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    UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANOFacoltà di Psicologia

    Corso di Laurea in Psicologia

    UNA DONNA DIVENTA MADRE,

    UNA MADRE RESTA DONNA: UNO STUDIO EMPIRICO

    SULLA RELAZIONE TRA RAPPRESENTAZIONI

    MATERNE IN GRAVIDANZA E FUNZIONE RIFLESSIVA

    Tesi di Laurea di:Emanuela FOLLIEROMatr. N° 2703923 

    Relatore:Chiar.mo Prof. Gherardo AMADEI 

    Anno Accademico 2002-2003 

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    Indice

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    Una donna diventa madre, una madre resta donna: uno studio

    empirico sulla relazione tra rappresentazioni materne in

    gravidanza e Funzione Riflessiva.

    Cap. 1 La gravidanza come esperienza psichica. Pag. 5

     

    1. Una donna diventa madre, una madre resta donna.

    1.1 La gravidanza equivale ad una scelta nella realtà attuale.

    1.2 Una nuova identità tra passato e futuro.

    2.  Emozioni e cambiamenti nel corso della gravidanza nella vita personale. 

    2.1 Il desiderio di maternità.

    2.2 La scoperta della prima gravidanza.

    2.3 Evoluzioni somatiche e corrispondenze psicologiche.

    2.4 A proposito delle visite mediche.

    2.5 Ansie e preoccupazioni.

    2.6 Le fantasie sul parto.

    2.7 La psicoprofilassi ostetrica e i corsi di preparazione al parto: un supporto

    alle gestanti.

    2.8 Un processo di responsabilizzazione.

    2.9 L’attività lavorativa.

    2.10 Modificazioni della sensibilità

    3. Emozioni e cambiamenti nel corso della gravidanza nella vita di coppia. 

    3.1 La sessualità in gravidanza.3.2 La regressione della donna e l’atteggiamento protettivo del partner.

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    3.3 Rapporti arricchiti o deteriorati?

    3.4 Padre e madre a confronto: l’esperienza della gravidanza è vissuta

    “in prima fila” dalla donna.

    Cap. 2 La Funzione Riflessiva. Pag. 36 

     

    1. La Funzione Riflessiva: “le fil rouge” di molti studi.

    1.1. La Funzione Riflessiva nella psicoanalisi.

    1.2 La Funzione Riflessiva nella teoria dell’attaccamento.

    1.3. La Funzione Riflessiva nella teoria della mente.1.4 Ampliare lo studio della Funzione Riflessiva a nuovi ambiti: una

    ricerca sulla gravidanza.

    2. La Funzione Riflessiva e le sue caratteristiche.

    2.1 La sua importanza.

    2.2 La Funzione Riflessiva come strumento d’analisi.

    2.2.1 Le “demand questions”.

    2.2.2 Il sistema di codifica.2.2.3 I vari livelli di Funzione Riflessiva.

    3. Ritrovamento della Funzione Riflessiva negli studi sulla gravidanza.

    3.1 Rielaborare il passato per un nuovo rapporto madre-figlio.

    3.2 La Funzione Riflessiva alla base della competenza genitoriale.

    3.3 La Funzione Riflessiva e la rappresentazione del feto.

    Cap. 3 Lo studio delle rappresentazioni materne in gravidanza. Pag. 50

     

    1. Breve excursus sul concetto di “rappresentazione”.

    1.1 Le rappresentazioni in psicologia.

    2. Le rappresentazioni materne in gravidanza. 

    2.1 La rappresentazione del bambino.

    2.1.1 I movimenti fetali: lo “start” effettivo della rappresentazione

    del bambino.2.1.2 La relazione madre-bambino.

    2.1.3 Le diverse dimensioni della rappresentazione del bambino.

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    2.1.4 Il bambino nei sogni delle gestanti.

    2.1.5 Le fantasie coscienti sul bambino.

    2.1.6 Il bambino idealizzato.

    2.2 La rappresentazione di se stessa come madre.

    2.2.1 Uno sguardo alle proprie radici per affrontare il futuro.

    2.2.2 La propria figura materna: un protagonista nello scenario

     psichico della gestante.

    2.2.3 Stili materni.

    2.2.3.1 Un esempio di “madre regolatrice”.

    3. L’IRMAG: uno strumento per la ricerca sperimentale sulle rappresentazioni

    materne in gravidanza.

    3.1 L’IRMAG (Intervista per le rappresentazioni materne in gravidanza).

    3.1.1 Le aree di indagine dell’intervista e la loro codifica.

    3.1.2 Le categorie delle rappresentazioni materne in gravidanza.

    3.1.3 Le scale di aggettivi.

    3.2 I potenziali ambiti applicativi proposti dagli Autori.

    3.2.1 Alcune ricerche sperimentali e i loro risultati.

     Bibliografia. Pag. 84

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    Capitolo 1

    La gravidanza come esperienza psichica.

     __________________________________________________

    1. Una donna diventa madre, una madre resta donna.

    La gravidanza rappresenta un evento cruciale per la donna e il modo di viverlo è influenzato

    da fattori, oltre che biologici, anche psicologici, sociali ed economici. Durante questo periodo ciò

    che avviene nel corpo avviene anche nella mente: si susseguono una serie di aggiustamenti di

    ordine fisico, mentale e pratico che provocano un certo impatto sulla gestante, sul suo compagno e

    sul rapporto con la famiglia d’origine.

    testimonianza scritta:

    “Sei in continua evoluzione e cambiamento, fisicamente ti modifichi e la tua mente comincia a progettare sulla

    vita che porti dentro di te, a cosa succederà quando nascerà, quante responsabilità, gioie, fantasie, giochi.”

    Stern (1995) ha definito “costellazione materna” la condizione di riorganizzazione della vita psichica, di cambiamento delle rappresentazioni di sé come persona, moglie, figlia ed ora madre.

    Studiare la gravidanza come esperienza psichica significa dunque tener conto di tutta la

    storia della donna, passata e futura: considerando l’unicità del background di ciascuna, è ormai noto

    come esistano tuttavia delle regolarità, delle costanti in tutte le gestanti. Come il corpo subisce

    trasformazioni per accogliere e contenere il bambino, così la mente della donna comincia a

    fantasticare su se stessa nel nuovo ruolo di madre e sul proprio bambino, sulla relazione che si

    instaurerà tra loro, non solo appena nato, ma anche quando sarà più grande.

    Diventare madre è un’esperienza unica nella vita, influenza dunque molti aspetti della vita

    individuale, di coppia, della famiglia allargata e non sempre è connotata da caratteri positivi.

    Stern (1998) fa notare che “l’assetto materno” è il frutto del lavoro intrapsichico della

    gestante durante i nove mesi, non si costituisce nel momento in cui dà alla luce il suo bambino, ma

    emerge gradualmente durante tutta la gestazione e nei mesi successivi al parto. Nelle sue ricerche ha

    chiesto a più donne quando hanno cominciato a sentire di essere diventate davvero mamme,

     presupponendo che la risposta più frequente sarebbe stata: “Quando ho partorito, naturalmente”. In

    realtà è giunto a concludere che “la maggior parte delle madri “diventa mamma” più e più volte,

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    con certezza crescente, nell’arco di diversi mesi. La nuova identità può sbocciare in un momento

    qualsiasi della gravidanza, per configurarsi poi con maggior precisione dopo la nascita del bambino

    e dispiegarsi pienamente dopo parecchi mesi di cure a casa, quando la mamma si rende conto di

    essere diventata tale ai suoi occhi” (Stern D.,1998).

    Può sembrar banale sottolinearlo, ma madre si diventa mentre donna si resta, seppur con un

    connotato in più: questo significa che le trasformazioni a cui è soggetto il corpo, l’umore, i ritmi di

    vita sono parallele alla conservazione del contesto relazionale, famigliare, amicale in cui si rimane

    inseriti. Di questo aspetto bisogna tener conto, in quanto è proprio da questo punto di vista che

    diventa ragionevole esplorare le costanze e i cambiamenti reali, immaginari oppure semplicemente

    ipotetici che la donna si trova ad affrontare.

    1.1 La gravidanza equivale ad una scelta nella realtà attuale.

    Sul desiderio di maternità esiste una vasta letteratura, ricca soprattutto di contributi

     psicoanalitici. Non ritengo sia questo il momento di riportare le considerazioni che sono state fatte a

     proposito, saranno meglio illustrate prossimamente. Vale comunque la pena cominciare almeno ad

    accennare come gli Autori da sempre hanno considerato la gravidanza come un evento che si

    inscrive nel processo evolutivo di una donna  (Lipari E. e Speranza A. M., 1992). In breve la

    gravidanza viene considerata come la realizzazione del desiderio più intenso per la donna, presente

    nel suo stesso corpo per natura.

    Pur riconoscendo l’importanza di questi contributi, è opportuno sottolineare l’influenza sul

    desiderio di maternità delle molteplici spinte, dentro e fuori di sé, a cui la donna è soggetta nella

    realtà attuale. Negli ultimi decenni hanno avuto luogo grandi cambiamenti nel comportamento

    sociale e sessuale delle donne: recentemente la maternità rappresenta un tema che credo si possa

    definire ai margini della cultura e dell’identità femminile, essendo ormai superato il tradizionaleassioma che legava donna e madre in un binomio inscindibile. Un tempo il divenire madre

    costituiva il momento di realizzazione femminile per eccellenza, la capacità generativa

    rappresentava l’essenza della femminilità. Oggi i processi sociali di emancipazione femminile

    hanno mutato sia il ruolo della donna, sia il concetto della sua identità, a tal punto che la maternità

    si inserisce in un progetto più ampio di vita.

    Ferrari Occhionero (1997) analizza la transizione della famiglia italiana verso una forma

     postmoderna, caratterizzata dalla diminuzione dei matrimoni, dall’aumento di convivenze, diseparazioni e di nascite fuori dal matrimonio, non ultimo dall’incremento del numero di donne

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    lavoratrici. Conclude sostenendo che tutti questi fattori rivestono un ruolo decisivo nella scelta di

    avere un figlio.

    La procreazione dei figli è diventata effettivamente una scelta da combinare con altre: oggi

    la nascita di un figlio è programmata, desiderata e attesa oppure respinta ed evitata, rimanendo

    sempre e comunque oggetto della razionalità, sia individuale che di coppia. In un articolo di Scabini

    (1998) si può leggere che attualmente la procreazione non è più considerata un destino biologico,

    ma pare sia in vigore “un paradigma sociale che considera la procreazione all’insegna del

    controllo”. Viene inoltre precisato però come questa programmazione, questo controllo si scontrino

    necessariamente dopo la nascita con la “sorpresa”. Da una ricerca condotta da un’équipe del Centro

    Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, pubblicata a cura di Wilma

    Binda (1996), è emerso infatti un “difficile connubio tra aspettative e realtà”. La “sorpresa”

     purtroppo a volte non tarda a cogliere la donna, ma compare già durante la gravidanza:

    testimonianza scritta:

    “La maternità per me è stata dapprima un sogno (fin da bambina), poi una speranza ed è stata fortemente

    cercata e desiderata, ma al momento del suo arrivo non l’ho accolta come pensavo. Quando ho scoperto di

    aspettare un bambino ho avuto paura, mi veniva da piangere, tremare, ho fatto fatica ad accettare anche le

    mie trasformazioni fisiche, per cui ho provato disagio.”

    Tornando comunque a questa modernizzazione dei comportamenti procreativi, se ne può far

    risalire l’origine anche alla sempre più diffusa cultura della contraccezione, che ha reso

    indipendente il concepimento dal rapporto sessuale e alle tecniche di fecondazione artificiale che

    tentano di soddisfare il desiderio di genitorialità di tante coppie.

    A sostegno delle mie precedenti affermazioni cito studi antropologici che riconducono il

    fenomeno a fattori sociali e culturali e che sostengono come i comportamenti legati alla

     procreazione non siano identici nel tempo e nello spazio, ma piuttosto risentano molto delle

    ideologie e dei modelli culturali vigenti (Mead M., 1949; Shorter F., 1975).

    Anche la sociologia sostiene quanto sopra con le sue ricerche sui cambiamenti socio-

    demografici della famiglia, sul tipo di relazioni che si instaurano tra famiglie giovani e famiglie

    d’origine, sui mezzi e le risorse che hanno a disposizione le coppie per crescere e costruire un

    nuovo nucleo famigliare. Bramanti e Scisci (2001) hanno individuato le quattro tipologie di

    genitorialità più diffuse in Italia negli ultimi tempi: la genitorialità differita, la genitorialità assistita 

    (grazie alla diffusione di nuove tecniche di fecondazione artificiale), quella interrotta (con l’aborto)

    e la  scelta adottiva. Le Autrici inoltre hanno riconosciuto le differenze che contraddistinguono le

    ragioni di ieri e quelle di oggi che conducono alla scelta di un figlio, le prime sociali edeconomiche, le seconde maggiormente affettive. Nell’analisi di queste ultime compaiono motivi di

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    natura sentimentale, tendenzialmente narcisistica, gli stessi responsabili del rifiuto della

    genitorialità: “il figlio è rifiutato perché non c’è tempo, costa troppo, fa perdere la libertà, è troppo

    impegnativo” (Bramanti D., Scisci A., 2001) Il rapporto che si instaura tra la prole e la coppia viene

    definito, forse provocatoriamente, di tipo utilitaristico, troppo oggettivo: i figli hanno perso il valore

    sociale di cui godevano. Allo stesso modo Scabini (1998) occupandosi di Psicologia della famiglia,

     parla di “ puerocentrismo narcisistico”, un atteggiamento tipico della nostra società che vede il

    figlio come una forma di realizzazione dell’adulto. Ritornando al contributo di Bramanti e Scisci, è

    da notare come le Autrici non manchino di rilevare un aspetto positivo del fenomeno in argomento:

    il rinvio di un figlio esprimerebbe anche “la presenza di una maggiore consapevolezza del valore

    della maternità e della paternità e un crescente timore rispetto all’assunzione della responsabilità

    genitoriale” (Bramanti D., Scisci A., 2001). A questo proposito Righetti e Sette (2000) parlano di

    “ procreazione responsabile” sottolineando la necessità della responsabilità educativa del bambino,

    il desiderio intenso di questa creatura che deve essere prima voluta e poi accettata.

    Credo si possa citare il pensiero di Poggi e Volpe (1986) come sintesi delle varie

    argomentazioni che sono state fatte sul desiderio di maternità: “appare come il risultato di

    componenti svariate dell’esperienza e può essere associato dalla donna stessa, consapevolmente o

    inconsapevolmente, a una molteplicità di significati diversi, in cui le fantasie infantili relative alla

    nascita e alla procreazione svolgono un ruolo di grande importanza .”

    Realmente dunque essere madre oggi equivale ad una scelta: attualmente è lecita la facoltà

    di decidere se e in quale momento del proprio ciclo vitale avere un figlio, vagliando

     preventivamente i progetti e gli obiettivi legati alle proprie esigenze economiche o sociali. Nel

     periodo odierno le donne godono della possibilità di slegarsi da uno stereotipo che le ha viste per

    secoli vincolate al loro genere, al ruolo materno, per darsi altre opportunità di sviluppo e di crescita

     personale.

    1.2 Una nuova identità tra passato e futuro.

     Numerosi Autori concordano sul fatto che la gravidanza sia una “crisi transizionale”, hanno

    sottolineato lo squilibrio emotivo della donna gravida e la conseguente vulnerabilità psicologica. I

    nove mesi della gestazione sono caratterizzati infatti da una serie di conflitti tra la nuova vita e

    quella trascorsa, tra gioie e timori, in cui i protagonisti del vissuto mentale sono molteplici: la donnastessa, il feto, le figure parentali, il partner. Nuovi e vecchi conflitti si incontrano, chiedono alla

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    donna il compito di risolverli con una nuova elaborazione della propria identità, con la rivalutazione

    dei rapporti che intrattiene.

    Proprio sull’identità viene posto l’accento da Di Vita e Giannone (2002); le Autrici ne

    individuano quattro tipologie che vengono rimesse in gioco quando una donna (ed anche il suo

    compagno) deve affrontare questa esperienza: l’identità genitoriale come luogo di rielaborazione

    della propria capacità di “prendersi cura” del bambino; l’identità di genere, come specificità

    femminile nel concepimento di una creatura; l’identità familiare, come contesto in cui crescere

    come donna-madre; l’identità del bambino, che man mano prenderà forma come soggetto psichico e

    successivamente reale.

    E’ interessante quanto una donna, alla seconda gravidanza, scrive con il senno di poi

    riferendosi alla prima gestazione: la transizione tra passato e futuro, oggetto di questo paragrafo,

    viene esplicitata in analogia al passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

    “ La prima gravidanza, dato che sono già alla seconda, la definirei: la scoperta ... l’ho vissuta con l’animo di

    un adolescente che si avvicina al mondo degli adulti, ma non ne ha ancora appreso il reale significato: tutto è

    entusiasmo con un pizzico di incoscienza, immagini ma non hai il senso di quello che sarà e desideri che arrivi

     presto il momento fatidico.”

     Nel tempo gli studi psicoanalitici hanno concepito la gravidanza sempre più come un processo, piuttosto che come un evento: Bibring (1959, 1961) in particolare la definisce “crisi

    maturazionale normativa”, paragonabile a quella adolescenziale e alla menopausa. Ne sottolinea gli

    aggiustamenti psichici, le nuove identificazioni e regressioni. Durante questo periodo cambia

    l’immagine che la donna ha di sé, si verifica una ridistribuzione degli investimenti affettivi,

    oggettivi e narcisistici. Un ruolo centrale in questo processo è giocato dalla modalità con la quale

    vengono rivissuti e rielaborati i conflitti in particolare con la propria madre.

    Pines (1972, 1982) considera appunto l’attesa di un figlio come l’occasione in cui verificareo completare il processo di separazione-individuazione dalla propria madre. La donna si trova in

    questo momento della sua vita in una condizione particolare, essendo essa stessa

    contemporaneamente madre e figlia. Da questa posizione le risulta accessibile una doppia

    identificazione: con la figura materna e con il feto che porta in grembo. E’ impressionante come il

     brano che riporto qui di seguito esprima proprio quanto scriveva l’Autrice.

    testimonianza scritta:

    “... con la gravidanza diventi l’elemento di congiunzione tra la vecchia generazione e la nuova che stai

    creando, io sono figlia e mamma, mi trovo in un dualismo che convive in sintonia: capisco mia madre, le sue

    apprensioni, i suoi pensieri e capisco mio figlio perché da figlia ho sempre bisogno di conferme d’amore che

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     poi trasmetto a mia volta come in una catena. Vorrei riuscire a trasmettere l’amore e le conferme che ho

     sempre ricevuto dai miei genitori.”

    Il pensiero di Bibring sulla possibilità di confrontarsi con la propria madre in questo

    momento della vita, ritorna nella distinzione che Pines fa tra “desiderio di gravidanza” e “desiderio

    di maternità”, indicando con il primo appunto il bisogno narcisistico di provare a se stessa che il

     proprio corpo funziona come quello della madre. Il desiderio di gravidanza è presente in ogni

    gestazione, ma è particolarmente attivo nelle gravidanze adolescenziali: si tratta di un desiderio in

    cui è in primo piano il proprio sé, in quanto si vuole dimostrare che si è in grado di procreare.

    Durante i nove mesi la gestante comincia dunque a costruire l’immagine del proprio sé

    materno, integrando gli altri aspetti della sua personalità. Lipari e Speranza (1992) utilizzano il

    termine “crisi” nella duplice accezione di “pericolo per un equilibrio preesistente” e nello stesso

    tempo di “crescita verso nuovi equilibri”. Anche la Bibring (1959) avverte come sia opportuno

    cogliere il potenziale di crescita della gestante, accanto ai rischi, ai momenti di fragilità, alla crisi

    nella sua connotazione più negativa.

    L’identità è noto come non sia un dato di fatto, raggiunto e mantenuto tale nel tempo, ma è

    sempre soggetta a continue ridefinizioni che le esperienze e la vita impongono. Tra influenze

    interne ed esterne la donna comincia a fantasticarsi nel nuovo ruolo che l’aspetta, comincia ad

    integrare anche questo aspetto nella sua personalità. E’ in questo senso che la gravidanza andrebbe

    considerata come trampolino di lancio verso un nuovo futuro dal punto di vista psicologico, pur

    sempre caratterizzato dal background passato della gestante.

    Diventa chiaro ora come lo “stato appartato” (Birksteed-Breen, 1992), tipico delle donne

    incinte, sia chiara espressione proprio della rivisitazione del proprio storico e della preoccupazione

     per l’ignoto del futuro. Il ritiro in gravidanza può riflettere anche la ricerca di un rapporto intimo, di

    uno stato di unione con il feto: lo stesso “desiderio di fusione” che verrà trattato in seguito piùampiamente.

    2. Emozioni e cambiamenti nel corso della gravidanza nella vita personale. 

    Cosa succede nella mente di una donna durante la sua prima gravidanza? Come pensa a se

    stessa? E al nascituro? Cosa cambia nella considerazione della rete famigliare? La letteratura psicoanalitica va considerata un po’ come la cornice teorica di riferimento entro cui muoversi per

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    studiare la gravidanza come esperienza psichica individuale. I contributi proposti sono numerosi e

     presentano notevoli evoluzioni nel modo di concepirla: sarà mio intento riportare i frutti di ricerche

    e studi clinici di notevole valore, ma vorrei prima introdurre il tema con le semplici parole di una

    madre che potrebbero già sintetizzare tutto ciò che io, con paragrafi e sottoparagrafi, tenterò di

    esprimere in tutta la mia tesi:

    “La gravidanza è molto più di un momento poetico, di un momento di felicità. Nessuna parola esprime la

    completezza che si raggiunge in questo periodo. La gravidanza è paura, è scoperta, è semplicità, è

    responsabilità; il tutto vissuto allo specchio perché ogni cosa che pensi bella o brutta è come se la vivessi di

     fronte ad un riflesso: tuo figlio.”

    2.1 Il  desiderio di maternità.

    Comincerò ora col riprendere meglio il tema del desiderio di maternità,  precedentemente

    appena accennato. E’ noto a tutti come il bisogno di avere un bambino risale a ben prima della

    scelta adulta: si manifesta già durante l’infanzia nel giocare con le bambole o a “mamma e papà”. Si

     parlava prima di come grazie alla contraccezione la donna possa oggi decidere quando concepire il

     proprio figlio, ma il desiderio cosciente di maternità può tuttavia celarne altri inconsci: provare la

     propria femminilità, la propria capacità generativa, l’identificazione nella figura materna, etc. Di

    questi temi si è ampiamente trattato nella letteratura psicoanalitica: proviamo a ripercorrere le tappe

    di questi studi.

    Freud (1915a) colloca in un primo momento l’origine del desiderio di maternità nella fase

    edipica (laddove il bambino assumerebbe il significato della soddisfazione del bisogno del pene

    mancante), poi anticipa il desiderio nella fase di attaccamento pre-edipico alla propria madre.

    Successivamente Deutsch (1945) valorizza invece la funzione ricettiva della gravidanza: più

    che il valore riparativo per la mancanza del pene, ne sottolinea la naturale tendenza femminile a

    recepire (a mettere dentro).

    Benedek (1956) concependo la gravidanza come un evento psicosomatico, coglie delle

    interdipendenze tra le manifestazioni emozionali e l’accresciuta produzione ormonale. L’Autrice

    arriva quindi a riconoscere correlazioni tra modificazioni fisiologiche e tendenze psicologiche.

     Nella sua concezione la maternità è manifestazione dell’istinto di sopravvivere nel figlio, è

    organizzatore dell’istinto sessuale e dell’intera personalità femminile.

    Erikson (1964), d’accordo con il pensiero della Deutsch, sostiene che la funzione materna

    sia strettamente legata alla propensione naturale femminile a creare uno spazio interno di

    accoglimento per la propria creatura.

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    Riconsiderando i contributi psicoanalitici appena esposti e quelli più sociologici a cui si è

    fatto riferimento precedentemente, si potrebbe sintetizzare affermando che “il desiderio di avere un

    figlio ha un’origine molto complessa, che ha una lunga storia nella vita di una donna. Viene

    espresso con le modalità immaginative e rappresentative fantastiche che la bambina ha a sua

    disposizione nel corso del suo sviluppo; cioè si modifica costantemente rispondendo alle

    motivazioni interne ed alle condizioni socio-culturali esterne” (Lipari E. e Speranza A. M., 1992).

    2.2 La scoperta della prima gravidanza.

    Vale la pena soffermarsi un momento per esplorare cosa prova una donna quando scopre di

    aspettare il primo figlio. Nei migliori dei casi, soprattutto quando l’evento è preceduto da una lunga

    attesa, intrisa di intenso desiderio, “si compenetrano la scoperta della propria generatività e

    creatività con un intenso rapporto d’amore col proprio partner e con il desiderio di cura e

    responsabilità verso il bambino” (Albergamo M. e Nunziante Cesaro A., 1992), tuttavia non

    mancano le situazioni più drammatiche, quelle in cui la nascita di un figlio non era stata

     programmata e tuttora non viene accettata: resta fonte di disagio individuale, a volte economico, a

    volte sociale, di disordini nei rapporti con il partner, con la famiglia d’origine.

    I soggetti che si sono sottoposti alle interviste per la presente ricerca rappresentano un

    campione che potrebbe essere rappresentativo delle diverse circostanze in cui può collocarsi la

    scoperta della prima gravidanza. Ritengo opportuno a questo proposito offrire alcuni brani tratti dai

    colloqui più significativi, per chiarire questo primo aspetto del vissuto psichico.

    7 a intervista: 

    “Ho fatto il test, è risultato positivo, sono andata a fare un’ecografia e… il risultato è stato quello: ero incinta.

     E non sapevo cosa fare… se tenerlo oppure no, perché comunque non convivo, non sono sposata… quindi

     sono stata un po’ combattuta, ecco, i primi 3 mesi. Anche con il mio ragazzo parlavamo: “Cosa facciamo,

    cosa non facciamo? Insomma abbiamo trenta anni, possiamo anche tenerlo questo bambino.”

    E’ questo un caso un po’ particolare, ma a lieto fine: si tratta di una gravidanza non

     programmata ed inizialmente non accettata. La donna si è sottoposta fino all’ultima visita richiesta

     per praticare l’aborto, poi in seguito alla decisione di portare a termine la gestazione, la coppia è

    stata colta da un’altra sorpresa:

    “…il giorno in cui… volevo abortire… insomma ci siamo guardati… abbiamo cambiato idea, abbiamo detto:

    “Teniamo ‘sto bambino”. Va bene, andiamo in vacanza, facciamo di tutto, prendiamo l’aereo etc., etc. Al

    ritorno vado a fare una bella visita… ginecologica e scopro che sono due. Ho visto nero… per cinque secondi.

     Ho detto: “Due?!” (sottovoce). Poi va beh, l’ho visto così… muoversi e allora mi sono subito innamorata.”

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    9a intervista:

    “Mah… la storia della mia gravidanza nasce dopo 2 anni e passa di ricerca, quindi all’inizio incredula (ride)

    nel senso che dopo tre test ancora non ci credevo. E quindi poi quando mi sono, mi so… arresa all’evidenza,

     sono stata più che felice, anche se i primi mesi sono stati di… ero talmente incredula perché anche i medici ci

    avevano detto che sarebbe stato molto difficile avere questa bimba e l’ho vissuta un po’ sul filo del rasoio: mi sembrava di doverlo perdere da un momento all’altro.” 

    In questo caso la gravidanza è stata il frutto di un lungo e faticoso iter di ricerca, ricco di

    esami clinici e cure accompagnati da speranze, delusioni, altre attese ed in ultimo dalla

    realizzazione del sogno di poter aver in grembo il proprio figlio. 

    10a intervista:

    “Allora… eh… l’ho… è una gravidanza inaspettata, perché non è la prima… ho avuto una prima gravidanza

    e… ho dovuto interrompere perché non… ce la facevo, non… non ero in condizioni di averlo. E… questa gravidanza… eh… l’ho portata avanti grazie a lui (facendo riferimento al compagno), perché lui lo voleva a

    tutti i costi e… e alla fine ho accettato e…”

    Riporto l’esperienza di questa ragazza extracomunitaria a titolo esemplificativo di quelle

    gravidanze non desiderate soprattutto per via della giovane età e per ristrettezze economiche. In

    questo caso il padre del bambino è un italiano, molto più grande di lei, che l’ha spinta a tenere il

     bambino. All’inizio la decisione è stata dunque molto forzata, ma in seguito è subentrata la gioia di

    aspettare un bambino.

    “Mi sono pentita, ho chiesto, ho chiesto perdono a Dio, a lui, al bambino, al mio compagno perché non volevo

    tenerlo ed è stata una cosa bella.”

    Tutta l’intervista tuttavia è pervasa da preoccupazioni e dubbi riguardanti la sua instabile

     posizione economica (si tratta di una donna di servizio) e relazionale (non è sposata con

    quest’uomo).

    “Pensate di sposarvi? - Dopo, quando nasce il bambino. Mi conosce meglio. Pensa, abbiamo deciso di avere

    un bambino senza conoscerci neanche…”

    2.3 Evoluzioni somatiche e corrispondenze psicologiche.

    Birksted-Breen (1992) fa notare come la gravidanza, in particolare la prima gravidanza, non

    vada considerata una malattia o un ostacolo, ma “un punto di crisi che può portare alla crescita

     psicologica parallelamente alla crescita fisiologica o, se la crescita viene ostacolata, alla

    depressione, alla psicosi o alla morte del bambino”.

    La gravidanza effettivamente è un evento fisiologico che implica necessariamente

    trasformazioni reali dell’aspetto, che vanno a ripercuotersi sull’immagine corporea femminile.

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    Piperno e Vallone (1980) sottolineano come l’attenzione che la donna rivolge al proprio corpo non

    si concentri solo in concomitanza delle trasformazioni corporee, ma accompagna per tutti i nove

    mesi l’elaborazione del nuovo sé, che comprende anche il bambino. “La madre deve venire a patti

    con lo strano fenomeno “due in uno” , l’esperienza di due persone in un corpo” (Lipari e Speranza,

    1992). La prima gravidanza diventa un’occasione per la donna di estendere la consapevolezza

    corporea fino all’interno del proprio ventre, per poi scoprirci un altro individuo. Questo nuovo “io”

     può essere percepito come un arricchimento o una minaccia interna (un corpo estraneo, un

     parassita).

    testimonianza scritta:

    “Il mio corpo è l’involucro che contiene tutto: l’amore, l’attesa, la speranza, i dubbi e le paure; in me cresce

    una vita che mi dà vita, mi fa sentire viva, importante ed ogni giorno che passa mi sento più forte, più ricca di

     sentimenti e di amore.”

    Per prima Benedek (1956) ha elaborato una concezione della gravidanza come evento

     psicosomatico, successivamente vari studi hanno individuato delle “regolarità” psichiche in

    corrispondenza delle trasformazioni che il corpo subisce nei nove mesi. In particolare la percezione

    dei primi movimenti fetali è considerata dalla maggior parte degli Autori un momento di svolta

    nella riorganizzazione dell’assetto psichico della primipara.

    Bibring (1959, 1961) individua due “compiti adattivi” in relazione a due stadi della

    gravidanza. Precisamente nei primi mesi, dopo aver scoperto di avere una creatura in grembo, lagestante dovrebbe accettarla e considerarla parte integrante di sé, fusa con la sua persona. I primi

    movimenti fetali invece segnano il momento in cui la donna, avvertendo la presenza del bambino,

    dovrebbe cominciare a considerarlo come altro da sé. A questo punto inizia il secondo compito che

    consiste nel riorganizzare gli investimenti oggettuali per prepararsi all’evento nascita: solo allora la

    separazione dal bambino sarà reale e visibile. Come afferma la Bibring, i movimenti fetali rompono

    l’unità narcisistica precedente e introducono “innegabilmente il bambino come nuovo oggetto

    dentro il sé… Questa parte di sé che comincia a muoversi indipendentemente e che viene

    riconosciuta come il bambino che sta per nascere, comincia ad essere percepita come se fosse un

    altro oggetto, e questo prepara lentamente la donna al parto e alla separazione anatomica” (Bibring

    G., 1961).

    Le fantasie della gestante vengono messe in relazione a quattro periodi specifici da Pines

    (1972, 1982). L’Autrice distingue il primo stadio che occupa l’intervallo dal concepimento alla

     percezione dei movimenti fetali, il secondo che si estende fino agli ultimi mesi della gravidanza, il

    terzo che precede il parto, mentre il quarto momento lo segue.

    1.   Nel periodo iniziale la donna è molto concentrata su se stessa, sulle modifiche che subisce il

     proprio corpo (in primo luogo la crescita del seno, della pancia, la stanchezza etc.). Il

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    vomito, le nausee e le voglie vengono considerate disturbi psicosomatici, indicatori di una

    fase caratterizzata da ambivalenza nei confronti del figlio: da una parte il desiderio di

    espulsione, il rigetto e dall’altra il tentativo di appropriarsene, di incorporarlo in una fusione

    inscindibile.

    2.  Con i primi movimenti fetali il bambino viene riconosciuto nella sua individualità e questo

     provoca ansie di separazione. Aumentano le fantasie sul bambino al quale si attribuiscono

    spesso propri connotati (ad esempio i tratti degli occhi, il colore dei capelli, etc.).

    9a intervista:

    “La immagino un po’ come me quando ero piccola. Io ero bionda, bionda me la vedo così”

    3.  Gli ultimi giorni della gravidanza sono invece pervasi dalle preoccupazioni riguardanti i

    dolori del travaglio, del parto, la salute del bambino al momento della nascita, la paura della

    morte.4.   Nella concezione della Pines la gravidanza si conclude con il momento successivo al parto,

    caratterizzato dalla separazione fisica tra bambino e madre, dai cambiamenti del proprio

    corpo, dall’incontro con il bambino reale. La modalità con cui tutti questi fattori vengono

    vissuti ed elaborati dalla donna inciderà sul suo sviluppo psichico e relazionale in veste di

    neo-mamma.

    Un’altra suddivisione della gravidanza in tre stadi ci viene dalla psicoanalista ingleseRaphael-Leff (1980), la quale evidenzia un’analogia tra questi periodi e le tre fasi del rapporto

    madre-bambino della Mahler (1975): la fase autistica, la fase simbiotica e la fase di individuazione-

    separazione. Paragona l’intervallo iniziale della gravidanza con la fase “autistica normale”, uno

    stato di “inattività vigile” nel quale la gestante è concentrata su se stessa, nel raggiungimento del

     proprio stato di benessere. Successivamente la donna comincia ad accettare la presenza del

     bambino, ad integrarla nell’immagine di sé: si giunge così alla fase “simbiotica” della Mahler. In

    questo intervallo i due individui sono inclusi “nell’unità duale”; il confine comune è rappresentatodal corpo materno, come effettivamente sarà per tutta la gravidanza. Segue poi la presa di coscienza

    dell’esistenza del feto come altro da sé, portatore di una sua individualità. In questo momento si

    crea il confine mentale che separa i due soggetti: la madre si differenzia dal bambino.

    Si può notare come tutti gli Autori citati concordino nell’evidenziare l’importanza dei primi

    movimenti fetali, considerandoli momenti chiave nel processo della gestazione, incisivi sul vissuto

     psichico materno. De Benedetti Gaddini (1992) suppone che sia proprio dalla percezione dei primi

    movimenti fetali che abbia inizio la preoccupazione materna primaria, intesa come capacità di

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    sentire e manifestare sollecitudine, di offrire cure e condividere stati emotivi con il feto e

    successivamente con il bambino.

    Cito in ultimo Barry (1980), il quale ha portato a termine un’interessante ricerca sugli

    atteggiamenti della gestante verso il proprio corpo. E’ emerso come il vissuto storico, insieme al

     background ambientale e sociologico di provenienza, influenzino l’immagine corporea. L’età della

    donna e la programmazione della gravidanza sono state segnalate come ulteriori variabili implicate

    nella connotazione dello schema corporeo. Quest’ultimo, se connotato positivamente, risulta essere

     buon indice di una gestazione accettata e vissuta serenamente.

    Vorrei chiudere questa parentesi sulle influenze che le trasformazioni corporee hanno sulla

    stabilità psichica della gestante con una nota di Albergamo e Nunziante Cesaro (1992): “I

    mutamenti fisici possono esacerbare gli effetti disorganizzanti, della trasformazione, connessi al

    deformarsi dell’immagine corporea. Ma il corpo che cambia non dichiara subito la presenza del

     bambino… riattualizzando quella confusiva e disgregante esperienza di perdita della propria

    immagine corporea già vissuta in adolescenza.” Ho riportato questa citazione a sostegno delle tante

    argomentazioni che in letteratura si possono trovare sul parallelismo esistente tra la prima

    gravidanza e l’adolescenza: il tema appunto dell’immagine corporea, la “crisi maturativa”, i

    mutamenti nei rapporti con le figure parentali, etc.

    2.4   A proposito delle visite mediche.

    Alcuni Autori hanno fatto notare gli effetti negativi sulla psiche della gestante che può avere

    il sottoporsi agli esami di controllo: vissuti negativi di intrusione, sensazioni persecutorie, emozioni

    di debole entità.

    Due decenni fa Barry (1980) sosteneva che le visite ambulatoriali a cui la donna si prestaspesso vengono percepite come aggressive ed intrusive, in quanto provocherebbero una sorta di

    estraniamento della donna dal proprio corpo. La visita ginecologica, permettendo esclusivamente al

    medico l’esplorazione del proprio interno, indurrebbe nella donna un senso di esclusione da questa

    esperienza.

    Dello stesso parere erano anche Del Carlo Giannini (1981) e Courvoisier (1985) riferendosi

    alle ecografie. Precisamente il primo Autore sosteneva che questo esame non sempre è vissuto

    come un momento particolarmente atteso per poter “incontrare” il bambino, in quanto l’immagine possiede un indice di realtà inferiore rispetto sia ai movimenti fetali che la donna percepisce, sia a

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    ciò che fantastica in prima persona. Il secondo Autore fa notare inoltre che dopo la ventesima

    settimana il feto, non apparendo più nel video nella sua interezza, provocherebbe nella madre ansie

    di frammentazione.

    Recentemente Klaus e i suoi collaboratori (1995) hanno unito le loro conoscenze pediatriche

    e psicologiche, impegnandosi nella ricerca di soluzioni che facciano vivere il parto come

    un’esperienza più umana e naturale possibile per la madre e per il bambino. Dalle loro

    considerazioni sono risultate altre conseguenze che le nuove tecnologie diagnostiche avrebbero

    sullo sviluppo del legame con il bambino. Accanto agli effetti positivi che gli esiti dei test

    avrebbero nell’eliminare parte delle ansie riguardanti la possibilità di anomalie fetali, è emersa dalle

    loro osservazioni la delusione spessa vissuta dai genitori nel conoscere il sesso del bambino: è come

    se sparisse metà del mistero, una parte della sorpresa. Sarebbe dovuto a questo la richiesta di alcune

    coppie di non farsi comunicare questo aspetto riguardante il feto.

    Per quanto riguarda invece le procedure di screening sempre più raffinate introdotte in

    questi ultimi anni (gli ultrasuoni, i test per la sindrome di Down, quelli ormonali, etc.) gli Autori

    riportano come nella maggior parte dei casi gli esiti degli accertamenti siano negativi e dunque utili

    nel rassicurare molte donne sull’integrità della salute del loro bambino. D’altro canto a volte

     possono essere motivo temporaneo di ansie ingiustificate, in quanto talvolta gli esiti positivi iniziali

    non vengono confermati da prove successive. L’angoscia che subito pervade queste donne non le

    abbandonerebbe nemmeno dopo la rassicurazione dell’esame successivo: la convinzione di dare alla

    luce un bambino non sano continua ad accompagnarle fino al momento del parto, se non ancora per

    i primi mesi successivi alla nascita. Klaus e i suoi colleghi concludono, forse un po’

     provocatoriamente, affermando che “da sempre le donne in gravidanza hanno fantasie e timori, e a

    volte sogni molto angosciosi, e in realtà la maggior parte delle madri sognano che avranno un

     bambino anormale. Ma questi timori probabilmente vengono accentuati da molti nuovi test mirati a

    escludere diverse malformazioni” (1995).

    testimonianza scritta:

    “I continui controlli e i test diagnostici fatti in quel periodo mi lasciavano in uno stato di apprensione totale.”

    Di tonalità tutt’altro che negative sono invece gli esiti di una ricerca condotta poco tempo fa

    da Fava Vizziello e dalla sua équipe (2000). Il loro intento è stato quello di indagare il tipo di

    valenza psicologica che può avere l’esame ecografico, in particolare come la prima ecografia si

    inserisce nel vissuto della maternità. Innanzitutto premettono come la rappresentazione che la

    madre ha del bambino prima dell’ecografia si fondi esclusivamente sulle sue fantasie, sulle sue

    attese: sono proprio queste ultime che vengono poi messe a confronto con l’immagine reale che

    offre il video e con le parole dell’ecografista. L’ipotesi da loro confermata è che l’ecografia

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    ostetrica si inserisce nel vissuto materno non come una “interruzione volontaria di fantasmi” (Soulé

    M., 1980), ma come una “corto-circuitazione momentanea” (Courvoisier A., 1985) riguardante

    alcuni aspetti del bambino che vanno ad integrarsi in una riorganizzazione dell’immagine fetale

    fantasticata. Numerosi sono i vantaggi che sono emersi da questo studio: innanzitutto questo

    strumento, oltre al suo valore diagnostico e preventivo, si è dimostrato avere un’influenza positiva

    sull’immagine che la donna ha di sé, permettendole di vivere con maggiore concretezza la

    situazione e il ruolo che riveste.

    4a intervista:

    “… la prima ecografia, quando ho visto il battito che è stato poi al 2° mese. Quando… ho sentito il battito

    del… ecco lì mi sono resa conto, beh mi sono resa conto di essere incinta, insomma di aspettare un bambino

    e… ed è stato un momento particolarmente emozionante. Poi no… per il resto… sì… tutte le ecografie sono…

     sono belle no? Perché ti mettono in contatto diretto con… la realtà che comunque (ride) è tua, ma non

     percepisci se non in modo un po’ filtrato, ecco.”

    L’ecografia inoltre ha una funzione rassicurante e connota positivamente la rappresentazione

    del bambino: i movimenti osservati vengono interpretati come segnali di benessere e hanno un alto

    impatto nel rafforzare il legame emotivo tra la gestante e la sua creatura. In ultimo gli Autori non

    hanno mancato di cogliere una dimensione più ampia, quella famigliare, in cui si colloca anche la

    figura paterna: “l’ecografia permette di aprire una “finestra” sul feto, attraverso la quale nella stretta

    e segreta relazione madre-feto può inserirsi il futuro padre, a costituire un nuovo nucleo familiare: si

     passa dunque da una relazione a due a una relazione a tre (madre-padre-figlio)”.

    11a intervista:

    “Allora, all’inizio si è messo piangere dalla gioia. Poi ha avuto un momento dove non si rendeva bene…

    cioè… finché non lo sentiva anche lui… sì, ok, arriva ma… adesso…da quando è vivente, da quando ha visto

    l’ecografia, non quella della… quella un po’ più avanti dove si vedeva meglio il bambino… eh… contento!”

    E’ sorprendente come questo soggetto associ il “vedere l’ecografia” al considerare il

     bambino “vivente”.

    Riassumendo con le parole degli Autori si può concludere affermando che “la prima filii

    imago è parallelamente, e forse con maggior forza, la prima matris imago, in una prova, nella

    fantasia, dell’interazione con un bambino più vicino perché percepito anche attraverso un diverso

    canale sensoriale, e più triadico perché condivisibile con il padre nell’esperienza sensoriale” (Fava

    Vizziello G. e coll., 2000).

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    2.5 Ansie e preoccupazioni.

    Si è precedentemente accennato a come la gravidanza non sia un intervallo di vita costellato

    di sole gioie e speranze, come si vorrebbe nella sua concezione più romantica, ma spesso si presenta

    come un periodo caratterizzato anche da fragilità psicologiche, timori e angosce. Queste

    accompagnano più o meno silenziosamente tutto il processo, ma emergono con maggiore intensità

    in prossimità del parto, fase in cui si concentrano la paura dell’ignoto, del dolore, la preoccupazione

     per l’integrità fisica propria e del bimbo.

    testimonianze scritte:

    “Adesso che sono in dirittura d’arrivo riemergono in me le paure che ho provato nei primi mesi.”

    “Con il ritorno dalle vacanze a Settembre sono incominciate le paure legate al parto e le inevitabili domande: sarò una buona mamma? sarò all’altezza della situazione?”

    Ogni gestazione, anche se molto desiderata e con un decorso senza complicazioni, può

    suscitare sentimenti contraddittori.

    Soifer (1971) individua sette momenti in cui alla sintomatologia fisica fa corrispondere un

    accesso di angoscia preciso.

    1.   Nel primo mese l’ansia è legata all’incertezza circa l’avvenuto concepimento e le proprie

    capacità di accudire successivamente il piccolo.

    2.  Il rischio di aborto, molto alto fino al terzo mese, viene messo in relazione al timore di

    annidamento dell’embrione, vissuto in modo persecutorio.

    3.  e 4. Dal 4° al 5° mese i movimenti fetali divengono percepibili, ma possono venir negati

    (ad esempio: “sembra un battito d’ali di farfalla”), oppure interpretati inconsciamente come

    segni minacciosi del bambino (ad esempio il bambino che “tira calci”).

    5.  I movimenti più accentuati del bambino, avvertiti negli ultimi mesi della gestazione,

     provocano nell’inconscio altre angosce che si manifestano con ipertensione, crampi,

    lipotimia, etc. La mente della donna può essere pervasa da fantasie di svuotamento e di

     perdita, generalmente dal timore di una nascita pretermine, anticipando così la difficoltà

    della separazione.

    6.  L’insorgenza dell’incertezza circa la data del parto è fonte di ansia per la donna e si colloca

    temporalmente accanto all’aumento del peso e delle dimensioni del bambino nell’ultimo

    mese di sviluppo.

    12a  intervista:

    “spero che riescano e… che tutto vada come programmato a termine, al termine che mi hanno indicato senza

    dover arrivare a fare quelle volate notturne o diurne con gli imprevisti.” 

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    7.  Gli ultimi giorni prima della nascita (come già indicato nel 3° stadio individuato dalla Pines)

    sono caratterizzati dall’angoscia del parto, dei dolori, dalla paura della morte propria o del

     bambino.

    Più recentemente diversi autori (Capodieci S. e coll. 1990; Chertok L., 1969; Pasini W.,

    1973; Prezza M. e coll., 1979) concordano nel giudicare la gravidanza un evento psicosomatico, di

    cui i sintomi fisici, quali le voglie, le nausee, il vomito, sarebbero la manifestazione dei conflitti

     psichici, il più delle volte inconsci, materni.

    2.6 Le fantasie sul parto. 

    E’ negli ultimi mesi della gravidanza che l’attesa-timore di partorire viene avvertita con

    maggiore intensità. La donna si prepara al distacco dal bambino che sarà doloroso e impegnativo sia

    fisicamente che psichicamente. Il parto implica una separazione e come tale fa paura, ma

    l’entusiasmo e la curiosità di incontrare il proprio figlio permettono alla donna di controbilanciare

    queste ansie.

    7 a intervista:

    “Come mi immagino il parto? Allora io sarò: supertesa, tesa però da una parte non vedo l’ora, insomma, di

     partorire anche oggi. Ehm… me lo immagino… so già che è cesareo. Quindi subirò un intervento chirurgico, praticamente. So che sarò cosciente, so che… le sentirò, quindi le vedrò e basta… sono abbastanza

    tranquilla.”

    12a intervista:

     E questo terzo trimestre… si alternano da un lato la gioia e anche il desiderio di terminare: ormai sta

    diventando un po’ pesante, perché anch’io sto diventando più pesante e un po’ insofferente: io sono un tipo

    che “le cose tutto subito” e… (ride) quindi già a 8 mesi mi sembra un’eternità e anche il desiderio di vedere,

    la curiosità proprio di dire: “Chissà che faccia avrà? Chissà come sarà? (sottovoce) Chissà a chi

     somiglierà?”. Dall’altro canto… dico anche il fatto che sono molto, un po’ impaurita dall’evento parto.”

    In questa sede vorrei trattare in particolare le fantasie che l’evento parto suscita nelle donne

    in gravidanza, precisamente i timori e le ansie legate a questo aspetto futuro che concluderà l’iter

    della gestazione. Un breve accenno però si deve prima alle considerazioni che sono state fatte sui

    risvolti psicologici che ha il momento in cui la donna dà alla luce il suo bambino: anche se

    vogliamo considerarlo un evento del tutto fisiologico, non sfugge tuttavia alla regola per cui gli

    eventi psichici e quelli somatici sono spesso strettamente correlati tra loro.

    Innanzitutto Birksted-Breen (1992), riprendendo le parole di Bermudez, sostiene che “lanecessità di scoprire se il bambino è intatto e la paura di scoprire cosa c’è dentro può contribuire ad

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    accorciare o a prolungare la durata del travaglio.” L’Autrice fa notare come il dare alla luce un

     bambino sano sia fonte di rassicurazione, ma nello stesso tempo accanto al sentimento della gioia,

    della soddisfazione, emergono “sensazioni di perdita”, precisamente tre:

    1.  la perdita della condizione di gravidanza, della sensazione di pienezza, di potenza: il parto

    viene vissuto come il termine di un’esperienza, la deprivazione di una parte di sé;

    2.  la perdita del “bambino interno”, compagno costante di nove mesi: partorire significa anche

    separarsi da esso;

    testimonianza scritta:

    “so che dopo il parto mi mancherà tutto della gravidanza e guarderò con nostalgia la pancia (ciccia) che è lì

     senza più nessun movimento, senza quei bussare infiniti, quei solletici che ti fanno ridere da sola.”

    3.  la perdita del “bambino fantasticato” e del proprio sé nel ruolo materno idealizzato. Il

     bambino reale può essere del sesso sbagliato, avere sembianze diverse da quelle attese,

    esigenze non previste e la madre stessa può scoprire di non avere tutte le doti, le premure

    che si immaginava. Quest’ultima perdita, legata alla propria persona, sarebbe secondo la

    Birksted-Breen la più difficile da elaborare ed una possibile causa di delusioni, tristezza,

    forme depressive successive al parto.

    Un soggetto che ha partecipato a questa ricerca anticipa con le sue preoccupazioni la possibilità

    di perdere la propria immagine materna idealizzata.14a intervista:

    “Eh… cominciano ad affiorare le paure man mano che si avvicina… diciamo la data del parto o comunque

    anche dopo insomma… quello che sarà mi spaventa un pochino perché mi chiedo: “Sarò in grado di accudire

    la bambina? Di… Sarò una brava mamma?”

    L’Autrice individua inoltre tre dimensioni importanti nell’esperienza di avere un figlio: la

    collocazione spaziale del bambino dentro/fuori, l’equilibrio di sentimenti distruttivi e costruttivi, in

    ultimo il binomio di attività/passività. La prima individua l’area di elaborazione e confronto tra

     bambino fantasticato e bambino reale nel momento di incontro dopo la nascita, la seconda sintetizza

    l’intreccio di sentimenti che vive la madre nei confronti del figlio per tutta la gravidanza, ma che si

    accentuano per intensità proprio nell’intervallo che precede il parto. Per quanto riguarda la terza

    dimensione individuata bisogna citare una ricerca da lei condotta su 60 primipare, dalla quale è

    emerso che le donne che si sentivano partecipanti attive al parto riuscivano ad affrontarlo bene e lo

    trovavano un’esperienza creativa, mentre le donne che lo avevano vissuto in maniera passiva,

    avevano avuto un maggior numero di problemi e complicazioni.

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    Ritorniamo ora al nostro oggetto di studio: come vivono le gestanti l’attesa del parto, che

    idea hanno del travaglio, quali sono le loro fonti di informazione e confronto.

    Anche in questo caso la cornice teorica di riferimento che si è occupata di esplorare questi

    aspetti rimane quella psicoanalitica. Negli ultimi mesi, e più in particolare nei giorni che precedono

    il travaglio, contemporaneamente alla percezione delle prime contrazioni uterine, riemerge il

    conflitto tra il desiderio di trattenere il feto e quello di espellerlo, come accadeva all’inizio della

    gravidanza (Pines D., 1972, 1982; Soifer R., 1971). Contemporaneamente si fa strada la paura che

    al momento della separazione il dolore sarà grande: il timore di vivere uno strappo dall’oggetto

    amato si accompagna alla paura del futuro imminente e oscuro. Protagonisti principali delle fantasie

    riguardanti il parto sono i dolori del travaglio e della nascita: la paura di non riuscire a partorire, di

    non reggere la tensione, di non sopportare le fitte e le contrazioni.

    1a intervista:

    “Sì. Eh… doloroso sicuramente. Me lo immagino doloroso… Ho paura di spaventarmi, perché io sono…

    cioè… sono coraggiosa, però ho paura di spaventarmi, di non reagire… quello sì… in qualsiasi caso: o faccio

    il parto normale o faccio il cesareo, ho paura di essere lì e di spaventarmi: “Oddio cosa succede? Oddio cosa

     succede?”. Di non riuscire più a controllarmi. Questa cosa qua è una cosa che mi fa…”

    10a intervista:

    “ho paura… ho paura di quando deve nascere di essere lì in sala e mi diranno, mi diranno che devo fare il

    cesareo, perché è la cosa che io non vorrei! - Non vorrebbe fare il cesareo? - Perché ho già una sorella (in

    Ecuador) che ha partorito tre bambini, tutti e tre li ha fatti con il cesareo ed è una cosa… non vorrei il segno sulla pancia.” (ride) 

    C’è anche chi sdrammatizza e si fa forza sperando.

    11a intervista:

    “Però penso, insomma… io sono molto positiva, nel senso: sono in una struttura pubblica, quindi seguita

     perché hanno insomma tutti i metodi… se succede qualcosa mi salveranno, non è che mi lasciano lì (ride) a

    morir di dolore!”

    Mi piace terminare l’elenco di queste affermazioni un po’ allarmate con il pensiero positivodi una madre che è riuscita ad esprimere la consapevolezza del valore che sta dietro al sacrificio

    fisico.

    8a intervista:

    “Allora, il parto… tanti me lo descrivono come una cosa orrenda, dolorosa, però io momentaneamente…

    boh… me lo immagino come qualcosa di doloroso, comunque sopportabile.

    … Il dolore che ci sarà penso che sia sopportabile, anche perché poi dopo verranno al mondo dei bambini,

    quindi voglio dire, si può sopportare di tutto, si può sopportare.”

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    Il desiderio che accomuna tutte le gestanti che hanno partecipato a questa ricerca è di avere

    vicino nel momento del parto il marito o il fidanzato, secondariamente la madre o la sorella che ha

    già dato alla luce un bambino.

    Spesso i timori sul parto trovano origine nei racconti di altre donne che hanno già vissuto

    questa esperienza, amiche o partecipanti ai corsi di nuoto in gravidanza per esempio; le ulteriori

    fonti informative a cui attingono sono gli “interrogatori” al medico di fiducia, la lettura di libri,

    manuali e riviste sulla gestazione, la frequentazione dei corsi di preparazione al parto.

    5a intervista:

    “ Eh… col medico è una cosa di cui non ho parlato. Eh… ho sentito i racconti delle mie amiche che ti

    raccontano delle cose drammatiche.”

    9a intervista:

    “Ne ho sentite un po’ di tutti i colori.”12a intervista:

    “… beh mi hanno raccontato barzellette di tutti i colori… e più che altro la cosa che mi fa specie sono quando

     gli stessi medici guardano, mi dicono: “Beh, meno male che sono nato uomo!”. Ecco quindi al di là di tante

     parole si capisce tutto.”

    C’è qualcuna a cui bastano le proprie fantasie spaventose e preferisce non caricarsi di altre

    immagini negative.

    6 a

     intervista:“Come ti immagini il parto? - Eh… mi fa paura veramente, lo so, non lo so. - Ti hanno gia raccontato

    qualcosa? - No, però non voglio sapere.” (ride)

    2.7 La psicoprofilassi ostetrica e i corsi di preparazione al parto: un supporto alle

     gestanti.

    Mi soffermo ora un momento per prestare attenzione ad una realtà molto attuale, allo

    sviluppo di una nuova disciplina: la psicoprofilassi ostetrica prende origine dal presupposto che la

    gravidanza e il parto sono eventi altamente psicosomatici. Nata inizialmente come risposta

    all’esigenza della donna di superare la componente dolorosa del parto e di salvaguardare l’umanità

    di questa esperienza, ha successivamente ampliato il campo di suo interesse anche a tutto il periodo

    della gravidanza e a quello dopo la nascita. Ha comportato grandi cambiamenti nelle strutturesanitarie, in particolare per quanto riguarda l’assistenza ostetrica e neonatale.

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    In crescita sono oggi i corsi di preparazione al parto che accolgono le gestanti

     preferibilmente dal 7° mese. Tenuti generalmente in piccoli gruppi, prevedono due momenti

    fondamentali: una sezione teorica-informativa ed una tecnica-pratica. La prima offre alla donna, e

    spesso anche al partner, una serie di informazioni riguardanti gli aspetti fisiologici della gestazione,

    della nascita e del neonato. E’ organizzata con lezioni corredate da materiale audiovisivo, tenute da

    diverse figure professionali quali il ginecologo, l’ostetrica, lo psicologo, il neonatologo. La donna

    ha bisogno di avere notizie sul parto in generale, ma soprattutto di sapere come e dove si partorisce

    nella clinica da lei scelta. Diventa dunque rassicurante frequentare e conoscere preventivamente i

    luoghi, le persone e le modalità operative che la riguarderanno nel suo futuro.

    2a intervista:

    “… durante il corso di preparazione ti spiegano un po’ il travaglio, la fase del parto e tutto il resto.”

    La sezione tecnico-pratica prevede generalmente l’apprendimento di una tecnica di

    rilassamento. Qualunque essa sia (yoga, training autogeno respiratorio, ipnosi o altro), attraverso

    questa la donna impara ad entrare in relazione con il proprio corpo, a riconoscere le sensazioni che

    rimanda e in qualche modo a padroneggiarle. L’intento è fare in modo che la donna abbia la

    conoscenza del proprio corpo e di conseguenza fiducia in esso, spiegare la funzione del dolore,

    finalizzarlo e non accettarlo passivamente, evitare che si creino false aspettative.

    testimonianza scritta:“Ci si augura di terminare una gravidanza con una buona conoscenza della respirazione e delle spinte giuste

    al fine di affrontare un parto facile e veloce e più si avvicina la data presunta più ti spaventa quello che “non

     sai” ti accadrà.”

    In sintesi le figure professionali che se ne occupano ben conoscono i bisogni delle gestanti:

    sapere come si partorisce, vedere il luogo dove si partorirà, conoscere se c’è un modo per sentire

    meno dolore, prepararsi alla gestione del neonato, il tutto sintetizzabile nella ricerca della sicurezza

    che manca di fronte ad una circostanza nuova. Il tentativo è appunto far acquisire alle gestanti lafiducia in se stesse, promuovere le competenze materne nella ferma consapevolezza che è

    impossibile insegnare a dare alla luce un bambino.

    Il gruppo delle partecipanti è il luogo privilegiato in cui esprimere le proprie emozioni,

    fantasie e paure, condividerle con le altre donne che stanno vivendo la stessa esperienza. La

    socializzazione in questo momento è molto importante oltre che frequente: le donne che affrontano

    la prima gravidanza spesso partecipano anche a corsi appositi di ginnastica, di nuoto, si creano una

    rete amicale attraverso la quale esplorare con maggiore serenità gli aspetti nuovi della loro identità,della loro vita scoprendo di non essere le sole a sperimentarle e di conseguenza rassicurandosi che

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    tutto rientra nella normalità. Per Stern (1998) il bisogno di ricercare questa rete fa anch’esso parte

    dell’ “assetto materno”.

    12a intervista:

    “Io sono andata perché secondo me era più che altro psicologicamente un momento da dedicare al mio

    bambino almeno il lunedì mattino, visto che le altre mattine le dedico agli altri, almeno il lunedì mattina

    ecco…”

    13a intervista:

    “Corsi di preparazione al parto? - Mh… ho cominciato due o tre settimane fa… eh… presso il consultorio di

     zona. Mi sto trovando molto bene, perché tendono a non medicalizzare troppo la gravidanza, quindi va bene, è

    una cosa che mi piace molto.”

    2.8 Un processo di responsabilizzazione.

    “La maggior parte delle neomamme prova un senso di sgomento quando si rende conto,

    improvvisamente che la sopravvivenza di un altro essere umano dipende da loro, che la

    responsabilità finale di un’altra vita è nelle loro mani” (Stern D. e coll., 1998).

    4a intervista:

    “Come si è sentita quando ha saputo di essere incinta? - Oh… ero frastornata, sì assolutamente frastornata

    e… appunto un po’ eh… così un po’ preoccupata per le nuove responsabilità, per, per il cambiamento di vita

    ecco.”

    Durante la gravidanza comincia a maturare un processo di responsabilizzazione che

    coinvolge direttamente la donna stessa, ma che può essere percepito da lei anche nel suo partner.

    Come fa notare Zattoni (2001), anche il partner “si porta dentro la certezza che la vita dell’altro

    dipende ora da lui stesso”, suggerendo come la metamorfosi del compagno in padre sia meno

    eclatante, ma assolutamente certa. 

    5a intervista: 

    “  Il partner? - No. Secondo me lui… anzi, anzi lui ha avuto la reazione inversa. Secondo me è un meccanismo

    di responsabilizzazione. Cioè tante cose che prima erano lì… che aspettavano… poi farò e… lui le sta

    concretizzando adesso. Come se dovesse comunque adesso concludere per poi avere il tempo libero dopo o

    comunque averle già fatte.”

    La gestante vive la consapevolezza del fatto che ora è lei a custodire e proteggere dentro di

    sé il suo bambino, che la sopravvivenza del feto dipende dal suo corpo. Di ciò ne tiene conto in

    tutto ciò che fa, può avere il timore di farlo soffrire, di farlo star male e questo può scatenare anche

    sensi di colpa.4a intervista:

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    “Insomma… ho avuto spesso timore di farlo… di farlo soffrire. Quando… comunque mi alzavo per cucinare,

     per fare qualcosina, quando mi alzavo… ritornavo poi a letto con la preoccupazione di aver fatto soffrire… il

    bambino.”

    7 a intervista: 

    “Allora ti fermi, ti fermi un attimino e dici: “Ecco no, allora adesso devo comportarmi in questo modo. Devocercare di… eh… insomma di fermarmi un attimino, di fare le cose con più calma”, no? Forse perché non lo

    vuoi per… Hai un po’ paura di perderlo, no? Di tirarti giù, scusi, le mutande, di vedere una bella macchia

    rossa e dire: “Mamma mia l’ho perso!” perché non sono stata attenta. Quello è un pensiero che hanno tutte,

    no? Cercare di stare, di proteggere il più possibile. E… però comunque di vivere la vita normalmente, perché

     sennò…”

    13a  intervista:

    “Eh… cambia tutto, la prospettiva cambia totalmente per cui… cambiano le priorità: insomma se prima si era

    disposti a stancarsi tanto per il lavoro, nel momento in cui sai che hai la responsabilità di un altro essere

    dentro di te, te la prendi un po’ più con calma.”

    Prospettandosi nel futuro ruolo materno, quando il bambino sarà ormai venuto alla luce, la

    responsabilizzazione ricade sulle scelte di vita che verranno fatte, sulle modalità educative che si

    adotteranno, sulla qualità dell’allevamento e anche il riflettere su questo aspetto può essere fonte di

    insicurezza, può far emergere dubbi sulle proprie capacità.

    11a intervista:

    “ Come ti sei sentita e come è cambiata la tua vita durante la gravidanza?  -  Ecco cambiata… da un punto di

    vista di responsabilità, molte più paure sul futuro, sulla società, su quello che potrò offrire io, potrà offrire mio

    marito e… cioè prima eravamo noi due, adulti, grandi… poca difficoltà diciamo nella… Adesso ogni scelta, ci

     pensiamo già adesso a cosa sarà per nostro figlio, insomma…”

    Stern nel suo libro (1998) incoraggia le donne a cui si rivolge rassicurandole sul fatto che la

    sicurezza e la fiducia nelle proprie abilità per portare avanti il compito materno si acquisiscono man

    mano che si ha la conferma che il bambino gode di uno sviluppo sano e nella norma. “Ed è proprio

    dalla constatazione di questo successo che deriva un tranquillo, profondo senso di legittimazione:avete la capacità di dare al piccolo ciò di cui ha bisogno; siete, a tutti gli effetti, una mamma” (Stern

    D., 1998).

    2.9 L’attività lavorativa.

    Per la maggior parte delle donne che vivono nella nostra società, dare alla luce un bambino

    si scontra necessariamente con il compito di saper coniugare il tempo da dedicare alla cura e alla

    crescita della propria creatura con il tempo da impiegare nell’attività lavorativa. La scelta che ogni

    madre compie o le soluzioni a cui è costretta influenzano l’immagine materna che ha di sé: un

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    soggetto può considerarsi una brava mamma perché ha scelto il part-time, piuttosto che un’intera

    giornata lavorativa, per avere più attenzioni per il suo bambino; un’altra donna preferisce continuare

    la sua carriera per offrire un futuro migliore alla sua famiglia, pur sacrificando qualche ora alla sua

    vita affettiva; un’altra, proprio perché costretta a continuare a lavorare per esigenze economiche,

     può vivere nel rimorso e nel senso di colpa. La realtà lavorativa è un aspetto di cui comunque

    ognuna tiene conto già prima del concepimento, a volte proprio incidendo sulla decisione di avere

    un figlio, ma rimane anche un pensiero che accompagna tutta la gestazione.

    15a intervista:

    “come molte donne chiaramente c’è il timore di non riuscire a conciliare la maternità con la vita

     professionale, quindi… Eh… insomma spero di riuscire a trovare un compromesso verso il bambino, verso il

    lavoro… le mamme di oggi!”

    2.10 Modificazioni della sensibilità.

    Si è già ribadito più volte come l’esperienza della gravidanza vada ad incidere, con profondi

    cambiamenti, sulle diverse dimensioni di una donna (fisica, psichica, relazionale, lavorativa), ma

    vale la pena citare anche alcuni cambiamenti di sensibilità percepiti negli ambiti più disparati. Non

    vorrei qui correre il rischio di soffermarmi a trattare una materia, come le modificazioni sensoriali

    avvertite durante la gestazione, che necessiterebbe più che altro conoscenze mediche, ma di questa

    realtà ritengo interessante esplorarne ancora una volta l’aspetto più psicologico.

    Riporto qui di seguito un’osservazione di una mamma chiaramente inerente a questo

    argomento: viene espressa la percezione di una modificazione nell’alimentazione, nella scelta dei

    colori vissuta come estranea a sé, ma dipendente dal feto. Tale vissuto ha una connotazione

    negativa: viene decritto come una sorta di “possedimento” da parte del bambino.

    5a intervista:

    “Un po’… la cosa che più mi inversa, cioè ti dà la sensazione di essere posseduta, banalmente. Te ne accorgi

    dalla…. dall’alimentazione, perché certe cose ti danno fastidio e certe cose le mangi. Ma non sono cose mie,

    non sono scelte mie, sono scelte sue. E quindi… l’altra sera addirittura dicevo a mio marito: “Chissà, secondo

    me anche il fatto che sia un maschio o una femmina cambia qualcosa”. Probabilmente, cioè, probabilmente in

    questo momento ci sono delle scelte che io faccio… e… che magari, le cose più banali te ne accorgi sui colori,

     piuttosto che sulle cose che mangi. Ma ci sono delle cose che non dipendono da me, per cui danno la

     sensazione di essere un po’ posseduti.”

    Un’altra mamma ci parla di come per lei siano cambiati i livelli di importanza dei problemi

    sociali che deve affrontare nella sua attività di avvocato.12a intervista: 

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    “… io ho continuato dal punto di vista professionale a fare il mio lavoro sempre. Ecco in questo ultimo

     periodo… ovviamente mi vengono più in mente cose legate al bambino, più il desiderio di maternità, di vivere

    la mia esperienza come donna e come madre che non come avvocato, quindi a volte divento un po’ insofferente

    anche nei confronti di quei clienti che mi rivelano i loro problemi che a me sembrano un po’ banali o

    comunque privi di interesse. Una volta lo erano di più, perché ovviamente non avevo quest’altra cosa.”

    Stern (1998) coglie un cambiamento particolare che si manifesta dopo il parto: parlando di

    “un nuovo calendario” fa notare come il giorno in cui nascerà il bambino sarà il giorno zero da cui

    comincerà “una nuova era”, un calendario “privato, basato sulle età del bambino e sulle pietre

    miliari della sua crescita”. Questo è ciò che probabilmente avviene in ogni donna quando si esprime

    dicendo per esempio: “Vediamo… il bambino aveva appena cominciato a camminare, me lo ricordo

    ancora in piedi nel corridoio dell’aereo… deve essere stato quattro anni fa, quindi era il 1996”.

    Lo stesso soggetto della mia ricerca, che prima avevo citato per l’osservazione fatta sui

    cambiamenti dell’alimentazione e dei colori, ci parla di come già durante la gravidanza può capitare

    di vivere diversamente il tempo: 

    “Abbiamo parlato insieme della storia della sua gravidanza. Ci sono degli aspetti positivi o negativi di cui non

    abbiamo parlato? - Dovrebbe durare meno?! (ride riferendosi alla gravidanza). No, ma bisogna ridere.

    Secondo me dovrebbe durare in… no. Sono mesi lunghi… cioè mai come… probabilmente… a me non era mai

     successo di contare il tempo in questo modo e quindi, semplicemente contare il tempo lo dilata,

    inevitabilmente.”

    3. Emozioni e cambiamenti nel corso della gravidanza nella vita di

    coppia. 

    Si è già accennato precedentemente a come l’esperienza di avere un bambino possa

    imprimere una svolta a gran parte delle relazioni precedenti, ai propri ritmi di vita etc.

    Birksted-Breen (1992) sostiene che le potenti emozioni suscitate nella gestante e in coloro

    che la circondano spiegano la ragione per cui spesso i rapporti professionali e personali si guastano

    in questa fase. Ricordo a questo proposito che una donna che diventa madre resta comunque inserita

    nella rete sociale a cui appartiene, ma in questo momento particolare della sua vita sono il partner e

    la sua famiglia di origine ad assumere i ruoli dei protagonisti nel vissuto psichico e quotidiano della

    gestante.

    Scabini (1998) in un suo articolo propone come ormai sia “un dato socialmente ed

    individualmente acquisito, persino scontato” che la nascita di un bambino sia fonte di profondi

    cambiamenti nel sistema familiare. Definisce quindi “transizione alla genitorialità” quel processo di

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    trasformazione familiare che coinvolge più livelli di cambiamento. “La nascita di un bambino dà

    luogo infatti a nuove “posizioni” e nuovi ruoli per tutti i membri della famiglia: i coniugi diventano

    anche genitori, i genitori anche nonni, i fratelli dei genitori anche zii” (Scabini E., 1998).

    Scrive Di Vita nell’introduzione del suo libro: “nel momento della gravidanza, in specie

    nella prima esperienza, queste tre dimensioni, la moglie, la madre, la figlia si combinano

    diversificatamene nella mente della donna, rifacendosi ad esperienze passate familiari, al vissuto di

    coppia, non escludendo gli aspetti ideali e immaginari attribuiti alla maternità” (Di Vita A. M.,

    2002).

    Dalle osservazioni di Stern (1998) emergono due precisi “triangoli in movimento” nello

    scenario psicologico della gestante: il primo costituito da madre-padre-bambino ed un secondo

    composto da madre-bambino-madre della madre. In questo capitolo tratterò il primo di questi due,

     per approfondire meglio il secondo nel capitolo 3, là dove tratterò nello specifico la

    rappresentazione di se stessa come madre.

    Ammaniti (1992) nell’introduzione al suo libro “La gravidanza fra fantasia e realtà” fa

    notare come la realtà percepita relativamente a se stessa e al feto venga vissuta, comunicata e

    condivisa dalla gestante proprio con chi le è più vicino; a questo proposito analizzerò la relazione

    con il partner.

    Stern e i suoi collaboratori (1998) affermano che quando una donna è in attesa del

     primogenito cambia la percezione che ha del proprio partner: l’interesse ricadrebbe più sulla sua

    identità di padre che su quella di marito o compagno. L’Autore indica come nel mondo animale vi

    siano comunità in cui esiste lo stesso fenomeno: “i babbuini femmina, appena avuto un piccolo,

    accettano la presenza del maschio solo se questi si dimostra capace di badare alla prole. In modo

    consapevole o no, anche voi comincerete a prendere in considerazione le attitudini paterne del

    vostro partner quale elemento chiave per valutarne le attrattive” (Stern D., 1998). Questo

    cambiamento spesso si accompagnerebbe a un minor desiderio sessuale da parte della gestante,sovente di difficile comprensione da parte dell’uomo.

    3.1   La sessualità in gravidanza.

    La ricerca psicologica negli ultimi anni si è occupata proprio delle stabilità e delle variazioni

    osservabili nella vita sessuale della gestante (Codispoti Battacchi O. e coll., 1978; Prezza M,

    Francescano D., Piermarteri F., 1979; Conti C. e coll., 1983; Capodieci S. e coll., 1990; Colombo P.A., 1990).

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      Prezza e i suoi collaboratori (1990) si sono occupati di esaminare alcuni contributi letterari

    su tale argomento, riscontrando che la maggior parte degli Autori ha notato cambiamenti nel

    comportamento sessuale in questa fase. Caratteristica è la progressiva diminuzione dell’attività

    sessuale che trova origine per i primi mesi nei disturbi frequentemente presentati dalla donna e

    successivamente nel timore di danneggiare il feto, oltre che nella diminuzione del desiderio già

    citata precedentemente con Stern (1998). Gli Autori di approccio kleiniano interpretano la paura

    infondata di danneggiare il feto come “espressione cosciente della paura edipica rimossa di essere

    danneggiata internamente dal pene paterno che riemerge a causa della regressione naturale che si

    verifica in gravidanza” (Lipari E., Speranza A. M., 1992).

    3a intervista:

    “forse… perché mh… non so se è ignoranza o… comunque i libri dicono si può fare tranquillamente, avere un

    rapporto sessuale tranquillo… però forse… a parte che avendo contrazioni non mi sembra il caso di avere

    rapporti sessuali. Però giustamente è una cosa completamente diversa, ecco.” 

    A volte per entrambi i membri della coppia il rapporto sessuale può essere vissuto come

    aggressivo sia nei confronti della donna che del bambino, di conseguenza attraverso il meccanismo

    della sublimazione pulsionale si giunge ad un atteggiamento protettivo e premuroso da parte

    dell’uomo nei confronti della sua compagna. 

    2a  intervista: 

    “… a volte lo vedo distante eh… rispetto a me perché ha paura che… per esempio anche un rapporto sessuale

     potrebbe ehm… dar fastidio al bambino… così… cosa che non è assolutamente vero però nella loro psicologia

     può essere un blocco. Sicuramente.” 

    3.2 La regressione della donna e l’atteggiamento protettivo del partner.

    Le ricerche condotte da Capodieci (1990) hanno rilevato un aumento di stabilità nella

    relazione di coppia sul piano emotivo, accanto ad una diminuzione d’interazione sul piano sessuale.

    E’ ormai noto che la donna durante la gravidanza regredisce in molti ambiti della sua vita psichica:

    uno degli esiti di questo fenomeno è l’accresciuto bisogno di dipendenza sperimentato in maniera

     più o meno consapevole.

    Un soggetto da me intervistato esprime chiaramente questo aspetto: parla consapevolmente

    di una dipendenza economica, ma si può notare anche come si riferisca a “prima due adulti che

    correvano su due binari”, mentre ora si sente costretta a delegare qualcosa: è qui manifesta la

    regressione, il non sentirsi più un’adulta a tutti gli effetti, il dipendere in qualcosa da un altro. In

    questo caso particolare il bisogno di dipendenza emerge come una temibile perdita di autonomia.

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    5a intervista: 

    “Secondo me cambia… beh… prima di tutto per una donna ti porta… devi renderti conto che dipenderai. Poi

     per me… che sono indipendente, ho sempre lavorato in proprio e tutto… è un bel passo. Per me la gravidanza

    vuol dire smettere di lavorare, smettere di guadagnare. Quindi ti porta inevitabilmente… a spostare

    l’equilibrio del rapporto. Mentre prima erano due adulti che… correvano su due binari, adesso… bisognadelegare qualcosa. Cambia secondo me da questo punto di vista. Almeno dal mio punto di vista è una bella

     prova del nove.”

    L’uomo a sua volta si preoccupa maggiormente della salute della sua compagna, si

    responsabilizza sotto alcuni aspetti.

    4a  intervista:

    “lui è molto più attento… si preoccupa di me, delle mie condizioni… di salute, che io mangi, che non faccia

     sforzi, quindi…”

    Si potrebbe sintetizzare, da una prospettiva ancora una volta psicoanalitica, considerando il

     partner come una sorta di “contenitore” esterno che protegge la donna e le permette di elaborare la

    relazione con il bambino (Winnicott D. W., 1958; Cavallero P., Monti Migliaccio F., 1983).

    3.3   Rapporti arricchiti o deteriorati?

    “Durante il periodo della gravidanza non si verifica soltanto un cambiamento nelle abitudini

    sessuali. L’attesa del primo figlio impone alla coppia la verifica del rapporto precedentemente

    consolidato ed una ristrutturazione reale e fantasmatica che permetta di includere il terzo” (Lipari

    E., Speranza A. M., 1992).

    Una delle richieste che viene proposta alle primipare che si sottopongono all’IRMAG è

    quella di pensare se è stato notato qualche cambiamento nel rapporto con il partner. Devo

    ammettere che sono rimasta colpita dalle diverse e sfaccettate risposte che ho ricevuto a questo

    item: molte donne dicono di non aver registrato particolari cambiamenti, altre sono felici del

    rapporto roseo che stanno vivendo con il loro partner, ma alcune hanno il presentimento che questa

    condizione ottimale finirà con la nascita del bambino. C’è purtroppo anche chi ha colto un

    deterioramento nel rapporto e chi esprime chiaramente po’ di nostalgia per il passato di coppia.

    Come mi è solito riporterò qui di seguito alcuni brani tratti dalle interviste che ho raccolto per

    questa ricerca.

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    4a intervista:

    “Pensa che il rapporto con il suo partner sia cambiato? - Eh… beh… senz’altro si è intensificato, insomma. E’

    un momento… un momento particolare insomma… e c’è qualcosa di più ecco rispetto… al… al momento in

    cui si è solo una coppia, no? Sì credo. Sì, si è intensificato, senz’altro.”

    8a

     intervista:“Mh… da parte mia è sempre uguale, voglio dire: è sempre un buonissimo rapporto. Da parte sua è diventato

    molto più premuroso, molto più attento. Magari prima, va beh, c’era qualcosa che magari in ogni coppia non

     può andare… magari fonte di litigio o che… adesso magari lascia sorvolare, rispetto a prima che magari…

    era… fonte per litigare, comunque discutere, non litigare, ecco.”

    2a intervista:

    “Ehm… a volte lo vedo distante eh… rispetto a me.”

    1a intervista:

    “Mi piacerebbe tornare… mi mancano quei momenti in cui ero tranquilla. Eravamo solo io e V. (il partner)“

    Zattoni (2001) scrive a titolo di un paragrafo del suo libro: “Guardarsi come genitori”,

    analizzando poi l’influenza che la nascita di un bambino può avere su un rapporto di coppia,

     precisamente qui riferendosi al matrimonio. L’Autrice sostiene che la relazione tra coniugi sia

    necessariamente diversa da quella tra genitori, dal momento che i due membri della coppia devono

    ora riconoscere l’esistenza di un “altro legame”, che non può e non deve annullare il primo.

    testimonianza scritta:

    “Tutte le sensazioni sia fisiche che emotive mi portano a pensare di essere sì una buona madre, ma anche una

    buona moglie perché solo così si può pensare di fondare una famiglia.”

    Di Vita e Giannone (2002) attribuiscono importanza al momento della storia di coppia in

    cui nasce un bambino (fase dell’illusione, della delusione, dell’esame di realtà) e la capacità di fare

    spazio al “terzo”. Quanti matrimoni si trovano ad affrontare una crisi alla nascita del primo figlio

     perché le attenzioni vengono sbilanciate tutte a favore del nuovo componente, trascurando di

    conseguenza quanto aveva caratterizzato il precedente rapporto di coppia?

    I coniugi Cowan (1997) fanno presente come il potenziale di gioia e positività che puòoffrire la nascita di un bambino, sia spesso accompagnato anche dalla vulnerabilità e insicurezza

    che la genitorialità può suscitare nella coppia.

    testimonianza scritta:

    “E’ (la gravidanza) un sacrificio d’amore. Parlando di gravidanza consapevole o favorevolmente accettata è

    un periodo dove la coppia vive l’attesa della nascita del proprio figlio. Questo periodo di attesa nei genitori

     scatena sentimenti ed emozioni di gioia e preoccupazioni verso il futuro, le novità o gli sconvolgimenti che

     potrebbero nascere all’interno di ogni famiglia.”

    Una gestante scrive, quasi ammonendo chi legge:

  • 8/17/2019 Tesi Folliero Emanuela (Pubblicata)

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    “… io credo soprattutto che l’importante sia non dimenticare chi ti ama, perché sì l’arrivo di un bambino è

    importante, ma lui deve entrare a far parte della tua famiglia e non sostituirsi a lei.” 

    Un soggetto delle mie interviste ci parla di come avrebbe preferito ritardare la gravidanza

     per godere ancora un po’ la vita di coppia: in questo caso la “decisione” di cercare un figlio è data

    dalla tarda età dei coniugi, dalle volontà del partner, non da un puro desiderio materno. Mi auguro

    che la venuta di questo bambino non vada a turbare troppo il roseo rapporto coniugale, altrimenti

     potrebbe semplicemente confermare il timore materno che