tesi antonio alemanno

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE DELLE PROFESSIONI SANITARIE TECNICHE-DIAGNOSTICHE TESI DI LAUREA IL RUOLO DEL DIRIGENTE NEL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE Relatore: Chiar.mo Prof. ANGELO MOSCO Laureando: ANTONIO ALEMANNO ANNO ACCADEMICO 2005-2006

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Page 1: Tesi Antonio Alemanno

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE DELLE PROFESSIONI

SANITARIE TECNICHE-DIAGNOSTICHE

TESI DI LAUREA

IL RUOLO DEL DIRIGENTE NEL

DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI

SANITARIE

Relatore: Chiar.mo Prof. ANGELO MOSCO

Laureando: ANTONIO ALEMANNO

ANNO ACCADEMICO 2005-2006

Page 2: Tesi Antonio Alemanno

2

a Grazia

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3

INDICE

INTRODUZIONE

Capitolo 1

L’EVOLUZIONE DELL’ASSETTO ORGANIZZATIVO NELLE AZIENDE SANITARIE.

1.1. ELEMENTI GENERALI E TEORIE DELL’ORGANIZZAZIONE.

1.2. LA CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE SANITARIE.

1.3. DAL MODELLO BUROCRATICO A QUELLO PROFESSIONALE

Capitolo 2

L’EVOLUZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE NON MEDICHE.

2.1. ASPETTI PECULIARI DEL PERSONALE SANITARIO.

2.2. IL PERCORSO DELLA PROFESSIONE: DA “ARTE AUSILIARIA” ALLA DIRIGENZA.

Capitolo 3

IL DIPARTIMENTO COME STRUMENTO ORGANIZZATIVO ADOTTATO DALLE AZIENDE SANITARIE

PER GESTIRE L’EVOLUZIONE STRUTTURALE E PROFESSIONALE.

3.1.ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DEL DIPARTIMENTO

3.2.TIPOLOGIE E RUOLO DEL DIPARTIMENTO NELL’AZIENDA SANITARIA.

3.3 IL FUNZIONAMENTO DEL DIPARTIMENTO

3.4. IL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE.

Capitolo 4

IL RUOLO DEL DIRIGENTE LAUREATO IN SCIENZE DELLE PROFESSIONI SANITARIE TECNICO-DIAGNOSTICHE NEL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE.

4.1. COMPITI E FUNZIONI DELL’AREA TECNICO-DIAGNOSTICA

4.2. CONCLUSIONI: VERSO UNA NUOVA techne.

BIBLIOGRAFIA

RIFERIMENTI LEGISLATIVI

Page 4: Tesi Antonio Alemanno

4

INTRODUZIONE

Alle professioni sanitarie, dal punto di vista formativo, è stata data

nuova dignità dalla riforma universitaria iniziata nel 1999 e che sta per

concludersi proprio in questo anno, con i conferimenti della laurea

specialistica. Tali professionisti hanno assunto sempre maggior

importanza nell’ambito dell’organizzazione del lavoro nelle aziende

sanitarie.

Contemporaneamente anche l’azienda sanitaria, a partire dal

decreto legislativo 502 del 1992, ha subìto un’evoluzione organizzativa

che ne ha fatto un organo decisamente complesso.

Il seguente lavoro è un tentativo di connessione, tra queste due

riorganizzazioni, attraverso lo strumento organizzativo che meglio si

presta a questo scopo: il modello dipartimentale.

Nel primo capitolo si descrive l’evoluzione dell’assetto organizzativo

nelle aziende sanitarie, sia dal punto di vista teorico, secondo le teorie di

Henry Mintzberg, sia in base all’aspetto legislativo. Infatti,

l’organizzazione sanitaria diventa aziendale soprattutto dietro la spinta

del contenimento della spesa pubblica, implicitamente affermato dall’art.

97 della Costituzione sul buon andamento della Pubblica

Amministrazione.

Page 5: Tesi Antonio Alemanno

5

Tipica forma organizzativa in campo sanitario è quella del potere

professionale, caratterizzata da personale cui sono richiesti elevati livelli

di competenza e che, anche in virtù delle responsabilità riconosciute

dalla normativa, opera in condizioni di rilevante autonomia.

Sui professionisti non medici è incentrato il secondo capitolo. Il

rispettivo percorso di professionalizzazione partito alla metà del secolo

scorso, ha avuto un’accelerazione e si è quasi completato con la legge

251/00 “Disciplina delle professioni sanitarie (…)”, che istituisce la

dirigenza e la laurea specialistica.

Negli ultimi due capitoli il campo degli argomenti si è ristretto intorno

al modello dipartimentale, scegliendo l’ambito ospedaliero rispetto a

quello territoriale.

Il dipartimento è riconosciuto da numerosi autori come

l’organizzazione adatta, quando si lavora per processi. Anche a livello

legislativo, la legge 229/99 riconosce l’organizzazione dipartimentale

come modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle

aziende sanitarie.

Sempre in ambito legislativo, la legge 251/00 non obbliga le aziende

ad istituire una modello organizzativo per le professioni sanitarie, ma ne

concede solo la possibilità. Per questo motivo, in quelle regioni dove già

c’era una certa cultura organizzativa, sono nati numerosi esempi di

Page 6: Tesi Antonio Alemanno

6

strutture organizzate a tale scopo. Gran parte della bibliografia

sull’argomento nasce in quelle realtà.

Soprattutto, un dipartimento che prevede la gestione di tutte le

professioni sanitarie è ancora una realtà da costruire nella maggior

parte dei sistemi sanitari regionali italiani.

Il quarto capitolo prova a tracciare quali competenze spetterebbero

al professionista laureato in Scienze delle professioni tecniche-

diagnostiche se operasse in un “Dipartimento delle professioni sanitarie”

a livello d’azienda ospedaliera.

Infine, il paragrafo conclusivo cerca di comporre un discorso sulla

tecnica, intesa come possibile caratteristica comune ai professionisti

dell’area tecnico-diagnostica, al pari di quello che rappresenta

l’assistenza per gli infermieri e la diagnosi e cura per i medici. La classe

delle “professioni sanitarie tecniche” rappresenta la categoria più

eterogenea dei quattro gruppi in cui sono divise le professioni sanitarie, e

questo è un altro motivo per accrescerne le competenze comuni in vista

di un prossimo sviluppo organizzativo.

A conclusione di questo lavoro, desidero ringraziare il Professor

Angelo Mosco, ispiratore di questa tesi, che mi ha sempre dimostrato

grandissima disponibilità.

Page 7: Tesi Antonio Alemanno

7

Capitolo 1

L’EVOLUZIONE DELL’ASSETTO ORGANIZZATIVO NELLE AZIENDE SANITARIE.

1. ELEMENTI GENERALI E TEORIE DELL’ORGANIZZAZIONE.

Il termine “organizzazione” è qui inteso come quella disciplina che

studia i criteri di divisione del lavoro e le sue necessarie modalità di

coordinamento, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi posti dal

vertice. L’assetto organizzativo realizza in particolare un collegamento

tra le persone e la tecnica, rappresentata dagli strumenti utilizzati e dalle

conoscenze necessarie nello svolgimento delle attività.

Secondo il modello proposto da Henry Mintzberg1, le parti che

compongono una qualsiasi organizzazione sono:

- il vertice strategico;

- il nucleo operativo;

- la linea intermedia (tra nucleo operativo e vertice strategico);

- la tecnostruttura (posta all’esterno della gerarchia costituita dalla

linea intermedia);

- i servizi di supporto (unità che forniscono specifici servizi indiretti).

I collegamenti verticali costituiscono la line, essi coordinano le azioni

tra il vertice e la base dell’organizzazione e sono finalizzati al controllo

della stessa. 1 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, il Mulino, Bologna, 1985

Page 8: Tesi Antonio Alemanno

8

I collegamenti orizzontali si riferiscono al coordinamento tra unità

organizzative preposte a compiti diversi, ma allo stesso livello

gerarchico, all’interno di questa tipologia rientrano i ruoli di staff. Questi

sono caratterizzati da un potere “professionale” e hanno funzione di

supporto, consulenza e sostegno alle decisioni assunte dalla line.

Fig. 1 Le cinque parti fondamentali dell’organizzazione2

Il nucleo operativo è composto dagli operatori che svolgono l’attività

fondamentale che si materializza nella produzione di beni o

nell’erogazione di servizi, rappresenta il cuore dell’organizzazione e al

suo interno opera con procedure molto standardizzate.

Il vertice strategico, invece, è formato da soggetti che sono investiti

allo stesso tempo del binomio potere-responsabilità: le persone che lo

compongono devono controllare che il perseguimento dell’obiettivo

2 Henry Mintzberg “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op.cit. ,pag. 48

Page 9: Tesi Antonio Alemanno

9

aziendale si realizzi concretamente, attraverso strategie decise ex-ante e

nel rispetto dei vincoli economico-finanziari.

Vertice strategico e nucleo operativo sono collegati da un binario

diretto di potere formale che va a formare la linea intermedia.

Infine la tecnostruttura e le unità di supporto sono accomunate dal

fatto di non essere direttamente coinvolte dal flusso di lavoro operativo.

Si distinguono perché la prima ha funzioni di controllo e la possibilità di

attuare forme di standardizzazione, mentre le seconde devono svolgere

solo ed esclusivamente funzioni specifiche, in piena indipendenza dal

nucleo operativo principale.

Il potere, inteso non come assoluto, ma come elemento che nasce

da una relazione fra gli attori coinvolti nell’attività dell’azienda, è

distribuito seguendo le linee gerarchiche tracciate dal vertice ed è

fondamentale distinguere, all’interno di una rappresentazione

organizzativa, una struttura accentrata da una decentrata.

Si tratta di vedere dove (inteso come luogo strategico) sono prese le

decisioni che risultano rilevanti per la definizione delle modalità d’azione.

Di conseguenza, in base alle modalità di sviluppo dei processi

decisionali con riferimento al contenuto di discrezionalità, è possibile

distinguere fra struttura accentrata e struttura decentrata.

Page 10: Tesi Antonio Alemanno

10

La discriminazione è fatta in base alle modalità d’attribuzione

dell’autorità: quando il diritto di prendere decisioni è riposto nelle mani di

una sola persona abbiamo una struttura accentrata, decentrata se ci

troviamo di fronte ad una diffusione di tale potere fra più persone.

Il decentramento3 può verificarsi lungo due direzioni:

verticale, nel caso di delega di potere in senso discendente

lungo la linea gerarchica d’autorità (la line)�

orizzontale, nel caso l’attribuzione del controllo sui processi

decisionali si sposta dai manager di line ai responsabili delle unità di

staff e agli operatori.

Queste tipologie di decentramento rappresentano due parametri

fondamentali nell’organizzazione della struttura e possono essere visti

anche gli estremi di un continuum: un accentramento sia orizzontale sia

verticale porta alla concentrazione del potere nel vertice, mentre un

decentramento in entrambe le direzioni conduce alla detenzione

dell’autorità direttamente da parte degli operatori.

Ognuna delle cinque parti costituenti un’organizzazione (vertice

strategico, nucleo operativo, linea intermedia, tecnostruttura e staff di

supporto) esercita un maggior potere sulle altre orientando

l’organizzazione stessa in cinque direzioni diverse, ciascuna

3 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit., pag.165

Page 11: Tesi Antonio Alemanno

11

riconducibile ad una delle sue parti. In base all’azione dominante si

delineano cinque configurazioni differenti4:

1) emerge la struttura semplice, quando il vertice

strategico esercita una spinta verso l’accentramento. Questo gli

consente di mantenere il controllo sulle decisioni esercitando la

supervisione diretta.

2) Per contro, i membri del nucleo operativo possono

cercare di minimizzare l’influenza della direzione sul loro lavoro,

promovendo il decentramento verticale e orizzontale. Se

conseguono questo risultato, essi operano in modo relativamente

autonomo, raggiungendo il coordinamento necessario attraverso la

standardizzazione delle capacità. Di conseguenza, gli operatori

esercitano una spinta verso la professionalizzazione, vale a dire

verso il ricorso ad una formazione esterna che sviluppi le capacità

necessarie. Nella misura in cui i fattori situazionali favoriscono

quest’azione, emerge la configurazione denominata burocrazia

professionale.

3) Anche i manager della linea intermedia ricercano

l’autonomia, ma la possono raggiungere sottraendo potere o al

vertice strategico oppure al nucleo operativo: si privilegia, perciò,

4 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pag.243 e ss.

Page 12: Tesi Antonio Alemanno

12

un decentramento verticale limitato, chiamato soluzione

divisionale.

4) Se invece la tecnostruttura esercita una forte

standardizzazione, in particolare verso i processi di lavoro (la

forma più vincolante di standardizzazione), limita la spinta

orizzontale. Questa è la burocrazia meccanica, molto vicina al

modello burocratico di Max Weber caratterizzato da un controllo

dei risultati attraverso un rigido controllo dei processi5. In tale

modello organizzativo la gerarchia, certa e definita, si unisce ad

una divisione del lavoro chiara e ben disciplinata.

5) Infine, il servizio di supporto esercita la massima

influenza non quando i suoi membri hanno piena autonomia ma

quando, in forza della loro competenza, ne sono richiesti la

collaborazione e l’intervento nel processo decisionale. In questa

situazione è intesa l’adhocrazia.

5 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, McGrawHill, Milano, 2000, pag. 9

Page 13: Tesi Antonio Alemanno

13

Fig. 2 Le cinque spinte sull’organizzazione6

Ritornando al fine perseguito dall’organizzazione, secondo Richard

L.Daft7, l’obiettivo generale di un’organizzazione è spesso chiamato

anche “missione”. Questa rappresentazione ne riassume la visione, le

convinzioni e i valori condivisi. Essa ha anche l’obiettivo di comunicare

all’interno (dipendenti) e all’esterno (clienti) le finalità che il progetto

organizzativo si pone.

La comprensione degli obiettivi e delle strategie organizzative

costituisce un primo passo verso l’efficacia organizzativa intesa come

misura in cui si realizzano gli obiettivi prefissati. Si tratta di un concetto

ampio, che prende in considerazione una gamma di variabili sia a livello

generale sia a livello delle unità organizzative.

6 Henry Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pag 245

7 Richard L.Daft, “ Organizzazione aziendale ”, Apogeo, Milano, 2004, pag. 50

Page 14: Tesi Antonio Alemanno

14

L’efficienza è un concetto più limitato, che attiene al funzionamento

interno dell’organizzazione: l’efficienza è l’ammontare di risorse utilizzate

per produrre un’unità di output e può essere misurata come rapporto tra

input e output. Se un’organizzazione raggiunge un certo livello di output

con minore ammontare di risorse rispetto ad un’altra organizzazione, è

descritta come più efficiente.

A questi concetti rimanda anche l’articolo 97 della Costituzione

Italiana quando, con il principio del buon andamento, impone che

l’azione amministrativa debba svolgersi secondo regole di buona

amministrazione. Pertanto, la stessa dovrà attenersi ai criteri di efficacia

e di efficienza. L’efficienza è determinata dal rapporto intercorrente tra i

risultati raggiunti dall’azione amministrativa e la quantità delle risorse

impiegate. L’efficacia concerne invece la capacità di conseguire gli

obiettivi che si erano preventivamente fissati. Efficacia ed efficienza

costituiscono perciò due parametri distinti e non coincidenti. Potrebbe

infatti sussistere l’ipotesi di un’amministrazione efficiente in relazione alle

poche risorse attribuite, ma non efficace. Viceversa, un’amministrazione

che raggiungere gli obiettivi prefissati (efficacia) non è detto che lo faccia

in maniera efficiente.

Proprio la riduzione di risorse attese e la pressione dei livelli di

governo per la riduzione delle spese generano tensioni nel valutare le

Page 15: Tesi Antonio Alemanno

15

modalità di allocazione e di utilizzo delle risorse. Queste pressioni

determinano la necessità di dotarsi di sistemi di valutazione dei risultati e

d’impiego delle risorse. Ecco che emerge nelle aziende sanitarie il

controllo di gestione inteso come un processo attraverso cui ci si

assicura che, all’interno di un’azienda, siano perseguite l’efficacia e

l’efficienza in modo continuo8.

8 Antonio Pagano e Giorgio Vittadini, “ Qualità e valutazione delle strutture sanitarie ” Etas, 2004, pag. 38

Page 16: Tesi Antonio Alemanno

16

2. LA CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE AZIENDE SANITARIE.

Applicando la teoria di Mintzberg alle aziende sanitarie, non avremo

una figura d'insieme rigida, in cui ad ogni livello corrisponde una

struttura, bensì alcuni elementi organizzativi possono svolgere la loro

funzione in più parti dello schema teorico.

Il vertice strategico comprende gli organi responsabili dei risultati

finali e del governo economico dell’azienda. Ha funzione sia di

rappresentanza esterna sia di leadership, ha il compito di definire la

strategia aziendale e di procedere all’allocazione delle risorse tra le

diverse parti componenti l’azienda.

Il vertice strategico nelle aziende sanitarie può configurarsi secondo

due modalità:

a) è rappresentato dal solo Direttore Generale, che “è

responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili

delle strutture operative dell’azienda” (art. 2 decreto legislativo

229/99);

b) è rappresentato dal Direttore Generale, dal Direttore

Amministrativo e dal Direttore Sanitario, secondo una configurazione

più allargata.

Page 17: Tesi Antonio Alemanno

17

Queste tre figure, che rappresentano il vertice di primo livello con

funzioni d’indirizzo e coordinamento, sono affiancate nello svolgimento

della loro attività da organi strategici di secondo livello:

• il Collegio di Direzione strategica, con funzione di supporto al

direttore generale per il governo delle attività cliniche. Nell’attuale

configurazione dipartimentale ed imprenditoriale delle aziende, tale

struttura è un’opportuna sede di raccordo e coordinamento per

l’elaborazione dei programmi, per lo sviluppo dei servizi e per l’utilizzo

delle risorse umane9;

• il Nucleo di Valutazione, organo responsabile finale

dell’efficacia dei processi di valutazione annuale delle prestazioni e di

erogazione della retribuzione di risultato10.

La linea intermedia ha invece la funzione di collegare il vertice al

nucleo operativo, cui adempie attraverso figure manageriali alle quali è

attribuita la responsabilità gerarchica di tradurre gli obiettivi generali in

obiettivi specifici. Essa è rappresentata dai dirigenti dei dipartimenti e, in

secondo ordine, dai dirigenti delle unità operative.

Il nucleo operativo è rappresentato dall’insieme delle unità operative

e svolge le funzioni di produzione ed erogazione delle prestazioni

sanitarie. Composto da professionisti, rappresenta la componente

9 Giampiero Cilone, “Diritto sanitario”, Maggioli Editore, 2005, pag. 200

10 Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, McGraw Hill, 2005, Milano, pag. 301

Page 18: Tesi Antonio Alemanno

18

fondamentale dell’organizzazione aziendale. In tal senso si considerano

nucleo operativo le strutture complesse e semplici in cui si articolano i

dipartimenti.

Le tecnostrutture, o staff, comprendono gli organi responsabili

dell’analisi, controllo e standardizzazione delle funzioni aziendali.

Rappresentano uffici di supporto al vertice aziendale e ai professionisti.

Per questo motivo si possono dividere in due tipologie:

• TECNOSTRUTTURA SANITARIA, che ha un ruolo di coordinamento

tecnico-scientifico, con compiti di elaborazione di linee-guida e di

protocolli tecnici;

• TECNOSTRUTTURA AMMINISTRATIVA, che soprattutto con il

Nucleo Controllo Gestione supporta la direzione con strumenti di

programmazione, controllo e regolazione del funzionamento

aziendale.

Infine, i servizi di supporto sono gli organi che forniscono all’azienda

un sostegno non direttamente riferibile all’attività caratteristica, ma che

comunque ne facilitano il funzionamento11. Con riferimento ad

articolazioni organizzative, possiamo avere classici servizi come

l’Economato, la Farmacia, ecc.

11 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pagg. 157-160

Page 19: Tesi Antonio Alemanno

19

Dal punto di vista del governo organizzativo, nel settore sanitario

prevale una forma definita “burocrazia professionale”12. Questo modello

è quello che meglio si applica ad organizzazioni che svolgono attività

stabili ma complesse, che richiedono un comportamento standardizzato

e un controllo diretto da parte degli operatori, quale appunto è l’azienda

sanitaria.

Di conseguenza, mentre la burocrazia classica si fonda sull’autorità

di natura gerarchica (il potere della posizione), la burocrazia

professionale pone l’accento sull’autorità di natura professionale (il

potere della competenza).

Il carattere di professionalità deriva dalla presenza di attività che

richiedono notevoli conoscenze da parte degli operatori e comporta che

il meccanismo di coordinamento principale sia la standardizzazione delle

capacità, attraverso la definizione di standard e la presenza di percorsi

formativi e comuni. Nonostante ciò, permangono in ogni modo dei

margini di discrezionalità all’interno dei quali il professionista sanitario

può agire come più ritiene opportuno. A queste differenze vuol far

riferimento il paragrafo successivo.

12 H. Mintzerberg, “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. , pagg. 291-295

Page 20: Tesi Antonio Alemanno

20

3. DAL MODELLO BUROCRATICO A QUELLO PROFESSIONALE

Con la legge 833/78 il legislatore, nel progettare il nuovo sistema

sanitario, aveva istituito le unità sanitarie locali. Le norme che le

costituivano erano così rigide e restrittive da determinare lo sviluppo di

strutture organizzative di tipo burocratico.

La dirigenza medica e amministrativa era completamente de-

responsabilizzata dalla discrezionalità gestionale e non era chiamata a

rispondere dei risultati indotti dalle proprie scelte e comportamenti.

Questo avveniva sia in termini di livelli quali-quantitativi di erogazione dei

servizi ottenuti, sia in termini di consumo di risorse economiche13. Negli

anni successivi, l’incapacità di tale approccio di governare l’intero

sistema ha determinato l’esigenza di decentrare maggiore autonomia e

responsabilità a livello regionale e locale. L’attenzione si è focalizzata

sulla progettazione di strutture organizzative più adeguate a sviluppare

meccanismi di coordinamento, e di sistemi operativi che supportassero i

fabbisogni di governo economico e d’integrazione tipici del settore

sanitario.

In quest’ambito s’inserisce il processo di riforma che ha avuto

origine con i decreti legislativi 502/92 e 517/93. L’obiettivo di questo

primo riordino del Servizio Sanitario Nazionale è stato ridare efficienza al

sistema e contenere la spesa sanitaria. 13 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pagg. 22-24

Page 21: Tesi Antonio Alemanno

21

Per cui, in seguito, le USL e alcuni ospedali che presentavano

specifiche caratteristiche vengono riconosciuti aziende, sono governate

da un Direttore generale nominato dalle Regioni ed hanno autonomia

giuridica, patrimoniale, contabile, organizzativa, gestionale e tecnica.

L’innovazione continuerà poi con il D.Lgs.229/99 che accelera i

processi di cambiamento già in atto.

Se si considerano gli aspetti che più vanno ad incidere

sull’organizzazione, il decreto 229/99:

- introduce il concetto di “autonomia imprenditoriale” delle USL e

degli ospedali. Essi si costituiscono in azienda con “personalità giuridica

pubblica” attraverso un atto aziendale di diritto privato che disciplina la

loro organizzazione e funzionamento;

- rafforza l’introduzione di sistemi di responsabilizzazione sui

risultati, e collega la linea del “potere organizzativo” con il principio della

responsabilità dei risultati e non più delle responsabilità per gli atti o dei

poteri legati al ruolo;

- crea un unico livello dirigenziale sanitario che, se sarà applicato

secondo logiche adeguate, potrà consentire di articolare le responsabilità

professionali e gestionali molto più di quanto non sia avvenuto in

passato, offrendo l’opportunità di creare percorsi di carriera orizzontali in

una logica di maggiore flessibilità e dinamicità per l’azienda.

Page 22: Tesi Antonio Alemanno

22

Dal punto di vista organizzativo, l’evoluzione avvenuta nel sistema

sposta l’attenzione dalla dimensione istituzionale a quella del governo

delle singole aziende, in coerenza con il binomio autonomia-

responsabilità professionale.

Riconoscere quest’elevato livello d’autonomia professionale significa

riprogettare l’organizzazione dell’azienda sanitaria, passando proprio da

una forma burocratica ad una professionale.

Nella forma professionale le cinque componenti dell’assetto

organizzativo dovrebbero caratterizzarsi per i seguenti elementi14:

• il vertice strategico dovrebbe fungere da promotore e attivatore

delle professionalità e delle relative autonomie presenti nel nucleo

operativo e nei quadri intermedi, evitando in ogni modo stili direzionali di

tipo gerarchico-censori;

• gli staff della direzione dovrebbero contribuire alla crescita

professionale diffusa e allo sviluppo di capacità imprenditoriali

decentrate, riuscendo a farsi percepire dai quadri intermedi e dai

rispettivi nuclei operativi come reali servizi di supporto alle unità

operative;

• i servizi di supporto amministrativi e tecnico-logistico-alberghieri

dovrebbero caratterizzarsi per il loro ruolo di servizio nei confronti del

14 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 176

Page 23: Tesi Antonio Alemanno

23

nucleo operativo, attenti a presidiare anche la qualità percepita da parte

dell’utente.

Ma la relazione più complessa da analizzare e da strutturare è

quella tra quadri intermedi e nucleo operativo. In questo rapporto si

scontrano i poteri della linea gerarchica con l’autonomia del

professionista sanitario. Soprattutto quando il professionista non si

riconosce (per appartenenza di competenze) nel quadro intermedio, la

collaborazione incontra resistenze.

Altre difficoltà sembrano nascere anche tra la “gestione attiva del

personale” (nei quadri che si stanno managerializzando) e le resistenze

verso questa trasformazione manifestate da parte del nucleo operativo.

Probabilmente dietro questi attriti resiste una rigida cultura del

dipendente pubblico, restia ai cambiamenti.

Pertanto, per governare il nucleo operativo s’impongono sempre più

stili direzionali dei quadri intermedi coerenti con una logica professionale:

partecipativi, coinvolgenti, basati sul rispetto e la valorizzazione

dell’autonomia professionale (Borgonovi, 1996)15. Queste dinamiche

saranno l’argomento del prossimo capitolo.

15 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 177

Page 24: Tesi Antonio Alemanno

24

Capitolo 2

L’EVOLUZIONE DELLE PROFESSIONI SANITARIE NON MEDICHE.

1. ASPETTI PECULIARI DEL PERSONALE SANITARIO.

Il discorso sui modelli organizzativi fino ad ora espresso non può

trascendere da un dato di fatto: sono le persone che si muovono

all’interno delle organizzazioni e le costruiscono in conformità a modelli

più o meno teorici.

Il personale sanitario costituisce, quindi, l’elemento centrale del

patrimonio aziendale. Attitudini individuali, conoscenze professionali,

motivazione, responsabilità di donne e uomini che prestano la loro opera

per numerose ore al giorno, ne determinano in modo fondamentale

funzionalità e risultati. Nelle aziende sanitarie tali aspetti sono messi in

risalto dai seguenti motivi16:

a. quelle assistenziali sono attività di servizio, in cui l’apporto

dell’uomo è molto più importante che in attività di tipo

manifatturiero in cui i processi d’automazione hanno spesso fatto

sparire le persone. Rispetto alle attività di produzione dei beni, la

possibilità di standardizzare le prestazioni sanitarie risulta più

limitata e le persone continuano a svolgere ruoli difficilmente

sostituibili dalle macchine; 16 Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, op. cit., pag. 12

Page 25: Tesi Antonio Alemanno

25

b. si tratta d’attività di servizio ad alta intensità di contatto con

l’utenza, e ciò amplifica la valenza delle qualità personali,

evidenziando l’importanza delle capacità d’ascolto,

comunicazione ecc. Le qualità personali non hanno impatti solo

interni, organizzativi, ma sono percepibili direttamente dagli utenti

finali del servizio, con conseguenze importanti sulla capacità di

comprensione dei bisogni, di risposta rispetto ad essi, di

soddisfazione e fidelizzazione degli utenti, soprattutto in un

contesto nel quale la qualità della relazione tra professionista e

utente è spesso una determinante importante dell’efficacia finale

dei servizi;

c. l’autonomia professionale implica decisioni discrezionali dei

professionisti, il che lascia spazio a processi produttivi meno

proceduralizzati rispetto ad altri settori, rende difficile definire

controlli automatizzati e collega la qualità dei servizi a quella dei

professionisti che li erogano.

Oltre all’autonomia professionale, un altro aspetto caratteristico del

mondo sanitario – in grado che non ha pari nell’intero mondo del lavoro –

è la presenza di professioni codificate e organizzate in ordini e collegi

professionali.

Page 26: Tesi Antonio Alemanno

26

Sono proprio le professioni sanitarie le unità elementari che

costituiscono l’ossatura del sistema di divisione del lavoro, con

combinazioni che sono frutto di negoziazioni e scontri tra gruppi

professionali.

Come osserva W. Tousijn (2000)17: “il funzionamento di un qualsiasi

reparto ospedaliero non può essere analizzato […] solo come il risultato

di una determinata logica organizzativa. In quel reparto si confrontano

professioni organizzate; le logiche non sono soltanto quelle

organizzative, ma sono logiche professionali”.

17 Carlo De Pietro, “ Gestire il personale nelle aziende sanitarie italiane ”, op.cit., pagg. 56-57

Page 27: Tesi Antonio Alemanno

27

2. IL PERCORSO DELLA PROFESSIONE: DA “ARTE AUSILIARIA” ALLA

DIRIGENZA.

A partire dagli anni ’80, la posizione di dominanza, che in campo

sanitario era stata tradizionalmente attribuita alla professione medica

sulle altre occupazioni professionali, è stata messa in discussione dai

cambiamenti che si sono verificati nel sistema.

L’avvento del management, l’attenzione ai costi e all’efficienza,

l’introduzione dei meccanismi concorrenziali hanno portato ad un

superamento del modello tradizionale centrato sulla figura del medico. In

alternativa viene proposto un assetto organizzativo multiprofessionale,

che valorizza il contributo di tutti gli operatori del settore, introducendo

maggiore parità18.

Le professioni sanitarie sono state istituite nel 1934, dall’articolo 99

del Regio Decreto n. 1265, che suddivideva le professioni sanitarie in:

-professioni sanitarie cosiddette principali, rappresentate dal medico

chirurgo, dal veterinario, dal farmacista e dall’odontoiatra;

-professioni sanitarie ausiliari, rappresentate dalla levatrice,

dall’assistente sanitaria visitatrice e dall’infermiere diplomato e, fino al

febbraio 1999, da tutte le professioni che hanno avuto la pubblicazione di

un profilo professionale;

18 W. Tousijn, “ Le professioni sanitarie non mediche: una riflessione sociologica ”, in Luca Benci, “ Le professioni sanitarie (non mediche). Aspetti giuridici, deontologici e medico-legali ”, McGraw Hill, Milano, 2002

Page 28: Tesi Antonio Alemanno

28

-arti ausiliarie delle professioni sanitarie, rappresentate per esempio

dall’odontotecnico, dall’infermiere generico, dall’ottico e dal tecnico

sanitario di radiologia medica.

Negli anni successivi, il processo di professionalizzazione, la

formazione universitaria, le leggi di riorganizzazione e d’inquadramento

professionale, hanno raggruppato le professioni sanitarie in modo più

omogeneo. Il processo è stato avviato nel 1991, anno in cui si

istituiscono i diplomi universitari per la formazione infermieristica.

Nel 1992, con il decreto 502, sono istituiti i rispettivi profili

professionali: il Ministero della Sanità individua con proprio decreto le

figure da formare e le relative competenze.

Le due leggi fondamentali per la riforma del sistema delle professioni

sono:

1) la legge 26 febbraio 1999, n. 42, “Disposizioni in materia di professioni

sanitarie”, che all’articolo 1 stabilisce l’abrogazione del Testo Unico delle

leggi sanitarie del 1934 e fissa che le figure professionali devono essere

qualificate come professioni sanitarie, eliminando il concetto di

ausiliarità. Profilo professionale, codice deontologico e ordinamento

didattico della formazione universitaria diventano così i riferimenti

concreti per l’individuazione delle competenze di ciascuna specifica

professione;

Page 29: Tesi Antonio Alemanno

29

2) la legge 10 agosto 2000, n. 251, “Disciplina delle professioni sanitarie

infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione, nonché

della professione ostetrica”, che istituisce la dirigenza infermieristica e

delle altre professioni sanitarie e la laurea specialistica.

È evidente che la trasformazione che si è verificata nell’ordinamento

delle professioni sanitarie non mediche abbia delle ripercussioni a livello

organizzativo, soprattutto per quanto riguarda la gamma dei ruoli e delle

posizioni.

Il modello che scaturisce come risposta all’introduzione delle novità

in tale ambito e alla crescente complessità delle organizzazioni sanitarie,

è la necessità di una gestione trasversale delle attività.

La legge 251/00, infatti, all’art. 7, stabilisce che “al fine di migliorare

l’assistenza e per la qualificazione delle risorse le aziende sanitarie

possono istituire il servizio dell’assistenza infermieristica ed ostetrica e

possono attribuire l’incarico di dirigente del medesimo servizio”.

Questo passaggio rappresenta una tappa fondamentale in quanto

conduce all’istituzione - all’interno dell’assetto organizzativo - di un

nuovo organo, basato sull’appartenenza professionale, che taglia

trasversalmente la struttura dell’azienda e che ha il compito di gestire

l’offerta di competenze professionali specialistiche.

Page 30: Tesi Antonio Alemanno

30

Da quest’esigenza prende piede un’organizzazione più complessa

del Servizio Infermieristico: il Dipartimento delle professioni sanitarie.

E’ proprio il dipartimento che rappresenta una configurazione

organizzativa particolarmente adatta in ambiti di tipo professionali, qual è

appunto il settore sanitario 19.

19 Roberta Luzi, “ Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione per processi e professionalità innovative nell’azienda sanitaria ”, Tesi di laurea, Facoltà di Economia-Corso di laurea in Economia aziendale, Università di Pisa, anno accademico 2003-2004.

Page 31: Tesi Antonio Alemanno

31

Capitolo 3

IL DIPARTIMENTO COME STRUMENTO ORGANIZZATIVO ADOTTATO DALLE

AZIENDE SANITARIE PER GESTIRE L’EVOLUZIONE STRUTTURALE E

PROFESSIONALE.

1. ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DEL DIPARTIMENTO

Il termine dipartimento deriva dal francese “departir”, verbo che sta

ad indicare la divisione in parti omogenee: in Francia fu utilizzato per la

prima volta nel 1790 nel suo significato amministrativo per designare i

nuovi raggruppamenti territoriali in sostituzione delle province.

In Italia, le prime norme riguardanti l’organizzazione ed il

funzionamento dei servizi ospedalieri contenenti un riferimento

all’organizzazione di tipo dipartimentale risalgono al DPR 128 del 1969

“Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”. Tale legge prevedeva la

possibilità di realizzare “strutture organizzative di tipo dipartimentale tra

divisioni, sezioni e servizi complementari, al fine della loro migliore

efficienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico e

scientifico”.

Nascevano così dipartimenti improntati sui servizi generali e

amministrativi, di diagnosi e cura e igienico-organizzativi.

Page 32: Tesi Antonio Alemanno

32

I principi del DPR 128/69 furono ripresi dalla leggi 148/75 e 595/85;

quest’ultima trattava disposizioni sulla programmazione sanitaria

nazionale e prevedeva l’aggregazione funzionale di tipo dipartimentale

effettuata per aree funzionali omogenee costituite in applicazione

dell’art.17 della legge 833/78.

I successivi decreti legislativi 502/92 (art. 4) e 517/93 e la legge

549/92 “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” hanno reso

obbligatoria l’attuazione – che doveva avvenire entro il 1996 –

dell’organizzazione interna degli ospedali secondo il modello

dipartimentale. In seguito, servizi affini e complementari cominciarono ad

operare in forma coordinata, ma nonostante la presenza normativa, le

iniziative riguardanti l’attuazione dei dipartimenti furono sporadiche.

Nell’ultima riforma, con il D.Lgs. 229/99 (art.17 bis), l’organizzazione

dipartimentale è riconosciuta come modello ordinario di gestione

operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie.

Il dipartimento deve avere un proprio direttore di dipartimento e un

nucleo di gestione rappresentato dal Comitato, la cui funzione e

composizione è disciplinata dalle Regioni20.

Inoltre, sempre la legge 229/99 prevede l’attribuzione di

responsabilità ai dipartimenti, sia di tipo professionale (in materia clinico-

20 Patrizia Indigeno e Fatima Parravano “ Il responsabile infermieristico di dipartimento: ruolo e funzioni ” , nella rivista “Management Infermieristico“ n. 3/2004, Lauri Edizioni.

Page 33: Tesi Antonio Alemanno

33

organizzativo e della prevenzione), sia di tipo gestionale (riguardo alla

corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la

realizzazione degli obiettivi).

Infine, in termini d’obbligatorietà dell’organizzazione dipartimentale, il

comma 2 dell’art. 4 del suddetto decreto, richiama il principio secondo

cui l’organizzazione dipartimentale è un requisito necessario per la

costituzione o la conferma di un presidio ospedaliero in azienda

ospedaliera.

Considerando che la produzione di prestazioni ospedaliere non è

basata solo sulle articolazioni organizzative specialistiche, ma su un

sistema di processi intesi come un complesso di attività tra loro

interrelate e volte al conseguimento di obiettivi assistenziali e

diagnostico-terapeutici, il modello dipartimentale permette proprio di

superare questa concezione parcellizzata dell’organizzazione

ospedaliera.

In generale, adottare strutture dipartimentali significa ridisegnare

l’assetto organizzativo ospedaliero in modo da accorpare le unità

operative che rispondono a specializzazioni complementari o

strettamente interrelate, producendo, laddove possibile, una condivisione

delle risorse umane, fisiche e di know-how professionale21.

21 Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag. 197

Page 34: Tesi Antonio Alemanno

34

2. TIPOLOGIE E RUOLO DEL DIPARTIMENTO NELL’AZIENDA SANITARIA.

Secondo le linee-guida redatte dall’Agenzia per i Servizi Sanitari

Regionali (ASSR, 1997), il dipartimento deve essere costituito da:

“unità operative omogenee, affini o complementari, che perseguono

comuni finalità e sono quindi tra loro interdipendenti, pur mantenendo la

propria autonomia e responsabilità professionale. Le unità operative

costituenti il Dipartimento sono aggregate in una specifica tipologia

organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive,

razionali e complete rispetto ai compiti assegnati, e a tal fine adottano

regole condivise di comportamento assistenziale, didattico, di ricerca,

etico, medico-legale ed economico”.

Rispetto a questa definizione, Mara Bergamaschi (op. cit.) precisa

che la complementarietà, affinità o meno delle attività svolte è un

requisito che discenderà dal criterio d’aggregazione utilizzato, di volta in

volta, per istituire i dipartimenti, e che ovviamente può cambiare nel

tempo.

Per cui, secondo i fabbisogni organizzativi, i criteri di aggregazione

tra unità operative possono tendere a privilegiare:

- l’integrazione clinica, dove si enfatizzano i fabbisogni di

coordinamento su temi affini o complementari;

- gli aspetti organizzativo-gestionali, dove si focalizza l’attenzione

su contenuti di più efficiente impiego di risorse.

Page 35: Tesi Antonio Alemanno

35

L’ASSR, rifacendosi al D.M. 8.11.76, prevede i possibili criteri

d’aggregazione:

- per intensità e gradualità delle cure (dipartimento del day-

hospital, day-surgery ecc.);

- per fasce d’età (dipartimento materno-infantile e geriatrico);

- per settori nosologici (per esempio, dipartimento onco-

ematologico, AIDS e malattie infettive, salute mentale);

- per aree specialistiche (diagnostica per immagini, medicina,

chirurgia);

- per organo o apparato (quello delle neuroscienze, di

gastroenterologia ecc.);

- per momento d’intervento sanitario (si pensi al DEA, dipartimento

d’emergenza e accettazione, o a quello di riabilitazione).

Questi criteri sembrano privilegiare l’integrazione clinica, mirano a

coordinare il processo di cura del paziente e tentano di incidere sulla

qualità e sui costi variabili legati al trattamento del paziente.

Altre soluzioni dipartimentali potrebbero favorire invece

l’integrazione organizzativa, ad esempio coordinando l’utilizzo delle

risorse attraverso l’attivazione di servizi dipartimentali a gestione:

- di poliambulatori, con riferimento all’utilizzo degli spazi, dei

percorsi e gestione del personale;

Page 36: Tesi Antonio Alemanno

36

- dell’ospedalizzazione domiciliare;

- dei servizi alberghieri, con funzione di programmazione dei

servizi economali come lavanderia, la pulizia degli spazi comuni e

la mensa (a gestione diretta o affidati all’esterno);

- del servizio infermieristico e tecnico, con funzioni di

coordinamento di tutto il personale attribuito ai diversi dipartimenti

ospedalieri e ai centri servizi.

Considerando invece il dipartimento rispetto al ruolo, occorre

classificarlo in dipartimento strutturale o funzionale, e forte o debole.

Quello strutturale è costituito da più unità operative omogenee sotto

il profilo dell’attività, delle risorse umane e tecnologiche impiegate. Si

colloca lungo la linea verticale e gestisce risorse specificatamente

assegnategli.

Il dipartimento funzionale è costituito da unità operative che

concorrono ad obiettivi comuni, sono posizionati lungo la linea

orizzontale, hanno funzioni di coordinamento e dispongono solo di

risorse condivise.

La divisione fra forte o debole nasce invece dal grado di delega

organizzativa: un dipartimento forte ha poteri d’intervento sulle unità

operative che lo compongono e responsabilità di carattere economico

che un dipartimento debole non ha, se non in misura molto limitata.

Page 37: Tesi Antonio Alemanno

37

Inoltre, il dipartimento forte ha finalità esplicite di razionalizzazione delle

risorse quali personale, attrezzature e spazi che gestisce direttamente. Il

dipartimento debole invece si limita a focalizzare l’attenzione

sull’integrazione delle competenze professionali (Federico Lega, 2000)22.

Concludendo l’excursus sulle caratteristiche dipartimentali, ancora

una volta, occorre rilevare che esse dipendono soprattutto dagli obiettivi

strategici posti dall’azienda e dal contesto regionale in cui opera.

22 Federico Lega , “ Il funzionamento del dipartimento : scelte applicative ”, contenuto in Mara Bergamaschi, “ L’organizzazione nelle aziende sanitarie ”, op. cit., pag.221

Page 38: Tesi Antonio Alemanno

38

3. IL FUNZIONAMENTO DEL DIPARTIMENTO

L’organizzazione di un dipartimento configura sia l’assetto interno

sia il modo con cui esso si armonizza nel contesto aziendale.

I meccanismi operativi preposti al funzionamento del dipartimento

sono l’atto aziendale e il regolamento interno, mentre fra gli strumenti di

gestione troviamo il budget. Gli organi di governo sono costituiti dal

Comitato di Dipartimento (organo collegiale strategico) e dal direttore

dello stesso (organo monocratico).

I compiti del direttore sono essenzialmente:

- il coordinamento e il supporto delle attività delle singole unità

operative per la realizzazione degli obiettivi assegnati dalla direzione

generale;

- la predisposizione del piano annuale delle attività e

dell’utilizzazione delle risorse disponibili, rispettando la programmazione

generale;

- programmazione, realizzazione, monitoraggio e verifica, in

collaborazione con gli altri dirigenti e operatori, dello svolgimento delle

attività dipartimentali.

Mentre nell’atto aziendale troviamo la collocazione del dipartimento

nel piano dell’azienda, il regolamento interno individua:

Page 39: Tesi Antonio Alemanno

39

- il sistema decisionale, ossia chi prende le decisioni, quali sono gli

organi e responsabilità affidate ai diversi organi;

- le modalità di attribuzione e di gestione delle risorse;

- le relazione all’interno del dipartimento, tra differenti dipartimenti,

tra Direzione Generale e dipartimento, tra gli organi di staff e dipartimenti

ecc.

La stesura del regolamento si può rifare ad un unico modello

“aziendale” oppure ogni dipartimento, in piena autonomia, ne crea uno

proprio.

Il regolamento rappresenta lo strumento applicativo principale in cui

si riflette la natura forte o debole del dipartimento. La sua articolazione

deve soprattutto definire gli organi dipartimentali di potere: Direttore e

Comitato di dipartimento, (con i rispettivi ruoli e durata della carica), poi

occorre precisare le relazioni interdipartimentali e intradipartimentali.

Nelle prime rientra anche stabilire l’eventuale presenza di una

Conferenza interdipartimentale, nelle seconde sono fissati i rapporti tra

strutture semplici e complesse.

Un altro strumento di gestione che riveste fondamentale importanza

è il budget dipartimentale: occorre infatti far riferimento alle risorse che

sono distribuite e assegnate sia alle singole unità operative, sia al

dipartimento in generale, come risorse in comune o necessarie per il

Page 40: Tesi Antonio Alemanno

40

funzionamento dello stesso. In base al decreto legislativo 229/1999,

l’attività economica deve essere improntata alla razionale utilizzazione

delle risorse e per questo presuppone un sistema di gestione budgetaria.

La procedura di definizione di un budget di dipartimento è

complessa, sia nel momento di determinazione sia per le sue ricadute su

tutto il sistema aziendale nel suo complesso.

Sono coinvolti il direttore di dipartimento, il direttore generale e i

responsabili delle singole unità operative. I dirigenti, ciascuno per gli

aspetti di competenza, presentano le proprie proposte per l’esercizio di

riferimento, i programmi e gli obiettivi da raggiungere: dopo la

discussione all’interno del comitato di dipartimento, la proposta

complessiva è portata dal direttore di dipartimento all’attenzione del

direttore generale, a cui spetta la decisione finale.

Una volta approvato il regolamento, i singoli dirigenti diventano

responsabili della quota assegnata alla struttura cui sono a capo, mentre

per la quota assegnata al dipartimento è direttamente responsabile il

direttore dello stesso.

In conclusione, le attività del dipartimento sono di due tipi:

- quelle finalizzate a migliorare la qualità e l’efficacia della

prestazione sanitaria, incentrate sulla figura del paziente;

Page 41: Tesi Antonio Alemanno

41

- e quelle volte ad aumentare il livello d’efficienza attraverso l’uso

ottimale delle risorse disponibili23.

23 Roberta Luzi, “ Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione per processi e professionalità innovative nell’azienda sanitaria ”, op. cit.

Page 42: Tesi Antonio Alemanno

42

4. IL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE.

Prima di iniziare questo paragrafo occorre chiarire un aspetto: il

dipartimento delle professioni sanitarie non è ancora una realtà estesa

sul tutto il territorio nazionale. Al momento, non esiste una struttura

simile per tutte le quattro aree previste dalla legge 251/00 (professioni

sanitarie infermieristiche e ostetrica, professioni sanitarie riabilitative,

professioni tecnico-sanitarie, professioni della riabilitazione). All’art. 6, la

legge prescrive che la disciplina concorsuale per l’accesso ad una nuova

qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario è demandata ad un

successivo regolamento governativo. Le Regioni possono (non è, quindi,

obbligatorio) istituire la nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario

attivando un meccanismo di compensazione nella pianta organica.

Così come le Regioni hanno la facoltà, e non l’obbligo, di

prevederne l’istituzione, le Aziende Sanitarie possono, e non devono,

istituire la nuova qualifica di dirigente del ruolo sanitario.

Ad oggi, solo alcune regioni hanno previsto -come norma

programmatica- quest’organizzazione dipartimentale estesa a tutte le

quattro classi di professioni. Altre regioni invece prevedono

l’applicazione della 251/00 attraverso tipologie organizzative che fanno

capo a servizi o “servizi dipartimentali”, a volte riferiti solo alla

professione infermieristica.

Page 43: Tesi Antonio Alemanno

43

La Puglia, ad esempio, in una prima stesura dell’ultimo Piano

Sanitario Regionale, ha previsto solo il Servizio Infermieristico come

modello organizzativo delle professioni sanitarie.

Quanto detto è a conferma che le organizzazioni in generale,

presentano un certo grado di coerenza con l’ambiente e la cultura

organizzativa circostante, perciò occorrerà del tempo affinché le altre

professioni sanitarie non mediche siano “percepite” dalla direzione

strategica egualmente importanti come gli infermieri.

Per l’area tecnico-diagnostica c’è però da fare una considerazione:

le aziende ospedaliere sono finanziate con tariffe per DRG, a differenza

delle ASL che hanno come criterio la quota capitaria. Questo comporta

che, soprattutto in ospedale, l’efficienza dei servizi diagnostici diventa

molto importante per contenere i tempi di degenza entro il DRG

corrispondente alla patologia del ricovero. Diventa perciò un importante

obiettivo dell’azienda ospedaliera avere un’ottimale organizzazione dei

servizi diagnostici, capace di ottimizzare le risorse disponibili riducendo i

tempi per la diagnostica.

Ad ogni modo, la laurea specialistica che si conseguirà in

quest’anno, mette fine alle “Disposizioni transitorie”, contenute nell’art. 7

della legge 251/00, poste in essere fino al conseguimento del suddetto

titolo di studio.

Page 44: Tesi Antonio Alemanno

44

In questi sei anni successivi alla legge, poche regioni hanno colto

l’invito ad emanare norme per l’attribuzione della funzione di direzione

relativa alle attività della specifica area professionale. Si aspettano in tal

senso le linee giuda dal Ministero della Salute, per definire la

riorganizzazione determinata dalle innovazioni descritte.

Tra le opinioni sull’articolazione della dirigenza di questo

dipartimento, il giurista Luca Benci24, dopo l’ultimo accordo del CCNL

integrativo della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa, auspicava:

“Forse questa –cioè la predisposizione di una sorta di regolamento

che, oltre a definire le norme concorsuali [per l’accesso all’incarico],

attribuisca il ruolo all’interno delle aziende da parte del nuovo dirigente -

sembra la soluzione più coerente da un punto di vista di coerenza e

uniformità legislativa”.

In alternativa, le possibili soluzioni per conferire la dirigenza del

dipartimento sono sostanzialmente due: la definizione delle competenze

tramite atto aziendale, soluzione tipica del diritto privato, oppure tramite il

riferimento alla fonte pattizia del CCNL.

Oggi si può constatare che i ritardi della forma contrattuale hanno

suffragato la prima ipotesi di Benci, perciò la tendenza è quella al

riferimento all’atto aziendale.

24 Luca Benci, “ Il ruolo e le attribuzioni della dirigenza delle professioni sanitarie non mediche dopo l’accordo del CCNL integrativo della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa” in « Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie », 2002; 5(3): 182-190, Lauri Editori, 2002

Page 45: Tesi Antonio Alemanno

45

Da un’analisi delle regioni che hanno applicato questo modello

organizzativo, si evince che il Dipartimento delle Professioni sanitarie, in

ambito ospedaliero, si pone come strumento per la razionalizzazione

organizzativa e per l’implementazione della qualità dell’assistenza

infermieristica, delle tecniche-diagnostiche e riabilitativa. Esso ha

caratteristiche interdipartimentali e intradipartimentali.

A livello interdipartimentale ritroviamo:

- la posizione di staff rispetto al “vertice strategico”, qui inteso

come Direttore Generale oppure come Direttore Sanitario;

- lo svolgimento della funzione di “tecnostruttura professionale”

quando standardizza le linee guida operative, si occupa di formazione e

di sistemi qualità.

A livello intradipartimentale, per delineare un organigramma, oggi si

deve ricorrere alle “posizioni organizzative” (pre-dirigenziali) previste dal

CCNL del comparto 1998-2001 e successive modificazioni.

Il Direttore del dipartimento dovrebbe essere nominato dal Direttore

Generale a seguito delle procedure di “avviso pubblico” per un incarico

della durata per lo più triennale, sempre nelle more dell’emanazione

dell’apposita disciplina concorsuale per l’accesso alla qualifica di

dirigente.

Page 46: Tesi Antonio Alemanno

46

Sono organi decisionali e di direzione strategica del Dipartimento:

-il Direttore di dipartimento

-il Comitato di Dipartimento rappresentato dai “Dirigenti d’area

professionale”.

Allo stato attuale, l’incarico di Direttore del dipartimento delle

professioni sanitarie, spetta ad un infermiere professionale dirigente con

laurea specialistica o diploma di dirigente dell'assistenza infermieristica

rilasciato dalle ex scuole rette ai fini speciali o diploma di formazione

manageriale, conseguito in corsi di perfezionamento o similari,

rilasciato da Università o da altre istituzioni pubbliche od equiparate.

Il Comitato di Dipartimento potrebbe essere costituito dai dirigenti

con laurea specialistica delle aree tecnico-sanitarie, riabilitativa e della

prevenzione.

Il Direttore di Dipartimento e i “Dirigenti d’area professionale”,

ognuno per la propria area di competenza ma attraverso il lavoro di

gruppo, propongono strategie di sviluppo delle attività professionali e

politiche di gestione delle risorse umane direttamente alla Direzione.

In base alle dimensioni dell’azienda ospedaliera, ai “Dirigenti d’area

professionale” faranno riferimento direttamente i rispettivi “Coordinatori

dipartimentali” degli altri dipartimenti oppure, per ospedali più piccoli, i

coordinatori delle unità operative attinenti.

Page 47: Tesi Antonio Alemanno

47

In realtà aziendali molto complesse, altre figure potrebbero

affiancarsi per seguire determinati processi come la gestione della

qualità o la formazione.

La configurazione interna di questo dipartimento è di tipo funzionale

per motivi d’aggregazione professionale (le quattro aree) e si rifà alla

componente direzionale dell’adhocrazia, composta da manager di line (il

direttore di dipartimento), da esperti di staff (le quattro aree professionali

e i relativi responsabili) e da membri del nucleo operativo (i coordinatori

di unità operativa) che lavorano insieme25.

25 Henry Mintzberg “ La progettazione dell’organizzazione aziendale ”, op. cit. pag.377 e ss.

Page 48: Tesi Antonio Alemanno

48

DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI SANITARIE

AREA INFERMIERISTICA OSTETRICA

AREA TECNICO SANITARIA

AREA DELLA RIABILITAZIONE

AREA DELLA PREVENZIONE

COORDINATORI DI U.O.

COORDINATORI DI U.O.

COORDINATORI DI U.O.

COORDINATORI DI U.O.

Fig. 3 Struttura intradipartimentale (elaborazione personale).

Prendendo esempio da altre realtà regionali26, le funzioni

dipartimentali definiscono:

- gli indirizzi organizzativi e gestionali per il governo delle attività di

competenza degli operatori delle singole aree;

- la qualità e dell’efficienza tecnica ed operativa delle attività

assistenziali, tecniche e riabilitative nell’ambito della prevenzione,

cura e riabilitazione;

26 legge regionale Marche13/03 art. 8 comma 3

Page 49: Tesi Antonio Alemanno

49

- lo sviluppo organizzativo e tecnico-professionale;

- il governo clinico-assistenziale e dei processi organizzativi di

competenza delle singole aree;

- l’individuazione dei bisogni formativi degli operatori afferenti alle

quattro classi.

Sarebbe opportuno formalizzare tali attività attraverso linee guida

contenute nel “Regolamento di dipartimento”.

Il Direttore del dipartimento, rispetto ai Dirigenti d’area professionale,

avrà funzioni più specifiche come la definizione:

- degli obiettivi del dipartimento,

- delle linee d’attività, di specifica competenza e di funzione,

- del coordinamento delle attività stesse.

Occorre affermare che il dipartimento delle professioni sanitarie non

è l’unico modo di organizzare i professionisti non medici. In alcune

aziende non sarà neanche il migliore, ad esempio rispetto a forme più

snelle come i “servizi dipartimentali” (strutture complesse in posizione di

line rispetto alla Direzione Sanitaria) o addirittura rispetto ai semplici

“servizi infermieristici e tecnici” (SIT). Qualunque diventi la struttura

organizzativa attuata per raggiungere l’obiettivo, la cosa importante

rimane far crescere comunque una cultura organizzativa delle

Page 50: Tesi Antonio Alemanno

50

professioni che, ponendo al centro il paziente-persona, sviluppi dei

percorsi efficienti ed efficaci di diagnosi, assistenza, cura e riabilitazione.

Page 51: Tesi Antonio Alemanno

51

Capitolo 4

IL RUOLO DEL DIRIGENTE LAUREATO IN SCIENZE DELLE PROFESSIONI

SANITARIE TECNICO-DIAGNOSTICHE NEL DIPARTIMENTO DELLE PROFESSIONI

SANITARIE.

1. COMPITI E FUNZIONI DELL’AREA TECNICO-DIAGNOSTICA

Il modello dipartimentale del capitolo precedente ha diritto

d’espressione in quanto non esistono riferimenti legislativi in merito,

perciò ogni azienda ospedaliera può, nell’atto aziendale, indicarne

l’organizzazione.

Comunque sia pianificata l’attività del dipartimento delle professioni,

rimane prerogativa delle singole aree professionali definire le modalità

attraverso cui raggiungere gli obiettivi assegnati.

I concetti che caratterizzano le quattro aree delle professioni

sanitarie sono:

- competenza

- responsabilità

- autonomia professionale.

Le competenze specifiche di ogni area professionale sono definite

dal corrispondente profilo professionale e codice deontologico. Mentre il

profilo professionale delimita una serie d’attività specifiche, il codice

Page 52: Tesi Antonio Alemanno

52

deontologico richiama le norme etiche alla base dei rapporti con i

pazienti, i colleghi e gli altri professionisti.

Viene a crearsi così un’area dove il professionista ha competenza,

responsabilità individuale e non è sottoposto ad un superiore gerarchico:

questa è l’area dell’autonomia professionale.

L’autonomia professionale si concretizza rispettando il

comportamento organizzativo definito dalla regolamentazione aziendale.

Invece, la gestione organizzativa di un’area professionale consiste nella

ricerca di condizioni d’equilibrio tra autonomia di quel gruppo e limiti

imposti dall’organizzazione generale.

L’area tecnico-diagnostica appartiene alla classe delle professioni

tecnico-sanitarie, (insieme all’area tecnico-assistenziale). I professionisti

che ne fanno parte “svolgono, con autonomia professionale, le

procedure tecniche necessarie alla esecuzione di metodiche

diagnostiche su materiali biologici o sulla persona…” (art. 3 legge

251/00).

Dell’area tecnico-diagnostica fanno parte: tecnici audiometristi,

tecnici sanitari di laboratorio biomedico, tecnici sanitari di radiologia

medica e tecnico di neurofisiopatologia.

Un’area così eterogenea si presta bene ad interagire con le altre

competenze, soprattutto quando il modello organizzativo si fonda sul

Page 53: Tesi Antonio Alemanno

53

“percorso del paziente”. Questo processo di gestione orizzontale

centrato sull’utente, forma gruppi di lavoro trasversali alle professioni,

deputando a quest’area principalmente la medicina diagnostica e lo

screening.

Anche la gestione dei “sistemi di qualità” fa parte di una moderna

strategia di crescita aziendale che coinvolge diverse competenze,

soprattutto a livello di unità operativa. Ad esempio, per tutta la

diagnostica radiologica, l’applicazione del “manuale di qualità” è un

obbligo di legge (decreto legislativo 187/00) a cui ogni tecnico di

radiologia dovrebbe attenersi. Assicurarne l’applicazione, rappresenta

per il “Dirigente d’area tecnico-diagnostica” il primo passo verso quella

cultura organizzativa a livello di nucleo operativo.

Ultimo aspetto, di questi esempi tesi ad ipotizzare la collaborazione

con le altre aree, è la formazione aziendale. L’ “Educazione Continua in

Medicina” (E.C.M.), se fatta per eventi formativi che sottendono alla

logica dell’ “organizzazione per processi” rappresentano un importante

momento di crescita organizzativa.

Attività più specifiche del “Dirigente dell’area tecnico-diagnostica”

all’interno del “Dipartimento delle professioni sanitarie” si rifanno a tre

diverse funzioni organizzative: Pianificazione, Gestione e Valutazione.

Page 54: Tesi Antonio Alemanno

54

Nella Pianificazione possono rientrare:

- coadiuvare il Direttore del dipartimento nella definizione degli

obiettivi di budget;

- promuovere la definizione di procedure diagnostiche omogenee;

- rilevare il fabbisogno formativo del personale afferente all’area

diagnostica;

- definire percorsi per l’inserimento guidato dei nuovi assunti.

Fanno parte della Gestione:

promuovere incontri e riunioni tra i tecnici, finalizzate

all’attuazione delle attività proposte dal dipartimento;

gestire la mobilità del personale;

promuovere l’applicazione di linee guida per definire i carichi di

lavoro;

individuare sistemi premianti e di motivazione del personale.

Infine, attività di Valutazione sono:

- valutare le proposte dei coordinatori di unità operative sull’impiego

delle risorse;

- partecipare alla definizione dei criteri per la scelta delle

apparecchiature diagnostiche.

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Applicando i modelli e le teorie organizzative al Dipartimento delle

professioni sanitarie si deduce che esso è un organo di staff al “vertice

strategico”, con funzioni di “tecnostruttura professionale” quando

standardizza competenze e conoscenze del “nucleo operativo”.

Questa funzione organizzativa è più evidente nel settore tecnico-

diagnostico perché ad un'unica area fanno capo unità operative diverse

tra loro come la diagnostica per immagini, i laboratori biomedici, le

indagini di neurofisiopatologia e l’audiometria.

Mintzberg però ci ricorda che, essendo le aziende sanitarie delle

burocrazie professionali, la spinta maggiore sull’organizzazione proviene

proprio dalle unità operative afferenti. Di conseguenza, i coordinatori

giocano un ruolo fondamentale verso la riuscita del modello

dipartimentale stesso. A loro spetta accogliere le esigenze dei

professionisti e farle diventare progetti per il dipartimento delle

professioni sanitarie.

In fondo, a tutt’oggi, essi sono le sole certezze di un’organizzazione

che non può fare più a meno di adeguarsi alle nuove esigenze

organizzative.

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2. CONCLUSIONI: VERSO UNA NUOVA techne.

Probabilmente una conclusione non dovrebbe solo concludere,

chiudere, delimitare un discorso. Forse dovrebbe rimandare ad altre

domande e a nuove riflessioni.

In effetti la bibliografia prodotta sull’organizzazione del lavoro in

campo sanitario, fa notare che medici e infermieri hanno una maggiore

base teorica rispetto ai tecnici sanitari.

Se infatti al medico spetta la diagnosi e la cura della malattia e

all’infermiere compete l’assistenza infermieristica, a livello organizzativo,

entrambe le professioni continuano a sperimentare schemi teorici

esclusivi della rispettiva professione, spesso rifacendosi a realtà inglesi e

statunitensi. Ad esempio, il “case management infermieristico” e l’

“Evidence-based Nursing” sono solo gli ultimi modelli, in ordine di tempo,

di questa tendenza che sta caratterizzando l’infermiere professionale

rispetto al tecnico sanitario.

E’ pur vero che queste due figure professionali nascono in momenti

diversi e hanno storie profondamente differenti, ma cosa accomuna i

tecnici dell’area tecnico-diagnostica tanto da farne un tratto tipico di

quest’area professionale?

Credo che non sia solo la parte d’autonomia giocata nella

diagnostica strumentale, quanto invece il rapporto con la tecnologia.

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Non è semplicemente affermare che, essendo tecnici, sono

caratterizzati appunto dalla tecnica.

Quando il medico, in piena autonomia, effettua un’ecografia o

l’infermiere professionale esegue un elettrocardiogramma, ambedue

fanno un’indagine strumentale diagnostica, solo che queste attività

rappresentano una modesta parte delle loro competenze. Invece, per i

tecnici dell’area diagnostica, la tecnica è la costante quotidiana con cui

hanno a che fare nel rispondere ai bisogni di salute della popolazione. E’

il mezzo attraverso cui loro interagiscono con l’utente.

La tecnica ha delle caratteristiche precise: analizzarle, discuterne,

parlarne tra tecnici, delimita un’area di sapere specifico. Ad esempio, la

velocità con cui la tecnologia si rinnova non ha eguali rispetto al lavoro

medico o infermieristico. In ambito della diagnostica per immagini,

mediamente, ogni cinque anni il progresso rivoluziona gran parte delle

competenze acquisite.

Questo potrebbe spiegare perché in questo campo è più difficile

accrescere un sapere specifico che rimanga stabile nel tempo, e pone

l’accento sull’importanza di un aggiornamento professionale che, rispetto

ad altri operatori sanitari, bisogna adeguare più velocemente.

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In altre sedi il discorso si potrebbe allargare, ma qui è importante

ricordare che anche l’organizzazione del lavoro è influenzata dalla

tecnica.

Umberto Galimberti in “Psiche e techne”, un saggio critico sulla

tecnica27, ci avverte di un rischio:

“A paralizzare la nostra forza d’immaginazione non è solo la

grandezza delle prestazioni tecniche, ma anche l’infinita parcellizzazione

dei processi lavorativi, meglio nota come divisione del lavoro, dove, dopo

un certo numero di passaggi, in qualsiasi prestazione […] ci troviamo,

non siamo più in grado di seguirne la trama, con conseguente

destituzione di senso rispetto a quanto andiamo facendo”.

Chi lavora con la tecnica in ambito sanitario non deve perdere di

vista il senso del suo lavoro, che rimane la persona. Così come

l’organizzazione deve garantire che questo senso non vada perso.

27 Umberto Galimberti, “ Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica ”, Feltrinelli, Milano, 1999, pag. 712

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BIBLIOGRAFIA

Antonio Pagano e Giorgio Vittadini, “Qualità e Valutazione delle

strutture sanitarie” Etas, 2004.

Carlo De Pietro, “Gestire il personale nelle aziende sanitarie

italiane”, McGraw Hill, Milano, 2005.

Giampiero Cilone, “Diritto sanitario”, Maggioli Editore, 2005.

Henry Mintzerberg, “La progettazione dell’organizzazione

aziendale”, il Mulino, Bologna, 1985.

Luca Benci, “Il ruolo e le attribuzioni della dirigenza delle

professioni sanitarie non mediche dopo l’accordo del CCNL integrativo

della dirigenza sanitaria, tecnica e amministrativa” in « Rivista di Diritto

delle Professioni Sanitarie », 2002; 5(3): 182-190, Lauri Editori, 2002

Luca Benci, “Le professioni sanitarie (non mediche). Aspetti

giuridici, deontologici e medico-legali”, McGraw Hill, Milano, 2002.

Mara Bergamaschi, “L’organizzazione nelle aziende sanitarie”,

McGraw Hill, Milano, 2000.

Patrizia Indigeno e Fatima Parravano “Il responsabile

infermieristico di dipartimento: ruolo e funzioni” , nella rivista

“Management Infermieristico“ n. 3/2004, Lauri Edizioni.

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60

Richard L.Daft, “Organizzazione aziendale”, Apogeo, Milano,

2004.

Roberta Luzi, “Dinamiche tecnologiche-organizzative, gestione

per processi e professionalità innovative nell’azienda sanitaria”, Tesi di

laurea, Facoltà di Economia-Corso di laurea in Economia aziendale,

Università di Pisa, anno accademico 2003-2004.

Umberto Galimberti, “Psiche e techne. L’uomo nell’età della

tecnica ”, Feltrinelli, Milano, 1999.

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RIFERIMENTI LEGISLATIVI

■ Legge 42/99, “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”

■ Legge 251/00. “Disciplina delle professioni sanitarie

infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione,

nonché della professione ostetrica”.

■ Legge Regionale della Regione Marche 13.2003,

“Riorganizzazione del Servizio sanitario regionale”.

■ Decreto Ministeriale 29 marzo 2001, “Definizione delle figure

professionali di cui all’art. 6, comma 3, del D. Lgs. 30 dicembre

1992, n. 502, e successive modificazioni, da includere nelle

fattispecie previste dagli articoli 1, 2, 3 e 4, della legge 10 agosto

2000, n. 251”.

■ Decreto MIUR del 2 aprile 2001, “Determinazione delle classi

delle lauree specialistiche universitarie delle lauree

specialistiche”.