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Febbraio 2011 n. 2 Nord e Sud, i fratelli d’Italia Poste Italiane S.p.A - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 2, CNS/AC Roma Segno nel mondo € 1,70 g nel mondo

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n. 2 Febbraio 2011 "Nord e Sud, fratelli d'Italia"

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L’impegno educativo ha sempre rappresentato econtinua a rappresentare un elemento caratteriz-zante per l’Azione cattolica a tutti i livelli sia nelsenso dell’attenzione al valore cardine dell’edu-cazione nella famiglia, a scuola, nella stessa vitadella Chiesa, nella vita della società pur nella com-plessità delle sue trasformazioni, sia nel senso del-l’impegno per un adeguato accompagnamento deisoci attraverso cammini formativi che sappianoguidare a una piena presa di coscienza del sensostesso della propria vita, del proprio posto nella sto-ria, del proprio contributo da dare alla società.Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 rafforzano per noi tutta questa prospettiva,definendo l’Azione cattolica «scuola di formazionecristiana» (n. 43). Per noi, dunque, l’impegnoeducativo è impegno di vita e non pura e semplicericerca di tecniche nuove o di nuovi allettanti meto-di, non disdegnando naturalmente ogni beneficainnovazione anche in questo campo.L’Assemblea nazionale che si svolgerà a Roma dal6 all’8 maggio 2011 sarà il momento per rilanciare,dopo il bellissimo incontro con il Santo Padre del 30ottobre 2010, il contributo che l’Ac sente di poterdare in questa direzione.Il tema scelto per l’Assemblea è Vivere la fede,amare la vita, con sottotitolo esplicativo l’impegnoeducativo dell’Aziona cattolica. Perché questo tema?

In primo luogo perché avvertiamo sempre la neces-sità di vivere fino in fondo la nostra fede, quella fedeche è capace di cambiare la vita coinvolgendosipienamente in essa. O la fede cambia la vita, o lafede genera nuova vita, o la fede ci spinge adamare pienamente la vita o è sterile. D’altra parte lafede cristiana è questione di vita, la nostra vita chesi lascia permeare dalla vita di Gesù Cristo.In secondo luogo perché crediamo fermamente cheoggi, come sempre ma ancor più, è tempo dicoerenza profonda tra fede e vita. O la testimonian-za della fede è coerente e significativa oppure nonriesce a provocare gli altri, a mostrare in concreto lepotenzialità di una vita vissuta secondo il Vangelo.In terzo luogo perché proprio il nesso indissolubilefede-vita ci spinge ad amare la vita sempre. Sem-pre: dalla vita nascente alla vita che muore, dallavita vissuta nelle grandi città del ricco Nord delmondo alla vita di ogni angolo dei tanti Sud dellaterra. La vita buona, la vita degna di essere vissuta.È quella per cui operiamo, per cui ci impegniamo.In quarto luogo perché l’impegno educativo è l’im-pegno di dare il nostro piccolo contributo a che tanticontinuino e sempre più si appassionino alla vitabuona del Vangelo di Gesù Cristo. Non è un impe-gno educativo qualsiasi. Ma quell’esigenza del cuoreche avvertiamo perché vogliamo comunicare a tuttiuna bella, grande notizia: Gesù salva le nostre vite.Ma questo cammino non è solo del singolo.Camminiamo con la Chiesa, camminiamo conl’Azione cattolica. In Ac impariamo a camminaree a crescere insieme sempre, in ogni tempodella vita. Non si può vivere la fede e amare lavita da soli. �g

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Fatti parole

AssembleaAc:viverelafede,amarelavita[

&di Franco Miano

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Mensiledell’Azione Cattolica Italiana

Direttore Franco MianoDirettore Responsabile Giovanni [email protected] Redazione Gianni Di [email protected]

e-mail [email protected]. 06.661321 (centr.) Fax 06.66132360

Hanno collaborato a questo numero:Paolo Acanfora, Diego Andreatta,Mirko Campoli, Paola De Lena, Giorgia E. Cozza,Gian Candido De Martin, Simone Esposito,Alessandra Gaetani,Antonella Gaetani,Barbara Garavaglia, Stefano Leszczynski,Fabiana Martini, Giuseppe Masiero, Paolo Mira,Diego Motta, Marco Ratti, Francesco Rossi,Chiara Santomiero, Paola Springhetti,Marco Testi, Marta Vergottini,Agostino Ziino

Editrice Fondazione Apostolicam ActuositatemVia della Conciliazione, 1 - 00193 RomaDirezione eAmministrazioneVia Aurelia, 481 - 00165 Roma

Grafica e impaginazione:Giuliano D’Orsi,Veronica FuscoStampa Mediagraf S.p.a.Viale della Navigazione Interna, 89 - 35027Noventa Padovana - PDReg. al Trib. di Roma n. 13146/1970del 02/01/1970Per le immagini si è fatto ricorso alle agenzieOlycom, SIR e Romano Siciliani

Chiuso in redazione il 14 gennaio 2011

Pubblicazione associata all’USPI(Unione Stampa Periodica Italiana)

Abb.to annuale (12 num.) senza supplemento € 20Abb.to annuale (12 num.) con supplemento € 25Per versamenti: ccp n.78136116intestato a: Fondazione Apostolicam ActuositatemRiviste - Via Aurelia, 481 – 00165 RomaFax 06.6620207(causale “Abbonamento a Segno”)Banca: Credito Artigiano - sede di RomaIBAN: IT88R0351203200000000011967cod. Bic Swift Arti itM2 intestato a:Fondazione Apostolicam ActuositatemVia Aurelia, 481 - 00165 RomaTiratura 153.300 copie

n.2febbraio2011nel mondo

la copertinaFratelli d’Italia è il dossier che Segno dedica al150° anniversario dell’unità, tra i “mal di pancia”del Nord e le eccellenze del Sud che sono,ancora oggi, fra i tratti tipici di un paese checerca di uscire da un deficit di risorse civiche edeconomiche. Un’Italia unita è un bene per tutti

famiglia oggi

1Assemblea Ac: viverela fede, amare la vitadi Franco Miano

34Se mamma e papàsi dividonodi Giorgia E. Cozza

36Età a più velocitàdi Mirko Campoli

fatti e parole

sotto i riflettori

5Avanti insiemeSi può faredi Paolo Acanfora

8Qui le stellenon stanno a guardareintervista con

Michele Guerriero

di Alessandra Gaetani

10Se le partite Ivahanno pauradi Diego Motta

12Meridione, l’altra veritàintervista con

Pino Aprile

di Chiara Santomiero

sommario

cittadini e palazzo

32Privacy e informazione:spiati o informati?di Marta Vergottini

le altre notizie

sotto i riflettori

14Lavoro e impresa,occasione per tuttidi Paola De Lena

16Le icone di Cauloniadi Diego Andreatta

18Benvenuti al Sud(e pure al Nord)di Simone Esposito

20La lezionedei grandi scrittoridi Marco Testi

22Quale futuroper l’unità del paese?di Gian Candido De Martin

tempi moderni

26Il potere alle paroledi Simone Esposito

28Fidarsi dei bambinidi Barbara Garavaglia

30Un giornola musica rinasceràintervista con

Max Gazzè

di Alessandra Gaetani

24Dall’Italia e dal mondo 30

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perché credere

62Maestro dove abitidi Giuseppe Masiero

la vignetta

64di Valerio De Luca

quale Chiesa

senza confini

som

mar

io

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38Un mondo a coloridi Francesco Rossi

41Innamorato della Paroladi Agostino Ziino 52

Il volontariatoe il balletto delle cifredi Paola Springhetti

giorno per giorno

i titoloni

orizzonti di Ac

56SegnoPer,focus sull’educatoredi Fabiana Martini

58C’è di +nelle riviste dei più piccolidi Claudio di Perna

59Nella terra di Gesù

50Recensionidi Silvio Mengotto

e Antonella Gaetani

54Il fascino di Sant’Egidiodi Paolo Mira

60Diario di un prigionierocattolicodi giadis

ieri e domani

sulle stradedella fede

spazio aperto

faccia a faccia

46Guerra e fame bussanoalle nostre porteintervista con

Maurizio Simoncelli

di Stefano Leszczynski

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53Le lettere

42La Romaniache parla italianodi Marco Ratti

45Haiti ancora sotto le macerie

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Fratelli d’Italia. In un paese spesso confuso edeluso, eppure ricco di energie, intelligenza ecapacità, talvolta diffidente, che attraversa unaprofonda crisi della politica e il cui ethos civiletraballa, l’inno di origine risorgimentale sembralontano, oscurato da una “italianità” un po’ indisuso. Scritto nell’autunno del 1847 dall’alloraventenne studente e patriota Goffredo Mameli,musicato poco dopo a Torino da un altro genovese,Michele Novaro, Fratelli d’Italia, oggi, può essereancora più che un’invocazione messa sul penta-gramma.Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità,che il nostro paese sta celebrando, Fratelli d’Italiaè monito e speranza per le generazioni future eindica una passione etico-civile da recuperare perattraversare il guado di un presente e di unarealtà socioeconomica a tinte fosche. Al di là diogni retorica, le domande sono chiare: un’Italiadivisa ce la farebbe a superare la crisi? Quale ruolopotrebbe giocare in Europa e nel mondo? E unfederalismo ancora un po’ oscuro nelle sue enun-ciazioni e ricadute concrete potrà aiutare i terri-tori, le regioni a crescere nel segno della solida-rietà e dell’unità?Ecco perché, soprattutto oggi, i “mal di pancia” delNord Italia e le eccellenze del Sud, che pure ci sono,vanno ascoltati, capiti, risolti o valorizzati a secon-do dei casi. Sussidiarietà e solidarietà, autonomia eprosperità, senso civico e legalità sono termini chepossono, anzi, devono andare d’accordo.Il dossier di Segno analizza quanto i “fratellid’Italia” – schematicamente rappresentati da Sud eNord, passando per il Centro – abbiano ancora dadirsi per una “storiografia dell’anima” che mettainsieme cuore e cervello e racconti un paese diver-so, rispetto a tante strumentalizzazioni e caricatu-re che la storia nazionale ha trasmesso ai posteri.Due, tre o più Italie non servono a nessuno. Una,bella e dinamica Italia, invece sì. Sta alla buonapolitica, ma anche ai cittadini di questo straordi-nario paese fare passi avanti affinché fatti gli ita-liani, si faccia l’Italia.

(giadis)

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di Paolo Acanfora

Non nasce sotto i migliori auspici l’annodel terzo giubileo della patria. Instabilitàpolitica, crisi economica, profondomalessere sociale e una marginalizza-

zione del ruolo della cultura nella vita della comu-nità che non ha precedenti nella nostra storia.Soprattutto, però, a preoccupare è la sempre piùampia divaricazione tra le «due Italie», per usareun’espressione coniata nell’Ottocento dallo storicotedesco Heinrich Leo e divenuta presto di usocomune.Il Nord e il Sud sembrano essere oggi due piccolepatrie che faticano a ritrovare il significato morale ele esigenze concrete di una vita in comune. Non èsempre stato così. La «questione meridionale» hacertamente accompagnato la nascita e lo sviluppodello Stato italiano ma era declinata diversamente,come un problema da risolvere in chiave nazionalee giudicato fondamentale per la crescita dell’interosistema italiano. Intendiamoci: non sono mai man-cate le critiche al nord sfruttatore delle risorse meri-dionali e al sud immobile e parassitario ma si tratta-va di richieste di perequazione, di sviluppo e di pro-gresso che investivano la nazione italiana nella suatotalità.Le conquiste dell’unità, di ciò che Benedetto Croceha indicato come il più grande capolavoro politicodell’Ottocento europeo, erano giudicate acquisiteuna volta per tutte e considerate non più in discus-sione. Seppure opera di una piccola minoranza inun contesto di sostanziale assenza delle massepopolari, il risorgimento creò le condizioni per l’av-vio di un processo di nazionalizzazione di realtàlocali profondamente diverse. L’esercito, la scuola,

le grandi infrastrutture, la partecipazione alla vitapolitica attraverso i partiti e, ancora, il ruolo dellaradio e della televisione agirono profondamente,permettendo l’incontro, la conoscenza e la com-prensione tra queste diverse realtà e con ciò lacostruzione di un comune sentimento di apparte-nenza nazionale. Le molte facce dell’Italia si trova-rono così a comunicare con una medesima lingua,a condividere le stesse istituzioni, ad assomigliarsisempre più nei costumi.Un processo che ha portato a importanti risultati mache ha, tuttavia, lasciato molte questioni irrisolte.L’Italia ha continuato a essere una nazione a piùvelocità, con diversi gradi di sviluppo, di efficienza,di ricchezza. Il permanere di queste differenze haprodotto il continuo alimentarsi di un sentimentodiffuso di ingiustizia che, nelle regioni settentrionali,ha radicato l’idea di una sostanziale autosufficienzadi una parte del paese non più disposta a trascinarecon sé l’altra, giudicata un inutile peso morto.A distanza di centocinquanta anni si sono cosìriproposte le tradizionali fratture nel corpo dellacomunità nazionale. Nuovamente ha preso vigorel’immagine retorica di un Sud totalmente incapace,indifferenziato, politicamente ed economicamenteassistito di fronte a un Nord altrettanto totalmenteproduttivo, attivo, frenato solo dall’incapacità altrui.E l’«altro» è diventato, di conseguenza, un impac-cio, un danno, un problema da risolvere. L’invoca-zione del territorio come idea-forza di riferimentoha svolto, come ricordano gli antropologi, una pre-ziosa funzione identitaria (il «nostro territorio») legit-timando le divisioni tra un «noi» e un «voi» semprepiù inconciliabili. Allo stesso tempo nelle regioni

Avanti insiemeSi può fare

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meridionali si è riaffermato un atteggiamento tipi-camente «rivendicazionista», legato all’idea di unNord privilegiato divenuto ricco e consolidatosinella sua ricchezza alle spalle di un Sud impoverito.Tutto ciò ha prodotto un inevitabile risultato: un sen-timento di appartenenza nazionale non pienamentecondiviso, una comunità attraversata da frattureche appaiono spesso insanabili, un ethos civile giàtradizionalmente critico giunto a incomparabili livel-li di sfaldamento.È questo il quadro all’interno del quale l’Italia siappresta a celebrare la propria unità politica. L’inat-tività imbarazzante del comitato appositamentenominato per il centocinquantesimo anniversariotestimonia e certifica lo stato di crisi. L’assenza diun progetto politico-culturale che sappia compren-dere il passato, analizzare il presente e prospettareun futuro trova conferma nella povertà del dibattito,nello smarrimento e nell’incertezza dei passi dacompiere da parte della classe dirigente.Eppure vi sono le possibilità per muoversi in unadirezione diversa. Gli appelli del Presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano rappresentano uninvito e una spinta a guardare, con intelligenza epartecipazione, alla realtà del paese. Cercare dicapire le ragioni del Nord e le condizioni del Sud,

provare a uscire dagli schemi di letture rigide emonolitiche cogliendo, da una parte, i fermenti divitalità che nonostante tutto caratterizzano lasocietà meridionale e individuando, dall’altra, lesoluzioni per liberare la società settentrionale dalacci e pesi che ne frenano lo sviluppo: questa la viapreliminare per ridare una nuova unità a una nazio-ne lacerata da divisioni e conflitti.Ma il ruolo prioritario spetta alla società civile, aquei settori di essa che per propria vocazione ten-dono a costruire ponti, a sanare le divisioni, a conci-liare le differenze, a superare l’ostinazione del murocontro muro eleggendo la mediazione culturale afondamento della convivenza civile. Le associazionidi volontariato che uniscono le numerose realtàlocali all’interno di un comune quadro nazionale ecostruiscono fattivamente dei legami di solidarietàsono la migliore espressione di un’idea positiva evolitiva di nazione. Un grande scrittore francese del-l’Ottocento, Ernest Renan, aveva definito la nazioneun «plebiscito di tutti i giorni», volendo con ciò indi-care che ogni comunità ha bisogno di confermarsiquotidianamente nella propria condizione unitaria.L’unità non è un dato irreversibile. Occorre difen-derla, sostenerla e confermarla in uno sforzo conti-nuo. Nel centocinquantesimo della nascita dello

Nelle foto: sopra il Palazzo

della Borsa a piazza Affari

(Milano) e uno scorcio di

piazza Plebiscito a Napoli.

L’autore dell’articolo, Paolo

Acanfora, ha conseguito il

dottorato di ricerca in Storia

moderna e contemporanea e

svolge ricerche con l’Istituto

Luigi Sturzo e l’Accademia di

Studi storici Aldo Moro

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Stato italiano, è necessario ritrovare, come è statopiù volte detto, le ragioni fondamentali di questaunità.Un federalismo costruito «contro» qualcuno nonassolve a questo compito. Perché la solidarietà nonsia una vacua espressione, perché il «federalismosolidale» non assuma i contorni di un semplice slo-gan, occorre individuare dei precisi meccanismiistituzionali che permettano di tutelare il bene pre-zioso dell’unità. Non due diverse condizioni di citta-

dinanza (cittadini di serie Ae di serie B, come si suoldire) ma una realtà unica,articolata quanto si vuolema pur sempre garantitanella sua integrità.Il nuovo anniversario dellapatria potrà e dovrà esse-re una feconda occasioneper un rinnovamento delsentimento di apparte-nenza nazionale, per ilmiglioramento di unsenso civico tradizional-mente scarso, per una piùadeguata comprensionedella nostra storia, che èstata difficile, problemati-

ca e complessa ma che è stata indubbiamentecomune. A ciascuno il suo, in questo compito. Alleistituzioni, alla classe politica, ai singoli cittadini,alle articolazioni della società civile. E, in questadirezione, i cattolici, come pure nel passato, hannomolto da dire e da fare. Da essi è, anzi, lecitoaspettarsi un fondamentale contributo per la risco-perta e l’elaborazione di vecchie e nuove ragioniche sappiano perpetuare la scelta storica compiu-ta centocinquanta anni fa. �g

«I dati statistici non smettono di fotografare giovani in ginocchio tra disoccupazione e precarietà selvaggia. Solo pochi gior-ni fa l’Istat confermava che oltre un giovane su quattro in Italia è disoccupato. Su questo l’Ac sente di dover interpellare laclasse dirigente: cosa si può fare ora per aprire il mercato dell’occupazione? E quali strade di medio periodo perché un impie-go non sia sempre sotto l’ombra inquietante della precarietà senza tutele? Appare necessaria una verifica oggettiva dellepolitiche del lavoro sinora adottate, rese tra l’altro incomplete dall’assenza di un moderno sistema di welfare. Allo stessomodo sembrano necessari investimenti per la formazione dei giovani non disgiunti da un organico progetto educativo». Conqueste parole, peraltro attualissime, l’Ac ha presentato unMessaggio al paese durante il Convegno dei presidenti e degli assi-stenti unitari diocesani svoltosi significativamente ad Ancona, sede del prossimo Convegno eucaristico nazionale, il 10-12settembre 2010, dal titolo Eucaristia e vita quotidiana.«In questo contesto – continua la nota dell’Ac – la speranza, le speranze vanno ostinatamente cercate nei segni buoni deiterritori, nelle donne e negli uomini di buona volontà che, nella costanza e nell’ombra, continuano a servire le persone e lecittà “nonostante” il terreno poco fertile. È questa realtà che l’Ac vuole continuare a mostrare, in particolare la realtà di chi,nella crisi educativa, continua ad accompagnare gratuitamente le persone nella vita e nella fede. Sacerdoti, laici adulti e gio-vani, genitori, insegnanti, che vedono nella vita degna delle persone l’investimento più importante per il paese».L’Ac è tornata su alcuni di questi temi, compresa la valorizzazione dei territori, l’impegno sociopolitico e il 150° dell’Unità,nel messaggio di fine 2010-inizio 2011 intitolato I nostri auguri all’Italia, disponibile sul sito www.azionecattolica.it.

L’impegno dell’Ac per il paeseCERCARE LE SPERANZE NEI SEGNI BUONI DEL TERRITORIO

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Fuori dai luoghi comuni c’è un Sud chepunta in alto. Michele Guerriero, giornali-sta e scrittore, ci parla nel suo ultimo libro,Stelle del sud, del nostro mezzogiorno, ne

spiega le ricchezze, le grandi potenzialità. E nel farquesto va alla ricerca di cinque stelle, cinque realtàche riguardano altrettante eccellenze. Si tratta delpetrolio in Basilicata, dell’interporto di Nola, deldistretto dei divani tra Puglia e Basilicata, delleaziende vinicole in Puglia e Sicilia, e del porto diGioia Tauro. Ognuna di esse brilla di luce propria,insieme illuminano il Sud. Un libro nato nelle sered’estate, a tavola con Roberto Ciuni, ex direttore deIl Mattino, del Giornale di Sicilia. «Un grande amico,scomparso lo scorso aprile. Mi ha stimolato a fareuna serie di riflessioni. Ho iniziato le ricerche, rac-colto i dati. In ogni capitolo ci sono delle interviste.Ciò che rende prezioso questo libro è la prefazionedi Pellegrino Capaldo, uno dei banchieri più autore-voli d’Europa».

Nel libro lei affronta il tema dell’innovazione. Cosaoccorre fare per non perdere questo treno? È necessario investire nell’innovazione per non per-dere punti di Pil ogni anno. Non solo l’innovazionetecnologica ma anche quella nelle nuove forme nelmondo del lavoro. Le aziende che investono in que-

sto settore dovrebbero avere degli sgravi fiscalidiversi da quelle che non lo fanno. Quando un’a-zienda investe in innovazione ottiene migliori risul-tati nel mondo del lavoro. Ma occorre anche unsistema infrastrutturale, istituzionale, di sicurezza.Questo al Sud non è del tutto scontato.Il turismo viene denominato la Cenerentola delsistema Italia. Come riscattarlo da questa situa-zione?Si tratta di uno dei temi economici che interessa dipiù l’Italia. Il Sud ha più sole e mare, quindi è tocca-to molto da vicino. A novembre mi trovavo a Cata-nia. Alle 12 la gente ha fatto il bagno, c’erano 25gradi. Questo vuol dire che si possono implementa-re le attività turistiche fuori stagione con offerte. Mala responsabilità del perché questo non si faccianon è solo di coloro che fanno parte del settore turi-stico. Al Sud il sistema dei trasporti è molto carente.Cosa tiene ancorato il Mezzogiorno impedendogli difare quei passi che l’aiuterebbero a crescere con ilresto del paese?Esistono tanti Sud, non si tratta di un’entità monoli-tica, ma di una realtà che rappresenta diverseentità regionali. Inoltre sono diverse le ragioni percui è percepito, e in parte ancora è, una palla alpiede. Il Regno delle due Sicilie, alla metà dell’800,era tra gli Stati che produceva di più in Europa. Oggialcune regioni del Sud producono in percentualemeno rispetto al Nord, eppure abbiamo un livello discolarizzazione molto alto, moltissime potenzialitànel territorio e nell’ambiente. Oggi il Mezzogiorno èancora percepito come la palla al piede ma sta rien-trando la percezione del “è così, non ci possiamofare niente”, una sorta di sconfitta.I giovani hanno fiducia?Continua la fuga dei cervelli. Persone che quandopartono non hanno la valigia di cartone ma una lau-rea in tasca, oppure lasciano la loro terra per lau-

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Il petrolio in Basilicata, l’interporto di Nola,il distretto dei divani tra Puglia e Basilicata, le aziende vinicole in Puglia e Sicilia, e il portodi Gioia Tauro: anche il Mezzogiorno ha le sueeccellenze. Un giornalista prova a spiegarnele ragioni: «oggi alcune regioni del Sudproducono in percentuale meno rispetto al Nord,eppure abbiamo un livello di scolarizzazionemolto alto, moltissime potenzialità nel territorioe nell’ambiente». Il tema chiave è “innovazione”

Qui le stelle nonstanno a guardare

intervista conMichele Guerrierodi Alessandra Gaetani

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rearsi nel Nord Italia o all’estero. Oggi la spaccaturanon è più tra Nord e Sud, ma tra l’Italia e il resto delmondo, riguardo ad alcune tematiche. Il Mezzogior-no però sta peggio.Cosa ha fatto del Sud, negli anni, l’ultima carrozzadel treno Italia?Il disimpegno delle classi dirigenti. Ha avuto degliesponenti molto responsabili nel dopo guerra. Poiperò ha preso piede la politica intesa come voto discambio e clientelismo. Questo fenomeno esisteovunque, però nel Mezzogiorno ha avuto deglieccessi patologici. E continua ad averli.Perché il Sud ha questa caratteristica?Manca ancora una percezione matura dello Stato alservizio dei cittadini. Le scuole non si fanno per glialunni ma per i docenti in sovrannumero che devo-

no insegnare, gli ospedali nonservono per i malati ma per imedici e i portantini. Persistel’idea che tutto quello che èstruttura pubblica non è a ser-vizio della comunità, ma è lacomunità a servizio di quelle

strutture. Poi ci sono ragioni di natura storica edeconomica. Dopo l’unità d’Italia c’è stata disatten-zione riguardo al Sud. Questo non serve a sgravarlodalle sue responsabilità, ma serve a far capire chealcune classi dirigenti del Nord non hanno percepi-to il Mezzogiorno come un territorio di sviluppo epotenzialità.E lei come vede il Sud?Come un bicchiere mezzo pieno. So che è anchemezzo vuoto. La criminalità è una delle ragioni per cuiha una palla al piede. Si sta facendo molto nell’ambitodella criminalità in questi ultimi anni. Il problema veroè che esiste tanta emigrazione di non ritorno: un terri-torio si impoverisce anche per questo. �g

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Michele Guerriero, classe 1977, è nato aMassafra (Taranto). Giornalista e scritto-

re, ha pubblicato nel 2005 Bari al bivio. Unadiscussione politica (Laterza), è coproduttoredel docufilm Matteo Ricci, un gesuita nelregno del drago. Ha fondato e diretto la rivi-sta di approfondimento politico Formiche, èdirettore generale dell’agenzia di stampaquotidiana nazionale il Velino. Con Stelle delsud (Rubbettino) ha vinto nel 2010 il PremioCapri san Michele nella sezione Italo de Feo.

IdentikitINNAMORATO“DEI” SUD

«Avent’anni dalla pubblicazione del documento Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno, vogliamoriprendere la riflessione sul cammino della solidarietà nel nostro paese, con particolare attenzione al Meridione d’I-

talia e ai suoi problemi irrisolti, riproponendoli all’attenzione della comunità ecclesiale nazionale, nella convinzione degliineludibili doveri della solidarietà sociale e della comunione ecclesiale […] alla luce dell’insegnamento del Vangelo e conspirito costruttivo di speranza. Torniamo sull’argomento non solo per celebrare l’anniversario del documento […] ma perribadire la consapevolezza del dovere e della volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per pro-muovere un autentico sviluppo di tutto il paese. Nel 1989 sostenemmo: “il Paese non crescerà, se non insieme”. Anche oggiriteniamo indispensabile che l’intera nazione conservi e accresca ciò che ha costruito nel tempo. Il bene comune, infatti, èmolto più della somma del bene delle singole parti». È un invito al coraggio e alla speranza il documento dell’Episcopato ita-liano Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, pubblicato lo scorso aprile. Nonostante il cancro delle mafie, la dis-occupazione, il lavoro nero, l’emigrazione dei giovani, l’ambiente bistrattato: problemi drammatici – denunciano i vescoviitaliani – aggravati dalla crisi economica e dall’egoismo individuale e corporativo cresciuto in tutto il paese. Ma problemi chehanno in sé la speranza del riscatto: un riscatto che prenda forza dall’«umanesimo cristiano», riconosca la «sfida educati-va» e abbia nel federalismo solidale uno strumento efficace per una nuova consapevolezza di bene comune.

Il documento della Cei sul MezzogiornoIL PAESE NONCRESCERÀ, SE NON INSIEME

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riNelle foto: la pizzica taranta,

tipica danza pugliese, ballata

in pieno centro a Milano

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Stranieri in patria o protagonisti di unanuova unità? È difficile dire, nel Nord Italiadi questo inizio del 2011, quale sia il sen-timento prevalente. Dieci anni fa la

risposta sarebbe stata scontata: da Torino aVenezia, passando per Milano, le ragioni dell’ap-partenenza alla comunità nazionale erano nonos-tante tutto largamente prevalenti. In effetti lo sonotutt’ora, se un recente sondaggio Demos ha confer-mato che nel Nord Est 7 italiani su 10 consideranol’Unità d’Italia un fatto positivo. Eppure è innegabileuno stato di crescente malessere, che va di pari

passo con la necessità ditempi lunghi per l’attuazionedel piano di governo sul fed-eralismo fiscale. L’attualeimpasse politica non bastaperò per spiegare l’inquietu-dine di queste terre, cheaffonda le radici in anni dimancato sviluppo, di incom-prensioni e di rancori.

Il paradosso irrisoltoMai come nell’ultimodecennio il Nord Italia èentrato nei discorsi, negli

editoriali e negli scenari del mondo che conta, dalleélite che affollano i salotti buoni delle grandi cittàalla classe dirigente imprenditoriale e politica chene attraversa (o dovrebbe attraversarne) le piazze.A tanto interesse non ha corrisposto però analogosforzo (proclami a parte) nella soluzione dei proble-mi, a partire dallo storico deficit infrastrutturale. Laricchezza prodotta nel solo “triangolo” industrialeMilano-Genova-Torino è pari al 19% delleesportazioni e coinvolge circa il 13% della forza

occupazionale, mostrando di resistere ai cambia-menti intervenuti nella seconda parte del secoloscorso, quando la discesa dell’economia manifat-turiera si è accompagnata all’ascesa del settore deiservizi. «Nello stesso periodo, il “triangolo” si è dis-ciolto nella “megalopoli padana” – spiega nel sag-gio Nord (Mondadori) lo storico dell’industriaGiuseppe Berta –. Le tre grandi città si staglianoancora nel continuum urbano che costituisce il tes-suto connettivo della valle del Po, e Milano ne rapp-resenta il fulcro per le dotazioni, ma all’interno diuna costellazione di centri nodali che imprimonoormai all’intero territorio un carattere cittadino». Il profilo del Nord è dunque cambiato e alla meta-morfosi industriale, con l’avvento di decine dimigliaia di piccole e medie imprese che hannopreso il posto della vecchia fabbrica, si è accom-pagnato anche un cambiamento di tipo sociale eculturale. Qui si incardina la prima delle “questionisettentrionali” che da un ventennio caratterizza ildibattito pubblico italiano: la destinazione dei soldida e verso Roma. Non solo tasse giuste in cambiodi servizi all’altezza, ma anche risorse daspendere sul territorio, possibilmente senza inutilisprechi. Si innesca in questo preciso punto il pattoelettorale e sociale che, con la fine della “balenabianca” democristiana, ha visto l’avvento sullascena pubblica della Lega nord e, qualche annopiù tardi, di Forza Italia. Ora, a distanza di vent’an-ni, è lecito porsi un interrogativo: cosa è cambiatoda quando quel patto è stato stretto? Quali riformesono andate in porto? E come hanno inciso sul-l’ideale di solidarietà nazionale caro ai nostri padricostituenti?

O riforme o caosLa sensazione è che il Nord si trovi davvero a un

di Diego Motta

Il Nord Italia sta cambiandorapidamente. Dall’economiafinanziaria e industriale dellaBrianza alla laboriositàdel distretto padano,fino ad arrivare alla vogliadi autonomia del bellunese.È a un bivio decisivo: da unaparte c’è la modernizzazionee la crescita del tessuto socialee civile, dall’altra la tentazionedi asserragliarsi a difesadi vecchie identità

Se le partite Ivahanno paura

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bivio decisivo: da una parte c’è la modernizzazionee la crescita del tessuto sociale e civile, dall’altra latentazione di asserragliarsi a difesa di vecchieidentità. «O federalismo o secessione», recitavauno striscione del Carroccio comparso duranteuno dei comizi natalizi dei leader della Lega. Evo-cata da molte parti come un fantasma, la seces-sione rischia davvero di ritornare d’attualità, conforme molto più soft di quelle indicate sguaiata-mente a metà degli anni Novanta: va in questadirezione il modello della “macro-regione” europeache seduce molti spiriti liberi del Veneto e delFriuli-Venezia Giulia sul modello della vecchia Car-inzia di Haider, oppure la voglia di Statuto specialedi molti comuni del Bellunese. La Lega oppone aquesti disegni l’impianto federalista della propriariforma, che stenta però a decollare e più ancora adiventare un progetto condiviso anche dall’oppo-sizione, mentre meritano verifiche puntuali le sup-poste “prove d’intesa” tra i tre governatori di Lom-bardia, Piemonte e Veneto. Dall’altra parte, nelcentrosinistra sono poche le personalità chedimostrano di saper parlare a questa parte d’Italia,personalità che vanno ricercate soprattutto tra isindaci, mentre latita un progetto ad hoc in gradodi interpretare i nuovi bisogni e spostare consensida una parte all’altra.

Il mercato della pauraIl disagio strisciante, nel frattempo, è tornato acolpire proprio il popolo delle partite Iva, che oltrealla richiesta di un fisco meno invasivo, complice lacrisi, oggi chiede soprattutto più protezione sociale:per chi ha investito (gli imprenditori) e per chi lavora(gli operai). L’impresa familiare dove tutti, titolare emanodopera, sono coinvolti a diverso titolo nellascommessa della sopravvivenza, si tratti del tessiledi Biella o della concia di Arzignano, dei mobili dellaBrianza o del distretto della Marca Trevigiana, è lametafora più recente del nuovo Nord. Che avverte laglobalizzazione arrivare in casa, si sente in pericoloe chiede certezze a chi non può darle. Eccola la cifra stilistica con cui l’Italia settentrionalesi appresta a vivere i 150 anni dell’Unità: la paura.Se si abbandona il campo della concorrenza e siattraversa il terreno della convivenza, si scopriràche la paura resta quella del “diverso”. Necessaria(per forza di cose) l’integrazione con gli immigrati,ora spaventano i quartieri etnici delle grandi città e icampi rom. «Da queste parti, la paura è stata quo-tata con successo anche sul mercato della politi-ca», ha sintetizzato con efficacia il sociologo AldoBonomi. Ora però l’arma del consenso rischia diessere un boomerang, soprattutto se non arriveran-no risultati concreti. �g

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Mentre ci si appresta a celebrare i 150anni dell’unità d’Italia, c’è qualcunoche sottolinea come questa unità siabasata su una guerra di occupazione

e conquista di parte del paese, il Sud Italia, che haprovocato morti e distruzioni ed èalla base di una condizione di man-canza di sviluppo che perduraancora oggi. Uscito quasi in sordinanel 2010, Terroni (Piemme), èdiventato un fenomeno editorialeda 20 ristampe e 150 mila copie.Segno ne parla con l’autore, il gior-nalista Pino Aprile.

Un testo, si legge nell’introduzione,sul Sud e per il Sud: come nasce

questo libro?Il libro è natoc e r c a n d orisposte adomande che mi ponevo giàda qualche tempo. Anch’ioavevo accettato la “favola”del Risorgimento italiano rac-contata come l’impresa dimille giovani e un biondogenerale spinti da nobili idealiche solo con qualche arma emolto coraggio riescono abuttare giù un regno didespoti e a fare l’unità d’Ita-lia. Ma perché se il Regno diSicilia era così opprimenteper i propri sudditi i liberatorisono stati prese a fucilate? Eperché si è continuato a com-battere per dieci anni? Per-

ché al termine di questa lotta, quelli che eranorimasti vivi invece di godersi il “paradiso” dello Statounitario per la prima volta nella loro storia hannocominciato ad emigrare, un fenomeno da 20 milionidi persone in 90 anni? Qualcosa non tornava con la

storiografia ufficiale. L’unità d’Italiaandava fatta ma è stata realizzatanel peggiore dei modi, compiendocrimini atroci contro la popolazionemeridionale. La questione meridio-nale, cioè il disequilibrio tra le dueparti del paese, è iniziata da qui eperdura mentre un paese come laGermania è riuscito a riunificarsinel giro di vent’anni. Perché da noinon è avvenuto? Terroni è un libroper i meridionali, perché acquisi-scano consapevolezza della propriastoria ma anche per i settentrionaliperché imparino a conoscere chisono i meridionali contro i quali è

diretta una denigrazione dai toni violenti addiritturada parte di ministri della Repubblica.

Il libro sta avendo un grande successo, soprattuttoattraverso il passaparola: come lo spiega?Si tratta di un libro in qualche modo atteso, che èandato a incrociare sentimenti diffusi che avevanobisogno solo di un catalizzatore. Esiste una fiorituradi libri e giornali a livello locale e nazionale, di sitiweb e blog su questi temi, e si costituiscono in con-tinuazione nuove associazioni e partiti. È il segnaledi un Sud che non ne può più di essere costretto inun’immagine di insufficienza, di incapacità, di ritar-do sociale e culturale.

C’è però chi sostiene si tratti di un “passaparola delrisentimento”...

di Chiara Santomiero

intervista conPino Aprile

Un libro che spiega qualcosain più sull’unità d’Italia,specie se riferito alMezzogiorno, diventa un casoeditoriale. L’autore raccontaa Segno: «Quanti sanno cheMatera, che è un capoluogodi provincia, non è raggiuntadalla ferrovia? Oppure cheil Regno delle Due Siciliefosse, fino al momentodell’aggressione, uno deipaesi più industrializzatial mondo? Che la rivistaCiviltà cattolica sostenneche il numero dei cadaverilasciati dai liberatori superòquello dei voti al plebiscito,che furono più di un milione,su nove milioni di abitanti?»

Meridione,l’altra verità

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Questo è proprio un esempio di come tutto ciò cheriguarda il Sud debba assumere una connotazionenegativa. Il giornalista Aldo Cazzullo ha scritto aproposito del mio libro, «dovresti smettere difomentare i mugugni dei meridionali». Le parolesono rivelatrici di un pensiero: perché non “la rab-bia” dei meridionali? Il mugugno è quello dei serviche non si ribellano apertamente ma borbottano incucina e questa è l’idea dei meridionali che c’è inmolti settentrionali.

Il libro è stato anche definito un “esplosivo antiuni-tario”, che alimenta un orgoglio “neo-terrone” con-tro il pensiero leghista, accomunandosi però nel-l’essere contro l’unità del paese.Ancora una volta si rischia di scambiare il dito conla luna. Occorre prendere consapevolezza dei fatti.Perché non ci sono autostrade sotto Napoli? Perchéal Nord c’è un aeroporto ogni 50 km e al Sud no?Perché esistono ferrovie decenti solo al Centro-Nord? Il paese è diviso perché esistono due Italiediverse: in una ci sono strade, autostrade e ferroviee nell’altra no. Terroni è il dito, mentre la luna è lasituazione in cui siamo. Basti pensare ai dati sulladisoccupazione giovanile: uno Stato dovrebbepreoccuparsi di creare il lavoro lì dove serve e nonalimentare nuova emigrazione.

Quale obiettivo si propone il libro?Agire è figlio del sapere. La maggior parte delle per-

sone di questo paese sono oneste e perbene maquanti sanno che Matera, che è un capoluogo diprovincia, non è raggiunta dalla ferrovia? Occorreinvestire sull’alta velocità o anche per dare a Mate-ra la linea ferroviaria che aspetta da 150 anni? È laverità che unisce e occorre diffondere una maggio-re consapevolezza di fatti storici che sono pococonosciuti ai più. Per esempio che dopo l’unifica-zione, ai meridionali fu imposta una tassa specialeper pagare le spese della guerra di conquista delSud, fatta senza nemmeno dichiararla. Oppure cheil Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momentodell’aggressione, uno dei paesi più industrializzatial mondo. Che se le ferrovie erano poche, però laflotta era estesa. Che lo specialista inviato daCavour nelle Due Sicilie per rimettere ordine riferì diun «mirabile organismo finanziario» e non dellaburocrazia borbonica, caotica e inefficiente di cuisempre si parla. Che la rivista Civiltà cattolicasostenne che il numero dei cadaveri lasciati dailiberatori superò quello dei voti al plebiscito, chefurono più di un milione. Su nove milioni di abitanti.Ogni giorno ricevo 400-500 messaggi di personeche mi scrivono «non sapevo, non avrei mai imma-ginato». E non sono tutte del Sud perché un’indagi-ne di mercato ha rilevato che per ogni copia di Ter-roni venduta al Sud, una viene venduta al Nord. L’u-nità d’Italia, dopo 150 anni, possiamo costruirladavvero oggi con la consapevolezza e un procedereinsieme, Nord e Sud, da eguali. �g

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Nella foto a sinistra il best

seller della Piemme, Terroni.

Sopra, un lavoratore

immigrato occupato nella

raccolta dei pomodori

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C’è chi viene e c’è chi va. Al Sud c’èsoprattutto chi va, chi di fronte allamancanza di lavoro e di prospettivedecide di mollare gli ormeggi e di ten-

tare la fortuna da un’altra parte. Ma, per fortuna, c’èanche chi resta. Ed è in particolar modo a chi restache si rivolge il Progetto Policoro, un progetto orga-nico della Chiesa italiana nato ormai quindici anni fadal sogno di don Mario Operti e dalla collaborazione

tra l’ufficio per la Pastorale sociale e illavoro, l’ufficio di Pastorale giovanilee la Caritas con l’obiettivo di stimolaree far riflettere i giovani sul tema dellavoro accompagnando quanti desi-derano realizzare una propria ideaimprenditoriale. Nato nelle regioni delSud Italia per dimostrare la sollecitu-dine della Chiesa al problema delladisoccupazione giovanile, oggi il Pro-getto Policoro è presente in bennovantuno diocesi e si sta espanden-

do anche nel Nord Italia. A fare da apripista la dio-cesi di Imola, a seguire quelle di Forlì-Bertinoro,Rimini e Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino.A servizio dei tanti giovani disoccupati o scontentidel proprio lavoro, c’è un altro giovane, l’animatoredi comunità, che si mette a servizio della comunitàdiocesana per pensare e progettare, insieme alvescovo e ai direttori degli uffici coinvolti, percorsi diformazione e di riflessione che, partendo dalla dot-trina sociale della Chiesa, svelino ai giovani il signi-ficato del lavoro come contributo all’opera creatricedi Dio. Molteplici le esperienze vissute dal Sud al Nord del-l’Italia. Salvatore, già animatore di comunità delladiocesi di Napoli, racconta a Segno quali sono leproblematiche più diffuse tra i giovani al Sud:«Prima di tutto – afferma – la mancanza di stru-menti per orientarsi bene rispetto alla propria voca-zione professionale e alle opportunità offerte dalterritorio. C’è chi sceglie di restare – continua Sal-vatore – ed è un coraggioso, qualcuno che ama a

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Lavoro e impresa,occasione per tutti

Il Progetto Policoronacque quindici anni faper opera della Chiesaitaliana con l’obiettivodi aiutare i giovani delSud a creare impresa.Oggi l’idea si è estesaanche al Nord. E parolecome solidarietà ereciprocità non sonopiù un miraggio

di Paola De Lena

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tal punto il proprio territorio da voler spendere leproprie competenze per farlo nascere o rinascere. Ein questo è importante la famiglia che, insieme allealtre agenzie educative, stimola i giovani a nonabbattersi». A Salvatore fa eco Caterina, animatrice di comunitàdella diocesi di Imola, dove il Progetto Policoro èapprodato ufficialmente circa due anni fa: «Qualchedifficoltà iniziale – afferma Caterina – c’è stata. IlProgetto non è molto conosciuto al Nord e inoltre èstato pensato e voluto per le diocesi del Sud. Nono-stante questo non ci siamo scoraggiati, ma abbia-mo calato la metodologia del Progetto, l’attenzioneai giovani, il fornire strumenti utili per orientarsi, nelnostro territorio il cui spesso il lavoro non manca,ma è svuotato di senso».

Un’esperienza particolare e cara al Progetto Polico-ro è quella dei rapporti di reciprocità e di solidarietàtra Chiese del Nord e Chiese del Sud. «I rapporti direciprocità – si legge nella relazione di mons. Ange-lo Casile, direttore nazionale dell’ufficio per i Pro-blemi sociali e il lavoro – sono vissuti in un’ottica discambio di doni nella solidarietà che culmina nellacomunione della carità, per superare i complessitra una Chiesa che si sente povera e chiede aiuto eun’altra che si sente autosufficiente ma che dona erimane sempre staccata dai problemi». Salvo Pennisi, segretario regionale del ProgettoPolicoro della Sicilia, racconta la bella esperienzadi scambio tra la Sicilia e il Piemonte: un’espe-rienza ormai pluriennale di incontri, convegni,“vacanze intelligenti” dei giovani piemontesi inSicilia alla scoperte delle bellezze turistiche, maanche della realtà sociale del territorio, stage for-mativi per i giovani siciliani presso cooperativepiemontesi, visite alle realtà degli oratori salesia-ni e contatti frequenti tra i vescovi delle dueregioni. «Il valore aggiunto di questa esperienza –afferma Salvo – è l’incontro tra Chiese sorelle chesui temi del lavoro e della cooperazione provano afare insieme qualcosa nell’ottica del dono e del-l’arricchimento reciproco». Il Progetto Policoro,allora, può diventare profezia di una Chiesa cheimpara attenta al territorio e alle domande deigiovani nella certezza che «il paese non cresceràse non insieme». �g

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Nella foto:

animatori di comunità

del III anno bis alla

formazione nazionale

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Igor, Udine. Concetta, Catania. Distanti geograficamente, ma vicini, anzi “sfidanti”, sul tabellone di Opportunity, il giocoda tavolo nato dalla passione di alcuni Animatori di comunità del Progetto Policoro, promosso dall’Ufficio nazionale peri problemi sociali e il lavoro, dal Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei e dalla Caritas Italiana in collabo-razione con la Cooperativa “Il Segno” di Fuscaldo, in provincia di Cosenza. Ma cosa succede sul tabellone di Opportunity? Tre ragazzi del Nord e tre ragazzi del Sud Italia percorrono insieme le tappedella vita affrontando i quesiti e le situazioni che le carte “Pensa” o “Decidi” riservano loro di volta in volta quando lan-ciano i dadi. Fin qui tutto nella norma. Ma c’è qualcosa che differenzia le possibilità dei giocatori: i personaggi del Nord,infatti, usano il dado verde, mentre a quelli del Sud tocca quello rosso. La differenza non è solo cromatica, ma è nel nume-ro di segni “più” o “meno” presenti nelle facce del dado. Ed è quasi superfluo dire che i ragazzi del Nord usano il dadoverde e hanno maggiori carte “salute”, “istruzione” e “denaro”. Uguali per tutti, invece, le carte “relazione”.Chi vincerà? Chi riuscirà ad arrivare per primo alla fine del tabellone, facendo fruttare le carte, alias i talenti, che ha indi-pendentemente dal territorio di provenienza. Il bello di Opportunity, e il motivo per cui vale la pena giocarci e inserirlonei nostri percorsi formativi, è la sua capacità di accompagnare i giovani in un percorso di riflessione sulle scelte. Questone fa uno strumento utile per affrontare un tema così importante nei gruppi giovanissimi o nelle scuole, facendo atten-zione a raccogliere le riflessioni che spontaneamente vengono fuori durante la partita e che possono poi essere la baseper percorsi formativi più strutturati. Per maggiori informazioni: www.opportunitygame.it. [p.de l.]

La sfida sul tabellone di OpportunityLE SCELTE E I TALENTI PER UNGIOCODA FARE INSIEMEAI NOSTRI GIOVANI

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Le icone di Cauloniadi Diego Andreatta

Le dodici icone, dipinte a mano nella Locri-de secondo l’antica tecnica orientale,impreziosiscono i mesi del calendariosalesiano del Sacro Cuore di Bologna, dif-

fuso a gennaio nelle case di tutt’Italia. Provengono dal Laboratorio di spiritualità e tecnicadell’Icona “La Glikophilousa” di Santa Maria di Cro-chi di Caulonia e «fanno memoria luminosa dellabellezza bizantina della Calabria», come spiegano leSorelle di Gesù che da otto anni nella loro comunità

monastica vivono quest’anticavocazione ecumenica e que-st’attualissima attenzione alloscambio ecclesiale. «Deside-riamo comunicare nellafedeltà e nella continuità, ilgusto per le cose stupendeche lo Spirito ha disseminatonella nostra storia – scrivononel loro moderno sito le quat-tro religiose, tutte meridionalidoc – affinché superando fata-lismo e marginalità, una piùviva e fondata speranza inco-raggi e sostenga il camminodel nostro popolo». Non è dunque solo un progettoculturale, ma una radicalescelta di vita per Renata, Ros-sana, Carmelita e Sandra cheSegno va a trovare nel PiccoloEremo delle Querce, restau-rato con paziente tenacia,sentinella di preghiera benpiantata sulle pendici dell’A-spromonte. Dalla marina diCaulonia, in una mezz’ora dimacchina fra tornanti e agru-meti, si raggiungono le frazio-ni disperse di Crochi, dove ciaccoglie la sobria foresteria

dell’eremo divenuto quel “faro di spiritualità”sognato una decina d’anni fa dal vescovo mons.Giancarlo Maria Bregantini, a servizio della diocesidi Locri-Gerace, come sottolinea l’attuale pastore,mons. Giuseppe Morosini. Accompagniamo le quattro religiose nelle loro gior-nate scandite dalla preghiera e dal lavoro umile (sidestreggiano con carriole e seghe circolari con lastessa disinvoltura con cui si piegano dolcementesu pennelli e colori), ma anche dalla condivisionecon le famiglie delle contrade più isolate per cui rap-presentano un richiamo di aggregazione e anche diriscatto, attraverso l’artigianato del ricamo. Di anno in anno sono sempre più numerosi singoli egruppi organizzati, scolaresche a realtà parrocchia-li, che scendono anche dal Nord per condividerequalche settimana all’Eremo con loro. «Vedete,questo baule di legno ci è stato regalato da unafamiglia di Trento – esemplifica suor Renata – pun-tiamo molto sui legami intrecciati tramite le fami-glie, qualche gruppo viene a passare da noi anche ilcapodanno». Rispondono volentieri a mail e telefonate d’amici-zia, ma quando rintocca la campanella si raccolgo-no nella cappella affrescata con le loro stesse mani:nel silenzio contemplativo vibra il suono delle cordepizzicate sulla cetra dalla più giovane, la calabresesuor Sandra. «L’eremo – riflette la responsabile suor Rossana,siciliana, quando le chiediamo un provvisorio bilan-cio dei rapporti di reciprocità – è stato in questi anniuno spazio aperto in cui le diversità si sono incon-trate gustando reciprocamente il sapore autenticodi relazioni gratuite. Con un desiderio: scavalcare imuri della differenza, talora anche della diffidenza,per incontrare l’altro, che diventa così, al di là d’o-gni forma di pregiudizio, tuo interlocutore, a te pros-simo e vicino, fino a rivelarsi via via per quello cheveramente è: tuo fratello. In ciò è stata determinan-te la spiritualità basiliana, che qui in Calabria è dicasa. La comunità dell’eremo, profondamente radi-

C’è chi suona la cetra.Chi lavora con pennellie colori e chi ancora concarriole e seghe circolari. Poila preghiera, a disposizionedell’Altro. Le Sorelle di Gesùdi Caulonia sono da anniavamposto di ecumenismoe di vita evangelica,eccellenza spiritualelungo le strade del Sud

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cata in essa, ha potuto estrarre da questo tesoro dicose antiche la ricchezza di uno stile alternativoattraverso cui far passare il Vangelo. Uno stilecaratterizzato dall’ospitalità, che è icona di amorefattivo, concreto, e dalla bellezza, che è apertura alfascino del Trascendente attraverso le forme e icolori dell’icona».Testimoniano il Vangelo nel suo valore più alto, il per-dono – lo rileva anche Maria Pia Bonanate nel nuovocapitolo del suo libro Suore vent’anni dopo – dentrouna realtà sociale difficile ma anche promettente. Ci aiutano a rileggere la nota Cei sul Mezzogiornod’Italia che solo all’apparenza coglie solo a temisocio-politici: «I vescovi – tengono invece a preci-

sare le suore – vanno oltre, indicano prospettiveben precise con un elenco di priorità indilazionabili,nella logica squisitamente evangelica della condivi-sione. La schiettezza dell’analisi e la lucidità delladenuncia rimandano esplicitamente all’urgenzad’investire sulla sussidiarietà e sulla solidarietànazionale con coraggio e nel massimo rispetto dellenuove e antiche marginalità. Maturando, al con-tempo, una consapevolezza: male e bene, sia cheattecchisca al Nord o al Sud, riguardano tutto ilpaese». Vale per gli amministratori, i politici, gli amministra-tori. E la comunità ecclesiale? «Le è richiesta unamaggiore incisività – rispondono le religiose – nellaformazione delle coscienze, valorizzando le risorsespirituali, morali e culturali di tutti gli italiani, cui siaggiungono le tipicità multietniche e religiose degliimmigrati e dei profughi che, non dimentichiamolo,fanno parte integrante del tessuto connettivo delnostro paese. Tutto ciò può essere realmente possi-bile – ed ecco la vera novità! – con un approccioche, superando assistenzialismo e particolarismisociali, faccia fiorire la reciprocità».Il vostro primo vescovo, mons. Bregantini, ama direche «il Nord può dare al Sud un aiuto particolare intermini di organizzazione, ma il Sud può dare moltocon il suo cuore». Come lo spieghereste in altre paro-le. «Se vai al Nord – risponde suor Rossana – trovicompetenza e concretezza nell’affrontare i problemie impostare i progetti. Due elementi di forza. Che tut-tavia rischiano di trasformarsi in calcolo e pianifica-zione senz’anima, cui spesso fa seguito un’astrattaspiritualità ornamentale (quando c’è!), se al centronon poni valori come accoglienza, gratitudine, solida-rietà. Se cioè non custodisci un cuore caldo. «Accol-to, ho imparato ad accogliere», diceva spesso mons.Bregantini ritornando con emozione ai primi anni diministero al Sud. Il “terrone”, infatti, dice con gioia:Favorite. favorite!, mentre ti offre ciò che ha. Suicavalcavia delle autostrade del Nord-Est, al contra-rio, ti capita di leggere: Via i terroni». «Ecco: questosupplemento d’anima, che certamente va semprerimotivato e riferito alla logica Vangelo, è la risorsapiù importante della nostra gente. Un bene irrinun-ciabile che è fondamento stesso della dignità inte-grale dell’uomo. Ad ogni latitudine e tempo». �g

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Nelle foto di Gianni Ziotta,

alcuni momenti della

giornata al Piccolo eremo

delle Quercie

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«Diretto’, quando un forestiero vieneal Sud piange due volte: quandoarriva, e quando parte». Il “diretto’”in realtà è un “diretùr”: Alberto

Colombo, responsabile di ufficio postale, trasferitoper punizione dalla brianzola Usmate Velate allameridionalissima Castellabate, nel Cilento. Al Sud ciarriverà imbottito di giubbotto antiproiettile (non sisa mai) e di tutto il bagaglio completo degli stereoti-pi dei settentrionali sui meridionali: sfaticati, indo-lenti, inabili a esprimersi se non in dialetto strettis-simo, tutti ostaggio della malavita e della “monnez-za”. Ad accoglierlo ci sarà il postino Mattia Volpe, alquale spetta il compito di spazzare via i pregiudizidel suo capo ma che dovrà anche rivedere la pro-pria idea sui “polentoni” ossessionati dal lavoro eincapaci di godersi appieno la vita. Quando adAlberto toccherà ritornare al Nord, a piangere unaseconda volta, come sentenziato da Mattia, nonsarà soltanto il settentrionale ma anche il meridio-nale.È la trama di Benvenuti al Sud, il film di Luca Minie-ro con Claudio Bisio e Alessandro Siani che è diven-tato un autentico fenomeno di questa stagionecinematografica: partito senza grandissime aspet-tative, ha realizzato il secondo maggior incasso ditutti i tempi tra le pellicole italiane (superato soltan-to dal capolavoro di Benigni La vita è bella) con 30milioni di euro (ne è costato soltanto 4 milioni e

mezzo). Una storia semplice,ben costruita, capace di dareuno sguardo leggero e intelli-gente ai cliché che reciproca-mente meridionali e setten-trionali appiccicano addossoai propri connazionali, accor-ciando le pur evidenti distanze

geografiche e culturali (e culinarie: è esilarante, nelfilm, il derby nazional-caseario tra una forma di gor-gonzola portata dal lombardo Colombo e unamonumentale mozzarella di bufala – la “Zizzona diBattipaglia” – patrocinata dal campano Volpe). Èinteressante come un caso cinematografico di que-sto tipo sia arrivato proprio alla vigilia delle celebra-zioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, trovando nelpubblico un’accoglienza tanto calorosa. D’altra parte, il filone nel quale Benvenuti al Sud siinserisce è antico e prestigioso. Era il 1956 quandoi mitici fratelli Caponi sbarcavano in Piazza Duomoa Milano in pelliccia e colbacco e per orientarsichiedevano indicazioni a un vigile con il proverbiale«Schiusmi, noio volevam savuar l’indiriss... ja?».Totò, Peppino... e la malafemmina è un classicodella comicità nazionale: un filmetto senza pretese,dal punto di vista di soggetto e sceneggiatura, mareso monumentale dall’interpretazione dei suoi dueprotagonisti, che in poche battute (totalmenteimprovvisate, raccontò Teddy Reno, anche lui nelcast) pennellarono quell’esilarante e surreale ritrat-to dell’Italia degli emigranti con la valigia di cartone.Una realtà ben più amaramente raccontata daLuchino Visconti in Rocco e i suoi fratelli (1960),vicenda di una famiglia di lucani (i Parondi) squas-sata dall’arrivo a Milano e da un doloroso triangolosentimentale. Qui la dinamica Nord-Sud resta piùsullo sfondo, ma attraversa e segna l’intero film,così come attraversa il paese il “Freccia del Sud”, iltreno che strappa i Parondi da casa e li consegna alloro destino dolente.Ma non bisogna arrivare alle storie del secondodopoguerra per vedere descritta quell’Italia fattacon gli italiani ancora da fare, per dirla con il mottodi D’Azeglio. Anche il primo conflitto mondiale fuuna tragica ma efficace occasione di incontro tra

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di Simone Esposito

Un direttore di postetrasferito al Sud. E unimpiegato che raggiunge ilNord. Ritratti di unadisparità dialettica tra le“due” Italie che il cinema haimmortalato da sempre neisuoi capolavori

Benvenuti al Sud(e pure al Nord)

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settentrionali e meridionali, mandati a conoscersinei reggimenti e nelle trincee. Come Giovanni eOreste, i due commilitoni de La grande guerra diMario Monicelli: lombardo il primo, con la faccia di

Vittorio Gassman, romano il secondo, come il suointerprete Alberto Sordi. Due personaggi lontani perindole ed estrazione sociale e geografica che fini-scono uniti contro ogni aspettativa da un eroico (eignorato) sacrificio finale. Il milanese e il romano in perenne contrasto, il“cumenda” con la fabbrichetta e i soldi e il “borga-taro” strafottente in canottiera, ma anche il napole-tano che s’arrangia, il genovese tirchio e il sicilianogeloso sono ingredienti trasversali di tanti generidel nostro cinema. E si può arrivare fino all’emisferoopposto della commedia all’italiana di stampomonicelliano: il fenomeno dei cinepanettoni, assas-sinati (con ottime ragioni) dalla critica per volgaritàe cattivo gusto, ma costantemente premiati al bot-teghino, se è vero che fra i primi 50 film più visti disempre nel nostro paese ben 8 hanno un titolo checomincia con Natale a... Luoghi comuni e semplifi-cazioni grevi la fanno da padrone nell’Italia di Chri-stian De Sica e Massimo Boldi: può far storcere ilnaso a molti, ma contemporaneamente la cosarisulta familiare a moltissimi. Che corrono al cinema(o davanti alla tv, che propina spesso lo stessomenu).Insomma: tra Settentrione e Meridione fratturati e

distanti c’è da sempre unrobusto ponte di celluloide. Enon solo da noi: non dimenti-chiamo che il fenomeno Ben-venuti al Sud è il remake di unfilm francese del 2008, Giù alNord. Un successo ancora piùfenomenale: Oltralpe (dove èun direttore dell’assolata Pro-venza a essere condannato altrasferimento coatto nel fred-do Nord-Passo di Calais) gliincassi hanno sfondato ilmuro dei 120 milioni di euro,stracciando persino il recorddi Titanic.Intanto, sul cavalcavia cine-

matografico di cui sopra si prepara a mettersi inviaggio un nuovo successo: è già in cantiere Benve-nuti al Nord, il sequel nel quale sarà Mattia a finiretrasferito tra le nebbie tanto care ad Alberto. �g

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Nelle foto: la locandina

di Benvenuti al Sud e, sotto,

gli attori Alessandro Siani

e Claudio Bisio

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In fondo Dante aveva prefigurato la “territoria-lità” della nostra letteratura, vale a dire il suolegame profondo con la terra d’origine, aitempi del De Vulgari elo-

quentia (forse iniziato nel1303), quando parlò della man-canza di una lingua unitaria nelnostro paese. Già in quest’ope-ra era evidente una divisionenord-sud, anche se poi l’Ali-ghieri notava come ci fosse unfronte “padano” (le cose nonsono molto cambiate, come sivede) e un fronte trasversale,appenninico, che separava l’I-talia tirrenica da quella adriati-ca. Ma il Fiorentino aveva giàchiara una cosa: ai suoi tempiin Italia vi erano tradizioni lette-rarie di una certa antichità enobiltà, il toscano, il bolognesee il siciliano. Dall’Ottocento in poi le cosesono certamente cambiate, manon tanto da poter dire che èstata rimossa in letteratura ladistanza tra nord e sud: ma que-

sto lo si nota inqualsiasi nazio-ne, perché nonè possibile pas-sare sopra la matrice territorialedalla quale nasce la letteratura. Cer-tamente in Italia la letteratura risen-tirà del ritardo del Sud dovuto sia alladominazione borbonica sia alla poli-tica piemontese che punterà sull’in-dustrializzazione del Nord.

Del Nord, ad esempio, parla Cento anni, il capolavo-ro di Giuseppe Rovani (1818-1874): una sagasecolare che si nutre delle cronache meneghine e

della fantasia di uno scrittoreche è stato parte della Scapi-gliatura. Il destino di questogruppo di giovani rampolli dibuone famiglie la dice lunga suldivario Nord-Sud: gli scapigliati,soprattutto lombardi e piemon-tesi, arrivavano fino all’autodi-struzione, dovuta al rifiuto delperbenismo borghese, mentrenel nostro meridione il tenore divita borghese era ancora unmiraggio. Rovani fu paragonato a Manzo-ni, il che forse è un tantino esa-gerato, ma se andiamo a vederebene i punti di contatto tra Centoanni, apparso a puntate in rivistatra il 1857 e il ’58 e i Promessisposi, ci accorgiamo che unacerta “milanesità” emerge: siguardi bene, milanesità non esi-bita e rivendicata, come talunifarebbero oggi, ma genetica,succhiata con il latte materno. Non possiamo dimenticareIppolito Nievo, scomparso pre-maturamente nel naufragio

della nave che lo portava da Palermo a Napoli dopola spedizione dei Mille, di cui lo scrittore aveva fattoparte. Il padovano Nievo rappresenta, e lo raccontanelle Confessioni di un italiano (uscito postumo nel1867) quella schiera di giovani “nordisti” che sisentirono impegnati nella missione di portare leidee illuminate e impregnate di ideali mazziniani nel

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La lezione deigrandi scrittori

di Marco Testi

Le profonde differenze,così come le“convergenze” tra Norde Sud emergono anchein letteratura, attraversola narrazione del dolore,della disillusione e dellesperanze di quanti hannocreduto in una nazioneunita e solidale

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Sud, e non a caso una partedel romanzo si svolge aNapoli, durante l’infelicetentativo della Repubblicapartenopea. E il Sud? Intanto sembreràstrano, ma i primi tentativi dirivendicazione di primato“territoriale” vengono pro-prio dal Sud e da un illumi-nista come Vincenzo Cuoco,che nel romanzo Platone in

Italia (1804-1806) sostenne la tesiche nell’Italia del Sud si era sviluppa-ta una civiltà molto più antica diquella dei colonizzatori greci. Le speranze di rivitalizzare un Sudche anticamente era stato modello diciviltà si infransero con le delusionirisorgimentali, e i romanzi che segui-rono sono stati tutti contrassegnatida un pessimismo radicale: bastipensare ai poveri pescatori senzatempo dei Malavoglia di Verga (usci-to nel 1881, vale a dire nello stessoperiodo in cui in Francia i naturalisti

illustravano le condizioni degli operai nelle modernefabbriche), alla beffa dei nobili che si travestivanoda democratici per restare in sella nei Vicerè (1894)di Federico De Roberto o alla sconsolata ammissio-ne che tutto rimarrà sempre uguale, sia con i Bor-boni che con i Piemontesi, nel Gattopardo (1958,postumo) di Tomasi di Lampedusa. Non che Pirandello sia andato tanto per il sottile: nelromanzo I vecchi e i giovani (1913) egli decreta –muovendo i suoi personaggi tra Roma e la Sicilia –

la fine di tutti i sogni risorgimentali e l’inevitabilitàdella corruzione. Anche la Sardegna ha avuto la sua musa, quellaGrazia Deledda che fu premio Nobel per la lettera-tura nel 1926 e che espresse mirabilmente il sensotragico del destino in un’isola divenuta una terrafuori dalla storia. Non abbiamo, però, solo Nord e Sud: c’è anche unaletteratura “centrale”, quella fiorentina e quellaromana, oltre che la saga dei “cafoni” abruzzesiraccontata da Ignazio Silone in Fontamara. La letteratura su Roma paradossalmente sarà scrit-ta da “non romani”, come il Pasolini del ciclo deiromanzi dei ragazzi del sottoproletariato romano e ilGadda del Pasticciaccio brutto de via Merulana. Malinguisticamente parlando è stata consacrata daiSonetti di Giuseppe Gioachino Belli (e da Trilussasul versante meno popolare e “borghese”), checome è accaduto per Carlo Porta rispetto al verna-colo milanese, hanno rappresentato la realizzazionedel “tipo” caratteristico del romano purosangue. Per Firenze basterebbe l’esempio di Dante, se nonfosse che la poesia del sommo è universale: ma daquesta universalità è nata la lingua nuova del nostropaese. La toscanità è emersa poi in scrittori comeFucini o Pratolini, che non ne hanno mai fatto unelemento di separazione, ma di identità, anche se avolte compiaciuta. La regionalità della letteratura è inevitabile, a livellolinguistico e talvoltacontenutistico, manon diviene mai, seè vera letteratura,strumento di divi-sione. �g

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Un nome, quello di mons. Giancarlo Bregantini, associato spesso alla lotta contro le mafiequando era vescovo a Locri. Nel libro-intervista, Il nostro Sud in un paese reciprocamen-

te solidale, curato dal giornalista Paolo Lòriga, mons. Bregantini, ora arcivescovo diCampobasso-Bojano e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e del lavoro, lagiustizia e la pace, argomenta con la consueta franchezza le sue posizioni sui temi più scot-tanti: federalismo fiscale e unità d’Italia, vescovi e Sud, profezia e 8 per mille, Lega Nord e Mezzogiorno, donne e ‘ndran-gheta, Fiat e sindacati, “grande centro” e politici cattolici, Chiesa e mondo del lavoro. Con un filo che attraversa le rispo-ste: reciprocità. Una voce diversa per la Chiesa di oggi che non ha paura di dialogare con il mondo.

Mons. BregantiniIL CORAGGIO DELLA RECIPROCITÀ IN UNANAZIONE RICCADI PROBLEMI E DI RISORSE

Nelle foto: da sinistra gli

scrittori Giovanni Verga,

Grazia Deledda,

Alessandro Manzoni

e Ignazio Silone

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Le celebrazioni, ormai avviate, dei 150 annidi unità inducono a qualche riflessione,anzitutto per sottolineare come il processounitario sia stato certo frutto in origine di

forze risorgimentali in grado di creare le condizioniper l’unificazione istituzionale del paese, superandola frammentazione dei vari staterelli o domini locali,talora collegati a potenze straniere; ma osservandoanche come questo processo sia stato facilitatodall’esistenza di un substrato nazionale (compresal’anima cristiana degli italiani) che – pur con diffe-renze, anche forti, di culture e assetti economici esociali tra le varie parti della penisola – aveva radicirisalenti nei secoli.Comunque, una volta costituito nel 1861 lo Statoitaliano, la sua evoluzione ha visto progressivamen-te rinsaldato il volto unitario del paese, con il con-corso anche del mondo cattolico, pur con passaggitalora complessi e controversi (Porta Pia, non expe-dit, Concordato del 1929...), e tuttora non semprecondivisi nelle ricostruzioni storiografiche. Ilmomento forte di questo percorso unitario è certa-mente costituito dalle scelte costituzionali del1948, scaturite dopo una stagione di grandi diffi-coltà nel passaggio dal fascismo alla Costituente,

che ha saputo far emergere inmodo lungimirante valori unifi-canti ancora oggi punto di rife-rimento del sistema.Da queste scelte si percepiscecon chiarezza che unità non èuniformità, né centralismo, mapiuttosto unità plurale, poli-centrismo, che riconosce (nonconcede) spazio e ruolo allevarie formazioni sociali, ossiasoggettività alla società nellesue diverse articolazioni,

mirando a coinvolgere i cittadini nella gestione enel controllo dei pubblici poteri. È, questa, una con-cezione istituzionale, poi rafforzata con la riformadel titolo V della Costituzione del 2001, che conce-pisce la Repubblica come sistema di autonomie(armonia discors, secondo l’espressione del costi-tuente Costantino Mortati, che ha ispirato il princi-pio dell’art. 5, in cui al tempo stesso si sanciscel’unità e indivisibilità dell’Italia, ma anche la neces-sità di riconoscere e valorizzare il più possibile leautonomie): senza enfasi, quindi, su un’idea dinazione statica e centripeta, ma superando radical-mente, con il contributo determinante della compo-nente cattolica della Costituente, l’idea statocentri-ca, connessa a un sistema piramidale e gerarchicodelle istituzioni pubbliche.Il nodo pendente – nonostante la riforma costituzio-nale di un decennio fa – è quello di attuare final-mente un disegno così impegnativo (e rivoluziona-rio) di decentramento effettivo del sistema, non solosul piano amministrativo, valorizzando autonomieresponsabili sociali e territoriali di diverso livello(comuni, province e regioni), coniugando sussidia-rietà e solidarietà nazionale, in un contesto peraltroper molti versi ora sovrannazionale o globale. Ciòsignifica concretare una nuova unità, basatacomunque su garanzie di sistema, assicurando atutti i cittadini della Repubblica livelli essenziali diprestazioni pubbliche legate ai diritti civili e sociali,senza privilegi per talune componenti o parti delpaese, ma commisurando la gestione dei compitipubblici a fabbisogni e costi standard.Un obiettivo certo complesso ma essenziale, ancheper realizzare realmente una democrazia sostan-ziale. Tuttavia un obiettivo che appare oggi troppospesso contro-corrente, con un federalismo piùproclamato (o strumentalizzato) che realmente per-seguito, marginalizzato da una disattenzione diffu-

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di Gian Candido De Martin

La sfida che sollecita tuttinoi è quella di realizzareun federalismo capacedi una sintesi effettiva trasussidiarietà e solidarietà,nel quadro dei valoriunificanti sanciti dallaCostituzione. I cattolicipossono dare molto inquesta fase, potendo contaresull’ispirazione delladottrina sociale della Chiesa

Quale futuro perl’unità del paese?

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sa per autonomie responsabili, svuotate a vario tito-lo di compiti e risorse da un centralismo di ritorno,sempre più aggressivo, che ricorre spesso anche acommissari straordinari per gestire non vere emer-genze ma funzioni che dovrebbero spettare ai sog-getti territoriali ordinari. Tutto ciò è segno anche diuna debole cultura dell’autonomia responsabile,

che talora finisce per condizionare gli stessi ammi-nistratori locali, i quali trovano spesso più comodoaspettare le circolari ministeriali che assumersiautonome responsabilità. Vi è poi da tener conto anche dei gravi rischi con-nessi a un federalismo malinteso, disattento allasolidarietà e alla perequazione e piuttosto orientatoa mantenere ingiustificati privilegi, che minano for-temente la coesione nazionale.Dunque, la grande sfida per questa nuova unitàplurale e aperta è quella di realizzare coerentemen-te un federalismo capace di una sintesi effettiva trasussidiarietà e solidarietà, nel quadro dei valori uni-ficanti sanciti dalla Costituzione (in armonia ora conil quadro europeo). C’è molta strada da fare in que-sta direzione: c’è bisogno di un forte e convergenteimpegno, anzitutto culturale, per animare autono-mie responsabili che ricreino anche condizioni diuna effettiva partecipazione sociale e politica allavita pubblica. In questo orizzonte si può collocare anche uno spa-zio nuovo di impegno coerente dei laici cristiani,non tanto in una prospettiva di neo guelfismo (cheguarda al passato), ma di un discernimento che puòavere molto da dire e da fare potendo contareanche sull’ispirazione della dottrina sociale dellaChiesa.Tutto ciò concorre a confermare che – a voler tra-guardare e sostenere un futuro unitario dellaRepubblica, tenendo conto ovviamente delle cre-scenti dimensioni sovranazionali, anzitutto a livelloeuropeo – è indispensabile, anzi prioritario, investi-re oggi in modo sistematico (anche nei mondi cat-tolici e nelle Chiese locali) sulla formazione alla poli-tica, per preparare cittadini competenti, in grado diinterpretare ed essere protagonisti di una nuovastagione di impegno al servizio delle istituzionidemocratiche locali e centrali della Repubblica. �g

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L’unità della Repubblica oggi: tra solidarietà nazionale, autonomie e dinamiche internazionali: è il tema scelto per il XXXIconvegno organizzato dall’Istituto Bachelet, promosso dall’Azione cattolica, che si svolge l’11 e 12 febbraio alla Domus

Mariae di Roma. Anche l’Istituto Paolo VI per la storia dell’Ac e del movimento cattolico riflette, con il suo convegno del 4marzo, sul 150° dell’Unità della Penisola. Su questo argomento è possibile trovare un dossier di approfondimento nella rivi-sta culturale Dialoghi (n. 4/2010). Sono inoltre previste nel corso del 2011 altre manifestazioni e pubblicazioni promossedall’Azione cattolica o da realtà ad essa legate, dedicate alla storia nazionale e al futuro del Belpaese. Per tutte le informazio-ni: www.azionecattolica.it.

Le iniziativeCONVEGNI E PUBBLICAZIONI: L’IMPEGNODELL’AZIONE CATTOLICA PER IL 150°

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La notizia ha giàfatto il giro del

mondo e la città diRoma si sta preparan-do ad ospitare lamarea di fedeli checertamente raggiun-gerà la capitale, ilprossimo 1° maggio,quando GiovanniPaolo II sarà procla-mato beato da papaBenedetto XVI. Comeha ricordato padre Federico Lombardi, direttore dellaSala stampa vaticana, «dal momento della morte,sono passati 6 anni e 1 mese e Giovanni Paolo II hasopravanzato l’altrettanto rapidissima causa di beati-ficazione di Madre Teresa di Calcutta, che è durata unmese in più». Benedetto XVI ha inoltre firmato, ametà gennaio, il Decreto sul miracolo attribuitoall’intercessione del Servo di Dio Giuseppe Toniolo,fondatore delle Settimane sociali, alla guida dell’A-zione cattolica nei primissimi anni del ‘900, tra i fon-datori della Fuci e tra gli artefici dell’ingresso dei cat-tolici nella vita politica e sociale italiana.Il miracolo attribuito all’intercessione di Toniolo

riguarda un ragazzo diPieve di Soligo (Treviso),paese nel quale è sepoltoil futuro beato. «Il pro-fessor Toniolo – ha com-mentato il presidentedell’Ac, Franco Miano – èuna figura molto caraall’associazione per lasua testimonianza dilaico impegnato nell’or-dinarietà degli ambientidi vita: la famiglia, l’Uni-

versità, la Chiesa». La sua biografia dimostra come«vivere semplicemente la propria condizione di vitanon è disgiunta dalla capacità di profezia, essendo ilToniolo in molte delle sue intuizioni – la fondazionedell’Opera dei Congressi, il propugnare un’azioneincisiva dei cattolici in campo sociale – un anticipa-tore del ruolo dei laici nella Chiesa riconosciuto dalVaticano II». La futura beatificazione di Toniolo, haconcluso Miano, «ci fa partecipare con ancora mag-giore intensità alla gioia di tutta la Chiesa per l’an-nuncio della prossima beatificazione di GiovanniPaolo II». Il prossimo numero di Segno tornerà a trat-tare diffusamente di queste due figure. �g

In carcere perché si ha una falsa identità… virtuale.Non è fantasia, ma la legge SB1411 della California,

entrata in vigore il 1° gennaio, che punisce con una penafino a un anno di carcere o un’ammenda di mille dollarichiunque usi internet sotto falso nome, traendone profit-to. L’ambito più comune dove il provvedimento può tro-vare applicazione è quello dei social network, Facebook intesta. Nello Stato americano è dunque reato fingersiun’altra persona on line. È vero, la “dichiarazione deidiritti e delle responsabilità” che si sottoscrive quando cis’iscrive su Facebook vieta di fornire informazioni perso-nali false e di creare più di un profilo. Ma, sebbene siano

stati presi dai gestori del social network provvedimenti“clamorosi” come la cacciata della scrittrice spagnolaLucía Etxebarría, rea di aver violato l’obbligo a dire laverità, non mancano certamente i profili fasulli, soprat-tutto di persone famose. Ma anche di chi s’iscrive metten-do dati di fantasia per entrare nelle reti di “amici” senzafarsi riconoscere, o magari per spiare (ex) coniugi e colle-ghi di lavoro. O anche solo per scherzo. Certo, si sotto-scrive un impegno alla verità, ma la posta in gioco va aldi là di un clic, è l’importanza e l’ufficialità che si attri-buisce ai social network. E Facebook è diventato una cosaseria… lo dice la legge. �g F.R.

MOMENTO DELLA VERITÀ PER I SOCIAL NETWORK

AttentiaFacebook... lodicela legge

GIOVANNI PAOLO II E GIUSEPPE TONIOLO

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Una strage di cristiani proprio nella Giornata mondia-le della pace, dedicata oltretutto quest’anno al tema

della libertà religiosa. L’autobomba fatta esploderedavanti alla chiesa copto-ortodossa dei Santi, ad Ales-sandria d’Egitto, alla fine della messa di mezzanotte del31 dicembre, ha provocato 21 morti (destinati a crescerenei giorni successivi) e 79 feriti. Una strage rivendicatadagli integralisti islamici, che nei giorni precedenti ave-vano pubblicato una lista di chiese copte da colpire e,alla vigilia del Natale ortodosso (7 gennaio), hannopreannunciato nuoviattentati. «Questo vilegesto di morte, comequello di metterebombe ora anche vicinoalle case dei cristiani inIraq per costringerli adandarsene, offende Dioe l’umanità intera, cheproprio ieri ha pregatoper la pace e ha inizia-to con speranza unnuovo anno», ha dettoBenedetto XVI dopo

l’Angelus di domenica 2 gennaio. «Davanti a questa stra-tegia di violenze che ha di mira i cristiani, e ha conse-guenze su tutta la popolazione – ha continuato il Papa –,prego per le vittime e i familiari, e incoraggio le comu-nità ecclesiali a perseverare nella fede e nella testimo-nianza di non violenza che ci viene dal Vangelo».Una strage, questa di Alessandria, che si aggiunge allagià troppo lunga lista di violenze verso i cristiani e nonfa che confermare la difficile situazione in cui vivono icopti in Egitto, vittime, in 30 anni, di 160 attentati, di

cui quest’ultimogiunto a un anno daquello di Nag Ham-madi, dove nellanotte del 6 gennaio2010 persero la vitasette fedeli e unpoliziotto, mentre10 anni fa, sempre aCapodanno, nel pic-colo villaggio diAlqosh, morirono 21persone. �g

Francesco Rossi

DOPO LA STRAGE DI ALESSANDRIA D’EGITTO

Unmartirio,quellodeicristianid’oriente,chenonconoscetregua

IL MESSAGGIO PER LA 33A GIORNATA NAZIONALE

Educareallapienezzadellavita,anchelenuovegenerazioni

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ie«Una svolta culturale» a favore della vita, per con-

trastare la deriva di «un’umanità sorda al grido dichi non può difendersi». Educare alla pienezza della vitaè il tema della 33ª Giornata nazionale per la vita che laChiesa italiana celebra il 6 febbraio e in vista della qualei vescovi hanno reso noto un Messaggio il cui punto cen-trale è proprio l’appello alla «svolta culturale», ricordan-do che «tanti uomini e donne di buona volontà, giovani,laici, sacerdoti e persone consacrate, sono fortementeimpegnati a difendere e promuovere la vita». Ed è «gra-zie a loro» che «anche quest’anno – ricordano i vescoviitaliani – molte donne, seppur in condizioni disagiate,saranno messe in condizione di accogliere la vita che

nasce, sconfiggendo la tentazione dell’aborto».Ci sono famiglie, parrocchie, istituti religiosi, consultorid’ispirazione cristiana e associazioni che «giorno dopogiorno si adoperano per sostenere la vita nascente, ten-dendo la mano a chi è in difficoltà e da solo non riusci-rebbe a fare fronte agli impegni che essa comporta». Maquest’azione, «per essere davvero feconda, esige un con-testo ecclesiale propizio, come pure interventi sociali elegislativi mirati. Occorre diffondere – sottolinea il Mes-saggio – un nuovo umanesimo, educando ogni persona dibuona volontà, e in particolare le giovani generazioni, aguardare alla vita come al dono più alto che Dio ha fattoall’umanità». �g

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Arriva all’appuntamento un po’ trafelato,quasi spiegazzato: «Stamattina mi sonosvegliato alle sei – mi spiega –, sa, ho trebambini, ho fatto cinque ore a scuola,

dopo ho provato a lavorare a una piccola sceneggia-tura (una di quelle cose che poi non va mai in porto),poi ho scritto un articolo...». Sono quasi le nove disera, insomma, la strapazzatura ci sta tutta. Dellabiografia di Marco Lodoli questa è la prima cosa checolpisce: perché uno scrittore affermato, che hapubblicato decine tra saggi, romanzi e raccolte dipoesia, che ha vinto premi (su tutti il Grinzane, e perdue volte), che tiene una rubrica fissa sulla cronacaromana di Repubblica e ogni tanto scrive fondi sul-l’edizione nazionale, continua a insegnare italiano ain un istituto professionale dell’estrema periferiaromana? Glielo chiediamo subito. «In fondo forse èperché sono un po’ nevrotico, ho l’impressione chese non mi muovo, se non mi agito, affondo. Alla finec’è una sorta di unità, credo, fra i tre mestieri. Anzi:faccio questi tre mestieri come se fosse un mestieresolo. La verità è che per me è una fortuna poter starenel mondo degli adolescenti, dove c’è quella sor-gente primaria da cui scaturiscono le grandi doman-de della vita. È dalla mia esperienza di docente di

periferia (insegno nell’ultima dellescuole del Regno, come si dice) cheviene fuori quello che racconto suigiornali, e anche la letteratura nasceda lì. Insomma, le tre cose finisconoper rotolare l’una dentro l’altra. Ioguardo e scrivo.

Mi pare che il denominatore comunedi questi tre mestieri siano le parole.Santa Teresa d’Avila dice che «leparole conducono ai fatti, preparanol’anima, la rendono pronta e la porta-no alla tenerezza»: è così?È così senz’altro. Io scrivo ogni tantole recensioni ai libri. Mi basta poco,anche solo una pagina, per capire seuno è uno scrittore o no: il metro digiudizio è se si percepisce che l’auto-re sente, comprende davvero le cose

che scrive. Qualche mese prima di scrivere il mioprimo romanzo avevo buttato giù dei racconti. One-stamente li trovavo brutti. Poi mi sono successe unpo’ di cose: è morta mia madre, mi sono lasciato conuna fidanzata, ho avuto qualche problema fisico. Edopo ho iniziato il romanzo, e le mie pagine eranodavvero migliori. Non è che in quei mesi avessiimparato a scrivere meglio: è che avevo capito qual-cosa di più della vita.

E le parole dei suoi studenti quali sono? Lei ha raccon-tato l’estate scorsa in un articolo di una ragazza che siè fatta tatuare sulla schiena la scritta “Chanel”...Non semplicemente la scritta, proprio il marchiodella ditta. Non ce l’ho fatta a trattenermi: «Ma per-ché devi ridurti a cosa, a oggetto, a merce? È triste,tristissimo». Mi ha risposto: «’A professo’, a me mepiace, i gusti so’ gusti». La bidella, più spiccia, hacommentato: «Potevi fatte tatua’ pure er codice abarre».

È il brand che batte la parola gratuita?È che la base della società occidentale è il desiderio.Non l’ideale, non l’essere, nemmeno il dovere. Queltatuaggio l’ho visto come un altare tirato su davanti aldesiderio e alla sua eccitazione quotidiana. Purtrop-po tanti ragazzi sono così, costretti, forzati a deside-rare e consumare, iperstimolati dalla pubblicità.

Desideri indotti e non autenticiIndotti, sì, e per questo falsi e ricattanti. Ma il mondofunziona secondo questo sistema, che viene rilan-ciato in continuazione. E anche se ai sobri è ricono-sciuta una certa dignità culturale, in realtà vengono

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di Simone Esposito

«Io non sono nédepresso, né avvilito,né moralista. La nuvolagrigia sopra di noi peròla vedo: il pericolodell’ammutolimento,dell’inebetimento.Ma queste cose sicontrastano con quelloche facciamo nella nostravita, ogni giorno.Io domani mattina tornoa scuola». Uno scrittoreche insegna anche in unaperiferia romana,racconta a Segno comela letteratura vadad’accordo sempre conla vita quotidiana

Il poterealleparole

intervista conMarco Lodoli

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sottilmente ammoniti: guai a chi si tira fuori dallacatena del consumo, perché mette in crisi il mecca-nismo che manda avanti l’intera società.

Quarant’anni fa don Milani diceva che le paroleerano l’unità di misura del potere di un uomo. Chiconosce mille parole comanda, chi ne conosce tre-cento obbedisce. Oggi come funziona?Una volta c’era attrazione per la complessità,

anche se non si capiva tutto, anche se ci si annoia-va, prevaleva la voglia di migliorarsi. Oggi si scansatutto quello che è minimamente complesso, sicerca sempre la scorciatoia della facilità. E dirimando chi offre i contenuti tende direttamente asemplificarli. Questo sistematico abbassamentodel tiro ci ha portato a una vera e propria ritirata dalsenso. E ora si sbanda. I miei alunni parlano male,scrivono malissimo, capiscono poco di quello cheleggono. Le statistiche dicono che il 5% degli ita-liani scolarizzati è praticamente analfabeta. NegliStati Uniti la maggioranza dei ragazzi ha un voca-bolario non più vasto di 150 parole. È ancora comediceva don Milani: 150 parole possono bastare percapire e descrivere il mondo? Può sembrare, forse,ma non è così veramente.

Vuol dire che c’è un pezzo di mondo che resta fuoridalla nostra comprensione?È una rinuncia alla realtà. Nei temi dei miei ragazzi lacosa che noto più spesso è una forte astrattezza.Sbagliano quasi tutti nell’approccio, restano sulgenerico. D’altra parte, con 150 parole non si puòfare molto di più. E chi non sa andare al fatto, chi nonsa riconoscere la potenza che c’è nella realtà, èdebole. Ma questo vale per tutti, anche per me: ioriconosco che una volta facevo cose più complicate,e ora magari non ci riesco. Sono immerso come tuttinello spirito del tempo.

E che spirito è?Noi siamo ciò che ingurgitiamo. Se a uno gli fai beredue litri di vino, non è più lui: è lui più due litri di vinoche gli annebbiano il cervello. Noi da anni beviamoroba tossica. Una mia studentessa, una ragazzakosovara, una volta mi ha detto: ormai pensare nonserve più, c’è la tecnologia che pensa a tutto.

Che si fa?Io non sono né depresso, né avvilito, né moralista. Lanuvola grigia sopra di noi però la vedo: il pericolodell’ammutolimento, dell’inebetimento. Ma questecose si contrastano con quello che facciamo nellanostra vita, ogni giorno. Io domani mattina torno ascuola. �g

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Marco Lodoli, romano, classe 1956, è giornalista, scrittore e inse-gnante di lettere in un istituto professionale della capitale. Ha

esordito nel 1978 come poeta con Un uomo innocuo (Trevi Editore). Nel1990 ha vinto il Premio Piero Chiara per Grande raccordo, nel 1992 ilGrinzane Cavour. Nel 1997 si è aggiudicato di nuovo il Grinzane con Ilvento. Collabora con il quotidiano La Repubblica, dove, nella paginedella cronaca di Roma, firma una rubrica che si chiama Isole e, nell’edi-zione nazionale, è editorialista su temi che riguardano i giovani e lascuola. Il suo ultimo romanzo è Italia (Einaudi, 2010).

IdentikitUNO SCRITTORE TRA SCUOLA, PERIFERIA E LETTERATURA

Nelle foto:

lo scrittore Marco Lodoli

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Mettiamo un sabato pomeriggio piovoso;lasciamo spenta la televisione e nonaccendiamo il computer. Prendiamouno scatolone e costruiamoci un’a-

stronave. Senza paura di sporcare il pavimento e ivestiti, magari con tempere e colla, senza timore dimangiare in un ipotetico fast-food interstellare,senza “vergogna” perché ci si è lasciati condurre permano dai figli, nel mondo sempre nuovo e semprericco di sorprese e di tesori che, solamente i loroocchi, sanno scoprire nelle quotidiane pieghe dellegiornate.Giocare non è un’attività di secondaria importanzaper i bambini e, per compierla, non è assolutamentenecessario l’ausilio di giocattoli, videogiochi oppuredi televisione e affini. È possibile giocare con ognicosa, con tutto, oppure, cambiando punto di vista,con nulla. E per i genitori, mettersi “in gioco”, è uningrediente importante nella miscela dell’educare.Perché, non ci si trovi a dire, con amarezza: «Maguarda, come sono diventati grandi i nostri bambini.Non ce ne siamo neppure accorti!».«I bambini offrono spunti ai genitori, che avallanoqueste ipotesi e le “contemplano”. Ciò può succede-re nei boschi, oppure in una giornata piovosa tra lemura di casa, non sapendo dove si andrà a finire,

lasciandosi guidare dai bambini. Educare significaaccompagnare nelle esperienze. Io, adulto, ci sono;io, con il taglierino, realizzo l’oblò dell’astronave, mal’avventura la facciamo insieme».Maurizio Fusina, direttore creativo di Remida (uncentro di riuso creativo di materiali industriali) diBorgo San Lorenzo, in Toscana, anima di diverseludoteche e di progetti inerenti al mondo della crea-tività e dell’infanzia, padre di due bambini rispettiva-mente di 6 e di 3 anni, invita i genitori a entrare ingioco, a relazionarsi con i bambini pensando anchea superare la logica che induce a inseguire il giocat-tolo del momento, o a delegare a esperti, oppure allatv, la gestione di questo momento importante dellavita dei più piccoli.Molti sono gli spunti che Fusina offre, dalla realizza-zione del proprio libro di famiglia, che raccolga adesempio attraverso foto e disegni, le esperienzecompiute in un anno, per pensare, persino, allariprogettazione degli spazi della camera da letto deibambini. Il tutto, però, deve essere seguito dall’ade-guamento a una logica diversa, all’altro punto divista. «Come adulti – commenta Fusina – non sem-pre ci fidiamo nel lasciarci trasportare in nuovedimensioni. Sei dinanzi all’ignoto, un ignoto da inda-gare insieme. È un processo, certo. Si è, in questo

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di Barbara Garavaglia

“Mettersi in gioco” con i propri figli è importante.Per Maurizio Fusina, direttore creativo di Remida,un centro di riuso creativo di materiali industriali,«occorre sempre cercare di capire che cosachiedono i bambini agli adulti. È importanteinoltre andare alla ricerca di che cosa, in città,piace ai figli. Alcuni luoghi “per grandi”,non è detto che non siano anche “per piccoli”,penso ai musei di arte moderna, o ai giri in tram,in stagioni e orari differenti, che ci mostranoi luoghi da altri punti di vista»

Fidarsi deibambini

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Nelle foto: a lato Maurizio

Fusina, direttore creativo

di “Remida”.

Sopra alcuni giochi realizzati

con materiali di scarto

modo, al di fuori delle logiche della pubblicità, madentro la propria fantasia».Maurizio Fusina – laurea in Architettura in tasca – lafantasia la mette a frutto. Da anni propone percorsied esperienze legate al riuso creativo di materiali,anche derivati da lavorazioni industriali. «Oggi –spiega – tutte le cose hanno una sola funzione. Maogni cosa, in natura, ha almeno due funzioni: le nubi,

per esempio, portano ombra e danno acqua, i sassitrattengono calore e depurano la pioggia, le fogliefanno ombra e purificano l’aria, e altro ancora. Ibambini conoscono bene la plurifunzionalità deglioggetti. Noi, invece, siamo ancorati alla convinzioneche ogni cosa abbia una propria, unica, funzione.Penso alla vaschetta per l’insalata, che può essereun tetto, al bastone raccolto nel bosco che è spada,vanga… Per questo affermo che noi dobbiamofidarci dei bambini». Un esempio è dato dalla “Cittàinfinita”, un’idea nata qualche anno fa, presentatanell’ambito del Festival della creatività, svoltosi inautunno a Firenze. «Alcuni bambini, con pezzi dilegno, scarto industriale, hanno iniziato a costruireuna città. È una “storia”, nella quale ciascuno rispet-ta l’altro... Ognuno costruisce la propria casa, senzacintarla, poi si collega agli altri; nascono quartieri,chiese, campi sportivi… Da un pezzo insignificantedi legno, nasce una esperienza bella».Sul tappeto ci sono quindi molte cose: l’utilizzo deglioggetti che scardina i preconcetti, lo sviluppo dellamanualità che trasforma la materia («Tagliare, tra-sformare, ad esempio utilizzando il traforo, che offrela possibilità di progettare, di saper pazientare, digestire il proprio corpo e il proprio tempo»), e soprat-tutto la ricerca di una criticità nei confronti dei mes-saggi che si assorbono quotidianamente.«I genitori spesso delegano la tv, la scuola. E sullasfera del gioco, i cartoni animati di ultima generazio-ne, che coinvolgono direttamente i piccoli, offronouna ulteriore giustificazione alle mamme e ai papà.Quel sabato piovoso, quindi, ci si dovrà imporre dilasciare da parte molte cose, la tv, il pc. Relazionarsicosì ai figli, è più difficile che delegare. Occorresempre, non solamente a Natale, cercare di capireche cosa chiedono i bambini agli adulti. È importanteinoltre andare alla ricerca di che cosa, in città, piaceai figli. Alcuni luoghi “per grandi”, non è detto chenon siano anche “per piccoli”, penso ai musei di artemoderna, o ai giri in tram, in stagioni e orari differen-ti, che ci mostrano i luoghi da altri punti di vista”. Perincominciare un viaggio, che dura tutta la vita. �g

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Max Gazzè: eclettico come il suo orecchi-no. Dalle esibizioni nei locali di Bruxel-les, passando per il palco di Sanremo,è sbarcato di recente sul set del film

Basilicata coast to coast, per poi approdare al musi-cal Jesus Chist Superstar. Ora è in giro per l’Italiacon il suo ultimo album Quindi?, comprendente unadecina di singoli, alcuni inediti, in cui è inserito Men-tre dormi, dal film Basilicata coast to coast.

Una carriera lunga, ricca di diversi generi musicali estili. Come sceglie quale utilizzare quando si metteal lavoro?Il genere non è una scelta premeditata. Una stradache invece pratica chi non segue un proprio percor-so, e cerca a tutti i costi di seguire ciò che è “radiofo-nico”. Io vengo da percorsi musicali vari: jazz, classi-

ca, rock; ho suonato congruppi punk, new wave.Compongo quello che almomento mi viene, il genereresta indefinito finché qual-cuno ascoltandolo dice:«questo è un brano pop».Ma ci sarà pure un suo stilepreferito.In realtà no. Riesco adapprezzarli tutti, purché cisia qualcosa di intrigante,interessante, ben realizzato.Parliamo dell’esperienza delmusical Jesus Christ Super-star in cui interpreta Erode.Lei in passato ha condiviso il

palco con altri cantanti. Ma lavorare con degli attoriche tipo di esperienza è stata? Anomala e nuova, stimolante. Occorre saper abbi-nare un personaggio nel personaggio: l’interpreta-zione fornita dall’attore insieme a quella del cantan-te. Si associano cantato e recitazione in un’espres-sione del tutto diversa rispetto a quella che si facome cantante. Occorre entrare nel personaggio,cercare di dargli un tono, sia caratteriale che vocale.Ci sono state tante collaborazioni nella sua carriera:Marina Rei, Paola Turci, Franco Battiato. In generec’è una certa concorrenza tra colleghi. Come funzio-na una collaborazione?Io la vedo, e la vivo, come stimolo per contaminazio-ne necessaria. Mi piace cioè collaborare con altriartisti perché così riesco a carpire un modo diversodi interpretare quanto accade. Se compongo unbrano, se suono insieme ad altri, c’è sempre il pia-cere di realizzare una cosa diversa rispetto a comela farei se fossi da solo.Cosa vorrebbe fare Max Gazzè in futuro, dopo ilcinema e il musical?La musica è quello che faccio, e che farò sempre.Sono anche un appassionato di cinema, come dialtre espressioni artistiche, per cui cerco di imparar-

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di Alessandra Gaetani

«Il decadimento della musicaè iniziato alla fine degli anni’90. Poi c’è stato l’avventodel digitale, del download,dell’eccessiva produzione,e infine i talent show.Un giovane adesso devepartecipare a questiprogrammi per farsi conoscere.Dopo un periodo cosìsocialmente decadente ci saràper forza una rinascita conqualcosa di dirompente».Parola di Max Gazzè, artistatra i più interessantidell’attuale panorama italiano

Un giornola musicarinascerà

intervista conMax Gazzè

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Nella foto:

il musicista Max Gazzè

le facendole, se ne ho la possibilità, come in questicasi, perché sono curioso. Per mia indole, per l’im-pulso creativo, ho bisogno di nuove esperienze. Al dilà del risultato, cerco sempre di realizzarle con ilmassimo impegno.Dove le piacerebbe spaziare in futuro?Sempre nella musica. Continuerò a fare altri lavoricome attore, ma per hobby. Oppure un giorno farò l’at-tore di professione e il musicista per hobby. Chissà?Cerco di mantenere sempre un entusiasmo ludico neiconfronti di ciò che amo fare, altrimenti diventerebbeuna routine senza gratificazioni. Per questo cerco direalizzare tutte le molteplici attività nella musica: unconcerto, un disco, una partecipazione, un musical.

A proposito di stimoli: che tipo di futuro vede, visteanche le difficoltà del periodo, per i giovani artisti?Si tratta di un periodo difficile, di transizione. Il deca-dimento è iniziato alla fine degli anni ’90. Poi c’èstato l’avvento del digitale, del download, dell’ec-cessiva produzione, e infine i talent show. Un giova-ne adesso deve partecipare a questi programmi perfarsi conoscere. Dopo un periodo così socialmentedecadente ci sarà per forza una rinascita con qual-cosa di dirompente.Siamo scesi in basso, secondo lei: dunque non pos-siamo che risalire?Sì, esatto. Non ci saranno mai problemi di idee. Lacrisi non è della musica, ma della discografia,dell’eccessiva produzione, della comunicazionesbagliata: si propone un lavoro orrendo nellostesso modo in cui se ne propone uno straordina-rio. E nessuno sa la differenza: non esiste la cul-tura per poter identificare due lavori con percorsidiversi. Ciò che potrà salvare la musica è l’onestàdi chi la propone. Quanta gente vuole far musicasolo per diventare famosa? L’eretico che vuolefare musica sul serio si troverà mischiato con tuttiquelli che vogliono solo diventare famosi. È que-sto il problema.Quanto tempo impiega per realizzare un album?Non ho mai avuto fretta. Ho avuto periodi di grandecreatività, altre volte invece ho lavorato su un branoper due mesi. Comunque mi impegno moltissimo.Non faccio mai una canzone bella e le altre scarseper riempire il cd. Ultimamente sono demoralizzatodal fatto che quando si deve promuovere un albumsi punta su un brano e gli altri vengono dimenticati.Mi chiedo se siano davvero utili gli album, o sesarebbe meglio fare delle canzoni, pubblicarle, e allafine realizzare una raccolta.Quando ha detto: farò il cantante?Ho cominciato a musicare delle poesie di mio fratelloFrancesco e poi le ho cantate a chi le stavo propo-nendo. Non ho mai pensato di fare il cantante fino almomento in cui non lo sono diventato. Volevo diven-tare un bravo bassista e un compositore. Ora stocollaborando con l’amico e poeta Gimmi Santucci.Come dicevo occorrono stimoli continui, voglia diinteragire. �g

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Massimilano Gazzè, detto Max, nasce a Roma nel 1967, trascorre l’in-fanzia in Belgio. Inizia a studiare pianoforte a 6 anni, a 14 anni il

basso elettrico, età in cui si esibisce con diversi gruppi a Bruxelles. Nel1991 torna in Italia e compone colonne sonore. Nel 1996 esce il primoalbum Contro un’onda del mare presentato nel tour di Franco Battiato. Nel1998 la canzone Vento d’estate, con Niccolò Fabi, con cui vince Un disco perl’estate. Max scrive i testi con il fratello Francesco, poeta e paroliere. Nel1998 partecipa al Premio Tenco e nel 1999 al Festival di Sanremo categoriaGiovani con Una musica può fare. Torna a Sanremo nel 2000 con Il timidoubriaco, con cui partecipa anche al Festivalbar. Nel 2008 esce l’album Tral’aratro e la radio. I testi sono scritti insieme a Gimmi Santucci. Nel 2010Max è nel musical Jesus Christ Superstar e nel film di Rocco Papaleo Basili-cata cost to coast. Esce l’album Quindi? tra i più venduti in Italia.

I percorsi di un artistaROMA, BRUXELLES, SANREMO E... LA BASILICATA

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Il tema delle intercettazioni ha suscitato fin dasubito un grande dibattito nel paese, dividendoesperti e opinione pubblica e arrivando perfino aessere uno dei motivi di rottura della maggioran-

za parlamentare. Tutto questo però non deve sor-prendere, se solo si considerano i valori e i diritticostituzionali coinvolti in una proposta di legge cheinterviene sulla tutela della privacy, la libertà di infor-mazione e l’efficienza delle indagini giudiziarie.Come ha spiegato il Presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano incontrando i giornalisti durante la

tradizionale cerimonia di consegnadel Ventaglio, che ogni anno segnal’interruzione per la pausa estivadei lavori parlamentari, per legife-rare in questa materia bisogna farei conti con il valore della sicurezzadei cittadini e dello Stato, chenecessita il contrasto delle viola-zioni della legge penale attraversola ricerca degli indizi di reato e l’e-sercizio della funzione giurisdizio-nale secondo i principi del giustoprocesso, il valore della libertà distampa e più in generale di infor-

mazione (ovvero il diritto dei cittadini di essere infor-mati e il dovere dei giornalisti di informare) e il valoredella libertà di comunicazione tra le persone, cheimplica il diritto al rispetto della riservatezza e delladignità di ciascuno. Tuttavia, è evidente che compor-re questi valori non è cosa agevole e che si possono

avere opinioni molto diverse su quello che potrebbeessere il loro migliore bilanciamento. Così, i sostenitori della proposta di legge, e in parti-colare il Governo e i partiti della maggioranza, riten-gono giusto far prevalere l’esigenza di tutela dellaprivacy, esigenza a loro dire molto sentita dai cittadi-ni, stufi di essere spiati e intercettati e di correre ilrischio di veder pubblicate sui giornali proprie priva-te conversazioni. Secondo il ministro della GiustiziaAngelino Alfano le intercettazioni, uscite dai binari diun corretto impiego, sono divenute nel tempo ogget-to di forme di utilizzo assolutamente illegittime elesive della privacy e della riservatezza dei cittadini,in violazione dei principi costituzionali. Di diverso avviso sono tutti coloro che all’approva-zione della proposta di legge, ribattezzata “leggebavaglio”, si sono opposti e continuano a farlo convarie modalità. Tra essi, oltre alle forze politicheall’opposizione dall’inizio della legislatura, vi sono isindacati dei giornalisti e degli editori di giornali, chein più occasioni hanno denunciato gli effetti intimi-

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Privacy einformazione:

spiati oinformati?

di Marta Vergottini

Al disegno di legge inmateria di intercettazionipresentato dal Governo,al centro dell’attenzionepolitica per mesi e ancoraall’esame del Parlamento,è dedicato un dossierdell’Istituto “VittorioBachelet”. Dati e cifre perriflettere su un problemache interessa tutta lacomunità civile

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datori che la legge avrebbenei loro confronti e paven-tato il rischio di una signifi-cativa compressione dellalibertà di stampa: per que-sto, il 9 luglio scorso i gior-nalisti si sono astenuti dallavoro, dando vita a unagiornata di “silenzio rumo-roso”, in grado di portarel’attenzione sui tanti silenziquotidiani che a loro parerela legge bavaglio imporreb-be agli italiani, a cui verreb-be negata la conoscenza di

molte notizie e informazioni di interesse pubblico. Ma anche il sindacato dei lavoratori della polizia havoluto far registrare il suo dissenso, avviando unaraccolta di firme in tutte le città per informare l’opi-nione pubblica delle possibili conseguenze dell’ap-provazione del disegno di legge: in pericolo sarebbe-

ro l’azione e l’attività della polizia giudiziaria e lacapacità di contrasto al crimine, con inevitabili rica-dute negative sui livelli di sicurezza nel paese e ditutela di ogni cittadino. Non è semplice orientarsi in questa babele di voci cheesprimono pensieri e argomentazioni differenti, spes-so condivisibili o comunque di buon senso. Ecco per-ché l’Istituto Vittorio Bachelet ha voluto dedicare alle“intercettazioni” il suo terzo dossier annuale. Di certo,i valori coinvolti non possono essere usati l’uno control’altro e non esiste tra essi alcuna gerarchia. Per que-sto, bisogna augurarsi che dopo giornate politiche digrande tensione come quelle trascorse, in cui leadered esponenti dei partiti hanno addebitato agli avver-sari la colpa o rivendicato il merito del momentaneostallo del disegno di legge (fermo dal mese di luglioall’esame della Camera), riparta il dialogo, elementodavvero imprescindibile per chi ha a cuore il benecomune e intende lavorare insieme con altri nell’inte-resse del paese. �g

(Per info: http://www2.azionecattolica.it/node/637)

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Bisogna augurarsi che dopogiornate politiche di grandetensione come quelle trascorse,in cui leader ed esponenti deipartiti hanno addebitato agliavversari la colpa o rivendicatoil merito del momentaneo stallodel disegno di legge (fermodal mese di luglio all’esamedella Camera), riparta il dialogo,elemento davvero imprescindibileper chi ha a cuore il bene comunee intende lavorare insiemecon altri nell’interesse del paese

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Cosa prova un bambino quando i suoi geni-tori si separano? Quali domande, emozio-ni, paure si affollano nella sua mente e nelsuo cuore? Quando una coppia si divide,

gli adulti, in genere, hanno diverse possibilità di par-lare dell’esperienza che stanno vivendo, ci si confidacon i parenti, con gli amici, a volte con i mediatorifamiliari. Ma i bambini? Chi ascolta i figli di genitoriseparati e divorziati? Quali opportunità hanno di darvoce al dolore, di chiedere cosa succederà, di tirarefuori la rabbia e la frustrazione per un evento chesono costretti a subire e che, a secondo dell’età,probabilmente faticano a capire? Per offrire ascoltoe sostegno a questi bambini, l’Università Cattolica diMilano organizza corsi di formazione ad hoc per glioperatori che, in tutta Italia, condurranno i “Gruppidi Parola” dedicati ai più piccini.Di questo progetto, che è oggetto di una ricercascientifica attualmente in corso presso l’ateneo

milanese, parliamocon Grazia Molesti,counselor professio-nista e mediatricefamiliare, dal 1990 al1993 responsabilenazionale, insieme almarito Mauro Garu-glieri, dell’ufficioFamiglia dell’Azionecattolica. «Nel corso del 2010,l’iniziativa è approda-ta anche in Toscana esi è concretizzata gra-zie a un progetto del

Forum Toscano delle famiglie, finanziato dallaRegione», spiega Grazia Molesti che ha condotto iprimi gruppi a Firenze. «La proposta si rivolge aibambini da 6 a 12 anni di età e ogni gruppo puòessere composto da un massimo di dieci parteci-panti perché tutti i bambini devono avere il loro “spa-zio”. Spesso si cerca di tenere i figli in dispartedurante il percorso della separazione, nell’intento di

proteggerli dal conflitto, ma così non si consente lorodi dare un senso a ciò che sta accadendo. Tutto que-sto provoca nel bambino confusione, ansia, tristez-za, solitudine e talvolta senso di colpa. Dalle ricercheemerge che i figli di genitori separati hanno soprat-tutto bisogno di essere ascoltati, informati e rassicu-rati». Proprio quello che viene fatto durante il Gruppodi Parola. Il percorso, che non ha finalità teraupeti-che, ma si basa sul principio dell’aiuto e del soste-gno tra chi sta vivendo un’esperienza simile, preve-de in totale quattro incontri di due ore, con cadenzasettimanale. Ogni appuntamento è scandito damomenti e rituali che si ripetono (la ripetizionerisponde a un bisogno dei bambini, è rassicurante),si comincia con l’accoglienza e il saluto, si procedecon una serie di attività – momenti di confronto, gio-chi di ruolo, disegni, costruzioni di storie, preparazio-ne di cartelloni – finalizzate all’espressione di emo-zioni e problematiche comuni, si fa merenda insie-me.Ma qual è l’utilità di questo percorso? «I bambini,grazie al gruppo, possono dare un nome alle emo-zioni e alle situazioni che si trovano a vivere senzarimanere intrappolati nel silenzio» spiega GraziaMolesti. «Hanno la possibilità di parlare della sepa-razione di papà e mamma da protagonisti purdovendo constatare che, in quanto figli, non possonocambiare le cose. E ognuno di loro usufruisce dellerisorse del gruppo. Sì, perché il gruppo dà forza, fasentire meno soli, garantisce la comprensione verache può offrirti solo chi sta vivendo o ha vissuto lestesse esperienze e, allo stesso tempo, apre pro-spettive nuove grazie al confronto di punti di vistadifferenti. Tra l’altro, in ogni gruppo, ci sono bambiniche stanno vivendo fasi diverse della separazionedei propri genitori. C’è il ragazzino che è nel pienodel “marasma” emotivo perché la separazione èappena avvenuta e altri che hanno superato questomomento e possono rassicurare gli altri, spiegando,ad esempio che con il tempo, i conflitti possonoappianarsi e i litigi possono attenuarsi». Già, i litigitra i genitori. Una realtà di cui si parla sempre neigruppi, perché affligge i piccoli partecipanti e li fa

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di Giorgia E. Cozza

Dieci bambini, dai 6 a 12 anni dietà. Un piccolo gruppo che esprimeansie e domande rispetto allasituazione dei genitori, separati.Per Grazia Molesti, mediatricefamiliare, «i bambini, grazie algruppo, possono dare un nome alleemozioni che si trovano a viveresenza rimanere intrappolati nelsilenzio; hanno la possibilità diparlare della separazione di papà emamma da protagonisti purdovendo constatare che, in quantofigli, non possono cambiare le cose»

Se mamma e papà si dividono

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soffrire. I bambini amano entrambi i genitori, mamolto spesso si ergono a paladini del genitore piùdebole, lo proteggono, imparano a mentire per ilbene dell’uno o dell’altro genitore, e questo può pro-vocare loro forti disagi. «Un altro elemento comune èil desiderio che i genitori tornino insieme», riprendela mediatrice familiare. Desideri, dubbi e interrogativi dei bambini vengonoraccolti in una lettera comunitaria che in occasionedell’incontro conclusivo viene letta ai genitori. Ilgruppo dei bambini – nell’ultima ora di questo per-corso – ospita infatti il gruppo dei genitori. Mamme epapà sono invitati a rispondere agli spunti contenutinella lettera, con dei biglietti anonimi che vengonoraccolti in una scatolina e poi letti ad alta voce. «Si

tratta di un momentomolto importante esignificativo sia per ibambini, sia per i geni-tori che hanno così lapossibilità di guardarecon occhi più attenti econsapevoli i loro figli»sottolinea Grazia Mole-sti. «La presenza dientrambi i genitori inquesta occasione èfonte di grande gioiaper i bambini. E per l’i-

scrizione al gruppo è indispensabile la firma di tutti edue: un modo per ricordare ai genitori che eventualiconflittualità devono essere messe da parte quandoè il momento di fare scelte condivise per il bene deifigli. Terminato il percorso, ogni coppia ha la possibi-lità di incontrarsi con le conduttrici del gruppo per unmomento di confronto. Alcuni genitori chiedonoanche di proseguire il percorso, usufruendo del ser-vizio di mediazione familiare». E se nella propria città non ci sono Gruppi di Parola?Cosa possono fare i genitori per aiutare i figli in que-sto momento delicato? «Ricordare che i bambinivengono inevitabilmente coinvolti da questa espe-rienza e hanno bisogno di poter esprimere con leparole il dolore e la fatica» conclude Grazia Molesti.«Ma hanno bisogno anche di risposte perché i dubbie, a volte, addirittura i sensi di colpa (quando si sen-tono erroneamente responsabili di quanto sta acca-dendo) sono sempre tanti: tocca ai genitori creareoccasioni di dialogo offrendo ai figli l’opportunità didar voce ai loro interrogativi». In una parola, atten-

zione ai bambini. Elimi-nare il dolore di unaseparazione non si può,ma rendere questaesperienza meno trau-matica e difficile, sì. Undovere che i genitori nonpossono e non devonotrascurare. �g

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Al bisogno di ascolto e confronto dei figli di genitori separati o divorziati è dedicato il libro, fre-sco di stampa, I gruppi di parola per i figli di separati, a cura di Costanza Marzotto, pubblicato lo

scorso novembre da Vita e Pensiero (collana Quaderni del Centro famiglia). Per conoscere megliol’iniziativa “Gruppi di Parola” è inoltre possibile consultare il sito dell’Università Cattolica di Mila-no (http://milano.unicatt.it/) che organizza periodicamente corsi di formazione per operatori.Le famiglie che abitano in Toscana e desiderano informarsi a proposito dei gruppi che verrannoorganizzati nel corso del 2011 nelle città toscane, possono rivolgersi direttamente a Grazia MolestiGaruglieri, scrivendo un’e-mail all’indirizzo di posta elettronica [email protected]

Per saperne di piùUN LIBRO E I CORSI ORGANIZZATI DALL’UNIVERSITÀ CATTOLICA

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In una parola,attenzioneai bambini.Eliminareil dolore di unaseparazionenon si può, marendere questaesperienza menotraumaticae difficile, sì.Un dovere chei genitori nonpossono e nondevono trascurare

A sinistra: la mediatrice

familiare Grazia Molesti

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Da sempre la preadolescenza appare cer-tamente come la più nuova e più incertastagione della vita, non solo per gli studio-si che se ne occupano a livello accademi-

co (sociologi, psicologi, pedagogisti...), ma ancheper tutti coloro che, a diverso titolo, sono chiamati adaccompagnare la crescita dei ragazzi e delle ragazzeche si trovano a vivere questa particolare fase dellaloro esistenza (genitori, insegnanti, educatori...).

Inoltre il contesto sociale in cui oggisiamo immersi sta favorendo un rinnova-to interesse nei confronti di questa età.Ciò, probabilmente, può essere ricondot-to a due dati fondamentali. Per primacosa al prolungarsi dell’età giovanile che,rispetto al passato, dilata i tempi relativiall’assunzione delle responsabilità pro-prie dell’età adulta (si pensi per esempioall’estensione della scuola dell’obbligo eall’allontanamento dell’ingresso nelmondo del lavoro). Il secondo fattore,strettamente collegato al primo, è lamaggior attenzione e la maggior cono-scenza dei diversi processi che caratte-rizzano la crescita della persona nellaconvinzione che lo sviluppo non è fatto discatti improvvisi ma di un lungo processodistribuito nel tempo. È questa attenzioneal processo che ha portato a una più par-ticolareggiata definizione delle diversefasi della crescita, e perciò, in certo qualmodo, alla “scoperta” della cosiddetta

preadolescenza. Il riferimento alla preadolescenzacomporta l’emergere di due importanti fattori. Ilprimo, di ordine sociale, è l’appartenenza di questiragazzi alla realtà della scuola media inferiore checontribuisce a denominare il preadolescente come ilragazzo che “va alle medie”. Il secondo fattore, piùstrettamente legato ai processi di sviluppo, è invece

definibile come la “vita a più velocità”. Si è soliti direche nella preadolescenza “sbocciano” diversi pro-cessi i quali avranno un loro pieno svolgimento, inmisura differenziata, all’interno dell’adolescenza.Ciò che però appare proprio della preadolescenzanon è semplicemente l’essere “il tempo dell’iniziodel cambiamento”, ma l’essere piuttosto “un tempodi cambiamenti diversificati” che hanno inizi e ritmidiversi. Sappiamo bene infatti, guardando i nostripreadolescenti, che mentre il loro corpo si sta svi-luppando e crescendo, il loro sviluppo mentale puòapparire invece ancora infantile; oppure che mentresi sviluppa in loro una forte esigenza di socializzazio-ne, può apparire ancora “bambino” il loro modo direlazionarsi. Questo processo a più velocità è quelloche fa apparire spesso i nostri preadolescenti, agliocchi degli adulti, come strani, ancora bambini, diffi-

di Mirko Campoli

Strani, irrequieti,incomprensibili.Ma anche generosi,entusiasti, capacidi sognare. I nostripreadolescenti cipongono interrogativisul piano educativoe relazionalee sollecitano nuoverisposte da famiglia,scuola e comunitàcristiana. Ilresponsabile nazionaleAcr trae alcuneriflessioni da unrecente seminariosu questa bellae complicatafase della vita

Età a piùvelocità

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cili e irrequieti o in qualche modoincomprensibili.Spesso, però, ci si è fermati qui;non si è, cioè, valorizzato debita-mente tutto quell’universo di qua-lità e di possibilità che i preadole-scenti portano con sé. Guardandoi nostri 12/14enni, infatti, dovrem-mo riuscire a scorgere più inprofondità la ricchezza che la loropresenza porta nelle nostre comu-nità. Con occhio diverso, allora, siscoprirebbero, probabilmente,

anche i lati positivi, quali: la generosità, la capacità diappassionarsi, la voglia di “buttarsi” in un grandeprogetto, il loro entusiasmo, lo spirito d’avventura, ladisponibilità al dialogo e alla discussione, l’inventiva

e la loro capacità di sognare. E tale elenco e del tutto“a braccio”, pensando velocemente alle ragazzine eai ragazzini di quell’età che conosco.L’Acr, da sempre attenta a questo particolare arcod’età, ha recentemente promosso un seminario distudio per approfondire e arricchire le motivazioniche spingono un educatore ad accompagnare que-sta bella e complicata fase della crescita. L’appunta-mento, fissato nello scorso mese di dicembre, havisto la partecipazione di tantissimi educatori eresponsabili associativi e ha permesso di raccoglie-re numerosi spunti e stimoli.Si capisce bene come non esista la preadolescenza:in realtà tale definizione la si ritrova solamente suilibri, ma non la si incontra nelle nostre famiglie, nellenostre comunità. Nella vita si incontrano soltanto “ipreadolescenti”, ognuno con un suo modo proprio eirripetibile di vivere questa fase a più velocità; cia-scuno di loro accomunato da un progressivo muta-mento del proprio corpo e della propria immagine.Un mutamento che rende la loro vita oscillante tra lafesta, la spensieratezza e il turbamento e il disagio;tra la voglia di crescita e l’incertezza del nuovo. Que-sti preadolescenti, prima di ogni classificazione deiloro processi, chiedono di essere accolti e aiutati avivere in pienezza la loro età nel rispetto dei tempi diciascuno. Inconsapevolmente essi ci chiedono di farleva sui loro aspetti positivi, per accompagnarli allaricerca della loro identità, unica e originale, e dellaloro “strada”, anch’essa del tutto personale. Altret-tanto inconsapevolmente, forse chiedono ci chiedo-no di respirare aria nuova, di ascoltare parole nuove,di osservare nuove prospettive, di esplorare nuovispazi, di costruire cose davvero nuove.Gli adulti, che sono chiamati ad accompagnare piùo meno direttamente la loro crescita, sappiano diconseguenza avere il tempo per ascoltare, perdiscutere, per costruire, con loro e non a prescinde-re da loro. �g

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Questi ragazzi ci chiedonodi essere accolti e aiutatia vivere in pienezza la loroetà nel rispetto dei tempi diciascuno. Inconsapevolmenteessi ci chiedono di far levasui loro aspetti positivi,per accompagnarli allaricerca della loro identità,unica e originale, e della loro“strada”, anch’essadel tutto personale

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Nelle foto: sopra il giornalista

Mario Rebeschini.A destra

alcuni suoi scatti d’autore

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Interesse verso le religioni, i loro riti e costumi. Ela possibilità d’incontrarle facendo appenapochi chilometri, praticamente senza spostarsidalla propria città. Ciò che vent’anni fa era pos-

sibile solo girando il mondo, oggi è veramente “aportata di mano”. Così Mario Rebe-schini, giornalista e fotoreporterbolognese, ha dato vita al volumeIo credo (Script edizioni), una galle-ria d’immagini attraverso le diversereligioni, tutte raccolte partendoproprio da Bologna. «Nei miei giriattorno al mondo – racconta, pre-sentando l’opera – ho incontratotante piccole e grandi religioni,partecipato a tanti riti, sentito tantepreghiere, tanti canti». Poi, aggiun-ge, «ho ripreso a girare il mondo a

Bologna, senza muovermi da Bologna, frequentandole nuove chiese arrivate con gli stranieri: chiedeortodosse, russe, romene, ucraine, copte, evangeli-che, dei sinti, dei rom, degli indiani sikh, degli indù,le piccole e grandi moschee improvvisate sotto ten-doni e altre».Il desiderio di rappresentare la fede attraverso lefotografie «nasce con la mia religione, il cattolicesi-mo», spiega Rebeschini a Segno. A cominciare dallasua comunità parrocchiale, per la quale ha realizzatoun dvd che ripercorre 40 anni di vita proprio attra-verso le foto da lui scattate. Ma la “curiosità”delgiornalista, l’interesse e il desiderio di conoscere loportano a entrare in contatto, nei suoi viaggi, conaltre Chiese. «Come nel mio mestiere – racconta –mi occupo degli stranieri, dell’emarginazione, deipoveri, di coloro che vediamo solo se li andiamo acercare con un occhio attento, così anche la dimen-sione religiosa m’interessa per capire il prossimo».Finché, negli anni novanta, il mondo con le sue millesfumature è giunto a noi. «Sono cominciati ad arri-

vare gli stranieri: i musulmani, i russi ortodossi, lebadanti ucraine e moldave, i copti eritrei... Avevanobisogno di punti di ritrovo per pregare e io sonodiventato loro amico, li conoscevo perché seguivo leloro vicende e così ho cominciato a partecipare, conla macchina fotografica, ai loro riti religiosi».Da queste manifestazioni di fede, che il fotograforitrova a Bologna,ma analogamente si possono sco-prire in ogni città d’Italia, Rebeschini trae un inse-gnamento per tanti cattolici “timorosi” nel professa-re pubblicamente la propria fede. «Lì vedi una fedeche non ha remore nel mostrarsi in pubblico e que-sto arriva a mettere in crisi noi cattolici che moltevolte ci “vergogniamo” di affermare il nostro credo, emagari risvegliamo la nostra appartenenza religiosasolo perché ci sentiamo attaccati».E tra le diverse confessioni, pur senza cadere in unsincretismo, trova dei tratti comuni. «Tutte le religioni– rileva – hanno una caratteristica: pregano con lemani giunte, segno di pace». Poi «i riti del fuoco, del-l’acqua, del cibo durante o dopo le cerimonie».Dai bambini che baciano la croce il venerdì santo

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Un mondoa colori

di Francesco Rossi

Con la macchina fotograficail giornalista MarioRebeschini ha raccoltoscatti d’autore delle diversereligioni che convivono aBologna. Ne è nato un libro:Io credo. Ritratto meticciodi come diverse esperienzedi fede possano oggirinforzare la spiritualitàdi ciascuno di noi

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alla via Crucis dei mili-tari, dalle processionidei cattolici nel centrocittadino con laMadonna di San Lucaall’ingresso dellacomunità ucrainagreco-cattolica nellanuova chiesa affidataloro a novembre 2009,fino alla tradizionale

processione pasquale dei fedeli ortodossi della chie-sa di San Basilio il Grande del patriarcato di Mosca.E ancora: un matrimonio copto eritreo, le celebrazio-ni dei cristiani evangelici, la preghiera degli ebrei equella dei musulmani, gli indiani di religione sikh neltempio di Novellara (Reggio Emilia), i buddisti e gliindù. È veramente multiforme il panorama religiosofissato nelle immagini da Rebeschini, ed è solo unodegli indicatori di come oggi la comunità che ci cir-conda abbia mille aspetti differenti, frutto di un cam-mino ormai inarrestabile.Il libro di Rebeschini – come tutta la sua produzionefotografica – esalta i colori, perché solo così, secon-do il reporter, si possono percepire le mille sfaccet-tature del mondo e non lasciarsi attanagliare da unosguardo troppo pessimista. Un insegnamento cheegli applica tanto alla fotografia quanto alla vita.«Amo la fotografia a colori perché il mondo è a colo-ri», spiega. Eppure, prosegue, «la fotografia ha unlimite: quando attorno è completamente buio non sipuò scattare, gli odori non li fa sentire, né racconta isentimenti, ma li può solo far intuire». Tornando allasua esperienza a fianco dei fedeli di diverse religioniracconta, ad esempio, del pellegrinaggio degli ucrai-ni alla chiesa di San Nicola, a Bari. «Le badanti ucrai-ne e moldave hanno un solo giorno libero: perciò siparte la sera, dopo cena, appena finita la giornatalavorativa. Si viaggia in treno, la notte, da Bologna aBari e, una volta arrivati, ci si dirige cantando versola basilica. Una volta giunti là, la chiesa viene aperta,si entra e si resta quattro ore a pregare. Poi si torna a

Il libro diRebeschini esaltai colori, perchésolo così, secondoil reporter,si possonopercepire le millesfaccettaturedel mondoe non lasciarsiattanagliareda uno sguardotroppo pessimista

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Bologna». Le foto raccon-tano il viaggio e lascianotrapelare la fede e le fortiemozioni.Un ultimo pensiero Rebe-schini lo dedica al cardi-nale Carlo Maria Martini,che ebbe occasione d’in-contrare all’incontro dipreghiera con i rappre-sentanti di diverse con-fessioni religiose, aMilano nel 1993, e alquale ha voluto dedicarequesto libro. Dopo averfrequentato, e fotografato,

le varie religioni riflette su coloro che non credono.Sembra paradossale, ma anch’essi possono aiutarela fede. E qui cita Martini perché, come ha scritto ilcardinale in Conversazioni notturne a Gerusalemme,ricordando la “Cattedra dei non credenti” da lui volu-ta nella diocesi ambrosiana, proprio i non credenti inquegli incontri «hanno donato ai giovani la tolleranza[...], condividevano con noi obiettivi fondamentali etalvolta escogitavano idee e percorsi migliori deinostri. Attraverso questa cattedra molti cattolici, esoprattutto giovani dotati di spirito critico nellenostre file, hanno imparato a essere aperti al dialogoe a parlare della fede». �g

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Il 15 febbraio 2006 si spegneva a Firenze donDivo Barsotti. Nel quinto anniversario della suamorte si svolgerà a Roma, nei giorni 19-20 feb-braio, un convegno di studio organizzato dalla

“Comunità dei figli di Dio” e patrocinato dal Progettoculturale della Cei.Nato a Palaia (Pisa) il 25 aprile 1914, nel vasto e tra-vagliato panorama della Chiesa del secolo XX, Bar-sotti è stato riconosciuto voce dai toni inconfondibili,autentico mistico, scrittore estremamente fecondoin quasi tutti gli ambiti della letteratura religiosa. Lasua produzione letteraria comprende diari (La fugaimmobile, Parola e silenzio, Ebbi a cuore l’eter-no…), meditazioni teologiche (Il Signore è uno, Lafede nell’Amore, La via del ritorno), studi sulla spiri-

tualità e sulla santità cristiana occidentalee orientale, opere di teologia e spiritualitàliturgica, poesie. Particolarmente riccal’eredità che Barsotti lascia nell’ambitodell’esegesi spirituale della Scrittura (IlMistero cristiano e la Parola di Dio, Laparola e lo spirito, La rivelazione dell’A-more…) e nell’ambito della lettura cri-stiana della grande letteratura mondiale(Dal mito alla verità. Euripide “profeta” delCristo, La religione di Giacomo Leopar-di...). Sono tante le sue opere oggi tradot-te in altre lingue.La volontà di vivere in assoluta docilitàall’azione dello Spirito ha orientato lasua ardente ricerca di Dio su sentieri

particolarmente impervi ed esigenti; e una profon-da esperienza di fede e un’intensa e continua vitadi preghiera hanno generato in lui sin dagli annigiovanili un amore appassionato alla Chiesa. Di suanatura schivo e solitario ricercatore della verità, si èinvece trovato coinvolto in una rete di elevate ami-cizie con altri grandi e coraggiosi ricercatori di Dio(De Lubac, von Balthasar, Bouyer, Danielou, LaPira, Dossetti) ed è divenuto ben presto un autore-vole maestro di fede, riferimento sicuro per tantis-

simi discepoli e figlispirituali.Alla scuola dellasapienza dei grandimaestri e padri dellafede, Barsotti ha svilup-pato il suo cammino diuomo di fede e di vio-lento assertore del pri-mato di Dio su tutto –intendiamo la violenzadell’amore – secondouno stile di vita semprepiù monastico. Purimpegnato in un conti-nuo servizio alla Parola

che lo ha portato a varcare anche i confini dell’Italia,fino al Brasile, al Giappone, all’Australia – nel 1971predicò anche gli esercizi spirituali al papa Paolo VI ealla Curia romana –, Barsotti ha sempre custoditofedelmente e gelosamente la dimensione del suointimo dialogo con Dio, vera e propria lotta con l’an-gelo, come è il titolo del suo primo diario giovanile.La parola di Divo Barsotti, forte e dolce nello stessotempo, resta anche dopo la sua morte audace pro-vocazione per un cristianesimo quotidianamente e atutti i livelli esposto alla mediocrità e al compromes-so. Le ineludibili esigenze dell’amore di Dio, da luiproclamate a gran voce col suo inconfondibile stilefatto di profondità e insieme di semplicità, costitui-scono il leit-motiv dell’eredità di fede e di cultura cheegli ha lasciato all’uomo di oggi.Dalla sua esperienza religiosa, comunicata attraver-so un’impegnativa proposta di incontro umano e dicoinvolgente testimonianza, già alla fine degli anni‘40 è nata intorno a Barsotti la Comunità dei figli diDio, che dall’eremo di San Sergio a Settignano, resi-denza del padre per cinquant’anni e culla dellaComunità, si è estesa in quasi tutte le regioni d’Italiae, negli ultimi anni, anche all’estero: Gran Bretagna,Australia,Africa (Benin), Sri-Lanka, Colombia. �g

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di Agostino Ziino

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InnamoratodellaParolaCinque anni fasi spegneva donDivo Barsotti.Un convegno famemoria del suoattaccamentoal Vangelo,attraversole opere della suavita, i numerosilibri e unmisticismoche non cedevaalle lusinghedelle mediazionitemporali

In alto: don Divo Barsotti

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Leggere un articolo o vedere un servizio tvsui romeni è raro in Italia. Se ne sente par-lare per settimane in occasione di fatti dicronaca nera, ma poi torna il silenzio. Altre

volte, distratti, li confondiamo con i rom che vivononelle roulotte o nelle periferie delle grandi città.Eppure i punti d’incontro sono tanti, troppi per farfinta di niente. In Italia si trova un pezzo di Romaniadato che più di uno straniero residente su cinquearriva da questo paese, tanto da farne la comunitàpiù numerosa. E provando a invertire la prospettiva,si scopre che è vero anche il contrario: in Romania(che, dopo la caduta della “cortina di ferro”, è entrataa far parte dell’Unione europea nel 2007) si può tro-vare un pezzo d’Italia incastonato nell’Europa orien-tale. Da più di dieci anni, infatti, l’economia tricolorecontinua a essere il principale investitore per nume-

ro di aziende registrate. E quantoa importazioni ed esportazioni,siamo secondi solo alla Germa-nia (fonte: Istituto nazionale per ilcommercio estero di Bucarest).Le imprese e il lavoro. «I primiitaliani sono arrivati a Timisoarasubito dopo la rivoluzione del1989», spiega AlessandraScroccaro, dottoranda che studiagli investimenti italiani in Roma-nia per l’università di Padova e diMontpellier. «Erano veneti chelavoravano nel tessile, nell’abbi-gliamento, nel calzaturiero – diceScroccaro – e portavano con lorotecnici, macchinari, materie

prime e capitale». Da allora le cose sono cambiateparecchio. Nella seconda metà degli anni Novanta gliimprenditori arrivarono in massa, attratti soprattuttodal costo della manodopera, dieci volte inferiorerispetto a quello italiano, e dalla vicinanza geografica.

Ma alla fine del 2005 iniziò la crisi nera. Un annoprima in Italia erano state liberalizzate le importazionidalla Cina e la concorrenza costrinse diverse aziendea chiudere. L’entrata della Romania nell’Unione euro-pea, inoltre, fece lievitare il costo della vita e i salari,che per gli operai arrivarono a 350-400 euro netti almese. «Prima del 2008 nella sola provincia di Timisc’erano circa 250 imprese italiane del tessile e delcalzaturiero, mentre adesso credo che non sianoneppure 50», conclude Scroccaro.«Le aziende che hanno resistito alla crisi», sostieneMario Iaccarino, direttore dell’ufficio di Bucarest del-l’Istituto nazionale per il commercio estero, «sono lemigliori perché hanno investito in tecnologie e ciòpermette loro di continuare a essere competitive». Eoltre ad aver cambiato pelle, molte società italiane inRomania si sono spostate più a est, nella parte piùpovera del paese dove i salari sono più bassi. Tra quelle sopravvissute, nella zona orientale c’è laExena di Civitanova Marche, che a Bacau producecalzature antinfortunistica dal 1995 con il nome SirImpex. «All’inizio siamo venuti solo per il basso costodella manodopera», racconta Ermanno Baseggio,responsabile di produzione, «ma adesso serve latecnologia migliore per essere competitivi». Oggi lafabbrica ha 270 dipendenti, meno della metà di un

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La Romania cheparla italiano

Reportage dalla grandenazione dell’est, dovele nostre aziende hannofatto affari per alcuni anni.Ma ora la situazioneè cambiata... E poi ci sono ilproblema dell’emigrazione,gli “orfani bianchi” e latratta delle donne. Parlanostudiosi, funzionaripubblici e imprenditori.Il presidente della Caritasdi Bucarest: «I due paesilavorino insieme»

di Marco Ratti

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paio d’anni fa, e produce circa 5mila paia di scarpeal giorno. L’orario di lavoro va dalle 7.30 alle 15.30per il taglio, il montaggio e l’orlatura, mentre l’inie-zione va a ciclo continuo con tre turni da 8 ore cia-scuno. «Tutto il personale è romeno – spiega Baseg-gio –, anche perché in Italia non c’è la manodoperaqualificata di cui abbiamo bisogno». Il costo mensilelordo per operaio è di circa 400 euro, contro i 260 diqualche anno fa. E la Sir Impex paga anche il tra-sporto a chi arriva da fuori città.Gli orfani bianchi. Negli ultimi anni in Romania è cre-sciuta una schiera di bambini con il mito del nostropaese. Li chiamano “orfani bianchi” e sono ragazzinilasciati a parenti o vicini di casa dai genitori, chepartono per il nostro paese per qualche mese o, inalcuni casi, per qualche anno, alla ricerca di fortuna.I traumi sono indelebili. Come racconta fratel MarcoDe Magistris, presidente della fondazione LeonardoMurialdo di Popesti Leordeni, una cittadina alle portedi Bucarest. «Ricordo un bambino – dice De Magi-stris – che aveva addirittura sfasciato la classequando i genitori erano all’estero». Il religioso spiegache, anche a distanza di anni, questi bambini fannofatica a socializzare con i coetanei e ad avere fiducianegli altri. Una psicologa di Save the Children Roma-nia, Andrea Bisi, fa un lungo elenco delle ferite che siportano dentro spesso questi ragazzini: «Hanno pro-blemi di isolamento, mancano di autostima, vivendocon i nonni fanno fatica a relazionarsi con gli adulti eriscontriamo la paura dell’abbandono».Questi casi, purtroppo, sono sempre più frequenti.Stando a stime Unicef-Alternativa sociale, in Roma-nia gli orfani bianchi sono 350mila, contro gli 82milacasi circa riconosciuti dalle autorità. La onlus “L’albe-ro della vita” ha preparato un dossier su questo argo-mento, dal quale emerge che «il numero di questiminori sarebbe pari al 7 per cento della popolazioneromena tra zero e 18 anni». Nel dettaglio: «157milabambini avrebbero solo il padre all’estero, 67milasolo la mamma. Più di un terzo, pari a 126mila,sarebbero stati privati di entrambi i genitori. 400milaavrebbero sperimentato, per un periodo della lorovita, quella particolare forma di solitudine». Su 5milioni di bambini romeni, quindi, sarebbero in tutto

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A sinistra: la ricercatrice Alessandra Scroccaro.

Inoltre la città di Timisoara dove arrivarono i primi italiani che

lavoravano nel tessile e nel calzaturiero (vedi sotto)

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750mila quelli segnati dalla partenza dei genitori.Le vittime della tratta. L’Italia rappresenta la destina-zione più gettonata dai trafficanti di donne romenecostrette a prostituirsi, seguito dalla Spagna e, ulti-mamente, da qualche nazione nord-europea (Sve-zia, Danimarca, Norvegia), dalla Germania e dallaFrancia. «Di solito le ragazze vengono avvicinate da

persone che conoscono da tempo, e che quindihanno la loro completa fiducia, con promesse dilavoro o di altro genere», spiegano due psicologhe diAdpare, un’associazione di Bucarest che si prendecura delle vittime della tratta. «E una volta giunte adestinazione», continuano le operatrici, «vengonoobbligate a prostituirsi». In alcuni casi le donne rie-scono a uscire da questa situazione, ma di solito civogliono molti mesi prima che trovino la forza diaccettare l’aiuto di qualche associazione e di rac-contare tutto alle autorità. Chi arriva in Italia, nellastragrande maggioranza dei casi finisce in grandicittà, soprattutto a Milano, Bologna o Roma. Leragazze hanno in media tra i 18 e i 25 anni, ma capi-ta che siano reclutate anche delle minorenni.Stando ai dati ufficiali, il numero delle vittime dellatratta identificate è in calo: nel 2009 erano 780,1.240 nel 2008, 1.780 nel 2007 e 2.285 nel 2006.Ma secondo le operatrici di Adpare non c’è da cre-derci. «Nell’ultimo anno abbiamo assistito 72 donne,contro le 123 dell’anno prima», dicono, «ma questecifre possono essere spiegate semplicemente con ilblocco dei finanziamenti pubblici». Fino a marzo2010, per esempio, l’associazione poteva utilizzareuna casa protetta per le vittime che ne avevanobisogno, mentre ora non ci sono più i soldi necessaria farlo. Numeri a parte, secondo Alexandru Cobzaru,direttore di Caritas Bucarest e vicepresidente diCaritas Romania, l’unico modo per far diminuirequesto fenomeno è che i due Stati lavorino insieme:«In Italia dovete far sì che la richiesta diminuisca,mentre in Romania dobbiamo convincere le ragazzea non dare retta a facili promesse». �g

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Il 2010 per i romeni è un anno da dimenticare. In dodici mesi è successo di tutto e i vertici dello Stato hanno complicato lecose. Come se non bastasse la crisi con le sue conseguenze: tra il 2008 e il 2009 il prodotto interno lordo è passato da+7,1% a -7,1% e ha chiuso il 2010 intorno al -2%. Poi ci si sono messi il presidente Traian Basescu e il primo ministro EmilBoc, che pur di ottenere prestiti dalla comunità internazionale hanno sottoposto il paese a una terapia d’urto: taglio del 25%dei salari del pubblico impiego, del 15% per le pensioni e licenziamento di 350mila persone nel settore amministrativoentro 5 anni. A questo punto, però, è intervenuta la Corte costituzionale, bloccando sul nascere la pesante sforbiciata allepensioni. Ma l’esecutivo è tornato subito alla carica e in poche ore ha alzato l’Iva dal 19 al 24%. Risultato di questa girandoladi provvedimenti: il prezzo del riscaldamento è già salito del 10% rispetto allo scorso inverno, i consumi interni continuanoa stagnare, mentre il tasso di disoccupazione sfiora l’8% (era il 6,3% a fine 2009). Ora tutti stanno puntando sul 2011. Dallacomunità internazionale sono arrivati 20 miliardi di euro e il nuovo anno mira a una crescita del Pil di almeno l’1,5%. IlGoverno ha stabilito anche un aumento degli stipendi pubblici del 15% calcolato sulle retribuzioni dello scorso ottobre: pocacosa rispetto a quanto è stato tolto, ma potrebbe trattarsi di un segnale. Per il momento, infine, non è stata toccata l’aliquotaunica di tassazione dei redditi al 16%, che resta tra le più competitive d’Europa. [m.r.]

Pil in caduta libera e tagli ai salariNUOVE SPERANZE DOPO UN ANNO NERO

In alto: Ermanno Baseggio,

responsabile di produzione di

un’azienda di calzature;

sotto Mario Iaccarino,

direttore dell’ufficio di

Bucarest dell’Istituto

nazionale per il

commercio estero

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Sono tante le tragedie, le povertà i conflittidel mondo che passano inosservati agliocchi dell’Occidente, tanti quelli di cui ci sidimentica presto. Asia, Africa, America

latina soprattutto presentano decine di casi di que-sto tipo. Basti pensare ad Haiti, distrutta, il 12 gen-naio 2010, da un terremoto che ha causato 222milamorti, centinaia di migliaia di feriti, un milione di sen-

zatetto. Dopo l’immediatamobilitazione internaziona-le, gli aiuti e la ricostruzionehanno tirato il freno a manoe tanti sono ancora gliaspetti critici: tra questi, «lalentezza nella costruzionedi alloggi, anche provviso-ri», per un milione di perso-

ne che vivono nei 1.200 campi e «la mancata rimo-zione delle macerie». Ne parla mons. BernarditoAuza, nunzio apostolico ad Haiti.

Mons. Auza, quali i passi in avanti più visibili e quali ipunti ancora carenti?I passi più visibili sono anche quelli che fanno appa-

rire la situazione come se nulla fosse cambiato,ossia il fatto che più di un milione di persone vivonosotto le tende o all’aperto e sono ancora vive. Perme è una testimonianza della vastità del lavoroumanitario compiuto dalla comunità internazionale,dalle organizzazioni non governative e da tanteorganizzazioni religiose. Sembra paradossale, mavedo la situazione così. Secondo me, i due punti piùcarenti sono la mancata rimozione delle macerie ela lentezza nel provvedere alloggi provvisori aglisfollati. Ma qui il problema dell’alloggio è moltocomplesso. Ad esempio, più del 70% di chi vive neicampi non possedeva né case né terreni, prima delterremoto. Vivere sotto le tende nella speranza chela comunità internazionale o lo Stato dia loro unacasa è per loro una opzione migliore rispetto a quel-la di vivere altrove.Non è utopico pensare di poter dare alloggi a unmilione di persone?Quanto tempo ci vuole per alloggiare così tantagente? Forse non avremo quel tempo sine die. Percui sono d’accordo che sarebbe utopico. Ci vorreb-bero circa 300mila case per togliere tutta quellagente dai campi. Ma anche senza dare alloggio atutti, molti possono essere aiutati in altri modi:opportunità lavorative, microcredito... È molto piùrealistico e renderebbe protagoniste le persone.La ricostruzione è ancora ferma. Quali ostacoli equali suggerimenti?Gli ostacoli più grandi sono la carenza di quadri, ossiaesperti e professionisti haitiani (l’85% dei professio-nisti haitiani è all’estero), la mancanza di fiducia dellacomunità internazionale nelle capacità del governo dipoter gestire grandi progetti, le capacità limitated’Haiti di assorbire enormi aiuti, la complessità delquadro legale, l’instabilità politica, la storica assenzadello Stato nella vita quotidiana della gente... Sugge-rimenti? Snellire la burocrazia, onestà nella gestionedei beni pubblici. Comunque, per risolvere questiproblemi ci vogliono tempi lunghi. [Sir] �g

Nella foto:

Haiti, 12 gennaio 2011.

Momento di preghiera

a un anno dal sisma

A un anno dal terremoto checausò oltre 200mila morti,servono aiuti umanitari, cibo,alloggi. Ma la ricostruzionestenta a decollare. L’instabilitàpolitica non aiuta la ripresa.Ne parla mons. Auza, nunzioapostolico nel paese caraibico

Haiti ancorasotto le macerie

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L’orso polare non è più a rischio di estin-zione, mentre per salvare la tigre sibe-riana i vertici della politica russa e cine-se hanno stretto con determinazione

un’alleanza epica. Chi si mobiliterà invece per i

diritti umani? Dopo soli 62 anni di vita – compiutida poco – la Dichiarazione universale dei dirittidell’uomo rischia di trasformarsi in una vecchia esbiadita fotografia di quello che fu la civiltà con-temporanea. I luoghi della terra dove i diritti umani

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intervista conMaurizio Simoncelli

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«Nei conflitti ormai l’80% delle vittime è composto da civili inermi e solo il 20%riguarda i combattenti armati. A essere cambiata è infatti la natura stessa delle guerre,che raramente sono interstatali e raramente sono combattute da eserciti regolari.Sempre più vengono prese di mira le donne e i bambini, oggetto di terribili violenzee di stupri sistematici. Basti pensare a quanto accaduto nel corso delle recenti guerrebalcaniche o a quello che soltanto lo scorso anno è avvenuto in Congo, dove neppurele forze delle Nazioni Unite hanno potuto impedire lo stupro di 242 civili, tra i quali28 bambini, nella regione del Nord Kivu». Il vicepresidente di Archivio Disarmo parlacon Segno dei diritti umani negati nel mondo. Ancora troppi. E ancora poco conosciuti.E che riguardano anche gli Stati democratici, i quali spesso applicano una politica dimigrazione e dei respingimenti che non tiene conto di quanto i popolicamminino in cerca di acqua e pane, di pace e di giustizia

di Stefano Leszczynski

Guerra e famebussano allenostre portefoto guerra in Congo

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sono stati ormai estinti quasi non sicontano più e questo triste processo diannientamento non accenna ad arre-starsi, minacciando anche le ultimetraballanti “riserve”.Tutti gli sforzi normativi dei cultori deldiritto internazionale sembrano andatisprecati a causa di conflitti sempremeno convenzionali, di politiche miopie di interessi economici dissennati,che hanno portato gli Stati a produrre22.640 milioni di dollari di armi nel

solo 2009. Il fenomeno è stato preso in considera-zione da un gruppo di ricercatori dell’Archivio Disar-mo che ha da poco pubblicato un libro edito daEdiesse intitolato Dove i diritti umani non esistonopiù. Al curatore del volume, Maurizio Simoncelli,vicepresidente di Archivio Disarmo, abbiamo chiesto

quali siano gli aspettipiù eclatanti dellanegazione dei dirittiumani in gran partedel mondo.«Il primo dato impor-tante – racconta aSegno Simoncelli – è

quello che ci dice che nei conflitti ormai l’80% dellevittime è composto da civili inermi e solo il 20%riguarda i combattenti armati. I civili, insomma, sonodiventati ormai da parecchio tempo un obiettivo pri-mario nel corso dei conflitti. A essere cambiata èinfatti la natura stessa delle guerre, che raramentesono interstatali e raramente sono combattute daeserciti regolari. Ormai è consuetudine soprattuttonei combattimenti intrastatali cercare di terrorizzareil gruppo avversario, distruggerne l’identità eannientarne la coesione sociale. È per questo chesempre più vengono prese di mira le donne e i bam-bini, oggetto di terribili violenze e di stupri sistemati-ci. Basti pensare a quanto accaduto nel corso dellerecenti guerre balcaniche o a quello che soltanto loscorso anno è avvenuto in Congo, dove neppure leforze delle Nazioni Unite hanno potuto impedire lostupro di 242 civili, tra i quali 28 bambini, nellaregione del Nord Kivu».

Paradossalmente tutti questi scenari sono proprioquelli sui quali si è concentrato lo sforzo della comu-nità internazionale per tentare di vietare questo tipodi comportamenti. Siamo di fronte al fallimento del-l’ordine internazionale che le Nazioni Unite hannotentato faticosamente di costruire per oltre mezzosecolo?Le Nazioni Unite cercano di fare il possibile per bloc-care questi fenomeni, ma la diffusione incontrollatadelle armi, in particolare di quelle leggere, in Africasoprattutto, incoraggia enormemente questo tipo diviolenze.

Nella foto a sinistra:

Maurizio Simoncelli,

vicepresidente di

Archivio Disarmo

Le Nazioni Unitecercano di fareil possibile perbloccare questifenomeni,ma la diffusioneincontrollata dellearmi, in particolaredi quelle leggere,in Africasoprattutto,incoraggiaenormementequesto tipo diviolenze

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Nel mondo – secondo i dati forniti dal Small armssurvey 2010 - circolano oltre 875 milioni di armi dafuoco, di questi soltanto 226 milioni sono nelle manidi forze armate e di sicurezza.Le armi leggere concorrono alla violazione dei dirittiumani nel momento in cui la loro presenza e i lorotrasferimenti diventano incontrollati e incontrollabilie il loro utilizzo diviene abuso. Basti pensare al casodel Sudan – per rimanere alla cronaca più attuale –dove si è appena concluso il referendum per lasecessione del Sud Sudan dal resto del paese. Perdecenni i combattimenti in questa regione hannoprovocato milioni di morti e di profughi. In alcunicasi, come per il Darfur, la tragedia è stata cosìimmensa da spingere la comunità internazionale aparlare di genocidio. Una situazione che ha provoca-to esodi di portata biblica e contro la quale il sistemaOnu si è inceppato per gli interessi di alcuni membri,la Cina nella fattispecie, del Consiglio di sicurezza.Ma pensiamo a quanto sono diffuse nel mondosituazioni del genere. Noi, in Italia, restiamo moltocolpiti quando uno dei nostri soldati resta ucciso inAfghanistan, ma quante sono le persone che vengo-no quotidianamente coinvolte nei bombardamenti,nei massacri, negli stupri? E di questo, purtroppo, lagran parte dei mass media tiene poco conto.Molti conflitti vengono ricondotti a situazioni di

discriminazione religiosa. Quanto è rilevante il temadella libertà d religione nel prevenire le violazioni dimassa dei diritti umani? Purtroppo quello della motivazione religiosa è spes-so un pretesto che viene adottato per nasconderealtri interessi e per inasprire gli scontri tra popoli chemagari hanno convissuto pacificamente per secolinella stessa terra. Oltre alle vicende che sono stateevidenziate in questi giorni dai notiziari, pensiamoalla terribile vicenda del Medio Oriente dove persecoli popoli di fedi differenti hanno convissuto paci-ficamente, mentre ormai da 60 anni è un territorioche non conosce pace. Altrettanto vale per la Nige-ria, dove gli scontri si stanno intensificando e le cuiragioni sono legate agli interessi per le ricchezzenaturali di questi territori. Le conseguenze di tuttociò si riversano sulle popolazioni che si trovanoespulse, cacciate, violentate nei loro diritti umani.Quanto conta la responsabilità dei singoli governi intutto ciò?Pensiamo alla tragedia che ultimamente stannovivendo paesi come l’Algeria e la Tunisia, gli scontriche sono in atto sono legati a una situazione econo-mica difficile, non a caso si parla di “rivolta delpane”. La fame, la disperazione e la mancanza diprospettiva delle classi più umili stanno facendo sìche paesi che fino a ora avevano garantito una certa

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stabilità interna vedono progressivamente erodersile basi della convivenza. L’Algeria in particolare è daanni in una situazione di progressivo logoramentodella stabilità sociale, con tensioni molto forti. Que-ste condizioni si trovano terreno fertile quando igoverni che non riescono a rispondere alle esigenzedella popolazione vedono come unica soluzionequella di ricorrere alle armi. Situazioni simili non siricordavano più da molti anni nel Maghreb.Tuttavia il tema dei diritti negati riguarda anche gliStati più “democratici”. Non a caso nel libro c’è unintero capitolo dedicato alle migrazioni e alla praticadei respingimenti.Assolutamente sì, perché come conseguenza ditutte queste guerre dimenticate e di queste violenzesistematiche c’è inevitabilmente una spinta a muo-versi, a fuggire, a cercare altrove delle condizioni divita migliori. Milioni di persone si spostano da unaparte all’altra del proprio paese, o valicano frontiere,attraversano mari e continenti per non rischiare dimorire. E qui entra in gioco la responsabilità degliStati più ricchi. Con la politica dei respingimenti indi-scriminati i paesi che avrebbero la possibilità diospitare, almeno in modo mirato, le persone chesono oggetto di persecuzione, di pericolo di vita, iprofughi che fuggono da situazioni di pericolo, si tro-vano invece a perseguire una politica di chiusura. Quello che emerge dal libro è un fortissimo egoismoa livello internazionale. Come si è arrivati a questadegenerazione del sistema internazionale?Nel momento in cui si è pensato che uno squilibriotra Nord e Sud del mondo potesse essere gestito emantenuto si è fatto il più grosso errore della nostrastoria contemporanea. Si credeva che le differenze ele disuguaglianze non avrebbero prodotto conse-guenze sui nostri stili di vita. È così che ci siamo tra-sformati in una “fortezza”, senza renderci conto chele contraddizioni di questo mondo non possonoessere affrontate erigendo dei muri.. �g

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Milioni di personesi spostano da unaparte all’altra delproprio paese,o valicano frontiere,attraversano marie continenti per nonrischiare di morire.E qui entra in giocola responsabilitàdegli Stati più ricchi

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di Silvio Mengotto

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Quanto era alto Golia? Doveci si può confessare online? Dove è sepoltoAdamo? «Chi cerca trova»

l’ha detto Gesù... e centinaia di altrenotizie che ognuno vorrebbe cono-scere su Dio e la Chiesa e non si osamai chiedere. Dagli strani costumi deimonaci che pregano sugli alberi alfrate heavymetal, dai papi dei recorda quelli deposti, assassinati, eletti trevolte... E poi ancora, il bancomat delVaticano che parla latino, le curiositàdella Bibbia, dei santi e delle loromolte reliquie, i misteri dei luoghisacri. Il volto curioso del cristianesimopresentato con ironia e stile. GiorgioNadali è autore di I monaci sugli alberi(San Paolo), testo che attira l’atten-zione con garbo e ironia, aiutando adapprendere argomenti non scontatiné per forza banali.Ai ragazzi è invece dedicata una sto-ria d’Italia molto particolare. C’erauna volta... il Risorgimento (Effatàeditrice) spiega ai bambini, con testie molte fotografie, disegni, cartegeografiche e mappe concettuali, l’I-talia di Cavour e di Mazzini, quella delbeato Cottolengo e di Garibaldi.Sempre di storia si occupa I padridell’Europa. Alle radici dell’Ue (Libre-ria editrice vaticana), a cura di Cosi-mo Semeraro e promosso dal Pontifi-cio comitato di scienze storiche, cheracconta le vicende e l’europeismo di

Monnet, Schuman, De Gasperi eAdenauer.Dopo Cent’anni da interisti, il giorna-lista Mauro Colombo pubblica L’ulti-mo dribbling del Balilla (editoreMorellini). Due libri dai quali emergela passione per la squadra neroaz-zurra che, dal collettivo, si focalizzapoi sulla figura di Giuseppe Meazza.Il nuovo volume è il romanzo umano esportivo del giocatore simbolo del-l’Inter nel centenario della nascita.«Un profilo documentato e precisodell’uomo e del calciatore Meazza,ma non si tratta della classica bio-grafia, di stampo quasi enciclopedico– scrive nella prefazione Bruno Pizzul–. È qualcosa di diverso, di più direttoe coinvolgente». Colombo mostrasoprattutto di amare il football, losport in sé; e dunque la lettura si puòtranquillamente consigliare anche aitifosi romanisti, juventini, milanisti onapoletani. Ancora tre titoli che si soffermano sufede, religione/religioni, e spiritualità.Il cardinale Carlo Maria Martini pub-blica, con In Dialogo (Ac di Milano) Levirtù. Per dare il meglio di sé. Lo stu-dioso Paolo Branca, islamista difama, firma invece Guerra e pace nelcorano (Edizioni Messaggero Pado-va). Infine Paola Dal Toso e LucioSembrano sono gli autori di MioSignore e mio Dio. Meditazioni sulRisorto (Città nuova) �g<

Religioni, curiositàe un po’ di storia

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nidi Antonella Gaetani

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Viareggio ospita Garibaldi

Una mostra intorno a un capolavoro. La propone fino al 13 marzo il Centro Matteucci per l’artemoderna di Viareggio. Il capolavoro è il celebrato Garibaldi a Palermo dipinto intono al 1860 da

Giovanni Fattori. Il grande olio è una delle raffigurazioni più famose sul tema dell’epopea dei Mille etra le più cinematografiche. Infatti registi come Blasetti e Visconti si sono rifatti alle inquadrature diFattori e a questa specifica opera per grandi film, da 1860 a Senso a Il Gattopardo. La scelta deicuratori – Giuliano Matteucci, Francesca Panconi e Roberto Viale – non si è risolta in una semplicee scontata mostra sul Risorgimento, bensì in quello che, data l’unicità dell’opera, potrebbe essedefinito un vero e proprio dossier storico-pittorico. Il Garibaldi è affiancato, nella mostra viareggina,

da una serie di opere di Borrani, Buonamici, Bechi e dello stesso Fattori. Riscoperto alla metà del secolo scorso dopo anni di oblio, lo sipuò considerare punto cruciale della maturazione dell’artista. Incentrato su uno degli episodi cruenti della campagna di Garibaldi inSicilia, al di là di ogni retorica, documenta il momento in cui le truppe con le camicie rosse sono impegnate il 27 maggio negli scontriall’ingresso di Palermo. Per info: 0584 430614. �g

L’arte aborigena a Nuoro

La Sardegna è la protagonista di un evento eccezionale. Dall’11 febbraio al 26 giugno è presentata la piùcompleta esposizione sull’arte aborigena australiana al Museo d’arte di Nuoro: Dreamtime. Lo stupore

dell’arte aborigena. L’esposizione si avvale delle massime collaborazioni istituzionali da parte italiana eaustraliana ed ha come “garante di qualità” il Koorie Heritage Trust, unico organismo riconosciuto a livellointernazionale per la valorizzazione e lo studio delle culture aborigene. Secondo i curatori, quella che giungein Sardegna è la più numerosa collezione di lavori aborigeni che abbia mai lasciato l’Australia, opere non

rappresentative della solita tradizionale area del Western Desert, ma di un territorio vastissimo, da Victoria fino al Qeensland, provenienzache consente di mostrare le profonde differenze fra tribù che si riflettono sui loro manufatti. La mostra include artisti noti come CliffordPossum, Jhon e Luke Cummins, Trevor Turbo Brown, Craig Charles e artisti emergenti, che si stanno affermando nel panoramainternazionale. «È una sorta di infanzia della storia – sottolinea Cristiana Collu – che avvicina il contemporaneo, il tempo presente alle nostreradici, con una forte spinta alla scoperta, alla creazione, alla invenzione, al rispetto, al riconoscimento e infine al senso di appartenenza ailuoghi che hanno plasmato e plasmano la nostra visione del mondo». La forza iconografica delle opere in mostra, la simbologia primitiva earcaica, determinano una serie di analogie con la cultura sarda primigenia, archeologica, tradizionale e identitaria, creando un grande giocodi rimandi e risonanze che ci riporta alle evidenze e ricchezze del territorio che abitiamo. L’ingresso è libero. �g

mostra

Bologna: pittura e animali

IMusei di zoologia e anatomia comparata dell’Università di Bologna si aprono a una mostra – visibile fino al27 marzo – di arte contemporanea che indaga le relazioni tra la pittura e il mondo animale dal titolo

Fisiologia del paesaggio. Juan Carlos Ceci, Fulvio Di Piazza. A partire dagli innumerevoli reperti quiconservati, che spaziano dagli uccelli impagliati a impalcature scheletriche di grande dimensione, le opere diJuan Carlos Ceci (Saragozza, 1967) e Fulvio Di Piazza (Siracusa, 1969) si confrontano infatti con uno degliaspetti più interessanti della pittura: la sua organicità, il suo essere nel contempo produzione alta e disciplinache raccoglie i flussi ematici e umorali di chi instancabilmente la pratica. In maniera particolare il paesaggio,parola che accende la fantasia evocando l’intreccio di bellezze naturali e antropiche che caratterizzano quelloche vediamo. Eppure il paesaggio non è solo l’ambiente che ci circonda, ma è soprattutto il risultato di storie e

di idee, di funzioni e proiezioni che si stratificano: l’esito di un processo anatomico in cui numerosi elementi – come il colore dell’erba,l’umidità del terreno, il rumore del vento o l’odore della nebbia – hanno subìto modificazioni e processi che sono riconducibili alleesperienze fisiologiche. Le opere, allestite nelle teche e nelle vetrine, raccontano così le pieghe più intime di quel rapporto atavico chelega viscere, uomo e contesto naturale, in un addensarsi di suggestioni in cui il paesaggio oscilla tra malinconia, natura morta edeffervescente invenzione cromatica. L’ingresso è libero. �g

paesaggio

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Giochiamo a scarica barile? Non so sequesto gioco sia divertente, ma so che hatenuto impegnate la maggior parte dellenostre amministrazioni, dei governi euro-

pei e non, delle istituzioni e delle aziende nell’AnnoEuropeo della lotta contro la povertà e l’esclusionesociale. Speriamo che il gioco cambi in questo2011, Anno europeo del volontariato, o, più corretta-mente, Anno europeo delle attività di volontariatoche promuovono la cittadinanza attiva: dizione lungae complicata, ma che forse si giustifica con la diffi-

coltà a definire il volontariato,che nei diversi paesi del con-tinente assume forme e haregolamentazioni legislativediverse.La difficoltà, peraltro, è pre-sente anche in Italia, bastaguardare il balletto delle cifresparate tra 2009 e 2010.Secondo l’Istat, la partecipa-zione sociale è calata nel2008, con una ripresa soloparziale nel 2009. Secondo ilCoordinamento dei centri di

servizio per il volontariato, le organizzazioni sonoraddoppiate, passando dalle 21mila del 2.005 alle42mila attuali. Il Rapporto Eurispes 2010 sostieneche i volontari nelle organizzazioni sono circa1.100.000, cui si aggiungono i 4 milioni di volontariche operano individualmente o in altri enti e in modonon continuativo. Astra Ricerche dice che negli ulti-mi tre anni ci sarebbe stato un calo dei volontari del10% (del 19% negli ultimi otto): in cifre assolutesono passati da 7,2 milioni nel 2002 a 5,8 milioninel 2010. I casi sono due: o gli istituti di ricerca sono come me(cioè non ci capiscono niente di numeri), oppureognuno ha una propria idea di volontariato. Chi inve-

ce sembra averne un’idea omogenea sono i politici egli amministratori, la maggior parte dei quali hannocapito che:� il volontariato è utile perché, mentre le povertàcrescono ma si taglia sul welfare e sulla sanità, essotappa qualche buco e contribuisce a tenere bassa latensione sociale;� è meglio che il volontariato rimanga un utile idiota,senza riconoscimento culturale né “politico”, per-ché, se gli dai la parola, comincia a criticare e simette in testa di cambiare il mondo;� siccome i volontari sono buoni (nel senso popolaredi “un po’ fessi”), si può fare a meno di dare lorosostegni degni di questo nome, tanto finisce che lecose le fanno lo stesso, perché mica possono lascia-re i poveracci per strada, no?� i pochi spiccioli che sono rimasti a disposizione, èmeglio darli a quelle organizzazioni che fanno partedella propria filiera politica (non va più di moda dire“clientelismo”).Infatti nel 2010 sono stati dimezzati i fondi per il ser-vizio civile, sono state abolite le agevolazioni postaliper il no profit, è stato frantumato il 5 per mille(prima sceso al 25%, e ora, forse, risalito al 75%),sono diminuiti i fondi a disposizione dei Centri di ser-vizio. In compenso, sono aumentati gli adempimentiburocratici e amministrativi, che a volte portano viaalle piccole associazioni più tempo ed energie diquelle impegnate nell’aiuto agli altri.Un fatto su cui i dati concordano è che volontariato eterzo settore riscuotono fiducia: si fida di esso (piùche delle istituzioni, delle forze dell’ordine e dellapolitica) il 73% degli italiani secondo Eurobarome-tro, l’82% secondo Eurispes. Alla fiducia corrispon-dono alte aspettative: da una ricerca svolta dal Cen-sis nel Lazio, risulta che i cittadini si aspettano persi-no che il volontariato riesca a rendere un po’ più tra-sparenti le amministrazioni e le istituzioni. Un po’troppo, forse. �g

di Paola Springhetti

Il volontariatoe il balletto delle cifre

Un fatto su cui i daticoncordano è chevolontariato e terzosettore riscuotonofiducia: si fidano diesso (più che delleistituzioni, delle forzedell’ordine e dellapolitica) il 73% degliitaliani secondoEurobarometro, l’82%secondo Eurispes

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� Sì al risparmio energeticoEgregio direttore, a nome mio edell’Amministrazione che rap-presento sono a ringraziarla perl’articolo apparso sul mensileSegno in merito al concorso“Comuni virtuosi 2010”, firmatoda Alessandra Gaetani. La parte-cipazione al concorso e il ricono-scimento della menzione specia-le al nostro progetto “Specchilineari” ci inorgoglisce e ci spingea continuare sulla strada delrisparmio energetico e la tuteladell’ambiente e del territorio. �g

Isabella De Monte,sindaco di Pontebba (Udine)

� Giustizia e misericordiaCarissimo Segno, ho avutomodo di leggere il numero delmese di gennaio con il serviziosulle carceri e sui volontari chevi operano. L’ho trovato benfatto ed equilibrato, nonostantetrattasse un tema molto, moltodelicato. Io ho alle spalle unasofferenza grande a questoriguardo e mi permetto solo diricordare che bisognerebbeguardare ai carcerati oltre checon gli occhi della giustizia, affi-data ai Tribunali, anche con gliocchi della misericordia. �g

Emma, madre e insegnante

� Far festa suonandoRidendo e scherzando ci siamoaccorti che oramai sono trent’anniche tra altri e bassi suoniamo insie-me! Prima di tutto il nome, “HappyBand” - “Felice Gruppo”, nato in par-rocchia molti anni fa da un piccologruppo di giovani “all’ombra delcampanile”, ha segnato sempre ilnostro cammino. Questo è stato neglianni il denominatore comune delnostro stare insieme. La cosa impor-tante è stato quello di suonare e farfelici chi ci ascoltava, con la nostramusica e con il nostro stare sul palco.Ognuno di noi porta nel cuore i tantibei momenti vissuti: dalle prove fattenei sotterranei della parrocchia alleperformance qua e là nei paesi frauna festa e l’altra. [...] Penso cheesprimere la propria gioia con lamusica sia una delle cose più belleche il Signore potesse dare agliuomini ed è per questo che ringrazia-mo il Signore di averci accompagna-to e sostenuto in questo tempo. [...]Anche noi nel nostro piccolo siamouna piccola luce e una testimonian-za. Il risultato di questo nostro stareinsieme deve essere un’armonia: disuoni, balli, caratteri, emozioni, origi-nalità, voglia di stare insieme, delica-tezze,che è contagiosa! [...]. �g

Matteo Buratti, Cesena

� C’è di più: fantastico!Carissimi amici dell’Ac, il 30ottobre a Roma è stato fantasti-co. Il viaggio da Padova è statoun po’ lungo, la giornata intensa,la fatica anche. Ma è stato tuttobello: i colori, gli amici, le paroledel Papa, gli insegnamenti delpresidente e del nostro vescovo.[...] Grazie a tutti. �g

Marta, seconda liceo

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Questa volta ringrazio Giovanni Pirrera, lettore di Agrigento, che segnala l’opportunità di canonizzarela figura di Alcide De Gasperi, che definisce «politico e statista onesto e cristallino al 100%». Ugual-mente ringrazio l’Azione cattolica della diocesi di Saluzzo per aver condiviso con la redazione diSegno la pubblicazione intitolata Protagonisti. Aurelio F., di Casamassima, segnala che «il problemadel lavoro dei giovani è il primo da mettere nell’agenda della politica italiana». Aurora Croci (se leggobene il cognome), indica invece nella figura di madre Teresa di Calcutta un esempio di fede e diamore per l’umanità «che ogni donna e uomo del nostro tempo dovrebbe tener presente nella vita diogni giorno». Sulla vicenda degli accordi stipulati e poi disattesi dal Comune di Milano per sistemarele famiglie presenti nel campo Triboniano in alcuni alloggi pubblici, i presidenti di quattro realtàambrosiane hanno scritto una nota congiunta, di grande interesse, che si conclude così: «Sollecitia-mo soluzioni rispettose della legalità e non condizionate da esigenze elettorali che spingono purtrop-po verso prese di distanza da un gruppo marginale come quello dei rom. Invitiamo le istituzioni asvolger fino in fondo la loro parte come rappresentanti degli interessi comuni ed esprimiamo stima econdivisione a chi, a nome anche di una città distratta, sta lavorando a favore di accordi rispettosidella legge e delle persone coinvolte». I firmatari sono: Valentina Soncini, presidente Azione cattolicaambrosiana; Gianni Bottalico, presidente Acli Milano, Monza e Brianza; Marco Garzonio, presidenteFondazione Ambrosianeum; Elisabetta Cambieri, presidente Gruppo promozione donna. [g.b.]

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Immersa nel verde del monte Canto, in un’atmo-sfera che sembra rimandare all’epoca delle ori-gini, se non fosse per le rare automobili che siincontrano, sorge da quasi mille anni il priorato

di Sant’Egidio di Fontanella, uno degli esempi piùimportanti del romanico bergamasco.Sant’Egidio è uno dei pochi casi di cui si conosconola data di fondazione e il nome del suo fondatore.Tutto ha inizio il 13 gennaio 1080, quando Alberto daPrezzate, all’epoca non ancora monaco, per provve-dere al bene dell’anima sua e dei familiari Teiperga,Isengarde e Giovanni, decise di lasciare una parte deipropri averi, per la fondazione di un nuovo monaste-ro, inserendolo nella rete delle abbazie cluniacensi, ilmovimento di riforma benedettina, nato in Borgognanel 909, che in meno di una ventina dalla nascitaaveva scavalcato le Alpi ed era giunto anche in Italia.Alberto, appartenente a una ricca famiglia di originelongobarda, aveva già dato vita l’8 novembre 1076alla vicina abbazia di San Giacomo di Pontida e ora,dopo questa nuova fondazione, aveva maturatoanche la decisione di seguire personalmente la rego-la di San Benedetto, entrando a far parte dell’ordinecluniacense, sotto la guida di Ugo di Cluny.Alberto, ormai abate, manterrà fino alla morte, avve-nuta nel 1095, un occhio di riguardo nei confronti

del priorato di Sant’Egidio. Grazie allafelice situazione economica, favoritadalla costante donazione di beni e di ter-reni, la comunità monastica già nel1130 poteva avviare importanti lavori diampliamento della struttura primitiva.Con la seconda metà del XIII secolo ini-ziava però un declino inesorabile per ilcenobio, favorito anche dalla cattivacondotta morale del priore Gerardo daMapello, il quale – protagonista dei peg-giori intrighi medievali – aveva fattouccidere il priore di Pontida, Bonifacio

della Torre, per essere a sua volta assassinato pervendetta nel 1289. Iniziavano così decenni di alternefortune per Sant’Egidio, caratterizzati dall’abbatti-mento di parte delle strutture monastiche, alla lororicostruzione, dal trasferimento dei monaci in luoghipiù sicuri, alla nomina di un abate commendatario,dal passaggio del territorio sotto il dominio venezia-no, fino ad arrivare, il 12 aprile 1473, alla decisionedi papa Sisto IV di annettere il beneficio di Sant’Egi-dio alla basilica di San Marco di Venezia, decretan-done così la fine dell’autonomia.Bisognerà attendere la metà del Seicento perchéSant’Egidio potesse in qualche modo “risollevare latesta”, diventando parrocchia, ruolo che mantennefino al 1930, con la costruzione più a valle, in localitàPiana, di una nuova chiesa. Solo a partire dagli anniCinquanta, grazie all’interessamento del futuro papaGiovanni XXIII, che a Sant’Egidio fu sempre profon-damente legato, furono avviati importanti interventidi restauro, seguiti nel 1964 dall’arrivo di una comu-nità religiosa – l’Ordine dei Servi di Maria – guidatada padre David Maria Turoldo, celebre poeta e prota-gonista della Chiesa del Novecento, che subito diedevita al “Centro di studi ecumenici Giovanni XXIII” e,

di Paolo Mira

Nella sua severitàe semplicità, il prioratodi Sant’Egidio diFontanella appareal visitatore per quelloche è: un luogo“dell’anima” doveancora oggi è possibilerespirare il soffio dellospirito di GiovanniXXIII e di padreDavid Maria Turoldo

Il fascino diSant’Egidio

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due anni più tardi, a una sede per incontri e ospita-lità, denominata “Casa di Emmaus”. Anni di intensaattività, che prosegue anche oggi nel solco tracciatodal fondatore, scomparso nel 1992, che ha volutoessere sepolto in un’umilissima tomba del piccolo

cimitero locale. A partire dal 1998 il complesso diSant’Egidio è stato sottoposto a un nuovo e un gene-rale intervento conservativo, che ha portato alla ria-pertura della chiesa abbaziale nel 2001.Oggi la struttura appare, nella sua severità e sempli-cità, che certamente discorda da quella che dovevaessere la ricca ornamentazione di un tempo, quandoil priorato fungeva da baluardo cluniacense in terralombarda; tuttavia ciò che colpisce il visitatore è lacapacità di questo luogo di comunicare l’anticofascino delle origini. La struttura a tre navate, che siconclude con altrettante absidi, è sovrastata dallamassiccia torre nolare a base quadrata, tipica dellearchitetture cluniacensi. All’interno della chiesa,nelle navate laterali, separate dalla maggiore permezzo di colonne con capitelli scolpiti, è ancora leg-gibile una teoria di santi dipinta in epoche differenti,ma riconducibile al XV e XVI secolo, che sembravoglia accompagnare lo sguardo verso il catino absi-dale, dove domina un grande Cristo Pantocratorecircondato dai simboli degli Evangelisti.Due ultime note di colore riguardano la grande arcain pietra, posta sul sagrato, che la tradizione identifi-ca con la sepoltura dell’antipapa Vittore IV e, sul fian-co destro della chiesa, il bel sarcofago di Teiperga,sorella o comunque esponente della famiglia diAlberto da Prezzate che, oltre a essere considerata“fondatrice” dell’abbazia, per lungo tempo si è volutaerroneamente identificare con la regina Theotberga,la moglie ripudiata di Lotario II re di Lotaringia. �g

Nelle foto: immagini

del Priorato di Sant’Egidio

di Fontanella.

Sopra, la tomba di padre

David Maria Turoldo

Sant’Egidio di Fontanella

Come arrivare a Sant’Egidio di Fontanella

Il priorato di Sant’Egidio di Fontanella sorge nel Comunedi Sotto il Monte – Giovanni XXIII (Bergamo) ed è facil-mente raggiungibile utilizzando l’autostrada A4 Torino-Venezia, uscendo al casello di Capriate San Gervasio. Allarotonda imboccare la seconda strada a destra in direzioneCalusco d’Adda; percorsi circa 12 km, alla rotonda di Caluscoprendere la seconda strada a destra seguendo le indicazioniper Sotto il Monte, che dista solo 4 km. All’ingresso delpaese natale di papa Roncalli, seguire sulla destra le indica-zioni - la strada non è molto ampia - per la salita a Fonta-nella. L’abbazia è aperta tutti i giorni dalle 9 alle 18 (inestate fino alle 19). Per maggiori informazioni:www.priorato-santegidio.it.Tornando a Sotto il Monte vale la pena una visita ai luoghigiovannei: in particolare la casa natale di papa Roncalli e ilmuseo di Ca’ Maitino.

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Sarà l’educare il tema centrale, il fil rouge, illeitmotiv che anche in questo 2011 appe-na cominciato caratterizzerà le pagine diSegnoPer. E potrebbe forse essere diver-

samente, considerando i ripetuti inviti di BenedettoXVI, che ritiene quella da lui definita una vera e pro-pria «emergenza educativa» una grande e ineludibi-le sfida per tutti gli uomini del nostro tempo e per icredenti in particolare? E potrebbe forse esserediversamente all’inizio di un decennio che la Chiesaitaliana ha voluto dedicare all’«arte delicata e subli-me dell’educazione»? E potrebbe forse essere diver-samente in un’associazione, quale l’Azione cattoli-ca, che questo tema ce l’ha nel dna e la cui lungatradizione è tutta contraddistinta dall’attenzione allapersona e alla sua crescita cristiana? E potrebbeforse essere diversamente in un tempo in cui èvenuta meno la fiducia nell’educare, la convinzioneprofonda che è possibile e necessario indicare ai piùgiovani la strada, trasmettere senso e valori da unagenerazione all’altra, condividere quella Buona Noti-

zia che ha cambiato la nostra vita? Epotrebbe forse essere diversamenteall’interno di una rivista rivolta in primoluogo e principalmente ai formatori?Una rivista che quest’anno, in ragione deinon superati problemi connessi all’au-mento delle tariffe per la spedizionepostale, sarà pubblicata solo on line, maproprio per questo sarà ancora piùaccessibile anche ai non “addetti ai lavo-ri” (ammesso che ci sia qualcuno che puòdirsi tale in un campo come quello dell’e-ducazione che – sono parole del nostropresidente, Franco Miano – è una vera epropria «impresa comunitaria che passaper uno scambio affettuoso tra genera-zioni») e potrà diventare un luogo di con-

fronto e di dibattito.E c’è un grandissimo bisogno di parlare di questecose: basti pensare a come fioccano dal Nord al Sude dall’Est all’Ovest del nostro paese le scuole pergenitori, chiaro segnale della percezione di un’ina-deguatezza a svolgere un compito che una volta eraconsiderato naturale, quasi istintivo. Saranno per-tanto benvenuti, come del resto lo sono semprestati, ma con un’attenzione maggiore a favorirli e astimolarli in un’apposita rubrica, tutti i contributi, lerichieste di approfondimento, le sottolineature, leosservazioni che i lettori vorranno muovere su que-sto tema e più in generale su tutti gli argomentiaffrontati da SegnoPer. Intervenite, dunque, non esi-tate a prendere la penna in mano, meglio ad accen-dere il computer e a mettere nero su bianco pensie-ri, dubbi, fatiche, problemi che ogni giorno affollanoil vostro servizio di educatori o semplicemente lavostra vita di uomini e di donne consapevoli che lapropria opera non è volta unicamente al versanteintraecclesiale, ma si pone al servizio dell’integralitàdella persona.Queste le attenzioni che la redazione si è proposta dicoltivare nel continuare a parlare di educazione:- rimettere al centro la persona e la relazione educa-tiva, precisando che persona abbiamo in mente eche cosa vuol dire educare rispetto a questa conce-zione della persona, coscienti che – come scriveFranco Miano in Chi ama educa (edizioni Ave) – «l’e-ducazione non può limitarsi alla trasmissione di“nozioni” attraverso tecniche che mettano in campodelle, sia pur necessarie, competenze psico-pedago-giche. L’educazione è, prima di tutto e fondamental-mente, una scelta di speranza che investe sullalibertà della persona, una scelta operata da testimonie maestri capaci di scorgere in ogni essere umano lascintilla di Dio. In tal senso è una risposta del cuoreanimata da una profonda passione per l’uomo»;

Il bimestraleper i responsabilidell’Azione cattolicadal 2011 passa dallacarta stampata ainternet. Sarà così adisposizione di tuttal’associazione e potràdiventare strumentodi crescita, di studio,di confronto.Segno ne rilancerài contenuti, spiegatiin questo numerodalla coordinatricedi redazione

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SegnoPer,focus sull’educatore

di Fabiana Martini

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- alimentare la speranza, in un tempoche non sembra capace di offrire orizzonti di futuro,ma si limita a gestire le paure: come afferma il Papae come ci ricordano i nostri vescovi, «“anima dell’e-ducazione, come dell’intera vita, può essere solouna speranza affidabile”. La sua sorgente è Cristorisuscitato da morte. Dalla fede in lui nasce unagrande speranza per l’uomo, per la sua vita, per lasua capacità di amare»;- raccontare ciò che non cambia (ovvero ciò cheresta) in un mondo che cambia: prendendo in presti-to uno slogan del settore Giovani di qualche anno fa,esplorare le proprie radici per riuscire a spiegare leali dell’evangelizzazione del terzo millennio cristiano;- superare il lessico dell’emergenza per provare aridire il nostro vocabolario educativo abbeverandocialle fonti associative;- lasciarsi interpellare dalle trasformazioni avvenutenella società, in particolare da quelle avvenute nelmondo della comunicazione, dimensione dotata diun valore essenziale per l’educazione: il ruolo deiprocessi mediatici nei processi educativi – scrivono inostri vescovi in Educare alla vita buona del Vangelo– è sempre più rilevante. Un obiettivo da raggiunge-re sarà dunque quello di educare alla conoscenza diquesti mezzi e dei loro linguaggi e a una più diffusacompetenza quanto al loro uso. In un tempo in cuiTwitter e Facebook hanno sostituito caffelatte ebiscotti, tanto per sottolineare come tutta la giornata

sin dal suo ini-zio sia caratte-

rizzata da questa simbiosi con la tecnologia digitale,questo è un aspetto che non si può trascurare oapprocciare con superficialità;- offrire agli educatori spazi e strumenti per la loro for-mazione spirituale, perché con il nostro presidente «cisembra di poter dire che agli educatori va chiestaprima di tutto una intensa cura della propria vita spiri-tuale, la disponibilità a percorrere essi stessi un cam-mino di formazione permanente, l’impegno per lapropria crescita umana, per poter diventare cristiani ecittadini appassionati di Dio, del mondo e dell’uomo».Ma su SegnoPer (il primo numero del 2011 sarà inrete da febbraio, nel sito associativowww.azionecattolica.it) ci sarà spazio anche perapprofondire la dimensione internazionale dell’Ac,che significa in primo luogo educare alla dimensionecattolica della Chiesa; per conoscere la storia e lamission dei nostri Istituti e del Centro studi; per pre-pararci a vivere con consapevolezza la prossimaAssemblea nazionale di maggio. E continuerà natu-ralmente il Filodiretto del presidente e dell’assisten-te con tutti i lettori.Gli argomenti dunque non mancano, le parole perdirli nemmeno, gli strumenti per diffonderli ancormeno: non ci resta che augurarci buon cammino,sperando che quanto sapremo condividere non cilasci uguali e ci aiuti veramente a crescere. �g

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In alto: le ultime copertine di

SegnoPer

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In occasione dell’incontro nazionale del 30 otto-bre scorso C’è di +. Diventiamo grandi insieme,l’Azione cattolica ha presentato i nuovi progettigrafici delle riviste dei piccoli soci: bambini,

ragazzi e giovanissimi. Tutti avremo avuto certamen-te l’occasione di sfogliare La Giostra, Foglie, Ragazzie Graffiti. Sicuramente avrete notato che due di que-ste riviste si sono completamente “rifatte il truc-co” e hanno indossato un abito “nuovo”: si trattadi Foglie e Ragazzi!Un percorsodurato diversimesi ha accom-pagnato le reda-zioni che, sup-portate dalla pre-sidenza nazionalee dalla FondazioneApostolicam actuo-sitatem, si sonoconfrontate conpedagogisti edesperti della lettera-tura per l’infanziadando vita a nuove idee di comunicazione per i bam-bini e per i ragazzi a partire dalla nuova suddivisionedei target di riferimento delle riviste stesse.Questo rinnovamento è pienamente inserito neilineamenti che i nostri vescovi ci hanno affidato per ilprossimo decennio, interamente dedicato al tema

dell’educazione, attraverso gli Orienta-menti pastorali Educare alla vita buonadel Vangelo. L’associazione, infatti, dasempre ha investito sull’educazionemediante la promozione della stampaassociativa e quest’anno in particolarmodo vogliamo cogliere la sfida dei

vescovi ristrutturando le nostre riviste: riorganizzan-do colori, linguaggi e grafica, così da arrivare a piùbambini e ragazzi possibile e, se pure essi non fos-sero ancora iscritti all’Ac, non sarà un problema!Accompagneremo anche i numerosissimi simpatiz-zanti in un cammino di crescita umana e spirituale,diventando grandi insieme e... chissà che non

diventeranno anche soci.Le riviste sono cura-te da giovani e adultiinnamorati dell’Ac eappassionati dicomunicazione che,insieme a un gruppodi esperti nel settoredella comunicazioneper l’infanzia (illustra-tori, sceneggiatori,pedagogisti, insegnanti,educatori), elaboreran-no le riviste che quasiogni mese (da quest’an-

no i numeri saranno 8 e non più 10 a causa deitagli ministeriali al contributo di spedizione, comegià accennato su Segno) arrivano nelle case deinumerosi soci ma non solo.Sono infatti tantissime le scuole che hanno deciso diabbonarsi, così come tante parrocchie acquistanonumerose copie per promuovere l’educazione e laformazione dei più piccoli nelle proprie comunità.Quest’anno le riviste Ragazzi e Graffiti si sono aggiu-dicate il premio nazionale di miglior giornalino perragazzi dai 12 ai 17 anni “Città di Chiavari”. Non è laprima volta che le riviste dell’Ac si aggiudicano que-sto premio, già lo scorso anno Foglie e La Giostra sierano classificate ai primi posti come migliori gior-nalini per bambini dai 3 ai 10 anni. �g

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Un cambiamentografico per Foglie eRagazzi. Per essere alpasso con i tempi e“colorare” ancora lavita dei giovani lettori

C’è di + nelle rivistedei più piccoli

di Claudio Di Perna

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Sono da poco tornati dalla Terra Santa.Stanchi, ma felici. Dal 28 dicembre scorsoal 5 gennaio del nuovo anno, infatti, 50rappresentanti di Ac di quasi tutte le regioni

italiane insieme ad alcuni membri della Presidenzanazionale e ad alcuni consiglieri nazionali ecollaboratori degli uffici centrali dell’associazionesono di nuovo approdati nella terra di Gesù. Non èuna novità, questa del pellegrinaggio di fine anno. Stadiventando ormai una consuetudine. C’è da sempreun rapporto di prossimità che unisce l’Azionecattolica alla Terra Santa, secondo lo stile di unincontro che riguarda non solo i luoghi santi e letracce della presenza storica di Gesù in questa terra,ma le “pietre vive” di una comunità cristiana che inmodo particolare – negli ultimi tempi – chiede lavicinanza spirituale e fisica dei fratelli di fede. Unpellegrinaggio che ha avuto l’eco del martirio dellaChiesa copta in Egitto. «Abbiamo sentito moltoquesto grave fatto e pregato per le vittime e per i feritiinsieme a Sua Beatitudine mons. Fouad Twal,Patriarca della Chiesa latina, con il quale abbiamocelebrato la Giornata mondiale della Pace – cosìmons. Domenico Sigalini, Assistente ecclesiasticogenerale dell’Ac, che sottolinea –: Questo nostropellegrinaggio, il nostro aver incontrato irappresentati delle molte realtà di Chiesa cristianapresenti in Terra Santa, e con loro ebrei e musulmani,vuole dire che la strada del dialogo in nome

dell’unico padre è da intraprendere connuovo slancio. Pur nel rispetto delleproprie identità di Chiesa e di fede,dobbiamo tutti impegnarci a cercare la viadell’incontro e della convivenza pacifica.Nella convinzione che la libertà religiosa èla prima delle libertà di ogni uomo; la suaassenza, il suo mancato rispetto, come ciricorda papa Benedetto XVI, “offende Dioe l’umanità intera”».

Nel corso dei 9 giorni di pellegrinaggio, alla visita deiluoghi santi di Betlemme, Gerusalemme, Nazareth sisono alternati gli incontri con i responsabili dellaChiesa locale – il Patriarca della Chiesa latina, SuaBeatitudine Fouad Twal; i suoi vicari mons. WilliamShomali e padre David Neuhaus, vicario patriarcaleper le comunità cattoliche di espressione ebraica; ilCustode di Terra Santa, fra Giambattista Pizzaballa;mons Giacinto-Boulos Marcuzzo, vescovo ausiliare evicario Patriarcale per Israele – e quelli con leesperienze in prima linea nel sostegno alle necessità

della popolazione (il Caritas Baby Hospital diBetlemme, l’asilo delle suore comboniane diBetania, le scuole francescane di Gerico). Inoltre èstata consegnata all’Ac di Betlemme la sommaraccolta dai ragazzi dell’Acr lo scorso mese dellaPace per il restauro della sala cinematografica delCatholic action centre di Betlemme, né è mancatauna sosta “contemplativa” all’eremo dei Piccolifratelli di Jesus Caritas a Nazareth.Un viaggio di fede e di condivisione, allietato dallasimpatia e competenza di frate Oscar Mario Marzo, laguida francescana che ha fatto “parlare le pietre”. �g

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Si è appena conclusoil pellegrinaggiodell’Ac in Terra Santa.Un’occasione per farsentire la vicinanzadi tutta l’associazioneai fratelli di fede chevivono, in quelle terre,momenti non facili

Nella terradi Gesù

Nella foto: l’incantevole

scenario del Deserto di Giuda

in Terra Santa

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Otto settembre 1943: l’Italia firma l’armi-stizio. Su questo giorno, e su quello chesuccesse dopo, negli ultimi tempi granparte della storiografia e della pubblicisti-

ca del nostro paese, insieme a un interesse specifi-co proveniente dal campo della musica e della filmo-grafia, hanno dedicato riflessioni e attenzioni, tesi al

recupero di una memoriastorica che è patrimoniocomune di tutto il popolo ita-liano. In questo senso appa-re pregevole la pubblicazionedel Diario della mia prigionia(1943-1945) di GiovanniOstinelli, a cura di GiorgioVecchio ed edito da Studium.

Nelle pagine del dia-rio, inedite, di uno deicirca 615mila militariitaliani deportati daitedeschi dopo l’8settembre che hannopreferito restare nei

lager piuttosto che mettersi al servizio del nazismo,c’è la storia di un’intera generazione di giovani chedovette “crescere in fretta” e che maturarono, pro-prio in quelle condizioni di estremo disagio fisico espirituale, una coscienza civile e un’etica cristianaper far rinascere l’Italia post-bellica.Giovanni Ostinelli viene internato in un lager desti-nato alla truppa, e già questo rende particolare ilvalore storico del suo diario. Infatti, gran parte deidiari fin qui pubblicati riflette l’esperienza degli uffi-ciali che avevano in dote un curriculum di studimigliore rispetto ai soldati semplici. È cattolico, for-matosi alla Fuci, di cui fu presidente a Como, e nel-l’Azione cattolica. Nelle pagine del suo diario si ritro-vano tutti gli elementi di quei giorni: la sorpresa el’incertezza dell’armistizio, la deportazione, il sog-giorno nel lager di Markt-Pongau, il disprezzo delleguardie ma anche l’aiuto che venne da alcune diloro, il lavoro obbligatorio, e poi ancora la riduzione alavoratore civile al termine della guerra. Emergonoperò dal suo racconto la forza nel resistere, l’affida-mento alla fede e alla preghiera, l’idea che il futurosarà migliore.Una storia densa e sobria, che descrive dolore esperanza. E che andrebbe riscoperta come quelle ditante altre storie nascoste agli occhi dei media, chespesso preferiscono la polemica del momento alrecupero della memoria. Un anonimo soldato italia-no, amante della pace e della patria, un cattolico,come numerosi altri, che ha dato tanto durante laguerra e dopo. Infine, un libro da leggere e meditare.E da raccontare ai più giovani �g

(giadis)

Un libro, una storia e una data:l’8 settembre 1943. E un nome:Giovanni Ostinelli, comasco,cresciuto nella Fuci e nell’Ac.Uno dei tanti soldati italianideportati nei lager nazisti cheha lasciato una tracciapersonale nella storia

«Carissimi, ho intrapreso una battaglia politica assai difficile. Temoper la mia vita… Conoscete i valori della mia precedente esperien-

za politica. Torno nella lotta soltanto per un nuovo progetto di vita aPagani. Non ho alcun interesse personale. Sogno una Pagani civile e libe-ra. Ponete a disposizione degli inquirenti tutto il mio studio. Non honiente da nascondere. Siate sempre degni del mio sacrificio e del mioimpegno civile. Rispettatevi e amatevi. Non debbo dirvi altro». Le paroledi Marcello Torre parlano da sole. In questa lettera-testamento che il sin-daco di Pagani, cittadina in provincia di Salerno, destinò alla famiglia c’ètutto il valore di un’esistenza spesa per difendere il bene comune e unaconcezione “alta” della democrazia. Marcello Torre fu ucciso dalla camor-ra l’11 dicembre 1980 perché aveva contribuito, con la sua amministra-zione comunale, a gestire l’emergenza dopo-terremoto in Campania conlealtà e correttezza. La camorra di Raffaele Cutolo non gli perdonò questoatteggiamento. Ma lui sapeva di stare su una poltrona che scottava.Formatosi nelle file dell’Azione cattolica, della quale fu anche dirigente,poi della Fuci, e infine entrato nella Dc, fu penalista rigoroso e grandeamico di Aldo Moro, altro martire della buona politica e anche lui inter-prete di una fase politica nuova.Nel 1982 nacque in sua memoria la prima associazione anti-crimine in Cam-pania. L’associazione “Marcello Torre”, insieme a Libera, a don Ciotti e atutte le altre vittime di mafia, sono oggi una delle realtà presenti nel territo-rio che svolgono un’attività di informazione e di vigilanza su una coscienzacollettiva, specie nel Meridione, messa a tacere da criminalità e mafia. Unasperanza e una lezione di vita, quella del sindaco di Pagani, che a distanza ditrent’anni porge ancora a tutti noi la sua attuale carica profetica.

RICORDANDO MARCELLO TORRE

«SIATE DEGNI DEL MIO SACRIFICO E DEL MIO IMPEGNO CIVILE»

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Diario di unprigioniero cattolico

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di Giuseppe Masiero

Alle quattro del pomeriggio, l’ora decima,l’ora x, due discepoli di Giovanni lascianola sponda del fiume Giordano per seguire,anzi rincorrere alle spalle Gesù, appena

riconosciuto dal Battista come l’agnello di Dio chetoglie i peccati del mondo. Uno di questi è Andrea,mentre l’altro resta rigorosamente anonino, senzavolto, per questo ciascuno di noi può rispecchiarsi eritrovarsi in lui.Secondo la finissima arte narrativa del quarto evan-gelista il racconto scorre su due piani: quello dei fatticoncreti e l’altro, non sovrapposto, ma trasparentedei significati.Le prime battute del Vangelo di Gesù all’inizio delsuo ministero pubblico, (Gv 1,35-51) sono sulla lun-

ghezza d’onda di quanti glivanno dietro sulla strada esi sentono interpellati perla prima volta dal voltoumano di Dio che si girasentendosi inseguito echiede: «Che cosa cerca-te?». Queste prime paroleinaugurano il cammino didiscepolato di donne euomini attratti, afferratidalla persona del Figliounico del Padre, venuto inmezzo a noi nella povertàdisarmante e commoventedi Gesù di Nazareth.L’incontro personale eprogressivo con Gesù hanel Vangelo di Giovanniuna marcata improntaantropologica fin nelle sfu-

mature più profonde che si manifestano a livellorelazionale, accompagnata da una forte dimensioneecclesiale. Nel passo frettoloso, ancora carico diemozione dopo essere stati con il Battista, primotestimone di Gesù come Messia, per Andrea e l’altrodiscepolo diventa spontanea la risposta alla doman-da “che cosa cercate?”: «Maestro dove dimori?»,possiamo venire a casa tua?Di qui l’invito ad andare e vedere per dimorare pres-so di lui tutto quel giorno. Più tardi in un’altra dimo-ra, il cenacolo, il Maestro userà l’espressione calda,colma di intimità: «Dimorate in me» (14,20) deli-neando così il tratto e il tracciato del discepolo nelpassaggio pasquale dal “dimorare presso” al “dimo-rare in”. Gesù non è un maestro che resta esterno aldiscepolo, non è riducibile a un modello perfetto dif-ficile da imitare, ma è una persona che vive in cia-scuno: «Per me vivere è Cristo e io vivo in lui» (Galati2,20; Filippesi 1,21), ci direbbe l’apostolo Paolo.Ripreso il fiato dal lampo di quegli occhi di Gesù chesuscitano la domanda, Andrea corre dal fratello Pie-tro con la velocità anticipata del mattino di Pasquaper dirgli d’aver trovato il Messia.In questo caso Andrea passa la parola e scatta unareazione a catena, il vissuto, la testimonianza diven-ta buona notizia, vangelo, chiamata. Ognuno con lasua faccia, con la sua storia, identificati e ricono-sciuti, tutti insieme siamo così chiamati a raccontarecon una vita cambiata che abbiamo incontrato ilSignore.Tutta la trama del Vangelo si snoda attorno a questodinamismo, cercare mossi da un desiderio, vedere eabitare conquistati da una presenza e infine raccon-tare spinti da una testimonianza vissuta.La conclusione sarà come l’inizio: il Risorto rivoltoalla Maddalena dirà: «chi cerchi?». Cercare esprime

2/Il desiderio

Il Risorto rivolto alla Maddalenadirà: «chi cerchi?». Cercareesprime un desiderio ardenteche non si spegne duranteil cammino di sequela; è unapassione, uno slancio che Gesùriconosce, talvolta risvegliae suscita, ma sottoponea interrogativi esigenti:perché mi vieni dietro?, che cosaattendi da me oltre la curiosità?Ponendo domande Gesù dàinizio a un colloquio, attraversocui intende favorire laconsapevolezza e l’eserciziogioioso della libertà.La seconda tappa del percorsospirituale di quest’annoè affidata all’assistentenazionale per il settore Adulti

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un desiderio ardente che non si spegne durante ilcammino di sequela; è una passione, uno slancioche Gesù riconosce, talvolta risveglia e suscita, masottopone a interrogativi esigenti: perché mi vienidietro?, che cosa attendi da me oltre la curiosità?Dicendo che cosa cercate e provocando la prima diuna serie di risposte: Maestro dove abiti?, Gesù dàinizio non a un insegnamento, ma a un colloquio,attraverso cui intende favorire la consapevolezza el’esercizio gioioso della libertà. La difficoltà di farlo avolte sta nella pretesa di sapere già tutto. Potrebbeessere il caso di Natanaele che resiste all’invito –testimonianza di Filippo, prigioniero della sua culturareligiosa autosufficiente, non aperta al mistero e allaricerca. Ecco perché anche oggi come affermava S.Gregorio Magno, le Scritture vanno approfonditeogni giorno: «La Parola cresce e matura con coluiche la legge».La narrazione del primo incontro tra Gesù e i disce-poli conduce ad alcune coordinate essenziali dell’e-sperienza di fede, in un susseguirsi di verbi tipici delVangelo giovanneo: ascoltare, seguire, cercare,vedere, trovare, abitare, rimanere, raccontare. Peruscire dalle strettoie in cui si dibatte oggi l’esistenzacristiana sembra opportuno favorire il passaggio dauna fede di consuetudine e di inerzia spirituale,spesso distratta evangelicamente sugli eventi che ciaccompagnano e agitano la società, verso un’ade-sione personale rinnovata e gioiosa a Cristo Signo-re, una «fede illuminata, convinta, testimoniante»(Benedetto XVI) vivendo il passaggio pasquale dauna fede semplicemente saputa, a una sequelaprofondamente vissuta.La lapidaria affermazione di Giobbe al termine delsuo difficile cammino rivolto a Dio, dice: «Io ti cono-scevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti vedono».

Il cammino del discepolo è un continuo passaggiodal sentito dire, al vedere con i propri occhi.Il guaio è quando non ci si rende conto che si puòessere estranei a Cristo anche se si è preti, vescovi olaici impegnati. Si può addirittura profetare nel suonome e fare pure molti miracoli e sentirsi dire da luiun giorno: «Non vi ho conosciuti» (Mt 7,22s).Basta una strisciante e progressiva non aderenzadel cuore al cuore del Maestro per far nascere iltradimento «soft, l’adulterio del cuore, il compro-messo di un cristianesimo borghese illanguidito»(Lambiasi).Quante volte la cosiddetta religione civile rischia diseppellire la fede. Il grande Manzoni, nei PromessiSposi in uno spaccato di umanità umile e margina-le, abitata dalla Provvidenza, affronta il profilobasso di una fede paurosa e ricattabile di donAbbondio e il profilo esemplare del card. Federigoche incontra l’Innominato, cambiandogli il cuoredilaniato dal rimorso, con il sollievo rigenerantedella Misericordia.Ogni incontro del cristiano, ma anche di un prete o diun vescovo, dovrebbe sempre lasciare le tracce delpassaggio del Signore che cambia la vita. In più diuna circostanza sullo scenario socio-politico attualeci verrebbe da chiedere: «cardinale Federigo tornatra noi!».Gesù per incontrarci si pone sempre sulla sogliadelle domande e sul confine proiettato sull’oltre deinostri desideri, al contrario di noi che per evangeliz-zare incominciamo con le risposte e le categoriche egelide affermazioni di principio. Le domande di Gesùguardano dentro, dove vivono le attese più profondedel cuore. Anche i nostri incontri di gruppo, gli arti-colati ed elaborati itinerari formativi, le molteplici ini-ziative dovrebbero sottoporsi alla terapia preventivadegli sguardi prima delle parole e delle prediche.Potessimo e volessimo ritrovare quest’aria dellacasa e della strada, in cui si racconta e si passa laparola. Un comunicare il Vangelo che non può pas-sare solo sul filo, talvolta noioso e scontato delleomelie, ma su quello dei legami, dell’amicizia, delprendersi cura della vita altrui, anche quando ci sor-prende spiazzandoci. �g

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Nella foto:

il lago di Tiberiade

in Terra Santa

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LA VIGNETTA DI...

VALERIO DE LUCA

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Azione Cattolica Italiana

HA VINTO!Sussidio di preghiera per i Giovani

nel Tempo di Quaresima e Pasqua

Azione Cattolica Italiana

UNA VITA COSÌ NON HA PREZZO!Sussidio di preghiera per i Giovanissimi

nel Tempo di Quaresima e Pasqua

Azione Cattolica dei Ragazzi

IL MAESTRO È QUI, TI CHIAMASussidio di preghiera per i ragazzi dagli 11 ai 14 anni

Tempo di Quaresima e Pasqua

Azione Cattolica dei Ragazzi

IL MAESTRO È QUI, TI CHIAMASussidio di preghiera per i ragazzi dai 6 ai 10 anni

Tempo di Quaresima e Pasqua

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