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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra Tesi di Laurea Magistrale in Fisica A. 2012/2013 Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applicazioni nello stoccaggio di idrogeno Relatore Laureanda Mauro Riccò Silvia Virdis Correlatore Daniele Pontiroli

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA

Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra

Tesi di Laurea Magistrale in Fisica

A. 2012/2013

Sintesi e studio strutturale di fulleriti

di magnesio per applicazioni nello

stoccaggio di idrogeno

Relatore Laureanda

Mauro Riccò Silvia Virdis

Correlatore

Daniele Pontiroli

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Ringraziamenti

Vorrei ringraziare innanzitutto il Prof. Mauro Riccò per avermi

permesso di entrare a far parte di questo progetto di ricerca nell’ambito

dell’Hydrogen Storage, e il Dott. Daniele Pontiroli per avermi supportato

e sopportato in tutto il periodo della tesi ed in particolare nell’ultimo

periodo della correzione.

Voglio inoltre ringraziare i dottorandi, Matteo e Mattia, per la

disponibilità che hanno sempre dimostrato nei miei confronti. Ringrazio

poi Sandra e gli altri tesisti per tutti il supporto e i momenti passati

insieme. Un ringraziamento va anche a tutti i miei colleghi per il loro

sostegno e la loro compagnia.

Ringrazio inoltre la mia famiglia, per avermi permesso di essere qui e

tutti gli amici che mi hanno sempre sostenuto, anche nei momenti brutti.

Ci sarebbe un lungo elenco da fare…ma sarebbe davvero troppo lungo.

Ringrazio infine una persona davvero speciale che riesce sempre a

tirarmi su di morale.

E perché no, ringrazio anche chi mi si è messo contro e mi ha fatto

stare male, perché fortunatamente ho capito che di quelle persone potevo

farne a meno.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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Indice

4

Indice

1 Sommario

Indice ..................................................................................................... 4

Introduzionee ....................................................................................... 8

Capitolo 1 ............................................................................................ 12

1 Economia basata sull’idrogeno ..................................................... 12

1.1 L’idrogeno ............................................................................. 12

1.2 La produzione dell’idrogeno ................................................. 16

1.2.1 Produzione da fonti fossili 16

1.2.2 Produzione da fonti rinnovabili 18

1.3 Lo stoccaggio dell’idrogeno .................................................. 19

1.3.1 Stoccaggio di idrogeno compresso 20

1.3.2 Stoccaggio di idrogeno in forma liquida 21

1.3.3 Stoccaggio attraverso l’assorbimento 21

1.3.4 Assorbimento dell’idrogeno nelle nanostrutture di

carbonio 23

Capitolo 2 ............................................................................................ 30

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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2 Le fulleriti ................................................................................... 30

2.1 Il C60....................................................................................... 30

2.1.1 Struttura cristallina del C60 32

2.1.2 Struttura elettronica del C60 36

2.2 Fulleriti intercalate................................................................. 37

2.3 Stoccaggio di idrogeno nelle fulleriti .................................... 39

2.4 Fulleriti di Magnesio ............................................................. 44

Capitolo 3 ............................................................................................ 50

3 Sintesi dei sistemi studiati ......................................................... 50

3.1 Sintesi del MgxC60 da magnesio metallico ........................... 51

3.2 Sintesi del MgxC60 da idruro di magnesio ............................. 53

Capitolo 4 ............................................................................................ 56

4 Tecniche sperimentali ................................................................ 56

4.1 Analisi XRD .......................................................................... 57

4.1.1 Teoria della diffrazione 57

4.1.2 Dalla teoria all’esperimento 63

4.2 Analisi PDF ........................................................................... 67

4.2.1 Teoria dell’analisi PDF 67

4.2.2 Apparato sperimentale e misure 71

4.3 Misura dell’assorbimento dell’idrogeno ............................... 74

Capitolo 5 ............................................................................................ 78

5 Analisi dati e risultati ottenuti .................................................. 78

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Indice

6

5.1 Analisi XRD .......................................................................... 78

5.2 Analisi dati e risultati ottenuti con la tecnica PDF ................ 84

5.3 Risultati ottenuti dall’idrogenazione dei campioni ............... 94

Capitolo 6 .......................................................................................... 102

6 Conclusioni e sviluppi futuri ................................................... 102

Appendice A ..................................................................................... 106

PDFgui .............................................................................................. 106

Bibliografia ....................................................................................... 112

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Introduzionee

Nel corso dello scorso secolo e negli anni di questo appena cominciato

il fabbisogno energetico risulta in costante aumento. Ai combustibili

fossili, ormai in via di esaurimento, si sono aggiunte le fonti di energia

rinnovabili (fotovoltaica, eolica, idroelettrica, marina, ecc… ), molte

delle quali consentono di produrre energia in maniera pulita.

A queste fonti va aggiunta la possibilità di accumulare energia

utilizzando l’Idrogeno, l’elemento più leggero e abbondante

nell’universo, presente nell’acqua, nei composti organici e negli

organismi viventi sulla terra e nelle stelle.

Tuttavia, l’idrogeno non costituisce una fonte energetica, in quanto è

praticamente assente sulla terra in forma molecolare. Esso si può

considerare un vettore energetico, ossia un mezzo in grado di veicolare

l’energia da una forma ad un’altra. L’idrogeno permetterebbe di

soddisfare le richieste di energia in modo centralizzato o distribuito, con

un impatto ambientale quasi nullo, in quanto reagisce con l’ossigeno

producendo acqua e calore, senza alcuna emissione di gas serra. Inoltre

può essere prodotto da fonti fossili, da fonti rinnovabili o da fonte

nucleare.

Un fattore cruciale per lo sviluppo futuro dell’economia basata

sull’idrogeno è il miglioramento dei metodi per il suo immagazzinamento

e trasporto, in quanto quelli attuali sono inadeguati o inefficienti per un

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stoccaggio di idrogeno

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utilizzo su larga scala. L’idrogeno ha infatti una densità di energia

specifica molto superiore rispetto a quella degli altri combustibili; un

ipotetico serbatoio di idrogeno con caratteristiche (autonomia, efficienza,

dimensioni) paragonabili a quelle ottenute con i carburanti tradizionali

implicherebbe il suo stoccaggio in fase gassosa ad una elevatissima

pressione, oppure il suo accumulo in fase liquida a bassissima

temperatura. Queste condizioni di stoccaggio comportano elevati costi

(per raggiungere alte pressioni o per la refrigerazione) e aumentano i

problemi riguardanti la sicurezza a bordo dei veicoli. Una possibile

risposta a queste problematiche proviene dallo stoccaggio dell’idrogeno

in sistemi solidi , che appare molto promettente sia per quanto riguarda la

capacità di accumulo, sia per le condizioni di utilizzo, anche se non si è

ancora identificato un serbatoio di idrogeno che soddisfi a tutti i requisiti

imposti dal Dipartimento dell’Energia Americano (DOE).

Relativamente allo stoccaggio a stato solido di idrogeno, le

nanostrutture di carbonio offrono notevoli vantaggi. Innanzitutto, il

carbonio è un elemento molto abbondante e leggero, altamente

biocompatibile. In particolare, i materiali nanostrutturati a base di

carbonio, quali i fullereni, i nanotubi e il grafene, presentano una elevata

porosità grazie alla quale l’idrogeno molecolare può essere assorbito

fisicamente in quantità significativa. Inoltre, la presenza di carbonio

ibridizzato sp2 a formare una struttura a nido d’ape ricca di legami

insaturi (orbitali di tipo π), può favorire anche l’assorbimento chimico

dell’idrogeno atomico, con energie di legame favorevoli per le

applicazioni pratiche.

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Introduzionee

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Recentemente, i sistemi basati sulle fulleriti intercalate con metalli

alcalini, ossia sali a trasferimento di carica fra il fullerene C60 e il metallo,

quale litio e sodio, sono apparsi molto promettenti, in quanto hanno

mostrato una elevata capacità di chemisorbire idrogeno a temperature

relativamente basse e in modo reversibile.

Il lavoro svolto e presentato all’interno di questa tesi rientra

nell’ambito dello stoccaggio dell’idrogeno a stato solido, con particolare

interesse nella possibilità di utilizzare nuovi sistemi di fulleriti intercalate

con magnesio. Questi composti, isolati solo recentemente, a causa delle

difficoltà legate all’intercalazione dell’alcalino-terroso nella matrice di

carbonio, non sono ancora del tutto noti dal punto di vista delle proprietà

fisiche e strutturali, ma appaiono promettenti per lo stoccaggio di energia,

in virtù delle conosciute proprietà del Mg di interagire con l’idrogeno.

Per questo motivo, il lavoro di tesi è stato articolato su due fronti: da un

lato si è cercato di ottimizzare il processo di sintesi delle fulleriti di Mg,

anche esplorando nuovi metodi di preparazione. Dall’altro, si è effettuato

uno studio strutturale dei composti, sia mediante la tecnica di diffrazione

da polveri di laboratorio (PXRD), sia con un nuovo approccio, attraverso

l’estrazione della Funzione di Distribuzione a Coppie (PDF, Total

Scattering) da dati di diffrazione ad alta energia da luce di sincrotrone.

Infine, i sistemi studiati sono stati caratterizzati dal punto di vista

dell’assorbimento dell’idrogeno attraverso misure di tipo Pressione,

Composizione, Temperatura (PCT).

Tale tema è stato svolto presso l’Università degli Studi di Parma

nell’ambito del progetto HyCarBo[1] e in collaborazione con la Dott.ssa

Chiara Milanese del Laboratorio Pavia H2 Lab, presso l’Università degli

Studi di Pavia.

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Capitolo 1

1 Economia basata sull’idrogeno

All’interno di questo capitolo verranno descritte le principali

caratteristiche dell’idrogeno, facendo riferimento al suo possibile

impiego come vettore energetico e i metodi principalmente usati per la

produzione e lo stoccaggio dello stesso.

1.1 L’idrogeno

L’idrogeno è l’elemento più leggero e abbondante dell’universo, dove

si trova principalmente sottoforma di plasma all’interno delle stelle.

Nella Terra è scarsamente presente nella sua forma molecolare (a

temperatura e pressione ambiente è un gas incolore, inodore e altamente

infiammabile) a causa della sua volatilità. Si trova però combinato con

altri elementi per formare composti come nell’acqua, negli idrocarburi,

nelle sostanze minerali e negli organismi animali e vegetali.

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stoccaggio di idrogeno

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L’idrogeno è il primo elemento della tavola periodica, possiede un

solo elettrone ed è dunque un elemento fortemente reattivo. Allo stato

atomico può combinarsi con altri elementi formando idruri nei quali

rappresenta la componente non metallica (numero di ossidazione -1),

oppure può andare a formare legami covalenti (numero di ossidazione

+1).

Allo stato molecolare è molto più stabile risultando meno reattivo e si

trova principalmente combinato con l’ossigeno per formare acqua.

Alcuni metalli (come nichel, platino o palladio) hanno la proprietà di

assorbire idrogeno molecolare favorendone la dissociazione in idrogeno

atomico e per questo vengono spesso utilizzati come catalizzatori in

questo tipo di reazioni.

La molecola di idrogeno è inoltre altamente infiammabile, e brucia a

contatto con l’ossigeno secondo la reazione: ,

producendo una grande quantità di calore. Questo tipo di reazione non

prevede la produzione di nessun gas inquinante ed ha come prodotto di

scarto l’acqua.

Tra tutti i combustibili e carburanti, l’idrogeno possiede, in rapporto al

peso, la maggiore densità energetica. Un kg di idrogeno contiene la stessa

energia di 2.1 kg di gas naturale o di 2.8 kg di benzina. Se confrontato

con il metano, la combustione dell’idrogeno produce una quantità di

calore, in Joule al chilogrammo, superiore di 2.6 volte[2].

L’idrogeno inoltre brucia all'aria quando la sua concentrazione è

compresa tra il 4 ed il 75% del suo volume, mentre per il gas naturale tra

il 5.4 ed il 15%. La sua temperatura di combustione spontanea è di

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585 °C, mentre quella del gas naturale è di 540 °C e quest’ultimo esplode

per concentrazioni comprese tra il 6.3 ed il 14%, mentre l’idrogeno

richiede concentrazioni dal 13 al 64%.

Considerate tutte queste caratteristiche, possiamo affermare che

l’idrogeno è un buon candidato per essere sostituito ai combustibili più

tradizionali.

Un altro vantaggio è dato dal fatto che l’idrogeno può essere prodotto

dall’acqua, da fonti fossili e biomasse con un impatto ambientale quasi

nullo e che dalla sua combustione si ottiene come prodotto di scarto solo

l’acqua. In questo modo vengono completamente eliminate le emissioni

in atmosfera di CO2 con un impatto ambientale praticamente nullo.

Le previsioni sui consumi di energia per il prossimo secolo prevedono

un forte aumento delle emissioni di CO2 con un conseguente aumento

della sua concentrazione in atmosfera, a meno di sostanziali cambiamenti

nel sistema energetico mondiale[3]. Il fatto che la combustione

dell’idrogeno non prevede la presenza di gas serra e che questo può

essere utilizzato in sostituzione ai carburanti oggi più comunemente usati,

consente di vederlo come una possibile soluzione al problema energetico

mondiale. Molti governi, costruttori di automobili, la comunità scientifica

e alcune industrie hanno riconosciuto l’economia basata sull’idrogeno

come una possibile alternativa a quella dei carburanti fossili.

Lo sviluppo di un’economia basata sull’idrogeno ha però ancora molti

problemi da superare. Innanzitutto si deve valutare qual è il metodo più

conveniente per la produzione dell’idrogeno, cioè si deve poter avere un

guadagno netto tra l’energia impiegata nella produzione e quella

potenzialmente ottenibile dall’idrogeno prodotto. Un’altra cosa da tenere

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stoccaggio di idrogeno

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in conto sono i costi che comporterebbe il passaggio dall’attuale

economia ad un’economia basata sull’idrogeno. Un altro ostacolo è

rappresentato dalla presenza di fonti alternative meno costose. Tra queste

abbiamo l’etanolo e il biodisel prodotto dalle biomasse (che potrebbero

risultare meno costose in un eventuale cambiamento dell’economia), i

combustibili fossili come metano e GPL (che comunque non sono

rinnovabili) e l’energia solare ed eolica.

Un’altra problematica riguarda i metodi di stoccaggio, soprattutto in

riferimento a serbatoi da utilizzare a bordo dei veicoli, e di trasporto

dell’idrogeno.

In primo luogo questo problema nasce dalla densità di energia

volumetrica dell’idrogeno che è inferiore rispetto a quella degli altri

combustibili (è circa ¼ di quella della benzina e circa 1/3 di quella del

gas naturale). Per ottenere dunque un serbatoio di dimensioni comparabili

a quelle degli altri carburanti, e con la stessa efficienza ed autonomia, è

necessaria una maggiore compressione (quindi uso di pressioni molto

elevate) in fase di stoccaggio, o lo stoccaggio dell’idrogeno allo stato

liquido (alte pressioni e/o basse temperature). In questo modo si hanno

però elevati costi sia per raggiungere alte pressioni che per la

refrigerazione, e si va incontro ai problemi riguardanti la sicurezza a

bordo dei veicoli.

Un altro problema riguarda la facilità con cui l’idrogeno tende a

fuoriuscire da qualunque mezzo possa contenerlo o dalle condutture per il

trasporto. Questo richiede l’uso di appositi contenitori e valvole che

possano limitare le perdite il più possibile per evitare incidenti (la

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1 Economia basata sull’idrogeno

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molecola potrebbe combinarsi con altri elementi diventando nociva per la

salute o infiammabile) e svantaggi dal punto di vista economico.

1.2 La produzione dell’idrogeno

I metodi di produzione dell’idrogeno oggi comunemente utilizzati

possono essere divisi in due categorie:

Produzione da fonti fossili;

Produzione da fonti rinnovabili [4].

Lo schema seguente riassume le varie tipologie di produzione.

Figura 1: schema sui metodi di produzione dell'idrogeno e possibili utilizzi [5].

1.2.1 Produzione da fonti fossili

Per quanto riguarda la produzione da fonti fossili, questi processi sono

tutt’oggi ampiamente utilizzati, anche se sarebbe necessaria

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stoccaggio di idrogeno

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un’ottimizzazione dal un punto di vista economico, energetico e di

impatto ambientale. Tali processi prevedono la produzione del gas

idrogeno attraverso successivi stadi di raffinazione e di frazionamento

degli idrocarburi fino alla completa eliminazione del carbonio. Con

questa tecnica viene prodotto la maggior parte dell’idrogeno utilizzato

nell’ambito chimico e metallurgico.

Per estrarre l’idrogeno dal petrolio e dal metano si utilizza la

cosiddetta tecnica del “reforming” o “steam reforming”, in cui,

utilizzando vapore d’acqua alla temperatura di 800° C in presenza di un

agente catalizzatore, si ossida il carbonio per liberare idrogeno. In questo

modo si ha emissione di anidride carbonica ( ) e l’idrogeno prodotto è

miscelato al monossido di carbonio e dunque deve essere

successivamente purificato. Questo metodo è quello maggiormente

utilizzato e veloce (si arriva alla produzione di 100.000 metri cubi di

idrogeno all’ora).

Un altro sistema, meno efficiente, per produrre idrogeno è il cracking

che consiste nella rottura della molecola del metano mediante sistemi

termici. In questo modo si ottiene solo carbone come prodotto di scarto.

Per la produzione di idrogeno dal carbone si deve effettuare un

procedimento detto di gassificazione: si fa reagire il carbone con vapore

d’acqua a 900° C e un composto catalizzatore per ottenere un gas formato

da idrogeno e monossido di carbonio.

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1 Economia basata sull’idrogeno

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1.2.2 Produzione da fonti rinnovabili

Per quanto riguarda la produzione da fonti rinnovabili, ad oggi

vengono sfruttate principalmente le biomasse e l’acqua.

La produzione da biomasse viene realizzata mediante la tecnica della

“pirolisi”, che consiste nel riscaldare le sostanze organiche sino a 900–

1000° C in assenza di aria per decomporle termicamente in elementi

semplici. Si ottiene così un residuo solido e le componenti volatili, tra cui

l’idrogeno. Oltre a questa vi sono altri metodi, alcuni dei quali poco

utilizzati ed altri ancora in fase di studio.

Nonostante questo la produzione da biomasse non ha ancora raggiunto

risultati tali da poter essere impiegata per la produzione a livelli

industriali.

La produzione di idrogeno a partire dall’acqua si basa sulla scissione

della molecola nelle sue componenti idrogeno e ossigeno. Vi sono diversi

modi di operare, ma quello maggiormente utilizzato è l’elettrolisi.

Il metodo elettrolitico consiste nell’utilizzo di energia prodotta da

impianti che sfruttano fonti rinnovabili per produrre l’idrogeno in

appositi reattori. Si utilizza una corrente a basso voltaggio che

attraversando l’acqua produce ossigeno gassoso all’anodo e idrogeno

gassoso al catodo. In questo modo, per ottenere un metro cubo di gas

idrogeno sono necessari 4-5 kW/h di energia elettrica. È comprensibile

che il problema di questo metodo sia l’elevato costo di produzione. Per

risolvere il problema è in fase sperimentale la produzione di idrogeno

mediante termo-elettrolisi: la dissociazione della molecola viene fatta

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sull’acqua in fase vapore ad alta temperatura (900/1000° C), e questo

consente di ridurre notevolmente i costi di produzione.

Altri metodi di produzione, meno utilizzati, sono: la foto conversione,

che permette di scindere l’acqua usando organismi biologici o materiali

sintetici; l’uso di sistemi catalizzatori o semiconduttori, che associati alla

luce solare sarebbero in grado di scindere la molecola d’acqua; la tecnica

della termolisi. Quest’ultima consiste nel dissociare le molecole d’acqua

tramite l’utilizzo del solo calore, ma richiede temperature molto elevate

(circa 3000° C) difficili da gestire.

1.3 Lo stoccaggio dell’idrogeno

L’idrogeno può essere accumulato e trasportato in forma gassosa,

liquida oppure adsorbito su particolari materiali; e i metodi di stoccaggio

dipendono anche dalle possibili applicazioni. Ciascuna di queste forme

presenta degli aspetti positivi, ma anche degli svantaggi, e sebbene questi

metodi siano tutt’oggi utilizzati, necessitano di miglioramenti per

aumentarne l’efficienza e l’affidabilità e consentire una distribuzione su

larga scala.

Il problema dello stoccaggio è importante soprattutto per quanto

riguarda l’utilizzo dell’idrogeno come carburante a bordo dei veicoli. Per

questi scopi è richiesta un’elevata densità di energia e in generale le

tecniche oggi utilizzate non possiedono i requisiti necessari di efficienza,

praticità ed economicità.

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1 Economia basata sull’idrogeno

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Vediamo una breve descrizione delle principali tecniche di stoccaggio

con relativi vantaggi e svantaggi. Un paragrafo in particolare sarà

dedicato allo stoccaggio dell’idrogeno nelle nanostrutture di carbonio,

argomento di questa tesi.

1.3.1 Stoccaggio di idrogeno compresso

L’utilizzo di gas compresso è il modo più semplice ed economico

usato oggi per stoccare e trasportare l’idrogeno. Le pressioni utilizzate

sono tra 200-250 bar, ma si possono raggiungere pressioni superiori. Con

queste pressioni occorrono dei serbatoi molto voluminosi, e questo limita

alcune delle possibili applicazioni come l’utilizzo a bordo dei veicoli. In

questi casi i serbatoi di idrogeno sarebbero fino a tre volte più grandi

rispetto a quelli utilizzati per il metano e dieci volte rispetto a quelli

utilizzati per la benzina.

Recentemente sono stati messi a punto dei nuovi serbatoi con una

struttura metallica o termoplastica rinforzata con fibre di carbonio, di

vetro o altri materiali. Questi hanno un peso 3-4 volte inferiore a quello

dei comuni serbatoi e sono in grado di operare a pressioni fino a 350 bar

(potenzialmente fino a 700 bar) consentendo quindi di ottenere densità di

accumulo di idrogeno adeguate all’uso a bordo di veicoli. A queste

pressioni vi sono però delle limitazioni per quanto riguarda la sicurezza,

soprattutto in caso di guasti o incidenti, e inoltre il metodo risulta

abbastanza costoso in quanto per raggiungere tali pressioni occorre

spendere una grande quantità di energia. Il metodo risulta quindi limitato.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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1.3.2 Stoccaggio di idrogeno in forma liquida

Lo stoccaggio in fase liquida permetterebbe di utilizzare dei serbatoi

più piccoli per poter immagazzinare quantità di idrogeno maggiori. Allo

stato liquido e a parità di moli l’idrogeno occupa un volume minore

rispetto al metano.

Tale metodo presenta però delle grandi difficoltà relative alla bassa

temperatura, infatti l'idrogeno diventa liquido a 20 K e mantenere

l’idrogeno a tale temperatura comporterebbe l’utilizzo di appositi serbatoi

e un grande dispendio di energia.

Sebbene quindi questo metodo sia favorevole dal punto di vista della

quantità immagazzinata e del volume dei serbatoi, presenta ostacoli dal

punto di vista della sicurezza (potrebbero esserci delle perdite durante il

rifornimento o in caso di incidente) e dei costi. Oltre all’alto costo per la

realizzazione dei serbatoi, anche il costo energetico della liquefazione è

considerevole, corrispondendo a circa il 30% del contenuto energetico

del combustibile, contro un valore compreso tra il 4% e il 7% per

l’idrogeno compresso.

1.3.3 Stoccaggio attraverso l’assorbimento

L’idrogeno può essere stoccato grazie alla sua capacità di legarsi a

composti chimici o a metalli, oppure grazie alla sua presenza in numerose

molecole, come il metano, più facilmente trasportabili dell’idrogeno

puro.

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1 Economia basata sull’idrogeno

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L’idrogeno può legarsi chimicamente con diversi metalli e leghe

metalliche per formare idruri, in grado di intrappolare idrogeno a

pressioni relativamente basse e di rilasciarlo se portati ad alte

temperature. Il volume di stoccaggio si potrebbe ridurre di 3-4 volte,

rendendo possibile l’uso nelle autovetture, mentre l’energia specifica

accumulata dipende dal peso specifico del metallo di base. Ad esempio

per l’idruro di litio le percentuali in peso dell’idrogeno variano dall’1% al

12.7% sul peso del metallo, mentre per le comuni bombole tale

percentuale è di poco superiore all’1%.

In alternativa vi è la possibilità di trasportare molecole ricche di idrogeno

come metanolo, etanolo o benzina, per le quali sono già esistenti

apposite strutture di trasporto, ed estrarre il gas all’occorrenza con

appositi processi. Sebbene questo metodo offra dei vantaggi in termini di

trasporto, spesso nell’estrazione dell’idrogeno sono presenti anche

sostanze di scarto, e alcune molecole che lo contengono sono tossiche o

comunque dannose.

Al giorno d’oggi sono molti i materiali candidati come mezzi di

stoccaggio [6], ma molti presentano delle problematiche:

spesso sono richieste pressioni troppo elevate durante la fase di

assorbimento e temperature troppo elevate nella fase di

desorbimento;

alcuni materiali non presentano reversibilità;

alcuni materiali mostrano instabilità a lungo termine;

spesso non si riesce a raggiungere la soglia prevista per la quantità

di idrogeno immagazzinata per scopi pratici. Il “U.S. Department

of Energy”[7] ha stabilito che la quantità di idrogeno ottimale

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

23

immagazzinata non deve essere inferiore al 6% del peso totale del

sistema come obbiettivo per il 2010 e al 9% per il 2015.

La ricerca è quindi volta allo studio di materiali innovativi e tecniche

che permettano di superare questi ostacoli.

Una tecnologia ancora in fase di sperimentazione per l’accumulo

dell’idrogeno riguarda l’utilizzo di nanostrutture di carbonio (nanotubi e

nanofibre di carbonio, fullerene, grafene). I vantaggi dell’uso di queste

strutture sono la grande abbondanza di carbonio. il basso costo di

produzione; l’alto rapporto superficie/volume dei materiali

nanostrutturati che li rende molto leggeri (la struttura è molto porosa,

quindi vuota) e permette di stoccare un’alta densità di idrogeno; la

stabilità delle strutture anche dopo l’idrogenazione.

1.3.4 Assorbimento dell’idrogeno nelle nanostrutture di carbonio

Assorbimento e idrogenazione

Esistono due tipologie di assorbimento, quello chimico e quello fisico.

Nel caso del chemisorbimento, l’idrogeno si lega con formazione di un

legame chimico mentre nel caso del fisiassorbimento tra l’idrogeno e

l’assorbitore si instaurano forze di natura elettrostatica di tipo Van der

Waals, che non prevedono la formazione di legami forti [8].

Le due tipologie di assorbimento presentano caratteristiche molto

diverse dal punto di vista della cinetica e dell’entalpia di legame.

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1 Economia basata sull’idrogeno

24

Nel caso del chemisorbimento, per la formazione del legame chimico

sono richiesti due passaggi, la dissociazione di una molecola di idrogeno

e la saturazione di un legame con il carbonio, che sono associati ad

un’energia maggiore e ad una cinetica più lenta rispetto al caso del

fisisorbimento. Un aspetto negativo legato a questo processo è che il forte

legame rende spesso difficoltosa la reversibilità. Rompere un legame

chimico in fase di desorbimento potrebbe richiedere temperature troppo

elevate rendendo il processo costoso e maggiormente rischioso se si parla

di applicazioni pratiche.

Se consideriamo il fisisorbimento, poiché siamo in presenza di legami

deboli l’assorbimento avviene a basse temperature e alle stesse il sistema

desorbe. Si hanno quindi problemi per quanto riguarda la stabilità in

quanto il sistema desorbirebbe a temperature ben più basse rispetto a

quelle di esercizio richieste per scopi pratici.

In termini teorici, lo studio dell’assorbimento da una superficie può

essere fatto mediante l’isoterma di Langmuir.

Ipotizzando una superficie uguale in tutte le sue parti e ricoperta in

maniera uniforme di idrogeno, è possibile conoscere la dipendenza della

quantità di idrogeno assorbito dalla pressione e dalla temperatura del

sistema (figura 2), attraverso l’equazione di Langmuir:

.

rappresenta l’entalpia di formazione del legame e rappresenta

l’estensione dell’area superficiale ricoperta.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

25

Figura 2: Influenza della pressione (a) e della temperatura (b) sulla quantità di idrogeno assorbita.

Si può osservare che, a parità di pressione, la quantità di idrogeno

assorbita aumenta se si aumenta la temperatura; e che, a parità di

temperatura, la quantità adsorbita aumenta se si aumenta la pressione.

Per descrivere quantitativamente le interazioni, è utile utilizzare il

valore dell’entalpia di formazione del legame ( ).

Confrontando i due processi di assorbimento, l’entalpia del

chemisorbimento è notevolmente più alta di quella del fisisorbimento, e

questo problema ha reso i materiali studiati sino ad oggi non adatti ad

applicazioni nell’ambito dello stoccaggio dell’idrogeno[3].

L’ideale sarebbe quello di trovare dei meccanismi che permettano di

avere un assorbimento/desorbimento con condizioni intermedie tra le due

tipologie, in modo da ottenere una forma di stoccaggio stabile a

temperatura ambiente e facilmente reversibile. Un buon valore per

l’entalpia di formazione si trova nel range .

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1 Economia basata sull’idrogeno

26

Vi sono alcuni studi teorici che ipotizzano dei metodi di idrogenazione

che permetterebbero di ottimizzare l’entalpia di formazione. Questi

metodi sono principalmente tre:

Potenziamento del fisisorbimento. Per il potenziamento di

questo processo è necessario approfondire lo studio di come la

geometria del sistema influenza l’assorbimento e quali sono le

interazioni tra l’idrogeno e la superficie assorbitrice.

Migliorando la conoscenza di questi aspetti si potrebbe operare

in modo da aumentare la quantità di idrogeno immagazzinata.

Potenziamento del meccanismo di legame tra l’idrogeno e la

superficie sfruttando l’interazione quantomeccanica di Kubas

[9]. Kubas scoprì dei complessi molecolari di idrogeno nei

metalli di transizione (in particolare organometalli). In tali

complessi l’interazione si realizza mediante donazione di carica

da parte della molecola di idrogeno all’orbitale vuoto del

metallo, seguita da una retro donazione dagli orbitali d del

metallo all’orbitale di antilegame molecolare dell’idrogeno.

Questo provoca da una parte un allungamento del legame H-H

nella molecola di idrogeno, dall’altra il legame tra la molecola e

il metallo. Attraverso queste interazioni si potrebbe dunque

ottenere un forte legame dell’idrogeno al materiale, senza che vi

sia dissociazione della molecola.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

27

Sfruttamento del cosiddetto ”hydrogen spillover”. Questo

meccanismo prevede la dissociazione della molecola mediante

l’utilizzo di un catalizzatore, che può essere introdotto nel

sistema come un’impurezza drogante. Successivamente

l’idrogeno ha sufficiente energia per migrare sino a raggiungere

i siti in cui si lega con il carbonio. Questo meccanismo può

avvenire solamente se l’idrogeno ha la capacità di diffondere

sul materiale o substrato che si sta utilizzando.

Come detto questo metodi sono frutto di studi teorici e la loro

possibile attuazione dal punto di vista sperimentale è ancora da

dimostrare.

Nel grafico successivo sono mostrati i principali metodi di stoccaggio

dell’idrogeno con le relative energie di legame.

Figura 3: energia di legame per l'Hydrogen storage in diversi materiali [8].

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1 Economia basata sull’idrogeno

28

Vantaggi nell’utilizzo delle nanostrutture di carbonio

Nell’ambito dello stoccaggio dell’idrogeno, le nanostrutture di

carbonio offrono notevoli vantaggi.

In generale, grazie al suo basso peso atomico, il carbonio possiede

un’alta capacità gravimetrica di stoccaggio dell’idrogeno. Ad esempio

nel metano si ha un valore di 25.1 % della massa, e nei composti del tipo

CnH2n+1 il valore è maggiore del 14 %.

Figura 4:densità gravimetrica e volumetrica dell’idrogeno per diversi metodi di stoccaggio

Per quanto riguarda nello specifico i materiali nanostrutturati, le

caratteristiche che li rendono buoni candidati come materiali per lo

stoccaggio dell’idrogeno sono principalmente tre. Innanzitutto tali

strutture sono fortemente propense a saturare i propri legami. Se

consideriamo il fenomeno dell’adsorbimento fisico, il potenziale

attrattivo tra la superficie considerata e l’idrogeno è descritto dalla

seguente formula :

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

29

.

α rappresenta la polarizzabilità, r la distanza di interazione ed S indica

la superficie assorbitrice. La polarizzabilità dell’idrogeno è ovviamente

fissata, mentre è possibile modificare quella della superficie. Nel caso

delle nanostrutture di carbonio l’alta polarizzabilità è dovuta alla

presenza dei legami π sulla superficie. L’assorbimento, inoltre, aumenta

se si aumenta la superficie disponibile, ed anche sotto questo aspetto le

nanostrutture rappresentano un buon materiale. In ultima analisi, un

aspetto positivo delle nanostrutture di carbonio è rappresentato dal fatto

che queste presentano una struttura ricurva. È stato dimostrato attraverso

studi teorici, che l’assorbimento dell’idrogeno è favorito nelle strutture

ricurve piuttosto che in quelle piane [10].

Questi descritti sono aspetti generali che mostrano i vantaggi

nell’utilizzo delle nanostrutture di carbonio. Nel capitolo successivo

verranno descritte in maniera più approfondita le fulleriti intercalate sulle

quali si è basato questo studio e saranno approfonditi gli aspetti che

mettono in luce le loro qualità come buoni materiali per lo stoccaggio

dell’idrogeno.

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30

Capitolo 2

2 Le fulleriti

In questo capitolo descriveremo la struttura e le proprietà delle fulleriti

e il C60. Tale materiale è infatti “lo scheletro” per la realizzazione delle

fulleriti intercalate studiate durante questo lavoro di tesi. Verrà inoltre

spiegato quali sono i motivi per cui questi materiali sono buoni candidati

per lo stoccaggio dell’idrogeno.

2.1 Il C60

La scoperta del C60 e degli altri fullereni è piuttosto recente[11].

Avvenne infatti nel 1985 e il nome “fullerene” deriva dal nome

dell’architetto americano Buckminster Fuller, che disegnava e progettava

cupole che avevano una forma simile a quella della nuova molecola.

La molecola del C60, ha la forma di una gabbia ‘sferica’ cava, di

diametro 7.1 Å, costituita interamente da atomi di carbonio uniti a

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

31

formare una struttura contenente 12 pentagoni e 20 esagoni (esattamente

come un pallone da calcio). Tra i fullereni il C60 risulta essere quella con

la maggiore stabilità per il numero di atomi e i legami.

Figura 5: alcune delle strutture della famiglia dei fullereni.

Vi sono altre strutture che contengono da 20 atomi di carbonio (il più

piccolo fullerene possibile) sino a superare i 900 atomi. Alcune di queste

strutture risultano altamente instabili a causa delle tensioni di legame.

Essendo il C60 la molecola più stabile[12], è anche quella maggiormente

studiata sino ad oggi.

Per quanto riguarda la struttura, ciascuna delle 12 facce pentagonali

risulta circondata da sei esagoni. Il legame tra gli atomi di carbonio non

è quindi sempre lo stesso. Innanzitutto si osserva una struttura ibrida tra

quella del legame tipico del diamante (con ibridizzazione sp3) e quella

della grafite (con ibridizzazione sp2).

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Le fulleriti

32

Figura 6: illustrazione dei legami presenti nella molecola di C60.

A causa di questa caratteristica si distinguono due differenti distanze

di legame: le facce pentagonali hanno lato di circa 1.45 Å, mentre negli

esagoni le distanze sono ridotte a 1.40 Å .

2.1.1 Struttura cristallina del C60

Grazie alla sua grande stabilità e alla simmetria icosaedrica (gruppo

puntuale Ih ) che rappresenta la massima simmetria puntuale possibile per

una molecola, il C60 tende a formare strutture cristalline con

impacchettamenti compatti e un ben preciso ordine traslazionale.

All’interno del cristallo la distanza fra sfere adiacenti è di circa 10 Å e

considerando la forma sferica delle molecole sono presenti dei vuoti

piuttosto ampi.

Le singole molecole possiedono un certo disordine orientazionale

dovuto alla loro simmetria e ai moti termici, e a temperatura ambiente i

singoli C60 ruotano liberamente attorno al proprio centro di massa.

Inoltre, poiché la simmetria icosaedrica della molecola non è compatibile

con la simmetria puntuale della struttura cristallina, i cristalli possono

presentare un disordine statico intrinseco detto disordine meroedrico.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

33

A temperatura ambiente, il C60 cristallizza dando luogo ad una fase

cubica a facce centrate con gruppo spaziale e costante reticolare

di 14.16 Å [13].

Figura 7:rappresentazione del disordine meroedrico in un cristallo di C60.

Non essendo perfettamente sferiche le singole molecole si dispongono

in maniera ordinata quando raggiungono una temperatura al di sotto dei

249 K. A tale temperatura si verifica una transizione di fase e il cristallo

assume una struttura cubica semplice con simmetria priva di

disordine intrinseco.

Sotto particolari condizioni di pressione e temperatura il C60 può dare

origine ad altre fasi come quella esagonale [14] o a fasi polimeriche con

catene monodimensionali o bidimensionali [15]. La molecola può

effettuare reazioni di cicloaddizione diverse a seconda delle condizioni

alle quali viene sottoposta, a partire dalla stessa struttura di partenza.

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Le fulleriti

34

Il grafico seguente mostra attraverso un insieme di difrattogrammi

ottenuti con i raggi X come, sottoponendo il C60 a pressione sempre

maggiori, questo presenti la formazione di diverse fasi coesistenti con la

fase iniziale. La struttura da cui si parte in questo caso risulta quella FCC.

Figura 8: difrattogrammi relativi al (a) C60 di partenza e al campione siottoposto a

diverse pressioni. Le lettere sui picchi rappresentano le differenti fasi osservate: T

tetragonale, R romboedrica; * rappresenta un picco dovuto ad un'impurezza.

Con la formazione di strutture polimeriche i C60 non mantengono la

loro forma sferica originaria ma si deformano a causa del nuovo legame,

presentando un allungamento nella direzione di polimerizzazione.

Un’altra caratteristica che distingue le varie fasi polimeriche è la

riduzione della distanza tra le singole gabbie di C60, che può essere

giustificata solo attraverso la formazione di un legame. Nel grafico

seguente sono mostrati i difrattogrammi delle differenti fasi osservate

con la relativa struttura.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

35

Figura 9: difrattogrammi realizzati mediante i raggi X ottenuti sperimentali

(linea spessa) e simulati (linea più sottile). La a) rappresenta la fase puramente

romboedrica, la b) un misto tra quella romboedrica e tetragonale e la c) quella

puramente ortorombica. Al lato sono inoltre mostrate le strutture corrispondenti

alle tre fasi (romboedrica, tetragonale e orto rombica).

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Le fulleriti

36

2.1.2 Struttura elettronica del C60

La molecola del C60 possiede complessivamente 240 elettroni. Di

questi 180 sono impiegati nei 3 legami che ciascun atomo di carbonio

forma con i vicini, mentre i restanti 60 sono delocalizzati [16]. In

particolare, poiché la molecola ha una superficie ricurva, gli elettroni

delocalizzati hanno funzioni d’onda asimmetriche che si sviluppano

verso l’esterno della molecola stessa.

Per quanto riguarda la configurazione elettronica, come mostrato in

figura 10, l’ultimo livello energetico risulta pienamente occupato e la

separazione fra gli orbitali HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital)

e LUMO (Lowest Unccupied Molecular Orbital) risulta essere di circa

1.7 eV.

Figura 10: a) disposizione degli orbitali per gli elettroni de localizzati; b)

schema della configurazione energetica del C60.

Nel C60 puro la banda LUMO è vuota, e questo conferisce al materiale

le caratteristiche di un isolante. Nella sua forma cristallina, invece, da

origine a quello che viene chiamato cristallo molecolare, che presenta

forti legami covalenti intramolecolari e interazioni di Wan der Waals

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

37

deboli tra le varie molecole. Da queste caratteristiche risulta uno schema

a bande del solido non molto diverso da quello della singola molecola.

La molecola di C60 è elettronegativa, e ha la capacità di legarsi con

ioni carichi positivamente come, ad esempio, i metalli alcalini o alcalino

terrosi. Il combinarsi con tali ioni ne modifica le proprietà elettroniche

rendendolo un conduttore o addirittura superconduttore al di sotto di una

certa temperatura che dipende dal tipo di metallo aggiunto e dalla

stechiometria. Ad esempio, intercalando il C60 con potassio per formare

K3C60 si trova una transizione superconduttiva ad una temperatura di 18

K [17].

2.2 Fulleriti intercalate

Come visto, la struttura cristallina a facce centrate del C60 contiene

ampi spazi interstiziali. Gli atomi di carbonio riempiono il 74% dello

spazio totale. La presenza di tali vuoti permette l’inserimento di

intercalanti per la formazione delle cosiddette fulleriti intercalate.

Altri vuoti presenti nella struttura sono quelli all’interno dei singoli

C60, ed anche in questo caso si può avere l’inserimento di piccole

molecole. Si parla in tal caso di fullereni endoedrici.

Per quanto riguarda gli intercalanti, questi possono disporsi in due

tipologie di siti, ottaedrico e tetraedrico. Per ogni molecola di C60 sono

presenti un sito ottaedrico e due tetraedrici. Le posizioni di questi ultimi

sono mostrate in figura 11. Se consideriamo la struttura del cristallo a

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Le fulleriti

38

temperatura ambiente, si stima che i vuoti tetraedrici abbiano un diametro

di 2.24 Å e quelli ottaedrici di 4.14 Å [18].

Figura 11:posizione dei siti ottaedrici e tetraedrici nelle fulleriti.

Attualmente, i composti realizzati e maggiormente studiati sono quelli

del C60 intercalato con metalli alcalini o alcalino terrosi. Per quanto

riguarda l’uso di questi metalli, essendo il C60 una molecola che tende ad

acquistare elettroni, se viene fatta reagire con metalli fortemente riducenti

si otterrà un materiale con comportamento ionico. Tali composti, per

questa caratteristica del trasferimento di carica, vengono anche chiamati

sali di fullerene.

Come si vede nella figura 10, il C60 può acquistare un numero di

elettroni pari a 6 per riempire completamente la banda LUMO, che

influenza le sue proprietà elettroniche. Questa non è però l’unica

stechiometria possibile, infatti la quantità di intercalante che non

compromette la stabilità del materiale cambia a seconda della dimensione

dello ione metallico (ad esempio utilizzando il Litio si può avere una

stechiometria con x=24; per il Sodio si arriva ad x=10, per il Potassio

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

39

x=6…). Nel caso del Sodio e del Litio, per stechiometrie così elevate si

ha un trasferimento parziale di carica con l’ulteriore formazione di

aggregati metallici nei siti interstiziali.

2.3 Stoccaggio di idrogeno nelle fulleriti

Sui fullereni e sulle altre nanostrutture di carbonio, come anche negli

idrocarburi, possono formarsi legami C-H molto stabili, in quanto

l’idrogeno si lega covalentemente con il carbonio. I composti che si

formano vengono chiamati idrofulleriti (C60Hx).

Attraverso studi teorici è stato determinato il valore dell’entropia e

dell’entalpia per l’idrogenazione del fullerene [19].

Per la reazione si ha:

per una temperatura di 314°C (587 K) e alla pressione di 1 bar.

Durante la fase di idrogenazione si possono formare strutture diverse e

ciascuna di queste può avere diversi isomeri [20]. Una volta idrogenato,

il C60 non è una miscela uniforme, ma contiene molti isomeri della

molecola C60H2n.

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Le fulleriti

40

Figura 12: rappresentazione di tre differenti isomeri della molecola C60H36: (a) Th in direzione dell’asse c3,

(b) C3i perpendicolare all’asse c3, (c) C3i, in direzione dell’asse c3, (d) D3d perpendicolare all’asse c3, (e)

D3d in direzione dell’asse c3.

Analisi condotte con lo spettrometro di massa mostrano che le forme

più stabili sono quelle per cui 18<2n<36, e in tutte queste molecole

l’idrogeno ha pressoché la stessa energia media di legame. In particolare

si stima che la molecola C60H36 sia la forma più stabile, e le energie

calcolate per i legami carbonio idrogeno sono 295.8 e 293.7 kJ/mol per

l’isomero con simmetria t e th rispettivamente [21]. Tali energie sono

significativamente più basse di quelle tipiche dei legami carbonio

idrogeno.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

41

Il C60 idrogenato non possiede la stessa struttura cubica a facce

centrate del C60, ma a mano a mano che si procede con l’idrogenazione il

passo reticolare va allargandosi, passando dal valore 14.17Å a 15.12Å

con una quantità di idrogeno pari al 4.6%. Una delle strutture stabili

osservate nel C60 idrogenato è quella cubica a corpo centrato. Se si

aumenta ulteriormente la quantità di idrogeno è possibile ottenere un

sistema completamente amorfo [22]. Una volta che il fullerene è stato

idrogenato possiede una struttura molto stabile, e dunque il processo

risulta difficilmente reversibile. Spesso il desorbimento si ottiene per

temperature intorno agli 800 K, ma per queste energie si ha la

decomposizione irreversibile della stessa gabbia fullerenica.

Per questo motivo, per scopi pratici è necessario un meccanismo di

idrogenazione che permetta di avere dei processi reversibili, ed inoltre è

necessario un sistema che abbia un’energia di legame relativamente bassa

(tali caratteristiche sono state descritte nel capitolo precedente).

L’energia di legame desiderata (un buon valore si ha tra

) può essere ottenuta mediante interazioni quanto-meccaniche

come l’interazione di Kubas o l’interazione di dipolo o quadrupolo tra le

molecole dell’idrogeno e il materiale assorbitore.

Studi teorici hanno predetto che alcuni composti del C60 decorato con

metalli alcalini abbiano entalpie che rientrano in questo range e possono

assorbire sino al 13.5% della massa totale in idrogeno [23]. Tra queste

strutture rientrano, ad esempio, il Ca32C60 [24], Na10C60 [25] e LixC60[26].

Tali energie potrebbero realizzarsi mediante le interazioni di Kubas nel

caso dei metalli che possiedono elettroni negli orbitali d, oppure

mediante interazioni di tipo elettrostatico. In termini di interazioni

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Le fulleriti

42

elettrostatiche è stato calcolato [27] che l’energia di legame tra la

molecola di idrogeno e un fullerene (Cx con 20 ≤ x ≤ 82) carico

positivamente o negativamente si trova nel range 17-31 kJ/mol ed ha una

capacità di contenere l’idrogeno sino all’8% della massa. Come visto nel

paragrafo precedente, è possibile ottenere un fullerene carico mediante

l’intercalazione di metalli alcalini o alcalino terrosi.

Figura 13: a) illustrazione del meccanismo di assorbimento di i drogeno reversibile nel Na10C60. La

deintercalazione degli atomi di sodio durante l’idrogenazione la favorisce e porta alla formazione del NaH.

B) idrogenazione e deidrogenazione del C60. Come si vede per grandi quantità di idrogeno assorbite si ha la

rottura delle gabbie fullereni che in fase di desorbimento.

Dal punto di vista dello stoccaggio dell’idrogeno, lo ione alcalino

gioca un ruolo importante in quanto è in grado di instaurare un forte

legame elettrostatico con la molecola dell’idrogeno e catalizzarne la

dissociazione. Inoltre, anche il C60 carico può dare un contributo notevole

in quanto la carica delocalizzata che possiede genera un campo elettrico

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

43

intenso a brevi distanze. Questo intensifica l’interazione con le molecole

di idrogeno e può fornire persino un’energia sufficiente per la

dissociazione della molecola stessa.

Per quanto riguarda la quantità ottimale di intercalante, abbiamo detto

che, in generale, per piccole quantità si ottengono strutture polimeriche

anisotrope, con le quali gli elettroni sono impiegati nella formazione dei

legami polimerici.

Alcuni studi teorici [28] hanno mostrato che gli ioni di metalli alcalini

e alcalino terrosi hanno la capacità di coordinare molte molecole di

idrogeno grazie alla loro forte polarizzabilità.

Oltre all’utilizzo dei metalli alcalini e alcalino terrosi, alcuni lavori

predicono la possibilità di utilizzare i metalli di transizione che

permetterebbero di legare ciascuno sino a quattro molecole di idrogeno

grazie alle interazioni di Kubas [29].

Il problema è che il C60 è termodinamicamente sfavorito a legarsi con

questi elementi a causa dell’elevata energia di coesione tra loro che li

porterebbe alla formazione di aggregati poliatomici. Questo può essere

risolto controllando la stechiometria dei composti o utilizzando un

opportuno metodo di sintesi.

Un importante vantaggio nell’uso dei metalli di transizione è la

possibilità di legare molecole di idrogeno senza dissociarle e con

un’energia di legame adatta al desorbimento a temperatura ambiente,

rendendoli interessanti dal punto di vista delle applicazioni pratiche [30].

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Le fulleriti

44

2.4 Fulleriti di Magnesio

In questo paragrafo verranno trattate le fulleriti di magnesio, oggetto

dello studio di questa tesi. In particolare verranno descritte la loro

struttura le loro proprietà elettroniche. Si ritiene inoltre che tali sistemi

siano interessanti dal punto di vista dello stoccaggio dell’idrogeno. Da

una parte il magnesio ha una forte tendenza a legarsi con l’idrogeno e

dall’altra anche il C60 carico ha forte tendenza a reagire con l’idrogeno.

È noto che l’intercalazione del C60 con elementi piccoli come alcuni

atomi alcalini e alcalino terrosi porta alla formazione di strutture

polimeriche. La presenza di questi elementi riduce l’ingombro sterico

portando ad una contrazione della struttura, ad un trasferimento di carica

e conseguentemente rendendo dominanti i singoli legami C-C porta alla

formazione della struttura polimerica [31]. I sistemi polimerici

maggiormente noti e studiati sono il A1C60 con A= K, Cs, Rb [32], ma

più recentemente sono stati identificati anche altri sistemi come Na4C60

[33] e Li4C60[ 34]. In particolare il sistema di Na4C60 è un polimero

bidimensionale e presenta una transizione di fase reversibile a 500 K che

porta al passaggio dalla sua struttura polimerica ad una monomerica.

Figura 14: a sinistra è mostrata la cella a corpo centrato monoclina del

Na4C60. A destra è mostrata la struttura con la corretta orientazione.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

45

Relativamente alle fulleriti di magnesio, in letteratura sono note due

fasi polimeriche stabili, quella del Mg4C60 e quella del Mg2C60. In

entrambi i casi si tratta di strutture polimeriche bidimensionali.

Figura 15: Struttura polimerica bidimensionale nel Mg2C60. La struttura è

costituita da un network di C60 connessi tra loro tramite legami songoli C-C.

Per quanto riguarda il Mg4C60, da esperimenti condotti con i raggi X si

è indicizzata una cella romboedrica [35] con parametri reticolari

, e . Il gruppo spaziale è . Queste

caratteristiche indicano la formazione di un polimero bidimensionale in

cui i C60 sono connessi da coppie di legami C-C. All’interno di questa

struttura, la più piccola distanza tra i C60 e gli ioni Mg è nell’intervallo

5.81-5.93 Å. Se a questa distanza si sottrae quella del raggio del C60 (3.55

Å) si ottiene una distanza corrispondente al legame ionico C-Mg.

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Le fulleriti

46

Nel caso del Mg2C60, si indicizza una cella monoclina a corpo centrato

[36] con parametri reticolari , ,

e ; con gruppo spaziale I2/m. La struttura è

quella di un polimero bidimensionale in cui i C60 sono interconnessi

mediante coppie di cicloaddizioni C-C e legami singoli C-C. Le due

tipologie di legami si formano in direzioni perpendicolari e i singoli C60

risultano distorti a causa della presenza di legami singoli. Questo

polimero è isostrutturale al Li4C60.

Oltre a queste due fasi, è presente uno studio che descrive la

possibilità di ottenere un polimero bidimensionale con singola fase anche

con stechiometria del magnesio pari a 5 [37]. In questo caso un’analisi ai

raggi X permette di indicizzare una struttura analoga a quella del Mg4C60,

con uguali parametri reticolari e gruppo spaziale. Questo sistema è stato

prevalentemente studiato dal punto di vista delle proprietà elettroniche.

Il Mg5C60 è un polimero stabile sino ad alte temperature (823 K),

mentre altre fulleriti polimeriche lo sono solo sino a temperature di 400-

500 K. Tramite misure ESR (Electron Spin Resonance) è stato mostrato

che questo materiale ha un comportamento metallico ad alta temperatura

mentre transisce diventando un isolante a bassa temperatura. In

particolare si trova che ad alta temperatura la conduttività diminuisce

come in un normale metallo a causa dello scattering fononico; mentre

abbassando la temperatura si trova un massimo e poi questa diminuisce

sotto i 200 K.

Altri studi sono in disaccordo con questo risultati ed anzi descrivono

un comportamento da isolante per tutte le possibili stechiometrie di

magnesio [38].

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

47

Per quanto riguarda invece il Mg2C60, anch’esso risulta stabile sino a

823 K ed è noto principalmente come conduttore ionico. Misure DC e

AC a diverse temperature mostrano che questo materiale è un conduttore

ionico anche a temperatura ambiente, e che possiede una bassa energia di

attivazione della diffusione ionica [36]. La struttura di questo materiale è

analoga a quella del conduttore superionico Li4C60 polimerico, e questo

fa pensare che in entrambi la conduzione si realizzi con il medesimo

meccanismo di hopping degli ioni [39]. Queste caratteristiche di

conduttore ionico ne suggeriscono un ipotetico utilizzo per la

realizzazione delle batterie ioniche al Magnesio.

All’interno di questo lavoro di tesi vengono esplorate le caratteristiche

delle fulleriti intercalate di magnesio in relazione allo stoccaggio

dell’idrogeno. In letteratura non esistono lavori che descrivano questo

tipo di sistemi sotto questo aspetto.

Come abbiamo detto nel paragrafo precedente le fulleriti intercalate

con metalli alcalini sono promettenti nell’ambito dello stoccaggio

dell’idrogeno sia in termini di abilità nell’assorbirlo, sia in termini di

reversibilità. In particolare questa capacità è nota quando sono presenti

cluster di metalli alcalini che sono in grado di catalizzare lo splitting della

molecola dell’idrogeno e favorirne quindi l’idrogenazione.

Nel caso del magnesio non si osservano cluster metallici ma strutture

polimeriche. Sebbene tali strutture siano sfavorite dal punto di vista dello

stoccaggio dell’idrogeno a causa dei pochi legami liberi presenti, il

magnesio è noto per la sua capacità di formare idruro anche a

temperatura ambiente. Per la formazione dell’idruro il magnesio mescola

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48

i suoi orbitali atomici con quelli di antilegame della molecola di H2, e

questo potrebbe favorire lo splitting della molecola stessa, con la

conseguente presenza di idrogeno in forma atomica nel solido.

Oltre a questo fatto, vi sono alcuni lavori che mostrano la possibilità

di utilizzare nanoparticelle di magnesio o idruro di magnesio disperso in

una matrice di carbonio per migliorare l’assorbimento [40]. Alcune

misure effettuate tramite μSR, inoltre, mostrano che il C60 carico può

reagire con l’idrogeno atomico anche a basse temperature [41].

Tutte queste caratteristiche rendono le fulleriti di magnesio

interessanti per essere studiate dal punto di vista dello stoccaggio di

idrogeno.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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Capitolo 3

3 Sintesi dei sistemi studiati

All’interno di questo capitolo verranno descritti i metodi di sintesi

utilizzati per realizzare le fulleriti di magnesio studiate.

Tutte le sintesi sono state fatte all’interno di una glove box, una

camera con atmosfera controllata e una bassa percentuale di ossigeno

(inferiore ad una parte su 106) e umidità. Questo accorgimento è molto

importante per preservare i materiali e il campione da ossidazione. In

particolare è importante evitare l’ossidazione dei campioni in quanto

l’ossigeno passiva la superficie e modifica le caratteristiche fisiche e

composizionali del campione.

Per la realizzazione dei campioni di MgxC60, si è scelto di utilizzare la

sintesi a stato solido. Tale metodo non prevede l’utilizzo di solventi ma la

reazione si realizza mediante il contatto diretto delle sostanze in forma

solida e la diffusione di una componente all’interno dell’altra.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

51

Questo metodo di sintesi è abbastanza lento, e spesso risulta difficile

ottenere dei materiali omogenei o monofasici, infatti nonostante i

reagenti possano essere mescolati bene a livello macroscopico, spesso

risultano disomogenei su scala atomica. Un altro svantaggio è che non c'è

modo di conoscere lo stato di avanzamento della reazione. In generale è

necessario studiare i vari parametri di sintesi per ottenere le condizioni

ottimali che permettono di avere un campione omogeneo.

In generale le reazioni a stato solido sono realizzate in due fasi:

Mescolamento dei reagenti

Riscaldamento

Vi sono vari modi per ottenere il MgxC60 con reazioni a stato solido, in

quanto è possibile utilizzare il magnesio in diverse forme. In particolare

sono state prodotte due tipologie di campioni: usando magnesio metallico

e idruro di magnesio. Quest’ultimo metodo risulta essere un metodo

innovativo.

3.1 Sintesi del MgxC60 da magnesio metallico

Per questa sintesi sono stati innanzitutto pesati il C60 ( Mer 99.9% ) e

il Mg (Mg Alfa Aesar 325 mesh) in polvere molto fine con le proporzioni

stechiometriche desiderate.

Per ottenere un mescolamento ottimale le due polveri sono state messe

in una giara di Agata con tre sferette dello stesso materiale e sono state

macinate meccanicamente per 30 minuti con una frequenza di 20 Hz.

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Sintesi dei sistemi studiati

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Figura 16: Ball-Milling utilizzato per la sintesi. Sullo strumento è

possibile leggere i minuti e la frequenza, e al di sopra si vede la

giara di Agata fissata sullo strumento.

Questo processo è stato eseguito in tre differenti step da 10 minuti

ciascuno, intervallati da 10 minuti di pausa necessari per evitare il

surriscaldamento del sistema. Per evitare che le sferette si rovinino

sbattendo tra loro nella fase di mescolamento è necessario che il

campione posto nella giara abbia un peso complessivo maggiore di 300

mg.

Una volta terminata questa prima fase, se la polvere ottenuta risulta

uniforme, si può procedere a prepararla per essere sottoposta a

trattamento termico. La fase di riscaldamento serve per attivare la

diffusione delle molecole di magnesio all’interno del C60 e migliorare le

proprietà di cristallinità della struttura. Il campione viene riscaldato sino

alla temperatura di vaporizzazione del magnesio, che può così diffondere

più agevolmente. Inoltre l’energia termica permette agli atomi di

muoversi e disporsi nella posizione di equilibrio, formando così una

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

53

struttura più ordinata. Ovviamente si deve prestare attenzione alla

temperatura scelta per il trattamento, che deve essere inferiore rispetto a

quella di decomposizione dei materiali costituenti il campione.

Per il nostro campione si è scelto di ridurlo in forma di pastiglia

mediante l’uso di un pastigliatore di titanio, la quale è stata poi posta in

un cilindretto di tantalio con oring di rame. Una volta ben chiuso il

cilindretto può essere portato fuori dalla glove box e collegato ad un

sistema da vuoto sino ad ottenere un vuoto dell’ordine di 10-5

mbar.

Per il trattamento termico il cilindretto è stato posto all’interno di una

fiala di pyrex e sottoposto a temperatura di 550°C in muffola per 24 ore.

Una volta trascorso questo tempo, la fiala viene recuperata e la si

introduce di nuovo all’interno della glove box per il recupero del

campione.

3.2 Sintesi del MgxC60 da idruro di magnesio

Per questa sintesi il primo passo è quello di pesare il C60 (Mer 99.9%)

e l’idruro di magnesio (MgH2 al 98%) in modo da ottenere la

stechiometria desiderata.

Le due polveri vengono successivamente trasferite in un mortaio di

Agata dove vengono ulteriormente polverizzate e mescolate insieme sino

ad ottenere una polvere di colore e aspetto omogeneo.

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Sintesi dei sistemi studiati

54

Figura 17: a) mortaio di Agata; b) forno e fiala di quarzo. La fiala contiene una

bustina di tantalio sul fondo ed è collegata ad una pompa da vuoto.

Una volta fatto questo passaggio la polvere viene ridotta sottoforma di

pastiglia attraverso l’uso di un pastigliatore di titanio e la pastiglia

ottenuta viene posta in una bustina di tantalio.

Tale busta è poi inserita in una fiala di quarzo che, dopo essere stata

chiusa con un’apposita valvola, viene portata all’esterno della glove box

per essere inserita in un apposito forno e sottoposta a trattamento termico

per 24 ore. Il trattamento termico prevede una prima rampa termica sino

a 200°C con una salita di 50°C/h, una seconda rampa con 10°C/h sino ad

arrivare a 350°C, temperatura alla quale il campione rimane per 5 ore; ed

infine una discesa sino alla temperatura ambiente con 200°C/h. A 350°C

l’idruro di magnesio decompone con la liberazione di idrogeno, e gli

atomi di magnesio hanno sufficiente energia termica per completare il

processo di sintesi diffondendo all’interno del C60.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

55

La fiala contenente il campione viene inoltre collegata ad un sistema

da vuoto che serve inizialmente per fare il vuoto sul campione prima del

trattamento termico, poi viene utilizzata per eliminare l’idrogeno che

viene liberato dalla decomposizione dell’idruro ed altre impurezze che

possono passare in fase vapore durante il trattamento termico.

Una volta concluso il trattamento la fiala viene chiusa su se stessa e

riportata all’interno della glove box per il recupero del campione.

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Capitolo 4

4 Tecniche sperimentali

In questo capitolo verranno descritte le tecniche per l’analisi

sperimentale condotta sui campioni. Tutti i campioni sintetizzati sono

stati studiati mediante tecnica XRD. Tale misura, anche fatta in maniera

grossolana, consente di verificare la presenza di ossido, di magnesio non

reagito e ci permette di capire se il sistema è omogeneo o presenta più

fasi e di avere un’idea della cristallinità del campione.

Uno dei campioni realizzati da fase vapore, il Mg5C60, è stato studiato

anche tramite l’analisi PDF (Pair Distribution Function) per cercare di

approfondire lo studio della sua struttura.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

57

4.1 Analisi XRD

4.1.1 Teoria della diffrazione

La diffrazione da raggi x è la tecnica maggiormente utilizzata per lo

studio dei solidi cristallini, e rappresenta lo strumento di ricerca più

importante nell’ambito della fisica della materia. La grande importanza

nell’utilizzo di questo metodo è che i raggi x possiedono una lunghezza

d’onda comparabile con la distanza tra gli atomi o le molecole che

costituiscono il reticolo cristallino (ordine di grandezza degli Angstrom).

Per utilizzare questo strumento di analisi è inoltre importante che il

materiale oggetto dello studio sia costituito da un arrangiamento

periodico e regolare di atomi (il cosiddetto reticolo cristallino).

L’interazione tra i raggi x e la materia è un’interazione

elettromagnetica che coinvolge gli elettroni, e sono due i fenomeni che

possono verificarsi:

Assorbimento, cioè gli elettroni del materiale possono assorbire

completamente o parzialmente l’energia della radiazione e

utilizzarla per compiere delle transizioni;

Diffusione. In questo caso la radiazione viene riflessa

elasticamente e da luogo al fenomeno dell’interferenza.

Quest’ultimo fenomeno è quello che viene chiamato diffrazione, ed è

costituito principalmente da due contributi, lo scattering Thomson,

coerente, e quello Compton che rappresenta la parte incoerente. In

particolare lo scattering Thomson è quello responsabile dei fenomeni veri

e propri di diffrazione in quanto la radiazione diffusa mantiene una

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Tecniche sperimentali

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precisa relazione di fase con la radiazione incidente, e si parla dunque di

scattering coerente. Nello scattering Compton invece la radiazione non

viene diffusa in maniera completamente elastica, ma perde parte della sua

energia e la relazione di fase con l’onda incidente (scattering incoerente).

Per questo motivo questo secondo contributo è quello che maggiormente

concorre alla presenza del segnale di fondo (background) che si osserva

in questo tipo di fenomeni.

Per capire meglio quanto detto, descriviamo l’interazione Thomson tra

l’onda elettromagnetica e a materia[42]. Consideriamo il campo elettrico

prodotto da un’onda incidente all’istante t e nella posizione x:

. (1)

rappresenta la frequenza dell’onda e l’ampiezza.

Quando l’onda interagisce con un elettrone, questo, sollecitato, emette

a sua volta una radiazione elettromagnetica (approssimazione di dipolo

classico).

Il campo prodotto nel punto R alla distanza r dall’elettrone e ad un

angolo ψ rispetto alla direzione perpendicolare a quella del fascio è dato

da:

, (2)

dove rappresenta lo sfasamento tra le due onde. Utilizzando

l’elettromagnetismo classico è possibile dimostrare che tale onda giace

sul piano xy ed è scrivibile come:

. (3)

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

59

Figura 18: Schema della diffusione coerente.

In generale l’onda incidente non è polarizzata ma risulta costituita da due

componenti totalmente polarizzate, una perpendicolare ed una parallela al

piano xy. Se chiamiamo queste due componenti rispettivamente e ,

l’intensità dell’onda è scrivibile come:

. (4)

Se l’onda risulta non polarizzata, allora tale intensità vale

. (5)

Il fattore nella parentesi quadrata è detto fattore di polarizzazione, e ci

mostra che per un’onda non polarizzata si avrà un intensità emessa

massima nella direzione dell’onda incidente e minima nella direzione

perpendicolare. Considerando le relazioni 1 e 2 è possibile vedere come

tra le due ci sia una ben definita relazione tra le fasi che può quindi dare

luogo a fenomeni di interferenza.

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Tecniche sperimentali

60

Andiamo ora a considerare una coppia di elettroni, i principali centri

scatteratori per la radiazione x, e descriviamo come avviene il fenomeno

dell’interferenza che da luogo alla diffrazione.

Figura 19: Raggio incidente e raggio difratto su due piani atomici.

Consideriamo una radiazione incidente con un angolo sulla

superficie del solido di vettore d’onda k. Tale radiazione, colpiti i centri

scatteratori, viene diffusa con vettore d’onda k’. Tra le due onde esiste

una differenza di fase con

, con

. Da qui si vede che se la differenza

di fase è piccola, e non avvengono fenomeni di interferenza.

Per descrivere la densità elettronica nel materiale possiamo utilizzare

la densità numerica ricavata dal modulo quadro della funzione d’onda di

Schroedinger . Con questa densità è possibile ricavare il

fattore atomico di scattering come:

. (6)

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

61

Questo fattore ci da il contributo allo scattering del singolo elettrone.

Se consideriamo un atomo è possibile esprimere la densità di probabilità

sommando su quella degli i elettroni costituenti il singolo atomo:

. (7)

Facendo la trasformata di Fourier di questo oggetto si trova il fattore

atomico di scattering:

. (8)

Nel cristallo non abbiamo a che fare con i singoli atomi, dunque è utile

utilizzare i risultati ottenuti per esprimere il fattore di forma molecolare

che può essere utilizzato per le molecole ma anche per la cella unitaria

del cristallo.

Consideriamo un reticolo con gli atomi e immaginiamo di considerare

l’atomo i-esimo nella posizione . La sua densità elettronica è descritta

da . Utilizzando quest’ultima è possibile esprimere il fattore di

forma molecolare che ci fornisce l’ampiezza dell’onda scatterata:

. (9)

Per rappresentare il cristallo non basta utilizzare il fattore di forma

molecolare, ma per darne una rappresentazione possiamo utilizzare il

fattore di struttura:

(10)

dove la è una Delta di Dirac e è uno dei

vettori del reticolo cristallino. Utilizzando la densità della cella unitaria

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Tecniche sperimentali

62

( ), è possibile esprimere la densità dell’intero cristallo come:

.

Passiamo ora allo spazio reciproco, cioè passiamo dalla

rappresentazione in funzione delle distanze interatomiche, ad una

rappresentazione mediante l’inverso di tali distanze.

Nello spazio reciproco , l’ampiezza dell’onda scatterata dal cristallo si

può esprimere come:

(11)

Con V volume della cella e vettore del

reticolo reciproco.

La funzione rappresenta il fattore di

struttura, una quantità importante che ci permette di avere informazioni

sulla posizione degli atomi all’interno del cristallo. N rappresenta il

numero di atomi nella cella unitaria.

In un cristallo reale gli atomi non sono fermi nelle loro posizioni

cristallografiche di equilibrio, ma oscillano a causa delle eccitazioni

termiche. Questo porta a dei cambiamenti nell’intensità delle onde

scatterete dei quali si tiene conto utilizzando il cosiddetto fattore di

Debye-Waller. Se si considera un atomo in moto per l’energia termica è

possibile definire la probabilità di trovare l’atomo in , , che

dipende dalla temperatura; e la densità di carica in quando questo si

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

63

trova in , . Da qui è possibile esprimere la densità elettronica

reale, integrando su tutti i possibili contributi relativi al moto dell’atomo

in un volume V:

. (12)

Si può quindi riscrivere un fattore atomico di forma dipendente dalla

temperatura:

(13)

Dove

rappresenta il fattore di Debye-Waller.

Tale fattore è anisotropo, ma nei calcoli viene assunto spesso isotropo

per semplicità.

4.1.2 Dalla teoria all’esperimento

Nel paragrafo precedente abbiamo parlato del fattore di struttura e

della sua importanza, ma non abbiamo detto come questo è connesso al

diffrattogramma (insieme delle intensità scatterete dal cristallo) che si

ottiene durante un esperimento di diffrazione.

La relazione che lega le due quantità non è lineare,e vi sono altre

quantità che entrano in gioco:

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Tecniche sperimentali

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k è una costante, rappresenta l’intensità incidente, m rappresenta il

fattore di molteplicità per le riflessioni considerate, L è il fattore di

Lorentz, P il fattore di polarizzazione, T il fattore di trasmissione. L e P

sono fattori correttivi che vengono spesso considerati insieme e tengono

conto della diminuzione delle intensità per certi angoli. T tiene invece

conto della riduzione del fascio incidente e diffuso a causa del passaggio

all’interno del campione prima e dopo l’interazione.

è il modulo quadro del fattore di struttura, comprensivo dei

fattori termici.

L’analisi XRD condotta è stata fatta sulle polveri, in quanto risulta

difficile ottenere un cristallo singolo dei nostri campioni. Una polvere è

costituita da un grande numero di cristalliti orientati in tutte le possibili

direzioni dello spazio. Nel reticolo reciproco avremmo un intensità non

nulla ogni qualvolta la variazione tra i vettori d’onda incidente e difratto

è pari ad un vettore del reticolo reciproco.

Avere a che fare con le polveri ha come conseguenza che nel reticolo

reciproco i vettori che rappresentano le intensità scatterete formino delle

superfici sferiche di raggio . In questo caso, se consideriamo la sfera

di Edwald di raggio , che descrive le condizioni sotto le quali si può

avere la diffrazione da un’onda incidente monocromatica di vettore

d’onda , questa viene intersecata dalle sfere che rappresentano il

reticolo reciproco secondo circonferenze di raggio diverso e

perpendicolari rispetto alla direzione del fascio incidente. Unendo i punti

che formano queste circonferenze con il centro della sfera si ottengono

dei coni coassiali con la direzione dei raggi incidenti.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

65

Figura 20: a) Intersezione tra la sfera di Ostwald e le sfere che rappresentano il

reticolo reciproco. b) Coni di Debye.

Per ottenere da questo esperimento il pattern di diffrazione è

necessario mettere un rivelatore perpendicolarmente alla direzione del

fascio incidente. Su tale dispositivo verranno visualizzati degli anelli, con

differente diametro e intensità, che vengono chiamati anelli di Debye.

Tali anelli si formano nelle direzioni corrispondenti agli angoli di

scattering e da questi si ottiene il difrattogramma.

Nel nostro caso lo strumento utilizzato è un rifrattometro della Bruker

D8/Gadds con irraggiamento alla riga Kα del rame a 8.04 keV e 1.54 Å

(figura 21). Tale diffrattometro, per la raccolta dei dati, opera in

geometria Debye-Sherrer.

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Tecniche sperimentali

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Figura 21: Diffrattometro Bruker D8/Gadds.

Il campione si trova al centri all’interno di un capillare. Ha dunque

geometria cilindrica e più esser ruotato al fine di omogeneizzare la

diffrazione. Il fascio incidente viene collimato sul campione, e la

radiazione diffusa viene raccolta con l’utilizzo di un detector

bidimensionale che permette di raccogliere tutti gli archi di diffrazione

contemporaneamente.

Il vantaggio di questa geometria è quella di poter esplorare l’intero

angolo giro in termini di e la rapidità con cui si può fare una misura.

Lo svantaggio è sicuramente una bassa intensità degli anelli di Debye e la

scarsa risoluzione che va a discapito della velocità.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

67

4.2 Analisi PDF

4.2.1 Teoria dell’analisi PDF

In natura sono pochi i materiali che possiedono strutture cristalline

con un ordine traslazionale a lungo range quasi perfetto. Queste possono

essere studiate mediante diffrazione di raggi x, neutroni o elettroni, la cui

interazione con la struttura periodica del materiale produce un

difrattogramma con numerosi picchi detti picchi di Bragg. Misurando e

analizzando le posizioni dei picchi è possibile avere informazioni relative

alla costante reticolare, alla forma della cella ed agli elementi costituenti

del sistema.

Molti altri materiali presentano una struttura completamente

disordinata a lungo raggio ma hanno un ordine a corto o medio range. In

questo caso non possiamo avere lo stesso tipo di informazione, ma

utilizzando la stessa tipologia di sonde è possibile conoscere l’ordine a

brevi distanze del materiale. I difrattogrammi ottenuti in questo caso sono

diversi, ed oltre a contenere dei picchi presentano una forte componente

diffusa. Da questi, utilizzando una particolare tecnica detta PDF, pair

distribution function, è possibile analizzare tali pattern di diffrazione ed

ottenere informazioni relative alle distanze tra primi vicini e al numero di

coordinazione del materiale.

Per questo tipo di approccio sono dunque importanti le distanze

interatomiche. Tali distanze, all’interno di un qualunque materiale, sono

descritte da un set di distanze rνμ, dove ν e μ sono riferite ai singoli atomi.

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Tecniche sperimentali

68

La distribuzione delle distanze interatomiche può essere descritta dalla

formula:

, (1)

dove è la densità numerica di un sistema con N atomi, è chiamata

“atomic pair density function” e è la “atomic pair distribution

function” (PDF). La PDF è una funzione che possiede dei picchi alle

distanze rνμ = |rν - rμ | di separazione di tutti gli atomi del sistema, e

fornisce dunque la probabilità che due atomi si trovino alla distanza rνμ

tra loro. In particolare, se e se .

La funzione così come oscillano rispetto ad un valore medio di

densità e tali oscillazioni ci danno informazioni sulla struttura locale del

sistema, ovvero sulla correlazione tra le coppie di atomi [43].

Più frequentemente, sperimentalmente, viene utilizzata la PDF ridotta,

indicata con , che fornisce il numero di atomi presenti in una shall

sferica intorno all’atomo di riferimento [44].

È possibile definire . Questa

è una funzione monodimensionale che oscilla intorno a zero, e le

oscillazioni danno una misura diretta della struttura del campione: i

picchi positivi si trovano in corrispondenza delle distanze tra le coppie di

atomi, le valli negative rappresentano i punti in cui non vi sono atomi. In

un reticolo perfetto le oscillazioni si estenderebbero sino a e le

distanze picco-picco sarebbero tutte uguali; in un cristallo reale, tali

oscillazioni decadono gradualmente all’aumentare di .

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

69

Il vantaggio nell’uso di tale funzione è che può essere ricavata

direttamente dai dati sperimentali, mediante la trasformata di Fourier del

pattern di diffrazione.

Da un esperimento di diffrazione, quello che si ottiene dall’intensità

totale scatterata è una curva che rappresenta la funzione , chiamata

funzione di struttura totale, rispetto al vettore d’onda scambiato

. Tale vettore d’onda è definito come

, dove rappresenta l’angolo compreso tra l’onda incidente e

quella scatterata e è la lunghezza d’onda della radiazione utilizzata.

(2)

dove è la funzione di struttura ridotta.

Spesso nella diffrazione viene utilizzata la funzione di struttura di Faber

Ziman, che è connessa alla parte coerente del pattern di diffrazione. Tale

funzione è definita come:

(3)

con concentrazione dell’atomo della specie i-esima e il relativo

fattore di scattering atomico.

Se si esegue un esperimento su un campione contenente n specie

atomiche, la PDF ridotta, , è la somma pesata di PDF:

(4)

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Tecniche sperimentali

70

rappresenta il peso di ogni singola PDF e dipende

dalla concentrazione e dal fattore di scattering della singola specie.

Il principale vantaggio di questa tecnica è il passaggio dallo spazio

reciproco a quello reale, cioè la PDF rappresenta una mappa, nello spazio

reale, delle posizioni degli atomi all’interno del solido. I picchi presenti

nella funzione ai vari r rappresentano la probabilità di trovare due atomi a

quella precisa distanza all’interno del solido.

Un altro vantaggio è rappresentato dall’utilizzo della funzione di

Faber Ziman, che implica che sia lo scattering di tipo Bragg che quello

diffuso contribuiscono alla PDF. In questo modo è possibile rivelare sia

la struttura ordinata (Bragg) che il disordine o le imperfezioni strutturali

(componente diffusa), responsabili della limitata estensione spaziale della

PDF.

La possibilità di indagine a grandi valori del vettore d’onda scambiato

migliora notevolmente la risoluzione spaziale in termini di spazio reale, e

dunque permette di rivelare i dettagli su scala atomica. Un ulteriore

vantaggio di questa tecnica è che nonostante l’analisi sui dati venga fatta

in maniera diversa da quella più comune fatta per la diffrazione X e si

utilizzi lo spazio reciproco, la misura preliminare sul campione è identica

a quella degli esperimenti XRD e ne sfrutta le medesime tecnologie.

Come esempio e confronto tra la PDF e un normale esperimento di

diffrazione, si riportano pattern di diffrazione del C60 con relativa

struttura.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

71

Figura 22: struttura del C60 (a e b), pattern di diffrazione di neutroni normalizzato (c) e

corrispondente PDF (d). La linea tratteggiata nella figura d rappresenta la distanza 7,1 Å,

corrispondente al diametro del C60.

4.2.2 Apparato sperimentale e misure

Il difrattogramma dal quale estrarre la PDF ( ) è stato ottenuto

mediante radiazione di sincrotrone presso la beamline di ESRF

ID15B[45]. Con questa beamline è possibile disporre di una radiazione

monocromatica e altamente energetica, ed il setup sperimentale è

composto da uno spettrometro Compton ad alta risoluzione con un

detector ad area. Lo scattering Compton è un urto inelastico in cui un

fotone che incide su un elettrone viene diffuso con un certo impulso e ad

un certo angolo rispetto alla direzione della radiazione incidente. Questo

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Tecniche sperimentali

72

tipo di scattering da informazioni sulla distribuzione dell’impulso degli

elettroni e permette di conoscere la densità elettronica nella direzione del

momento trasferito.

Lo spettrometro della beamline ID15B è mostrato nella figura

seguente.

Figura 23: schema del setup sperimentale della beamline ID15B. il fascio passa attraverso un Wiggler e tramite

un cristallo monocromatore viene inviato sul campione. Il detector costituito da un contatore a scintillatore NaI, il

raggio incidente è monitorato grazie ad un diodo di silicio e l’intensità scatterata viene raccolta utilizzando un

detector di germanio.

Si tratta di uno spettrometro a scansione in cui la radiazione passante

attraverso un collimatore viene focalizzata sul campione tramite un

cristallo monocromatore. Le energie utilizzate per la più alta risoluzione

sono attorno ai 90 keV con un flusso sul campione di 1012

fotoni al

secondo. Lo spettrometro opera in geometria circolare: il campione è

fissato e il cristallo analizzatore e il detector possono ruotarvi intorno.

Per quanto riguarda il detector si tratta di un detector ad area [46], che

permette di misurare il pattern di diffrazione completo anche nel caso di

materiali amorfi e liquidi oltre che di polveri e cristalli singoli, e permette

l’osservazione delle transizioni di fase.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

73

Figura 24: immagine relativa alle torri contenenti il campione e il

detector sopra un banco ottico che permette loro il movimento.

Come si vede nella figura, il detector e il campione sono posti su due

torri e possono essere spostati. Il detector in particolare può essere mosso

nella direzione del fascio in modo da catturare tutta la radiazione diffusa.

Con questo apparato è possibile ottenere la PDF a partire dalle misure

dell’intensità diffusa dal campione. La prima procedura da effettuare

prima della misura sul campione è la calibrazione dello strumento.

Quando si ha a che fare con campioni sensibili all’aria questi devono

essere protetti e nel nostro caso il campione, in forma di polvere, è stato

necessario chiuderlo all’interno di un capillare di vetro. Anche del

capillare vuoto viene fatta una misura, in modo da sottrarre il suo

contributo all’intensità diffusa dal campione.

Una volta ottenuto il difrattogramma, con le intensità in funzione del

momento scambiato, questo viene visualizzato utilizzando con il software

FIT2D [47].

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Tecniche sperimentali

74

Da qui per ottenere la PDF si è utilizzato il software PDFgetX3 [48].

Tale programma elabora il difrattogramma ottenuto relativo al campione

e il file di background relativo al capillare vuoto. Una volta sottratto il

background, il software opera una trasformata di Fourier e genera la

PDF.

4.3 Misura dell’assorbimento dell’idrogeno

All’interno di questo paragrafo verrà descritto lo strumento utilizzato

per studiare i campioni dal punto di vista dell’assorbimento

dell’idrogeno.

L’idrogenazione è stata realizzata presso l’Università degli Studi di

Pavia (sezione di chimica fisica) grazie alla collaborazione con la D.ssa

Chiara Milanese.

Il dispositivo utilizzato per l’idrogenazione è l’Hy Energy pctpro-2000

[49]. Tale strumento ha molteplici utilizzi in quanto oltre al semplice

assorbimento è anche possibile studiare la cinetica di assorbimento e

desorbimento del materiale, la capacità, le sue caratteristiche

termodinamiche e testare il comportamento del materiale per successivi

cicli di assorbimento/desorbimento.

Esistono due principali metodi per la misura dell’assorbimento di un

gas da parte di un solido o un liquido, quello gravimetrico e quello

volumetrico. Con quest’ultimo metodo la quantità di gas assorbita viene

misurata attraverso la variazione di volume di gas noto inizialmente che

avviene nella camera contenente il campione. Nel caso del metodo

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

75

gravimetrico la quantità di gas assorbita è data dalla differenza della

massa del campione prima e dopo l’assorbimento.

In generale si ritiene che il metodo volumetrico sia quello che

permette di ottenere misure migliori di quello gravimetrico.

Figura 25: dispositivo utilizzato per l'idrogenazione (Hy Energy pct pro 2000).

Lo strumento mostrato in figura 25 è quello utilizzato per le misure di

assorbimento/desorbimento sui campioni. Con lo stesso apparato

vengono anche effettuate le misure sulla cinetica, cioè misure di

assorbimento in funzione del tempo, e quelle di PCT (pressione,

composizione, temperatura).

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Tecniche sperimentali

76

Queste misure sono quelle che forniscono le più importanti caratteristiche

del campione, e danno come risultato un grafico della quantità di gas

assorbita o desorbita in funzione della pressione e della temperatura.

L’apparato utilizzato per le misure (volumetriche) è il cosiddetto

apparato di Sievert. Questo contiene due reservoir di volume noto

connessi da una valvola. In uno di questi viene caricato il campione e

viene presa la pressione iniziale. Nell’altro è presente un gas a pressione

nota. Per l’idrogenazione si va a riempire la camera contenente il

campione con il gas idrogeno sino ad arrivare al valore desiderato di

pressione. La volvola tra i due reservoir viene quindi aperta per

permettere ai due gas di andare in equilibrio. Conoscendo i volume e la

pressione del gas è possibile conoscere la quantità di gas assorbito.

Ovviamente per avere delle misure ottimali bisogna avere misuratori di

pressione molto sensibili e un sistema riscaldatore che permette di testare

l’assorbimento del campione alle varie temperature. Uno schema

dell’apparato è mostrato in figura 26.

Come si vede, si utilizza un’autoclave a temperatura controllata

all’interno della quale viene messo il campione, una pompa da vuoto, dei

connettori di gas e valvole, un misuratore di pressione e si devono avere a

disposizione dei gas (solitamente He o H2).

Per avere una PCT si utilizza l’equazione dei gas perfetti che

è valida, in questo caso,in quanto il fattore di compressione del gas è

trascurabile per le pressioni utilizzate (<200 bar). Quando il campione

comincia ad assorbire si ha una differenza di pressione nel sistema che

permette di determinarne la quantità assorbita, e lo stesso si può fare

durante il processo di desorbimento.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

77

Figura 26: schema di un apparato di Sievert.

La relazione tra la variazione di pressione e la quantità di moli di gas

assorbite è data dalla formula:

La percentuale in peso di gas assorbito è calcolata come:

dove rappresenta la massa molare dell’idrogeno (1.008 g/mol).

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Capitolo 5

5 Analisi dati e risultati ottenuti

All’interno di questo capitolo verranno descritte le procedure di

analisi dei dati acquisiti con le tecniche sperimentali utilizzate e i risultati

ottenuti.

5.1 Analisi XRD

Per quanto riguarda le misure XRD, queste sono state utilizzate per

osservare la qualità dei campioni, l’eventuale presenza di componenti

non reagiti dopo la sintesi e per controllare la bontà degli stessi

(cristallinità, eventuale presenza di ossido o contaminazioni esterne). In

particolare, per quanto riguarda i campioni sintetizzati utilizzando come

precursore l’idruro, l’analisi XRD ha confermato la presenza delle fasi

già note delle fulleriti di magnesio.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

79

In un primo momento è stata effettuata la diffrazione su vari campioni

di MgxC60 sintetizzati a partire dall’idruro variando la stechiometria.

Sono state considerate le seguenti stechiometrie: x = 2, 3, 4, 5 e 6. Di

seguito sono riportati i diffrattogrammi per i vari campioni considerati.

Figura 27: Difrattogrammi dei campioni di MgxC60 con 2<x<6.

La fase principale che si osserva presenta dei picchi a basso angolo,

già a 2ө=10°, il che suggerisce la presenza di un cristallo molecolare la

cui cella elementare ha un volume, piuttosto grande, come ci si aspetta

nei composti del C60. A più alto angolo, si nota nel campione con più alta

stechiometria la presenza di un picco più intenso in prossimità di 2ө=36°,

che suggerisce l’esistenza nel campione di magnesio. A una analisi più

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Analisi dati e risultati ottenuti

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attenta, si nota che una piccola frazione di magnesio non reagito è

presente anche nei campioni con stechiometria più bassa.

Il grafico seguente, ottenuto con il software Match [50] mostra il

confronto tra il diffrattogramma del Mg6C60 e le posizioni dei picchi del

magnesio.

Figura 28: confronto tra il difrattogramma del Mg6C60 e i picchi del Mg metallico.

Tale programma permette in maniera rapida di vedere se nei campioni

sia presente qualche elemento diverso dalla fase che ci si aspetta,

confrontando le posizioni dei picchi osservati con quelle tabulate dei

composti cristallini noti, contenute in un database. Dalla figura appare

evidente la presenza dei picchi ascrivibili alla fase esagonale del Mg.

Inoltre, dal confronto dei difrattogrammi dei campioni sintetizzati con

quello del C60 puro, si nota che questo è presente come fase minoritaria

in tutti i campioni. Queste evidenze sperimentali suggeriscono una non

completa intercalazione del Mg nel C60 (figura 29). Tale confronto è

mostrato nel grafico seguente.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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Figura 29: confronto tra i campioni di MgxC60 e il C60 puro.

Nel capitolo 2 abbiamo descritto due fasi polimeriche note delle

fulleriti di magnesio, quella monoclina per il Mg2C60 e quella

romboedrica per il Mg4C60. In questi campioni si è cercato di ritrovare

queste due fasi. In particolare si è notata la presenza di entrambe le fasi

nei campioni con stechiometria 3 e 4 per il magnesio, mentre si trova la

sola fase romboedrica nel campione Mg5C60.

Per realizzare questi confronti è stato utilizzato il software Chekcell

[51], che permette di calcolare i picchi di diffrazione corrispondenti alla

fase scelta, e confrontarli con quelli presenti nei difrattogrammi ottenuti.

Nel grafico successivo è mostrato il confronto tra il Mg4C60 e le due fasi

romboedrica e monoclina.

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Analisi dati e risultati ottenuti

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Figura 30: difrattogramma del campione polifasico di Mg4C60 e confronto con i picchi (rappresentati in

verde) della fase romboedrica (a), rappresentata con sistema esagonale; e monoclina (b).

In particolare si osserva che nel campione sono presenti entrambe le

fasi, riconoscibili dalla presenza dei due picchi intorno a 2ө=13°. Il picco

più a destra ( 2ө=13,90°). è indicativo della presenza della fase

monoclina, mentre quello più a sinistra (2ө=13,60°) indica la presenza

della fase romboedrica. Fatte queste considerazioni, possiamo affermare

che il campione migliore, in cui compare una singola fase polimerica e si

ha la quasi assenza di magnesio non reagito sia il Mg5C60, che è per

questo motivo stato scelto per lo studio dello stoccaggio dell’idrogeno.

Come descritto nel capitolo 3, oltre a questa tipologia di campioni ne

sono stati sintetizzati altri da fase vapore e utilizzando magnesio

metallico. Per fare i confronti tra le due tipologie di campioni si è scelto

di utilizzare i campioni più omogenei, dunque si è utilizzata per il

magnesio la stechiometria 5. I difrattogrammi dei due campioni sono

riportati nella figura seguente.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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Figura 31: confronto tra i campioni di Mg5C60 ottenuti con le due tipologie di sintesi utilizzate.

Facendo un confronto tra i due difrattogrammi è possibile osservare

che in entrambi compaiono gli stessi picchi, dunque in entrambi è

presente la stessa fase romboedrica del MgxC60.

È interessante fare un confronto tra i due campioni e il

diffrattogramma del C60. Da qui è possibile osservare che nel campione

sintetizzato utilizzando l’idruro i picchi del C60 sono molto intensi,

mentre questi sono quasi assenti nel campione sintetizzato da fase

vapore. Questo vuol dire che questo secondo metodo di sintesi è quello

che ci permette di ottenere dei campioni contenenti una singola fase.

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Analisi dati e risultati ottenuti

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Figura 32: confronto tra i difrattogrammi dei campioni di Mg5C60 e quello del C60 puro.

Per questo motivo si è scelto di utilizzare il campione di Mg5C60 per

approfondire l’analisi strutturale mediante la tecnica PDF.

5.2 Analisi dati e risultati ottenuti con la tecnica PDF

Per quanto riguarda la tecnica PDF, si è scelto di condurre questo tipo

di analisi sul campione di Mg5C60 sintetizzato da fase vapore a partire dal

magnesio metallico che mostra, nell’analisi XRD una maggiore

omogeneità.

Per l’analisi della struttura del campione di Mg5C60 si è utilizzato il

software PDFgui [52]. Tale software permette di simulare la PDF a

partire da una struttura nota e a confrontarla con quella estratta dai dati

sperimentali. Il programma permette inoltre di raffinare la struttura

utilizzando il metodo Montecarlo Inverso. Per fare questo il programma

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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ha bisogno del file contenente la PDF ottenuta sperimentalmente e del

file cristallografico, che descrive la struttura del materiale dalla quale si

vuole partire per l’analisi. Per raffinare la struttura, è necessario far

variare alcuni parametri che agiscono sia sul profilo della PDF, sia sulla

struttura stessa. Per un approfondimento riguardante il funzionamento di

PDFgui, si rimanda all’appendice A.

Per quanto riguarda il campione di Mg5C60 si è scelto di cominciare

l’analisi strutturale a partire dalla struttura proposta da Borondics et al.

[35]. Tale struttura è mostrata nella figura seguente.

Figura 33: Struttura del Mg4C60 polimerico.

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Analisi dati e risultati ottenuti

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Figura 34: piano della struttura polimerica del Mg4C60 in cui è possibile osservare i legami presenti tra i

vari C60.

I parametri reticolari della cella sono: ,

e gruppo spaziale . Come si osserva nella figura, i C60 nei

vari piani sono polimerizzati tra loro mediante doppi legami formati da

atomi di carbonio condivisi fra due esagoni adiacenti. Ogni C60 forma

legami con i suoi sei primi vicini. I centri dei C60 occupano le posizioni

speciali 3a (0,0,0), (2/3,1/3,1/3) e (1/3,2/3,2/3) fra loro equivalenti,

mentre il magnesio occupa i siti inequivalenti 6c (0,0,0.23) e (0,0,0.43).

In questo modo la stechiometria risulta Mg4C60.

Una volta realizzata questa struttura su PDFgui si è cominciato il

raffinamento, partendo dallo scale-factor e delta1 e delta2, parametri

relativi alla PDF. La PDF simula per questa struttura è mostrata nella

figura seguente in cui si osservano la PDF sperimentale (in blu), quella

simulata (in rosso) e la differenza tra le due curve (in verde). Il parametro

ottenuto che da la bontà del fit in questo caso è Rw = 46%.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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Figura 35: confronto tra la PDF sperimentale (blu) e quella simulata (rossa) per la struttura polimerica

romboedrica. In verde è rappresentata la differenza tra le due curve.

Per migliorare il fit si è deciso di muovere le posizioni degli atomi,

applicando dei constraints coerentemente con la simmetria della cella e

scegliendo un fattore termico isotropo uguale per tutti i C, ma diverso per

i Mg non equivalenti. Gli atomi sono stati mossi a due a due, a

cominciare da quelli coinvolti nel legame, in modo da non cambiare

completamente la posizione di tutti. Una volta modificate le posizioni

degli atomi si è deciso di liberare anche i parametri reticolari della cella.

Questo raffinamento ha permesso di trovare una struttura diversa dalla

precedente, con un valore per la bontà del fit Rw pari al 27% circa.

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Analisi dati e risultati ottenuti

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Figura 36: confronto tra la PDF sperimentale (blu) e quella simulata (rossa) per la struttura polimerica

romboedrica. In verde è rappresentata la differenza tra le due curve.

La struttura relativa al raffinamento è mostrata nella figura seguente.

Figura 37: struttura raffinata con PDFgui (rappresentazione romboedrica). I C60 sono molto distorti e si

avvicinano agli atomi di magnesio.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

89

Come si può vedere in questa struttura i C60 non sono più

polimerizzati. Si ottiene una struttura in cui i singoli C60 sono distorti e

due degli atomi di carbonio appartenenti a pentagoni in posizione

diametralmente opposta sulla palla protrudono verso l’esterno

avvicinandosi agli atomi di magnesio. Quanto detto è mostrato nella

figura seguente.

Figura 38: a sinistra è mostrato un singolo C60 come nella struttura di partenza. Gli atomi evidenziati in

verde sono quelli che permettono la polimerizzazione dei fullereni per cicloaddizione e permettono la

formazione del polimero. A destra è mostrata la stessa struttura, distorta dopo il raffinamento con PDFgui.

Come si vede gli atomi che prima erano responsabili dei legami sono ora maggiormente vicini agli altri,

mentre altri due atomi, appartenenti ai pentagoni, si allungano verso l’esterno della struttura verso

direzioni diametralmente opposte.

Da quanto trovato si può ipotizzare che la struttura del Mg5C60

polimerica nota in cui le gabbie fullereniche sono connesse da doppi

legami C-C non sia quella corretta. In essa, infatti, i C60 risultano

sensibilmente lontani (9.22 Å) per poter formare un legame

doppio,mentre non lo sono per potersi coordinare ad uno dei due atomi di

magnesio. La distanza minore C-Mg trovata è quella tra l’alcalino-terroso

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Analisi dati e risultati ottenuti

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e il carbonio che sporge verso l’esterno (in rosso in figura 38) ed è pari a

solo 2,33 Å, valore osservato nei composti in cui il magnesio si lega al

carbonio [53].

Una seconda prova che si è fatta è quella di abbassare la simmetria

della cella da ad per permettere agli atomi di esplorare un

maggior numero di configurazioni nello spazio diretto. Così facendo si è

notato un piccolo miglioramento del parametro Rw, ma i singoli C60

hanno continuato a mantenere la struttura distorta. Continuando con il

raffinamento la distorsione è aumentata tanto da rompere alcuni legami.

Questo risultato è stato scartato in quanto privo di senso fisico.

Per cercare di migliorare l’analisi strutturale si è deciso di realizzare

una nuova struttura con i fullereni ruotati in modo che si affacciassero

l’uno con l’altro attraverso legami singoli. Questa struttura sarebbe

giustificata dal fatto che, da un lato è noto che il C60 carico è

maggiormente propenso a formare legami singoli piuttosto che doppi

[54], d’altra parte, come si è detto prima, la distanza tra i C60 osservata

sembra essere più compatibile a quella in presenza di un legame singolo,

piuttosto che doppio.

Per realizzare questa struttura si è utilizzata la stessa cella di partenza

con i singoli C60 non distorti; questi sono stati ruotati in modo che si

potessero legare attraverso legami singoli (si interfacciano mediante un

carbonio appartenente ad uno dei pentagoni costituenti) rispettando la

simmetria romboedrica. Gli atomi di magnesio sono stati lasciati nelle

posizioni della struttura precedente. Di seguito è mostrata la nuova

struttura in cui i C60 polimerizzano con legami singoli. Gli atomi di Mg

sono rappresentati in verde.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

91

Figura 39: nuova struttura in cui i C60 polimerizzano attraverso la formazione di legami singoli.

Questa struttura è stata creata su PDFgui ed è stata simulata la relativa

PDF. L’immagine seguente mostra la PDF simulata (in rosso) confrontata

con quella sperimentale (in blu). In verde è rappresentata la differenza tra

le due curve. In questo caso il parametro Rw che ci da la bontà del fit è

pari al 52%.

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Analisi dati e risultati ottenuti

92

Figura 40: PDF della struttura in cui i C60 sono connessi da singoli legami.

In questo caso il raffinamento ottenuto risulta peggiore del precedente.

Per cercare di migliorarlo si è deciso di raffinare le posizioni degli atomi

di carbonio. Anche in questo caso per il raffinamento si è optato per

muovere gli atomi a due a due, muovendo quelli vicini, e si è assegnato ai

fattori termici lo stesso parametro isotropo per tutti gli atomi di carbonio,

e due diversi parametri isotropi rispettivamente per i due atomi di

magnesio non equivalenti.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

93

Figura 41: in blu è rappresentata la PDF sperimentale, in rosso quella simulata dal programma e in verde

la differenza tra le due curve.

Figura 42: struttura ottenuta raffinando quella in cui i C60 polimerizzano con singolo legame.

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Analisi dati e risultati ottenuti

94

Con questo raffinamento si è ottenuta una struttura distorta con

parametro Rw pari al 32%. Nelle figure 41 e 42 è rispettivamente

mostrato il confronto tra la PDF sperimentale e quella simulata e la

struttura ottenuta. Anche in questo caso si riscontrano delle distanze C-C

troppo grandi perché i C60 possano polimerizzare, mentre si ritrovano

distanze C-Mg compatibili con quelle presenti nei carburi.

Visti questi risultati, che concordano in entrambe le strutture, si potrebbe

affermare che nel nostro composto i C60 non siano in grado di

polimerizzare secondo le strutture polimeriche note, ma piuttosto che

questi si coordinino agli atomi di magnesio più vicini. Tale coordinazione

potrebbe altresì contribuire a deformare la molecola, il che

giustificherebbe la ridotta distanza fra i C60 osservata lungo le direzioni a

e b. L’analisi è tuttavia ancora in corso, nel tentativo di migliorare

ulteriormente l’accordo fra i dati sperimentali e quelli calcolati.

La presenza di legami C-Mg nelle nostre strutture potrebbe spiegare il

motivo per cui non si osserva nessuna transizione di fase anche ad elevate

temperature, come ci si dovrebbe invece aspettare in presenza di una fase

polimerica.

5.3 Risultati ottenuti dall’idrogenazione dei campioni

Per verificare la capacità di stoccaggio di idrogeno dei campioni si è

deciso di effettuare le misure di PCT. Queste sono state fatte sui

campioni di Mg5C60, sia su quello prodotto da idruro che su quello da

magnesio metallico, per verificare se ci fossero delle differenze tra i due.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

95

Di seguito sono riportati i grafici relativi misure di PCT che mostrano

la massa percentuale di idrogeno assorbita in funzione del tempo e della

temperatura. Il primo grafico è relativo alla PCT del campione realizzato

a partire dall’idruro, il secondo si riferisce a quello sintetizzato da fase

vapore a partire dal magnesio metallico.

Figura 43: immagine relativa all'assorbimento (in rosso) del campione di Mg5C60 prodotto utilizzando come

precursore l'idruro di magnesio. In verde è rappresentata la temperatura alla quale il campione è stato

trattato. Il peso del campione prima del trattamento era di circa 170 mg.

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Analisi dati e risultati ottenuti

96

Figura 44: immagine relativa all'assorbimento (in rosso) del campione di Mg5C60 prodotto utilizzando come

precursore il magnesio metallico. In verde è rappresentata la temperatura alla quale il campione è stato

trattato. Il peso del campione prima del trattmanto era di circa 50 mg.

Come si osserva in entrambi i casi la temperatura alla quale sono stati

trattati i campioni è la stessa (350°C circa). Nel caso del campione

prodotto da idruro, si osserva un aumento della percentuale di idrogeno

assorbita in funzione della temperatura, sino ad una percentuale in peso

di 2.7%. Nel secondo campione, quello prodotto da fase vapore a partire

da Mg metallico, si osserva un complessivo assorbimento inferiore al 2%.

Sono in oltre visibili delle fluttuazioni, che potrebbero essere imputabili

ad un errore dovuto alla poca massa del campione (nel caso del campione

prodotto da idruro di magnesio la massa del campione utilizzata per la

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

97

misura era maggiore) o ad una fluttuazione termica locale dovuta alla

particolare termodinamica del processo di assorbimento.

Si noti inoltre che la dinamica dell’assorbimento osservata è

abbastanza veloce, in quanto, se consideriamo il primo caso, la

saturazione viene raggiunta dopo 10 ore. In altri sali di fullerene,

contenenti sodio e litio, nelle medesime condizioni di misura, i tempi con

cui si raggiunge la saturazione sono molto più lunghi (da 10 sino ad oltre

60 ore).

Per completezza si riporta l’assorbimento relativo al solo C60.

Figura 45: curva relativa alla percentuale di idrogeno assorbita dal C60 (in rosso).

Come si vede la percentuale di idrogeno assorbita in queste condizioni

è circa 2.5% e avviene in tempi più lenti. Possiamo quindi affermare che

il magnesio gioca un ruolo importante nella cinetica di idrogenazione.

0 20 40 60 80

0

0.5

1

1.5

2

2.5

t (hours)

ab

so

rbe

d d

eu

teri

um

(m

ass%

H2)

0 20 40 60 80

50

100

150

200

250

300

350

T (

°C)

100 200 300

0

0.5

1

1.5

2

2.5

T (°C)

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Analisi dati e risultati ottenuti

98

Per quanto riguarda la quantità di idrogeno assorbita, essa non si

discosta molto da quella osservata nel caso del C60 puro, con una

prestazione addirittura inferiore nel caso del campione di Mg5C60

ottenuto da fase vapore, che all’analisi strutturale era apparso il campione

più omogeneo. Questo fatto indica chiaramente che la fullerite di

magnesio è meno propensa ad assorbire idrogeno rispetto alle fulleriti di

metalli alcalini. Ciò potrebbe essere imputato alla coordinazione

osservata tra Mg e C60: infatti, parte degli orbitali del magnesio sono

coinvolti nel legame con gli orbitali π del C60 e sono meno propensi a

reagire con l’idrogeno. Questo è dimostrato anche dall’analisi XRD del

composto dopo l’idrogenazione, mostrato nella figura sotto.

Figura 46: analisi XRD del composto Mg5C60 ottenuto da fase vapore prima (in rosso) e dopo (in blu)

l’idrogenazione.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

99

Come possiamo vedere, i picchi della fase romboedrica permangono

anche dopo l’idrogenazione, ad indicare che la struttura non cambia

significativamente con il trattamento. I picchi più stretti ad alto Q (Q =

1.97 e Q = 2.5 Å-1

) sono attribuiti alla presenza di una fase minoritaria di

MgH2.

La maggior percentuale in massa di idrogeno assorbita dal campione

prodotto con l’idruro può essere giustificata come dovuta alla presenza di

una fase secondaria di C60 che non è reagita e che assorbe a sua volta una

certa percentuale di idrogeno. Anche questo fenomeno sembra essere

suggerito dall’analisi XRD condotta sul campione ottenuto da fase

vapore dopo l’idrogenazione, come mostrato in figura seguente.

Figura 47: analisi XRD del composto Mg5C60 ottenuto da idruro prima (in blu) e dopo (in rosso)

l’idrogenazione.

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In questo caso sono evidenti i picchi relativi all’idrofullerene, che è

presente in maggior quantità in questo campione rispetto a quello

ottenuto idrogenando il Mg5C60 da fase vapore.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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Capitolo 6

6 Conclusioni e sviluppi futuri

In questo lavoro di tesi sono stati studiati i sistemi di fulleriti di

magnesio, potenzialmente interessanti nell’ambito dello stoccaggio

dell’idrogeno in materiali solidi. E’ stato rivolto un particolare interesse

allo sviluppo di nuove tecniche di sintesi di questi sistemi e all’analisi

strutturale, sia mediante la diffrazione convenzionale di raggi X da

laboratorio, sia mediante un approccio innovativo di analisi della

Funzione di Distribuzione a Coppie (PDF, Total Scattering), estratta da

misure di diffrazione ad alta energia da radiazione di sincrotrone.

Per quanto riguarda la sintesi sono stati analizzati due diversi metodi:

da una parte si è proceduto con un approccio già noto di sintesi a stato

solido, utilizzando come precursori il C60 e di magnesio metallico

finemente polverizzato, che ha permesso di ottenere campioni omogenei.

D’altra parte, si è provato a intercalare il magnesio nel C60 facendo

reagire questo con idruro di magnesio, mettendo a punto una sintesi a

stato solido in due fasi: dapprima sono stati mescolati l’idruro e il C60 in

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

103

modo da ottenere una polvere omogenea; successivamente l’idruro è

stato decomposto mediante un trattamento termico in vuoto dinamico.

Questa procedura è stata condotta per diverse stechiometrie (MgxC60 con

2<x<6).

L’analisi tramite i raggi X di laboratorio ha permesso di osservare nei

nostri campioni la presenza delle due fasi note delle fulleriti di magnesio,

monoclina e romboedrica, rispettivamente per basso e per alto drogaggio.

Questa ci ha inoltre consentito di verificare quale fosse la quantità

ottimale di idruro di magnesio che permettesse di avere un sistema il più

possibile omogeneo. Si è così identificata la fase Mg5C60 come quella

maggiormente promettente, benché la sua struttura non sia ancora ben

chiara, che è stata quindi oggetto del successivo studio. I campioni

sintetizzati da fase vapore sono risultati maggiormente omogenei rispetto

a quelli ottenuti da idruro, che hanno invece invariabilmente mostrato la

presenza di una piccola parte di magnesio non reagito e una fase

minoritaria di C60.

Lo studio strutturale della fase cristallina di Mg5C60 è stato condotto

combinando le informazioni ottenute dalla diffrazione di raggi X

convenzionali a quelle dell’analisi PDF, a causa della scarsa cristallinità

mostrata dal composto, che fino a ora ha reso poco efficaci gli approcci

tradizionali. Questo metodo ha permesso di evidenziare come l’ipotesi

preesistente che il C60 formi una struttura polimerica in questo sistema sia

in realtà da mettere in discussione. Infatti, i risultati ottenuti suggeriscono

che i fullereni nel cristallo preferiscano coordinarsi agli atomi di Mg

intercalato, piuttosto che formare legami intermolecolari. L’analisi

strutturale è tuttavia ancora in corso.

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Conclusioni e sviluppi futuri

104

I sistemi di Mg5C60 sintetizzati sono stati infine studiati per valutare le

loro capacità di assorbimento di H2. I risultati hanno evidenziato, da un

lato, il ruolo del Mg nel miglioramento della cinetica di assorbimento.

Dall’altro, si è visto che le performance di assorbimento di questi sistemi

sono significativamente inferiori rispetto a quelle ottenute con le fulleriti

di metalli alcalini. Ciò è stato imputato all’alta reattività chimica del Mg,

il quale tende a formare legami con gli atomi di carbonio della molecola

di C60 già nel composto non idrogenato, limitando così la sua

propensione a reagire chimicamente con l’idrogeno.

Per quanto riguarda i possibili sviluppi futuri, sarebbe interessante

mettere in atto delle strategie volte a migliorare le prestazioni di

assorbimento di idrogeno in questi sistemi. Ad esempio, si è visto che

nelle fulleriti intercalate con metalli alcalini (litio e sodio) la quantità di

idrogeno assorbita può essere sensibilmente incrementata aggiungendo a

questi sistemi particelle di metalli di transizione, quali platino, palladio e

nichel. Essi infatti agiscono come catalizzatori per dissociare l'idrogeno

molecolare, che a sua volta, una volta presente in forma atomica, viene

facilmente assorbito dalle molecole di C60 portando alla formazione

dell'idrofullerene.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

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106

Appendice A

PDFgui

All’interno di questa appendice verrà illustrato il funzionamento del

software PDFgui [55] utilizzato per l’analisi della struttura del campione

di Mg5C60. Tale software permette di simulare la PDF a partire da una

struttura nota e a confrontarla con quella estratta dai dati sperimentali. Il

programma permette inoltre di raffinare la struttura utilizzando il metodo

Montecarlo Inverso. I file necessari per fare queste operazioni sono due:

quello contenente la PDF ottenuta sperimentalmente e il file

cristallografico che descrive la struttura del materiale dalla quale si vuole

partire per l’analisi. Per poter simulare la PDF e raffinare la struttura è

necessario far variare alcuni parametri che si possono scegliere e che

agiscono sia sul profilo della PDF, sia sulla struttura stessa.

Per quanto riguarda la PDF sperimentale, tramite PDFgui è possibile

scegliere l’intervallo minimo e massimo per la distanza r entro cui

visualizzare la PDF e la spaziatura tra i punti dei dati (spacing) da

utilizzare per il calcolo. È inoltre importante inserire il tipo di sonda

utilizzata per l’esperimento (raggi X o neutroni) e la temperatura alla

quale è stata fatta la misura di PDF. Per quanto riguarda la struttura,

questa può essere caricata direttamente oppure costruita inserendo i

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

107

parametri reticolari della cella, gli angoli e le posizioni degli atomi

costituenti. Da questi valori, per realizzare la cella 3D si deve applicare a

ciascun atomo la simmetria opportuna che permette di costruire le

repliche e quindi tutti gli atomi equivalenti.

Figura 48: finestra di PDFgui . A sinistra sono presenti il pannello che mostra i file in uso e

quello che permette di modificare le caratteristiche del plot della PDF. Nel pannello

principale sono mostrate le caratteristiche e gli atomi costituenti la struttura da analizzare.

Realizzata la struttura è possibile associare alle quantità che la

descrivono (grandezza della cella, angoli, posizione degli atomi con le tre

coordinate e fattori termici) dei parametri (constraints) che possono

essere modificati per simulare la PDF.

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PDFgui

108

Figura 49: esempio di fit prodotto da PDFgui. in questo caaso la PDF è quella del Ni. La curva blu

rappresenta la PDF sperimentale, quella rossa quella calcolata da PDFgui, in questo caso le due curve si

sovrappongono perfettamente.

Oltre ai dati relativi alla struttura, PDFgui associa alla PDF alcuni

parametri, anch’essi modificabili e usati per la simulazione.

I parametri relativi alla PDF che sono stati utilizzati sono:

Scale factor: questo fattore tiene conto dell’altezza dei picchi e deve

essere raffinato ogni volta, anche insieme agli altri parametri. In questo

modo permette di riaggiustare l’altezza di tutti i picchi quando si va a

modificare gli altri fattori che influenzano la larghezza e la posizione.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

109

Qdamp: questo parametro espresso in Å-1

descrive lo smorzamento della

PDF dovuto alla limitata risoluzione in Q che si ha durante l’esperimento.

Tale smorzamento è descritto dall’inviluppo gaussiano:

.

Un buon valore da cui partire per questo parametro è 0.08 che è un

valore realistico per una PDF sperimentale.

delta 1: si tratta di un coefficiente espresso in Å e viene utilizzato

dividendolo per r. Tale parametro contribuisce alla forma del picco e

tiene conto dell’effetto dell’alta temperatura sul moto correlato degli

atomi.

delta 2: si tratta di un coefficiente espresso in Å e viene utilizzato

dividendolo per r2. Questo parametro contribuisce alla forma del picco e

tiene conto dell’effetto delle basse temperature sul moto correlato degli

atomi.

Questi ultimi due parametri sono fortemente legati tra loro e vengono

raffinati sempre separatamente. Il loro valore viene utilizzato per il

calcolo della larghezza dei picchi nella PDF simulata.

Tale larghezza contiene i contributi dovuti al moto degli atomi e al

loro disordine statico. Se si considerano grandi distanze, il moto di due

atomi è da considerarsi scorrelato, mentre risulta correlato se i due atomi

sono molto vicini, e questa correlazione porta ad un restringimento dei

primi picchi che compaiono nella PDF.

La larghezza dei picchi è data dalla formula:

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PDFgui

110

Il fattore rappresenta la larghezza dei picchi senza tenere conto

della correlazione ed è dato dal modello strutturale; i delta tengono conto

del moto degli atomi ad alta e bassa temperatura. L’ultimo termine tiene

conto dell’allargamento dei picchi causato dalla bassa risoluzione ad alti

Q del rifrattometro utilizzato nell’esperimento. Tale parametro è espresso

in Å-1

. Nella maggior parte dei casi questo parametro è significativo per

grandi r e può essere posto uguale a zero per r piccoli in quanto

l’allargamento dei picchi viene ben descritto dal parametro Qdamp.

Una volta scelto un buon valore iniziale per i parametri si può passare

alla simulazione della PDF e a modificare e raffinare i parametri associati

alla struttura.

Il software manda in output un grafico che mostra la PDF

sperimentale, il fit prodotto e la differenza tra le due funzioni.

Oltre alla visualizzazione grafica della sovrapposizione delle due

curve, quando si raffina bisogna sempre tenere conto del parametro Rw.

Questo parametro viene calcolato secondo la seguente formula:

Con i riferito al numero N dei punti della PDF. rappresenta la

PDF sperimentale, è la PDF calcolata.

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Sintesi e studio strutturale di fulleriti di magnesio per applcazioni nello

stoccaggio di idrogeno

111

rappresenta il peso di ogni punto ed è l’inverso della varianza

ed è dato da:

Se indichiamo con l’intensità per ciascun punto, la varianza è data

da

.

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112

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