tesi intera

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1 INDICE: INTRODUZIONE ………………………………………………………………………. 4 CAPITOLO I: DALL’ ACCAPARRAMENTO DELLE TERRE AL SEQUESTRO DEL DIRITTO A PRODURRE 1. Il controllo della terra …………………………………………………………………... 7 2. Il fenomeno del land grabbing ………………………………………………………… 9 2.1. Gli attori coinvolti …………………………………………………………... 13 2.2. I fenomeni legati al controllo della terra ……………………………………. 17 2.3. I drivers …………………………………………………………………...… 18 3. I nuovi tipi di contratto …….……………………………….…………………………. 20 4. Le caratteristiche generali del land grabbing ……………………………………….… 23 5. Le trasformazioni nell’uso della terra e delle biomasse ………………………………. 23 6. I cambiamenti nelle relazioni di proprietà della terra …………………………………. 32 7. La proposta di Borras e Franco: un approccio empirico ……………………………… 40 8. Ulteriori variabili rilevanti nello studio dei casi ………………………………………. 42 8.1. L’utilizzo di mezzi violenti …………………………………………………. 43 8.2. Le conseguenze sul mercato del lavoro ……………………………………. 44 8.3. L’impatto sulla questione di genere ………………………………………. 47 CAPITOLO II: ALTRI FENOMENI DELL’ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE NATURALI: IL WATER GRABBING 1. L’attuale situazione delle risorse idriche …………………………………………….... 53 2. L’accaparramento delle risorse idriche: il water grabbing …………………………… 56 3. I diritti che regolano l’accesso alle risorse idriche nelle legislazioni nazionali ………. 57 4. Il water grabbing e la crisi alimentare ………………………………………………... 63

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1

INDICE:

INTRODUZIONE ………………………………………………………………………. 4

CAPITOLO I: DALL’ ACCAPARRAMENTO DELLE TERRE AL SEQUESTRO

DEL DIRITTO A PRODURRE

1. Il controllo della terra …………………………………………………………………... 7

2. Il fenomeno del land grabbing ………………………………………………………… 9

2.1. Gli attori coinvolti …………………………………………………………... 13

2.2. I fenomeni legati al controllo della terra ……………………………………. 17

2.3. I drivers …………………………………………………………………...… 18

3. I nuovi tipi di contratto …….……………………………….…………………………. 20

4. Le caratteristiche generali del land grabbing ……………………………………….… 23

5. Le trasformazioni nell’uso della terra e delle biomasse ………………………………. 23

6. I cambiamenti nelle relazioni di proprietà della terra …………………………………. 32

7. La proposta di Borras e Franco: un approccio empirico ……………………………… 40

8. Ulteriori variabili rilevanti nello studio dei casi ………………………………………. 42

8.1. L’utilizzo di mezzi violenti …………………………………………………. 43

8.2. Le conseguenze sul mercato del lavoro ……………………………………. 44

8.3. L’impatto sulla questione di genere ………………………………………. 47

CAPITOLO II: ALTRI FENOMENI DELL’ACCAPARRAMENTO DELLE

RISORSE NATURALI: IL WATER GRABBING

1. L’attuale situazione delle risorse idriche …………………………………………….... 53

2. L’accaparramento delle risorse idriche: il water grabbing …………………………… 56

3. I diritti che regolano l’accesso alle risorse idriche nelle legislazioni nazionali ………. 57

4. Il water grabbing e la crisi alimentare ………………………………………………... 63

2

5. Il water grabbing e la crisi energetica …...……………………………………………. 69

6. Le conseguenze dei fenomeni di accaparramento delle risorse idriche sulla questione di

genere ……………………………………………………………………………………. 73

7. Il diritto all’acqua nella legislazione internazionale ………………………………….. 75

7.1. Il diritto umano all’acqua: elementi e obblighi per gli Stati ………………... 77

7.2. Gli obblighi extra- territoriali ……………………………………………….. 78

7.3. Le priorità nell’allocazione delle risorse idriche ……………………………. 80

8. L’acqua nel panorama politico internazionale ………………………………………... 84

8.1. L’agenda neoliberale ………………………………………………………... 85

8.2. Integrated Water Resources Management ………………………………….. 88

8.3. L’approccio basato sui diritti umani ……………………………………….... 91

8.4. L’approccio olistico …………………………………………………………. 95

CAPITOLO III: LA GOVERNANCE INTERNAZIONALE: REGOLAZIONE DEI

FENOMENI DI ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE

1. L’emersione del fenomeno …………………………………………………………..... 97

2. L’approccio Win- Win ……………………………………………………………….... 99

3. I principi di investimento responsabile (RAI Principles) ……………………………. 101

4. Le Linee Guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca

e delle foreste …………………………………..……………………………………….. 103

4.1. Il processo decisionale ………………………………………………...…… 104

4.2. La struttura …………………………………………………………………. 106

4.3. Aspetti positivi ……………………………………………………………... 110

4.4. Aspetti negativi …………………………………………………………….. 114

4.5. I problema dell’accaparramento delle risorse idriche nelle linee guida …… 116

5. L’approccio scientifico ………………………………………………………………. 118

3

5.1. Le variabili rilevanti ……………………………………………………….. 121

5.2. Le tecniche di raccolta dei dati …………………………………………….. 122

5.3. I dati aggregati …………………………………………………………...… 124

6. I movimenti sociali come protagonisti nell’elaborazione del diritto e della disciplina

accademica sul tema ……………………………………………………………………. 126

CONCLUSIONI …………………………………………………………………….… 129

BIBLIOGRAFIA ……………………………………………………………………… 132

SITOGRAFIA ………………………………………………………………………..... 137

4

INTRODUZIONE

Negli ultimi anni, in particolare nel biennio 2007- 2008, il convergere di crisi alimentari,

ecologiche, energetiche e economiche a carattere globale ha portato la questione del

controllo della terra e delle altre risorse naturali al centro dell’attenzione internazionale.

Spinti dalle necessità presenti e future che queste dinamiche globali impongono, i

fenomeni di accaparramento delle risorse stanno velocemente assumendo dimensioni e

modalità nuove che vedono al centro interessi che quindi, solo in parte, rispecchiano quelli

in gioco nei conflitti sulle terre dei periodi precedenti. Dal 2008, anno in cui è stato coniato

il termine land grabbing, ad oggi sono emerse migliaia di transazioni commerciali sulle

risorse naturali su larga scala, al punto che la FAO ha definito il fenomeno come una

nuova forma di colonialismo.

Il fenomeno si è situato ben presto al centro del dibattito internazionale in tema di

sviluppo. Si è, quindi, cercato di distinguere i fenomeni di accaparramento delle risorse

dagli investimenti in agricoltura, in modo tale da individuare e, per quanto possibile,

regolare quelle transazioni sulla terra e sulle altre risorse naturali che minano la sicurezza

alimentare di un Paese. Si sono identificati nei Paesi con ingenti dotazioni di capitali, ma

poveri di risorse naturali (come i Paesi del Golfo) i principali investitori alla ricerca di terre

fertili da acquistare o prendere in affitto per lunghi periodi, in aree geografiche

sottosviluppate (come l’Africa Sub- Sahariana e l’America Latina) per la coltivazione di

colture dedite soprattutto alla produzione di bio-carburanti o per l’esportazione, in cambio

di infrastrutture, tecnologia e capitali.

Questo elaborato si propone di mostrare come una simile stilizzazione del land grabbing,

per quanto utile e in molti casi fedele alla realtà, tenda a celare fenomeni di

accaparramento delle risorse naturali che si discostano da questo idealtipo, ma non meno

pericolosi. Ad un’analisi più attenta, infatti, si vede come gli attori in gioco siano molto più

numerosi e legati da relazioni complesse, come ogni area geografica del mondo si trovi

coinvolta, come spesso gli interessi in queste transazioni vadano oltre il controllo della

terra e coinvolgano anche altri elementi, come ad esempio il controllo delle risorse idriche.

Si nota, inoltre, come nuove forme di acquisizione del controllo sulla terra abbiano

affiancato la mera acquisizione o i contratti di affitto di lungo periodo, in modo da poter

aggirare quelle barriere legali esistenti o sorte a seguito dell’emersione di questo

fenomeno. Questo dimostra come gli strumenti di regolazione e di governance nazionali e

internazionali, per quanto necessari, non siano sufficienti a garantire una distinzione chiara

5

tra quali siano gli investimenti in agricoltura da incoraggiare e quali le pratiche di

accaparramento e sfruttamento da bandire.

Il primo capitolo offre una panoramica del fenomeno del land grabbing, mettendone in

luce le principali caratteristiche che lo distinguono dai processi di accaparramento delle

terre che ritroviamo in ogni altro periodo storico. Tali differenze riguardano principalmente

gli attori in gioco e gli interessi che li spingono. Nonostante quello del land grabbing sia

un fenomeno emerso in un periodo relativamente recente, ha velocemente sviluppato una

serie di modalità di acquisizione del controllo della terra per ovviare agli ostacoli legali che

sono presenti o sorti nei vari contesti. Per questa ragione alle acquisizioni e ai contratti di

affitto di lungo periodo oggi vanno aggiunti fenomeni di accaparramento meno evidenti,

ma non meno determinanti nel quadro della sicurezza alimentare di un Paese. Questi

fenomeni avvengono seguendo principalmente due modalità: i cambiamenti dell’uso delle

terre e delle biomasse e quelli relativi alle relazioni di proprietà. Si riporta un approccio

empirico proposto da Borras e Franco che mette in luce come, in base alle due variabili

sopra presentate, gli interventi sulla terra che mirano a raggiungere o consolidare la

sicurezza alimentare non sempre siano sostenibili dal punto di vista ambientale e viceversa.

Questo mostra come spesso crisi alimentare e crisi ecologica richiedano interventi

conflittuali e, quindi, uno studio su a quale dei due aspetti sia necessario dare la priorità in

un certo caso specifico. A chiudere il primo capitolo è la presentazione di altre tre variabili

rilevanti nello studio dei fenomeni di accaparramento delle risorse: l’utilizzo di mezzi

violenti, la questione di genere e l’impatto sul mercato del lavoro.

La stesura del secondo capitolo è avvenuta nel periodo che ho trascorso presso la sede di

FIAN International ad Heidelberg per fare ricerca tesi, dove ho collaborato alla stesura di

un documento interno sul tema del water grabbing. I casi di studio riportati sono quindi

frutto diretto delle ricerche sul campo condotte da FIAN e l’approccio focalizzato sulla

questione dei diritti umani tende a ricalcare non solo quello di questa organizzazione, ma

in generale quello adottato dai movimenti della società civile. Dopo una panoramica sulla

situazione delle risorse idriche mondiali e una presentazione del fenomeno del water

grabbing così come è emerso negli ultimi anni, vengono illustrati gli strumenti legali atti a

garantire l’accesso alle risorse idriche nei vari Paesi del mondo, focalizzandosi sul diverso

grado di certezza che questi assicurano. Vengono poi analizzate le interrelazioni esistenti

tra i fenomeni di accaparramento delle risorse idriche e tre questioni determinanti a livello

locale e nazionale come la crisi alimentare, la crisi energetica e la questione di genere.

Viene quindi presentato il diritto umano all’acqua nei suoi elementi costituenti, negli

6

obblighi che implica per gli Stati sia internamente che a livello extra territoriale e nelle

priorità nell’allocazione delle risorse idriche che suggerisce. Conclude il capitolo una

panoramica degli approcci politici adottati a livello internazionale nella gestione delle

risorse idriche: l’approccio neoliberista, l’Integrated Water Resources Management,

l’approccio basato sui diritti umani e quello olistico.

Dopo un breve excursus volto a mettere in luce quali attori sociali hanno per primi

focalizzato la loro attenzione sui fenomeni di accaparramento delle risorse idriche, si

presentano i due approcci principali che si confrontano nel dibattito internazionale,

l’approccio detto Win- Win e quello basato sui diritti umani, con i documenti che hanno

promosso, i Principi di Investimento Responsabile (RAI Principles) e le Linee Guida

volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste.

Avendo avuto l’opportunità di partecipare a due dei tre rounds negoziali come osservatrice

a fianco del gruppo che riunisce le organizzazioni della società civile, nel capitolo analizzo

in dettaglio la struttura delle Linee Guida, il processo decisionale che ha portato alla sua

adozione e le considerazioni emerse dagli esponenti dei movimenti. Mi concentro in

seguito sul ruolo che i movimenti e le organizzazioni della società civile hanno avuto sia

nel far emergere e conoscere all’opinione pubblica questo fenomeno sia nel promuovere la

stesura di documenti legali volti a contrastarlo. Si vede come l’analisi del fenomeno si

distacchi da un dibattito ideologico e si ancori invece su uno studio scientifico dei singoli

casi, basandosi su una metodologia qualitativa e su tecniche cosiddette di facts finding. Si

conclude il capitolo con una riflessione sull’importanza dei movimenti e delle

organizzazioni della società civile come base del diritto e della disciplina accademica sulla

questione dell’accaparramento delle risorse.

L’elaborato si conclude con una breve presentazione del programma proposto lo scorso

Ottobre presso la FAO per l’implementazione delle Linee Guida volontarie sulla gestione

responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste. In questo quadro si accenna

alla questione del monitoraggio, questione in cui la FAO collabora con le organizzazioni

della società civile per approntare nuovi strumenti e indicatori. Considerata l’urgenza e la

diffusione capillare del fenomeno, implementazione, monitoraggio e valutazione sono gli

aspetti su cui, ci auguriamo, si concentri l’attenzione della governance sia a livello

nazionale sia internazionale.

7

CAPITOLO I

DALL’ ACCAPARRAMENTO DELLE TERRE AL SEQUESTRO DEL DIRITTO A

PRODURRE

1. IL CONTROLLO DELLA TERRA

Le questioni relative alla terra, al suo possesso e al suo controllo, sono storicamente

sempre state centrali per le scienze sociali, giuridiche ed economiche ed hanno sempre

posto di fronte a questioni di tipo etico. Per controllo della terra si intende quell’insieme di

pratiche che stabiliscono e consolidano forme di accesso, rivendicazioni e esclusione da

essa in un determinato periodo di tempo.1 Autori dello stampo di Marx, Lenin e Polanyi,

tanto per citare tre degli autori classici più influenti, hanno posto il controllo della terra

come un punto centrale nello studio, rispettivamente, dell’accumulazione primitiva come

base per la nascita del capitalismo, della divisione della società in classi e delle difese

protezioniste che la società mette in atto agli albori dell’economia di mercato.

Lo studioso ungherese, infatti, fa una panoramica della creazione del mercato della terra di

stampo capitalistico, di come questo si basa sull’errata considerazione di questa alla

stregua di una merce (la definisce, infatti, una “merce fittizia”) e come questa

liberalizzazione sia una, se non la, molla che determina la comparsa delle prime forme di

autodifesa della società e poi di un sistema protezionistico, dalla Rivoluzione Industriale e

dalla nascita del sistema capitalistico, evidente nel momento storico della compilazione

della sua opera principale. Senza pretendere di riprendere qui la sua teoria della “grande

trasformazione”, vale la pena ricordare come questo autore veda il controllo della terra e la

sua libera compravendita come il punto di avvio di una serie di provvedimenti e di leggi

protezionistiche che vanno ad interessare diversi ambiti: le tariffe doganali sui beni

agricoli, necessarie per evitare il dumping fatto dai prodotti provenienti dalle colonie,

determinano, infatti, un rincaro dei prezzi tale da richiedere misure di protezione del lavoro

e queste, a loro volta, una politica in favore degli imprenditori che si concretizza da un lato

in tariffe doganali anche sui prodotti manifatturieri, che permetteranno l’instaurarsi di

monopoli, dall’altro di politiche monetarie che de-liberalizzano il mercato finanziario

domestico, dando così un ancor maggior rilievo al mercato finanziario internazionale. 2

1 Peluso, N.L. e Lund C., 2011 “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant

Studies, 38(4): 667-681

2 Polanyi, K. 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Boston,

MA: Beacon Press

8

Il colonialismo e la nascita degli Stati nazionali sono processi fondati sul controllo della

terra. Fenomeni come la privatizzazione, l’espropriazione, l’alienazione dei diritti di

proprietà sono stati il fondamento di dinamiche di accumulazione di ricchezze, di

imposizione e mantenimento del potere di un gruppo sociale o di un Paese sull’altro. Nei

diversi periodi storici il controllo della terra è stato, sempre con modalità e fenomeni

diversi, la base su cui si innestava un certo sistema sociale ed economico determinando

mutamenti nel territorio. Dinamiche come l’urbanizzazione, le migrazioni dalle campagne,

il passaggio da un tipo di agricoltura estensiva di tipo tradizionale a una intensiva di

stampo capitalistico, le riforme che i vari Paesi hanno apportato al sistema agrario e

fondiario hanno determinato in ogni contesto una certa situazione economica, sociale ed

ecologica. Basti pensare a quanto il tipo di sistema fondiario prevalente influenzi quello

produttivo e quindi la sfera del lavoro, la quale è l’elemento cardine della divisione

marxiana, ma non solo, della società in classi sociali. Altra sfera determinata dal controllo,

in questo caso statale, della terra è quella attinente alla tassazione e al governo del territorio

da parte della sfera pubblica, che implica, ovviamente la questione della legittimità del

controllo territoriale di uno Stato al di fuori dei propri confini, e più in quindi del

colonialismo. La pluralità delle dinamiche legate al controllo della terra rispecchia quella

degli attori in gioco e dei loro interessi, di modo che le situazioni che si riscontrano non

possono essere lette come il diretto risultato di un singolo fenomeno, ma piuttosto come

l’effetto di forze che possono tanto combinarsi quanto essere in competizione.

Tutti questi fenomeni si basano sul controllo della terra, il quale ha assunto nei vari periodi

storici configurazioni particolari, ma che oggi e legato ad una dimensione globale. Lo

scopo di questo capitolo è di ripercorrere, all’indomani delle discussioni sulle Linee Guida

sulla terra, gli aspetti salienti del dibattito più che mai attuale su quale sia la particolare

configurazione che ha assunto oggi il controllo sulla terra, quali peculiarità si riscontrano,

chi siano i principali attori coinvolti e quali ideologie e interessi portino avanti. Per quanto

tutti questi elementi abbiano assunto aspetti divergenti rispetto al passato, determinando

conseguenze e traiettorie originali, resta comune ad ogni periodo storico la fondamentale

importanza che il controllo della terra ha sia nel determinare la sopravvivenza di gran parte

della popolazione sia nel determinare la struttura gerarchica mondiale. Scienza e tecnologia

non hanno messo in secondo piano la competizione per l’accesso alla terra come mezzo di

dominio.

9

2. IL FENOMENO DEL LAND GRABBING

Negli ultimi anni, in particolar modo a partire dal biennio 2007-2008, si è cominciato a

parlare di “land grabbing” (o “accaparramento delle terre”), termine coniato

dall’organizzazione non governativa internazionale GRAIN, con il quale, inizialmente,

viene indicata una pratica di acquisizione o affitto su larga scala di terre nei Paesi in via di

sviluppo da parte di compagnie nazionali o multinazionali, governi o individui. Tale

pratica è stata molto comune per tutta la storia dell’umanità, ma ha acquisito dimensioni e

modalità nuove e inquietanti proprio in seguito alla crisi dei prezzi agricoli nel 2007 e

2008, la quale ha sia messo in evidenza il tema della sicurezza alimentare nei Paesi

sviluppati, sia aperto opportunità di investimenti e speculazioni. In questo senso, questo

fenomeno è la diretta conseguenza della globalizzazione del commercio e della produzione

che, grazie anche alla liberalizzazione del mercato finanziario e allo sviluppo dei trasporti,

ha, dapprima, interessato soprattutto beni industriali ma che ha inevitabilmente coinvolto il

settore agricolo.

Inizialmente questi due aspetti, sicurezza alimentare e opportunità finanziarie, non

venivano presentati come antitetici, ma anzi si credeva fermamente che gli investimenti in

agricoltura da parte di investitori stranieri nei Paesi in via di sviluppo ne avrebbero

promosso lo sviluppo agricolo: tale approccio, detto “Win-Win”, nonostante le durissime

critiche ricevute da più parti per i devastanti effetti sulle comunità locali, è ancora

sostenuto da numerosi attori coinvolti. Infatti, questo termine, inizialmente coniato dai

movimenti della società civile che si oppongono a questo tipo di transazione, è stato fatto

proprio anche da istituzioni internazionali e governi che lo utilizzano come sinonimo di

investimenti in agricoltura su larga scala, depoliticizzando così il concetto e sostenendo

l’idea secondo la quale l’accaparramento di tali terre nei Paesi in via di sviluppo e la loro

conversione ad un tipo di agricoltura intensiva di tipo capitalistico costituirebbe la molla

per innescare lo sviluppo agricolo, oltre che una soluzione alla fame che, essendo ancora

dipinta come una questione di scarsità di cibo verrebbe risolta attraverso un aumento della

produzione3.

Questo approccio di tipo “etico” al problema ha richiesto che questo tipo di modello di

sviluppo fosse disciplinato da codici di condotta riconosciuti a livello internazionale:

questo atteggiamento è emerso nelle compagnie nazionali e soprattutto multinazionali in

3 Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

10

risposta alle critiche crescenti provenienti dai movimenti della società civile e

dall’opinione pubblica. Principi di responsabilità sociale sono stati inseriti nell’agenda e

nelle costituzioni di queste corporations e questo trend non poteva non essere seguito da

quelle istituzioni sovranazionali che hanno come obiettivo principale lo sviluppo

sostenibile dei Paesi in via di sviluppo. Riguardo alla questione del land grabbing, la prima

mossa è venuta dalla Banca Mondiale, che nel 2010 ha prodotto i “Principle of

Responsible Agricultural Investiments”, o “RAI Principles”. La Banca Mondiale

intenderebbe, con questi principi, creare un sistema di governance che sfrutti il suo potere

allo scopo di persuadere gli attori coinvolti in transazioni commerciali sulla terra a basarsi

su presupposti etici ai quali dovrebbero aderire volontariamente e la cui implementazione

sarebbe, in ogni caso, basata sull’autoregolazione di tali attori, in modo da limitare il più

possibile l’intervento dei governi nella società, permettendo una più efficiente

autoregolazione. I principi del RAI sono stati contestati dai movimenti della società civile e

dal CFS (Committee on Food Security) che ha spinto per l’adozione delle Voluntary

Guideline son the Responsible Governance of Tenure of Land, Fisheries and Forests in the

Context of National Food Security4.

Per definizione il termine “land grabbing” si riferisce al boom di transazioni commerciali

che hanno come oggetto la terra e che riguardano specialmente la produzione di beni

agricoli per il consumo umano, animale o per la produzione di biocarburante per

l’esportazione, oltre che per l’approvvigionamento di legna e l’estrazione di minerali.

Tuttavia questa definizione si dimostra non solo riduttiva ma anche ambigua nel

comprendere le nuove modalità assunte da questo fenomeno. Mettere l’accento sulle

transazioni commerciali, cioè su acquisizioni e contratti di affitto, nasconde, infatti, i

cambiamenti nell’uso della terra e nelle relazioni di proprietà.5 Inoltre, nell’immaginario

collettivo, questo tipo di fenomeno vede una netta divisione tra i Paesi sviluppati, che

attraverso i loro governi o le loro corporations, si accaparrano le terre dei Paesi in via di

sviluppo, depredando così le comunità rurali e le popolazioni indigene non solo della loro

principale fonte di sostentamento, ma anche dei beni collettivi, come ad esempio le risorse

idriche, che su questi terreni sorgevano, oltre che rovinando l’ambiente con pratiche

distruttive e inquinanti. Non si vuole qui negare l’entità e la rilevanza di questo tipo di

pratiche, ma evidenziare come in questo modo non vengano tenute in considerazione

4 Per un’analisi più approfondita di questi due documenti si rimanda al terzo capitolo di questo elaborato.

5 Borras Saturnino M, Jr, Franco Jennifer C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian

Change: A Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59

11

pratiche altrettanto dannose. Infatti, fenomeni di accaparramento delle risorse naturali

vedono come target di investimento tanto le terre situate nelle zone più povere quanto in

quelle più ricche del mondo e come investitori compagnie pubbliche e private di tutto il

mondo.

L’approccio prevalente all’analisi dell’accaparramento delle terre ha le sue radici nella

letteratura classica, che prende come punto di partenza il movimento di recinzioni delle

terre demaniali nell’Inghilterra del XVI e XVII secolo e mostra come questo provochi una

differenziazione tra le classi sociali nella campagna e un contro movimento

protezionistico6. Gli autori classici mettono, però, mettono l’accento sull’acquisizione o

l’affitto di terre, e in questo senso la visione che oggi si ha del land grabbing può essere

fatta derivare dalla continuità con questo tipo di approccio. Lo scopo di questo capitolo è

quello di mettere in luce come nuove forme di acquisizione del controllo sulle risorse

naturali siano emerse, spostando l’ottica dall’accaparramento di terre al sequestro del

diritto a produrre7.

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla convergenza di crisi mondiali in ambito

finanziario, ecologico, energetico e alimentare, che ha portato a una corsa

all’accaparramento di terre, soprattutto di quelle collocate nei Paesi in via di sviluppo e

percepite come sottoutilizzate e marginali. Questi terreni sono stati etichettati come

“reserve agricultural land” e sono stati posti al centro delle nuove politiche di sviluppo

delle istituzioni sovranazionali, il cui intento era l’utilizzo di questi per la produzione di

cibo, foraggio e biocarburanti (food-feed-fuel) per combattere la crisi alimentare ed

energetica, trovando alternative petrolio, il cui costo è costantemente crescente. Le grandi

compagnie dei maggiori settori coinvolti si sono mobilitate per l’acquisto di grandi

appezzamenti di terra nei Paesi in via di sviluppo: l’andamento iniziale del fenomeno,

quello più studiato a livello accademico e conosciuto dall’opinione pubblica, è

l’acquisizione da parte di aziende private di Paesi ad alta densità di capitale ma poveri di

risorse, di terre in zone con pochi capitali ma ricchi di risorse. L’andamento è stato presto

seguito dai governi nazionali che, di fronte alle crisi del 2007 e 2008, hanno seguito

l’esempio delle imprese per garantirsi la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento

energetico per il futuro. Nonostante sia una tendenza storicamente sempre presente nella

storia dell’umanità, questa è una nuova fase dell’accaparramento delle terre da parte di

6 Polanyi, K, 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Boston,

MA: Beacon Press.

7 http://www.europafrica.info/it/news/terra-nuova-e-crocevia-denunciano-il-land-grabbing-uccide-il-diritto-a-

produrre-cibo-delle-popolazioni-locali

12

Paesi del Nord del mondo ai danni dei Paesi del Sud del mondo: per la prima volta la

spinta di questo nuovo colonialismo8 è la sicurezza alimentare ed energetica della propria

popolazione nel futuro. Sia che l’investitore sia una compagnia multinazionale, sia che sia

il governo di un Paese sviluppato, nella maggior parte dei casi il partner della transazione è

il governo nazionale del Paese target, che in alcuni casi non solo accattano la transazione

ma cercano attivamente di attrarre questi investitori. 9

La grande espansione di questo tipo di investimenti è stata portata all’attenzione

dell’opinione pubblica da numerosi movimenti della società civile che si occupano di

questioni agrarie e ambientali oltre che del rispetto dei diritti umani. Il primo documento

che ha portato alla luce il drammatico incremento di espropriazione delle terre per la

produzione di biocarburante e di generi alimentari per l’esportazione è stato redatto nel

2008 dall’ONG GRAIN, presto seguita da FIAN (FoodFirst Information and Action

Network), IFPRI (International Food Policy Research Institute) e IIED (International

Institute for Environment and Development) i cui rapporti hanno messo in evidenza la

particolare entità che il fenomeno ha assunto in Africa. Nel 2011 Visser e Spoor

pubblicano un documento sul fenomeno in Europa Centrale e negli ex Paesi Sovietici,

mostrando così come la questione non sia limitata al continente africano.

La questione acquisisce sempre maggiore importanza, diventando nel giro di pochi anni

all’ordine del giorno nell’agenda delle istituzioni sovranazionali, tanto da spingere Olivier

De Shutter, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, a

dichiarare che questo genere di transazione economiche minano la sicurezza alimentare dei

Paesi in cui avvengono tali investimenti, rendendoli dipendente dal mercato internazionale

per l’approvvigionamento di cibo, confutando così l’approccio che vedeva questo tipo di

investimenti come la soluzione alla fame: se è vero che si registra un aumento di

produzione di cibo, è vero anche che questi beni alimentari sono prodotti per

l’esportazione. La crisi del 2007-2008 ha, infatti, colpito maggiormente le regioni non

autosufficienti nel settore alimentare, più dipendenti dal mercato internazionale e, quindi,

più soggette alla volatilità dei prezzi e la risposta a questa minaccia è stata

l´accaparramento di terre per limitare tale dipendenza.

8 Paoloni, L. 2012 “Land Grabbing e beni comuni” in “Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni

comuni” a cura di Marella, M.R., Ombre Corte

9 Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59

13

2.1 GLI ATTORI COINVOLTI

Nuovi attori si impongono come protagonisti all’interno di questi processi: grandi

corporations e organismi statali stranieri o domestici entrano nella competizione per il

controllo della terra, cercando, e spesso ottenendo, la collaborazione con le élite locali.

Questi nuovi attori, a differenza dei precedenti, si collocano a una notevole distanza dalle

popolazioni rurali, rendendo così le rivendicazione dei contadini meno efficaci e

facilmente ignorabili. Inoltre, hanno posto le basi della loro posizione all’ombra delle

politiche di aggiustamento strutturale e delle politiche liberiste (tra gli anni ’70 , ’80 e ’90),

quando le politiche pubbliche hanno spinto per l’instaurazione di un simile modello

economico, a prescindere dallo stampo capitalistico, comunista o socialista che lo Stato

avesse. In questi anni, inoltre, si delinea la polarizzazione tra questi grandi attori interessati

all’accumulazione della terra e i piccoli produttori, che tentano di resistere a questo

fenomeno.

Entrambi i gruppi cristallizzano la propria posizione, raggruppandosi rispettivamente in

movimenti conservatori e organizzazioni contadine, di cui Via Campesina e il movimento

Zapatista sono i due esempi tra i più noti di quest’ultima categoria. Fin dall’inizio, queste

associazioni hanno messo in primo piano il legame stretto tra il controllo della terra e la

questione dei diritti umani. Questi movimenti emergono in contesti dove una struttura

organizzativa era spesso insospettabile e, per la maggior parte, portano avanti un approccio

di tipo riformista, e non anti-sistemico, nei confronti del governo: anche questo può essere

considerato come un punto di discontinuità rispetto all´atteggiamento che spesso si

riscontrava nel passato in questo genere di movimenti, e di cui peraltro vengono spesso

ancora accusati. Per quanto concerne il macro contesto in cui questi fenomeni hanno luogo

e in cui, quindi, questi movimenti si trovano a presentare le loro rivendicazioni, c’è un

passaggio da un sistema internazionale basato su un rapporto di tipo politico e diplomatico

tra i avari Stati ad uno in cui il commercio e, soprattutto, la finanza sono i canali

privilegiati di tali relazioni. Questo nuovo canale diviene prevalente tanto nelle relazioni

tra le aziende, quanto tra le istituzioni e gli individui.

Si comprende, quindi, come nei casi in cui lo Stato stesso è un attore coinvolto in

dinamiche di accaparramento o cessione del controllo della terra, si crea un conflitto di

interessi: l’ente preposto a fare da regolatore e controllore delle transazioni economiche

connesse alla terra si trova ad esservi coinvolto come parte portatrice di interessi, spesso

14

intrattenendo stretti legami e subendo la pressione di compagnie multinazionali10

. In molti

casi, come in quello dell’Arabia Saudita, le aziende private che stipulano accordi

commerciali riguardanti la terra di Paesi terzi lo fanno in realtà per conto dello Stato11

.

Oltre ai casi in cui lo Stato ricopre il ruolo di investitore, vi sono molti casi, specialmente

nei Paesi in via di sviluppo, in cui si trova ad incoraggiare e promuovere incentivi per

attrarre investimenti. Si tende ad accusare questo atteggiamento di essere motivato

esclusivamente da brama di potere e ricchezza personali da parte di singoli funzionari delle

amministrazioni centrali e locali. Tuttavia il tentativo di attrarre investimenti è spesso

spinto dal bisogno di finanziare il settore agricolo. Infatti, a seguito delle politiche di

aggiustamento strutturale, molti Paesi in via di sviluppo si sono trovati a dover tagliare la

spesa pubblica, come requisito vincolante per l´ottenimento di prestiti. Incidentalmente, si

deve tenere presente che mentre i Paesi del Sud hanno tagliato la spesa pubblica in

agricoltura, i Paesi del Nord hanno continuato e continuano a concedere grosse

sovvenzioni pubbliche a favore dell´agricoltura, riuscendo così a mantenere i costi delle

merci così bassi che quando queste vengono esportate nei Paesi in via di sviluppo fanno

dumping sui prodotti locali, con inevitabile peggioramento della situazione agricola

interna.

Si cercano così capitali che permettano di innescare dinamiche di sviluppo agricolo,

sperando poi nella sua diffusione 12

. Inoltre gli investitori, soprattutto nei casi in cui la

produzione sia destinata all’esportazione, promettono investimenti nella costruzione di

infrastrutture, come strade, ponti, ecc., necessari per il trasporto delle merci o per un

migliore sfruttamento delle risorse, come la costruzione di una rete idrica o elettrica. In

altri casi, pur se meno frequenti, gli investitori avranno interesse nell’istituzione di altri

servizi che possano essere utili sia alla loro attività sia alla popolazione locale, come scuole

che aumentino il capitale culturale locale, ospedali, ecc.. Si comprende quindi che i

governi di fronte a queste prospettive tendano a cercare di accaparrarsi gli investimenti

offrendo condizioni vantaggiose e si creano così situazioni di concorrenza tra i diversi

Paesi per accaparrarsi un certo investimento.

10

Peluso, N.L. e Lund C., 2011 “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant

Studies, 38(4): 667-681

11

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

12

Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of

Peasant Studies, 38 (2): 281–98

15

Va inoltre tenuto in considerazione che le amministrazioni centrali dei Paesi in via di

sviluppo per varie ragioni, tra cui la recente indipendenza e un generale maggior focus

sulle popolazioni urbane (urban bias), hanno pochissime conoscenze sulle comunità rurali,

sul loro effettivo numero e, soprattutto, sul tipo di diritti e proprietà che queste hanno sulla

terra, che si sono stabilite in lunghi tempi per consuetudine e spesso, quindi, calpestano

diritti di cui non sono a conoscenza. Con questo non si vuole certo giustificare la svendita

che i governi fanno delle terre necessarie per la sopravvivenza della loro popolazione, ma

solo mostrare tutte le sfaccettature della posizione in cui spesso si trovano i decisori13

.

Anche, tuttavia, nei casi in cui lo Stato sia a conoscenza delle relazioni di controllo e

proprietà consuetudinarie concernenti la terra, può non tenerne conto, mettendo l’interesse

“pubblico” sopra ad ogni altro. In generale, inoltre, nei casi in cui a portare avanti la

negoziazione con l’investitore sia l’amministrazione nazionale, la prospettiva e gli interessi

delle popolazioni rurali avranno scarse possibilità di essere tenuti in considerazione,

collocandosi a un livello troppo lontano.

Quando la trattativa con gli investitori, siano essi nazionali o esteri, è portata a termine da

gruppi dominanti, come élite urbane o di altri esponenti di classi sociali privilegiate la

discussione si colloca ad un livello a cui gli esponenti delle comunità rurali interessate

dalla transazione non possono accedere e i loro interessi non vengono quindi tenuti in

considerazione. Diverso è il caso quando si tratta di un’élite rurale o comunque locale, che

può avere qualche interesse nel mantenere la propria influenza sulla popolazione e questo

può far sì che si cerchino accordi che, almeno in certi aspetti, salvaguardino gli interessi

dei piccoli produttori.

In certi casi, specialmente in Sud America, le negoziazioni avvengono a livello individuale

con proprietari che sono in possesso di appezzamenti di terreni di piccola- media scala. Un

ultimo caso è rappresentato dalle trattative che vedono come controparte le organizzazioni

locali dei contadini: questo scenario è stato valutato positivamente soprattutto da agenzie

dello sviluppo, come la FAO. Si deve, però, tenere in considerazione che queste

organizzazioni tenderanno, a loro volta, a non tenere conto delle eventuali discriminazioni

di genere, età, etnia e religione esistenti all’interno delle comunità. Questi ultimi due tipi di

trattative, quello con le organizzazioni contadine e quello individuale, sono condotte

specialmente quando si vogliano concludere i contract farming. Seguendo la FAO,

definiamo i contract farming come un accordo sulla produzione agricola che coinvolge uno

13

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

16

o più contadini e un compratore, dove si stabiliscono termini e condizioni. Nella forma più

frequente, si stabilisce che una certa quantità di prodotto, che deve rispondere a un certo

standard di qualità, sarà consegnata dal contadino al compratore entro una certa data, e

questi in cambio si impegna a fare tale acquisto e a fornire determinati input produttivi14

.

Si deve considerare che, come la collocazione di questi attori influisce sulla possibilità di

portare avanti gli interessi delle comunità rurali, allo stesso modo essa determinerà anche

il grado di influenza che questi avranno di coinvolgerle e di convincerle. Per questa

ragione il semplice fatto che la trattativa sia condotta da un attore che si colloca vicino alle

popolazioni coinvolte non implica questa che la trattativa si svolgerà tenendo conto delle

loro richieste e in accordo con le loro necessità. Altro elemento fondamentale è il diverso

accesso che questi vari attori hanno alle informazioni: in generale, le amministrazioni

centrali hanno un’idea più chiara delle implicazioni delle transazioni finanziarie e sono in

grado di imporsi in maniera più decisiva nelle contrattazioni, mentre spesso, quando queste

sono gestiste a livello locale, si svolgono pochissimi incontri nei quali l’asimmetria delle

informazioni comporta uno squilibrio di forza contrattuale e, in generale, una mancanza di

trasparenza15

.

Oltre alle due parti che negoziano i termini delle transazioni economiche, nei vari contesti

vi sono un certo numero di attori che, pur senza poter intervenire direttamente, possono

influenzare gli accordi e la loro implementazione. Come in ogni altra questione che

riguarda la sfera pubblica, il ruolo dei media come “cane da guardia” e come divulgatore e

formatore dell’opinione pubblica resta centrale, in quanto rendendole di pubblico dominio,

spingono queste trattative ad una maggiore trasparenza. Negli ultimi anni, specialmente a

seguito di accordi di dimensioni macroscopiche, come quello tra il governo del

Madagascar e la compagnia Sud Coreana Daewoo, che hanno avuto risonanza mondiale, i

mezzi di comunicazione si stanno sempre più interessando al fenomeno del land grabbing

e, allo stesso tempo, a questo tema si è sempre più interessata anche l’opinione pubblica.

L´importanza del ruolo dei media nel promuovere una maggiore trasparenza è stato

evidente nel caso malgascio che, infatti, fu reso noto dal Financial Times e

successivamente ripreso e approfondito dalla stampa di tutto il mondo, provocando una

sollevazione popolare con conseguente caduta del governo malgascio e il naufragio delle

trattative, oltre ad un certo imbarazzo del governo sudcoreano.

14

http://www.fao.org/ag/ags/contract-farming/faq/en/

15

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

17

Un’importante funzione di lobby può essere svolta anche dalle organizzazioni contadine,

ovviamente nel caso in cui esse siano presenti, abbiano un certo potere e non siano

direttamente coinvolte nelle negoziazioni. Queste possono essere appoggiate dalle

organizzazioni non governative, che possono fornire loro strumenti organizzativi,

informazioni e creare contatti con i media. Anche se non hanno un potere legittimo di

influenzare le parti coinvolte, hanno comunque la possibilità di denunciare le violazioni,

ruolo svolto anche dalle più potenti, ma spesso troppo distanti, agenzie multilaterali16

.

2.2 I FENOMENI LEGATI AL CONTROLLO DELLA TERRA

Oltre alla sfera degli attori, anche quella relativa ai fenomeni storicamente legati al

controllo della terra ha assunto configurazioni peculiari e distinte rispetto al passato. Lo

scopo di questo capitolo consiste proprio nel descrivere come queste traiettorie si

presentano oggi e quali nuovi fenomeni siano sorti da esse. I tre fenomeni principali legati

da sempre al controllo della terra, la privatizzazione, le recinzioni e le diverse forme di

accumulazione primitiva, danno oggi vita a dinamiche nuove. Quello dell’accumulazione

primitiva è un concetto centrale nella filosofia marxiana, e indica la separazione del

produttore dal mezzo di produzione, in questo caso l’espulsione dei contadini dalla terra,

che egli ravvisa come il processo storico che ha determinato le condizioni fondamentali

della produzione capitalistica.

Kelly17

mostra come anche pratiche di conservazione del territorio attraverso l’istituzione

di parchi nazionali siano una forma di accumulazione primitiva in quanto separano i

piccoli produttori dai loro mezzi di produzione. Inoltre, sottraendo questi territori al

mercato, queste pratiche in molti casi essi danno comunque benefici ai privati e

all’espansione del controllo e della produzione capitalistica: nonostante questi parchi siano

sorti con l’intento di preservare il patrimonio naturale, in molti casi nel lungo periodo si

assiste a fenomeni di mercificazione, oltre al fatto che la definizione di queste terre come

pubbliche e la loro recinzione implica la sottrazione di queste ai piccoli produttori e ai loro

figli 18

. Il caso riguardante la comunità Sonaha che verrà presentato nel prossimo capitolo

e´un esempio chiaro di questi processi: l´istituzione del Bardia National Park risulta in una

grave limitazione alle attività che questa popolazione ha svolto tradizionalmente,

16

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

17

Kelly, A.B. 2011 “Conservation practice as primitive accumulation”, Journal of Peasant Studies, 38(4),

683-701

18

ibidem

18

minandone la sicurezza alimentare e la stessa sopravvivenza. Si parla in questi casi di

territorializzazione. Anche questi processi rientrano, quindi, all’interno del controllo della

terra, insieme ai fenomeni di privatizzazione che hanno assunto oggi una dimensione tale

da far parlare di una nuova ondata di recinzioni.

Si vuole in questa sede sottolineare come le recinzioni di terre, pubbliche o private che

siano, implicano la creazione di confini, trasformando coloro che tradizionalmente hanno

sempre occupato quelle terre in occupanti abusivi. Vedremo tuttavia come le nuove

“recinzioni” abbiano superato in molti casi l’azione fisica e assunto modalità sofisticate ed

eleganti con i quali avviene l’appropriazione del controllo. Vedremo anche come questi

fenomeni implichino una trasformazione dei rapporti di proprietà e come questa comporti

la necessità di una classificazione ufficiale, che sancisce legalmente i vincitori della

competizione per il controllo della terra. Una pratica di burocratizzazione che non si limita

al possesso privato ma che viene estesa anche alle terre pubbliche: nel momento in cui

vengono definite tali si avvia una pianificazione e un´amministrazione nuova di queste

terre che impatta sulla vita e sulla sopravvivenza delle popolazioni che hanno sempre

abitato e coltivato quelle terre. Questi cambiamenti nella proprietà avvengono per lo più

senza coinvolgere in questo processo le comunità locali e i popoli indigeni storicamente

presenti sul territorio e che spesso sono quelli che, a prescindere da nozioni tecniche e

specialistiche, hanno una maggiore conoscenza del territorio data da un rapporto durato

secoli. Si vede, quindi, come una definizione chiara dei confini e dei diritti di proprietà non

sempre sia vantaggiosa per le comunità. Si deve inoltre considerare che spesso, come

vedremo più avanti, la definizione formale dei diritti di proprietà della terra non implica il

loro reale controllo.

2.3..I DRIVERS

Le motivazioni che spingono gli investitori, siano essi pubblici o privati, rispecchiano in

parte quelle che muovevano gli investitori durante il periodo del colonialismo, ma si

riscontrano anche nuovi incentivi. Da una parte, infatti, si riscontra come molti dei

fenomeni che abbiamo citato sopra siano mossi da obiettivi che riscontriamo anche nel

periodo coloniale: l’imposizione delle tasse su un certo territorio da parte dello Stato,

l’aumento della produzione di beni alimentari per garantire un surplus alla crescente

popolazione urbana impiegata in settori non agricoli, la coltivazione di prodotti esotici per

l’esportazione, la necessità di maggiori quantità di alimenti per far fronte alla crescita

demografica.

19

Dall’altra parte, molti dei drivers di queste nuove ondate di accaparramento delle terre

sono del tutto inediti. Come abbiamo detto, uno degli obiettivi primari è far fronte alla crisi

alimentare e all’aumento dei prezzi dei beni agricoli, che nel biennio 2007- 2008 hanno

toccato records mai raggiunti prima. In quest’occasione la crisi ha innescato un timore per

la sicurezza alimentare futura, e questo spiega perché come primi investitori siano emersi

gli Stati del Golfo e piccoli Paesi asiatici, che hanno a disposizione ingenti capitali ma

poca terra coltivabile la quale, in seguito a fenomeni connessi alla crisi ambientale, andrà

riducendosi. Questi, infatti, dipendendo in larga parte da esportazioni, sono particolarmente

soggetti alla volatilità dei prezzi nel breve periodo, e temono più di altri le previsioni di un

costante aumento dei prezzi nel lungo periodo19

. Questo sarà causato sia da un aumento

della domanda, non solo per l’aumento della popolazione mondiale ma anche per il

cambiamento di abitudini alimentari dei Paesi in transizione la cui dieta si allinea a quella

occidentale, sia da una stagnazione o riduzione dell’offerta, la cui causa principale può

essere rintracciata nella crisi ambientale. In questo senso, l’accaparramento di terre mira ad

una produzione diretta a rifornire di beni alimentari principalmente il Paese investitore,

oltre che delle risorse presenti su quelle terre, prima fra tutte l’acqua20

.

Inoltre, l’accaparramento di terre oggi non è più legato esclusivamente alla produzione

agricola di beni alimentari: è piuttosto quella di biomasse per l’allevamento e, soprattutto,

per i biocarburanti ad aver avuto un’impennata, alla quale è seguita quella dei prezzi21

.

L’aumento del costo del petrolio ha spinto ad intensificare la coltivazione di mais, jatropha

e altre biomasse per la produzione di biocarburanti. In una prima fase questi sembravano

essere la soluzione perfetta non solo per liberare le società dalla dipendenza dal petrolio,

ma anche per ridurre i danni provocati dall’inquinamento. Oggi è chiaro come non solo, a

conti fatti, l’impatto sull’ambiente non si discosta da quello dei carburanti fossili, ma

comporta l’aggravante di sottrarre terreni alla produzione agricola, e lo stesso vale per le

altre risorse in essi presenti, come quelle idriche. Senza addentrarci troppo nella questione,

19

“The State of Food Insecurity in the World” FAO 2011; CFS 37 2011 “ Food Price Volatility:

Recommendation from Civil Society”

http://www.csm4cfs.org/files/Pagine/11/cso_37_messages_on_fpv_en.pdf

20

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

21

“Price volatility and food security: A report by the High Level Panel of Expert” 2011

http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/hlpe/hlpe_documents/HLPE-price-volatility-and-food-security-

report-July-2011.pdf

20

questi accenni bastano a comprendere come la produzione di biocarburanti mini la

sicurezza alimentare delle popolazioni rurali22

.

Un altro elemento che ha acquisito importanza nel contesto dei fenomeni di

accaparramento di terre è la speculazione finanziaria: la trasformazione della terra e dei

suoi prodotti in commodity finanziarie. Anche in questo caso il fenomeno è direttamente

legato alla crisi finanziaria, che è una parte non trascurabile della crisi economica degli

ultimi anni, la quale ha spinto a cercare oggetti d’investimento più sicuri. Una delle

modalità con cui questo genere si speculazione finanziaria avviene è l´acquisizione da

parte degli investitori di aree la cui estensione è decisamente maggiore di quella che viene

effettivamente votata alla produzione. In questi casi i fenomeni di espropriazione e perdita

del controllo delle terre ai danni dei piccoli produttori rurali sono aggravati dal fatto che a

questo non corrispondo neppure opportunità lavorative, investimenti in infrastrutture o

altre conseguenze di cui potrebbero, in ultima istanza godere23

.

3. I NUOVI TIPI DI CONTRATTO

Uno degli aspetti peculiari del nuovo accaparramento delle terre riguarda la proliferazione

di tipologie di contratto nuove che si affiancano a quelle classiche di compravendita e di

affitto. In generale, nell´ultimo periodo si assiste ad una diminuzione delle transazioni di

acquisto vero e proprio della terra: una delle ragioni è rappresentata dalle leggi che molti

Paesi hanno stabilito per limitare la vendita di terre domestiche a stranieri. Un metodo

escogitato da molte compagnie per ottenere il diritto di proprietà su una terra in questi casi

consiste nella creazione di una partnership con una compagnia domestica o dell’istituzione

di una compagnia ex novo in quella nazione: in entrambi i casi, l’investitore risulterà

domestico e non si avranno quindi ostacoli alla compravendita. Al momento dell’acquisto,

spesso le compagnie forniscono immediatamente una grande somma di denaro: la

popolazione, che non ha avuto il tempo di organizzare una struttura di salvaguardie per

utilizzare tali risorse in modo da minimizzare gli effetti negativi dell’acquisto e a favore

della comunità, si ritrova con questa ingente somma senza sapere come spenderla nel modo

adeguato.

22

“The State of Food and agriculture in 2008. Biofuels: prospects, risks and opportunities” FAO 2008

23

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

21

Per l’analisi dei tipi di contratti ci rifaremo alla classificazione proposta da Cotula24

, che

distingue tre tipologie: i contratti di concessione, gli accordi di condivisione della

produzione e i joint venture. Nel primo caso, le negoziazioni sono generalmente condotte

dai governi dei Paesi in cui si trovano i terreni in questione, che contrattano con gli

investitori la cessione, per un determinato periodo di tempo, dei diritti di utilizzo delle terre

e dello sfruttamento delle risorse in esse presenti, in cambio di pagamenti in denaro, tasse o

di una percentuale dei proventi ricavati. Nel caso dei contratti di cessione, essendo discussi

a livello centrale, le problematiche e gli interessi delle comunità locali vengono spesso

ignorati: possono così perdere non solo l’accesso alla terra, spesso la loro unica fonte di

sostentamento, ma anche la loro casa, che in molti casi si trova ubicata nell’area svenduta.

Nei casi in cui il controllo della terra e il diritto di abitazione in quell’appezzamento non

fossero registrati ufficialmente, i poveri rurali rischiano di non ricevere nessun tipo di

compensazione.

Anche negli accordi di production sharing la negoziazione di svolge tra gli investitori e

l´amministrazione centrale: i primi forniscono capitali e tecnologia, la seconda la terra e la

produzione che ne risulta viene suddivisa tra le parti. In questo caso, quindi, si ha una

centralizzazione dei prodotti, la loro suddivisione e la successiva ricompensa delle

popolazioni rurali da parte dello Stato, la quale viene calcolata in base al prezzo di mercato

del bene prodotto, e non in base al lavoro. Questo tipo di contratti è particolarmente

frequente nei casi in cui la coltivazione abbia un alto valore, come ad esempio nel caso

della coltivazione di biomasse per la produzione di biocarburante.

Il caso dei contratti joint venture in agricoltura prevede che le due parti si associno in un

iniziativa imprenditoriale comune. In questo caso gli investitori si legano, a seconda delle

circostanze, ad una delle controparti del Paese ospite (Stato centrale, élite locali,

organizzazioni contadine, singoli individui)25

. Questa impresa può essere formalmente

registrata o meno e di solito si concretizza nei cosiddetti contract farming, che abbiamo

definito come un accordo sulla produzione agricola che coinvolge uno o più contadini e un

compratore, dove si stabilisce che una certa quantità di prodotto, che deve rispondere a un

certo standard di qualità, sarà consegnata dal contadino al compratore entro una certa data,

24

Cotula, L. 2010 “Investments Contracts and Sustainable Development: How to Make Contracts for Fairer

and More Sustainable Natural Resouces Investments” London: Design

25 Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

22

e questi in cambio si impegna a fare tale acquisto e a fornire determinati input produttivi26

.

La remunerazione avviene in denaro, calcolato in base al prezzo di mercato del bene

prodotto, o lasciando una certa percentuale del raccolto all’agricoltore.

La logica su cui si basa questo tipo di contratti è uno scambio di cui si avvantaggiano

entrambe le parti: gli investitori forniscono capitali e tecnologia, sottoforma di competenza

tecnica, sementi geneticamente selezionati, fertilizzanti e macchinari, ma anche un più

facile accesso al mercato; i produttori la loro terra, con le risorse in essa contenute, e la

loro manodopera. Se da un lato questo tipo di contratti sembrano essere quelli che

assicurano maggiori garanzie per i piccoli produttori poiché la terra resta nelle loro mani,

d’altra parte è necessario vedere in ogni singolo caso quanto l’accesso alle informazioni e

la capacità contrattuale delle parti siano simmetrici. I termini previsti nel contratto possono

obbligare alla conversione di tutte le terre a disposizione del contadino a una monocultura,

che lo rende più dipendente dal mercato e più vulnerabile ad eventuali calamità naturali,

oltre a costringere tutta la famiglia a massacranti orari lavorativi per rispettare le scadenze

previste, con i connessi rischi di sfruttamento del lavoro minorile27

.

Un elemento fondamentale riguarda la durata dei contratti: in molti casi, infatti, questi

coprono un lungo arco temporale ed è necessario quindi che vengano tenuti in

considerazioni anche effetti di lungo periodo. Per quanto riguarda i contratti di affitto, ad

esempio, in questo caso è necessario distinguere quelli di breve o media durata, che vanno

dai 15 ai 20 anni, da quelli di lunga durata, che variano tra 50 e 99 anni. Non sempre

investimenti di lungo periodo hanno conseguenze solamente negative sul territorio: spesso,

infatti le compagnie che hanno investito in una certa area fanno investimenti in beni di

pubblica utilità, come mezzi di comunicazione e altre grandi opere, che sono necessarie a

rendere il loro investimento produttivo, ma delle cui conseguenze positive godono anche le

comunità locali.

Spesso, come abbiamo accennato sopra, gli investitori al momento della stipula del

contratto promettono compensazioni e investimenti in beni pubblici a favore del Paese o

della comunità locale, però, mancano gli strumenti per verificare se queste promesse

vengono mantenute e per valutarne l’aderenza a quanto prospettato. In generale, la

questione di analisi, monitoraggio e valutazione è di particolare importanza sia per

comprendere gli investimenti in agricoltura in tutte le loro conseguenze, sia per considerare

26

http://www.fao.org/ag/ags/contract-farming/faq/en/

27

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

23

gli effetti che su questi hanno i codici di condotta, come le Voluntary Guidelines on the

Responsible Governance of Tenure of Land, Fisheries and Forests in the Context of

National Food Security28

e i Principle of Responsible Agricultural Investiments that

Respect Rights, Livelihoods and Resources29

. Senza strumenti appropriati, infatti,

l’implementazione di queste direttive internazionali rischia di essere meramente formale.

Parallelamente, è necessario che le popolazioni coinvolte siano a conoscenza dei loro diritti

e dei canali, che in molti casi nei Paesi in via di sviluppo devono essere stabiliti, attraverso

i quali possono denunciarne l’eventuale violazione.

4. LE CARATTERISTICHE GENERALI DEL LAND GRABBING

Le caratteristiche principali che questo fenomeno ha assunto sono:

- Il cambiamento di utilizzo delle terre: dall’impiego di terre per la produzione

alimentare per la sussistenza, il consumo locale o domestico al loro utilizzo per la

produzione di beni per l’esportazione o per l’accaparramento di larghe fette del

mercato interno su base di controllo esclusivo.

- La conversione di foreste in terreni per la produzione di cibo, foraggio o

biocarburanti per esportazione, approvvigionamento di legname o estrazione di

minerali.

- Un forte carattere multinazionale, come si evince dai dati raccolti da GRAIN, che

mettono in evidenza molte delle transazioni in corso30

- Il coinvolgimento di transazioni finanziarie che hanno mero valore speculativo, le

quali spesso non sono trasparenti, non prevedono la consultazione di tutti gli attori

coinvolti e sono portate a termine con la corruzione dei governi nazionali e delle

amministrazioni locali.

- Nei casi in cui la proprietà della terra da parte della comunità rurale era sancita da

diritti consuetudinari e non da diritti di proprietà formalizzati si assiste ad un vero e

proprio esproprio contro il quale la comunità non può protestare.

5. LE TRASFORMAZIONI NELL’USO DELLA TERRA E DELLE BIOMASSE

Alle caratteristiche sopra citate, pur sempre attuali, si sono aggiunti negli ultimi anni nuovi

elementi, che hanno richiesto una ridefinizione degli strumenti di analisi. Per prima cosa si

28

http://www.fao.org/docrep/016/i2801e/i2801e.pdf

29

http://siteresources.worldbank.org/INTARD/214574-1111138388661/22453321/Principles_Extended.pdf

30

http://www.grain.org/article/entries/4479-grain-releases-data-set-with-over-400-global-land-grabs

24

nota come la nozione di “cambiamento nell’uso della terra” sia vaga e unidirezionale, cioè

colga solo la conversione delle terre votate alla produzione domestica di cibo verso la

produzione di generi alimentari e biocarburante per l’esportazione. In realtà oggi tali

conversioni avvengono in più direzioni. Come mostrano Borras e Franco31

, oggi si hanno

quattro tipi principali di conversione nell’uso delle terre, ognuna con delle variazioni, di

cui è necessario tenere conto per cogliere la complessità del fenomeno.

Il primo tipo di conversione messo in luce dai due autori e denominato tipo A vede terre

rimanere votate alla produzione di generi alimentari ma mutare la finalità di tale

produzione; ne consegue che non sempre questo cambiamento viene colto ufficialmente.

Le varianti che questo tipo presenta sono:

- A1: da produzione di cibo per il consumo a produzione per lo scambio domestico.

Questo processo prende il nome di “mercificazione” della produzione di generi

alimentari ed è uno dei cambiamenti più frequenti che si registrano storicamente nel

passaggio a sistemi agrari di tipo capitalista, che prevedono l’espropriazione di

terre, la produzione di surplus attraverso un tipo di agricoltura intensiva, la vendita

di parte del raccolto sul mercato in cambio di denaro.

- A2: da produzione per il consumo e/o per lo scambio a produzione per

l’esportazione. Si intende in questo caso sia la produzione di cibo che di foraggio e

si tratta in questo caso di una delle più note e criticate modalità di “land grab”.

Anche questa conversione non è nuova, tuttavia presenta delle peculiarità che la

differenziano dalle modalità con cui è avvenuta storicamente. Prima di tutto sono

subentrati Paesi asiatici investitori che si affiancano a quelli tradizionali, soprattutto

i Paesi del Golfo, la Cina, l’India, la Corea del Sud e il Giappone, spinti soprattutto

dai timori sulla sicurezza alimentare scatenati dalla crisi dei prezzi del 2007-08.

Inoltre questo tipo di accaparramento di terre avviene tramite acquisizioni, contratti

di affitto di lunga durata (fino a 99 anni in alcuni casi) e attraverso accordi stipulati

con i piccoli produttori. Infine, questo tipo di conversione avviene oggi a un ritmo

mai raggiunto nel passato.

- A3: dalla produzione per l’esportazione, la monocultura e per l’industria alla

produzione per il consumo, lo scambio domestico e la diversificazione di colture su 31

Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59

25

piccola scala. Questa conversione è di solito diretta da una politica redistributiva

attuata dal governo nazionale, che coinvolge espropriazione di terre e la loro

distribuzione ai contadini senza terra.

Il tipo B vede una conversione dei terreni dalla produzione di cibo alla produzione di

biocarburanti: questa tipologia richiama la nota critica fatta dalla società civile alle

multinazionali, che tolgono terre per sfamare le popolazione dei Paesi in via di sviluppo

per rifornire di energia i Paesi sviluppati. Non si vuole certo sminuire la drammaticità di

questa pratica, che è risultata essere molto estesa visto che le ricerche mostrano che la

maggior parte delle transazioni commerciali sulla terra hanno come scopo la produzione di

biocarburante o di prodotti industriali. A un esame più attento, tuttavia, si vede che questa

conversione presenta le seguenti varianti:

- B1: dalla produzione di cibo per il consumo e lo scambio domestico o per

l’esportazione alla produzione di biocarburanti per l’esportazione. Questa è la

modalità ferocemente criticata non solo dall’opinione pubblica, ma anche dalle

principali agenzie per lo sviluppo e molte istituzioni internazionali o

sovranazionali, come ad esempio l’Unione Europea, che affronta oggi un dibattito

sul cosiddetto ILUC, cioè sugli impatti indiretti provocati dalla conversione delle

terre alla produzione di biocarburanti. Le transazioni connesse a questa conversione

sono di solito fatte dalle compagnie operanti nei settori industriali coinvolti, vista

anche la necessità di ingenti capitali per questo tipo di investimento. Questa

conversione comporta l’instaurarsi di una monocultura di canne da zucchero, mais,

soia o jatropha su larga scala e la costruzione di infrastrutture idonee. Nei paesi in

cui inizia la produzione di biocarburanti la conversione dei terreni avviene ad un

ritmo piuttosto rapido. Questo tipo di trasformazione della produzione risulta

difficile da cogliere e da monitorare. Infatti, nonostante siano noti casi singoli di

accordi di questo tipo andati in fumo per l’opposizione della società civile come

accaduto nelle Filippine e in Madagascar, lo sono molto meno l’estensione del

fenomeno e le varie negoziazioni in corso. Il ruolo dei governi locali e nazionali in

questo tipo di conversione sembra fondamentale per il convincimento delle

popolazioni rurali, sia che avvenga con la forza e l’inganno o con la promessa di un

maggiore benessere.

- B2a: dalla produzione di cibo per il consumo e lo scambio domestico o per

l’esportazione alla produzione di biocarburanti per l’uso locale e lo scambio

domestico sotto il controllo delle aziende, a prescindere dal fatto che queste aziende

26

siano nazionali o straniere. Questo caso non può essere accomunato al precedente

in quanto tale produzione può essere finalizzata, e in molti casi lo è, alla produzione

di elettricità per il Paese e può rappresentare un modo per raggiungere

l’autosufficienza energetica.

- B2b: dalla produzione di cibo per il consumo e lo scambio domestico o per

l’esportazione alla produzione di biocarburanti per l’uso locale e lo scambio

domestico senza il controllo delle aziende. Questo tipo di conversione è votata alla

produzione di energia per l’uso locale e quindi non solo non è criticata, ma è anche

sperimentata e incoraggiata dalle organizzazioni della società civile, che cercano di

raggiungere l’autosufficienza energetica a livello locale, alternando la coltivazione

di biomasse per la produzione di biocarburante e per quella di generi alimentari. Si

comprende quindi l’importanza di fare distinzioni all’interno di questa categoria:

se, infatti, la critica nei confronti della conversione delle terre per la produzione di

biocarburanti per l’esportazione (B1) sia ormai sostenuta da più parti, è necessario

distinguerla da quella per l’uso domestico e, ancor più, locale, se questa non viene

anteposta alla produzione di cibo e assicura maggiore autosufficienza alle comunità

locali. Quest’ultimo tipo è oggi incentivato dalle istituzioni internazionali, come ad

esempio dalla Banca Mondiale.

Il terzo tipo, identificato con la lettera C, vede la conversione di terreni non votati alla

produzione di generi alimentari all’instaurazione di tale produzione. Questa trasformazione

assume le seguenti varianti:

- C1: da zone boschive a terre usate per la produzione di cibo per il consumo e lo

scambio domestico: è questo uno dei casi più frequenti in assoluto, usato da tutte le

comunità per ampliare le terre per la coltivazione e aumentare così la produzione.

- C2: da zone boschive a terre usate per la produzione di cibo per l’esportazione, che

richiama la nota critica seconda la quale si provoca la deforestazione di quelle zone

per permettere il consumo eccessivo fatto in altri Paesi. Non si tratta, in questo

caso, di un fenomeno nuovo poiché le sue origini risalgono al colonialismo, ma l’

aumento registrato negli ultimi anni è dovuto soprattutto dall’espansione della

domanda di carne a basso costo: è noto come la crescita della domanda di carne in

Cina si direttamente collegata alla deforestazione in Sud America per la produzione

di soia come foraggio. È uno dei fenomeni connessi al land grabbing con il più

27

rapido ritmo di conversione di terre, cosa che lo rende tra i più noti e criticati

dall’opinione pubblica.

- C3: da zone marginali e incolte a terre per la produzione di cibo per il consumo e lo

scambio domestico. Come nella tipologia C1, questo è un caso molto comune e

usato storicamente da tutte le comunità umane per ampliare la produzione.

- C4: da zone marginali e incolte alla produzione di cibo per l’esportazione. Un

esempio classico di questo tipo di conversione è la trasformazione di zone paludose

in zone per l’acquacoltura intensiva per l’esportazione. Il ritmo di trasformazione di

queste zone e le finalità accomunano questa tipologia alle altrettanto criticate A2,

B1 e C2, tuttavia in questo caso non comportando un disboscamento né sottraendo

terreni agricoli usati per la produzione di cibo, è un processo meno controverso.

Il tipo D, infine, indica la trasformazione delle zone boschive o considerate marginali e

incolte in terre dedite alla produzione di biocarburante, secondo le seguenti modalità:

- D1: da zone boschive a terre per la produzione di biocarburante per l’uso e lo

scambio domestico: in questo caso di solito la produzione di biocarburante è su

piccola scala, usato come energia alternativa nella comunità locale. Spesso queste

conversioni vengono stimolate dai governi locali, dalle organizzazioni dei contadini

e dalle organizzazioni non governative con lo scopo di rendere la comunità

autosufficiente dal punto di vista energetico.

- D2: da zone boschive a terre per la produzione di biocarburante per l’esportazione:

siamo, anche in questo caso, di fronte ad uno dei temi più ricorrenti nella critica al

land grabbing, portati alla ribalta da casi di deforestazione massiccia, come

accaduto nella Foresta Amazzonica in Brasile e in Indonesia. Il ritmo di queste

trasformazioni è molto rapido e spesso sono guidate da compagnie multinazionali,

con l’appoggio delle élite locali, che si accentrano gli enormi profitti provenienti da

questa produzione.

- D3: da terre marginali e incolte alla produzione di biocarburante per l’uso e lo

scambio domestico: è un caso molto simile al D1, spesso incentivato dalle

organizzazioni non governative locali o straniere, in certi casi sotto la guida di

aziende nazionali o estere. Anche istituzioni sovranazionali come la Banca

28

Mondiale, incentivano questo tipo di conversione, vedendo nelle zone marginali e

incolte una delle risorse principali per i Paesi del Sud del mondo per innescare

dinamiche di sviluppo. Non si deve però sottovalutare l’importanza che zone

considerate come incolte e marginali possono avere nell’ecosistema mondiale,

come mettono oggi in evidenza i movimenti per la difesa dell’ambiente.

- D4: da terre marginali e incolte alla produzione di biocarburante per l’esportazione:

anche in questo caso le agenzie per lo sviluppo intravedono in queste conversioni

una molla per creare un commercio di biocarburanti vantaggioso per questi Paesi

senza la deforestazione o la limitazione dei terreni votati all’agricoltura. Non si

considera, tuttavia, che per gli ingenti capitali necessari per questa produzione i

maggiori investitori siano di solito compagnie straniere e multinazionali e non

nazionali, e in questo modo la ricchezza prodotta si accentra nelle mani di

investitori esteri. Inoltre, le terre che le agenzie internazionali classificano come

incolte o marginali in molti casi non lo sono: i rilevamenti ufficiali non tengono,

infatti, conto che spesso questi terreni sono dediti a tipi di agricoltura tradizionali,

come ad esempio la coltura itinerante, sono usate dagli allevatori che praticano la

pastorizia transumante o sono zone che non sono state convertite per ragioni

politiche, simboliche o ecologiche. Tutto ciò non viene censito dalle autorità

nazionali come terra in uso da parte delle comunità e, di conseguenza, viene

venduta alle compagnie che si basano sui dati ufficiali. Da questa prospettiva, si

comprende l’importanza che oggi i movimenti della società civile danno alla

classificazione statuale delle terre, che è un argomento molto dibattuto nelle

negoziazione sulle Linee Guida sulla terra, comprendendo l’importanza di

salvaguardare i diritti consuetudinari delle popolazione e di considerare tutti gli

utilizzi che vengono fatti dei terreni.

Questa classificazione proposta da Borras e Franco32

permette di vedere che la concezione

comunemente diffusa di land grabbing come di un fenomeno di acquisto, o al limite di

affitto, di terre su larga scala di non permetta di cogliere le varie situazioni che interessano

oggi la questione del controllo della terra. Tale concezione, infatti, si concentra sulla

proprietà della terra, non indagandone invece la dimensione dell´uso e del controllo

effettivo. Inoltre, il concetto di proprietà privata e individuale della terra non è universale:

32

Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59

29

in molti altri Paesi il sistema di proprietà è di tipo collettivo e/o consuetudinario, in altri

Stati ancora si hanno combinazioni tra queste tipologie. Il tipo di agricoltura, allo stesso

modo, varia tra il metodo tradizionale estensivo ad alto tasso di forza lavoro e basso di

capitale, alla produzione intensiva e meccanizzata, che richiede ingenti investimenti ma,

avvalendosi di macchinari, non necessita di molta forza lavoro. Tutto questo complesso

sistema, a sua volta, determina la struttura sociale della comunità, il suo stile di vita e la

sua organizzazione politica. Le analisi e le categorizzazioni fatte dai censimenti statali non

riescono a cogliere queste realtà ma, anzi, sollecitano una standardizzazione a un modello

nazionale, se non internazionale, si classificazione.

Nelle società in cui il possesso della terra è collettivo e consuetudinario, questo tipo di

proprietà non è registrato a livello di catasto ufficiale e questo nasconde numerosi casi si

espropriazione delle terre, oltre a fenomeni di concentrazione della proprietà delle terre e

spostamenti di popolazioni da terre che ufficialmente risultavano disabitate. Senza tenere

conto di questi processi il land grabbing non può essere compreso in tutte le modalità che

il fenomeno ha assunto oggi. D’altra parte, la classificazione riportata sopra permette anche

di evitare di etichettare come fenomeni di accaparramento di terre modalità di conversione

delle terre che sono organizzate dalle stesse comunità per perseguire le proprie finalità,

soprattutto a livello locale e nazionale. Quello che viene messo in evidenza è il legame

stretto che esiste tra i processi di concentrazione ed i cambiamenti che si producono nelle

destinazioni d’uso del suolo e nei sistemi agrari locali

La discussione nata intorno al tema del land grabbing, inoltre, ha sempre identificato una

contrapposizione tra gli investitori e i poveri rurali, senza tenere conto delle distinzioni di

classe, genere e tipo di attività svolta. Questa categoria contiene piccoli produttori agricoli,

braccianti agricoli senza terra, popoli indigeni, pastori e piccoli pescatori che praticano la

pesca artigianale; tutti questi gruppi sociali, a loro volta distinti in base al genere, hanno

interessi e istanze diverse e vengono coinvolti nei fenomeni di land grabbing e di

conversione dell’uso della terra in modo di verso. Dall’altra parte, all’interno della

categoria degli investitori si rintracciano grandi proprietari terrieri, ricchi agricoltori,

società o privati che concedono prestiti, commercianti e operatori di borsa. Non è possibile

comprendere appieno le conseguenze dei vari fenomeni di accaparramento delle terre o del

“sequestro del diritto a produrre”33

senza tenere conto di questi fenomeni.

33

http://www.europafrica.info/it/news/terra-nuova-e-crocevia-denunciano-il-land-grabbing-uccide-il-diritto-

a-produrre-cibo-delle-popolazioni-locali

30

Come abbiamo visto, questa classificazione permette di distinguere i processi di

trasformazione che hanno effetti dannosi sulle comunità rurali da quelli che, invece, sono

necessari e apportano miglioramenti alla comunità. Un classico tipo di conversione

dell’uso della terra si ha quando si smantella la produzione monoculturale votata

all’industria e all’esportazione impiantata da aziende nazionali e, più frequentemente,

internazionali, che richiedono vasti appezzamenti di terreno ma, avvalendosi di

macchinari, poca forza lavoro; a favore della coltivazione di una pluralità di prodotti,

necessari alla comunità. Non sempre è facile rintracciare la presenza di una produzione

monoculturale votata all’industria: in alcuni casi, infatti, anziché acquisire grandi

appezzamenti di terreni (scatenando così le critiche degli attivisti che si battono contro il

land grabbing e per il diritto al cibo), le compagnie multinazionali stipulano contratti con i

singoli piccoli produttori, con lo stesso risultato di votare un’intera regione alla

monocultura. L’esempio più illustrativo di questo processo è rappresentato dal caso della

produzione di olio di palma in Indonesia. Non sempre, quindi, i fenomeni di land grabbing

sono accompagnati dall’espropriazione delle terre ai danni dei contadini e questo rende il

fenomeno meno visibile e, per ciò, sottostimato.

Le organizzazioni che si occupano della questione hanno sempre dato per scontato che,

essendo i primi a subirne gli effetti negativi, le popolazioni rurali fossero le prime ad

opporsi attivamente ai fenomeni di accaparramento delle terre. Anche in questo caso non si

possono comprendere appieno le varie conseguenze di tale fenomeno senza disaggregare il

concetto di “poveri rurali” nelle varie classi sociali che lo compongono. In realtà, di fronte

ai casi concreti che si sono presentati nelle varie regioni, si vede come ognuno dei gruppi

sociali coinvolti avesse degli interessi diversi, agisse in modo differente a seconda che

avesse dato vita a organizzazioni che la rappresentano o meno, si basasse su presupposti

ideologici di un certo tipo o non ne avesse affatto34

. La comunità locale non sempre può

essere considerata come un’unità di base a cui fare riferimento dandone per scontata

l’omogeneità di interessi: come in ogni aggregato sociale, si riscontrano infatti strati sociali

più ricchi, funzionari amministrativi facilmente corrompibili, élite locali/nazionali, che

portano avanti interessi privati in netto contrasto con quelli delle fasce più povere delle

comunità, sotto la bandiera degli “interessi locali. Un esempio classico di quest’ultimo

punto è rappresentato dalla contrapposizione che talvolta si crea tra gli interessi economici

dei piccoli produttori agricoli e le istanze dei movimenti ecologisti.

34

Borras, S. Jr, P. McMichael and I. Scoones, 2010. ‘The Politics of Biofuels, Land and Agrarian Change:

An Editorial Introduction’. Journal of Peasant Studies, 37 (4): 575–92.

31

La tipologia A mostra che spesso la conversione delle terre non riguarda il tipo di

produzione, ma il tipo di coltura: questo cambiamento spesso non viene registrato dalle

statistiche. Tra l’altro, questa conversione fantasma riguarda anche la tipologia B: infatti la

produzione di biocarburante comporta la coltivazione di biomasse, che può essere

registrata come produzione di cibo. In alcuni casi, addirittura, non cambia neppure il tipo

di biomassa prodotto, ma solo l’uso che se ne fa: gli esempi vanno dalla produzione di

mais negli Stati Uniti, che da essere usato come foraggio viene trasformato in etanolo, alla

produzione di soia in Argentina, di canne da zucchero in Sud Africa e nelle Filippine, oltre

che nel già citato caso dell’olio di palma in Indonesia e Malesia35

. L’estensione di questo

tipo di conversione nell’uso che si fa di questo tipo di prodotti agricoli non deve essere

sottovalutata: il cambiamento nell’uso del mais statunitense a favore della produzione di

etanolo è stato una delle cause dell’impennata dei prezzi di questa biomassa, che si è

diffusa a livello mondiale e a prescindere dall’utilizzo che ne viene fatto, anche alimentare,

quindi e minando così la sicurezza alimentare del Paese produttore in primis, ma in casi di

proporzioni enormi, con ripercussioni su tutto il pianeta.

La classica critica mossa al land grabbing si focalizza sull’accaparramento delle terre a

livello transnazionale, concentrandosi specialmente sugli investitori, che sono emersi solo

negli ultimi anni, cioè i Paesi del Golfo, la Cina e la Corea del Sud. Questa focalizzazione

tende a nascondere non solo le pratiche di espropriazione delle terre o di conversione a

livello nazionale sia in questi che in altri Paesi, ma mette in secondo piano molti investitori

nazionali e transnazionali del Sud del mondo: Brasile, Sud Africa, Filippine, India, Malesia

e Cambogia sono solo alcuni esempi di Paesi che stanno portando avanti negoziazioni di

grande rilievo, che non sollevano la stessa indignazione, ma non per questo hanno

conseguenze meno distruttive. In questi casi, spesso, gli investimenti transnazionali si

muovono a livello regionale: le compagnie brasiliane guardano perlopiù all’America

Latina, gli investimenti di Cambogia e Vietnam tendono a rimanere all’interno della

penisola indocinese, il Sud Africa si accaparra terre specialmente in Africa. Il caso

dell’India è molto particolare: si tratta di un tipo di land grabbing che potremmo definire

“interno” ma che, a differenza di ciò che accade in altri Paesi, non ha come scopo

principale la messa a coltura intensiva delle terre ma piuttosto l’estrazione di minerali e la

costruzione di infrastrutture e di immobili. Il focus sui land grabber emergenti non deve,

però, nascondere i processi messi in atto da quelli tradizionali, Nord America e Europa

35

Si parla in questo caso di flex- crops, cioè di colture utilizzabili sia come alimento per gli esseri umani, sia

come foraggio per gli animali, sia nella produzione di biocarburanti o in quella industriale.

32

restano sempre in testa36

. L’elemento fondamentale, sottolineato da Borras e Franco37

, di

cui si deve tenere conto è il processo di cambiamento dei sistemi agrari in atto e l’emergere

di sistemi agrari e energetici globali.

Le ricerche condotte fino ad oggi si concentrano sullo studio delle dinamiche economiche

connesse al cambiamento di uso della terra e delle risorse agricole, ma poco si sa ancora

dei cambiamenti sociali e politici che questi fenomeni comportano sulle società coinvolte. I

governi nazionali dei Paesi in via di sviluppo in cui il sistema di proprietà delle terre è

collettivo e si basa su diritti consuetudinari stanno dando vita a ondate di recinzioni, con la

prospettiva non solo di estendere il dominio nazionale su quei territori e di sottoporli così a

tassazione, ma anche di creare opportunità e attrattive per gli investimenti provenienti da

compagnie straniere. L’argomentazione con la quale le amministrazioni centrali motivano

questo tipo di pratiche si basa sulla definizione di queste terre come marginali e

sottoutilizzate, quindi sprecate, a fronte delle necessità del Paese di aumentare la

produzione di beni alimentari e di rendersi autosufficiente dal punto di vista energetico.

I fattori finora indicati mostrano come la definizione onnicomprensiva di land grabbing,

portata avanti dalle istituzioni mainstream, sia limitante non riesca a cogliere la varietà di

modi in cui questo fenomeno oggi si riscontra nelle varie realtà, che devono essere quindi

studiate con ricerche empiriche in grado di cogliere appieno il processo e le sue

conseguenze sotto ogni punto di vista: ecologico, economico, sociale, politico. La

definizione data ai fenomeni, infatti, non è neutra ma, soprattutto in questo caso,

comprende gli interessi politici e economici e le visioni ideologiche di coloro che le

formulano.

6. I CAMBIAMENTI NELLE RELAZIONI DI PROPRIETA’ DELLA TERRA

Come tutti i fenomeni economici, il land grabbing comporta cambiamenti strutturali, non

solo sulla struttura fondiaria di un paese, ma anche a livello politico, non essendo queste

sfere fondamentali della vita delle nazioni nettamente scindibili, come invece la teoria

liberista pretende38

. Le dinamiche politiche e i mutamenti che questo fenomeno comporta

vanno in due direzioni. Da una parte si hanno le élite locali e le classi sociali dominanti che

36

http://www.europafrica.info/it/

37

Borras, S. M. Jr e Franco, J. C. “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, Vol. 12, No. 1, January 2012, pp. 34-59 38

Polanyi, K, 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Bosto,

MA: Beacon Press.

33

possiedono il controllo delle terre e delle risorse presenti su di esse che cercano di

consolidare e di estendere questa loro proprietà per vendere o cedere in affitto questi

terreni agli investitori o, altrimenti, per entrare loro stessi a far parte di sistemi agro-

industriali complessi dediti alla produzione di biomasse per la produzione di cibo e/o di

biocarburanti. Spesso l’estensione della proprietà viene fatta con l’acquisto o con contratti

di affitto di terre precedentemente coltivate da piccoli produttori. In questo caso, quindi, il

sistema di suddivisione delle terre si basava sulla proprietà privata e il fenomeno

prevalente è quello della scomparsa delle piccole unità a favore dell’ accentramento delle

terre nelle mani dei grandi proprietari terrieri, che costituiscono quindi grandi

appezzamenti privati. Esempi di questo tipo di fenomeno si riscontrano in Argentina,

Brasile Colombia Bolivia e Indonesia, oltre che in molte zone dell’Africa.

D’altra parte, in altri Paesi, il sistema di proprietà della terra non si basa solamente su

diritti di proprietà privata, ma su diritti di tipo collettivo e consuetudinario, non registrate

nelle classificazioni e nei catasti ufficiali. In molti casi questi territori sono etichettati dalle

amministrazioni come “pubblici” o “non privati”, sono spesso considerati disabitati e non

utilizzati per la produzione, quindi marginali e non sfruttati. Questo, al contrario di ciò che

si ritiene comunemente, riguarda enormi appezzamenti di terreno: la maggior parte delle

terre in Africa non è detenuta da singoli ma dalla comunità e questa proprietà è sancita,

perlopiù, dalla consuetudine; il 70% del territorio indonesiano è registrato come “terreni

forestali statali”39

nonostante su gran parte di questo esistano dei sistemi di produzione

agricola tradizionali; nelle Filippine più di due terzi del territorio agricolo nazionale è

etichettato formalmente come “non privato” e lo Stato sta svolgendo negoziati per trarne

profitti. Le istituzioni sovranazionali avallano la politica di questi governi: nel 2010 la

Banca Mondiale ha dichiarato che sulla Terra ci sono in totale tra i 445 milioni e i 1,7

miliardi di terre non coltivate, marginali, sottoutilizzate e quindi disponibili40

.

In entrambi i casi sopra citati, il risultato è consistito in massicce concentrazioni di terreni,

accentramenti di proprietà e espropriazione delle terre ai danni dei piccoli produttori e a

favore di una più efficiente amministrazione delle terre, sul modello occidentale, oltre che

di uno sviluppo di stampo capitalistico, percepito, paradossalmente, come necessario

specialmente per difendersi dalle crisi alimentare, energetica, ecologica e finanziaria che

hanno colpito, con grado e modalità diversa, tutti i Paesi del mondo negli ultimi anni. 39

Peluso, N.L. e Lund C., 2011 “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant

Studies, 38(4): 667-681

40

Deininger, Klaus W., 2011”Rising global interest in farmland : can it yield sustainable and equitable

benefits?” World Bank

34

Come abbiamo visto, la critica classica al land grabbing si concentra soprattutto sulla

critica all’espropriazione di terre ma questo, per quanto non si debba sottovalutare

l’estensione e la drammaticità di questo fenomeno, non coglie i cambiamenti di relazioni di

proprietà della terra in atto. In alcuni casi l’esito di questo cambiamento è comunque

l’espropriazione ma, in altri casi le conseguenze variano. Sono quindi necessari studi

empirici41

che in ogni singolo caso mettano in luce le relazioni di proprietà esistenti, ma

soprattutto evidenzino come in certi casi avere la proprietà di una terra non corrisponde

automaticamente ad averne l’effettivo controllo. Quindi, quando si va ad analizzare il

cambiamento delle relazioni di proprietà su una terra, si devono individuare gli attori che

detengono il controllo effettivo su quelle terre e sulla ricchezza prodotta; si vede quindi che

in alcuni casi può esistere una discrepanza tra la proprietà e il potere.

Con controllo effettivo si intende, infatti, il potere decisionale sul tipo di coltura che si

desidera produrre, sul tipo di sistema agricolo che si intende utilizzare, sul ritmo della

produzione, sull’utilizzo del surplus, ecc. Si comprende, quindi, che questo controllo

effettivo in molti casi è del tutto indipendente dalla definizione che di quelle terre viene

fatta ufficialmente e dalla relazione di proprietà formalmente riconosciuta. Un approccio

empirico permette di cogliere chi sono i reali detentori del controllo sulla produzione e di

cogliere le divisioni di classe che si instaurano. Questa discrepanza tra diritti di proprietà e

controllo effettivo sulla produzione può essere legittimata da apposite politiche, come può

invece risultare dall’assenza di queste. Le politiche sulla terra, come le altre, sono

influenzate dalla struttura di potere interna a una società e tendono quindi a rispecchiare gli

interessi delle classi dominanti e dei dirigenti statali. Il modo in cui, poi, tali disposizioni

vengono interpretate e implementate non è mai neutrale, ma è sempre condizionato dagli

attori nazionali e locali ad esso preposti, creando anche varianze a livello territoriale, oltre

che cambiamenti a livello temporale, nell’applicazione di tali politiche. Inoltre

configurazioni politiche, sociali, culturali ed economiche che nei vari momenti storici si

affermano tendono a loro volta a modellare l’interpretazione e i metodi di implementazione

delle leggi.

Tali relazioni sociali legate alla terra sono dinamiche e mutevoli, e nel pianificare e

implementare un progetto di sviluppo è necessario tenere conto dei mutamenti che esse

subiscono sia in relazione ad esso sia indipendentemente e tanto durante la sua attuazione

quanto al termine di essa. Si crea in questo modo un’ulteriore divario tra le definizione del

41

Si rimanda al terzo capitolo per una panoramica delle tecniche di ricerca maggiormente utilizzate nello

studio dei casi.

35

sistema di proprietà presente nei documenti ufficiali e quella realmente esistente sul

territorio, anche perché in molti casi le trasformazioni subite dalle relazioni sociali

connesse al sistema fondiario non determinano cambiamenti veri e propri nel sistema di

proprietà a livello effettivo o comunque non tali da richiedere un aggiornamento delle

classificazioni operate dall’amministrazione .

Le politiche e le classificazioni fatte dagli Stati, così come le riforme sulla terra e il sistema

di diritti di proprietà, sono al centro della lotta politica tra classi sociali mosse da interessi e

ideologie diverse. Da una parte gli Stati e molte organizzazioni internazionali spingono per

l’adozione universale di categorie di proprietà standardizzate che vengono presentate come

puramente pragmatiche e politicamente neutre, ma che in realtà hanno come scopo la

tassazione di quelle terre e, in molti casi, il loro uso come mezzo di transazione finanziaria,

oltre che come attrazione per gli investitori stranieri. Questi, infatti, sono talvolta restii a

investire in Paesi in cui non esistano chiari documenti ufficiali che attestino il sistema

fondiario e chiare delimitazioni delle proprietà, sollecitando quindi questi Paesi

all’adozione di classificazioni standardizzate, pensate originariamente per essere

implementate in altri contesti in cui le relazioni sociali legate alle proprietà sono strutturate

in maniera completamente differente. Per questo nelle discussioni sulla stesura delle Linee

Guida sulla terra abbiamo assistito a un acceso dibattito, portato avanti soprattutto dai

movimenti della società civile che chiedono una particolare attenzione delle

amministrazioni centrali nella classificazione dei rapporti di proprietà inerenti alla terra.

Abbiamo parlato finora di come le politiche pubbliche influenzino le relazioni di proprietà

della terra e ne determinino i cambiamenti. Per comprendere meglio questo fenomeno

partiremo dalla tipologia proposta da Borras e Franco42

, che distinguono quattro di tipi di

politiche che determinano modifiche nei rapporti di proprietà.

Il primo tipo, identificato con la lettera A, è la redistribuzione, cioè la ripartizione di terre,

e del potere e delle ricchezze a esse connesso, che erano sotto il controllo monopolistico

dello Stato o di privati in favore delle classi rurali sprovviste di terra. Tale politica può

presentarsi in diverse varianti: se il caso classico, che viene subito in mente quando si parla

di redistribuzione, è la suddivisione di enormi appezzamenti di terreno privati in mano a

latifondisti e la loro assegnazione a piccoli produttori, in realtà sotto questa tipologia

ricadono anche altri provvedimenti come la restituzione delle terre, contratti di locazione,

riforme del sistema fondiario, dell’amministrazione o del sistema del lavoro e

42

Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59

36

riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. Queste politiche possono essere applicate sia

alle terre che ricadono sotto il controllo statale sia a quelle appartenenti a privati e per

comprenderne appieno gli effetti sono necessarie ricerche empiriche che in ogni specifico

caso mettano in luce l’entità del potere e della ricchezza ridistribuita, oltre ad identificare

le classi sociali coinvolte in questo processo e come questo modifichi la struttura sociale.

Con B si intende un tipo di politica che prende il nome di distribuzione: come nel caso

precedente si tratta di una suddivisione di grandi appezzamenti di terre prima appartenenti

allo Stato o a privati che vengono spartite tra le classi rurali senza terra. Ciò che distingue

questa politica dalla redistribuzione è che in questo caso se l’espropriazione viene fatta ai

danno dei privati, lo Stato si impegna ad un risarcimento e si tratta quindi di una politica

meno radicale, che non prevede la confisca di terre di una classe sociale a favore di

un’altra e che è spesso quindi stata preferita alla redistribuzione. Una tipica modalità con

cui questa politica si afferma è il riconoscimento di diritti consuetudinari delle comunità

rurali che tradizionalmente lavorano e vivono su terre che sono registrate ufficialmente

come pubbliche: in questo modo si assicura a queste comunità il controllo su queste terre,

che prima era reso insicuro dall’assenza di una documentazione formale che lo attestasse.

Nel continente africano si posso rintracciare numerosi tipi di politiche di questo che

ricadono in questa categoria.

Il terzo tipo citato dagli autori viene definito non (re)distributivo: si è di fronte, in questo

caso, a direttive che sanciscono lo status quo e che fanno permanere le disuguaglianze

sociali e di proprietà della terra. Non sempre questa situazione si afferma attraverso una

specifica politica volta alla conferma e alla conservazione dello status quo, in molti casi è

la semplice assenza di una politica di riforma del sistema fondiario a creare questa

situazione, mentre in altri casi ancora è determinata dalla mancata implementazione di

politiche di riforma fondiaria che, da un lato restano stagnanti e non vengono quindi

applicate, dall’altro la loro stessa esistenza limita la possibilità di discussione su una nuova

riforma. Tale mancata applicazione non sempre dipende dalla volontà

dell’amministrazione centrale, anzi spesso è causata dall’opposizione che essa trova nella

società.

L’ultimo caso, identificato con la lettera D, è detto (ri)concentrazione e indica i fenomeni

di accentramento della proprietà nelle mani di un esiguo numero di privati, siano essi élite

locali dominanti, capitalisti, compagnie commerciali o finanziarie, classi sociali

privilegiate, funzionari statali o, semplicemente, lo Stato. Tale fenomeno può riguardare

37

tanto terreni privati quanto pubblici e non sempre è il risultato di una concentrazione di

proprietà, ma può anche presentarsi come un accentramento di controllo sulla terra senza

determinare cambiamenti nel sistema fondiario ufficialmente riconosciuto.

Questa tipologia mostra come, quando si parla di land grabbing, sia necessario precisare

quali sono le politiche che sottendono questo tipo di fenomeno e come le relazioni di

proprietà e di controllo sulla terra ne vengano influenzate. Come si vede, infatti, non tutti i

fenomeni di espropriazione delle terre sono ai danni delle classi rurali e una distinzione è

necessaria per comprendere, in ogni caso, quali sono le classi che si avvantaggiano di

queste politiche e quali sono invece i gruppi che subiscono l’espropriazione. In generale,

le ricerche mostrano come nella storia ci sia stato un passaggio da un momento in cui le

politiche prevalenti erano quelle che abbiamo indicato con le lettere A e B, già prima della

recente ondata di accaparramento delle terre, si nota un tendenza che accentua i fenomeni

di concentrazione e di non-redistribuzione.

L’utilizzo di questa distinzione aiuta quindi nella ricerca empirica a comprendere di fronte

a che tipo di fenomeno ci troviamo, permette di cogliere la varietà degli attori coinvolti, i

loro interessi e quindi di comprenderne le conseguenza. Da tenere in considerazione

quando ci si trova di fronte a questo tipo di disposizioni sono le precedenti politiche sulla

terra che erano state attuate: se, ad esempio, le politiche di redistribuzione sono state

precedute da politiche di concentrazione della proprietà, ecc. Questo approccio cronologico

permette di cogliere meglio come un certo sistema fondiario e sociale si sia formato e

come si sia eventualmente modificata l’agenda dei governi, favorendo o impedendo gli

investimenti da parte di grandi corporation e fenomeni di accaparramento delle terre.

Inoltre, come abbiamo già accennato, questa tipologia aiuta a fare distinzioni sulla natura

delle espropriazione delle terre (come abbiamo visto, non sempre queste vanno a discapito

dei poveri rurali) anche analizzandone le conseguenze. Uno studio sulle direttive dei

governi connesse all’espropriazione delle terre del tipo indicato con la lettera D mostra

come in molti casi queste disposizioni sono affiancate da politiche di resettlement, cioè di

dislocazione delle popolazioni che abitavano le terre espropriate in altri territori. La storia

di molti Paesi africani successiva alla decolonizzazione mostra la drammaticità di questo

tipo di direttive, non solo per il dover abbandonare la propria casa e per le modalità di

attuazione ma anche perché in molti casi queste popolazioni vengono dislocate in terre

sotto utilizzate in quanto hanno caratteristiche che le rendono non adatte ad una vasta

concentrazione demografica: fragilità dell’ecosistema, scarsa produttività dei suoli, ecc. Il

38

caso dell’Etiopia è emblematico della drammaticità di queste politiche di re-insediamento e

villagizzazione imposte dal governo con la finalità di aumentare la produzione e

causandone, invece, un tragico crollo e una feroce carestia43

.

Tuttavia sarebbe riduttivo vedere i trasferimenti di popolazioni come una spia per

identificare i fenomeni di land grabbing. Infatti, in certi casi, i fenomeni di concentrazione

e accaparramento delle terre non comportano l’espulsione delle popolazioni: sono le

situazioni in cui la produzione intensiva progettata dagli investitori prevede non solo

grandi appezzamenti di terra ma anche una consistente forza lavoro e in questo caso i

contadini vengono indotti a stipulare con queste compagnie contratti di lavoro o di affitto

delle terre. In questo caso, quindi, pur restando sulla terra e mantenendo il lavoro agricolo,

i contadini perdono quello che abbiamo precedentemente chiamato controllo effettivo sulla

produzione. I capitalisti, a loro volta, ottengono forza lavoro ed evitano le critiche che

provengono dalla società civile a seguito della dislocazione delle popolazioni. Ciò che di

volta in volta è necessario studiare è l’accettazione di questi contratti da parte dei contadini

e se essa venga o meno ottenuta con metodi coercitivi più o meno espliciti44

. In questi casi

acquisiscono particolare importanza la natura del capitale investito, il contesto sociale e

politico e l’eventuale presenza di organizzazioni dei contadini che gestiscono le

negoziazioni dei contratti e delle condizioni di lavoro.

All’interno delle categorie presentate risulta più facile lo studio delle politiche dai vari

gruppi sociali come risultato delle lotte che questi portano avanti, oltre che delle richieste

che identificano le loro istanze. Le lotte politiche e sociali sono sempre non solo contro un

certo fenomeno ma anche a favore dell’instaurarsi di un altro tipo di processo, di cui il

gruppo interessato beneficerebbe. La lotta contro l’espropriazione delle terre ai danni dei

piccoli produttori (tipo D) diventa anche una battaglia per la (re)distribuzione di queste a

loro favore (tipo A). Si tratta così di lotte composte da due movimenti contemporanei,

attuata su più fronti e senza tener conto dei quali molte azioni, sia che queste siano

organizzate dai movimenti sociali sia che siano spontanee, non potrebbero essere del tutto

comprese. Allo stesso modo, le polemiche e il dibattito sollevato negli ultimi anni sul

fenomeno del land grabbing, ha portato la corrente mainstream, adottata non solo dai

governi ma anche dalle agenzie internazionali per lo sviluppo, a concentrarsi quasi

43

Palmieri, P.2000 “L’ultimo socialismo africano. Il trasferimento forzato delle popolazioni sotto il regime di

Menghistu. Una ricerca antropologica”, Guerini e Associati; Sivini, G. 2006 “La resistenza dei vinti: percorsi

nell’Africa contadina”, Feltrinelli- Milano

44

Du Toit, A. 2005 “Forgotten by the Highway: Globalization, Adverse Incorporation and Chronic Poverty

in a Commercial Farming Distric” Centre for Social Science Research, UCT

39

esclusivamente sulla necessità di riforme fondiarie di tipo distributivo e redistributivo,

mettendo così in secondo piano la lotta contro la concentrazione e mostrando così solo una

faccia del problema.

Queste considerazioni fanno comprendere come il riconoscimento richiesto dai movimenti

sociali di formalizzati diritti di proprietà, siano essi individuali, collettivi o comunitari,

come strumento per la protezione del possesso e dell’accesso dei contadini alla terra, sia

riduttivo e assolutamente non sufficiente a proteggere questi diritti. Non solo perché, come

abbiamo visto, in molti casi a modificarsi non è il possesso vero e proprio della terra ma il

controllo sulla produzione; in secondo luogo perché sono numerosi gli esempi in cui tali

diritti di proprietà sono semplicemente stati ignorati. In alcuni casi, addirittura, la richiesta

di questa formalizzazione dei diritti di proprietà risulta controproducente, legandosi e

avallando il tentativo delle amministrazioni centrali di creare una classificazione

standardizzata del sistema fondiario nazionale di cui abbiamo già visto le conseguenza

negative in termini di privatizzazione dei suoli pubblici e di efficiente riallocazione dei

diritti di proprietà su di essa, ai fini di creare attrattive per i capitali stranieri e per

l’attuazione di una riforma agraria di stampo capitalista e volta quindi alla produzione per

un mercato che il più delle volte è quello internazionale.

Infatti, nei dibattiti per la stesura di codici di condotta per gli investimenti sulla terra,

come nei “RAI Principles”, dove la negoziazione è avvenuta tra attori favorevoli

direttamente coinvolti nelle transazioni risultanti in fenomeni di land grabbing (compagnie

multinazionali e domestiche, governi nazionali, ecc.) la questione della necessità

universale di un sistema fondiario che sancisca determinati diritti di proprietà è stata

centrale. Questi principi di “investimento responsabile” vedono nella classificazione un

elemento fondamentale per la più efficiente amministrazione delle terre. Tutto ciò

favorisce e legittima politiche non-redistributive e di concentrazione della proprietà (tipi C

e D) e scoraggia la distribuzione di terre in nome di una maggiore efficienza e produttività.

Le compagnie multinazionali si avvantaggiano di questi principi che hanno come scopo

principale quello di ottenere un mercato della terra libero, trasparente e in cui si possano

svolgere velocemente le transazioni economiche minimizzando i costi. Gli Stati nazionali,

dal canto loro, usano questa classificazione per estendere il loro potere e il sistema di

tassazione, oltre che per attrarre capitali. Si comprende quindi perché la negoziazione tra

questi due attori sociali sui principi per gli investimenti responsabili non possa portare alla

protezione delle classi rurali.

40

La Banca Mondiale ha proposto che le negoziazioni sulla terra avvengano a livello locale,

affermando che in questo modo la posizione dei contadini risulta più rilevante, ma in realtà

in molti casi accade esattamente il contrario: infatti, è proprio a livello locale che il potere

delle élite dominanti è più pervasivo e che i movimenti della società civile che difendono i

diritti dei contadini sono più deboli; per non parlare delle amministrazioni locali, i cui

funzionari risultano spesso facilmente corrompibili.

Sulla scia del dibattito promosso dai movimenti sociali e diffuso tra l’opinione pubblica,

anche numerose istituzioni internazionali, sovranazionali e multilaterali hanno avanzato

critiche nei confronti di quelli che chiamano “investimenti sulla terra su larga scala” da

parte delle multinazionali e dei governi e che vanno a discapito delle popolazioni rurali:

Banca Mondiale, FAO, IFAD, Unione Europea. Tuttavia, nell’insistenza portata avanti da

queste istituzioni sulla necessità di una definizione ufficiale dei diritti di proprietà

universalmente riconosciuta si vede come favoriscano proprio le posizioni di quegli attori

che affermano invece di combattere. Un’altra contraddizione tra la versione ufficiale

portata avanti da questi istituzioni e la loro effettiva linea d’azione si vede nella mancata

attuazione di politiche che limitino la concentrazione e l’accaparramento delle terre non

solo nei confronti dei Paesi stranieri ma anche all’interno dei propri confini, come nel caso

dell’UE e delle sue Linee Guida sulla terra del 200445

.

7. LA PROPOSTA DI BORRAS E FRANCO: UN APPROCCIO EMPIRICO

Quanto detto finora indica che nello studio empirico dei singoli casi devono essere tenuti in

considerazione non tanto il pacchetto di diritti che formalmente sono garantiti ai poveri

rurali, quanto il potere effettivo che essi hanno sulla terra e sulle risorse su essa presenti.

Le due tipologie proposte da Borras e Franco46

concernenti la conversione della

produzione o della finalità di essa e la trasformazione dei rapporti di proprietà sulla terra

sono due utili strumenti di analisi, che possono essere interrelati per analizzare il problema

del land grabbing e, più in generale la questione della terra, la quale oggi si concretizza

oggi a livello aggregato in due tematiche centrali: la sicurezza alimentare mondiale, cioè la

capacità del sistema-Terra di produrre in futuro una quantità di cibo sufficiente a sfamare

la popolazione umana, e la questione ecologica, soprattutto nella dimensione del

45

EU Land policy Guidelines: Guidelines for Support to Land Policy design and Land Policy Reform

Processes in developing Countries

http://ec.europa.eu/development/icenter/repository/EU_Land_Guidelines_Final_12_2004_en.pdf

46

Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change,. 12(1): 34-59

41

cambiamento climatico. L’urgenza di queste due questioni, tra loro strettamente interrelate,

porta anche ad un nuovo sodalizio tra i movimenti sociali impegnati nell’ambito della

giustizia agraria e quelli ecologisti. In questo modo, nell’analizzare una certa situazione in

cui si riscontrano fenomeni di cambiamento riguardanti la terra, si applicano tre diverse

dimensioni: la conversione riguardante la produzione, studiando se il risultato di questo ha

un impatto dal punto di vista ambientale e/o della sicurezza alimentare e la trasformazione

dei rapporti di proprietà.

La contraddizione che può venire a crearsi tra queste variabili può rendere difficile la scelta

su quale aspetto privilegiare. Prendiamo, ad esempio, il caso in cui una trasformazione nel

tipo di produzione o nell’uso che si fa di una certa biomassa possa sia garantire o

migliorare la sicurezza alimentare sia risultare non dannosa, se non positiva, per l’ambiente

ma, allo stesso tempo la sua attuazione richieda un cambiamento dei rapporti di proprietà

tale da favorire le élite dominanti e gli interessi commerciali e di indebolire la situazione

socio-economica dei poveri rurali. Viceversa, può darsi il caso che ci si trovi davanti a

politiche redistributive che privilegiano i contadini senza terra, ma questa provoca

conversioni a livello produttivo tali da ridurre la produzione, minando così la sicurezza

alimentare. Questi sono solo due delle molteplici scenari possibili in cui il privilegiare un

certo aspetto (la giustizia sociale, la sicurezza alimentare o la preservazione ambientale)

può causare danni agli altri due. Casi come questi sono tutt’altro che infrequenti e la scelta

non può che ricadere sulla strategia che mitiga il problema più impellente in quel dato

contesto, sia esso la scarsità di cibo o il forte degrado ambientale. Queste misure atte a

risolvere situazioni nel breve periodo vengono però scontate nel lungo periodo: dare, ad

esempio, la prevalenza alla produzione di cibo a discapito della preservazione

dell´ambiente mina produttività della terra e delle altre risorse naturali, inficiando la

possibilità di produrre alimenti nel lungo periodo.

La base comune, sulla quale tutti i movimenti sociali sono d’accordo e uniti, è la lotta al

più drammatico di questi scenari: il caso in cui le trasformazioni agrarie in corso

privilegino le classi dominanti o le grandi compagnie multinazionali, arrechino danni

all’ambiente e, allo stesso tempo minino la sicurezza alimentare. Parallelamente, i vari

movimenti concordano nel sostenere politiche redistributive che comportino una

trasformazione a livello della produzione tale da avere un impatto positivo sia sulla

sicurezza alimentare, sia sull’ambiente. Questa proposta, sostenuta specialmente dai

movimenti detti “agro-ecologisti”, combina sovranità alimentare, energetica e giustizia

sociale è un idealtipo al quale tendono tutte le proposte dei movimenti sociali sia a livello

42

locale che a quello globale. Tra questi due poli si trovano numerosi casi in cui uno di questi

aspetti viene compromesso a favore di un altro, creando così contestazioni e critiche di

parti sociali diverse e variamente coinvolte. La tabella sotto riportata è stata elaborata de

Borras e Franco47

e mostra tutti i possibili scenari sopra elencati.

TIPO CAMBIAMENTO RELAZIONI

DI PROPRIETÀ

SICUREZZA

ALIMENTARE

QUESTIONE

AMBIENTALE

A (Re) distribuzione Si Si

B (Re) distribuzione Si No

C (Re) distribuzione No Si

D (Re) distribuzione No No

E Non-distribuzione/

concentrazione

Si Si

F Non-distribuzione/

concentrazione

Si No

G Non-distribuzione/

concentrazione

No Si

H Non-distribuzione/

concentrazione

No No

8. ULTERIORI VARIABILI RILEVANTI NELLO STUDIO DEI CASI

Il modello empirico sopra presentato permette di cogliere sia i cambiamenti effettivi

nell’utilizzo delle terre sia, almeno in parte, le loro conseguenze sociali. Premettendo che

le variabili rilevanti per la comprensione dei mutamenti sociali nei singoli contesti sono

molte numerose e spesso strettamente legate ad una certa situazione specifica, ci

soffermiamo adesso sull’analisi di tre aspetti che riteniamo debbano essere sempre presi in

considerazione nell’analisi empirica dei casi di studio, senza alcuna pretesa di esaustività.

Tali variabili sono: l’uso della violenza nell’implementazione delle politiche e delle

decisioni legate al controllo della terra, l’influenza di queste sul mercato del lavoro,

l’impatto sulla questione di genere. La scelta di queste variabili è legata all’intento di

vedere come questi fenomeni impattino sull’organizzazione sociale, politica e culturale di

queste comunità.

47

Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59

43

8.1. L’UTILIZZO DI MEZZI VIOLENTI

La legittimità delle politiche messe in atto è direttamente proporzionale a quella dei

governi che le decidono e implementano e da questo dipendono quindi le modalità di

attuazione. Abbiamo visto come il fenomeno del land grabbing, sia domestico sia

transfrontaliero, sia universale e si riscontri tanto nei Paesi del Nord quanto in quelli del

Sud del mondo. Per quanto riguarda specialmente l’accaparramento delle terre interno, la

struttura politica nazionale acquisisce una grande importanza e determina differenziazioni

nelle modalità di esecuzione delle direttive, anche se spesso non nei risultati. In molti Paesi

governati da regimi non democratici, i governi non hanno bisogno di strattagemmi eleganti

per perseguire i propri fini, ma fanno ricorso alla forza e all’occupazione militare,

giustificando questa pratica con la necessità di politiche di sviluppo per il Paese ma,

intanto, preparando il terreno per investitori stranieri che producono per l’esportazione o

per assicurare al proprio Paese la sicurezza alimentare in futuro. L’utilizzo delle forze

militari per questi fini è particolarmente evidente in quei Paesi che sono stati recentemente

scenari di guerra e conflitti armati di vario tipo e che quindi non hanno ancora completato

la smilitarizzazione del loro territorio48

.

Che sia esplicita o che sia solo una minaccia inquietante, la violenza è raramente estranea

ai processi di definizione e cambiamento di proprietà. E’necessario distinguere nei vari

casi se la violenza si palesa come effettiva o solo come una minaccia potenziale e qual è il

suo scopo, rifacendoci alla distinzione di Walter Benjamin tra “law-making violence” e

“law-preserving violence”. Nel primo caso siamo di fronte ad una forza di tipo

rivoluzionario, che impone nuove regole sulla società e si manifesta in modo improvviso

ed arbitrario nella società, mentre il secondo è un tipo di violenza più sottile e meno

esplicita, volta al mantenimento dello status quo49

. Pur con le modalità diverse con cui si

presentano, entrambi sono l’estensione pratica di atti politica, sia che venga attuata da

istituzioni legittime sia che lo sia da un braccio armato. Se rispetto al passato, dunque,

nella competizione per il controllo della terra si assiste all’utilizzo di nuove tecnologie e di

mezzi di governance sofisticati ed eleganti, questo non significa che questi siano meno

violenti.

48

Peluso, N.L. e Lund C.2011, “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant

Studies,38(4): 667-681

49

Benjamin, W. 1978 “Critique of Violence” in “Reflections Essays aphorisms Autobiographical Writings”,

14(3): 277-300

44

7.2. LE CONSEGUENZE SUL MERCATO DEL LAVORO

Uno degli ambiti molto influenzati dalle transazioni economiche riguardanti la terra è

quello dell’impiego. L’approccio Win-Win, sostenuto in modo particolare dalla Banca

Mondiale, vede nell’agricoltura su larga scala un mezzo per la creazione di posti di lavoro

che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, porterebbero ad una diminuzione della povertà

e ad innescare dinamiche di sviluppo attraverso tre meccanismi: creando offerta di lavoro

per i braccianti senza terra, nuove opportunità contrattuali per i piccoli coltivatori e nuove

transazioni commerciali di acquisto o affitto delle terre50

. La strategia sembra semplice: si

prendono le terre marginali e sottoutilizzate dei Paesi del Sud del mondo con scarsa densità

di popolazione, si progettano sistemi di produzione e sementi adatte all’area in questione,

si finanzia il tutto e il gioco è fatto. Siamo ancora di fronte all’approccio classico, e

lungamente criticato ma non ancora scomparso, della ricetta dello sviluppo basata

sull’immissione di capitali e tecnologia. Ricetta che nell’ambito della produzione di cibo

appare come ancora più efficace: non solo si innescano dinamiche di sviluppo e si

provvede alla sicurezza alimentare del Paese ma, nel lungo periodo, questo aumento di

produzione diventa una garanzia per le riserve di cibo mondiali.

Tra l’altro, si afferma che tali effetti benefici a livello mondiale non saranno ottenuti sulle

spalle delle comunità locali, le quali non verranno trasferite ma saranno inserite nel

processo produttivo, riducendone così la povertà. Non volendo in questa sede soffermarsi

sui possibili dubbi che questo ottimismo sulla soluzione del problema alimentare globale

potrebbe far sorgere, sulla scia delle critiche avanzate da Tania Li51

, ci limitiamo a mettere

in discussione l’impatto positivo sulla sfera del lavoro.

Anche senza considerare i pur numerosi, casi di investimenti sulla terra a solo scopo

speculativo, si vede come in realtà le transazioni economiche su larga scala connesse

all’agricoltura non determinino gli straordinari aumenti di offerta di lavoro che la Banca

Mondiale sembra supporre. Infatti, il tipo di produzione proposta è quella intensiva di

stampo capitalistico che prevede un alto tasso di capitali investiti a fronte di un basso tasso

di forza lavoro, che viene sostituita per lo più da macchinari e tecnologie52

. Nel sistema

50

Deininger, K., D. Byerlee, J. Lindsay, A. Norton, H. Selod, and M. Stickler. 2011 “Rising global interest in

farmland: can it yield sustainable and equitable benefits?” Washington, DC: The World Bank

51

Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of

Peasant Studies, 38 (2): 281–98

52 Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

45

capitalista gli investimenti sono diretti a quel tipo di produzione che minimizza i costi e

massimizza i profitti, per cui sembra improbabile che gli investitori si dirigano verso

produzioni che massimizzino l’offerta di lavoro. Questa considerazione dovrebbe essere

già sufficiente a comprendere l’assurdità di identificare nelle transazioni commerciali sulla

terra portate avanti dal settore privato la molla che innesca dinamiche che mirino alla

riduzione della povertà. Si sa, infatti, che la miseria della popolazione locale non solo non

è un problema degli investitori ma, anzi, è una condizione che massimizza il loro

interesse.

Anche nella scelta delle colture si rintraccia la tendenza a scegliere produzioni adatte alla

meccanizzazione, come il grano e la soia. Di fronte a questa possibile obiezione, il

rapporto sottolinea come nei casi in cui la produzione non richieda forza lavoro, potrà

comunque determinare la nascita di industrie di trasformazione, non tenendo conto che se

questo è uno scenario probabile e frequente nei Paesi sviluppati, è assai improbabile che si

verifichi in Paesi lontani da un take off industriale. Oltre il fatto che alcune di queste

biomasse, come nel caso della soia prodotta in Brasile perlopiù come il foraggio per gli

animali, non richiedono industrie di trasformazione.

Su questa linea si confuta un altro meccanismo positivo descritto dalla Banca Mondiale.

Per attrarre gli investimenti, il costo della terra e del suo affitto viene mantenuto basso e lo

stesso vale anche per la poca manodopera necessaria, mentre nei Paesi in cui il costo della

terra non è conveniente, le società stipulano direttamente contratti con i piccoli produttori.

Inoltre, l’interesse delle società nell’investire sulla terra è determinato dalla possibilità di

terra definita libera e quando questa non lo è semplicemente gli investitori tendono a

spostare altrove la loro attenzione53

.

La composizione della forza lavoro è un altro elemento da tenere in considerazione,

specialmente per quanto riguarda l’impiego della popolazione femminile. Mentre in certi

casi si ha una completa esclusione delle donne dal lavoro agricolo, in altri esse sono

impiegate in certe specifiche mansioni per le quali vengono percepite come più idonee.

Spesso si tratta delle posizioni lavorative meno qualificate e, di conseguenza, meno

remunerate. Altra circostanza frequente è che le madri sono costrette a portare con sé i

53

Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of

Peasant Studies, 38 (2): 281–98

46

bambini a lavoro, in quanto non esistono istituzioni a cui affidarli: si crea così una

situazione che sfocia frequentemente in lavoro minorile54

.

Un altro fenomeno interessante riguardante la composizione della forza lavoro impiegata è

che questa, in alcuni casi, è per lo più immigrata anziché autoctona. La giustificazione che

viene fornita ufficialmente dagli imprenditori è che, dato che si tratta di regioni marginali e

poco popolate, per soddisfare la necessità di manodopera è necessario importare lavoratori;

quella che si da ufficiosamente è la presunta pigrizia delle popolazioni autoctone,

rinforzando così questo pregiudizio. Ciò che però non viene mai preso in considerazione è

il rifiuto delle comunità locali espropriate di essere inquadrate in queste piantagioni su

larga scala, specialmente se hanno ancora accesso a piccoli appezzamenti in prossimità e

che sono sufficienti per la sussistenza. Questo è sicuramente un indice che questo tipo di

contratti comporta condizioni negative per i lavoratori: gli abusi che i lavoratori possono

subire con questo tipo di contratti sono stati denunciati anche dal Rapporteur De Shutter 55

.

Ci sono casi in cui l’importazione di forza lavoro non risulti conveniente per gli

imprenditori, cioè quando la piantagione è situata in una regione che gode di abbondante

forza lavoro. In questi casi la manodopera è molto economica e facilmente disciplinabile.

Si tratta, però, di impieghi nelle posizioni meno qualificate e quindi meno remunerati:

dirigenti e quadri intermedi sono spesso provenienti dal Paese investitore, da un Paese

terzo con un capitale economico maggiore che si trova nella regione in cui avviene

l’investimento o, nel migliore dei casi, viene scelto tra le classi dirigenti del Paese in

questione56

.

Un altro meccanismo che il rapporto indica come potenzialmente positivo per la riduzione

della povertà consiste nei contract farming, che come abbiamo visto sono contratti che gli

investitori fanno con i piccoli produttori, ai quali verrebbero garantiti capitali e tecnologie

senza perdere il possesso della terra. Seguendo il credo liberista, queste transazioni

commerciali avvengono tra i privati senza nessuna interferenza dello Stato, nell’ambito di

un mercato concorrenziale, dando per scontato che le due parti abbiano posizioni di potere

e informazioni in equilibrio. Questa situazione è in realtà un idealtipo che non si riscontra

mai nei mercati, ed è quindi ancora meno probabile che si realizzi quando lo scambio

54

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

55

http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=9426&LangID=E

56

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1) 49- 79

47

economico avviene tra società commerciali multinazionali e piccoli produttori rurali dei

Paesi in via di sviluppo.

Per i casi in cui la riduzione della domanda di lavoro risulta inevitabile la Banca Mondiale

raccomanda l’investimento pubblico nell’istruzione, in modo da dare la possibilità ai

lavoratori in surplus di urbanizzarsi e di trovare un’occupazione nel settore dei servizi.

Sembra, però, abbastanza paradossale che uno Stato che non ha la possibilità di finanziare

il proprio settore agricolo possa aumentare la spesa pubblica nel settore dell’educazione e

che abbia al suo interno una tale richiesta di forza lavoro nel terziario. Uno degli effetti

della penetrazione della cultura occidentale in questi Paesi è stato quello di rendere

desiderabile il passaggio da un’economia prevalentemente basato sul settore agricolo ad

una incentrata sui servizi. Tuttavia, in assenza di un sistema di welfare, l’opportunità per i

giovani di migrare verso i centri urbani alla ricerca di lavoro si fonda sulla famiglia che

resta a coltivare la terra al villaggio, dove resta la aperta la possibilità di tornare e

reinserirsi in caso di insuccesso. La terra resta quindi il nucleo su cui si basa la

sopravvivenza e questo mostra come l’espropriazione di queste famiglie toglie anche la

possibilità ai giovani che non trovano occupazione in altri settori di reinserirsi, innescando

quella dinamica di disgregazione sociale già identificata da Polanyi nell’Inghilterra del

1800.

7.3. L’IMPATTO SULLA QUESTIONE DI GENERE

Nell’analizzare le conseguenze sociali che le comunità subiscono in relazione alle

transazioni economiche concernenti la terra, la questione di genere è significativa in quanto

le donne hanno ruoli e mansioni tipicamente differenti nelle pratiche agricole e di

produzione di cibo rispetto agli uomini, oltre a diritti e opportunità diverse, che si

modificano drasticamente in seguito all’intervento esterno di investitori. In molti casi, le

donne rurali non hanno la garanzia un accesso sicuro alle terre e agli input agricoli e gli

investimenti su larga scala non fanno che peggiorare questa situazione, con un ricaduta

anche a livello sociale e intergenerazionale, con il risultato che, invece che verso

l’emancipazione, il ruolo della donna in queste comunità viene ancor più marginalizzato.

Nonostante ciò, il ruolo delle donne come produttrici di cibo per la famiglia è stato messo

spesso in evidenza e numerosi studi dimostrano che dare loro un maggior accesso agli

input produttivi, come terra, sementi e capitali, può avere un risolto positivo su tutta la

famiglia, specialmente sulla salute dei bambini e può risultare in una diminuzione della

povertà a livello aggregato.

48

Si comprende quindi l’importanza di prendere in considerazione nei vari casi di studio le

conseguenze che le transazioni economiche hanno sull’accesso delle donne alla terra e

sulla discriminazione di genere. A tal proposito, per prima cosa in ogni contesto è

necessario comprendere come sono distribuiti i diritti di controllo della terra e, in generale,

di decisione all’interno della comunità non solo in base al genere, ma anche in base all’età,

all’etnia di appartenenza, allo status civile, ecc. Infatti, queste variabili sono tra loro

strettamente collegate e determinano un certa struttura di potere, in cui le donne si trovano

spesso in posizioni diverse. In questo senso, ha un certa rilevanza se i diritti loro

riconosciuti sono riconosciuti legalmente o sono di tipo consuetudinario, anche se, come

abbiamo visto, il riconoscimento legale non implica automaticamente la possibilità di far

valere certi diritti, specialmente perché in molti casi le donne non hanno accesso alle

informazioni necessarie su cosa è loro riconosciuto e come possono far sì che venga

rispettato. Così, se da una parte spesso nei sistemi che si basano sul diritto consuetudinario

spesso l’accesso alla terra della donna è garantito dalla relazione con un uomo (che sia

marito, padre, fratello, ecc.), dall’altra si riscontra che in molti casi il passaggio al sistema

statutario non solo non implica il rispetto di quanto sancito, restando in molti casi poi il

sistema consuetudinario quello effettivamente in vigore, ma spesso comporta un’ulteriore

emarginazione femminile. In questi casi, infatti, la privatizzazione delle terre comporta la

loro assegnazione a coloro che possano dimostrarne il possesso consuetudinario e questo è

spesso impossibile per le donne.

Nello studio della struttura sociale, va anche identificato il ruolo che assume la donna nelle

attività agricole: è stato studiato, ad esempio, che in molte regioni dell’Africa Sub-

Sahariana mentre gli uomini producono le colture per il mercato, le donne si occupano

dell’agricoltura di sussistenza per il nutrimento della famiglia. Questo da una parte mette in

luce quanto l’attività agricola femminile sia importante nel permettere la produzione

maschile di surplus per ottenere denaro, dall’altra mostra che però questo denaro tende ad

accentrarsi nelle mani degli uomini. È stato anche messo in luce che con il disgregarsi

dell’agricoltura di sussistenza questa suddivisione verrà a cadere, ma probabilmente senza

un’effettiva rivalutazione del ruolo sociale della donna57

.

Un altro ruolo spesso femminile è quello legato all’utilizzo di terre comuni per la

farmacopea, l’allevamento di bestiame, la raccolta di legna e l’approvvigionamento di

acqua. Spesso queste attività si svolgono su quelle terre che vengono definite dagli

57

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

49

investitori e dai promotori dello sviluppo mainstream come marginali e sottoutilizzate,

mentre svolgono un ruolo importantissimo per il sostentamento della famiglia. Lo stesso

vale nei casi in cui queste terre comuni abbiano una certa valenza ideologico- religiosa:

spesso le donne hanno un ruolo importante nel preservare le tradizioni.

Uno alt elemento da tenere in considerazione è la provenienza dell’investitore e la sua

cultura di appartenenza, che influenzeranno la sua tendenza a tenere o meno in

considerazione i possibili impatti che la transazione economica ha sulle donne da essa

interessate, aprendo o meno anche al genere femminile le opportunità di lavoro nella

coltivazione. Un esempio ovvio di questo si ha nei casi in cui gli investimenti provengano

da quei Paesi islamici nei quali non viene riconosciuto un ruolo attivo nella produzione alla

donna: in questi casi sembra inevitabile l’esacerbazione dell’emarginazione femminile.

Durante le negoziazioni, la difesa della questione di genere avrà maggiori o minori

possibilità di emergere e di essere efficace anche a seconda di chi sia la controparte a

scendere a patti con gli investitori.

La questione della discriminazione di genere emerge anche nei casi in cui la vendita o

l’affitto di terre comporti un resettlement, i quali sono solitamente organizzati dallo Stato

centrale, che sposta le popolazioni autoctone in altre aree, ritenute sotto popolate,

distribuendo ad ogni famiglia un certo appezzamento di terreno. Spesso il diritto di

proprietà su questo terreno viene dato al capofamiglia, senza tenere in considerazione quali

fossero le relazioni di proprietà tradizionali in quella comunità, non garantendo così alle

donne una proprietà personale. Inoltre, spesso la ricollocazione delle famiglie non tiene

conto della provenienza dei vari nuclei domestici, sfaldando reti sociali che spesso nei

Paesi in via di sviluppo sostituiscono i sistemi di welfare. Questo va a discapito soprattutto

delle donne: si pensi, ad esempio, come la possibilità lasciare i bambini ai vicini per andare

a lavoro, o all’aiuto nelle faccende domestiche nei periodi di malattia siano centrali in

queste strutture sociali e, allo stesso tempo, siano legati a rapporti di fiducia e reciprocità.

La questione di genere tende a essere vista come una problematica a sé stante e a non

essere ricompresa come un elemento fondamentale nelle questioni relative alla terra, per

questo le agenzie dello sviluppo non hanno finora preso in considerazione questa variabile

nella pianificazione di politiche e interventi in agricoltura58

. Tale tema, quindi, ha avuto

58

Lo stesso vale anche per l’allevamento e la pesca.

50

una risonanza minore in letteratura ed è emerso solo molto recentemente all’interno del

dibattito delle agenzie internazionali dello sviluppo59

.

Al contrario, nei maggiori movimenti della società civile che si occupano di tali questioni è

stato messo in luce fin da subito come il possesso e il controllo della terra devono essere

garantiti a entrambi i sessi e che questo deve essere sempre esplicitato. Via Campesina, un

network che fin dalla sua costituzione ha avuto lo scopo dichiarato di riunire ed articolare

le richieste e i problemi dei diversi gruppi sociali connessi all’agricoltura e alla terra

opponendo all’approccio neoliberista il principio della sovranità alimentare, ha messo

sempre in rilievo l’importanza della questione di genere. All’interno di questa

organizzazione sono sempre state presenti, fin dalla sua costituzione, molte donne delle

comunità rurali che hanno lottato per inserire nella lotta per la terra anche la questione di

genere60

.

La tematica è emersa per la prima volta a livello internazionale, però, solo nel 2002

all’interno del GCAR (Global Campaign for Agrarian Reform), promosso da la Via

Campesina e FIAN (FoodFirst Information and Action Network), con la ricerca sulla

condizione delle donne appartenenti alle popolazioni rurali e indigene in Bolivia e al loro

accesso alla terra61

. Nel 2003 in questo Paese il GCAR ha promosso un primo seminario a

Cochabamba, “Riforma agraria e genere”, all’interno del quale sono emerse molte

questioni inedite relative a questo tema. Per prima cosa, ci si è concentrati su come in

molti Paesi manchino ancora disposizioni e politiche che assicurino alle donne la proprietà

della terra, ma si è sottolineato come in realtà il riconoscimento legale sia solo un primo

step e non implichi l’effettivo accesso e controllo della terra da parte delle donne,

prevalendo elementi amministrativi, culturali, ecc. che a livello pratico rendono tali

riconoscimenti inefficaci. Su questo punto sono emerse conclusioni inaspettate: si è visto

come politiche volte alla non discriminazione di genere fossero non solo sorte da un

quadro ideologico neoliberista, ma tendessero anche a rafforzarlo, connettendo i diritti

delle donne con il diritto di proprietà individuale (in questo caso delle donne), mettendo

59

Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land

deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79

60 A riguardo si nota, ad esempio che ogni centro regionale o nazionale de la Via Campesina ha un numero

uguale di rappresentanti per entrambi i sessi e questo ha spinto le organizzazioni rurali che fanno parte di

questo network ad interessarsi alla questione di genere e a fare altrettanto.

61

Monsalve, S. 2006 “Gender and Land” in “Promised Land: Competing Vision of Agrarian Reform” a cura

di Rosset, P., Patel, R. e Courville, M., Oakland CA: Food First Book

51

quest’ultimo in contrasto con i diritti consuetudinari e comunitari presenti in molte regioni,

specialmente tra le comunità rurali dell’Africa Sub-Sahariana e tra i popoli indigeni

dell’America Latina, i quali non hanno mai chiesto diritti individuali sulla terra. In questo

senso Sofia Monsalve parla della strumentalizzazione dei diritti delle donne sulla terra

come di un cavallo di Troia del neoliberismo62

.

L’approccio formulato durante il seminario di Cochabamba in risposta a questo tema si

basa sulla promozione della proprietà collettiva come sfida all’individualismo neoliberista,

retta da diritti consuetudinari ma rivisti e aggiornati a fronte delle nuove tematiche emerse,

tra cui, appunto, quelle connesse alla discriminazione di genere. Viene, tuttavia,

riconosciuto che questo tipo di soluzione non solo non è di facile applicazione, ma neppure

adatta ad ogni contesto e ci si riserva quindi, come per altre variabili, di studiare in ogni

singolo caso la soluzione più adeguata piuttosto che legarsi ciecamente ad una sola strada,

mantenendo però il legame tra i diritti di accesso alla terra delle donne e la difesa dei

piccoli produttori e dei contadini senza terra. Un altro punto importante stabilito in questo

seminario riguarda la rivalutazione dell’identità rurale anche dal punto di vista culturale e

simbolico tradizionale, dimensione all’interno della quale la donna acquista sempre, nelle

diverse culture, una posizione importantissima nel gestire il rapporto con la natura. Si

propone, quindi, un’alternativa non solo al modello economico neoliberista ma anche alla

cultura occidentale che esso veicola. In questo senso, la Dichiarazione di Cochabamba

promuove un ritorno a elementi tradizionali reinventandoli e adattandoli alle nuove sfide,

tra cui quella delle pari opportunità di genere, in ogni sfera sociale.

La questione delle pari opportunità di accesso alla terra è stata fatta rientrare dai movimenti

sociali come fondamentale per il rispetto dei diritti umani, che stanno alla base del loro

approccio nella lotta contro il land grabbing e per la sovranità alimentare. Si sottolinea,

però, come questi diritti siano da espandere, articolare e implementare. Infatti, nella

questione di genere, come anche in altre, l’universalità dei diritti umani ha fatto sfumare la

necessità di una maggiore protezione a favore di categorie marginalizzate. Tuttavia è

importante il riferimento all’umanità come fondamento di questo diritto: come suggerito

durante il seminario di Cochabamba, in ogni caso in cui sia in questione l’accesso o la

proprietà della terra di una donna, la soluzione deve essere trovata rispondendo alla

semplice domanda “se in questa situazione ci fosse un uomo come ci comporteremmo?”.

62

Monsalve, S. 2006 “Gender and Land” in “Promised Land: Competing Vision of Agrarian Reform” a cura

di Rosset, P., Patel, R. e Courville, M., Oakland CA: Food First Book

52

Inoltre, essendo il riconoscimento dei diritti umani un atto formale, una loro violazione

permette di ricorrere alla giustizia per assicurarsi la protezione e quindi, in questo caso,

l’accesso alla terra. Infine, essendo tutti i diritti umani tra loro connessi e interdipendenti,

trattando la questione dell’accesso delle donne alla terra da questo punto di vita permette di

inserirvi anche altre questioni fondamentali, come ad esempio quella relativa all’istruzione

o ai diritti politici e sociali. Gli obiettivi che il GCAR si pone oggi riguardo alla questione

di genere riguardano l’implementazione di strumenti che permettano la denuncia e il

ricorso alla giustizia nei casi in cui i diritti all’accesso alla terra non vengano rispettati,

incontri per informare i vari gruppi rurali su quali sono i loro diritti, come farli valere e

come costituirsi in associazioni che possano fare pressione sulle amministrazioni locali e

nazionali per garantire i loro interessi.

53

CAPITOLO 2

ALTRI FENOMENI DI ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE:NATURALI. IL

WATER GRABBING

1. L’ATTUALE SITUAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE

Sono circa un miliardo le persone che oggi non hanno accesso all'acqua potabile. L´acqua è

una risorsa essenziale per tutte le attività umane e l´accesso a risorse idriche non

contaminate costituisce un prerequisito per la salute. Per la mera sopravvivenza il corpo

umano necessita di una quantità di acqua che varia tra i 3 e i 5 litri al giorno, senza i quali,

tra le altre cose, non riesce ad assorbire il cibo ingerito, portando così alla malnutrizione.

Inoltre, il mancato accesso a risorse idriche pulite è frequentemente causa di infezioni e

epidemie. Il consumo globale di acqua è sestuplicato dal 1900 al 1995, ad un ritmo due

volte più veloce di quello dell'aumento della popolazione mondiale: se questo trend

continuerà, quasi la metà della popolazione nel 2025 vivrà una situazione di insicurezza

nell'accesso alle risorse idriche. Considerati questi dati, tra gli Obiettivi del Millennio è

stato inserito il proposito di dimezzare il numero di persone che non ha accesso all´ acqua

potabile entro il 2015. Se questo da una parte comporta un sostanziale aumento degli

investimenti in questo settore, dall'altra implica anche una revisione della sua gestione. Un

simile intento non comporta solamente fattori di ordine tecnico e geografico, ma richiede

l´analisi di una serie di elementi legali e sociali63

. A livello internazionale, il dibattito verte

principalmente sulla questione se tale scopo può essere raggiunto più facilmente ed

efficacemente dallo Stato o dalle compagnie private. La nuova attenzione che sia le

agenzie internazionali sia le organizzazioni della società civile stanno prestando a questa

tematica è un segno che, dopo essere stata ignorata per decenni, l´acqua è tornata al centro

della scena64

.

Tutti i fenomeni globali ai quali stiamo assistendo coinvolgono l´accesso alle risorse

idriche e il loro utilizzo. Infatti, l´acqua è un elemento chiave in molte attività umane: non

solo necessaria per la sopravvivenza umana, ma anche per l´igiene e l´uso domestico, per

l´agricoltura, per la produzione industriale e quella energetica, per l´allevamento, ecc.. Se

63

Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for

agriculture IIED

64

Cotula, L 2006 “Tackling the land/water rights interface through a human rights lens: Lessons from a study

on the tenure challenges of improving access to water for agriculture in the Sahel” IIED

54

da una parte si registra un drammatico calo nelle riserve mondiali, specialmente nelle

regioni aride e semi-aride, dall'altra parte l´acqua è un elemento fondamentale

nell'affrontare crisi globali come quella alimentare, ambientale ed energetica. Dato il tasso

attuale di crescita della popolazione, la FAO stima che la produzione agricola dovrà

aumentare del 70%. Per di più, stiamo assistendo a una diffusione di un modello di vita che

implica un maggiore consumo di acqua: un esempio lampante è dato dall'aumento nel

consumo di carne nei cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e nei paesi a media

reddito (MICs). Altri elementi da tenere in considerazione sono la sviluppo del settore

industriale e minerario, oltre che la conversione all'agricoltura meccanizzata nei Paesi in

via di sviluppo. La situazione è ulteriormente peggiorata dal cambiamento climatico,

causato in gran parte da attività umane, che porta a condizioni meteorologiche estreme,

come alluvioni e siccità, che rendono più difficile il perseguimento di un´agricoltura basata

sull'acqua piovana. Anche il processo di urbanizzazione, infine, ha un forte impatto sulla

riduzione delle riserve idriche: prima di tutto perché le città sorgono generalmente in

prossimità corsi d´acqua o in riva al mare, secondariamente in quanto la crescente

popolazione urbana mettere sotto pressione il sistema di distribuzione di acqua corrente. In

molti casi, infatti, gli slums che circondano le nuove metropoli dei Paesi in via di sviluppo

sono totalmente sprovviste di acqua corrente e, di conseguenza, di servizi sanitari.

E´quindi fondamentale identificare dei criteri per stabilire un ordine di priorità

nell'allocazione e nell'uso delle risorse idriche, sia a livello nazionale che internazionale. Ci

sono, infatti, numerosi conflitti connessi all'accesso all'acqua, sia a livello nazionale che,

soprattutto, a livello locale e probabilmente aumenteranno con il diminuire delle risorse

idriche disponibili. Questa tendenza è evidente soprattutto in quei paesi che stanno

subendo e hanno recentemente subito un conflitto armato sul loro territorio. Spesso gli

Stati non hanno implementato strumenti né creato istituzioni ad hoc per la risoluzione di

tali conflitti e in questo modo le élite locali o straniere hanno maggiori possibilità di

ottenere quello che vogliono, mentre le comunità rurali non riescono a far sentire la loro

voce e a far valere i loro diritti. In questo senso, risulta evidente come stabilire dei criteri

di priorità non sia sufficiente: occorre anche creare delle istituzioni che possano non solo

far rispettare effettivamente questi criteri e risolvere i conflitti, ma anche adattare le

disposizioni nazionali allo specifico contesto locale. Per stabilire tali criteri è, prima di

tutto, necessaria un´analisi delle riserve idriche a disposizione sia a livello locale, sia

nazionale sia globale.

55

Nonostante la questione dell'utilizzo e della gestione delle risorse idriche sia spesso

presentata come puramente tecnica e, quindi, politicamente neutrale, le politiche che ne

regolano l´accesso e la distribuzione sono sempre basate su specifiche ideologie politiche65

.

Nel dibattito corrente si confrontano da una parte le agenzie internazionali e multilaterali

che propongono politiche basate sul neo- liberismo e le organizzazioni della società civile

che invece supportano sistemi alternativi e criteri di priorità che mettono al centro la

dignità e i diritti umani.

Durante il periodo di ricerca che ho svolto presso FIAN (FoodFirst Information and Action

Network), un´organizzazione internazionale che si occupa di violazioni dei diritti umani e

della promozione in particolar modo del diritto al cibo, ho avuto l´occasione di analizzare i

circa cento casi relativi alla violazione del diritto all'acqua di cui l´organizzazione si è

occupata nel corso degli anni. Questi casi possono essere classificati in tre categorie

principali.

Un primo gruppo riguarda i casi in cui l´accesso alle risorse idriche è stato interrotto o

negato: si hanno numerosi casi di negazione dei diritti tradizionali e consuetudinari,

particolarmente grave per i gruppi nomadi. In molti casi l´uso eccessivo di risorse scarse da

parte di certi utenti limita o nega l´accesso ad altri. Molti conflitti sorgono a seguito della

privatizzazione delle risorse idriche o del sistema di distribuzione. Rientrano in questo

primo gruppo anche i casi che riguardano la perdita dell´accesso a sistemi di irrigazione o

di distribuzione di acqua per uso domestico e la loro distruzione.

Un secondo gruppo riguarda la distruzione delle risorse idriche dovuta al loro

inquinamento e alla contaminazione. In molti casi questo è il risultato dell´estrazione di

petrolio o della fuoriuscita di cianuro dagli impianti estrattivi nelle miniere, che causano la

distruzione delle riserve di acqua per lungo tempo. Anche l´utilizzo di pesticidi e di

componenti chimici in agricoltura causa l´inquinamento delle risorse idriche: un caso

eclatante è sicuramente rappresentato dal spargimento aereo dei fungicidi nelle piantagioni

di banane nelle Filippine.

Un´ultima categoria include quei casi in cui il cambiamento nelle risorse idriche è una

diretta conseguenza di programmi di sviluppo o di altri interventi su larga scala che

modificano l´ambiente, come nel caso della costruzione di dighe o delle attività minerarie,

che causano deviazioni dei corsi d´acqua e cambiamenti nel loro regime. Progetti

65

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

56

infrastrutturali come l´impianto di sistemi d´irrigazione, drenaggio, generazione di energia

idroelettrica, costruzione di vie di comunicazione sono spesso presentati come risposte

meramente tecniche a problemi di ordine pratico, nascondendo così i concetti politici e

l´idea della relazione tra uomo e natura che li sottendono. Risposte alternative a questi

problemi, infatti, non sono solo possibili ma la loro concreta applicazione può essere

spesso rintracciata nelle tecniche e negli approcci usati storicamente dalle popolazioni

indigene e dalle comunità locali.

2. L’ ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE IDRICHE: IL WATER GRABBING

Recentemente si è molto discusso sul fenomeno dell´acquisizione di terre su larga scala,

mentre scarsa attenzione è stata prestata all´impatto che questi fenomeni hanno sulle

risorse idriche. Tuttavia, l´acqua non solo gioca un ruolo cruciale nella odierna corsa all´

accaparramento delle terre, ma in molti casi ne rappresenta il driver principale. Come

abbiamo visto, del fenomeno del land grabbing non è stata data una definizione univoca,

nonostante questo concetto appaia spesso nei media e nei dibattiti. Una possibile

definizione di questo fenomeno lo vede come l´accaparramento del controllo di risorse

naturali, tra cui l´acqua, con o senza un passaggio di proprietà. In questo senso, con il

concetto di water grabbing facciamo riferimento a “ situazioni dove attori potenti sono in

grado di prendere il controllo o di deviare risorse idriche e bacini idrografici a proprio

beneficio, deprivandone le comunità locali la cui sopravvivenza spesso dipende da queste

risorse e dall´ ecosistema connesso” 66

. Si fa quindi riferimento alla trasformazione

dell´acqua in un bene economico, in una commodity: si comprende quindi come questa

idea, tutt´altro che politicamente oggettiva, coinvolge una specifica idea di proprietà e

controllo dell´uomo sulla natura.

La questione relativa alle risorse idriche nelle transazioni commerciali sulla terra è spesso

nascosta e in molti casi non è neppure menzionata nel contratto. Esiste, tuttavia, una stretta

connessione tra le transazioni che riguardano la terra e il controllo sulle risorse idriche che

vi si trovano e che giocano un ruolo fondamentale non solo nei casi in cui la terra verrà

destinata alla produzione agricola, ma anche nei casi in cui vi sorgeranno industrie, miniere

o infrastrutture .

La complessità stessa del sistema idrografico rappresenta un motivo per il quale è così

difficile cogliere le conseguenze che queste attività hanno sulle risorse idriche: queste

infatti possono essere sia dirette che indirette, le interazioni esistenti tra le acque 66

Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI

57

superficiali e sotterranee sono nascoste e difficili da rintracciare. La fluidità stessa

dell'acqua, che scorre da una regione all'altra e la cui quantità varia nel tempo e nello

spazio, rende difficile stabilire una precisa relazione causa- effetto tra le attività che si

svolgono in una certa area e le sue conseguenze sulle risorse idriche, che possono anche

essere rintracciate in zone molto distanti67

.

Come nel caso del land grabbing, anche il water grabbing non e´ un fenomeno nuovo, ma

ha acquistato dimensioni crescenti e inquietanti a partire dal 2007- 2008, come risposta al

sorgere di diverse crisi globali. L´acquisizione o la cessione in affitto della terra per la

produzione di beni destinati all´esportazione costituisce allo stesso tempo un caso di land e

di water grabbing. Infatti, a prescindere dal tipo di produzione a cui quel terreno sarà

destinato (agricoltura, allevamento, industria, attività estrattive, produzione di fonti di

energia), l´acqua rappresenta sempre un elemento centrale e questo spiega perché gli

investimenti tendono a concentrarsi in aree ricche di risorse idriche.

Essendo un fattore centrale nella produzione, l´acqua può essere esportata quando

e´utilizzata estensivamente nella produzione di beni destinati all'esportazione, creando un

sistema di “virtual water” 68

. Con questo temine facciamo riferimento, appunto, all'acqua

che è stata necessaria per la produzione di tale bene. Questa associazione tra il bene

prodotto e l´input che è stato necessario a produrlo rimanda sia alla teoria del vantaggio

comparato di Ricardo che a quella della formazione del prezzo di Marx. Questo concetto

mette in relazione i produttori ai consumatori, che si trovano spesso molto distanti tra di

loro.

3. I DIRITTI CHE REGOLANO L’ ACCESSO ALLE RISORSE IDRICHE NELLE

LEGISLAZIONI NAZIONALI

Per comprendere come il fenomeno del water grabbing si manifesta nei diversi contesti è

necessario, prima di tutto, tenere in considerazione le diverse tipologie di strumenti che i

governi utilizzano per abilitare legalmente individui o gruppi di persone ad utilizzare le

risorse idriche. Senza la pretesa di essere esaustivi, elenchiamo di seguito i principali

strumenti legislativi utilizzati per la concessione dei diritti all'accesso alle risorse idriche,

67

Mehta, L.; Veldwisch, G.J. and Franco, J. 2012. „Introduction to the Special Issue: Water grabbing? Focus

on the (re)appropriation of finite water resources.” Water Alternatives 5(2): 193-207

68Allan, J. A., 1998 “Virtual Water: A Strategic Resource Global Solutions to Regional Deficits” Ground

Water Volume 36, Issue 4, pages 545–546

58

definiti come “diritti legali per l´estrazione e/o l´uso delle risorse idriche, sia superficiali

sia sotterranee” 69

- Diritto di proprietà: l´acqua viene considerata come un bene al pari degli altri

- Concessioni: riconoscimento ufficiale del diritto di utilizzo dell'acqua

- Licenza: contratto che lo Stato ha il potere di concedere, modificare o revocare

- Permesso: implica solitamente una minore quantità di acqua

- Autorizzazione: è emessa ad hoc per lo svolgimento di specifiche attività

temporanee

- Registrazione: riguarda per lo più i popoli indigeni e le comunità rurali

Questi strumenti implicano un diverso grado di sicurezza nell'accesso alle risorse idriche,

tuttavia questo dipende anche dallo status socio-economico dell'utente, dalle sue

competenze e dall' accesso alle informazioni necessarie. In certi casi, questi diritti legali

concedono a individui o a compagnie di sviluppare il sistema infrastrutturale e di

diffusione dell'acqua in una certa area, secondo precisi schemi contrattuali.

Come accade per i diritti sulla terra, anche quelli che regolano l´accesso all'acqua possono

anche non essere registrati ufficialmente, come nel caso dei diritti consuetudinari, definiti

come “regole che trovano la loro legittimazione nella tradizione” 70

,e che quindi possono

cambiare da un luogo all´altro, presentando diversi livelli di coerenza interna. Spesso i

diritti consuetudinari sono collettivi e quindi attribuiscono la proprietà al gruppo nel suo

insieme, che poi stabilisce autonomamente i principi di gestione attraverso i propri processi

decisionali. In molti casi non esiste una distinzione netta tra i diritti consuetudinari e quelli

ufficiali, creando un sistema di regolazione ibrido detto “pluralismo legale” 71

. In questa

situazione, la sicurezza dei diritti ne risulta indebolita in quanto tutti gli stakeholders, che

possono essere investitori, piccoli produttori agricoli, donne, migranti, grandi compagnie,

reclamano i propri diritti basandosi sui propri interessi e sollevano così conflitti tra le varie

parti coinvolte: si crea così una situazione che Cotula ha definito “shopping forum”72

. Che

siano ufficiali o consuetudinari, la loro attribuzione e regolazione è sempre strettamente

69

Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for

agriculture IIED

70

Cotula, L 2006 “Tackling the land/water rights interface through a human rights lens: Lessons from a study

on the tenure challenges of improving access to water for agriculture in the Sahel” IIED

71

Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for

agriculture IIED

72

ibidem

59

legata al contesto sociale, economico, politico e culturale e tenderanno a riflettere le

relazioni di potere esistenti. In questo contesto, i progetti di sviluppo che coinvolgono gli

impianti idrici e le infrastrutture connesse tendono a influenzare queste relazioni di potere,

rafforzando una o più delle parti coinvolte condividendone gli interessi.

Un´altra questione da tenere in considerazione per comprendere in che modo la

legislazione nazionale tenda ad inasprire e influenzare i conflitti e le relazioni di potere tra

i vari individui e gruppi sociali è quella relativa alle diverse competenze tecniche e legali

che le varie parti possiedono. In Cile, ad esempio, per ottenere il diritto ufficiale all'acqua è

necessario affrontare una serie di pratiche burocratiche che richiedono competenze

tecniche e legali, e inoltre il Water Code che le regola risulta estremamente difficile da

comprendere73

. In altri Paesi la regolazione delle risorse idriche si scontra con quella di

altri settori economici: in questi casi, gruppi sociali marginalizzati e vulnerabili, come i

piccoli produttori agricoli o i popoli indigeni, si scontrano con grandi imprese, che hanno

maggiori competenze dal punto di vista tecnico e giuridico, oltre ad una maggiore

sicurezza e abitudine nel trattare questioni di ordine amministrativo e burocratico. Il caso

del Perù può essere considerato esemplificativo di questa situazione.

Il governo Peruviano ha affermato che “il Perù è un Paese minerario”, esprimendo così

l´intenzione dell'amministrazione nazionale di promuovere questo settore attraendo

investimenti privati e, soprattutto, stranieri. Yanacocha è stata una delle prime miniere in

Perù e la sua produzione ha contribuito a rendere il Paese uno dei maggiori produttori.

Questo ha avuto un effetto positivo sulla bilancia commerciale e per le tasche di un ristretto

numero di investitori coinvolti, mentre l´impatto ambientale e quello socio-economico

sulla popolazione non è mai stato preso in considerazione. Le attività estrattive implicano

l´appropriazione di risorse naturali, specialmente di terra e acqua. Le miniere, infatti, non

solo richiedono enormi quantità di acqua per lo svolgimento delle varie attività, ma

modificano anche il regime idrografico, sia dal punto di vista della portata che della qualità,

considerato l´effetto inquinante. Questi cambiamenti in termini di quantità e di qualità dei

bacini acquiferi sono una forma di water grabbing. Dal momento che spesso queste

transazioni non implicano acquisizioni di terra su larga scala, questi casi sono più difficili

da rintracciare. Tuttavia, il fatto che non comportino trasferimenti di proprietà di grandi

appezzamenti di terra non significa che le loro conseguenze siano meno drammatiche per

73

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

60

comunità locali coinvolte, che si trovano a scontrarsi con imprese minerarie nazionali o

internazionali di gigantesche dimensioni.

Per avere accesso alle risorse idriche, le compagnie minerarie hanno offerto ricompense

alle comunità locali, nonostante la Peruvian Water Law del 2009 proibisce la

compravendita dei diritti sull'acqua. Spesso, queste ricompense sono molto maggiori dei

normali guadagni delle famiglie delle zone rurali, che sono quindi molto tentate di

accettare. In questo modo, però, le compagnie minerarie si appropriano del sistema di

gestione dell'acqua e delle risorse idriche della zona. I cambiamenti sia nel regime

idrografico sia nella proprietà dei diritti relativi all'accesso alle risorse acquifere non sono

solo un problema del presente ma si ripercuotono anche sulle future generazioni74

.

Essendo una miniera d´oro, Yanacocha utilizza enormi quantità di acqua, oltre al cianuro,

che in casi di fuoriuscita contamina le risorse idriche e mette a rischio la salute degli

abitanti della zona. Essendo collocata alla fonte di numerosi fiumi e corsi d´acqua che

attraversano la regione, le conseguenze si ripercuotono su numerose e diverse comunità.

Queste popolazioni sono perlopiù rurali. Il rapporto di FIAN rivela che le attività

inquinanti vanno avanti da molti anni, con la connivenza sia dei vertici della compagnia sia

del governo peruviano. La contaminazione dell'acqua ha pericolosamente minacciato la

salute e la stessa sopravvivenza delle comunità che vivono in prossimità della miniera.

Inizialmente la miniera veniva presentata come un esempio di un nuovo tipo di attività

estrattive che non mettevano in pericolo l´ambiente, affermando che la sensibilità

ambientale è al cuore del progetto e delle operazioni della miniera. In breve tempo, tuttavia,

le comunità locali hanno iniziato a denunciare il crescente impatto ambientale della

miniera sull'ambiente e sulla loro vita. Molte persone oggi non hanno accesso ad acqua

potabile per uso personale e domestico, né per irrigare i campi, né per abbeverare i propri

animali. Inoltre, la notevole riduzione nella quantità di acqua che scorre nelle varie regioni

rende impossibile il suo utilizzo per l´irrigazione dei campi, determinando una riduzione

del raccolto che mette a dura prova la sopravvivenza dei piccoli produttori, per i quali

anche una piccola riduzione della produzione risulta fatalmente nella malnutrizione e

nell'inasprimento della miseria. La riduzione sia della quantità che della qualità dei corsi

d´acqua ha anche determinato la scomparsa di numerose specie acquatiche, che

integravano la povera alimentazione locale.

74

Sosa, M. and Zwarteveen, M. 2012. “Exploring the politics of water grabbing: The case of large mining

operations in the Peruvian Andes.” Water Alternatives 5(2): 360-375

61

La posizione delle comunità locali è stata inoltre indebolita dalle politiche liberiste che

hanno smantellato quelle istituzioni il cui compito era proprio quello di fornire assistenza

tecnica e organizzativa nella gestione delle risorse idriche, creando un ponte tra il livello

locale e quello nazionale. Un altro elemento che deve essere tenuto in considerazione è la

debolezza, oltre all'arbitrarietà, con cui viene amministrato il potere giudiziario in molti

paesi, in cui peraltro la legislazione è perlopiù diretta al riconoscimento legale dei diritti

sull'acqua, ma che non fornisce strumenti per il monitoraggio e la verifica

dell'implementazione delle politiche. Numerosi sono i casi studiati da FIAN in cui, a

seguito di un conflitto tra una grande compagnia e la comunità locale, la sentenza emessa a

favore di quest'ultima non è stata applicata. Ci sono anche numerosi casi in cui una delle

parti è rimasta impunita nonostante il comportamento illegale messo in atto, in certi casi

con la connivenza delle forze dell’ordine.

A San Isidro, in Messico, 300 famiglie non hanno accesso a sufficienti risorse produttive.

Nel 1992 la compagnia Nutrilite, che fa parte della multinazionale Amway, ha preso

possesso illegalmente di 280 ettari di terra comune (ejido), dove ha stabilito un agri-

business non solo usando i pozzi e la diga presenti sulle terre, ma anche scavando tre nuovi

pozzi, che quindi portano via molta dell'acqua destinata prima alle comunità della zona,

mettendo così seriamente a rischio la loro possibilità di produrre cibo e quindi di

sopravvivenza. Nel 1993 la corte ha stabilito che il ejido doveva essere ridato ai contadini.

Da quel momento la compagnia, con l´aiuto delle comunità locali, ha cercato di costringere

i contadini ad abbandonare le loro richieste sulla terra, mettendoli sotto pressione,

complottando per creare divisioni interne e avvalendosi anche della violenza fisica. Il

leader dei contadini Gerardo Avalos Lemus è stato ucciso e questo crimine è rimasto

impunito, nonostante le manifestazioni dei contadini organizzate a Guadalajara. Inoltre, ci

sono state numerose assemblee per fare violenza psicologica sui contadini durante le quali,

con l'aiuto delle amministrazioni locali, si è tentato di dividere il movimento dei contadini,

o convincendo alcuni di questi abbandonare la terra bloccando le risorse idriche di El

Petacal. Anche in questo caso, alla deviazione illegale del corso d´acqua non è seguito

nessun provvedimento legale.

Anni dopo la sentenza del 1993 i contadini non avevano ancora riacquisito il controllo

sulle terre e sull'acqua. La situazione è sempre più difficile in quanto i contadini potrebbero

essere costretti a lasciare le loro case per evitare la fame se le terre non verranno restituite

loro. Vista la mancata attuazione delle sentenze nazionali, i contadini si sono adesso rivolti

alla comunità internazionale per far valere i loro diritti. Oltre alla restituzione delle terre

62

comuni illegalmente sottratte loro, chiedono di poter avere di nuovo accesso alle risorse

idriche per i loro campi dediti alla coltivazione di verdure, che richiedono quindi sistemi di

irrigazione. Nel villaggio di El Petacal, l´acqua non solo non è sufficiente per l´ agricoltura

e l´allevamento, ma persino per l´uso domestico dei suoi circa 300 abitanti.

Il caso sopra narrato è esemplificativo della relazione esistente tra la possibilità di godere

effettivamente dei propri diritti sull'acqua e lo status socio- economico di appartenenza. Le

persone, le compagnie e i gruppi sociali che hanno un maggiore potere sociale, economico

e/o politico hanno una maggiore garanzia e sicurezza dei propri diritti sui fattori produttivi,

seguiti dalle comunità rurali e dai popoli indigeni riconosciuti come tali. I popoli indigeni

hanno di solito una gestione e un utilizzo delle risorse naturali di tipo collettivo e, infatti,

nel formalizzare ufficialmente i loro diritti consuetudinari la questione più spinosa,

specialmente nella regione delle Ande75

, è decidere se questi diritti debbano essere

individuali o collettivi e in quest'ultimo caso come debba considerarsi l´ estensione di tale

collettività. Le persone e i gruppi marginali dal punto di vista del potere economico,

sociale e politico sono quelli che vivono una situazione di maggiore insicurezza dei diritti

sull'acqua e sulla terra.

Un esempio di come il mancato riconoscimento di una popolazione come indigena possa

produrre una situazione di insicurezza nell’accesso alle risorse è rappresentato dal caso che

riguarda i Sonaha, in Nepal. La maggior parte delle comunità Sonaha vivono nella regione

più occidentale del Nepal, specialmente nei distretti di Kailali, Kanchanpur e Bardia e sono

una delle nazionalità indigene più trascurate e marginalizzate in quanto si trovano a subire

una doppia marginalizzazione, sia dallo Stato che dal NEFIN (Nepal Federation of

Indigenous Nationalities), un´organizzazione riconosciuta dal Governo nepalese che

riunisce 59 nazionalità indigene. Questa organizzazione non ha però riconosciuto tutti i

popoli indigeni presenti sul territorio nepalese come tali, creando un ulteriore livello di

discriminazione dal momento che le comunità riconosciute godono di alcuni strumenti di

cui, quindi, i Sonaha sono stati privati. Con una popolazione molto scarsa e un livello

socio-economico e culturale molto basso, la comunità è stata gradualmente deprivata di

molti suoi membri, che sono migrati in cerca di opportunità di lavoro e istruzione. I

membri che rimangono sui territori tradizionali nel distretto di Bardia si dedicano

principalmente alla pesca artigianale e alla raccolta di polvere d´oro, entrambe le attività

sono legate all'accesso al fiume.

75

Boelens, R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

63

La comunità sta fronteggiando problemi alimentari a seguito delle restrizioni imposte dalle

autorità del Bardia National Park che non autorizzano i nativi di quei territori a svolgere le

loro attività tradizionali che consentono loro la sopravvivenza da generazioni. Il Bardia

National Park (BNP) e´ stato istituito nel 1975 incorporando la foresta circostante dovevo

viveva la comunità, bandendo le attività che questa svolgeva per sopravvivere e

limitandone il movimento nella giungla, inasprendo così la loro situazione di

marginalizzazione. Il regolamento del parco, infatti, ha limitato il loro accesso alle risorse

e specialmente al fiume, stabilendo condizioni molto restrittive per l´accesso al fiume

Geruwa e rilasciando licenze di pesca che permettono di pescare soltanto dalle 13 alle 16

di pomeriggio, quindi per tre ore soltanto al giorno. Restrizioni sono state imposte anche

alla raccolta d´oro, un´attività tradizionalmente svolta dalle donne Sonaha sul fiume

Karnali. Questo crea una situazione di ulteriore discriminazione nei confronti delle donne

della comunità, la cui attività e´stata fortemente limitata. La maggior parte dei Sonaha non

ha terre e quindi vivono ogni giorno dei frutti della pesca della giornata. Con le loro

occupazioni tradizionali, anche la loro identità viene minacciata dai processi legati allo

sviluppo socio- economico e politico della regione.

4. IL WATER GRABBING E LA CRISI ALIMENTARE

L´acqua e la terra sono elementi fortemente interrelati: come è stato affermato “ è molto

difficile, se non impossibile accaparrarsi le risorse idriche senza accaparrarsi la terra”76

.

Prima di tutto, entrambi sono elementi essenziali per l´agricoltura. Mentre i dibattiti politici

si concentrano sull'uso domestico che si fa dell'acqua, scarsa attenzione viene invece data

all'utilizzo nella produzione agricola, nonostante questa utilizzi il 70% delle risorse idriche

globali disponibili. Inoltre, l´acqua è indispensabile per aumentare la produzione di cibo

per far fronte all'aumento della popolazione, a tale scopo è necessario un miglioramento

dei sistemi di irrigazione soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Si vede quindi come

l´accesso all'acqua sia un elemento imprescindibile per il godimento del diritto al cibo e per

questo è necessario che nell'approcciare la questione del diritto all'acqua nei vari contesti si

tenga presente la relazione che questi hanno con il sistema di proprietà della terra. È

evidente, quindi, che il concetto di sicurezza alimentare incorpora quello di sicurezza

nell'accesso alle risorse idriche.

Dato il tasso di crescita della popolazione, stiamo assistendo ad un aumento dei conflitti

legati all'accesso all'acqua potabile. La presenza di sorgenti, di corsi d´acqua o di

76

Mehta, L.; Veldwisch, G.J. and Franco, J. 2012. „Introduction to the Special Issue: Water grabbing? Focus

on the (re)appropriation of finite water resources.” Water Alternatives 5(2): 193-207

64

infrastrutture e servizi connessi fa aumentare il valore della terra su cui si trovano e fa

quindi inasprire i conflitti per la proprietà della terra. Nel contesto dell'attuale land

grabbing, le terre maggiormente interessate dal fenomeno sono quelle che coinvolgono

sistemi di irrigazione, dando così un maggiore valore a quelle terre e un maggiore potere a

chi le possiede. Si comprende quindi che molte terre nei Paesi in via di sviluppo, e in

particolare nell'Africa Sub Sahariana, hanno uno scarso valore in quanto sono perlopiù

sprovviste di sistemi di irrigazione e basano la loro agricoltura sulle piogge, sempre più

scarse e imprevedibili a causa del cambiamento climatico. 77

Tutto ciò mette in luce la

necessità di investire nel settore idrico, la questione principale sembra essere chi debba fare

tali investimenti e quale tipo di sviluppo questi debbano promuovere.

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, uno dei maggiori driver della corsa

all'accaparramento delle terre negli ultimi anni è stato il picco raggiunto dai prezzi dei

generi alimentari nel biennio 2007- 2008. La volatilità dei prezzi ha spinto, infatti, molti

Stati che sono dipendenti dal mercato internazionale per l´approvvigionamento interno di

cibo alla ricerca di terre e risorse naturali per assicurarsi la produzione in futuro. La corsa

all'accaparramento di terre fatta dagli Stati del Golfo ne è il più famoso e chiaro esempio:

si tratta infatti di Paesi ricchi di terra ma poveri di risorse idriche e l´acqua gioca

sicuramente un ruolo centrale nella loro scelta delle terre sulle quali investire, visto che si

prevede che le loro riserve rinnovabili si esauriranno entro i prossimi trenta anni e che

quindi saranno costretti a fermare la loro produzione agricola. Per far fronte a queste

previsioni senza diventare del tutto dipendenti dal mercato internazionale i loro

investimenti sono diretti perlopiù a terre ricche di risorse idriche, in grado di assicurare

loro l´accesso all'acqua e la possibilità di coltivare78

.

Tra i tipi di coltura più popolari negli ultimi anni ci sono i cosiddetti “flex- crops”, cioè

colture che possono avere diversi utilizzi: come cibo, come foraggio per gli animali, per la

produzione di biocarburanti, per l´utilizzo industriale. Fanno parte di questa categoria la

soia, la canna da zucchero, l´olio di palma. Queste colture che hanno tutte bisogno di

ingenti quantità di acqua e che inoltre hanno un impatto negativo sui bacini idrografici.

Nonostante ciò la coltivazione di questi prodotti è in crescita e nella maggior parte dei casi

vengono coltivati su enormi estensioni, dando luogo a vere e proprie monoculture in certe

zone. E´stato calcolato che la produzione monoculturale consuma 10 volte più acqua di un

77

Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for

agriculture IIED

78

Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI

65

sistema di produzione agricola fondato sulla bio diversità: questo confuta l´idea, molto

diffusa e propagandata negli scorsi anni, che la monocultura è un tipo di coltivazione più

efficiente e che si avvale di un numero minore di risorse.

Un esempio degli effetti disastrosi sull'ambiente e, in particolare, sulle risorse idriche della

produzione mono culturale è rappresentato dal caso della produzione di eucalipto di Basile

nella regione di Espirito Santo, su cui FIAN ha lavorato per proteggere i diritti delle

comunità locali minacciate dalle attività della compagnia Aracruz Celulose, leader

mondiale nella produzione di cellulosa di eucalipto. Aracruz Celulose, infatti, produce il 31%

della cellulosa ricavata dall'eucalipto a livello mondiale, occupandosi anche della

produzione di prodotti derivati come di fazzoletti e altri prodotti di carta.

Questa compagnia ha espropriato numerosi terreni per impiantare una produzione

monoculturale di eucalipto, impattando negativamente sulla produzione agricola della

popolazione locale, limitandone l´accesso alla terra e quindi la possibilità di produrre cibo.

Si ha quindi una situazione di forte concentrazione delle terre: l´area era precedentemente

coperta da una folta foresta pluviale, mentre adesso 40000 sono dedicati alla produzione di

eucalipto. La popolazione locale è composta da contadini afro- brasiliani e da comunità

indigene Tupinikim e Guarani. Per espandere la produzione, la compagnia, insieme ad altre

che sono sorte nella regione, continua ad espropriare terreni, cacciando i contadini dalle

loro terre.

Per di più, per soddisfare l´ingente domanda di acqua che questa coltivazione e che la

produzione di cellulosa richiedono, la compagnia ha fatto delle deviazioni nei corsi

d´acqua modificando così il regime idrografico sia dal punto di vista quantitativo, che

qualitativo, causando inondazione dei campi e la moria di numerose specie ittiche. Infatti,

non solo le dighe modificano la portata dei corsi d´acqua, ma in più i prodotti chimici

utilizzati per la produzione industriale inquinano i fiumi, minacciando così non solo la

produzione agricola ma anche la possibilità di pescare e di utilizzare l´acqua per fini

personali e domestici. Per rifornire di acqua l´impianto industriale, la compagnia ha

costruito una serie di dighe sui corsi d´acqua, i quali sono in molti casi divenuti di uso

esclusivo della compagnia. Negli anni la produzione e´andata aumentando, e così l'utilizzo

di acqua: secondo i calcoli attuali, la quantità di acqua consumata dall'impianto Aracruz

Celulose Riacho che si occupa della lavorazione della materia prima si aggira intorno a

250000 m3 di acqua al giorno, che equivale al consumo giornaliero di una città di 2 milioni

e mezzo di abitanti.

66

Di fronte a questa situazione ci sono stati moti di proteste contro la compagnia,

specialmente da parte delle popolazioni indigene, i cui leaders sono stati dipinti dalla

Aracruz Celulose come criminali. Stessa sorte e´ toccata a quattro membri di Alert Against

the Green Desert Network, che sono stati citati in giudizio dalla compagnia per aver

supportato la causa delle comunità locali.

Si vede anche in questo caso come sia forte il legame tra la terra e l´acqua e, di

conseguenza, tra i processi di accaparramento di queste due fondamentali risorse: ogni

fenomeno di land grabbing comporta sempre anche un water grabbing79

. La lotta contro i

fenomeni di accaparramento dell'una e dell'altra vedono coinvolti gli stessi stakeholders, le

stesse problematiche e la proposta delle stesse soluzioni: politiche neoliberiste da una parte,

una riforma agraria che punti ad assicurare la sovranità alimentare e idrica dall'altra80

. Da

una parte è importante separare questi due elementi per ottenere, a livello legislativo una

maggiore attenzione sull'importanza di garantire i diritti su entrambe le risorse e per

portare avanti analisi dettagliate sui fenomeni che le coinvolgono. Il riconoscimento dei

diritti su una certa risorsa è sempre proporzionale al potere dell'istituzione che li supporta e

dal tipo di risorsa di cui si tratta: nel caso dell'acqua, la sua stessa natura fluida rende più

difficile una definizione dei diritti di proprietà. Quindi, dall'altra parte, è necessario tenere

presente che acqua e terre sono profondamente connesse e creare un quadro legislativo che

le regoli in maniera unitaria. Dal punto di vista delle istituzioni, è importante che queste

siano raccordate e collaborino con quelle che si occupano di altre risorse connesse, in

modo da creare una quadro legislativo chiaro.

L´importanza di questo punto si comprende bene analizzando il caso del Ghana, un Paese

in cui invece queste due amministrazioni sono completamente separate. Tali

amministrazioni comprendono tipi di proprietà sia pubblica, sia privata, sia collettiva,

creando un sistema di proprietà multiplo che coinvolge diverse istituzioni e politiche che

creano un quadro legislativo molto complesso che lascia spazio a investimenti su larga

scala, tra l´altro attratti anche da politiche ad hoc del governo ghanese che ricerca

investimenti esteri per lo sviluppo del Paese81

. Tutto ciò spiega perché il Ghana è stato

recentemente coinvolto in una serie di acquisizioni di terreni che ha messo in luce come

79

http://www.grain.org/article/entries/4516-squeezing-africa-dry-behind-every-land-grab-is-a-water-grab

80

Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI

81Williams, T.O., Gyampoh, B.; Kizito, F. and Namara, R. 2012. “Water implications of large-scale land

acquisitions in Ghana” Water Alternatives 5(2): 243-265

67

avere un´amministrazione separata delle terre e delle risorse idriche possa creare una

situazione legislativa confusa che facilita i processi di accaparramento.

I diritti terrieri in Ghana sono per il 20% pubblici e per l´80% concessi a privati. La

maggior parte delle terre private si basa su diritti collettivi e/o consuetudinari. Le questioni

relative alla terra sono gestite da diverse istituzioni, che affrontano la questione delle

acquisizioni di terra da punti di vista diversi. Una di queste è la Environmental Protection

Agency (EPA) che, tra le altre cose, rilascia permessi e controlla che le attività seguano i

criteri stabiliti nei Environmental Impact Assessments (EIAs).

Per quanto riguarda i diritti sulle risorse idriche, questi fino al 1996 erano di tipo

consuetudinario, considerati legati alla terra e quindi rispondevano al gruppo che li

deteneva collettivamente (skin, stool o comunità). I diritti sull´acqua erano quindi

strettamente connessi sia alla proprietà della terra che alle relazioni sociali. Nel 1996 il

Water Resource Commission Act ha smantellato il sistema di diritti consuetudinario,

affidando alla Stato la proprietà e la gestione delle risorse idriche: di conseguenza, dato che

i diritti validi fino a quel momento non lo erano più, e i contadini dovevano chiedere

permessi per ottenere l´accesso all´acqua. Tuttavia, la maggioranza dei contadini ghanesi

non era a conoscenza del cambiamento legislativo e ha quindi continuato ad agire come ha

sempre fatto. La gestione è stata affidata a due istituzioni separate: la Water Resource

Commission, che si occupa di fornire i servizi e di rilasciare i permessi, e l´EPA che si

occupa dell´impatto ambientale. La mancata complementarietà e coordinazione di queste

due istituzioni rende le procedure più oscure e, parallelamente, più facili da evitare82

.

La National Water Policy del 2007 ha stabilito che la gestione delle risorse idriche deve

promuovere l´accesso equo alle risorse e la sicurezza alimentare e a seguito di questa

semplice affermazione la Banca Mondiale ha stanziato finanziamenti per il settore idrico

ghanese. Normalmente i prestiti delle istituzioni finanziarie internazionali sono vincolati

alla privatizzazione del settore e quindi era stata accolta positivamente dalle organizzazioni

della società civile la notizia che il Ghana aveva affermato di non poter procedere alla

privatizzazione del settore. Tuttavia, il governo ha creato il “Management Service

Contract”, uno strumento che trasferisce la gestione e il controllo di beni pubblici a attori

privati, che operano su principi di profitto e di copertura dei costi. Si vede che questo è

82

Williams, T.O., Gyampoh, B.; Kizito, F. and Namara, R. 2012. “Water implications of large-scale land

acquisitions in Ghana” Water Alternatives 5(2): 243-265

68

solo un altro nome per la privatizzazione, anche perché una clausola da la possibilità al

governo dopo due anni di questo contratto di cedere la locazione al privato in questione83

.

Migliaia di persone in queste regioni subiscono le conseguenze dell'espansione delle

attività minerarie che minacciano il loro diritto al cibo. Il minerale prevalentemente estratto

è l’oro, che richiede un tipo di attività estrattiva che ha un drammatico impatto sulle risorse

idriche, dal momento che utilizza enormi quantitativi di acqua per tutto il processo, oltre al

cianuro che contamina i bacini idrografici mettendo rischio non solo la produzione agricola

ma anche la salute delle comunità locali. Inoltre, l´inquinamento delle acqua comporta

anche la moria delle specie ittiche, rendendo impossibile la pesca. Numerose fuoriuscite di

cianuro sono infatti state denunciate, con conseguente contaminazione dei fiumi e dei

campi che utilizzano questi corsi d´acqua per l´irrigazione: questo mette a rischio non solo

la sicurezza alimentare presente ma anche delle future generazioni.

Nonostante tutto ciò, il governo ha stabilito incentivi per sviluppare il settore minerario e

per attrarre investimenti privati, concedendo terreni che erano precedentemente dediti alla

produzione agricola e all'allevamento. Circa il 30% della superficie del Paese è previsto

essere concesso per l´estrazione di oro, con le conseguenti e prevedibili violazioni dei

diritti umani delle popolazioni locali. I contadini e gli allevatori coinvolti spesso non ne

venivano neppure informati e non avevano quindi molte possibilità di far valere i loro

diritti. Da parte loro, le compagnie fanno pressione sulle comunità perché abbandonino le

terre, anche fermando l´approvvigionamento di acqua e di elettricità.

Sulla questione, FIAN ha lavorato su due casi nella regione di Ashanti e Brong- Ahafo,

zone sub- umide e semi- aride, dove il legame tra acqua e terra è centrale per la produzione

agricola locale. In questi due casi l´amministrazione separata della terra e dell'acqua ha

lasciato spazio alle compagnie minerarie di accaparrarsi la terra e quindi anche l´acqua. Il

primo caso riguarda il progetto Ahafo della Newmont Ghana Gold Limited, approvato e

finanziato dal International Finance Corporation (IFC), membro del Gruppo Banca

Mondiale, che ha affermato “il Ghana ha una lunga storia di attività minerarie e

sfortunatamente in alcuni casi queste hanno avuto un impatto negativo sulle comunità

locali. Ci aspettiamo che questo progetto diventi un modello da seguire per le altre

compagnie minerarie sotto vari punti di vista, tra cui la partecipazione di tutti gli attori

coinvolti ai processi decisionali, che deve diventare uno standard di riferimento per il

83

Fian SISI on Ghana Water Sector and FIAN Water Campaign Ghana

69

futuro” 84

. Secondo il Resettlement Action Plan (RAP), per questa prima fase del progetto

sarà necessario il trasferimento di quasi 10000 persone, numero che raddoppierà con

l´attuazione se la seconda fase del progetto sarà messa in atto.

L´impatto di queste attività sulle risorse idriche è enorme sia dal punto di vista quantitativo

che qualitativo, con l´inquinamento dell'acqua sia superficiale che sotterranea. Numerose

attività minacceranno l´accesso all'acqua potabile: il fiume Subri verrà deviato e sbarrato

per la costruzione di una diga, dopo la quale non scorrerà più acqua e il fiume Tano, che è

il più grande che alimenta tutti gli altri corsi d´acqua, perderà molta della sua portata in

quanto verranno poste delle pompe per l´estrazione di acqua sia superficiale che

sotterranea. Ci saranno quindi delle modifiche importanti nel regime idrografico. Il fiume

Awonso, le cui acque vengono usate dalle comunità locali per uso domestico, risulterà

molto inquinato.

5. IL WATER GRABBING E LA CRISI ENERGETICA

Il water grabbing è legato anche al picco raggiunto dal prezzo del petrolio nel biennio

2007-08, che ha fatto espandere la produzione di biocarburanti, e quindi delle relative

colture, specialmente per la produzione industriale. molte critiche sono state avanzate

all'utilizzo di biocarburanti e alla loto produzione per confutare l´idea erronea che queste

fonti energetiche siamo “environmental- friendly”. Come abbiamo accennato prima

parlando dei “flex- crops”, la coltivazione di colture per produrre biocarburanti ha un

impatto molto incisivo sulle risorse idriche, sia dal punto di vista della qualità, in quanto

per crescere hanno bisogno di componenti chimici, sia dal punto di vista della quantità di

acqua che necessitano. Infatti, ingenti risorse idriche sono necessarie per queste

coltivazioni e per tutto il ciclo produttivo: si calcola che per produrre 1 litro di etanolo

siano necessari 7000 litri di acqua85

.

Un altro modo in cui le riserve di acqua sono state utilizzate per far fronte alla crisi

energetica è la produzione di energia idroelettrica. Questa attività può dar luogo a

fenomeni di water grabbing in quanto comporta il sequestro dei diritti sull'acqua e la

deviazione dei corsi d´acqua in favore di investitori contro gli interessi delle comunità

locali. Infatti, il fatto che l´energia idroelettrica, al contrario dei biocarburanti, non

84

Williams, T.O., Gyampoh, B.; Kizito, F. and Namara, R. 2012. “Water implications of large-scale land

acquisitions in Ghana” Water Alternatives 5(2): 243-265

85

Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI

70

comporti un effettivo consumo di acqua non significa che non impatti sul sistema idrico, in

quanto crea deviazioni che minacciano l´accessibilità e la disponibilità di acqua.

Analizzandoli più approfonditamente, si scopre che ci sono molti parallelismi tra la

produzione di biocarburanti e quella di energia idroelettrica. In entrambi i casi,

l´implementazione viene presentata come una strategia “win- win” per risolvere la crisi

energetica utilizzando energie pulite e rinnovabili: si combattono la dipendenza energetica

dai combustibili fossili e il cambiamento climatico allo stesso tempo. Questa

argomentazione sembra avere un grosso successo nelle agenzie multilaterali, che

supportano e finanziano questi progetti. Inoltre, come si dichiara che le colture per i

biocarburanti sono coltivate in terre marginali e sottoutilizzate, allo stesso modo la

produzione di energia idroelettrica sfrutta l´acqua che scorre “inutilmente” attraverso le

varie regioni. In entrambi i casi, poi, si crea un´alleanza tra le compagnie private, spesso

straniere, che investono e le elite locali, creando una situazione in cui le comunità locali

hanno poche possibilità di riuscire a far sentire la loro voce.

A livello locale, questi investimenti tendono a privilegiare alcune classi sociali, creando

posti di lavoro per chi ha un certo livello di istruzione e quindi ha una status socio-

economico medio, mentre minaccia la stessa sopravvivenza delle classi più povere. Se si

considera che, per di più, per indebolire l´opposizione, le compagnie promettono

compensazioni in termini di opportunità di lavoro e di infrastrutture si comprende come

questo crei divisioni interne nelle comunità, e quindi nell'opposizione a questi progetti,

oltre a esacerbare le differenze di potere esistenti86

. La Turchia rappresenta un caso

esemplare di come la generazione di energia idroelettrica possa impattare sulle comunità

locali.

Nel 2001 la Turchia ha approvato il Turkish Electricity Market Act, una riforma

neoliberista che da la possibilità ai privati di prendere in locazione un fiume per 49 anni

per la produzione di energia idroelettrica. Dato che questa legge implica il sequestro dei

diritti sulle risorse idriche e la loro ridefinizione per legalizzarne la privatizzazione,

l´appropriazione di risorse idriche su larga scala e la deviazione di corsi d´acqua a favore di

investitori privati, apre al water grabbing. Questa politica ha sollevato numerose critiche e

l´opposizione dell'opinione pubblica e delle comunità coinvolte, che temono che il lungo

periodo di locazione crei anche problemi di responsabilità nei confronti delle future

generazioni. Mentre fino a quel momento, infatti, gli investimenti in energia idroelettrica

86

Islar, M. 2012. “Privatised hydropower development in Turkey: A case of water grabbing?” Water

Alternatives 5(2): 376-391

71

erano stati fatti dallo Stato, adesso la responsabilità è in mano agli investitori privati, che

però non sono sottoposti agli stessi vincoli del settore pubblico.

Dal punto di vista strettamente legale, la legislazione turca non riconosce diritti di proprietà

ma solo di uso sull'acqua e enumera una serie di attività che sono riconosciute come idonee

per l´ottenimento di tali concessioni: irrigazione per l´agricoltura, generazione di energia

idroelettrica, produzione industriale, ecc.. Anche se non viene stabilito un criterio di

priorità tra queste attività, in pratica si tende a privilegiare la produzione di energia

idroelettrica .

Il fatto che la concessione del diritto di uso sia vincolata all'efficacia dell'attività alla quale

verrà destinata mostra chiaramente la matrice neoliberista di questo tipo di legislazione e

dell'introduzione di concetti di economia di mercato nella gestione di un settore pubblico.

Questa svolta neoliberista in Turchia è legata, come in molti altri Paesi, alle politiche di

aggiustamento strutturale, che mostrano quindi come la missione idroelettrica intrapresa

dalla Turchia non sia solo una strategia legata al livello nazionale, ma anche a quello

regionale e internazionale. La Turchia intende questa strategia come un modo per evitare la

dipendenza energetica, rifornire e sviluppare il crescente settore industriale e allo stesso

tempo utilizzare forme di energia rinnovabili, particolarmente apprezzate in seno

all'Unione Europea. Queste politiche sono state supportate soprattutto dalla Banca

Mondiale, che attraverso le sue istituzioni finanziarie, ha finanziato l´iniziativa e ha firmato

con il governo turco il Private Sector Renewable Energy and Energy Efficiency Program,

che apre a investimenti sia privati che da parte delle agenzie multilaterali. In teoria, questo

programma prevede il finanziamento di tutte le forme di energia rinnovabile, quindi anche

solare, eolico, ecc., ma in pratica tutti gli investimenti sono concentrati nel settore

idroelettrico. Infatti, il governo turco ha esplicitamente dichiarato non solo di voler

privilegiare questo settore, ma anche gli investimenti fatti da compagnie straniere per la

loro maggiore competenza tecnica.

Le comunità locali interessate si oppongono a questo genere di politica e ai progetti locali

che ne scaturiscono. La forma di opposizione più eclatante è stata la “Grande Marcia

dell'Anatolia”, una marcia di 40 giorni attraverso i villaggi interessati fino alle porte di

Ankara, dove i manifestanti non sono stati fatti entrare, per chiedere al governo un

ripensamento sulle politiche di gestione delle risorse idriche e delle altre risorse naturali87

.

87

Islar, M. 2012. “Privatised hydropower development in Turkey: A case of water grabbing?” Water

Alternatives 5(2): 376-391

72

Uno dei progetti più discussi, di cui si è occupato anche FIAN e quello relativo alla

costruzione della diga Ilisu. Nel 1997 il governo turco ha lanciato un consorzio

internazionale per la costruzione della diga Ilisu sul fiume Tigri per la generazione di

energia idroelettrica, nel quadro del progetto per lo sviluppo delle regioni sudorientali del

Paese (GAP88

). Tale progetto è apparso fin dall'inizio come controverso, visto il forte

impatto dal punto si vita ambientale, economico e sociale che questo comporta non solo

per le comunità locali ma anche per le popolazione limitrofa di Siria e Iraq. Le

conseguenze previste includevano riduzione del flusso idrico, perdita di terreni, danni alla

salute delle persone e degli animali, danni ambientali, distruzione di abitazioni e problemi

dal punto di vista culturale. Il numero di persone coinvolto sarebbe variato tra 55000 e

78000, perlopiù individui appartenenti alla minoranza curda, circa 11000 persone

sarebbero state cacciate dalle loro terre e la città di Hasankeyf, che rappresenta un

importante centro culturale per la popolazione curda oltre che per altri gruppi etnici,

sarebbe sparita a seguito dell'allagamento della regione. Non tenendo in considerazione

tutti questi aspetti, il primo EIA (Environmental Impact Assessment), è stato fortemente

criticato: non veniva infatti tenuto dovuto conto di tutti le conseguenza dal punto di vista

economico, sociale, culturale, politico e ambientale, e inoltre non prevedeva adeguate

compensazioni e progetti di ricollocamento delle famiglie dislocate.

La forte opposizione della società civile convinse quindi il gruppo di investitori

originalmente formatosi, comprendente anche la società ingegneristica inglese Balfour

Beatty e la compagnie di costruzione svedese Skanska, a ritirasi dal progetto. Anche la

Banca Mondiale alcuni anni prima si era rifiutata di finanziare il progetto, ritenendo che

avesse un impatto troppo negativo dal punto di vista culturale. Nel 2005 il governo turco

ha rivisto il progetto e rilanciato il consorzio internazionale sotto la leadership di VA Tech

Hydraulic, una compagnia privata con base in Austria e sussidiaria del Siemens Power

Transmission and Distribution Group, con base in Germania. Il consorzio ha pubblicato un

nuovo EIA lo stesso anno, insieme ad un piano per il re-insediamento delle persone

dislocate, per cercare di evitare le critiche subite dal progetto precedente. Tuttavia, questo

nuovo EIA non affronta molte delle questioni e delle critiche che erano state mosse al

88

Il GAP e´un progetto integrato multi settoriale che punta allo sviluppo socioeconomico delle regioni

sudorientali dell'Anatolia, regione che comprende i due fiumi, il Tigri e l´Eufrate che delimitavano la storica

Mesopotamia. Oltre alla costruzione di dighe per la produzione di energia idroelettrica, negli anni Novanta il

progetto GAP era stato pensato come comprendente anche progetti di stampo sociale (istruzione, sanità,

abitazioni, trasporti, promozione del turismo e industria) che avrebbero dovuto riguardare sia le aree urbane

che quelle rurali. Per il momento tuttavia, del progetto hanno beneficiato soprattutto gli specialisti

provenienti dalle regioni occidentali, che vi hanno trovato occasioni di lavoro.

73

precedente EIA e il piano di re-insediamento sembra avere un impatto ambientale perfino

maggiore di quello precedente. Inoltre esperienze precedenti di costruzione di dighe in

Turchia hanno dimostrato che il processo di attribuzione delle compensazioni è molto

lungo e che non sempre queste hanno effettivamente luogo in maniera adeguata. Quindi,

nonostante il piano di re-insediamento sia dichiarato essere in conformità´ con gli standard

previsti dalla banca Mondiale e dall'OECD, secondo molti rapporti questo piano resta

inadeguato e molti errori del piano precedente sono stati ripetuti. Ad esempio, anche in

questo caso la popolazione non è stata informata in maniera chiara e completa e non ha

potuto prendere parte ai processi decisionali.

Oltre all'impatto sulla popolazione locale, si dovrebbe prestare attenzione anche all'impatto

sui Paesi confinanti, in quanto la costruzione di questa diga implica la minaccia anche al

diritto all'acqua delle popolazioni che si trovano nelle regioni vicine al confine turco.

Questa è una chiara violazione dei principi di responsabilità transfrontaliera, stabilita anche

negli ETO´s Principi di Maastricht.

6. L’E CONSEGUENZE DEI FENOMENI DI ACCAPARRAMENTO DELLE

RISORTSE IDRICHE SULLA QUESTIONE DI GENERE

Uomini e donne non sono ugualmente colpiti dalle acquisizioni di terra su larga scala e dai

progetti di sviluppo che coinvolgono le risorse idriche, nonostante questi vengano

presentati come meramente tecnici e si avvalgano della vaga unità di misura della famiglia,

considerata omogenea. Non si tiene quindi in considerazione la differenza in termini di

potere socio- economico e politiche che hanno le donne nelle comunità, limitando così

ulteriormente l´analisi del reale impatto di questi progetti sulle comunità.

Il sistema di proprietà delle risorse naturali è alla base di una specifica organizzazione

produttiva che plasma anche l´identità, la cultura e le relazioni sociali all'interno di una

comunità. Le implicazioni di genere non sono sempre dirette e visibili, spesso possono

essere difficili da rintracciare ed emergere solo dopo un certo periodo di tempo. La

gestione delle risorse idriche ha un impatto sulle donne nelle comunità in cui il ruolo della

donna è marginale rispetto a quello dell'uomo, cosa che si riscontra nella maggior parte dei

casi. Infatti, in molte comunità rurali la donna svolge ruoli che vengono ritenuti di

importanza inferiore rispetto a quelli svolti dagli uomini, come prendersi cura dei bambini,

badare alla casa, o svolgere attività economiche complementari.

74

I progetti che riguardano la costruzione di grandi infrastrutture come le dighe, molto

popolari specialmente in India e in Nepal, hanno un forte impatto sociale, specialmente in

società caratterizzate da una netta differenziazione sociale, come accade appunto nei Paesi

sopra menzionati. Il successo di questi progetti viene valutato in termini di crescita

economica, ma di solito non si tiene in considerazione il fatto che questa nuova ricchezza

e il potere che ne deriva non vengono redistribuiti equamente tra tutti i componenti della

comunità. In questo modo, il risultato principale è proprio l´inasprimento delle differenze

sociali preesistenti, che non migliora di certo la posizione femminile.

Il caso della comunità Sonaha presentato sopra è un chiaro esempio di come uno stesso

progetto abbia un impatto negativo diverso sulle donne rispetto agli uomini, dal momento

che erano dediti ad attività diverse ma entrambe collegate al fiume. Anche le inondazioni,

siano queste naturali o conseguenza dell'azione umana, hanno un diverso impatto sulle

donne, in quanto gli uomini sono costretti a emigrare alla ricerca di un lavoro mentre le

donne restano a casa ad occuparsi della famiglia, della ricostruzione delle case distrutte,

del recupero dei campi. Inoltre, le donne sono spesso colpite maggiormente nei casi in cui

le fonti di acqua siano lontane dalle abitazioni, in quanto di solito la raccolta di acqua per

uso domestico è un compito femminile89

.

La cospicua popolazione di 10000 abitanti di Jaibheem Nagar (JBN), nello stato di Tamil

Nadu in India è costretta a vivere in condizioni difficoltose a causa del mancato accesso a

risorse idriche. Le donne e le giovani ragazze devono camminare per 3-4 km ogni giorno

per prendere l´acqua per la famiglia. Nella zona c´è un forte conflitto per l´accesso alle

risorse idriche e dato che gli uomini passano la maggior parte del loro tempo a lavoro, il

peso della raccolta dell'acqua grava completamente sulle spalle delle donne. Tra l´altro, le

analisi di un campione di acqua hanno mostrato quantità eccessive di solidi disciolti (TDS:

Total Dissolved Solids). Questo ha costretto gli abitanti ad abbandonare le pompe vicine

alle case e a cercare l´acqua affrontando lunghi percorsi. Ben novanta famiglie sono state

costrette ad abbandonare le loro case alla ricerca di fonti di acqua potabile vicina. Una

signora anziana è stata ferita da colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia mentre

protestava contro la mancanza di risorse idriche. Inoltre la mancanza di acqua potabile ha

creato una serie di problemi di salute di cui le donne sono le prime a soffrire, oltre a

problemi ginecologici.

89

Lahiri-Dutt, K. 2012. “Large dams and changes in an agrarian society: Gendering the impacts of Damodar

Valley Corporation in eastern India.” Water Alternatives 5(2): 529-542

75

In altri casi l´impatto sulla questione di genere è meno evidente e più difficile da

comprendere: in alcuni casi, ad esempio, la vicinanza alle fonti di acqua svolge un ruolo

nel determinare le regole matrimoniali.

7. IL DIRITTO ALL´ACQUA NELLA LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE

Il 28 luglio 2010 l´Assemblea generale delle nazioni Unite ha approvato la Risoluzione

64/292 che riconosce esplicitamente il diritto all´acqua e alla sanità, successivamente

ratificato in una risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani90

. Prima di questa data, il

diritto all´acqua non era menzionato esplicitamente né nella Dichiarazione Universale dei

Diritti Umani, né nella Convenzione ONU sui Diritti Civili e Politici né in quella sui Diritti

Economici, Sociali e Culturali (ICESCR). Nonostante ciò, tale diritto era considerato un

componente del diritto ad un adeguato standard di vita riconosciuto nell´art 25 della

Dichiarazione universale dei Diritti Umani e nell´art 11 dell´ICESCR. Anche se non è

menzionato esplicitamente tra i componenti elencati di questo diritti, l´utilizzo del termine

“including” prima di tale lista apre a possibilità interpretative più ampie e il Comitato delle

Nazioni Unite sui Diritti Economici, Sociali e Culturali nel 2002 ha stabilito che il diritto

all´acqua doveva essere considerato un componente del diritto ad un adeguato standard di

vita.

Il sopra citato Comitato ha riconosciuto il diritto all´acqua nel suo Commento Generale

No. 15 (GC 15) 91

del 2010, dove viene collegato al diritto al più alto standard di vita

possibile (art 12 ICESCR). Il riferimento alle convenzioni ONU è molto importante in

quanto sono vincolanti dal punto di vista legale nei confronti degli Stati che le

sottoscrivono. Nel GC15, il Comitato collega il diritto all´acqua anche ad altri diritti, tra

cui il diritto alla salute, sia personale sia ambientale che influenza il benessere umano, e al

diritto ad un cibo adeguato, menzionato nell´ICESCR, in quanto l´acqua è un elemento

chiave in tutte le attività produttive connesse alla produzione di cibo, come l´agricoltura, la

pesca e l´allevamento. La Convenzione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, inoltre,

promuove metodi di produzione che utilizzino nel modo più efficiente possibile le risorse

produttive, tra cui l´acqua.

Il diritto all´acqua è menzionato nella Convenzione sui Diritti del Fanciullo (art 20, 26, 29,

46), nelle quattro Convenzioni di Ginevra e nei due Protocolli Addizionali (Protocollo I art

54 e Protocollo II art 24), nel Commento Generale del Comitato sui Diritti Economici,

90

http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/64/292

91 http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/0/a5458d1d1bbd713fc1256cc400389e94/$FILE/G0340229.pdf

76

Sociali e Culturali No. 12 e nelle “Linee guida volontarie per supportare la progressiva

realizzazione del diritto ad un cibo adeguato nel contesto della sicurezza alimentare

nazionale”92

(VG RtF) adottate nel 2004 dalla FAO. Nelle VGRtF si afferma che le risorse

naturali dovrebbero essere disponibili e utilizzate in modo sostenibile. La questione

dell´acqua si trova nella linea guida 8, che tratta l´accesso alle risorse e ai beni: si chiede

agli Stati di rispettare e proteggere l´accesso e l´utilizzo dei fattori produttivi, come la terra,

l´acqua, il bestiame e le risorse ittiche, secondo principi di non discriminazione e di

mettere in atto strategie che li rendano equi e sostenibili, ad esempio attraverso riforme del

sistema fondiario. Nella stessa linea guida si fa riferimento all´accesso e all´uso sicuro e

sostenibile delle risorse idriche, promuovendo specialmente i sistemi agricoli che

preservano l´ecosistema. Il diritto all´acqua è anche menzionato nella Convenzione

sull´Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione delle Donne (CEDAW) nell´art

14(2), che raccomanda allo Stato di favorire pari opportunità nell´accesso e controllo delle

risorse idriche e di tenere in considerazione il particolare ruolo delle donne in relazione

all´acqua, specialmente delle donne che vivono in zone rurali.

La maggiore differenza tra il GC15 e la Risoluzione ONU è che quest´ultima collega il

diritto all´acqua al diritto alla sanità. Infatti, si stima che l´80% delle malattie a livello

mondiale siano legate all´acqua: l´Organizzazione Mondiale della Sanità fa una distinzione

tra malattie trasmesse tramite l´acqua (water-borne diseases) e malattie causate dalla

mancanza di sufficienti quantità di acqua (water-washed diseases). Catarina

d´Albuquerque, Relatore Speciale sul Diritto all´Acqua e alla Sanità, afferma che anche se

questi il diritto all’acqua e quello alla sanità sono strettamente collegati, devono essere

considerati separatamente in quanto sono solitamente gestiti da due diversi settori e

istituzioni a livello nazionale. Questo significa che le politiche che i governi attuano nella

realizzazione di questi diritti sono separate93

.

Anche se era connesso ad altri diritti umani, prima del 2010 il diritto all´acqua non era

considerato come fondamentale e universale e non era collegato direttamente al concetto di

dignità umana. La Risoluzione del 28 luglio sul diritto all´acqua è stata promossa e

fortemente sostenuta dal governo Boliviano, che ha enfatizzato la connessione tra la

povertà e il mancato accesso alle risorse naturali, specialmente all´acqua, che gioca un

92

“Voluntary Guidelines to support the progressive realization of the right to adequate food in the context of

national food security”

93

Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for

agriculture IIED

77

ruolo fondamentale sia per la produzione di cibo che per la salute umana94

. La Risoluzione

è passata con 122 stati a favore, 41 astensioni e nessun voto contrario95

e non è vincolante

dal punto di vista legale per gli stati che la sottoscrivono.

7.1. IL DIRITTO UMANO ALL´ACQUA: ELEMENTI E OBBLIGHI PER GLI STATI

Il Commento generale No. 15 elenca tre elementi principali che compongono il diritto

all´acqua e la cui completa realizzazione è considerata un prerequisito per il godimento di

un adeguato standard di dignità umana:

1. Disponibilità: le risorse idriche devono essere sufficienti e continue sia per l´uso

personale che per quello domestico, quindi sia per bere, per l´igiene personale e

della casa, per la pulizia dei vestiti. Per stabilire le quantità minime che devono

essere garantite, si fa riferimento alle Linee guida stilate dall´Organizzazione

Mondiale della Sanità, che raccomandano un minimo compreso tra i 20 e i 40 litri

a persona al giorno , ma prevedono quantità minime superiori in particolari zone e

per certi gruppi sociali in relazione al clima, alle condizioni di salute e alle attività

lavorative96

.

2. Qualità: l´acqua deve essere libera da “microrganismi, sostanze chimiche e

radiologiche che costituiscono una minaccia alla salute delle persone”97

.L´acqua

deve inoltre essere accettabile dal punto di vista dell´odore, del colore e del gusto.

Anche in questo caso, per stabilire tali criteri si fa riferimento alle Linee guida

dell´OMS.

3. Accessibilità: questo elemento è composto da quattro dimensioni:

a) Accessibilità fisica: si riferisce alla vicinanza delle fonti d´acqua e dei relativi

servizi alle abitazioni, ai posti di lavoro e di studio, e al fatto che la sicurezza

personale non deve essere messa in pericolo durante tale accesso.

b) Accessibilità economica: i prezzi di acqua e relativi servizi devono essere tali

da poter essere pagati da chiunque

94

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

95 http://www.un.org/News/Press/docs/2010/ga10967.doc.htm

96

http://www.who.int/water_sanitation_health/diseases/WSH03.02.pdf

97

http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/0/a5458d1d1bbd713fc1256cc400389e94/$FILE/G0340229.pdf

78

c) Non discriminazione: le risorse idriche e i relativi servizi devono essere

amministrati in accordo con principi non discriminatori

d) Accessibilità delle informazioni: si riferisce alla possibilità di raccogliere e

ottenere informazioni sui servizi idrici e su tutte le questioni collegate.

Gli obblighi che vengono imposti agli Stati in relazioni a questi diritti sono tre:

- L´obbligo di rispettare, che implica che gli Stati non devono interferire con il

godimento del diritto all´acqua e con i metodi esistenti di allocazione delle risorse

idriche, come nel caso dei diritti consuetudinari e dei sistemi tradizionali. Sono

considerate violazioni di questo obbligo azioni come l´interruzione, la deviazione e

l´inquinamento dei corsi d´acqua da parte dell´amministrazione pubblica.

- L´obbligo di rispettare, che comporta la protezione dello Stato contro terzi, la cui

interferenza rappresenta una minaccia al godimento del diritto all´acqua. Questi attori

terzi possono essere sia pubblici che privati, individui, gruppi o aziende. Questo

obbligo ha un particolare rilievo nei paesi in cui la gestione del servizio idrico è in

mano a privati.

- L´obbligo di adempiere, che implica che lo Stato è tenuto ad applicare politiche e

strategie per la realizzazione del diritto all´acqua. Gli stati devono quindi implementare

a livello nazionale politiche relative alla gestione del sistema idrico stabilite con

processi decisionali trasparenti e partecipativi in cui si stabiliscono criteri di priorità,

promuovendo anche strategie ad hoc per la protezione di gruppi vulnerabili.

7.2. GLI OBBLIGHI EXTRA TERRITORIALI

Nell´attuale contesto di espansione dei fenomeni di globalizzazione, è importante tenere in

considerazione le questioni extra territoriali che possono emergere come conseguenza degli

investimenti internazionali, della cooperazione internazionale per lo sviluppo o di attività

nelle aree di confine. Se si considera che 261 fiumi scorrono in due o più Paesi diversi e

che il 60% delle riserve mondiali di acqua dolce sono collocate in bacini internazionali,

dove vive il 40% della popolazione mondiale, si comprende la ragione per la quale le

questioni transfrontaliere sono un fattore centrale da tenere in considerazione nella

gestione delle risorse idriche. L´inquinamento dei fiumi, la costruzione di dighe e

79

l´esaurimento delle acque sotterranee può avere un impatto negativo su diversi Paesi e non

solo su quello responsabile di tali azioni. Questo mette in evidenza la necessità di una

governance internazionale98

. Come vedremo, l´Integrated Water Resource Management

(IWRM) è stato proposto proprio con la finalità di promuovere la collaborazione tra gli

Stati nella gestione delle risorse idriche e nell´affrontare la crisi idrica globale. La difficoltà

maggiore che incontra questo approccio è data dal fatto che presuppone una visione

comune della questione.

Gli Stati non dovrebbero intraprendere attività che minaccino la possibilità di altre nazioni

di realizzare il diritto all´acqua per i propri cittadini. Il Commento generale No. 8 del

Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Economici, Sociali e Culturali afferma che gli

stati dovrebbero evitare di imporre embarghi connessi al cibo e all´acqua. Gli obblighi

extra territoriali non sono applicabili solo agli Stati ma anche ai privati cittadini e alle

compagnie. Nel paragrafo 33 del GC15 e nel GC12 si afferma che se le attività di

un´azienda hanno ripercussione su una persona di una nazione diversa da quella in cui tale

azienda ha sede, la vittima ha il diritto di chiedere un risarcimento al Paese dove si trova

l´azienda.

Quando è possibile, gli stati dovrebbero anche aiutarsi tra di loro nella realizzazione del

diritto all´acqua attraverso l´assistenza tecnica e finanziaria, e sono responsabili per le

eventuali violazioni commesse nell´ambito della cooperazione internazionale. Il

documento afferma che sia nelle situazioni ordinarie che in quelle di emergenza, sia lo

Stato ad avere il ruolo principale nella protezione dei diritti umani e nel garantire

assistenza, e non le organizzazioni internazionali, il cui intervento deve essere in accordo

con le strategie promosse dall´amministrazione centrale.

Riassumendo, gli obblighi in relazione alle questioni extra territoriali sono:

1. Gli Stati devono accertarsi che le loro attività non danneggino altri Paesi

2. Gli stati devono controllare che gli attori privati sotto la loro giurisdizione

non danneggino altri Paesi

3. Gli Stati devono aiutarsi a vicenda nella progressiva realizzazione del diritto

all´acqua e al cibo

98

Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI

80

Nel settembre del 2011 un gruppo composto da 40 giuristi di tutto il mondo esperti in

diritto internazionale e nella legislazione relativa ai diritti umani, ha approvato i Principi di

Maastricht sugli Obblighi Extra-Territoriali degli Stati nell´ambito dei Diritti Economici,

Sociali e Culturali con lo scopo di chiarire quali sono gli obblighi internazionali che gli

Stati hanno nei confronti degli altri nell´ambito dei diritti umani. Insieme agli obblighi di

rispettare, proteggere e adempiere, visti sopra, viene menzionato l´obbligo a cooperare e a

fornire compensazioni per le violazioni commesse99

. Anche se questo documento non è

stato firmato dai governi nazionale, si ritiene valido in quanto, si è affermato che la

legislazione attinente ai diritti umani è superiore a quella nazionale100

.

7.3. LE PRIORITA´ NELL´ALLOCAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE

L´accesso alle risorse idriche è fondamentale per il godimento di un certo numero di diritti

umani e per svolgere diverse attività, come bere, cucinare, produrre cibo, per pratiche

culturali, ecc.. La varietà di funzione che l´acqua svolge implica la necessità di stabilire

criteri di priorità, specialmente nelle regioni in cui le risorse idriche sono scarse. Questo

implica una pianificazione che coinvolga un´analisi delle risorse disponibili, la quantità di

popolazione coinvolta e le attività che richiedono l´accesso all´acqua.

Nel General Comment No. 15 si afferma che la priorità nell´allocazione di acqua deve

essere data prima di tutto all´uso personale e domestico, il che implica per lo Stato

l´obbligo di implementare sistemi di distribuzione che assicurino a tutti l´accesso all´acqua.

Una volta soddisfatta questa priorità, il GC15 dichiara che l´allocazione di acqua deve

essere disposta in modo da contribuire alla realizzazione del livello minimo di altri diritti

umani; questo significa che l´accesso all´acqua viene direttamente collegato al diritto al

cibo e alla sanità. L´acqua è, infatti, necessaria per evitare malattie gravi, come per la

produzione di cibo. Successivamente la priorità nell´allocazione di risorse idriche è

collegata ai disastri, siano essi naturali o causati dall´uomo: in entrambi i casi, l´accesso

all´acqua deve essere assicurato immediatamente per evitare situazioni di insicurezza

alimentare e di diffusione di malattie; assicurandosi in modo particolare che i gruppi più

vulnerabili non ne vengano esclusi. Poi, sempre in ordine di priorità, viene menzionata

l´agricoltura, mettendo l´accento sull´importanza di assicurare un accesso paritario a tutti i

gruppi sociali e di promuovere metodi di produzione più sostenibili che richiedono un

minore utilizzo di risorse naturali.

99

http://www.fian-ch.org/wp-content/uploads/ETO-Consortium-mission-and-vision.pdf 100

ibidem

81

Dato che l´articolo 1 paragrafo 2 dell´ICESCR afferma che nessuno deve essere deprivato

dei propri mezzi di sussistenza, la priorità nell´allocazione di acqua per l´agricoltura deve

essere accordata a coloro che dipendono da questa attività per sopravvivere. Mentre

nell´ICESCR era un concetto solo accennato, l´importanza della sostenibilità è cresciuta

notevolmente nel tempo e in risposta alla crisi ambientale e al cambiamento climatico, e

anche il Comitato ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali ha messo in luce questo

aspetto. Infatti, il 70% delle risorse globali di acqua viene utilizzato per la coltivazione,

mentre il 23% è dedicato al settore industriale e l´8% al consumo personale: da qui la

necessità di trovare metodi di produzione di cibo che utilizzino la minor quantità di acqua

possibile. Nella linea guida 8.13 delle Linee guida volontarie per il diritto al cibo, si

afferma che questi metodi di produzione sostenibili devono essere promossi e sostenuti

dalle politiche statali.

Riassumendo, la lista di priorità raccomandate dal GN15 è la seguente:

1. Accesso all´acqua per uso personale e domestico

2. Accesso all´acqua per garantire la realizzazione del livello minimo essenziale dei

diritti umani

3. Accesso all´acqua nelle situazioni di soccorso a seguito di disastri

4. Accesso all´acqua per l´agricoltura per i contadini svantaggiati e marginalizzati

5. Accesso all´acqua per l´implementazione di metodi agricoli sostenibili

6. Accesso all´acqua per implementare strategie nazionali per realizzare il diritto

all´acqua e al cibo per i gruppi più vulnerabili (attraverso politiche pianificate e

approvate con processi decisionali trasparenti e partecipativi).

In quanto a qualità dell´acqua, l´India è al 120° posto su 122 Paesi del mondo, mentre in

termini di disponibilità è al 133° posto su 180. Viste le previsioni di aumento della

popolazione, pari a 15 milioni ogni anno, uno dei maggiori problemi consiste proprio nella

conservazione e nell´equa distribuzione di acqua. Almeno 200 milioni di indiani non hanno

accesso a risorse idriche sicure, in quanto circa il 90% di queste a livello nazionale

vengono inquinate con scarichi domestici e industriali, o con pesticidi e fertilizzanti. Circa

1,5 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono ogni anno per malattie

trasmesse tramite l´acqua (water- borne diseases).

Negli ultimi anni, il mancato accesso a risorse idriche ha messo a dura prova le regioni

soggette alla siccità e il problema è particolarmente grave per l´agricoltura. In India, l´80%

delle risorse idriche viene utilizzato per la produzione agricola, che secondo le stime FAO

82

dovrà aumentare in relazione alla crescita della popolazione, che richiederà il 60% di cibo

in più nei prossimi 30 anni. Per ottenere questo aumento, si assume che l´agricoltura

continuerà ad essere di tipo intensivo. L´agricoltura indiana si avvale per il 60% circa di

acque sotterranee per l´irrigazione: il rischio di una riduzione di queste risorse è molto

grave, visto che comporta un abbassamento del livello delle acque. In molte zone

dell´India, l´estrazione di acque sotterranee ha un ritmo due volte più veloce di quello

necessario al ciclo dell´acqua per rinnovarsi, causando una riduzione che varia tra uno e tre

metri ogni anno nel livello dei bacini. Ad aggravare ulteriormente la situazione è stato

inoltre il passaggio dalla coltivazione di prodotti tradizionali che incidevano poco sulle

risorse idriche nazionali, come il miglio, a colture che richiedono grandi quantità di acqua,

come la canna da zucchero e il riso. Mentre da una parte una gestione dei metodi agricoli

in funzione della scarsità delle risorse idriche è necessaria, anche una revisione della

produzione industriale, sembra d´altro canto, centrale. Anche l´industria causa una forte

riduzione delle acque sotterranee, incidendo negativamente sulle aree agricole.

Nel 2002 è stata varata una politica nazionale (Indian National Water Policy) il cui

obiettivo è formulare strategie e politiche per un utilizzo ottimale dell´acqua per tutte le

attività coinvolte (uso domestico, agricoltura, energia idroelettrica, ecc.). Le priorità per

l´allocazione delle risorse idriche elencate in questa politica sono le seguenti:

1. Acqua per uso personale

2. Irrigazione

3. Energia idroelettrica

4. Ecologia

5. Industrie agricole e non

6. Navigazione ed altri usi

Nonostante questo, grandi quantità di acqua vengono consumate dal settore industriale. La

preferenza che, nei fatti, viene accordata al settore industriale depriva i cittadini delle aree

urbane dell´accesso all´acqua per uso personale e domestico, oltre che i contadini dei loro

mezzi di sussistenza. Il governo indiano ha basato lo sviluppo del Paese sul settore

industriale e ha quindi varato numerosi progetti infrastrutturali per favorirlo, tra cui la

costruzione di numerose dighe. All´inizio, l´obiettivo principale di tali costruzioni era

previsto fosse l´irrigazione dei campi, ma adesso sono sfruttate principalmente dal settore

industriale in grande espansione, determinando quindi un ribaltamento delle priorità. Per

giustificare questa preferenza, in contrasto con la legge nazionale, sono state varate una

83

serie di politiche settoriali ad hoc, che coprono processi di water grabbing, mettendo

quindi in evidenza la connivenza tra il settore industriale e la pubblica amministrazione.

Una tale priorità può essere considerata una diretta conseguenza delle politiche di

aggiustamento strutturale adottate nel 1991 che si basavano principalmente su tre principi:

liberalizzazione, privatizzazione e globalizzazione (LPG). Queste riforme hanno spianato

la strada agli investimenti domestici ed internazionali, che si sono accaparrati le risorse

naturali del Paese, specialmente acqua e terra. Le riforme basate su LPG si sono estese a

diversi settori economici, a partire da quello energetico; lo step successivo è stato la

creazione delle Zone Economiche Speciali (Special Economic Zones, SEZ), allo scopo di

attrarre investimenti per la produzione industriale orientata all´export con misure come

incentivi e deregolazione. Le riforme hanno toccato a questo punto anche il settore idrico,

promosse e finanziate dalle agenzie multilaterali come la Banca Mondiale e l´Asian

Development Bank, basate sull´idea neoliberista che l´acqua debba essere allocata in base

alla produttività dei vari settori, cioè in base a quale di questi produce un valore economico

maggiore. La contraddizione tra il principio di “equità” e quello di “efficienza economica”

nell´allocazione delle risorse idriche, entrambi menzionati nelle politiche, creano un

quadro legislativo confuso. Resta da capire se questa confusione è data dalla mancata

riflessione e analisi del problema o se sia stata creata volontariamente; in ogni caso ad

avvantaggiarsene sono soprattutto le industrie101

.

I casi su ci ha lavorato FIAN nelle località di Plachimada e Chhattisgarh sono esempi di

situazioni in cui, mentre le politiche nazionali accordano la priorità all´agricoltura, le

amministrazioni privilegiano di fatto il settore industriale. Nello Stato di Chhattisgarh il

rapido ritmo di industrializzazione mina la sopravvivenza, la salute e i mezzi minimi di

sostentamento della popolazione locale. Nella corsa per la vendita di 29000 acri di terra per

la produzione industriale firmando centinaia di licenze a industrie, negli ultimi tempi

soprattutto straniere, il governo ha mostrato totale indifferenza nei confronti della

maggioranza della popolazione autoctona, che da secoli vive e conserva le risorse boschive

del Paese. La InduAgro Industry a Mahapalli, Kotmar, ha bloccato i canali tagliando così

l´accesso all´acqua a 13 villaggi, che si sono trovati quindi in gravi difficoltà. Questa e le

altre industrie collocate nella zone hanno contaminato e inquinato le risorse idriche

gravemente, hanno richiesto l´innalzamento della diga Sopnai, e provocano un consumo di

acqua tale da aver fatto scendere il livello delle acque sotterranee: tutto questo senza

101

Wagle, S.; Warghade, S. and Sathe, M. 2012. “Exploiting policy obscurity for legalising water grabbing

in the era of economic reform: The case of Maharashtra, India.” Water Alternatives 5(2): 412-430

84

prevedere forme di compensazione per la popolazione locale che si è trovata ad essere

deprivata dei propri mezzi di sostentamento.

Plachimada è situata nel distretto di Palakkad (Kerala). Il livello delle acque sotterranee di

questa zone di si è drasticamente ridotto da quando, nel 1998-99, vi è stato costruito un

impianto industriale della Coca- Cola. Questo impianto industriale produce 85 camion di

bibite ogni giorno e per coprire il fabbisogno idrico per una tale produzione la compagnia

ha scavato 60/65 pozzi sui terreni in locazione, estraendo 1500000 litri di acqua sotterranea

al giorno. Un´estrazione del genere ha portato alla rapida riduzione delle acque sotterranee

delle zone circostanti e l´esaurimento dei pozzi ha comportato drammatiche conseguenze

per la popolazione locale. I contadini, che producono principalmente riso, si sono ritrovati

senza risorse idriche per irrigare i campi, con conseguente riduzione del raccolto. In più, le

acque sotterranee ne sono risultate seriamente contaminate, con aumento della salinità e

della durezza. Le analisi compiute hanno trovato alti livelli di calcio, che hanno reso

l´acqua inadeguata sia per uso personale sia per l´irrigazione. Oltre ai contadini, vittime

della contaminazione dell´acqua e della conseguente riduzione del raccolto sono stai anche

circa 1000 famiglie indigene senza terra che lavoravano come salariate nella produzione

agricola. Le proteste che sono sorte contro l´azienda sono terminate con decine di arresti da

parte della polizia.

Questo caso è emblematico della tendenza ad accordare la priorità al settore industriale e

delle sue conseguenze. L´assenza di leggi che regolino l´estrazione di acqua dal sottosuolo

ha come risultato la privatizzazione di interi bacini anche senza che la compagnia detenga

la proprietà di grandi appezzamenti di terreno. Se questi sono gli effetti causati da un

singolo impianto in un´area delimitata, si comprende facilmente cosa accadrebbe se l´India

accettasse le riforme di liberalizzazione e privatizzazione promosse nel contesto del GATS

(General Agreement on Trade in Services).

8. L’ACQUA NEL PANORAMA POLITICO INTERNAZIONALE

Le politiche riguardanti l’acqua sono spesso presentate come oggettive dal punto di vista

politico e sono discusse in termini tecnici e neutrali, concentrandosi sulle misure

amministrative, legali e istituzionali che sembrano assicurare una maggiore efficienza. Le

politiche e le riforme del settore idrico hanno invece un profondo significato politico, oltre

che conseguenze sociali tutt’altro che neutrali102

. Esistono tre paradigmi nella governance

102

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

85

dell’ acqua: la cosiddetta missione idraulica, la missione neoliberista e un approccio che

prende il nome di Integrated Water Resources Managment (IWRM). Quest’ultimo si

riferisce ad un approccio proposto delle agenzie internazionali multilaterali che ha subito

vari cambiamenti nel corso degli anni e che verrà analizzato in seguito. La missione

idraulica si riferisce alla visione politica che concepisce la gestione del settore idrico come

un compito prettamente statale, è caratterizzata da un approccio basato su concetti tecnici e

burocratici e sulla costruzione e gestione di infrastrutture. A questo approccio si oppone la

cosiddetta missione neoliberista, fondata su i concetti di individuo e di mercato. Mentre il

liberismo era un’ideologia il cui obiettivo era la negoziazione tra Stato e mercato, che

erano viste come de sfere collegate ma separate, il neoliberismo promuove un tipo di

relazioni più flessibile, sfumando i contorni di entrambe. La distinzione tra pubblico e

privato diventa così meno netta, attraverso una cooperazione che spesso si traduce in

concessioni di settori pubblici in mano ai privati o, in altre parole, alla privatizzazione. La

missione idraulica e quella neoliberista tendono a coesistere, almeno in una prima fase103

.

8.1. L’AGENDA NEOLIBERISTA

Le politiche sull’acqua sono parte dell’agenda e dell’utopia neoliberista, anche se queste

vengono di solito difese con argomentazioni tecniche anziché ideologiche o politiche. Le

agenzie che si occupano di sviluppo presentano le politiche di stampo neoliberista come

l’unica strada per evitare l’imminente crisi idrica e non come parte di un progetto politico

più ampio. Infatti, l’immagine di un’imminente crisi data dalla scarsità delle risorse idriche

è scioccante, in quanto minaccia non solo lo sviluppo ma la stessa esistenza umana: è uno

scenario che permette e richiede misure forti. Queste misure, per di più, si basano su

concetti apparentemente scientifici e insindacabili come scelta razionale del consumatore,

migliore allocazione, efficienza, diritti di proprietà, processo decisionali decentralizzato,

mercato. L’acqua viene quindi trattata come ogni altro bene, come seguisse le leggi

economiche e scientifiche che le vengono applicate.

Al cuore di questo approccio c’è il concetto di diritti di proprietà: diritti individuali di

proprietà sono presentati come la soluzione per ridurre gli sprechi, responsabilizzare i

consumatori e assicurare l’accesso alle risorse. Per la realizzazione di questo scenario, è

necessaria la cancellazione di tutti i sistemi consuetudinari e tradizionali che sono stati in

vigore fino a quel momento. Questo non sempre avviene con un’azione radicale, ma spesso

si trattano questi sistemi come retaggi del passato, anomalie, che scompaiono nel tempo o

103

Islar, M. 2012. “Privatised hydropower development in Turkey: A case of water grabbing?” Water

Alternatives 5(2): 376-391

86

diventano gradualmente illegali104

. La privatizzazione implica sempre un processo di

esproprio. Nel caso dell’acqua, si tratta spesso di un esproprio di diritti acquisiti a livello

locale attraverso il proprio impegno nella costituzione di un sistema idrico, ad esempio

attraverso la costruzione di infrastrutture: questo sistema viene presentato come irrazionale

e spazzato via. Essendo basata sul concetto di individuo e dei suoi diritti, l’ideologia

neoliberista punta sempre allo smantellamento dei sistemi comunitari e collettivi, puntando

a trattare ognuno come un consumatore che solo in questa veste ha la possibilità di vedere

tutti i suoi diritti riconosciuti e può così evitare ingiustizie e marginalizzazioni grazie

all’imparzialità del mercato. Le politiche neoliberiste puntano infatti a sostituire i diritti

sull’acqua di tipo collettivo e consuetudinario con diritti individuali di proprietà,

presentandoli come più certi. Questo concetto non tiene in considerazione che diversi attori

hanno un grado di potere diverso all’interno della società e che questo poi si riflette nella

reale possibilità di assicurasi e godere di certi diritti105.

Nelle applicazioni concrete di

queste concetto, spesso questo principio democratico tende a nascondere la creazione di

trusts e monopoli che, trattando l’acqua come un qualsiasi altro bene economico, iniziano a

specularci su. A questa visione, i popoli indigeni e le comunità rurali continuano ad

opporsi, proponendo approcci alternativi che valorizzano, realmente, il concetto di

uguaglianza e di diritto106

.

La privatizzazione dell’acqua non è un fenomeno nuovo, ma ha acquisito nuove ed

inquietanti dimensioni negli ultimi anni, erodendo i diritti consuetudinari, come quelli

tradizionalmente posseduti dai popoli indigeni. L’ondata di privatizzazioni del settore

idrico ha avuto il suo apice negli anno Novanta ed ha interessato sia i Paesi in via di

sviluppo che i Paesi sviluppati. Queste privatizzazioni sono state fortemente sostenute dalla

Banca Mondiale e da altre agenzie multilaterali il cui obiettivo era l’apertura dei mercati

dei Paesi in via di sviluppo, e concentrandosi quindi soprattutto su quei Paesi caratterizzati

da un forte ruolo dello Stato in economia, come nel caso delle nazioni dell’America Latina

o di quelle dell’Europa Centro-orientale. A questi Paesi la privatizzazione è presentata

come priva di alternative.

104

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

105

Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI

106

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

87

L’esempio più eclatante di introduzione dei concetti di libero mercato nella gestione delle

risorse idriche è rappresentato dal Cile di Pinochet e dalle sue politiche di stampo

fortemente neoliberista. In Cile, infatti, la privatizzazione dei diritti sull’acqua, che ha

comportato la completa eliminazione dei diritti consuetudinari etichettati come “diritti

inutilizzati”, è presentata come la strada migliore per la più efficiente allocazione delle

risorse. Una politica così estrema, tuttavia, richiede un forte intervento statale, esattamente

ciò che l’ideologia neoliberista afferma di combattere. Durante gli anni delle politiche di

aggiustamento strutturale i Paesi latino-americani hanno tagliato la spesa pubblica,

seguendo l’esempio cileno nel settore idrico dal momento che questo risultò essere una

delle voci più dispendiose per il budget statale. Le nazioni coinvolte nelle politiche di

aggiustamento strutturale si sono così trovate davanti al dilemma se attuare tali

privatizzazioni, incorrendo in rivolte popolari, o rifiutarle, rinunciando così ai preziosi

prestiti delle Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale107

.

Per quanto riguarda invece i Paesi del Nord del mondo, l’esempio più noto e radicale è

rappresentato dal Regno Unito che nel 1989, sotto il governo di Margaret Thatcher, decise

di privatizzare interamente il settore idrico. Una così estrema soluzione è stata raramente

seguita da altri Paesi, che hanno perlopiù optato per misure meno drastiche, come

concessioni, contratti di locazione o di gestione108

. Tuttavia, l’esperimento della

privatizzazione si è dimostrato deludente e ha creato più problemi di quanti ne abbia

risolti109

e per questa ragione in alcuni casi, dopo un periodo di controllo privato, il settore

idrico è tornato nelle mani dell’amministrazione pubblica. La decisione presa dal Comune

di Parigi di riprendersi la gestione del sistema idrico è un segnale evidente di questo

fallimento. Parigi non solo ha avuto per lungo tempo una gestione privata del settore, ma è

anche il quartier generale delle due compagnie multinazionali del settore più grandi del

mondo, Suez e Veolia110

. Nei Paesi in via di sviluppo la privatizzazione non porta alla

tanto sbandierata efficienza: Manila e Jakarta ne sono gli esempi più evidenti, in quanto in

queste due città la gestione privata ha causato più sprechi di quanto facesse quella

pubblica. Inoltre, l’esperimento rivela che la privatizzazione non si rivela conveniente

107

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

108

Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water:

achievements. Struggles and visions from around the world”

109

Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI

110

George, S., Nhlapo, M. and Waldorff, P. 2011 “The politics of achieving the Right to Water”

http://www.tni.org/article/politics-achieving-right-water

88

neppure per le stesse compagnie, in quanto implica l’investimento di enormi capitali,

quindi alti rischi, senza i guadagni previsti. Per questo le maggiori compagnie hanno

iniziato e ritirare i propri investimenti dai Paesi in via di Sviluppo, nonostante le garanzie e

gli incentivi offerti dalla Banca Mondiale111

.

8.2. INTEGRATED WATER RESORCES MANAGEMENT

Nel 2002, durante il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (World Summit on

Sustainable Development) la Global Water Partnership ha presentato l’Integrated Water

Resources Management (IWRM) come “un processo che promuove lo sviluppo e la

gestione coordinata di acqua, terra e alter risorse a queste connesse per massimizzare la

risultante economica e il benessere sociale in quadro di equità, senza compromettere la

sostenibilità di ecosistemi vitali” 112

. Questo approccio mette l’accento sui processi di

governance basati sulla partecipazione pubblica, anche se è questo concetto di

partecipazione proposto dalla Banca Mondiale e dalle altre agenzie multilaterali sembra

piuttosto “uno strumento per spianare la strada alla privatizzazione e alla

commercializzazione”113

, e non implica l’implementazione di reali meccanismi di controllo

democratico e di coinvolgimento della popolazione. In questo senso, il concetto di

partecipazione diventa un meccanismo per approvare qualsiasi tipo di provvedimento

senza correre il rischio che questo sia definito non democratico, piuttosto che uno

strumento di emancipazione.

L’IWRM è stato presentato per la prima volta nel 1977 durante la Conferenza delle

Nazioni Unite sull’Acqua a Mar del Plata, in Argentina. Questa conferenza aveva

l’obiettivo di attestare quale fosse lo stato delle risorse idriche globali con lo scopo di

approntare un sistema gestionale che potesse permetterne un’allocazione più efficiente in

futuro. Durante questo primo incontro il tema delle questioni transfrontaliere non fu

neppure preso in considerazione. Per tutti gli anni Ottanta la questione scomparve

completamente dall’agenda politica internazionale e il successivo incontro sul tema fu la

Conferenza Internazionale su l’Acqua e l’Ambiente tenutasi nel 1992 a Dublino. Lo scopo

previsto di questa conferenza era quello di affrontare la questione della sostenibilità

111

Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water:

achievements. Struggles and visions from around the world”

112 Mizanur Rahaman, M and Varis, O. 2005 “Integrated water resources management: evolution, prospects

and future challenges” http://sspp.proquest.com/static_content/vol1iss1/0407-03.rahaman-print.html 113

Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water:

achievements. Struggles and visions from around the world”

89

nell’uso delle risorse idriche; invece, accanto ad alcuni punti come quello della

partecipazione ai processi decisionali e un particolare focus sul ruolo della donne in

connessione all’utilizzo domestico, l’affermazione più forte che emerse da quell’incontro

fu che per una maggiore efficienza l’acqua andava trattata come una qualunque altra

merce. Questa idea fu fortemente criticata dai Paesi in via di sviluppo, poiché questo

concetto non prende in considerazione la questione della povertà e dell’ineguaglianza

sociale. Dalla Conferenza di Dublino del 1992 l’acqua è stata presentata come separata

dalla terra e i due settori trattati con politiche distinte.

Il primo Forum Mondiale sull’Acqua si è tenuto nel 1997 a Marrakesh e in questa

occasione fu stabilito che tale forum si sarebbe tenuto ogni tre anni. Questo evento riunisce

rappresentanti dei governi, esperti in gestione delle risorse idriche e agenzie per lo

sviluppo. A Marrekesh fu promosso un approccio alla crisi idrica di tipo regionale e

settoriale, per meglio coglierne gli elementi componenti. Il secondo Forum Mondiale si è

tenuto a L’Aia nel 2000, dove è stata approntata una visione globale che mette al centro il

comportamento individuale, concentrandosi sugli aspetti tecnici e sugli strumenti finanziari

e tralasciando il contesto sociale. In questa sede fu introdotta la proposta di affiancare la

privatizzazione con partnership tra settore pubblico e privati (PPP). Anche in questa sede

fu messo l’accento sulla questione della partecipazione ai processi decisionali, segno

evidente del ruolo che questa affermazione ha nel farli apparire come democratici. Mentre

a Marrakesh le affermazioni erano perlopiù rimaste tali, a L’Aia fu deciso di dare una

svolta pratica e fu creata la Global Water Partnership, concepita come uno strumento di

implementazione dell’IWRM114

. La privatizzazione del settore idrico viene presentata in

questa sede come inevitabile in quanto priva di alternative115

.

In linea con questa volontà di trasformare i concetti espressi in pratica, durante la

Conferenza sulle Acque Dolci tenutasi a Bonn nel 2001 furono fatte raccomandazione per

la promozione degli investimenti e della decentralizzazione. Lo stesso anno, al Doha

Round l’Organizzazione Mondiale del Commercio ha affermato che l’acqua, come le altre

risorse naturali e come i servizi, fa parte di quelle merci di cui è necessario abbattere le

barriere tariffarie e non. La stessa dichiarazione si ritrova anche nel North Free Trade

Agreement.

114

Mizanur Rahaman, M and Varis, O. 2005 “Integrated water resources management: evolution, prospects

and future challenges” http://sspp.proquest.com/static_content/vol1iss1/0407-03.rahaman-print.html

115 Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.

Struggles and visions from around the world”

90

Nel 2002, durante il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile a Johannesburg,

l’IWRM era in cima all’agenda internazionale e nel 2003 a Kyoto, durante il terzo Forum

Mondiale questo approccio era presentato come la strada per il raggiungimento del relativo

Obiettivo del Millennio: dimezzare il numero di persone che non hanno accesso all’acqua

pulita e potabile. Da quel momento l’IWRM è rimasto ancorato agli stessi principi cardine:

privatizzazione e partnership pubblico-privato come strumenti per affrontare la gestione

delle risorse idriche nei Paesi in via di sviluppo, senza tenere in considerazione che nella

maggior parte dei Paesi sviluppati, specialmente in Europa, la gestione del sistema idrico è

sempre stata e continua ad essere amministrata dallo Stato; l’idea che l’acqua si una bene

economico, il che comporta che si applichino regole economiche alla sua gestione;

l’affermazione, senza peraltro nessuna effettiva implementazione, della necessità di

un’arena per discutere e risolvere i conflitti che interessano le questioni tra due Paesi, come

ad esempio nelle questioni transfrontaliere.

Nel 2003, durante il Forum Mondiale a Kyoto, è stato presentato il rapporto del Panel

Camdessus, che prende il nome dal suo Presidente, Michel Camdessus, precedente

Direttore del Fondo Monetario Internazionale116

. Con questo rapporto si è lanciato il

programma “Finanziare l’Acqua per Tutti”, che promuove gli investimenti privati e a

partecipazione sia pubblica che privata, lo sviluppo dell’energia idroelettrica, e il ruolo

della Banca Mondiale, delle banche di sviluppo regionali e della Banca Europea di

Investimenti nel finanziare i servizi e le infrastrutture per il miglioramento del settore

idrico. Suggerisce inoltre l’utilizzo dei fondi pubblici come garanzia per attrarre gli

investimenti, visti i rischi connessi soprattutto a eventuali svalutazioni di moneta. Si

raccomanda infine, di dare la possibilità agli investitori di negoziare direttamente con le

amministrazioni locali, saltando il livello nazionale: questo, è evidente, rischia di rendere

le transazioni meno trasparenti. La composizione di questo Panel, soprattutto per la

presenza di esponenti di TNC, è stata fortemente criticata117

.

Il quarto Forum Mondiale sull’Acqua si è tenuto a Città del Messico nel 2006 e si è

concentrato sul livello locale, vedendovi la migliore dimensione per la progettazione e

l’implementazione delle politiche di gestione dell’acqua, ma promuovendo un approccio

116

http://www.worldwatercouncil.org/fileadmin/wwc/Library/Publications_and_reports/CamdessusSummar

y.pdf 117

Mizanur Rahaman, M and Varis, O. 2005 “Integrated water resources management: evolution, prospects

and future challenges” http://sspp.proquest.com/static_content/vol1iss1/0407-03.rahaman-print.html

91

frammentato e non olistico118

. Il risultato di questo forum è stata una dichiarazione

ministeriale non vincolante dal punto di vista legale, che inoltre escludeva tematiche

importanti come la gestione dei bacini idrografici nelle aree di confine da due o più Stati,

la connessione tra acqua e agricoltura, l’impatto sulla pesca, come affrontare le questione

della crisi ambientale e del cambiamento climatico. Si passa così da una visione globale ad

una frammentata. Nel 2009 il Forum Mondiale si è tenuto a Istanbul: il luogo non è

casuale, visto che in quell’occasione la Turchia ha presentato le sue nuove politiche sulla

produzione di energia idroelettrica e sulla concessione in locazione dei fiumi, presentate

prima119

. La dichiarazione finale di questo forum definisce l’acqua come un bisogno la cui

soddisfazione è legata al pagamento del servizio. Viene quindi riaffermato un approccio

basato sul profitto, che vede l’acqua come una merce qualsiasi120

.

L’ultimo Forum Mondiale si è tenuto a Marsiglia lo scorso marzo ed ha rappresentato un

passo indietro nella strada verso il riconoscimento del diritto all’acqua come un diritto

umano. Infatti, nonostante nel 2010 stia stata approvata la Risoluzione delle Nazioni Unite

64/292, la dichiarazione finale del forum non prende in considerazione questo impegno

internazionale e prevede la possibilità per ogni Paese di determinare le strategie per

implementare e attuare le obbligazioni previste per il rispetto del diritto all’acqua. In

questo modo, viene negata la possibilità di intraprendere azioni per vedere i propri diritti

riconosciuti. Le organizzazioni della società civile e Catarina d’Albuquerque, Relatore

Speciale sul diritto all’acqua, si oppongono fortemente a questa dichiarazione affermando

che “le conclusioni del Forum Mondiale sull’Acqua potrebbe diventare soluzioni basate su

i falsi presupposti”121

. Tale opposizione non è stata presa in considerazione e neppure

quella del delegato boliviano, il cui microfono ha avuto sospetti problemi tecnici durante la

discussione.

8.3. L’APPROCCIO BASATO SUI DIRITTI UMANI

Le organizzazioni della società civile coinvolte nel tema del water grabbing propongono n

approccio alla questione centrato sul riconoscimento e il rispetto dei diritti umani,

concentrandosi sul diritto all’acqua non solo in quanto tale ma anche come precondizione

118

http://userpage.fu-berlin.de/ffu/akumwelt/bc2006/papers/Rahaman_Varis.pdf

119

Loewe, J. 2010, “Water Ablaze; the contamination and commercial exploitation of a rare and vital

resource” Verlag NWWP, Stuttgart

120

http://www.sesamoitalia.it/wp-content/uploads/2009/04/notaworlswaterforu.pdf

121

http://www.trust.org/alertnet/blogs/alertnet-news-blog/world-water-forum-muddied-by-controversies/

92

del godimento di altri diritti ad esso connessi122

. Il loro punto di partenza è la presa di

coscienza del fallimento della privatizzazione come mezzo per la distribuzione di acqua a

tutti a prezzi accessibili e dell’inefficienza dei poteri pubblici di garantire il servizio senza

incorrere in sprechi. La privatizzazione ha fallito anche in quanto non si è dimostrata in

grado di implementare i processi decisionali democratici, trasparenti e partecipativi che

sbandierava. Infatti, non è stato implementato nessun mezzo per verificare la responsabilità

e l’affidabilità di queste gestioni private. La scarsa democraticità di questi processi è anche

dimostrata dal fatto che spesso queste privatizzazioni avvenivano sotto la guida di governi

autoritari, come nelle Filippine di Suharto o in Sud Africa durante il periodo

dell’apartheid123

.

Il Forum Mondiale del 2003 in Giappone ha rappresentato un momento importante

nell’organizzazione di un’opposizione all’ideologia mainstream nella gestione delle risorse

idriche promossa dal World Water Council, che raccomanda soprattutto PPPs. Questo è

indicativo della visione delle agenzie multilaterali per lo sviluppo, che supportano il ritiro

dello Stato. Le organizzazioni della società civile promuovono, invece, un’espansione del

controllo pubblico nella gestione delle risorse idriche e alternative alla privatizzazione

basate su esperienze positive concrete. L’anno seguente in India, durante il World Social

Forum, è stato lanciato il sito web www.waterjustice.org, un forum per condurre un

dibattito internazionale sul diritto all’acqua124

.

Nella Dichiarazione di Nyeleni, risultato del Forum per la Sovranità Alimentare del 2007,

si afferma che l’accesso alle risorse naturali, tra cui l’acqua, è fondamentale per la

realizzazione della sovranità alimentare. Si afferma, inoltre, che l’acqua deve essere

considerata un bene comune e non una commodity, e quindi gestita dal settore pubblico.

Infine, si afferma che il diritto all’acqua fa parte dei diritti umani, in quanto fondamentale

per la vita e per il godimento di altri diritti.

Durante il Forum Mondiale Alternativo sull’Acqua (FAME) a marzo, è stata proposta una

carta che afferma che “l’acqua dovrebbe essere considerata un bene comune a tutta

l’umanità. L’acqua è vitale per tutte le forme di vita e non è una commodity125

e

122

Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for

agriculture IIED

123

Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.

Struggles and visions from around the world”

124

Ibidem

125

http://www.fame2012.org/en/about/charter/

93

raccomanda la gestione pubblica del sistema idrico. Si promuovono inoltre tecniche

alternative, come il riciclaggio delle acque reflue e il recupero delle acque piovane. Il

fallimento dell’esperimento della privatizzazione e l’inefficienza del settore pubblico nella

gestione del sistema idrico nei Paesi in via di sviluppo spinge a cercare nuove soluzioni

che possano migliorare l’efficacia del sistema senza deprivare le persone del diritto

all’acqua126

.

Tra le alternative proposte che si oppongono sia alla privatizzazione sia alle partnership

pubblico-privato, il Transnational Institute (TNI) insieme ad altre organizzazioni della

società civile promuove l’idea di partnership pubblico-pubblico (PuP). Questa idea si basa

sulla semplice considerazione che il 90% del sistema idrico mondiale è amministrato dal

settore pubblico dei vari Paesi e che tra questi sia possibile trovare i migliori esempi e le

istituzioni più efficienti. Si hanno già, inoltre, esempi di fruttuose collaborazioni tra le

varie istituzioni pubbliche che si occupano del settore. Questa idea è stata supportata

anche dal precedente Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan attraverso la creazione del

Global Water Operator Partnerships Alliance (GWOPA) e dal Segretario Generale

dell’Advisory Board delle Nazioni Unite, che ha sviluppato un’iniziativa che prende il

nome di Wate Operator Partnerships o WOPs.

Nel marzo del 2011 a Cape Town si è tenuto il primo Congresso del GWOPA. Questo tipo

di partnerships pubblico-pubblico sono state anche sostenute dalla Banca Monsiale e da

altre banche regionali di sviluppo, in particolare dall’ Asia Development Bank e dall’ Inter-

American Development Bank, che stanno finanziando molti dei progetti sviluppati. Dal

momento che queste agenzie hanno sempre spinto per la privatizzazione, è necessario

assicurarsi che queste WOPs non “diventino un altro strumento commerciale” 127

.

L’approccio che promuove la gestione pubblica del servizio idrico evidenzia il legame

esistente tra giustizia sociale, processi decisionali democratici e diritto all’acqua; è

condiviso dalle organizzazioni della società civile di tutto il mondo e ci sono numerosi

esempi di successo della sua messa in pratica a livello locale128

. Queste esperienze positive

hanno il doppio merito di migliorare il servizio in termini di efficienza e di sollevare la

126

Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.

Struggles and visions from around the world”

127 George, S., Nhlapo, M. and Waldorff, P. 2011 “The politics of achieving the Right to Water”

http://www.tni.org/article/politics-achieving-right-water 128

Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.

Struggles and visions from around the world”

94

questione tra la popolazione, che diventa così cosciente dei propri diritti e si organizza per

difenderli.

Via Campesina, una delle organizzazioni più impegnate in questo dibattito, mette l’accento

sul ciclo dell’acqua e sul diritto “dell’acqua” come prerequisito per il diritto “sull’acqua”: è

quindi necessario promuove un uso sostenibile delle risorse idriche per garantirne la

disponibilità e quindi l’accesso a tutti. In linea con questa idea, propone i seguenti criteri di

priorità nell’allocazione129

:

- Mantenimento sostenibile degli ecosistemi terrestri e marini

- Utilizzo per uso personale, domestico, igienico e per la sopravvivenza alimentare

- Produzione di cibo per il consumo locale nel rispetto dei principi della sovranità

alimentare per piccoli e medi produttori

- Servizi pubblici, come giardini e fontane

- Artigianato e commercio

- Agribusiness, produzione industriale, turismo, pesca industriale

- Produzione di energia idroelettrica

La classificazione sopra presentata dà, evidentemente, la priorità al consumo personale e

all’ agricoltura. Via Campesina chiede inoltre analisi delle riserve di acqua e delle attività

che ne fanno uso, per ridurre gli sprechi ed aumentare l’efficienza della gestione.

Basandosi sull’evidenza che le riserve di acqua non possono essere aumentate e che quindi

è necessario che siano le attività umane ad adattarvisi e non il contrario, devono essere

promosse pratiche di risparmio in ogni attività: dall’uso domestico, all’agricoltura,

all’industria. Questo significa anche promuovere un tipo di agricoltura ecologica, basata

sulla bio diversità, che risulta meno inquinante, per il minor uso di pesticidi, e richiede

meno acqua dell’agricoltura industriale.

L’approccio basato sui diritti umani prende in considerazione non soltanto i diritti

individuali, ma anche quelli collettivi e consuetudinari, afferma che l’intera comunità

interessata da un certo provvedimento debba avere il diritto di prendere parte ai processi

decisionali, che devono essere pubblici e fondati sul principio della trasparenza. Propone

una distinzione tra l’acqua intesa come una risorsa pubblica fondamentale che deve essere

garantita a tutti per un adeguato standard di vita e l’acqua come input produttivo nel settore

129

“The issue of water is inseparable from Food Sovereignty” Coordination Europeenne Via Campesina,

2012

95

industriale e nell’agricoltura meccanizzata, il cui uso deve essere regolato e sottoposto a

controlli e restrizioni. Chiede infine la creazione di istituzioni alle quali i cittadini possano

rivolgersi per vedersi riconoscere i propri diritti e dove richiedere le dovute

compensazioni.

Per riassumere, l’ approccio basato sui diritti umani da allo Stato un ruolo centrale nella

regolazione del sistema e dei servizi idrici, in opposizione all’ideologia neoliberista che

vuole dare questo compito al mercato. Le organizzazioni della società civile promuovono

inoltre pratiche di utilizzo dell’acqua e di agricoltura sostenibile, l’implementazione delle

quali non richiede nuove strategie e nuovi strumenti: i sistemi tradizionali sono spesso i più

efficienti e richiedono minore utilizzo di risorse, in quanto rappresentano l’adattamento

dell’uomo a quel preciso contesto130

.

8.4. L’APPROCCIO OLISTICO

L’idea che la natura abbia dei diritti che l’acqua vada tenuta in considerazione in tutto il

suo ciclo non è nuova ma si trova alla base dell’approccio olistico, una visione condivisa

dai popoli indigeni di tutto il mondo, che considerano la natura come un tutto e rifiutano la

frammentazione nella gestione delle risorse naturali promossa dalle politiche neoliberiste.

La mercificazione delle risorse naturali e la loro concezione come entità separate fa parte

dell’idea occidentale della natura e ne influenza le politiche che le nazioni del Nord del

mondo promuovono si internamente sia, soprattutto, esternamente, nei confronti dei Paesi

del Sud del mondo. Anche se la visione olistica è la più antica e ancora presente nella

cultura di tanti popoli, gli Stati sembrano aver dimenticato questo concetto per secoli e

adesso ne pagano le conseguenze. Il numero si parallelismi che si vede oggi nei fenomeni

di water e land grabbing che abbiamo visto sembra volercelo ricordare.

Riappropriarsi di questa visione della natura come di una totalità sembra oggi l’unica

strada per uno sviluppo sostenibile e per far fronte alle drammatiche crisi globali che

stiamo affrontando131

. Tuttavia, le politiche nazionali e internazionali continuano a vedere

terra e acqua come due elementi separati e quindi a trattarli con strategie diverse. Le

conseguenze negative di questo tipo di amministrazione separata possono essere

rintracciate nel caso del Ghana che abbiamo riportato sopra. La terra è, infatti,

130

Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and

Identity”, Earthscan

131 Falkenmark, M. 1997 “Society's interaction with the water cycle: a conceptual framework for a more

holistic approach” in Hydrological Science -Journal- des Sciences Hydrologique 42(4): 451- 465

96

intrinsecamente legata all’acqua e non solo perché ha bisogno di questa per essere

produttiva ma anche perché le attività ad essa legate impattano sui bacini e i sistemi

idrografici. Un approccio olistico non si limita a considerare tutte le risorse naturali come

componenti di una tutto, ma guarda anche ai processi nella loro totalità e nel tempo. Nel

caso dell’acqua, data anche la sua natura fluida, è importante tenere in considerazione tutto

il ciclo; nonostante ciò, raramente coloro che sono chiamati ad amministrarla hanno questa

conoscenza e consapevolezza.

Si considerano quattro funzioni principali dell’acqua: quella relativa alla salute, che

coinvolge l’uso personale e domestico; come habitat per gli ecosistemi acquatici; come

trasportatore di sostanze e materiali sospesi o disciolti; quella produttiva. L’acqua usata per

la produzione di cibo viene definita “verde”, quella che viene invece dedicata all’uso

domestico prende il nome di acqua “blu”. Come abbiamo visto, la molteplicità degli

utilizzi e delle funzioni delle risorse idriche crea competizione e conflitti per stabilire a

quale di queste debba essere accordata la priorità132

. In questo senso, l’acqua viene

frammentata nei diversi settori, in ognuno dei quali si hanno diversi attori interessati e

diversi conflitti, e si pensa che non vi sia nessun collegamento tra queste diverse funzioni.

Se tuttavia si prende in considerazione il ciclo dell’acqua nella sua totalità si colgono le

cause e le conseguenze delle diverse situazioni e attività: ad esempio l’inquinamento dei

fiumi provocato dalla produzione industriale o dall’agricoltura meccanizzata impatta sulla

salute umana e degli ecosistemi anche a lunghe distanza data la sua funzione di trasporto di

sostanze, e incide infine sulla produzione di cibo. Questi conseguenze, che sono sia di

breve che di lungo periodo, possono essere compresi solo considerando l’acqua nel suo

ciclo totale. L’approccio olistico ha, infatti, anche il pregio di prendere in considerazione

non solo le conseguenze sul presente ma anche sulle future generazioni133

.

132

Falkenmark, M. 1997 “Society's interaction with the water cycle: a conceptual framework for a more

holistic approach” in Hydrological Science -Journal- des Sciences Hydrologique 42(4): 451- 465

133

Ibidem

97

CAPITOLO 3

LA GOVERNANCE INTERNAZIONALE: REGOLAZIONE DEI FENOMENI DI

ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE

1. L’ EMERSIONE DEL FENOMENO

Il tema del land grabbing e delle transazioni economiche relative alla terra emerge

prepotentemente nel 2008, quando il Financial Times denuncia i termini delle trattative in

corso tra il governo malgascio e la Daewoo, che operava per conto della Corea del Sud, per

il controllo di 1,3 milioni di ettari, pari al 40% della terra arabile nazionale, per un periodo

di 99 anni e in cambio creazione di posti di lavoro e investimenti in infrastrutture a favore

della popolazione134

. Si rintracciano in questo caso eclatante alcuni degli elementi

fondamentali e ricorrenti che abbiamo tracciato nel primo capitolo: l’accaparramento delle

terre in reazione alla crisi alimentare del biennio 2007-2008 da parte di un Paese ad alta

intensità di capitale ma povero di terra e quindi di risorse alimentari, che teme per la sua

sicurezza alimentare futura, essendo quasi totalmente dipendente dalle importazioni, ai

danni di un Paese in via di sviluppo con un contratto a lungo termine, del quale, quindi, è

difficile prevedere le conseguenze nel lungo periodo, in cambio di input allo sviluppo,

come lavoro e infrastrutture. La notizia fa il giro del mondo, portando non solo al blocco

delle trattative e alla caduta del governo del Madagascar, ma puntando i riflettori su questo

fenomeno, di cui il caso malgascio è solo uno degli esempi più eclatanti. La stampa inizia a

portare a galla le transazioni economiche riguardanti la terra, che si erano moltiplicate in

Africa nell’ultimo periodo e, sempre nel 2008, esce il primo rapporto di GRAIN135

in cui si

introduce per la prima volta il termine “land grabbing” e si iniziano le prime stime, e

denuncie, del fenomeno.

Questo può essere considerato il punto di partenza della riflessione delle agenzie

multilaterali per lo sviluppo e, in generale, dei luoghi di governance nazionale e

internazionale sulla questione, tanto da essere in cima all’agenda del G8 che si svolge nella

primavera successiva a Roma, durante il quale le maggiori organizzazioni contadine

africane, EAFF (Federazione delle Organizzazioni Contadine dell’Africa Orientale),

PROPAC (Piattaforma Regionale delle Organizzazioni Contadine dell’Africa Centrale),

134

Oliver, C., Jung-a S., Burgis, T. “Daewoo to cultivate Madagascar land for free” in Financial Times, 19

Novembre 2008

135

GRAIN 2008 “Seized! The 2008 land grab for food and financial security” GRAIN Brefing, Barcelona:

Genetic Resources Action International

98

ROPPA (Rete delle Organizzazioni Contadine e dei Produttori Agricoli dell’Africa

Occidentale) e UMAGRI (Unione Magrebine di Agricoltori), hanno presentato una

Dichiarazione Comune sullo stato dell’agricoltura del continente. Tale Dichiarazione

denuncia in modo chiaro ed esplicito le difficoltà africane e i fenomeni che, se non le

hanno causate, le hanno sicuramente esacerbate e afferma la necessità di mettere al centro

delle politiche e delle transazioni economiche i piccoli produttori, garantendone la

partecipazione nelle questioni che riguardano la loro sopravvivenza. Di una certa rilevanza

anche la richiesta che ad occuparsi della questione a livello di governance internazionale

siano le agenzie multilaterali che si occupano di sviluppo agricolo presenti a Roma136

.

Si vede come, inevitabilmente, fin dal principio Roma diventa il luogo delle negoziazioni e

della governance internazionale sul tema del controllo della terra. Esce il primo studio

commissionato da FAO e IFAD allo IIED (International Institute for Environment and

Development) che presenta le due visioni della questione del land grabbing che da quel

momento in poi si fronteggeranno nelle negoziazioni sui codici di condotta: l’approccio

Win Win, che presenta il fenomeno come una’opportunità di arricchimento e sviluppo per

entrambe le parti, e quello che vede l’accaparramento del controllo delle terre come un

fattore di rischio per la sicurezza alimentare delle popolazioni, e quindi una questione

relativa ai diritti umani137

.

L’ancoramento del diritto al cibo ai diritti umani come fondamento su cui basare gli

investimenti in agricoltura viene indicato anche dal Relatore Speciale per il Diritto al Cibo

delle Nazioni Unite Olivier De Shutter. Il Rapporteur, infatti, non esclude le conseguenze

positive che queste transazioni economiche possono avere sulle condizioni di vita delle

nazioni e delle comunità coinvolte, ma rifiuta l’approccio Win- Win138

e propone principi e

misure per garantire la trasparenza e la partecipazione effettiva di tutte le parti coinvolte

alle trattative139

. Iniziano così, da varie parti, le proposte per la creazione di codici di

condotta che regolino gli investimenti in agricoltura.

136

EAFF, PROPAC, ROPPA, UMAGRI 2009 “The Farmers’ Organisations of Africa Address the G8”

137

Cotula, L., Vermeulen, S., Leonard, R. e Keeley, J. 2009 “Land grab or development opportunità?

Agricultural investmentsand international land deals in Africa”, IIED/ FAO/ IFAD, London/ Rome

138

Borras, S.M.Jr e Franco J.C., 2010 “From Threat to Opportunity? Problems with the Idea of a “Code of

Conduct” for Land Grabbing”, Yale Human Rights and Development Law Journal, 13 (2): 507-23

139

De Shutter, O. 2009 “ The UN Special Rapporteur to Food recommends principles and measures ti

discipline land grabbing” Press Release

99

2. L’APPROCCIO WIN- WIN

La pervasività e la diffusione del land grabbing fanno apparire questo fenomeno come

difficilmente debellabile: su questa base le agenzie internazionali stanno proponendo di

trovare un modo in cui questo fenomeno possa essere incanalato positivamente per la

promozione di investimenti in agricoltura. Per questo le Linee guida che verranno

presentate in seguito, così come gli altri strumenti di regolazione delle transazioni

riguardanti la terra hanno come obiettivo principale la definizione dei criteri che

permettano di distinguere i fenomeni di accaparramento delle terre dagli investimenti in

agricoltura, in modo tale da definire regole che scoraggino i primi incentivando invece i

secondi. Questa posizione è sostenuta tanto dalle agenzie multilaterali, che continuano a

vedere negli investimenti diretti esteri la molla per lo sviluppo del settore agricolo nei

Paesi in via di sviluppo, sia dai governi nazionali, che competono per accaparrarseli140

.

Tale approccio, che vede negli investimenti su larga scala una strategia vantaggiosa sia per

il Paese oggetto dell’investimento che per l’investitore prende il nome di Win- Win.

Seguendo l’approccio Win Win, gli effetti negativi che la partnership tra investitori

stranieri e governi locali e nazionali ha sulle popolazioni sarebbero da ascriversi a

deficienze tecniche e alla mancanza di un’adeguata amministrazione politica del territorio.

Le soluzioni a questo tipo di problematica emergerebbero con il tempo, grazie allo

sviluppo innescato da questi investimenti e all’influenza dell’ideologia che li supporta141

.

Nel frattempo, la stesura e l’implementazione di codici di condotta internazionali

avrebbero il compito di difendere i diritti delle comunità coinvolte, definendo dei principi

di responsabilità da seguire: i RAI Principles, che verranno presentati in seguito, avrebbero

appunto tale scopo. Questo tipo di codici di condotta, tuttavia, non solo non contengono

quelle garanzie sociali ed economiche necessarie alla sopravvivenza dei poveri rurali, ma

vengono anche decisi e concessi “dall’alto” e non ottenuti con quelle lotte politiche di

classe che sono solitamente la miglior garanzia per l’attuazione e il mantenimento nel

tempo di questi principi. Il rapporto della Banca Mondiale142

sui meccanismi di riduzione

della povertà attraverso la creazione di posti di lavoro e contratti con i piccoli produttori,

140

http://www.grain.org/article/entries/4564-responsible-farmland-investing-current-efforts-to-regulate-land-

grabs-will-make-things-worse 141

Borras, S.M.Jr e Franco J.C., 2010 “From Threat to Opportunity? Problems with the Idea of a “Code of

Conduct” for Land Grabbing”, Yale Human Rights and Development Law Journal, 13 (2): 507-23

142

Deininger, K., D. Byerlee, J. Lindsay, A. Norton, H. Selod, and M. Stickler. 2011. Rising global interest

in farmland: can it yield sustainable and equitable benefits? Washington, DC: The World Bank

100

fortemente criticato da Tania Li143

che abbiamo presentato nel primo capitolo è un classico

esempio di questo tipo di approccio. Anche in questo caso, infatti, il capitale viene

presentato come la molla per innescare dinamiche di sviluppo e si raccomanda quindi ai

governi dei Paesi in via di sviluppo di creare un contesto legale e trasparente dei diritti di

proprietà, tale da attrarre investimenti da parte delle società del Nord del mondo.

L’assunto su cui poggia questo tipo di approccio è, ancora, la visione unidirezionale dello

sviluppo, che inevitabilmente porterà i Paesi del Sud del mondo a seguire le orme già

tracciate dai Paesi sviluppati anche in agricoltura, portando alla trasformazione della

produzione agricola da estensiva a intensiva, la proprietà della terra da frammentata e

amministrata da una moltitudine di piccoli produttori a accentrata nelle mani di un ristretto

gruppo di imprenditori. Il surplus di forza lavoro che ne sortirebbe sarebbe dapprima

impiegato in agricoltura come lavoratori dipendenti e in seguito, una volta iniziato il take

off industriale, andrebbe a costituire la classe operaia, e quindi successivamente la classe

media. Le classifiche che le agenzie internazionali stilano per identificare il grado di

progresso raggiunto dai vari Paesi non fanno altro che posizionarli ad un certo livello in un

percorso per il raggiungimento dello sviluppo, implicitamente considerato unico e

universale, al culmine del quale si trovano i Paesi sviluppati. Vista l’inevitabilità e la

desiderabilità di questo avanzamento, perché non affrettarlo con l’aiuto di coloro che

hanno già compiuto questa trasformazione, che si concretizza nella ormai classica ricetta di

iniezione di capitale e tecnologia?

Oltre alla critica di etnocentrismo che sorge da questa proposta, gli oppositori hanno messo

in luce il ripetuto fallimento di questa ricetta per tutto il periodo in cui essa è stata applicata

nei più svariati contesti. Inoltre anche ammesso, e non concesso, che questo tipo di

sviluppo sia auspicabile, sorgono dei dubbi sull’opportunità di accelerare questo processo.

Come messo in luce già da Polanyi144

, quando ci si trova di fronte a cambiamenti

economici strutturali cioè che conta non è solo il ritmo del progresso, ma anche quello di

adattamento delle popolazioni ad esso sottoposte. Egli mostra, infatti, come mentre nei

Paesi del Nord del mondo l’autodifesa della società, sottoforma di norme protezionistiche

volute da quelle classi che subivano gli effetti negativi delle trasformazioni sociali, ha

svolto un ruolo importantissimo nel rallentare il ritmo del progresso, dando la possibilità

143

Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of

Peasant Studies, 38 (2): 281–98

144 Polanyi, K. 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Boston,

MA, Beacon Press.

101

alle popolazioni di adattarvisi. Questo rallentamento, per carenze politico-sociali locali ma

soprattutto per imposizioni esterne, non è stato permesso alle colonie. Nonostante la

decolonizzazione, i rapporti che attualmente intercorrono tra i Paesi del Nord e quelli del

Sud del mondo non sembrano poi tanto diversi: si sono creati governi nazionali nelle ex

colonie che accettano i consigli tecnici, anziché obbedire a imposizioni della madrepatria.

3. I PRINCIPI DI INVESTIMENTO RESPONSABILE (RAI PRINCIPLES)

Dicevamo che uno degli obiettivi nella regolazione dei fenomeni di accaparramento delle

risorse è stabilire dei principi che permettano di distinguerli dagli investimenti in

agricoltura. Il primo tentativo di definizione di tali criteri è emerso nel 2009, a seguito

della massiccia espansione degli investimenti in agricoltura su larga scala, dalla Banca

Mondiale, che ha stilato una lista di sette principi (Responsible Agricultural Investments

Principles, o semplicemente RAI Principles) il cui scopo è, appunto, discriminare gli

investimenti che hanno un impatto positivo sul settore agricolo del Paese ricevente dai

fenomeni di accaparramento di risorse. Riportiamo di seguito la tali principi145

:

1. Rispetto dei diritti sulla terra e sulle risorse: i diritti esistenti sulla terra e sulle risorse

naturali devono essere riconosciuti e rispettati.

2. Assicurare la sicurezza alimentare: gli investimenti non devono minare la sicurezza

alimentare ma, al contrario, devono rinforzarla

3. Assicurare trasparenza, buona governance e un ambiente corretto e favorevole: i

processi per l’accesso alla terra e alle altre risorse e i relativi investimenti devono svolgersi

in modo trasparente, essere monitorati e svolti da attori che possano assicurare la propria

responsabilità (accountability) in un ambiente regolato da norme legali.

4. Consultazione e partecipazione: tutti gli attori coinvolti devono essere consultati e le

decisioni prese in tali processi consultivi devono essere registrate e messe in pratica.

5. Investimenti agrari responsabili: gli investitori devono assicurare che i progetti rispettino

la legge, riflettano una logica di best-practice del settore, siano economicamente fattibili e

risultino in una creazione di ricchezza durevole e condivisa.

145

http://www.responsibleagroinvestment.org/rai/node/256

102

6. Sostenibilità sociale: gli investimenti devono generare impatti socialmente desiderabili e

redistribuzione di ricchezza, e non esacerbare la vulnerabilità di determinati gruppi sociali.

7. Sostenibilità ambientale: gli impatti ambientale dei progetti devono essere

adeguatamente quantificati e devono essere intraprese misure che incoraggino un uso

sostenibile delle risorse e allo stesso tempo minimizzino il rischio o l’entità degli impatti

negativi, mitigandoli.

Questo primo codice di comportamento fu appoggiato anche da altre istituzioni

internazionali come la FAO, l’ IFAD e l’UNCTAD, mentre la società civile e i movimenti

di difesa dei piccoli produttori vi si opposero. Una delle critiche avanzate ai principi

proposti dalla Banca Mondiale è che proprio questa istituzione è spesso direttamente

coinvolta nelle transazioni internazionali riguardanti la terra e per questo la sua posizione

non può essere considerata imparziale. Tali movimenti sociali si sono uniti nel Civil

Society Mechanism ed hanno promosso la redazione e l’implementazione delle Linee

Guida sulla terra.

In entrambi questi strumenti (i Principi sugli Investimenti Responsabili in Agricoltura

sopra elencati e le Linee Guida che approfondiremo meglio in seguito) il principale

problema risiede proprio nella sua volontarietà, che fa sorgere dubbi sull’effettiva

implementazione che ne faranno i governi. Inoltre tendono a ricalcare una visione degli

investimenti in agricoltura come basati sul profitto, garantendo quindi una scarsa

protezione contro l’accaparramento di risorse naturali, specialmente se questo non avviene

attraverso vere e proprie acquisizioni di terre su larga scala, ma attraverso quei

cambiamenti nelle relazioni di proprietà e nell’uso della terra e delle biomasse che nel

primo capitolo abbiamo ricondotto al concetto di “sequestro del diritto a produrre”. Sono

quindi state stabilite delle nuove consultazioni in seno al CFS per stabilire nuovi principi

per l’investimento responsabile (questa volta indicati con la sigla “rai” in minuscolo),

iniziate a Novembre e che si prevede avranno definitiva approvazione il prossimo Ottobre.

A differenza di quanto accaduto nella prima definizione di questi principi da parte della

Banca Mondiale, in questo caso i movimenti della società civile che hanno proposto tali

negoziazioni parteciperanno attivamente al processo di negoziazione focalizzando la

discussione sugli investimenti a favore dei piccoli produttori di cibo146

.

146

http://www.grain.org/article/entries/4564-responsible-farmland-investing-current-efforts-to-regulate-land-

grabs-will-make-things-worse

103

Come per i codici di condotta atti a regolare altri settori economici, la definizione di

principi di responsabilità sociale è controversa in quanto fa riferimento a visioni etiche

dell’economia non universalmente condivise, che tendono ad essere definite, e quindi

omogenee, all’interno di una singola impresa, ma differiscono enormemente da una

all’altra147

. Per tale ragione non solo la ratifica di questi codici di condotta è volontaria, ma

si lasciano anche gli attori liberi nell’applicazione di tali strumenti. Si comprende quindi

come principi di investimento volontari e liberamente applicati non apportino effettive

modifiche al comportamento delle imprese. Allo stesso tempo questi codici di condotta

sembra dare legittimità alle transazioni commerciali sulle risorse naturali degli attori che li

ratificano. I movimenti della società civile, con GRAIN in testa, criticano l’idea che sia

possibile direzionare questo fenomeno affinché sostenga e promuova lo sviluppo

dell’agricoltura e il benessere delle comunità coinvolta e che per questo si dovrebbe

procedere non alla sua regolazione, ma bensì alla sua totale delegittimazione, mettendolo

quindi fuori legge, come è stato , ad esempio, per la tortura e la schiavitù148

.

Come abbiamo accennato nel primo capitolo, oltre che dalle istituzioni finanziarie

internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e le varie

Banche regionali di sviluppo, l’approccio win- win è stato fatto proprio anche da numerosi

Paesi in via di sviluppo che, rifiutando l’accezione di accaparramento, mettono l’accento

sulla necessità di incentivare queste pratiche per favorire l’afflusso di moneta straniera149

.

4. LE LINEE GUIDA VOLONTARIE SULLA GESTIONE RESPONSABILE DELLA

TERRA, DEI TERRITORI DI PESCA E DELLE FORESTE150

All’approccio definito Win- Win adottato dalle agenzie multilaterali dello sviluppo, basato

su una matrice neoliberista che condanna l’intervento e la regolazione statale, si oppone un

approccio basato sui diritti umani, che abbiamo introdotto nel capitolo precedente riguardo

147

Hill Charles, W.L. 2012. “International Business. Economia e strategia internazionali: l’impresa nei

mercati globali”, Hoepli

148

http://www.grain.org/article/entries/4564-responsible-farmland-investing-current-efforts-to-regulate-land-

grabs-will-make-things-worse 149

Paoloni, L. 2012 “Land Grabbing e beni comuni” in “Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni

comuni” a cura di Marella, M.R., Ombre Corte

150 Le considerazioni sulle Linee Guida si basano, oltre che sulle stesse e sulla poca letteratura esistente al

momento, sull’ esperienza di osservazione personale che la sottoscritta ha avuto modo di effettuare nei

rounds negoziali di Ottobre 2011 e Marzo 2012. Essendo stata accreditata come osservatrice del gruppo

rappresentante le organizzazioni delle società civile (CSO), ho avuto modo anche di partecipare alle riunioni

di tale gruppo, consolidando le mie conoscenze sul tipo di approccio al tema dell’accaparramento delle

risorse naturali.

104

al dibattito in corso sulla questione della gestione delle risorse idriche. L’approccio basato

sui diritti umani, supportato dai movimenti della società civile, parte dalla considerazione

che l’accesso all’acqua, al cibo e alle risorse necessarie alla sopravvivenza siano diritti

umani, e come tali inalienabili151

.

A fronte dell’estensione e della gravità del fenomeno di accaparramento delle terra e delle

altre risorse naturali vitali per la sopravvivenza di milioni di persone in tutto il mondo e

dello scarso, se non nullo, freno posto ad essi dai principi di investimento responsabile

sopra esposti, con una forte mobilitazione da parte della società civile è stato messo in

moto un percorso per la stesura di un documento con lo scopo di limitare, più che regolare,

quanto più possibile tali fenomeni.

4.1. IL PROCESSO DECISIONALE

Lo scorso 9 Marzo si sono conclusi i negoziati FAO per la compilazione delle Linee guida

volontarie per una governance responsabile dei regimi di proprietà applicabili alla terra,

alla pesca e alle foreste (Voluntary Guidelines on the Responsible Governance of Tenure

of Land, Fisheries and Forests in the Context of National Food Security), ratificate l´11

Maggio successivo durante una sessione speciale del Commissione per la Sicurezza

Alimentare Mondiale (CFS) da 125 Paesi152

. Questo documento è inteso come un

framework contenente i principi fondamentali a cui i governi e gli attori privati possono

attenersi nell´amministrare le questioni relative ai diritti di proprietà sulla terra e sulle

risorse ittiche e forestali, nell´ottica della difesa degli interessi delle popolazione e della

promozione della sicurezza alimentare e dello sviluppo rurale153

.

I processi consultivi sono durati tre anni e sono stati, in una prima fase di carattere

regionale. Questi processi consultivi regionali hanno avuto luogo in Brasile, Burkina Faso,

Etiopia, Giordania, Namibia, Panama, Romania, Federazione Russa, Samoa e Vietnam,

hanno visto coinvolte 700 persone provenienti da 113 nazioni rappresentati del settore

pubblico e privato, della società civile e esperti. Il CSM ha tenuto inoltre quattro

consultazioni in Mali, Malesia, Italia e Brasile, con la partecipazione di circa 200 persone

151

Borras, S.M.Jr e Franco J.C., 2010 “From Threat to Opportunity? Problems with the Idea of a “Code of

Conduct” for Land Grabbing”, Yale Human Rights and Development Law Journal, 13 (2): 507-23

152

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

153

http://www.fao.org/news/story/it/item/128907/icode/

105

provenienti da 70 Paesi. Anche il settore privato ha tenuto una propria consultazione, alla

quale hanno preso parte 70 persone di 21 Stati. Questo mostra l´inclusività e l’ampia

partecipazione ai processi consultivi. Le negoziazioni si sono tenute alla sede centrale della

FAO in tre rounds: il primo tra giugno e luglio 2011, il secondo a ottobre 2001 e il terzo e

conclusivo a marzo 2012.

Le negoziazioni hanno visto tra i partecipanti non solo i governi dei Paesi membri della

FAO, ma anche organizzazioni della società civile, agenzie internazionali e ONU e

rappresentanti del settore privato. I Paesi si sono presentati in 6 raggruppamenti regionali:

Africa, Asia, America latina, Nord America, Unione Europea e Medio Oriente. Le

organizzazioni della società civile (CSOs) hanno partecipato collettivamente alle

negoziazioni riunite nel CSM (Civil Society Mechanism), un meccanismo nato allo scopo

di facilitare il dialogo e la coordinazione delle varie organizzazioni della società civile allo

scopo di influenzare la governance nazionale, regionale e internazionale su agricoltura e

sicurezza alimentare154

. L´inclusione di una tale varietà di attori sociali nei processi

decisionali è stata una novità e ha determinato un precedente per le future negoziazioni

internazionali in tema di agricoltura e sicurezza alimentare155

. Infatti, questa è stata la

prima volta che 3 portavoce dei movimenti e delle organizzazioni della società civile

hanno avuto modo di esporre le proprie proposte e argomentazioni all`Assemblea plenaria

della FAO.

Le Linee Guida sono state una prima risposta istituzionale al crescente fenomeno di

acquisizioni di terre su larga scala, in quanto non esisteva fino a quel momento nessun

documento che regolasse la questione della proprietà fondiaria a livello internazionale dal

punto di vista dei diritti umani156

. Questo strumento integra, inoltre, le disposizioni legali

internazionali per la protezione dei diritti umani con la legislazione sull´ambiente, sfere

che fino a quel momento erano sempre state tenute separate. Infatti, se si esclude il

riconoscimento del diritto alla terra e alle risorse naturali garantito ai popoli indigeni, non

si rintracciano tra gli strumenti internazionali le stesse garanzie a favore dei produttori su

piccola scala, siano essi contadini, pastori o pescatori157

. Le Linee Guida hanno, quindi il

154

http://www.csm4cfs.org/about_us-2/what_is_the_csm-1/

155

Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-

gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve

156

http://landportal.info/sites/default/files/actionaid_voluntaryguidelines_guide.pdf

157

Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-

gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve

106

merito di mettere in primo piano nelle questioni relative alla terra e alle risorse naturali, il

ruolo di determinati gruppi sociali: le donne, i popoli indigeni, i contadini, i pescatori

artigianali, i pastori158

.

Le Linee Guida non sono vincolanti dal punto di vista legale e sono soggette alla legge

dello Stato che le adotta, tra l´altro volontariamente. Dal momento che in moltissimi casi lo

Stato figura come attore coinvolto direttamente nella transazione, si comprende come

questo rappresenti un notevole limite all´implementazione effettiva. La forza di questo

strumento risiede nell´inclusività del processo decisionale che ne è stato alla base e, quindi,

nel largo consenso sul documento finale.

4.2. LA STRUTTURA

Le Linee Guida sono composte da 7 sezioni e da un totale di 26 capitoli, secondo la

seguente struttura:

Prefazione

1) Introduzione: in questa prima parte si afferma che l’obiettivo principale consiste nel

fornire strumenti per una governance della terra, delle risorse ittiche e delle foreste che

miri alla sicurezza alimentare, tenendo in considerazione le necessità e le istanze dei

gruppi marginalizzati. Legando questo testo alla Dichiarazione Universale dei Diritti

Umani e alla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni, non solo si ancora questo

documento ad una legislazione basata sui diritti umani, ma lo si rende anche rilevante

dal punto di vista legale sia a livello internazionale che nazionale, a dispetto

dell’esplicita volontarietà della sua adozione159

. Questa prima parte è divisa in due

capitoli:

1. Obiettivi

2. Natura e scopo

2) Questioni generali: oltre a ribadire l’approccio centrato sui diritti umani, in questa

seconda parte si affermano i principi fondamentali e di implementazione, come quello

di equità, di non discriminazione, di dignità umana, di parità rispetto al genere, ecc..

Viene, inoltre, promosso un tipo di approccio olistico per la gestione delle risorse 158

http://www.croceviaterra.it/index.php/home/22-in-evidenza/91-11-maggio-approvate-le-linee-guida-

volontarie-sulla-terra

159 TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

107

naturali. In questa parte, inoltre, si stabiliscono i doveri dello Stato e degli attori non

statali a rispettare, proteggere e implementare (protect, respect and fulfill) i diritti

esistenti sulla terra, sia che siano riconosciuti legalmente sia se sono consuetudinari. Da

segnalare anche il riferimento alle obbligazioni extra territoriali (ETO o Maastricht

Principles), che riguardano non solo le amministrazioni pubbliche, ma anche attori

privati. Questi principi regolano non solo le questioni meramente transfrontaliere, ma

anche gli interventi di cooperazione internazionale e le azioni da parte di compagnie

multinazionali160

. Questa parte è suddivisa nei seguenti quattro capitoli.

3. Principi guida nella governance responsabile dei regimi di proprietà

3A. Principi generali

3B. Principi di implementazione

4. Diritti e responsabilità legati ai regimi di proprietà

5. Quadri politici, legali e organizzativi legati ai regimi di proprietà

6. Fornitura di servizi

3) Riconoscimento legale e allocazione dei diritti e doveri di proprietà: questa terza parte

è di fondamentale importanza in quanto tratta la questione dei diritti consuetudinari e

della proprietà informale. La tematica è particolarmente rilevante non solo per i popoli

indigeni, ma anche per le comunità agricole dei Paesi che non hanno sviluppato un

sistema catastale e che stanno oggi assistendo all’espropriazione di terre su cui hanno

risieduto e lavorato per generazioni. I pescatori artigianali e i pastori nomadi sono altre

due categorie particolarmente affette dalla questione dell’accesso, del controllo e della

salvaguardia dei commons. Questo termine, tradotto in italiano con “beni comuni”, si

distingue sia dai beni costituiti dalla sommatoria di beni privati, sia dai beni pubblici:

infatti, mentre in questi ultimi due casi prevale la componente individualistica, nel caso

dei beni comuni l’utilizzo non avviene né in concorrenza né a prescindere, ma insieme

agli altri161

. I capitoli che compongono questa parte sono:

7. Salvaguardie

8. Terre, risorse ittiche e foreste pubbliche

9. Popoli indigeni e altre comunità con sistemi di proprietà basati sul diritto

consuetudinario

10. Proprietà informale

160

Rimandiamo al capitolo precedente per una trattazione più approfondita dei principi di Maastricht.

161

Paoloni, L. 2012 “Land Grabbing e beni comuni” in “Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni

comuni” a cura di Marella, M.R., Ombre Corte

108

4) Trasferimenti e altri cambiamenti relativi ai diritti e ai doveri nei regimi di proprietà:

questa quarta sezione rappresenta il cuore delle Linee Guida ed è stata, infatti, la parte

più controversa, che ha fatto slittare l’approvazione a Marzo, mentre questa era stata

prevista a Ottobre, in occasione della 37esima

sessione del Comitato sulla Sicurezza

Alimentare (CFS). in questa sede, e specialmente nel dibattutissimo capitolo 12, si

cerca di delineare un insieme di Linee Guida per la definizione di cosa si intende per

investimenti responsabili in agricoltura. Difficile è stato il raggiungimento di un

accordo anche nei capitoli riguardanti le politiche redistributive e le forme di

compensazione a seguito di pratiche di esproprio, permesso solo per motivi di interesse

pubblico; concetto quest’ultimo per la cui definizione si rimanda alla legislazione

nazionale. Nonostante l’ancoramento alla questione dei diritti umani sia in questa parte

meno evidente, al punto che si indica nel mercato uno strumento valido per l’attuazione

di politiche redistributive, la lettura di questa sezione alla luce dell’obiettivo principale

di questo strumento, esposto nella prima parte, implica una protezione contro fenomeni

di concentrazione e di speculazione162

. Elenchiamo di seguito i capitoli costituenti

questa quarta parte del documento.

11. Mercati

12. Investimenti

13. Consolidamento della proprietà della terra e altre misure di aggiustamento

14. Restituzione

15. Riforme redistributive

16. Espropriazione e compensazione

5) Amministrazione dei regimi di proprietà: a partire dalla constatazione che fenomeni di

accaparramento delle terre e di altre risorse naturali possano verificarsi a causa di

lacune nella legislazione e nell’ amministrazione, in questa quinta sezione si delineano

dei principi guida per l’implementazione di un più efficace sistema catastale. Una

definizione chiara dei diritti di proprietà, come abbiamo visto nel primo capitolo, non

costituisce di per sé una garanzia per i piccoli produttori per ottenere un effettivo

controllo sulla terra. Tuttavia, questa appare indispensabile, per esempio, nelle

questioni transfrontaliere: si pensi, ad esempio, alla questione dei diritti sulle acque che

bagnano più di un Paese diverso, come visto nel secondo capitolo. Inoltre, si rintraccia

162

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

109

in un sistema fiscale efficiente e basato su tasse equamente distribuite un mezzo per

limitare le transazioni economiche a fini prevalentemente o esclusivamente

speculativi163

. I capitoli che compongono questa parte sono:

17. Registrazione dei diritti di proprietà

18. Valutazione

19. Tassazione

20. Regolazione della pianificazione territoriale

21. Risoluzione dei conflitti relativi ai diritti di proprietà

22. Questioni transfrontaliere

6) Risposte al cambiamento climatico e alle emergenze: in questa sesta parte si affrontano

due delle questioni che nel primo capitolo abbiamo indicato con centrali: la crisi

ambientale e la presenza di conflitti sul territorio. Come abbiamo visto, cambiamento

climatico e sicurezza alimentare sono inestricabilmente intrecciati, ma mentre nel

lungo periodo il primo è sicuramente condizione necessaria per la seconda, nel breve e

medio periodo il legislatore può trovarsi di fronte al dilemma di quale dei due aspetti

privilegiare in un certo contesto. In generale, tuttavia, queste Linee Guida promuovono

l’adozione di pratiche sostenibili che prevengano e mitighino gli effetti del

cambiamento climatico. Di fondamentale importanza è anche la questione relativa ai

conflitti e alla gestione delle emergenze, siano esse conseguenza di eventi naturali o

dell’azione umana. I tre capitoli che compongono questa parte sono i seguenti:

23. Cambiamento climatico

24. Disastri naturali

25. Conflitti rispetto al possesso di terre, risorse ittiche e boschive

7) Promozione, implementazione, monitoraggio e valutazione: la volontarietà di questo

strumento di diritto internazionale ne costituisce il limite maggiore

nell’implementazione e per questo non è stato possibile prevedere un organismo

internazionale di monitoraggio. Questa funzione, infatti, viene rimessa direttamente ai

governi nazionali. Si riconosce, tuttavia, al CFS il ruolo di spazio di discussione e

confronto sulle esperienze intraprese dai vari Paesi, e al suo Segretariato quello di fare

rapporto sui progressi nell’implementazione e sull’impatto delle Linee Guida a livello

internazionale, mettendo in evidenza le strade che si sono rivelate più efficaci e

163

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

110

positive164

. Per il monitoraggio a livello nazionale sarà necessario stabilire degli

standard e dei criteri per poter valutare lo stato di avanzamento nell’applicazione di

questo documento, oltre che per identificare i casi in cui i suoi principi non vengono

rispettati. Per quanto riguarda la promozione, essa si intende non solo a livello

internazionale, per un’adozione universale di questo documento, ma anche a livello

nazionale e locale, facendolo conoscere e adottare anche nella pratica a enti e

amministrazioni locali.

4.3. ASPETTI POSITIVI

“Ci sono milioni di persone, contadini, popoli indigeni, allevatori, pescatori, che

dipendono completamente dalle risorse naturali” afferma Olivier De Schutter “ma non

sono tutelati da alcuna norma giuridica. Le direttive offrono la possibilità di colmare

questo vuoto legislativo e di possono diventare uno strumento indispensabile nel dialogo

con i governi”165

. Questo è innanzitutto il merito delle Linee Guida volontarie: iniziare un

processo legislativo che assicuri sempre maggiore protezione e garanzie ai piccoli

produttori nell´accesso alla terra e alle altre risorse naturali.

I lunghi processi di negoziazione sono stati determinati soprattutto al disaccordo su

determinati paragrafi e capitoli, specialmente quelli contenuti nella sezione 4, sui quali lo

scontro tra governi e organizzazioni della società civile si è fatto più acceso. I punti su cui

il CSM è riuscito a imporre la propria voce sono soprattutto i seguenti166

:

- Si afferma che lo scopo delle Linee Guida risiede soprattutto nello sradicamento

della povertà, con particolare attenzione ai gruppi sociali marginalizzati, e

riferimento esplicito alla Dichiarazione dei diritti umani (par 1.1)

- Si rivolgono non solo agli Stati ma anche agli attori privati, riconoscendone la

responsabilità di agire nel rispetto dei diritti umani e dei vigenti diritti di proprietà,

affidando allo Stato il compito di vigilare che tali violazioni non vengano

commesse (par 3.2, lungamente dibattuto)

- Si elencano i seguenti principi da rispettare nei processi di implementazione:

dignità umana, non discriminazione, equità e giustizia, parità rispetto al genere (in

164

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

165

http://www.europafrica.info/it/cfs/vg

166

Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-

gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve

111

tutto il testo ci sono vari riferimenti alla questione di genere167

), approccio olistico e

sostenibile, consultazione e partecipazione (con definizione di standard da

rispettare per assicurare una reale partecipazione degli attori coinvolti), ruolo della

legge, trasparenza, responsabilità, miglioramento continuo (par 3B)168

. Il

riferimento alla consultazione è particolarmente importante visto che, fino a quel

momento, la clausola del consenso preventivo, libero e informato (free, prior and

informed consent) era uno strumento garantito esclusivamente ai popoli indigeni169

.

- Nel capitolo 4 spicca innanzitutto, una definizione di “interesse pubblico” : nel par

4.3, infatti, si afferma che le misure intraprese dallo Stato per interesse pubblico

devono essere determinate dalla legge, avere come scopo la promozione del

benessere generale, che comprende anche la protezione dell´ambiente, e essere

coerenti con gli obblighi relativi al rispetto dei diritti umani assunti dallo Stato.

- Importante è anche il paragrafo successivo (4.4), che raccomanda il riconoscimento

dei diritti di proprietà non formalizzati e della personalità giuridica a tutti i cittadini,

in modo tale da fornire tutele contro gli sfratti e gli espropri. In questa linea, il par

4.8 raccomanda il rispetto dei diritti civili e politici di tutti coloro che difendono i

diritti umani, in questo caso i diritti dei piccoli produttori, mentre il par 4.9 assicura

loro accesso alla giustizia170

.

- Si promuove un approccio olistico alla terra e alla natura, mettendo l´accento sul

significato non solo economico e ambientale, ma anche culturale e sociale che i

regimi di proprietà incorporano, specialmente nei regimi consuetudinari e

tradizionali, spingendo quindi per un loro riconoscimento (par 5.3), anche quando

si trovino su terreni definiti come pubblici (par 8.2). Sulla stessa linea, si fa

particolare riferimento ai diritti dei popoli indigeni sulle terre ancestrali,

menzionando anche la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Popoli Indigeni, e al

riconoscimento della proprietà informale (cap 10)171

. Infatti, il riconoscimento dei

167

Nei paragrafi 4.6, 5.3, 5.4, 5.5, 21.1, 25.4, 25.5.

168

http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-

governance-of-land/

169 TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

170

http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-

governance-of-land/ 171

Ibidem

112

diritti consuetudinari sulla terra e l’introduzione di un intero capitolo che lo

sancisce ha rappresentato un’innovazione, oltre che una vittoria per i movimenti

della società civile.

- Una delle lacune maggiori di questo documento può essere rintracciata nel fatto che

sono applicabili solo a questioni relative alla proprietà della terra o delle altre

risorse naturali, e non al suo uso e alla sua gestione. Acquisisce così particolare

rilievo il riferimento ai diritti di raccolta (gathering rights), cioè di diritti secondari

che scaturiscono dal lavoro e non dalla proprietà (par 7.1).

- Abbiamo visto nei capitoli precedenti che le varie agenzie dello sviluppo che

promuovono l´ideologia neoliberista hanno spinto finora verso una frammentazione

delle risorse naturali e per un ritiro dello Stato a favore del mercato nella loro

gestione. Per questo assume particolare rilievo l´affermazione fatta nel par 8.3 che

la terra, le risorse ittiche e i boschi appartengono collettivamente al demanio e che

da questo devono essere gestiti in maniera collettiva.

- Come abbiamo accennato, la sezione 4 è stata sicuramente la più dibattuta,

specialmente i capitoli 11 e 12, sui quali i governi hanno imposto molte restrizioni

agli strumenti di regolazione proposti dal CSM. Sono stati riconosciuti la

protezione da parte dello Stato delle comunità coinvolte in fenomeni di

concentrazione e speculazione fondiaria e che la regolazione dei mercati relativi

alla proprietà della terra dovrebbe basarsi su principi di protezione sociale,

ambientale e culturale (par 11.2). Nel capitolo 11 ha un particolare rilievo anche il

riconoscimento del ruolo centrale svolto dei piccoli produttori nel contesto della

sicurezza alimentare nazionale e, quindi, per la stabilità sociale raccomandandone

di conseguenza allo Stato la protezione nelle transazioni economiche attinenti alla

terra (par 11.8) e il sostegno negli investimenti che questi piccoli produttori fanno

sulle loro terre (12.2).

- Nel paragrafo 12.4 sono delineati alcuni principi generali per gli investimenti

responsabili: il dovere di non nuocere, la salvaguardia contro l´espropriazione

illegittima e contro i danni ambientali e il dovere di rispettare i diritti umani. Si

elencano inoltre le finalità che tali investimenti dovrebbero perseguire:

sradicamento della povertà, sicurezza alimentare, uso sostenibile delle risorse,

supporto alle comunità rurali, contributo allo sviluppo rurale, protezione e

promozione dei sistemi locali di produzione, sostegno ad uno sviluppo economico e

sociale sostenibile, creazione di opportunità di lavoro, diversificazione dei mezzi di

sussistenza, benefici a tutti i gruppi sociali del Paese. Tutto questo, deve avvenire in

113

accordo con i principi legali nazionali e internazionali, con un particolare

riferimento alle convenzioni ILO (Organizzazione Mondiale del Lavoro). In

accordo con questi principi, gli Stati nell´investire all´estero devono tenere in

considerazione i diritti legittimi di proprietà e la promozione della sicurezza

alimentare: Sofia Monsalve172

fa notare a questo proposito che una tale condotta

implicherebbe una revisione di alcune politiche relative ai bio carburanti promosse

dagli stati Uniti e dall´Unione Europea, che hanno conseguenze negative sul

raggiungimento della sicurezza alimentare nei Paesi in cui avvengono gli

investimenti (par12.5). Sulla stessa linea, si scoraggiano quegli investimenti che

comportano un trasferimento di proprietà su larga scala nelle mani degli investitori.

- Sicuramente molto importante risulta anche il capitolo 15, attinente alle politiche

redistributive nelle zone caratterizzate da un´alta concentrazione di proprietà,

raccomandando allo Stato di creare una situazione che faciliti e sostenga il lavoro

dei beneficiari di tali riforme. Va menzionato anche il capitolo 16, che elenca

alcune direttive relative agli sfratti e alle espropriazioni.

- L´amministrazione della proprietà dovrebbe tenere conto dei sistemi locali e della

gestione sostenibile del territorio, con particolare riferimento alle due questioni che

nel primo capitolo abbiamo visto come fondamentali e, spesso, antitetiche: la

sicurezza alimentare e la protezione dell´ambiente (20.5).

- Importante anche il paragrafo 22.2 che nel promuovere una gestione e una

governance delle aree transfrontaliere cita esplicitamente i pastori migranti, che tra

i piccoli produttori sono la categoria che più di ogni altra ha sofferto della creazione

di confini rigidi tra gli Stati, che hanno bloccato l´accesso ai pascoli tradizionali.

- Particolarmente difficile è stato anche il conseguimento del consenso nelle

questioni relative al cambiamento climatico. Oltre ad affermare che

l´amministrazione della proprietà deve tenere in considerazione i rischi e le

conseguenze di questo fenomeno (par 20.5), si promuove anche la partecipazione

dei piccoli produttori ai processi di negoziazione per la definizione dei principi

giuda volti alla mitigazione del cambiamento climatico (par 23.3).

- Per quanto riguarda i conflitti armati, si fa riferimento ai Principi Pinheiro173

sulla

restituzione delle terre ai profughi e ad altre convenzioni internazionali sui diritti

umani (cap. 25).

172

Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-

gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve

173

United Nations Principles on Housing and Property Restitution for Refugees and Displaced Persons

114

- Infine, nella sezione finale relativa all´implementazione, si raccomanda agli Stati di

creare piattaforme con lo scopo di monitorare e valutare l´applicazione delle Linee

Guida nel contesto nazionale e le sue conseguente in termini di sicurezza

alimentare (par 26.2), mentre a livello sovranazionale tale compito viene affidato

alla Segreteria del CFS che, insieme ad un gruppo consultivo costituito ad hoc,

deve stilare rapporti relativi ai progressi nell´attuazione delle Linee Guida.

4.4. ASPETTI NEGATIVI

“Un primo essenziale passo è stato compiuto, ma è ancora molta la strada da fare prima

che siano pienamente riconosciuti e rispettati i diritti dei popoli sulla terra, i territori di

pesca e le foreste” hanno commentato gli esponenti delle organizzazioni della società

civile all´indomani dell´approvazione delle Linee guida volontarie174

. Il testo, infatti,

presenta numerose lacune, le quali possono essere in parte colmate attraverso la lettura e

l’applicazione di questo strumento in congiunzione ad altri strumenti di rilievo

internazionale175

, che in un primo momento erano stati esplicitamente elencati in un

Annesso finale per volere delle organizzazioni della società civile, ma che è stato poi

eliminato nell’ultima fase delle negoziazioni .

Uno dei lati negati maggiori che si riscontra è la formulazione stessa, che in molti casi

risulta molto vaga e generica176

, aprendo così la strada a interpretazioni diverse. Inoltre,

non viene data una priorità assoluta ai piccoli produttori, necessaria per assicurare un tipo

di agricoltura sostenibile. Riportiamo sotto i temi che sono stati esclusi dalle Linee guida e

che, secondo le organizzazioni della società civile, costituiscono delle vere e proprie

lacune177

.

- La questione che è stata segnalata prima di tutte le altre è quella dell´acqua178

: il

tema, infatti, è solo accennato nella Prefazione, dove si mette in evidenza il legame

174

http://www.croceviaterra.it/index.php/home/22-in-evidenza/91-11-maggio-approvate-le-linee-guida-

volontarie-sulla-terra 175

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

176

http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-

governance-of-land/ 177

Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-

gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve

178

http://www.croceviaterra.it/index.php/home/22-in-evidenza/91-11-maggio-approvate-le-linee-guida-

volontarie-sulla-terra

115

tra una governance responsabile dei regimi di proprietà relativi alle terra, alla pesca

e alle foreste e l´accesso e la gestione delle altre risorse naturali, tra cui l´acqua e le

risorse minerali. Abbiamo visto nel capitolo precedente come, invece, terra e acqua

siano due risorse inseparabili e come i fenomeni di accaparramento dell´uno sono

spinti e incidono anche sull´altra. In questo capitolo, quindi, cercheremo di

immaginare come le Linee guida possano essere applicate ai fenomeni di water

grabbing.

- Altra questione di fondamentale importanza riguarda il fatto che questo documento

mira a preservare la proprietà della terra e non è applicabile a questioni relative

all´uso e alla manipolazione delle risorse naturali. La questione del controllo della

terra, invece, come abbiamo visto nel primo capitolo, oggi è strettamente legata

all´uso che se ne fa e con quale finalità. Le transazioni economiche che non

comportano un trasferimento di proprietà ma un cambiamento della produzione o

dell´uso di una determinata coltura non risultano quindi regolate da questo

documento.

- Anche per quanto riguarda i passaggi di proprietà, non sono stati messi i limiti,

fortemente voluti dal CSM, ammettendo così i fenomeni di accaparramento delle

terre, anche se alcune limitazioni sono state inserite nel capitolo 12, le quali

possono essere utilizzate per opporre resistenza al fenomeno.

- Per quanto si siano stabiliti degli standard per la partecipazione di tutti gli attori

coinvolti ai processi decisionali, non si è riusciti a estendere il principio del

consenso preventivo, libero e informato, che viene applicato alle popolazioni

indigene, alle altre comunità.

- Nel capitolo riguardante le politiche redistributive, si è ammesso il principio che

l´allocazione della terra sia stabilita in base ai meccanismi del mercato, facendo

così perdere alla riforma qualsiasi significato in termini di sviluppo sociale.

- La generalità e vaghezza delle formulazioni, abbiamo detto, aprirà a interpretazioni

diverse: in tutto il testo, non mancano riferimenti ai quali gli attori interessati

all´applicazione di meccanismi di mercato nel sistema fondiario possano fare

riferimento.

- Nonostante il riferimento ai Principi Pinheiro, non è stato fatto esplicito riferimento

alla possibilità di ritorno alle proprie terre per le popolazioni fuggite a causa della

guerra.

116

- Non è stato riconosciuto il principio di coerenza delle politiche, che il CSM aveva

promosso e raccomandato specialmente nei confronti del gruppo Africa179

.

- Infine, non si è dato vita ad un forte meccanismo di monitoraggio delle politiche e

delle azioni dei governi, delegando il compito, come abbiamo detto, alla Segreteria

del CFS coadiuvata da un gruppo consultivo.

4.5. IL PROBLEMA DELL’ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE IDRICHE

NELLE LINEE GUIDA

Come abbiamo accennato sopra, le organizzazioni della società civile lamentano l´assenza

di direttive relative alle risorse idriche180

come una delle lacune più gravi nel testo,

specialmente nel contesto della crescente presa di coscienza della rilevanza dell´acqua nei

processi di accaparramento delle terre. Inoltre, la questione delle risorse ittiche è

strettamente legata alla gestione dell´acqua, in quanto, come abbiamo visto nel capitolo

precedente, una semplice analisi del ciclo dell´acqua mostra come la gestione delle risorse

idriche possa impattare sui pesci e, di conseguenza, sulla sopravvivenza dei pescatori

artigianali. Infatti, come ha affermato Rehema Bavuma, rappresentante dell´Uganda del

World Forum of Fish Harvesters & Fish Workers (WFF), “ I pescatori artigianali non

godono degli stessi diritti che gli Stati nazionali garantiscono alla pesca intensiva. Questo

crea un vuoto legislativo che va a detrimento delle comunità locali e dei pescatori

artigianali”181

. Il ciclo dell´acqua permette anche di comprendere come ogni cambiamento

sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo sui regimi idrografici impatti seriamente

sulla produzione agricola.

Lo stretto legame tra acqua e terra è stato messo in evidenza dalla FAO, che vede nel

riconoscimento dei diritti di proprietà sulla terra la strada per assicurare ai piccoli

produttori l´accesso alle risorse. Nel discorso promosso dalla FAO la terra è l´elemento

centrale, il cui accesso e utilizzo viene visto come condizione necessaria per l´accesso

all´acqua, al cibo e alle risorse energetiche. Si afferma che in questo senso le Linee guida

avranno il ruolo di creare una base comune di accordo per procedere all´implementazione,

soprattutto a livello nazionale, di questo basilare principio. Si afferma, infatti, che questo

179

Brief On Civil Society Remarks And Recommendations To 2012 Fao Regional Conferences http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/ngo/pdf/Regional_Civil_Society_Consultations.pdf

180

http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-

governance-of-land/ 181

http://www.cidse.org/content/articles/just-food/land-land-grabbing/fao-voluntary-guidelines-on-land-

approved.html

117

documento potrà promuovere politiche relative alla gestione delle risorse idriche che siano

impattino positivamente sulle fasce più povere della popolazione182

.

Come abbiamo accennato sopra, un riferimento esplicito all´acqua viene fatto soltanto

nella prefazione, quando si dichiara l’inestricabile connessione tra la gestione della terra

con le altre risorse naturali e che gli Stati, pur sempre all´interno dei quadri legislativi

nazionali, dovrebbero tenere in considerazione questo legame nell´implementazione delle

Linee guida183

. Si rimette, quindi, nelle mani delle leggi e dei sistemi fondiari nazionali, la

regolazione dell´accesso alle risorse idriche, legando così la questione dell´accesso

all´acqua alla proprietà, sia essa formalmente registrata o determinata dalla consuetudine,

della terra su cui tale risorsa si trova. Un implicito riferimento all´acqua può essere

riscontrato sempre nella Prefazione, quando si afferma che il cambiamento climatico e la

degradazione ambientale porteranno a sempre più numerosi conflitti per l´accesso alle

risorse. Infine, sempre nella Prefazione, si esplicita il legame tra queste Linee guida e gli

Obiettivi del Millennio, tra i quali figura quello di dimezzare il numero di persone che non

hanno accesso all´acqua entro il 2015: si suppone, quindi, che il rispetto di queste Linee

Guida promuova quei fenomeni che favoriscono il raggiungimento di questo scopo e

scoraggi quelli che, invece, hanno un impatto negativo sull´accesso all´acqua delle

popolazioni coinvolte.

Nell´elencare i principi generali a cui gli Stati devono attenersi, nel par 3.1.3 si include la

promozione di regimi fondiari che assicurino il completo godimento dei diritti di

proprietà, tra cui l´accesso ai servizi connessi: in questo senso, è facile vedere l´accesso

all´acqua e agli impianti di irrigazione come compresi. Si dichiara, inoltre, che anche gli

attori privati sono soggetti al rispetto di alcuni principi basilari, primo tra tutti quello dei

diritti umani, tra i quali, come abbiamo visto nel capitolo precedente, figura anche il diritto

all´acqua. Come nel GC 15, anche in questo documento si ribadisce che gli Stati sono

tenuti ad assicurasi che le imprese che hanno sede nel loro territorio nello svolgere

transazioni sulla terra non incorrano in violazioni dei diritti umani. Inoltre, il

riconoscimento della dignità come principio di implementazione mette, ancora una volta,

l´accento sull´importanza del rispetto dei diritti umani.

182

http://www.water-energy-food.org/documents/hottopicsessions/ht10/nexus_ht10_wehrmann.pdf

183

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

118

5. L’APPROCCIO SCIENTIFICO

Come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, il fenomeno del land grabbing è emerso

non tramite una riflessione accademica, ma attraverso un’inchiesta giornalistica, la quale

ha poi dato il via ad una serie di ricerche svolte perlopiù da ONG e movimenti della società

civile. Allo stesso modo, la spinta per la creazione di standard e basi di diritto

internazionali per la regolazione del fenomeno di accaparramento dello risorse ha nei

movimenti della società civile l’organo propulsore. Le ricerche condotte presentano un

importante elemento di novità: ad un metodo prevalentemente teorico e ideologico che

aveva caratterizzato in passato i movimenti e le organizzazioni delle società civile si

sostituisce oggi una metodologia fortemente basata su un approccio empirico.

Tra gli anni ’50 e gli anni ’70 il dibattito tra i governi, le agenzie multilaterali e le

organizzazioni della società civile si basava prevalentemente sulle diverse teorie

macroeconomiche sostenute dai diversi attori, che proponevano concezioni divergenti dello

sviluppo. Da una parte le istituzioni internazionali di stampo liberista proponevano la

cosiddetta teoria della crescita, che sosteneva quella concezione unidirezionale dello

sviluppo che abbiamo presentato sopra e che prevedeva che i Paesi in via di sviluppo

avrebbero dovuto seguire il percorso tracciato e sperimentato dai Paesi sviluppati,

attraverso la transizione da una società prevalentemente rurale a una industriale per poi

approdare alla agognata fase di maturità, caratterizzata da elevati consumi di massa. Tale

teoria prevedeva, quindi, la convergenza di tutti i Paesi verso quel benessere economico

che era stato raggiunto dai Paesi del Nord del mondo184

.

Questa teoria, criticata da tanti punti di vista, non ultimo per l’impianto etnocentrico, è

stata attaccata dai movimenti sociali a partire da un dato empirico: analizzando i tassi di

crescita dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi sviluppati si riscontra spesso, invece della

teorizzata convergenza, una netta divergenza. Il divario, invece di assottigliarsi, sembra

espandersi sempre più. In linea con il clima ideologico del periodo (anni ’60- ’70), i

movimenti sociali e le organizzazioni della società civile oppongono a questo approccio un

impianto teorico di stampo marxista, la teoria della dipendenza. Tale teoria vede lo

sviluppo dei Paesi ricchi come strettamente connesso e dipendente dal sottosviluppo dei

Paesi poveri, negando quindi la possibilità per questi ultimi di una crescita economica

all’interno del contesto capitalistico e dei mercati internazionali, sempre più aperti e

184

Hill Charles, W.L. 2012. “International Business. Economia e strategia internazionali: l’impresa nei

mercati globali”, Hoepli

119

interconnessi185

. Senza addentrarci troppo nelle questioni teoriche attinenti a questi due

approcci, e tralasciando gli impianti teorici alternativi ad esse che vennero proposti, ci

interessa qui ricordare come fino a pochi decenni fa il confronto tra i governi, le agenzie

internazionali e i movimenti della società civile si giocasse su un piano prevalentemente

teorico e ideologico.

In linea con l’accento messo oggi sulla conoscenza, il dibattito attuale, al contrario,

prescinde, almeno formalmente, da un impianto ideologico, e si basa su casi di studio, dati

raccolti sul campo e statistiche. L’approccio empirico proposto da Borras e Franco186

per

l’analisi dei casi di studio di land use modification presentato nel primo capitolo è un

esempio di tale andamento. Nei capitoli precedenti abbiamo visto come l’opposizione ai

fenomeni di accaparramento delle risorse si basa sulla confutazione empirica delle

posizioni sostenute da chi vede ancora negli investimenti in agricoltura su larga scala una

strada per lo sviluppo. Dati empirici hanno dimostrato che i bio-carburanti non hanno un

impatto minore sull’ambiente dei combustibili fossili, che la produzione intensiva e

monoculturale richiede più risorse di quella tradizionale, che la privatizzazione della

gestione delle risorse idriche non ne ha aumentato l’efficienza, ecc.. Analisi scientifiche

hanno dimostrato come, al contrario di quanto sostenuto dalle agenzie di sviluppo per

decenni, i metodi tradizionali utilizzati dalle popolazioni locali siano i più adatti ai vari

contesti187

. Questo non significa, però, il rifiuto delle moderne tecnologie, laddove queste

possano avere un impatto positivo in termini di riduzione dei tempi di lavoro o

dell’inquinamento, ad esempio. Quello che si promuove, però, è un accesso più

democratico a questi strumenti e alle conoscenze indispensabili188

.

Basta consultare le pubblicazioni delle organizzazioni della società civile impegnate sul

tema per riscontrare l’impegno di nello studio sul campo dei singoli casi di studio e come

la (eventuale) enunciazione di principi generali ricavati attraverso un processo induttivo.

Anche nel caso delle agenzie dello sviluppo si riscontra una maggiore tendenza a

suffragare le proprie affermazioni con dati, prevalentemente di natura statistica. Si nota,

185

Hill Charles, W.L. 2012. “International Business. Economia e strategia internazionali: l’impresa nei

mercati globali”, Hoepli

186

Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A

Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change,12( 1): 34-59

187

Pimbert, M. 2006 “Transforming knowledge and ways of knowing for food sovereignty and bio- cultural

diversity”, Paper for Conference on Endogenous Development and Bio-Cultural Diversity, the interplay of

worldviews, globalisation and locality in Geneva, Switzerland, IIED

188 Ibidem

120

tuttavia, una divergenza metodologica: mentre nel caso delle organizzazioni della società

civile si riscontra un metodo prevalentemente qualitativo, gli organi istituzionali sembrano

preferire un tipo di approccio quantitativo.

Al momento non esiste una metodologia condivisa da tutte le organizzazioni della società

civile nello studio sul campo dei casi di accaparramento delle risorse. Questo,

probabilmente, dipende proprio dalla ancora scarsa riflessione accademica sul tema, che

non è approdata ad un’analisi della metodologia di ricerca. Dall’altra parte, pur se vi sono

proposte per un approccio empirico condiviso come quella di Borras e Franco,

probabilmente non è un caso che proposte di stampo metodologico emergano proprio dal

Transnational Institute, che rappresenta una rete di ricercatori accademici, definiti “scholar

activists” che si impegnano nell’analisi critica dei fenomeni globali. Lo scopo esplicito di

questo istituto è infatti quello di “fornire un supporto intellettuale ai movimenti che

combattono per un mondo più democratico, equo e sostenibile”189

.

Nonostante le divergenze, analizzando nei diversi rapporti sui casi di studio le tecniche di

rilevamento e analisi dei dati, si riscontrano numerose analogie nelle metodologie utilizzate

dalle diverse organizzazioni. Come accennato sopra, l’analisi dei singoli casi di studio si

presta ad un metodo qualitativo, basato sulle tecniche di fact finding, utilizzate nel quadro

dell’analisi sistemica. L’analisi sistemica è un approccio analitico che facilita la

comprensione di realtà complesse focalizzandosi sulle interazioni tra gli elementi che

compongono il sistema e su quelle tra il sistema e l’ambiente. Questo approccio appare

oggi più consono allo studio di realtà complesse come le comunità rurali o gli ecosistemi

del modello riduzionista, largamente utilizzato fino a pochi anni fa nello studio dei casi. Il

riduzionismo è un tipo di approccio che suddivide un oggetto di studio in più elementi e

quindi li analizza separatamente, perdendo di vista il quadro generale. Le conseguenze

deludenti, quando non negative, della rivoluzione verde, mettono in evidenza come questo

tipo di approccio, che studia situazioni molto diverse da uno stesso limitato punto di vista,

si sia rivelato inadatto in questo campo. L’analisi sistemica, invece, con la sua

impostazione olistica e multi- disciplinare, riesce a cogliere in maniera più efficace nessi e

possibili conseguenze delle varie azioni190

.

189

http://www.tni.org/page/introduction 190

Pimbert, M. 2006 “Transforming knowledge and ways of knowing for food sovereignty and bio- cultural

diversity”, Paper for Conference on Endogenous Development and Bio-Cultural Diversity, the interplay of

worldviews, globalisation and locality in Geneva, Switzerland, IIED

121

L’utilità di questo approccio per la comprensione del contesto e per il processo decisionale

è stata riconosciuta anche a livello istituzionale: la FAO, specialmente l’High Level Panel

of Experts (HLPE), si avvalsa di queste tecniche di indagine in alcune ricerche sul campo e

ha fornito linee guida per l’utilizzo di questa metodologia, proponendone l’uso ad enti e

amministrazioni191

. La metodologia proposta dalla FAO risulta in linea con quella di cui si

avvalgono molte organizzazioni della società civile192

.

5.1. LE VARIABILI RILEVANTI

Nella prima fase della ricerca è fondamentale comprendere quali informazioni attinenti al

contesto devono essere rilevate per cogliere gli aspetti più importanti in una determinata

situazione: si tratta principalmente di dati demografici (quante persone vivono in una

determinata area, la densità, dati sui fenomeni migratori, quali gruppi sociali vengono

principalmente coinvolti nella transazione commerciale, ecc.); attinenti all’ambiente (quali

sono le risorse principali presenti sul territorio, le condizioni climatiche, ecc.); storici

(quali eventi hanno segnato la cultura, la politica e l’economia della comunità locale, quali

valori e figure hanno un peso maggiore nell’immaginario collettivo).

Si passa quindi all’analisi della comunità locale. Al centro dell’analisi sistemica, abbiamo

detto, c’è lo studio delle relazioni che intercorrono tra gli elementi; così diventa

fondamentale capire i rapporti di potere e di cooperazione tra i vari gruppi sociali: tra pari,

tra i sessi, tra generazioni diverse, tra vicini, tra persone con una diversa situazione

economica, ecc.. Come unità di misura, la FAO propone il nucleo domestico (household),

che in molti Paesi in via di sviluppo appare più significativo del singolo individuo e meno

vago del concetto di “famiglia”. Con gruppo domestico si intende un aggregato che

condivide lo spazio adibito alla preparazione del cibo e che riconosce uno stesso leader,

solitamente il capofamiglia. Lo studio delle relazioni di potere è necessario per

comprendere il grado di disuguaglianza economica e sociale all’interno della comunità e

permette quindi di capire come un certo cambiamento, che sia una politica o una

transazione economica, impatterà sulla struttura sociale.

Infine, particolare attenzione deve essere prestata alla sfera sociale, economica e politico-

amministrativa. Abbiamo visto nel primo capitolo l’importanza della studio delle relazioni

di proprietà sulla terra, le risorse naturali e gli altri mezzi di produzione del cibo. La sfera

191

http://www.fao.org/docrep/Q1085E/q1085e07.htm 192

Per la mia esperienza personale, mi riferisco in particolar modo alla metodologia utilizzata da FIAN, che

ho potuto apprendere attraverso lo studio di documenti interni durante il mio periodo di tirocinio.

122

economica è, però, anche influenzata dall’eventuale presenza, efficienza e inclusività di

servizi offerti dallo Stato (sanitari, d’istruzione, ecc.). dal punto di vista amministrativo, è

importante individuare quali siano i referenti e i canali formali e informali di

amministrazione del territorio e il livello di informazione e di partecipazione effettivo dei

cittadini ai processi decisionali193

. Ovviamente, l’approfondimento di certe informazioni va

valutato in base al contesto e all’obiettivo della ricerca.

5.2. LE TECNICHE DI RACCOLTA DEI DATI

Per la raccolta di dati si utilizzano le fonti scritte presenti e le tecniche di fact finding, che

comprendono l’intervista, il questionario, la registrazione video e/o audio e l’osservazione

partecipante194

. L’analisi secondaria, ossia lo studio delle fonti scritte disponibili,

rappresenta il primo irrinunciabile passo di ogni ricerca sociologica. In questo caso, tali

dati possono essere stati prodotti da tre tipi di fonti diverse. Prima di tutto, devono essere

analizzati i documenti ufficiali, prodotti dalle amministrazioni locali e centrali: censimenti,

regimi fiscali, catasti, ove presenti, sono la principale fonte di informazioni politico-

amministrative. In secondo luogo, rappresentano un’importante fonte di informazioni le

eventuali ricerche sociologiche, etnografiche e antropologiche condotte nell’area, che

permettono di attingere a dati riguardanti la struttura sociale. Questo tipo di informazioni

possono essere ricavate anche da storici e studiosi locali, organizzazioni, enti di ricerca e

università presenti sul luogo. Tali istituzioni possono fornire anche dati in merito alle

condizioni ambientali.

Le interviste in profondità vengono preferibilmente sottoposte a informatori privilegiati,

cioè a persone che, per le conoscenze di cui sono in possesso e per i contatti che hanno,

possono fornire informazioni dettagliate, specifiche e aggiornate, integrando le fonti

scritte, i cui dati possono risultare superati e che spesso, essendo state prodotte per altri

scopi, non contengono il grado di approfondimento necessario. Gli informatori privilegiati

possono appartenere alla comunità oggetto di studio, nel qual caso sono spesso i notabili

della zona, o essere esterni ad essa, come gli scienziati sociali che hanno già svolto

un’esperienza di ricerca presso quella comunità. In entrambi i casi, difficilmente le loro

opinioni possono essere considerate rappresentative di quelle della maggioranza dei

193

http://www.fao.org/docrep/Q1085E/q1085e07.htm 194

http://systemanalysisanddesign.blogspot.it/2008/11/fact-finding-techniques.html

123

componenti della comunità e vanno sempre, quindi, riscontrate attraverso altre fonti o

strumenti di ricerca195

.

Quando possibile, una delle fonti di raccolta di informazioni più valida è senza dubbio

l’osservazione partecipante, che attraverso l’immersione del ricercatore nella comunità per

un periodo relativamente lungo, gli permette di essere considerato quasi come un membro

di questa ed ha quindi maggiori possibilità di cogliere la prospettiva locale. È sicuramente

il metodo migliore per controllare la veridicità delle informazioni raccolte, oltre che per

raccogliere dati presso comunità che non sono state studiate in precedenza. Nei casi in cui

le attività svolte dal ricercatore possano risultare intrusive, si opta per un’osservazione non

partecipante, in cui non c’è un’immersione vera e propria nella comunità. Senza

addentrarci in dettaglio nei problemi metodologici che questo tipo di approccio comporta,

per quel che attiene le ricerche svolte dalle organizzazioni della società civile i maggiori

problemi riguardano senza dubbio i lunghi tempi e i costi elevati196

.

Seguendo una metodologia qualitativa, è consigliabile evitare di sottoporre interviste

strutturate ma di avere comunque una lista di argomenti da affrontare, in modo tale da

riuscire a ricavare le informazioni necessarie dando la maggiore libertà espressiva

all’intervistato. Un minimo di strutturazione delle interviste è, comunque, necessario, per

analizzarle da un punto di vista comparativo. Per la formulazione delle domande è

necessaria un’approfondita conoscenza del contesto, dal momento che queste dovranno

fare riferimento alla cultura locale per essere comprese dalla popolazione. È spesso

difficile riuscire ad intervistare un individuo singolarmente, senza che altri si aggiungano

alla conversazione: per questo, il ricercatore può prevedere fin dall’inizio un intervista di

gruppo. Se questo può creare problemi in termini di rappresentatività, spesso permette di

confrontare direttamente le informazioni fornite dai diversi membri, verificandole e

confutandole. È importante che le interviste e i questionari non rappresentino l’unico

metodo di raccolta dei dati, ma siano sempre affiancati dall’osservazione diretta dei

fenomeni oggetto di studio. In generale, in qualsiasi tipo di ricerca sociologica la

combinazioni più metodi di ricerca permette di ovviare, per quanto limitatamente, alle

distorsioni che le singole tecniche comportano.

195

http://www.fao.org/docrep/Q1085E/q1085e07.htm 196

Ibidem

124

5.3 I DATI AGGREGATI

Le organizzazioni non governative impegnate nella cooperazione internazionale si

avvalgono delle metodologie sopra descritte per raccogliere le informazioni sui singoli

contesti e per pianificare e implementare i loro progetti di intervento. Spesso, come nel

caso di FIAN, il loro aiuto viene sollecitato dalle organizzazioni contadine che, di fronte a

fenomeni di accaparramento delle loro risorse, si rivolgono a ONG di livello

internazionale. In base alla gravità della situazione, oltre ad una serie di questioni di ordine

tecnico, si decide che tipo di intervento mettere in atto. Una volta che un’organizzazione

sociale adotta un caso, quindi, conduce tutta una serie di ricerche, secondo modalità affini

a quelle descritte, per intervenire. In questo modo molte ONG si sono trovate in possesso

di un vastissimo numero di casi di accaparramento di risorse naturali e, grazie anche alla

promozione di forme di collaborazione sempre più strette tra le diverse organizzazioni, si è

dato vita a portali che raccolgono questi dati in forma aggregata. Oltre all’utilità tecnica,

queste piattaforme permettono di avere un’idea del fenomeno generale, sia dando la

possibilità di fare ricerche trasversali per capire, ad esempio, quali sono i Paesi o le zone

maggiormente interessate dal fenomeno del land grabbing o la provenienza dei principali

investitori, sia di avere una panoramica generale dell’estensione del fenomeno. Questi

portali, spesso corredati di immagini grafiche, permettono anche ai non addetti al mestiere

di farsi un’idea sulle proporzioni del fenomeno.

La prima raccolta dei casi di studio è stata fatta da GRAIN nel 2008, come annesso del loro

primo rapporto “Seized! The 2008 land grab for food and financial security” , che ha dato

l’avvio alla ricerca sul tema. Questo annesso consisteva in una mappatura che

comprendeva circa un centinaio di casi di acquisizioni o affitto di terre su larga scala

mettendo in luce il Paese investitore, il soggetto investitore, il Paese target, il tipo di

produzione prevista e i dettagli della transazione.

Figura 1 Esempio estratto dall’annesso al rapporto “Seized! The 2008 land grab for food and financial

security”

125

Seguendo questa linea, GRAIN ha in seguito dato vita al blog “Food crisis and the global

land grab” che è poi diventato il portale www.farmlandgrab.org, che viene aggiornato

quotidianamente. Anche se la gestione del portale viene fatta da GRAIN,

farmlandgrab.org è un progetto aperto, dove chiunque può rendere noti casi di

accaparramento di risorse e commentare quelli pubblicati. Lo scopo dichiarato di questo

portale è proprio quello di rendere nota l’estensione del fenomeno e le sue caratteristiche

principali. Rispetto alla prima mappatura del 2008, le informazioni ritenute rilevanti e

inserite nel portale sono aumentate, includendo anche il settore a cui appartiene il soggetto

investitore (finanza, settore energetico, edilizia, governi, agribusiness, industria, ecc.),

l’ammontare approssimativo dei capitali investiti e lo status della transazione (se, cioè, è

già stata conclusa o se le negoziazioni sono ancora in corso, oltre ai casi in cui si la

transazione è stata sospesa).

L’esempio di GRAIN è stato seguito da IFPRI (International Food Policy Research

Institute), istituzione facente parte del CGIAR (Consultative Group on International

Agricultural Research), che nel 2009 ha pubblicato il rapporto “Land Grabbing by Foreign

Investors in Developing Countries: Risks and Opportunities”197

allegandovi una tabella

che riassumeva gli investimenti su larga scala in agricoltura riportati dai mezzi di

comunicazione. In questo caso quindi, si opera una prima raccolta di dati da varie fonti,

specialmente locali, per avere una panoramica delle dimensioni del fenomeno.

Su questa linea nasce il portale landportal.info che raccoglie informazioni riguardanti la

terra da organizzazioni della società civile, istituzioni accademiche e governative nazionali

e internazionali. Al suo interno è stata creata un database, denominato Land Matrix198

, che

raccoglie i casi di accaparramento delle terre, che possono essere inserite dai vari utenti. I

dati inseriti vengono poi trasmessi alle autorità locali competenti, che hanno così la

possibilità di verificare le informazioni. Tramite un codice, viene indicata anche

l’affidabilità delle informazioni. Lo scopo principale è quello di promuovere una maggiore

trasparenza e responsabilità (accountability) nelle politiche e nelle transazioni economiche

riguardanti la terra. Un punto di questa piattaforma è dato dal fatto di comprendere anche

casi di modificazione dell’uso e nel controllo della terra senza che vi siano trasferimenti di

proprietà registrati ufficialmente: esiste, infatti, anche una sezione che registra i contract

197

Von Braun, J. and R. Meinzen-Dick. 2009 “Land Grabbing by Foreign Investors in Developing

Countries: Risks and Opportunities” IFPRI

198

http://landportal.info/landmatrix

126

farming, denunciati soprattutto dai singoli produttori coinvolti o dalle organizzazioni che li

rappresentano a livello locale. Un altro vantaggio consiste nella visualizzazione grafica che

permette sia di avere una panoramica generale esaustiva del fenomeno, sia di poter

analizzare dettagliatamente ogni singolo caso di studio. Attraverso tre interfacce grafiche

interattive si ha la possibilità di cogliere il fenomeno da punti di vista diversi.

6. I MOVIMENTI COME BASE DEL DIRITTO E DELLA DISCIPLINA

ACCADEMICA SUL TEMA

Le Linee Guida sulla terra approvato lo scorso Marzo possono essere considerate il più

recente risultato di decenni di lotte portate avanti da movimenti rappresentanti varie

categorie di produttori di cibo su piccola scala. Movimenti e associazioni che si fanno

portavoce delle istanze dei produttori agricoli senza terra, delle donne rurali, dei pastori

nomadi, dei pescatori artigianali, dei popoli indigeni e di atre categorie marginalizzate si

sono uniti nella richiesta di nuovi strumenti legislativi che si oppongano ai processi

dominanti di concentrazione della terra e promuovano, invece, un democratico accesso alla

terra e alle risorse naturali. Come affermano Borras e Franco nella loro analisi sullo scopo

e la futura implementazione delle Linee Guida199

, questo strumento nasce con l’obiettivo di

costituire una base di principi fondamentali su cui basare la legislazione nazionale attinente

alla regolazione delle questioni di controllo e proprietà delle terra e delle acque e delle

relative risorse. Come abbiamo visto, il merito di questo strumento consiste nel basarsi, a

sua volta, sui diritti umani, che vengono in questo modo a sottendere le norme relative alla

produzione di cibo: il diritto alla terra diventa, in questo modo, un diritto fondamentale e

inalienabile. Se si considera anche il legame che questo documento ha con la Dichiarazione

dei Diritti dei Popoli Indigeni, si comprende come, nonostante le critiche mosse sopra al

documento finale, l’apporto della società civile a uno strumento legislativo internazionale

può essere considerata senza precedenti.

I movimenti sociali non si sono limitati a promuovere la stesura di un simile documento

ma, come abbiamo visto, hanno attivamente preso parte ai processi consultivi e alle

negoziazioni secondo la spirito dell’ ICAARD200

. La legittimazione di questo documento

viene soprattutto da questa inclusività e si pensa all’applicazione di questo modello di

199

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

200

International Conference on Agrarian Reform and Rural Development.

127

ampia partecipazione in tutti i processi consultivi in seno alle Nazioni Unite. La

partecipazione allargata, inoltre, dovrebbe diventare un modello anche a livello nazionale e

locale: al momento della stesura di leggi e di norme amministrative, organizzazioni della

società civile e rappresentanti le categorie di attori interessati dovrebbero prendere parte

alle discussioni.

Data l’esplicita volontarietà di questo strumento, appare compito delle organizzazioni della

società civile presenti sul territorio quello di promuoverle, controllarne la rigorosa

applicazione e di verificare gli impatti della sua implementazione a livello locale e

nazionale, nonostante ufficialmente questo sia riservato allo Stato e alle agenzie

multilaterali competenti, come FAO e IFAD201

. Allo stesso tempo, si comprende come nei

movimenti di rappresentanza dei piccoli produttori operanti a livello internazionale risieda

il compito di promuovere, estendere e rinforzare le Linee Guida, evitando che questo

documento, dopo l’entusiasmo iniziale, venga accantonato.

Le organizzazioni della società civile hanno avuto un ruolo di primo piano nella stesura di

questo documento e uno altrettanto significativo avranno nella sua implementazione. Per

questa ragione appare chiara l’importanza di promuovere e rinforzare i movimenti sociali

in quelle aree in cui questi abbiano scarsa esperienza e riconoscimento, o dove non

esistano affatto. Questo si riscontra principalmente nei Paesi in via di sviluppo i quali, più

degli altri, sono coinvolti in pratiche di accaparramento delle risorse naturali ai danni dei

piccoli produttori di cibo che ne minano gravemente la sicurezza alimentare. Formazioni e

scambi di esperienze per la costituzione di capacity-building dovrebbero essere

organizzate, prima di tutto, dallo Stato, ma nei casi in cui non si riscontri tale possibilità o

volontà, movimenti e organizzazioni con una maggiore esperienza e una posizione

consolidata a livello internazionale posso intervenire in via sostitutiva.

La mobilitazione civile e la creazione di organizzazioni tese alla promozione e alla difesa

della sovranità alimentare rappresentano una nuova via di democratizzazione. Il concetto di

diritto al cibo e di sovranità alimentare si legano ad un tipo attivo e partecipativo di

cittadinanza202

. Via Campesina, infatti, definisce la sovranità alimentare come “il diritto

201

TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new

‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of

national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance

202

Pimbert, M. 2006 “Transforming knowledge and ways of knowing for food sovereignty and bio- cultural

diversity”, Paper for Conference on Endogenous Development and Bio-Cultural Diversity, the interplay of

worldviews, globalisation and locality in Geneva, Switzerland, IIED

128

delle persone a scegliere il cibo e il tipo di produzione agricola, a proteggere e regolare la

produzione agricola e il mercato domestico per il perseguimento di obiettivi di sviluppo

sostenibile, a determinare in che misura vogliano essere autosufficienti, a limitare il

dumping dei prodotti stranieri sul mercato interno e ad assicurare alle comunità locali che

fondano la propria sussistenza sulla pesca la priorità nell’accesso e nell’uso delle risorse

acquatiche”.203

203

www.viacampesina.org

129

CONCLUSIONI

Le Linee Guida volontarie sulla gestione responsabile delle terre, dei territori di pesca e

delle foreste, come abbiamo visto, sono il prodotto di uno sforzo congiunto dei movimenti

e delle organizzazioni della società civile per creare un quadro di direttive legali a livello

internazionale tale da inquadrare il tema dell’accaparramento delle risorse naturali e del

sequestro del diritto a produrre da due prospettive principali: la sicurezza alimentare e lo

sviluppo sostenibile. Il tentativo, quindi, è quello di fornire strumenti per contrastare tanto

la crisi alimentare quanto quella ambientale, che abbiamo visto richiedere spesso strategie

antitetiche. Dalla ratifica ad oggi, questo documento ha ricevuto un riconoscimento

internazionale, entrando anche nell’agenda di incontri come il G8 e il G20; tuttavia, il suo

reale valore dipenderà dalla sua effettiva implementazione.

Su questa linea, il 4 e 5 Ottobre si è tenuto presso la FAO un incontro tecnico

sull’implementazione delle Linee Guida. Durante tale incontro è stato proposto e approvato

un programma di implementazione204

di questo documento secondo i suoi principi cardine:

non discriminazione, equità, giustizia sociale, sostenibilità, approccio olistico alle risorse

naturali, partecipazione, trasparenza. Il programma mira soprattutto a creare dei quadri

legislativi nazionali che si occupino della gestione delle risorse naturali, con particolare

riguardo alla protezione delle categorie sociali più vulnerabili e marginalizzate. Questo

programma si compone di cinque aree tematiche principali: il supporto e l’assistenza da

parte della FAO a quei Paesi che ne facciano richiesta (support to countries), la

sensibilizzazione della popolazione sul tema e sui principi stabiliti nelle Linee Guida

(awareness raising), lo sviluppo di capacità e strumenti di assistenza (capacity

development), la creazione di strumenti di monitoraggio e valutazione (monitoring and

evaluation) , la promozione di collaborazioni (partnerships).

Tra i temi stabiliti all’interno dell’area di capacity development si trova anche la gestione

delle risorse idriche. Mentre, come abbiamo visto, all’interno del documento la questione

dell’acqua rappresenta una delle lacune principali, nella premessa si afferma che questa

potrà essere analizzata proprio in sede di implementazione. Il programma stabilisce anche

la possibilità di stanziare fondi per progetti sostenibili che mirino al rafforzamento della

sicurezza alimentare seguendo i principi delle Linee Guida elencati sopra. Tali fondi sono

di entità minore rispetto a quelli stanziati da altre istituzioni finanziarie multilaterali e

saranno quindi diretti a progetti di impatto perlopiù locale. Un organo, denominato

204

http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/nr/land_tenure/pdf/October_4-

5_Meeting_Concept_Note__Updated_Final_Draft.pdf

130

Governance Body, è stato istituito con il compito di promuovere questo programma e di

costituire un canale tra la FAO e gli attori coinvolti nella sua implementazione. È stato,

inoltre, stabilito che a cadenza annuale verrà organizzato un forum per la discussione dei

progressi fatti nell’implementazione del programma e delle Linee Guida, oltre che per

stabilire nuove strategie, nel quadro di un approccio dinamico che miri ad un progresso

continuo e ad un adattamento ai fenomeni che emergono nel tempo.

Per quanto riguarda il settore monitoraggio e valutazione, la FAO sta lavorando a fianco

della società civile per approntare nuovi strumenti e indicatori che permettano di analizzare

le iniziative intraprese nei diversi contesti sulla base dei criteri e dei principi fondamentali

stabiliti nelle Linee Guida. Come messo in luce nel rapporto stilato da FIAN, monitorare

l’implementazione di un programma significa stabilire alcuni punti principali: l’oggetto di

studio, l’obiettivo dell’analisi, il soggetto che deve svolgere tale compito, a chi sono rivolte

tali informazioni, la metodologia da utilizzare e il livello territoriale (locale, nazionale,

regionale, mondiale) da prendere in considerazione. Tale monitoraggio viene applicato a

due aree principali: i sistemi di governance sulla terra e sulle altre risorse naturali e analisi

specifiche sulle risorse stesse. Questi due aspetti rimangono spesso molto separati: agenzie

specialistiche conducono analisi tecniche delle risorse naturali per un pubblico

essenzialmente di specialisti, mentre la questione delle politiche e della governance viene

dibattuta a livello locale, nazionale e internazionale. Seguendo l’approccio olistico che le

organizzazioni della società civile promuovono nell’affrontare le questioni relative alle

risorse naturali, si promuove una maggiore integrazione e collaborazione tra questi due

aspetti del monitoraggio.

In questo rapporto, inoltre, una particolare attenzione viene data alla questione della

metodologia utilizzata per la raccolta dati. Questo conferma quanto esposto nel terzo

capitolo, sull’importanza, oggi riconosciuta sia dalle organizzazioni della società civile, sia

dalle agenzie multilaterali sia dalle amministrazioni locali e nazionali, alla conoscenza

quanto più oggettiva e scientifica possibile del territorio e delle sue dinamiche. Si mette in

luce, inoltre, come le organizzazioni della società civile e i movimenti prediligano un

approccio di tipo qualitativo, mentre le istituzioni tendano a privilegiare dati statistici

raccolti con metodi quantitativi.

Nel primo capitolo abbiamo proposto una serie di variabili da tenere in considerazione

nello studio dei singoli casi, tra le quali l’eventuale utilizzo di mezzi violenti. Il rapporto

sulle tecniche di monitoraggio si concentra su questo aspetto, suggerendo una

131

classificazione del tipo di conflitto violento a partire dalla motivazione principale che ne è

alla base (accesso alla terra, alle risorse idriche, sulla questione del lavoro, ecc.) o dal

gruppo sociale coinvolto (lavoratori, popoli indigeni, contadini, pescatori, ecc.).

Il rapporto fa anche riferimento a quegli stessi portali presentati nelle pagine precedenti

che riportano i casi di accaparramento delle risorse naturali: queste piattaforme possono,

infatti, costituire un valido strumento per il monitoraggio dello stato di implementazione

delle Linee Guida. In generale, in questo rapporto le organizzazioni della società civile, più

che creare ex novo strumenti e tecniche di monitoraggio fanno riferimento agli esempi

positivi già esistenti, che spesso operano a livello locale e nazionale, mettendo in luce quali

aspetti risultano particolarmente efficaci. Lo stesso vale anche per la valutazione dei

sistemi di governance. Il monitoraggio, infatti, non riguarda soltanto le transazioni

economiche riguardanti le risorse naturali, ma anche le politiche attuate dai governi

centrali e dalla amministrazioni locali per applicare praticamente i principi delle Linee

Guida.

A partire, quindi, dalle tecniche e dagli indicatori utilizzati dalle istituzioni e dalle

organizzazioni della società civile competenti, si propongono alcuni principi e strumenti. si

mette, innanzitutto, l’accento sulla valutazione delle politiche e sulle conseguenze effettive

che i diversi sistemi di governance hanno sulla popolazione locale. Si dichiara

l’importanza di favorire la partecipazione degli attori coinvolti ai processi di monitoraggio,

oltre che di rendere i risultati di quest’ultimo pubblici, in modo da promuovere un dibattito

a livello locale e nazionale tale da informare tutti i cittadini sui loro diritti e sui

provvedimenti intrapresi dalle amministrazioni. Per quanto riguarda la metodologia, si

prediligono tecniche qualitative e lo studio di singoli casi, i quali verranno in un secondo

momento aggregati in modo da fornire un quadro generale completo. Dato che il

monitoraggio viene svolto principalmente da organizzazioni della società civile a livello

locale, è importante costruire reti e canali di comunicazioni che permettano di aggregare i

dati raccolti a livello nazionale, regionale e globale.

In linea con l’approccio basato sui diritti umani che abbiamo visto essere fortemente

sostenuto dalla organizzazioni della società civile, il rapporto raccomanda che il

monitoraggio e la valutazione delle politiche e delle transazioni concernenti la terra e le

altre risorse naturali tengano in considerazione non solo i principi espressi nelle Linee

Guida ma anche, e soprattutto, i diritti umani e gli obblighi che questi comportano.

132

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