dunque stai alzato 13 ore e mezza, cioè 810 minuti.Concedimi ogni tre giorni 810:27. Salterà fuori una buo-na lettera e anche un disegnino.

Ti annuncio che mentre ti scrivo su una frazionedell’apparecchio radio (il coperchio), una frazione delmio piccolo corpicino si trova in una gabbietta metallicaper farsi riscaldare.

Scommetto che non hai mai dovuto risolvere una fra-zione così buffa? Non sono però sicuro di avere risoltobene la frazione, perché il medico dubita che moltipli-cando le due gambe per la testa (denominatore), salti

* Questa lettera fu scritta mentre Rosselli si trovava in un ospedaleda campo, sofferente della flebite che doveva allontanarlo dalfronte di combattimento spagnolo.

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A SUO FIGLIO*

Castillo de San Luis, 22 dicembre. Dall’ambulanza svizzera.

Caro Mirtillino,

La tua cartolina mi ha fatto un gran piacere. Sei statotanto tempo senza mandare un rigo al povero babbo in-valido che quasi pensavo tu mi avessi dimenticato. Spe-cialmente ora che impari le frazioni, non ti dovrebberiuscire difficile impiegare una... frazione della tua gior-nata per scrivermi. Ti alzi alle 7, vai a letto alle 20.30,dunque stai alzato 13 ore e mezza, cioè 810 minuti.Concedimi ogni tre giorni 810:27. Salterà fuori una buo-na lettera e anche un disegnino.

Ti annuncio che mentre ti scrivo su una frazionedell’apparecchio radio (il coperchio), una frazione delmio piccolo corpicino si trova in una gabbietta metallicaper farsi riscaldare.

Scommetto che non hai mai dovuto risolvere una fra-zione così buffa? Non sono però sicuro di avere risoltobene la frazione, perché il medico dubita che moltipli-cando le due gambe per la testa (denominatore), salti

* Questa lettera fu scritta mentre Rosselli si trovava in un ospedaleda campo, sofferente della flebite che doveva allontanarlo dalfronte di combattimento spagnolo.

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fuori il nominatore della frazione, cioè il corpo. Ho pau-ra che salti fuori invece una specie di giuoco del pallo-ne, perché le gambe cominceranno a dar calci alla testafino a che la testa non vada a collocarsi sul collo del no-minatore.

Eh, bisogna proprio dire che le frazioni sollevano de-gli interessanti problemi.

La mamma mi ha informato dei buoni, anzi buonissi-mi risultati del primo trimestre. (Bravo cocò!) Ricordiperò che un trimestre è 1/3 dell’anno scolastico e cheora che hai infilato la strada buona, bisogna che tu lamantenga anche per il resto dell’anno.

Ora una storiellina per Aghi e Melina. C’era una voltaun orologio che segnava le ore alla rovescia. Invece diandare avanti andava indietro. Dalle 9 passava alle 8, edalle 8 alle 7. Il disgraziato padrone dell’orologio eracostretto a disfare tutto quello che aveva fatto. Quandostava per mangiare doveva spogliarsi per alzarsi; quan-do stava per vestirsi doveva mettersi a letto. Quandodormiva doveva svegliarsi perché l’ora di andare a lettonon veniva più. Figurati che quando veniva l’ora dimangiare le paste alla crema doveva correre via, perchél’ora scappava via. Allora il povero padrone dell’orolo-gio, non riuscendo più né a dormire, né a mangiare, né alavorare, prese l’orologio e lo scaraventò a terra. L’oro-logio si ruppe e le lancette si fermarono alle 12.45 inpunto, ora di colazione. Allora finalmente il padronedell’orologio si mise a mangiare e siccome l’orologioera sempre fermo all’ora di colazione, mangiò, mangiò e

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fuori il nominatore della frazione, cioè il corpo. Ho pau-ra che salti fuori invece una specie di giuoco del pallo-ne, perché le gambe cominceranno a dar calci alla testafino a che la testa non vada a collocarsi sul collo del no-minatore.

Eh, bisogna proprio dire che le frazioni sollevano de-gli interessanti problemi.

La mamma mi ha informato dei buoni, anzi buonissi-mi risultati del primo trimestre. (Bravo cocò!) Ricordiperò che un trimestre è 1/3 dell’anno scolastico e cheora che hai infilato la strada buona, bisogna che tu lamantenga anche per il resto dell’anno.

Ora una storiellina per Aghi e Melina. C’era una voltaun orologio che segnava le ore alla rovescia. Invece diandare avanti andava indietro. Dalle 9 passava alle 8, edalle 8 alle 7. Il disgraziato padrone dell’orologio eracostretto a disfare tutto quello che aveva fatto. Quandostava per mangiare doveva spogliarsi per alzarsi; quan-do stava per vestirsi doveva mettersi a letto. Quandodormiva doveva svegliarsi perché l’ora di andare a lettonon veniva più. Figurati che quando veniva l’ora dimangiare le paste alla crema doveva correre via, perchél’ora scappava via. Allora il povero padrone dell’orolo-gio, non riuscendo più né a dormire, né a mangiare, né alavorare, prese l’orologio e lo scaraventò a terra. L’oro-logio si ruppe e le lancette si fermarono alle 12.45 inpunto, ora di colazione. Allora finalmente il padronedell’orologio si mise a mangiare e siccome l’orologioera sempre fermo all’ora di colazione, mangiò, mangiò e

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tanto mai mangiò che scoppiò.Un bel bacio a tutti e tre dal Babbo

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tanto mai mangiò che scoppiò.Un bel bacio a tutti e tre dal Babbo

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PERCHÉ ANDAMMO IN SPAGNA*

Il saluto che siamo venuti qui a dare stasera ai compa-gni di ogni tendenza che partono o ripartono volontariper la Spagna, ha da essere semplice e virile.

Semplice perché non si tratta di un gesto, ma di unfatto che parla per sé eloquentemente.

Virile, perché questi nostri compagni vanno a com-battere, fucile alla mano, correndo i rischi che il com-battimento comporta.

I compagni che partono per la Spagna vanno a rag-giungere i 2.000 antifascisti italiani che da mesi combat-tono sul fronte proletario; vanno a raggiungere il primoma intrepido nucleo della futura armata rossa italiana;vanno a confondersi con le centinaia di migliaia di gio-vani proletari che a Madrid, a Huesca, a Malaga, fronteSiguenza, Cuenca, Saragozza o Bilbao tengono alta labandiera della libertà e della rivoluzione nel mondo.

Dove vanno? Vanno in realtà verso la patria ideale, lapatria per cui lottammo in Italia, per cui lottiamo ogginell’emigrazione, per cui soffrono in galera tanti compa-gni nostri, per cui tanti sono morti, Viezzoli, De Rosa,Angeloni, Picelli, Jacchia, Falaschi, Centrone.

* Discorso pronunciato ad Argenteuil il 1. febbraio 1937. Questodiscorso al principio e alla fine è frammentario.

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PERCHÉ ANDAMMO IN SPAGNA*

Il saluto che siamo venuti qui a dare stasera ai compa-gni di ogni tendenza che partono o ripartono volontariper la Spagna, ha da essere semplice e virile.

Semplice perché non si tratta di un gesto, ma di unfatto che parla per sé eloquentemente.

Virile, perché questi nostri compagni vanno a com-battere, fucile alla mano, correndo i rischi che il com-battimento comporta.

I compagni che partono per la Spagna vanno a rag-giungere i 2.000 antifascisti italiani che da mesi combat-tono sul fronte proletario; vanno a raggiungere il primoma intrepido nucleo della futura armata rossa italiana;vanno a confondersi con le centinaia di migliaia di gio-vani proletari che a Madrid, a Huesca, a Malaga, fronteSiguenza, Cuenca, Saragozza o Bilbao tengono alta labandiera della libertà e della rivoluzione nel mondo.

Dove vanno? Vanno in realtà verso la patria ideale, lapatria per cui lottammo in Italia, per cui lottiamo ogginell’emigrazione, per cui soffrono in galera tanti compa-gni nostri, per cui tanti sono morti, Viezzoli, De Rosa,Angeloni, Picelli, Jacchia, Falaschi, Centrone.

* Discorso pronunciato ad Argenteuil il 1. febbraio 1937. Questodiscorso al principio e alla fine è frammentario.

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Dopo i lunghi anni di esilio io confesso che fu soloquando varcai le frontiere della Spagna, quando miiscrissi nelle milizie popolari, e rivestii la tuta, divisasimbolica del lavoro armato, e imbracciai il fucile, chemi sentii ridiventare uomo libero, nella pienezza dellamia dignità.

All’estero siamo sempre e sempre saremo dei minora-ti, degli esuli. In Spagna no. In Spagna ci sentiamo pari,fratelli. Dopo essere stati obbligati tanti anni a chiedere,magari solo il sacrosanto diritto al lavoro e alla residen-za, in Spagna abbiamo la gioia di dare.

Non fosse che per questo, la partecipazione in perso-na prima alla lotta in Spagna, rappresenta una esperien-za preziosa e bellissima. Torneremo, torniamo già dallaSpagna rinnovati, ringiovaniti, anche se talvolta zoppi-canti. Il nostro orizzonte si è allargato, ingigantito, arric-chito della esperienza senza pari di una rivoluzione e diuna guerra in un paese per tanti lati simile al nostro, at-tanagliato da problemi spesso non diversi dai nostri, acontatto con un popolo che è, a mio avviso, il popolopiù nobile, più simpatico, più ingenuamente apertoall’avvenire che esista attualmente al mondo.

Ricordo con emozione il nostro primo viaggio versoil fronte, il 19 agosto. Eravamo partiti la sera tardi, sen-za mangiare. Ci avevano detto che probabilmente loavremmo ricevuto in viaggio. Ma le ore passavano, iltreno saliva lento verso l’Aragona e il sonno finì perprenderci tutti. Verso l’una un vociare enorme ci sve-glia. Ci precipitiamo ai finestrini e cosa vediamo? La

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Dopo i lunghi anni di esilio io confesso che fu soloquando varcai le frontiere della Spagna, quando miiscrissi nelle milizie popolari, e rivestii la tuta, divisasimbolica del lavoro armato, e imbracciai il fucile, chemi sentii ridiventare uomo libero, nella pienezza dellamia dignità.

All’estero siamo sempre e sempre saremo dei minora-ti, degli esuli. In Spagna no. In Spagna ci sentiamo pari,fratelli. Dopo essere stati obbligati tanti anni a chiedere,magari solo il sacrosanto diritto al lavoro e alla residen-za, in Spagna abbiamo la gioia di dare.

Non fosse che per questo, la partecipazione in perso-na prima alla lotta in Spagna, rappresenta una esperien-za preziosa e bellissima. Torneremo, torniamo già dallaSpagna rinnovati, ringiovaniti, anche se talvolta zoppi-canti. Il nostro orizzonte si è allargato, ingigantito, arric-chito della esperienza senza pari di una rivoluzione e diuna guerra in un paese per tanti lati simile al nostro, at-tanagliato da problemi spesso non diversi dai nostri, acontatto con un popolo che è, a mio avviso, il popolopiù nobile, più simpatico, più ingenuamente apertoall’avvenire che esista attualmente al mondo.

Ricordo con emozione il nostro primo viaggio versoil fronte, il 19 agosto. Eravamo partiti la sera tardi, sen-za mangiare. Ci avevano detto che probabilmente loavremmo ricevuto in viaggio. Ma le ore passavano, iltreno saliva lento verso l’Aragona e il sonno finì perprenderci tutti. Verso l’una un vociare enorme ci sve-glia. Ci precipitiamo ai finestrini e cosa vediamo? La

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stazione gremita da una folla di migliaia di uomini, don-ne e ragazzi. Era tutta, ma proprio tutta la popolazionedi Tarrasa, piccola città industriale, che era rimasta alza-ta per salutare i volontari italiani, per portare loro cibi ebevande e dir loro il suo grazie ed il suo augurio. Cosìfaceva Tarrasa tutte le notti, da quindici notti, con unaspontaneità ammirevole.

Sentimmo quella notte passare su di noi il soffio ro-vente di una vera, autentica rivoluzione di popolo. Sen-timmo il consenso, la fede. E ci abbracciammo com-mossi e ci dicemmo a voce alta la nostra gioia di batter-ci, la nostra sicurezza di vincere, e anche, se occorreva,la nostra tranquilla accettazione del sacrificio.

Questo episodio vi illustra, compagni, meglio di unlungo sviluppo, il sentimento di dignità e di gioia cheprova il volontario italiano, che provano tutti i volontariin Spagna.

Ma non è solo dal lato sentimentale e individuale cheil volontariato in Spagna assume un così alto valore. È,anzi e sopratutto, dal lato politico.

L’antifascismo italiano si è affermato in Spagna,come una forza positiva, anche militare, e come unagrande forza. Finita la favola di un antifascismo che nonsi batte. Finita la diffamazione di un proletariato italianoincapace di reagire al fascismo. Finita in particolarel’accademia dell’esilio a cui un ingrato destino sembra-va condannarci. L’azione non l’abbiamo solo predicatacome padre Zappata. L’abbiamo vissuta.

Migliaia di esuli italiani hanno piantato posto, fami-

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stazione gremita da una folla di migliaia di uomini, don-ne e ragazzi. Era tutta, ma proprio tutta la popolazionedi Tarrasa, piccola città industriale, che era rimasta alza-ta per salutare i volontari italiani, per portare loro cibi ebevande e dir loro il suo grazie ed il suo augurio. Cosìfaceva Tarrasa tutte le notti, da quindici notti, con unaspontaneità ammirevole.

Sentimmo quella notte passare su di noi il soffio ro-vente di una vera, autentica rivoluzione di popolo. Sen-timmo il consenso, la fede. E ci abbracciammo com-mossi e ci dicemmo a voce alta la nostra gioia di batter-ci, la nostra sicurezza di vincere, e anche, se occorreva,la nostra tranquilla accettazione del sacrificio.

Questo episodio vi illustra, compagni, meglio di unlungo sviluppo, il sentimento di dignità e di gioia cheprova il volontario italiano, che provano tutti i volontariin Spagna.

Ma non è solo dal lato sentimentale e individuale cheil volontariato in Spagna assume un così alto valore. È,anzi e sopratutto, dal lato politico.

L’antifascismo italiano si è affermato in Spagna,come una forza positiva, anche militare, e come unagrande forza. Finita la favola di un antifascismo che nonsi batte. Finita la diffamazione di un proletariato italianoincapace di reagire al fascismo. Finita in particolarel’accademia dell’esilio a cui un ingrato destino sembra-va condannarci. L’azione non l’abbiamo solo predicatacome padre Zappata. L’abbiamo vissuta.

Migliaia di esuli italiani hanno piantato posto, fami-

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glia, abitudini radicate, per andare a combattere il fasci-smo, non appena l’occasione si è presentata, neppureaspettando l’invito o il consenso, anzi alle volte il con-senso forzandolo, strappandolo.

Questo è un fatto importantissimo nella storia del no-stro esilio e delle nostre lotte; è un fatto decisivo. Noiormai sappiamo che esistono migliaia di compagni no-stri che hanno combattuto e saranno capaci di combatte-re, capaci tecnicamente di manovrare anche le armi piùdelicate; che li ritroveremo sempre nella lotta rivoluzio-naria, per la lotta rivoluzionaria, verso l’Italia, in Italia.L’interrogativo che ci ponevamo spesso: risponderàl’emigrazione alla prova? È risolto. Ha risposto. Esiste.Esistiamo come forza politica e come forza militare.

E finalmente, e terzo aspetto infinitamente importan-te, il più importante di tutti, questo intervento armatodell’emigrazione italiana in Spagna stabilisce un ponte,un legame con l’Italia che non si romperà più. Non soloperché il popolo italiano – da mille testimonianze che ri-ceviamo – segue con una passione crescente lo svilup-parsi della guerra civile; non solo perché dall’Italia par-tono, per combattere in Spagna, giovani eroici che giàalla frontiera rischiano la galera; ma perché con questoatto virile l’emigrazione italiana – dimenticata, diffama-ta, qualche volta derisa – torna ad essere un fatto vivo epresente nella storia italiana, diventa forse per la primavolta un fenomeno storico, acquistando il diritto moralead essere tenuta presente nelle future lotte italiane. Il po-polo italiano ha visto nella Spagna come un simbolo.

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glia, abitudini radicate, per andare a combattere il fasci-smo, non appena l’occasione si è presentata, neppureaspettando l’invito o il consenso, anzi alle volte il con-senso forzandolo, strappandolo.

Questo è un fatto importantissimo nella storia del no-stro esilio e delle nostre lotte; è un fatto decisivo. Noiormai sappiamo che esistono migliaia di compagni no-stri che hanno combattuto e saranno capaci di combatte-re, capaci tecnicamente di manovrare anche le armi piùdelicate; che li ritroveremo sempre nella lotta rivoluzio-naria, per la lotta rivoluzionaria, verso l’Italia, in Italia.L’interrogativo che ci ponevamo spesso: risponderàl’emigrazione alla prova? È risolto. Ha risposto. Esiste.Esistiamo come forza politica e come forza militare.

E finalmente, e terzo aspetto infinitamente importan-te, il più importante di tutti, questo intervento armatodell’emigrazione italiana in Spagna stabilisce un ponte,un legame con l’Italia che non si romperà più. Non soloperché il popolo italiano – da mille testimonianze che ri-ceviamo – segue con una passione crescente lo svilup-parsi della guerra civile; non solo perché dall’Italia par-tono, per combattere in Spagna, giovani eroici che giàalla frontiera rischiano la galera; ma perché con questoatto virile l’emigrazione italiana – dimenticata, diffama-ta, qualche volta derisa – torna ad essere un fatto vivo epresente nella storia italiana, diventa forse per la primavolta un fenomeno storico, acquistando il diritto moralead essere tenuta presente nelle future lotte italiane. Il po-polo italiano ha visto nella Spagna come un simbolo.

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Mai infatti come oggi noi possedemmo la coscienzadi aver agito in nome e per conto della immensa mag-gioranza del popolo italiano portando in Spagna, controi generali fascisti e i loro alleati hitleriani e mussolinia-ni, la voce e il braccio dell’Italia proletaria.

. . . Vale la pena di combattere quando sono in giuocovalori così grandi, tutta la speranza di un’epoca, il biso-gno di emancipazione, la pace stessa del continente, lasorte dei popoli oppressi.

Vale la pena – se necessario – anche di morire.Oggi in Spagna. Domani in Italia.Lo storico di domani riconoscerà nel sacrificio sem-

plice, virile, consapevole degli esuli antifascisti italianil’inizio della riscossa.

Compagni, altri debbono parlare dopo di me e perciònon mi dilungo.

Prima di chiudere vorrei dirvi le ragioni della mia fi-ducia nella vittoria della rivoluzione spagnuola, nono-stante tutti gli aiuti, gli intrighi, le mediazioni.

Si riassumono tutte in un unico fatto centrale: la rivo-luzione.

Può darsi che necessità di politica e propagandaall’estero nei paesi di democrazia borghese consiglinogli stessi spagnuoli di presentare la guerra civile comeuna semplice resistenza contro la ribellione di una mino-ranza reazionaria armata a un governo legale espressio-ne della volontà della maggioranza, e può darsi – e nedubito – che convenga dire che lo scopo della guerra èquello di ristabilire la repubblica democratico-parlamen-

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Mai infatti come oggi noi possedemmo la coscienzadi aver agito in nome e per conto della immensa mag-gioranza del popolo italiano portando in Spagna, controi generali fascisti e i loro alleati hitleriani e mussolinia-ni, la voce e il braccio dell’Italia proletaria.

. . . Vale la pena di combattere quando sono in giuocovalori così grandi, tutta la speranza di un’epoca, il biso-gno di emancipazione, la pace stessa del continente, lasorte dei popoli oppressi.

Vale la pena – se necessario – anche di morire.Oggi in Spagna. Domani in Italia.Lo storico di domani riconoscerà nel sacrificio sem-

plice, virile, consapevole degli esuli antifascisti italianil’inizio della riscossa.

Compagni, altri debbono parlare dopo di me e perciònon mi dilungo.

Prima di chiudere vorrei dirvi le ragioni della mia fi-ducia nella vittoria della rivoluzione spagnuola, nono-stante tutti gli aiuti, gli intrighi, le mediazioni.

Si riassumono tutte in un unico fatto centrale: la rivo-luzione.

Può darsi che necessità di politica e propagandaall’estero nei paesi di democrazia borghese consiglinogli stessi spagnuoli di presentare la guerra civile comeuna semplice resistenza contro la ribellione di una mino-ranza reazionaria armata a un governo legale espressio-ne della volontà della maggioranza, e può darsi – e nedubito – che convenga dire che lo scopo della guerra èquello di ristabilire la repubblica democratico-parlamen-

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tare.Ma la verità è che nella Spagna libera è in corso, anzi

è già avvenuta, una grande storica rivoluzione che diffi-cilmente può conoscere ritorni. Gli operai controllano legrandi fabbriche; i contadini hanno avuto le terre; il pro-fitto non è più il motore della produzione; le vecchie ca-ste e classi dirigenti sono spazzate; la cultura è resa ac-cessibile al popolo; una nuova classe dirigente sale dalbasso; tutta la vita si organizza, oggi in vista della vitto-ria, domani in vista del benessere materiale e della ele-vazione morale del maggior numero. Non sono possibiliretrocessioni. La rivoluzione non si svuota. Più continuala guerra e più le necessità stesse della guerra sviluppe-ranno e con solideranno le conquiste della rivoluzione.

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tare.Ma la verità è che nella Spagna libera è in corso, anzi

è già avvenuta, una grande storica rivoluzione che diffi-cilmente può conoscere ritorni. Gli operai controllano legrandi fabbriche; i contadini hanno avuto le terre; il pro-fitto non è più il motore della produzione; le vecchie ca-ste e classi dirigenti sono spazzate; la cultura è resa ac-cessibile al popolo; una nuova classe dirigente sale dalbasso; tutta la vita si organizza, oggi in vista della vitto-ria, domani in vista del benessere materiale e della ele-vazione morale del maggior numero. Non sono possibiliretrocessioni. La rivoluzione non si svuota. Più continuala guerra e più le necessità stesse della guerra sviluppe-ranno e con solideranno le conquiste della rivoluzione.

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UN ALTRO PASSO VERSO IL PRECIPIZIO*

L’Europa è di nuovo in regime ciclonico. È destinataa restarvi fino a quando domineranno, presso due dellemaggiori potenze europee, regimi di tipo fascista, cioèdi follia nazionalista guerriera.

Se di qualche cosa ci si può meravigliare, in questigiorni angosciosi, è che la seconda guerra europea nonsia già scoppiata dopo l’incredibile, efferato bombarda-mento di Almeria da parte della flotta tedesca dislocatanel Mediterraneo con funzioni di «controllo».

La guerra non scoppia ancora per un motivo solo: chela volontà di pace, certo sempre più armata e diffidente,della Francia e dell’Inghilterra, resta tuttavia superioread ogni provocazione.

Quando tra due parti in contesa non esiste una grandedisparità di forze, rimane sempre vero il detto che perfare la guerra bisogna essere in due. Francia e Inghilter-ra sono ben decise ad evitare ogni complicazione nellaquestione di Spagna. Di questa loro decisione profittanolargamente i due fascismi che sembra quasi si proponga-no di misurare in via sperimentale le altrui capacità disopportazione. Viene fatto di pensare ai colpi di spillo

* È l’ultimo articolo di Carlo Rosselli. Fu scritto poco primadell’assassinio.

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UN ALTRO PASSO VERSO IL PRECIPIZIO*

L’Europa è di nuovo in regime ciclonico. È destinataa restarvi fino a quando domineranno, presso due dellemaggiori potenze europee, regimi di tipo fascista, cioèdi follia nazionalista guerriera.

Se di qualche cosa ci si può meravigliare, in questigiorni angosciosi, è che la seconda guerra europea nonsia già scoppiata dopo l’incredibile, efferato bombarda-mento di Almeria da parte della flotta tedesca dislocatanel Mediterraneo con funzioni di «controllo».

La guerra non scoppia ancora per un motivo solo: chela volontà di pace, certo sempre più armata e diffidente,della Francia e dell’Inghilterra, resta tuttavia superioread ogni provocazione.

Quando tra due parti in contesa non esiste una grandedisparità di forze, rimane sempre vero il detto che perfare la guerra bisogna essere in due. Francia e Inghilter-ra sono ben decise ad evitare ogni complicazione nellaquestione di Spagna. Di questa loro decisione profittanolargamente i due fascismi che sembra quasi si proponga-no di misurare in via sperimentale le altrui capacità disopportazione. Viene fatto di pensare ai colpi di spillo

* È l’ultimo articolo di Carlo Rosselli. Fu scritto poco primadell’assassinio.

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che si fanno sull’arto paralizzato per misurarne la sensi-bilità. Solo che in luogo di colpi di spillo si hanno due-cento colpi di cannone calibro 203 mm. sparati su unapovera città indifesa alle prime luci dell’alba.

Chi non vede il rapporto sempre più stretto esistentetra la volontà di pace degli uni e le provocazioni deglialtri? Nella misura in cui gli uni non reagiscono, gli altriagiscono. Giuoco pericoloso da ogni punto di vista,giuoco mortale. Non è lontano il giorno in cui il pacifi-smo miope e gretto, perpetuamente oscillante tra i prin-cipii e l’interesse immediato, figlierà la catastrofe chetravolgerà l’Europa.

Altri potrà meravigliarsi per quanto accade sulle costedella desolata eroica Spagna; non noi, che sempre de-nunciamo la sconcia commedia del non intervento,sboccata in questo assurdo controllo in cui una sezioneintiera di controllori si compone di viaggiatori di fro-do...

Come pretendere che i frodatori controllino? C’è unlimite a tutto, perfino all’ipocrisia dei dittatori. Non sipuò pretendere da Mussolini l’obiettività nella questionedi Spagna, quando in Spagna combatte una intiera arma-ta fascista su cui grava il peso della disfatta di Guadala-jara.

Non si può pretendere da Hitler l’accettazione passivadell’insuccesso probabilmente definitivo di Franco e deipossenti aeroplani da bombardamento tedeschi di frontea Bilbao, quando da quell’insuccesso dipende non solol’esito della lotta in Spagna, ma, per la mancanza del

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che si fanno sull’arto paralizzato per misurarne la sensi-bilità. Solo che in luogo di colpi di spillo si hanno due-cento colpi di cannone calibro 203 mm. sparati su unapovera città indifesa alle prime luci dell’alba.

Chi non vede il rapporto sempre più stretto esistentetra la volontà di pace degli uni e le provocazioni deglialtri? Nella misura in cui gli uni non reagiscono, gli altriagiscono. Giuoco pericoloso da ogni punto di vista,giuoco mortale. Non è lontano il giorno in cui il pacifi-smo miope e gretto, perpetuamente oscillante tra i prin-cipii e l’interesse immediato, figlierà la catastrofe chetravolgerà l’Europa.

Altri potrà meravigliarsi per quanto accade sulle costedella desolata eroica Spagna; non noi, che sempre de-nunciamo la sconcia commedia del non intervento,sboccata in questo assurdo controllo in cui una sezioneintiera di controllori si compone di viaggiatori di fro-do...

Come pretendere che i frodatori controllino? C’è unlimite a tutto, perfino all’ipocrisia dei dittatori. Non sipuò pretendere da Mussolini l’obiettività nella questionedi Spagna, quando in Spagna combatte una intiera arma-ta fascista su cui grava il peso della disfatta di Guadala-jara.

Non si può pretendere da Hitler l’accettazione passivadell’insuccesso probabilmente definitivo di Franco e deipossenti aeroplani da bombardamento tedeschi di frontea Bilbao, quando da quell’insuccesso dipende non solol’esito della lotta in Spagna, ma, per la mancanza del

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ferro e di altre materie prime, anche il riarmo tedesco equindi anche l’esito della futura guerra europea.

C’è una logica in tutte le cose umane, c’è una logicaanche nella politica. Prima o poi l’assurdo dovevaesplodere.

Il nuovo ciclo provocatorio fascista viene dopo duemesi di vani, disperati sforzi contro Bilbao; dopo il ri-sveglio dell’opinione inglese e della Lega. L’attentaconsiderazione degli avvenimenti ultimi rivela il dise-gno premeditato.

Certo, i singoli incidenti sono fortuiti. Ma la serie de-gli incidenti non si è verificata a caso. Essa è il prodottodi una fredda volontà Roma-Berlino, di un accordo pre-ciso, di un calcolo raffinato. Nel Mediterraneo, su cuicosì gelosamente veglia ormai l’Inghilterra, si è volutoche sparassero cannoni tedeschi, in luogo di cannoni ita-liani. Così e non altrimenti si spiega l’atteggiamentostrano tenuto da Mussolini dopo l’incidente di Palma diMaiorca (città ribelle), dove sei ufficiali di marina italia-ni sono morti in seguito allo scoppio di una bomba ca-duta sul ponte di una nave mercantile («Barletta»), nelcorso di un bombardamento operato da aeroplani repub-blicani.

Il bombardamento è avvenuto il 24. Un primo comu-nicato, apparso il 28, sui giornali fascisti, e datato St-Jean-de-Luz, parla di un bombardamento avvenuto il 27su navi «da guerra» italiane. Il giorno successivo lastampa fascista rilancia più diffusamente la notizia attra-verso un lungo comunicato del «Deutsche Nachrichten

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ferro e di altre materie prime, anche il riarmo tedesco equindi anche l’esito della futura guerra europea.

C’è una logica in tutte le cose umane, c’è una logicaanche nella politica. Prima o poi l’assurdo dovevaesplodere.

Il nuovo ciclo provocatorio fascista viene dopo duemesi di vani, disperati sforzi contro Bilbao; dopo il ri-sveglio dell’opinione inglese e della Lega. L’attentaconsiderazione degli avvenimenti ultimi rivela il dise-gno premeditato.

Certo, i singoli incidenti sono fortuiti. Ma la serie de-gli incidenti non si è verificata a caso. Essa è il prodottodi una fredda volontà Roma-Berlino, di un accordo pre-ciso, di un calcolo raffinato. Nel Mediterraneo, su cuicosì gelosamente veglia ormai l’Inghilterra, si è volutoche sparassero cannoni tedeschi, in luogo di cannoni ita-liani. Così e non altrimenti si spiega l’atteggiamentostrano tenuto da Mussolini dopo l’incidente di Palma diMaiorca (città ribelle), dove sei ufficiali di marina italia-ni sono morti in seguito allo scoppio di una bomba ca-duta sul ponte di una nave mercantile («Barletta»), nelcorso di un bombardamento operato da aeroplani repub-blicani.

Il bombardamento è avvenuto il 24. Un primo comu-nicato, apparso il 28, sui giornali fascisti, e datato St-Jean-de-Luz, parla di un bombardamento avvenuto il 27su navi «da guerra» italiane. Il giorno successivo lastampa fascista rilancia più diffusamente la notizia attra-verso un lungo comunicato del «Deutsche Nachrichten

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Buro» (l’agenzia nazionalsocialista). Il bombardamentoè riportato al 24.

Ancora più strano che solo attraverso quel comunica-to tedesco si dia notizia della protesta Grandi al Comita-to di non-intervento, quasi Grandi fosse l’ambasciatoredi Hitler e gli ufficiali morti fossero tedeschi e non ita-liani.

Finalmente il 30 maggio i giornali fascisti pubblicanoin prima pagina degli articoli nei quali si avverte chel’incidente, che sarebbe avvenuto a due riprese, il 24 e il26, «non è chiuso», ma in cui si insiste sopratutto sullaindignazione tedesca e sulle misure che intende prende-re la Germania per evitare il ripetersi degli incidenti.Notizia viene data dell’avvenuto scambio di telegrammifra il comandante della squadra navale tedesca nel Me-diterraneo e Prieto, ministro spagnolo della Difesa, daiquali balza evidente il proposito di creare l’incidente.

Le navi tedesche addette al controllo spareranno con-tro aerei governativi spagnoli che le sorvolassero, avver-te l’ammiraglio. Prieto replica che le navi addette alcontrollo nulla hanno da temere se restano nella zonaloro assegnata e a dieci miglia dalla costa. Palma di Ma-iorca è ribelle. Il controllo spetta alle navi francesi. Ibizaè ribelle. Il controllo non spetta alle navi tedesche.

Che cosa faceva il «Deutschland» a Ibiza? Come met-tere in dubbio la versione del governo di Valencia, se-condo cui a sparare per prima sarebbe stata la corazzata,quando proprio due giorni prima l’ammiraglio tedescoaveva avvertito che avrebbe senz’altro sparato in caso di

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Buro» (l’agenzia nazionalsocialista). Il bombardamentoè riportato al 24.

Ancora più strano che solo attraverso quel comunica-to tedesco si dia notizia della protesta Grandi al Comita-to di non-intervento, quasi Grandi fosse l’ambasciatoredi Hitler e gli ufficiali morti fossero tedeschi e non ita-liani.

Finalmente il 30 maggio i giornali fascisti pubblicanoin prima pagina degli articoli nei quali si avverte chel’incidente, che sarebbe avvenuto a due riprese, il 24 e il26, «non è chiuso», ma in cui si insiste sopratutto sullaindignazione tedesca e sulle misure che intende prende-re la Germania per evitare il ripetersi degli incidenti.Notizia viene data dell’avvenuto scambio di telegrammifra il comandante della squadra navale tedesca nel Me-diterraneo e Prieto, ministro spagnolo della Difesa, daiquali balza evidente il proposito di creare l’incidente.

Le navi tedesche addette al controllo spareranno con-tro aerei governativi spagnoli che le sorvolassero, avver-te l’ammiraglio. Prieto replica che le navi addette alcontrollo nulla hanno da temere se restano nella zonaloro assegnata e a dieci miglia dalla costa. Palma di Ma-iorca è ribelle. Il controllo spetta alle navi francesi. Ibizaè ribelle. Il controllo non spetta alle navi tedesche.

Che cosa faceva il «Deutschland» a Ibiza? Come met-tere in dubbio la versione del governo di Valencia, se-condo cui a sparare per prima sarebbe stata la corazzata,quando proprio due giorni prima l’ammiraglio tedescoaveva avvertito che avrebbe senz’altro sparato in caso di

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sorvolo di aerei?Il tracotante ammiraglio non avrebbe tuttavia imma-

ginato che due aeroplani in ricognizione avrebbero po-tuto avere ragione del «Deutschland», corazzata model-lo, possentemente protetta contro l’offesa aerea.

Di qui l’immenso dispetto. Dopo il cattivo rendimen-to degli aeroplani e delle tanks tedeschi sul fronte diMadrid, la Germania hitleriana constata il rendimentoscadente delle corazze e delle artiglierie del «Deu-tschland». Bisogna vendicare l’onore hitleriano.

Come? Contro il porto militare di Cartagena? No. Làsono varie batterie costiere, là è la flotta repubblicana, làsono squadriglie aeree. Contro Almeria, città aperta,straboccante di profughi di Malaga, dove non è flotta,non è aviazione.

All’alba, in fretta, prima che sopraggiungano aeropla-ni. E poi via, dietro una cortina di fumo, fieri della pro-va di forza, annunciando al mondo che giustizia è fatta eche la Germania e l’Italia fasciste si ritirano dal Comita-to di non-intervento, si ritirano dal controllo.

Se Francia e Inghilterra sapessero trarre dall’odiosoepisodio la conclusione che si impone, non avrebberoche da prendere atto di questa rottura unilaterale di im-pegni internazionali solennemente assunti per ristabilirela Spagna repubblicana nella totalità dei suoi diritti so-vrani. Il principio del non-intervento, se ha ancora unsenso deve essere da ora in poi fatto rispettare con laforza non più contro i rifornitori di armi, ma contro lepotenze fasciste, che intervengono con eserciti e con

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sorvolo di aerei?Il tracotante ammiraglio non avrebbe tuttavia imma-

ginato che due aeroplani in ricognizione avrebbero po-tuto avere ragione del «Deutschland», corazzata model-lo, possentemente protetta contro l’offesa aerea.

Di qui l’immenso dispetto. Dopo il cattivo rendimen-to degli aeroplani e delle tanks tedeschi sul fronte diMadrid, la Germania hitleriana constata il rendimentoscadente delle corazze e delle artiglierie del «Deu-tschland». Bisogna vendicare l’onore hitleriano.

Come? Contro il porto militare di Cartagena? No. Làsono varie batterie costiere, là è la flotta repubblicana, làsono squadriglie aeree. Contro Almeria, città aperta,straboccante di profughi di Malaga, dove non è flotta,non è aviazione.

All’alba, in fretta, prima che sopraggiungano aeropla-ni. E poi via, dietro una cortina di fumo, fieri della pro-va di forza, annunciando al mondo che giustizia è fatta eche la Germania e l’Italia fasciste si ritirano dal Comita-to di non-intervento, si ritirano dal controllo.

Se Francia e Inghilterra sapessero trarre dall’odiosoepisodio la conclusione che si impone, non avrebberoche da prendere atto di questa rottura unilaterale di im-pegni internazionali solennemente assunti per ristabilirela Spagna repubblicana nella totalità dei suoi diritti so-vrani. Il principio del non-intervento, se ha ancora unsenso deve essere da ora in poi fatto rispettare con laforza non più contro i rifornitori di armi, ma contro lepotenze fasciste, che intervengono con eserciti e con

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flotte intere.La Spagna repubblicana ha già vinto. Tutti lo sento-

no, lo sanno. La provocazione fascista non è chel’esplosione della rabbia per il fallimento pressoché ine-vitabile. Uno scatto di energia, e la questione di Spagnaè chiusa.

Ma così non sarà. Assisteremo nei giorni prossimi,stiamo già assistendo agli sforzi disperati della diploma-zia anglo-francese per salvare la macchina del non inter-vento, per scongiurare i bombardatori, i massacratori diAlmeria, di montare la guardia al fantoccio di Londra.Hitler e Mussolini forse consentiranno con degnazione arecitare un secondo o terzo atto della tragica farsa. Ecosì si andrà avanti, rinviando il conto sempre più gi-gantesco, sempre più difficilmente saldabile, alla sca-denza prossima.

La prossima volta che cosa non oserà l’asse Roma-Berlino?

Uno sbarco a Barcellona? L’affondamento della flottarepubblicana, o addirittura di qualche corazzata inglese?

Tutto è possibile. Hitler e Mussolini appartengonoalla scuola di coloro i quali pensano che quando si vuoleil fine, si debbono volere anche i mezzi, tutti i mezzi.

Non manca loro la scelta.

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flotte intere.La Spagna repubblicana ha già vinto. Tutti lo sento-

no, lo sanno. La provocazione fascista non è chel’esplosione della rabbia per il fallimento pressoché ine-vitabile. Uno scatto di energia, e la questione di Spagnaè chiusa.

Ma così non sarà. Assisteremo nei giorni prossimi,stiamo già assistendo agli sforzi disperati della diploma-zia anglo-francese per salvare la macchina del non inter-vento, per scongiurare i bombardatori, i massacratori diAlmeria, di montare la guardia al fantoccio di Londra.Hitler e Mussolini forse consentiranno con degnazione arecitare un secondo o terzo atto della tragica farsa. Ecosì si andrà avanti, rinviando il conto sempre più gi-gantesco, sempre più difficilmente saldabile, alla sca-denza prossima.

La prossima volta che cosa non oserà l’asse Roma-Berlino?

Uno sbarco a Barcellona? L’affondamento della flottarepubblicana, o addirittura di qualche corazzata inglese?

Tutto è possibile. Hitler e Mussolini appartengonoalla scuola di coloro i quali pensano che quando si vuoleil fine, si debbono volere anche i mezzi, tutti i mezzi.

Non manca loro la scelta.

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PER L’UNIFICAZIONE POLITICA DEL PROLETA-RIATO ITALIANO*

«Giustizia e Libertà» è un movimento politico nuovosenza riscontro nella geografia politica tradizionale. Èl’unico tra i movimenti antifascisti sorti nel corso dellalotta contro il fascismo che sia riuscito ad affermarsi sta-bilmente. Ciò dovrebbe bastare a provare che nella natu-ra del suo apporto v’è qualche cosa di originale e di ne-cessario che gli altri partiti non hanno e che appunto ciproponiamo di mettere in luce in questo articolo.

Essenzialmente quel che essa porta di nuovo è unacoscienza più chiara di ciò che sia il fascismo, di ciò cheil fascismo significhi nella vita contemporanea non solosul piano dei valori politici, ma dei valori umani; assie-me ai modi più efficaci per combatterlo e sradicarlo.«Giustizia e Libertà» si potrebbe definire come il primomovimento europeo integralmente antifascista, perchénel fascismo vede il fatto centrale, la novità tremendadel nostro tempo, e perché la sua opposizione derivanon già da una difesa di posizioni precedentemente ac-

* Questo è il quinto articolo di una serie che Rosselli aveva pubbli -cato nelle settimane immediatamente precedenti il suo assassinio.La serie rimase interrotta dalla sua morte. L’articolo apparve in«Giustizia e Libertà», il 14 maggio 1937.

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PER L’UNIFICAZIONE POLITICA DEL PROLETA-RIATO ITALIANO*

«Giustizia e Libertà» è un movimento politico nuovosenza riscontro nella geografia politica tradizionale. Èl’unico tra i movimenti antifascisti sorti nel corso dellalotta contro il fascismo che sia riuscito ad affermarsi sta-bilmente. Ciò dovrebbe bastare a provare che nella natu-ra del suo apporto v’è qualche cosa di originale e di ne-cessario che gli altri partiti non hanno e che appunto ciproponiamo di mettere in luce in questo articolo.

Essenzialmente quel che essa porta di nuovo è unacoscienza più chiara di ciò che sia il fascismo, di ciò cheil fascismo significhi nella vita contemporanea non solosul piano dei valori politici, ma dei valori umani; assie-me ai modi più efficaci per combatterlo e sradicarlo.«Giustizia e Libertà» si potrebbe definire come il primomovimento europeo integralmente antifascista, perchénel fascismo vede il fatto centrale, la novità tremendadel nostro tempo, e perché la sua opposizione derivanon già da una difesa di posizioni precedentemente ac-

* Questo è il quinto articolo di una serie che Rosselli aveva pubbli -cato nelle settimane immediatamente precedenti il suo assassinio.La serie rimase interrotta dalla sua morte. L’articolo apparve in«Giustizia e Libertà», il 14 maggio 1937.

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quisite o da una semplice estensione degli schemi dellalotta anticapitalistica, ma da una volontà di liberazioneche si sprigiona dallo stesso mondo fascista e dalla con-creta esperienza della lotta.

Di qui il carattere spregiudicato, quasi sperimentale,di tutta la sua azione; l’inquietudine intellettuale che lopervade. Gli uomini di G. L. sono un poco gli «enfantsterribles» dell’opposizione (sbizzarritevi su questa defi-nizione, ipercritici a corto di argomenti!), ora graditiagli uni, ora agli altri, incapaci di metter giudizio, cioèdi ripiegare su qualche formuletta stereotipa e su un’atti-vità che dispensi dal pensare e dall’affrontare i nuoviproblemi sollevati dal fascismo.

Nessun dubbio che «Giustizia e Libertà» abbia moltoevoluto, molto cambiato in questi otto anni di vita. Mu-terà certo ancora, almeno fino a che non si sia riusciti afare seria presa sul colosso fascista.

Tuttavia, nonostante la varietà degli atteggiamenti edelle esperienze, che non intendiamo difendere in bloc-co, una fondamentale coerenza di motivi e di sviluppoc’è; ma difficilmente la si coglie dall’esterno.

G. L. è la storia degli sforzi, dei sacrifici di un nume-roso gruppo di giovani antifascisti che dopo la liquida-zione ingloriosa delle vecchie opposizioni parlamentarisi sono gettati nella lotta rivoluzionaria. Non proveniva-no da un solo partito, ma da tutti i partiti: socialisti, co-munisti, democratici, repubblicani, sardisti, allievi diGobetti, di Gramsci, di Salvemini, intellettuali senzapartito, giovanissimi arrivati alla ribellione per vie pro-

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quisite o da una semplice estensione degli schemi dellalotta anticapitalistica, ma da una volontà di liberazioneche si sprigiona dallo stesso mondo fascista e dalla con-creta esperienza della lotta.

Di qui il carattere spregiudicato, quasi sperimentale,di tutta la sua azione; l’inquietudine intellettuale che lopervade. Gli uomini di G. L. sono un poco gli «enfantsterribles» dell’opposizione (sbizzarritevi su questa defi-nizione, ipercritici a corto di argomenti!), ora graditiagli uni, ora agli altri, incapaci di metter giudizio, cioèdi ripiegare su qualche formuletta stereotipa e su un’atti-vità che dispensi dal pensare e dall’affrontare i nuoviproblemi sollevati dal fascismo.

Nessun dubbio che «Giustizia e Libertà» abbia moltoevoluto, molto cambiato in questi otto anni di vita. Mu-terà certo ancora, almeno fino a che non si sia riusciti afare seria presa sul colosso fascista.

Tuttavia, nonostante la varietà degli atteggiamenti edelle esperienze, che non intendiamo difendere in bloc-co, una fondamentale coerenza di motivi e di sviluppoc’è; ma difficilmente la si coglie dall’esterno.

G. L. è la storia degli sforzi, dei sacrifici di un nume-roso gruppo di giovani antifascisti che dopo la liquida-zione ingloriosa delle vecchie opposizioni parlamentarisi sono gettati nella lotta rivoluzionaria. Non proveniva-no da un solo partito, ma da tutti i partiti: socialisti, co-munisti, democratici, repubblicani, sardisti, allievi diGobetti, di Gramsci, di Salvemini, intellettuali senzapartito, giovanissimi arrivati alla ribellione per vie pro-

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prie nella solitudine tirannica, operai rivoluzionari for-matisi attraverso le lotte di fabbrica e di strada, vecchimilitanti insofferenti di attesa. Più che un programmacomune li legava agli inizi uno stato d’animo: la rivoltacontro gli uomini, la mentalità, i metodi del mondo poli-tico prefascista, responsabile della fine miserabiledell’Aventino; una volontà attiva di lotta, che voleva es-sere anche di riscatto dall’umiliazione per la battaglianon data e la sconfitta non meritata; una convinzionenon precisa nei termini, ma chiarissima nei motivi, dellanecessità di un rinnovamento «ab imis» della vita socia-le e morale del paese.

Fu il periodo «unitario» e romantico di G. L., fronteunico di azione demo-social-repubblicano (1929-32);contrassegnato da un grande sforzo di propaganda e diorganizzazione illegale, da azioni ardite (evasioni, voli,ecc.), da iniziative senza posa rinnovate.

È in questa fase che G. L., che ha la sua base presso-ché esclusiva in Italia, impone l’esigenza e la preminen-za della lotta in Italia. Il principio dell’autoliberazionedegli italiani come secondo Risorgimento che devespezzare i compromessi del primo e aprire la viaall’emancipazione sociale, è caratteristicamente suo.Come sua è la tesi che nella lotta contro lo stato totalita-rio, dove così difficile è il lavoro sistematico di massa,si debba ricorrere a metodi nuovi, capaci di colpire lafantasia del popolo e di suscitare energie, utilizzandotutti i ritrovati della tecnica moderna.

I progressi iniziali grandissimi, attirarono però ben

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prie nella solitudine tirannica, operai rivoluzionari for-matisi attraverso le lotte di fabbrica e di strada, vecchimilitanti insofferenti di attesa. Più che un programmacomune li legava agli inizi uno stato d’animo: la rivoltacontro gli uomini, la mentalità, i metodi del mondo poli-tico prefascista, responsabile della fine miserabiledell’Aventino; una volontà attiva di lotta, che voleva es-sere anche di riscatto dall’umiliazione per la battaglianon data e la sconfitta non meritata; una convinzionenon precisa nei termini, ma chiarissima nei motivi, dellanecessità di un rinnovamento «ab imis» della vita socia-le e morale del paese.

Fu il periodo «unitario» e romantico di G. L., fronteunico di azione demo-social-repubblicano (1929-32);contrassegnato da un grande sforzo di propaganda e diorganizzazione illegale, da azioni ardite (evasioni, voli,ecc.), da iniziative senza posa rinnovate.

È in questa fase che G. L., che ha la sua base presso-ché esclusiva in Italia, impone l’esigenza e la preminen-za della lotta in Italia. Il principio dell’autoliberazionedegli italiani come secondo Risorgimento che devespezzare i compromessi del primo e aprire la viaall’emancipazione sociale, è caratteristicamente suo.Come sua è la tesi che nella lotta contro lo stato totalita-rio, dove così difficile è il lavoro sistematico di massa,si debba ricorrere a metodi nuovi, capaci di colpire lafantasia del popolo e di suscitare energie, utilizzandotutti i ritrovati della tecnica moderna.

I progressi iniziali grandissimi, attirarono però ben

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presto la brutale e sistematica reazione poliziesca. Unodopo l’altro vennero colpiti, talvolta a due o tre riprese, icentri di Milano, Como, Pavia, Parma, Bergamo, Vene-zia, Treviso, Trieste, Fiume, Torino, Vercelli, Cuneo,Novara, Genova, Savona, Bologna, Reggio, Cesena, Fi-renze, Livorno, Pisa, Siena, Grosseto, Roma, Ancona,Cagliari, per limitarsi ai maggiori.

L’atteggiamento stupendo tenuto nei vari processi daiRossi, Bauer, Fancello, Calace, Traquandi, Andreis, sevalse a rivelare tempre eccezionali di capi e ad incitarealtri alla lotta, non riuscì tuttavia ad evitare la depressio-ne inevitabile, tanto più che in quegli anni il fascismo sirafforzava e si estendeva all’Europa.

G. L. fece allora la dura esperienza di tutti i movi-menti rivoluzionari nascenti, che l’entusiasmo degli ini-ziali successi porta a trascurare la prudenza indispensa-bile: del come sia lenta e faticosa in regime di persecu-zione la formazione di nuovi capi e la sostituzione deigruppi caduti. D’altronde alla stessa sorte non sfuggiro-no i centri comunisti nonostante la maggiore esperienza.

Col 1932 si può dire prenda fine, anche per assenza diquadri efficienti, la lotta sulle posizioni di concentrazio-ne democratica socialista. Le feste del decennale,l’ingresso di 6.000.000 nuovi membri nel partito fasci-sta, la nuova demagogia corporativa, ingenerarono inlarghi strati dell’opposizione la convinzione che ormai ilfascismo sia stabilizzato, una nuova generazione si af-faccia, con la quale è necessario fare i conti. Anchequando è antifascista lo è con mentalità e preoccupazio-

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presto la brutale e sistematica reazione poliziesca. Unodopo l’altro vennero colpiti, talvolta a due o tre riprese, icentri di Milano, Como, Pavia, Parma, Bergamo, Vene-zia, Treviso, Trieste, Fiume, Torino, Vercelli, Cuneo,Novara, Genova, Savona, Bologna, Reggio, Cesena, Fi-renze, Livorno, Pisa, Siena, Grosseto, Roma, Ancona,Cagliari, per limitarsi ai maggiori.

L’atteggiamento stupendo tenuto nei vari processi daiRossi, Bauer, Fancello, Calace, Traquandi, Andreis, sevalse a rivelare tempre eccezionali di capi e ad incitarealtri alla lotta, non riuscì tuttavia ad evitare la depressio-ne inevitabile, tanto più che in quegli anni il fascismo sirafforzava e si estendeva all’Europa.

G. L. fece allora la dura esperienza di tutti i movi-menti rivoluzionari nascenti, che l’entusiasmo degli ini-ziali successi porta a trascurare la prudenza indispensa-bile: del come sia lenta e faticosa in regime di persecu-zione la formazione di nuovi capi e la sostituzione deigruppi caduti. D’altronde alla stessa sorte non sfuggiro-no i centri comunisti nonostante la maggiore esperienza.

Col 1932 si può dire prenda fine, anche per assenza diquadri efficienti, la lotta sulle posizioni di concentrazio-ne democratica socialista. Le feste del decennale,l’ingresso di 6.000.000 nuovi membri nel partito fasci-sta, la nuova demagogia corporativa, ingenerarono inlarghi strati dell’opposizione la convinzione che ormai ilfascismo sia stabilizzato, una nuova generazione si af-faccia, con la quale è necessario fare i conti. Anchequando è antifascista lo è con mentalità e preoccupazio-

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ni diverse da quella dell’opposizione combattiva del pe-riodo post-aventiniano, con la quale ha perduto, oltretut-to, quasi ogni contatto. Il fascismo, ai suoi occhi, non èpiù la parentesi irrazionale; è la norma, il quadro neces-sario dell’esistenza, il punto di partenza per ogni azione.Essa si rende conto dell’insuccesso della generosa matardiva controffensiva dell’opposizione. Non si accon-tenta più di una propaganda generica spicciola, basatasulla speranza del rapido sviluppo di un moto insurre-zionale. Vuole degli ideali, e più ancora delle idee, unaautonomia di posizioni, una lotta meno legata all’attuali-tà.

Fu per G. L. un periodo delicato di passaggio. Da al-leanza di azione basata su un minimo comune denomi-natore politico, doveva trasformarsi in movimento poli-tico, darsi un programma, sopratutto ridare all’antifasci-smo che sembrava esaurito, un serio contenuto intellet-tuale. Se non si voleva improvvisare era giocoforza pas-sare attraverso una fase di studio e di discussioni, senzatuttavia mai abbandonare il lavoro pratico.

Nacquero così i «Quaderni di G. L.» (1932-1935), lacui redazione fu assicurata soprattutto dai compagni ita-liani. Il primo Quaderno conteneva uno schema di pro-gramma che fornì alimento alla prima discussione. Eraun programma socialista rivoluzionario, imperniato suiconcetti di autonomia e dei Consigli ereditati dall’«Or-dine Nuovo» e dalla «Rivoluzione Liberale». Il suo di-fetto era non la genericità – ché anzi abbondava in pre-cisazioni – ma piuttosto un’eccessiva prudenza nelle

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ni diverse da quella dell’opposizione combattiva del pe-riodo post-aventiniano, con la quale ha perduto, oltretut-to, quasi ogni contatto. Il fascismo, ai suoi occhi, non èpiù la parentesi irrazionale; è la norma, il quadro neces-sario dell’esistenza, il punto di partenza per ogni azione.Essa si rende conto dell’insuccesso della generosa matardiva controffensiva dell’opposizione. Non si accon-tenta più di una propaganda generica spicciola, basatasulla speranza del rapido sviluppo di un moto insurre-zionale. Vuole degli ideali, e più ancora delle idee, unaautonomia di posizioni, una lotta meno legata all’attuali-tà.

Fu per G. L. un periodo delicato di passaggio. Da al-leanza di azione basata su un minimo comune denomi-natore politico, doveva trasformarsi in movimento poli-tico, darsi un programma, sopratutto ridare all’antifasci-smo che sembrava esaurito, un serio contenuto intellet-tuale. Se non si voleva improvvisare era giocoforza pas-sare attraverso una fase di studio e di discussioni, senzatuttavia mai abbandonare il lavoro pratico.

Nacquero così i «Quaderni di G. L.» (1932-1935), lacui redazione fu assicurata soprattutto dai compagni ita-liani. Il primo Quaderno conteneva uno schema di pro-gramma che fornì alimento alla prima discussione. Eraun programma socialista rivoluzionario, imperniato suiconcetti di autonomia e dei Consigli ereditati dall’«Or-dine Nuovo» e dalla «Rivoluzione Liberale». Il suo di-fetto era non la genericità – ché anzi abbondava in pre-cisazioni – ma piuttosto un’eccessiva prudenza nelle

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formulazioni dovuta al desiderio di non compromettereall’improvviso il carattere unitario del movimento insede di azione, tanto più che G. L. all’estero era giuntanel frattempo ad un accordo con la Concentrazione.

Chi sfogli oggi la collezione dei «Quaderni» vedràcome il programma venne criticato e superato e come,pure attraverso la varietà e talora la contraddittorietà deicontributi, il movimento si maturasse politicamente: lalibertà nella fabbrica, la riforma agraria, la funzione delproletariato, la struttura dello stato, furono i temi princi-pali attorno a cui fervè la discussione. Ma soprattutto iQuaderni servirono a farci misurare per la prima volta laportata del fenomeno fascista, la necessità di una lottasu un fronte infinitamente più largo di quello della stret-ta politica, la inanità dei partiti tradizionali, organi dellalotta politica in clima democratico.

Dopo essere stata tutta azione, G. L., sotto il contrac-colpo del trionfo hitleriano e il dilagare del fascismo inEuropa, rischiò di diventare tutto pensiero e critica;cioè, in una lotta com’è quella che ci confronta, quasiutopia.

A richiamarla alla realtà, a ridare speranza ai compa-gni italiani e a offrire nuove occasioni di propaganda edi lotta, vennero le giornate di Vienna, l’insurrezionedelle Asturie, la riscossa francese; mentre la rottura del-la Concentrazione, ormai ramo secco, e la nascita delsettimanale, la costringevano a darsi anche all’esterouna prima ossatura organizzativa favorendo l’incontrotra un gruppo di intellettuali e gruppi di operai.

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formulazioni dovuta al desiderio di non compromettereall’improvviso il carattere unitario del movimento insede di azione, tanto più che G. L. all’estero era giuntanel frattempo ad un accordo con la Concentrazione.

Chi sfogli oggi la collezione dei «Quaderni» vedràcome il programma venne criticato e superato e come,pure attraverso la varietà e talora la contraddittorietà deicontributi, il movimento si maturasse politicamente: lalibertà nella fabbrica, la riforma agraria, la funzione delproletariato, la struttura dello stato, furono i temi princi-pali attorno a cui fervè la discussione. Ma soprattutto iQuaderni servirono a farci misurare per la prima volta laportata del fenomeno fascista, la necessità di una lottasu un fronte infinitamente più largo di quello della stret-ta politica, la inanità dei partiti tradizionali, organi dellalotta politica in clima democratico.

Dopo essere stata tutta azione, G. L., sotto il contrac-colpo del trionfo hitleriano e il dilagare del fascismo inEuropa, rischiò di diventare tutto pensiero e critica;cioè, in una lotta com’è quella che ci confronta, quasiutopia.

A richiamarla alla realtà, a ridare speranza ai compa-gni italiani e a offrire nuove occasioni di propaganda edi lotta, vennero le giornate di Vienna, l’insurrezionedelle Asturie, la riscossa francese; mentre la rottura del-la Concentrazione, ormai ramo secco, e la nascita delsettimanale, la costringevano a darsi anche all’esterouna prima ossatura organizzativa favorendo l’incontrotra un gruppo di intellettuali e gruppi di operai.

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È appunto tra il 1934 e il 1935 che G. L. acquista queicaratteri che ha tutt’oggi e che ne formano la vera origi-nalità: l’unione, per la prima volta tentata, tra un’energi-ca, ostinata volontà di azione e di lotta pratica, con unagrande larghezza e intensità di vita intellettuale. Di que-sta unione il giornale, di cui proprio in questi giorni sicompie il primo triennio di vita, e la partecipazione allalotta armata in Spagna, costituiscono i due esempi piùsignificativi.

G. L. aspira ad essere ad un tempo organizzazione ri-voluzionaria e sforzo di cultura; movimento politico ecentro di vita. Si potrebbe definire «un partito in forma-zione» se l’espressione «partito» non implicasse una vi-sione sezionale della politica, un formalismo e anche unfanatismo che possiede in troppo scarsa misura.

Ciò che preme agli uomini di G. L. non è la fortunadel loro movimento come tale, ma lo sviluppo della Ri-voluzione Italiana, l’autoliberazione, l’autoemancipa-zione del popolo italiano, il sorgere, sulla rovina dei fa-scismi, di una nuova Europa. G. L. è per loro uno deglistrumenti, un quadro d’azione che mai potrà sostituirsial fermento di liberazione del popolo. Essi sono talmen-te convinti che dopo quindici anni di fascismo la Rivo-luzione Italiana procederà per vie imprevedibili, crean-do nuove forme e organi di vita politica, espressionedella nuova realtà sociale, che considerano assurde emiopi le querele e le accademie di esilio. Perciò favori-scono in ogni modo, su tutti i settori, l’avvicinamentotra le forze antifasciste per unificare la lotta e in partico-

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È appunto tra il 1934 e il 1935 che G. L. acquista queicaratteri che ha tutt’oggi e che ne formano la vera origi-nalità: l’unione, per la prima volta tentata, tra un’energi-ca, ostinata volontà di azione e di lotta pratica, con unagrande larghezza e intensità di vita intellettuale. Di que-sta unione il giornale, di cui proprio in questi giorni sicompie il primo triennio di vita, e la partecipazione allalotta armata in Spagna, costituiscono i due esempi piùsignificativi.

G. L. aspira ad essere ad un tempo organizzazione ri-voluzionaria e sforzo di cultura; movimento politico ecentro di vita. Si potrebbe definire «un partito in forma-zione» se l’espressione «partito» non implicasse una vi-sione sezionale della politica, un formalismo e anche unfanatismo che possiede in troppo scarsa misura.

Ciò che preme agli uomini di G. L. non è la fortunadel loro movimento come tale, ma lo sviluppo della Ri-voluzione Italiana, l’autoliberazione, l’autoemancipa-zione del popolo italiano, il sorgere, sulla rovina dei fa-scismi, di una nuova Europa. G. L. è per loro uno deglistrumenti, un quadro d’azione che mai potrà sostituirsial fermento di liberazione del popolo. Essi sono talmen-te convinti che dopo quindici anni di fascismo la Rivo-luzione Italiana procederà per vie imprevedibili, crean-do nuove forme e organi di vita politica, espressionedella nuova realtà sociale, che considerano assurde emiopi le querele e le accademie di esilio. Perciò favori-scono in ogni modo, su tutti i settori, l’avvicinamentotra le forze antifasciste per unificare la lotta e in partico-

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lare la fusione, non improvvisata, non meccanica, dellecorrenti proletarie.

G. L. – già avemmo occasione di scriverlo all’iniziodi questa serie di articoli – è un movimento che ha or-mai un netto carattere proletario. Non solo perché il pro-letariato si dimostra dovunque come l’unica classe capa-ce di operare quel sovvertimento di istituzioni e di valo-ri che si propone; non solo perché nel seno del movi-mento gli elementi proletari hanno sempre maggiorpeso; ma perché nell’esperienza concreta della lotta hamisurato tutta l’incapacità, lo svuotamento della borghe-sia italiana come classe dirigente.

Certo non è facile definire G. L. in base alla termino-logia usuale dei partiti proletari. In base a questa termi-nologia dovremmo definirci ad un tempo socialisti e co-munisti e libertari (socialisti-rivoluzionari, comunisti-liberali) nel senso che riconosciamo quel che di vitaleciascuna di queste posizioni, in sia pure varia misura,contiene. Nel socialismo vediamo l’idea forza animatri-ce di tutto il movimento operaio. La sostanza di ognireale democrazia, la religione del secolo. Nel comuni-smo la prima storica applicazione del socialismo, il mito(assai logorato, purtroppo), ma soprattutto la più energi-ca forza rivoluzionaria. Nel libertarismo l’elemento diutopia, di sogno, di prepotente, anche se rozza e primiti-va, religione della persona.

Affermiamo la necessità di una nuova sintesi, e cre-diamo che nei suoi termini essenziali, G. L. si avvii adarla. In ogni caso ci sembra che nessuno dei vecchi

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lare la fusione, non improvvisata, non meccanica, dellecorrenti proletarie.

G. L. – già avemmo occasione di scriverlo all’iniziodi questa serie di articoli – è un movimento che ha or-mai un netto carattere proletario. Non solo perché il pro-letariato si dimostra dovunque come l’unica classe capa-ce di operare quel sovvertimento di istituzioni e di valo-ri che si propone; non solo perché nel seno del movi-mento gli elementi proletari hanno sempre maggiorpeso; ma perché nell’esperienza concreta della lotta hamisurato tutta l’incapacità, lo svuotamento della borghe-sia italiana come classe dirigente.

Certo non è facile definire G. L. in base alla termino-logia usuale dei partiti proletari. In base a questa termi-nologia dovremmo definirci ad un tempo socialisti e co-munisti e libertari (socialisti-rivoluzionari, comunisti-liberali) nel senso che riconosciamo quel che di vitaleciascuna di queste posizioni, in sia pure varia misura,contiene. Nel socialismo vediamo l’idea forza animatri-ce di tutto il movimento operaio. La sostanza di ognireale democrazia, la religione del secolo. Nel comuni-smo la prima storica applicazione del socialismo, il mito(assai logorato, purtroppo), ma soprattutto la più energi-ca forza rivoluzionaria. Nel libertarismo l’elemento diutopia, di sogno, di prepotente, anche se rozza e primiti-va, religione della persona.

Affermiamo la necessità di una nuova sintesi, e cre-diamo che nei suoi termini essenziali, G. L. si avvii adarla. In ogni caso ci sembra che nessuno dei vecchi

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movimenti proletari sia capace, da solo, di assolvere aicompiti centrali della lotta contro il fascismo.

Questa lotta, ideale e pratica, chiede oggi di esserecondotta contemporaneamente su due terreni: un terrenoelementare, che sia di risveglio, di iniziazione del popo-lo alla libertà e alla difesa delle sue condizioni di vita; eun terreno ideale, finalistico che sia di educazione diuna nuova classe dirigente, della nuova «élite» rivolu-zionaria, di contrapposizione del mondo dei valori uma-nistici del socialismo al mondo inumano del fascismo.

Le due lotte non sono diverse, staccate nel tempo enegli obbiettivi; ma aspetti necessari e legati di una lottaunica che trascende le possibilità di ogni singola corren-te.

Per condurre la prima si propone la costituzione di unFronte Popolare Italiano non ricalcato su quello france-se, e adeguato alla situazione italiana.

Per condurre la seconda si fa affidamento, oltre chesui partiti, sullo sviluppo e sull’allargamento dell’unitàdi azione proletaria.

Siamo favorevoli a entrambi, ma come espedientiprovvisori o come avviamento a formazioni assai diver-se.

Ad abbattere il fascismo non saranno né il Fronte Po-polare – che presuppone la vita democratica e dei fortipartiti – né l’unità d’azione – che sinora ha più favoritol’irrigidimento dei partiti sulle loro posizioni rappresen-tative formali, che il loro effettivo riavvicinamento.

Che cosa, allora?

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movimenti proletari sia capace, da solo, di assolvere aicompiti centrali della lotta contro il fascismo.

Questa lotta, ideale e pratica, chiede oggi di esserecondotta contemporaneamente su due terreni: un terrenoelementare, che sia di risveglio, di iniziazione del popo-lo alla libertà e alla difesa delle sue condizioni di vita; eun terreno ideale, finalistico che sia di educazione diuna nuova classe dirigente, della nuova «élite» rivolu-zionaria, di contrapposizione del mondo dei valori uma-nistici del socialismo al mondo inumano del fascismo.

Le due lotte non sono diverse, staccate nel tempo enegli obbiettivi; ma aspetti necessari e legati di una lottaunica che trascende le possibilità di ogni singola corren-te.

Per condurre la prima si propone la costituzione di unFronte Popolare Italiano non ricalcato su quello france-se, e adeguato alla situazione italiana.

Per condurre la seconda si fa affidamento, oltre chesui partiti, sullo sviluppo e sull’allargamento dell’unitàdi azione proletaria.

Siamo favorevoli a entrambi, ma come espedientiprovvisori o come avviamento a formazioni assai diver-se.

Ad abbattere il fascismo non saranno né il Fronte Po-polare – che presuppone la vita democratica e dei fortipartiti – né l’unità d’azione – che sinora ha più favoritol’irrigidimento dei partiti sulle loro posizioni rappresen-tative formali, che il loro effettivo riavvicinamento.

Che cosa, allora?

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Una formazione nuova, originale, capace di condurrecontro il colosso totalitario una lotta ad un tempo prati-ca, politica, culturale.

Di questa formazione il proletariato sarà il pernio. Manon bisogna pensarla in termini di partito tradizionale.La nozione tradizionale di partito è insufficente, sorda atroppe esigenze che la lotta contro il fascismo, e lo stes-so successo fascista, ci hanno rivelate. È una forma poli-tica nuova quella che si dovrà elaborare; e non già a ta-volino, ma nell’esperienza del lavoro comune, attraver-so la fusione progressiva delle varie frazioni proletarie eil potenziamento di tutti i motivi vitali di opposizione.

Il partito unico del proletariato, se vorrà essere unaforza rinnovatrice autentica, dovrà essere più che unpartito in senso stretto, una larga forza sociale, una sortadi anticipazione della società futura, di microcosmo so-ciale, con la sua organizzazione di combattimento, maanche con la sua vita intellettuale dal respiro ampio e in-citatore.

G. L. che cosa vi porterà?In primo luogo l’esigenza di questo rinnovamento so-

stanziale della lotta proletaria.Una tradizione ininterrotta di azione e di iniziativa.Un’interpretazione lucida, disincantata del fascismo,

non solo come reazione di classe, ma come sprofonda-mento sociale.

Un rapporto intimo con la coltura e la storia del no-stro paese, non nel senso del patriottismo volgare madell’adesione a quella realtà nazionale da cui la Rivolu-

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Una formazione nuova, originale, capace di condurrecontro il colosso totalitario una lotta ad un tempo prati-ca, politica, culturale.

Di questa formazione il proletariato sarà il pernio. Manon bisogna pensarla in termini di partito tradizionale.La nozione tradizionale di partito è insufficente, sorda atroppe esigenze che la lotta contro il fascismo, e lo stes-so successo fascista, ci hanno rivelate. È una forma poli-tica nuova quella che si dovrà elaborare; e non già a ta-volino, ma nell’esperienza del lavoro comune, attraver-so la fusione progressiva delle varie frazioni proletarie eil potenziamento di tutti i motivi vitali di opposizione.

Il partito unico del proletariato, se vorrà essere unaforza rinnovatrice autentica, dovrà essere più che unpartito in senso stretto, una larga forza sociale, una sortadi anticipazione della società futura, di microcosmo so-ciale, con la sua organizzazione di combattimento, maanche con la sua vita intellettuale dal respiro ampio e in-citatore.

G. L. che cosa vi porterà?In primo luogo l’esigenza di questo rinnovamento so-

stanziale della lotta proletaria.Una tradizione ininterrotta di azione e di iniziativa.Un’interpretazione lucida, disincantata del fascismo,

non solo come reazione di classe, ma come sprofonda-mento sociale.

Un rapporto intimo con la coltura e la storia del no-stro paese, non nel senso del patriottismo volgare madell’adesione a quella realtà nazionale da cui la Rivolu-

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zione Italiana trarrà la sua originalità creatrice.La coscienza acuta di alcuni problemi che possono

dirsi quelli della modernità dell’Italia (formazione diclasse dirigente; riscatto del sud; alleanza proletariatourbano-contadini-intellettuali; federalismo) e soprattuttouna preoccupazione centrale di libertà non astratta, nonformale, basata su una concezione attiva, positiva,emancipatrice, della libertà e della giustizia (autonomie,Consigli).

Nell’attesa che l’unificazione maturi, sempre collabo-rando ad ogni sforzo disinteressato di unione, G. L. svi-lupperà la sua organizzazione politica proponendosi difornire un esempio modesto ma stimolante di ciò chedovrà essere l’organo, e più che l’organo, l’organizza-zione della rinascita proletaria in Italia attraverso il ri-scatto morale e sociale dell’intero paese.

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zione Italiana trarrà la sua originalità creatrice.La coscienza acuta di alcuni problemi che possono

dirsi quelli della modernità dell’Italia (formazione diclasse dirigente; riscatto del sud; alleanza proletariatourbano-contadini-intellettuali; federalismo) e soprattuttouna preoccupazione centrale di libertà non astratta, nonformale, basata su una concezione attiva, positiva,emancipatrice, della libertà e della giustizia (autonomie,Consigli).

Nell’attesa che l’unificazione maturi, sempre collabo-rando ad ogni sforzo disinteressato di unione, G. L. svi-lupperà la sua organizzazione politica proponendosi difornire un esempio modesto ma stimolante di ciò chedovrà essere l’organo, e più che l’organo, l’organizza-zione della rinascita proletaria in Italia attraverso il ri-scatto morale e sociale dell’intero paese.

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