trattato dei tre impostori

42
Trattato dei tre Impostori pagina 1 di 42 TRATTATO DEI TRE IMPOSTORI di A. YVERDON Anno Domini 1768 Stampato dal prof. DE FELICE PREFAZIONE ALLA TRADUZIONE ITALIANA Curata da Massimo Frattini La traduzione in Italiano è stata effettuata con la miglior diligenza possibile tenendo conto del fatto che l'originale era in Francese antico (1768) e quindi, con tutte le riserve del caso. Si è cercato di completare, ove possibile, le notizie contenute nel testo indicando, come note, le eventuali informazioni storiche che si potevano rintracciare su Enciclopedie e/o Dizionari disponibili. Non è stato possibile procurarsi una copia del testo originale, stante le difficoltà frapposte, dall'Istituto presso il quale il Trattato è stato reperito, alla riproduzione dello stesso, cosa abbastanza comprensibile, dato il tenore del testo stesso. Non si dubita che coloro dedicheranno parte del loro tempo alla meditazione del testo proposto, vi troveranno spunti più che notevoli per sviluppare la propria visione del mondo, comunque si voglia ritenere veritiero o meno quanto narrato, dibattuto e presentato nel corso della dissertazione. Non resta che augurarne buona e proficua lettura ai volonterosi.

Upload: markelian-kapidani

Post on 22-Jul-2016

105 views

Category:

Documents


7 download

TRANSCRIPT

Page 1: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 1 di 42

TRATTATO DEI TRE IMPOSTORI di

A. YVERDON Anno Domini 1768

Stampato dal prof. DE FELICE

PREFAZIONE ALLA TRADUZIONE ITALIANA Curata da Massimo Frattini

La traduzione in Italiano è stata effettuata con la miglior diligenza possibile tenendo conto del fatto che l'originale era in Francese antico (1768) e quindi, con tutte le riserve del caso. Si è cercato di completare, ove possibile, le notizie contenute nel testo indicando, come note, le eventuali informazioni storiche che si potevano rintracciare su Enciclopedie e/o Dizionari disponibili. Non è stato possibile procurarsi una copia del testo originale, stante le difficoltà frapposte, dall'Istituto presso il quale il Trattato è stato reperito, alla riproduzione dello stesso, cosa abbastanza comprensibile, dato il tenore del testo stesso. Non si dubita che coloro dedicheranno parte del loro tempo alla meditazione del testo proposto, vi troveranno spunti più che notevoli per sviluppare la propria visione del mondo, comunque si voglia ritenere veritiero o meno quanto narrato, dibattuto e presentato nel corso della dissertazione. Non resta che augurarne buona e proficua lettura ai volonterosi.

Page 2: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 2 di 42

INDICE DELLE MATERIE TRATTATE NEL “TRATTATO DEI TRE IMPOSTORI”

E NEI BRANI RELATIVI A QUEST'OPERA Capitolo I Su Dio. False idee che si hanno sulla Divinità. Perchè invece di consultare il buon senso e la ragione si cede alla debolezza di credere alle opinioni, alle fantasie, alle visioni di gente interessata ad ingannare il popolo ed mantenerlo nell'ignoranza e nella superstizione. Capitolo II Le ragioni che hanno indotto gli uomini a figurarsi un Essere invisibile chiamato solitamente Dio. L'ignoranza delle cause fisiche e la paura provocata dagli avvenimenti naturali, ma straordinari o terribili, produce l'idea dell'esistenza di qualche Potenza invisibile, idee di cui la Politica e l'Impostura hanno immediatamente approfittato. Analisi della natura di Dio. La teoria delle cause finali rigettata come contraria alla vera Fisica. Capitolo III Cosa significa il termine Religione. Come e perchè ne sono nate e prosperate tante nel mondo. Tutte le religioni sono frutto della politica. Come si comportò Mosè per fondare la Religione Ebraica. Analisi della nascita di Gesù Cristo, della sua politica, della sua morale e della sua reputazione dopo morto. Artifici di Maometto per fondare la sua Religione. Maggior successo di quest'Impostore rispetto a Gesù Cristo. Capitolo IV Verità tangibili ed evidenti. Idee sull'Essere Universale. Gli attribuiti datigli da tutte le Religioni sono per lo più incompatibili colla sua essenza e sono convenienti solo per l'uomo. Teoria della vita futura e dell'esistenza degli Spiriti, combattuta e rigettata. Capitolo V L'anima. Rifiuto delle teorie degli antichi filosofi sulla natura dell'anima. Rifiuto delle opinioni di Descartes. Esposizione delle opinioni dell'Autore. Capitolo VI Gli Spiriti chiamati Demoni. Origini e falsità della teoria della loro esistenza. Opinioni sul “Trattato sui Tre Impostori”. Estratto di una Lettera e dissertazione di M. de la Monnoye a questo proposito. Risposta alla Dissertazione di M. de la Monnoye sul Trattato sui Tre Impostori Copia dell'Articolo XI, Tomo I, Seconda Parte delle “Memoires de Literature”, stampate a L'Aja da Henri de Sauzet nel 1706 Note esplicative

Page 3: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 3 di 42

TRATTATO DEI TRE IMPOSTORI CAPITOLO I

SU DIO

I Sebbene tutti gli uomini siano interessati a conoscere la verità, sono pochi quelli che si avvalgono di questa facoltà. Alcuni non sono capaci di svolgere ricerche per proprio conto, altri non se ne vogliono accollare l'onere. Non ci si deve, perciò, stupire se il mondo è pieno di teorie vane o ridicole: niente è più capace di dar loro corso quanto l'ignoranza; questa è l'unica forza delle false idee che si hanno sulla Divinità, sull'Anima, sugli Spiriti e su quasi tutti gli altri concetti concernenti la Religione. Prevale l'abitudinarietà, ci si contenta dei pregiudizi inculcati fin dalla nascita e ci si rimette, per le cose più essenziali, a persone interessate, che ritengono legittimo sostenere arbitrariamente le teorie ricevute, che non osano distruggere, per paura di distruggere se stessi.

II Ciò che rende irrimediabile il male è che, dopo aver stabilito false idee su Dio, non si trascura alcunché per indurre il popolo a crederle, senza permettergli di esaminarle; anzi, si aizza l'avversione contro filosofi e veri Saggi, per timore che la Ragione, da loro insegnata, faccia conoscere al popolo gli errori in cui esso è stato piombato. I partigiani di queste assurdità hanno ottenuto risultati talmente buoni che è pericoloso combatterli. È troppo importante, per questi impostori, che il popolo rimanga ignorante, per fargli sopportare le delusioni. Così si è costretti a celare la verità, o ad offrirsi in olocausto al furore dei falsi Saggi, o delle anime basse e interessate.

III Se il popolo potesse comprendere in quali abissi lo getti l'ignoranza, scuoterebbe ben presto il giogo dei suoi indegni caporioni, perchè è impossibile lasciar agire la ragione senza che essa scopra la verità. Questi impostori l'hanno capito così bene che, per combattere i buoni effetti che ne deriverebbero infallibilmente, si sono preoccupati di dipingerla come un mostro, incapaci di ispirare buoni sentimenti, e sebbene biasimino in generale quelli che sono irragionevoli, essi sarebbero, tuttavia, molto indispettiti dal fatto che la verità venisse ascoltata. Così, questi nemici giurati del buon senso li si vede cadere in continuazione in pesanti contraddizioni, ed è difficile sapere cosa pretendano. Se è vero che il buon senso è la sola cosa che l'uomo dovrebbe servire e se il popolo non è così incapace di ragionare su quello di cui si tenta di persuaderlo, occorre che coloro che cercano di istruirlo si applichino per rettificare i falsi ragionamenti e demolire i pregiudizi; ne deriverà che il giogo si dissolverà poco per volta e che il suo spirito si convincerà di questa verità, che Dio non è ciò che ci si immagina di solito.

IV Per ottenere questo risultato non è necessario ricorrere a grosse speculazioni, né penetrare a fondo nei segreti della natura. Basta solo un po' di buon senso per capire che Dio non è collerico né geloso, che giustizia e misericordia sono virtù attribuitegli arbitrariamente e che Profeti ed Apostoli non ci hanno detto alcunché sulla Sua natura ed essenza. Effettivamente, per parlare senza infingimenti e per dire le cose come sono, basta capire che questi Dottori non erano più abili né meglio istruiti del resto degli uomini: e per di più, che ciò che essi dissero di Dio è così grossolano che occorre essere ben semplicioni per credervi. Benché la cosa sia di per se stessa evidente, possiamo renderla ancora più chiara esaminando attentamente una domanda. Esiste forse qualche prova che i Profeti e gli Apostoli siano stati diversi dagli altri uomini?

Page 4: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 4 di 42

V Ogni persona è d'accordo che per nascita e per qualità naturali della vita vi siano individui che si distinguono fra gli altri, ma essi sono generati da uomini, nascono da donne e vivono la loro vita esattamente come noi. Quanto allo spirito occorre che Dio lo abbia infuso maggiormente in un Profeta più che negli altri uomini ed in modo del tutto particolare: ciò è ritenuto così buono che, se la cosa fosse stata provata pur senza considerare che tutti gli uomini si rassomigliano ed hanno avuto tutti la stessa origine, si pretende che questi uomini siano stati di tempra straordinaria, scelti dalla Divinità per annunciare i suoi oracoli. Ma, oltre al fatto che essi non avevano più spirito degli altri né un'intelligenza maggiore, cosa troviamo nei loro scritti che ci costringa ad accettare una così alta opinione di loro stessi? La maggio parte di ciò che hanno detto è così oscura che non ci si capisce niente. Ciò che ha generato l'opinione che l'uno abbia concepito l'altro, è la disinvoltura che hanno avuto nel vantarsi di aver saputo direttamente da Dio tutto ciò che annunciavano al popolo; credenza assurda e risibile, poiché loro stessi confessavano che Dio aveva parlato loro soltanto in sogno. Nulla è più naturale per l'uomo che sognare, perciò bisogna che un uomo sia ben sfrontato, ben vanesio e ben insensato per dire che Dio gli ha parlato per quel tramite ed occorre che colui che gli crede sia altrettanto ingenuo e sciocco per scambiare dei sogni per oracoli divini. Supponendo, per un momento, che Dio si faccia sentire da qualcuno per mezzo di un sogno, una visione o in qualunque altro modo si voglia immaginare, nessuno sarà obbligato a credere alle parole di un uomo soggetto ad errare, così come alla menzogna ed all'impostura: noi vediamo che nell'antica Legge non c'è stata, per lo più, per i Profeti altrettanta stima di quanta ce ne sia oggi. Quando ci si è stancati delle loro chiacchiere, che non tendevano spesso che a seminare la ribellione ed a distogliere il popolo dall'obbedienza dovuta ai suoi Sovrani, li si è fatti tacere con vari supplizi: lo stesso Gesù Cristo non sfuggì al giusto castigo che aveva meritato: lui non aveva al proprio seguito un esercito, come Mosè, per difendere le proprie teorie.1 Aggiungete a ciò che i Profeti erano talmente abituati a contraddirsi reciprocamente, che non se ne trovò uno solo veritiero su quattrocento.2 Per di più, è certo che lo scopo delle loro profezie, così come quello delle leggi dei più celebri legislatori, era quello di eternare la loro memoria, facendo credere ai popoli che essi parlavano con Dio. I più abili politicanti hanno sempre usato sistemi del genere, sebbene quest'astuzia non sia più oggi riuscita a coloro che, cercando di imitare Mosè, non avevano i mezzi per provvedere alla propria sicurezza. Detto questo, esaminiamo un po' l'idea che i Profeti hanno avuto di Dio. Se dobbiamo credere a loro, Dio è un essere puramente fisico: Michea lo vide seduto; Daniele vestito di bianco e con l'aspetto di un vecchio; Ezechiele lo vide come un fuoco, così è detto nel Vecchio Testamento. Per quanto riguarda il Nuovo, i Discepoli di Gesù Cristo immaginarono di vederlo sotto l'aspetto di colomba, gli Apostoli sotto quello di fiammelle (lingue di fuoco), San Paolo, infine come una luce che l'abbaglia e l'acceca. Per quanto riguarda la contraddizione delle loro opinioni, Samuele3 crede che non si pentisse mai delle sue decisioni; per contro, Geremia4 ci dice che Dio si pente delle sue decisioni, Gioele5 ci fa sapere che si pente solo del male che fa agli uomini, Geremia dice che non si pente per nulla affatto. La Genesi6 ci insegna che l'uomo è signore del peccato e che spetta solo a Dio fare il bene, mentre San Paolo7 assicura che gli uomini non hanno alcun dominio sulla concupiscenza, senza una grazia affatto speciale da parte di Dio, eccetera. Tali sono le idee false e contraddittorie che questi sedicenti ispirati si danno di Dio, e che si vuole che noi accettiamo, senza considerare che queste idee ci presentano la Divinità come un essere che si può sentire, materiale e soggetto a tutte le passioni umane.

Page 5: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 5 di 42

Ciononostante, ci si viene a dire che Dio non ha nulla in comune con la materia, che è un essere per noi incomprensibile. Io gradirei davvero sapere come tutto ciò può essere accaduto, se è giusto credere in contraddizioni così risibili ed irragionevoli, e se ci si debba, infine, riferire alle testimonianze di uomini così grossolani da immaginarsi, nonostante i sermoni di Mosè, che un vitello sia il loro Dio! Ma, senza fermarci alle fantasticherie di un popolo liberato dalla schiavitù e dall'assurdità, diciamo che l'ignoranza ha prodotto la fede cieca in tutte le imposture e gli errori che regnano oggi tra di noi.

CAPITOLO II LE RAGIONI CHE HANNO INDOTTO GLI UOMINI A FIGURARSI UN

ESSERE INVISIBILE CHIAMATO SOLITAMENTE DIO

I Coloro che ignorano le cause fisiche hanno una paura naturale e non possono in alcun modo distinguere i motivi di quei fenomeni per cui diventa impossibile opporsi al volere divino che proviene dall'inquietudine e dall'incertezza in cui si trovano circa l'esistenza di un Essere o di una Potenza che può colpirli o salvaguardarli.8 Da ciò deriva la tendenza a simulare cause invisibili, che non sono altro che i fantasmi della loro immaginazione, che vengono implorati nelle avversità e che vengono elogiati nella prosperità Essi se ne fanno degli Dei, alla fine, e questa chimerica paura delle potenze invisibili è la sorgente delle Religioni che ciascuno si crea a suo modo. Coloro a cui importa che il popolo sia costretto e frenato da fantasticherie di questo genere hanno coltivato questo inizio di Religione, ne hanno fatto una legge ed hanno, infine, ridotto i popoli, per timore del futuro, ad obbedire loro ciecamente.

II Dopo aver scoperto la sorgente degli Dei, gli uomini hanno creduto che essi fossero simili a loro e che facessero, come loro, tutte le cose per un qualche fine. Così essi dissero e credettero universalmente che Dio avesse creato ogni cosa solo per l'uomo e che, viceversa, l'uomo fosse fatto solo per Dio. Questo pregiudizio è generale ed allorché riflettiamo sull'influenza che ha dovuto necessariamente avere sui costumi e le opinioni degli uomini, si vede chiaramente che questa è la causa che ha prodotto la crescita delle idee false sul bene e sul male, sul merito e il demerito, sulla lode e sull'infamia, sull'ordine e sulla confusione, sulla bellezza e sulla deformità e su altre cose simili.

III Si deve riconoscere che gli uomini nascono ignoranti e che la sola cosa che sia naturale per loro è la ricerca di ciò che è per loro utile e proficuo: da ciò derivano:

a. l'idea che per esser liberi basti sentire in se stessi di poter volere e desiderare, senza preoccuparsi minimamente delle cause, perchè non sono note;

b. il fatto che gli uomini vivono solo per un fine che preferiscono a tutti gli altri, che essi non hanno altra mira che conoscere le finalità delle loro azioni, che si immaginano che dopo questo non avranno più alcun motivo di dubbio.

Siccome gli uomini trovano in se stessi, o al di fuori, parecchi modi per raggiungere gli scopi che si propongono, visto che hanno, per esempio, occhi per vedere, orecchie per sentire, un sole che li illumina, eccetera, essi hanno concluso che tutto ciò che esiste in natura è stato fatto per loro e quindi ne possono godere e disporre; ma siccome sanno anche che non sono stati loro che hanno fatto tutte le cose che esistono, essi hanno creduto bene di immaginare un essere supremo come creatore del tutto o, in altre parole, hanno pensato che tutto ciò che esiste è opera di una o di più divinità.

Page 6: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 6 di 42

D'altronde, la natura degli Dei, che gli uomini hanno ammesso essere loro sconosciuta, è stata da loro stessi giudicata, immaginando che essi siano preda delle stesse passioni degli uomini; e poiché le inclinazioni degli uomini sono differenti, ognuno ha reso al suo Dio un culto adeguato al proprio umore, allo scopo di ottimizzare la benedizione e di asservire, in questo modo, tutta la natura ai propri desideri.

IV È in questo modo che un pregiudizio diventa superstizione; essa si radica in modo tale che le persone più grossolane si sono ritenute capaci di comprendere la finalità delle cose, come se le conoscessero completamente. Così, invece di mostrare che la natura non fa niente che sia inutile, essi hanno creduto che Dio e la natura pensino nello stesso modo degli uomini. Poiché l'esperienza insegna che un infinito numero di mali tormenta le dolcezze della vita, come gli uragani, i terremoti, le malattie, la fame, la sete, eccetera, si attribuiscono questi mali alla collera celeste, credendo la Divinità adirata per le offese degli uomini sono più riusciti a togliersi dalla testa una simile chimera, né a disingannarsi su quei pregiudizi di fronte ai giornalieri esempi, che provano come bene e male siano pur sempre comuni sia per i buoni che per i cattivi. Quest'errore sopravvive perchè è più facile convivere con l'ignoranza naturale, piuttosto che cancellare un pregiudizio radicato da tanti secoli ed accettare qualcosa di verosimile.

V Questo pregiudizio li ha condotti ad un altro, cioè a credere che i giudizi di Dio siano incomprensibili e che, perciò, la conoscenza della verità sia al di sopra delle forze dell'intelletto umano; errore che sarebbe ancor vivo oggi, se la matematica, la fisica e qualche altra scienza non l'avesse distrutto.

VI Non occorrono lunghi discorsi per dimostrare che la natura non si pone alcun fine e che tutte le finalità non sono altro che invenzioni umane. Basta provare che questa dottrina toglie a Dio la perfezione che gli viene attribuita: è questo che vogliamo dimostrare. Se Dio agisse per un fine, sia per se stesso, che per qualcun altro, desidererebbe qualcosa che non possiede e bisognerebbe riconoscere che dal momento che Dio, non possedendo l'oggetto di cui si parla, ambisce ad ottenerlo; ciò ne fa un Dio indigente. Ma per non trascurare alcunché di ciò che può sostenere il ragionamento di quelli che sostengono il contrario, supponiamo, per esempio, che una pietra, staccatasi da un edificio, cada su un uomo e l'ammazzi. È necessario, dicono i nostri ignoranti, che questa pietra sia caduta proprio per uccidere quell'uomo, dunque ciò non poteva avvenire se non per volontà di Dio. Se si risponde che è stato il vento a provocare la caduta nel momento in cui quel poveraccio passava, vi domanderanno innanzitutto perchè passava proprio nel momento in cui il vento smuoveva quella pietra. Rispondete che stava andando a pranzo da un amico che lo aveva invitato ed essi vorranno sapere perchè quell'amico l'aveva invitato proprio in quel momento e non in un altro, e vi faranno, per di più, un'infinità di altre domande strane per risalire di causa in causa e farvi ammettere che è stata la sola volontà di Dio, asilo degli ignoranti, la causa originaria della caduta di quella pietra.

Page 7: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 7 di 42

Così pure, allorché vedono la struttura dei corpi umani, essi li ammirano e, poiché ignorano le cause degli effetti che a loro sembrano meravigliosi, concludono che sia un effetto soprannaturale, nel quale le cause che noi conosciamo non possono avere alcuna parte. Da ciò deriva che colui il quale vuole esaminare a fondo le opere della creazione e penetrare da vero Saggio le loro cause naturali, senza inchinarsi ai pregiudizi stabiliti dall'ignoranza, passa per empio o è ben presto deplorato dalla malizia di quelli che la plebe riconosce come interpreti della natura e degli Dei. Queste anime mercenarie sanno benissimo che l'ignoranza, che tiene il popolo in stato di sbalordimento, è ciò che li fa sopravvivere e che mantiene il loro credito.

VII Siccome gli uomini sono imbevuti della ridicola opinione che tutto ciò che vedono sia fatto per loro, si sono fatti una norma religiosa del fatto di misurare tutto rispetto a se stessi e di giudicare il valore delle cose in base al profitto che ne traggono. È di lassù che essi hanno ideato le nozioni che a loro occorrono per spiegare la natura delle cose, per giudicare il bene e il male, l'ordine e il disordine, il caldo e il freddo, la bellezza e la bruttezza, eccetera, che, alla fine, non sono altro che ciò che essi s'immaginano: padroni di formare così le loro idee, si lusingano di essere liberi, si credono in diritto di decidere sulla lode e sul biasimo, sul bene e sul male; essi chiamano Bene ciò che reca loro profitto e ciò che attiene il culto divino e Male, al contrario, ciò che non va a beneficio dell'una o dell'altra cosa: e poiché gli ignoranti non sono capaci di giudicare alcunché ed essi hanno qualche idea delle cose solo in conseguenza della fantasia che ispira il loro giudizio, essi ci dicono che non si sa niente della natura e si immaginano un particolare ordine del mondo. Infine, essi credono che le cose siano ordinate bene o male, a seconda della facilità o della difficoltà che trovano a immaginarle quando i sensi gliele raffigurano; essi si convincono di essere nel giusto a preferire l'ordine alla confusione, come se l'ordine fosse tutt'altro che un semplice effetto dell'immaginazione degli uomini. Così, dire che Dio ha fatto tutto secondo un ordine, è pretendere che tutto sia stato fatto a favore dell'immaginazione umana, che egli abbia creato il mondo nella maniera più facile che si possa concepire: o, ciò che in fondo è la stessa cosa, che si conoscano con certezza i rapporti ed i fini di tutto ciò che esiste, affermazione tanto assurda da non meritare di essere contraddetta con serietà.

VIII Per ciò che riguarda altre nozioni, esse sono solamente effetti della stessa immaginazione, non hanno alcunché di reale e non sono altro che le diverse impressioni o modalità con cui questa facoltà viene recepita: per esempio, quando le sensazioni suscitate nel sistema nervoso dagli oggetti attraverso gli occhi sono gradevoli per i sensi si dice che quegli oggetti sono belli. Gli odori sono buoni o cattivi, i sapori ed i suoni feriscono o commuovono i sensi; è per queste idee che si trovano persone che credono che a Dio piaccia la musica, così come altri hanno creduto che i moti celesti siano un concerto armonioso: ciò indica perfettamente che ciascuno si convince che le cose siano come se le immagina, o che il mondo sia puramente immaginario. Non c'è, quindi, da stupirsi che si trovino a stento due uomini che abbiano la stessa opinione e che ci siano parimenti quelli che si gloriano di dubitare di tutto: perchè, sebbene gli uomini abbiano corpi simili ed essi si assomiglino tutti sotto molti aspetti, essi differiscono, ciononostante, per molti altri; da ciò deriva che ciò che sembra buono ad uno diventa cattivo per l' altro, che ciò che piace a questo, spiace a quello. Da ciò è facile concludere che i sentimenti differiscono solo in relazione all'organizzazione ed alla differenza delle esistenze e che il ragionamento non vi ha alcuna parte ed infine che la cognizione delle cose del mondo si basa solamente su un puro effetto della sola immaginazione.

Page 8: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 8 di 42

IX È dunque evidente che tutte le ragioni di cui l'umanità usa servirsi, quando si picca di spiegare la natura, non sono altro che dei modi di immaginare, che valgono solo per ciò che affermano; a queste idee si danno dei nomi, come se esse esistessero al di fuori di un cervello prevenuto; si dovrebbero chiamare non degli esseri, ma delle pure fantasie. Per quanto riguarda gli argomenti fondati su queste nozioni, non c'è niente di meglio che rifiutarli, per esempio: se fosse vero che, come ci vien detto, l'Universo fu uno sviluppo ed una conseguenza necessaria della natura divina, da dove verrebbero le imperfezioni e i difetti che vi si notano? Quest'obiezione si confuta senza alcuna fatica. Non si saprebbe giudicare la perfezione o l'imperfezione di un essere, fintanto che non se ne conoscesse l'essenza e la natura ed è uno strano abuso quello di credere che una cosa sia più o meno perfetta secondo che ci piaccia o dispiaccia e che sia utile o inutile per la natura umana. Per tappare la bocca a coloro che chiedono perchè Dio non si sia sognato di creare tutti gli uomini buoni e felici, basta dire che è tutto necessariamente come dev'essere e che in natura non c'è niente di imperfetto perchè tutto proviene dalla necessità delle cose stesse.

X Giunti a questo punto, se si domanda che cosa sia Dio, rispondo che questa parola identifica l'Essere universale al quale, per parlare come San Paolo, noi dobbiamo la vita, il movimento, l'esistenza. Questo concetto non ha nulla che sia indegno di Dio perchè, se tutto è Dio, tutto proviene necessariamente dalla sua essenza e bisogna assolutamente che egli sia come ciò che lo contiene, poiché è incomprensibile che esseri tutti materia siano conservati e contenuti in un essere che non lo è per niente. Questa teoria non è per niente nuova. Tertulliano, uno degli uomini più saggi mai esistiti fra i Cristiani ha detto, contro Apelle, che ciò che non è corporeo non esiste, e contro Prassia, che tutto ciò che è sostanza ha un corpo.9 Questa dottrina, tuttavia, non è stata condannata dai primi quattro Concili Ecumenici o generali.10

XI Queste idee sono chiare, semplici ed anche le sole che una buona intelligenza possa farsi di Dio. Tuttavia c'è poca gente che si accontenta di una tal semplicità. Il Popolo incolto ed abituato alle lusinghe dei sensi, reclama un Dio che assomigli ai Re della terra. Il fasto, lo splendore ed il chiasso che lo circondano lo abbagliano in modo tale da suggerire l'idea di un Dio all'incirca simile a quei Re, da instillargli la speranza di andare, dopo la morte, ad ingrossare il numero dei cortigiani celesti, per godere con loro degli stessi piaceri goduti alla corte dei Re; questo è privar l'uomo della sola consolazione che gli impedisce di perdersi l'anima per le miserie della vita. Si dice che deve esserci un Dio giusto e vendicatore, che punisce e premia, si esige un Dio sensibile a tutte le passioni umane, gli si danno piedi, mani, occhi e orecchie, però non si vuole che un Dio fatto in questo modo abbia qualcosa di materiale. Si dice che l'uomo è il suo capolavoro e la sua stessa immagine, ma poi non si vuole che la copia sia simile all'originale. Infine, il Dio del popolo attuale è raffigurato in forme molto più numerose di quelle del Giove dei pagani. E quello che è più strano è che più queste nozioni si contraddicono ed offendono il buon senso, più l'ignorante le riverisce, perchè crede pervicacemente a ciò che hanno detto i Profeti, quantunque questi visionari non fossero, presso gli Ebrei, che ciò che erano gli auguri e i divinatori presso i pagani. Si consulta la Bibbia come se Dio e la natura vi fossero spiegati in un modo speciale; benché questo libro non sia altro che un tessuto di brani confusi, riuniti in diversi capitoli, raccolti da diverse persone e pubblicati dal consesso dei Rabbini, che hanno deciso, in base al loro capriccio, ciò che doveva essere approvato o respinto, secondo che lo trovassero conforme o contrario alla legge di Mosè.11

Page 9: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 9 di 42

Così grande è la malizia e la stupidità degli uomini: essi passano la loro vita a cavillare ed insistono nel rispettare un libro dove non c’è più ordine di quanto ce ne sia nel Corano di Maometto, un libro, dico io, che nessuno capisce, tanto è oscuro e mal concepito, un libro che non serve ad altro che a fomentare discussioni. Ebrei e Cristiani preferiscono di gran lunga consultare questo libro di magia piuttosto che ascoltare la Legge naturale che Dio, cioè la natura, principio di tutte le cose, ha scritto nel cuore degli uomini. Tutte le altre leggi sono soltanto delle finzioni umane e delle pure illusioni, imposte non dai Demoni o dagli Spiriti malvagi, che non esistono mai se non come fantasie, ma dalla politica dei Principi e dei Preti. I primi l'hanno voluta per dare maggior peso alla propria autorità e quegli altri hanno voluto arricchirsi con lo smercio di un'infinità di chimere, che spacciano agli ignoranti. Tutte le altre leggi successive a quella di Mosè, intendo dire le leggi dei Cristiani, sono basate solo su quella Bibbia, di cui non si trova l'originale, che contiene cose sovrannaturali o impossibili, che parla di ricompense e di castighi, per le azioni buone o cattive, che hanno valore solo nell'altra vita, in modo che l'inganno non venga scoperto, dato che nessuno è mai tornato indietro di là. Così il popolo, che sempre ondeggia fra la speranza e la paura è riportato al suo dovere dall'opinione che ha che Dio non ha fatto gli uomini che per renderli eternamente felici o infelici. È questo ciò che ha fatto nascere un'infinità di Religioni.

CAPITOLO III COSA SIGNIFICA RELIGIONE. COME E PERCHÈ NE SONO NATE E

PROSPERATE TANTE NEL MONDO.

I Prima che nel mondo fosse introdotto il termine "Religione", non si era obbligati a seguire altro che la legge naturale, cioè a conformarsi alla sola ragione. Solo questo istinto era il legame a cui gli uomini erano vincolati e questo legame, così semplice come è, li univa con tanta forza che le divisioni erano rare. Ma dal momento in cui la paura fece supporre l'esistenza di Dei e di Potenze invisibili, si elevarono altari a questi esseri immaginari e scrollando il giogo della natura e della ragione ci si legò a cerimonie inutili e ad un culto superstizioso a vari fantasmi dell'immaginazione. È da questo che deriva la parola "Religione" che fa tanto rumore nel mondo. Dato che gli uomini avevano accettato delle Potenze invisibili, che avevano pienezza di poteri su dì loro, le adoravano per muoverle a pietà e, per di più, immaginarono che la matura dovesse essere subordinata a quelle Potenze. Da allora se la raffigurarono come una massa inerte o come una schiava che non agiva se non per ordine di quelle Potenze. Dal momento in cui questa falsa idea avvinse il loro spirito, essi non ebbero più che disprezzo per la natura e rispetto per quei pretesi esseri che avevano eletto loro Dei. Da ciò è derivata l'ignoranza in cui tanti popoli sono immersi, ignoranza a cui i veri Saggi li potrebbero sottrarre, per quanto profondo sia l'abisso, se il loro zelo non venisse ostacolato da coloro che guidano questi ciechi e che vivono soltanto grazie alla loro impostura. Ma, benché ci sia poca speranza di riuscire in quest'impresa, non si dovrebbe abbandonare il partito della verità, anche solo in considerazione di coloro che si preservano dai sintomi di questo male: occorre che un'anima generosa dica le cose così come sono. La verità, qualunque sia la sua natura, non potrà mai nuocere, mentre l'errore, per quanto innocente ed utile possa sembrare, deve necessariamente avere alla lunga, effetti funesti.

Page 10: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 10 di 42

II La paura che ha generato gli Dei ha creato anche la Religione e dal momento in cui gli uomini si sono messi in testa che ci siano degli Agenti invisibili, responsabili della loro buona o cattiva fortuna, essi hanno rinunciato al buon senso ed al ragionamento ed hanno scambiato le proprie fantasie per altrettante Divinità preoccupate per il loro comportamento. Dopo essersi forgiati degli Dei, essi vollero quindi sapere quale ne fosse la natura e si immaginarono che essi dovessero avere la stessa sostanza dell'anima, che credettero fosse simile ai fantasmi che apparivano nello specchio o nel sonno. essi credettero che i loro Dei avessero consistenza effettiva, una così tenue e così sottile che per distinguerli dai Corpi li chiamarono Spiriti, benché questi corpi e questi Spiriti non fossero, in effetti, che le stesse cose e differissero soltanto poco più o poco meno fra di loro, dato che essere Spirito o incorporeo è cosa incomprensibile. La ragione è che ogni Spirito ha un'immagine che gli è propria,12 e che si stabilisce in qualche posto, cioè che ha dei confini e che, conseguentemente, ha un corpo, benché sottile quanto si voglia.13

III Gli ignoranti, cioè la maggioranza degli uomini, dopo aver definito in questo modo il tipo di sostanza dei loro Dei, si sforzarono altresì di comprendere in qual modo questi Agenti invisibili agissero ma. non potendo venirne a capo, per colpa della loro ignoranza, alimentarono le loro supposizioni, giudicando ciecamente il futuro sulla base del passato, come se si potesse ragionevolmente concludere che una cosa è avvenuta in maniera diversa da quella in cui si è verificata, o che debba verificarsi costantemente allo stesso modo, soprattutto quando sono differenti le circostanze e tutte le cause che necessariamente influiscono sugli avvenimenti e le azioni umane e che ne determinano la natura e l'attualità. Essi, quindi, esaminarono il passato e ne pronosticarono il bene o il male per il futuro, a seconda che la medesima impresa avesse avuto risultati buoni o cattivi la volta precedente. È così che dopo che Formione ebbe sconfitto gli Spartani nella battaglia di Naupatto, gli Ateniesi, dopo la sua morte, elessero un altro Generale che aveva lo stesso nome. Dopo che Annibale fu sconfitto dalle armi di Scipione l'Africano, in considerazione dei suoi successi i Romani inviarono nella stessa provincia contro Cesare un altro Scipione. La cosa non riuscì né agli Ateniesi, né ai Romani. Così pure molte nazioni, dopo due o tre esperienze hanno collegato località ed oggetti al nome delle loro buone o cattive fortune, altre si servirono di certe parole che definirono incantesimi e le credettero così efficaci da immaginare di poter, per mezzo loro, far parlare gli alberi, creare un uomo o un altro Dio da un tozzo di pane e trasformare tutto ciò che avevano davanti agli occhi.

IV Dopo aver definito in questo modo l'impero delle Potenze invisibili, gli uomini le venerarono innanzitutto come loro Sovrani, cioè con segni di sottomissione e rispetto, come regali e preghiere, eccetera; lo dico innanzitutto perchè in questo caso la natura non insegna assolutamente a servirsi di Sacrifici sanguinosi: essi sono stati istituiti per la sopravvivenza dei Sacrificatori e dei Ministri destinati a servire questi Dei immaginari.

V Questo seme di Religione (cioè la speranza e la paura), fecondato dalle diverse passioni ed opinioni degli uomini, ha prodotto un gran numero di fedi bizzarre, che sono la causa di altrettanti mali e rivoluzioni che derivano dagli Stati. Gli onori e le grandi rendite connesse ai Sacerdoti ed ai Ministri degli Dei hanno lusingato l'ambizione e l'avarizia di quegli uomini astuti che hanno saputo approfittare della stupidità dei Popoli, i quali si sono infilati nelle

Page 11: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 11 di 42

loro trappole così bene che si sono insensibilmente abituati ad incensare la menzogna e ad odiare la verità.

VI Dopo che fu stabilita la menzogna e che gli ambiziosi furono sedotti dalla dolcezza di essere elevati al di sopra dei loro simili, questi si sforzarono di incrementare la propria reputazione affermando di essere amici degli Dei invisibili che soggiogavano la plebe. Per riuscirci meglio, ognuno li raffigurò a modo suo e si prese la libertà di moltiplicarli al punto che se ne trovarono ad ogni passo.

VII La natura informe del mondo fu chiamata il Dio Caos. Si fecero similmente un Dio del Cielo, della Terra, del Mare, del Fuoco, del Vento e dei Pianeti. Si attribuì lo stesso onore a uomini e donne, a uccelli, rettili, coccodrilli, vitelli, cani, agnelli, serpenti e maiali, in una parola, vennero adorati tutti i tipi di animali e di piante. Ogni fiume, ogni sorgente portò il nome di un Dio, ogni casa, ogni uomo ebbe il proprio genio. Alla fine tutto fu pieno, sopra e sotto la terra, di Dei, Spiriti, Ombre e Demoni. Né bastò simulare Divinità per tutti i posti immaginabili: si temette di offendere il tempo, il giorno, la notte, la concordia, l'amore, la pace, la vittoria, lo sforzo, la vecchiaia, l'onore, la virtù, la febbre e la salute, si credette, ripeto, di oltraggiare tutte quelle Divinità che si ritenevano sempre pronte a gettarsi sulla testa degli uomini, se non si fossero elevati templi ed altari al loro nome. Poi si decise di adorare il proprio genio, che qualcuno invocò sotto il nome di Musa; altri, sotto quello di Fortuna; adorarono la propria ignoranza. Alcuni santificarono il loro libertinaggio sotto il nome di Cupido, la loro stizza sotto quello di Furie, i loro impulsi naturali sotto quello di Priapo, in una parola, non vi fu alcunché a cui non venisse dato il nome di un Dio o di un Demone.14

VIII Poiché i fondatori delle Religioni ben sapevano come la base delle loro imposture fosse l'ignoranza dei Popoli, si adoperarono per distrarli per mezzo dell'adorazione delle immagini, insegnando che gli Dei le abitavano, cosa che fece cadere sui Preti una pioggia d'oro e di Benefici, considerati cose sante, perchè furono destinati ad uso dei ministri consacrati e nessuno ebbe la temerità o l'audacia di nemmeno toccarli. Per meglio ingannare il Popolo, i Preti si finsero Profeti, Indovini, Ispirati capaci di conoscere l'avvenire, si vantarono di essere in confidenza con gli Dei e, poiché è naturale la voglia di conoscere il proprio destino, questi impostori non si peritarono di servirsi di una circostanza così favorevole ai loro scopi. Alcuni si stabilirono a Delo, altri a Delfi e in altri posti dove, con oracoli ambigui, rispondevano alle domande loro poste; i Romani fecero ricorso ai Libri Sibillini durante le grandi calamità. I pazzi erano ritenuti degli ispirati. Quelli che si dicevano in contatto con i morti erano detti Negromanti, altri pretendevano di conoscere l'avvenire attraverso il volo degli uccelli o le interiora degli animali. Per finire, occhi, mani, viso, oggetti straordinari, tutto sembrava loro di buono o cattivo augurio, tant'è vero che l'ignoranza raggiunse l'importanza che si vide quando si scoprì il segreto per avvalersene.15

IX Gli ambiziosi, che sono sempre stati grandi maestri di inganni, hanno seguito queste regole, quando emanarono le loro leggi e per obbligare il Popolo a sottomettervisi volontariamente, lo persuasero da averle ricevute da un Dio o da una Dea. Checché fossero queste Divinità, coloro che le adoravano, e che vennero detti Pagani, non avevano alcun sistema Religioso generale. Ogni Repubblica, ogni Stato, ogni Città e ogni individuo aveva i propri riti e pensava alla Divinità secondo la propria fantasia.

Page 12: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 12 di 42

Ma ciò si complicò, per via di legislatori più astuti dei primi. che impiegarono metodi più studiati e sottili emanando proprie leggi, culti, cerimonie, per alimentare il fanatismo che volevano imporre. Nel gran numero di questi mestatori, l'Asia ne ha visti nascere tre, che si sono contraddistinti sia per le leggi ed i culti che hanno istituito, sia per l'idea che hanno dato della Divinità, che per il modo in cui hanno agito per far accettare quest'idea e rendere sacre le loro leggi. Mosè fu il più antico, poi venne Gesù Cristo, che lavorò in base alle sue direttive, conservando i fondamenti delle sue leggi ed abolendo il resto. Maometto, apparso per ultimo sulla scena, ha preso un po' dall'una e un po' dall'altra Religione, per comporre la propria e si è, alla fine, dichiarato nemico di tutte due. Vediamo le caratteristiche di questi tre legislatori, esaminiamo la loro condotta, in modo da poter giudicare chi ha più ragione, se coloro che li venerano come uomini divini o coloro che li trattano da falsi e impostori.

X MOSÈ Il celebre Mosè, figlio di un grande Mago,16 secondo la relazione di Giustino Martire, ebbe tutte le opportunità adatte a farlo diventare quello che diventò. Tutti sanno che gli Ebrei, di cui si fece il capo, erano un popolo di pastori, che il Faraone Osiride I accolse nel suo paese a causa dei servizi ricevuti da uno di loro durante una grande carestia. Egli donò loro delle terre ai margini orientali dell'Egitto, in una zona fertile e ricca di pascoli e perciò adatta a nutrire le loro greggi; in circa duecento anni si moltiplicarono considerevolmente sia perché, essendo considerati stranieri, non erano soggetti ad obblighi militari, sia perchè, per via dei privilegi che Osiride aveva loro accordato, molti indigeni si aggiunsero a loro, sia, infine, perchè qualche banda di Arabi si aggiunse a loro, come loro fratelli, dato che erano della stessa razza. Comunque sia, si moltiplicarono talmente che non essendo più sufficiente il paese di Gossen, si espansero per tutto l'Egitto e diedero al Faraone giusto motivo di temere che potessero essere capaci di recar danno all'Egitto, nel caso di un attacco (cosa che allora avveniva sovente) da parte degli Etiopi, loro eterni nemici. Così, la ragion di stato costrinse quel Principe ad abolire i loro privilegi ed a cercare i mezzi per assorbirli e asservirli. Il Faraone Orus, soprannominato Busiride per la sua crudeltà, che era successo a Memnone, seguì i propri piani relativi agli Ebrei e, volendo eternare la propria memoria con l'erezione di Piramidi, condannò gli Ebrei a produrre mattoni, alla cui fabbricazione erano adatte le terre del loro paese. Durante questa schiavitù nacque il celebre Mosè, nello stesso anno in cui il Re ordinava che fossero gettati nel Nilo tutti i neonati maschi degli Ebrei, avendo constatato di non aver altra soluzione per far scomparire questa popolazione straniera. Anche Mosè fu abbandonato a morire nelle acque, in un paniere calafatato con bitume, che sua madre collocò su dei giunchi in riva al fiume. Il caso volle che Thermutis, figlia del Faraone Orus, venisse a passeggiare da quelle parti e che udisse gli strilli del bambino; la compassione, così naturale per il suo sesso, le ispirò il desiderio di salvarlo. Dopo la morte di Orus, gli succedette Thermutis e quando Mosè le fu presentato, gli fece dare un'istruzione quale poteva ricevere il figlio della Regina di una nazione che era allora la più colta e la più civile del mondo. In breve, si può dire che fu istruito in tutte le scienze dell'Egitto, il che equivale a presentarci Mosè come il maggior politicante, il più saggio Naturalista e il più famoso Mago dei suoi tempi. Inoltre, sembra molto probabile che fosse stato ammesso nell'ordine dei Sacerdoti, che erano per l'Egitto ciò che erano i Druidi per i Galli. Coloro che non sanno quale fosse allora il tipo di governo dell'Egitto, saranno meravigliati nell'apprendere che, essendo finite le sue famose Dinastie e dipendendo tutto il paese da un solo Sovrano, esso fosse stato allora diviso in numerose Regioni, di limitata estensione.

Page 13: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 13 di 42

Si definivano Monarchi i Governatori di queste regioni e questi Governatori facevano di solito parte del potente ordine Sacerdotale, che possedeva all'incirca un terzo dell'Egitto. Il Re nominava questi Monarchi e, se si deve credere agli Autori che hanno scritto di Mosè, confrontando ciò che essi hanno detto con ciò che Mosè stesso ha scritto, si concluderà ch'egli era il Monarca della regione di Gossen e che doveva la sua elevazione a tale carica a Thermutis, alla quale doveva anche la vita. Ecco chi fu Mosè in Egitto, dove ebbe tutto il tempo e tutti i mezzi per studiare i costumi degli Egiziani e quelli del suo popolo, le loro posizioni dominanti, le loro inclinazioni, conoscenze di cui si servì in seguito per suscitare la rivoluzione di cui fu il motore. Dopo la morte di Thermutis, il suo successore rinnovò la persecuzione contro gli Ebrei e Mosè, vedendo diminuire il favore di cui aveva fino allora goduto, ebbe paura di non poter giustificare certi omicidi che aveva commesso, così decise di fuggire e si ritirò nell'Arabia Petrea, che confina con l'Egitto e, avendolo il caso condotto presso un capo tribù di quel paese, i servizi ch'egli rese e il talento che il suo ospite credette di notare in lui gli suscitarono la sua gratitudine ed anche una delle sue figlie per moglie. È appena il caso di rilevare che Mosè era un così cattivo Ebreo, e che allora conosceva così poco il temibile Dio che si sarebbe figurato in seguito, che sposò un'idolatra e che non pensò neanche a circoncidere i propri figli. Vivendo nel deserto di quella parte d'Arabia, sorvegliando le greggi di suo suocero e di suo cognato, egli concepì il progetto di vendicarsi per l'ingiustizia fattagli dal Re di Egitto, portando nel cuore dei suoi Stati l'agitazione e la ribellione. Egli si lusingò di poterci riuscire facilmente, sia per il proprio talento, che per il credito che sapeva di trovare presso il suo popolo, già irritato contro il governo per il cattivo trattamento ricevuto. Dalla storia di questa rivoluzione che egli ha lasciato, o perlomeno che ci ha lasciato l'autore dei Libri attribuiti a Mosè, sembrerebbe che suo suocero Jetro facesse parte del complotto, così come suo fratello Aroinne e sua sorella Maria, che erano rimasti in Egitto e con i quali si era tenuto senza dubbio in corrispondenza. Comunque sia, si vede che egli aveva concepito un vasto piano politico e che seppe impiegare contro l'Egitto tutta la scienza che aveva appreso, cioè la sua pretesa Magia; campo in cui fu più astuto ed abile di tutti coloro che facevano lo stesso mestiere alla Corte del faraone. Per mezzo di questi pretesi miracoli egli conquistò la fiducia del suo popolo che spinse ad insorgere, ed al quale si unirono gli Egiziani ribelli e malcontenti, gli Etiopi e gli Arabi. Infine, vantando la potenza di Dio, i suoi frequenti incontri con lui e facendolo intervenire in ogni decisione che prendeva coi capi della rivolta, persuase questi ultimi così bene che lo seguirono con cinquecentomila combattenti, oltre le donne e i bambini, attraverso i deserti dell'Arabia, di cui egli conosceva tutti i nascondigli. Dopo sei giorni di marcia di una faticosa ritirata, prescrisse a coloro che lo seguivano di consacrare il settimo giorno a Dio, per un riposo generale, al fine di far loro credere che Dio lo assecondasse, che approvava la sua dominazione e perchè nessuno avesse l'ardire di contraddirlo. Non c'è mai stato alcun popolo ignorante come gli Ebrei, né, per conseguenza, più credulone. Per convincersi di questa profonda ignoranza è sufficiente ricordare in quali condizioni questo popolo vivesse in Egitto, quando Mosè lo spinse a ribellarsi: esso era odiato dagli Egiziani a causa della sua professione di pastore, perseguitato dai Sovrani ed obbligato ai lavori più umili. Non fu difficile a Mosè far valere il proprio talento in mezzo a questa plebaglia. Egli li spinse a credere che il suo Dio (che qualche volta chiamò semplicemente Angelo), il Dio dei loro Padri, gli fosse apparso: che era stato per suo ordine che egli s'era preso la briga di guidarli, che Dio l'aveva scelto per loro capo e che essi sarebbero stati il Popolo favorito da Dio,17 purché essi avessero creduto ciò che egli diceva in nome suo. Lo scaltro uso del proprio prestigio e della conoscenza che aveva della natura, corroborò le sue esortazioni ed egli confermò ciò che aveva detto per mezzo di cosiddetti prodigi, che non mancano mai di impressionare la marmaglia imbecille.

Page 14: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 14 di 42

Si può soprattutto rilevare che egli credette di aver trovato il modo per tenere gli Ebrei sottomessi ai suoi ordini, persuadendoli che Dio stesso era la loro guida, di notte sotto l'aspetto di una colonna di fuoco e di giorno sotto la forma di un Nembo. Ma così si può provare che quella fu la più grossolana furberia di quell'impostore. Durante il soggiorno in Arabia egli aveva imparato che, poiché il paese era vuoto e disabitato, esisteva l'uso, per coloro che viaggiavano in carovana, di prendere guide che li conducevano, di notte per mezzo di un braciere di cui seguivano la fiamma e di giorno per mezzo del fumo dello stesso braciere, che tutti i membri della Carovana potevano vedere, senza quindi perdersi. Quest'uso era ancor vivo presso i Medi e gli Assiri: Mosè se ne servì e lo fece passare per un miracolo e per un segno della protezione di Dio. Non mi si creda pure quando dico che è un inganno: però non ci credeva neanche Mosè stesso, che18 prega suo cognato Hobad19 di andare con gli Israeliti per indicar loro la strada, dato che conosceva il paese. Questo è strano, perchè se era Dio che marciava davanti a Israele notte e giorno, come nembo o colonna di fuoco, qual miglior guida avrebbero potuto avere? Ciononostante, ecco Mosè che esorta il cognato a servirgli da guida per i motivi più impellenti: dunque il nembo e la colonna di fuoco non erano Dio se non per il popolo, non per Mosè. I poveri Disgraziati, convintisi di essere stati adottati dal Signore degli Dei per uscire da una crudele schiavitù, applaudirono Mosè e giurarono di obbedirgli ciecamente. Dopo aver ribadito la propria autorità, egli volle renderla perpetua e, col pretesto specioso di fondare il culto del vero Dio, di cui affermava essere il luogotenente, nominò d'improvviso il fratello ed i figli capi del Palazzo Reale; cioè del posto dove egli trovava opportuno far emanare gli oracoli, luogo che era situato oltre la terra dei viventi e della percezione del popolo. Poi fece ciò che si è sempre fatto per le nuove istituzioni, esser capace di fare dei prodigi, dei miracoli dai quali i semplici erano abbagliati, qualcuno sbalordito, ma che facevano pena a coloro che erano perspicaci, e che vedevano al di la di queste menzogne. Qualunque fosse l'astuzia di Mosè, egli non avrebbe potuto farsi obbedire, se non avesse goduto della forza. La furberia disarmata raramente ha successo. Nonostante il gran numero di gonzi che si sottomettevano ciecamente ai voleri di quest'abile legislatore, c’erano degli uomini così coraggiosi da rinfacciargli la nuova fede, dicendogli che, sotto l'apparenza di giustizia ed uguaglianza, egli si era impadronito di tutto, che l'autorità sovrana era legata alla sua famiglia, senza che alcuno avesse diritto di pretendere altro e che egli era più il Tiranno del Popolo che non il Padre eletto. Ma, in questa occasione, Mosè, da buon politico, sterminò questi Spiriti forti e non risparmiò nessuno di coloro che criticavano il suo governo. È con analoghe precauzioni e presentando sempre le condanne come vendetta divina, che egli regnò come despota assoluto e, per finire come aveva cominciato, cioè da astuto impostore, si precipitò in un baratro che aveva fatto scavare in mezzo al deserto, dove si ritirava di tanto in tanto con la scusa di dover parlare segretamente con Dio, al fine di accattivarsi in tal modo il rispetto e la sottomissione dei suoi sudditi. Del resto, egli si gettò in questo precipizio, preparato da tempo, in modo che il suo corpo non si trovasse più e si potesse credere che Dio l'aveva tolto di lì per renderlo simile a se stesso; egli non ignorava che il ricordo dei Patriarchi, che l'avevano preceduto, era molto venerato, quantunque si fossero trovate le loro tombe, ma ciò non bastava a limitare un'ambizione come la sua: gli occorreva che lo riverissero come un Dio, sul quale nulla può la morte. Ciò era quello a cui tendeva, certamente, che aveva detto fin dall'inizio del proprio regno: che egli era stato mandato da Dio per essere il Dio del Faraone. Come Elia, per esempio, Romolo, Zamolsxi e tutti coloro che nascosero il momento della propria morte, per essere creduti immortali, a causa della ferma volontà di rendere eterno il proprio nome.

Page 15: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 15 di 42

XI Tornando ai Legislatori, non c'è dubbio alcuno che essi avessero fatto promanare le loro leggi20 da qualche Divinità e che avessero tentato di convincere se stessi di essere qualcosa di più che semplici mortali. Numa Pompilio, che aveva goduto i piaceri della solitudine e si doleva a lasciarla, anche se per occupare il trono di Romolo, e benché si trovasse costretto dalla pubblica acclamazione, approfittò della devozione dei Romani e li indusse a credere ch'egli parlasse con gli Dei, cosicché, se lo volevano assolutamente come Re, dovevano decidersi ad obbedirgli ciecamente ed ad osservare religiosamente le leggi e le Istruzioni divine, che gli venivano comunicate dalla Ninfa Egeria. Alessandro il Grande non aveva meno vanità; non contento di esser diventato il padrone del mondo, volle esser creduto figlio di Giove. Perseo pretendeva di essere nato dallo stesso Dio e dalla vergine Diana. Platone riteneva Apollo suo padre, che lo aveva avuto da una vergine. Ci furono anche altri personaggi che ebbero la stessa follia: certamente tutti quei grandi uomini credevano a queste fantasticherie, fondate sull'opinione degli Egiziani, i quali sostenevano che lo spirito di Dio poteva avere relazioni sessuali con una femmina e fecondarla.

XII GESÙ CRISTO Gesù Cristo, che non ignorava i precetti né la scienza degli Egiziani, diede corso a quest'opinione, ritenendola consona ai propri progetti. Considerando come si era reso celebre Mosè, benché avesse comandato solo un Popolo d'ignoranti, egli cominciò a costruire su quella base e si fece seguire da qualche sciocco, persuadendoli del fatto che lo Spirito Santo fosse suo Padre, mentre la Madre era una vergine. Quegli sprovveduti, abituati a nutrirsi di sogni e fantasticherie, accettarono i suoi precetti e credettero tutto ciò ch'egli voleva, tanto più che una tal nascita non era poi, in realtà, troppo meravigliosa per loro.21 Esser nato da una Vergine per opera dello Spirito Santo non è dunque più straordinario e miracoloso di ciò che raccontano i Tartari del loro Gengis Khan, anche la cui madre fu una Vergine, i Cinesi dicono che il Dio Fo deve la vita ad una vergine, fecondata dai raggi del sole. Questo prodigio si verificò in un momento in cui gli Ebrei, stanchi del loro Dio com'era stato tramandato dai loro Giudici,22 volevano averne uno visibile come le altre nazioni. Poiché il numero degli sciocchi è infinito, Gesù Cristo trovò dunque dei seguaci, ma poiché la sua totale povertà era un invincibile ostacolo alla sua elevazione,23 i Farisei, a volte suoi ammiratori, a volte invidiosi della sua audacia, lo osteggiavano o l'acclamavano, secondo l'umore incostante della Plebe. La fama della sua Divinità si sparse, ma poiché esso era privo di un seguito armato, era impossibile che il suo progetto riuscisse. Qualche ammalato guarito, qualche supposto morto risuscitato, gli diedero fama, ma, non avendo soldi né armati, non poteva sopravvivere; se avesse avuto questi mezzi avrebbe ottenuto dei risultati come Mosè e Maometto o come tutti coloro che hanno avuto l'ambizione di primeggiare. Se egli fu più sfortunato, non fu però il meno scaltro ed alcuni passi della sua storia provano che il maggior difetto della sua politica fu quello di non dare abbastanza peso alla propria sicurezza. D'altronde, non trovo che egli abbia preso misure peggiori degli altri due; la sua legge, almeno, è diventata la regola dei credenti fra i Popoli che si vantano di essere i più saggi del mondo.

Page 16: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 16 di 42

XIII LA POLITICA DI GESÙ CRISTO Non c'è forse qualcosa di più scaltro della risposta di Gesù circa la donna sorpresa mentre commette adulterio? Gli Ebrei gli avevano chiesto se dovessero lapidarla, ma lui, invece di rispondere affermativamente, cosa che l'avrebbe fatto cadere nella trappola tesagli dai suoi nemici, dato che una risposta negativa sarebbe stata contraria alla legge, mentre quella affermativa avrebbe confermato il suo rigore e la sua crudeltà, alienandogli le simpatie, invece, ripeto,di rispondere come un uomo comune, disse: “colui che è senza peccato scagli la prima pietra”. Astuta risposta, che mette in bella evidenza la sua presenza di spirito. Quando un'altra volta gli fu chiesto se era lecito pagare le tasse a Cesare, vedendo l'immagine del Principe sulla moneta che gli veniva mostrata, eluse la difficoltà rispondendo: “si renda a Cesare ciò che è di Cesare”. La difficoltà consisteva nel fatto che si sarebbe reso colpevole di lesa Maestà se avesse negato la liceità di pagare, mentre dicendo che era giusto pagare avrebbe infranto la legge di Mosè, cosa ch'egli aveva affermato di non voler fare mai, quando si credeva indubbiamente troppo debole per poterlo fare impunemente, perchè quando divenne più famoso, egli la ribaltò quasi del tutto. Egli fece come quei Principi, che promettono sempre di conservare i privilegi dei propri Sudditi, finché la loro potenza non è ancora ben salda, ma che in seguito non si sentono tenuti a mantenere la loro promessa. Quando i Farisei gli chiesero da chi avesse ricevuto l'autorità di predicare e di insegnare al popolo, Gesù Cristo, prevenendo il loro disegno tendente ad accusarlo di mendacia, sia se egli avesse risposto che gli derivava da un'autorità umana, mentre egli non apparteneva al Corpo Sacerdotale, il solo incaricato dell'istruzione del popolo, sia se si fosse vantato di predicare per esplicito ordine di Dio, essendo la sua dottrina in opposizione alla Legge di Mosè, se la cavò mettendoli in imbarazzo e chiedendo loro in nome di chi Giovanni avesse battezzato. I Farisei, che s'erano opposti per motivi politici al Battesimo di Giovanni, si erano condannati da soli proclamando che egli aveva agito in nome di Dio: se essi non l'avessero fatto si sarebbero esposti alla rabbia della plebe che credeva il contrario. Per uscire da questo mal passo, risposero che non lo sapevano e così Gesù Cristo rispose di non essere obbligato a dir loro perchè ed in nome di chi predicasse.

XIV Queste erano le scappatoie del distruttore della vecchia Legge e padre della nuova Religione, fondata sulle rovine della vecchia, nella quale uno spirito disinteressato non vedeva niente di più divino che nelle Religioni precedenti. Il suo fondatore, che non era affatto un ignorante, vedendo l'estrema corruzione della Repubblica dei Giudei, la giudicò prossima alla fine e credette che un'altra dovesse nascere dalle sue ceneri. Il timore di essere preceduto da uomini più scaltri di lui, lo indusse ad affrettarsi ad usare mezzi opposti a quelli di Mosè. Questi cominciò col rendersi temibile e potente sugli altri, Gesù Cristo, al contrario, li attirò a sé colla speranza dei benefici di cui avrebbero goduto in un'altra vita se, come diceva lui, gli avessero creduto. Mentre Mosè promise solo beni temporali a coloro che erano fedeli alla sua legge, Gesù Cristo fece sperare che nulla sarebbe finito. Le Leggi del primo riguardavano solo cose esteriori, quelle del secondo guardavano alle cose interiori, influendo sui pensieri e prendendo in perfetto contropiede la Legge di Mosè. Da ciò si deduce che Gesù Cristo credette, come Aristotele, che Religione e Stato sono come tutti gli individui che vengono generati e si corrompono e che, poiché non esiste niente che non si sia mai corrotto, nessuna Legge si arrende ad un'altra che non le sia totalmente opposta.

Page 17: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 17 di 42

Ora, poiché è difficile risolversi a passare da una Legge ad un'altra, e poiché la maggioranza delle persone sono difficili da scrollare in materia di Religione, Gesù Cristo, come gli altri impostori, fece ricorso ai miracoli, che sono sempre stati lo scoglio degli ignoranti e il rifugio degli ambiziosi scaltri.

XV Avendo fondato in questo modo il Cristianesimo, Gesù Cristo pensò abilmente di approfittare degli errori politici di Mosè e di rendere eterna la sua nuova Legge, impresa che gli riuscì ben al di la delle sue speranze. I Profeti Ebrei pensavano di onorare Mosè, predicendone un successore che gli sarebbe stato simile, cioè un Messia di grande virtù, Potente nel bene e terribile pei suoi nemici; però le loro Profezie produssero un effetto del tutto contrario: un gran numero di ambiziosi ne prese occasione per farsi passare per il Messia preannunciato, cosa che provocò delle rivolte, durate fino alla completa distruzione della vecchia Repubblica Ebraica. Gesù Cristo, più furbo dei Profeti Moseaici, volendo screditare i suoi possibili futuri avversari, predisse che quest'uomo sarebbe stato il grande nemico di Dio, il favorito del Demonio, la sentina di tutti i vizi e la desolazione del mondo. Dopo un ritratto così bello, sembrò che nessuno potesse essere tentato di dirsi l'Anticristo ed io non credo che si possa mai trovare un ritrovato migliore per rendere eterna una Legge, benché non ci sia niente di più fantastico di tutto ciò che è stato attribuito a questo preteso Anticristo. San Paolo disse, durante la propria vita, che egli era già nato e che, perciò, si era alla vigilia del ritorno di Gesù Cristo, ciononostante sono passati più di milleseicento anni dalla predicazione della nascita di questo formidabile personaggio, senza che alcuno ne abbia sentito parlare. Mi consta che qualcuno abbia applicato queste parole a Ebione e Cerinto, due grandi nemici di Gesù Cristo, di cui combatterono la pretesa Divinità, ma si può anche dire che questa interpretazione è conforme a quanto detto dell'Apostolo, cosa ben poco credibile, queste parole indicano in tutti i secoli una infinità di Anticristi, non essendoci alcun vero sapiente che creda di offendere la verità dicendo che la storia di Gesù Cristo è una leggenda spregevole e, che la sua Legge è un tessuto di bubbole che l'ignoranza ha reso di moda, che son mantenute vive dall'interesse e protette dalla tirannia.24

XVI Ciononostante, si pretende che una Religione fondata su queste basi sia divina e soprannaturale, come se non si sapesse che non esiste gente più pronta delle donne e degli sciocchi a donare il proprio cuore alla speranza più assurda; non ci si deve perciò stupire che Gesù Cristo non abbia avuto dei Saggi fra i suoi seguaci, perchè egli ben sapeva che la sua Legge non poteva andare d'accordo col loro buon senso. Ecco, senza dubbio, perchè egli alzò la voce così spesso contro i Saggi, che egli escluse dal suo Regno, nel quale ammette solo i poveri di spirito, i semplici e gli imbecilli. Le menti ragionevoli devono consolarsi con il fatto di non aver niente da spartire con degli insensati.

XVII Quanto alla morale di Gesù Cristo, non vi si vede niente che debba farla preferire agli scritti degli antichi o, piuttosto, tutto ciò che vi si trova dentro è derivato e imitato. Sant'Agostino25 confessava di aver trovato in alcuni dei loro scritti tutto l'inizio del Vangelo di San Giovanni; aggiungendo a ciò l’avvertimento che quell'Apostolo era talmente abituato a saccheggiare gli altri che non ha avuto la minima esitazione a derubare i Profeti dei loro enigmi e visioni, per comporre la sua Apocalisse. Da dove deriva, per esempio, la concordanza fra la dottrina del Vecchio Testamento e gli scritti di Platone se non dal fatto che i Rabbini, componendo i loro scritti, hanno saccheggiato quel grand'uomo?

Page 18: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 18 di 42

La creazione del mondo è molto più verosimile nel Timeo che nella Genesi; ciononostante non si può dire che ciò derivi dal fatto che Platone possa aver letto i libri Ebraici durante il suo viaggio in Egitto perchè, secondo quanto riferisce Sant'Agostino,26 il Re Tolomeo non li aveva ancora fatti tradurre, a quel tempo. La descrizione della Terra, fatta da Socrate a Simia nel Fedone è infinitamente più attraente di quella del Paradiso Terrestre e la leggenda degli Androgini27 è senza confronto miglior trovata di tutto ciò che ci racconta il Genesi circa l'estrazione di una delle costole di Adamo per formare la donna, eccetera. Ancora, c'è forse qualcosa di più simile alla distruzione di Sodoma e Gomorra dei guai provocati da Fetonte? E in più, c'è nulla di più simile alla caduta di Lucifero che quella di Vulcano, o di quella dei Giganti inabissati dai fulmini di Giove? Cosa c'è di più simile fra loro delle storie di Sansone ed Ercole, di Elia e di Fetonte, di Giuseppe ed Ippolito, di Nabucodonosor e Licaone, di Tantalo e del ricco malvagio, della Manna degli Israeliti o dell'Ambrosia degli Dei? Sant'Agostino,28 San Cirillo e Teofilatto paragonano Giona ed Ercole, soprannominato "Trinozio" perchè rimase per tre giorni e tre notti nel ventre della Balena. Il fiume di Daniele, descritto al Cap. 7 delle sue Profezie è una imitazione risibile del Piriflegetonte29 di cui si parla nel dialogo sull'immortalità dell'anima. Si è fatto derivare il peccato originale dalla stupidità di Pandora, il sacrificio d'Isacco e di Jefte da quello di Ifigenia, al cui posto fu sacrificata una cerva. Ciò che ci viene detto di Lot e di sua moglie è del tutto identico a quello che la leggenda ci insegna su Bauci e Filemone, la storia di Bellerofonte è la base di quella di San Michele e del Demonio da lui vinto: infine è noto che gli Autori delle Scritture hanno trascritto pressoché parola per parola le opere di Esiodo e di Omero.

XVIII Quanto a Gesù Cristo, Celso dimostrò contro Diogene,30 che egli aveva tratto le sue più belle sentenze da Platone. Tale è quella che dice "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno di Dio."31 È alla setta dei Farisei, a cui apparteneva, che coloro che credono in lui devono la loro fede nell'immortalità dell'anima, nella resurrezione, nell’ inferno e la maggior parte della sua morale, nella quale non vedo niente che non sia già in Epitteto, in Epicuro, e in un mucchio di altri. Quest'ultimo è stato citato da San Gerolamo,32 come uomo la cui virtù era di scorno ai migliori cristiani e la cui vita era così modesta che il suo miglior pasto era basato solo su un pezzo di formaggio, pane e acqua. Con una vita così frugale, questo filosofo, benché pagano, diceva che era meglio essere sfortunato e assennato, piuttosto che ricco e opulento senza intelligenza, aggiungendo che la fortuna e la saggezza si trovano raramente riunite in una stessa persona e che si potrebbe esser felici e vivere soddisfatti solo fino a quando la nostra felicità è accompagnata dalla prudenza, dalla giustizia e dall'onestà, qualità in cui rifulge il vero e solo Piacere. Per quanto riguarda Epitteto, non credo che mai alcuno uomo, non escluso Gesù Cristo, sia stato più sicuro, più austero e più costante di lui ed abbia avuto una pratica morale più sublime della sua. Non dico niente di lui che non mi sia facile provare, se fosse necessario, ma, per il timore di superare i limiti che mi sono imposti, non ricorderò che un unico esempio fra le belle azioni della sua vita. Egli era schiavo di un liberto, chiamato Epafrodito, Capitano delle Guardie di Nerone: questo bruto si incapricciò di torcergli una gamba. Epitteto, accorgendosi che lui ne traeva piacere, gli disse sorridendo che vedeva bene che quel gioco sarebbe finito solo quando la sua gamba si fosse rotta, cosa che avvenne come aveva previsto. "Ebbene”, continuò con viso sereno e sorridente, “non ve l'avevo forse detto che mi avreste rotta la gamba?" Ci fu mai una fermezza paragonabile a quella? Si può dire che Gesù Cristo sia stato alla sua altezza, lui che piangeva e scappava per la paura, al minimo allarme e che dimostrò, di fronte alla morte, una spregevole pusillanimità, che non si vide nei suoi Martiri?

Page 19: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 19 di 42

Se l'ingiuria del tempo non ci avesse privati del libro che Arriano scrisse sulla vita del nostro filosofo, io son certo che apprenderemmo ben altri esempi della sua pazienza. Non dubito che di quest'opera si direbbe ciò che i preti dicono della virtù dei filosofi, che è una virtù basata sulla vanità e che, in effetti, non è proprio ciò che sembra: ma so bene che coloro i quali usano questo linguaggio sono persone che dicono dalla cattedra tutto ciò vien loro alla bocca e credono di essersi ben guadagnata la mercede, loro corrisposta per insegnare al popolo, quando hanno tuonato contro i soli uomini che sapessero cosa è la giusta ragione e la vera virtù; tanto è vero che nulla al mondo si avvicina di meno ai costumi dei veri Saggi che le azioni degli uomini superstiziosi, i quali le diffamano. Questi sembra abbiano studiato soltanto per agguantare un posto che dia loro il pane, sono vanesi e si applaudono quando l'hanno ottenuto, come se avessero conseguito uno stato di perfezione, sebbene esso sia, per coloro che l'hanno raggiunto, solo uno stato di ozio, di orgoglio, di licenziosità, di piacere, in cui la maggior parte segue in minima parte le regole della Religione professata. Ma lasciamo perdere individui che non hanno alcuna idea dell'effettiva virtù, per esaminare la Divinità del loro Maestro.

XIX Dopo aver esaminato la politica e la morale del Cristo, dove non si trova niente di così utile e così sublime che non sia già contenuto negli scritti degli antichi filosofi, vediamo se la reputazione acquisita dopo la norte è una prova della sua Divinità. Il Popolo è così abituato a sragionare, che io mi stupisco di come si possano trarre conseguenze dal suo comportamento; l'esperienza ci prova che esso corre sempre dietro ai fantasmi e che non fa e non dice niente che indichi il suo buon senso. Ciononostante, è su parecchie chimere, da sempre in auge, che è fondata la sua fede, benché i Saggi si siano sforzati di opporvisi. Qualunque affanno essi si siano presi per sradicare le follie dominanti, il Popolo non le ha abbandonate se non dopo esserne sazio. Mosè ebbe un bel vantarsi d'essere l'interprete di Dio e provare la sua missione e il suo diritto per mezzo di segni straordinari, ma per poco che si assentasse (cosa che faceva di tanto in tanto per parlare, diceva lui, con Dio, cosa che fecero egualmente Numa Pompilio e molti altri legislatori), per poco, dico io, che si assentasse, trovò solo, al suo ritorno, le tracce del culto degli Dei, che gli Ebrei avevano avuto in Egitto. Ebbe un bel tenerli per quaranta anni nel deserto, per far loro perdere il ricordo degli Dei che avevano lasciato: essi non li avevano ancora dimenticati, li volevano sempre visibili e marcianti davanti a loro, li adoravano ostinatamente, qualunque fosse la crudeltà che dovevano sopportare. Solo l'odio verso le altre nazioni, che fu loro ispirato dall'orgoglio, di cui anche i più stupidi sono capaci, fece loro perdere insensibilmente il ricordo degli Dei d'Egitto, per dedicarsi a quello di Mosè; l'adorarono per qualche tempo con tutte le particolarità indicate dalla Legge, lo abbandonarono in seguito, per seguire la legge di Gesù Cristo, per via di quell'incostanza che fa correre dietro alle novità.

XX I più ignoranti fra gli Ebrei avevano adottato la Legge di Mosè; così come ce ne furono parecchi che seguirono Gesù e poiché il loro numero è infinito, ed essi stavano volentieri l'uno con l'altro, non ci si deve stupire se i nuovi errori si diffusero facilmente. Non è che le novità non siano pericolose per coloro che le abbracciano, ma l'entusiasmo da loro suscitato diminuisce la paura. Così i Discepoli di Gesù Cristo, tutti miserabili al suo seguito e tutti morenti di fame (come si vede dalla necessità in cui si trovarono un giorno di spigolare nei campi per nutrirsi), i Discepoli di Gesù Cristo, dico, incominciarono a scoraggiarsi solo quando videro il loro Maestro nelle mani dei carnefici ed impotente a dar loro i beni, la potenza e la grandezza che gli aveva fatto sperare.

Page 20: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 20 di 42

Dopo la sua morte, i suoi discepoli, indispettiti per il fallimento delle loro speranze, fecero di necessità virtù: banditi da tutte le leggi, perseguitati dai Giudei, che volevano trattarli come il loro Maestro, si sparsero nei paesi circostanti, dove, sulla base del racconto di alcune donne, accreditarono la sua resurrezione, la sua derivazione Divina ed il resto delle favole di cui i Vangeli sono ricchi. Le difficoltà che incontravano ad avere successo fra gli Ebrei li spinsero a cercar rifugio presso i Gentili ed a provare se non fossero, per caso, più fortunati fra gli stranieri, ma poiché essi abbisognavano di un'istruzione superiore a quella che avevano, perchè i Gentili erano filosofi e, perciò, troppo amici della ragione per arrendersi a delle bagattelle, i Seguaci di Gesù guadagnarono alla loro causa un giovane (San Paolo) di spirito ardente ed attivo, ma un po' più istruito dei pescatori analfabeti, più abile di far ascoltare le proprie storie. Questi, unitosi a loro. per un colpo del Cielo (perchè ci voleva un evento straordinario che avesse del meraviglioso) attirò qualche partigiano nella setta nascente, usando il timore delle pretese paure di un Inferno, ricopiato dalle favole degli antichi Poeti, e la speranza delle gioie del Paradiso, da cui era stato prelevato, come ebbe l'impudenza di dire. Quei discepoli, a forza di giochi di prestigio e di menzogne, procurarono al loro Maestro l'onore di passare per un Dio, onore che Gesù, in vita sua, non aveva potuto raggiungere: la sua sorte non fu migliore di quella di Omero, né altrettanto onorevole perchè per quest'ultimo sei delle Città che l'avevano scacciato e disprezzato durante la sua vita, si fecero guerra per stabilire quale dovesse avere l'onore di avergli dato i natali.

XXI Si può giudicare, da tutto ciò che abbiamo detto, che il Cristianesimo non è, come tutte le altre Religioni, che un'impostura intessuta grossolanamente, il cui successo e propagazione stupirebbero i suoi stessi inventori, se rinascessero: ma senza impelagarsi ulteriormente in quel labirinto di errori e grossolane contraddizioni di cui abbiamo già parlato abbastanza, diciamo qualcosa su Maometto, che fondò una legge su fondamenti affatto opposti a quelli di Gesù Cristo.

XXII MAOMETTO Appena i Discepoli di Cristo ebbero demolito la Legge Mosaica, per introdurre la Legge Cristiana, gli uomini indotti dalla forza e dalla loro ordinaria incostanza, seguirono un nuovo legislatore, che s'innalzò con gli stessi sistemi di Mosè, prese come lui il titolo di Profeta e di Inviato da Dio, fece dei miracoli come lui e seppe mettere a profitto le passioni popolari. Dapprima, si vide seguito da una plebaglia ignorante, alla quale spiegò i nuovi oracoli del cielo. Quei poveretti, sedotti dalle promesse e dalle favole di questo nuovo Impostore, diffusero la sua fama e l'esaltarono al punto da eclissare quella dei suoi predecessori. Maometto non era un uomo che sembrasse adatto a fondare un Impero, non eccelleva nella politica, né nella filosofia, non sapeva leggere, né scrivere. Maometto - dice il Conte di Boulanvilliers - non era colto, ma conosceva certamente tutte quelle nozioni che un gran viaggiatore può acquisire con un po' di spirito di osservazione, quando si sforzi di impiegarlo utilmente. Non era per niente ignorante nella propria lingua, dato che, pur senza saper leggere, ne aveva assorbito tutta la finezza e la bellezza. Non era ignorante nell'arte di saper rendere odioso ciò che era realmente condannabile e nel dipingere la realtà con colori semplici e vivaci, che permettevano di non misconoscerla. In effetti, tutto ciò che ha detto è vero, in rapporto ai dogmi essenziali della Religione, ma egli non ha detto tutta la verità ed è in questo che la nostra Religione differisce dalla sua. Più avanti aggiunge: "Maometto non era grossolano né barbaro e che egli ha condotto la sua impresa con tutta l'arte, la delicatezza, i modi, l'audacia e le ampie vedute di cui anche Alessandro e Cesare sarebbero stati capaci al posto suo.33

Page 21: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 21 di 42

Era, inoltre, così poco costante che avrebbe sovente abbandonato ciò che aveva intrapreso se non fosse stato obbligato dall'accortezza di uno dei suoi Seguaci a sostenere la sfida. Quando cominciò ad elevarsi e a diventare celebre, Corais, un eminente Arabo geloso del fatto che un uomo dappoco avesse l'ardire di raggirare il popolo, si dichiarò suo nemico ed ostacolò le sue imprese. Il Popolo, però, convinto che Maometto avesse colloqui con Dio e gli Angeli fece in modo da farlo prevalere sui suoi nemici; la famiglia di Corais34 ebbe la peggio e Maometto, che si vide seguito da una folla imbecille, che lo credeva un uomo divino, credette di non aver più bisogno del suo compagno, ma per paura che quello rivelasse i suoi raggiri, volle prevenirlo e per farlo con maggior sicurezza lo coprì di promesse e gli giurò di voler diventare grande solo per dividere il suo potere con lui, che aveva tanto contribuito al suo raggiungimento. "Noi pensiamo - dice - alla nostra elevazione: siamo usciti da un grande Popolo, che abbiamo conquistato, si tratta di rendersi sicuri di lui con l'inganno che voi avete così felicemente inventato". E così lo convinse a nascondersi nella fossa degli Oracoli. Era questo un pozzo da cui egli parlava, per far credere al Popolo che la voce di Dio parlasse attraverso Maometto, che era in mezzo ai suoi proseliti. Ingannato dalle promesse di quel perfido, il suo socio andò nella fossa per simulare, su suo comando, l'Oracolo. Mentre Maometto passava alla testa di una turba di esaltati, si udì una voce che diceva: "Io sono il vostro Dio, dichiaro di aver scelto Maometto come Profeta di tutte le nazioni, da lui apprenderete la mia vera Legge che Ebrei e Cristiani hanno guastato". Era da un bel pezzo che quell'uomo interpretava quel ruolo, ma alla fine ne fu ripagato con la maggiore e la più nera delle ingratitudini. Maometto, infatti, udendo la voce che lo proclamava uomo di Dio, voltatosi verso il Popolo, gli ordinò, in nome di questo Dio, di riconoscerlo come loro Profeta e di colmare di pietre il pozzo, da dove era uscita una così autentica testimonianza in suo favore, in ricordo delle pietre che Giacobbe aveva innalzato per indicare il luogo in cui Dio gli era apparso. Così morì il miserabile che aveva contribuito all'elevazione di Maometto ed è su quel mucchio di pietre che l'ultimo dei più celebri impostori fondò la sua legge. Questa base è così solida e stabile che dopo più di mille anni di regno non si vede ancora alcun segno che stia per crollare.

XXIII Così Maometto si innalzò e fu più fortunato di Gesù, poiché vide la propagazione della sua legge durante la sua vita, cosa che non fu possibile al figlio di Maria, a causa della sua povertà. Fu più fortunato anche di Mosè, che affrettò la propria fine, per eccesso di ambizione; Maometto morì in pace ed al colmo dei suoi desideri, ebbe per di più la certezza che la sua Dottrina sarebbe sopravvissuta alla sua morte, avendola adattata a misura dei suoi Seguaci, nati ed allevati nell'ignoranza, cosa che nessun uomo più abile sarebbe riuscito a fare. Ecco, lettore, cosa si può dire di più rilevante dei tre celebri legislatori, le cui Religioni hanno soggiogato gran parte dell'Universo. Essi errano come li abbiamo descritti, sta a voi esaminare se meritano di essere rispettati e ritenete scusabile farsi condurre da guide, che ebbero la sola ambizione di primeggiare e dei quali l'ignoranza perpetua il sogno. Per guarirvi dagli errori con cui vi hanno accecati, seguite coloro che hanno uno spirito libero e disinteressato e questo sarà il mezzo per scoprire la verità.

Page 22: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 22 di 42

CAPITOLO IV VERITÀ TANGIBILI ED EVIDENTI

I Mosè, Gesù e Maometto sono come li abbiamo appena descritti ed è perciò evidente che non si può assolutamente trovare nei loro scritti una vera idea della Divinità. Le apparizioni ed i colloqui di Mosè e Maometto, così come l'origine divina di Gesù , sono le imposture maggiori che si siano potute esporre e si deve evitarle, se si ama la verità.

II Dio, come si è visto, non è che la natura o, se si vuole, l'insieme di tutti gli esseri, di tutte le peculiarità e di tutte le energie; è necessariamente la causa immanente e non diversificabile dai suoi effetti; non può essere definito buono, né cattivo, né giusto, né misericordioso, né geloso, poiché queste sono qualità appartenenti solo all'uomo; Dio non saprà né punire, né ricompensare: l'idea di punizione e ricompensa può sedurre solo degli ignoranti, che non concepiscono l'Essere semplice, detto Dio, se non sotto forma di un'immagine che non gli si attaglia per niente; coloro che si servono del loro giudizio senza confondere i propri atti coi prodotti della fantasia e che hanno la forza di disfarsi dei pregiudizi dell'infanzia sono i soli che se ne facciano un'idea chiara e precisa. Essi lo riconoscono come la sorgente di tutti gli Esseri, che vengono generati senza differenze, gli uni pari agli altri, per quanto lo riguarda, ed anche generare l'uomo non gli costa più che generare un vermiciattolo o la più piccola pianta.

III Non si deve, perciò, credere che l'Essere universale, chiamato comunemente Dio, si occupi più di un uomo che di una formica, di un leone che di una pietra; per quanto lo riguarda non c'è niente di bello o di brutto, di buono o di cattivo, di perfetto o di difettoso. Non gli importa essere lodato, pregato, cercato, vezzeggiato, non è per nulla intenerito da ciò che fanno o dicono gli uomini, non è suscettibile d'amore né di odio, in breve non si occupa dell'uomo più che di ogni altra creatura di qualunque tipo sia. Qualunque distinzione è solo l'invenzione di uno spirito gretto, l'ignoranza l'inventa e l'interesse la fomenta.35

IV Così, tutti gli uomini sensati non possono credere agli Dei, né all'Inferno, né agli Spiriti, né ai Diavoli, nel modo in cui essi sono di solito intesi. Tutte queste grosse parole sono state inventate per sbalordire o intimidire la plebe. Quindi, coloro che vogliono ancor più convincersi di queste verità prestino attenzione a quel che segue e si abituino a non giudicare se non dopo matura riflessione.

V L'infinità delle stelle che vediamo sopra di noi, ha fatto concepire altrettanti corpi solidi dove essi si muovono, fra cui uno destinato alla Corte Celeste, dove Dio si com porta come un Re in mezzo ai suoi Cortigiani. Questo luogo è la dimora dei Beati, luogo in cui si suppone vadano le anime buone, quando lasciano il corpo. Ma, senza soffermarsi su di una teoria così frivola, che nessun uomo di buon senso può accettare, è sicuro che ciò che vien chiamato Cielo non è altro che la continuazione dell'aria che ci circonda, un fluido in cui i Pianeti si muovono senza essere sostenuti da alcun solido, così come la terra che noi abitiamo.

Page 23: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 23 di 42

VI Come ci si è immaginato un Cielo, dimora di Dio e di Profeti, o, secondo i Pagani, degli Dei e delle Dee, ci si è poi raffigurato un Inferno, posto sotto terra, in cui si afferma discendano le anime dei cattivi per esservi tormentate: ma la parola Inferno, nel suo significato naturale, non significa altro che un posto basso e vuoto, che i Poeti hanno inventato in contrasto con la dimora degli abitanti celesti, che essi avevano supposto alta ed eccelsa. Ecco cosa significano veramente le parole Inferno, Inferi dei Latini, o quella dei Greci,36 cioè un luogo oscuro come una tomba o tutti gli altri posti profondi e rinomati per la loro oscurità. Tutto ciò che se ne dice è solo effetto della fantasia dei Poeti e dell'astuzia dei Preti: tutti i discorsi dei primi sono figurati e adatti ad impressionare le anime deboli, timide e melanconiche ed essi furono trasformati in articoli di fede da coloro che avevano il massimo interesse a sostenere queste opinioni.

CAPITOLO V L’ANIMA

I L'anima è qualcosa di cui è più difficile discutere di quanto non lo siano il Cielo e l'Inferno; perciò, per soddisfare la curiosità del Lettore occorre parlarne più diffusamente: prima di definirla, però, bisogna esporre ciò che ne hanno pensato i più celebri filosofi. Lo farò in poche parole così da renderne più facile la comprensione.

II Alcuni hanno preteso che l'anima sia Spirito o sostanza immateriale, altri hanno sostenuto che faccia parte della Divinità, qualcuno che sia un aere molto sottile, altri dicono che è un accordo di tutte le parti del corpo ed, infine, altri ancora sostengono che è la parte più sottile del Sangue che si separa nel cervello e si distribuisce attraverso i nervi. Ciò stabilito, la sorgente dell'anima è il cuore, dove si genera, quello in cui esercita le funzioni più nobili è il cervello, visto che là è più depurata delle parti più grossolane del sangue. Queste sono le varie teorie che sono state sviluppate sull'anima. Ciononostante, per sviluppare meglio le supposizioni, dividiamole in due classi. In una ci saranno i filosofi che l'hanno creduta corporea, nell'altra quelli che l'hanno ritenuta come spirituale.

III Pitagora e Platone hanno supposto l'anima come immateriale, cioè un'entità capace di sussistere senza l'aiuto del corpo e che può allontanarsi da lui. Essi pretendono che tutte le singole anime degli animali siano parti dell'anima universale del mondo, che queste parti siano incorporee ed immortali, identiche a quella universale, così come si capisce bene che cento fiammelle sono identiche al grande fuoco da cui sono prese.

IV Questi filosofi hanno creduto che l'Universo sia animato da una sostanza immateriale, immortale ed invisibile, che sa tutto, che opera incessantemente e che è la causa di tutti i movimenti, la fonte di tutte le anime che da essa promanano. Poiché queste anime sono purissime e di natura infinitamente superiore al corpo, esse non si uniscono immediatamente, ma tramite un corpo sottile come la fiamma o come quel aere sottile ed esteso che il corpo prende per il Cielo. Poi, esse prendono un corpo ancor meno sottile, più un altro in po' più grossolano e così via per gradi successivi, finché possono unirsi al corpo tangibile degli animali, in cui esse discendono come in una cella o in un sepolcro.

Page 24: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 24 di 42

La morte del corpo, secondo loro, è la vita dell'anima che vi si trova come seppellita e dove ella esercita solo debolmente le funzioni più nobili; così in seguito alla morte del corpo, l'anima esce dalla prigione, si sbarazza della materia e si riunisce all'anima del mondo, di cui era un'emanazione. Così, secondo questa teoria, tutte le anime degli animali hanno la stessa natura e la diversità delle loro funzioni o facoltà deriva solo dalla differenza dei corpi in cui sono entrate. Aristotele37 ipotizza un'intelligenza universale comune a tutti gli esseri, che si comporta nei confronti delle intelligenze singole, come la luce nei confronti degli occhi. Come la luce rende visibili gli oggetti, così l'intelligenza universale li rende intellegibili. Questo filosofo definisce l'anima ciò che fa vivere, sentire, capire e muovere, ma non dice cosa sia quest'Entità, chi sia la fonte ed il principio delle sue nobili funzioni e, perciò, non è nelle sue opere che bisogna cercare il chiarimento dei dubbi che ci sono sulla natura dell'anima.

V Dicearco, Asclepiade e Galeno, in parte, credettero anch'essi che l'anima fosse incorporea, ma in modo diverso, perchè dissero che l'anima non è altro che l'armonia di tutte le parti del corpo, cioè quello che deriva da un'esatta mescolanza degli elementi e della disposizione delle parti, degli umori e degli spiriti. Così, essi dissero, come la salute non fa parte di colui che sta bene, allo stesso modo, qualunque cosa sia l'anima dell'animale, essa non è per nulla una delle sue parti, ma l'accordo di tutte quelle che lo compongono. Si deve notare soprattutto che questi Autori credevano l'anima incorporea sulla base di un principio totalmente contrario alle loro intenzioni, perchè dire che non è per nulla affatto un corpo, ma soltanto qualcosa attaccato inseparabilmente al corpo, equivale a dire che è corporea, poiché si definisce corporeo non solo ciò che è corpo, ma tutto ciò che ha forma o apparenza o ciò che non può essere separato dalla materia. Ecco qui i filosofi che sostenevano esser l'anima incorporea o immateriale: si constata che essi non erano d'accordo neanche con se stessi e che, perciò, non meritano d'esser creduti. Passiamo a quelli che hanno sostenuto che l'anima è corporea e materiale.

VI Diogene credette che l'anima fosse composta d'aria, cosa da cui dedusse la necessità di respirare. Egli la definì un'aria che passa dalla bocca, attraversa i polmoni, arriva al cuore, dove si scalda e da dove si distribuisce in tutto il corpo. Leucippo e Democrito dissero che l'anima è fuoco e che, come il fuoco, era composta di atomi che penetravano facilmente in tutte le parti del corpo, facendolo muovere. Ippocrate disse che l'anima era composta d'energia e di fuoco, Empedocle dai quattro elementi. Epicuro credeva, come Democrito, che l'anima fosse composta dal fuoco, ma aggiungeva che in questa composizione entravano anche l'aria, un vapore e un'altra sostanza senza alcun nome, che è la fonte dei sentimenti; che queste quattro diverse sostanze generano uno spirito sottilissimo che si espande in tutti i corpi e che perciò si chiama anima. Cartesio sostiene invece, ma in modo che fa pietà, che l'anima è affatto immateriale: ho detto che fa pietà, perchè mai un filosofo discusse così malamente questo soggetto come quel grand'uomo ed ecco in che modo lo si comprende. Dapprima, egli dice che bisogna dubitare dell'esistenza dei corpi, credere che non ce ne siano, poi ragiona così: "Non esistono corpi, tuttavia io esisto, perciò io non sono un corpo e, conseguentemente, non posso essere altro che una sostanza che pensa".

Page 25: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 25 di 42

Sebbene questo bel ragionamento si autodistrugga, ciononostante dirò in due parole cosa ne penso: 1. Il dubbio posto avanti da Cartesio è affatto impossibile, poiché chiunque pensi

qualcosa non si sogna di pensare che essa abbia un corpo e nondimeno è vero che essa ne ha quando la si pensa;

2. Chiunque crede che non vi siano corpi, deve assicurarsi che non ce ne sia manco uno, perchè nessuno può dubitare di se stesso, oppure, se ne è sicuro, il suo dubbio è inutile;

3. Quand'egli dice che l'anima è una sostanza che pensa, non ci insegna niente di nuovo. Ognuno ne conviene, ma è difficile definire cosa sia questa sostanza che pensa ed è questo ciò che non la rende più accettabile di altre cose.

VII Per non usare scappatoie, come fece lui, e per avere la più sana idea su ciò che possa formare l'anima degli animali, senza escludere l'uomo, che è della stessa natura e che esercita funzioni differenti solo per la differenza degli organi e degli umori, occorre fare attenzione a quel che segue. È certo che vi è nell'Universo un fluido estremamente sottile o una materia molto penetrante e sempre in movimento, la cui fonte è il sole, ripartita fra gli altri corpi, più o meno secondo la loro natura e consistenza. Ecco cos'è l'anima del mondo, ecco cosa la genera e la vivifica e di cui qualche parte è distribuita a tutte le parti che lo compongono. Quest'anima è il fuoco più puro che ci sia nell'universo. Esso non brucia per se stesso, ma per i diversi movimenti ch'esso impartisce alle particelle degli altri corpi in cui entra, che accende ed ai quali fa provare il suo calore. Il fuoco visibile contiene più di questo materiale che d'aria, più dell'acqua e la terra parecchio di meno; le piante ne hanno più dei minerali e gli animali ancora di più. Infine, questo fuoco, racchiuso nei corpi, li rende capaci di sentimenti ed è ciò che vien detto anime o spirito animale che si ripartisce fra tutte le parti del corpo. Ora, è certo che quest'anima. essendo della stessa natura per tutti gli animali, si dissolve alla morte dell'uomo, così come a quella delle bestie. Ne deriva che ciò che i poeti ed i teologi ci dicono dell'altro mondo è una fantasia che essi hanno partorito e smerciano per ragioni che è facile indovinare.

CAPITOLO VI GLI SPIRITI CHIAMATI DEMONI

I Abbiamo detto altrove come la nozione di Spirito sia stata introdotta fra gli uomini ed abbiamo fatto vedere che questi Spiriti non erano altro che fantasmi, inesistenti salvo che nell'immaginazione degli uomini stessi. I primi medici del genere umano non erano abbastanza illuminati per spiegare al popolo cosa fossero questi fantasmi, ma non smisero mai di dirgli cosa ne pensassero. Alcuni, vedendo che i fantasmi si dissipavano e non avevano alcuna consistenza, li definirono immateriali, incorporei, forme senza materia, colori e figure, senza non dimeno esser corpi colorati né personaggi, aggiungendo che potevano vestirsi d'aria come di un abito, quando volevano rendersi visibili agli occhi degli uomini. Altri dicevano che erano dei corpi animati, ma che erano fatti d'aria o di altra materia ancor più sottile, ch'essi ispessivano a loro piacere, quando volevano comparire.

Page 26: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 26 di 42

II Se questi due tipi di filosofi erano divisi nell'opinione che avevano dei fantasmi, essi concordavano sul nome da dar loro, perchè tutti li chiamavano Demoni, dato che erano così insensati che credevano di vedere in sogno le anime dei defunti e che fosse la loro anima quella che vedevano quando si guardavano allo specchio e, infine, che credevano che le stelle che si vedono riflesse nell'acqua siano la anime delle stelle. Seguendo questa ridicola opinione caddero nell'errore, altrettanto assurdo, di credere che questi fantasmi avessero un potere illimitato, concetto destituito di fondamento, ma comune agli ignoranti, i quali immaginano che gli Esseri che non conoscono abbiano una potenza meravigliosa.

III Non appena questa ridicola opinione fu divulgata, i Legislatori se ne servirono per estendere la propria autorità. Essi stabilirono la convinzione dell'esistenza degli Spiriti, che chiamarono Religione, sperando che la paura che il popolo aveva di queste potenze invisibili, lo riportasse al suo dovere; e, per dare maggior peso a questo dogma, divisero gli Spiriti o Demoni in buoni e malvagi: gli uni destinati ad incitare gli uomini a rispettare le loro leggi, gli altri a frenarli e ad impedir loro di infrangerla. Per sapere cosa sono i Demoni basta leggere i Poeti Greci e le loro Storie, soprattutto ciò che ne dice Esiodo nella Teogonia, dove egli tratta ampiamente della generazione e dell'origine degli Dei.

IV I Greci sono i primi ad averli inventati e da loro sono passati, attraverso le loro Colonie, in Asia, in Egitto e in Italia. È là che gli Ebrei, dispersi in Alessandria ed in altri luoghi, ne ebbero sentore. Essi se ne servirono generosamente, come altri popoli, ma con la differenza che non chiamarono Demoni, come i Greci, indifferentemente gli Spiriti buoni e cattivi, ma solo quelli malvagi, riservando al solo buon Demone il nome di Spirito, di Dio e chiamando Profeti coloro che erano ispirati dallo Spirito buono. Per di più, considerarono come effetto dallo Spirito Divino tutto ciò che ritenevano un gran bene e come effetti dal Caio-demone, o Spirito maligno, tutto ciò che consideravano un gran male.

V Questa distinzione fra bene e male li portò a definire Demoniaci tutti quelli che noi chiamiamo Lunatici, Matti, Furiosi, Epilettici, cioè coloro che parlano una lingua sconosciuta. Un uomo deforme o sporco era, a parer loro, posseduto da uno Spirito immondo, un muto lo era di uno Spirito muto. Finalmente, le parole Spirito e Demone divennero loro così familiari che ne parlavano in ogni occasione. È quindi chiaro che gli Ebrei credevano, come i Greci, che gli Spiriti ed i Fantasmi non fossero pure fantasie, né visioni, ma degli esseri reali indipendenti dall'immaginazione.

VI Ne deriva che la Bibbia è completamente piena di racconti sugli Spiriti, i Diavoli e le Diavolesse, ma non vi è detto in alcun posto come e quando furono creati, cosa che non è perdonabile a Mosè, che, si dice, si è spinto a parlare della creazione del Cielo e della Terra. Gesù, che parla così spesso di Angeli e di Spiriti buoni e malvagi non dice se essi siano materiali o immateriali. Questo dimostra che tutti due non sapevano altro che quello che i Greci avevano insegnato ai loro antenati. Altrimenti, Gesù Cristo non sarebbe meno biasimabile per i suoi silenzi che per la sua malizia di rifiutare a tutti gli uomini la grazia, la fede e la pietà, che afferma di poter loro dare. Ma, per tornare agli Spiriti, è certo che quelle parole Demone, Satana, Diavolo non sono dei nomi propri di qualche individuo e che essi non lo furono mai, salvo che per gli ignoranti che vi credettero, tanto fra i Greci, che li inventarono, quanto fra gli Ebrei, che li adottarono.

Page 27: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 27 di 42

Dopo che questi ultimi furono contagiati da queste idee, appiopparono quei nomi che significano Nemico, accusatore e sterminatore, tanto alle Potenze invisibili, quanto a quelle tangibili, cioè ai Gentili di cui dicevano abitassero il regno di Satana, non essendoci altri che loro, a loro giudizio, ad abitare quello di Dio.

VII Poiché Gesù Cristo era Ebreo e, conseguentemente, molto imbevuto di queste opinioni, non ci si deve stupire se si trovano spesso, nei Vangeli e negli scritti dei suoi discepoli, le parole Diavolo, Satana, Inferno, come se fossero qualcosa di reale ed effettivo. Ciononostante, è evidentissimo, come abbiamo già fatto notare, che non ci sia niente di più chimerico e quand'anche ciò che abbiamo detto non bastasse a provarlo, basteranno solo due parole per convincere gli ostinati. Tutti i Cristiani sono d'accordo che Dio è la fonte di tutte le cose, che egli le ha create, che le conserva e che senza il suo ausilio esse ricadrebbero nel nulla. Seguendo questo ragionamento è certamente lui che ha creato quel che si chiama Diavolo o Satana. Ora, sia che l'abbia creato buono o cattivo (ciò che qui non ci riguarda) esso è incontrovertibilmente opera del primo principio, se esso sopravvive, maligno come lo si dice, ciò non può succedere che per volontà di Dio. Ora, com'è possibile concepire che Dio conservi una creatura, che non solo lo odia mortalmente, ma che per di più si sforza di traviare i suoi amici per avere il piacere di mortificarlo? Com'è possibile, dico, che Dio lasci sopravvivere questo Diavolo, lasciandogli fare tutti i dispetti che può, per detronizzarlo se ne fosse capace e per stornare dal suo servizio i suoi Favoriti ed i suoi Eletti. Qual'è lo scopo di Dio o, piuttosto, cosa ci si viene a dire parlando del Diavolo e dell'Inferno? Se Dio può tutto e se niente è possibile fare senza di lui, di dove viene fuori che il Diavolo lo odia, lo maledice, gli aliena gli amici? O Dio lo consente o non lo consente. Se lo consente, il Diavolo, maledicendolo, fa soltanto ciò che deve, perchè egli può fare solo ciò che Dio vuole, per cui non è il Diavolo, ma Dio stesso che si fa maledire: cosa assurda, se mai ve ne furono! Se Dio non lo consente, non è vero che Egli è Onnipotente e, quindi, ci sono due Principii, uno del bene e l'altro del male, uno che vuole una cosa, l'altro che vuole quella contraria. Dove ci condurrà questo ragionamento? A far ammettere, senza possibilità di obiezione, che né Dio, né il Diavolo, né il Paradiso, né l'Inferno, né l'Anima sono ciò che la Religione ci presenta e che né i Teologi, né coloro che spacciano delle favole per verità, sono dei geni della malvagità sia che abusino della credulità del Popolo per gabellare ad essi ciò che a loro piace, come se il volgo fosse affatto indegno di conoscere la verità, sia che debba essere nutrito solo con illusioni, nelle quali un uomo ragionevole non vede altro che il vuoto, il nulla e la follia. È da lungo tempo che il mondo è infettato da queste assurde teorie, ciononostante in ogni tempo si trovano intelletti saldi e uomini sinceri che nonostante le persecuzioni sono insorti contro le assurdità dei loro tempi, come si è voluto fare con questo piccolo “Trattato”. Coloro che amano la verità vi troveranno certamente qualche consolazione: è a loro che voglio andare a genio, senza curarmi del giudizio di coloro, per i quali i pregiudizi fanno le veci di infallibili oracoli.38

FINE DEL TRATTATO

Page 28: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 28 di 42

OPINIONE SUL TRATTATO DEI TRE IMPOSTORI L'origine di questo testo è controversa quanto antica. La sua versione latina (De Tribus Impostoribus) è stata attribuita, nel corso dei secoli, a: ● Averroè (1194 - 1250) ● Pier delle Vigne (Segretario dell'Imperatore Federico II (1194 - 1250) ● Alfonso X (Re di Leon e Castiglia) (1221 - 1284) ● Scoto Michele (nel 1235 ?) ● Poggio Bracciolini (1380 - 1459) ● Bernardo Ochino (nel 1563 ?)

Le prime versioni in lingua francese (Traité des Trois Imposteurs) sarebbero, invece, dovute a: ● Guillaume Postel (nel 1553 ?) ● François Rabelais (nel 1608 ?) ● Anonimo (nel 1706 ?) ● Holbach et Naigeon (1783)

Lo scritto scelto per questa occasione è quello del 1768, pertanto vecchio di oltre 230 anni; di conseguenza alcuni concetti di natura scientifica, filosofica e storica, alla luce di più recenti studi, possono apparire "datati". Questo però non toglie nulla al valore intrinseco dell'opera. È già da tempo che si discute se esista veramente un Libro Stampato intitolato "I tre Impostori". Il Signor De La Monnoye, informato che un Saggio Tedesco (Daniel George Mothof, morto il 20 Giugno 1691, senza aver mantenuta la promessa) voleva pubblicare una dissertazione per provare che esisteva davvero un Libro Stampato, "I Tre Impostori", scrisse ad un amico una Lettera per dimostrare il contrario. La Lettera fu trasmessa dal Signor Bayle39 al Signor Basnage de Beauval, che nel Febbraio 1694 gli diede un estratto della sua Storia delle Opere dei Saggi. In seguito il Signor De La Monnoye fece una più ampia dissertazione sull'argomento, in una Lettera inviata da Parigi il 16 Giugno 1712 al Residente Bouhier, nella quale afferma che si trovò in riassunto la Storia pressoché completa di questo famoso Libro. Egli respinge recisamente l'opinione di coloro che attribuiscono lo Scritto all'Imperatore Federico I. Questa falsa attribuzione deriva da un passo di Grozio,40 citato nella sua appendice al Trattato "L'Anticristo" che qui viene riportato: "Manca solo che il libro sui tre impostori sia attribuito al Papa od ai nemici del Papa; già una volta i nemici dell'Imperatore Federico Barbarossa sparsero la voce che questo libro fosse stato scritto per suo ordine, ma a quel tempo non lo vide nessuno; perciò credo che sia una leggenda". È Colomiez che riporta questa citazione a pag. 28 delle sue Storie Varie. Ci sono però due punti, aggiunge: “Non fu Federico I, il Barbarossa, che scrisse questo libro, ma Federico II, suo nipote, come si desume dalle Lettere di Pier delle Vigne,41 suo Segretario e Cancelliere, e di Mathieu Paris, i quali riferiscono che egli fu accusato di aver detto che Il mondo era stato sedotto da Tre Impostori e non di avere scritto un Libro con questo titolo. Questo Imperatore, però, ha recisamente negato di avere mai detto una cosa del genere. Egli respinge la bestemmia che gli si rimproverava, dichiarando che quella era una calunnia atroce: cosicché è a torto che Lipsius ed altri scrittori l'hanno condannato senza neanche avere esaminato le sue difese”. Averroè,42 circa un secolo prima, si era preso gioco delle tre Religioni ed aveva detto che43 “La religione Ebrea era una Legge per bambini, quella Cristiana una Legge per stravaganti e quella Musulmana una Legge per maiali”. In seguito, parecchi hanno scritto abbastanza liberamente sullo stesso oggetto. Si legge, in Thomas de Cantimprè44 che un certo Maestro Simone di Tournay diceva che Tre Seduttori, Mosè, Gesù e Maometto avevano affascinato il genere umano con le loro dottrine.

Page 29: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 29 di 42

È apparentemente questo il Simone di Churnay di cui Mathieu Paris racconta un'altra empietà, e lo stesso che Polidoro di Virgile chiama di Turvay, nomi ambedue corrotti. Fra i manoscritti della Biblioteca dell'Abate Colbert,45 che il Re aveva acquisito nel 1732, se ne trova uno col numero 2071 che è di Alvaro Pélage, francescano spagnolo, vescovo di Salveda e Algarve,46 noto per il suo libro "Il pianto della Chiesa" in cui ricorda che un tizio detto Scoto, francescano e giacobita, chiuso in prigione a Lisbona per numerosi atti di empietà, aveva accusato di impostura allo stesso modo Mosè, Gesù Cristo e Maometto, dicendo che il primo aveva ingannato gli Ebrei, il secondo i Cristiani ed il terzo i Saraceni. Il buon Gabriele Barletta in una predica su Sant'Andrea fa dire a Porfirio: "ed è parimenti falsa la sentenza di Porfirio, il quale dice che furono tre i chiacchieroni che attrassero a se tutto il mondo: primo fu Mosè nel Popolo Ebreo, secondo Maometto e terzo Cristo. Bella cronologia che pospone Gesù Cristo e Porfirio a Maometto!” I Manoscritti del Vaticano, citati da Odonir Rainaldo47 Tomo 19 degli Annali Ecclesiastici, citano un Jeannin de Solcia, Canonico di Bergamo, Laureato in Diritto Civile e Canonico, detto in Latino, nel Decreto di Pio II, Javinus de Solcia, condannato per aver sostenuto l'empietà che Mosè, Gesù Cristo e Maometto avessero governato il mondo a loro piacere, “mundum pro suorum libito voluntatum redisse”. Gian Luigi Vivaldo di Mondovì, che scrisse nel 1506 e di cui possediamo fra l'altro un trattato "Le dodici persecuzioni della chiesa di Dio", dice, nel Capitolo della sesta persecuzione, che c'è gente che osa discutere quale dei tre Legislatori è stato il più seguito, se Gesù Cristo, Mosè, o Maometto: “qui in hoc mundo majorem gentium aut populorum sequelam habit, an Christus, an Moyses, an Mahometus”. Herman Ristvik, irlandese, bruciato vivo a L'Aia nel 1512, si fece beffe della Religione Ebrea e di quella Cristiana; non si dice come parlasse di quella Maomettana, ma un uomo che trattava Mosè e Gesù Cristo come impostori, poteva forse aver miglior opinione di Maometto? Si deve pensare la stessa cosa dell'ignoto Autore di “empietà contro Gesù Cristo”, trovate nel 1547 a Ginevra fra le carte di un certo Gruet. Un Italiano chiamato Fausto da Longiano aveva cominciato un'opera intitolata “Il tempio della Verità”, con la quale pretendeva nientemeno che distruggere tutte le Religioni. Dice: "Io ho iniziato un'opera intitolata “Il tempio della verità”, strano progetto che può darsi divida in trenta libri; ne deriverà la distruzione di tutte le sette, l'Ebraica, la Cristiana e la Maomettana, e delle altre Religioni, in modo da riprendere tutto dal principio". Fra le Lettere dell'Aretino a questo Fausto non se ne trova, però, alcuna in cui quest'opera sia accennata, forse non è mai stata completata, ma quando l'avesse fatto e che cosa avesse preparato, sarebbe stato diverso da quello di cui si tratta, di cui si pretende esista una traduzione in Germania, stampata "in folio", di cui esistono ancora degli esemplari nella Biblioteca Tedesca. Claude Beauregard, in latino Beregardus, professore di filosofia, dapprima a Parigi, poi a Pisa e infine a Padova, cita o accenna un passaggio del Libro sui Tre Impostori, in cui i miracoli fatti da Mosè in Egitto sono attribuiti alla superiorità del suo demone su quella dei Maghi del Faraone. Giordano Bruno,48 arso a Roma il 17 febbraio 1600, è stato accusato di aver proposto qualcosa di consimile. Ma il fatto che Beauregard e Bruno abbiano predicato molte fantasticherie che si sono giudicate tratte dal Libro sui tre Impostori, è questa forse una prova sicura che il libro l'avessero letto? Essi, senza dubbio, l'avrebbero fatto sapere meglio e avrebbero detto se era manoscritto o stampato, in che volume ed in quale posto. Tentzelius, sulla parola di un suo amico, preteso testimone oculare, descrive il libro, specificando anche il numero delle pagine o quinterni fino ad otto e, volendo provare al terzo Capitolo che l'ambizione dei legislatori è l'unica forza di tutte le Religioni, cita come esempio Mosè, Gesù Cristo e Maometto. Struvius, dopo Tentzelius riporta lo stesso dettaglio e, ritenendo che la fantasia sia perfettamente in grado di inventare certe cose, non sembra più disposto a credere nell'esistenza del libro. Il Giornalista di Lipsia nei suoi Atti degli Eruditi (Acta Eruditorum) del Gennaio 1709, pagg. 36 e 37, pubblica questo sunto di una lettera che dice: "Ho visto in Sassonia il libro sui Tre

Page 30: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 30 di 42

Impostori, nello Studio del signor (...) È un volume in 8°, in Latino, senza marchio né nome dello Stampatore, né data di stampa, che a giudicar dai caratteri, sembrerebbe essere stata effettuata in Germania; ho avuto voglia a tentare tutte le lusinghe possibili per ottenere il permesso di leggerlo tutto. ma il padrone del Libro, uomo di delicati sentimenti, non ha voluto consentirlo ed ebbi la stessa fortuna di un celebre professore del Wuertemberg che gli aveva offerto una grossa somma. Qualche tempo dopo, essendomi recato a Norimberga, mentre mi intrattenevo con M. Andrè Myldorf, uomo rispettabile per età e cultura, su questo libro, egli mi confessò di averlo letto e che glielo aveva imprestato M. Wlfer Myldorf; egli, nei dovuti modi, mi informò dettagliatamente sulla faccenda, così che giudicai si trattasse di un esemplare identico al precedente: da ciò conclusi che certamente il Libro in questione esisteva; ma che non poteva essere in 8°, né di stampa così antica, perchè la cosa era inverosimile". L'Autore di questo Libro avrebbe potuto e dovuto dare maggiori chiarimenti, perchè non basta dire "l'ho visto", ma occorre far vedere e dimostrare che lo si è visto, altrimenti l'informazione non vale più di un sentito dire, a questo bisogna ricondurre tutti gli Autori, di cui si è fatto cenno in questa discussione. Il primo che abbia parlato del Libro, dandolo per esistente, nel 1543, è Guillaume Postel, nel suo Trattato sulla somiglianza fra il Corano e le Dottrine dei Luterani o degli Evangelici chiamati Anevangelisti, che egli tenta di rendere affatto odiosi, volendo far vedere che il Luteranesimo porta dritti dritti all'Ateismo. Egli cita come prova tre o quattro libri scritti, secondo lui, da Atei, che egli dice siano stati i primi Seguaci del nuovo Vangelo. "Ciò palesa l'empio trattato del Villanovano sui tre Profeti, cembali del mondo, Pantagruele e nuova isola, i cui Autori erano predecessori degli anevangelisti".49 Questo Villanoviano, che Postel dice Autore del Libro Sui Tre Impostori è Michele Servet,50 figlio di un Notaio, che vivendo nel 1509 a Villanova d'Aragona, prese il nome di Villanovano nella sua prefazione ad una Bibbia da lui fatta stampare a Lione nel 1542, da Ugo de la Porte. Egli prese in Francia il nome di Villanova, sotto il quale fu processato per aver fatto stampare, nel 1553, a Vienne nel Delfinato, nello stesso anno della sua morte, il libro intitolato “Restaurazione del Cristianesimo”,divenuto estremamente raro per la sollecitudine con cui a Ginevra venne ricercato per bruciarlo. In tutti i Cataloghi dei Libri del Servet, però non si trova traccia del Libro sui “tre Impostori”. Né Calvino,51 né Beza,52 né Alessandro Morus, né alcun altro difensore del partito Ugonotto, che hanno scritto contro Servet e che avevano interesse a giustificare la sua condanna a morte e ad attribuirgli la composizione di questo Libro, nessuno lo ha mai accusato. Postel, ex gesuita, è il primo che l'ha fatto, anche se senza prove. Florimondo de Rèmond, Consigliere al Parlamento di Bordeaux ha scritto di aver effettivamente visto il Libro Stampato. Ecco come si esprime: «Giacomo Cuzio, nella Cronologia del 1556, dice che il Palatinato si è riempito di un gran numero di beffeggiatori della Religione, detti Lievanistes, gente che ritiene favole i Libri Sacri, soprattutto quelli del grande Legiferatore di Dio, Mosè; si è mai visto un libro, composto in Germania anche se stampato altrove, in cui l'eresia beffeggi contemporaneamente quel personaggio e semini quella dottrina sotto il titolo “Dei Tre Impostori” e che si burla delle tre sole Religioni che riconoscono il vero Dio, come l'Ebraica, la Cristiana e la Musulmana? Già il solo titolo mostra quale era il secolo in cui nacque colui che osò comporre un Libro così empio. Non oserei parlarne se Osio e Genebrard prima di me, non ne avessero parlato. Mi ricordo di aver visto, nell'infanzia, un esemplare nel Collegio di Presle nelle mani di Ramus,53 uomo notevole per la sua alta ed eccelsa erudizione, che confuse il suo ingegno in numerose ricerche sui misteri della Religione, che trattava come fosse filosofia. Questo Libro malvagio veniva fatto passare da mano a mano fra i più Dotti desiderosi di vederlo. Oh, cieca curiosità. Tutti conoscono Florimondo de Rémond come Autore senza seguito, di cui si ricordano generalmente tre cose: Costruiva senza denaro, giudicava senza coscienza, scriveva senza conoscere.54

Page 31: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 31 di 42

Si sa anche che sovente prestava il proprio nome a P. Richaume, Gesuita che, poiché il suo nome era odioso per i Protestanti, si celava sotto quello del Consigliere di Bordeaux. Ma se Osio e Genebrard ne parlassero altrettanto formalmente di Florimondo de Rémond, ci sarebbe da esitare: ecco cosa dice Gérébrard a pag. 39 della “Risposta a Lambert Dassau” , stampata in 8° a Parigi nel 1581. Né Biandrata,55 né Alciato,56 né Ochino57 spinsero al Maomettanesimo: né i Vallesi spinsero a professioni di ateismo, né indussero qualcun' altro a diffondere il libello sui tre Impostori, il secondo dei quali sarebbe Gesù Cristo, e gli altri Mosè e Maometto.58 Ma, è forse ciò sufficiente per definire empio questo Libro? Gérébrard dice forse di averlo visto? Non sarebbe possibile che se ne avesse oggi maggiore e più sicura conoscenza se esso fosse veramente esistito? Si sa quante menzogne sono state spacciate in ogni tempo su un mucchio di libri che non sono mai stati trovati, quantunque esista gente che assicura di averli visti ed arriva a citare i posti in cui gli era stato detto che erano. Si è voluto dire che il libro “Sui Tre Impostori” era nella biblioteca di M. Salvius, Plenipotenziario di Svezia a Munster e che la Regina Cristina59 non aveva voluto chiederglielo mentr'egli era in vita, ma appena ebbe notizia della sua morte inviò M. Bourdelot, suo Medico Capo, a pregare la Vedova di soddisfare la sua curiosità. Ella, però, rispose che l'ammalato, torturato dai rimorsi di coscienza, la vigilia della sua morte aveva fatto bruciare il Libro nella sua camera. Questo vale più o meno come l'informazione che Cristina avesse fatto premurosamente cercare il Colloquium hepta plomeres di Bodin,60 manoscritto allora assai raro. Dopo lunghe ricerche, infine, lo trovò; ma qualsiasi desiderio avesse avuto di vedere il Libro Sui Tre Impostori, qualunque ricerca avesse fatto svolgere in tutte le Biblioteche Europee, morì senza averlo potuto scovare. Non se ne può concludere che non esistesse? Senza di ciò le premure della Regina Cristina avrebbero certamente trovato quel Libro che Postel annuncia di aver visto pubblicato nel 1543 e Florimondo de Rémond nel 1558. Altri, in seguito, hanno citato altre epoche. Nel 1654 Gian Battista Morin, celebre Medico e Matematico, scrisse una Lettera sotto il nome di Vincenzo Panurgo, indirizzandola a se stesso, “Vincentii Panurgi epistola de tribus Impostoribus, ad clarissimum Virum Joan. Bapt. Morinum Medicum.” I tre Impostori di cui si tratta sono Gassendi,61 Neuze e Berurier62 che egli volle rendere odiosi, con questo titolo. Cristiano Kortholt, nel 1680, ha intitolato “I Tre Impostori” il suo libro contro Hebert, Hobbes63 e Spinoza64 e nella sua prefazione dice di aver visto il vero “Trattato Sui Tre Impostori” in mano ad un Libraio di Besle. Tale è stato l'abuso fatto di questo titolo contro gli Avversari in modo da avvalersi della credibilità di coloro che hanno una cultura superficiale che, senza spirito critico, si lasciano ingannare dall'apparenza. Sarebbe mai possibile, se questo libro fosse veramente esistito, che non sia mai stato confutato, come è stato per il libro sui Preadamiti di M. de la Peyrere65 e per gli scritti di Spinoza, o per l'opera stessa di Bodin? Il Colloquium Heptaplomeres, sebbene solo manoscritto, è stato confutato. Il libro “I Tre Impostori” meriterebbe forse di meglio? Come mai non è stato messo all'Indice? Come mai non è stato bruciato ad opera del boia? I libri contro la morale qualche volta furono tollerati, ma quelli che attaccarono a fondo la Religione non rimasero mai impuniti. Florimondo de Rémond, che dice di aver visto il “libro”, ha pensato bene di dire che a quel tempo era un bambino, in età più adatta a scrivere i Racconti delle Fate; il citato Ramus era morto a trent'anni e non poteva più essere accusato di mentire; il suddetto Osio e Gérébrard, in termini vaghi e senza specificare l'origine delle loro informazioni, dicono che lo facevano passare da una mano all'altra, mentre avrebbero dovuto rinchiuderlo e tenerlo sotto chiave Si può ancora citare questo brano di Tommaso Browne, di cui ecco le parole nella parte 1°, sez. 19 del suo libro intitolato "Religio Medici",66 tradotto dall'Inglese in Latino da Jean Merryweather: "quel mostro d'uomo, malvagio uscito dai recessi degli dei infernali, autore di quell'empio trattato sui Tre Impostori, non fu né Ebreo, né Turco, né Cristiano, ma tuttavia non era completamente ateo”.

Page 32: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 32 di 42

Da ciò si deduce che era necessario avesse visto il libro, per poterne così giudicare l'autore. Ma Browne parla in questo modo solo perchè Bernardino Ochino, secondo lui Autore del Libro, come annotato con un asterisco, era piuttosto Deista che Ateo. Poiché ogni Deista aveva ingegno ed un po' di istruzione capaci di concepire ed eseguire un tal progetto, Moltkius, in una nota su questo passo di Browne non garantisce, a ragione, che il libro sia stato scritto da Ochino, perchè è evidente che il libro è stato composto in Latino, mentre Ochinoha sempre solo scritto in Italiano. Inoltre se egli fosse stato sospettato di essere stato implicato nella stesura di questo lavoro, i suoi nemici, che tanto chiasso avevano sollevato per qualcuno dei suoi “Dialoghi Concernenti la Trinità e la Poligamia”, non gli avrebbero certo perdonato il “Trattato sui Tre Impostori”. Come si possono metter d'accordo, però, Browne e Gérébrard, che trattano Ochino da Maomettano e poi dicono che egli non era seguace né di Mosè, né di Gesù Cristo, né di Maometto? Che contraddizione! Naudé, per un ridicolo sbaglio, credette che il “Trattato sui Tre Impostori” fosse di Arnaldo da Villeneuve, scrittore grossolano e barbaro, mentre Ernstins67 dichiara di aver sentito dire a Roma da Campanella68 che era opera di Muret,69 scrittore molto garbato e buon latinista, posteriore di oltre due secoli ad Armando da Villeneuve: bisogna però che Erstins si inganni e che Campanella non sia d'accordo, perchè nella sua prefazione al suo “Atheismus Triumphatus”,70 ed ancora più esplicitamente nella contesa “de gentilismo non retinando”71 dice che quel libro ha avuto origine in Germania: occorre quindi supporre che egli avesse avuto solo l'edizione circolante in Germania, ma che la composizione del lavoro fosse di Muret. Ciò sarebbe esattamente il contrario di ciò che Florimondo de Rémond ha detto - vedere più sopra - circa il fatto che il libro era stato elaborato in Germania, benché stampato altrove. Muret, inoltre, è stato accusato falsamente e non deve aver bisogno di apologie. I suoi costumi hanno influenzato il giudizio sulla sua religione. Gli Ugonotti si indispettirono perchè, avendo aderito alla loro dottrina, l'aveva poi abbandonata per sempre e non persero l'occasione: Beza, nella sua Storia Ecclesiastica gli rimprovera due colpe di cui la seconda è l'Ateismo. Giuseppe Scaligero72 impermalito con lui73 per una bazzecola d'erudizione, non è stato giusto con lui: “Muret - ha detto maliziosa mente - sarebbe il miglior Cristiano al mondo se credesse in Dio allo stesso modo in cui convince che occorre credere”. Ne è derivata la cattiva nomea di Muret: invece di guardare alla pietà esemplare di cui diede edificante prova negli ultimi anni della sua vita si é deciso di diffamarlo cinquant'anni dopo la sua morte, con un sospetto ignoto ai suoi peggiori nemici, dal quale in vita sua non fu mai colpito. Stupidi scribacchini, senza alcun senso critico, hanno coinvolto nella stessa accusa la prima persona che gliene ha offerto il minimo destro: un Etienne Dolet74 di Orleans, un Francesco Pucci di Firenze, un Giovanni Milton75 di Londra, un Merula76 falso Maomettano e persino Pietro Aretino77 senza tener conto che questi era molto ignorante, privo di studio, illetterato, che conosceva solo la propria lingua, soltanto perché ne avevano sentito parlare come di uno scrittore audacissimo e licenziosissimo ed avevano pensato di designarlo autore di quel libro. Per lo stesso motivo sono stati accusati Pogge ed altri; si è risaliti persino a Boccaccio,78 certamente a causa della terza Novella del suo Decamerone, dove è narrata la novella dei tre anelli identici, in cui fa un pericolosissimo paragone fra Religione Ebraica, Cristiana e Musulmana, come se volesse insinuare che si può indifferentemente abbracciare una delle tre, dato che non si sa a quale dare la preferenza. Né sono stati dimenticati Machiavelli79 e Rabelais,80 citati da Decker e l'Olandese che tradusse in Francese il libro sulla Religione del Medico di Browne, nelle note al Capitolo 20; oltre Machiavelli è nominato anche Erasmo.81 Con minor stravaganza, si possono coinvolgere Pomponazzi82 e Cardano.83 Pomponazzi, Cap. 14 del suo “Trattato sulla immortalità dell'anima”, ragionando secondo criteri filosofici e prescindendo dalla fede Cristiana, alla quale dichiara solennemente di aderire, alla fine dei suoi libri, ha osato dire che la dottrina dell'immortalità dell'anima era stata introdotta da tutti i fondatori di Religioni, per tenere a bada i Popoli, perchè, o tutto il

Page 33: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 33 di 42

mondo o la maggior parte di esso, fosse ingannato; perchè, suppongo, dice lui, che ci siano solo tre Religioni, quella di Gesù Cristo, quella di Mosè e quella di Maometto e se tutte tre fossero false ne deriverebbe che tutto il mondo è gabbato. Questo ragionamento è scandaloso e, nonostante tutte le precauzioni di Pomponazzi, ha permesso a Jacques Charpentier di chiedersi cosa si può pensare di più pernicioso di questo solo dubbio per la fede Cristiana? Cardano fece di peggio nell'undicesimo dei suoi libri sulla sottigliezza paragonando succintamente fra loro le quattro grandi Religioni universali: dopo averle fatte discutere l'una contro l'altra, senza prendere partito per nessuna, termina bruscamente in questo modo: “a chi spetta il giudizio sulla vittoria?”, il che significa ch'egli lascia al caso ogni decisione sulle dottrine: parole ch'egli stesso modifica nella seconda edizione. Ciò non gli ha evitato di essere severamente ripreso tre anni dopo da Giulio Scaligero, a causa del terribile significato che esse rinchiudono, e dell'indifferenza da parte di Cardano che esse indicano, dovendosi la vittoria di una delle parti, qualunque sia, più alla forza del ragionamento che alla forza delle armi. Nell'ultimo articolo tratto da Naudeana, che è una sinfonia di cantonate e falsità, c'è qualche confusa ricerca sul libro dei tre Impostori. Vi si dice che Ramus l'attribuiva a Postel, cosa che non si trova in alcun scritto di Ramus, sebbene Postel abbia dei punti di vista strani e sebbene Henri Etienne84 testimoni di avergli sentito dire che delle tre Religioni, l'Ebraica, la Cristiana e la Maomettana se ne sarebbe potuta ricavare una buona, egli in nessuna delle sue opere ha attaccato la Missione di Mosè, né la Divinità di Gesù Cristo e non ha nemmeno osato sostenere chiaramente che quelle Religiose Ospedaliere Veneziane che prendono nome da Madre Giovanna fossero le redentrici delle donne, come Gesù Cristo era stato il redentore degli uomini. Soltanto, dopo aver detto che per l'uomo animo è la parte mascolina e anima quella femminile, ha commesso la follia di aggiungere che, poiché queste due parti sono state corrotte dal peccato, Madre Giovanna aveva ristabilito quella femminile, così come Gesù Cristo aveva restaurato quella maschile. Il Libro in cui egli avalla questa stramberia fu stampato a Parigi, in 16°, nell'anno 1553, sotto il titolo “Le tre meravigliose vittorie delle donne” e non è diventato così raro da non potersi ancora trovare con facilità. Succederebbe la stessa cosa a chi avesse pubblicato I tre Impostori, se l'autore fosse veramente giunto allo stesso eccesso d'empietà. Ciò era così indifferente che nel 1543 egli dichiarò apertamente che quest'opera era dovuta a Michele Servet e non si fece scrupolo di vendicarsi dei calunniatori Ugonotti, tanto da incolparli, in una lettera scritta a Masius nel 1653, di averlo fatto stampare a Caen, quell'empia menzogna dei tre impostori ovvero il libro contro Cristo, Mosè e Maometto è stato pubblicato dagli stessi figuri che si sono confessati rigidissimi fautori del Vangelo di Calvino. Nel medesimo Capitolo di Naudeana si parla di un certo Barnaud in termini così confusi che non se ne capisce niente, a meno di possedere un libretto intitolato “Lo scimmiotto Ginevrino”, un libro in 8° di 96 pagine, stampato nel 1613, senza indicazioni sul luogo di pubblicazione. L'autore non figura più e potrebbe anche essere Henry de Sponde, poi Vescovo di Pamiers:85 egli dice che in quel tempo un Medico chiamato Barnaud, condannato per Arianesimo, fu anche l'autore del “Libro sui tre Impostori”, che, a questa stregua, sarebbe recentissimo. La cosa più ragionevole in quest'ultimo articolo di Naudeana, è ciò che si fa dire a Naudè la cui esperienza in materia di libri è infinita, che non ha mai visto il “Libro sui tre Impostori” e che egli non crede sia mai stato stampato, così come ritiene una favola tutto ciò che se ne dice. Si può ancora aggiungere a questa lista il famoso ateo Jules Gesar Vanini86 arso a Tolosa nel 1919 sotto il nome di Lucilio Vanino, accusato di aver propagandato in Francia questo Libro malvagio, qualche anno prima della sua esecuzione. Se ci fossero poi degli Scrittori follemente creduli, sprovvisti di buon senso, che ammettessero queste insolenze e assicurassero che questo libro fu pubblicamente venduto in diversi paesi Europei, allora gli esemplari non dovrebbero essere così rari; uno solo di essi basterebbe per risolvere la questione, ma non se n'è visto alcuno, né di quelli messi in circolazione, né di quelli di cui si è detto che sono stati

Page 34: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 34 di 42

stampati, sia da Chrétien Wechel di Parigi, verso la metà del 16° secolo, che sotto il nome di Nachtégal a L'Aja nel 1614 o 1615. Padre Théophile Raynaud ha detto che il primo ricco che l 'ebbe si ridusse, per punizione divina, in estrema povertà. Mullerus87 dice che il secondo fu cacciato da L'Aja con ignominia. Ma Bayle, nel suo “Dizionario”, al nome di Wechel, ha energicamente confutato la favola addebitata a questi Stampatori. Per quanto riguarda Nachtégal, Spitzelius riporta che quest'uomo di Alcmar fu cacciato non per aver pubblicato quel “Libro sui Tre Impostori”, ma per aver proferito qualche particolare bestemmia. Infine, coloro che hanno letto attentamente ciò che dicono Vincent Placcius nell'edizione "in folio" della sua grande opera “Anonimi e Pseudonimi”, Chretien Korthold nel suo libro “I Tre Impostori” riveduto da suo figlio Sebastiano ed infine Struvius nell'edizione del 1706 della sua dissertazione “I Dotti Impostori” non troverà nelle loro ricerche nessuna prova dell'esistenza di questo Libro. È stupefacente, inoltre, che, Struvius il quale, nonostante le prove più speciose fornite gli da Tentzelius circa l'esistenza del libro, si sia sempre tenuto sulla negativa, si sia poi indotto a credere all'esistenza del libro per la più futile ragione che si possa immaginare. Essendogli venuta fra le mani una prefazione aneddottica del “Atheneum triumphatus”, egli trovò che l'autore, per discolparsi del crimine imputatogli di aver composto il libro “Sui Tre Impostori”, rispose che esso aveva visto la luce trent'anni prima della sua nascita. Che cosa meravigliosa! Questa risposta campata in aria è sembrata così convincente a Struvius, che egli smise di dubitare dell'esistenza del libro concludendo che essa era sicura perchè non era più possibile ignorare la data della pubblicazione; poiché questa aveva preceduto di trent'anni la nascita di Campanella, avvenuta nel 1568, essa doveva conseguentemente situarsi nel 1538. Partendo di lì e spingendosi più indietro negli anni, si decise ad individuare l'autore del libro in Boccaccio, ciò a causa di una cattiva interpretazione del libro di Campanella che, nel Capitolo 2, n° 6 del libro intitolato “Atheismus Triumphatus” si esprime in questo modo: “…quindi Boccaccio si sforza di provare con empie novelle che è impossibile fare distinzioni fra le leggi di Cristo, Mosè e Maometto, poiché hanno ciascuna le medesime caratteristiche, come i tre anelli identici…”. Ha forse Campanella inteso dire che Boccaccio fosse l'autore de “I Tre Impostori”? Neanche per sogno. Rispondendo altrove a questa obiezione degli Atei, egli dice di essersi preso soddisfazione altrove contro Boccaccio e il libro sui tre impostori. Struvius, al paragrafo 9 della sua dissertazione “I Dotti Impostori” cita lui stesso il passaggio di Ernstins, nel quale è detto che il libro era di Muret. Ma poiché Muret era nato nel 1526 ed il libro era stato stampato nel 1538, Muret a quell'epoca aveva solo 12 anni, età a cui non si potrà mai presumere che fosse in grado di scrivere un libro come quello. Si deve, dunque, concludere che il libro “I Tre Impostori”, scritto in Latino e stampato in Germania, non è mai esistito. Non c'è mai stato libro stampato, per quanto raro, di cui non esistano notizie più chiare e circostanziate. Sebbene non si siano punto viste le opere di Michel Servet, si è sempre saputo che erano state stampate e dove lo erano state. Prima delle due edizioni moderne, fatte dal “Cymbalum Mundi”, ad opera di Bonnaventure des Perrines, celato sotto il nome di Thomas du Clevier, che dice di averle tradotte dal Latino, e di cui erano rimasti due esemplari antichi, uno nella Biblioteca del Re, l'altro in quella di M. Bigot, di Rouen, si sapeva che erano state stampate, la data e il nome del Libraio. La stessa cosa si verifica per il libro “La Beatitudine dei Cristiani o La Rovina della Fede”, il cui Autore Geoffroi Valéc di Orleans fu impiccato ed arso a Grève il 9 febbraio 1573 dopo aver abiurato i propri errori, un libricino di 15 pagine, in 8°, stampato senza indicazioni di luogo e data, poco chiaro, ma così raro che l'esemplare in possesso dell'Abate d'Etreés può dirsi sia unico. Anche quando questi Libri fossero tutti scomparsi, non dubiteremmo punto della loro esistenza, perchè la loro dottrina è altrettanto vera, quanto quella del Libro I Tre Impostoiri è falsa.».

Page 35: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 35 di 42

RISPOSTA ALLA DISSERTAZIONE DI M. DE LA MONNOYE SUL TRATTATO DEI TRE IMPOSTORI

Questa Lettera è del Sig. Pierre Frédéric Arpe, di Kiel, nell'Holstein, Autore della “Apologia di Venini”, stampata a Rotterdam, in 8°, nel 1712. Una specie di dissertazione assai poco convincente, che si trova alla fine della nuova edizione di Messagiana, appena pubblicata in questo paese, mi offre l'occasione di por mano alla penna, per dare al Pubblico qualche assicurazione circa un fatto, sul quale sembra che tutti i Dotti vogliano fare le loro critiche, e nello stesso tempo per discolpare un grandissimo numero di Personaggi abilissimi, tra cui qualcuno di preclara virtù, che si è cercato di far passare per gli Autori del Libro, soggetto di questa dissertazione, che sembra essere opera di M. de la Monnoye. Non dubito punto che questo nuovo Libro sia già stato in vostre mani: vedete che voglio parlare del “Trattato De Tribus Impostoribus”. L'autore della Dissertazione sostiene che questo Libro non esiste e cerca di provare la sua convinzione con delle congetture e senza portare alcuna prova capace di influire su uno spirito abituato a non sopportare che si cerchi di abbindolarlo. Non tenterò di confutare questa Dissertazione passo per passo, perchè in essa non c'è nulla di nuovo rispetto a quel che si trova già in una Dissertazione in Latino “De doctis Impostoribus” di M. Burchard Goettefle Struve, stampato per la seconda volta a Jena, presso Muller, nel 1706, che l'Autore ha visto, poiché ne parla. Ho in mano un mezzo molto più sicuro per demolire questa Dissertazione di M. de La Monnoye, comunicandogli che ho visto con i miei occhi il famoso Trattato “De tribus Impostoribus” e che l'ho letto nel mio Studio. Vi informerò, Signore e Pubblico, sul modo in cui l'ho scoperto ed in cui l'ho avuto. Ve ne darò un succinto e fedele estratto. Mi trovavo a Francoforte sul Meno, nel 1706, e passai un giorno da una Libreria, col miglior assortimento di libri d'ogni tipo, in compagnia di un Ebreo e d'un amico chiamato Frecht, allora studente di Teologia. Esaminavamo il catalogo della Libreria, allorché vedemmo entrare nel negozio una specie di ufficiale Tedesco che si rivolse al Libraio chiedendogli in Tedesco se voleva concludere il loro affare, oppure avrebbe cercato un altro Mercante. Frecht, che aveva riconosciuto l'Ufficiale, lo salutò e ricordò la loro conoscenza: ciò che gli consentì di chiedere all'ufficiale, che si chiamava Trausendorff, cosa avesse da sbrigare con la Libreria. Trausendorff gli rispose che aveva due manoscritti ed un libro molto vecchio da cui voleva ricavare una piccola somma per la prossima Campagna e che il Libraio pretendeva cinquanta Rixdales, dandogli quattrocentocinquanta Rixdales per tutti tre i libri, mentre egli ne chiedeva cinquecento. Una somma così grossa per due manoscritti ed un libriccino eccitò la curiosità di Frecht, che chiese al suo amico di vedere i pezzi che voleva vendere a qual prezzo elevato. Trausendorff tirò subito fuori di tasca un pacchetto di pergamene legato con un nastro di seta, lo aprì e ne trasse i tre libri. Entrammo nel Negozio del Libraio per esaminarli liberamente. Sul primo che Frecht aprì trovammo l'Impressione, che era un titolo in Italiano, scritto a mano al posto del vero titolo, che era stato strappato. Quel titolo era “Spaccio della Bestia Triumphante” e la stampa non sembrava antica: credo sia la stessa di cui Toland88 ha fatto stampare una traduzione in Inglese qualche anno fa ed i cui esemplari sono stati venduti a carissimo prezzo. Il secondo, che era un vecchio manoscritto in Latino con caratteri abbastanza difficili, non aveva alcun titolo, ma sulla prima pagina, in alto, c'era scritto, in caratteri abbastanza grandi: “Othoni illustrissimo amico meo carissimo F.I.S.D.”89. L'opera cominciava con una lettera, di cui riporto le prime righe: "quod de tribus famosimis nationum deceptoribus in ordinem iussu meo digessit doctissimus ille vir quorum sermone de illa re in museo meo habuisti exscribi curavi atque Codicem illum stylo aeque vero ac puro scriptum ad te quam primum mitto: eccetera”.90

Page 36: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 36 di 42

L'altro manoscritto anch'esso in Latino e senza titolo, cominciava con queste parole, che mi sembrano di Cicerone, dal primo libro "de nautura Deorum". “Qui vero deos esse dixerunt tante sunt in varietate et sissensione constituti, ut eorum molestum sit numerare Sentenctias…alternum fieri potest profecto, ut eorum nulla: alterum certe non potest, ut plus mea vera fit”.91 Frecht, dopo aver scorso i tre libri con una certa fretta, si soffermò sul secondo, di cui aveva sentito parlare spesso e sul quale aveva letto parecchie storie differenti e, senza più esaminare gli altri due, trasse da parte Trausendorff e gli disse che avrebbe potuto trovare dovunque dei mercanti disposti ad acquistare quei tre libri. Non si parlò più molto dei tre libri Italiani e quanto all'altro si convenne, leggendo qualche frase qua e la, che era un dimostrato sistema d'ateismo. Poiché il Libraio teneva ferma la sua offerta e non voleva accordarci con l’ufficiale, uscimmo e andammo nell'alloggio di Frecht che, avendo i suoi scopi, fece portare del vino e pregò Trausendorff di farci sapere come gli fossero caduti fra le mani quei tre libri. Gli facemmo vuotare tanti di quei bicchieri che, essendosi ottenebrata la sua ragione, Frecht ottenne senza ulteriore fatica che gli lasciasse il manoscritto dei tre famosissimi imbroglioni, ma bisognò fargli un detestabile giuramento che non l'avremmo copiato. Sotto questa condizione ci vincolammo a tenerlo da venerdì alle dieci di sera fino a domenica sera, quando Trausendorff sarebbe venuto a cercarci per vuotare ancora qualche bottiglia di quel vino così di suo gusto. Poiché io avevo non meno voglia di Frecht di conoscere quel Libro, ci mettemmo subito a sfogliarlo, ben decisi a non dormire fino a domenica. Il libro era bello grande, chi lo avrebbe detto?, era un grande in 8°, di dieci quintum, oltre la lettera che lo precedeva, ma scritto in caratteri così piccoli e carico di così tante abbreviazioni, senza punti né virgole, che faticammo ben bene a decifrarne la prima pagina, cosa che ci portò via due ore. Dopo la lettura divenne più facile, cosa che mi indusse a proporre all'amico Frecht un modo, a mio parere un po' gesuitico, per avere una copia di quel celebre trattato, senza infrangere il suo giuramento che era stato fatto “ad mentem interrogantis”:92 è probabile che Trausendorff, pretendendo che il suo libro non fosse copiato, intendeva che non fosse trascritto per nulla affatto, cosicché la scappatoia da me proposta fu che ne facessimo una traduzione. Frecht, con qualche obiezione, acconsentì e ci mettemmo al lavoro. Alla fine ci trovammo padroni del Libro il sabato verso mezzanotte. Ripassai in seguito con comodo la nostra frettolosa traduzione e ne stampammo una copia a testa, impegnandoci a non cederla a terzi. Quanto a Trausendorff, ottenne da Libraio i cinquecento Rixdales, poiché questi aveva ricevuto l'incarico da un Principe della Casa di Sassonia, il quale sapeva che il Manoscritto era stato sottratto dalla Biblioteca di Monaco, quando dopo la sconfitta dei Franco-Bavaresi a Hochstadt i tedeschi s'impadronirono di quella città. In essa Trausendorff, come ci aveva raccontato, aveva vagato da una casa all'altra, fino ad arrivare alla Biblioteca di S. A. l'Elettore, dove quel pacchetto di pergamene con quel nastro di seta gialla gli era caduto sotto gli occhi: egli non aveva potuto resistere alla tentazione di metterselo in tasca, pensando che potesse contenere qualche pezzo strano, cosa in cui non si era sbagliato. Restano solo da dire, per completare la storia del ritrovamento di quel trattato, le congetture che Frecht ed io facemmo sulla sua origine. Ci trovammo d'accordo che quell'illustrissimo Othonia cui era indirizzato, era Ottone l'Illustre, Duce di Baviera, figlio di Luigi I e nipote di Ottone il Grande, Conte di Schiven e Wittelpach, a cui l'Imperatore Federico Barbarossa aveva donato la Baviera per ricompensarne la fedeltà, togliendola ad Enrico il Leoneper per punirne l'ingratitudine. Ora questo Ottone l'Illustre successe a suo padre Luigi I nel 1230, sotto il regno dell'Imperatore Federico II, nipote di Federico Barbarossa, al tempo in cui quell'Imperatore entrò in completo disaccordo con la Corte di Roma, al suo ritorno da Gerusalemme. Questo ci fece congetturare che le iniziali F.I.S.D. poste dopo ”amico meo carissimo” significassero Federicus Imperator Salutem Dicit, ipotesi da cui concludemmo che il “Trattato Sui Tre Impostori” era stato composto dopo il 1230, per ordine di quell'imperatore, indispettito contro la Religione a causa del pessimo

Page 37: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 37 di 42

trattamento ricevuto dal Capo di essa, che era allora Gregorio IX,93 il quale l'aveva scomunicato prima che partisse per il suo viaggio e che l'aveva perseguitato fino in Siria, dove, con i suoi intrighi, gli aveva rivoltato contro l'esercito. Questo Principe, al suo ritorno, assediò il Papa a Roma, dopo aver devastato le Province circostanti e infine stipulò con lui una pace di breve durata. Questa fu seguita da un'ostilità così accesa fra Imperatore e Papa, che non si estinse fino alla scomparsa di quest'ultimo, morto di dispetto per aver visto Federico trionfare sui suoi inutili fulmini e smascherare i vizi di San Pietro, nei versi satirici che fece diffondere in ogni dove, in Germania, in Italia e in Francia. Non potemmo però scoprire chi fosse quel dottissimo uomo con cui Ottone si era intrattenuto su quell'argomento nella Biblioteca, apparentemente in compagnia dell'Imperatore Federico, a meno che non si dica che sia il famoso Pier delle Vigne, Segretario o, come altri vogliono, Cancelliere dell'Imperatore Federico II. Il suo trattato “Il Potere dell'Imperatore” e le sue Lettere ci mostrano quali fossero la sua dedizione e lo zelo ch'egli aveva per gli interessi del suo Padrone, e l'animosità contro Gregorio IX, i Preti e la Chiesa dei suoi tempi. È vero che, in una delle sue Lettere, fa in modo di discolpare il suo Padrone, che era accusato da loro di essere l'Autore di quel libro, ma questo potrebbe avvalorare la supposizione e far credere che sostenesse Federico solo per evitare che gli venisse accollata una tradizione così scandalosa. Forse ci avrebbe tolto ogni pretesto di far supposizioni, confessando la verità, se Federico sospettandolo di aver complottato contro la sua vita, non l'avesse condannato ad essere accecato e ad essere consegnato ai Pisantini, suoi acerrimi nemici e se la disperazione non ne avesse anticipato la morte in un carcere infame, nel quale non poteva farsi ascoltare da nessuno. Ecco così demolite tutte false accuse contro Averroè, Boccaccio, Dolet, l'Aretino, Servet, Ochino, Postel, Pomponazzi, Campanella, Poggi, Pulci, Muret, Vanini, Milton e molti altri. Si scopre così che il libro è stato compilato da un Sapiente di prim'ordine della Corte di questo Imperatore e per ordine suo. Per quanto riguarda coloro che affermano che fosse stato stampato, credo di poter avanzare l'ipotesi che non sia molto probabile, perchè si può immaginare che Federico, circondato da ogni parte da nemici, non avrebbe certo diffuso questo Libro, che avrebbe offerto ai suoi nemici una bella occasione di render pubblica la sua mancanza di religione; forse egli ne ebbe solo l'originale e quella copia inviata a Ottone di Baviera. Ora basta, mi sembra, discutere sulla scoperta di questo libro e sull'epoca della sua origine. Eccone il contenuto. È diviso in sei libri o capitoli, ognuno dei quali in più paragrafi: il primo capitolo è intitolato "Su Dio" e contiene sei paragrafi, nei quali l'Autore, volendo dimostrare di esser privo di pregiudizi dovuti sia all'educazione che alla fazione, dimostra che, sebbene gli uomini abbiano tutto l'interesse a conoscere la verità, cionondimeno si nutrono di opinioni e fantasie e, trovando della gente interessata a mantenerli in tale stato, vi restano attaccati, sebbene possano facilmente scuotere il giogo, facendo un minimo uso della ragione. Illustra poi le idee che si hanno della Divinità e prova che esse sono oltraggiose e mettono insieme l'Essere più orrendo ed imperfetto che si possa immaginare. Se la prende con l'ignoranza del Popolo, o piuttosto con la sua stolta credulità, che crede alle visioni dei Profeti e degli Apostoli, di cui ci fa un ritratto conforme all'idea che ne ha già. Il secondo Capitolo tratta delle ragioni che hanno indotto gli uomini a figurarsi un Dio: è diviso in undici paragrafi, nei quali prova che dall'ignoranza delle cause Fisiche è nato un timore naturale di fronte alle migliaia di terribili accidenti, che han fatto dubitare esistesse qualche Potenza invisibile. Dubbi e paure, dice l'Autore, che abili Politici hanno saputo sfruttare per i propri interessi e che han dato corso alla teoria di quell'esistenza, confermate da altri che le trovavano utili ai loro particolari interessi e che si è radicata per la sciocchezza del Popolo, sempre pronto ad ammirare ciò che è straordinario, sublime, meraviglioso. Esamina poi a fondo la natura di Dio e demolisce l'opinione comune delle finalità, in quanto contrarie alla sana Fisica.

Page 38: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 38 di 42

Infine, fa vedere che non si è formata un'idea di questa o quella Divinità, se non dopo aver stabilito cosa siano persecuzione, bene, male, virtù, vizio, inquadramento fatto dalla fantasia, spesso più falso di quanto si possa immaginare, da cui son derivate le idee false che ci si è fatti e si conservano riguardo alla Divinità. Nel decimo, l'Autore spiega a modo suo che cosa sia Dio e ne da un'idea abbastanza simile a quelle dei Panteisti, dicendo che la parola Dio ci richiama un Essere Infinito, uno dei cui attributi è quello di essere una sostanza sparsa e, conseguentemente, eterna ed infinita. Nell'undicesimo mette in ridicolo la credulità popolare, che ha creato un Dio perfettamente simile ai Re della terra e, passando ai Libri sacri, ne parla in modo molto sfavorevole. Il terzo Capitolo ha per titolo cosa significhi la parola Religione, come e perchè se ne siano introdotte così tante nel mondo. Questo Capitolo ha ventiquattro paragrafi. Egli vi esamina di nuovo dapprima l'origine delle Religioni e conferma, con esempi e ragionamenti, che, anziché essere di origine Divina, esse sono tutte frutto della Politica. Nel decimo paragrafo pretende di scoprire l'impostura di Mosè, mostrando chi era e come si fosse comportato per fondare la Religione Ebraica. Nell'undicesimo esamina le imposture di alcuni Politici, come Numa e Alessandro. Nel dodicesimo si passa a Gesù Cristo, di cui si vaglia la nascita. Nel tredicesimo e seguenti si discute sulla sua Politica. Nel diciassettesimo e seguenti si esamina la sua morale, che non è ritenuta più corretta di quella di un gran numero di antichi filosofi. Nel diciannovesimo, si esamina se la riputazione che ebbe dopo la morte ha avuto qualche peso sulla sua Deificazione ed infine, nel ventiduesimo e ventitreesimo paragrafo si tratta l'impostura di Maometto, di cui non è detto gran che, dato che non esistono tanti Difensori della sua dottrina come per le altre fedi. Il quarto Capitolo contiene delle verità sensibili ed evidenti ed ha solo sei paragrafi, nei quali si dimostra cos'è Dio e quali sono i suoi attributi: si respinge la fede in una vita futura e l'esistenza degli Spiriti. Il quinto Capitolo tratta dell'Anima: ha sette paragrafi nei quali, dopo aver esposto l'opinione comune, si riporta quella degli antichi filosofi, così come il pensiero di Descartes.94 Infine, l'Autore dimostra la natura dell'anima, secondo il suo interesse. Il sesto ed ultimo Capitolo, diviso in sette paragrafi, tratta degli Spiriti chiamati Demoni, se ne espone l'origine e la falsità dell'opinione della loro esistenza. Ecco l'anatomia del famoso libro in questione. L'avrei potuta fare in modo più diffuso e più particolareggiato, ma oltre al fatto che questa Lettera è già troppo lunga, credo di aver detto abbastanza per farlo conoscere e far constatare che lo possiedo veramente. Mille altre ragioni, che voi comprenderete bene, mi impediscono di diffondermi quanto avrei potuto: ma “est modus in rebus”.95 Così, benché questo libro possa essere stampato con una Prefazione nella quale ho tracciato la sua storia ed il modo in cui l'ho scoperto, con qualche congettura sulla sua origine ed in più qualche connotazione che potrei mettere alla fine, credo nondimeno che non vedrà mai la luce, oppure sarebbe segno che gli uomini hanno abbandonato improvvisamente le loro fantasie così come hanno lasciato cadere le voglie, i canoni e gli altri modelli. Per quanto mi riguarda, non mi esporrò al Pugnale Teologico, che temo altrettanto quanto Fra Paulo temette la Penna dei Romani, per dare a qualche sapiente il piacere di leggere questo Trattato, ma non sarò neanche così superstizioso da farlo gettare nel fuoco, quando sarò in punto di morte, come si pretende abbia fatto Solvius, Plenipotenziario di Svezia a Munster. Quelli che verranno dopo di noi, faranno tutto ciò che a loro piacerà, senza che io mi volti nella tomba. Prima di smettere, mi dichiaro, Signori, il vostro obbligatissimo servo. J. L. R. L. Leyda, il 1° Gennaio 1716

Page 39: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 39 di 42

COPIA DELL'ARTICOLO IX DEL TOMO I, SECONDA PARTE DELLE “MEMOIRES DE LITERATURE”

STAMPATO A L'AJA, DA HENRI DE SAUZET, NEL 1716. Non si può oggi più dubitare che ci sia stato un “Trattato De Tribus Impostoribus”, poiché se ne sono trovate parecchie copie manoscritte. Se M. de la Monnoye l'avesse visto così aderente al sunto che ne da M. Arpe nella sua Lettera stampata a Leyda il 1° Gennaio 1716, stessa divisione in sei Capitoli, stesso titolo e stesse materie trattate, si sarebbe risentito per la supposizione dell'autore di questo libro che si vorrebbe, a sproposito, attribuire a Pier delle Vigne, Segretario e Cancelliere dell'Imperatore Federico II. Questo Critico assennato ha già mostrato la differenza fra lo stile Gotico usato da Pier delle Vigne nelle sue Lettere e quello della Lettera indirizzata ad Ottone l'Illustre, inviandogli il libro. Non gli sarebbe sfuggito un appunto ben più importante: questo Trattato sui Tre Impostori è scritto e commentato secondo i metodi e i principi della nuova filosofia, che si è sviluppata solo verso la metà del 17° secolo, dopo che Descartes, Gassendi, Bernier e qualcun altro si sono spiegati con ragionamenti più giusti e più chiari di quelli dei filosofi antichi, affetti da una misteriosa cecità, perchè volevano riservare agli iniziati i loro segreti. All'Autore dell'opera è pure sfuggita, nel quinto Capitolo, una citazione di M. Descartes e vi si combatte il pensiero di quel grand'uomo circa l'anima. Ora, né Pier delle Vigne, né altri che si son voluti far passare per Autori di questo libro, avrebbero potuto ragionare secondo i principi della nuova filosofia, che è sorta solo dopo la loro esistenza. A chi, dunque, attribuire il libro? Si potrebbe concludere che esso è solo dello stesso tempo della piccola Lettera stampata a Leyda nel 1716. Ma c'è una difficoltà, Tentzelius, che scrisse nel 1689 e negli anni successivi, cita anche un estratto di questo libro, basandosi sulla parola di un suo amico, preteso testimone oculare: così, senza volerlo fissa l'epoca della stesura del libro, che si disse scritto in Latino e stampato, al piccolo Trattato Francese manoscritto, sia che sia stato originariamente scritto solo in questa lingua, sia che fosse una traduzione dal Latino, cosa difficile da credere, esso non può essere molto antico. Ancora, questo non è il solo libro composto con questo titolo e per certi argomenti: un uomo che carattere e professione avrebbero dovuto impegnare in altre questioni più adeguate, s'è deciso a comporre un'opera grossolana, scritta in Francese con lo stesso titolo “I Tre Impostori”. In una prefazione anteposta all'opera, egli dice che da parecchio si parla del libro sui “Tre Impostori”, che non si trova da nessuna parte, o perchè non è realmente mai esistito, o perchè è andato perduto. È perciò ch'egli vuol scrivere sullo stesso soggetto, per reintegrarlo. La sua opera è troppo lunga, noiosissima e molto mal combinata, senza principi, senza ragionamenti. È un ammasso confuso di tutti gli insulti ed invettive rivolte contro i tre legislatori. Questo manoscritto era in due volumi “in folio” spessi, in bella scrittura abbastanza minuta: il libro è diviso in parecchi Capitoli. Un altro manoscritto consimile fu rinvenuto dopo la morte di un Nobile, cosa che consentì di toglier di mezzo quell'Autore che essendo stato avvisato fece in modo da non far trovare niente fra la sue carte per confermarlo. Dopo di allora visse in un monastero, dove fece penitenza. Nel 1733 ricuperò totalmente la propria libertà ed aggiunse una pensione di trecentocinquanta lire dell'Abbazia di San Liguiare ad una prima di trecentocinquanta lire che aveva conservato per suo Beneficio. Si chiamava Guillame, Curato di Fresne-sur-Beray, fratello di un agricoltore dei Paesi96 era stato, in precedenza, Reggente del Collegio di Montaigu, in gioventù era stato arruolato fra i Dragoni e si era poi fatto frate Cappuccino.

Page 40: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 40 di 42

NOTE 1. Mosè fece morire in una sola volta 24.000 uomini che si erano opposti alla sua legge. 2. È scritto nel primo libro dei Re, capitolo XXII, versetto 6, che Acab, Re d'Israele consultò quattrocento

Profeti, che si dimostrarono tutti falsi, per l'insuccesso delle loro Profezie. 3. Capitolo XV, versetti 2 e 9 4. Capitolo XVIII, versetto 10 5. Capitolo II, versetto 13 6. Capitolo IV, versetto 7 7. Romani, XV IX, versetto 10 8. Lucrezio “De Rerum Naturae” Libro VI, versetto 49 e seguenti: “sappi che i mortali paurosi che

guardano con preoccupazione le cose che avvengono in terra ed in cielo, influenzano gli animi servili con il timor di Dio e disprezzano gli inferiori, perchè l'ignoranza delle cause li costringe a confidare nel volere degli dei ed a concedere loro il dominio”.

9. Tertull Contro Prussia, capitolo 7: "chi potrà, d'altronde, negare che Dio abbia un corpo benché Dio sia Spirito? Anche lo Spirito ha un corpo del suo genere, del suo aspetto".

10. I quattro primi Concili sono: 1° - Nicea nel 325 sotto Costantino e Papa Silvestro; 2° - Costantinopoli del 380, sotto Graziano, Valentiniano, Teodosio e Papa Damaso; 3° - Efeso del 431, sotto Teodosio il giovane, Valentiniano e Papa Celestino; 4° - Calcedonio nel 451, sotto Valentiniano, Marciano e Papa Leone I.

11. Il Talmud riporta che i Rabbini discussero se escludere il libro dei Proverbi, dei Profeti e quello dell'Ecclesiaste dal numero dei libri Canonici: li lasciarono perchè vi si parla elogiativamente di Mosè e della sua legge. Le profezie di Ezechiele avrebbero dovuto essere escluse dal Catalogo sacro, se un certo Chanoine non si fosse sforzato di conciliarle con la stessa Legge.

12. Vedasi il passaggio di Tertulliano, citato al capitolo II, paragrafo 10, pagina 7 del presente testo 13. Vedasi Hobbes, Il Leviatano dell'uomo (de homine), capitolo XII, pagine 56, 57, 58 14. Vedasi Hobbes, opera citata, capitolo XII, pagina 58 15. Vedasi Hobbes, opera citata, capitolo XII, pagine 58 e 59 16. Non si deve intendere questo termine secondo l'opinione volgare; perchè colui che dice Mago con

gente ragionevole, intende un uomo scaltro, un abile Ciarlatano, un astuto Prestigiatore, per il quale tutta l'arte consiste nella sottigliezza e nella destrezza, senza alcun patto col Diavolo, come invece crede la plebe.

17. Il Popolo Eletto. 18. Nel X Capitolo di Numeri, versetti da 19 a 34 19. Anche detto Obab. 20. Vedasi Hobbes: Leviatano - dell'uomo - Cap. 1°, pagine 59 e 60 21. Una nota a margine riporta sei versi, il cui significato suona:

“Qùun beau pigeon à tire d'aile / Vienne obombrer una Pucelle, / Rien n'est surprenant en cela / L'on en vit autant en Lydie / Et le beau cygne de Leda / Vaut bien le Pigeon de Marie”. Cioè “Che un bel Piccione venga a volo / A ingravidare una Pulzella, / Non c'è nulla di sorprendente / Si è già verificato in Lidia / E il bel cigno di Leda / Val bene il Piccione di Maria”.

22. Vedasi Quarto Libro di Samuele, cioè 1° Re, capitolo VII: Gli israeliti scontenti dei figli di Samuele chiedono un Re.

23. Gesù Cristo apparteneva alla setta dei Farisei, cioè dei miserabili, che erano totalmente ostili ai Sadducei, i quali formavano la setta dei ricchi, eccetera. Vedasi il Talmud.

24. Questo è il giudizio che ha dato il papa Leone X, tanto conosciuto quanto audace, espresso in un secolo nel quale lo spirito filosofico aveva fatto ancora ben pochi progressi: “Sappiamo da molto tempo (disse al Cardinale Bembo) quanto questa favola di Gesù Cristo ci abbia reso, è sufficiente per tutti i secoli” – “Quantum nobis nostrisque que ea de Christo fabula profuerit, satis est omnibus seculis notum”.

25. Confessioni - Libro 7, capitolo IX, versetto 26 26. Confessioni, Libro 7, capitolo IX 27. Vedasi il Discorso di Aristofane, nel Convivio di Platone. 28. La città di Dio, Libro 1, capitolo XIV. 29. Flegetonte, fiume di fuoco. 30. Libro 8, capitolo IV 31. Libro 8, capitolo IV 32. Libro 2, contro Gioviniano, capitolo VIII 33. Vita di Maometto, del Conte di Boulainvilliers, Libro 2, pagine 216, 217 – 266, 267, 268, Edizione di

Amsterdam, 1731

Page 41: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 41 di 42

34. Si tratta della potente tribù dei Coreisciti o Qurayš, la piú importante della Mecca, dove si occupava di commercio e della gestione del santuario della Pietra Nera (Caaba). D'essa faceva parte la famiglia degli Hašimiti cui apparteneva Maometto.

35. Lucrezio “De Rerum Natura” Libro I, versetto 57 e seguenti: “Ogni suo aspetto, quindi, occorre sia per se stesso divino, gode tranquillamente della immortalità, sta discosto e ben separato dalle nostre cose; giacché esso stesso nella sua opera grandiosa non sente dolore né corre rischi: non ha bisogno di noi, non si lascia commuovere dai meriti, non soggiace all'ira”.

36. Nel testo è citata in greco Ades: Ade. 37. Vedasi il Dizionario di Boyle ad Anversa. 38. Virgilio “Georgiche”, libro 2, versetto 494: "Felice colui che potè conoscere l'origine delle cose e

mettersi sotto i piedi il timore, il destino inesorabile e lo strepito dell'insaziabile Acheronte". 39. Pierre Bayle 1647 - 1706 40. Ugo de Groot 1583 - 1645 41. Pier delle Vigne circa 1194 - 1250 42. Aboul Welid Mouhammed ben Ahmed ben Rochd al Maliki di Cordova 1120 – 1198 Illustre filosofo,

giurista, medico e cultore di astronomia, conosciuto come Averroè, nacque a Cordova dove ricoprì a lungo la carica di giudice, godendo dei favori dei sovrani della dinastia degli Almohàdi.

43. Apud Novissimum I, Silvae nupt. 2, n. 121 44. Tommaso di Canterbury, XII sec.? 45. Giovanni Battista Colbert 1619 - 1683 46. Sono due regioni contigue, oggi nel Portogallo meridionale. 47. Oderico Rinaldi 1595 - 1671 48. Giordano Bruno 1548 - 1600 49. Riportato in latino nel testo 50. Michele Serveto 1511 - 1553 51. Giovanni Calvino 1509 - 1564 52. Teodoro Beza 1519 - 1605 53. Pietro Ramus 1509 - 1572 54. In latino, nel testo 55. Giorgio Biandrata 1515 - 1590 56. Andrea Ale 1492 - 1551 57. Bernardo Ochino 1487 - 1564 58. In latino, nel testo. 59. Cristina Vasa o Christina Alexandra di Svezia1626 - 1689 60. Giovanni Bodin 1530 - 1586 61. Pietro Gassendi 1592 - 1655 62. Francesco Berurier 1620 - 1688 63. Tommaso Hobbes 1588 - 1679 64. Benedetto Spinoza 1632 - 1677 65. Isacco la Peyrere circa XVII sec. 66. La religione del medico 67. Probabilmente un Ernst, tedesco 68. Tommaso Campanella1568 - 1639 69. Marco Antonio Muretus 1526 - 1585 70. Trionfo sull'Ateismo 71. Che potrebbe tradursi "razzismo da non conservare" 72. Giuseppe Giusto Scaligero 1484 - 1558 73. Vedere, a questo proposito, il Dizionario di Bayle, sotto Trabea 74. Stefano Dolet 1509 - 1546 75. Giovanni Milton 1608 - 1674 76. Giorgio Merula 1430 - 1494 77. Pietro Aretino 1492 - 1556 78. Giovanni Boccaccio 1313 - 1375 79. Nicolò Macchiavelli1469 - 1527 80. François Rabelais 1495 - 1553 81. Erasmo da Rotterdam 1467 - 1536 82. Pietro Pomponazzi 1462 - 1525 83. Gerolamo Cardano 1501 - 1576 84. Enrico II Stefano 1538 - 1598 85. Nei pressi di Tolosa 86. Giulio Cesare o Lucilio Vanini 1585 - 1619 87. Forse un Mueller, tedesco 88. Giovanni Toland 1670 - 1722

Page 42: Trattato Dei Tre Impostori

Trattato dei tre Impostori pagina 42 di 42

89. Ad Ottone, mio carissimo ed illustrissimo amico F.I.S.D. 90. All'incirca: ti mando per primo quel Codice scritto con penna veritiera e pura, di cui quell'uomo

dottissimo prese cura ed espose per mio ordine sui tre famosi ingannatori delle nazioni, sul cui discorso a proposito di quella cosa dovesti scrivere nella mia biblioteca: perciò, ecc.

91. Coloro che dissero che gli Dei esistono sono divisi fra tante varietà e divergenze di pareri da rendere difficile il conteggio delle Opinioni…l'uno può ritenere che nessuna di esse sia vera e l'altro che più di una lo sia.

92. Secondo quanto richiesto 93. Ugolono dei Conti di Segni 1170 - 1241 divenuto Papa Gregorio IX nel 1227 94. Renè Descartes - Renato Cartesio 1596 - 1650 filosofo 95. C’è una giusta misura nelle cose 96. Paesi Bassi?