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Per un PTRC che tuteli il patrimonio storico, culturale e paesaggistico---Coordinamento regionale VenetoSinistra Ecologia LibertàTRANSCRIPT
Sinistra Ecologia e LibertàCoordinamento regionale Veneto.
SALVIAMO IL VENETOPer un PTRC che tuteli il patrimonio storico,
culturale e paesaggistico
«Il catalogo delle forme è sterminato: fi nché ogni forma non avrà
trovato la sua città, nuove città continueranno a nascere. Dove le
forme esauriscono le loro variazioni e si disfano, comincia la fi ne delle
città. Nelle ultime carte dell’atlante si diluivano reticoli senza principio
ne fi ne, città a forma di Los Angeles, a forma di Kyoto-Osaka, senza
forma»
«Io parlo parlo – dice Marco – ma chi mi ascolta ritiene solo le
parole che aspetta [...]. Chi comanda al racconto non è la voce: è
l’orecchio»
Italo Calvino, Le città invisibili
«Il mio convincimento è che oggi in Italia l’area della rendita si sia
estesa in modo patologico. E poiché il salario non è comprimibile
in una società democratica, quello che ne fa tutte le spese è il
profi tto d’impresa. Questo è il male del quale soffriamo e contro
il quale dobbiamo assolutamente reagire [...] Oggi pertanto è
necessaria una svolta netta. Non abbiamo che due sole prospettive:
o uno scontro frontale per abbassare i salari o una serie di iniziative
coraggiose e di rottura per eliminare i fenomeni più intollerabili di
spreco e di ineffi cienza»
Gianni Agnelli, Espresso, novembre 1972
Relazione e comunicazioni all’assemblea regionale diSinistra Ecologia e Libertà del Veneto,
Padova 19 luglio 2013, presso ANPI
INDICE
Dino Facchini pag. 7Premessa
Oscar Mancini pag. 9Unire il “Rosso” e il “Verde”
Carlo Costantini pag. 43Il Veneto di Galan-Zaia
Luisa Calimani pag. 63Contributo per una proposta di Legge“Consumo di suolo e riconversione ecologica delle città”
7
Premessa
di Dino FacchiniCoordinatore Veneto di Sinistra Ecologia Libertà
Questa è la seconda volta che SEL presenta le proprie proposte in
materia di ambiente e di territorio nella regione Veneto.
In occasione della presentazione del PTRC da parte della Giunta
regionale, Sinistra Ecologia Libertà ha partecipato con una propria
piattaforma alternativa alla discussione avviata nelle sette province
e, con l’assemblea svoltasi a Padova e conclusa dal responsabile
nazionale dell’ambiente Paolo Cento, ha approvato le linee di fondo
presentate nella relazione di Oscar Mancini e nelle comunicazioni di
Carlo Costantini e di Luisa Calimani.
I materiali che qui presentiamo sono anche l’occasione di un
confronto con tutte le associazioni e i movimenti che si sono costituiti
e che lavorano attivamente nella nostra regione.
In occasione della festa provinciale di SEL, svoltasi a Padova nell’ultima
settimana di agosto, una nostra delegazione regionale si è recata
ad incontrare Don Albino Bizzotto, impegnato con lo sciopero della
fame ad evitare il saccheggio del territorio veneto, che la giunta
Zaia si appresta a favorire con l’approvazione del PTRC.
98
Unire il “Rosso” e il “Verde”
Relazione di Oscar Mancini
In questi giorni, più di un giornale sottolineava, fra i punti a favore
del così detto decreto del fare, le norme per la semplifi cazione in
materia edilizia1.
Di fronte alla più grave crisi economica dell’ultimo mezzo secolo e ai
guasti evidenti e sempre più irrecuperabili della cementifi cazione del
territorio, la risposta di questa transgenica compagine governativa
sembra essere ancora, almeno in parte, quella del rilancio dell’eco-
nomia del mattone.
1 Il «Decreto del fare» contiene anche importanti misure di semplifi cazione in materia edilizia, riconducibili sia sotto il profi lo procedurale (si pensi alla soppressione del comma 10 dell’art. 20 TUE, qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all’amministrazione comunale o all’introduzione del nuovo art. 23-bis in materia di autorizzazioni preliminari alla SCIA), ma anche sostanziale, dato il mantenimento, in sede di conversione, dell’originaria rimozione dell’obbligo generale di rispetto della sagoma per tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione (contenuto nel previgente art. 3, comma 1, lett. d) e art. 10, lett. c) del TUE).Viene altresì prevista, in favore degli ordinamenti locali, la possibilità di introdurre deroghe ai limiti (fi no ad oggi inderogabili) di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fi ni della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444. (Il Sole 24 Ore, 8 Agosto 2013)
In quella sede abbiamo introdotto tra gli argomenti da discutere e
approfondire quello del rapporto tra partiti e movimenti.
Noi siamo convinti che gli uni abbiano bisogno degli altri, anche
mantenendo loro caratteristiche peculiari e autonome.
Nessuna operazione di rinnovamento, anche in materia di difesa del
territorio, sarà possibile senza il contributo originale dei movimenti
di lotta, ma anche senza l’impegno generale delle organizzazioni
politiche progressiste sul territorio e dentro le istituzioni democratiche.
Venezia Mestre, settembre 2013
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Ma c’è del metodo in questa follia, in fondo. Ciò che accade oggi,
cioè gli ennesimi provvedimenti a favore di una speculazione edilizia
senza regole - perché è questo che si nasconde sotto il velo ipocrita
delle “semplifi cazioni” - sono solo l’ultimo atto di un processo storico
lungo, consapevole e coerente.
Quello che ha portato il nostro paese da giardino d’Europa, a primo
fra i cementifi catori, con un consumo annuale di circa 50.000 ettari,
di cui 35.000 di suolo fertile. E’ come se ogni quattro mesi sorgesse
una nuova città delle dimensioni di Milano ed è come se in una doz-
zina d’anni si cementifi casse un’intera regione delle dimensioni del
Friuli Venezia Giulia.
Negli ultimi dieci anni sono state realizzate circa 2.500.000 abitazioni.
E’ come se avessimo costruito dal nulla due città grandi come Roma.
Altrettanto impetuosa è stata la cresita del patrimonio edilizio desti-
nato alle attività produttive: un miliardo di metri cubi: affi ancati tra
di loro signifi cano una costruzione larga 30 metri, alta 3 piani, lunga
3000 Km, due volte la distanza tra Palermo e Milano2.E poi cave, dis-
cariche, piazzali, strade, svincoli e via elencando
Le ‘semplifi cazioni’ di oggi sono fi glie del progressivo abbandono delle
pratiche di pianifi cazione di area vasta da parte dell’amministrazione
pubblica, sempre più disponibile nei confronti della speculazione
fondiaria.
Così l’urbanistica contrattata, che dagli anni ‘80 ha scardinato la
forma delle nostre città, rappresenta il momento di resa della pianifi -
cazione pubblica agli interessi privati.
Non inaspettatamente, man mano che questo processo di suddi-
tanza del pubblico nei confronti degli interessi privati progrediva,
aumentava, in modo direttamente proporzionale, sia lo svilimento
2 Mauro Baioni (2012) in Edoardo Salzano- Mauro Baioni- Ilaria Boniburini, La città non è solo un affare, AEmilia University Press
degli organi democratici- dal ruolo dei consigli regionali e comunali3
a quello dello stesso Parlamento – sia la corruzione, l’opacità delle
procedure e dei controlli e spesso anche l’infi ltrazione delle grandi
organizzazioni criminali, ormai presenti in tutto il territorio nazionale
e in molti dei grandi cantieri aperti in questi ultimi decenni, fi no agli
scandali più recenti.(M.P.Guermandi 2013)
Illuminanti sono i casi Consorzio Venezia Nuova e Sesto San Giovanni
anche per la loro trasversalità politica.
1. Il VenetoLa vera ricchezza del Veneto, uno dei territori più belli d’Italia – già
Belpaese per antonomasia – sta, da un lato, nel suo patrimonio arti-
stico e storico, paesaggistico e culturale e, dall’altro, nella sua indu-
stria manifatturiera, un tempo locomotiva d’Italia.
Entrambi questi patrimoni italiani sono a rischio.
E’ in crisi la nostra industria manifatturiera insidiata dai mancati inve-
stimenti in innovazione di processo e soprattutto di prodotto e dalle
delocalizzazioni, con conseguenze drammatiche sul lavoro e l’occu-
pazione.
Negli ultimi cinque anni in Veneto abbiamo perso 80.000 posti di lavo-
ro, 7,8 punti di PIL4, il tasso di disoccupazione è salito all’11,6%, il soste-
gno al reddito, tra cassa integrazione e disoccupazione, ha coinvol-
to 250.000 persone nel 2012. Epicentro della crisi il lavoro dipendente
e in particolare l’industria manifatturiera.
3 La L.R.11/2004 prevede che, in caso di preventiva sottoscrizione di un “accordo di co-pianifi cazione” tra regione, provincia e comune, il PAT non deve nemmeno essere riportato in Consiglio Comunale per il parere (controdeduzioni) sulle Osservazioni/opposizioni: l’approvazione si riduce alla conferenza dei servizi, nella quale, il sindaco (o suo delegato), con i rappresentanti della regione e della Provincia (ora le deleghe dell’approvazione formale sono attribuite alle province), concordano l’approvazione ed il recepimento o meno delle osservazioni.
4 Nel 2013 si prevede una ulteriore perdita dell’1,2%.
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E’ a rischio il nostro territorio, sempre più abbandonato al degrado
e affogato dall’abnorme crescita urbana. Un pervasivo consumo di
suolo5 ha generato quel fenomeno denominato “sprawl” ossia – per
dirla con Sergio Lironi – “la città tentacolare che si è sparpagliata nel
territorio, cancellando luoghi identitari, beni ambientali e culturali,
banalizzando e omologando il paesaggio, degradando la qualità
del vivere quotidiano di ciascuno di noi”.
In nove anni dal 2002 al 2010 si sono realizzati nel Veneto oltre 164
milioni di mc di fabbricati non residenziali, mentre in undici anni dal
2000 al 2010 la produzione di edilizia residenziale è stata pari a quasi
150 milioni di metri cubi. Un boom edilizio, quello dell’ultimo decen-
nio, che non trova certo giustifi cazione né nello sviluppo delle atti-
vità produttive né nelle dimensioni reali e nelle caratteristiche della
nuova domanda abitativa. Lo dimostra anche il fatto che oggi nel
Veneto vi sono oltre 97.000 alloggi invenduti e una grande quantità
di abitazioni sfi tte.
Si è dunque costruito troppo e si sono realizzate tipologie non rispon-
denti (per costi e dimensioni) alla reale domanda abitativa costituita
in prevalenza da immigrati e famiglie con bassi redditi: una dramma-
tica contraddizione testimoniata in particolare dalla costante cre-
scita degli sfratti per morosità e dalla lunga lista dei richiedenti un
5 Secondo i dati forniti dall’Istat in occasione dei Censimenti della aziende agricole, per effetto della crescita urbana e dell’abbandono delle montagne tra il 1970 ed il 2010, in circa quarant’anni nel Veneto la superfi cie agraria totale (la cosiddetta SAT) è diminuita di 385.588 ettari (con un decremento del 27%rispetto al 1970), mentre la superfi cie agraria utilizzata (SAU) è diminuita di 107.698 ettari. Un decremento che ha subito una brusca accelerata negli ultimi due decenni. Se negli anni Ottanta si registrava annualmente una diminuzione di 23 milioni di mq all’anno di SAT, negli anni Novanta la media è salita a 132 milioni di mq/anno, per raggiungere negli anni Duemila la cifra record di 147 milioni di mq/anno. Negli ultimi venti anni, dal 1990 al 2010, la SAT del Veneto è diminuita di 279.830 ettari, ovvero del 21,5%, un’estensione superiore a quella di tutta la superfi cie territoriale della provincia di Vicenza: con un ritmo di 38 ettari/giorno, corrispondenti a più di 53 campi di calcio. (Sergio Lironi, Seminario AltroVe 2012)
alloggio di edilizia pubblica. (Sergio Lironi)
La stessa bulimia si esplica ora nella previsione di infrastrutture stradali
e autostradali. Ma poi si allarga alle ferrovie ad alta velocità, ai porti,
agli aeroporti, alla realizzazione di grandi poli terziari e residenziali.
Per limitarci alle autostrade, i progetti inseriti negli accordi istituzionali
di programma tra Regione e Stato è lungo. Si va dalla Pedemontana
veneta, al prolungamento della A27 fi no a Perarolo di Cadore, al
prolungamento della Valdastico Nord fi no a Trento, al Passante di
Mestre ultimato di recente, alla terza corsia della A4 Venezia-Trieste
in corso di realizzazione, alla Nogara-mare, alla Via del mare (A4-Je-
solo), alla nuova Romea (Orte-Mestre), al GRA di Padova compresa
l’autostrada lungo l’idrovia PD-VE, alla nuova Valsugana.
Sono progetti vecchi, la cui mancata realizzazione è dovuta in parte
alla opposizione delle popolazioni locali e soprattutto alla mancanza
di risorse fi nanziarie. Intanto il mondo è cambiato, sono cambiate le
prospettive di crescita e le sue stesse modalità. La sostenibilità è dive-
nuta obbligo non solo morale, ma condizione normativa di fattibilità
delle trasformazioni.
La Regione veneto non ha però registrato il cambiamento e prose-
gue imperterrita nelle medesime politiche come fossimo negli anni
sessanta rinunciando al suo compito di orientare alla sostenibilità il
governo del territorio e facendosi portatrice degli interessi dei pro-
motori delle grandi opere. (Vittadini 2013)
L’impatto sul territorio è devastante. Altrettanto sulle casse pubbli-
che.
Infatti, le decisioni di realizzare le grandi opere proposte si basano
sull’assunto che le risorse saranno messe a disposizione dai privati at-
traverso la formula del project fi nancing e che si ripagheranno attra-
verso i pedaggi. Per tutte le opere sopra citate questo assunto è del
tutto falso: i privati realizzeranno le opere solo se l’Amministrazione
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pubblica si impegna a coprirne i costi anche qualora gli investimenti
fossero maggiori del previsto o il traffi co minore del previsto.
Dunque per i privati proponenti, rischio zero e guadagno certo; per
la collettività utilità incerta e altissimo rischio di costruzione di un debi-
to differito di ingenti proporzioni, addossato alle spalle delle prossime
generazioni.
2. Bolle immobiliari ed economia realeCrisi industriale e speculazione immobiliare sono due fenomeni sepa-
rati e distinti, senza alcuna connessione? Al contrario noi siamo con-
vinti che tra di essi esista una stretta relazione. La scarsa produttività
del sistema economico italiano è stata determinata in misura non
trascurabile dalle politiche a favore della rendita parassitaria.
Il mondo degli affari immobiliari, anzi, ha costituito l’unica certezza
disponibile per la ristrutturazione delle aziende industriali. I grandi
gruppi italiani hanno scoperto le gioie del Real Estate nella seconda
metà degli anni novanta. Un’operazione emblematica è condotta
da Tronchetti Provera a partire da una joint venture del 1997 con
Morgan Stanley, per unifi care la gestione del patrimonio dell’indu-
stria Pirelli fi no a farne un grande operatore immobiliare, la Pirelli & C.
Real Estate.
L’esternalizzazione dei patrimoni industriali in appositi fondi immobi-
liari viene realizzata in pochi anni da tutti i grandi gruppi italiani (da
Fiat, Benetton, Falck ecc.), da banche e assicurazioni (Ina, San Pao-
lo-Imi, Generali ecc.) e dai grandi enti pubblici (Eni, Enel, Fs ecc.). Si
tratta della più importante ristrutturazione del capitalismo italiano di
fronte alla sfi da della globalizzazione.
I gruppi industriali ottengono da quest’operazione un netto miglio-
ramento dei propri bilanci, come non sarebbe stata possibile con
nessun’altra ristrutturazione produttiva. Le perdite nella competizione
mondiale vengono dissimulate da una forte ristrutturazione degli as-
set patrimoniali.
Sull’altro lato del processo agiscono le banche che ricevono questi
patrimoni e hanno il compito di valorizzarli tramite le società veico-
lo. L’obiettivo viene raggiunto promuovendo una forte crescita della
domanda di acquisto, spostando decisamente nel settore immobi-
liare l’offerta di credito e stimolando in tutti i modi le famiglie a inde-
bitarsi per la casa.
Questa politica ha aiutato la ricollocazione del capitalismo italiano
nei confronti della globalizzazione.
I grandi gruppi industriali, infatti, hanno capito molto presto che sen-
za impegnativi investimenti in ricerca e innovazione non avrebbero
retto la concorrenza con i paesi emergenti; così, anziché puntare sul-
la via alta allo sviluppo intraprendono politiche di ripiegamento nei
settori protetti dalla decisione pubblica e in quelli tendenzialmente
monopolistici.
Già la Fiat di Romiti ridimensiona il core-business dell’automobile per
buttarsi nelle avventure mancate nei servizi, prima nell’elettricità con
Edison e poi nei telefoni con la privatizzazione Telecom.
Quel grande patrimonio di tecnologia che era Telecom è stato sfi an-
cato dalle incursioni prima della Fiat, poi della “razza padana” e infi -
ne della Pirelli, divenendo il luogo privilegiato in cui il capitalismo ita-
liano risciacquava i propri debiti e si assicurava una protezione dalla
competizione internazionale. Le privatizzazioni delle autostrade e
degli aeroporti hanno dato l’occasione di ripiegamento a Benetton,
considerato fi no al decennio precedente l’emblema del successo
internazionale del made in Italy.
In questo grande ritiro del capitalismo italiano dalla globalizzazione
sono state coinvolte tante altre imprese medie e piccole. Non tutte
fortunatamente.
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I plusvalori della rendita fi nanziaria e immobiliare, sempre più intrec-
ciati, sono di gran lunga superiori rispetto a quelli normali dei profi tti
industriali, senza neanche la diffi coltà di organizzare il ciclo produt-
tivo.
Così come l’acqua si dirige dove trova la strada più agevole le risor-
se disponibili sono attratte dagli usi speculativi a discapito di quelli
produttivi.
Un’area agricola per il solo fatto di essere resa edifi cabile dai piani
regolatori dei comuni o dai “piani strategici” della Regione moltiplica
per 10-20 volte il proprio valore di mercato. Qual è il settore industria-
le che può consentire simili guadagni?
E se si hanno le informazioni giuste al momento giusto si acquistano
per tempo i terreni dove un giorno saranno allocati i caselli autostra-
dali per costruire lì le “New Cities” previste dal PTRC o dove saranno
consentite le nuove lottizzazioni volute dai comuni in cerca di oneri
di urbanizzazione per i loro bilanci dissestati.
Infatti, per sopperire ai defi cit d’infrastrutture e di bilancio, molti sin-
daci hanno inventato la “zecca immobiliare”, cioè – per dirla con
Walter Tocci – stampano carta moneta assegnando ulteriori diritti
edifi catori in cambio di oneri di concessione. Ma lo scambio è ine-
guale perché le infrastrutture necessarie per i nuovi quartieri costano
molto di più degli oneri di concessione e richiedono un nuovo inter-
vento della “zecca”, in una spirale sempre più dannosa per l’interes-
se pubblico.
Lo prova il fatto che il valore del capitale fi sico delle città non è mai
cresciuto tanto, ma alla fi ne del ciclo immobiliare le città si ritrovano
povere di infrastrutture e con bilanci disastrati. Dove è andata a fi nire
tutta questa ricchezza? Come si spiega questo scarto tra ricchezza
immobiliare e povertà urbana? I plusvalori sono stati acquisiti in gran
parte da proprietari senza merito, non essendo determinati da inve-
stimenti ma da pure rendite di posizione. Questi plusvalori succhiati
dal tessuto urbano sono stati ricollocati nel circuito fi nanziario globa-
lizzato.
Nello stesso tempo la bolla immobiliare ha espulso i cittadini con bas-
si redditi negli hinterland, nei pulviscoli edilizi intorno alle città, con il
risultato di aumentare il pendolarismo casa – lavoro e di accrescere
la congestione del traffi co che angoscia le nostre esistenze.
Ora che la bolla immobiliare ha incominciato a sgonfi arsi, chi ha
comprato casa si ritrova con un patrimonio parzialmente svalutato,
con l’aumento della rata del mutuo e dell’IMU. E le imprese che, gra-
zie alle agevolazioni della Tremonti bis, hanno investito in capannoni,
anziché in ricerca e macchinari, appendono ora inutili cartelli “ven-
desi” e “affi ttasi”. Quelle che resistono soffrono invece della stretta
creditizia.
Le banche hanno fatto di tutto per gonfi are la bolla immobiliare e
ora che i valori sono scesi, tengono in corpo gli asset senza certifi -
carne la perdita ma facendo pagare questa sofferenza al sistema
economico non erogando credito.6 E questo spiega molto della crisi
italiana, certo non tutto, ma molto. Con la transizione postfordista
i capitali prima generano la fabbrica a rete dispersa nel territorio,
poi in parte delocalizzano7 e infi ne, in gran parte, si dislocano nella
6 Oggi le principali banche del paese pare che detengano da sole circa 400 miliardi di attivi immobiliari e che una parte di questi, sempre in aumento negli ultimi anni, siano crediti in sofferenza. (Mario De Gaspari 2013, Bolle di mattone, Mimesis)
7 Nasce così l’impresa a rete, il lavoro si disperde nel territorio. Prima le reti erano corte, distrettuali, oggi le reti diventano sempre più lunghe, tendono a stendersi ed articolarsi su scala planetaria, connettendo segmenti di produzione, saperi tecnologici e reti commerciali, dislocate magari in continenti diversi. Il cambiamento è reso possibile dalla rivoluzione dell’I.C.T. che velocizza le comunicazioni e dalla ricerca del capitale di luoghi di produzione a minor costo del lavoro. Così la fabbrica post fordista esternalizza: prima il lavoro si disperde nel territorio e nascono come i funghi i capannoni in mezzo alla campagna e nei nuovi P.I.P. della Tremonti concepiti come siti a minor costo, poi su scala globale. La fabbrica just in time elimina il magazzino perché esso viaggia sulle nostre strade congestionate che a
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fi nanza e nell’immobiliare. Il territorio è diventato così il cantiere di
produzione del valore che deriva dalla rendita fondiaria che un tem-
po defi nivamo parassitaria.
Ne deriva non solo il saccheggio del territorio ma anche l’impoveri-
mento del tessuto produttivo, la compressione dei salari e dei diritti,
l’erosione del welfare.
Dall’economia delle cose si passa all’economia della carta. Il De-
naro non è più un mezzo per comprare Merci e produrre più Merci,
ma è il Denaro in sé che diventa il fi ne: trasformare il Denaro in più
Denaro attraverso la fi nanza e trasformando Beni comuni in Merci
per produrre sempre più Denaro.
É una mutazione totale dell’economia capitalistica. Che trascina
con sé una mutazione profonda della società. Il capitalismo indu-
striale, che fi no a quel momento aveva guardato con aristocratica
diffi denza l’imprenditoria del mattone, dovette fare i conti con le re-
gole della trasformazione per portare a termine il riuso dei grandi
impianti produttivi, dal Lingotto alla Bicocca all’area Falck, fi no alla
trasformazione commerciale degli edifi ci storici com’è il caso di Be-
netton a Venezia che nel frattempo si era già convertito nella rendita
autostradale per citare i casi emblematici.
La dismissione industriale fece scoprire ai capitalisti i vantaggi immeri-
tati delle plusvalenze immobiliari, un modo più semplice di arricchirsi,
senza dover fare i conti con l’organizzazione del ciclo produttivo.
A quel punto terminarono i dibattiti sull’improbabile patto tra i pro-
duttori, venne messa in soffi tta qualsiasi ipotesi di separazione tra
loro volta attirano attività commerciali, il tutto genera una mobilità multidirezionale delle merci e delle persone, quasi sempre su mezzi privati che congestiona il traffi co e soffoca la nostra esistenza. Una mutazione gigantesca, formata dalla somma di trasformazioni diffuse e capillari, ha investito negli ultimi decenni il Veneto e l’intera pianura padana. Un diluvio di cemento che ha deturpato uno dei paesaggi più belli d’Europa. (Oscar Mancini, Città e Lavoro, Roma Ediesse 2009)
rendita e profi tto e non se ne parlò più. Il suo posto è stato preso
dall’attacco all’articolo 18, causa di tutti i mali. E’ stata proprio la
rendita la vera responsabile della bassa crescita dell’Italia, poiché
ha sottratto risorse importanti agli impieghi produttivi per destinarle a
fi nalità speculative.
A forza di creare valore spostando risorse dall’industria al cemento
alla fi ne si ottiene bassa produttività del sistema. La rendita deprime
l’economia mentre si vanta di salvarla. Qui risiede la sua forza ideolo-
gica, la sua intrinseca capacità di mistifi care la realtà.
Da noi le banche non sono fallite ma portano in corpo zavorra pe-
sante di titoli edifi catori inesigibili e di immobili svalutati e proprio per
questo contribuiscono alla stretta creditizia che soffoca le imprese.
Esauritosi il grande ciclo immobiliare più lungo dal dopoguerra ora
il capitale fi nanziario punta sulle infrastrutture in “projet fi nancing” in
salsa veneta di cui noi, “coglioni” e “cretini” come ci defi nisce con
garbo Galan8, continuiamo a parlare male.
Attraverso la fi nanza di progetto si fi nanzia un diluvio di autostrade
e di ospedali. La sanità veneta, che pure viene presentata come
la migliore d’Italia, si scopre improvvisamente piena di ospedali da
rottamare e da sostituire con ospedali nuovi di zecca: dopo Mestre e
Alto Vicentino tocca alla Bassa Padovana, a Padova e ampliamenti
e ristrutturazioni a Treviso e Verona. Mantovani costruzioni, Gemmo
impianti, Studio Altieri la fanno da padroni.
La rete stradale viene progressivamente privatizzata. Mentre il SFMR
è al palo da vent’anni e nessuna manutenzione e ammodernamen-
to della viabilità ordinaria viene effettuata si progettano autostrade
a go go: come abbiamo già detto, dopo il passante di Mestre è la
volta della Pedemontana, della Nogara Mare, della nuova Valsuga-
na, della Valdastico Sud e Nord, della Romea commerciale, della
8 Giancarlo Galan, Intervista alla Nuova Venezia, 2013
2120
camionabile e del Gra di Padova, del Traforo delle Torricelle a Ve-
rona, del sistema delle complanari della Serenissima, del prolunga-
mento della A27 fi no a Longarone, le “Vie del mare” verso Iesolo e
potrei continuare9. Si sviluppa così “una repellente crosta di cemento
e asfalto” per dirla con Antonio Cederna.
Il tutto sotto l’attenta regia dell’assessore Chisso e del potente segre-
tario alle Infrastrutture Silvano Vernizzi che riunisce nella sua persona
un lungo elenco di funzioni in confl itto d’interesse tra di loro.10
Emblematica è l’offensiva ripartita negli ultimi tempi per rimuovere
la storica ostilità dei trentini alla Valdastico Nord. Le ragioni vengono
ben spiegate da Renzo Mazzaro:
“La società proponente è la Brescia-Padova, con la concessione
in scadenza nel 2013. Alla perdita seguirebbe il disastro per le ban-
che che hanno prestato i soldi, soprattutto Intesa San Paolo. L’unico
modo per far sopravvivere la concessione è privatizzare la Brescia-
9 Oggi il tema più rilevante è senza alcun dubbio la Pedemontana: un’autostrada a pagamento che dovrebbe collegare Montecchio Maggiore (VI) a Spresiano in provincia di Treviso, un serpentone di cemento e asfalto lungo 95 Km di cui 50 in trincea, un’opera da 2 MDL e oltre di euro, più volte bloccata dai ricorsi dei cittadini e di alcuni Comuni (Villaverla capofi la) e fortemente voluta da Zaia e dagli imprenditori. Un’autostrada, così come progettata, inutile e dannosa, come ci ha spiegato l’arch. Massimo Follesa, il portavoce del Co.Ve.Pa, il Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa.
10 Per la loro realizzazione va rimosso ogni ostacolo. Sino a invocare, come fa il commissario Silvano Vernizzi, la cancellazione del diritto dei comitati a ricorrere. Segretario di un’anomala e verticistica struttura amministrativa della Regione egli è contemporaneamente Commissario per la Pedemontana Veneta (lo è stato per il Passante di Mestre) nonché Amministratore Delegato della disastrata Veneto Strade. Ne deriva un assetto gerarchico regionale che pone al vertice il Segretario che riunisce le funzioni di valutazione tecnica e di verifi ca di compatibilità, anche di progetti stradali. Ma non basta, perché la medesima persona è pure il Presidente delle commissioni regionali in materia di valutazione ambientale (VAS e VIA) oltre che “Autorità competente per la valutazione di incidenza ambientale” (la V.Inc.A, per la tutela della biodiversità) e “coordinatore del Comitato Tecnico per l’attuazione dell’intesa tra Regione e Ministero Beni Culturali in materia di paesaggio”. Di fronte agli autorevoli pareri espressi dalla stessa persona, come si permettono questi comitati di intralciare la realizzazione delle opere? Bonaparte dixit!
Padova e rinegoziare la soluzione tecnica con i Trentini. I privati han-
no già rilevato le quote: sono Astaldi, Mantovani, F2i e naturalmente
Banca Intesa. L’affare vale 2 mdl e 700ml di euro”.11
Ecco un esempio concreto d’intreccio tra grandi opere, affari e fi -
nanza.
Cosa c’è di male mi chiese una volta un vecchio sindaco di Venezia
a proposito delle modalità con cui veniva costruito il nuovo ospeda-
le di Mestre. C’è di male innanzitutto che a differenza di altri tipi di
concessione in cui il concessionario privato si accolla tutti i rischi del
mercato, con il projet fi nancing sporco i rischi rimangono pubblici ed
eventuali perdite per il privato vengono garantite dai fondi pubblici.
Così se per ipotesi il privato gestisce male il servizio o il mercato cam-
bia e i profi tti non arrivano sarà l’ente pubblico che, dopo aver pa-
gato il canone per 25/30 anni, ripagherà anche il debito. Un sistema
questo per cui fi n da subito si sottraggono risorse ai servizi che pa-
ghiamo in termini di minori prestazioni e tickets e inoltre l’ente pubbli-
co si mette sulle spalle un debito occulto che graverà sulle prossime
generazioni.
Qualche anno fa, la Camera del Lavoro di Vicenza insieme al Sinda-
co di Schio, grazie ad un’autorevole consulenza, riuscì a dimostrare
che si poteva realizzare l’ospedale unico Schio-Thiene spendendo
meno della metà. Ma a nulla valsero i nostri numeri12 di fronte alla
protervia del duo Galan Sartori, alla via immobiliare alla sanità che
continua a essere ostinatamente perseguita, come ci ha spiegato
Fortunato Guarnieri.
Un altro esempio di projet fi nancing è ben raccontato da Carlo Co-
stantini nella prefazione al libro “Strada Chiusa” riguardante la Pede-
11 I padroni del Veneto, Renzo Mazzaro, Editori Laterza 2012.
12 In quegli anni svolgevo la funzione di segretario generale della CGIL Vicentina.
2322
montana veneta.
Riassumendo possiamo dire con Giovanni Arrighi che “le spinte spe-
culative sottraggono capitali ai commerci e alle attività produttive
e prima o poi portano alla svalutazione” che, nell’attuale sistema di
cambi fi ssi, si ripercuotono sul credito alle imprese, sui mutui, sui salari,
sull’occupazione, sui servizi.
3. Il movimento contro il piano di cementifi cazione del Veneto Nella torrida estate dello scorso anno il Presidente Zaia così si espri-
meva13:
“Nel Veneto si è costruito troppo, non possiamo continuare così. È
necessario fermarsi. È assurdo continuare ad approvare nuove lottiz-
zazioni urbanistiche, quando esistono già abbastanza case per tutti.
Piuttosto, diamo valore al recupero dei volumi esistenti. Basta con le
nuove lottizzazioni. Non possiamo continuare a sfi gurare il paesag-
gio, consumare territorio, offrire speculazioni che oggi, tra l’altro, non
hanno più mercato. E provocano un danno ancora più grave. Il pa-
trimonio edilizio esistente, a fronte di nuove costruzioni, si svaluta e
perde valore”. Continua Zaia: “Sì, penso a una moratoria in piena
regola”.
Insomma dichiarazioni che facevano presagire, a quanti in buona
fede gli danno ancora credito, a una svolta di chiaro stampo am-
bientalista da parte del governatore Veneto ed ex Ministro dell’Agri-
coltura.
Invece No: contrordine. La Regione ci riprova. Dopo quattro anni da
Galan, Zaia ripropone il PTRC (Piano Territoriale Regionale di Coor-
dinamento), il “super-piano” che a suo tempo fu sommerso da una
marea di osservazioni (oltre 15.000) presentate da cittadini, associa-
13 In una intervista, pubblicata sul ” Mattino” di Padova ed. on line del 19 agosto 2012.
zioni, forze sociali e che non riuscì nemmeno ad arrivare alla discus-
sione in Consiglio Regionale.
Quello che doveva essere il fi ore all’occhiello della giunta Galan è
appassito prima del tempo. Ma ovviamente gli immobiliaristi non de-
mordono e premono per realizzare quel piano.
Nel frattempo però cresce l’opposizione coinvolgendo in modo ine-
dito comitati e associazioni imprenditoriali e sindacali che il Presiden-
te Zaia - dopo aver spudoratamente dato via libera a Veneto city,
Tessera city, alla torre di Cardin e alla Pedemontana e via elencando
- cerca adesso di rabbonire proclamando a parole “Ora basta case
e cemento” mentre, con un escamotage giuridico di dubbia legitti-
mità, l’assessore Zorzato ha fatto approvare in Giunta una “Variante”
al PTRC “adottato” dalla precedente Giunta, ma al contempo né
ampia il valore legale (attribuendogli una inesistente “valenza pa-
esaggistica”) e, per certi aspetti, ne peggiora i contenuti sostanziali
rendendo le “norme tecniche” prive di effi cacia e tentando di dele-
gare alla Giunta regionale i concreti progetti attuativi.
Il Consiglio Regionale e i Comuni vengono così sostanzialmente
espropriati e gli interessi degli abitanti del Veneto totalmente ignorati.
Cambiano le Giunte, si avvicendano in carcere e agli arresti domi-
ciliari i vertici dei consorzi, delle imprese e delle società che mono-
polizzano le “grandi opere”, la Guardia di Finanza documenta l’infi l-
trazione mafi osa nel mercato immobiliare del Veneto, il dissesto idro-
geologico provoca danni in continuazione, la qualità dell’aria è la
peggiore d’Europa… ma la musica che suonano a Palazzo Balbi non
cambia: cementifi care e asfaltare. Lasciare mano libera ai progetti
che le varie lobby fi nanziarie e del mattone hanno in programma e
che “concerteranno” con i soliti assessori.14
14 Ripreso da un testo redatto da AltroVe, rete di comitati e associazioni per un’AltroVeneto.
2524
Sui tavoli degli uffi ci regionali sono già pronte decine di “progetti stra-
tegici”, che impegnano il suolo veneto con svariati milioni di metri
cubi di volumetrie e centinaia di chilometri di nastri d’asfalto.
Progetti che vanno approvati con le norme “semplifi cate” della Leg-
ge Obiettivo, degli Accordi di Programma, dei famigerati Project Fi-
nancing e spesso gestite dai super-dirigenti e commissari.
Ma per riuscirci la Regione ha bisogno di “derogare” dalle norme vi-
genti sulla salvaguardia e sulla tutela del territorio stabilite dalle Con-
venzioni europee sul paesaggio e sulle aree protette, dal Codice sui
Beni Culturali15, dai Piani di assetto Idrogeologici e dalle stesse leggi
regionali ancora vigenti. Questo è lo scopo vero del nuovo PTRC:
un Piano che non è un piano. Centinaia di pagine, di relazioni di
esperti ben pagati, di indagini conoscitive disattese… servono solo a
incartare con belle parole le peggiori intenzioni che stanno dietro al
nuovo Piano. Una bella confezione per incartare un uovo vuoto per
dirla con Eddy Salzano.
Di fronte a tanta sfacciataggine, le associazioni, i comitati, i gruppi
che da anni operano nel Veneto a difesa del territorio e della qualità
della vita degli abitanti e che già all’epoca dell’adozione del nuovo
PTRC (2009) si erano mobilitati, hanno ricostituito un tavolo di lavo-
ro che si riunisce presso l’Università di Architettura di Venezia. Inco-
raggiati da alcuni successi parziali – Stop a Elettrodotto Dolo Camin,
Barcon, Ikea Casale, lottizzazione Asolo, a interporto a Dogaletto di
Mira etc, ridimensionamento di Quadrante Tessera – e da un’ inedito
ascolto da parte delle forze di opposizione in Consiglio Regionale,
15 Il paesaggio è tutelato dal Codice (art.131 c.2) relativamente “a quegli aspetti e caratteri che costituiscono la rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”. Il paesaggio quindi come identità nazionale non può essere evidentemente tutelato in autonomia dalle Regioni, e perciò il Codice dispone (art. 135 c.1) che i piani paesaggistici siano elaborati “congiuntamente” tra Ministero dei Beni culturali e Regioni.
ora il loro e il nostro obiettivo è costringere la Regione a desistere dal
suo tentativo di distruggere defi nitivamente il Veneto.
Le principali obiezioni che formuliamo, sono le seguenti:
1. Il nuovo PTRC non può avere “valenza paesaggistica” poiché
non rispetta le disposizioni del Codice dei Beni Culturali e del Pa-
esaggio e perché rinvia a data da destinarsi l’approvazione dei
“Piani d’ambito”. Quindi non possono essere abrogate le norme
di salvaguardia vigenti del PTRC del 1992, salvo dare il via libera
all’ulteriore devastazione del territorio: viene da chiedersi se il So-
printendente regionale ne sia consapevole e perché avvalli tale
Piano.
2. Il nuovo PTRC non rispetta i Piani di assetto idrogeologico, né
adotta una qualsiasi misura effi cace per la tutela e il risanamento
dell’atmosfera, dando il via libera generalizzato a centrali elettri-
che di ogni tipo, numero e dimensione - a partire da Porto Tolle16
per fi nire con l’imbrigliamento dei fi umi del Bellunese - e conti-
nuando ad incentivare il traffi co su gomma con il diluvio di pro-
getti autostradali promossi dalle solite società
3. Il nuovo PTRC dà carta bianca alla Giunta regionale, delegan-
do a essa ogni decisione sull’individuazione e l’approvazione dei
grandi e meno grandi “Progetti strategici “ che, con le nuove au-
tostrade e strade a pagamento in projet fi nancing, sono di fatto
16 Come indicato nel 2012 dal Convegno Interregionale SEL di Adria, sono maturi i tempi,anche in considerazione della crescita di consapevolezza dei cittadini, perché le giunte regionali di Veneto ed Emilia Romagna diano attuazione agli impegni da loro assunti con la fi rma del protocollo del 27 dicembre 96.L’obiettivo è quello d’istituire il Parco interregionale del Delta per superare artifi ciose separatezze, potenziare l’effi cienza e l’effi cacia gestionale al fi ne di tutelare la più vasta zona umida presente in Italia che, per le sue caratteristiche morfologiche e naturalistiche, riveste una importanza internazionale. In questa prospettiva rimane centrale l’obiettivo, già indicato dal Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna, di fermare lo sciagurato progetto di riconvertire a carbone la centrale termoelettrica di Porto Tolle per il momento in stand by.
2726
l’unico vero obiettivo di Zaia: il potere decisionale sul governo di
gran parte del territorio regionale è di fatto espropriato ai Comuni
ed allo stesso Consiglio regionale che, con queste norme, darebbe
totale delega alla Giunta regionale.
Infatti, il nuovo PTRC crea attorno a tutti i caselli autostradali e alle
stazioni ferroviarie una zona franca di due chilometri di raggio dove
ogni decisione, favorevole o contraria, su nuovi insediamenti, sarà
frutto di accordi tra i proprietari delle aree e la Giunta regionale – la
Giunta, non il Consiglio - con la massima discrezionalità concessa
dalla totale assenza di regole certe17. Per dare un’idea: ciascuna
area corrisponde a 1256 ettari, 20.000 ettari (200.000.000 mq.) nei
soli caselli della Pedemontana Veneta.
È un sistema centrato sull’utilizzazione intensiva delle aree circostan-
ti i caselli. Là devono addensarsi le attività direzionali nuove da pro-
muovere, la ricettività alberghiera, i centri commerciali, tutti i centri
d’interesse. Poco importa se non esiste alcuna seria dimostrazione
dell’esigenza di aumentare le sedi per tali attività senza verifi care la
possibilità di ospitarle nelle strutture edilizie esistenti. Poco importa
che con questa operazione si svuotino le città e si condannino al
deperimento i centri storici.
Ciò che conta è che le decisioni relative a questi nodi li assuma tutti
la Giunta regionale. Nascono così le varie new Cities, da Veneto
City a Tessera city a Motor city, alla cui realizzazione si piegano le
infrastrutture con la previsione di spostare caselli autostradali, le sta-
17 Le norme infatti stabiliscono (articolo 38) che “le aree afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alla rete primaria ed al SFMR per un raggio di 2 Km dalla barriera stradale sono da ritenersi aree strategiche di rilevante interesse pubblico ai fi ni della mobilità regionale. Dette aree sono da pianifi care sulla base di appositi progetti strategici regionali”. Le aree dove si prevede di concentrare lo sviluppo immobiliare e fi nanziario, e insieme con esse i cuori delle aree urbane (poiché tali sono spesso le stazioni ferroviarie) sono sottratte al potere dei poteri locali: sono affi dati alla Giunta regionale.
zioni del SFMR e persino della TAV, quest’ultimo è il caso di Tessera.
4. Non vi è alcuna norma minimamente cogente ed effi cace per
contenere il consumo di suolo che, nel Veneto, è ai massimi livelli
in Italia e in Europa. Lo stresso assessore Zorzato da noi incalzato
nel recente incontro di Treviso ha ammesso che questo “non è un
piano di prescrizioni”. Non si era mai visto prima un piano fatto di
“auspici” di buoni proponimenti, al massimo di qualche “esorta-
zione”. Di fatto siamo quindi in presenza di “un non piano”.
Questa analisi largamente ripresa dalle elaborazione di AltroVe, la
rete dei comitati e delle associazioni per un altro Veneto, al cui la-
voro contribuiscono in modo signifi cativo numerose/i compagne/i
iscritti a SEL, è stata fatta propria e rilanciata da SEL Veneto con un
apprezzato volantino diffuso in migliaia di copie.
Essa evidenzia innanzitutto che le norme contraddicono i buoni pro-
ponimenti. Vi sono i titoli e le enunciazioni ma il Piano è vuoto di in-
dicazioni prescrittive, di vincoli e di norme cogenti proprio sui temi
che sono quelli per cui il PTRC dovrebbe poter assumere la “valenza
paesaggistica”.
La contraddizione non è solo in termini. Essa evidenzia invece il carat-
tere strumentale e le fi nalità effettive di questa “Variante parziale” al
PTRC: dotare la Regione di uno strumento che è solo nominalmente
un Piano in quanto improntato alla fi losofi a di Galan, fatta propria
anche da Zaia, riassumibile in tre punti:
1° - “nessuna norma, deciderà il mercato!”,
2° - “il potere decisionale e la gestione vanno delegati al governo
regionale” che tratterà volta per volta col mercato stesso ossia
con gli immobiliaristi.
3° - assolvere nominalmente all’obbligo della attribuzione della Va-
lenza Paesaggistica e strappare al Ministero per i BB.CC. il ne-
2928
cessario nulla-osta per avere poi, una volta delimitate le aree
vincolate, mano libera sul restante 90 % del territorio.
Quali gli sono gli interessi in campo? La strategia pro rendita della
Giunta del Veneto è ben descritta in un documento preliminare al
piano: quello scritto da Paolo Feltrin, esperto bypartisan di politiche
amministrative, dedicato a “La seconda modernità veneta e il terri-
torio”.
Ben consapevole che l’espansione della città favorisce la rendita
marginale, si affretta a rassicurare i percettori di rendita differenziale,
termine che allude al tema ricardiano dei terreni a diversa fertilità e
che, in questo caso, indica la valorizzazione degli immobili interni alla
città, dotati di vantaggi posizionali.
Si raccoglie in anticipo l’obiezione e si corre subito ai ripari raddop-
piando. Non solo nuovi insediamenti omnibus in corrispondenza dei
caselli autostradali ma si suggerisce anche d’ incentivare “uno svi-
luppo edilizio verticalizzato, in modo da trasferire all’interno del cen-
tro urbano il centro commerciale tout-court” (p. 41).
E le Norme raccolgono il suggerimento: si invitano i comuni a indivi-
duare anche nei centri urbani e in quelli storici “aree ed edifi ci che
consentano l’insediamento di grandi strutture di vendita” (articolo
47). E perché no anche grattacieli “tout court”, suggerimento subito
accolto prima a Iesolo e poi in modo bypartisan da Zaia e Orsoni,
con il Palais, per il momento sCARDINato grazie anche alla mobilita-
zione nazionale e internazionale18.
18 L’ultimo assalto a Venezia è quello ordito da Pierre Cardin. Un palazzo-scultura, battezzato Palais Lumiere, il manufatto più alto e voluminoso di tutta la pianura padana, nelle giornate terse visibile anche dalle Dolomiti. Un progetto entusiasticamente sostenuto dalla Regione e dal Comune di Venezia. Contro il progetto si sono schierati cinquanta esponenti dell’intellettualità italiana, da Salvatore Settis a Carlo Ginzburg, da Stefano Rodotà a Vittorio Emiliani, da Vezio De Lucia a Edoardo Salzano, da Tomaso Montanari a Pierluigi Cervellati. Lo scempio è
Nella stessa direzione spingono le scelte che la Giunta regionale
compie per quanto riguardala residenza. Si afferma categoricamen-
te che l’incremento demografi co registrato negli ultimi anni, che si
prevede possa continuare, “rende inevitabile un ulteriore aumento
dell’edifi cato. Inevitabile, non c’è scelta” (Relazione dei proto, p.
94). Si trascura del tutto la presenza di una enorme quantità di volu-
mi inutilizzati, e una quantità ancora maggiore di volumi previsti dagli
strumenti urbanistici vigenti. Tiziano Tempesta, valuta che si sia co-
struiti edifi ci per un milione di nuovi abitanti. In questo modo le città
verranno saturate e devastate irrimediabilmente.
Si trascura, come ci ha ricordato Vincenzo Genovese, che l’impron-
ta ecologica del Veneto registra un defi cit di 4,81 ettari per abitante,
come dire che se tutti gli abitanti del mondo si comportassero come
noi avremmo bisogno di più di 4 pianeti.
Si trascura, come scrive effi cacemente Luisa Calimani, che:
“Salvare i territori agricoli è necessario, ma non lo si può fare con-
sumando le poche aree libere e permeabili rimaste all’interno dei
tessuti edifi cati, preziose per il benessere fi sico e sociale dei cittadi-
ni, per un miglioramento del microclima urbano, per un adeguato
soleggiamento dei fabbricati e necessarie per evitare i sempre più
frequenti allagamenti”.
Luisa, nel suo importante contributo nazionale di cui ci parlerà ci ri-
corda anche che:
“Un ettaro di terreno urbano tenuto a prato con 150 alberature: as-
per ora accantonato ma il Comune non demorde: chiede addirittura di cancellare la fascia di rispetto paesaggistica di 300 metri che delimita l’ecosistema lagunare. Giù dalla Torre. È il titolo del saggio che l’urbanista veneziano Stefano Boato, docente dell’Iuav, ha dedicato proprio alla vicenda del progetto del Palais Lumière, uscito in questi giorni per la collana «Occhi aperti su Venezia» di Corte del Fontego Editore. Il testo ricostruisce in dettaglio tutti i passaggi amministrativi e burocratici della vicenda, compreso anche il carteggio intercorso tra il Comune e i Beni Culturali sull’esistenza del vincolo e le molte contraddizioni che l’hanno accompagnata.
3130
sorbe quasi 30 tonnellate annue di Anidride Carbonica; produce ol-
tre 5 tonnellate annue di Ossigeno; traspira/evapora quasi 33 tonnel-
late annue di acqua; la temperatura media di una città è di 0,5-1,5
gradi superiore a quella delle campagne circostanti. D’estate l’aria
soprastante un prato alberato può avere una temperatura inferiore
anche di 15 gradi rispetto ad una superfi cie asfaltata”.
A questi aspetti ecologici si aggiungono i benefi ci sociali che gli spazi
pubblici offrono come luoghi di aggregazione e di relazione. Sono gli
spazi, che fanno di un luogo costruito, una città e non un ammasso
di cemento come diventerebbe saturando tutte le aree ancora ine-
difi cate.
Si trascura del tutto di domandarsi per quali ceti, in quali luoghi, in
relazione a quali redditi esiste un problema di accesso all’alloggio. E,
nel concreto, non si fornisce alcuna indicazione, alcun programma,
alcuna ipotesi di fi nanziamento, se non la sollecitazione a costruire,
intensifi care, proseguire e “governare” l’espansione delle villettopoli.
Questa spinta all’espansione dell’urbanizzazione si sposa, da un lato,
al disegno delle grandi infrastrutture, dall’altro, al proliferare delle ini-
ziative di bricolage immobiliare.
Sul primo versante la citata Relazione dei proto suggerisce immagini
signifi cative:
“Il passante di Mestre e il GRA di Padova lasciano prefi gurare diversi
possibili scenari di sviluppo per le due città. Se guardiamo a Mestre, il
Passante potrebbe essere interpretato come una nuova, più ampia
cinta muraria, il nuovo confi ne di una diversa città con ambizioni di
capitale regionale”.
Immagine ripresa purtroppo anche dal rettore dello IUAV.
Non è necessario lanciare una sfi da ai politici, come fa il “proto”
Paolo Feltrin. L’hanno già raccolta in anticipo: si tratta dei progetti
Veneto City e Marco Polo City, quest’ultima ridimensionata dal PAT,
componenti della Città del Passante e poi siccome Verona non può
essere da meno ecco Motor City tra Verona e Mantova e via elen-
cando, che hanno già i suoi robusti sponsor, i suoi politici di supporto,
e le sue proprietà immobiliari.
Dunque verticalizzare e densifi care a partire degli spazi compresi
tra il nuovo passante e la vecchia tangenziale di Mestre e dentro il
GRA di Padova per dare forma alla progettata PATREVE, la vagheg-
giata città metropolitana dai confi ni infi niti e indefi niti facendo leva
sul sull’intreccio di fi tti interessi che unirebbero i colli euganei con
le spiagge iesolane e il Montello. D’altra parte se Venezia è solo un
brand perché proporsi il governo democratico di una comunità?
Io penso al contrario che la città metropolitana debba essere rap-
presentativa di una comunità territoriale e non avere un puro carat-
tere di “integrazione funzionale” bensì “strutturale” cioè “istituziona-
le”. Ne deriva che necessariamente una comunità pretende l’elezio-
ne diretta degli organi del nuovo ente.19
Sul secondo versante ci pensano i comuni con le nuove lottizzazioni
oppure svendendo il loro patrimonio, consentendo cambi di destina-
zione d’uso, come nei casi esemplari della “Benettown” veneziana
descritta da Paola Somma20, “dal Ridotto al Fontego dei Tedeschi,
all’assalto alla Stazione Santa Lucia” sostenuto anche dal “dono”
che ci ha fatto l’archistar Santiago Calatrava, e dello scandalo del
Lido dettagliatamente raccontato da Edoardo Salzano in un aureo
libretto21.
19 Ragionamenti sulla città metropolitana di Venezia, Oscar Mancini, Eddyburg.it, 05 Gennaio 2013
20 Benettown, Paola Somma, Occhi aperti su Venezia, Corte del Fondaco 2011.
21 Edoardo Salzano. Lo scandalo del Lido di Venezia. Cultura e affari, turismo e cemento nell’ isola di Aschenbach, Corte del Fontego, Venezia 2011
3332
Al resto ci pensa la fi nanza per immettere i patrimoni immobiliari
nel circuito globale della fi nanza per elevare nell’Olimpo la rendita
pura22, che riassume in se rendita marginale, rendita differenziale e
rendita fi nanziaria.
4. Che fareLo slogan “stop al consumo di suolo”, che costituisce il vessillo di un
sempre più ampio arco di forze sociali e culturali, deve essere ac-
compagnato da un altro: “riqualifi care le nostre città per tutti i loro
abitanti”.
Non è vero che non ci siano esigenze di nuovi interventi di trasforma-
zione delle città. Insieme a un serio programma di difesa del suolo
-che abbiamo lanciato con la campagna “Terra Nostra”23- e di rico-
struzione di ambienti compromessi serve un piano di messa in sicu-
rezza e di riqualifi cazione energetica degli edifi ci a partire da quelli
scolastici, di attivazione di attività produttive innovative, di recupero
e restauro architettonico degli edifi ci, dedicando attenzione alle esi-
genze abitative delle persone con bassi redditi, agli spazi pubblici.
Un grande piano di piccole opere come abbiamo detto e poi un
grande piano per la mobilità sostenibile sottoponendo il Veneto alla
“cura del ferro” come “cura” alla “malattia dell’asfalto”.
22 Il fondo immobiliare consente di raggruppare in un portafoglio unico le proprietà di una vasta gamma di immobili e di coinvolgere anche i piccoli risparmiatori su operazioni altrimenti fuori dalla loro portata, godendo altresì di agevolazioni fi scali negate ai comuni cittadini. Con il fondo la valorizzazione approda a una rendita immobiliare pura, distante dalle concrete condizioni fi siche della trasformazione edilizia e connessa alle tendenze macroeconomiche determinate dalla fi nanziarizzazione. Allo stesso tempo, però, il fondo immobiliare consente una maggiore opacità delle operazioni rispetto alla normale gestione fi nanziaria, la quale non ha certo brillato per trasparenza. (Walter Tocci 2010)
23 “Contrastare il grande saccheggio del territorio veneto”, seminario SEL Veneto, Rovigo 22 ottobre 2011. Relazioni e interventi di Dino Facchini, Valerio Calzolaio, Oscar Mancini, Sergio Lironi, Luca De Marco.
Come scrive al mia amica Anna Marson, oggi assessore all’urbanisti-
ca in Toscana, nel Veneto si scontrano, schematizzando, due scenari.
Il primo vede l’area centrale solo come un corridoio, un luogo di
transito di merci tra Est e Ovest. Nuove infrastrutture stradali e ulte-
riore urbanizzazione di suoli agricoli e investimenti scaricati sugli enti
pubblici.
Il secondo, il nostro, punta sul restauro del territorio come patrimonio,
luogo di vita e di produzioni di qualità e cura delle eccellenze pro-
duttive e sociali.
Per queste esigenze esistono in ogni comune vaste aree urbanizzate
e non utilizzate: dalle caserme agli edifi ci dismessi, alle zone industriali
semivuote insieme a tanti alloggi tenuti sfi tti.
Ciò che più indigna è veder sottratto al ciclo biologico risorse insosti-
tuibili per l’equilibrio tra l’uomo e la natura quando abbiamo a dispo-
sizione, per fare l’esempio più signifi cativo, una parte rilevantissima
dei 2000 ettari di Porto Marghera, l’area più attrezzata e infrastrut-
turata di tutto il Nord Est, sito d’interesse nazionale, che attende di
essere bonifi cata e riqualifi cata24.
Gli ineludibili processi di riconversione industriale, come sottolinea
giustamente la CGIL25, sono messi a rischio da “progetti come quello
di Veneto City, di fatto alternativi alla riqualifi cazione di quelle prezio-
24 Riqualifi care Marghera signifi ca, a mio parere, puntare su attività innovative e non a un porto croceristico per grandi navi, incompatibili con quella laguna, fra le più belle al mondo, dove passano i mostri giganti, “templi del consumismo che somigliano più a uno dei colossali alberghi di Las Vegas che non a semplici navi”( Salvatore Settis)
25 Il documento di osservazioni al PTCP e al PTRC della Camera del Lavoro di Venezia rileva che questi progetti “oggettivamente possono compromettere la principale priorità produttiva del territorio, cioè la bonifi ca e la riqualifi cazione di Porto Marghera e di fatto alternativi alla riqualifi cazione di quelle aree e all’uso delle amplissime aree già previste dal Piano Regolatore vigente. Una corretta politica urbanistica e industriale dovrebbe invece fondarsi sul recupero e la riqualifi cazione degli insediamenti esistenti minimizzando il consumo di suolo”.
3534
se aree”. Se la giunta Regionale fosse animata da buoni propositi è
qui che si dovrebbe applicare un “piano strategico” per una ricon-
versione ecologica di quelle aree. Questo è il progetto strategico
che SEL rivendica.
Più in generale compito del Ptrc dovrebbe essere quello della costru-
zione di uno specifi co progetto (strategico) di riorganizzazione degli
insediamenti basato sull’innovazione tecnologica e l’ecoeffi cienza
con l’obiettivo di realizzare un consistente numero di “aree ecologi-
camente attrezzate.”
Un simile progetto ha ovviamente bisogno del contributo degli enti
locali (Provincia e Comuni) e di tavoli di concertazione che coinvol-
gano le associazioni imprenditoriali e i sindacati, per individuare insie-
me i problemi emergenti. L’obiettivo dovrebbe essere quello di veri-
fi care la qualità degli insediamenti, i diversi gradi di saturazione nelle
diverse zone produttive e le esigenze delle imprese e del mondo del
lavoro, defi nibili in base a criteri di carattere tipologico, normativo,
ambientale, viabilistico, infrastrutturale, di qualità della vita, da cui
far discendere iniziative e progetti di riordino e riqualifi cazione, con
le modalità sopracitate26.
Tante possibilità di trasformazione a fi ni sociali su cui impegnare intel-
ligenze e capacità professionali e risorse oggi follemente impiegate
nelle “Grandi Opere”, inutili a tutti fuorché alla crescita dell’Ego degli
26 In alcuni contesti provinciali signifi cativi la Regione dovrebbe avviare progetti pilota di “aree ecologicamente attrezzate” che sappiano proiettare all’esterno una diversa immagine delle zone industriali, intese come elementi qualifi canti, non solo dal punto di vista dell’attrattività economica, ma anche sotto il profi lo dell’ecoeffi cienza, ottimizzando le risorse aziendali ed umane a disposizione. Il layout degli interventi dovrebbe ispirarsi al Regolamento (CE) n.761/2001 per l’adesione volontaria a un sistema di ecogestione e audit ambientale (EMAS) che prenda in considerazione le questioni fondamentali dell’edilizia sostenibile, dei consumi energetici e delle risorse idriche, nonché della mobilità e della qualità ambientale all’interno dell’area presa in considerazione per renderla “ecologicamente attrezzata” (certifi cazione EMAS ) nonché rispettosa delle norme sulla sicurezza nel lavoro.
Archistar, dei promotori alla Cardin e a quelle del conto in banca di
quanti approfi ttano del banchetto. (Salzano 2012)
Il Piano del lavoro della CGIL è una buona base di partenza, le detta-
gliate sette proposte della FILLEA (40 Mdl in 20 anni) indicano il salto
di qualità che è in atto all’interno del movimento operaio proprio
nella parte più colpita dalla crisi.
Anche noi vogliamo contribuire a defi nire una nostra proposta per
il Veneto attraverso la costituzione di un dipartimento regionale. Un
gruppo di lavoro aperto a quanti vogliono dare il proprio contributo
d’idee e di proposte. A questo fi ne torno a sollecitare l’indicazione di
referenti provinciali per questi temi.
Non partiamo da zero. Con le iniziative regionali di Padova e Rovigo,
quelle provinciali di Vicenza e Treviso, con il documento sui rifi uti27,
con le iniziative di diversi circoli, come quelle recentemente svoltesi
a Mogliano e Dolo, stiamo ponendo le basi per costruire in modo
partecipato la nostra idea del Veneto. Fin d’ora chiediamo che si
proceda con la massima urgenza alla redazione ed approvazione
di un vero Piano Paesaggistico e di un nuovo PTRC ispirato ai principi
della effettiva tutela del patrimonio storico, culturale e paesaggisti-
co della nostra Regione, della sostenibilità ecologica ed ambientale
27 L’obiettivo da cogliere con il nuovo piano dei rifi uti regionale è quello di modifi care completamente l’attuale gestione del ciclo per un percorso “verso rifi uti zero”. Si tratta di sviluppare il concetto di rifi uto come una risorsa affermando una maggiore partecipazione responsabile e consapevole dei cittadini, con l’obiettivo di realizzare le condizioni per soddisfare i bisogni umani e sociali impiegando meno risorse, consumando meno energia, riducendo le emissioni in atmosfera, producendo meno rifi uti, facendo risparmiare i cittadini con la diminuzione delle tariffe e creando lavoro sul territorio. Ne consegue l’annullamento dei progettati nuovi impianti per l’incenerimento, come quello previsto per Verona a Ca’ del Bue e una graduale dismissione di quelli esistenti a Schio, a Fusina (VE) e a Padova. Lo scenario alternativo, rispetto alla proposta di piano della Regione, prevede il raggiungimento della percentuale dell’80% di raccolta differenziata attraverso l’estensione del sistema “porta a porta”: Il risultato di oltre il 70% è un traguardo già raggiunto da molti comuni del Veneto.
3736
e della drastica riduzione del consumo di suolo.
Chiediamo inoltre che, in attesa dell’approvazione di detto piano e
delle relative norme tecniche cogenti, venga stabilita con apposito
provvedimento regionale una moratoria edilizia28, ovvero la sospen-
sione da parte degli enti locali di ogni determinazione sulle doman-
de relative ad interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica che
interessino aree di espansione urbana (in particolare se utilizzate o
utilizzabili a fi ni agricoli) ed aree poste ad una distanza inferiore al
chilometro e mezzo dagli immobili individuati come beni paesaggi-
stici.
Fin d’ora facciamo nostre cinque richieste importanti - in parte già
presentate al Consiglio Regionale da Don Albino Bizzotto - tutte cen-
trate sulla necessità di rilanciare la pianifi cazione, quale strumento di
rinnovamento e democrazia:
1. Elaborare fi nalmente un vero nuovo Piano Regionale dei Trasporti
(quello vigente risale al 1992, e le proposte intermedie di aggior-
namento non sono mai state approvate dal Consiglio regionale).
Un Piano che parta dai servizi necessari a garantire l’accessibilità
e assuma la migliore utilizzazione delle infrastrutture esistenti come
principio prioritario rispetto alla costruzione di nuove infrastrutture.
Un Piano fondato sulla domanda di mobilità espressa dai territori,
riconosciuta attraverso un vero processo di partecipazione, in cui
le scelte rispondano ad obiettivi di qualità della mobilità per tutte
le componenti sociali e territoriali. Un Piano nel quale gli inevitabi-
28 La proposta di “una decennale moratoria, eccezionale sospensione del corso dei termini per l’adempimento delle obbligazioni di piano” era stata avanzata ancora nel 2008 da Domenico Patassini, allora preside della facoltà di urbanistica dello IUAV. Essa era motivata dalla considerazione che “la distruzione del territorio è assimilabile a pubblica calamità” e dalla valutazione che “consumo zero non produce effetti depressivi sul ciclo edilizio, ma lo qualifi ca.” Domenico Patassini in Edoardo Salzano, Oscar Mancini, Sergio Chiloiro, Città e Lavoro, Ediesse 2009.
li confl itti trovino soluzioni coerenti con gli obiettivi di sostenibilità
ambientale e paesaggistica. Un Piano che parta da una cono-
scenza approfondita dei comportamenti, attento alla dimensione
delle brevi e medie distanze, capace di raccordarsi alla dimensio-
ne locale recependone le ambizioni di coesione sociale, di quali-
tà e di sostenibilità .
Un Piano infi ne nel quale riesaminare tutti i progetti infrastrutturali
fi n qui assentiti al fi ne di valutarne la fattibilità alla luce dei nuovi
indirizzi comunitari (al 2050 riduzione dei consumi energetici del
70% del consumo di energia nei trasporti rispetto al 2009; al 2030 ri-
duzione delle emissioni di gas climalteranti del 30% rispetto al 2008
e riduzione del 60% al 2050) e di ricomporre un disegno di prospet-
tiva orientato alla sostenibilità sociale, fi nanziarie ed ambientale.
2. Introdurre e sperimentare metodi di reale coinvolgimento della
popolazione locale nei processi di decisione che riguardano la
costruzione di nuove infrastrutture. Sul modello, opportunamente
rivisto per adattarlo alla situazione italiana, del Débat Public pre-
visto dalle norme francesi sulla protezione dell’ambiente. Questa
prospettiva è particolarmente importante per il progetto di poten-
ziamento ferroviario Mestre-Trieste da ripensare completamente
rispetto ai progetti di linea ad alta velocità (stupidamente sovra-
dimensionati, territorialmente devastanti e funzionalmente inutili)
fi nora presentati, disconosciuti addirittura dal Commissario di go-
verno (Bortolo Mainardi) incaricato di portarli avanti.
3. Riformare composizione, struttura e funzionamento della Commis-
sione Regionale VAS, responsabile della Valutazione di impatto
ambientale dei progetti e della Valutazione ambientale dei Piani
e dei programmi. La riforma deve rimuovere gli evidenti confl itti
di interesse (come è possibile che il presidente di tale Commissio-
ne sia contemporaneamente presidente di Veneto Strade? Sarà
3938
per questo che nessun progetto di grande opera è stato valutato
dalla Regione Veneto ambientalmente incompatibile?) e per mi-
gliorare l’effi cacia, fi nora assai modesta, delle valutazioni ai fi ni
della sostenibilità degli interventi. Riformare le strutture di valuta-
zione economico-fi nanziaria dei progetti stabilendo regole severe
di esclusione dei progetti che richiedano “salvataggi” a posteriori
nel caso di valutazioni sbagliate, delle quali devono farsi carico i
proponenti.
4. Prendere fi nalmente sul serio, prima della costruzione di qualsiasi
nuova strada, la realizzazione del Servizio Metropolitano Ferrovia-
rio Regionale, fi nanziando opportunamente treni e servizi come
richiesto dai sindacati29, favorendo la concentrazione di attività
e di insediamenti intorno alle stazioni in un progetto di riorganiz-
zazione territoriale improntata al riordino degli insediamenti e alla
riduzione della dispersione e del consumo di suolo. Le stazioni del
SFMR devono divenire poli urbani di massima accessibilità, piena-
mente integrate dal punto di vista fi sico e funzionale con il traspor-
to pubblico su gomma, con le piste e gli itinerari ciclabili e anche
con la dimensione pedonale della mobilità urbana.
5. Affrontare con decisione il rapporto con lo Stato a proposito di Ve-
nezia, della città metropolitana e della nuova legge speciale. A
partire dalla questione delle Grandi navi. Qui occorre affrontare il
problema nel quadro di due Piani ad oggi mancanti: il Piano mor-
fologico e ambientale della laguna e il nuovo Piano regolatore
portuale.
Il Piano Morfologico e ambientale è in corso di redazione da parte
del Consorzio Venezia Nuova concessionario del Magistrato alle ac-
29 Riferimento a contributi di Ilario Simonaggio, segretario generale FILT CGIL Veneto.
que. Ma dalle informazioni fi n qui disponibili non risulta che il Piano
si occupi delle proposte di riorganizzazione del traffi co crocieristico,
ciascuna delle quali è suscettibile di avere impatti diversi, ma in ogni
caso molto gravi sulla morfologia lagunare.
Il Piano regolatore portuale è atteso da anni, ma da anni evitato
dall’autorità portuale che procede per interventi basati sul Piano
del 1963. Mentre l’elaborazione del Piano morfologico langue van-
no avanti i progetti di nuovi percorsi lagunari per le grandi navi e
di nuovi terminal, senza alcun quadro di riferimento. I più aggressivi
appaiono quelli promossi dall’Autorità portuale interessata a mante-
nere quanto più possibile il passaggio attraverso il bacino di S. Marco
oppure lo scavo di nuovi canali di impatto non minore di quello triste-
mente noto del Canale dei petroli.
Il confronto tra le varie proposte di riorganizzazione non può esse-
re ragionevolmente condotto che all’interno dei due piani sopra
ricordati, che riguardano la morfologia lagunare e le attrezzature
portuali e che richiedono con evidenza una stretta integrazione. Le
alternative a confronto, che nascono ad oggi da interessi e soggetti
diversi, devono trovare il loro limite nella sostenibilità dell’ambiente
lagunare: non è la laguna che deve adattarsi alle grandi navi, ma
le navi devono essere compatibili per dimensione e percorso con gli
equilibri ecologici della laguna30.
Infi ne, occorre trovare gli strumenti perché i comuni possano recupe-
rare quell’attitudine virtuosa che negli anni settanta aveva connota-
to alcune amministrazioni comunali di sinistra: il recupero dei centri
storici da destinare ai residenti e non alle seduzioni della gentrifi ca-
tion bancaria, direzionale e delle fi rme globali della moda. (Vallerani
2013).
30 Per la stesura di questa parte ci siamo ampiamente avvalsi di una nota inedita della Prof. Maria Rosa Vittadini, docente IUAV.
4140
Con questa relazione abbiamo voluto esaminare il PTRC e mettere in
luce come oggi la rendita sia diventata il motore del sistema econo-
mico e sociale, un tempo considerata una componente parassita-
ria da ridurre e oggi invece diventata la componente dominante a
danno dell’economia reale e del lavoro.
C’è un nesso storico tra ambiente lavoro ed economia. Finché questo
nesso non sarà ricostruito noi non riusciremo a parlare a tante persone
che invece potrebbero ascoltarci se saremo in grado di non tenerli se-
parati. Se saremo in grado di unire il “Rosso” e il “Verde”. Unire non giu-
stapporre. Noi siamo nati per questo: non è un caso che ci chiamiamo
SEL, dove la e, come sappiamo, non è una congiunzione tra Sinistra e
Libertà ma connotata il carattere ecologista del nostro Partito.
Certo è di scarsa utilità discutere di sostenibilità, indicarla come chia-
ve di lettura per ridefi nire politiche economiche, del lavoro, della
salute pubblica, della sicurezza dei cittadini, della pace, dell’istruzio-
ne e della cultura, con quanti contrapponendo la crescita lineare
come condizione preliminare per affrontare la sostenibilità, pensano
che ciò che deve crescere, per fare ricco un paese, sono il cemento
e l’asfalto, i consumi irrazionali ed indotti, le merci e i rifi uti.
Serve invece un piano di manutenzione del territorio, di rinaturalizza-
zione dei corsi d’acqua, di riqualifi cazione energetica degli edifi ci, di
investimenti sulle energie rinnovabili e distribuite, sulle reti intelligenti
(smart gride); sull’agricoltura biologica riscoprendo varietà antiche e
preziose. Altro che gli OGM delle multinazionali di cui parla l’ex Mini-
stro Clini. E poi una più generale riconversione ecologica dell’appa-
rato industriale che punti sull’effi cienza energetica dei processi pro-
duttivi e dei prodotti orientati ai bisogni collettivi.
Non si può tornare all’economia del passato ma occorre mettere
al centro l’ambiente, dire basta alla precarietà e chiudere con la
stagione degli accordi separati anche approvando una legge sulla
rappresentanza e rappresentatività che garantisca democrazia nei
luoghi di lavoro.
L’alternativa alla demagogia populistica non è certo il governo del-
le larghe intese. Non è vero che di fronte al ricatto esercitato dai
mercati fi nanziari si può solo gravare sui diritti del lavoro estendendo
disoccupazione e precariato per guadagnare produttività. Questa è
la strada del degrado e della rovina economica.
L’avvenire sta nella ricerca e nell’innovazione, nella valorizzazione
dell’ingegno e dello studio, nella difesa e nella messa in valore dell’i-
nestimabile patrimonio di cultura e di natura che l’Italia possiede -
oggi ignobilmente negletto e trascurato - nello sforzo solidale rispet-
toso dei diritti del lavoro.
La strada maestra per l’avvenire è quella tracciata dal programma
della Costituzione repubblicana, apertamente minacciato e attac-
cato da destra e fi n troppo disatteso o abbandonato.
Come diceva Pietro Calamandrei “la Costituzione non è una mac-
china che una volta messa in moto va avanti da se”, essa va alimen-
tata continuamente mantenendola attuale.
La sfi da che si ripropone è sul cosa, come, dove e per chi produrre.31
E’ il tema della riconversione/conversione ecologica dell’economia
e della società. Abbiamo bisogno di nuova crescita economica ma
questa non può che essere una crescita “nuova”, anche in direzione
di un’economia della conoscenza e di un’economia sostenibile in
31 La relazione al PTRC propone giustamente un “terzo Veneto” -dopo quello della pellagra e del miracolo economico- capace di archiviare la crescita quantitativa, orientato alla ricerca della qualità e alla tutela dei valori territoriali compromessi o messi a rischio dall’attuale modello di sviluppo. La grave crisi economica in atto da un lato e quella ecologica dall’altro spingono verso una riconversione ecologica del sistema produttivo capace di sostenere un’occupazione qualifi cata partecipando alla divisione internazionale del lavoro con produzioni a maggior valore aggiunto. Il Ptrc deve contribuire al conseguimento di tali obiettivi.
4342
termini ambientali, distributivi e sociali.
Oggi più che mai “cosa produrre” è importante almeno quanto
“come produrre”. Ci vuole un nuovo modello in cui lo Stato e le isti-
tuzioni sovranazionali orientino i risparmi, gli investimenti e lo svilup-
po. È necessaria dunque una nuova politica economica, ispirata da
una nuova idea di sostenibilità di lungo periodo, economica, sociale,
ambientale e intergenerazionale.
Noi ci proponiamo un “modello di sviluppo” fondato sullo sviluppo
dei servizi collettivi, sul welfare, sull’industria innovativa; su minori con-
sumi di energia e quella necessaria procurata con le fonti rinnovabili;
minore sfruttamento delle materie prime; minori pretese di mobilità;
minore produzione di rifi uti ed infi ne minori Km percorsi dai prodotti
che si consumano.
Non sono certo questi i criteri cui sottostà l’imperativo della massimiz-
zazione del valore per gli azionisti, a tutti i costi e senza nessuno scru-
polo per le esternalità negative che esso in molti casi può generare.
Ma questo è tema per un’altra assemblea sulla riconversione ecolo-
gica dell’economia e la conversione ecologica della società. Oggi
ci siamo attenuti al tema ricordando a tutti che ad agosto scadono
i termini per presentare le osservazioni al PTRC e che sarebbe oppor-
tuno fossero presentate anche dai comuni oltre che dai cittadini.
Infi ne consentitemi, capovolgendo la tradizione terzinternazionali-
sta, di ricordare solo alla fi ne che la scintilla che ha dato avvio alle
lotte dei giovani turchi è stata la difesa di un parco, di uno spazio
pubblico preda della speculazione immobiliare. Gezi Park dimostra
la crescita, su scala internazionale, delle lotte in difesa del territorio,
dell’ambiente, degli spazi pubblici.
Noi vogliamo essere parte di questo movimento per cambiare lo sta-
to di cose presente.
Il Veneto di Galan - Zaia
di Carlo Costantini
Il Veneto è un caso esemplare delle tendenze in atto, ma il problema
è nazionale.
E’ ormai chiaro da tempo che se il Veneto è del tutto privo di stru-
menti di programmazione e pianifi cazione ciò non è dovuto né all’in-
capacità della Giunta e del Consiglio Regionale né alla “fi losofi a”
ultraliberista più volte enunciata da Galan: ciò dipende dal fatto
che spesso le scelte non si fanno nelle sedi istituzionali, con i Piani e le
relative Valutazioni Ambientali Strategiche pubblicamente discussi e
democraticamente approvati, ma in ristretti circoli.
D’altronde Galan non ha mai fatto mistero che questi fossero i luoghi
ove si prendevano le decisioni: nel libro agiografi co-autobiografi co
“Il NordEst sono io” ci sono alcune pagine in cui il Governatore ap-
pare del tutto sincero, a tratti perfi no ingenuo, in realtà manifesta-
mente arrogante (era ben nota la sua insofferenza per il ruolo stesso
del Consiglio Regionale che raramente lo aveva visto presente). Ad
esempio, quando parla dell’ing. Piergiorgio Baita (Amministratore
delegato dell’Impresa Mantovani S.p.A. di Venezia, quella del Mose
e di Venezia Nuova SpA), Galan se ne esce con una frase che sem-
bra buttata là: dice Galan di essere molto riconoscente a Piergiorgio
4544
Baita perchè questi gli ha spiegato cosa sia effettivamente il project
fi nancing e come possa essere utilizzato! Come ha scritto più volte la
stampa, in particolare l’Espresso, Baita spiega a Galan i grandi van-
taggi del fi nanziamento privato delle opere pubbliche, in particolare
delle autostrade e altre strade a pagamento. Evidentemente Galan
recepisce. In ogni caso, è un fatto che viene dato il via ad una serie
impressionante di opere, che ogni project fi nancing proposto dalla
Mantovani viene approvato e, salvo incidenti di percorso, come nel
caso della Pedemontana, vince sempre o quasi l’impresa di Baita.
Mentre un altro vecchio amico, l’Ing. Vittorio Altieri, suggeriva a Ga-
lan la realizzazione e gestione delle strutture ospedaliere, sempre at-
traverso i “miracoli” della fi nanza di progetto.
Tutto sembra funzionare per il meglio, o forse non è affatto cosi, come
dimostra ciò che sta accadendo proprio con l’ospedale di Mestre (si
veda l’esito della Commissione d’inchiesta nominata dal Consiglio
Regionale nel 2010): contratti e convenzioni ultra favorevoli per i pri-
vati e condizioni capestro per gli utenti e la Regione, con aumento
vertiginoso di costi e peggioramento dei servizi e conseguente fuga
dei migliori dirigenti medici e specialisti.
Al punto che perfi no il vice-presidente di Confi ndustria con delega
alle Autonomie e agli Enti locali, il rodigino Costato, in un interven-
to sul Corriere del Veneto del settembre 2009, esprimeva una po-
sizione nettamente contraria alla realizzazione di opere pubbliche
mediante la fi nanza di progetto, in quanto fi nisce per determinare
una ulteriore tassazione occulta a carico delle imprese e dei cittadi-
ni (nel caso delle strade a pagamento), nonché un indebitamento
insopportabile per la Regione e lo Stato (nel caso degli ospedali, ma
anche delle autostrade, come nel caso della Pedemontana), desti-
nato a pesare per decenni.
Se fra i referenti dell’opposizione vi è chiaramente quel Lino Bren-
tan, condannato a 4 anni per tangenti connesse ad appalti “minori”,
già Assessore ai LLPP della Provincia di Venezia e A.D. della Società
autostradale Venezia-Padova nonché presente nei CdA di moltepli-
ci altre società del settore, è interessante approfondire quale sia il
gruppo di potere politico-imprenditoriale che promuove e gestisce i
grandi affari nel Veneto, e che non appare scalfi to dai nuovi equilibri
politici regionali scaturiti dalla Presidenza Zaia.
Finite le divisioni “ideologiche”, l’assegnazione degli appalti non
avviene più in maniera verticale (tre appalti/affari a me, due a lui,
uno a te, in base al peso politico), come accadeva ai tempi della
Prima Repubblica, ma orizzontale (ovvero attraverso la costituzione
di società ad hoc in cui è assegnata una quota azionaria secondo
proporzioni che appaiono spesso costanti e predefi nite). E’ evidente
che questo metodo garantisce molto meglio il sistema, riducendo la
concorrenza di soggetti esterni e la necessità di bandire gare che
non siano pure formalità, e consentendo di affi dare molto spesso
le opere ai soliti noti, in particolare proprio attraverso il sistema del
project fi nancing e/o del general contractor.
Un censimento che abbiamo avviato come AltroVe, conferma la co-
stante e sistematica presenza di alcune società e studi professionali
in tutti i grandi affari autostradali ed immobiliari del Veneto.
Viene da chiedersi se nessuno, né a livello politico o nelle associa-
zioni imprenditoriali né nella magistratura o nelle autority di vigilan-
za sugli appalti, sulla concorrenza e sul mercato, abbia mai rilevato
niente di anomalo nel fatto che un gruppo molto ristretto di ditte e
studi professionali faccia man bassa, grazie a queste procedure, di
tutti i giganteschi appalti ed affari immobiliari e veneti per cifre che
superano complessivamente le decine di miliardi.
L’altro importante settore, strettamente interconnesso con quello
delle infrastrutture, è quello delle grandi operazioni immobiliari: so-
4746
cietà acquistano aree agricole o aree industriali mai attuate, studi
professionali – che di fatto sono i mediatori tra la politica e gli affari
– ne promuovono, spesso con il sostegno di campagne mediatiche
e adesioni di imprese locali cui vengono promessi subbappalti e l’as-
senso dei Comuni interessati cui vengono prospettati benefi ci econo-
mici ed occupazionali, la valorizzazione mediante la variazione della
destinazione urbanistica, il tutto con i fi nanziamenti di banche nei cui
consigli di amministrazione siedono gli stessi promotori o i loro refe-
renti: cose che, più o meno, avvengono quasi ovunque – in maniera
sempre più pervasiva - con i Piani Regolatori comunali (tanto meglio
con l’“urbanistica concertata” dei nuovi PAT) ma che, in alcuni casi,
assumono un’importanza ed una dimensione eccezionali nel con-
testo regionale e sub-regionale (oltre all’operazione “Autodromo di
Verona”, ricordiamo qui il mega polo del terziario avanzato, denomi-
nato “Veneto City”, nella Riviera del Brenta e l’analoga operazione
“Quadrante Tessera”, promossa dalla SAVE di Marchi e dalla Società
del Casinò di Venezia). Ma più ampiamente lo stesso meccanismo è
destinato a riprodursi ed estendersi all’intero territorio veneto.
E’ necessario, innanzi tutto, avere ben presente il quadro di assetto
politico-istituzionale - frutto di una sostanziale convergenza tra mag-
gioranza [centrodestra] e opposizione [partito democratico] - in cui
si colloca questo “sistema”, che non interessa solo il Veneto anche se
qui è più ampiamente diffuso.
Già da tempo nel Veneto si è vista un’ulteriore accentuazione
dell’accentramento del potere e delle sedi decisionali che riguar-
dano un po’ tutti i settori: fra questi, in particolare, il settore delle in-
frastrutture e dei grandi progetti, della pianifi cazione territoriale, del-
le valutazioni di impatto ed incidenza ambientali e della tutela del
paesaggio, tutto concentrato – caso probabilmente unico in Italia
- nella mani del super-dirigente Ing. Silvano Vernizzi, Amministratore
Delegato di Veneto Strade SpA e Commissario straordinario anche
per i lavori della Pedemontana veneta, oltre che per il Passante di
Mestre, nonché Presidente di tutte le Commissioni regionali in mate-
ria ambientale (VIA, VAS, VINCA), VTR, ecc.
Nel nome del “fare”, della riduzione dei tempi di approvazione, perfi -
no della riduzione dei costi della politica e dell’anti-politica, il sistema
politico-affaristico sta minando le fondamenta stesse della nostra Re-
pubblica democratica-parlamentare, riducendo le sedi istituzionali
– in particolare le assemblee elettive – dal parlamento, ai consigli
regionali, comunali, ecc. – a pura formalità, via via riducendone le
competenze e lo stesso numero dei membri e quindi la rappresenta-
tività; un esempio, fra i tanti, per comprendere la strumentalità della
riduzione dei consiglieri comunali: il CdA di Veneto Strade SpA costa
all’incirca quanto duemila consiglieri di piccoli-medi Comuni. E se
consideriamo che di queste società pubbliche e pubblico-private
ce ne sono all’incirca 10.000, si ha una dimensione del problema e
della strumentalità della riduzione dei consiglieri comunali e persino
dei parlamentari.
Fondamentalmente la riduzione della democrazia (che signifi ca mi-
nore trasparenza partecipazione) si concretizza nei seguenti aspetti:
a) Forte limitazione dei poteri e della rappresentatività dei Consigli
democraticamente eletti [consigli comunali, provinciali, regio-
nali, parlamento, ecc.], le cui competenze sono andate via via
esaurendosi.
b) Crescente concentrazione di poteri in organi monocratici, eletti
«plebiscitariamente» dai cittadini [sindaci, presidenti delle pro-
vince, presidenti delle Regioni] con largo uso di strumenti decisio-
nali come le Conferenze dei Servizi (e abuso dei “decreti-legge”
governativi a livello nazionale).
c) Creazione di tutta una serie di società controllate dalla Regione
4948
cui vengono affi date la gestione di servizi e la realizzazione di
opere pubbliche, con erogazione di ingentissimi fi nanziamenti
“al di fuori di ogni controllo”, come denuncia da tempo la stessa
Corte dei Conti ed ha accertato talvolta la Magistratura ordina-
ria.
d) Programmazione, pianifi cazione territoriale, certezza di regole
[diritti e doveri], sostituiti da tutta una serie di accordi pubblico-
privati «in deroga», fortemente discrezionali, quali gli «accordi di
programma», i «progetti strategici” o i “progetti speciali a regia
regionale».
E’ da notare come gli esiti negativi, specie in termini di accentuata
ripresa dei fenomeni corruttivi, legati in particolare allo spreco o cat-
tivo utilizzo dei fondi pubblici e di malgoverno del territorio, siano stati
più volte documentati e denunciati dalla Corte dei Conti [vedasi le
ultime relazioni annuali del Presidente], che - non a caso - il potere
politico (specie, ma non solo, il centro-destra) periodicamente pro-
pone di ridimensionare e di sottoporre al controllo dell’esecutivo.
Il nuovo Piano territoriale regionale di coordinamento [PTRC], adot-
tato dalla Giunta Regionale nel 2009 e arenatosi a seguito delle for-
ti contestazioni di comitati ed associazioni ma anche di categorie
economiche, compreso la Variante con “valenza paesaggistica” re-
centemente adottata, è un esempio sintomatico per comprenderne
appieno la ratio, i contenuti e le norme, la stessa “fi losofi a” che, non
a caso, sta alla base della Legge urbanistica regionale n.11/2004 e,
conseguentemente, dei Piani territoriali di coordinamento provinciali
[Ptcp] e dei Piani di Assetto del Territorio [PAT comunali], generalmen-
te «concertati» con la Regione.
In questo quadro, si ha una evidentissima sproporzione e contraddi-
zione tra le analisi, anche approfondite e in larga misura condivisibili,
le critiche allo status quo, al “modello veneto” come concretizzatosi
negli ultimi 30-40 anni, le criticità rilevate, gli indirizzi correttivi proposti,
da un lato, e le azioni proposte e l’apparato tecnico-normativo del
Piano, dall’altro.
I Piani che derivano dalla “fi losofi a” della L.R. 11/2004 sono fonda-
mentalmente Piani senza regole, ovvero non sono altro che una serie
di operazioni immobiliari e/o infrastrutturali, di volta in volta concer-
tati tra gli operatori privati (talvolta associati a operatori pubblici per
aver copertura politico-istituzionale e legale – vedasi, ad es. l’opera-
zione “Autodromo del Veneto” a Verona sud promossa formalmente
dalla Regione, o il Polo di Tessera in cui, assieme a SAVE, è coinvolta
la Società comunale del Casinò di Venezia): la mancanza di regole
certe e defi nite e l’assenza di una pianifi cazione/programmazione
generale, lasciano le decisioni ai “poteri forti” privati e alla più ampia
discrezionalità politica.
Una critica effi cace da parte dei Comitati di cittadini è pertanto fon-
data, in primo luogo, su una verifi ca - e in larga parte, sulla condivi-
sione - delle stesse analisi, spesso molto approfondite, del PTRC (ve-
dasi la Relazione Illustrativa, le tavole di analisi, l’Atlante ricognitivo
degli Ambiti di Paesaggio del Veneto); in secondo luogo, sull’eviden-
za delle lacune e delle contraddizioni delle analisi rispetto alla parte
progettuale (Tavole, Norme di Attuazione): contraddizioni e lacune
volute, perché parti fondamentali proprio delle “fi losofi a” del Piano,
ovvero del Non–Piano.
Il «patto scellerato» che viene posto alla base del PTRC è sostanzial-
mente dato dalla concentrazione del potere decisionale regiona-
le sulle grandi opere e sulle grandi operazioni immobiliari (progetti
speciali), addirittura prevedendo in norma che determinate aree
siano gestite dalla Giunta regionale scavalcando di fatto i consigli
comunali [vedasi, signifi cativamente, la riserva regionale sulle aree
5150
nel raggio di 2 km dagli assi e dai nodi: fermate delle ferrovie e caselli
delle autostrade, oppure i “poli” commerciali/direzionali/residenziali
già individuati, come Veneto City a Dolo-Pianiga, a Tessera o a Ve-
rona sud].
Alle province viene lasciato solo il compito di recepire tali progetti e
di integrarne loro parti, ma con un ruolo del tutto marginale se non
addirittura nullo.
Ai Comuni, o meglio ai sindaci che con gli “accordi di co-pianifi cazio-
ne” hanno di fatto carta bianca evitando perfi no la doppia delibera
di adozione del Consiglio Comunale, in cambio dell’accettazione
o imposizione dei grandi affari regionali, viene lasciato sostanziale
campo libero nella approvazione e gestione dei Piani Regolatori co-
munali [PAT, PI] ove non confl iggenti con i progetti regionali.
Il «Terzo» Veneto dei Traguardi e della Sostenibilità, della qualità del
vivere e del lavorare, della tutela del paesaggio e della salvaguardia
dell’ambiente, obiettivi dichiarati del «secondo PTRC» rischia di tra-
dursi in una immensa nuova colata di cemento e di asfalto: cemento
che richiede nuovo asfalto che a sua volta genera ancora cemento.
Alcune considerazioni sul quadro normativo.Deregulation, discrezionalità e accentramento delle decisioni, che
sono alla base del PTRC e in generale dell’azione del governo na-
zionale e, in particolare, della Giunta regionale guidata da Galan e
Zaia, trovano ampio spazio in alcuni strumenti introdotti via via nella
legislazione nazionale e veneta. Fra questi: l’accordo di programma,
i progetti strategici, le forme dell’urbanistica contrattata, le società
miste pubblico-private, il project fi nancing.
1) L’accordo di Programma.L’istituto dell’Accordo di Programma è stato introdotto nell’ordina-
mento statale dalla L.267/2000 (T.U. degli Enti Locali), all’art.34. Esso
era chiaramente fi nalizzato a semplifi care e velocizzare l’iter di ap-
provazione di Programmi e progetti di opere pubbliche e di pubbli-
co interesse che necessitano dei pareri e/o dell’intervento di più Enti
pubblici diversi.
Nel recepimento di tale normativa nella propria Legge regionale
n.35/2001, la Regione Veneto ha introdotto alcune signifi cative mo-
difi che, tali da poterne forse confi gurare l’incostituzionalità.
Una prima, sostanziale, differenza sta nell’aver introdotto, nella Leg-
ge regionale, la possibilità di partecipazione di “soggetti privati”:
quindi, mentre la legge nazionale prevedeva solo la partecipazione
di soggetti pubblici (i quali sono in quanto tali interessati a realizzare
opere pubbliche), la legge regionale ammette la partecipazione di
soggetti privati (e quindi apre l’ambito applicativo verso opere an-
che d’interesse privato).
L’istituto dell’accordo di programma pubblico-privato è stato intro-
dotto con l’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, tradotto
nella L.R. n.23/1999 (Programmi integrati di riqualifi cazione urbanisti-
ca edilizia e ambientale - PIRUEA) che, sia nella formulazione nazio-
nale sia in quella regionale, ne consentono l’approvazione anche in
Variante al PRG, qualora sia dimostrato un indefi nito interesse pub-
blico (e qui, in mancanza di criteri certi, si è assistito ad ogni genere
di abusi ed eccessi), ma con procedura che in ogni caso passa due
volte al vaglio del consiglio comunale: la prima, preventiva per veri-
fi care l’interesse pubblico della proposta; la seconda, per la ratifi ca
dell’adesione del Sindaco; inoltre, il Programma deve essere pubbli-
cato e possono essere presentate le “osservazioni” in maniera ana-
loga ai PUA tradizionali, prima della convocazione della conferenza
5352
dei servizi “decisoria”). Ora la Legge Regionale n.23 è stata abro-
gata, essendo stati compresi i PIREUA nelle normali procedure dei
PUA (non possono più essere in variante al PRG, se non nei limiti or-
dinariamente ammessi per i PUA, mentre altri “programmi o progetti
complessi “ pubblico-privati in variante ai PRG sono possibili, come si
è visto, ai sensi degli art. 6-7 della L.R. 11/2004).
La legge urbanistica regionale quindi ribadisce, seppur in forme più
limitate, l’obbligatorietà del coinvolgimento dei cittadini nella piani-
fi cazione urbanistica ed il ruolo inespropriabile del Consiglio Comu-
nale.
Ma la modifi ca, con legge nazionale, passata nel silenzio generale
durante l’ultimo Governo Berlusconi - forse non per caso dopo al-
cuni scandali fi nanziari-immobiliari dei c.d. “furbetti del quartierino”
o le inchieste sulla riconversione dell’Area Falk - delle competenze
in materia di approvazione dei PUA, strappate ai consigli comunali
(pubblici e in cui sono presenti le opposizioni) a favore delle giun-
te (riservate ed esclusivamente espressione della maggioranza), ha
ulteriormente ridotto la trasparenza nelle decisioni sul governo del
territorio.
2) I progetti strategici. Tale “apertura” ai promotori privati trova infatti spazio negli artt. 6
e 7 della L.R. 11/2004, che prevede la possibilità che siano soggetti
privati a proporre progetti di “rilevante interesse pubblico” anche in
variante ai PAT e/o da recepire in essi. Cosi come l’art.26 della stessa
L.R. n.11/2004 anticipa lo strumento cardine alla base delle politiche
territoriali e economiche regionali: i “Progetti strategici”. Il PTRC affi -
da a questo nuovo strumento, non codifi cato in precedenza dalla
legislazione urbanistica, il governo di importanti aree – anzi delle più
importanti parti del territorio regionale - potenzialmente estensibili a
qualsiasi luogo e funzione decisi dalla Giunta regionale. E’ il caso in
particolare delle seguenti aree, puramente indicate nel Piano e nelle
Norme, senza alcun limite geografi co, senza alcun limite dimensio-
nale, senza alcuna norma concernente le destinazioni d’uso, di fatto
lasciando assoluta discrezionalità alla Giunta Regionale. E’ quanto
prevede l’art.5:
Per l’attuazione del PTRC possono essere defi niti appositi progetti
strategici fi nalizzati alla realizzazione di opere, interventi o programmi
di intervento di particolare rilevanza che interessino parti signifi cative
del territorio regionale. In sede di prima attuazione del PTRC sono
individuati come progetti strategici (…)
In mancanza di una più precisa formulazione, non è diffi cile che, col
pretesto del rilevante interesse pubblico, si giustifi chino e si agevolino
grandi affari privati (vedasi Veneto City e, soprattutto, il Quadrante
Tessera o l’Autodromo del Veneto a Verona);
Il PTRC adottato nel 2009 elencava un primo, ampio, gruppo di “pro-
getti strategici”.
La Variante al PTRC del 2013 ha, viceversa, eliminato specifi ci riferi-
menti, rinviando a successive decisioni della Giunta Regionale, ciò
in contrasto con la stessa L.R. n.11/2004 secondo la quale i “progetti
strategici” devono essere individuati dal PTRC, essendone uno stru-
mento di attuazione, e, pertanto, approvati con esso dal Consiglio
Regionale.
La Giunta regionale per altro già da tempo approva e fi nanzia fre-
quentemente progetti defi niti “ a regia regionale”, proposti da enti
pubblici ma anche da società “miste” o private, per giustifi care l’as-
senza o il contrasto con procedure concorsuali di evidenza pubblica
e relative graduatorie, previste dalla normativa europea per l’ero-
gazione dei fondi strutturali. Di norma, i fondi strutturali sono suddivisi
in “Misure” ed in “Aree Obiettivo” e sono elargiti agli aventi diritto
5554
(Enti pubblici, consorzi, Società pubbliche, miste, private) sulla base
di bandi pubblici e relative graduatorie: i progetti defi niti “a regia
regionale”, che molto spesso non hanno alcun interesse generale
oltre a quello del soggetto richiedente, scavalcano tali graduatorie
( prestandosi alla più ampia discrezionalità, se non al più ignobile
clientelismo, talvolta per realizzare opere praticamente inutili).
Nelle Norme, cosi come formulate, manca un qualsiasi riferimento
giuridico dei “progetti strategici ”, da cui dipende la loro stessa effi -
cacia normativa/prescrittiva, oltre che tecnica ( cioè dei contenuti
e della forma ).
Per come sono scritti gli articoli delle NTA del PTRC che vi fanno rife-
rimento, par di capire che la Regione “vincoli” parti, le più rilevanti
per importanza e indefi nite nella dimensione, del territorio regionale,
riservandosi di darvi una successiva pianifi cazione, di cui il PTRC non
defi nisce che una generica denominazione.
In alcuni casi, come quelli di cui agli articoli 5 punto h), art.38, com-
ma 1, art.43 punto d), si ha addirittura una “riserva “ della Giunta
regionale a decidere successivamente su una vastissima parte del
territorio regionale, generalizzata, di cui non è data alcuna indicazio-
ne relativa alle specifi che destinazioni né alla perimetrazione. Mentre
in altri casi si fa riferimento a “progetti o programmi complessi” da
redigere di concerto con i Comuni e le Province interessate, nei casi
suddetti a tale concertazione non si fa nemmeno accenno.
Viene da chiedersi se, secondo uno strano tipo di “federalismo” che
diviene un inusitato neo-centralismo regionale, tali “progetti” possa-
no essere approvati in assenza o contro i pareri dei Comuni (e delle
Province) e se questi, nelle aree cosi individuate dalle NTA del PTRC,
non risultino di fatto espropriati della propria potestà pianifi catoria.
In altre parole, i Comuni possono decidere diversamente, possono,
ad es. prevedere nelle aree di cui sopra di non edifi care alcunchè?
Possono decidere cosa eventualmente prevedervi, quali destinazio-
ni urbanistiche, con quali dimensioni, ecc.?
E ancora: data l’assoluta mancanza di normativa del PTRC (manca
qualsiasi parametro quali-quantitativo ) e atteso che risulta impen-
sabile riempire di edifi ci, di imprecisata destinazione e dimensione,
tutte le aree cosi genericamente identifi cate (di complessivi decine
di migliaia di ettari), chi deciderà in quali si possa edifi care, quanto
e cosa edifi care? Lo deciderà, di volta in volta, la Giunta regionale
in accordo con operatori privati e pubblici, proprietari o acquirenti
di questa o quella area, posta in prossimità di questo o quel casello
autostradale o stazione del SMFR ? E in base a quali criteri (inesistenti
nelle NTA) verrà accolta una proposta piuttosto che un’altra?
Ci sono anche altri aspetti relativi alla natura giuridica: atteso che i
“progetti strategici” non sono strumenti codifi cati dalla legislazione,
quale valore cogente possono avere in termini di attuabilità, per es.
di acquisizione dei terreni per opere pubbliche, di regolamentazione
della realizzazione delle infrastrutture, delle opere di urbanizzazione,
di edifi ci pubblici e privati?
Quali sono le forme di coinvolgimento democratico e di trasparenza
delle decisioni, a chi spetta l’approvazione, come possono i citta-
dini, le associazioni, i soggetti portatori di interessi diffusi, oltre che
ovviamente gli stessi enti locali, partecipare all’elaborazione di tali
“progetti strategici”?
Hanno valore di “Varianti ai PAT/PATI”, con effetto cogente (espro-
priante) sulle decisioni comunali (i Comuni possono opporvisi?), han-
no effetto – quando siano conformi ai Piani Regolatori - di Piani Urba-
nistici Attuativi ? Con quali procedure vengono approvati?
Si pensi al paradosso: nel caso di una modesta Variante al PAT di
un comune di 1000 abitanti si deve seguire la normale procedura di
adozione-pubblicazione-osservazioni-approvazione da parte della
5756
Provincia/Regione; cosi come nel caso di un irrilevante Piano attua-
tivo di pochi edifi ci e una minima area edifi cabile, si deve giusta-
mente seguire la procedura prevista dalla legge. Nel caso dei “pro-
getti strategici ”, in grado di decidere le sorti di una vastissima parte
del territorio, non è dato sapere quali procedure saranno seguite:
né vale certamente la risposta che, al più - per ciascuna sub-area
singolarmente coinvolta – una volta che la regione avrà redatto e
approvato il Progetto strategico complessivo (con lo strumento della
conferenza dei servizi?), ciascun Comune potrà (o dovrà?) seguire le
procedure specifi catamente previste a seconda dei casi (Variante
ai PAT o ai PI, Piano Attuativo, ecc.): questo nel caso che il Comune
sia compreso nel Progetto Strategico; e quando, pur rientrando nelle
aree e negli obiettivi di un “progetto strategico “ indicato dal PTRC,
ne fosse escluso?
Tutto ciò non è dato conoscere, tanto che – per come sono formulati
gli articoli sopra evidenziati – si confi gurano probabili vizi di legittimità,
e di incostituzionalità, con inevitabili ricorsi nelle varie sedi.
Il problema non riguarda tanto la necessità/opportunità di governa-
re le trasformazioni d’area vasta, in particolare nelle aree che pos-
sono più facilmente oggetto di grandi interessi immobiliari, quanto le
forme della partecipazione, della condivisione, della trasparenza, in
ultima analisi della democrazia.
Alcune ipotesi da approfondire 1) Eliminazione delle procedure dei c.d. “Accordi di co-pianifi ca-
zione”, restituendo ai Consigli Comunali l’adozione defi nitiva dei
PAT, con le controdeduzioni alle Osservazioni presentate dai cit-
tadini al Piano adottato. Reintrodurre forme di verifi ca e controllo
sui Piani degli Interventi, circa il rispetto delle norme di legge, del
PTRC e del PAT, dell dimensionamento ed i criteri generali. Deve
essere rivisto il criterio del dimensionamento dei PAT in relazione
alla superfi cie agricola che, in Comuni particolarmente estesi e
scarsamente popolati (vedasi i Comuni del Polesine, Bassa ve-
neziana e Bassa padovana) consente un enorme sovradimen-
sionamento delle nuove aree di espansione, rispetto alle reali
esigenze.
2) I Progetti strategici possono aver un senso ed utilità se hanno lo
scopo precipuo di pianifi care parti rilevanti del territorio al fi ne di
garantire un quadro generale di compatibilità e di sostenibilità
degli interventi, nell’esclusivo interesse pubblico, evitando inizia-
tive scoordinate e generalizzate in aree particolarmente “sensibi-
li”; solo marginalmente, e subordinatamente agli scopi pubblici,
potranno prevedere interventi privati. I Progetti strategici regio-
nali devono riguardare parti ben defi nite del territorio, delimitate
nella perimetrazione e regolamentate nelle destinazioni e nelle
dimensioni degli interventi: potranno essere avviati e approvati
solo a seguito di un’esatta identifi cazione e delimitazione, inseriti
nel nuovo PTRC o in successive Varianti. Progetti strategici potran-
no essere proposti alla Regione anche da Province e Comuni; la
Regione in ogni caso dovrà dare esplicita motivazione dell’inse-
rimento o dell’esclusione dai Progetti strategici delle diverse aree
comprese negli ambiti di cui agli artt. 38,40,43 delle Norme Tec-
niche del PTRC. Come previsto dalla L. 267/2000 per gli Accordi
5958
di Programma, tali Progetti dovranno essere concertati e trovare
l’unanime assenso delle Province e dei Comuni interessati ma,
proponiamo, anche degli eventuali Comuni limitrofi che ne ab-
biano una ricaduta, positiva o negativa, in termini ambientali e
socioeconomici: sono da sottoporsi a VAS, in quanto aventi ef-
fetti programmatori, e a VIA nei casi previsti ( attivando quindi le
forme di partecipazione pubblica prevista dalla legge e dalla
normativa italiana e europea in materia, fi n dalla fase prelimina-
re). In assenza dei Progetti strategici, nelle aree identifi cate dalle
NTA del PTRC, i PAT ed i PI non possono prevedere alcuna nuo-
va area edifi cabile né alcuna infrastruttura che non sia a diretto
servizio delle reti stradali e ferroviarie. Fatte salve le procedure di
legge relative a Varianti ai Piani Regolatori (PAT/PATI, PI) e a Piani
Urbanistici Attuativi che dovessero essere connessi al Progetto
Strategico, la Regione, di concerto con i Comuni e le Province
interessate, dovrà promuovere obbligatoriamente forme di par-
tecipazione dei cittadini e delle associazioni portatrici di interessi
diffusi, al fi ne di garantire la massima trasparenza e condivisione
nelle scelte pianifi catorie e progettuali.
3) Perequazione urbanistica. In questo contesto si inseriscono an-
che i nuovi istituti della perequazione urbanistica, compensazio-
ne, credito edilizio, ecc., introdotti dalla L.R. 11/2004 che, privi
di regolamentazione, si prestano ad abusi e discrezionalità, cui
corrispondono in genere corruzione e disastri urbano-ambientali,
come spesso è accaduto nel caso di molti dei PIRUEA approvati
in fretta e furia qualche anno fa su aree a “vincoli scaduti” e
non solo su queste. Essa può indurre a prevedere nei PAT un forte
sovradimensionamento delle nuove aree edifi cabili, con l’alibi di
ottenere gratuitamente aree da destinare a verde e servizi pub-
blici oppure oneri di urbanizzazione da destinare a far quadrare i
bilanci. E, viceversa, spesso conducono alla riduzione delle aree
per Servizi previste dai PRG vigenti e su costi di manutenzione
e per i servzi molto maggiori dei benefi ci una tantum. Spesso è
basata sull’erroneo presupposto che non si possano cancellare
previsioni di edifi cazione di previgenti piani urbanistici, ancora
inattuate, senza indennizzarne i proprietari. Talvolta può fornire un
alibi ai Sindaci per non dare pienamente attuazione alle previsio-
ni di aree per Servizi, lasciandone decadere i vincoli senza nem-
meno reiterarli e trasformandole in tutto o in parte – spesso senza
alcun parametro oggettivo e a seconda dei proprietari – in aree
edifi cabili “perequate”. La perequazione urbanistica è dunque
uno strumento estremamente rischioso:occorre pertanto limitar-
ne e condizionarne fortemente l’impiego. Se, ad esempio, non si
fi ssano su scala regionale o almeno provinciale dei criteri obiet-
tivi e validi per tutti i Comuni, o almeno per “fasce” di Comuni,
per l’applicazione della Perequazione urbanistica, sia in termini
di quantità minime di area da cedere gratuitamente al Comune
(per Servizi pubblici e per aree per l’edilizia sociale) sia in termini
di monetizzazione (quota minima da versare al Comune del plu-
svalore delle aree dovuto alla variazione urbanistica), oltre a fe-
nomeni sicuramente clientelari, frequentemente corruttivi (vedi
inchieste sui PIRUEA di alcuni Comuni litoranei), si genererà una
rincorsa a spostare gli investimenti – specie dei grandi e medi
operatori immobiliari – verso i Comuni che “chiedono meno”,
con una inevitabile “concorrenza al ribasso” fra gli Enti Locali e
risultati per la qualità della “città pubblica” del tutto opposti o
comunque molto inferiori a quelli che la L.R.11/2004 ed il PTRC si
propongono. Sarebbe interessante monitorare i risultati, in termini
di rapporto tra vantaggi pubblici e privati (quantità delle aree
per servizi, valore delle opere pubbliche realizzate / incremen-
6160
to di valore delle aree private trasformate), fi nora ottenuti con
gli strumenti perequativi applicati ai PIRUEA e ai PAT approvati
o in via di approvazione: probabilmente si verifi cherebbe che i
vantaggi pubblici sono risultati minimi o comunque molto ridotti
rispetto a quelli privati e, in ogni caso, si potrebbero constatare
forti divaricazioni tra uno e l’altro Comune, tra uno o l’altro Piano
Regolatore e all’interno di ciascuno di essi. Occorre, pertanto,
quanto meno stabilire parametri minimi per l’applicazione degli
strumenti perequativi, se si vuole almeno avvicinarsi agli obiet-
tivi di riqualifi cazione urbana e ambientale posti alla base dei
“Fondamenti del buongoverno”. Si propone quindi che, al fi ne di
perseguire con la maggiore effi cacia e omogeneità gli obiettivi
dichiarati, si stabiliscano - mediante un’integrazione alla Norme
Tecniche del PTRC e/o apposite Direttive regionali - linee-guida
per l’applicazione nei PAT e nei PI degli strumenti della perequa-
zione urbanistica, perequazione ambientale, del credito edilizio
previsti e degli altri strumenti introdotti dalla L.R. 11/2004:
a) La perequazione urbanistica va applicata stabilendo obbli-
gatoriamente nei PAT/PATI, secondo le “Linee guida” che sa-
ranno deliberate dalla Giunta regionale, criteri oggettivi per il
calcolo dei costi/benefi ci (rapporto tra incremento di valore
delle aree e vantaggi per la comunità), utilizzando le aree di
espansione e le aree “perequate” in primo luogo per com-
pensare con maggiori standard (aree da cedere al Comune,
in percentuali uguali per zone o “fasce” urbane e periurbane
analoghe), le carenze delle aree limitrofe edifi cate, in parti-
colare per il raggiungimento della dotazione di aree a parchi
urbani e giardini secondo i parametri minimi di legge per abi-
tante, nonché per la realizzazione della Rete ecologica.
b) La monetizzazione o la realizzazione di opere pubbliche,
come forma compensativa dei vantaggi privati delle trasfor-
mazioni urbanistiche delle aree, deve costituire un’eccezio-
ne, subordinata in ogni caso alla dotazione delle quantità
minime di aree destinate a “servizi”, globalmente intese, pre-
viste dalla Legge e dai PAT, che rappresenta l’obiettivo pri-
mario degli strumenti perequativi. Le zone di espansione in
generale e le aree perequate in particolare devono quanto
meno prevedere, al loro interno, le aree a standard primari
e secondari per abitante previsti dalla legge. Solo nel caso
dimostrato di adeguate aree a standard secondari già re-
alizzate o previste nelle aree urbane residenziali esistenti, i
nuovi PRG (PAT+PI) possono non stabilire maggiori standards
nelle aree di espansione e nelle aree perequate: in tal caso
le relative convenzioni dovranno obbligatoriamente preve-
dere la realizzazione da parte dei privati delle aree e/o delle
opere di urbanizzazione individuate dal Piano Regolatore in
aree limitrofe; di norma nelle aree di espansione e nelle aree
perequate non è ammessa la monetizzazione delle aree a
standards (per opere di urbanizzazione secondaria) e, qua-
lora ne sia dimostrata la impossibilità di realizzazione, la loro
monetizzazione (pari al costo di acquisizione delle aree e di
realizzazione delle opere) deve essere deliberata con la con-
testuale localizzazione e previsione di realizzarle, da parte del
Comune, nel Piano triennale / quinquennale delle OO.UU.
contemporaneo al PI.
c) Le aree destinate dai PRG a Servizi, i cui vincoli siano deca-
duti e non possano essere riconfermati e/o non possano esse-
re acquisite mediante gli strumenti della compensazione ur-
banistica e del credito edilizio, saranno riclassifi cate nei PAT/
PATI come “aree perequate” stabilendo che almeno il 50%
6362
della superfi cie netta sia ceduta gratuitamente al Comune
per Servizi, in aggiunta ai normali standards minimi di legge
calcolati sugli abitanti insediabili, secondo le “Linee guida” di
cui al punto a. Eventuali eccezioni dovranno essere adegua-
tamente motivate e compensate con la contestuale acquisi-
zione di aree a servizi limitrofe previste dal Piano regolatore.
Tutto ciò per limitare gli abusi, senza illudersi di garantire un uso cor-
retto ed utile di strumenti intrinsecamente perversi, da eliminare con
una seria riforma urbanistica, di diffi cile realizzazione oggi, stanti gli
attuali equilibri e le “culture” politiche.
Contributo ad una proposta di Legge su “Consumo di suolo e riconversione ecologica delle città”
di Luisa Calimani
Premesso che le questioni trattate dovrebbero far parte di un orga-
nico disegno di Legge sul Governo del Territorio, consapevoli della
diffi coltà di raggiungere in questa legislatura un accordo onorevole
sulla legge che rappresenta la carta costituzionale della pianifi ca-
zione urbanistica, dalla quale far discendere comportamenti virtuosi
per Regioni, Comuni e Aree Metropolitane in rapporto alle compe-
tenze ad essi attribuite dal titolo V della Costituzione, è opportuno e
necessario affrontare con tempestività temi che presentano carat-
teri d’urgenza. Tutti i dati relativi agli attacchi aggressivi che si sono
perpetrati ai danni del territorio dicono che non si può attendere.
La superfi cie impermeabilizzata, dal 1956 al 2000, ha subito in Italia
un aumento del 500%, vengono consumati ogni giorno 100 ettari di
territorio inedifi cato.
Se però la risposta che verrà data, sarà solo di “indicazioni” e “princi-
pi”, non solo la Legge non produrrà alcun effetto positivo, ma creerà
l’alibi per comportamenti analoghi a quelli già praticati.
6564
L’obiettivo della Legge è migliorare le condizioni di vita degli esseri
viventi, sia nelle aree antropizzate che in quelle naturali e agricole.
Ciò avviene attraverso il maggior rispetto della natura, la tutela dei
territori non edifi cati, un modello urbano che sappia creare condizio-
ni di benessere alle persone e che contribuisca all’estensione dell’e-
sercizio della democrazia di cui la città è stata per secoli la culla. Una
città nella quale la rendita urbana sia restituita agli abitanti in forma
di servizi e opere che realizzano la città pubblica.
Il modello insediativo diffuso rende diffi cile una chiara defi nizione di
ciò che rientra nel territorio urbanizzato e non urbanizzato. Quindi
sarebbe opportuna una suddivisione in tre categorie alle quali far
corrispondere diverse prescrizioni: gli spazi aperti, quelli semiurbaniz-
zati e quelli della città consolidata.
La dispersione insediativa ha provocato non solo consumo di un
bene prezioso e “fi nito” come il suolo causando danni economici e
dissesti idrogeologici dovuti alla riduzione della superfi cie permeabile
dei terreni, urbani ed extra urbani, ma ha anche causato costi infra-
strutturali consistenti che sono gravati sui bilanci pubblici del Comuni.
Il suolo esterno al perimetro dei centri edifi cati va quindi tutelato im-
pedendo nuove espansioni, ma questo deve avvenire nel rispetto
e nella difesa degli agglomerati urbani, della loro identità, dei diritti
urbani dei cittadini di avere un ambiente sano e confortevole in cui
vivere.
Nelle città vive l’80% della popolazione.
Il degrado urbano è insieme degrado edilizio, urbanistico, sociale e
ambientale.
La rendita urbana ne è la causa principale.
I vuoti urbani sono un bene prezioso che deve essere preservato e
difeso dagli attacchi della speculazione edilizia.
La rendita si sviluppa dove più alta è la remunerazione del capitale
investito. A parità di costi di costruzione, gli immobili assumono valori
molto più elevati nelle aree urbane centrali rispetto a quelle periferi-
che, e dove gli indici di edifi cabilità sono più alti. Il plusvalore deter-
minato dalla localizzazione dell’immobile e dalla destinazione d’uso
delle aree attribuita dagli strumenti urbanistici pubblici deve essere
restituito alla collettività.
Le strane convergenze che si sono manifestate fra ambientalisti, neo-
liberisti, speculatori e costruttori, sul tema: stop al “consumo di suolo”
extraurbano e incontrollata invasione, occupazione, densifi cazione
di quello urbano, derivano dal fatto che le lottizzazioni periferiche
ormai rimangono invendute, che la crisi edilizia impone di concen-
trare gli interventi e gli investimenti nei più redditizi territori centrali e
che questo deve essere favorito da una cultura o incultura urbana
sorretta da leggi che lo consentano.
In questo modo le città verranno saturate e devastate irrimediabil-
mente. Salvare i territori agricoli è necessario, ma non lo si può fare
consumando le poche aree libere e permeabili rimaste all’interno
dei tessuti edifi cati, preziose per il benessere fi sico e sociale dei citta-
dini, per un miglioramento del microclima urbano, per un adeguato
soleggiamento dei fabbricati e necessarie per evitare i sempre più
frequenti allagamenti.
Vanno rafforzati gli interventi per estendere e qualifi care gli spazi ine-
difi cati nelle aree urbane, mantenendoli permeabili, attrezzandoli
prevalentemente con alberature e tappeti erbosi, destinandoli ad
usi pubblici e sociali.
Poiché le Amministrazioni Comunali hanno gravi problemi fi nanziari,
l’acquisizione di aree per servizi pubblici (che divengano patrimo-
nio indisponibile del Comune), può avvenire anche con lo strumento
della perequazione urbanistica e la loro gestione con i metodi pro-
6766
posti dalla legge Clini.
Un ettaro di terreno urbano tenuto a prato con 150 alberature: assor-
be quasi 30 tonnellate annue di Anidride Carbonica; produce oltre
5 tonnellate annue di Ossigeno; traspira/evapora quasi 33 tonnellate
annue di acqua; la temperatura media di una città è di 0,5-1,5 gradi
superiore a quella delle campagne circostanti. D’estate l’aria sopra-
stante un prato alberato può avere una temperatura inferiore anche
di 15 gradi rispetto ad una superfi cie asfaltata.
I parametri ecologici sono in grado di trasformare positivamente il
microclima urbano infl uendo sulla temperatura e sul grado di umidità
A questi aspetti ecologici si aggiungono i benefi ci sociali che gli spazi
pubblici offrono come luoghi di aggregazione e di relazione. Sono gli
spazi, che fanno di un luogo costruito, una città e non un ammasso
di cemento come diventerebbe saturando tutte le aree ancora ine-
difi cate.
Anche un campo abbandonato è meglio di un nuovo condominio.
I ragazzi, soprattutto delle periferie urbane, trovano in esso l’unico
spazio in cui giocare. Riqualifi cazione non è sinonimo di costruzione.
Quindi va abbandonato l’uso di forme surrettizie di aumento di cu-
bature non controllate che producono un esubero di volumi extra
Piano, eccedenti rispetto alle sue previsioni dalle quali derivano la
necessità di verde, servizi, trasporti urbani ed extraurbani, impianti,
strutture e reti tecnologiche. Il Piano è quindi lo strumento nel quale
devono essere contenuti tutti gli elementi necessari alla sua defi ni-
zione senza ricorso a correzioni/implementazioni volumetriche suc-
cessive e spesso arbitrarie; è suo compito prevedere le soluzioni e
gli strumenti concreti per procedere alla riconversione ecologica di
parti di città, al trasferimento di volumi dalle aree improprie, alla co-
struzione di edifi ci con parametri energetici rispettosi dei regolamen-
ti. La “contrattazione” produce aumenti volumetrici non previsti, non
conteggiati, ai quali non corrispondono quindi, aree per servizi e reti
di trasporto adeguate. L’uso di strumenti quali permute, compen-
sazioni, perequazione (come fi nora realizzata), crediti edilizi, premi
volumetrici, sono merce di scambio pubblico/privato che nulla ha a
che vedere con la buona pianifi cazione urbanistica e le esigenze dei
cittadini. Sono formule inventate da una cultura liberista che tratta la
città, non come un organismo complesso, ma come una merce, e
ha prodotto quartieri degradati, mancanza di alloggi a canoni cal-
mierati, territori in permanente condizione di rischio.
La perequazione è uno strumento già correntemente usato nei com-
parti edifi catori e di fatto negli strumenti urbanistici attuativi. Si è ca-
ricato impropriamente, negli ultimi anni, di signifi cati non corrispon-
denti alle pratiche attuative usate, che hanno visto uno scambio
pubblico/privato, prevalentemente sbilanciato a favore del secon-
do soggetto. Lo scopo della perequazione, che aveva un forte senso
di equità quando i terreni per servizi pubblici venivano espropriati a
1000 lire a metro quadrato mentre oggi hanno valore di mercato,
deve essere quello, non solo di equiparare economicamente tutti
i cittadini proprietari di aree, in modo da rendere indifferente per i
proprietari dei terreni la destinazione d’uso prevista dal Piano, ma di
realizzare contestualmente alla città privata anche la città pubblica.
Questo obbiettivo si raggiunge, se la città è pianifi cata e program-
mata nella sua attuazione, in modo da comprendere progressiva-
mente nella sua realizzazione ogni sua parte e ogni funzione. Alla
equità corrispondente alla distribuzione dei benefi ci economici ot-
tenuti da tutti i proprietari dei terreni in misura delle loro condizioni
effettive, corrisponderà una equità collettiva nella distribuzione di tali
benefi ci sotto forma di servizi e dotazioni territoriali.
Lo strumento del Project Financing, (che va in porto in un caso su
quattro) è una voragine che risucchia il denaro pubblico privatiz-
6968
zando parti importanti di città e di manufatti di rilevanza non solo
urbana. Troppo spesso in periodi di scarsa disponibilità della fi nanza
pubblica si ricorre a questo strumento giustifi candolo con il vantag-
gio economico che ne deriverebbe al Comune. Ma questo non av-
viene praticamente mai e sulla collettività vanno a gravare gli introiti
considerevoli di cui si appropria il privato.
La moralità nella gestione della cosa pubblica, le regole su cui si basa
la certezza dei diritti individuali e collettivi, è il fondamento di una
buona gestione del territorio e del benessere urbano. La corruzione
si avvale di strumenti che lasciano discrezionalità, elasticità, arbitrio.
La decadenza dei vincoli delle aree destinate a servizi pubblici pro-
duce della città mostro. Le città senza servizi sono solo un ammasso
di cemento, legittimato a riprodursi senza che le aree che servono
per lo svolgersi della vita urbana, scuole, parcheggi, verde, ospedali
e persino le strade, siano garantiti. E’ un’aberrazione prodotta dalla
sentenza della Corte Costituzionale alla quale nessuna Legge ha an-
cora posto rimedio. E’ quindi urgente intervenire con soluzioni che,
da un lato prevedano Piani comunali generali (o Piani di assetto del
Territorio) non conformativi, dall’altro che dopo 5 anni dall’approva-
zione del Piano operativo (o Piano degli interventi) decadano tutte
le previsioni in esso contenute sia riguardo all’edifi cabilità dei suoli,
che dei servizi pubblici e privati.
Da questo consegue che non esistono diritti acquisiti e che il nuovo
piano può legittimamente modifi care ogni precedente destinazione
d’uso, a meno che non sussistano atti concessori o autorizzazioni rila-
sciate o convenzioni stipulate.
Saranno così rispettati tutti i diritti, sia quelli privati che quelli collettivi.
E’ necessario che anche a questi ultimi sia dato il giusto riconosci-
mento per rendere la città socialmente più equa e democratica.
Se si indeboliscono o azzerano le possibilità edifi catorie nei terreni
esterni alla città, è evidente che le tensioni, le spinte, gli interessi
speculativi delle imprese/immobiliari si riverseranno nei centri urba-
ni, saturando e “densifi cando” luoghi sui quali si dovrebbero con-
centrare, non colate di cemento, ma politiche di espansione degli
spazi pubblici, di aree verdi, di interventi di edilizia sociale, di luoghi
di comunicazione e aggregazione soprattutto nelle aree periferiche
e degradate.
E’ necessario monitorare le trasformazioni e soprattutto dare con-
crete indicazioni sulle regole che i processi di trasformazione delle
aree urbane devono rispettare, sia riguardo la permeabilità dei suoli
che di vivibilità e igiene urbana. Se non verranno indicati parametri
di sostenibilità urbana adeguati alla riqualifi cazione vera dei territo-
ri, se la densifi cazione non è accompagnata dal recupero di una
maggior superfi cie permeabile, se i mc non più realizzabili nelle aree
rurali cementifi cheranno gli spazi vuoti interstiziali fra gli edifi ci, se i
quartieri fatti di case con giardini privati saranno sostituiti da edifi ci
plurifamiliari senza un adeguato, almeno equivalente, spazio verde,
se nell’area inutilizzata di una fabbrica dismessa verrà costruito un
ipermercato con conseguente appesantimento del traffi co, la quali-
tà urbana non ne trarrà alcun vantaggio, ma peggiorerà gravemen-
te le “condizioni limite” in cui si trova.
I processi di trasformazione urbana quindi devono essere saldamen-
te guidati dalla mano pubblica anche attraverso l’atto legislativo
che ponga le condizioni e i parametri della sostenibilità ecologica e
sociale, altrimenti le città percorreranno una via senza ritorno verso
un degrado, non solo urbanistico, irreversibile.
Gli incentivi volumetrici per gli operatori che intervengono nel tessuto
urbanizzato e le politiche di defi scalizzazione sono innanzi tutto in-
coerenti rispetto alla maggior redditività degli interventi negli ambiti
urbani rispetto a quelli extraurbani, ma non tengono conto che in
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Italia, la proprietà immobiliare è più frammentata che altrove e la ri-
conversione del tessuto edilizio anche degradato di cui l’urbanistica
parla da decenni non si è mai realizzata per questa ragione e per la
mancanza di politiche di sostegno che in Italia per pigrizia mentale e
forse non solo, si propongono sempre in termini di volumi aggiuntivi.
Restano così nella effettività dei comportamenti solo le pratiche di
consumo di suolo libero interno alla città e di sostituzione edilizia di
capannoni dismessi che diventano quasi sempre nuovi supermerca-
ti, nell’indifferenza assoluta del recupero di qualche traccia del pa-
trimonio storico e architettonico dell’attività industriale a suo tempo
svolta.
Ai sensi dell’art. 117 del Titolo V della Costituzione, il Governo del ter-
ritorio è materia di legislazione concorrente fra Stato e Regioni. Lo
Stato ha legislazione esclusiva sulla tutela dell’ambiente, dell’eco-
sistema e dei beni culturali. Il Codice Urbani è intervenuto sul tema
del paesaggio, tema trattato effi cacemente dalla Convenzione Eu-
ropea ratifi cata dall’Italia con Legge n° 14/2006. La Repubblica ita-
liana è quindi chiamata ad attuare le disposizioni della Convenzione
sull’intero territorio nazionale e a conformare i propri atti legislativi
agli obblighi ed ai principi derivanti da tale trattato internazionale.
La Convenzione ai sensi dell’art. 2 “si applica a tutto il territorio delle
Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa com-
prende … sia i paesaggi che possono essere considerati ecceziona-
li, sia i paesaggi della vita quotidiane sia i paesaggi degradati”. La
Legge ha quindi il dovere di occuparsi non solo della tutela e della
valorizzazione degli straordinari paesaggi dei quali è ricco il nostro
Paese per proteggerli dalle devastazioni che li hanno fi nora colpiti,
anche attraverso un più severo controllo delle pratiche abusive, ma
deve altresì, come dice la convenzione Europea sul Paesaggio, in-
tervenire in quei contesti urbani e periurbani anche degradati, con
regole che ne assicurino una qualità aggiunta per chi li abita e non
diventi, la legge stessa, pretesto per redditizie operazioni immobiliari.
Vanno tutelate da nuove trasformazioni urbanistiche, intese a con-
sentire nuove edifi cazione o impermeabilizzazioni del suolo, le parti
di territorio semiurbanizzato non edifi cate, le aree agropolitane che
separano fra loro piccoli e grandi agglomerati urbani, le aree intersti-
ziali che penetrano nel tessuto urbanizzato istituendo così un nuovo
rapporto fra città e campagna. Le azioni sul paesaggio e l’ambiente
che costituiscono materia di competenza esclusiva dello Stato deb-
bono essere ordinate secondo criteri che valorizzino gli spazi natura-
li, agricoli e abbandonati, nella loro funzione produttiva, ma anche
di recupero e valorizzazione paesaggistica. Il paesaggio assume un
ruolo portante, non solo nelle aree “di non comune bellezza” di cui
all’art 136 del Codice Urbani, ma anche in quelle che servono a de-
fi nire il confi ne fra le aree edifi cate, che tendono in alcuni contesti
a non avere soluzione di continuità neppure in corrispondenza dei
perimetri amministrativi. La conservazione degli spazi aperti che se-
parano fra loro agglomerati urbani, impedendo la loro “saldatura”
e il progressivo espandersi dello sprawl urbano, costituisce un valore
intrinseco del paesaggio e favorisce la costruzione di corridoi ecolo-
gici individuati nella pianifi cazione d’area vasta e nei piani regionali
con valenza paesaggistica previsti all’articolo 134 del Codice Urba-
ni. La costruzione e la conservazione del Paesaggio devono essere
paradigmi fecondi nell’agire, sia sui riconoscibili elementi di identità
delle aree rurali e naturali e sia nelle trasformazioni urbane di aree
degradate o abbandonate sulle quali si gioca il destino delle città.
E’ in queste aree che andranno prevalentemente indirizzati i futuri
interventi edilizi, quindi la loro trasformazione deve essere saldamen-
te guidata dalla mano pubblica, che attenta all’inserimento nel di-
segno urbano complessivo, deve defi nire nuove destinazioni d’uso
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compatibili con l’intorno edifi cato. Sono aree spesso ubicate in luo-
ghi strategici che possono diventare luoghi di eccellenza attraverso
l’attribuzione di funzioni di alto livello tecnologico e culturale corri-
spondenti ad un moderno, avanzato concetto di sviluppo urbano.
Gli interventi di trasformazione devono rispondere a criteri di soste-
nibilità urbana sotto il profi lo ambientale e sociale. La rigenerazione
urbana non può quindi prescindere da parametri che sostengono la
qualità esterna ed interna all’area di intervento, in termini di traspor-
to pubblico locale, di risparmio energetico degli edifi ci, di quantità
e qualità degli spazi pubblici, di smaltimento dei rifi uti, di recupero
dell’acqua piovana, di armonia e bellezza, di permeabilità dei suoli
e difesa da ogni forma di inquinamento.
La presente Legge deve contenere con priorità quei temi sui quali le
Regioni non possono legiferare.
1) Oggetto e fi nalità.a) l’obiettivo della Legge è migliorare le condizioni di vita de-
gli esseri viventi, sia nelle aree antropizzate che in quelle na-
turali e agricole, attraverso il maggior rispetto della natura,
la tutela dei territori aperti, un nuovo modello urbano che
sappia creare condizioni di benessere alle persone, miglio-
ramento delle condizioni di qualità, sicurezza, e fruibilità col-
lettiva del territorio. Va data priorità alla conservazione della
natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risor-
se primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e
del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli
spazi urbani, dell’architettura, delle infrastrutture. A tal fi ne
gli obiettivi di conservazione, tutela e valorizzazione fanno
parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di inci-
dere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e
del patrimonio naturale e culturale.
b) Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasforma-
zione del territorio, debbono pertanto essere informate dai
seguenti principi:
- prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e
dell’interesse pubblico su quello privato;
- attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario
per la collettività;
- promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità,
estenda la partecipazione e la democrazia nella consa-
pevolezza che il territorio è un bene comune ed ogni azio-
ne compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere
ispirata e compatibile con questo principio, consapevole
che il suolo è una risorsa “fi nita” e quindi da preservare da
consumi impropri e devastanti per l’intero ecosistema.
c) La legge impegna a:
- promuovere la qualità della vita degli abitanti attraver-
so 1) l’offerta di spazi e servizi che soddisfi no bisogni in-
dividuali e favoriscano relazioni sociali 2) la riduzione del
tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi 3)
la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori
che producono agenti inquinanti;
- sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura, dell’i-
dentità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;
- affermare il valore imprescindibile della unità del territorio
nella globalità dei signifi cati, ecologici, storici, culturali e
sociali.
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2) Defi nizioni.a) il suolo è lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da
componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi vi-
venti. Esso rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e
ospita gran parte della biosfera. Svolge funzioni fondamen-
tali di ospitalità e di nutrimento per gli ecosistemi e le produ-
zioni agricole, di sequestro del CO2, di raccolta e fi ltraggio
delle acque meteoriche, di supporto fi sico e morfologico
per le attività antropiche e di componente essenziale per la
caratterizzazione del paesaggio. Ai fi ni della presente legge,
per suolo si intende anche la superfi cie di terreno che, nelle
aree urbanizzate, non è coperta da manufatti e non fa parte
dell’area di pertinenza degli edifi ci.
b) l’impermeabilizzazione: l’azione antropica che ha come
conseguenza la copertura permanente del suolo. L’imper-
meabilizzazione impedisce al suolo di svolgere la funzione di
assorbimento e di fi ltraggio delle acque.
3) Consumo di suolo extraurbano: I Comuni provvedono a defi nire
il perimetro del centro edifi cato e delle eventuali frazioni e nu-
clei sparsi. Il perimetro è tracciato con linea continua aderente
ai lotti degli edifi ci esistenti posti sul limite dell’area agricola e na-
turale. L’area esterna a tale perimetro non potrà essere sogget-
ta a nuove edifi cazioni e a impermeabilizzazioni che non siano
legate alle attività agricole o giustifi cate da interesse pubblico,
fi ntanto che le Regioni non abbiano defi nito i criteri di riduzio-
ne progressiva dell’edifi cabilità extraurbana per raggiungere, al
massimo entro 3 anni dalla data di approvazione della presente
legge, l’obiettivo di azzerare il consumo di suolo, riducendo del
50% nel primo anno le ipotesi edifi catorie presenti nel territorio
extraurbano. Attorno al perimetro del centro edifi cato principa-
le sarà individuata una cintura verde con funzioni agricole, spor-
tive, ecologico-ambientali.
4) Censimento delle aree libere e consumo di suolo urbano e pe-riurbano: ogni Comune provvede al censimento cartografi co di
tutti gli spazi pubblici e privati inedifi cati e/o inutilizzati interni al
perimetro del centro edifi cato così come defi nito all’articolo 1 e
li sottopone alla disciplina della presente Legge. La catalogazio-
ne deve indicare lo stato di diritto, la consistenza, l’uso del suolo
e la destinazione urbanistica cui l’area è soggetta
5) Un piano del verde e delle aree libere nel centro edifi cato, pre-cederà qualsiasi altro strumento di pianifi cazione urbanistica e quelli già adottati o approvati dovranno adeguarsi alle nuove disposizioni prescritte nel piano del verde. Il piano attribuirà a
ciascuna area libera una destinazione d’uso che comunque
non comporti nuove edifi cazioni e impermeabilizzazioni del
terreno. I parcheggi saranno realizzati con materiali drenanti e
saranno provvisti di alberature adeguate. Il piano defi nirà quali
aree saranno pubbliche, quali destinate ad uso pubblico, quali
ad uso privato. Il Piano prevederà la realizzazione e/o il com-
pletamento di piste ciclabili, corridoi ecologici, aree destinate
all’agricoltura urbana e periurbana e al soddisfacimento degli
standard urbanistici comunali e sovra comunali. Provvederà a
fare il censimento degli elementi vegetali signifi cativi esistenti. Il
Piano dovrà prevedere la piantumazione di masse arboree, di
fi lari lungo le strade, di cespugli e siepi, anche attraverso prescri-
zioni inserite nel Regolamento edilizio obbligatorie anche nelle
aree di proprietà privata. Il Piano del verde favorirà un nuovo
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rapporto fra città e campagna inserendo ove possibile cunei
verdi nelle aree urbanizzate, contribuendo a defi nire la forma
della città.
6) Impermeabilizzazione dei suoli e aree in trasformazione: nei
processi di trasformazione urbana, in particolare quelli che in-
teressano aree con attività produttive dismesse e aree dema-
niali edifi cate (caserme.), la nuova destinazione d’uso attribuita
dal Piano deve essere compatibile con l’intorno edifi cato e non
deve aggravare la condizione del traffi co urbano. Al 60% del-
la superfi cie totale dell’area deve essere garantita la comple-
ta permeabilità. Il 40% deve essere mantenuto a prato boscato
pubblico e il 20% ad altri servizi pubblici di quartiere e urbani.
Le trasformazioni urbanistiche dei tessuti già edifi cati devono ri-
durre le superfi ci impermeabili esistenti e assicurare un miglior
risparmio energetico degli edifi ci ricostruiti, ristrutturati e quelli di
nuova costruzione.
7) perequazione urbanistica: gli strumenti della pianifi cazione co-
munale e intercomunale (PRG, PAT, PATI o in altro modo deno-
minati) debbono prevedere gli ambiti di intervento perequati ai
quali corrispondano accanto a trasformazioni urbanistico/edi-
lizie consentite, la cessione al Comune di aree destinate a ver-
de e servizi dal Piano stesso. L’attuazione del piano deve essere
assicurata sia nella sua realizzazione privata che nelle dotazioni
territoriali corrispondenti agli standard urbanistici previsti nel PRG
e nelle dotazioni ambientali necessarie alla riconversione eco-
logica della città. Le volumetrie previste nelle aree edifi cabili,
verranno realizzate nelle stesse, come previsto dal Piano, ma sa-
ranno teoricamente distribuite nelle aree destinate a servizi pub-
blici che verranno cedute gratuitamente al Comune. I volumi
previsti nel Piano rimarranno invariati sia nella localizzazione che
nelle quantità. Le aree, che con destinazione diverse sono inse-
rite nell’ambito defi nito dal Piano, avranno gli stessi indici teorici
di edifi cabilità. I vantaggi economici derivanti dall’edifi cabilità
contenuta nel Piano saranno così distribuiti equamente in tutte
le aree soggette a trasformazione. Nel caso di aree già edifi ca-
te soggette a ristrutturazione urbanistica o a piani di recupero si
aggiungerà, nel calcolo della distribuzione degli indici attribuiti
a ciascuna area, a diversi usi destinata, il valore attribuito agli
immobili esistenti.
8) Premi volumetrici, compensazioni, crediti edilizi, fanno parte del Piano urbanistico generale e non possono essere attribuiti a po-steriori. Gli spostamenti di fabbricati ubicati nelle aree a rischio,
debbono trovare collocazione in aree edifi cabili previste dal
Piano. Mentre le nuove costruzioni si devono tutte adeguare ai
parametri di contenimento energetico indicati nelle norme del
Regolamento Edilizio senza la concessione di aumenti volumetri-
ci. Potranno essere concesse agevolazioni fi scali, riduzione degli
oneri e altre forme che non comportino ulteriore consumo di
suolo.
9) decadenza dei vincoli: Alla decadenza dei vincoli (dopo 5 anni
dalla loro applicazione) sulle aree destinate a servizi pubblici
soggette all’esproprio, sancita dalla Corte Costituzionale, cor-
risponde automaticamente la decadenza delle capacità edifi -
catorie previste dallo strumento urbanistico comunale. A questo
concorre la defi nizione del Piano generale (PAT) come Piano
non conformativo e la validità di 5 anni del Piano degli Interventi
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(PI o piano attuativo), scaduti i quali decadono tutte le previsio-
ni in esso contenute.
10) Nuovi piani urbanistici comunali e loro varianti possono modifi -
care in tutto o in parte, dandone adeguata motivazione, le pre-
visioni contenute nei Piani vigenti, comprese quelle relative alle
destinazioni che comportano l’edifi cabilità dei suoli, qualora non
siano già state stipulate convenzioni o rilasciati titoli abilitativi.
11) Moratoria: la capacità edifi catoria previste nei PRG vigenti è so-
spesa fi nché non è dimostrata, sulla base dell’incremento de-
mografi co e di altri parametri stabiliti dalle Regioni la necessità
di nuovi volumi edilizi che comunque dovranno rispettare, qua-
lora attuati, le prescrizioni contenute nella presente Legge.
12) Gli accordi di Programma e altri strumenti di concertazione e negoziazione fra pubblico e privato comunque denominati non possono applicarsi in deroga agli strumenti urbanistici approvati.
13) Project Financing: il ricorso allo strumento del Project Financing,
deve essere accompagnato da una scheda tecnica/ econo-
mica che dimostri il prevalere dell’interesse economico pubbli-
co rispetto a quello privato anche attraverso la comparazione
di modalità alternative di intervento, compreso quello diretto da
parte del soggetto pubblico promotore.
14) La rendita: Il plusvalore derivante dalla trasformazione della de-
stinazione d’uso e degli indici di edifi cabilità generata dall’ap-
provazione di uno strumento urbanistico di iniziativa pubblica,
va quantifi cato e ceduto al Comune sotto forma di opere o
aree (standard di PRG) o di contributo straordinario con desti-
nazione vincolata.
15) Gli oneri di urbanizzazione secondaria e i contributi di conces-sione non possono essere utilizzati per la spesa corrente ma deb-
bono essere destinati esclusivamente agli usi per i quali sono sta-
ti destinati dalla Legge che li ha introdotti, ovvero per “le opere
di urbanizzazione della città e le operazioni di recupero di edifi ci
preesistenti”. Le opere di urbanizzazione primaria debbono esse-
re interamente realizzate a cura e spese del lottizzante.
16) Inalienabilità dei beni pubblici: Gli alloggi destinati ad edilizia
residenziale pubblica e le aree acquisite attraverso cessione da
parte dei privati anche attraverso lo strumento della perequa-
zione urbanistica non possono essere alienati. Nei piani attua-
tivi e nelle aree del PI (Piano degli Interventi) con destinazione
prevalentemente residenziale, deve essere riservata all’edilizia
sociale una quota non inferiore al 20% del volume complessivo
previsto nel Piano.
17) Paesaggio urbano e periurbano: Il valore del paesaggio deve
essere assunto come paradigma di un modello nuovo di pianifi -
cazione urbana e territoriale. I Piani urbanistici generali e attuati-
vi dovranno individuare coni visuali lungo i quali non va preclusa,
con nuove edifi cazioni, la visibilità di tratti di paesaggio signifi ca-
tivo, di masse arboree, di scenografi e urbane, di parti di territo-
rio rurale ai margini dell’edifi cato. I manufatti rurali tipici presenti
nelle aree agricole e anche in quelle che hanno perduto l’origi-
naria funzione, saranno salvaguardati e il loro abbattimento (o
crollo accidentale) non potrà comportare la ricostruzione del
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volume perduto. Il risanamento, recupero, consolidamento di
singoli edifi ci o borghi rurali avrà la priorità nella distribuzione dei
fi nanziamenti statali e regionali destinati all’edilizia.
18) Invarianza idraulica dei suoli. Le Regioni valorizzano, anche at-
traverso sostegno economico, le operazioni di stombinamento
dei corsi d’acqua realizzate dai Comuni nei centri edifi cati. Nel-
le norme di attuazione dei Piani saranno vietati in linea di mas-
sima gli interramenti di corsi d’acqua, fossi e scoline e preclusa
l’edifi cabilità di aree soggette ad esondazione e allagamenti.
19) Concorsi di idee: le Amministrazioni pubbliche e private favori-
ranno la pratica dei concorsi di idee per risanare parti di città
degradate soprattutto nelle aree periferiche, in quelle scarsa-
mente dotate di verde e di servizi e nelle aree oggetto di impor-
tanti processi di trasformazione con cambiamenti di destinazio-
ne d’uso (caserme e fabbriche dismesse). L’obiettivo è quello di
dare un’identità ai luoghi, creare condizioni di benessere per gli
abitanti, favorire processi di integrazione sociale, costruire am-
bienti adatti alla vita dei bambini, inserire ogni area in un dise-
gno urbano coerente, che trovi nella bellezza della forma un
gradiente per costruire la città di tutti, la città intesa come bene
comune.
20) Un Parco di aree pubbliche: i Comuni si dotano di un “parco di
aree pubbliche anche edifi cabili” da utilizzare per i fi ni istituzio-
nali connessi con l’attuazione del Piano Urbanistico e di un par-
co alloggi da destinare ai trasferimenti necessari, conseguenti
alle trasformazioni di aree edifi cate.
21) Le Regioni a) non possono imporre ai Comuni ( vedi Piano Casa) l’applica-
zione di misure in deroga alle NTA e ai Regolamenti edilizi ap-
provati dai Comuni stessi, qualora peggiorative delle regole
urbanistiche di “igiene urbana”, di qualità degli insediamenti
e di tutela dei centri storici;
b) provvedono a defi nire le condizioni nelle quali è vietato l’uso
del sottosuolo, in base alla presenza di reperti archeologici,
di falde freatiche e altri elementi presenti nel contesto in cui
si colloca l’intervento, ai quali potrebbe essere di pregiudi-
zio;
c) individuano la distanza minima dalle strade di maggior traffi -
co alla quale le colture di ortaggi e vitigni devono collocarsi.
22) Verrà istituito in ogni Comune un osservatorio sul patrimonio im-mobiliare pubblico e privato inutilizzato e sul consumo di suolo, che si conformerà a criteri di misurazione oggettivi, validi in tutto
il territorio nazionale, in modo da assicurare l’omogeneità e la
confrontabilità dei dati reperiti. I dati saranno accessibili e resi
pubblici.
“La Regione ci riprova. Cambiano i Presidenti ma la musica che suonano a Palazzo Balbi non cambia: cementifi care e asfaltare. Dopo Galan, Zaia ripropone il PTRC (Piano Territoriale Regionale di Coordinamento), a suo tempo sommerso da una marea di osservazioni (oltre 15.000) presentate da cittadini, associazioni, forze sociali e che non riuscì nemmeno ad arrivare alla discussione in Consiglio Regionale. Ma per riuscirci ha bisogno di ricorrere a un escamotage giuridico di dubbia legittimità: attribuire al Piano una inesistente “valenza paesaggistica”. Centinaia di pagine, di relazioni, di indagini conoscitive disattese, servono solo a incartare con belle parole le peggiori intenzioni: il sostegno alla rendita parassitaria a danno dell’economia reale e del lavoro.Esauritosi il grande ciclo immobiliare più lungo dal dopoguerra ora il capitale fi nanziario punta sulle infrastrutture in “projet fi nancing” in salsa veneta: un diluvio di autostrade e ospedali da rottamare. La rete stradale viene così progressivamente privatizzata e si sottraggono risorse alla sanità. Per i privati rischio zero e guadagno certo; per la collettività meno servizi sanitari e aumento dei pedaggi, utilità incerta e altissimo rischio di costruzione di un debito occulto e differito di ingenti proporzioni, addossato sulle spalle delle prossime generazioni.Nel frattempo però cresce l’opposizione coinvolgendo in modo inedito comitati e associazioni imprenditoriali e sindacali.E’ ormai consapevolezza diffusa che la vera ricchezza del Veneto, uno dei territori più belli d’Italia – non a caso la prima regione turistica - sta, da un lato, nel suo patrimonio artistico e storico, paesaggistico e culturale e, dall’altro, nella sua industria manifatturiera, un tempo locomotiva d’Italia. Entrambi questi patrimoni italiani sono a rischio. A forza di creare valore spostando risorse dall’industria al cemento e all’asfalto alla fi ne si ottiene bassa produttività del sistema. La rendita deprime l’economia mentre si vanta di salvarla. Qui risiede la sua forza ideologica, la sua intrinseca capacità di mistifi care la realtà.Non è vero che non ci siano esigenze di nuovi interventi di trasformazione delle città. Le sempre più frequenti alluvioni indicano la necessità fermare il consumo di suolo e di mettere mano a un serio programma di difesa del territorio, dell’assetto idrogeologico. Serve poi un piano ricostruzione di ambienti compromessi, di messa in sicurezza e di riqualifi cazione energetica degli edifi ci a partire da quelli scolastici, di promozione di attività produttive innovative, di recupero e restauro architettonico degli edifi ci, dedicando attenzione alle esigenze abitative delle persone con bassi redditi e agli spazi pubblici. Un grande piano di piccole opere e poi un grande piano per la mobilità sostenibile sottoponendo il Veneto alla “cura del ferro” come “cura” alla “malattia dell’asfaltoC’è un nesso storico tra ambiente lavoro ed economia. Noi ci proponiamo di unire il “Rosso” e il “Verde”, il lavoro e l’ambiente. Unire non giustapporre. Noi siamo nati per questo: non è un caso che ci chiamiamo SEL, dove la E, connotata il carattere ecologista del nostro Partito.”