teramani n. 96
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Teramani n. 96, febbraio 2014TRANSCRIPT
mensile di informazione in distribuzione gratuita
Febbraio 2014
APRITITERAMOpag. 10
INGROPPOPOLIA PIE’ DI LISTApag. 17
EDITH BRUCKA TERAMOpag. 22
n. 96
APRITITERAMO
64021 Giulianova (Te) c.so Garibaldi, 6564100 Teramo (Te) via Vincenzo Irelli, 31 - c/o Obiettivo CasaTel: 085 8001111 - 085 8007651 Fax: 085 [email protected] - www.juliaservizi.it
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SOMM
ARIO 3 Ercole Vincenzo Orsini
4 Teramo Culturale 6 Giorgio D’Ignazio 7 La Città senza immaginazione 8 Totò Mastro pasticcere 10 Apriti Teramo 10 L’Oggetto del desiderio 11 Bellezza e parcheggio: quello dell’Ospedale 12 I chiodi sono utensili sconosciuti 14 Il Libro del mese 15 Coldiretti informa 15 Trofeo Il Diamante 16 Il Calendario dell’alchimista 17 Ingroppopoli a piè di lista 17 Note linguistiche 18 Musica 19 Musica 20 La Scuola 22 Edith Bruck a Teramo 26 Cinema 28 Calcio 29 Dura Lex sed Lex 30 Pallamano
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Lea Contestabile, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Guendalina Di Sabatino, Maria Cristina Marroni, Fabrizio Medori, Silvio Paolini Merlo, Fausto Napolitani, Leonardo Persia, Sirio Maria Pomante, Alfio Scandurra, Yuri Tomassini, Paola Verticelli, Massimiliano Volpone.
Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.
Progetto grafico ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa Adriatico
Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738
Teramani è distribuito in proprio
www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web
n. 96
Friedrich Nietzsche, l’uomo che
sussurrava ai cavalli e che con bastone
e serpente ha viaggiato sulle strade
urticanti di una coscienza a sé. Una buona
memoria per mantenere le promesse, come
quelle della nostra cara Costituzione Italiana
che ha avuto coraggiosi e lungimiranti padri
fondatori, alla stessa stregua del partigiano
teramano Ercole Vincenzo Orsini, che hanno
sofferto e battagliato la dittatura per fornire
libertà e articoli a figli e ai figli dei figli. Solo
pochi giorni fa, il 13 Dicembre scorso, nel
70° anno del sacrificio la medaglia d’oro
alla resistenza Orsini è stato commemorato
dal comitato provinciale dell’Anpi che ha
apposto una corona d’alloro in Via Paladini,
lì dov’era la sua bottega di liutaio che
trasformò in un punto d’incontro e che
gli valse persecuzioni e arresti. Dopo l’8
settembre del 1943, prese parte alla guerra
di liberazione e fu tra gli animatori di quella
che è considerata la prima, più importante
azione partigiana in Abruzzo: la battaglia
di Bosco Martese. Morì sotto i colpi di una
raffica di mitra.
“Bisogna avere buona memoria per
mantenere le promesse” si diceva. E quel
che è capitato pochi giorni fa, dinanzi alla
sua bottega da liutaio, in Via Paladini, è da
stigmatizzare. Bidoni chiari di spazzatura,
buste nere, fogli di carta del Comune di
Teramo, hanno vilmente e colpevolmente
offuscato lo
spazio dei ricordi
ed un po’ di
libertà.
La terra dei
fuochi sul fuoco
della libertà.
Ad onor del vero
questo capita
abbastanza
sovente: difatti
non è la prima
volta che dei
rifiuti facciano il
paio alla corona, al tricolore e alla lapide di
chi si è immolato per noi perché avessimo
un futuro migliore. Non siamo al civico 114,
né alla piazzetta del sole, nemmeno alla
fiera del libro: questo è l’angolo in cui una
vita ha lottato e perso, non per assicurarsi
il suo futuro e agi ma coscientemente
per regalare agli altri, a tutti noi, qualcosa
che avesse a che fare con l’illuminata
responsabilità verso il prossimo. n
3L’Editoriale
Ercole Vincenzo Orsini
diMaurizio Di Biagio
64021 Giulianova (Te) c.so Garibaldi, 6564100 Teramo (Te) via Vincenzo Irelli, 31 - c/o Obiettivo CasaTel: 085 8001111 - 085 8007651 Fax: 085 [email protected] - www.juliaservizi.it
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accade a Teramo...
Teramo culturale4diSilvioPaolini Merlo [email protected]
n.96
Altri punti di vistaDa quale punto di vistaun punto di vista è “altro”?
La Teramo di questi ultimi giorni, come quella degli ultimi mesi
e forse degli ultimi decenni, è stata un profluvio di «visioni
alternative», in massima parte esercizi di automagnificazione
o di lagnanza indistinta, di dispregio del conforme a costo di
farne un’altra moda. Tutti San Giorgio contro il drago, quando già
tanto sarebbe limitarsi a fare bene il proprio lavoro. Per stare alla
cronaca dell’ultim’ora: l’occupazione dell’ex-Oviesse, già Standa,
già ingresso di uno dei più bei teatri all’italiana mai edificati in terra
d’Abruzzo. Dopo l’incuria, l’assenza di politiche culturali non dico
istituzionali ma quale che sia, dopo le ripetute pressioni popolari
dovute a opportunismi incrociati di varia specie, dopo l’abbattimento
dovuto in blocco a tutte (e sottolineo ancora una volta, a tutte) le
forze politiche dell’epoca gambacortiana, dopo il mercimonio della
definitiva conversione in anonimo cineteatro, dopo tutto questo l’al-
ternativa qual è? Il presidio animato da sedicenti paladini della vera
arte, di artisti autodefinentisi i massimi che le acque del Vomano e
del Tordino abbiano visto mai, per dire che da oggi in poi di quello
spazio, o meglio sotto-spazio di un’entità da sempre senza tratti
identitari, c’è da farne quello che non si sa bene chi deciderà. Quan-
do la vera occasione per un «Nuovo Teatro di Teramo» se n’è andata
in fumo, ancora una volta per un atto di sadica eutanasia collettiva,
e chissà quando mai si ripresenterà. E questo è un primo punto di
vista “altro”. Ma “altro” rispetto a che? Rispetto a chi? Quanti e quali
sono gli artisti, le personalità, i talenti che da Teramo sono partiti
per affermarsi altrove, che di azioni del genere non hanno mai avuto
bisogno? Gente che ha raggiunto risultati altissimi (a intenderci, non
meno alti dei presidianti), e che proprio per questo a Teramo non ha
avuto nessuna urgenza di tornare. Male per la città, forse. Di certo
molto meno male per loro. E tutti questi altri, da Di Venanzo a Grazia-
ni e via enumerando, a quale punto di vista appartengono? Forse a
quello degli imbelli, degli imboscati, dei conformisti?
Altro caso del genere, quello della controstagione di danza varata
quest’anno dall’associazione Electa. E qui giova un breve preambolo.
Circa sei anni or sono, quando veniva ufficialmente presentata la
prima stagione di danza teramana, la prima a Teramo e in Abruzzo, e
quando ancora il Liceo coreutico era di là da venire, Electa fu invitata
a sostenere il progetto assieme alle molte altre realtà similari sparse
sul territorio cittadino e provinciale con la nascita di una rete che
potesse favorire forme di collaborazione tra scuole e stagione. Electa
si distinse nel non aderire all’invito, salvo estenderne con gran sicu-
mera - giusto a distanza di poche settimane - uno del tutto identico
a nome proprio. Presto venuto meno anche quello. E ora la stagione
«Un altro punto di vista». Presente da qualche tempo ovunque si
volga lo sguardo, in agguato a ogni vicolo, pedinandoci dalle fiancate
d’autobus, con un proprio spazio settimanale su Teleponte e via
dicendo. Come fosse l’inizio non solo di qualcosa di mai visto prima,
ma l’inizio di tutto, di una nuova era dell’arte, teramana, abruzzese,
italiana, mondiale, non oltre per un soffio. Venendo alle questioni
di merito, una «stagione di danza» quale il sottoscritto - memore e
mentore della lezione materna - ha inteso proporre fin dal 2007, e,
dal 2008, d’intesa e grazie al decisivo appoggio della Società Ricci-
telli, è stata finora anzitutto una vasta vetrina di tutto quello che la
danza comprende. E la danza comprende le categorie del «balletto»,
classico e di carattere, delle danze libere e neocodificate avutesi
dell’inizio del XX secolo in poi, le danze popolari e folkloristiche,
le danze rinascimentali di corte e altro ancora. Mentre a definirla
in modo pertinente - anche se nessuno lo dice con chiarezza - la
controstagione Electa è una «rassegna di teatrodanza», un’entità di
livello subatomico rispetto all’oceano di realtà, di stili e di creazioni
che si sono visti nel corso del Novecento in giro per il mondo, e una
minimissima parte di ciò che la danza moderna e contemporanea è
stata ed è in Italia. Come del resto la manifestazione su «Le pioniere
della nuova danza italiana» del 2012, promossa dall’Aisacs in colla-
borazione con la Rai, il Dams di Torino e numerose altre università
italiane, ha iniziato a mostrare in modo organico. Ma, come una volta
Eleonora rispose a un mio «a ognuno il suo», «a ognuno il nostro».
Come a dire: importante è ciò che torna utile a noi, occupando tutto
l’occupabile, meno ciò che importa come tale. Una delle domande
che più di frequente mi vengono rivolte quando si parla della Cocca-
gna è «ma ha studiato con tua madre»? Come se averlo o non averlo
fatto costituisca di per sé un merito o un demerito. Non sempre gli
allievi hanno interesse a seguire l’esempio dei maestri, per validi
che questi possano essere. La risposta in ogni caso è: molto poco. E
non solo in termini temporali. Mia madre non si è mai rinchiusa nello
specialismo, non ha mai inteso la danza di derivazione accademica
come una corazza rigida con la quale abbattere tutto il resto, ma
anzi ha saputo farne una dimensione vastissima di pensieri e di
possibilità. Il suo teatrodanza, come quello delle sue colleghe italiane
attive dagli anni Cinquanta, non ha avuto nulla a che vedere con la
moda anarchica scaturita per lo più dal teatrodanza post-carlsoniano
degli anni Ottanta, e comunque nulla a che vedere con l’antidanza
che oggi Electa propone quale oro colato al pubblico teramano. Ma i
punti di vista, per fortuna, sono tanti. n
Dalle sette
della mattina
fi no alle due
di notte,
senza un minuto di
requie, senza respiro,
nell’incalzare delle
sue portate di cibo,
delle sue pietanze,
dei suoi vini, delle sue
bevande. Tutto in un
angolo di paradiso
soleggiato che è Via
Gammelli 1 (angolo
Via Gammarana) in
un quartiere che
giorno dopo giorno si
fa sempre più bello e
accattivante.
Timeout è un po’
tutto: caffè, ristorante, ma anche pub da frequentare con i tuoi
amici per una birra o con la famiglia con patatine fritte, hot
dogs e coca cola.
Con una piattaforma antistante al locale, nelle belle giornate
è davvero un incanto sorseggiare una bevanda fresca o, nei
giorni più freddi, mandare giù un caldo cioccolato dentro
l’atmosfera amichevole del Timeout. Per i giovani e meno
giovani c’è sempre l’aperitivo cenato e il lounge bar e per chi
si alza carico la mattina ha a disposizione prima del lavoro
un vasto esempio di croissenteria, uno stop and go nel verde
della Gammarana e via di corsa in uffi cio.
Timeout è pizzeria e birreria con tanta musica a disposizione
e cabaret per chi voglia passare minuti per pensare o meglio
per ridere. Il lato sportivo non poteva mancare visto che il
proprietario, Marcello Fonti, ex nazionale di pallamano, una
vera gloria in città e nella penisola, assicurerà certamente gli
Redazionaleeventi più importanti
di qualsiasi natura.
Ma l’allenatore di
pallamano non si limita
a far guardare lo sport
in tv, lo farà praticare:
sì, difatti sono previsti
negli spazi di Timeout
eventi sportivi come
lezioni di walking, ad
esempio, assieme a
tante altre pratiche
sportive e danzanti.
Soul, rock, funk, ritmi
caraibici, latino dance,
accenderanno le
serate e i pomeriggi.
Marcello attende anche bambini, bambine, ma anche i più
grandicelli, per le feste di compleanno, addio al nubilato e al
celibato, insomma per tutte le ricorrenze importanti che han-
no bisogno di un po’ di baldoria fatta con classe e simpatia.
Marcello è di Catania e non mancheranno quindi cibi tipici
siciliani come il pesce spada, cassata e cannoli.
Timeout sprizza energia positiva da tutti i tavoli e sedie,
questo è il messaggio di Marcello: “Accorrete nel mio locale
a rilassarvi” è il suo slogan che ripete più volte. E nella bella
stagione, spazio alla frutteria, alla cocomeraia ad esempio, alla
gelateria, alla yogurteria.
Unico momento di riposo e dunque di chiusura del locale,
domenica mattina, poi si riparte di slancio. n
Timeout food&drink
TIMEOUT · food & drinkVia Gammelli, 1 (angolo Via Gammarana) · TERAMO
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Giorgio D’Ignazio, denti scintillanti,
manona che si agita in piazza, animo
ancora profondamente Dc (“sono
un moderato” pare scusarsi), tenta
la strada della Regione Abruzzo. Entrato in
politica nel 1999 quando ottenne 216 voti con
il Ccd, travasò subito le sue energie in Forza
Italia, a causa di alcuni dissidi all’interno del
partito: “Preferii non creare problemi” dice ora
a bocce ferme. Si ricandidò con Berlusconi ed
ottenne ben 603 preferenze che lo portarono
ad essere assessore. D’Ignazio giudica abba-
stanza tormentata la sua prima esperienza al
commercio ma l’assessorato al sociale gli ha
ridato una nuova giovinezza. E proprio da qui
è pronto ancora una volta a ripartire. Questa
volta il destino, come dicono gli spagnoli, è la
Regione Abruzzo.
D’Ignazio, lei pare vivere all’insegna della rapidità: nel saluto, nel sorriso…“Mi ritengo a completa disposizione del
cittadino, del resto sono 15 anni che sono
amministratore di questa città”
Una candidatura all’insegna di suo padre“Eppure nel ‘99 mi sconsigliò quest’esperien-
za, riteneva che la politica togliesse troppo
tempo alla vita privata”.
Un ammonimento che però lei rinnova a suo fi glio Lorenzo“Sì, lui è un ragazzo d’oro, spero appunto che
stia lontano dalla politica”.
Cosa le va e cosa non le va della politi-ca?“Mi piace essere a disposizione della gente.
E se è vero che in questo campo ci sono i
disonesti, per contro ci sono anche tanti tanti
uomini onesti che si dedicano alla propria
missione con grandi sacrifi ci”
Le prime tre misure che vorrebbe pren-dere una volta sullo scranno dell’emi-ciclo“Facendo tutti gli scongiuri, uno: la legge
sull’affi do; due: la rapidità dei tempi di adotta-
bilità dei bambini; e tre: un occhio al sociale, a
tutti i bisogni crescenti che le persone hanno”.
L’elogio che le è piaciuto di più?“Che faccio le cose con il cuore: anche se si
sbaglia l’importante è riconoscere i propri
errori e tornare indietro sui propri passi,
seguendo sempre chi ne sa più di te”.
Cos’è la sofferenza per GiorgioD’Ignazio?“La sofferenza è la mia malattia, un tumore
negli anni belli della vita, quand’ero giocatore
di pallavolo: all’improvviso mi sono ritrovato
all’Istituto nazionale dei tumori, avevo 21 anni,
era il 1986”.
Cosa hai imparato da quell’esperienza?“L’essere a fi anco di chi soffre, ai malati e a
chi ha bisogno. Devo ringraziare quest’espe-
rienza”.
L’ultima volta che ha pianto?“In un convegno in cui si parlava di emodia-
lizzati”.
L’ultima volta che invece hai riso a crepapelle“Lunedì scorso (3 Febbraio, ndr) quando l’Inter
ha perso: come vede tifo Milan da sempre”.
Come vede in prospettiva lo scenario politico nazionale?“Questi sono dei momenti diffi cili, bisognerà
trovare dei consensi, non so se la legge elet-
torale sia ora la priorità assoluta, quantomeno
è urgente fare un governo di programma,
investire sul lavoro, creare occupazione,
ridurre la pressione fi scale, dando la possibilità
ai giovani di fare impresa. È importante un ac-
cesso al credito facilitato e dare la possibilità
alle famiglie di avere una casa, per creare una
famiglia”.
Qual è il dramma umano con cui è stato a contatto e che l’ha lacerato la coscienza?“Ne sono tantissimi. Quello che più mi fa sof-
frire riguarda i bambini che sono parcheggiati
nelle case famiglia e che devono restare lì per
tanti anni, perché l’iter della dichiarazione di
adottabilità impiega dai sei ai dieci anni, que-
sta è la priorità che mi darò, al di là del fatto
che questo potrà creare delle inimicizie”.
Le Politiche sociali, ha scelto lei quest’assessorato?“Mi ci spinse l’ex assessore regionale Bruno
Sabatini. Non so se sono stato un bravo asses-
sore, non lo so, so solo che non ebbi fortuna,
tanto che i commercianti ce l’avevano con
me, con il sociale invece è andata meglio”.
Ha già uno slogan per la sua campagna elettorale?“Guardi, non ho voluto stampare il classico
manifesto con me in posa da piacione e con il
mare sullo sfondo, ma ho preferito delle foto
che parlano della mia vita da assessore, di me
insomma”.
Un suo difetto“Beh, forse a volte sono permaloso”.
Una parola che le ha fatto male?“Quand’ero assessore al commercio mi accu-
sarono di disinteresse al lavoro, cosa che io
invece adoro. L’apertura del centro commer-
ciale andava fatta, i commercianti del centro
storico difendevano i loro interessi”.
Parte del suo cuore è ancora Dc?“Sì, è il mio partito da quando ero ragazzo, io
sono un moderato, non sono né comunista né
fascista e su questo non ci piove”.
Vabbé, lei è stato berlusconiano, ma non si può essere perfetti a questo mondo“Sono stato berlusconiano in un sistema
bipolare dove eri o quello o quell’altro, ma non
mi vergogno di questo, sono fi ero della mia
storia politica”.
Un comportamento da politico che vorrebbe evitare?
“Io ho un’esperienza tale che prima come
fi glio del sindaco dovevo comportarmi in una
certa maniera, consona, stando attento a tutto
quello che facevi, non puoi permetterti di fare
tutto, la nostra città è piccola basta una volta
che sbagli e ti porti la nomea dietro per un bel
po’, non puoi parcheggiare in divieto di sosta
ad esempio”. n
Il personaggio6n.96
GiorgioD’Ignazio
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Giorgione cuor di sociale
V ietato sognare. Con lo sgombero degli spazi dell’ex-Oviesse,
diventati di colpo inagibili e non in sicurezza, il potere ha rivelato
il volto più imbarazzante. “Altro che cultura” il sindaco Maurizio
Brucchi ha defi nito i laboratori di teatro e pittura per bambini, la
recita di fi abe di una scrittrice, la lezione di cinema per ragazzi di Walter
Nanni, concerti di musica giovanile, incontri e dibattiti con esponenti
locali della cultura e dell’arte, meditazione e pratiche yoga, e chi sa tutto
quello che sarebbe arrivato come manna dal cielo in una città pietrifi ca-
ta. Una città affetta da ludopatia, terzo capoluogo di provincia nel Paese
per spese pro capite nel gioco d’azzardo; unico capoluogo di provincia,
probabilmente, senza un assessorato alla Cultura ma uno agli eventi. Ma
in compenso con un centinaio di bar e forse altrettante sale scommes-
n.96
7Accade in città
diYuriTomassini [email protected]
La città senzaimmaginazionenei locali ex Oviesse
Sembrerà proprio di essere in cielo. Infatti, il ristorante sorge sulla
sommità del Colle Santa Maria dei Lumi, da dove è possibile
scorgere tutte la catena del Gran sasso, la Maiella, l’entroterra
pescarese, la costa da Pineto a Grottammare, i colli maceratesi e
ascolani, i monti Gemelli per tornare poi al massiccio del Gran Sasso.
Una struttura suggestiva e moderna, dotata di tutte le strutture de-
dicate ai portatori di handicap, caratterizzata da una sala da pranzo
con ampie vetrate, per ammirare al meglio il paesaggio, ed una
stupenda terrazza dove è possibile pranzare o cenare nel periodo
primaverile-estivo, rappresentando in questo modo una proposta
favolosa sia per pranzi e cene sia per banchetti di compleanni, comunioni o altri eventi.Sorgendo nel cuore del territorio abruzzese, la proposta gastronomi-
ca non poteva che rifl ettere l’espressione degli odori e dei sapori del
territorio di riferimento, con forti richiami alla tradizione antica, attraver-
so pasta fatta in casa, carni di elevata qualità e verdure di stagione al fi ne
di poter proporre cibi sempre freschi e naturali nel rispetto dei sapori
autentici della nostra terra.
In questo modo, mangiare al Ristorante Colle Santa Maria diventerà
un’esperienza sensoriale a 360°, nella quale tutti i nostri sensi saranno
stimolati in un crescendo di emozioni uniche.
Il Ristorante sorge a pochissima distanza dalla For-
tezza Borbonica di Civitella del Tronto, nei pressi
del convento di Santa Maria dei Lumi. n
Redazionale
RISTORANTE COLLE SANTA MARIASanta Maria dei Lumi · Civitella del Tronto
Tel 0861.918210 · 348.6283456 www.ristorantecollesantamaria.it
...gustare i sapori Abruzzesi sospesi tra le nuvole
se, orribili, insopportabili,
che stanno sfregiando
l’aspetto di vie e piazze e
pregiudicando il futuro di
un numero in ascesa di
residenti. L’ attivismo par-
tecipativo di molti artisti
locali ha riempito in pochi
giorni lo spazio di piccoli e
grandi opere d’arte, alcune
di innegabile valenza estetica. E’ sembrato un prodigio: una città alla
canna del gas di colpo strappata alla narcosi cronica che la rattrappisce
da una sessantina d’anni. Ma nessuno in fondo si è illuso più di tanto.
Una politica che ha celebrato il Capodanno con l’exploit fi nale in piazza
di Vittorio il Fenomeno non poteva capire. La fantasia e l’immaginazione
sono facoltà estranee al background di un’amministrazione ingessata di
‘impiegati a tempo indeterminato delle istituzioni pubbliche’. La sordità
ottusa dimostrata di fronte al gradimento raccolto dall’iniziativa è stato
imbarazzante, nonostante un intero piano di uno stabile buio e disabitato
da un giorno all’altro trasformato in un coloratissimo laboratorio creativo
per cittadini di ogni età. Nonostante migliaia di passanti curiosi abbiano
occhieggiato oltre quelle serrande abbassate, simbolo della condizione
della cultura in un Paese affl itto da un preoccupante tasso di corruzione
della vita pubblica. Il fi nale lo conoscete. n
Foto di Elena Di Marco
In ricordo8n.96
Era piuttosto un
rimandarsi metafisico
di bocca in bocca. Un
nome così conosciuto
in città che approfondirlo
diveniva peraltro uno sterile
esercizio e basta. Tanto quel
Totò, pronunciato senza nes-
suna titubanza, non poteva
che essere lui: Teodoro Zante,
pasticciere da una vita e
scomparso ormai il lontano
4 Marzo 1989. Ma nessuno
l’avrebbe mai conosciuto con
quel nome da isoletta greca,
nemmeno accostato a qual-
che volto famigliare, perché
Totò era solo una leggenda
che rimbalzava dal duomo
al teatro romano, dai tigli a
Corso San Giorgio, senza che
per la verità crescesse l’esigenza di andare oltre, visto che in pratica
non usciva mai dal suo laboratorio, santuario delle sue idee e officina
di una delle voci più teramane che ci potevano essere a quei tempi: la
pasta da Totò.
Come ad esempio il Melatino, dolce di mandorla e cioccolata, che rice-
vette pure un premio, o la deliziosa, la cassatina, piccole opere d’arte da
leccarsi i baffi concepite da quell’uomo con gli occhi languidi, la Ms in
bocca ed un caffè da sorseggiare al più presto.
Totò era negli anni ’70 e ’80 la meta obbligata di molti teramani, la mec-
ca del gusto, del gelato, della pastarella, del vassoio. Alla cassa Memena,
sua moglie, dietro nell’oscurità della fama. Totò, un nome che si poteva
scorgere a malapena il lunedì, nella sua giornata libera, quando pun-
tualmente presiedeva alla cena con i suoi dipendenti, una consuetudine
che volle mettere in agenda per rinsaldare anche fuori dal santuario la
religiosità della professione.
Già all’età di sedici anni iniziò da Don Giovanni Fumo a praticare l’arte
di pasticciere: lì debuttò apprendendo i primi rudimenti napoletani che
gli furono utili per continuare nel suo mestiere, quando ad esempio nel
Maggio del 1966 aprì la sua bottega in Via Capuani. Chiedevano a lui il
gelato più grosso, piuttosto che alla moglie o ad un altro addetto, perché
sapevano che lui, tenerone, abbondava e a volte nemmeno faceva paga-
re. Sempre con la sigaretta in bocca e la macchinetta del caffè a portata
di mano, gli unici due suoi vizi terreni. Ha sempre posseduto un sorriso
largo in tutti quegli anni di commercio umano, dove la faccia era la sua,
della moglie e di pochi altri, a difesa del suo marchio. D’altronde gli orari
erano da pasticciere appunto, sveglia prestissimo la mattina e alle dieci,
dopo Carosello e il primo tempo di un film, a nanna. Nel riposo dei giusti.
Del resto i sogni costano. “Da Totò” era garanzia di un vassoio di paste
che ben figuravano ad un invito a cena o a pranzo. Totò era abbondanza,
genuinità, arte d’artigiano, sacerdote della fede pagana del gusto.
Totò era anche artista sperimentatore e innovatore. Socievole col sor-
riso in bocca profondamente innamorato del suo mestiere e lo si può
arguire dalle vecchie foto con la sua famiglia, quando il volto assumeva
quella piega di abbandonata rilassatezza come di una persona che ab-
bia compiuto il suo dovere e che ora si gode il meritato premio dell’af-
fetto. Dio l’avrebbe rispettato quando lavorava, l’avrebbe amato quando
creava. Non so cosa si potesse provare la mattina seguendo come un
cane da tartufi la scia dei bomboloni con la crema che eruttava una
sontuosa lava gialla di piacere e freschezza. Totò era innamorato del suo
mestiere, un esempio per
chi s’annoia dietro il nulla
di una cattedra, seduto di
sghembo su di una sedia,
oppure dietro il bancone
di qualche franchising.
Totò possedeva il sacro
fuoco nelle sue vene di
mani callose da pasticcie-
re e ha indicato a migliaia
di teramani come un
laboratorio potesse dive-
nire la capsula dell’arte,
provando e riprovando,
nella sua dedizione com-
pleta, tanto da legare il
suo nome ad una delle tante cose belle che si possano ricordare in que-
gli anni a Teramo. Ma soprattutto ha realizzato il suo sogno, sogni che
poi rendono la vita interessante e che sono anche la parte concreta, la
più concreta, di questa vita ingannatrice.
Solare e affettuoso, lo dipingono così coloro che l’hanno conosciuto in
vita, come il suo Melatino, il dolce che Luigi e Anita hanno proseguito
a confezionare con amore nella pasticceria Capriccio di Via Sauro,
l’attività che ha voluto prendere il suo testimone.
Amore e rispetto: quando l’artigiano compie il suo miracolo è appagato
dalla vita. Il sorriso di Totò con le sue sopracciglia cadenti, gli occhi da
torero alle cinco della tarde, il lavorio dei pensieri lontani alla prossima
creazione, hanno fatto di lui quello che di bocca in bocca si è traman-
dato per decadi a Teramo: un luogo metafisico dell’arte. Il Nirvana delle
creme ed una città migliore. n
quando l’artigiano va in Paradiso
TotòMastro Pasticciere
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
10n.96
Qualche giorno fa Teramo si è svegliata
dal torpore che la contraddistingue da
secoli, un gruppo di artisti ha inscenato
una protesta occupando i locali nei
quali esercitava il commercio l’ex OVIESSE.
Come al solito i teramani hanno cominciato a
pontificare, e come di consueto, si sono creati
due schieramenti contrapposti, ed anche la
politica locale ha voluto essere della partita,
dando, per non smentirsi, il peggio di se stessa.
Nella gestione della vicenda si è inserito qual-
che soggetto che si è auto nominato difensore
civico, e che si è dato il merito di aver preso
per mano il diritto che altrimenti sarebbe
rimasto non applicato da parte delle nostre
istituzioni.
Non voglio giudicare, pertanto non darò il torto
a Tizio e la ragione a Caio, ma da sociologo
clinico sento il dovere di far riflettere il mondo
teramano sulla brevità di vedute che non
consentono a questa nostra città di crescere
uscendo da quel pantano che da sempre
critica, ma che da sempre ama e apprezza per
la calma delle sue acque.
Nei nostri ambiti mancano i veri rapporti rela-
zionali, e fra questi lo scambio intellettuale, che
è il fattore essenziale per ogni tipo di crescita,
ed in questo momento storico è l’azione più
incisiva ed allo stesso tempo economica da
esperire, in quanto questo tipo di scambio
è differente dallo scambio mercantile. Nello
scambio intellettuale chi dà non perde nulla
e chi riceve prende ma non toglie nulla al suo
interlocutore. Dunque il sapere, la conoscenza,
l’arte, possono essere “consumati” da tutti. Il
teorema di Pitagora viene utilizzato da milioni
di persone, applicato a migliaia di casi, senza
che nessuno ne sia privato. La conoscenza è
un bene collettivo, un’acqua della giovinezza
alla quale ci possiamo abbeverare tutti senza
suscitare la minima frustrazione all’altro.
Dato per scontato che lo scambio culturale
è l’elemento fondamentale della crescita,
pertanto del benessere per tutti, è doveroso
introdurre in parallelo anche il concetto del
L’analisi
Apriti Teramo
L’ex Oviesse
diFaustoNapolitani [email protected]
Se il “cortigiano” nell’omonimo trattato di Baldassarre Castiglione è
il gentiluomo di corte dall’aspetto elegante e dai gusti raffinati, la
“cortigiana” non è in verità il suo pendant femminile, che invece
Castiglione individua nella “dama di palazzo”.
Come la dama di palazzo anche la cortigiana conduceva una vita aristo-
cratica, condividendone i gusti, le attività, il modo di vestire e il senso
dell’ornamento, ma a differenza della prima
essa era di fatto una prostituta d’élite. La
propria immagine rappresentava per la corti-
giana un imprescindibile strumento di lavoro
e come tale richiedeva una cura estrema e
ogni possibile ricerca di effetto.
L’abbigliamento sfarzoso e i gioielli, sofisti-
cati ingredienti di femminilità, presentavano
le cortigiane a mo’ di veri e propri oggetti
di lusso. Era impossibile distinguerle dalle
dame. Esse infatti adottavano il costume e gli ornamenti delle maritate,
e persino quello vedovile, per ingannare i potenziali clienti. Dall’antichità
all’Ottocento le cortigiane furono muse ispiratrici di poeti e modelle per
i pittori, cui mostravano generosamente la propria nudità. Il dubbio che
dietro a molte Veneri dal Rinascimento in poi si debbano riconoscere
modelle-cortigiane sembra dunque legittimo. In queste opere che
mostrano senza veli le forme femminili, i gioielli non sono più accessori
dell’ abbigliamento ma piuttosto ingredienti di lussuosa sensualità. n
L’oggetto del desiderio di Carmine Godereccidi Oro e Argento
Un passato tutt’ora presente
Le cortigiane
godimento positivo della vita, ovvero, il diritto
alla felicità, che è la sola cosa che si è sicuri
di avere quando la si è data, e la si acquisisce
solo se si vive avendo la certezza che lo status
di ognuno percorre una parabola ascendente
nella quale il rischio regresso è fortemente
improbabile. La conoscenza, analogamente
al valore dell’amicizia, dona la certezza che
il “consumo“ non ne diminuisce le scorte
esistenti ma le aumenta. Il piacere che danno
una conversazione animata, un pranzo tra
amici, un buon ambiente di lavoro, una città
dove ci si sente bene, la partecipazione a
questa o quella forma di cultura (professionale,
artistica, sportiva, ecc), è immenso ed incom-
mensurabile, e raggiungibile solo attraverso il
corretto esercizio delle relazioni con gli altri. La
maggioranza di questi “beni”, la cui base per
eccellenza è la vita sociale, esistono soltanto
se se ne gode insieme. Il relazionale è la parte
migliore delle gioie dell’esistenza, ed il goderne
è maggiormente intenso se si pensa che ciò
che si usa non ha un costo monetario.
Pertanto, tornando all’azione di protesta degli
artisti teramani, dobbiamo augurarci che di
queste forme vitali ve ne siano di più, perché
vorrebbe significare che la sensibilità dei nostri
concittadini inizia a crescere, e con essa anche
l’intelligenza ed il potere di discernimento e
di critica razionale, e magari non saremo più
costretti a far credere ad alcuni dei nostri
rappresentanti, che le fandonie dette con tanta
serietà sui media, magari usando anche un
italiano improbabile, siano accolte quali verità
assolute. n
L a bellezza all’ex
Oviesse doveva
proseguire ma è
stata sfigurata in
una notte di cristalli e di
blitz che hanno spazzato
via la possibilità per alcuni
di sognare qualcosa di dif-
ferente. Da Piazza Orsini furono avanzati motivi di ordine pubblico,
di sporcizia che lardellava i locali, di sistemi elettrici messi a dura
prova, e di altro ancora.
Sicurezza, sicurezza, s’invocava; igiene, igiene, s’aggiungeva.
Solo dopo qualche settimana, l’autorità sanitaria locale (che può
emanare ordinanze contingibili ed urgenti), cioè il sindaco Maurizio
Brucchi, assumeva invece una posizione molto defilata, per non
dire pilatesca nei riguardi della vicenda del parcheggio dell’ospeda-
le Mazzini, quando uscendo dal summit in prefettura ha più volte
fatto riecheggiare: “E’ un problema tra privati, tra le parti, tra Asl e
ditta che aveva in gestione la struttura…stop”.
Ok, i locali di Corso San Giorgio sono comunali, si potrà obiettare,
ma in qualche modo, come riportato prima, anche la salute di 55
mila anime del contado teramano riveste una carattere di sanità
pubblica, soprattutto quando migliaia di anziani, di coppie, di perso-
ne di mezza età con problemi di salute, sono costretti a risalire Via
San Marino e Via Paolucci a piedi, ansimando, trafelati, indignati.
Ci saremmo aspettati un interventismo pari alla stroncatura della
bellezza, da subito. Ma si sa, ci sono battaglie e battaglie, equilibri
ed equilibri, soprattutto sotto campagna elettorale. E anche quel
dannato conflitto di interessi che pare permeare tutta la società
n.96
11Accade a Teramo
Bellezza e parcheggio: quello dell’OspedaleLe due facce della stessa medaglia
italiana: lui, il nostro primo cittadino, medico, quale potere con-
trattuale avrebbe potuto esercitare nei confronti della Asl quando
appunto è un suo dipendente con la naturale ambascia e terrore di
non poter ricevere un giorno l’agognata promozione da responsabi-
le di un reparto a primario con tutti i crismi?
Beh, signori, è evidente che un low profile in questi casi si combina
al meglio; detto alla Razzi: amico mio fatti i c… tua. E lui se li fa,
perché possiede quella saggezza popolana, anche contadina, che
l’ha aiutato ad essere quello che è oggi, senza tanto cianciare
perché a volte le parole s’incartano e producono l’effetto contrario
e il silenzio parla così tanto.
Sul fatto è intervenuto anche il candidato sindaco per i Movimenti
civici pretuziani Gianluca Pomante, quello che nella trasmissione
televisiva di Teleponte Agorà smanetta sul tablet, replica a Brucchi
e Di Pasquale in contemporanea, e pone sul piatto argomenti come
led, energie rinnovabili da porre sui lampione assieme a teleca-
mere che si autoalimentano, wi-fi per tutti, la tecnologia del terzo
millennio, il futuro insomma. Nell’affresco televisivo sono state
molto significative ed eloquenti, più di tante parole, vedere il volto
perplesso e giurassicamente smarrito dei due competitor.
“Stranamente – appunta l’avvocato teramano - non è stato invoca-
to alcuno sgombero né è stato adottato alcun provvedimento coer-
citivo. Forse il Sindaco ignora di essere anche autorità di pubblica
sicurezza e sanitaria, e di poter adottare ordinanze contingibili ed
urgenti per risolvere problemi del genere. Sarebbe stato sufficiente
intimare alla società di lasciare aperti i parcheggi in attesa di risol-
vere i problemi esistenti per assicurare alla Città un decorso della
situazione senza disagi e senza rischi. Sarebbe stata sufficiente la
presenza dei vigili urbani o di alcuni dipendenti comunali all’uopo
incaricati, per gestire i parcheggi anche in assenza dei lavoratori
dell’azienda concessionaria”. Che hanno in comune il caos sanita-
rio di Piazza
Italia, di Via
Paolucci,
di Via della
Resistenza,
di Via San
Marino, di Via
Flaiani, alla
rivoluzione
lilla delle
saracinesche
dei locali
dell’ex Oviesse? Forse un silenzio in più che deriva da una codardia
dettata dalla bramosia di un avanzamento di carriera, da un lavarsi
le mani e da un opportunismo di sorta. Altrimenti perché que-
sta tattica difensivistica, perché non dire subito, per dna, che no
signori, anziani di settant’anni non possono fare centinaia di metri
a piedi per raggiungere un sito di estrema sensibilità.
“Ancora una volta – prosegue Pomante - quindi, consapevolmente,
preferisce non assumere decisioni scomode. E se lo farà sarà tardi
quando i danni ormai sono stati già arrecati e i relativi costi sociali
ormai scaricati sulle spalle dei cittadini e degli abbonati al parcheg-
gio che aggiungono al danno la beffa di avere già pagato un servizio
indisponibile”. n
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Satira12n.96
Non sono noti a tutti i potenziali poteri a cui assurgono i gover-
natori di regione una volta eletti. Il più delle volte, per la verità,
ai ricordi sfuggono persino i loro nomi. A chi potrebbe balenare
in testa se non nel nome almeno nelle fattezze della figura un
presidente che sia esso della Basilicata, della Valle
d’Aosta, se non del Trentino? Quello della Sarde-
gna? Chi c’è in Liguria, in Toscana, nelle Marche,
in Umbria, nel Molise? Finanche in Campania, con
il Vesuvio che ha smesso da tempo di fumare, si
troverebbero grosse difficoltà a individuare i contorni
dei lineamenti del re di Napoli. Soltanto di uno, di
uno solo, tutti tengono a mente nome, cognome e
fisionomia come se di lui si fosse in possesso della
carta d’identità. Si tratta di un tal Giovanni Chiodi
da Teramo, già sindaco, poi catapultato in Regione
a tempo opportuno - con un pugno di preferenze e
tanta astensione degli elettori - all’indomani della
caduta del rinomato sindacalista Ottaviano Del Turco.
Purtroppo, la popolarità di molti politici abruzzesi
è stata accresciuta non da strategie di buona o
ordinaria amministrazione, bensì dagli eventi sismici
del 2009. Sono ancora chiare le immagini di Obama
che stringe la mano, a destra e manca delle rovine,
agli sbigottiti potentati provinciali. Gli stessi che ancora oggi fanno a gara
e spintoni sui social per mettersi in posa come si farebbe con un George
Clooney qualunque capitato per caso su quel ramo del lago di Como, che
volge a mezzogiorno. Pochi si sono resi conto di avere avuto di fronte
l’amministratore delegato del pianeta Terra. Sorrisini e ciglia inarcate:
questa la scolorita politica regionale. Le nonne raccontavano di un c’era
una volta... di una montagna incantata e magnetica. Le navi che vi abbor-
davano imprudentemente perdevano tutto d’un tratto i loro ferramenti. I
chiodi volavano attratti dal monte e gli sventurati naviganti scompariva-
no tra i legni liberati dai loro fermi rovinando gli uni sugli altri. A che cosa
serve l’accortezza, se l’insidia non si mostra per intera? Il desideroso di
potere sfoggia la propria scrupolosità quando riflette su ciò che ha detto
o pensato; addirittura, soltanto rappresentato astrattamente qualcosa di
arrischiato, indeterminato, presumibilmente avvertito come non del tutto
veritiero. Dunque, l’uomo non la smette più di contenere, ritoccare; di
incrementare o abrogare, finché di quanto ha dichiarato non rimane più
niente. “Come farò a mangiare?”. Le persone dei salotti, delle terrazze
non si svegliano con questi tormenti. Ma si vantano delle loro virtù, della
loro indiscussa probità. Almeno, fino a prova contraria. E il contrario si
manifesta immanente. Si sa bene che non si può essere tutti uguali. A
volte, l’illuminato di turno avverte l’esigenza di scansarsi dalla massa per
essere rifornito di un rispetto altrimenti negato. Sono le restrizioni morali,
le paure sociali, i tabù religiosi a tenerla coesa questa società, così come
la conosciamo, dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri. Untuose pre-
rogative, strumenti delle classi sociali superiori per esercitare il controllo
su quelle inferiori. Affilati congegni di prevenzione sulla comunità appesi
come salami sopra le teste di poveracci incapaci di comprendere e di-
scernere fatti e cose che accadono e cambiano la vita. E se per ogni sor-
riso ci vuole una lacrima, se il potenziale paranoico convive da sempre
con il pensiero ragionevole a tenere sotto controllo le fissazioni, allora
sì che si è sulla buona strada. Bisognerebbe essere abili nell’afferrare
lesto il senso di cose sconosciute che si impadroniscono subdolamente
della mente; messaggi subliminali che si insinuano come i vermi dalle
antenne colorate, nelle mele lucide dei cartoon. Comincia lo show! La
“Mandrilleide” d’Abruzzo (http://www.lmessaggero.it/ABRUZZO/regione_
abruzzo_inchiesta_spese_pazze_rimborsi_indagati_hard/notizie/486081.
shtml). Così ha scritto un quotidiano commentando
la “rimborsopoli” esplosa in questi giorni. Peculato,
truffa e falso ideologico: reati ipotizzati, ancora da
dimostrare. Certi si è dell’esistenza di una dama
della stanza 114, ospite in un lussuoso albergo di
Roma. Una signora affascinante da rimanere con un
sorso di invidia dalle labbra serrato nell’ammirarne il
portamento grazioso, l’eleganza di un tailleur giallo
indossato a complemento di un amabile cappellino
a falde larghe appoggiato sul capo a bella posta per
incorniciare uno sguardo che ipnotizza. Per Chiodi,
il presidente uscente della Regione Abruzzo, è stata
solamente “Una debolezza quella ragazza in hotel,
ma non l’ho aiutata al concorso” (http://www.
corriere.it/cronache/14_gennaio_29/debolezza-
quella-ragazza-hotel-ma-non-l-ho-aiutata-concor-
so-0f741112-88af-11e3-9f25-fc2a5b09a302.shtml).
“Nessun posto pubblico. Si tratta - ha replicato
Chiodi a Porro - di un incarico che viene dato dal
ministero del Lavoro il cui compenso, tanto per dire, è di 200 euro. Se
io avessi avuto interessi a favorire una persona che aveva con me una
relazione speciale pensa che non avrei avuto modo di trovare forme di
incarico più remunerato o più importante?” (http://www.primadanoi.it/
news/italia/546996/Rimborsopoli--Chiodi-si-difende-anche.html) (http://
www.abruzzoweb.it/contenuti/regionali-chiodi-tipico-trattamento--pri-
ma-del-voto-ma-sara-boomerang/539039-268/).
A questo punto, “lubranamente”, una domanda sorge spontanea: “Può
essere consentito a un presidente di Regione, semmai lo volesse, avere
modo di trovare forme di incarico importanti e remunerate a gentildon-
ne alla sua persona vicine e aventi con esso pur anche una relazione
speciale?”. Questi sono i chiodi fissi che restano impigliati nella mente
degli esitanti. n
I chiodi sono utensilisconosciuti...ai comuni mortali
diMimmoAttanasii
Continua la forte espansione retail di Cruciani C. Il
brand dei braccialetti più belli di sempre ha venduto in
quasi 3 anni più di 12 milioni di braccialetti in tutto il
mondo, da Milano a Dubai, da Madrid a New York fi no
al Brasile protagonista indiscusso dell’anno con 24 opening
in previsione.
RedazionalePer quanto riguarda l’Italia, dopo le ultime aperture a
Vicenza, Brescia e Padova, è la volta di Teramo.
Nella centralissima Corso San Giorgio 126,
centro nevralgico dello shopping teramano,
sarà possibile ammirare e acquistare i
braccialetti in pizzo macramè che da due
anni e mezzo spopolano sui polsi di tutto
il mondo, le colorate it-bag Milano, gli
eleganti foulard, le collezioni di accessori
di piccola pelletteria e la nuova linea di
gioielli Icon composta da braccialetti e col-
lane in argento. Immancabili anche le borse:
si tratta di raffi nate tracolle, baguette e cartelle
in saffi ano e razza con catena in ottone bagno
oro che stanno già conquistando i cuori delle fashion
victim italiane e internazionali.
Prosegue,
quindi, il
piano retail
di Cruciani
C che por-
terà il brand
ad aprire
400 punti
vendita
in tutto il
mondo. n
CRUCIANI C
Corso San Giorgio, 126 - TERAMO • Tel. 0861.241806
Cruciani C TeramoCruciani C Teramo
Cruciani Carrivaa Teramo
Nelle terre estreme
di Jon Krakauer
è ormai un vero
classico della let-
teratura di viaggio. Venne
pubblicato negli Stati
Uniti nel 1996, diventan-
do sin da subito un vero
best seller.
Il libro ricostruisce la
vicenda di Christopher
McCandless che nel
1990, dopo essersi bril-
lantemente laureato, par-
te, con una vecchia auto
e dopo aver rinunciato a
tutti i suoi risparmi, alla
ricerca di se stesso verso
la natura più estrema.
“La natura selvaggia at-
tirava chi fosse annoiato
o disgustato dall’uomo
e dalla sua opera. Non soltanto costituiva una possibilità di fuga dalla
società ma anche il palcoscenico ideale sul quale esercitare il culto che
l’individuo romantico spesso faceva della propria anima. La solitudine e
la totale libertà di una terra selvaggia creavano l’ambientazione ideale
per la malinconia o l’esaltazione” (Roderich Nash, Wilderness and
American mind).
Christopher rinuncerà alla propria identità per diventare Alexander
Supertamp, un uomo nuovo, perché libero dalle convenzioni sociali
e dalle finzioni. Il viaggio si protrarrà per due anni e avrà un epilogo
infelice in Alaska, dove Chris/Alexander perderà la vita dopo 113 giorni
di patimenti, in uno scontro diretto con la natura ostile. Il suo cadavere
sarà trovato da un cacciatore, che scoprirà anche l’esistenza di un
diario, sul quale il ragazzo aveva annotato, sempre in terza persona, le
proprie emozioni.
Il diario è privo tuttavia di una parte, il periodo tra il maggio 1991 e
l’arrivo del giovane in Alaska, ma Krakauer ricostruisce puntigliosa-
mente tutto l’itinerario grazie all’incontro con le persone che avevano
frequentato Alexander in quel periodo.
Quello di Christopher è un viaggio spirituale nel quale la sua anima si
denuda, come avveniva per gli uomini primitivi, ingenui e puri, perché
spogli di ogni superficiale orpello, portato dallo sviluppo sociale.
“C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cam-
biare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal
conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare
la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo
non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello
spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di
vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste
gioia più grande dell’avere un orizzonte in continuo cambiamento, del
trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. Se vuoi avere di più
dalla vita devi liberarti della tua inclinazione alla sicurezza monotona e
adottare uno stile più movimentato che al principio ti sembrerà folle,
ma non appena ti ci sarai abituato, ne assaporerai il pieno significato e
l’incredibile bellezza...”.
Per Jon Krakauer, giornalista e appassionato di escursioni in montagna,
la storia di McCandless diventa anche la propria storia e insieme la sto-
ria dell’uomo tout court. Non esiste nulla di più appagante che vivere in
un orizzonte mutevole, sempre nuovo ed entusiasmante, aldilà dei limiti
imposti dalle convenzioni sociali.
Lo scrittore racconta la storia di Christopher non con lo stile freddo di
un documentario, ma infarcendo la narrazione di un tocco originale,
scaturito dal suo trasporto emotivo.
Chris, moderno Thoreau, si incammina, come un pellegrino, per le stra-
de dell’America in un viaggio ascetico.
Dentro l’autobus, dove fu trovato il suo corpo, Chris scrisse: «Da due
anni cammina per il mondo. Niente telefono, niente piscina, niente
animali, niente sigarette. Il massimo della libertà. Un estremista. Un
viaggiatore esteta la cui dimora è la strada. Scappato da Atlanta. Mai
dovrai fare ritorno perché the west is the best. E adesso, dopo due anni
a zonzo, arriva la grande avventura finale. L’apice della battaglia per
uccidere l’essere falso dentro di sé e concludere vittoriosamente il pel-
legrinaggio spirituale. Dieci giorni e dieci notti di treni merci e autostop
lo hanno portato fino al grande bianco del Nord. Per non essere mai più
avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina per smarrirsi nelle
terre estreme (into the wild)». Alexander Supertramp, Maggio 1992.
Dietro la ricerca dell’omologazione, del lusso e di ogni tipo di comodità
si è persa la vita vera, che Christopher McCandless ha tentato di recu-
perare, con un esito purtroppo tragico. n
Il libro del mese14 [email protected]
Nelle terre estreme
n.96
diMaria Cristina Marroni
(Into the Wilde)
In Italia ci sono più di 800mila pensionati coltivatori diretti con pensio-
ni inferiori o integrate al minimo di 480 euro al mese che stanno vi-
vendo un periodo estremamente difficile ma che, nonostante questo,
contribuiscono in misura determinante al sostegno delle famiglie,
come dimostra il fatto che ben il 93 per cento degli italiani sostiene che
un pensionato in famiglia sia molto importante.
E’ uno degli spunti emersi dall’assemblea nazionale di Federpensionati
Coldiretti che ha portato a Roma quattrocento delegati, in rappresen-
15Coldiretti informa
tanza degli oltre settecentomila associati. Una tre-giorni di lavori e
iniziative, con la festa per i 45 anni della costituzione dell’Associazione e
la visita in Vaticano per il saluto di Papa Francesco. Nel corso dell’udien-
za gli anziani coltivatori, guidati dal consigliere ecclesiastico nazionale
don Paolo Bonetti, hanno donato al Pontefice due piantine d`ulivo e
numerosi cesti con prodotti tipici regionali.
La presenza degli anziani si sta dimostrando fondamentale per affronta-
re le difficoltà economiche e sociali di molti cittadini, ma non sono utili
solo nel ruolo di nonni o per l’aiuto che danno ai figli, nelle campagne
sono impegnati nel presidio territoriale nelle aree rurali e sono spesso il
motore di iniziative ed esperienze culturali, economiche e di solidarietà.
Si va dalle fattorie didattiche per insegnare i segreti della campagna ai
più piccoli fino ai tutor dell’orto nelle città, ma c’è anche chi trasmette
alle nuove generazioni la propria manualità per realizzare oggetti di
artigianato. E’ anche per questo che meritano maggiore attenzione da
parte delle Istituzioni. Occorre, in particolare intervenire per recuperare
il potere di acquisto delle pensioni più basse ed eliminare ogni forma di
discriminazione fra lavoratori dipendenti ed autonomi anche per quanto
attiene gli assegni familiari.
Serve poi riconoscere un sostegno per le famiglie che si fanno carico di
accudire in casa gli anziani con disabilità e/o non autosufficienza; defi-
nire i livelli essenziali di assistenza e potenziare i servizi di prevenzione
per assicurare agli anziani a basso reddito gli accertamenti diagnostici
in forma ambulatoriale, con riduzione delle liste di attesa, dei ricoveri in
ospedale e della spesa sanitaria. n
n.96
Più attenzione dalle istituzioni
L’assemblea federpensionati alza la voce
diMassimilianoVolpone Direttore Coldiretti Teramo
Largo alle danze, per tutti i gusti e tutte le età: domenica 13 aprile tor-
nerà infatti la XIV edizione del Trofeo “Il Diamante”. La competizione
nazionale di danza sportiva si svolgerà anche quest’anno, per l’intera
giornata, all’interno del Palasport di San Nicolò a Tordino; la struttura
comunale tornerà a fare da cornice alla manifestazione promossa dall’as-
sociazione sportiva dilettantistica G.D.S. IL Diamante con il patrocinio
dell’amministrazione di Teramo. La quattordicesima edizione inoltre, gra-
zie all’interesse crescente per la disciplina, al consenso di pubblico, alla
partecipazione di danzatori di livello nazionale e, non da ultimo, grazie alle
credenziali di qualità raggiunte dalla manifestazione -organizzata con il
supporto tecnico del maestro Antonio Di Lorenzo, che ogni anno si spen-
de con passione, energia e professionalità per la riuscita dell’evento-, ha
ottenuto il riconoscimento della Regione Abruzzo. L’iniziativa autorizzata
dalla Fids, la Federazione italiana di danza sportiva, vedrà scendere in cam-
po ballerini di ogni classe di livello e di età che si cimenteranno su differenti
ritmi. Gli sfidanti spazieranno dalle danze standard (valzer inglese, tango,
viennese, slow fox e quick step) ai balli latino americani (samba, cha cha
cha, rumba, paso doble e jive), dal liscio unificato e balli da sala (mazurca,
valzer viennese e polka) fino al choreographic team, comunemente noto
come ballo di gruppo. Nella scorsa edizione la competizione ha ospitato
ben quarantacinque gruppi per le danze coreografiche e circa trecento
coppie per le danze olimpiche, tra standard e latino americane, ottenendo
un gran successo di pubblico: sono stati infatti oltre novecento gli spet-
tatori che hanno preso parte alla giornata per applaudire le performance
dei ballerini. Questi numeri non sono un caso: l’attenzione in aumento
per il tipo di disciplina è testimoniato dall’inserimento delle danze latino
americane all’interno di una trasmissione televisiva di grande impatto sul
pubblico, giovane e non solo, come “Amici”. D’altro canto l’associazione
sportiva dilettantistica G.D.S. “Il Diamante” del Maestro Antonio Di Lorenzo
è nata da subito con l’obiettivo di avvicinare il maggior numero di persone
al mondo della danza e ha diffuso la passione per questa arte, intesa
come strumento di crescita e socializzazione, fino a diventare a Teramo il
punto di riferimento per la danza sportiva e il ballo sociale. Da quest’anno
inoltre l’associazione ha anche un nuovo sito internet, www.asdildiamante.
it, dove appassionati e curiosi potranno trovare tutte le informazioni sui
corsi, le gare e i traguardi raggiunti da Il Diamante. Una speciale sezione
è stata dedicata alla competizione Trofeo Il Diamante, con il programma
completo della manifestazione, le modalità di iscrizione alla gara e tutti gli
aggiornamenti in vista dell’iniziativa. Il conto alla rovescia è iniziato dunque,
l’appuntamento è per il 13 aprile al Palasannicolo, nel frattempo scaldate i
muscoli, la danza sportiva sta tornando! n
Ballo
Trofeo Il DiamanteXIV Edizione
di PaolaVerticelli
diSirio MariaPomante [email protected]
Nonostante l’incuria contemporanea che l’ha relegata sotto un
ponte e celata con enormi schermi pubblicitari nei pressi del
bivio Bellocchio, la chiesa di Santa Maria a mare a Giulianova è
probabilmente uno dei monumenti più interessanti ma anche
meno conosciuti del nostro territorio. Ultima testimonianza rimasta
dell’antica Castel San Flaviano, prima Castrum Novum Piceni e poi
Giulia(Nova), della
quale furono conti
gli Acquaviva prima
ancora di ricevere
il ducato atriano, la
chiesa è scampata
per miracolo ai pe-
santi bombardamen-
ti dell’ultimo conflitto
bellico mondiale, che
colpirono la costa e
la linea ferroviaria. Il
tempio, interamen-
te in laterizio, che
ospitò anche San Gabriele dell’Addolorata nel suo viaggio verso Isola,
conserva ancora sulla facciata il candido portale in pietra, gioiello della
scultura a cavallo tra Due e Trecento. Da sempre riferito al maestro
Raimondo del Poggio, almeno per il progetto d’insieme, il portale ha
affascinato storici e critici per la presenza di una serie di formelle nel
sottarco dai soggetti alquanto bizzarri. Maria Concetta Nicolai, antropo-
loga, caporedattore della Rivista “D’Abruzzo” e cultrice del patrimonio
artistico abruzzese, ha avanzato un’ipotesi suggestiva che racconta nel
suo nuovo libro, edito da Menabò e corredato dalle foto di Mauro Vitale
che diventano un prezioso strumento per indagare i rilievi.
Maria Concetta, cosa ti ha spinto a fare ricerca sul portale di Santa Maria a mare? Circa 25 anni fa mi occupavo dei due portali atriani di Raimondo del
Poggio e dell’arte borgognona che faceva il suo ingresso in Abruzzo con
la vittoria angioina. Attraverso le fonti, in primis con il Bindi e il Gavini, mi
sono imbattuta in Santa Maria a mare a Giulianova. Osservando il porta-
le sono stata assalita da una profonda curiosità e da uno straordinario
interesse per i simboli che esso contiene. Ho iniziato allora la mia lunga
ricerca rendendomi subito conto che l’interpretazione delle formelle
sarebbe stata molto complessa. Sono partita così dalla comprensione
del contesto nel quale la chiesa nasceva.
La chiesa col suo portale si trovavano infatti in un luogo sin-golare, fuori dalle mura e non troppo lontano dalla costa e dal porto. C’è dunque una relazione.Non solo. Nel libro mi ricollego alla centralità di quest’area nel ducato
di Spoleto e ai legami con la cultura bizantina, richiamata dalle reliquie
e dal tempio di San Flaviano, patriarca di Costantinopoli. La posizione
isolata della chiesa è il segno che il luogo non era adibito al solo culto
cittadino, ma aveva un ruolo particolare legato alla sua posizione lungo
il tracciato di una via di comunicazione strategica. Altro indizio, in tal
senso, risiede nel fatto che il vescovo aprutino Guido II vi trovi scampo
fuggendo da Teramo, invasa e devastata dalle truppe di Roberto di Lo-
ritello nel 1153 circa. Santa Maria a mare doveva essere dunque difesa
da ulteriori strutture che la rendevano uno dei rifugi più sicuri. E proprio
Guido II, al suo ritorno, farà restaurare il complesso e le sue fortificazioni
oggi scomparse.
Veniamo al nostro portale e alla lettura che ne dai. Perché questa macchina di pietra è “il Calendario dell’Alchimista”?Sullo scorcio del XIII secolo, Raimondo del Poggio mette in opera il
portale. Il nuovo vescovo di Atri non accorda al maestro la realizza-
zione della terza porta laterale della cattedrale, forse per le sue idee
bizzarre, sostenute invece dal predecessore. Ed ecco che arriva a
Castel San Flaviano e compone, con i rilievi delle diciotto formelle,
il cadenzare di un calendario. Ma non un calendario solare, bensì
quello di un tempo simbolico, spirituale, alla ricerca del sé. Pertanto,
la figura dell’alchimista è, per dirla con Jung, la ricerca stessa del sé.
Si parte dall’Ariete, tempo di generazione – Dante, infatti, inizia il suo
cammino sotto questo segno – quando la capacità personale è al
suo apice, e si termina con l’Acquario, raffigurato come un uomo in
cammino che porta sulla schiena un anfora ricolma. Nella penultima
formella un viandante-maestro abbevera un pellegrino-discepolo, nella
concezione che la Verità deve essere trasmessa e poi conservata, per
essere condotta in altri luoghi e in altri tempi. Il progetto iconografico
è certamente legato all’ideazione di Raimondo, un maestro che dimo-
stra di possedere una cultura artistica amplissima e di conoscere un
messaggio profondo e arcano che ho tentato di riportare alla luce e di
cui i templari furono tra i massimi cultori. n
Giulianova16
Il Calendario dell’Alchimista
n.96
Il nuovo libro di Maria Concetta Nicolaisul misterioso portale di Santa Maria a Mare
17Satira
diMimmoAttanasii [email protected]
L’ironia è uno stato di cose che sembra volutamen-te contrario a quanto ci si aspetta e che molte volte restituisce più di un risultato divertente. Effettivamente, tutto è ironico in questi giorni.
L’ironia è usata come sinonimo di freddo cinismo, di distacco dall’intelligenza. Abbiamo un grave problema con questa parola. L’ironia si propaga per coprire ogni disgiunzione tra linguaggio e significato. Una situazione che si verifica quando sembra che il destino stia manipolando gli eventi in modo da suscitare false speranze. Si apre così la porta alla confusione tra sarcasmo, sfortuna e disagio. Una molteplicità di punti di vista. Un tentativo di sbloccare la ve-rità. Affermare il contrario di ciò che è vero, per sottolineare la verità. Un efficace strumento di dissenso. Alcune intelligenti format di TG satirici hanno in comune un germe. Quello che induce ad affermare la menzo-gna con l’unico fine di esporla pubblicamente e, di conseguenza, avviare un fugace percorso di verità. Come dire che se questa convinzione è sbagliata, ciò non vuole dire che tutte le convinzioni siano sbagliate. I leader, in particolare, non amano l’ironia, poiché la retorica politica si basa su una struttura di amplessi morali e non. E con essi, l’atto di cercare la verità attraverso la derisione è inutile, perché quando ci si accorge che la verità la si sta guardando in faccia le assomiglianze con
n.96
Ingroppopoli a pie’ di listasi cammina sulla cenere ingannevole che nasconde i carboni ardenti
il culo diventano sempre meno sfuggevoli. L’assolutismo dell’opinione pubblica è straripante nelle cittadine di provincia. Purtroppo, i politicanti di terza fila vi esercitano senza indugio la più irritante soperchieria. Ed è proprio a causa di questa brutta parola che la vita nelle piccole città scorre insostenibile. Se si pensa alla soluzione drastica di adulare i potenti per risollevare le sorti di una vita in frantumi, la dannazione è sicura. Si può trovare buona sorte, ma bisognerà arrecare danno alla gente misera, blandire l’onorevole, il borgomastro, il senatore di turno, assecondare passioni insidiose. Questo comportamento, che nel mondo si chiama “saper vivere”, potrebbe non essere del tutto compatibile con la propria coscienza. “Incedo per ignes suppositos cineri doloso” (si cammina sulla cenere ingannevole, che nasconde i carboni ardenti). Se la storia si preoccupa di fare da specchio per l’avvenire, allora di cer-
to non mancherà il solito “Mister 10%”, che aumenterà a dismisura le sue prerogative. Puttane, senza offesa per le mignotte, da non rendicontare a pie’ di lista; champagne, orange aperitif e vini scaraffati a prendere aria prima dell’abbuffata di manzo. Alberghi a cinque stelle perché quelli a quattro scarseggiano di posti, in camere doppie e costo diluito sui contribuenti rinco-glioniti da confacenti visi d’angelo. Per qualcun altro, semplicemente facce da culo. Signorotti resi ricchi
appunto da padri che su di loro hanno fatto ricadere i propri peccati presto emulsionati, mescolatisi l’uno all’altro, per obliarsi attraverso il prodigo intervento di banchieri senza scrupoli e dignità. Benestanti di provincia ai quali l’ambizione di diventare deputati, la gloria e la promes-sa di razzia di centinaia di migliaia di euro toglieranno il sonno. Dare a intendere di essere liberali, amare il popolo. Se ci si appoggia soltanto a ciò che oppone resistenza sarà l’albagia dei potentati a imporre a loro stessi dichiarazioni esauste di contenuti. Non potrà essere un’inchiesta su qualche scontrino non rendicontato a interrompere un percorso politico. Malgrado tutto, ci si augura che qualsivoglia giudizio critico si possa basare su risultati squisitamente politici conseguiti e non su eventuali e maldestre inchieste giudiziarie a orologeria, che toccano solo marginalmente esponenti di partiti di governo, piuttosto che quelli dell’opposizione. Bisogna essere sempre garantisti. “L’amore crea le eguaglianze e non le cerca” (Pierre Corneille). n
Se o sé?Il pronome personale riflessivo sé, va scritto sempre con la
é accentata per distinguerla dalla congiunzione se ipotetica,
dubitativa, ecc…
Spesso è rafforzata con stesso o medesimo: in tal caso può avere
l’accento o, preferibilmente. esserne privo: sé stesso o se stesso
- Tra sé o tra loro?Le due suddette espressioni differiscono perché la prima è riflessiva,
la seconda ha valore reciproco, perciò significano cose distinte e si
possono usare solo in contesti verbali diversi.
È corretto dire: i ragazzi pensavano tra sé (ossia ognuno nel proprio
animo). È errato invece dire: i ragazzi pensavano tra loro (perché tra
loro indica un’azione reciproca, incomprensibile con il verbo pensa-
re). Per lo stesso motivo è corretta l’espressione:
i ragazzi discutevano tra loro (perché l’azione è reciproca), mentre è
errato dire: i ragazzi discutevano tra sé (per l’impossibilità dell’azione
riflessiva con il verbo discutere).
- Le o gli?I pronomi le e gli sono rispettivamente femminile e maschile e signi-
ficano a lei e a lui. Ho visto la zia e le ho dato i tuoi saluti.
Se vedo tuo padre gli dirò tutto.
Usare gli per il femminile è, pertanto, sgrammaticato, sebbene qual-
cuno lo faccia ed esista qualche antecedente nella storia della lingua
(Boccaccio, Sacchetti, Boiardo). n
Note linguistiche
Osservazioni sui pronomi personali
di Maria Gabriella Di Flaviano
Da sempre la stampa internazionale ha
cercato di dare a qualcuno esterno
al gruppo il merito della creazione
di un successo unico ed irripetibile,
come quello che accompagna da oltre 50
anni il nome Beatles. E’ ovvio che l’aiuto di
alcuni personaggi è stato fondamentale per
loro, è altresì vero che anche personaggi non
determinanti avrebbero potuto in qualche
modo cambiare il corso degli eventi, ma
non sono riusciti ad entrare nella “storia”. Il
primo ad essersi meritato sul campo il titolo
di “5° Beatle” è…il 5° Beatle: Stuart Sutcliffe,
l’amico del cuore, compagno di studi e
coinquilino di John Lennon. Sutcliffe è stato
per un periodo abbastanza lungo il bassista
del gruppo, fino al periodo in cui il gruppo si
è esibito ad Amburgo. Fidanzatosi con Astrid
Kirchherr (colei che aveva inventato il taglio
di capelli a caschetto, “alla Beatles”), aveva
abbandonato il gruppo per dedicarsi alla sua
vera passione, la pittura, ma non riuscirà a
sfondare neanche in questo campo, perché
morirà giovanissimo, a neanche 22 anni.
Anche Pete Best, batterista, ha fatto parte
dei Beatles. Era entrato a far parte del grup-
po perché, si dice, possedeva una bellissima
batteria nuova e completa, sua madre Mona,
pur di farlo esibire con il suo nuovo gruppo,
aprì sotto casa un locale, “The Casbah”. Best
fu estromesso dal gruppo alla vigilia della
prima registrazione ufficiale, quindi non è
diventato una star internazionale perché i
Beatles, il loro produttore ed il loro manager
decisero di fare a meno di lui.
Il signor Dick Rowe, produttore della
Decca, non salì sul fantasmagorico treno
dei Beatles, perché giudicò il loro provino
registrato dal gruppo il 1° Gennaio, poco
interessante, motivandolo con la famosa
frase “E’ finito il tempo dei gruppetti con
le chitarrine…”. Si sbagliava. Non sbagliò
quando, in seguito, mise sotto contratto un
altro gruppo emergente, i Rolling Stones.
Tutte le audizioni dei 4 ragazzi erano state
faticosamente procurate da un loro giovane
ed aristocratico concittadino, Brian Epstein,
erede di una ricca famiglia di origini ebraiche
e proprietario di una importante catena
di negozi di elettrodomestici. Fu proprio
mentre si trovava al banco del suo negozio
di dischi che sentì per la prima volta il nome
di un gruppo di ragazzini di Liverpool che
avevano registrato un disco in Germania e,
spinto dalla curiosità andò a sentirli in un
club jazz, il Cavern, che li ospitava spesso in
rumorose esibizioni all’ora di pranzo. Epstein
fu così colpito dall’energia del gruppo che si
propose immediatamente come manager,
vantando anche un certo peso nell’industria
discografica, sebbene dal versante vendite.
Fino alla sua prematura scomparsa fu a tutti
gli effetti il creatore dell’immagine dei Beat-
les, l’artefice di alcune trovate spettacolari
ed innovative ed il sovrano assoluto di un
piccolo impero economico e mediatico. Morì,
forse suicida, a poco meno di 33 anni.
Colui che più di tutti può fregiarsi del titolo di
5° Beatle è però George Martin. Il produttore
della Parlophone li scritturò a fine 1962 ed
è stato sicuramente quello che più di ogni
altro ha contribuito all’evoluzione stilisti-
ca del soggetto musicale più importante
del pianeta. Martin, dopo aver intuito le
potenzialità musicali del gruppo, riuscì a
cogliere le capacità compositive di Lennon e
McCartney, aiutandoli nella loro evoluzione
ed assecondando le loro più stravaganti
richieste. Riuscì anche a permettere che
fra i due amici-rivali si insinuasse un terzo
genio, George Harrison, il quale maturò uno
stile così personale ed affascinante da poter
avvicinare, se non superare i due mostri
sacri che così spesso gli avevano impedito
di guadagnarsi lo spazio che pure avrebbe
ampiamente meritato.
Tutte queste persone, insieme a tante altre,
hanno rivestito un ruolo essenziale nel
processo che ha portato quattro ragazzini di
Liverpool a diventare i Beatles e come scrive
John Lennon in “In my life” – Some are dead
and some are living, in my life i love them all
- (“Qualcuno è morto, qualcuno è vivo, nella
mia vita li amo tutti”). n
Musica18 [email protected]
n.96
diFabrizio Medori
Il Quinto BeatleAncora qualche notizia sui Fab Four, su chi è diventato importante insieme a loro e su chi non ci è riuscito
I Beatles con Pete Best e Stuart Sutcliffe
Brian Epstein
George Martin
19
P iccole donne...
crescono! Incipit
appropriato per
segnalare il più
recente impegno disco-
grafico di Laura Beatrice
MARLING, Eversley (Ham-
pshire, UK) 1990, i nomi
di battesimo, evocano
inevitabilmente il “dolce
stil novo”, l’accostamen-
to a Petrarca e Dante,
potrebbe risultare più
audace?
Ragazza biondissima e
carinissima, a soli 18 anni, ha esordito nella London scene, memore della
preparazione artistica del papà, Insegnante di musica in ambito ‘folk’.
Inizialmente nella formazione NOAH & THE WHALE, prosegue, collabo-
rando con un’altro gruppo della rinascita del country-inglese: MUMFORD
& SONS, formazione che sta spopolando letteralmente da qualche anno
a questa parte, in entrambe le sponde dell’Atlantico. Malgrado la giovane
età, esordisce in proprio con Alas I Cannot Swim (Virgin, 2006), mix
elettro-acustico di songs affascinanti e personali, nel 2010 licenzia il 2nd
album: I Speak Because I Can (Virgin), altro positivo riscontro. Appena un
anno dopo, è la volta di I Creature I Don’t Know, stessa etichetta, piccolo
sunto: rileggete i titoli dei dischi, certo non le fa difetto la fantasia, e, la
musica? Flusso chitarristico affascinante, continuo, intenso, più e meno
melodico, voce dal timbro chiaro e sensibile, dal forte impatto emotivo,
accompagnamento musicale parco e sommesso. Ma, Laura dall’incan-
tevole voce, non si accontenta, nonostante i 23 anni, anzi adesso 24,
scrive, compone, registra, suona e...cresce notevolmente, la vocalità
sempre più calda, duttile, melodiosa, anche quando canta con il solo filo
di voce, appunto. Anche l’Artwork policromo dei CD’s si è evoluto, per
divenire monocromatico, come si evince guardando l’oggetto di questa
recensione:Once I Was An Eagle (altro titolo emblematico), fotografata di
spalle e dall’alto, cascata di capelli (biondi) all’indietro, un braccio piegato
e, l’altro disteso in avanti, forse è stata proprio un’aquila, come recita il
titolo! Prima dell’analisi specifica, altro consiglio: andate su YouTube e
guardate le innumerevoli clips, da sola o in compagnia (Marcus Mumford,
Johnny Flyinn...), rimarrete di stucco davanti a tanta grazia, musicale
ed estetica. Altra doverosa citazione, riferita al suo mentore-produttore
di sempre, Ethan Johns, riuscire a tirar fuori le innegabili qualità di Miss
Laura, non dev’essere stato comunque impresa da poco, a giudicare dai
risultati, congratulations, Mr. Johns! La ragazza, come dicevo, è diventata
grande, con il già citato produttore-musicista, un piccolo e agile combo,
Ruth De Turberville e Rex Horan, negli Studios Three Crowns East e
Wiltshire and The Distillery di Bath, ha dato luogo al 4° progetto disco-
grafico di lunga durata. Il CD è una sorta di Concept Album, come una
volta, si articola in 3 mini suites, brani cuciti uno sull’altro, quasi senza
pause, la strumentazione è parca, ma incredibilmente ricca e variegata;
da Take The Light Off (01) a Master
Hunter (05), l’andamento scorre
omogeneo, minime variazioni,
ottimo lavoro di piano, basso,
violino batteria e (soprattutto), la
chitarra: accarezzata, pizzicata e
percossa da Laura, evoca atmosfe-
re inusuali e stacchi repentini, in
questo primo lotto, notevole Bre-
ath (04), ‘respiro’...a pieni polmoni,
finalmente aria buona! La prima
parte o suite...non si chiude qui, inizia la seconda: Little Love Caster (06),
oddio, che succede? La Musica, prende il sopravvento, svolta fantastica,
onirica, commovente, emozionante: Laura, geme, soffre, canta, urla,
piange (forse), al primo ascolto sono rimasto esterrefatto: incredibile
quel che si ascolta, la voce diventa strumento, l’intensità lirica, “Yes I
Am a Master, I Had You Bad Man, Little Love...” Le corde della chitarra,
toccano il cuore, violoncello e basso all’unisono sono stupendi, l’incanto
continua, Devil’s Restling Place (07), passa per Interlude (08), dove l’oboe
(addirittura) sancisce gli unici momenti di pausa, per introdurre Undine
(09), finalmente, il capolavoro dell’album: chitarra stupenda, mi ricorda
udite, udite, il grande Bert Jansch (mitici Pentangle), il plettro e le dita di
Laura, volano letteralmente sulle corde, disegnando scenari fantastici.
Where Can I Go? (10), Once (11) e Pray For Me (12), richiamano la prima
parte del compact, quest’ultima, cresce in intensità e finale strumentale,
When Were You Happy? (13): la voce e gli strumenti hanno un nitore
pazzesco, ulteriori complimenti a Mr. Johns e Bob Ludwig (Gateway
Mastering Studios di Portland, OR), per l’ottimo lavoro al mixer e maste-
rizzazione. Siamo in dirittura d’arrivo: Love Be Brave (14), Little Bird (15) e
Saved These Words (16), song conclusiva, autobiografica, recente amara
conclusione di un amore:”Love’s not Easy, Not Always Fun...” Questo
triste epilogo, ha portato la ragazza dalla pelle color...porcellana (passate-
mi il riferimento ceramico), ad abbandonare Londra, con armi e bagagli,
per la California, chissà cosa combinerà! Conclusione: l’ascolto del CD
presuppone attenzione, concentrazione, immaginazione e...sofferenza,
comunque un’esperienza da fare, assolutamente, la classe non è acqua,
Laura Marling sarà stata pure un’aquila...ma reale e, vola alto, molto alto!
Time: 63:27, voto 9. n
n.96
Write about... the records!
diMaurizio Carbone [email protected]
Once I Was An Eagle Laura Marling Format: CD- DIGIPACK 2013Label: VIRGIN - Distribution: UNIVERSAL
“Un vero professore si preoccupa di comprendere il dolore e
la solitudine di un bambino che non capisce in un mondo
di ragazzi che capiscono”, questo ha spiegato al Festival
della letteratura di Mantova lo scrittore francese Daniel
Pennac, docente e autore di un libro sulle proprie difficoltà scolastiche,
“Diario di Scuola.”
Queste parole dovrebbero far riflettere e capire che qualunque difficoltà
si incontri, è importante prenderne atto ed essere seguiti da persone
che abbiano oltre ai mezzi adeguati a individuare e curare il problema,
anche la sensibilità che li porti a vedere oltre le barriere della diversità.
A questo punto, dopo aver analizzato, nei numeri
precedenti della rivista, in maniera piuttosto
sintetica, le prime difficoltà di apprendimento quali
la dislessia e la disgrafia, ci occuperemo ora della
DISCALCULIA.
Bisogna premettere subito che spesso la discalculia
(cioè il disturbo relativo all’apprendimento del siste-
ma dei numeri e dei calcoli) si presenta associata
alla dislessia, ma in alcuni casi, anche se piuttosto
rari, è un problema che si riscontra in modo isolato
nei bambini.
Con il termine discalculia non si intende fare
riferimento alle difficoltà che in modo più o meno
frequente vengono osservate nella comprensione
di quella materia indubbiamente così affascinante,
ma nello stesso tempo complessa, che è la matematica e che vede
spesso i ragazzi, soprattutto delle scuole superiori, impegnati a scoprire
la soluzione di quesiti e problemi molto articolati.
Con tale termine si fa invece riferimento a un disturbo specifico del
sistema dei numeri e del calcolo in assenza di lesioni neurologiche e di
problemi cognitivi più generali.
Per questo motivo, rifacendosi a quanto è stato esplicitato per la disles-
sia, è importante sottolineare che la discalculia si manifesta nonostante
un’istruzione normale, un’intelligenza adeguata, un ambiente culturale e
familiare favorevole.
Tale disturbo coinvolge, in particolare, l’acquisizione di abilità relativa-
mente semplici, quali ad esempio la scrittura e la lettura dei numeri
e il sistema del calcolo (come ad esempio la memorizzazione delle
tabelline, l’esecuzione delle procedure di calcolo ecc.).
La discalculia viene suddivisa in primaria e secondaria:
- la discalculia primaria rappresenta il disturbo delle abilità numeriche e
aritmetiche
Scuola20n.96
La discalculia
diMaria Gabriella Del Papa [email protected]
Disturbi specifici di apprendimento (DSA): un’emergenza educativa
- la discalculia secondaria si presenta associata ad altri problemi di
apprendimento, quali la dislessia, la disgrafia, ecc. Bisogna intervenire
all’origine del problema e non sul disturbo di calcolo in sé, che da solo
non darebbe risultati soddisfacenti.
Possiamo dire che i bambini discalculici hanno:
• difficoltà nel manipolare materiale per quantificare e stabilire
relazioni;
• difficoltà nella denominazione dei simboli matematici;
• difficoltà nella lettura dei simboli matematici;
• difficoltà nella scrittura di simboli matematici;
• difficoltà a svolgere operazioni matematiche;
• difficoltà nel cogliere nessi e relazioni matematiche;
• difficoltà nel problem solving;
• difficoltà nel leggere e scrivere numeri complessi (quelli che conten-
gono lo zero) o lunghi (come
• quelli composti da molte cifre);
• difficoltà nell’esecuzione delle quattro operazioni scritte, dovuta al
mancato rispetto delle regole
• procedurali degli algoritmi;
• difficoltà nel memorizzare la maggior parte delle tabelline;
• difficoltà in compiti relativi all’automazione delle procedure di
conteggio, come ad esempio nel contare a salti o contare all’indietro.
E’ importante diagnosticare nel più breve tempo possibile la discalculia,
per poter intervenire in tempi rapidi e aiutare il
soggetto in questione ad avvicinarsi al mondo
della matematica senza paura e ansia.
La diagnosi ha l’obiettivo di analizzare il livello
raggiunto dal bambino nel calcolo scritto e a
mente, nella comprensione dei simboli aritmetici,
del significato dell’ordine posizionale delle cifre
che costituiscono un numero, nell’acquisizione del
sistema del calcolo e della capacità di risolvere i
problemi. Le informazioni ricavate dalla diagnosi
e rapportate all’età e alla classe frequentata dal
bambino consentono di orientare l’intervento di
rieducazione.
Per quanto riguarda la riabilitazione, la strada da
percorrere non è semplicissima, va dalla presa di
coscienza del problema, al cercare la strada da percorrere per aiutare
il bambino sia dal punto di vista didattico che dell’integrazione nel
gruppo-classe. In particolare è fondamentale che chi si occupa oggi
di riabilitazione disponga di una diagnosi estremamente accurata del
disturbo. Infatti, solo in questo modo si potranno predisporre ed attuare
quegli interventi che, anche se non particolarmente numerosi, hanno
riscontrato in questi anni buoni risultati nella pratica.
Naturalmente perché l’intervento risulti efficace, deve essere effettuato
il più precocemente possibile; è importante potenziare non solo le capa-
cità numeriche e di calcolo nel bambino (intervento che per il momento
è ancora oggetto di ulteriore approfondimento da parte degli studiosi e
della comunità scientifica), ma anche le strategie compensative con cui
poter affrontare in modo adeguato questo disturbo di apprendimento
(come ad esempio uso della calcolatrice, della tavola pitagorica, del
computer e di programmi appositi, ecc.). Inoltre l’intervento dovrà svi-
lupparsi grazie a una rete di collaborazione che vede i centri specialisti-
ci, le famiglie e la scuola impegnate sullo stesso fronte. n
Il giorno della Memoria22diGuendalina Di Sabatino
Presidente Centro di cultura delle donne “Hannah Arendt”
Edith Bruck a Teramo
n.96
Edith Bruck, vincitrice del Secondo Premio Teramo nel 1962 con
il racconto “Il cavallo” è tornata spesso nella nostra città con
il centro Arendt ad incontrare i giovani. Nel 2003 con i ragazzi
delle scuole superiori e dell’università, inaugurò nelle Sale
espositive di Via N. Palma la mostra itinerante ispirata al romanzo
“Lettera alla madre”, le cui opere, di studenti e di artisti di fama, furo-
no presentate nell’ Istituto Italiano di Cultura di Budapest il 23 aprile
2004 nell’ambito dell’XI Festival Internazionale del Libro che ospitava
la scrittrice stessa. Ancora con gli studenti nel 2005, in occasione
del Sessantesimo della Liberazione, nell’aula magna della Facoltà di
Scienze della Comunicazione di Teramo.
“Auschwitz: il dovere di ricordare la Shoah. Quanta Stella c’è nel
cielo, la testimonianza, il romanzo, il film “Anita B”. Questo il titolo
dell’incontro della scrittrice con gli studenti della provincia di Teramo
al quale ha partecipato il Professor Luciano D’Amico, Magnifico
Rettore dell’Università degli Studi di Teramo, l’8 febbraio scorso
nelle sale del Cine Teatro Comunale. L’evento è stato aperto dalla
partecipe gradita lettera del Segretario Generale della Presiden-
za della Repubblica, Consigliere di Stato Dottor Donato Marra, in
cui il Presidente Napolitano esprime il suo vivo apprezzamento
per l’iniziativa e rivolge “…agli studenti e a tutti gli intervenuti un
caloroso saluto insieme a un fervido augurio di miglior successo…”.
E’ stato un appuntamento straordinario per ricordare la Shoah e la
condizione dei sopravvissuti all’indomani dell’abbattimento dei can-
celli di Auschwitz il 27 gennaio 1945. La condizione dei salvati che
nessuno voleva ascoltare, né parenti né amici, come scriveva Primo
Levi, è vissuta da Anita la giovane protagonista del romanzo del
premio Città di Bari e del Premio Viareggio, che i ragazzi hanno letto
a scuola con i docenti e riflettuto con la visione del film “Anita B.”
diretto da Roberto Faenza e liberamente tratto dallo stesso romanzo.
In più di mille hanno applaudito commossi e rapiti dalla storia della
ragazza ungherese, che, dopo aver conosciuto massacri e morte nei
lager nazisti, sola, nel subbuglio dell’Europa del dopoguerra cerca
di tornare alla vita sperando nell’amore di un ragazzo che si rivelerà
crudele. Ma sarà proprio il frutto di quell’amore bugiardo che le darà
la forza di guardare al futuro con fiducia. Il Regista si è scusato con
una bella lettera per l’assenza dovuta ad una priorità riguardante
lo stesso film, ma, ha assicurato: “sarò ad incontrare i ragazzi, se
lo vorrete, al mio rientro dagli USA verso la fine di marzo”. Quanta
stella c’è nel cielo è un verso del patriota poeta ungherese Sandor
Petofi, un verso di una ballata amara sul male che abita nel cuore
dell’uomo. Ma come definire quel male inimmaginabile e assoluto
che si è manifestato con lo sterminio di uno dei popoli fondatori
dell’Occidente, massacrato con fredda meticolosità per servire la
causa scientifico politico religiosa di miglioramento della razza del
Terzo Reich? Hannah Arendt, filosofa ebreo-tedesca, che seguì a
Gerusalemme il processo e la condanna di Adolf Eichmann, l’ufficiale
nazista responsabile dell’organizzazione dei trasporti degli ebrei
verso i campi di sterminio, di fronte alla stupida figura del burocra-
te che eseguiva gli ordini senza riflettere sulle conseguenze e sul
senso delle proprie azioni, elaborò l’espressione “banalità del male”
perché “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché
normale, né demoniaco né mostruoso”. Eichmann era uno zelante
impiegato esecutore di ordini che gli davano prestigio e soprattut-
to un ruolo sociale. I ragazzi, numerosissimi, hanno ascoltato con
attenta commozione Edith Bruck: ”ricordare è un dovere morale
verso i morti che non possono più parlare e per coloro che tuttora
non hanno voce e subiscono le più svariate forme di discriminazione:
i ‘diversi’”. Poi le molte domande. La scrittrice, come nei suoi 23 libri,
ha testimoniato l’orrore e l’annientamento dell’essere umano vissuto
Per ricordare la Shoah
con le persecuzioni delle leggi razziali, con
la deportazione e l’internamento nei lager,
il dolore della memoria, l’indifferenza degli
altri, la disperazione dei sopravvissuti di
fronte all’incredulità e al negazionismo. Sul
negazionismo, che, purtroppo, ha cercato
legittimazione anche nelle aule dell’ateneo
teramano qualche anno fa, il Magnifico
Rettore ha dichiarato fermamente: “Non si
può dare credito a chi formula le tesi più
incredibili senza nessun riferimento scien-
tifico. Ogni volta che si sostiene una tesi
negazionista lo si fa al di fuori dei protocolli
stabiliti in secoli di studio e di metodo”.
Sempre rivolto alla platea degli studenti
egli ha poi annunciato che sarà intitolato ai
ragazzi di Bosco Martese il vialone centrale
del Campus di Colleparco.
Per la bella e partecipata riuscita dell’even-
to ringrazio il Professor Luciano D’Amico
Magnifico Rettore dell’Università degli Studi
di Teramo, l’Assessore alla Pubblica Istruzio-
ne del Comune di Teramo Piero Romanelli,
Mirko De Berardinis segretario provinciale
dell’Anpi di Teramo, Lea Contestabile docen-
te dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila,
Elisa Guida dell’Università della Tuscia, Isa
Ferraguti, Presidente della Cooperativa
Libera stampa editrice di “noidonne” media
partner dell’evento, l’attrice Serena Mattace
Raso, i musicisti Mauro Baiocco e Mirko
Giosia, i dirigenti scolastici, gli studenti. La
Provincia di Teramo. L’Anpi Nazionale. In
particolare ringrazio i docenti per la passio-
ne e la cura con la quale hanno preparato i
ragazzi. Edith Bruck per la sua carica umana
che sempre riempie di tanta speranza i
cuori di chi la ascolta. n
Del Magnifico Rettore Professor Luciano
D’Amico ci vorrebbero cento mille e
non solo a Teramo in un mondo come
il nostro; in una società dove i problemi
economici, occupazionali, la multietnicità,
religiosità, le tendenze sessuali, la sfiducia
nel futuro, le insicurezze, le mancanze
di esempi etici, morali, e più equità
nelle distribuzioni dei beni, non fanno
che alimentare razzismi, antisemitismi,
intolleranze per ogni diversità.
Temi fondamentali che con toni civili,
coraggiosi, educativi aveva toccato il
Professor D’Amico che avevo seguito con
intensa attenzione e profonda ammirazione.
E ringrazio a tutti coloro che hanno
partecipato alla realizzazione della giornata
dell’8 Febbraio – l’associazione Hannah
Arendt le autorità comunali, la città, gli
insegnanti, i numerosi studenti che ci
hanno ascoltato con disciplinato calore e
commozione che non è mancata neanche
a me come sempre in Abruzzo e a Teramo
dove mi sento a casa”.
Edith Bruck
Il giorno della Memoria24diLea Contestabile
Artista e docente di Anatomia Artistica Accademia Belle Arti di L’Aquila
n.96
Insegno all’Accademia di Belle Arti Anato-
mia artistica, una disciplina che si occupa
del corpo come forma espressiva. Lo studio
del corpo in tutte le sue accezioni non può
prescindere dal tema dell’identità e dell’alte-
rità e dunque dal tema della memoria perché
ognuno di noi è la propria storia, le proprie
tradizioni, la propria cultura. Tra l’altro il tema
della memoria è al centro del mio lavoro d’ar-
tista. Con gli studenti discuto spesso di questi
argomenti, presentando artisti come Christian
Boltansky, che ha dedicato tutto il suo lavoro
proprio alla memoria ed in particolare alla
memoria dell’olocausto. Ciò che, tra l’altro, più
mi interessa del suo lavoro, è che la sua atten-
zione è rivolta in modo particolare alle micro-
storie, alla gente comune deportata nei campi
di concentramento; Boltansky ha raccontato
storie attraverso piccoli oggetti, abiti, foto aven-
do cura di tutto ciò che può mantenere in vita
almeno il ricordo di chi non c’è più. Mi sembra
che tutta la sua ricerca si basi sulla convinzione
che l’oblio faccia morire una seconda volta.
Per questo l’artista cataloga, mette insieme
cassetti e cassetti pieni di cose realizzando un
vero e proprio archivio. Cerco di far conoscere
agli studenti, oltre Boltansky, anche altri artisti
che lavorano sulla tolleranza, sull’accettazione
ed il rispetto dell’altro e di culture lontane
dalla propria. E’ evidente che è risultato molto
naturale quindi aderire al progetto proposto da
Guendalina Di Sabatino. Il tempo è stato poco
ma sono rimasta francamente sorpresa, felice-
mente sorpresa, per l’attenzione e l’impegno
riscontrato. Hanno risposto più di quaranta
allievi, per la maggior parte del primo anno. Ho
coinvolto anche un gruppo di ex studenti con
i quali ho mantenuto un rapporto di collabora-
zione. Sono giovani artisti che già partecipano a
mostre non solo nazionali.
Il titolo INSIEME PER RICORDARE vuole
indicare il desiderio di approfondire insieme,
attraverso l’arte, tematiche così impegnative
come appunto la shoah. In mostra ci sono
lavori più o meno risolti, qualcuno anche
molto ingenuo e immaturo ma con il Professor
Servillo ci siamo chiesti se fosse giusto fare
una selezione tenendo conto solo dell’esito
artistico. Siamo arrivati alla conclusione che
in questa occasione non era tanto importante
il risultato quanto l’impegno e il desiderio da
parte dei nostri ragazzi di riflettere su un tema
così importante. Come dicevo la maggior parte
degli studenti sono del primo anno. Hanno
bisogno ancora di acquisire le competenze giu-
ste. Vi chiedo perciò di visitare la mostra con
uno sguardo benevolo. Per quanto riguarda
il mio contributo, ho pensato ad Anita. Nello
spazio che ho ideato protagonista è la farfalla,
metafora di Anita. C’è una farfalla tenuta a
terra da legami sentimentali che la bloccano e
non la fanno volare, c’è un comodino con un
libro che proietta dall’interno una piccola luce,
c’è la scatola dei ricordi con figure mostruose
e qualche ricordo di luce come un pettinino
rotto e finalmente sul muro una farfalla che,
come una fenice, malgrado le ali spezzate e
ricucite, prende il volo verso la terra promessa
portando con sè una nuova piccola farfalla. n
È difficile entrare in contatto con la terribilità
prodotta da Hitler, ma è il tentativo che
i giovani allievi dell’Accademia di Belle
Arti di L’Aquila hanno fatto attraverso le
parole dei romanzi di Edith Bruck grazie alla
straordinaria sensibilità dell’Artista e docente
Lea Contestabile che ha curato la mostra
“Insieme per ricordare” presentata l’8 febbraio
pomeriggio a Villa Capuani-Celommi, accanto
a quella dei ragazzi delle scuole medie, “F.
Romani” e “ R. Pagliaccetti”, “Auschwitz
11152” guidati dai Docenti di Arte e Immagine
Simona Braca, Luana Monaco, Annamaria
Colangelo. Presenti Viriol D’Ambrosio
Presidente della Fondazione Celommi, Gianni
Tarli Direttore del Museo Capuani e Daniele
Palumbi Sindaco di Torricella Sicura. La
mostra, su prenotazione per le scolaresche,
sarà visitabile fino al 25 aprile.
Un film sul diavolo e, come il diavolo, polimorfo. Realismo, surre-
alismo, cinema nel cinema, cinema inchiesta, cinema filosofico.
Bergman affronta i temi e i linguaggi e li confonde, li trascende
e li vanifica. E’ proprio del demonio (“un simbolo, un’allegoria”)
il non essere, la trasformazione continua, contrapposta alla stabilità
divina. Fuoco, fumo: elementi ricorrenti. Il diavolo tabagista è un’icona
dell’’700. Prigione devia invece verso il ‘900 delle luci e dei lumi
cinematografici, incorniciato com’è da un set cinematografico, luogo
di fumatori, fabbrica di fantasticherie fumiganti, bagliori luminosi che
appaiono all’improvviso, démoni.
Cinema
Nel prologo si parla di una possibile pellicola da girare, una storia vera
sul diavolo-dio padrone di tutte le cose sulla terra-inferno. Nell’epilogo
se ne rileva l’irrealizzabilità, una cosa che nessuno vorrebbe fare (e
vedere). Ma, in mezzo, il film da non produrre è scorso, insieme di
stazioni legate da dissolvenze incrociate, una progressione di croci e
di crocicchi, impossibili direzioni di fuga.
L’idea viene a un vecchio professore di matematica, reduce da una
clinica psichiatrica, che dal nulla irrompe nel teatro di posa e propone
il soggetto a Martin, il regista, a cui l’uomo sembra già il diavolo, “na-
turalmente un buon diavolo”. La suddivisione della storia tra demone
buono e demone cattivo, già presente in Piove sul nostro amore con
interscambio di ruoli, fa ritorno e struttura l’intero lavoro, costruito
come (in) uno specchio, dove due coppie, una positiva l’altra negativa,
ma con le relative sfumature, si riflettono l’una nell’altra ed entrambe
sono completate da un terzo
elemento, maschile nella prima,
femminile nella seconda.
Da un lato Thomas e Sofie, marito
e moglie alla cui crisi partecipa
come testimone e amico Martin;
dall’altro Birgitte, prostituta mino-
renne vittima del fidanzato Peter,
della cui misera vita è responsa-
bile altresì la sorella Linnea. Come
quest’ultima è legata a Peter da
una strana, morbosa complicità
(che arriverà fino al delitto), Martin
sembrerebbe un timido corteg-
giatore di Sofie (verso la quale
tuttavia non si spingerà, almeno
in campo, oltre
l’allusione di una
battuta spiritosa).
Intervistando
Birgitte, Thomas
si innamora e
fugge con lei,
la classica fuga
a due bergma-
niana che trova
(provvisorio)
rifugio nell’attico
simbolico di
una pensione, luogo onirico di spettacolo e apparizioni. Vi ritrovano la
serenità dell’infanzia (Thomas c’era già stato da piccolo con la zia), i
giocattoli, un filmino che, proiettato, renderà allegra la coppia.
Birgitte si apre all’uomo, rompe il guscio che ne faceva un’impersona-
le marionetta senza problemi, sprigiona calore. Lo schermo s’infiam-
ma. Quando i due cominciano ad amarsi, il fuoco del camino sembra
bruciare i fotogrammi (come accadrà con Persona). Sprofondamento
magico nella distanziazione e nel sogno, punto di incontro di un’im-
possibile emozionalità che vorrebbe scansare l’immedesimazione, il
coinvolgimento eccessivo.
Lei si addormenta ed ecco la visualizzazione di un incubo, profe-
zia choc dell’inevitabile ritorno al punto di partenza. Nello stesso
26
65 anni fa, Bergman realizzava “Prigione”
diLeonardoPersia [email protected]
n.96
Prigionieri del diavolo
27luogo, Birgitte, e con lei lo spettatore, aveva
osservato da vicino la miseria isterica della
vita di coppia. La proprietaria della pensione
che litigava col marito; la figlia che, senza
entusiasmo, aspettava il fidanzato (già
cliente della prostituta.) per fuggire dopo
un’inaspettata gravidanza. Nel sogno, la ra-
gazza incinta è vestita a lutto. Il dono gioioso
che offre all’altra (la maternità) diventa un
pesce strangolato. A Birgitte, infatti, avevano
sottratto e ucciso la bambina, epifania di
svolta divelta.
Il diavolo è simia Dei, lercia imitazione di Cri-
sto, uno specchio scuro in aenigmate. Perciò
nel film tutto si trasforma in uno speculare
contrario. La maternità complica, l’amore uc-
cide, gli incontri sono una grazia rovesciata.
Spaventoso soprattutto il collegamento di
uomini ed elementi (quel bambino col coltel-
lo, oggetto che servirà a compiere il suicidio),
nerissima parodia del religere celeste alla
base, anche etimologica, della religione.
Per questa via, Ingmar Bergman riflette sul
dispositivo filmico, sulla sua natura di stru-
mento imitativo. Il cinema come specchio,
con annessi i livelli di essere e apparire della
realtà. E specchio dello specchio, del mezzo
stesso messo in campo attraverso il set,
poi nella miniaturizzazione della comica
proiettata al suo interno, variazione slapstick
della tragedia narrata, dominata da Morte
e Diavolo (il film visto da Thomas e Birgitte).
La sua natura immateriale è superata dalla
compiuta realizzazione di un’idea: il corpo
stesso del film a cui assistiamo.
Malgrado ciò, proprio come gli strani perso-
naggi che completano le due coppie, il film
in sé diventa il terzo elemento materiale ma
inafferrabile (perché extradiegetico, perché
cinema) che presiede alle due epifanie me-
talinguistiche in esso contenute. Qualcosa
che non può andare oltre la pura contempla-
zione e il puro enunciato. E’ probabile che
si citi l’autore della Summa theologica (che
difatti sosteneva la conoscenza esclusiva-
mente discorsiva della speculazione), se non
addirittura l’apostolo scettico di Cristo, nel
nome del personaggio Thomas. Che difatti
sperimenta per (non) credere e (non) capire,
essendo il giornalista e lo sceneggiatore la
cui conoscenza delle miserie altrui è condan-
nata a restare teorica, a dispetto anche di
una partecipazione diretta e dolorosa. La
moglie avverte che l’uomo non fa che recita-
re un ruolo, la sua è tutta scena.
L’autore conosce anche Aristotele (di nuovo
il sapere filosofico come contemplazione),
la sua concezione del tre come completa-
mento necessario di una vicenda narrata
(inizio-centro-fine). Il tre bergmaniano non si
dà come risposta, piuttosto è un interroga-
tivo, sia nel caso dei personaggi correlati alle
coppie, sia nel prodotto finale costituito dal
film Prigione. Non c’è inizio e non c’è fine.
Secondo quanto riferito dal professore, il
diavolo ha ordinato al mondo di restare così
com’è, immobile, facendo poi dell’immobilità
il segreto desiderio delle stesse vittime. Pri-
gioniere della prigione, orrida tautologia che
s’incarna nel sorriso (finzione? disincanto?)
di chi torna all’ovile (Thomas) o nella battuta
di giustificazione, sia pure estorta, di Birgit-
te:. “Io resto qui, loro sono i miei amici e io
sono come loro”.
Bergman mette in discussione la compiu-
tezza del tre, la narrazione risolta. Il ruolo
conchiuso di Birgitte come prostituta senza
problemi (l’intervista che rilascia a Thomas)
viene smentito da un carrello in avanti,
specie di accesso al reale, che, alla fine del
percorso, scambia la ragazza gaudente con
una sofferente. La voce del narratore, a cui
è affidata questa unica battuta, ci avverte
che sono trascorsi sei mesi dalla prima
n.96
apparizione della donna. Quindi pure dall’im-
magine d’esordio di Thomas e Sofie intenti
a ridere, adesso incupiti nel vuoto della loro
esistenza. Sei è un numero che raddoppia il
tre. Numero del sesso, dell’apocalisse e del
diavolo. Gli oscuri elementi che completano
la supposta perfezione della trinità religiosa,
altro residuo aristotelico.
A comple(ta)mento dei due “tre” (il terzo
elemento correlato alle due coppie) manca
l’elemento che confermi la quaterna berg-
maniana, coincidente appunto con l’oscurità
delle cose, la sua apertura all’irrazionale. Un
innominato personaggio, d’indicibile orrore,
irrompe allora come aggressiva apparizione,
prima in un sogno, poi nella realtà, senza
che si sappia niente di lui. Inconsistente mo-
struoso, proprio al pari del diavolo, esclude
definitivamente dalla grazia e dal cambia-
mento la povera Birgitte, vittima sacrificale
di un rito consacrato al demonio. Il fascio di
luce proveniente dalla grata non toccherà il
suo corpo senza vita.
Strani suoni, strane luci, strani fantasmi an-
nunciano la funebre epifania satanica, gusto
bergmaniano per l’horror che si ritroverà a
più riprese nei film successivi, da Il volto a
Fanny & Alexander. E’ l’epitome misteriosa
di un’opera che, benché matematicamente
organizzata, risulta contraddistinta da per-
sonaggi e battute sfuggenti, tali da lasciare
aperti numerosi interrogativi diegetici. Mime-
si ulteriore dell’interrogativo per eccellenza
e senza risposta a cui approda nel finale: la
mancanza di scopo e di clemenza della vita,
tragicomico capolavoro esteso “in un arco
di tempo crudele e voluttuoso, dalla nascita
alla morte”.
La vera carta vincente del diavolo, vi si dice,
è non avere programmi. Chi ne ha, film e
personaggi, è destinato inevitabilmente a
soccombere. n
Un campionato particolare sancirà,
tra un paio di mesi o poco più, otto
vincitori subito e un’altro tra le
classificate dal 9^ al 12^ posto dopo
un supplemento di fatica. Giocare per l’ottavo
posto potrà sembrare facile. In realtà è molto
più difficile delle apparenze perché non c’è il
cuscinetto della metà classifica, zona tranquil-
la dove spesso molte Società preferiscono
vivacchiare per conservare la categoria. Oltre
il nono posto c’è solo il baratro della Serie D.
Dopo anni di sacrifici per rientrare nel giro
che conta, sarebbe deleterio tornare nel
calderone dei dilettanti, categoria affollata da
città blasonate e ricche di storia calcistica. La
congiuntura economica e la finanza allegra
praticata nei decenni passati hanno cancella-
to anni di storia e spesso il fallimento è stato
e continuerà ad essere l’unico modo per usci-
re da una situazione non sanabile. Tante città
e centri importanti, per superare l’amarezza
della fine di una tradizione consolidata, sono
costretti a ripartire dalla Serie D nel migliore
dei casi. Non sempre si ha la possibilità di
ricominciare dalla categoria più alta nei dilet-
tanti per il costo che si dovrà sopportare, per
cui spesso categorie inferiori ( Eccellenza e
Promozione) sono punti di partenza obbligati.
Riemergere dal limbo del dilettantismo è
difficile e faticoso, per cui la saggia dirigenza
del Teramo ha opportunamente optato per un
campionato di vertice. Che sia il primo o l’ot-
tavo posto, lo si vedrà il quattro maggio con
l’ultima giornata, ma non sembra essere un
motivo impellente se non fosse per la voglia
di continuare a vincere come nelle decorse
annate, ivi compresa quella conclusasi nel
giugno scorso con l’esaltante finale dei play –
off . Il campionato offre un quartetto di testa
(Casertana, Teramo, Cosenza e Foggia), città
ricche di storia calcistica nei professionisti,
decisamente avvantaggiate sul gruppo delle
altre attardate di diversi punti. Di fatto sono
le migliori formazioni del raggruppamento,
anche se nel girone di ritorno comincia a sen-
tirsi fatica e logorio di una stagione anomala.
In un lungo e dispendioso torneo,come quello
di quest’anno, non si può pensare di tenere
sempre la testa. Ci si deve accontentare di far
parte del gruppo delle migliori, accettando di
marciare in fila indiana senza dare eccessivo
rilievo alla posizione se non successivamente
in prossimità del traguardo. Nel finale, infatti,
chi dispone più freschezza atletica e forze
residue si aggiudicherà il platonico titolo. Il
Teramo è nel gruppo di testa con alti e bassi
come accade per le altre squadre, ma non
si ravvisano particolari problemi di tenuta
se non le difficoltà legate a fisiologici e
momentanei cali di forma . C’è da mettere in
conto anche le fibrillazioni del calcio mercato
di gennaio. Non ci sono state movimentazio-
ni radicali tali da modificare l’assetto della
squadra. La partenza di Ferrani è importante
al pari dell’arrivo di Ligorio, giocatore di valore,
una garanzia per la categoria. L’infortunio,
purtroppo, lo terrà fuori per un po’ di tempo,
unitamente allo sfortunato De Fabritiis che
ne avrà per tutta la stagione e forse parte
della prossima. Al ritrovato Arcuri, al gruppo
biancorosso si è aggregato Nicola Fiore,
proveniente dal Catanzaro, centrocampista di
qualità che contribuirà alle fortune del Teramo
di quest’anno e dell’anno prossimo, visto
che il calciatore di Vasto ha sottoscritto un
contratto biennale. Un gruppo di giovani pro-
mettenti ( Garofalo, Masullo, Paparelli, Biondo
e Pontons Pazz), tra i quali spicca il boliviano
Alex Fernando Pontons Pazz proveniente dal-
la Nocerina ma di proprietà del Milan, andrà
ad ingrossare la rosa della prima squadra. Il
lavoro del D.S. Di Giuseppe è proiettato nel fu-
turo, senza trascurare ovviamente il presente.
Ad alcuni promettenti giovani della Berretti si
cercherà di affiancare altri altrettanto bravi in
prospettiva futura per convenienza economi-
ca (saggia politica di questi tempi di vacche
magre) e perché lo sport in fin dei conti deve
privilegiare la gioventù nel dare libero sfogo
all’esuberanza e alla vitalità della migliore
età della vita umana. A scelte certamente
condivisibili, deve accompagnarsi parsimonia
e cautela senza perdere di vista la realtà e fin
quando non c’è la certezza di aver incamerati
tanti punti quanti ne bastano per l’obiettivo
di stagione, si dovrà sudare per entrare nella
elite della terza serie nazionale. Il Teramo
lo farà con un organico importante, guidato
da un competente staff tecnico, supportati
da una Società giustamente ambiziosa e
determinata a non farsi sfuggire un obiettivo
importante. n
Calcio28n.96
diAntonio Parnanzone [email protected]
Il Teramo
29Dura Lex Sed Lex
diAlfioScandurra
Incidenti...di percorso
n.96
L’ argomento in trattazione non si presta per una semplice visita-
zione, poiché emergono una serie di casi diversi l’uno dall’altro.
Ad ogni buon conto, è d’obbligo collocare il tutto secondo il
dettame dell’art. 2054 del Codice Civile vigente, che sostituisce il
pilastro su cui si fondano i principi generali della circolazione stradale, ov-
vero “pauca verbis” il risarcimento del danno in caso di sinistro stradale.
La norma, che si colloca nel titolo IX del Codice Civile sotto la fattispe-
cie “dei fatti illeciti”, è da considerare un vero esempio di saggezza del
legislatore poiché risalta la responsabilità del conducente di un veicolo
con obbligo del risarcimento del danno nel caso di sinistro stradale e nel
secondo comma il concorso di colpa dei conducenti nel caso di scontro
tra veicoli, sino a prova contraria; nel senso che opera la presunzione con-
corsuale, che però viene demolita quando uno dei conducenti riesca a di-
mostrare la sua estraneità e la colpa dell’altro, nell’incidente oggetto della
disputa. Comunque sia, in pratica il conducente di un veicolo coinvolto
in un incidente, per ottenere il risarcimento, sia se abbia ragione o torto,
deve inviare alla propria assicurazione una denuncia scritta compilando
il cosidetto “modulo blu” e cioè la contestazione amichevole di incidente
(CAI), che deve contenere tutti i dati necessari per la identificazione dei
veicoli e tutti gli altri dati da cui si possano evincere tutte le modalità
(feriti, testimoni, intervento delle Forze dell’Ordine e quant’altro).
Per ottenere il risarcimento del danno dalla propria compagnia assicura-
tiva è necessario che nell’incidente siano stati coinvolti due veicoli e che
oltre al modulo blu sia stato richiesto l’indennizzo con raccomandata A/R.
La compagnia di assicurazione dello stesso richiedente, entro 60 giorni,
deve formulare un’offerta di risarcimento (ma tali limiti possono essere
superati). È chiaro che fuori dai casi di cui sopra non possa essere richie-
sto il risarcimento diretto e cioè nel caso di danni fisici consistenti (più del
9% di invalidità permanente) e nel caso di coinvolgimento di più veicoli,
ma occorre procedere per via ordinaria rivolgendosi alla compagnia di
assicurazione del responsabile, sempre con raccomandata A/R.
Tutto quanto sopra in linea di massima.
Ma non può essere sottaciuto il comportamento che in ogni caso deve
tenere il conducente del veicolo nella situazione di coinvolgimento in un
incidente. L’utente della strada (ovvero l’automobilista) in caso di sinistro
stradale che lo vede coinvolto, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare soc-
corso a persone eventualmente ferite ed adoperarsi per la ricostruzione
dinamica del sinistro, anche allo scopo di evitare l’alterazione dello stato
dei luoghi. Ma se non vi sono stati feriti, gli utenti della strada ai sensi
dell’art. 189 comma 3 e art. 161 del Codice della Strada, devono, ove
possibile, evitare l’intralcio alla circolazione, provvedendo a spingere le
auto coinvolte fuori dalla carreggiata o ai limiti di essa. n
I niziamo dalla maschile che a detta di molti sta attraversando un
momento di difficoltà. Anche se la stagione sportiva sta volgendo
al termine affiorano problemi di vario genere che hanno costretto
altri due giocatori della prima squadra a dichiarare forfait, l’uno
per motivi di lavoro e l’altro per aver ricevuto una allettante offerta
da una società svizzera. Con un organico ridotto la Teknoelettronica
è costretta a navigare a vista. Finita la stagione regolare la stessa di-
sputerà i play off, peraltro conquistati con largo anticipo, con elementi
del vivaio che non potranno garantire un risultato di prestigio ma che
servirà ai giovani di crescere. In ogni caso la società, nonostante l’an-
damento economico generale che ha coinvolto in maniera pesante lo
sport cercherà di concludere la sua stagione in maniera dignitosa.
Per quanto concerne la femminile Artrò – Globo – Allianz Teramo,
avendo fallito l’obiettivo play off dovrà ora pensare alla disputa del
play out per evitare la retrocessione. Per la squadra femminile non è
stata di certo una stagione esaltante che si è chiusa tra le polemiche
suscitate dalle dimissioni di Chionchio e dal successivo apporto tecni-
Sport30 dallaRedazione [email protected]
n.96
Pallamanoco di Massotti. Alla luce dei
fatti Il cambio della guardia
nella conduzione tecnica
non ha portato alcun bene-
ficio, facendo pensare che i
problemi erano altrove e di
altra natura. Probabilmente,
ma è un nostro pensiero,
l’equipe societaria non è
stata in grado di mantenere
fede alle aspettative ostentate ad inizio stagione. Finita la stagione
regolare, si disputeranno a Casalgrande (Re) le Final Eight di Coppa
Italia e a seguire i Play Out che chiuderanno la stagione.
Attendiamo ora di conoscere quali saranno gli obiettivi societari per la
prossima stagione.
P.S.
Notizie dell’ultima ora danno l’allenatore Marcello Fonti, dimissionario
dalla Teknoelettronica Teramo.
I motivi sarebbero da ricercare nel mancato pagamento degli emolu-
menti (non è dato sapere di quante mensilità). Ma la cosa più curiosa
è quella che Franco Chionchio già gloria della Pallamano teramana
e nazionale e già,”dimissionato” dalla dirigenza della Artrò - Globo
- Allianz Teramo per divergenze sulle modalità di conduzione della
squadra femminile e sostituito alla guida della squadra dall’altra gloria
teramana e nazionale Settimio Massotti, sia stato chiamato a guidare
la Teknoelettronica Teramo. n
Maschile e femminile