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Indignatevi!

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INDIGNATEVI

Stéphane Hessel

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Recensioni

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IL RIFORMISTA:A 93 anni l’esordio (incazzato) del

figlio di Jules et Jim di Tonia Mastrobuoni Lui è Stéphane Hessel, ambasciatore, eroe della

Resistenza francese, divenuto a 93 anni il caso letterariodell’anno. Il suo pamphlet, “Indignatevi”, ha venduto giàseicentomila copie in Francia e ha spodestatoHouellebecq dalla cima delle classifiche.

Lui è Stéphane Hessel, ambasciatore, eroe dellaResistenza francese, divenuto a 93 anni il caso letterariodell’anno. Il suo pamphlet, “Indignatevi”, ha venduto giàseicentomila copie in Francia e ha spodestatoHouellebecq dalla cima delle classifiche. Ma lui è anche ilfiglio di Jules e Katherine, i protagonisti del triangolo piùfamoso del mondo, raccontato da Truffaut e interpretato daun’immensa Jeanne Moreau. La terza punta del triangolo,Jim, raccontò la loro storia tardi, a 74 anni, mettendoinsieme i ricordi della giovinezza, rievocando gli anni Diecidel secolo scorso, della Parigi di Apollinaire e deisurrealisti, dell’amour fou nato tra due flâneur e una pittriceche si incontravano nel caffè dei profughi tedeschi, ilDôme.

Nella realtà, i protagonisti di quel romanzo,“Jules etJim”, divenuto nel 1962 uno dei capolavori della Nouvelle

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Vague, si chiamavano Franz Hessel, Henry-Pierre Roché eHelene Grund.

I primi due si erano conosciuti nei primi anni delsecolo ed erano diventati talmente inseparabili da dividersialtre donne prima di Helene: la pittrice Marie Laurencin oLuise Buecking. Quando nel 1912 conobbero Helenebastò un cenno, uno sguardo e Roché capì che stavoltal’amico scrittore si era innamorato davvero. L’anno dopoFranz e Helene si sposarono e nel 1917 nacque Stéphane,nato a Berlino ma naturalizzato francese, più tardi eroedella Resistenza a fianco del generale De Gaulle, co-estensore, nel 1948 della Dichiarazione universale deidiritti dell’uomo, destinato a una fulgida carrieradiplomatica e invecchiato talmente bene da pubblicare a93 anni, a ottobre dell’anno scorso, un libercolo di 32pagine contro Sarkozy e le diseguaglianze sociali. E ifrancesi stanno correndo en masse a comprarlo.

Scriveva lo “zio” Henri-Pierre, quando era già l’amantedi Helene Grund, nei diari che ispirarono “Jules et Jim”:«Noi tre sul letto di Franz: lei in mezzo, fumiamo un grossosigaro dall’aroma dolce passandocelo. Le soffiamo il fumonelle orecchie, nei capelli, sul petto. Ha quella sua camiciasportiva, da ragazzo. Baciamo le sue braccia nude.Andiamo a letto tardi. Plenilunio. Finestre spalancate. Lacamera di lei è tra le nostre due, può andare da chi vuole,dormire da sola o con chi preferisce. Viene nel mio letto.Gioia. Se potessi descrivere fino in fondo un solo momentodi questa vita a tre, scriverei un capolavoro immortale».

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Il capolavoro non è riuscito del tutto a lui, masicuramente a Truffaut che ci ha anche restituito l’animo piùtimido, malinconico di Franz (Oskar Werner, sullo schermo)e il seduttivo, dongiovannesco estro di Henri-Pierre (HenriSerre), così com’erano descritti dai contemporanei. E laMoreau vestita da ragazzo che attraversa ridendo unponte, inseguita dai due, è un’icona intramontabile pergenerazioni di cinefili. Franz Hessel, che aveva tradottoProust assieme a Walter Benjamin, era considerato dalgrande filosofo il prototipo del flâneur. Morì nel 1941 in unlager nazista, internato come ebreo anche se si era nelfrattempo convertito al protestantesimo. Morì molti anniprima della moglie: Helene fece in tempo a vedere,ottuagenaria, il film di Truffaut. Ne rimase entusiasta.Quando morì il padre Stéphane era già nella Resistenzafrancese; raggiunse De Gaulle ma fu preso dai tedeschi einternato a Buchenwald. Da lì gli riuscì una fugarocambolesca durante un trasferimento a Bergen-Belsenscambiandosi di identità con Michel Boitel, un prigionieroche stava morendo di tifo. Poi, nel 1945, «quando Churchilldichiarò che la guerra era finita, io ero a Parigi. La primaidea fu: adesso basta con la filosofia, adesso si fadiplomazia», ha raccontato qualche giorno fa inun’intervista a Radio France Culture. Dopo la guerra fuchiamato nel 1948 a partecipare alla stesura dellaDichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Nel 2009equiparò le operazioni militari israeliane nella striscia diGaza con i crimini di guerra. Detto da un ebreo che ha fattola Resistenza ed è stato torturato nei campi di

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concentramento dei nazisti, fece un certo effetto.

Quell’esperienza partigiana è anche il vero leitmotivdel pamphlet fortunato che sta entusiasmando non soltantola Francia, ma anche molti editori stranieri che se lo stannolitigando da mesi. Nel libercolo torna anche il conflittoisraelo-palestinese: se venisse risolto, osserva Hessel,pacificherebbe ampie aree del mondo e faciliterebbe ildialogo tra cristiani e musulmani. Ma il diplomatico siscaglia anche con forza contro la finanziarizzazionedell’economia che sta minacciando i valori dellacivilizzazione e che ha aperto un abisso incolmabile tra iricchi e i poveri.

L’ex ambasciatore ne ha anche per Sarkozy, reo dipolitiche disumane contro gli immigrati. Per Hessel ildeclino dei valori è cominciato con l’inizio del nuovo secoloe bisogna tornare ai valori della Resistenza, bisognainsorgere contro l’ingiustizia per sconfiggere loscoraggiamento diffuso e il fatalismo. A metà di questomese Hessel vuole ridiscutere i diritti di autore, per ora nonne riscuote dalla sua piccola casa editrice maoista, perdestinarli al tribunale Russell che ha contribuito a fondare.E per le prossime elezioni presidenziali ha già deciso perchi votare: Martine Aubry.

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IL FATTO QUOTIDANO Indignatevi! E il libretto di un 93enne partigiano

francese diventa un caso editorialeStéphane Hessel ha già venduto 650mila copie

scalzando l’ultimo libro di Michel Houellebecq. Nella suaopera chiede alla società francese di recuperare ambizionie voglia di cambiare la società

PARIGI – Doveva essere l’ultimo libro di MichelHouellebecq, vincitore del premio Goncourt, a primeggiarenelle vendite natalizie in Francia. E invece è stato battutoda un outsider sorprendente, assai improbabile. Si chiamaStéphane Hessel e ha 93 anni. Partecipò alla resistenzadurante la seconda guerra mondiale. Ed è stato subitodopo uno dei redattori della Dichiarazione universale deidiritti dell’uomo. Niente di glamour, insomma. Hessel è unvecchio signore, dall’apparenza (solo quella) stanca edesueta. Ebbene, nei mesi scorsi ha preso carta e pennae ha scritto un opuscolo di 32 pagine dal titolo «Indignez-vous!». Come dire: indignatevi! Abbiate la forza diarrabbiarvi.

E’ il successo editoriale degli ultimi tempi a Parigi.Ormai un best-seller, al numero uno delle vendite, tanto piùdurante queste ultime vacanze: regalo ideale in un bacino

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di lettori di sinistra, prevalentemente giovani. Stampatoinizialmente, alla fine dell’ottobre scorso, a 8mila copie daun’oscura casa editrice (Indigène) di Montpellier, gestita inuna mansarda da due ex giornalisti, ha già superato quota650mila. E l’euforia non sembra essersi esaurita, mentre sinegoziano le traduzioni per venderlo altrove, dal Giapponeagli Stati Uniti, perfino in Italia. Ma cosa ha scritto il nostroHessel?

Chiede alla società francese di recuperare i valoridella Resistenza (ricorda concretamente i principi delprogramma economico del Consiglio nazionale di quelmovimento) e di recuperare ambizioni e voglia di cambiarela società. “Il motivo di base della Resistenza eral’indignazione. Noi, veterani di quel movimento, chiediamoalle giovani generazioni di far rivivere gli stessi ideali”,scrive a pagina 11. Punta il dito sul divario crescente fra i“molto ricchi” e i “molto poveri”, contro “la dittatura deimercati finanziari”, contro l’erosione delle conquiste dellaResistenza francese, vedi un sistema pensionisticosolidale e il sistema di sicurezza sociale. Non mancano leallusioni dirette a Nicolas Sarkozy e la rabbia scatenatadalla sua politica fiscale, studiata “a misura” per favorire iceti più abbienti. Si scaglia inoltre contro il trattamentoriservato ai clandestini. E ai Rom, buttati fuori dalla Franciaspesso senza neppure uno straccio di sentenza giudiziaria.Il 31 dicembre, sul sito d’informazione Mediapart, Hesselha presentato i suoi auguri: “Resistiamo agli auguri delpresidente, che non sono più credibili”. La sera stessa,

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come tutti gli anni, Sarkozy ha parlato ai suoi concittadini,con un discorso rivolto esplicitamente all’elettorato didestra, con l’obiettivo di rassicurarlo. Con la volontà direcuperare consensi di fronte all’offensiva di Marine LePen.

Hessel un rivoluzionario? Non proprio. E non lo è maistato. Oggi vicino a Martine Aubry, segretario generale delPartito socialista, Hessel, un anziano monsieur pacato esorridente, è sempre stato un intellettuale dall’animo libero,di sinistra certo, ma senza “eccessi “. Comunque allergiconei confronti di una certa “gauche caviar” parigina, comevengono chiamati taluni (insopportabili) circoli della“sinistra altolocata” della città. Hessel è nato nel 1917 aBerlino da una famiglia di ebrei, che dal ’25 si trasferi’ inFrancia. Suo padre era il traduttore di Proust in tedesco.La madre dipingeva. E ispirò il personaggio intepretato daJeanne Moreau nel film Jules et Jim di François Truffaut, lagiovane donna amata contemporaneamente da due amici:una storia scabrosa per i tempi. Hessel, brillante studente(dell’Ecole normale), aderi’ alla Resistenza, venne catturatoe inviato nei lager nazisti (e in un trasferimento in treno,saltò giù e riuscì a mettersi in salvo). Dopo la guerra lavoròal segretariato generale dell’Onu. Poi ha collaborato convari personaggi della politica francese (di sinistra) ed èstato ambasciatore del suo Paese in diverse capitali. Unavita, comunque, sempre austera, lontana da qualsiasiesibizionismo. Per questo oggi è credibile nel dire quelloche dice.

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Sì, è diventato l’idolo di tanti giovani. E si prende unasorta di rivincita personale. “Ha provocato il risveglio di unpopolo, finora molto passivo”, ha sottolineato il filosofoEdgar Morin, suo amico. “Ha ricordato alla sinistra chedeve essere ribelle, umana e ottimista”, ha sottolineatoHarlem Désir, numero due del Partito socialista. Che, nelfrattempo, si sta dividendo sulla candidatura delleprossime presidenziali, previste nel 2012. E appare cosi’terribilmente lontano dalla sua base. La sinistra francesesarà capace di sfruttare l’effetto Hessel?

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Risvolti Non è un giovane estremista di sinistra, non è un

cattivo maestro; Stéphane Hessel è un signore di 93 anni,francese d'origine ebrea, che è stato diplomatico, membrodella Resistenza francese contro il nazi-fascismo e co-autore della Dichiarazione Universale dei Diritti umani.

L'ultimo suo lavoro editoriale, Indignez Vous! - quasitestamento morale e politico di un uomo impegnato, giuntoalla fase conclusiva della vita - mi ha colpito sin dal titolo.Lo sto leggendo e traducendo con grande interesseperchè sono convinto che di questo sano e fortesentimento d'indignazione noi, qui e ora, in Italia abbiamoun estremo bisogno. Pubblico, perciò, la mia traduzionedel I capitolo del pamphlet di Hessel con l'avvertenza checiò che l'autore attribuisce al Consiglio della resistenzafrancese, noi possiamo, a buon diritto, attribuirlo alleindicazioni della nostra amata Costituzione.

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I governi, per definizione, non hannocoscienza

Albert Camus

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INDIGNATEVI!

93 anni. È un po' l'ultima tappa. La fine non è piùlontana. Quale fortuna di potere approfittare per ricordareciò che ha servito di zoccolo al mio impegno politico: glianni della resistenza ed il programma elaboratosessantasei anni fa per il Consiglio Nazionale dellaResistenza! È a Jean Moulin che dobbiamo, nella cornicedi quel Consiglio, la riunione di tutti i componenti dellaFrancia occupata, i movimenti, i partiti, i sindacati, perproclamare la loro adesione alla Francia combattente ed alsolo capo che si riconosceva: il Generale de Gaulle. DaLondra, dove lo avevo raggiunto nel marzo 1941,apprendevo che questo Consiglio aveva messo a punto unprogramma, l'aveva adottato il 15 marzo 1944 e propostoper la Francia liberata un insieme di principi e di valori suiquali sarebbe stata riposta la democrazia moderna delnostro paese.

Di questi principi e di questi valori, abbiamo oggipiù che mai bisogno. Dobbiamo badare tutti insieme che lanostra società resti una società di cui possiamo esserefieri: non questa società dei clandestini, delle espulsioni,dei sospetti al riguardo degli immigrati, non questa societàdove si rimettono in discussione le pensioni, le conquistedella Sicurezza sociale, non questa società dove i mediasono nelle mani dei benestanti, tutte cose che avremmo

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negato di garantire se fossimo stati i veri eredi delConsiglio Nazionale della Resistenza.

A partire dal 1945, dopo un dramma atroce, è aduna ambiziosa risurrezione che si dedicano le forzepresenti in seno al Consiglio della Resistenza.Ricordiamolo, allora fu creata la Sicurezza sociale come laResistenza l'aveva prefigurata, come il suo programma ladefiniva: ”Un piano completo di Sicurezza sociale, mirantead assicurare a tutti i cittadini i mezzi di sussistenza, in tuttii casi in cui sono incapaci di procurarseli con il lavoro”;“Una pensione che permetta ai vecchi lavoratori di finiredignitosamente i loro giorni”. Le fonti energetiche,l'elettricità e il gas, le miniere di carbone, le grandi, banchesono nazionalizzate. È ciò che questo programmaraccomandava ancora,.. il ritorno alIa nazione dei grandemezzi di produzione monopolizzata, frutto del lavorocomune, delle sorgenti di energia, delle ricchezze delsottosuolo, delle compagnie di assicurazione e dellegrandi banche"; “L'instaurazione di una vera democraziaeconomica e sociale, implica l'esclusione dei grandi feudieconomici e finanziari nella direzione dell'economia".

L’interesse generale deve prevalere sulI'interesseparticolare, l’equa distribuzione delle ricchezze create dalmondo del lavoro prevalere sul potere del denaro. LaResistenza propose “un'organizzazione razionaledell'economia che assicuri la subordinazione degliinteressi particolari all’interesse generale, affrancata dalladittatura professionale instaurata sull’esempio degli Statifascisti”; ed il Governo provvisorio della Repubblica se n’è

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fatto portavoce. Una vera democrazia ha bisogno di una stampa

indipendente; la Resistenza lo sa, lo esige, difendendo "lalibertà della stampa, il suo onore e la sua indipendenzarispetto allo Stato, al potere del denaro e alle influenzestraniere”. Questo è ciò che riferiscono ancora le ordinanzesulla stampa, fin da 1944. Ora è proprio questo che oggi èin pericolo.

La Resistenza ci chiamava alla “possibilità effettivaper tutti i bambini francesi di beneficiare dell'istruzione piùavanzata”, senza discriminazione; ora, le riforme propostenel 2008 vanno contro questo progetto. Dei giovaniinsegnanti di cui sostengo l'azione, si sono rifiutati diapplicarle ed hanno visto i loro stipendi mutilati a guisa dipunizione. Si sono indignati, hanno “disubbidito", hannogiudicato queste riforme troppo lontane dall'ideale dellascuola repubblicana, troppo al servizio di una società deldenaro e non più in grado di sviluppare lo spirito creativo ecritico.

È tutto lo zoccolo delle conquiste sociali dellaResistenza che è rimesso oggi in discussione.

Movente della resistenza è l'indignazione. C'è chi hail coraggio di sostenere che lo stato non può assicurare piùi costi di queste misure civili e sociali. Ma come puòmancare oggi il denaro per mantenere e prolungare questeconquiste dal momento che la produzione di ricchezze èaumentata considerevolmente dalla Liberazione, periodoin cui l'Europa era in rovina? Se non perché il potere deldenaro, così combattuto dalla Resistenza, non è stato mai

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tanto grande, insolente, egoista, coi suoi propri servitorifino alle più alte sfere dello stato. Le banche oramaiprivatizzate si mostrano in primo luogo preoccupate deiloro dividendi, e dei cospicui stipendi dei loro dirigenti, nondell'interesse generale. La distanza tra i più poveri e i piùricchi non è stata mai tanto rilevante; e la corsa al denaro,la competizione, tanto incoraggiata.

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Il motivo di base della Resistenza eral'indignazione.

Noi, veterani dei movimenti di resistenza e delle forzecombattenti della Francia libera, chiamiamo le giovanigenerazioni a far rivivere, trasmettere, l'eredità dellaResistenza ed i suoi ideali. Diciamo loro: prendete iltestimone, indignatevi! I responsabili politici, economici,intellettuali e l'insieme della società non devonodisorientarsi, né lasciarsi impressionare dall'attualedittatura internazionale dei mercati finanziari che minacciala pace e la democrazia.

Auguro a tutti voi, a ciascuno di voi, di avere il vostromotivo di indignazione. È una cosa preziosa. Quandoqualche cosa vi indigna come sono stato indignato io per ilnazismo, allora si diventa militante, forte ed impegnato. Siraggiunge la corrente della storia e la grande corrente dellastoria deve proseguire grazie a ciascuno. E questacorrente va nel senso di una maggiore giustizia, di piùlibertà ma non questa libertà incontrollata della volpe nelpollaio.

Questi diritti di cui la Dichiarazione universale haredatto il programma nel 1948, sono universali. Seincontrate qualcuno che non ne beneficia, compiangetelo,aiutatelo a conquistarli.

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Due visioni della storia

Quando provo a comprendere ciò che ha causato ilfascismo che ha fatto sì che fossimo invasi da lui e daVichy, mi dico che i possidenti, col loro egoismo, hannoavuto terribilmente paura della rivoluzione bolscevica. Essisi sono lasciati guidare dalle loro paure. Ma se, oggi comeallora, una minoranza attiva si drizza, ciò basterà, avremo illievito affinché la pasta gonfi. Certo, l'esperienza di unomolto anziano come me, nato nel 1917, si differenziadall’esperienza dei giovani di oggi. Io chiedo spesso aiprofessori dei licei si poter dialogare con i loro alunni, edico loro: voi non avete le stesse ragioni evidenti diimpegnarvi. Per noi, resistere, era non accettarel'occupazione tedesca, la disfatta. Era relativamentesemplice. Semplice come ciò che ne è seguito, ladecolonizzazione. Poi la guerra d'Algeria. Occorreva che1'Algeria diventasse indipendente, era evidente. In quantoa Stalin, abbiamo applaudito tutti alla vittoria dell'armatarossa contro i nazisti, nel 1943.

Ma già da quando avevamo avuto conoscenza deigrande processi stalinisti del 1935, ed anche se bisognavamantenere un orecchio aperto verso il comunismo percontrobilanciare il capitalismo americano, la necessità diopporsi a questa forma insopportabile di totalitarismo siera imposta come un'evidenza. La mia lunga vita mi ha

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dato una sequela di ragioni per indignarmi. Queste ragionisono state prodotte più da una volontà di impegno che daun'emozione. Il giovane normale che ero, era stato moltosegnato da Sartre, un compagno maggiore. La Nausea, IlMuro, non L’essere e il nulla, sono stati molto importantinella formazione del mio pensiero. Sartre ci ricordato: Voisiete responsabili in quanto individui. Era un messaggiolibertario. La responsabilità dell’uomo che non può affidarsiné ad un potere né ad un dio. Al contrario, bisognaimpegnarsi in nome della propria responsabilità di personaumana. Quando mi sono iscritto alla scuola normale di viad’Ulm, a Parigi, nel 1939, io ci entravo come ferventediscepolo del filosofo Hegel, e seguivo il seminario diMaurice Merleau-Ponty. Il suo insegnamento esploraval’esperienza concreta, quella del corpo e delle sue relazionicol senso, grande singolare faccia al plurale dei sensi. Mail mio ottimismo naturale, che vuole che tutto ciò che èaugurabile sia possibile, mi portava piuttosto verso Hegel.La filosofia hegeliana interpreta la lunga storia dell’umanitàcome avente un senso: è la libertà dell’uomo cheprogredisce tappa dopo tappa.

La storia è fatta di shock successivi, è la messa inconto di sfide. La storia delle società progredisce, e infine,quando l’uomo ha raggiunto la sua piena espressione,abbiamo lo stato democratico nella sua forma ideale.

Esiste certamente un’altra concezione della storia. Iprogressi ottenuti nella libertà, la competizione, la corsa, al"sempre di più", tutto questo può essere vissuto come un

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uragano distruttivo. Così lo rappresenta un amico di miopadre, l’uomo che ha diviso con lui il compito di tradurre intedesco À la Recherche du temps perdu di Marcel Proust.È il filosofo tedesco Walter Benjamin. Egli aveva tratto unmessaggio pessimista da un quadro del pittore svizzero,Paul Klee, l'Angelus Novus, dove la figura dell’angelo aprele braccia come per contenere e respingere una tempestache identifica col progresso. Per Benjamin che si suiciderànel settembre 1940 per sfuggire al nazismo, il senso dellastoria è l'avanzamento irresistibile di catastrofe incatastrofe.

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L’indifferenza: il peggiore degliatteggiamenti

È vero, le ragioni di indignarsi possono sembrareoggi meno nette o il mondo troppo complesso. Chicomanda, chi decide? Non è sempre facile distinguere tratutte le forze che ci governano. Non si tratta più di unapiccola elite di cui comprendiamo chiaramente l’operato. Èun vasto mondo che sappiamo bene essereinterdipendente.

Viviamo in una interconnettività come non era maiesistita. Ma in questo mondo ci sono delle coseinsopportabili. Per vederle, bisogna ben guardare, cercare.Dico ai giovani: cercate un poco, andate a trovare. Ilpeggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire “io nonposso niente, me ne infischio". Comportandovi così,perdete una delle componenti essenziali che ci fa essereuomini. Una delle componenti indispensabili: la facoltà diindignazione e l’impegno che ne è la diretta conseguenza.

Si possono identificare già due grandi nuove sfide: 1. L’immenso scarto che esiste tra i molto poveri ed

i troppo ricchi e che non cessa di aumentare. Questo è unprodotto del XX e del XXI secolo. I molto poveri nel mondod’oggi guadagnano appena due dollari al giorno. Non sipuò lasciare che questa forbice si allarghi ancora. Questaconstatazione sola deve suscitare un impegno.

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2. I diritti dell’uomo e lo stato del pianeta. Ho avutola fortuna dopo la Liberazione di essere associato allaredazione della Dichiarazione universale dei dirittidell’uomo adottata dall’Organizzazione delle Nazioni unite,il 10 dicembre 1948, a Parigi, al palazzo di Chaillot. Nellafunzione di capo di gabinetto di Henri Laugier, segretariogenerale aggiunto dell’ONU, e di segretario dellaCommissione dei Diritti dell’uomo sono stato ammsso, conaltri, a partecipare alla redazione di questa dichiarazione.Non potrei dimenticare, nella sua elaborazione, il ruolo diRené Cassin, commissario nazionale alla Giustizia eall'educazione del governo della Francia libera, a Londra,nel 1941, premio Nobel della pace nel 1968; né quello diPierre Mendès France in seno al Consiglio economico esociale cui i testi che elaboravamo erano sottoposti, primadi essere esaminati dalla Terza commissionedell'assemblea generale, responsabile delle questionisociali, umanitarie e culturali.

Essa contava i cinquantaquattro Stati membri,all'epoca, delle Nazioni unite, ed io ne assicuravo lasegreteria.

È a René Cassin che dobbiamo il termine di diritti“universali” e non “internazionali” come proponevano inostri amici anglosassoni. Perché è proprio lì lascommessa a uscire dalla seconda guerra mondiale:emanciparsi dalle minacce che il totalitarismo ha fattopesare sull’umanità.

Per emanciparsi, bisogna ottenere che gli Statimembri dell’ONU si impegnino a rispettare questi diritti

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universali. È un modo di sventare l'argomento della pienasovranità che uno Stato può far valere mentre si dedica aicrimini contro l'umanità sul suo suolo. Questo fu il caso diHitler che si stimava padrone di se stesso ed autorizzato aprovocare un genocidio. Questa dichiarazione universaledeve molto alla repulsione universale contro il nazismo, ilfascismo, il totalitarismo, e inoltre, per la nostra presenza,allo spirito della Resistenza. Sentivo che bisognava farerapidamente, non lasciarsi ingannare dall’ipocrisia chec'era nell'adesione proclamata dai vincitori a questi valoriche non tutti avevano l'intenzione di promuovere in modoleale, ma che noi tentavamo di imporre loro.

Non resisto alla voglia di citare l’articolo 15 dellaDichiarazione universale dei Diritti dell’uomo: "ogniindividuo ha diritto ad una nazionalità"; l’articolo 22:“Ciascuno, in quanto membro della società, ha diritto allaSicurezza sociale; essa è finalizzata ad ottenere lasoddisfazione dei diritti economici, sociali e culturaliindispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo dellasua personalità, grazie allo sforzo nazionale ed allacooperazione internazionale, tenuto contodell’organizzazione e delle risorse di ciascun paese”. E sequesta dichiarazione ha una portata dichiarativa, e nongiuridica, non ha giocato un ruolo meno importante dopo il1948; si sono visti popoli colonizzati impadronirsene nellaloro lotta di indipendenza; ha inseminato gli spiriti nellalotta per la libertà.

Constato con piacere che nel corso degli ultimidecenni si sono moltiplicate le organizzazioni non

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governative, i movimenti sociali come Attac (Associazioneper la tassazione delle transazioni finanziarie), il FIDH(Federazione internazionale dei Diritti dell’uomo),Amnesty... che sono attive e ad alto rendimento. È evidenteche per essere efficaci oggi, bisogna agire in rete,approfittare di tutti i mezzi moderni di comunicazione.

Ai giovani, dico: guardate intorno a voi, troverete itemi che giustificano la vostra indignazione – il trattamentoriservato agli immigrati, agli illegali, ai Roms. Troveretedelle situazioni concrete che vi porteranno a dare corso adun'azione forte di impegno civile e sociale. Cercate etroverete!

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La mia indignazione a proposito dellaPalestina

Oggi, la mia principale indignazione riguarda laPalestina, la striscia di Gaza, la Cisgiordania. Questoconflitto è causa per me di grande indignazione. Occorreassolutamente leggere il rapporto Goldstone del settembrc2009 su Gaza, nel quale questo giudice sud-africano,ebreo che si dice anche sionista, accusa l'esercitoisraeliano di avere commesso, durante l’operazione"Piombo fuso " durata tre settimane, “atti assimilabili acrimini di guerra e forse, in certe circostanze, a criminicontro l’umanità”. Io stesso sono tornato a Gaza, nel 2009,dove sono potuto entrare con la mia donna grazie ai nostripassaporti diplomatici, per valutare de visu ciò che questorapporto sosteneva. Le persone che ci accompagnavanonon sono state autorizzate ad addentrarsi nella striscia diGaza e in Cisgiordania. Abbiamo visitato anche i campi diprofughi palestinesi assegnati fin da 1948 dall’Agenziadelle Nazioni unite, l’UNRWA, dove più di tre milioni diPalestinesi, cacciati dalle loro terre da parte d'Israele,aspettano un rientro sempre più problematico. In quanto aGaza, è una prigione a cielo aperto per un milione e mezzodi Palestinesi. Una prigione dove si organizzano persopravvivere. Più delle distruzioni materiali come quelladell'ospedale della Mezzaluna rossa da parte di "Piombo

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fuso", è il comportamento degli abitanti di Gaza, il loropatriottismo, il loro amore del mare e delle spiagge, la lorocostante preoccupazione del benessere dei loro bambini,innumerevoli e ridenti, che persiste nella nostra memoria.Siamo stati impressionati dal loro ingegnoso modo di farefronte a tutte le penurie che devono sopportare. Li abbiamovisti preparare dei mattoni senza cemento per ricostruire lemigliaia di case distrutte dai carri. C'è stato confermatoche durante l’operazione "Piombo fuso" condottadall’esercito israeliano, ci sono stati millequattrocento morti- donne, bambini, vecchi confinati nel campo palestinese -contro solamente cinquanta feriti israeliani. Condivido leconclusioni del giudice sud-africano. Che gli Ebreipossano perpetrare, proprio loro, dei crimini di guerra, èinsopportabile. Ahimè, la storia offre pochi esempi dipopoli che traggano insegnamento dalla propria storia.

Lo so, Hamas che ha vinto le ultime elezionilegislative non ha saputo evitare che fossero lanciati razzisulle città israeliane in risposta alla situazione diisolamento e di blocco nella quale si trovano gli abitanti diGaza. Penso evidentemente che il terrorismo siainaccettabile, ma bisogna riconoscere che quando si èoccupati con mezzi militari infinitamente superiori a quellidi cui si dispone, la reazione popolare non può che essereviolenta.

Torna utile ad Hamas lanciare razzi sulla città diSdérot? La risposta è no. Ciò non favorisce la sua causa,ma questo gesto si può spiegare con l’esasperazionedegli abitanti di Gaza. Nella nozione di esasperazione,

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bisogna comprendere la violenza come una spiacevoleconclusione di situazioni inaccettabili per coloro che lesubiscono. Allora, si può dire che il terrorismo è una formadi esasperazione. E che questa esasperazione è untermine negativo. Non si dovrebbe esasperare,occorrerebbe sperare. L’esasperazione nasce da unanegazione di speranza. Comprensibile, direi quasinaturale, ma ugualmente inaccettabile. Perché nonpermette di ottenere i risultati che può eventualmenteprodurre la speranza.

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La non-violenza, la strada chedobbiamo imparare a seguire

Sono convinto che il futuro appartiene alla non-violenza, alla conciliazione tra le culture differenti. È perquesta via che l'umanità dovrà superare il suo prossimotraguardo. In ciò sono d’accordo con Sartre, non possiamogiustificare i terroristi che gettano bombe, li possiamo solocomprendere. Sartre nel 194l scrive: “Riconosco che laviolenza sotto qualunque forma si manifesti è uninsuccesso. Ma è un insuccesso inevitabile perché viviamoin un universo di violenza. E se è vero che col ricorso allaviolenza resta la violenza che rischia di perpetuarsi, èanche vero che è l'unico modo per farla cessare”.

Al che aggiungerei che la non-violenza è un mezzopiù sicuro per farla cessare. Non si possono sostenere iterroristi in nome di questo principio, come ha fatto Sartredurante la guerra d'Algeria o all'epoca dell'attentato controgli atleti israeliani durante i giochi di Monaco del 1972. Nonè efficace e Sartre finirà per interrogarsi alla fine della suavita sul senso del terrorismo e a dubitare della sua ragiond'essere. Dire “la violenza non è efficace", è più importanteche sapere se dobbiamo condannare o no coloro che sidedicano ad essa. Il terrorismo non è efficace. Nellanozione di efficacia, occorre una speranza non violenta.Una speranza violenta si trova nella poesia di Guillaume

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Apollinaire: “Le pont Mirabeau”; non in politica. Sartre, nelmarzo 1980, a tre settimane della sua morte, dichiarava:Occorre provare a spiegare che il mondo d’oggi, che èorribile, è solamente un momento nel lungo sviluppostorico, che la speranza è sempre stata una delle forzedominanti delle rivoluzioni e delle insurrezioni, e checonsidero ancora la speranza come la mia concezioneriguardo al futuro."

Bisogna comprendere che la violenza volta le spallealla speranza. Bisogna preferirle la speranza, la speranzadella non-violenza. È la strada che dobbiamo imparare aseguire. Sia da parte degli oppressori che degli oppressi,bisogna arrivare ad un negoziato per eliminarel’oppressione; è questo che permetterà di vincere laviolenza terroristica. Perché non si deve lasciareaccumulare troppo odio.

Il messaggio di un Mandela, di un Martin LutherKing, trova tutta la sua pertinenza in un mondo che hasuperato lo scontro ideologico ed il totalitarismo diconquista. È un messaggio di speranza nella capacitàdelle società moderne di superare i conflitti tramite lacomprensione reciproca ed una pazienza vigile. Pergiungere a ciò, bisogna basarsi sui diritti la cui violazione,chiunque ne sia responsabile, deve provocare la nostraindignazione. Non si deve transigere su questi diritti.

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Per un’insurrezione pacifica

Ho notato - e non sono il solo - la reazione del governoisraeliano di fronte al fatto che ogni venerdì i cittadini diBil'id vanno, senza gettare pietre, senza utilizzare la forza,fino al muro contro il quale protestano. Le autoritàisraeliane hanno qualificato questa marcia come“terrorismo non violento”. Mica male... Occorre essereisraeliano per definire terrorismo la non-violenza. Bisognaessere soprattutto imbarazzati dall'efficacia della non-violenza che suscita l’appoggio, la comprensione, ilsostegno di quanti nel mondo sono contro l'oppressione.

Il pensiero produttivista, diffuso in occidente, hatrascinato il mondo in una crisi da cui occorre uscireabbandonando velocemente la concezione del "sempre dipiù", nel campo finanziario ma anche nel campo dellescienze e delle tecniche. È ormai tempo che i valori etici, digiustizia, di sviluppo sostenibile diventino prevalenti.Perché rischi gravissimi ci minacciano e possono mettereun termine all'avventura umana su un pianeta che diventainospitale.

Ma è indiscutibile che importanti progressi sianostati fatti dal 1948 in poi: la decolonizzazione, la finedell'apartheid, la distruzione dell’impero sovietico, lacaduta del Muro di Berlino. Invece, i primi dieci anni delXXI secolo sono stati una fase di arretramento. Questa

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involuzione io la spiego in parte con la presidenzaamericana di George Bush, l’11 settembre, e leconseguenze disastrose che ne hanno tratto gli Stati Uniti,come l’intervento militare in Iraq. Abbiamo avuto questagrave crisi economica, ma non abbiamo di contro avviatouna nuova politica di sviluppo. Parimenti, l’incontro alvertice di Copenaghen contro il riscaldamento climaticonon ha permesso di iniziare una vera politica per lasalvaguardia del pianeta. Siamo sul limitare, tra gli orroridel primo decennio e le opportunità dei prossimi. Mabisogna sperare, occorre sempre sperare. Il decennioprecedente, quello degli anni ‘90, era stato motore digrande progresso. Le Nazioni unite hanno saputoconvocare delle conferenze come quella di Riosull’ambiente, nel 1992; quella di Pechino sulle donne, nel1995; nel settembre 2000, su iniziativa del segretariogenerale delle Nazioni unite, Kofi Annan, i 191 paesimembri hanno adottato la dichiarazione sugli “Otto obiettividel millennio per lo sviluppo”, con cui si impegnano adimezzare la povertà nel mondo entro il 2015.

È mio grande dispiacere che né Obama né I'Unioneeuropea si siano ancora espressi riguardo al loro apportoper una fase costruttiva, appoggiandosi sui valorifondamentali.

Come concludere questo appello ad indignarsi?Ricordando ancora ciò che l’8 marzo 2004, in occasionedel sessantesimo anniversario del Programma delConsiglio nazionale della Resistenza, noi veterani dei

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movimenti di Resistenza e delle forze combattenti dellaFrancia libera (1940-1944) dicevamo, che certo “ilnazismo è stato sconfitto, grazie al sacrificio dei nostrifratelli e sorelle della Resistenza e delle Nazioni unitecontro la barbarie fascista. Ma questa minaccia non èsparita totalmente e la nostra irritazione contro l'ingiustiziaè ancora intatta”.

No, questa minaccia non è sparita totalmente.

Perciò, chiamiamoci sempre ad “una verainsurrezione pacifica contro i mezzi di comunicazione dimassa che non propongono come orizzonte per la nostragioventù altro che il consumo di massa, il disprezzo dei piùdeboli e della cultura, l’amnesia generalizzata e lacompetizione a oltranza di tutti contro tutti”.

A coloro che vivranno il 21° secolo, diciamo con ilnostro affetto:

CREARE È RESISTERE. RESISTERE È CREARE.

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IndiceRecensioni

IL RIFORMISTA:IL FATTO QUOTIDANORisvolti

INDIGNATEVI!Il motivo di base della Resistenza era l'indignazione.Due visioni della storiaL’indifferenza: il peggiore degli atteggiamentiLa mia indignazione a proposito della PalestinaLa non-violenza, la strada che dobbiamo imparare aseguirePer un’insurrezione pacifica

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IIIIIIGJIH.UOUS !§TEPHANE HESSEL

« 93 ans. La fin n'est p[us bien Loin. Quetle chance

de pouvoir en profiter pour rappeter ce qui a servi de

socle à mon engagement politique : [e programme

éLaboré i[ y a soixante-six ans par [e Conseil NationaL

de [a Résistance ! >> Quelle chance de pouvoir nous

nourrir de l'expérience de ce grand résistant, réchap-

pé des camps de Buchenwatd et de Dora, co-rédacteur

de La Déctaraüon universette des Droits de ['homme de

1,948, élevé à l.a dignité dAmbassadeur de France et de Commandeur de

[a Légion d'honneur !

Pour Stéphane Hessel, Le « moüf de base de [a Résistance, c'était ['in-

dignaüon. >> Certes, les raisons de s'indigner dans te monde complexe

d'aujourd'hui peuvent paraître moins nettes qu'au temps du nazisme.

Mais « cherchez et vous trouverez » : l'écart grandissant entre les très

riches et [es très pauvres, ['état de [a planète, [e traitement fait aux

sans-papiers, aux immigrés, aux Roms, [a course au "toujours ptus", à

La compétition, [a dictature des marchés financiers etjusqu'aux acquis

bradés de La Résistance - retraites, sécurité sociale... Pour être effi-

cace, iLfaut, comme hier, agir en réseau : Attac, Amnes§, La Fédéraüon

internationaLe des Droits de ['homme... en sont [a démonstration.

A[ors, on peut croire Stéphane Hesset, et l.ui emboîter l'e pas, Lorsqu'iI

appetle à une «< insurrection pacifique ».

Sy[üe Crossman

« Les gouvernements, par définition, n'ont pas de conscience' t>

Atbert Camus, Témoinsn" 5. printemps L95/+.

harmonia mundi

- dill'usiaf, lù)res

-

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