tecniche di video-intervista · cietà del conflitto di interesse, dove rischia di vincere non chi...

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Gabriele Coassin TECNICHE DI VIDEO-INTERVISTA gestione, ripresa, montaggio e presentazione dell'intervista e dell'inchiesta per apprendisti video-giornalisti, operatori sanitari e animatori di gruppi socio-culturali con testimonianze di giornalisti, registi e operatori della comunicazione CULTURA DELLA COMUNICAZIONE

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Gabriele Coassin

TECNICHE DI VIDEO-INTERVISTA

gestione, ripresa, montaggio e presentazione dell'intervista e dell'inchiesta

per apprendisti video-giornalisti, operatori sanitari e animatori di gruppi socio-culturali

con testimonianze di giornalisti, registi e operatori della comunicazione

CULTURA DELLA COMUNICAZIONE

Gabriele Coassin – Tecniche di video-intervista - 2

Presentazione Non amo scrivere le prefazioni ai libri degli amici, e Gabriele Coassin lo è, perché quasi sempre si è costretti a dire qualche bugia o a rifugiarsi nella omissione per non guastare gli affetti o per non rovinarsi le future serate in compagnia. In questo caso, invece, non corro alcun rischio, perché questo è davvero un libro “utile”, da leggere e da consigliarne la lettu-ra ad altri. Non ho usato a caso la categoria della utilità, perché le nostre librerie sono costrette sempre più spesso a esporre libri non solo brutti, perché scritti male e con sciatteria, ma soprattutto inutili perché non hanno nulla da comunicare. Tra questi non pochi sono i libri di giornalisti che si celebrano e che ci regalano con rara impudenza i loro orrori grammaticali e profes-sionali Libri inutili perché alle spalle non c’è storia, non c’è passione, soprattutto non c’è amore per i soggetti e per gli oggetti da raccontare, ma solo e soltanto per se stessi, per la propria illuminazione, una vera e propria fiera delle vanità, che spesso si collega a carriere frutto delle genuflessioni, delle riverenze al potente di turno, della cancellazione dei fatti perché i fatti sono scomodi e narrarli può procurare fastidi di ogni tipo come ci avrebbero potuto raccontare, se fossero ancora in vita, per citarne solo alcuni, Ilaria Alpi e Milos Hrovatin, Pippo Fava e Peppino Impastato, il fotografo Enzo Ciriello o Enzo Baldoni, il mediattivista ammazzato mentre cercava di illuminare le tante bugie di una sporca guerra. Questi nomi e tanti altri che non abbiamo riportato, erano invece uniti da un grande amore per le inchieste, intese come una delle forme più alte del giornalismo, uno dei modi per di-ventare occhi, orecchie e bocche di una pubblica opinione sempre più “bombardata” dalle notizie, ma sempre meno informata sui meccanismi profondi che dominano la politica, l’economia, i media stessi che di questa trasformazione, non sempre positiva, sono insieme causa e vittima. Il libro di Gabriele, con grande modestia e con una acuta capacità di analisi e di documen-tazione, tenta invece di condurci nella materialità della inchiesta, della video intervista, del-la produzione per l’audiovisivo, riportando al centro della nostra attenzione non solo l’ideologia, ma anche le tecniche di produzione, la capacità di saper scegliere tra materiali diversi. Per questo l’ho definito un libro utile, perché potrà essere letto con utilità, nel senso lettera-le di questa parola, sia da chi vuole disporre di un manuale di orientamento che lo conduca alla scoperta delle tecniche della ripresa, della migliore disposizione delle luci, della im-portanza dei suoni e dei rumori, della possibilità stessa di orientarsi tra innovazioni che, talvolta, durano lo spazio di una stagione, sia da chi invece è interessato a mettersi in pro-prio, a tentare la strada della produzione autonoma e indipendente, a sperimentare la propria capacità di narrare e di descrivere. Consiglio di leggere sia la parte “tecnica”, sia quella più politica dove l’autore, grazie anche alle testimonianze davvero originali di chi già ci ha regalato momenti emozionanti di cine-ma e di giornalismo, confessa la sua scelta di campo a favore di una comunicazione che tenti, nei limiti dell’umanamente possibile, di essere libera, di stare dalla parte di chi dovrà guardare e non da quella di chi potrebbe ricompensare i nostri silenzi o la nostra piaggeria, e qui mi sono limitato a parafrasare un concetto che ritorna più volte nelle considerazioni di Coassin. Siamo distanti anni luce dal giornalista debole con i forti e forte con i deboli che abbiamo descritto in precedenza, quello che ti guarda sorridente e mellifluo dalla copertina

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dell’ultimo libro dedicato al palazzo e ai palazzotti. Nelle pagine che leggerete troverete, invece, l’amore per il prodotto, inteso come il frutto di un lavoro comune che mette insieme una squadra composta da ideatori, da operatori, da scrittori, da montatori, da collaboratori di varia natura che proprio perché decidono di uscire dal loro particolare per mettersi a di-sposizione dei saperi degli altri, diventano una comunità dove ciascuno cerca di completar-si,di rubare qualcosa alle altre competenze. Nelle redazioni dove ancora si pratica la videoinchiesta, da Anno Zero a Presadiretta, da Report a Le Iene, per fare solo qualche esempio, il lavoro di preparazione è durissimo, tutte le fasi, dalla ideazione alla documentazione sino alla messa in onda, sono il frutto dei diver-si specialismi che si fondono in una causa comune, insomma una sorta di orchestra dove la grande professionalità del maestro e dei singoli professori concorrono a regalare al pubblico una esecuzione, che ovviamente il pubblico avrà il diritto di fischiare o di applaudire. Mi piacerebbe che le pagine di Coassin venissero lette e studiate soprattutto da quei giovani e giovanissimi, e ne incontro molti, che hanno voglia di raccontare la realtà, di illuminare i tanti angoli bui dei mondi che li circondano Queste pagine possono aiutarli a capire che possono decidere di uscire dal ruolo dello spet-tatore che tifa per questo o quel programma e diventare giocatori, impugnando il proprio strumento di lavoro e andando a caccia di immagini, di suoni, di rumori, ma anche di voci, di testimonianze, di mondi che ormai faticano ad essere raccontati dai media internazionali e nazionali, ma che possono trovare spazio nella rete, nei nuovi strumenti di comunicazio-ne, nelle web tv, nei siti, perché persino il più raffinato dei censori fa ormai fatica a mettere sotto controllo tutto e tutti. Spesso troppo spesso chi ha la fortuna, perché di questo si tratta, di essere già dentro il re-cinto della comunicazione tende, con infinito cinismo, a sconsigliare gli altri dal tentare di mettere piede in questo medesimo recinto. Invece bisogna tentare di rompere la recinzione, di abbattere gli steccati, di mettere a disposizione le proprie conoscenze e i propri strumenti a quanti hanno la voglia di provarci e non intendono limitarsi ad essere solo passivi spetta-tori delle produzioni altrui. Forse non diventeranno tutti comunicatori di professione, ma certamente diventeranno cit-tadine e cittadini più consapevoli, più avvertiti dei rischi che si possono correre in una so-cietà del conflitto di interesse, dove rischia di vincere non chi più sa, ma chi più ha e più mezzi di comunicazione possiede. Il libro di Gabriele Coassin è anche un ottimo vaccino contro una malattia assi diffusa nel nostro paese, e non mi pare poca cosa. Ps. Mi sono sbagliato questo libro non è utile, è utilissimo, complimenti a lui che lo ha scritto e al suo editore, Lupetti, che davvero ha sempre avuto un grande rispetto per un pubblico che ha sempre rispettato compiendo, negli anni, scelte mai banali e sempre inno-vative e coraggiose. Beppe Giulietti, portavoce Associazione Articolo 21

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Introduzione Questo lavoro si rivolge a chi vuole iniziare ad operare in modo consapevole e critico nel settore della video-intervista, sia essa destinata alla televisione, al web o alle attività di gruppo, per la didattica o per la sensibilizzazione sociale. Ma tiene conto anche delle esi-genze di chi desidera gestire al meglio l’intervista privata da rivedere nel tempo e studiare un caso degno di particolare attenzione. A questo proposito vengono in aiuto L’intervista con la telecamera, testo di riferimento dei colleghi Paolo Parmeggiani e Roberta Altin dell’Università di Udine e L’inchiesta filmata come strumento di comunicazione, dalla tesi di laurea di Giulia Rossi (relatore, Marco Ros-sitti). Verranno prese in considerazione sia le basi necessarie alla corretta configurazione e prepa-razione del rapporto intervistato-intervistatore, sia l’organizzazione tecnica degli strumenti e delle professionalità necessarie ad ottenere un lavoro qualitativamente corretto, anche nel caso di un approccio a budget contenuto o auto-gestito. Alcuni elementi di base della video-intervista, infatti, sono da considerarsi irrinunciabili e vanno assolutamente rispettati. Il potere comunicativo delle immagini, supportato dalla suggestione di una testimonianza importante, rischia di annullarsi, fino a infastidire lo spettatore, se vengono a mancare le basi più elementari di corretta gestione del processo filmico e in particolare della registra-zione del suono. Pertanto la prima parte è dedicata alle tecniche di ripresa e registrazione necessarie ad ottenere il meglio sul piano formale, con cenni al montaggio. La seconda parte approfondisce i temi della video-inchiesta, portando alcuni esempi eccel-lenti legati all’attualità televisiva in Italia. La terza parte è ricca di suggerimenti e testimonianze di professionisti, giovani e navigati. Alla fine vedremo anche come organizzare tecnicamente una corretta presentazione del proprio lavoro. Cominciare a fare aiuta a capire. In appendice, bibliografia scelta e un piccolo dizionario per aiutare i meno esperti a capire alcuni termini tecnici o gergali del testo e normalmente usati nel settore. Alcuni argomenti, suggerimenti, strategie, sono deliberatamente ripetuti, o richiamati in più punti del testo, anche come suggerimenti degli esperti. Sono le fasi più importanti e assolu-tamente da non dimenticare. Ammetto che, in tutto questo, entra in gioco una personale passione per il genere, soprattut-to riguardo l’etica giornalistica, spesso sottovalutata, ma anche per quanto riguarda le tecni-che, punto dolente su cui si infrangono i sogni, le motivazioni, le ardue fatiche di giovani aspiranti comunicatori sociali o animatori di gruppi d’opinione, che vedono spesso annulla-ta o assai ridotta l’efficacia delle proprie opere soprattutto a causa di inesperienza tecnica che richiede una rigorosa preparazione e una paziente sperimentazione preventiva.

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PARTE PRIMA

RISORSE E ORGANIZZAZIONE TECNICA

Premessa Questa prima parte è una raccolta di appunti di ordine pratico e riguarda prevalentemente le tecniche di ripresa della video-intervista e solo in parte le dinamiche di interazione tra in-tervistato e intervistatore. Per approfondimenti sulle tecniche di ripresa digitale è disponibile il mio VIDEO DIGITALE – LA RIPRESA Editore: Feltrinelli-Apogeo. Il testo viene riconosciuto per la sua completezza e leggibilità, anche a un pubblico poco esperto ma motivato. Recensione completa in appendice. Alte recensioni facilmente reperibili sul web. Brani significativi sono qui riportati con gli opportuni adattamenti. Le tecniche di montaggio, decisamente più complesse da descrivere in poche pagine, qui verranno accennate solo a grandi linee. Si può dire che per l’editing digitale di un’intervista standard a una singola persona, senza

Tipica troupe essenziale per intervista, composta da operatore di ripre-sa e giornalista.

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particolari effetti speciali, può andare bene qualsiasi software gratuito già installato su com-puter sia Windows, sia Apple-Mac. Ma per un’intervista a ping-pong tra due soggetti (anche solo intervistato-intervistatore) con una o due videocamere, diventa indispensabile acquistare almeno un software a basso costo come Adobe Premiere Elements (più comple-to) o Pinnacle Studio (più intuitivo per i principianti) che costano circa 100 euro ciascuno nella versione completa. Non c’è differenza di qualità fisica del risultato finale rispetto ai software gratuiti, ma diventa molto più agevole (soprattutto con Premiere) la gestione dei tagli multipli e la sincronizzazione tra riprese diverse. Argomento tutto da approfondire a parte sarebbe infine quello della gestione artistica delle eventuali colonne sonore inserite come sottofondo (decisamente sconsigliabile) oppure ne-gli intervalli tra brani significativi di intervista, quando si offre allo spettatore una pausa di riflessione con un po’ di musica e immagini senza commento riguardanti la vita o l’ambiente dell’intervistato. La S.I.A.E. Società Italiana Autori Editori è inflessibile: NON si possono usare brani tratti da discografia commerciale, nemmeno obsoleta o di pubblico dominio senza aver prima ottenuto e pagato i relativi diritti agli autori e/o alla casa disco-grafica. A cui segue – una volta ottenuto il nulla-osta all’uso – il versamento dell’ulteriore corrispettivo alla SIAE per le copie da stampare e pure per ogni proiezione pubblica che va dichiarata e pagata... Il sito www.jamendo.com offre un vasto repertorio di musiche gratuite e libere da diritti ci-tando la fonte (leggere attentamente le clausole di licenza d’uso, in quanto ogni brano è contrassegnato con diverse opzioni di impiego). Altra possibilità è quella di acquistare pac-chetti di musica royalty free, facendo attenzione ai limiti delle singole licenze. All'audio è dedicato un capitolo alla fine di questa prima parte.

Come girare una video-intervista Questo è un elenco di linee-guida per chi è già un po’esperto come giornalista, ma è la pri-ma volta che si cimenta nell'intervista con una videocamera. Qui non si fa riferimento allo stile di ripresa del giornalista per un servizio da telegiornale. In genere il reporter, o video-giornalista, non apparirà nella ripresa e la sua voce potrebbe essere esclusa in fase di mon-taggio, per lasciare l'intero portato informativo alla voce del soggetto intervistato. Quando i miei studenti fanno un'esercitazione di ripresa con intervista, chiedo di usare il cavalletto, escludere il dispositivo stabilizzatore della videocamera e usare la messa a fuoco manuale. Se si prevede che l'intervista sia lunga e sempre nello stesso posto, meglio non rischiare di lavorare a batteria, ma dotarsi di adeguate prolunghe elettriche e spine adattabili a varie prese di corrente. Non dimenticare di chiedere il permesso di usare la corrente - an-che per le luci - quando si è in casa o sul posto di lavoro altrui...

Decalogo dei punti fondamentali Ecco le principali regole, un piccolo decalogo, a cui seguiranno i necessari approfondimen-ti. 1 - Tanto per cominciare cerca di avere le idee chiare su cosa vuoi sapere dall'intervistato. Se vuoi perdere tempo cerca di scoprire tutto all'ultimo momento e accorgerti che quell'in-tervista non serve a nulla. Non è durante l'intervista che devi prendere confidenza con il tuo

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soggetto, ma prima, per arrivare con idee chiare e una griglia sintetica di domande giuste da fare. Se possibile, questa conoscenza preliminare va affidata a un collaboratore/rice, per e-vitare che l'intervistato ti dica durante la registrazione frasi del tipo "come le avevo spiegato ieri...". Il pubblico vuole sapere quello che c'è da dire oggi, non i sottintesi e le allusioni a qualcosa noto solo a intervistato e intervistatore. In ogni caso, del soggetto da riprendere, è necessario sapere il più possibile, già prima di incontrarlo con la camera accesa e il micro-fono in mano. 2 – Quando entri effettivamente in contatto con la persona che ti rilascia l’intervista, lascia da parte ogni fretta e tensione e cerca di creare un clima disteso. Stabilire un contatto uma-no con l’intervistato, mette le ali alla comunicazione inter-personale. Anche se il rapporto è di tipo professionale, cercare di creare un clima cordiale, non è “approfittare degli altri” ma lascia intendere all’intervistato la volontà di prendersi cura dei suoi problemi, esperienze, gioie e dolori. Solo così c’è qualche speranza di raccogliere emozioni e non solo informa-zioni. Se l’intervistato per te è prezioso, dimostraglielo. Sei un po’agitato? L’intervistato potrebbe esserlo ancora più di te! Se hai fretta perché subi-to dopo hai un’altra intervista e un appuntamento da rispettare, e tendi ad andare per le spicce, vuol dire non ti sei ben organizzato. In ogni caso l’intervistato deve essere avvisato del fatto che possono esserci dei tempi lunghi di preparazione e registrazione, che può ren-dersi necessaria qualche ripresa supplementare – per es. nel suo ambiente, o su oggetti, fo-tografie, o altri ricordi personali caratterizzanti. Se per qualsiasi motivo ci sono contrattem-pi, cerca di scusarti con garbo, spiegando le vere ragioni del disguido, senza tirare fuori scuse improbabili. Sempre per quanto riguarda gli intervistati degli appuntamenti seguenti, è meglio avvisarli per tempo della possibilità che l’inizio dell’intervista subisca un ritardo. In genere è opportuno prendere un buon margine di pausa tra un’intervista e la successiva, da usare come ammortizzatore nel caso in cui l’intervista precedente si prolunghi oltre i tempi previsti, oppure da usare per un attimo di relax, raccogliere le idee, rivedere le note per il prossimo appuntamento, mettere in ordine – quanto prima possibile – gli appunti dell’intervista appena conclusa, rivedere qualche brano di registrazione per essere certi dell’esito, contrassegnare accuratamente le videocassette o le schede di memoria, abbinarle subito con numeri, codici, date ecc. ai fogli di appunti, in modo da poterli ritrovare senza margini d’errore per sé o per eventuali collaboratori all’edizione finale. 3 – Un suggerimento dovuto all’esperienza: quando ti trovi in casa o nell’ufficio o nella location scelta e stai preparando l’attrezzatura, dopo aver ottenuto il consenso delle persone interessate, per l’installazione di luci e microfoni, non permettere all’intervistato di stare li a guardare, sia pur in piedi o seduto. Se il budget lo consente, meglio mandarlo da un’altra parte a fare il trucco o a prendere un caffè. Prenderà posto nel set scelto per l’intervista solo al momento degli ultimi ritocchi di illuminazione e per la prova-microfono. 4 – Una volta posizionato il soggetto nel posto previsto per la ripresa, non avere fretta di iniziare! Guarda attentamente nel mirino, ma possibilmente in un piccolo, affidabile moni-tor esterno, se tutto è a posto, se la luce non gli dà fastidio o se ci sono riflessi sugli occhia-li, se la voce risulta chiara in cuffia, se l’esposizione (i chiaroscuri della scena e del volto) è corretta. La persona intervistata vorrà rivolgere lo sguardo verso l’intervistatore, e questo è preferibile alla vecchia maniera che voleva sempre il soggetto guardare verso l’obiettivo: non è naturale e spesso potrebbe succedere che distolga lo sguardo, spiazzando lo spettato-re. Se vuoi che guardi comunque un po’ verso la videocamera, mettiti vicino all’asse di ri-

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presa dell’obiettivo. Se ti metti a sinistra della videocamera, l’intervistato dovrà essere po-sizionato leggermente sulla destra dell’inquadratura, con lo sguardo verso sinistra (ma non di profilo) e lascia abbastanza spazio davanti alla direzione dello sguardo, in modo tale da far capire che c’è qualcuno che lo ascolta davanti a lui. 5 – Dato che la camera è sul cavalletto, un po’ per nervosismo, un po’ per distrazione, po-trebbe venirti la tentazione di andare su e giù per la stanza, o anche solo di spostarti un po’ avanti indietro attorno la camera. La persona continuerà a spostare lo sguardo verso di te, con uno strano effetto per lo spettatore. Decidi dove stare e mantieni il contatto visivo con l’intervistato, possibilmente posizionandoti in piedi o seduto come lui, per avere il tuo sguardo all’altezza del suo. Distogli lo sguardo dall’intervistato solo per il tempo minimo indispensabile a dare una scorsa agli appunti, giusto per seguire il filo conduttore delle do-mande che avevi previsto di fare. 6 – L’inquadratura grandangolare (zoom in posizione W = wide) è interessante per restitui-re l’ambiente circostante e caratterizzante dell’intervistato, ma in questo caso non dimenti-care di stare vicino a lui con la camera. Altrimenti il soggetto risulterà troppo piccolo nell’inquadratura. Il volto vicino, abbastanza grande nello schermo, fa sentire l’intervistato più vicino allo spettatore e funziona meglio in caso d’uso del video on-line, visualizzabile in internet, dove il riquadro riprodotto è generalmente piuttosto piccolo e la persona tende a scomparire, nel senso di essere poco presente in proporzione al resto della scena. 7 – A proposito dello sfondo, fai attenzione a possibili elementi di disturbo. Per esempio pali, alberi, rami o foglie di piante ornamentali, spigoli di colonne o pilastri, che spuntano dietro la testa: sono antiestetici e possono distrarre lo spettatore. Molti possono essere gli elementi di disturbo, primo di tutti un eccesso di luce che entra da una finestra inclusa nell’inquadratura, da una porta aperta sullo sfondo, dallo schermo TV o monitor di compu-ter ecc. 8 – Particolare cura va posta nell’illuminazione. Se la ripresa avviene in pieno sole (possi-bilmente da evitare) fai attenzione se le presone riprese strizzano gli occhi e sembrano cine-si anche se non lo sono. Le troupe professionali – quando affrontano interviste all’esterno – usano grandi pannelli di garza per attenuare la luce sul soggetto, oppure pannelli riflettenti per schiarire le ombre e dare luce allo sguardo. Se per evitare il fastidio del sole l’intervistato è costretto a mettere occhiali da sole o un cappello che fa ombra sugli occhi, vuol dire che l’illuminazione è sbagliata. Se per metterlo a proprio agio ed avere una bella corona di luce sui capelli, decidi di riprenderlo con il sole alle spalle, diventa assolutamente necessario schiarire il volto con un pannello riflettente frontale (tra i più noti, i pieghevoli Lastolite): può andare bene anche un rotolo argentato per termosifoni o un parasole aluminizzato per parabrezza di automobile, sorretto con stabi-li mezzi di fortuna (piuttosto che da un assistente che difficilmente starà fermo immobile con una cosa del genere in mano). L’uso di illuminazione artificiale in esterni è caratteristico di produzioni piuttosto costose, ed esula da questa lista di consigli per video-intervistatori low-budget. Per ottenere una buona illuminazione in interni è necessario fare attenzione all’eventuale luce naturale che entra dalle finestre. Se l’intervista si prolunga molto, la luce esterna cambia. In fase di montaggio diventa assai difficile compensare queste differenze, soprattutto se per necessità di sintesi ed efficacia di

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comunicazione siamo costretti a cambiare l’ordine delle riprese, mostrando allo spettatore inquadrature ravvicinate con colore e luce troppo diversa tra una scena e l’altra. Quindi po-trebbe essere necessario escludere dalla ripresa interna l’influenza di una finestra, allonta-nandosi da essa e/o rafforzando quanto basta la luce interna, al punto da rendere ininfluente o non dominante quella esterna. Se l’intervista è concessa al volo, senza nemmeno il tempo di portare una paio di luci ade-guate, piuttosto che accettare di riprendere con una luce insufficiente, che penalizza il colo-re e la nitidezza dell’immagine, è meglio insistere per avere dall’intervistato un paio di lampade da tavolo con cui organizzare un’illuminazione di fortuna, ma almeno si evita di trasformare l’intervistato in un volto cadaverico assai penalizzante per lui e poco professio-nale per la troupe... Ovviamente l’uso della luce artificiale, soprattutto se mista a quella naturale, richiede una certa esperienza nella taratura del colore attraverso il dispositivo del bilanciamento manuale del bianco (white bilance): certamente non conviene affidarsi all’automatismo di base della videocamera. Per non avere un effetto da film giallo, è preferibile lavorare con luci un po’ vivaci ma non dirette brutalmente sul volto del soggetto. Meglio usarle riflesse da un gran-de foglio bianco, o coperte (a distanza adeguata) da comune carta-forno, più resistente alle bruciature rispetto alla carta da ingegneri. Si ottiene una luce più morbida e meno impietosa sulle rughe del nostro soggetto. Ve ne sarà grato. A questo proposito Lorenzo Pezzano dà alcuni preziosi consigli nella terza parte. Personalmente, tempo permettendo (senza il rigore inflessibile dei registi di DOGMA 95)1 cerco di rinforzare la luce dell’ambiente per migliorare la qualità tecnica delle riprese, ma nei limiti del possibile rispetto il taglio e la qualità della luce originaria, per non alterare la percezione del luogo che rappresenta l’intervistato, con tutto il suo portato caratterizzante. 9 – Il microfono interno della videocamera non va usato (ma se proprio è un’emergenza, va tenuto vicinissimo al soggetto) in quanto è di qualità limitata e capta i rumori dell’ambiente, della mano che armeggia sulla messa a fuoco e sullo zoom, del motore della camera ecc. Ormai anche alcune videocamere a partire da circa 500 euro sono dotate di presa per micro-fono e cuffia: basta essere un po’ pazienti per cercarle, in quanto spesso i punti vendita del-la grande distribuzione ignorano perfino l’esistenza di queste connessioni sulle videocame-re che hanno in catalogo. Un buon microfono esterno (mi raccomando! che sia compatibile con la presa e con l’”impedenza” della vostra camera) può costare 3/500 euro. Ma garanti-sco che userei un microfono esterno da karaoke che costa 50/100 euro piuttosto che usare quello interno della videocamera. Ovviamente sto parlando di attrezzatura amatoriale o se-mi-professionale. È chiaro che un microfono direzionale stereo (v. capitolo sull’audio) ven-duto con una camera di 3/4 mila euro potrebbe avere una buona qualità – ma sempre se usa-to a distanza ravvicinata. Meglio di tutto, dotarsi di un radio-microfono da cravatta (detto Lavalier). Se ne trovano di qualità discreta già a partire da 3/400 euro, da usare per l’intervistato, mentre per risparmiare si può usarne uno a filo per l’intervistatore 2.

1 Dogma 95 (Dogme 95) è il nome di un movimento cinematografico fondato su regole espresse in un manifesto pubblicato nel 1995 (da cui il nome) dai registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg, che prevede di evitare ogni artificio nel cinema e in particolare raccomanda l’uso della sola illumina-zione ambiente tal-quale per evitare di falsificare la realtà. 2 Si possono usare microfoni diversi solo se la voce dell’intervistatore verrà poi tagliata in montaggio, altrimenti è necessario che i due microfoni siano uguali.

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Come accennato sopra, indossa le cuffie! Quante volte è successo di portare a casa un’intervista con l’audio inutilizzabile! Anche se i VU-metrs si muovono (gli indicatori di livello del volume visibili nel mirino), non è detto che la qualità del suono sia ottimale. Gli imprevisti sono all'ordine del giorno. Sia per la presenza di un ronzio elettromagnetico, non udibile nell’ambiente di registrazione, sia per un errore di calibrazione dei livelli di impe-denza o di alimentazione, sia perché alcuni microfoni a batteria, prima di scaricarsi comple-tamente, erogano un segnale disturbato o con micro-interruzioni che rendono inutilizzabile la registrazione. Senza cuffie (non cuffiette da i-Pod) pur economiche, ma con padiglioni auricolari ben grandi e chiusi, non sarà possibile garantire la qualità del suono registrato. E se in un’intervista possiamo tollerare un’immagine non proprio perfetta, è davvero da con-siderarsi inutilizzabile se l’audio non è chiaro, pulito, pieno. 10 – Lasciando perdere per ora le dinamiche di costruzione del senso e le tecniche di mon-taggio, ancora poche osservazioni riguardo la preparazione delle riprese. Evidentemente il soggetto intervistato aggiungerà nuovi elementi a quelli che avevamo immaginato in fase preliminare. Ma è necessario che l’intervistatore parta con le idee molto chiare su quale taglio vuole dare all’intervista, quale tipo di esperienza vuole comunicare allo spettatore, pur nel massimo rispetto dell’intervistato 3. Solo in questo modo sarà possi-bile costruire una storia di qualità, degna di essere condivisa e diffusa a un pubblico attento e interessato.

3 Non vorrei dire un’ovvietà: massimo rispetto va riservato all’intervistato anche quando sospet-tiamo che sia il peggior farabutto del mondo...

I manuali americani sono molto chiari indicando come va messo l’intervistato all’interno dell’inquadratura classica. Lasciare ampio spazio davanti alla direzione dello sguardo. Nelle inquadrature sotto, avrei lasciato comunque visibili tutte due le spalle.

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INTERVISTA: COLLABORAZIONE TRA INTERVISTATORE E

TECNICO VIDEO Operatore di ripresa e intervistatore lavorano insieme, è quindi nell'interesse di entrambi seguire alcune semplici regole per rendere il lavoro più efficiente e meno pesante. Alla base di tutto ci dev'essere, oltre all'ovvia preparazione professionale di entrambi, il rispetto reci-proco. Il responsabile dei contenuti dell’intervista deve considerare il cameraman un suo pari e non un sottoposto a cui impartire ordini, come spesso si vede fare. Il diverso percorso pro-fessionale dovrà essere occasione di arricchimento per rinforzare la qualità e versatilità del lavoro e non occasione per continue discussioni o – peggio – per denigrare la professionali-tà altrui o i limiti dovuti a diverse attitudini culturali. L’operatore di ripresa non deve metter becco nel lavoro dell’autore dell’intervista, se non richiesto e questi non deve pontificare sulle particolari scelte tecniche o estetiche del came-raman, salvo quando siano necessarie indicazioni per realizzare un servizio con un taglio particolare, da discutere prima e non di fronte all’intervistato. Ordini e contrordini, ma so-prattutto battibecchi nel corso del servizio provocano tensione e caduta di credibilità. La conseguenza prima è quella di mettere in cattiva luce l’operazione o l’istituzione commit-tente e di compromettere il risultato, la sincerità e lo spirito collaborativo dell’intervistato. Ciò premesso, vediamo in sintesi le operazioni fondamentali per realizzare un'intervista au-dio-video, cercando – per quanto possibile – di evitare tutto il portato di invadenza che un intervistato può percepire davanti all’occhio indagatore della videocamera. Ecco i principali accorgimenti - da non dimenticare - per partire col piede giusto.

Vediamo qui due tipiche situazioni di intervista. A sinistra, con soggetti affiancati, da usare quando l’intervistatore deve essere ripreso. In genere si usa con giornalista o conduttore famoso o particolarmente petulante… per cui la sua presenza in immagine diventa determi-nante. A destra, situazione classica, in cui l’intervistatore può più facilmente essere escluso dall’inquadratura, operando con zoom e panoramica, per dare adeguata importanza all’intervistato. In ogni caso, fa un po’ “miseria” l’impiego del piccolo microfono a pulce (Lavalier) tenuto in mano. Ma si sa, nell’emergenza… Una nota tecnica. Nell’inquadratura a destra, il forte controluce del display, posto al centro

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dell'inquadratura e dietro le persone, ha ingannato l’esposimetro della videocamera, indu-cendolo a chiudere eccessivamente il diaframma, con la conseguenza di una resa troppo scura dei volti. In questi casi è indispensabile intervenire manualmente sull’esposizione, regolando a mano il diaframma (Iris) o aggiungendo un po’ di luce di schiarita. Dove fare l’intervista L’intervista può svolgersi in luogo neutro, per es. presso lo studio dell’intervistatore o dell’istituzione committente, con lo scopo di evitare distrazioni (telefonate, gente che entra ed esce) tipiche dell’intervista presso l’intervistato, soprattutto negli ambienti di lavoro. Per questo motivo, per evitare tempi e costi di una trasferta, per disporre di adeguata insonoriz-zazione e illuminazione, le emittenti preferiscono l’intervista nello studio televisivo. Ma l’intervista realizzata nell’ambiente abituale dell’intervistato, sia esso il luogo di lavoro o la sua abitazione, favorisce la raccolta di immagini significative che offrono una sintesi emotiva – e direi anche oggettiva - di ciò che l’intervistato non dice, ma lo rappresenta in modo inequivocabile. Questo aspetto è particolarmente importante nelle interviste destinate alla TV. In questo caso è quasi indispensabile pensare all’uso contemporaneo di due video-camere sincronizzate. Le relative tecniche d’uso non vengono qui trattate, in quanto tipica-mente professionali, ma qualsiasi troupe di professionisti sa esattamente come realizzarla. Un cenno alla tecnica di sincronizzazione tramite ciak, viene riportata alla fine del capitolo sulla registrazione audio. La scelta del punto in cui organizzare l’intervista (ma potrebbe essere addirittura in movi-mento, in giro per la casa, o in più punti del luogo di lavoro) deve essere condivisa da auto-re e operatore e dipende molto dalla sensibilità antropologica del tecnico, che dovrà avere buone doti registiche, senza invadere il campo di competenza dell’intervistatore. Spesso si pensa che la scelta del luogo sia casuale. In realtà una buona equipe riesce a ren-dere pregnante, significativa e concreta l’intervista sapendo condividere la scelta del luogo anche con l’intervistato. Non va sottovalutata infatti l’efficacia che scaturisce dalla condivi-sione di alcune scelte anche con l’intervistato, che si sentirà meno indagato e più complice nella buona riuscita del lavoro: anche quando l’intervista, per sua natura, dovesse essere di tipo indagatorio più che di tipo colloquiale. In ogni caso, per una buona resa fotografica del soggetto e del suo ambiente, l'ultima parola per la collocazione della camera e delle luci spetta al cameraman, che deve indicare chia-ramente il luogo o i luoghi più adatto/i per realizzare l'intervista. Se è possibile effettuare una fase di sopralluogo, il punto dovrà essere scelto in base alle effettive condizioni di luce e di eventuali disturbi sonori che possono verificarsi alla stessa ora e nello stesso luogo. Può succedere infatti che una postazione di ripresa sia ideale a una certa ora del pomeriggio per la luce perfetta che entra dalla finestra, ma in quella fascia oraria i rumori di traffico po-trebbero essere talmente invadenti da rendere tecnicamente improponibile la registrazione sonora. Se il sopralluogo viene fatto in orario diverso da quello effettivo dell'intervista è probabile che si troveranno luci e rumori completamente cambiati. Va sottolineato, da questo punto di vista, che l’orecchio umano filtra automaticamente i rumori molesti, mentre il cervello seleziona facilmente le frequenze sonore della voce e consente si sentire bene un dialogo in ambiente anche relativamente rumoroso. La registra-zione sonora, invece, è indifferenziata e l’ascolto di un’intervista disturbata da evidenti ru-mori di fondo diventa insopportabile. Per questo motivo spesso l’intervistatore privo di e-sperienza tecnica e tende a sottovalutare i rumori d’ambiente, effettuando interviste che poi si riveleranno acusticamente inutilizzabili. Un operatore di ripresa, anche se non è un fonico

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Tipica intervista con troupe... mono-uomo e una messa in scena frettolosa. Nonostante l’attrezzatura professionale, nessuna cura per le luci, uno sfondo disordinato o insignificante fanno pensare a una certa trascuratezza. Ma potrebbe essere una scelta deliberata, per restituire un’adeguata immagine del soggetto intervistato... da http://kaccny.org/yahoo_site_admin/assets/

professionista, dovrebbe riconoscere immediatamente le condizioni ideali anche per una buona ripresa sonora. A questo proposito va sottolineato il fatto che anche alcuni cameraman a volte commettono l’errore di variare la distanza di ripresa del microfono in vari momenti dell’intervista, cau-sando una fastidiosa variazione della percezione dell’ambiente sonoro, davvero difficile da correggere in fase di successiva elaborazione. La distanza microfono-intervistato dovrà es-sere scelta con cura e mantenuta costante nell’arco di tutta l’intervista. Può anche succedere che non sia possibile effettuare sopralluoghi e che l’operatore richieda un po’ di tempo - per organizzare al meglio tutti i parametri tecnici ed estetici necessari ad ottenere un buon risultato – dopo essere effettivamente arrivato sul luogo delle riprese. È evidente che questa fase richiede la collaborazione di tutti e diventerebbe solo contropro-ducente spazientirsi. Questo significa che ogni intervista deve avere tempi ragionevoli per essere realizzata al meglio. Lo stesso intervistato deve essere avvisato per tempo della ne-cessità di dedicare un tempo adeguato alla preparazione del set. Oltretutto, se si prendono diversi appuntamenti per interviste consecutive, è necessario lasciare ragionevoli margini di sicurezza tra una intervista e la successiva e preavvisare sempre gli intervistati che l’appuntamento potrebbe subire ritardi (avvisare se succede!!!) a causa della natura intrin-seca di questa attività, le cui tempistiche sono spesso assai variabili.

Cameraman: ruolo e compiti di un professionista Si descrive qui il ruolo di un cameraman come tecnico audio-video più che come regista o co-autore, anche se è evidente che di solito un buon operatore di ripresa deve avere qualche

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competenza di regia, almeno nelle situazioni in cui opera in autonomia. Per evitare malu-mori e fraintendimenti, dovuti a possibili sovrapposizioni di ruoli, è necessario stabilire in anticipo quale dovrà essere il margine di intervento dell’operatore nelle decisioni strategi-che per la buona riuscita dell’intervista. Un buon professionista saprà dichiarare in modo concreto e costruttivo le proprie compe-tenze e i propri limiti, sulla base dei quali l’intervistatore si orienterà riguardo ai margini - da concedere o negare – per la buona riuscita del lavoro. Molto probabilmente sarà da delegare al cameraman la scelta del punto o dei punti più adat-ti a fare la ripresa, per ottenere una resa estetica e illuminotecnica ottimale. A volte la scelta è vincolata dalla necessità di evitare situazioni di interferenza sonora, che può essere causa-ta da rumori ambientali, oppure da ambienti troppo grandi o spogli che rendono il suono eccessivamente carico di riverberi ed echi incontrollabili. Pertanto, l’operatore video – eventualmente accompagnato da un fonico, per le interviste più impegnative, o destinate a una distribuzione professionale - sceglie preferibilmente un posto un po' appartato, con uno sfondo possibilmente neutro, qualora sia necessario isolare l’intervistato dal contesto ambientale che lo ospita o lo caratterizza. Viceversa, quando l’ambiente è determinante per tracciare un ritratto significativo di quegli aspetti che l’intervistato potrebbe non dire, ma che gli danno spessore caratteriale o ambientale, è op-portuna una sistemazione strategica, capace di restituire il maggior numero possibile di e-lementi caratterizzanti. L’operatore controlla l'illuminazione e sa prevedere eventuali varia-zioni di luce nell’ambiente qualora l’intervista sia particolarmente lunga. Se la luce ambien-te è carente, l’operatore dispone i faretti in modo tale da non prevaricare o stravolgere l’illuminazione caratteristica del luogo, tenendo conto del corretto equilibrio cromatico tra luce artificiale e luce naturale, predisponendo un adeguato bilanciamento del bianco e gli eventuali filtri necessari. Chi fa le riprese sceglie la posizione dell’intervistatore e dell'intervistato: quest'ultimo deve sempre essere in favore di camera, a meno che non sia necessario o convenuto il rispetto dell’anonimato. Il faccione dell’intervistatore, se necessario, verrà ripreso il minimo indi-spensabile all’inizio, per palesare allo spettatore l’identità dell’autore o al massimo in occa-sione di domande particolarmente impegnative. I telespettatori o i destinatari dell’intervista sono più interessati al soggetto intervistato. Quest’ultimo, a meno che non sia un personag-gio abituato a comparire in TV e guardare in camera, tenderà a rivolgersi a chi lo sta inter-vistando, il ché è ovviamente più naturale. Sapendo ciò, il cameraman potrà piazzarsi nella posizione adatta per avere l'intervistato in posizione frontale o di tre quarti. È sicuramente controproducente indurre l’intervistato a guardare in camera. Nella maggior parte dei casi si ottiene l’effetto di uno sguardo a ping-pong che oscilla dall’obiettivo all’intervistatore, con un effetto innaturale che riduce la credibilità dell’intervista e distrae lo spettatore. Vediamo l’esempio, nel bene e nel male, dall’immagine seguente. Una videocamera amato-riale evoluta (1500/2500 euro) consente di ottenere risultati compatibili con una distribu-zione professionale, se si seguono accuratamente i TUTTI consigli degli esperti. Per esem-pio, controllare sempre la registrazione con buone cuffie chiuse, sopportandone il fastidio, la spettinatura e il caldo. Nell'immagine qui sopra l'operatore tiene la camera a mano, senza cavalletto (servirebbe almeno un monopiede o uno spallaccio (v. oltre). Ma assicura una discreta stabilità stando seduto e appoggiando saldamente i gomiti sul ventre. La luce di schiarita è costituita da un faretto posto sulla camera stessa, comodo per potersi spostare rapidamente, ma assai fasti-dioso e innaturale per l’intervistato. Evidente l’ombra sulla parete a sinistra, in perfetto stile da interrogatorio poliziesco.

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E per finire, la bella signora che tiene il microfono è in piedi e induce lo sguardo dell’intervistato a spostarsi di frequente, senza che lo spettatore possa poi rendersi conto del motivo per cui il soggetto rivolgerà spesso gli occhi al cielo... Riprendere l’intervistato di profilo? È una scelta fastidiosa per il telespettatore e va quindi evitata. La distanza ideale tra camera e soggetto è di circa un metro e mezzo se si lavora con la camera a spalla (da evitare), oppure 2-3 metri (o anche più) se si dispone di buon treppiede. Questo perché si deve prevedere una zoomata fino ad ottenere un buon primo piano "pulito" dell'intervistato, preferibilmente senza il naso del giornalista che entra ed e-sce dall'inquadratura. 4

Tornando alla distanza consigliata per la ripresa, nel primo caso si consiglia un metro e mezzo, per poter reggere "a mano" il primo piano usando con più facilità un medio teleo-biettivo, senza ballonzolamenti dell'inquadratura. Infatti, la ripresa ravvicinata costringe a lavorare con lo zoom in posizione grandangolare, che ottiene l’effetto di ridurre l’impressione di traballamento (inevitabile con l’uso della camera a spalla). Viceversa, la ripresa da distante con camera a spalla, induce l’uso dello zoom in posizione tele, che non solo ingrandisce il volto del soggetto nell’inquadratura, ma moltiplica anche

4 Per ottenere un effetto estetico particolarmente interessante e per rendere visivamente al meglio il contesto ambientale del soggetto, vale a dire tutto ciò che gli sta attorno, è necessario entrare appena un po’ nel dettaglio tecnico. Una posizione della videocamera abbastanza vicina al soggetto intervi-stato costringe l’operatore a lavorare in grandangolare, ovvero con lo zoom in posizione wide, otte-nendo di conseguenza un’ampia porzione di sfondo e una migliore rappresentazione del contesto di vita o di lavoro del soggetto. Addirittura i più accorti usano applicare allo zoom standard un aggiunti-vo ottico grandangolare (0,7 x non di più!) per aumentare la presenza dello sfondo. Tale aggiuntivo è molto efficace, anche se va rilevato (vedi consigli tecnici a parte) che induce una leggera distorsione a barilotto dell’immagine. Per evitare questo fenomeno (peraltro avvertito solo da una parte degli spet-tatori) è necessario passare ad una categoria superiore di videocamera, in grado di rimuovere l’obiettivo in dotazione (come una fotocamera reflex, per intenderci) e sostituirlo con uno zoom wide di qualità. Questa scelta produce un miglioramento complessivo di tutta l’immagine (e quindi non solo in grandangolo) trattandosi di videocamera di categoria superiore. Va da sé che – come minimo – raddoppia o triplica il costo di acquisto o di noleggio.

Quiz. Quali problemi possiamo notare in questa foto di scena? La risposta nel testo sotto. da: http://www.events.dhamma.org/en/2002/tour-re-port/images/May2_2002/Ca-ble%20TV%20Interview%20at%20SIB.JPG

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l’ingrandimento proporzionale delle oscillazioni, aumentando – fino al fastidio – l’impressione di instabilità.

5 Nel secondo caso, l'uso del treppiede garantisce riprese stabili anche a distanza maggiore e – a causa di una limitata profondità di campo 6 produce interessanti effetti di "sfuocato" da-vanti e dietro ai soggetti (magari per eliminare o attenuare uno sfondo non entusiasmante e in ogni caso per non distrarre lo spettatore con elementi di sfondo troppo interessanti). 7 Prima di procedere alle riprese, si deve fare una prova luci, con intervistatore e intervistato nella loro posizione definitiva. Si provano le inquadrature e si predispone la messa a fuoco. Che fastidio vedere una zoomata sul primo piano dell’intervistato che va fuori fuoco e solo dopo qualche istante l’operatore riporta a fuoco l’immagine. (Non parlo ovviamente di un’intervista ripresa da un vero artista dell’immagine che sa esattamente quando giocare sulla sfocatura per dare un interpretazione emotiva della situazione). A meno che non si scelga di fare l’intervista in movimento, per es. una passeggiata in giro per la casa o in un parco, nessuno dei due deve muoversi dalla posizione prefissata, né tantomeno impallare l'intervistato (coprirne la visuale). Per questo si terrà un distanza di oltre un metro tra inter-vistato e intervistatore. 8

Cosa fa l’operatore Presi i dovuti accordi con l’intervistatore sullo svolgimento delle riprese, nella maggior par-te dei casi cerca di variare le inquadrature con dolci zoomate. È determinante decidere in anticipo questo aspetto, soprattutto se il montaggio verrà realizzato da altri. Infatti l’uso del-lo zoom durante la registrazione della risposta può rendere difficile, se non impossibile, un corretto taglio di montaggio. Per cui potrebbe essere preferibile lasciare ben fissa l’inquadratura durante tutto il tempo della risposta e variare punto di vista o ampiezza dell’inquadratura solo nell’intervallo che precede la successiva domanda. Può capitare che sia necessaria solo la ripresa con la riposta dell'intervistato e in tal caso si partirà dal suo primo piano, avviando comunque la registrazione al momento della domanda, che resterà correttamente registrata sul volto in piano d’ascolto 9dell’intervistato. Talvolta l’intervistatore farà un'introduzione (in gergo cappello); si potrà quindi partire dal primo piano di questi per poi allargare l'inquadratura all'intervistato, e quindi zoomare len- 5 Come spiegato nel manuale VIDEO DIGITALE – LA RIPRESA le videocamere amatoriali e semi-professionali dispongono di uno stabilizzatore ottico (migliore dello stabilizzatore elettronico o digita-le) capace di ridurre sensibilmente le oscillazioni dell’immagine. 6 profondità di campo: zona della scena inquadrata che risulterà effettivamente nitida (a fuoco) nell’immagine riprodotta. 7 Lavorando con la camera a una distanza superiore ai 2 metri, si ottiene un miglioramento estetico dei tratti del volto del soggetto. Lo sanno bene gli operatori cinematografici che ritraggono il primo piano delle attrici a non meno di tre-quattro metri di distanza, impiegando un teleobiettivo o una lun-ga focale equivalente nello zoom di serie (posizione “T” = tele nello zoom di una comune videocame-ra) regolato circa a metà dell’escursione totale. Per approfondimenti vedere il capitolo “Come ottene-re una buona inquadratura”. 8 Spesso la fretta - dovuta a budget limitato, per cui in poche ore pagate viene chiesto di fare troppe cose - o l’imperizia del cameraman, portano a realizzare riprese in luce mista – artificiale e naturale – senza provvedere a un adeguato bilanciamento del bianco, la cui principale complicazione sta nella corretta scelta e posizionamento dei filtri. I giovani operatori spesso ne ignorano perfino l’esistenza. Il risultato è una luce eccessivamente fredda e blu dal lato della finestra e/o eccessivamente ambrata e calda dal lato interno illuminato con luce artificiale. Ne risulta un effetto spaziale del tutto innaturale. 9 inquadratura di un soggetto (attore, intervistato o intervistatore) mentre sta ascoltando il suo interlocutore.

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tamente in avanti. Ma, se possibile, è preferibile fare uno stacco netto. Queste situazioni, evidentemente, richiederebbero due videocamere sincronizzate, anche qualora una delle due dovesse restare fissa, cioè non presidiata da un operatore. A volte l’intervistatore richiede al cameraman di segnalargli il trascorrere dei minuti: basterà un cenno discreto con la mano, mentre parla l'intervistato, indicando con le dita "uno", "due" . Evitare di fare gesti troppo decisi che possano essere notati dall'intervistato, perché questi, specie quando non è abitua-to alle dinamiche della troupe, si distrae, si interrompe o distoglie lo sguardo, obbligando a rifare parte dell'intervista.

Cosa fa l’intervistatore Non prevarica in modo autoritario l’altrui professionalità e – si spera – si rende disponibile anche per un aiuto manuale nello spostamento delle attrezzature. Questo semplice gesto migliora il clima di lavoro, sia come vivibilità tra colleghi, sia come efficacia e credibilità nei confronti dell’intervistato. Ergo, deve partire con l'intervista non quando vuole lui ma quando il cameraman è pronto e gli dà il segnale. Il cameraman, dopo aver effettuato tutti i controlli di rito, preme il bottone dello start e aspetta qualche secondo affinché la velocità del nastro si stabilizzi. Diversamente, qualora le riprese avvengano ancora con la registra-zione su nastro, con una partenza troppo affrettata si rischia che i primi secondi dell'imma-gine non siano stabili (l'immagine balla) oppure la registrazione inizia in ritardo per con-

L’intervista realizzata ad uso interno, di pura documentazione, non destinata alla televisione, può essere fatta anche con una piccola foto-videocamera digitale, purché il microfonino interno sia almeno dignitoso e tenuto molto vicino al soggetto. Importante curare la stabilità, evitando le riprese a mano. In questo caso il cavalletto pesa almeno dieci volte la fotocamera, ma ne garan-tisce l’usabilità. Ciò che non va è ancora una volta la povertà di illuminazione e di ambientazio-ne e un tipico errore da dilettanti: la cornice bianca orizzontale dietro l’intervistata determina la divisione del fotogramma in due parti, in corrispondenza del collo, con un brutto effetto ghigliot-tina. da: http://williamwolff.org/wp-content/uploads/2009/03/interview-mom-closeup.jpg

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sentire ai meccanismi di trasporto del nastro di posizionarsi correttamente e stabilizzare la velocità di scorrimento. In ogni caso, per favorire il lavoro di montaggio, è del tutto inop-portuno partire con la ripresa al volo, con il rischio di perdere le prime sillabe della risposta. Durante l'intervista il giornalista eviterà di fare movimenti di scatto, di fare segni all’operatore o di spostarsi in posizione diversa da quella stabilita. Farà attenzione a non coprire chi sta intervistando e, se si rende conto che l'intervistato sta portandosi in sfavore di camera (succede abbastanza frequentemente che durante la conversazione le persone si spostino o si voltino senza rendersene conto), lo farà girare prendendogli leggermente il braccio, accompagnandolo nella giusta posizione.

Se nel corso dell'intervista l’autore decide di fare uno spostamento, lo annuncerà diretta-mente al cameraman, senza problemi e con qualche secondo di anticipo per dargli tempo di prepararsi. Per esempio: mentre il commendatore ci spiegherà com’è andata quella volta sul veliero, ci spostiamo vicino al modellino di nave che sta sul caminetto, ecc. ecc. Diver-

Tipica saletta per video-intervista non televisiva. Può essere gestita da uno psicologo, sia a scopo di documentazione terapeutica, sia per test attitudinali o di marketing. Non essendoci esigenze di audio di particolare qualità, ma solo di chiara comprensione del parlato, viene impiegato un micro-fono omnidirezionale appeso al soffitto. In genere viene impiegata una sola videocamera del tipo da sorveglianza con obiettivo grandangolare. Le salette meglio attrezzate dispongono di una se-conda camera remotata, con zoom, per cogliere le espressioni del volto in primo piano. In questo caso è necessaria la presenza di un operatore, che lavora protetto da un vetro/specchio, restando invisibile agli intervistati. da http://images.google.it/imgres?imgurl=http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6e/ICAC_Building_Video_Interview_Room.jpg&imgrefurl=http://commons.wikimedia.org/wiki/File:ICAC_Building_Vide-o_Interview_Room.jpg&usg=__AeBcp71qbK8NyxJfQ4Bg5A4JTs4=&h=1200&w=1600&sz=1216&hl=it&start=17&tbnid=8_uBG6-LuBxkdM:&tbnh=113&tbnw=150&prev=/images%3Fq%3DVIDEO%2BINTERVIEW%26imgsz%3Dl%26imgtbs%3Dz%26as_st%3Dy%26hl%3Dit%26sa%3DG

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samente, rischia che l’operatore perda l'inquadratura (che magari in quel momento è molto stretta o in primo piano) costringendo così a interrompere e a rifare parte dell'intervista. Spesso le interviste vengono comunque coperte con altre immagini: in questo caso gli sva-rioni durante la ripresa possono essere neutralizzati (nel senso di nascosti). I segnali dal cameraman (tempo “manca un minuto”, oppure "stringi i tempi") dovranno essere confer-mati dal giornalista con un discreto segno d'assenso del capo o degli occhi, per far capire di aver ricevuto il segnale. Diversamente il cameraman continuerà a fare segnali e finirà per innervosire tutti, specie l'intervistato che prima o poi noterà il fermento intorno a lui col ri-sultato di irrigidirsi e perdere spontaneità.

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LA RIPRESA DELL’INTERVISTA

Gli errori più comuni Ciò che rende evidente la differenza tra un professionista appena un po’ organizzato e un dilettante alle prime armi non si può riassumere in poche righe, ma è sufficiente dare un’occhiata alle opere di un cameraman improvvisato e il risultato penoso è già visibile dal-le prime scene del filmato: uso eccessivo dello zoom, inquadrature instabili, passaggi re-pentini da immagini statiche a movimenti troppo bruschi, soggetto in primo piano fuori fuoco, zone dell’immagine troppo chiare, o scure, colore irreale o discontinuo pur essendo nello stesso luogo, audio incomprensibile... Da dove cominciare per migliorare? Al di là di eventuali scelte di stile, le riprese devono essere anzitutto stabili, senza tenten-namenti e incertezze. Sono sicuramente brutte da vedere le riprese che partono subito con una zoomata malferma. Chi vuole fare videoclip artistici o sperimentali farebbe bene a pra-ticare prima un minimo di linguaggio filmico tradizionale. Un esempio? Prima di tutto evitare di usare lo zoom ogni volta che sia possibile. Meglio arrestare la ripresa, spostarsi, riprendere da un nuovo punto di vista, con un’inquadratura abbastanza diversa dalla prima, per angolo e dimensioni del soggetto. Se proprio una zoo-mata è inevitabile, iniziare la ripresa dedicando un tempo adeguato per un’inquadratura fis-sa all’inizio e un’inquadratura fissa in chiusura. Sarà utile per ambientare il soggetto all’inizio e identificarlo meglio alla fine della scena. Oltretutto la porzione di inquadratura fissa, se tenuta ferma per almeno tre secondi, potrà tornare utile qualora si voglia ottenere un montaggio più serrato, escludendo proprio le zoomate che rallentano il ritmo e ... fanno venire il mal di mare. Questo elementare stratagemma rende più pratico il complesso lavoro di montaggio, con-sentendo di creare agevolmente la giusta sequenza di immagini, che darà origine a un film dotato di adeguata cadenza narrativa. Altrettanto vale per la ripresa di una panoramica, orizzontale o verticale che sia. Tre secon-di fermo, partenza lenta e progressiva, rallentamento e tre secondi fermo alla fine. Tre se-condi, si intende, da quando effettivamente inizia la registrazione, non da quando si preme il pulsante start. Chi - saggiamente – registra ancora in videocassetta (ora vanno di moda le registrazioni su hard disk o su scheda di memoria) deve sapere che la meccanica dei registratori inseriti nel-le videocamere non offre una partenza istantanea, ma almeno un secondo o due vanno persi per consentire a tutti gli organi interni di mettersi in moto e raggiungere una velocità co-stante. Quindi, dopo aver premuto il pulsante di registrazione è necessario contare mental-mente un paio di secondi prima di comunicare al regista o all’intervistato il fatidico “vai!” o “partito”. L’uso del video digitale in formato DV o HDV, con il basso costo delle videocassette, ha introdotto la possibilità di girare e rigirare inquadrature senza l’ossessione di spesa della costosissima pellicola: ma ciò che è più importante, da quando è nata la registrazione elet-tronica, è la maggiore libertà espressiva del video rispetto alle rigide regole linguistiche del cinema. In ogni caso, per arrivare a produzioni presentabili, vanno inizialmente rispettate

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alcune formalità che potranno essere sovvertite in un secondo momento, quando verrà rag-giunta una buona confidenza con il mezzo.

Ecco qualche altro esempio di errori comuni. Sono insopportabili titoli, sottotitoli o testi grafici - scritti sullo schermo - di durata troppo breve per consentire una lettura agevole anche a persone anziane o a bambini. La composi-zione grafica del testo dovrà tenere conto del mezzo su cui verrà visto. Spesso l’uso di un generatore di caratteri o titolatrice non tiene conto dell’effetto quando il titolo verrà ripro-dotto su un televisore vecchiotto, con i margini più ristretti e arrotondati rispetto a un moni-tor professionale, un proiettore o un televisore dell’ultima generazione. Un titolo o un cartello grafico potrebbe risultare non interamente leggibile perché collocato fuori dal margine di sicurezza: non solo è antiestetico, ma è anche un errore di comunica-zione e una mancanza di rispetto nei confronti dello spettatore. Un filmato può essere interessante per il suo contenuto anche senza avere una qualità visiva professionale, purché la messa a fuoco sia sempre corretta. L’uso indiscriminato dell’autofocus nelle videocamere amatoriali o semi-professionali pro-duce spesso soggetti sfocati in primo piano, con uno sfondo inutilmente a fuoco. Questo fatto non dipende da un difetto di tecnologia, ma da un uso frettoloso e dalla scarsa propen-sione a leggere e sperimentare con pazienza quanto spiegato nei libretti d’istruzione. In ogni caso si tenga presente che cineprese e videocamere professionali di buon livello so-

Tipici errori nei titoli:

A - caratteri troppo piccoli, o con colori troppo simili allo sfondo per essere leggibili. Se proprio vogliamo un titolo tono su tono (prima riga) è necessario almeno mettere un bordino o un’ombra di stacco del tono opposto (seconda riga).

B - scritte troppo vicine ai bordi dell’inquadratura. Questi titoli, composti sullo schermo del com-puter, sembravano centrati e leggibili, mentre il diverso quadro delle vecchie TV (cornice bianca) e la minore nitidezza, li rendono incompleti o illeggibili. Per questo motivo in alcune videocamere e in tutti i sistemi di montaggio è possibile evidenziare i margini di sicurezza (safe margin) entro cui tenere le parti importanti dell’immagine e delle eventuali scritte.

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no generalmente sprovviste di autofocus, in quanto un professionista non ne fa uso. Spesso il dilettante non sa come escludere l'autofocus dalla propria videocamera solo per-ché non ha pazienza di leggere le istruzioni. Altro elemento fondamentale su cui concentrare l’attenzione per non sembrare un dilettan-te, è una particolare attenzione alla qualità del sonoro. Scusate se insisto… Un DVD, che sia visto da pochi amici sul televisore domestico, oppure proiettato su uno schermo a piccoli gruppi, può risultare accettabile anche con una modesta qualità dell’immagine, ma può diventare un tormento se le interviste, i commenti parlati o la reci-tazione sono disturbati da eccessivi rumori d’ambiente o con un fastidioso riverbero dovuto a registrazioni effettuate in grandi sale con microfoni troppo distanti o inadeguati. Un audio pulito e chiaro migliora di molto l’aspetto professionale di un filmato e quanto-meno mette il pubblico nelle condizioni di capire ciò di cui si parla.