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1 Storie di povertà, riflessioni degli studenti della classe 5A del Liceo Scientifico Francesco Severi In queste settimane, stiamo lavorando in classe con i miei studenti sul tema dell’estensione della povertà oggi in Italia, cogliendone sia le cause a livello mondiale (crisi economica, fine dell’economia industriale, ruolo dell’economia finanziaria, meccanizzazione dei processi produttivi, dislocazione delle industrie, etc.) attraverso lo studio dei testi sociologici di riferimento, sia gli effetti, nella loro complessità (difficile a governarsi) nel nostro Paese, focalizzando infine la nostra attenzione sulla povertà educativa. Dopo aver studiato l’ultimo rapporto sulla povertà in Italia dell’ISTAT, della Caritas, e quello di Save the Children, ci siamo concentrati su alcune delle ‘storie di vita’ raccolte in alcuni centri d’ascolto di Bari, Bologna e Roma. I ragazzi hanno mostrato un vivo interesse per questa realtà e il desiderio di conoscerla meglio Fin da settembre dello scorso anno, ci eravamo recati, presso l’Associazione Mani Tese, a partecipare a un ‘laboratorio esperienziale’, al quale avevamo dedicato un intero pomeriggio, concentrandoci sulle diseguaglianze economiche nel mondo, all’origine anche di gran parte dell’emigrazione contemporanea. Nelle prossime settimane, ci recheremo anche in un importante Archivio storico che contiene documenti sul lavoro operaio. Lo studio di saggi storici, la consultazione dei documenti originali ci consentiranno di comprendere meglio le radicali trasformazioni nel nostro Paese da società industriale a società post-industriale. Con questi strumenti, riusciremo a inquadrare, accanto alla povertà assoluta, anche quella zona grigia della povertà, quella che viene chiamata la nuova povertà e che è legata alla crisi economica, alla perdita del lavoro del capofamiglia (spesso un operaio), e delle sue grandi difficoltà a trovare un altro lavoro. Nelle nostre riflessioni, abbiamo focalizzato la nostra attenzione su queste nuove povertà, mettendo in luce come, accanto alla povertà economica, emergano altre povertà, quasi sempre connesse alle condizioni precarie di vita e che si aggiungono all’indigenza economica. Trascriviamo, di seguito esposizioni sintetiche tratte dei tre rapporti sulla povertà e sulla povertà educativa: ISTAT, Caritas e Save the Children . Sintesi del rapporto ISTAT del 2017 La povertà in Italia Le stime diffuse in questo report si riferiscono a due distinte misure della povertà: assoluta e relativa, che derivano da due diverse definizioni e sono elaborate con metodologie diverse, utilizzando i dati dell’indagine campionaria sulle spese per consumi delle famiglie.

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Storie di povertà, riflessioni degli studenti della classe 5A del Liceo Scientifico Francesco Severi In queste settimane, stiamo lavorando in classe con i miei studenti sul tema dell’estensione della povertà oggi in Italia, cogliendone sia le cause a livello mondiale (crisi economica, fine dell’economia industriale, ruolo dell’economia finanziaria, meccanizzazione dei processi produttivi, dislocazione delle industrie, etc.) attraverso lo studio dei testi sociologici di riferimento, sia gli effetti, nella loro complessità (difficile a governarsi) nel nostro Paese, focalizzando infine la nostra attenzione sulla povertà educativa. Dopo aver studiato l’ultimo rapporto sulla povertà in Italia dell’ISTAT, della Caritas, e quello di Save the Children, ci siamo concentrati su alcune delle ‘storie di vita’ raccolte in alcuni centri d’ascolto di Bari, Bologna e Roma. I ragazzi hanno mostrato un vivo interesse per questa realtà e il desiderio di conoscerla meglio Fin da settembre dello scorso anno, ci eravamo recati, presso l’Associazione Mani Tese, a partecipare a un ‘laboratorio esperienziale’, al quale avevamo dedicato un intero pomeriggio, concentrandoci sulle diseguaglianze economiche nel mondo, all’origine anche di gran parte dell’emigrazione contemporanea. Nelle prossime settimane, ci recheremo anche in un importante Archivio storico che contiene documenti sul lavoro operaio. Lo studio di saggi storici, la consultazione dei documenti originali ci consentiranno di comprendere meglio le radicali trasformazioni nel nostro Paese da società industriale a società post-industriale. Con questi strumenti, riusciremo a inquadrare, accanto alla povertà assoluta, anche quella zona grigia della povertà, quella che viene chiamata la nuova povertà e che è legata alla crisi economica, alla perdita del lavoro del capofamiglia (spesso un operaio), e delle sue grandi difficoltà a trovare un altro lavoro. Nelle nostre riflessioni, abbiamo focalizzato la nostra attenzione su queste nuove povertà, mettendo in luce come, accanto alla povertà economica, emergano altre povertà, quasi sempre connesse alle condizioni precarie di vita e che si aggiungono all’indigenza economica. Trascriviamo, di seguito esposizioni sintetiche tratte dei tre rapporti sulla povertà e sulla povertà educativa: ISTAT, Caritas e Save the Children . Sintesi del rapporto ISTAT del 2017 La povertà in Italia Le stime diffuse in questo report si riferiscono a due distinte misure della povertà: assoluta e relativa, che derivano da due diverse definizioni e sono elaborate con metodologie diverse, utilizzando i dati dell’indagine campionaria sulle spese per consumi delle famiglie.

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Nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui. L’incidenza di povertà assoluta è pari al 6,9% per le famiglie (da 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (da 7,9%). Due decimi di punto della crescita rispetto al 2016 sia per le famiglie sia per gli individui si devono all’inflazione registrata nel 2017. Entrambi i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005. Nel 2017 l’incidenza della povertà assoluta fra i minori permane elevata e pari al 12,1% (1 milione 208 mila, 12,5% nel 2016); si attesta quindi al 10,5% tra le famiglie dove è presente almeno un figlio minore, rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). L’incidenza della povertà assoluta aumenta prevalentemente nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%), soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). La povertà aumenta anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord. L’incidenza della povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%). A testimonianza del ruolo centrale del lavoro e della posizione professionale, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; nelle famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%). Cresce rispetto al 2016 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento che ha conseguito al massimo la licenza elementare: dall’8,2% del 2016 si porta al 10,7%. Le famiglie con persona di riferimento almeno diplomata, mostrano valori dell’incidenza molto più contenuti, pari al 3,6%. Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Nel 2017 riguarda 3 milioni 171 mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368 mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente). Come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%) o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne.

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L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5%) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0%), queste ultime in peggioramento rispetto al 31,0% del 2016. Si confermano le difficoltà per le famiglie di soli stranieri: l’incidenza raggiunge il 34,5%, con forti differenziazioni sul territorio (29,3% al Centro, 59,6% nel Mezzogiorno). Sintesi del documento della Caritas ‘Povertà in attesa’, Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto in Italia. La povertà educativa è un fenomeno principalmente ereditario nel nostro Paese, e a sua volta favorisce la trasmissione intergenerazionale della povertà economica. I dati nazionali, oltre a confermare una forte correlazione tra livelli di istruzione e povertà economica, dimostrano anche un’associazione tra livelli di istruzione e cronicità della povertà. Il fenomeno del disagio è analogo a quello che vi era prima della crisi economica del 2007-2008, ma sicuramente si è esteso a più soggetti. 1| La povertà assoluta: il profilo socio-anagrafico dei poveri In Italia il numero dei poveri assoluti (cioè le persone che non riescono a raggiungere uno standard di vita dignitoso) continua ad aumentare, passando da 4 milioni 700mila del 2016 a 5 milioni 58mila del 2017. Dagli anni pre-crisi ad oggi il numero di poveri è aumentato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgimento avvenuto per effetto della recessione economica.

Rilevante è la questione giovanile: da cinque anni, infatti i minori e i giovani sono le categorie più svantaggiate (nel 2007 il trend era esattamente l’opposto). Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono 1 milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione 112mila (il 10,4%): oggi quasi un povero su due è minore o giovane.

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L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono (oggi più di ieri) sulla condizione di povertà. Dal 2016 al 2017 si aggravano le condizioni delle famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare. Al contrario i nuclei dove il “capofamiglia” ha almeno un titolo di scuola superiore registrano valori di incidenza della povertà molto più contenuti. Per quanto riguarda la cittadinanza, la povertà assoluta si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di soli italiani (5,1%), mentre si attesta su livelli molto elevati tra i nuclei con soli componenti stranieri (29,2%). Lo svantaggio degli immigrati non costituisce un elemento di novità e nel 2017 sembra rafforzarsi ulteriormente. Volendo semplificare, tra i nostri connazionali risulta povera una famiglia su venti, tra gli stranieri quasi una su tre. 2 | I volti dei poveri incontrati dalla Caritas Nel corso del 2017 i “volti” incontrati dalla rete Caritas sono stati 197.332.Nelle regioni del Settentrione e del Centro le persone prese in carico sono per lo più straniere (rispettivamente il 64,5% e il 63,4%), mentre nel Mezzogiorno le storie intercettate sono in maggioranza di italiani (67,6%). In termini di genere il 2017 segna il sorpasso dell’utenza maschile su quella femminile, dovuto alle trasformazioni delle dinamiche migratorie, quali il calo delle migrazioni dai Paesi dell’Est, per lo più di donne impiegate nel badantato, e di contro, l’incremento di richiedenti asilo e profughi provenienti dai Paesi africani, che vede come protagonisti soprattutto uomini. Risulta preoccupante la situazione dei minori coinvolti in tali situazioni di fragilità, alla luce del fatto che tali deprivazioni materiali penalizzeranno irrimediabilmente il loro futuro, sul piano economico e socio-educativo. Si attivano spesso dei circoli viziosi che tramandano di generazione in generazione le situazioni di svantaggio. Per quanto riguarda l’istruzione, la stretta connessione con lo stato di povertà è evidente. La situazione dei giovani della fascia 18-34 anni desta ancor più preoccupazione: il 60,9% dei ragazzi italiani incontrati (fuori dal circuito formativo e scolastico), possiede solo una licenza media. I dati nazionali oltre a confermare una forte correlazione tra livelli di istruzione e povertà economica, dimostrano anche una associazione - confermata dalla statistica - tra livelli di istruzione e cronicità della povertà: coloro che hanno un titolo di studio basso o medio-basso oltre a cadere più facilmente in uno stato di bisogno, corrono anche il rischio di vivere una situazione di povertà cronica non risolvibile in poco tempo. In stretta correlazione al tema dell’istruzione è poi la condizione occupazionale. I disoccupati ascoltati nel 2017 rappresentano il 63,8%; tra gli stranieri la percentuale sale al 67,4%. Tra gli altri elementi da sottolineare che hanno connotato l’anno 2017 c’è da evidenziare l’incremento delle persone senza dimora e delle storie connotate da un minor capitale relazionale (famiglie uni-personali); il fatto che ancora oggi la rottura dei legami familiari possa costituire un fattore scatenante nell’entrata in uno stato di povertà e di bisogno; si riscontra poi una certa stabilità dei cosiddetti working poor.

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Bisogni e interventi In linea con gli anni precedenti, nell’analisi dei bisogni spiccano anche per il 2017 i casi di povertà economica (78,4%), seguiti dai problemi di occupazione (54,0%) e dai problemi abitativi (26,7%), questi ultimi in aumento rispetto al 2016. All’interno di questa categoria si nota un evidente incremento, dal 44,3% al 52,5%, della situazione di chi è privo di un’abitazione. Alle difficoltà di ordine materiale seguono poi altre forme di vulnerabilità che in molti casi si associano alle prime: problemi familiari (14,2%), difficoltà legate allo stato di salute (12,8%) o ai processi migratori (12,5%). Su 100 persone per le quali è stato registrato almeno un bisogno, quasi 40 hanno manifestato 3 o più ambiti di difficoltà. 3 | La povertà educativa e culturale in Italia Il legame tra povertà educativa minorile e condizioni di svantaggio socio-economico risulta nel nostro Paese particolarmente accentuato. La povertà educativa rimane, in Italia, un fenomeno principalmente ereditario, che riguarda in gran parte famiglie colpite dalla tradizionale povertà socio-economica. Ad esempio si evidenziano situazioni di maggior svantaggio in tal senso (sia sul fronte dei servizi che delle possibilità individuali) proprio nelle regioni del Mezzogiorno che registrano i più alti livelli di povertà assoluta. Al Sud e nelle Isole c’è una minore copertura di asili nido, di scuole primarie e secondarie con tempo pieno, una percentuale più bassa di bambini che fruiscono di offerte culturali e/o sportive e al contempo una maggiore incidenza dell’abbandono scolastico. Sul fronte della cittadinanza, gli alunni stranieri evidenziano tassi di povertà educativa maggiori rispetto ai loro coetanei autoctoni.

Il confronto con l’Europa Nell’ambito della Strategia Europa 2020 l’Italia ha raggiunto l’obiettivo relativo all’area educazione/istruzione, superando nel 2016 di poco la soglia richiesta del 26% di laureati tra la popolazione 30-34enne con +8,3 punti percentuali dal 2007. Tale incidenza rimane comunque al di sotto della media europea a 28 Paesi (39,9%) nel 2017. Al confronto con gli altri Paesi, l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa per presenza di laureati, solo prima della Romania. L’Italia si colloca al quarto posto in Europa per incidenza di abbandono precoce degli studi (14,0%), dopo Malta, Spagna e Romania. La povertà educativa degli adulti in difficoltà Solo una esigua minoranza del campione (10,2%) è in possesso di un titolo di scuola media superiore, che nei Paesi occidentali possiamo considerare ormai come il livello formativo minimo richiesto per poter

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trovare un lavoro ed evitare fenomeni di esclusione sociale. Il titolo di studi più diffuso in tutti i Paesi esaminati tuttavia è la licenza media inferiore (38,1%). L’analisi comparativa realizzata mostra una forte correlazione tra l’assenza di titoli di studio e situazione reddituale della famiglia. Se nel campione complessivo quasi la metà delle persone (il 43,4%) risulta privo di una fonte stabile di entrate economiche, l’assenza totale di reddito appare più preoccupante nel caso delle persone che hanno un capitale formativo molto basso. 4| L’attuazione del REI. A che punto siamo Il percorso di attuazione del Reddito d’Inclusione (REI) ha avuto inizio il 1 dicembre 2017. Fino al giugno 2018 lo ha ricevuto il 60% degli aventi diritto (poco più di 1 milione su 1,7 milioni totali). É una percentuale significativa per una misura relativamente “giovane” e un risultato che segnala un buon attecchimento iniziale del REI nei territori. Dal 1 giugno 2018 sono venuti meno i criteri familiari e la grave povertà costituisce l’unico requisito d’accesso. Questo significa che la platea degli aventi diritto si è allargata fino a raggiungere la quota di circa 2,5 milioni d’individui, cioè la metà di quei 5 milioni in povertà assoluta oggi presenti in Italia. Il dato indica la strada ancora da percorrere per approdare alla misura universalistica, estendendo il diritto all’altra metà di poveri oggi ancora scoperta. L’importo medio del REI risulta oggi pari a 206 euro mensili, una somma ancora lontana dal permettere di uscire dalla povertà assoluta, coprendo la distanza tra il reddito disponibile delle famiglie e la soglia di povertà assoluta. Per quanto riguarda l’infrastruttura dei servizi per l’introduzione di una misura nazionale per il welfare locale, sinora mancata, alcuni segnali positivi già si sono palesati, ma va comunque detto che l’effettiva realizzazione dell’azione di infrastrutturazione ha mostrato sinora alcune criticità evidenti. Primo, è partita in ritardo. Secondo, non è ancora chiaro quale sarà l’impegno del Governo nella cruciale materia del monitoraggio. Terzo, mentre si è verificato un investimento rilevante per l’infrastrutturazione dei servizi sociali dei Comuni, lo stesso non si può dire per i Centri per l’impiego. Per quanto riguarda il welfare locale, è ancora troppo presto per trarre qualunque conclusione in merito all’impatto dei percorsi d’inclusione sociale e lavorativa sulle condizioni degli utenti. Le evidenze raccolte nei territori, tuttavia, trasmettono alcuni messaggi sulle direzioni che tali processi stanno seguendo. Primo, la “normalità” delle difficoltà attuative. Secondo, la necessità di continuità nelle politiche nazionali, e il mantenimento dell’impianto strutturale e delle linee di sviluppo già insite nel REI, da ampliare e migliorare in tanti aspetti, ma non smontare allo scopo di dar vita ad una nuova misura con un profilo radicalmente differente. Una scelta simile assesterebbe infatti un colpo fatale alla possibilità di dar vita ad incisive politiche contro la povertà nel nostro Paese. Terzo, la necessità di discontinuità positiva nei territori, ovvero di introdurre ri-orientamenti nelle prassi operative dei soggetti che contribuiscono a livello locale a realizzare la misura, a seconda delle situazioni iniziali dei diversi contesti. Quarto, il rischio di aspettative eccessive. La sfida, infatti, è quella di riuscire a far convivere le aspettative (realistiche e non miracolistiche) e l’entusiasmo con le difficoltà attuative e la necessità dei tempi lunghi. L’annunciata introduzione del Reddito di Cittadinanza è destinata a portare con sé novità di rilievo che ci si augura tengano conto dell’esperienza maturata nell’attuazione del REI di cui si parla nel rapporto. Questa esperienza sia nei suoi punti di forza così come nelle sue criticità rappresenta un prezioso patrimonio di sapere concreto, che merita di essere valorizzato. Un patrimonio, si spera, dal quale il legislatore non vorrà prescindere al momento di disegnare le prossime tappe della lotta alla povertà nel nostro Paese.

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Sintesi del Rapporto di Save the Children Nuotare contro corrente Save the Children promuove la campagna Povertà educativa e resilienza in Italia. Povertà educativa Il nuovo rapporto fa luce sulla povertà educativa in Italia e sui fattori che stimolano la resilienza nei bambini e adolescenti che vivono nei contesti più disagiati. In Italia, più di 1 bambino su 10 vive in povertà assoluta, oltre la metà di essi non legge libri, e più del 40% non fa sport. Dal rapporto, emerge che i quindicenni che vivono in famiglie disagiate hanno quasi 5 volte in più la probabilità di non superare il livello minimo di competenze sia in matematica che in lettura, rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie più benestanti (24% contro 5%). Tuttavia, tra questi minori, spicca una quota di “resilienti”, ragazzi e ragazze che raggiungono ottimi livelli di apprendimento anche provenendo da famiglie in gravi condizioni di disagio. I fattori che aiutano i ragazzi ad emanciparsi dalle situazioni di disagio sociale ed economico sono l’aver frequentato un asilo nido (+39% di probabilità), una scuola ricca di attività extracurriculari (+127%), dotata di infrastrutture adeguate (+167%) o caratterizzata da relazioni positive tra insegnanti e studenti (+100%). Questi sono alcuni dei dati emersi dall'Indice sulla Povertà educativa e dalla nostra analisi sui fattori che stimolano la resilienza svolta con il contributo dell'Università di Tor Vergata.

Le riflessioni degli studenti sulle storie di povertà Gabriele Bartesaghi Bullismo e povertà, violenza e autolesionismo

Nina è una ragazza per bene, ha sempre lavorato sodo per crescere la sua bambina, Giulia, abbandonata dal padre incarcerato.

Giulia cresce con dei problemi essendo spaventata dalla figura paterna, all'età di 12 anni viene ricoverata in ospedale per anoressia e manifesta i primi segnali di autolesionismo. A scuola ha problemi a relazionarsi con i compagni che tendono a bullizzarla.

Riflessione personale. Questa storia davvero toccante mi ha fatto riflettere sul fatto che questi avvenimenti non sono rari, ma che essi sono più che comuni tra gli adolescenti, molto spesso a causa di genitori incapaci e irresponsabili. Tutti noi, ragazzi e adulti, dovremmo offrire il nostro aiuto ad adolescenti in difficoltà qualora ce ne accorgessimo, noi ragazzi dovremmo aiutarla ad integrarsi nonostante le difficoltà, gli adulti invece dovrebbero loro offrire la propria esperienza come linea guida per i più giovani.

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Massimo Bertelli Il futuro delinquente o hikikomori

Rosa e Nicola sono marito e moglie, essi sono entrambi il prodotto di situazioni famigliari complesse per questo non hanno potuto completare il ciclo di studi minimo, Nicola non ha finito nemmeno le elementari, e di conseguenza essere in grado di ottenere un lavoro che permetta loro di mantenere la loro famiglia.

Per sopravvivere, si affidano alle forme di assistenzialismo presenti sul territorio.

Rosa e Nicola hanno tre figli, i tre figli sono in qualche modo il prodotto del contesto disagiato in cui vivono.

Il primo, Francesco, è dislessico iperattivo e con gravi problemi comportamentali, ma ben inserito nel suo contesto sociale.

Il secondo figlio, Michele, è invece asociale, irascibile non controlla le emozioni non ha una vita relazionale.

E’ un hikikomori, un ragazzo che ha deciso di isolarsi dalla vita sociale, vivendo nella sua camera.

Il terzo, Giovanni, di sette anni, ha un grave ritardo cognitivo.

I due figli maggiori incarnano due opposte modalità di reazione a un contesto di disagio,

Francesco sembra vada alla ricerca di successo, soldi senza rispetto per le cose e le persone e frequentando ambienti ambigui; il suo percorso scolastico è stato molto complesso, aveva difficoltà negli studi, ma soprattutto comportamentali, tant’è che genitori, insegnanti e servizi sociali hanno deciso di ritiralo dalla scuola e di farlo studiare da privatista.

Ora frequenta una scuola da barista ma non sembra essere la direzione che vuole intraprendere.

I suoi sogni sono molto materialisti: una macchina costosa, abiti firmati, case lussuose, tatuaggi.

Le sue frequentazioni sono poco chiare ed è già stato coinvolto in episodi di violenza urbana.

Michele, al contrario, vive recluso in casa si rifiuta di uscire non ha relazioni sociali, vive in un mondo irreale solo con la compagnia del computer i video degli youtuber e le serie tv.

A scuola, sarebbe molto bravo, ma non vuole approfondire lo studio.

E’ una vita virtuale, la sua, priva di sogni di speranze di futuro.

Questi due fratelli, figli di un contesto sociale gravato da tensioni e problemi, mettono in evidenza quali siano le due possibili risposte ad un contesto sociale difficile:

da una parte, il rifiuto in blocco di qualsiasi rapporto sociale, la fuga dalla realtà e la creazione di un mondo irreale che impedisce di pensare ai problemi.

dall’altra, l’accettazione e l’omologazione al contesto che si vive, il rifiuto del duro lavoro e il mito del denaro come unico Dio di questa vita moderna e una tendenza all’illegalità come mezzo per ottenerla.

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Francesca Boratto “Si deve conoscere, si deve andare via”

La storia narrata è quella di Elena, una donna di 37 anni sposata e madre di due figli: Andrea di 17 anni e Ambra di 12. Purtroppo sia Elena che il marito, a causa di svariate motivazioni, non hanno potuto proseguire gli studi oltre le scuole medie, o elementari nel caso di Giuseppe (il marito). Ciò ha molto destabilizzato la donna che avrebbe voluto continuare a studiare e che soprattutto si trova in una situazione complessa: il marito non può più lavorare a causa di un incedente e lei si trova a dover provvedere da sola con il suo lavoro di donna di servizio alle necessità della famiglia.

Il suo principale obiettivo è quello di fornire ai suoi figli i mezzi migliori per poter affrontare il loro percorso scolastico, e la sua principale preoccupazione è che questi raggiungano i risultati più alti della classe.

Il figlio maggiore sembra accontentare la madre, nonostante qualche incongruenza con compagni e professori che lo hanno costretto a cambiare scuola più volte, continua a ottenere risultati molto incoraggianti. Anche Ambra è molto studiosa, ma, al contrario del fratello, non ha ancora i programmi chiari.

La madre, inoltre, è molto contenta del comportamento dei suoi figli che infatti sembra che si tengano lontano da cattive compagnie e da quelli che sono i rischi a cui sono esposti oggi gli adolescenti, grazie al fatto che frequentano scuole lontane dal quartiere in cui abitano e i gruppi dell’oratorio.

Riflessione personale. La situazione in cui versa questa famiglia è sicuramente complessa, Elena è costretta a caricarsi sulle spalle il mantenimento di un’intera famiglia, potendo contare solo in parte sull’aiuto economico offertole dai suoi genitori.

Questa è sicuramente una madre molto amorevole, è ben visibile che tenga al futuro dei suoi figli più di ogni altra cosa e che faccia tutto ciò che è nelle sue possibilità per aiutarli e permettere loro di vivere un’esistenza migliore della sua. Ma, a parer mio, è una donna troppo apprensiva e ritiene, forse erroneamente, che Andrea e Ambra siano superiori ai loro coetanei poiché, a quanto ne sa lei, i suoi figli si tengono lontani da compagnie poco raccomandabili. Ritengo che tale dichiarazione faccia in realtà trasparire il fatto che Elena sia ingenua perché non è raro che, soprattutto nell’età adolescenziale, i ragazzi tendano a nascondere ai genitori quanto fanno con gli amici. Conseguentemente anche i suoi figli, a sua insaputa, potrebbero fare ciò di cui lei accusa gli altri ragazzi, ovvero: di bere, di fumare, di fare uso di droghe e di avere atteggiamenti violenti nei confronti degli adulti.

Ritengo, inoltre, che non sia salutare per i due ragazzi vivere una vita basata solo sulla scuola e su obiettivi inerenti ad essa, poiché questi due giovani non hanno l’opportunità di godersi la spensieratezza e le ‘marachelle’ adolescenziali a causa di una madre forse troppo interessata al solo aspetto scolastico delle loro vite.

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Mi trovo d’accordo con quanto detto dalla donna per quanto riguarda quello che si potrebbe definire il “business della scuola”, infatti ogni anno i prezzi dei libri, del materiale, dei contributi scolastici aumenta e le famiglie si trovano a dover fare dei sacrifici per permettere quello che sarebbe un diritto fondamentale di ogni ragazzo, ovvero quello di andare a scuola.

Laura Carati Bullismo, fragilità, apparenza e autolesionismo

Nina è una ragazza del Meridione trasferitasi a Bologna, quand’era molto giovane, per lavorare subito dopo la maturità. Ha avuto una figlia, Giulia, da un uomo che è stato arrestato subito dopo il loro incontro e negli anni seguenti ha continuato ad entrare e uscire dal carcere.

Questo ha portato Nina ad indebitarsi fino al collo e la piccola Giulia a sviluppare una gran paura del padre: dai 12 anni ha cominciato a digiunare fino a sviluppare una grave forma di anoressia, associata ad eventi ripetuti di autolesionismo. Si sono poi aggiunti episodi di bullismo da parte dei suoi compagni di classe che la incitavano a togliersi la vita e che l’hanno poi portata a non frequentare più la scuola.

Lei però si faceva vedere sempre truccata, ben vestita, come se il “disastro” che aveva dentro non esistesse. La madre la definisce una “combattente”. Nina ha fatto di tutto per risollevare la figlia: ha chiesto aiuto alla scuola con programmi e orari alternativi e persino al Tribunale per i Minorenni per la mancata frequenza scolastica. Giulia ha iniziato le superiori con entusiasmo, ma dopo poco sono ricominciate le crisi, le assenze, e nessun aiuto è servito a molto, ha continuato ad alternare momenti di crisi ad uscite con i ragazzi del quartiere, che la madre vorrebbe non frequentasse, e incontri in cui appare bella e sicura di sé.

I rapporti tra madre e figlia sono davvero tesi e Nina ora è una donna sola, senza una vita sociale, disposta a tutto pur di vedere la figlia riprendere in mano la sua vita.

Io non sono mai riuscita a comprendere come possa insorgere l’idea che procurarsi del dolore fisico faccia sentire meno un dolore più profondo e intimo. Magari, per quei primi 5/10 minuti, sei concentrata sul male che ti provoca quel taglio sul polso, ma il vero dolore è comunque sempre lì ad aspettarti, non se ne va. Sono anche dell’idea che non si potrà mai comprendere bene e realmente ciò che passa per la testa di una persona, perché magari qualcosa che, per lei è il colpo di grazia, non ti scalfisce nemmeno. Ognuno ha un livello di sopportazione diverso e potrebbe bastare una semplice parola per ‘mandare in pezzi’ una persona che è già in bilico. Non so se nella condizione di Giulia mi sarei comportata così, se mi sarei lasciata andare in quel modo, apparendo per ciò che non ero realmente e rischiando più volte la mia vita. Scrivo questo poiché penso che nella vita, anche se in quel momento sembra andare tutto a rotoli, c’è sempre qualcosa per cui vale la pena di lottare. Anche lei a suo modo lotta, facendosi vedere sempre solare, curata e sicura di sé, ma considero questo più come un modo per rimandare quel dolore, per non affrontarlo, che come un modo di risolverlo. Lei non chiede mai aiuto a nessuno e non lo accetta da coloro che glielo offrono e questo è sbagliato. Buttare tutto fuori con qualcuno serve, appoggiarsi a qualcuno per superare un momento duro non è sintomo di debolezza, bensì di forza in quanto che vuol dire che comprendi la tua situazione e che sei consapevole del fatto che da sola non ce la puoi fare.

Infine, voglio sottolineare che il comportamento dei suoi compagni non l’ha aiutata, ma anzi l’ha spinta a chiudersi ancora di più perché Giulia vedeva che gli altri non la capivano e a scuola quindi

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non ci poteva più stare. Quello era diventato un posto in cui non stava bene, e per come questa ragazza era fragile, ogni parola dei compagni, dettata da un senso di superbia e ignoranza che li portava a esprimere giudizi su qualcosa che non si erano neanche presi la briga di conoscere, era una pugnalata. E sono proprio queste ‘parole’ che spingono al suicidio molti ragazzi fragili a tal punto da cominciare a credere a quelle parole.

Per sua fortuna, Giulia ha affianco una madre forte, che se la è sempre cavata da sola, che ha superato ogni ostacolo che ha trovato sulla sua strada, e che, anche se la loro comunicazione non è delle migliori, è pronta a tutto per lei.

Simone Carcaterra Il quartiere Alessandrino di Roma

Il quartiere Alessandrino di Roma è situato all'esterno delle mura della città, lontano dal centro e isolato a causa della scarsa efficienza dei mezzi di trasporto. Qui, vivono molte famiglie che, per via della loro instabilità economica, sono costrette a vivere in periferia, in una mescolanza etnica assieme a immigrati dell'est Europa e dell'Africa. Il quartiere Alessandrino viene ogni giorno consumato dalla criminalità: i giovani infatti, privi di stimoli o aspirazioni di vita particolari, si ritrovano inghiottiti nel mondo della droga e, come se non bastasse, spesso si trovano costretti ad indebitarsi con le persone ‘sbagliate’ e, di conseguenza, vengono costretti a commettere qualsiasi sorta di crimine, dai borseggi alle rapine agli omicidi.

La Caritas, per far fronte a questa situazione degradata e disastrosa, ha promosso nel 2000 l' "Associazione di volontariato Don Pietro Bottazzoli", che svolge una funzione formativa, educativa e pedagogica nel territorio. Tra gli altri progetti, ideati per migliorare la vita in quartiere, è presente "FusoLab 2.0", progetto culturale e sociale che si muove su due assi principali: quello sportivo e quello formativo-educativo, destinato a giovani e adulti.

Samuele Cavarra Un furto tra voglia di riscatto e desiderio di ricchezza e realizzazione

Matteo e Giovanna sono due genitori romani che hanno avuto un’infanzia difficile. Matteo, orfano di madre, è cresciuto in un orfanotrofio e, a causa di un incidente sul posto di lavoro, non è più abile a lavorare. Giovanna ha invece dovuto abbandonare la scuola media per aiutare in casa e badare ai fratelli e ora mantiene la famiglia facendo le pulizie negli uffici della capitale in orari scomodi.

Tutte le loro aspettative e le loro speranze sono indirizzate verso i loro figli, che rappresentano un possibile riscatto sociale per i genitori. Sono Alessandro di 18 anni e Martina di 13. Entrambi stanno frequentando la scuola ed entrambi hanno incontrato delle difficoltà. Alessandro frequenta un istituto professionale meccanico dove gli strumenti necessari e la competenza dei professori lasciano a desiderare. Martina, invece, è stata vittima di alcuni episodi di bullismo che hanno condizionato negativamente il suo rendimento scolastico.

Entrambi però hanno chiare idee per il futuro: Martina vuole diventare carabiniere, invece Alessandro sembra orientato verso attività di public relation presso alcuni locali della zona.

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La condizione sociale e finanziaria di questa famiglia della periferia di Roma è sicuramente problematica e non sembra poter indirizzare i figli verso un avvenire diverso.

Ammiro molto Martina e Alessandro per la loro determinazione a intraprendere un lavoro onesto senza farsi attrarre da scorciatoie illegali o da cattive compagnie per ottenere un riscatto sociale ed economico su cui basare il proprio futuro.

Caterina Colombo “ la solitudine dei padri e i sogni spezzati dei figli.”

Il racconto che ho scelto di riassumere per questo tema così importante come la povertà, si intitola: “ la solitudine dei padri e i sogni spezzati dei figli.”

Nabil, trasferitosi dal Marocco in Italia 15 anni fa, dopo aver affrontato tutte le varie problematiche che si incontrano nel vivere in un paese straniero, ha raggiunto una stabilità economica tale da permettere ai suoi figli di raggiungerlo e condurre assieme a lui il resto della loro vita in Italia.

L’ Italia, paese che a suo tempo aveva suscitato in Nabil una cocente disillusione sul piano lavorativo, diventa per i suoi tre figli patria e luogo in cui essi sviluppano passioni ed ambizioni; il primogenito è molto dedito allo studio e sogna di diventare un grane calciatore.

Integrati perfettamente nell’ambiente sociale italiano, nonostante qualche difficoltà riscontrata per quanto riguarda la loro provenienza, i tre figli di Nabil crescono sereni, a differenza dell’anziano genitore che, oltre ai problemi economici portati dalla crisi, avverte la lontananza dal suo paese che gli suscita una profonda solitudine. Il sentimento di impotenza e di solitudine di Nabil però è incolmabile poiché vi si oppone l’impossibilità di sradicare ormai i figli dal suolo italiano.

La solitudine che egli prova nel suo animo cresce, aggravata dalla preoccupazione sul futuro dei figli e sulla crescita di questi ultimi in situazioni che Nabil non conosce in quanto straniero.

Leggendo le storie di Povertà che sono state raccolte nei centri d’ascolto della Caritas, sono rimasta molto colpita da questa, in particolare, poiché non riguarda solo un individuo bensì un’ intera famiglia.

La solitudine perenne di Nabil e le preoccupazioni che ha nei riguardi dei figli mi hanno fatto pensare ai miei genitori, che si trovano in una condizione sociale per certi versi totalmente opposta alla sua, ma per alcuni sentimenti molto vicina.

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Io credo che la preoccupazione per il futuro dei gigli sia un sentimento che tutti i genitori provano, alcuni di essi in modo costante altri forse la mascherano meglio, ma rimane sempre presente.

Un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi è la difficoltà nel vivere in un paese straniero, oltre a tutti i problemi economici, infatti, subentrano le difficoltà nei legami interpersonali che vengono ridotti notevolmente.

Il divario, in questo caso, viene avvertito anche tra genitori e figli, nati e cresciuti in contesti diversi: si esprimono con lingue diverse e molto spesso non riescono pienamente a comunicare; ciò influisce inevitabilmente sul nucleo familiare, portando all’ infelicità o alla non partecipazione del genitore alla vita di un figlio.

Maurizio Guerra Il futuro: delinquente o hikikomori?

In questo racconto di vita, viene riportato un esempio di povertà sociale ed educativa all'interno di un nucleo familiare; la famiglia rappresentata è composta da Rosa, Nicola e dai due figli adolescenti di 17 e 14 anni e da un bambino di 4 anni. Il padre Nicola è dovuto crescere in fretta perché costretto, già dalla tenera età di 11 anni, ad abbandonare la scuola per riuscire a mantenere tutta la sua famiglia. L'attività lavorativa ed economica della famiglia è piuttosto precaria e segnata da lavori saltuari e malpagati, da un futuro piuttosto incerto e instabile e da forme di sussistenza legate al totale affidamento alle varie strutture di assistenzialismo presenti nel territorio come le parrocchie; nel tempo libero, i genitori si occupano di attività poco proficue come seguire i reality show e navigare sui vari social network.

I due figli adolescenti incarnano due modelli del tutto opposti ed estremi di reazione nei confronti della vita: da un lato, abbiamo Francesco, un ragazzo dislessico, iperattivo e con gravi disturbi comportamentali; il suo percorso scolastico risulta essere piuttosto travagliato, data la sua propensione a frequentare ambienti poco sicuri e a compiere atti di piccola criminalità urbana;

d'altro canto, abbiamo Michele che, avendo sperimentato una difficoltà a relazionarsi con l'ambiente esterno, ha deciso di isolarsi totalmente, chiudendosi in camera sua e rifugiandosi in un mondo del tutto irreale e virtuale, privo di qualsiasi aspirazione verso il futuro.

In entrambe le vite dei ragazzi, si prospetta un futuro del tutto instabile, privi entrambi di ambizioni, progetti concreti e valori per costruire un futuro stabile. Entrambi gli adolescenti, riflettono, per certi versi, realtà comuni tra i giovani d'oggi che fanno sempre più fatica a rapportarsi con la società

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e a trovare un loro posto all'interno di essa data la crescente precarietà economica e a causa dell'assenza di ambizioni in quanto che essi pensano solamente a come occupare il tempo presente, senza pensare al proprio futuro.

Nicole Pascarella Il futuro: delinquente o hikikomori?

Il racconto di vita che ho scelto di approfondire parla di una famiglia composta da cinque persone: Rosa, Nicola e i loro 3 figli. Questa famiglia vive in modo semplice e dimesso, ma economicamente stentato; per questo motivo, essi cercano di sopravvivere attraverso forme di assistenzialismo. A questi problemi, si aggiungono poi i problemi psicologici dei figli. Da una parte, troviamo Francesco che è dislessico, iperattivo e con problemi comportamentali. Dall'altra, invece, c'è Michele che è asociale e irascibile; egli manifesta un tipico atteggiamento degli Hikikomori. Con questo termine giapponese, si identificano le persone che si isolano dalla vita reale e sociale, segregandosi in casa. Infine, c'è Giovanni con un ritardo cognitivo. I due figli maggiori hanno due modi di relazionarsi alla realtà e alle persone opposti: Francesco vuole i soldi, le macchine costose e il successo; Michele, invece, è isolato e si è creato un suo mondo che non è reale, ma virtuale. L'anno scorso mi è stato possibile approfondire la mia conoscenza di questo tema grazie al laboratorio di psicologia, nel quale la psicologa che lo teneva ci portava i suoi casi, quelli dei ragazzi che lei ha in cura e tra questi c'erano anche quelli degli Hikikomori. Questo problema, che caratterizza principalmente l’attitudine dei giovani, ma che coinvolge anche gli adulti, si è sviluppato in Giappone, ma ha incominciato a diffondersi anche in Occidente. Durante il laboratorio, ho sentito e visto video di giovani e anche di adulti che dicevano che il motivo per cui si rinchiudevano in casa era che a loro non piaceva il mondo che li circondava; altri dicevano che instauravano relazioni attraverso i computer; altri ancora che si erano rinchiusi nelle loro stanze e che avevano cancellato ogni tipo di relazione al di fuori delle quattro mura della loro camera, a tal punto, di uscirne solo quando i genitori dormivano… Tra le cause che sono all’origine di questo fenomeno c'è un’esperienza traumatica vissuta nell’ambito scolastico; la maggior parte di essi, infatti, ha subito atti di bullismo a scuola e quindi vive l'ambiente scolastico in modo ansioso e negativo. Queste esperienze negative li portano ad avere sfiducia nelle relazioni e quindi anche nel funzionamento della società fino ad un netto rifiuto della stessa, arrivando alla consapevolezza di volerne rimanere al margine. Da ciò si arriva a rinchiudersi nei social, unico mezzo di contatto con il mondo esterno. Importante è dire che l' Hikikomori non è una malattia, ma una sindrome sociale dettata da una concomitanza di fattori, una scelta di vita dettata dall'incapacità di vivere una vita nella società. Per questo è importante non prendere alla leggera questo diffondersi del fenomeno, ma estirparlo alla nascita. Nel corso delle lezioni la psicologa, la psicologa ci ha raccontato del processo lungo e faticoso che serve per aiutare i ragazzi e che ancor più faticoso quando questi ultimi non vogliono essere aiutati. Ci ha anche spiegato che poiché questo fenomeno è alquanto sconosciuto in Italia, i genitori non sanno a chi rivolgersi e molto spesso rimangono inerti di fronte al lento estraniamento dalla società dei figli, prendendo questo atteggiamento come un comportamento momentaneo. A causa anche di ciò, oggi in Italia si registrano dai 30 ai 50 mila casi di Hikikomori.

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Aurora Pessina “ Adultizzazione dei minori”

Elena e George sono due coniugi di origine rumena trasferitisi in Italia per lavoro. George perde l’impiego, in seguito ad un incidente sul lavoro, e si trovano quindi a dover vivere con i soldi passati loro dalla Caritas. A causa della mancanza di soldi, i due si trovano costretti a mandare la figlia maggiore, Iona, a studiare in Romania, per via dell’alto costo delle università italiane.

Maria, la seconda figlia, nonostante il fatto che abbia soli dodici anni, si trova spesso costretta a dover stare a casa da scuola per curare il fratellino di due anni.

Sempre a causa della precaria condizione economica, la famiglia vive in un quartiere povero e poco sicuro. Questo costringe Maria a non avere la libertà e la piena autonomia di girare da sola con i suoi pochi amici. La ragazzina vive una condizione molto difficile, poiché, oltre a dover sopportare i problemi economici della famiglia e tutto ciò che ne consegue, è anche vittima di bullismo da parte dei compagni, a causa della sua altezza.

È molto triste dover pensare che, a causa dei problemi economici familiari, i figli siano costretti a crescere in fretta. È assurdo pensare che una ragazzina di 12 anni sia spesso costretta a stare a casa da scuola, quindi a trascurare la sua istruzione, per badare al fratellino. Purtroppo il problema della povertà in Italia è ancora molto diffuso, viene però spesso trascurato da chi, per sua fortuna, non ha mai avuto nulla a che farci. Questo perché, essendo l’Italia un paese sviluppato, si ha la concezione che questi problemi siano esterni al nostro paese, cosa che è assolutamente non vera.

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Non è poi così raro che i figli primogeniti si trovino a dover lasciare gli studi per lavorare e dare una mano a mantenere la famiglia; ci sono casi in cui addirittura, a causa dei problemi economici, i figli vengono tolti alla loro famiglia e dati in affidamento. Sarebbe quindi utile stabilire dei sistemi d’aiuto che possano salvaguardare queste famiglie.

Samuele Pinto “La rabbia, la malattia, la solitudine, il gruppo dei pari”

Patrizia ha due figli, uno adolescente e uno piccolo, ne aveva un altro che è morto per una grave malattia. Il padre li ha abbandonati e Patrizia ha dovuto far fronte a una situazione pesantissima da sola. Per seguire il figlio in ospedale per due anni, è stata costretta a trascurare gli altri due figli che non sapeva come gestire. I suoi genitori le davano una mano, ma poi è mancato anche il loro aiuto. In una situazione così dura, chi ha pagato di più è stato Leo, il figlio adolescente, che ha espresso in vari modi il suo disagio, ma nessuno è stato in grado di aiutarlo.

In questa situazione tragica, sembra impossibile che intorno a questa famiglia non si sia creata una rete di aiuti e di sostegno. Penso soprattutto agli amici, che avrebbero potuto aiutare Patrizia seguendo i figli a casa, visto che lei era costretta a stare accanto al figlio malato.

In una situazione simile, forse, si poteva pensare ad un affido temporaneo ad una famiglia affidataria che avrebbe dato più serenità a Patrizia ed un luogo dove essere accuditi ed ascoltati a Leo e al piccolo.

Venendo a mancare un sostegno, penso sia inevitabile che Leo porti dentro di sé una ferita che rimarrà per sempre, soprattutto a causa del periodo delicato, l’adolescenza, in cui ha vissuto questa disgrazia.

Vittoria Resega Bullismo e fragilità, violenza e autolesionismo

Conseguita la maturità, la giovanissima Nina si trasferisce dal Sud Italia a Bologna per cercare lavoro e subito dopo si innamora, si sposa e diventa mamma di Giulia. Ma ben presto il marito si rivela un ‘poco di buono’, entra ed esce dalle carceri, non è in grado di sostenere economicamente la famiglia e di rispondere adeguatamente alle proprie responsabilità genitoriali.

Spaventata dalle conseguenze che queste situazioni d’instabilità economica ed emotiva possano produrre sulla figlia, Mina si annienta, non ha più una sua vita personale, rapporti con le amiche, uscite, e tenta disperatamente di compensare tutte le carenze del marito e tenere unita la famiglia.

Indebitata fino al collo, Nina non demorde e continua a lottare per dare a Giulia un futuro migliore del suo. Ma la ragazza, vittima fin dalla tenera età dei continui abbandoni da parte del padre e sofferente per la vita di stenti ai quali la loro situazione economica li costringe, inizia a manifestare dei forti disturbi di personalità che culminano con l’anoressia e l’autolesionismo. Anche nel caso di

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Giulia, le motivazioni di questo comportamento deviato fanno capo alle forti instabilità familiari e a un ambiente famigliare demotivante.

Ormai Giulia non è più in grado di gestire le proprie emozioni e ricorre al cutting per trovare ‘sollievo’ e affrontare i numerosi episodi di bullismo vissuti a scuola.

Oltre al conforto della vicinanza amorevole di Nina, Giulia viene supportarla anche dal corpo docenti con un programma accademico personalizzato, ma i suoi disagi relazionali e le sue fragilità sono così gravi da indurla ad abbandonare definitivamente la scuola, gettando la mamma in uno sconforto infinito e in un senso di impotenza e delusione opprimente, in quando per Nina la scuola è il vero trampolino di lancio per una vita più serena ed agiata della sua, per diventare una donna felice, libera e autonoma.

La fragilità interiore di Giulia è in netta contrapposizione con la sua apparente perfezione estetica: ritenendosi un disastro “dentro” si cura meticolosamente “fuori”. Il suo sogno è quello di diventare psicologa, tuttavia il forte senso di inadeguatezza le impediscono di superare le sofferenze interiori dilanianti.

Fermamente convinta della necessità per sua figlia di ricevere un’ educazione superiore, Nina fa di tutto per mandare Giulia a scuola, cercando anche la collaborazione dei servizi sociali e della scuola stessa, al fine di tirar fuori la figlia dal buio in cui ogni tanto sprofonda, con i conseguenti ricoveri per l’aggravarsi dell’anoressia.

Dopo un breve recupero con l’inizio della scuola superiore, sono ricominciate le assenze e poi di nuovo l’abbandono della frequenza scolastica. A nulla sono valsi gli sforzi dei docenti, i colloqui con l’assistente sociale e la vicinanza di una amica di scuola.

Dato che gli amici del quartiere non sono sempre raccomandabili, Nina sprona la figlia a frequentare ambienti più sani e protetti, ma questi consigli rendono più acuto il rapporto già conflittuale esistente fra le due.

L’auspicio di Nina resta quello che Giulia possa riprendere lo studio e per questo è disposta a tutti i sacrifici possibili.

Ho scelto questa storia perché mi ha impressionato molto l’atteggiamento di Nina e la sua ferma convinzione della necessità per la figlia di ricevere una educazione scolastica alta come possibilità di riscatto da un vita precaria e dalla solitudine. Nina è disperata per il comportamento autolesionista della figlia, è schiacciata dal dolore di vederla spesso in crisi, ma continua a credere

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nella scuola e nella cultura. Diversamente da quanto pensano molti che credono che “con la cultura non si mangia”, questa donna è fermamente convinta -come lo sono io- che la conoscenza permette all’essere umano di realizzarsi in tutti i sensi, intellettualmente ed economicamente, perché non solo offre la possibilità di avere occupazioni meglio retribuite e più gratificanti, ma apporta anche benefici immateriali che hanno un’importanza determinante nella vita dell’uomo.

Bianca Ricciarelli “Si deve conoscere, si deve andare via”

Nella periferia di Bari, una famiglia umile è vittima del fenomeno di abbandono dell’istituzione scolastica. Elena, madre di due figli adolescenti Andrea e Ambra, ci racconta la storia di povertà del suo nucleo familiare. Sia lei che il marito Giovanni non hanno conseguito alcun diploma; Elena si è fermata al grado di istruzione della scuola media, mentre il marito alla scuola primaria. Questa loro ‘scelta’ è stata dettata dalla necessità di entrambe le famiglie di valersi del loro supporto economico. Purtroppo però, la loro famiglia è ancora povera: il marito non può lavorare per colpa di un infortunio e lei non guadagna abbastanza. Detto questo, i nonni la aiutano economicamente e a curare Andrea e Ambra. Elena è molto esigente e severa riguardo all’educazione dei propri figli poiché, per esperienza personale, è convinta che senza alcun titolo scolastico non si possa essere liberi di scegliere la propria vita. Andrea è uno studente serio, però viene spesso escluso dai suoi coetanei, appunto per questa scelta di vita che si ‘limita’ soltanto ai libri. La madre è molto fiera del figlio e giudica negativamente i ragazzi che bevono, fanno uso di droghe e vanno alle feste e i genitori che permettono ai propri figli di abbandonare gli studi. Inoltre, Elena critica l’istituzione scolastica in sé; secondo la sua opinione la scuola è ormai diventata un “business”. I materiali sono diventati più costosi e le gite scolastiche sono divenute più frequenti e dispendiose.

Personalmente, condivido la riflessione di Elena sull’importanza della scuola; tuttavia reputo che lei sia un po’ troppo esigente. La scuola è importante, ma anche sviluppare amicizie e vivere esperienze tipiche degli anni dell’adolescenza forma l’individuo e lo aiuta ad affrontare la propria vita futura. Concordo sul ruolo fondamentale dei genitori nel sostenere gli studi dei propri figli, i quali, purtroppo, sono spesso inclini a fare scelte sbagliate tra cui abbandonare la scuola e/o ‘dedicarsi’ all’alcool e alle droghe. Inoltre, credo che ormai la scuola sia un “business”, ma reputo che rispetto ad altri paesi il nostro sia considerabilmente meno caro per quanto riguarda l’istruzione.

Carola Sanguinazzi Di generazione in generazione

Anna è la prima di sei figli. È nata quando sua madre aveva sedici anni. È cresciuta in fretta. La mamma le ha fatto interrompere la scuola per farsi aiutare a casa. Anna aveva un sogno, quello di diventare maestra d’asilo, ma ha dovuto abbandonarlo per aiutare la famiglia. La mamma, mentre Anna si occupa della casa e dei fratelli da crescere, se ne va di casa per ‘vivere’ la sua giovinezza non vissuta. Anna cosi diventa la seconda madre per i suoi fratelli. È sola, confusa, e va avanti sacrificando i suoi anni migliori.

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Dopo qualche tempo, la madre ritorna a casa ma, avendo avuto rapporti con altri uomini, non sa di aver contratto l’aids che trasmette al marito muratore. Il marito non accetta la sua condizione di malato, non si cura neanche e dopo poco, muore. Lo segue a breve distanza anche la moglie.

Anna, quindi, in breve tempo piomba nuovamente nella solitudine. Non ha più madre né padre e ha sempre i fratelli di cui occuparsi. Vive una vita di dolore, di abbandono e di rinuncia. Nel frattempo, ha una relazione con un tossicodipendente dal quale Anna ha un figlio, Nicolas che ha adesso 18 anni. La vita con questa persona dura poco e Anna si trasferisce con il figlio in una casa famiglia. In questo contesto di grande solitudine, sono presenti i nonni paterni che si occupano seriamente del nipote e talvolta anche di Anna. Anna lavora, ma fa fatica ad arrivare a fine mese. I soldi sono pochi. Dopo alcuni anni, Anna comincia una nuova relazione con un amico che conosce da tempo. Nasce Luca che ora ha 12 anni, ma il nuovo compagno è violento e Anna ha paura.

Scappa da lui e trova il coraggio di denunciarlo. Anna si vergogna quando apre il frigo e non ha nulla con cui sfamare i suoi figli. I due ragazzi sono molto diversi fra loro e lei tenta di stabilire un buon rapporto con loro. Nicolas, a scuola, non ha mai avuto grossi problemi. Luca è diverso, fa fatica a seguire le lezioni ed è vittima di bullismo. Anna sa di amare i suoi figli, ma non ha riferimenti ai quali rivolgersi per un sostegno, è sola. Finché erano piccoli, ha giocato con loro e sono stati bene insieme; ora che loro sono cresciuti, lei fa fatica a seguire la loro crescita e non sa come comportarsi. Improvvisamente, scopre di avere un tumore, è malata ed è sempre sola. La nonna di Nicolas è la sola persona che la aiuta. Anna non ha amici e parenti suoi quali poter fare affidamento. C’è stato un solo momento in cui Anna è felice, con i suoi figli, ed è stato quando la nonna di Nicolas ha regalato loro una vacanza a Palermo.

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Marta Sasso Il futuro: un delinquente e un hikikomori

Questo racconto di vita riguarda la storia di Rosa, Nicola e dei loro tre figli.

La loro è una famiglia, composta da persone semplici, nella quale i genitori hanno dovuto iniziare molto presto a lavorare per poter contribuire alle spese familiari. Questo li ha costretti ad abbandonare gli studi fin da piccoli e a diventare adulti prima del tempo.

La loro vita stentata, costituta da lavori santuari e dal poter beneficiare di forme di assistenzialismo offerte sul territorio, è alleviata solo durante la sera, quando la famiglia si riunisce di fronte alla televisione.

La coppia è comunque molto attenta ai tre figli, Francesco, iperattivo e con problemi comportamentali, Michele, irascibile e asociale e Giovanni, con un grave ritardo cognitivo.

I figli maggiori incarnano due opposte modalità di reazione alla vita sociale: il primo aspira al successo e frequenta ambienti ambigui, il secondo si nasconde e si sottrae alla realtà che lo circonda e si isola dal resto del mondo.

Francesco ha sempre avuto un rapporto difficile con la scuola; adesso frequenta una scuola per diventare barista, ma non sembra intenzionato a continuare per questa strada. Questa scelta suscita amarezza nei genitori del ragazzo, e anche molta preoccupazione riguardo alle sue frequentazioni di soggetti poco affidabili e agli episodi di violenza urbana in cui è stato coinvolto.

Michele invece vive recluso in casa in un mondo irreale costituito da computer e serie tv.

Io ritengo che la storia di questa famiglia presenti delle incoerenze interne poiché, una condizione di disagio economico, che porta a chiedere assistenza per ottenere i beni di prima necessità, entra in conflitto con un contesto familiare che utilizza nel quotidiano giochi digitali o social. Poter disporre di apparecchiature digitali, ovvero poter utilizzare i social comporta dei costi che persone poco abbienti non potrebbero permettersi. Sembra, quindi, che la richiesta di assistenza sociale costituisca una ‘farsa’.

Chiara Zanotti “ Adultizzazione dei minori”

La famiglia di cui si parla in questo racconto è di origine rumena. I due genitori sono venuti in Italia con già il contratto di lavoro in mano. Il padre, poco dopo, restò vittima di un incidente e non poté più lavorare. La madre da sola si trovò costretta a pensare al sostentamento della famiglia, e riuscì a far studiare le due figlie e mantenere anche il bimbo più piccolo. La figlia maggiore, terminato il Liceo in Italia, è stata costretta a tornare in Romania per frequentare l’Università. La seconda figlia, Maria, invece, non frequenta spesso la scuola perché deve badare al fratello minore di soli due anni, questo ha fatto sì che le mancassero delle competenze in alcune materie e le ha reso più difficile il percorso scolastico. Gli amici di Maria sono principalmente stranieri, la ragazza non si è integrata e

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fin dalle elementari è stata vittima di bullismo, problema che, come ammette anche la madre di Maria, riguarda anche ragazze e ragazzi italiani. La madre, inoltre, non si fida a lasciarla andare a giocare al parco con i suoi amici, senza la supervisione di un adulto, perché è convinta che l’Italia non sia un paese sicuro come la sua terra di origine, la Romania. Non mi trovo particolarmente d’accordo con alcune delle cose sostenute dalla donna protagonista di questo racconto. Questa donna lamenta il fatto di aver dovuto rimandare la figlia in Romania per far sì che potesse frequentare l’Università, perché in Italia una borsa di studio viene data solo a coloro i quali hanno una media del 10 e lode. Non sono d’accordo, poiché so per certo che non stanno così le cose. Esistono borse di studio assegnate per merito, ossia per la media alta, e borse di studio assegnate agli studenti appartenenti a famiglie che si trovano in difficili condizioni economiche e che, se vengono presentati in tempo i giusti documenti, ti permettono di frequentare l’università senza dover pagare un centesimo. Il secondo punto su cui non mi trovo molto d’accordo con questa signora rumena riguarda la faccenda della criminalità e della pericolosità del paese. È vero che alcune zone di alcune città italiane non sono il centro della tranquillità, ma anche vero che tali zone esistono anche nelle città in Romania. Non mi trovo d’accordo, più che altro, sulla sua tendenza a presentare l’Italia come un paese degradato, ma non perché io non voglia vedere determinate situazioni che effettivamente esistono, ma perché non accetto una critica mossa da chi ha scelto di venire in Italia perché nel suo paese di origine non stava bene. Non mi piace che le stesse persone che scappano dal proprio paese, anche solo per cercare lavoro, non per forza per una guerra, per venire in Italia, finiscano per denigrare l’Italia in quanto tale. In ogni caso, concordo con lei nel dire che esistono situazioni degradanti e zone degradate nelle quali i ragazzi e le ragazze rischiano di crescere con forti disagi e problemi, ci vorrebbe più sostegno per tutte le persone che si trovano in difficoltà. A partire dalla scuola, istituzione fondamentale, arrivando ai servizi sociali. Perché esistono famiglie che vivono in condizioni peggiori di quelle presentate in questo racconto e non si tratta delle sole famiglie straniere.

Livio Zavattaro “Adultizzazione dei minori”

Questa triste, ma purtroppo molto comune, storia, parla di una famiglia rumena che si era trasferita in Italia per cercare di sfruttare al meglio le competenze acquisite dai due coniugi nel proprio paese di origine. Un infortunio sul lavoro capitato al padre di famiglia, George, ha scombussolato tutto l’ordine familiare, costringendo la figlia grande, Iona, a tornare in Romania per frequentare l’Università. Il tema su cui però si sviluppa tutta la storia riguarda la figlia più piccola, la dodicenne Maria. In queste righe, vediamo la sua difficile vita che, a causa dei problemi economici familiari e

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per l’assenza della madre, fuori casa tutto il giorno per lavoro, si trova nell’impossibilità di fare ciò che per una bambina della sua età sarebbe normale, come andare a giocare in un parco.

Il fatto principale sul quale possiamo ragionare, leggendo questo brano, è senza alcun dubbio quello della crescita prematura dei ragazzi. Sono tantissime infatti le situazioni in cui per diversi motivi (come povertà, malattia e guerra) centinaia di migliaia di bambini e bambine sono costretti a crescere troppo velocemente rispetto alla loro età. A mio parere, queste situazioni non dovrebbero mai accadere perché l’infanzia è il momento più sottovalutato ma anche più importante per l’uomo perché è proprio in questo periodo che, attraverso l’educazione, si può riuscire a formare persone migliori con grandi ideali.

Cosa possiamo fare noi allora di concreto?

Innanzitutto, possiamo mettere la scuola al centro di tutto (scuola intesa come un edificio in cui si imparano sì delle materie, ma soprattutto in cui si matura e si diventa uomini veri).

In secondo luogo, possiamo aiutare economicamente le famiglie in difficoltà, in particolare quelle che comprendono anche bambini.

Infine, vorrei concludere con un’ultima considerazione personale che riguarda la società contemporanea: questa globalizzazione sempre più intensificata, oltre agli effetti positivi che ha portato, ha anche però distrutto quelle relazioni fra cittadini di un tempo con le quali ci si aiutava l’un l’altro nei momenti di difficoltà. Ecco, stiamo perdendo questo spirito solidale e, se non invertiamo la rotta, queste disgrazie continueranno non solo ad esistere, ma ad aumentare sempre di più.