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17.2 Trimestrale | Poste Italiane SpA – Sped. Abb. Post. DL 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Roma – Aut. GIPA/C/RM/26/2013 del 28/06/2013 – ISSN 2385-0736 | Un fascicolo 25 euro Rivista ufficiale di Formazione continua della Società Italiana di Pediatria | Vol. 17 | n. 2 | aprile–giugno 2016 Farmaci off-label in Pediatria: un update / Come si fa diagnosi di celiachia? Destreggiarsi fra esame istologico, autoanticorpi, linee guida e normative / Consigli ai genitori: vomito e diarrea / Ptosi palpebrale: il caso di A. / Prescrizioni al telefono: chi ci tutela? / Il bambino con SMA tipo 1 e 2: la care a domicilio / Integrazione ospedale territorio: percorsi diagnostico-terapeutici a cura del “Journal Club of Pediatrics” di Benevento

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Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria | Vol. 17 | n. 2 | aprile–giugno 2016

Farmaci off-label in Pediatria: un update / Come si fa diagnosi

di celiachia? Destreggiarsi fra esame istologico, autoanticorpi,

linee guida e normative / Consigli ai genitori: vomito e diarrea /

Ptosi palpebrale: il caso di A. / Prescrizioni al telefono:

chi ci tutela? / Il bambino con SMA tipo 1 e 2: la care a domicilio /

Integrazione ospedale territorio: percorsi diagnostico-terapeutici

a cura del “Journal Club of Pediatrics” di Benevento

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Rivista ufficiale di Formazione continua

della Società Italiana di Pediatria

Vol. 17 | n. 2 | aprile–giugno 2016

[ EditorialE ]

Riflessioni dalla CinaLuciana Indinnimeo

Tante sono le vie per la verità, da valutare ogni volta senza pregiudizi > 55

[ tutto su ]

Farmaci off-label in Pediatria: un updateLaura Cuzzolin, Vassilios Fanos,

Angelica Dessì

La carenza di informazioni sulla sicurezza dei farmaci off-label nella popolazione pediatrica, in particolare nel neonato, rimane tuttora un problema > 56

[ comE si fa ]

Come si fa diagnosi di celiachia? Destreggiarsi fra esame istologico, autoanticorpi, linee guida e normativeRoberta Kosova, Renata Auricchio,

Riccardo Troncone

Le nuove linee guida ESPGHAN non rappresentano un punto di arrivo ma un passaggio importante, frutto di una nuova concezione della malattia > 60

[ strumEnti di lavoro ]

Consigli ai genitori: Vomito e diarreaUna scheda sintetica da utilizzare nel rapporto con i familiari dei pazienti > 66

[ caso clinico ]

Ptosi palpebrale: il caso di A.Adriana Fumarola, Caterina Radice,

Roberta Burnelli

In un complesso quadro eziologico si è cercato di stabilire un protocollo diagnostico condiviso in ambito scientifico, al fine di identificare la natura della lesione responsabile della sintomatologia clinica > 67

[ tutto su ]

Prescrizioni al telefono: chi ci tutela?Edoardo Scalici, Claudia Minacapelli Marotta

La migliore tutela per un sanitario è agire con diligenza e nel rispetto delle best practice, evitando atteggiamenti “difensivistici” > 72

[ tutto su ]

Il bambino con SMA tipo 1 e 2: la care a domicilio Chiara Di Pede, Caterina Agosto,

Franca Benini

L’atrofia muscolare spinale (SMA) è una malattia neuromuscolare ereditaria a trasmissione autosomica recessiva, causata dalla delezione del gene SMN1 > 77

[ comE si fa ]

Integrazione ospedale territorio: percorsi diagnostico-terapeutici a cura del Journal Club of Pediatrics di BeneventoIride Dello Iacono, Nunziatina Sorice,

Carmen Maria Verga

L’appropriatezza è solo uno degli elementi della qualità, ma coinvolge il medico sia per gli aspetti professionali o clinici sia per quelli organizzativi > 86

[ cornEr aifa ]

Una nuova rubrica che presenta news e alert dall ’Agenzia Italiana del Farmaco > 90

[ Quiz ]

Test di autovalutazione > 93

In copertina“Ragazza in un kimono bianco” (part.)

George Hendrik Breitner, 1894, olio su telaRijksmuseum, Amsterdam.

All’interno (pag. 56) Senza titolo (part.),

Giulia, 6 anni, marker su carta, 30x21; (pag. 60) ‘The party’ (part.), Livia, 4 anni,

penna e pastello su carta, 30x17;(pag. 67) ‘A boat’, Falco, 5 anni,

acquarello su carta, 30x21;(pag. 72) Senza titolo (part.), Carla, 8 anni,

marker su carta, 30x21;(pag. 77) ‘A bull’, Lena, 8 anni,

tecnica mista, 30x21; (pag. 86) ‘Una casa’ (part.), Eleonora, 5 anni,

gouache su stampa digitale, 33x28.

George Hendrik Breitner fu un pittore olandese impressionista particolarmente affascinato dall’arte giapponese, la cui influenza è facilmente riscontrabile nella sua serie di opere raffiguranti una giovane donna abbigliata con un kimono di diversi colori. La ragazza ritratta è sempre la stessa: Geesje Kwak, una giovane originaria di Zaandam, vera e propria musa dell’artista olandese. La modella è la protagonista anche del dipinto “Ragazza in un kimono bianco” (1894). In una delle numerose lettere che Breitner scrisse al pittore Willem Witsen sulle sue fantasie esotiche – inviate dall’ospedale dove era stato ricoverato per una malattia venerea – ha riprodotto un piccolo schizzo del dipinto chiedendo che questa “donna giapponese” fosse venduta per 500 fiorini. L’opera si trova oggi al Rijksmuseum di Amsterdam ed è la prima “ragazza in kimono” della storia ad esser stata esposta in una collezione pubblica.

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Destinazione d’usoIl dispositivo medico è destinato al ripristino delle funzioni fisiologiche delle pareti intestinali, così come per prevenire e alleviare la disbatteriosi di differente natura e origine.È indicato per la prevenzione e il trattamento di disturbi dell’apparato digerente tra cui la diarrea, la tensione e il gonfiore addominale, come conseguenza di gastroenteriti infettive, trattamenti con antibiotici e chemioterapia, è efficace entro 12 ore.Il dispositivo medico contribuisce a ripristinare le condizioni ottimali dell’intestino favorendo la crescita della flora endogena intestinale che contribuisce a migliorare le naturali difese dell’organismo.

Istruzioni per l’usoPolvere per uso pediatrico: dev’essere aggiunta agli alimenti o mescolata con una piccola quantità di latte, succo di frutta o acqua. Mescolare bene e consumare immediatamente.

Confezione12 bustine contenenti tannato di gelatina e batteri tindalizzati.

Composizione Polvere per uso pediatrico: Tannato di Gelatina e batteri lattici tindalizzati (Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus plantarum, Lactobacillus casei, Lactobacillus rhamnosus, Bifidobacterium bifidum, Streptococcus thermophilus).

PosologiaPer i bambini sotto i 3 anni: 1 bustina ogni 6 ore sino alla scomparsa dei sintomi.Per bambini sopra i 3 anni: 1 o 2 bustine ogni 6 ore, sino alla scomparsa dei sintomi.

AvvertenzeSeguire attentamente le seguenti avvertenze:• La consultazione del medico prima dell’utilizzo del prodotto non è necessaria. Tuttavia è consigliabile in

caso di sintomi gravi o persistenti, o quando vi sono dubbi sulla diagnosi, soprattutto nei bambini sotto i 3 anni e negli anziani.

• In caso di diarrea nei bambini sotto i 3 anni, soprattutto quando altri sintomi sono presenti, si consiglia di consultare il proprio medico.

• Si consiglia l’assunzione abbondante di liquidi e di una dieta idonea al trattamento della diarrea (reidratazione orale).

• Anche se non sono conosciuti effetti collaterali, si consiglia di non utilizzare il prodotto durante la gravidanza o nei primi mesi dell’allattamento. In ogni caso, consultare prima il proprio medico.

• Non utilizzare il dispositivo dopo la data di scadenza riportata sulla confezione.• Non utilizzare il prodotto se la bustina è aperta o danneggiata.• Conservare a temperatura ambiente e lontano da fonti di calore. Non congelare.• Tenere il dispositivo fuori dalla portata dei bambini.

Controindicazioni ed effetti indesideratiIl dispositivo medico non dev’essere utilizzato in pazienti con ipersensibilità o allergie al Tannato di Gelatina o altri ingredienti contenuti nel prodotto.

Polvere ad uso pediatrico

601834 Rev: 06 del 12-12-2014

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Direttore Scientifico

Luciana IndinnimeoProfessore Aggregato di PediatriaDipartimento di Pediatria e NPIUniversità di Roma “Sapienza”e-mail: [email protected]

Comitato Editoriale

Sandra BrusaMaria Elisabetta Di CosimoDante FerraraPietro FerraraLuciana IndinnimeoRocco RussoAnnamaria StaianoPier Angelo TovoRenato VitielloUfficio Editoriale

David FratiIl Pensiero Scientifico Editore via S. Giovanni Valdarno, 8 - 00138 Romae-mail: [email protected]

Direttore Responsabile

Luca De FioreISSN 2385-0736

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 311

del 5 maggio 2000

Progetto grafico e impaginazione

Chiara Caproni immagini&immagine - RomaStampa

TiPrintingvia delle Case Rosse, 23 - 00131 RomaFinito di stampare nel mese di giugno 2016

Società Italiana di Pediatria

via Libero Temolo, 4 - 20126 Milanotel. 02.45498282, fax 06.45498199cell. 340.4244544e-mail: [email protected]

Presidente

Giovanni CorselloVice Presidenti

Luigi GrecoAlberto VillaniTesoriere

Rino AgostinianiConsiglieri

Fabio CardinaleAntonio CorreraLiviana Da DaltDomenico MinasiAndrea PessionConsiglieri junior

Massimo BarbagalloElvira VerduciDelegato Consiglio Nazionale

Giuseppe MasnataDelegato Consulta Nazionale

Luigi MemoDelegato Conferenza Gruppi di Studio

Rosalia Maria Da Riol

Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria

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di Luciana [email protected]

D i ritorno da un interes- sante viaggio in Cina voglio condividere con voi alcune

riflessioni. La Cina è un Paese di e-stremi che risponde ai desideri di chi ama emozionanti avventure ma an-che di chi è semplicemente curioso. È possibile scegliere il vostro “estremo preferito” tra le più alte vette del pia-neta, i treni (e gli ascensori) più ve-loci del mondo e le più grandi statue buddiste. Nel mio caso l’avventura che più ha stimolato la mia curiosità è stata la visita al Museo della Me-dicina tradizionale cinese “Hu Qing Yu Tang”, nella città di Hangzhou. Accanto al museo si trova una stu-penda farmacia arredata con antichi mobili di legno scuro, perfettamente operativa, con file di pazienti con la ricetta in mano, in attesa di riceve-re medicine a base di erbe. Come è noto la Medicina tradizionale cinese considera il corpo umano come un sistema di energia nel quale agiscono le sostanze fondamentali del qì (e-nergia vitale), del xuè (sangue, liquidi nutritivi del corpo) e del tiyè (fluidi corporei e altri fluidi organici).

Il concetto di Yin e Yang è alla base di questo sistema. Eventuali situazioni disarmoniche tra Yin e Yang o tra le sostanze fondamen-tali possono essere determinate da

cause interiori (emozioni), da fat-tori esterni (condizioni ambientali) o dalla combinazione di entrambi (lavoro, attività fisica, sesso etc.). Le tecniche di cura usate ‒ come l’agopuntura, il massaggio, le erbe, il regime alimentare ‒ mirano a riportare l’equilibrio tra questi ele-menti. La visita di questa farmacia mi ha affascinato, ma la folla dei “pazienti in attesa di trattamento” mi ha lasciato molto perplessa sulla reale efficacia di prescrizioni senza una solida base scientifica, poco o per niente vagliate con i criteri del-la Medicina basata sulle evidenze (EBM) o dell’Epidemiologia.

A questo proposito però mi sembra opportuno fare una rifles-sione sulla vita della professoressa cinese Tu Youyou, inserita tra i 100 più influenti personaggi del nostro tempo. La Tu Youyou, premio No-bel 2015 per la Medicina, ha ri-cavato da un’antica ricetta cinese l’artemisina, farmaco antimalarico estratto dall’erba Artemisia annua che viene usata da millenni in Cina proprio contro la malaria. Grazie al metodo scientifico, fondamen-to della Medicina occidentale, si è riusciti quindi a sfruttare una

risorsa naturale che fa parte di un patrimonio custodito gelosamente da millenni da una cultura molto differente da quella occidentale. È bene tener presente che “naturale” o “tradizionale” non significa “sicuro” e che si possono verificare intera-zioni dannose tra i rimedi a base di erbe e i farmaci della Medicina occidentale. A questo scopo l’EBM e gli studi epidemiologici fornisco-no sufficienti garanzie da cattive sorprese. Attualmente l’artemisina è anche al centro di un’imponente iniziativa condotta in contempora-nea dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal Worldwide Anti-malarial Resistance Network e dal Malaria Research and Reference Reagent Resource Center (MR4) per la comparsa di alcuni casi di malaria da Plasmodium falciparum resistenti alla artemisina nelle re-gioni di confine tra Cambogia e Thailandia. Si tratta di una minac-cia che potrebbe ridimensionare una grande scoperta concepita dalla cultura orientale e sviluppata dalla cultura occidentale per il benessere di tante popolazioni.

Senza stabilire primati tra O-riente e Occidente, è mia profonda convinzione che tante sono le vie per la verità, da valutare ogni volta senza pregiudizi .

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Riflessioni dalla Cina

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Introduzione

N onostante i progressi ottenuti negli ultimi anni dalla ricerca farmacologica nel pa-ziente pediatrico, il problema della disponibili-

tà di farmaci adatti ai bambini non è ancora stato risolto e la percentuale di farmaci per l’età pediatrica su cui sia stata fatta un’adeguata sperimentazione resta inferiore al 50%. Nel neonato il problema è ancora più evidente, in quanto risultano amplificate alcune problematiche relative alla sperimentazione clinica data la tipologia del paziente: studi clinici controllati e randomizzati raramente vengono condotti in questa fascia di popolazione sia per motivi etici che economici, in quanto le aziende farmaceutiche hanno scarso interesse a realizzare tali studi, complessi e costosi e oltretutto riguardanti un segmento minoritario del mercato totale del farmaco. Di conseguenza, in ambito pediatrico è frequente il ricorso a preparazioni galeniche estemporanee e molti farmaci vengono usati in condizioni diverse da quelle per cui è stata autorizzata l’immissione in commercio per quanto riguarda l’indicazione terapeu-tica, l’età, la formulazione e la via di somministrazione, la posologia (dose e frequenza): si tratta del cosiddetto uso

off-label. L’incidenza di tale tipo di utilizzo ‒ che rappresenta spesso l’u-nica alternativa terapeutica possibile ‒ varia a seconda del “setting” (ambi-to ambulatoriale, reparti ospedalieri di Pediatria generale, Terapie inten-sive neonatali): dai dati disponibili in letteratura, emergono percentuali che superano anche l’80% nei neonati ospedalizzati.

[ tutto su ]

Farmaci off-label in Pediatria: un update La carenza di informazioni sulla sicurezza dei farmaci off-labelnella popolazione pediatrica, in particolare nel neonato, rimane tuttora un problema.

L’utilizzo di farmaci off-label non deve essere inteso come sinonimo di una pratica clinica “irrazionale”, in quanto spesso supportato dall’esperienza clinica di anni, ma sicuramente è indicativo di un mancato aggiornamen-to del foglietto illustrativo del farmaco. Questa tipolo-gia d’uso espone a maggiori rischi di incorrere in errori terapeutici o di sviluppare reazioni avverse, in quanto spesso richiede la preparazione estemporanea di farmaci in mancanza di formulazioni adeguate all’età pediatrica e l’aggiustamento di dosi indicate per l’uso nell’adulto o nel bambino più grande. In questo ambito, quindi, diventa importante cercare di ottenere più informazioni possibili “sul campo”, cercando di analizzare quello che realmente accade nella pratica medica quotidiana.

Stato dell’arte

Per rimediare a questa diffusa pratica medi- ca, alcune iniziative regolatorie sono state prese negli

ultimi anni dalla Food and Drugs Administration (FDA) e dalla European Medicines Agency (EMA). In partico-lare, un nuovo Regolamento europeo, entrato in vigore nel 2007, è stato emanato per cercare di favorire lo studio dei farmaci in età pediatrica, da una parte sostenendo economicamente la ricerca per i farmaci già in commercio comunemente usati nel bambino e dall’altra obbligando le aziende farmaceutiche a fornire dati pediatrici in caso di richiesta di immissione in commercio di nuove mo-lecole. Negli Stati Uniti la ricerca in ambito pediatrico è aumentata grazie all’introduzione di incentivi per le aziende e questo si è tradotto in più di 500 modifiche A

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Laura Cuzzolin1

Vassilios Fanos2

Angelica Dessì21 Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica – Sezione di Farmacologia,Università di Verona2 Terapia Intensiva Neonatale – Patologia Neonatale e Nido, AOU di Cagliari

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delle schede tecniche di farmaci a uso pediatrico, anche se nella maggioranza dei casi la popolazione neonatale è risultata esclusa. In Europa, a seguito dell’introduzione del Regolamento europeo, alcuni segnali positivi sono stati evidenziati a distanza di qualche anno con un au-mento nel numero di trial clinici pediatrici registrati (che però riguardano solo il 12% di tutti i trial clinici), ma solo il 26% di tali studi ha incluso la popolazione neonatale. Inoltre è stata messa a punto da parte dell’EMA una lista di farmaci ritenuti essenziali per la popolazione pediatrica (periodicamente da aggiornare) e sono stati finanziati alcuni progetti all’interno del programma cooperativo FP7, come i progetti TINN e TINN2 (Treat INfections in Neonates) organizzati per valutare l’utilizzo di alcuni farmaci antinfettivi inseriti nella lista dei farmaci essen-ziali dell’EMA.

In Italia a partire dal 2010 il Gruppo di Lavoro Pedia-trico dell’AIFA ha preparato una lista di farmaci il cui uso off-label nella popolazione pediatrica può essere conside-rato consolidato e supportato da evidenza. Inoltre l’AIFA ha realizzato nel 2014 una campagna di comunicazione sull’impiego dei farmaci in età pediatrica per favorire la diffusione di informazioni corrette e orientare le scelte prescrittive con l’intento di promuovere studi clinici in ambito pediatrico.

Nonostante queste lodevoli iniziative, la carenza di informazioni sulla sicurezza dei farmaci nella popolazione

pediatrica, in particolare nel neonato, rimane tuttora un problema. Anche dall’analisi della letteratura, con nu-merosi lavori pubblicati negli ultimi anni, emerge l’entità del fenomeno. In particolare alcuni lavori (Tabella 1) evi-denziano come questa pratica sia diffusa anche a livello di realtà italiana con numero di prescrizioni off-label o di galenici e percentuali di pazienti trattati con tale mo-dalità sovrapponibili a quelle riportate da studi europei e extraeuropei.

Aspetti pratici e medico-legali

In Pediatria la somministrazione dei farmaci comporta una grande responsabilità, in quanto incide

direttamente sulla sicurezza e sullo stato di salute dei bambini assistiti. Il problema degli errori terapeutici ha ricevuto un’importante attenzione nella Medicina dell’a-dulto, non altrettanto però è stato in ambito pediatrico. Adulto e bambino sono diversi per molti aspetti, nella somministrazione dei farmaci vengono utilizzati dosaggi differenti e spesso anche farmaci diversi. Recenti rap-porti dell’Health Select Committee britannico hanno evidenziato le preoccupazioni relative alle autorizzazioni al commercio dei farmaci destinati ai bambini. A causa delle difficoltà etiche e pratiche relative agli studi cli-nici sui bambini molte preparazioni utilizzate in cam-

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8tutto su Farmaci off-label in Pediatria: un update

Il problema degli errori terapeutici ha ricevuto un’importante attenzione nella Medicina dell ’adulto, non altrettanto pero è stato in ambito pediatrico.

Tabella 1. Dati italiani sull’uso di farmaci off-label e di preparazioni galeniche nel neonato

Autori Pazienti Prescrizioni Prescrizioni farmaci off-label/galenici (%)

Pazienti trattati con farmaci off-label/galenici (%)

Dell’Aera et al 34 176 110 (63%) 17 (50%)

Dessì et al 38 88 47 (53%) 31 (82%)

Porta et al 38 91 82 (90%) 32 (84%)

Laforgia et al 126 483 254 (53%) n.i.

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po pediatrico soprattutto in ambito ospedaliero sono, in realtà, autorizzate solo per i pazienti adulti (tuttavia molti di questi farmaci, prescritti e somministrati da anni, sono documentati nei prontuari di terapia pediatrica). Ne consegue che i bambini vengono trattati spesso con farmaci studiati e sperimentati solo nell’adulto. L’uso di farmaci off- label è stato associato a un rischio quattro volte maggiore di comparsa di reazioni avverse gravi da farmaci insorte in ospedale. Inoltre il processo che por-ta alla somministrazione della terapia in un bambino è molto più complesso che nell’adulto in quanto include più passaggi, vari calcoli e l’uso di algoritmi e quindi gli operatori hanno molte più opportunità di sbagliare.

Nel neonato vi è un alto rischio di errore: una quantità minima di dose di farmaco in più somministrata può produrre effetti catastrofici, in quanto la piccolissima massa corporea e l’immaturità degli organi del neonato si traduce in incapacità a tamponare l’overdose, men-tre d’altro canto la mancanza di formulazioni neonatali pronte porta ad un ampio ricorso a diluizioni e frazioni. I rischi di danno aumentano notevolmente nelle Terapie intensive neonatali in quanto il peso del neonato cambia rapidamente e diventa particolarmente difficile aggiustare i dosaggi anche per le differenze di sviluppo del bambino e della maturazione degli organi deputati all’assorbimento ed escrezione dei farmaci, che determinano differenze nel comportamento farmacocinetico. Per quanto riguarda gli aspetti medico-legali, sono ben noti gli impegni normativi fatti negli ultimi anni da parte dell’FDA e dell’EMA allo scopo di favorire il coinvolgimento dei bambini nella sperimentazione farmacologica. Nonostante sia in atto un processo dinamico di regolamentazione dei farmaci off-label, resta per i pediatri ed i neonatologi il dove-re dell’informativa nei confronti di entrambi i genitori sull’utilizzo di tali farmaci nei piccoli pazienti, impre-scindibile ai fini dell’espressione di un valido consenso alla terapia. Parimenti importanti sono per il loro utilizzo altri elementi quali la mancanza di una valida alternativa terapeutica al farmaco off-label (prima di tutto il farmaco on-label) oppure l’impossibilità ad usare il farmaco on-label (per esempio nel caso di un farmaco epatotossico in paziente con problemi epatici). Infine è essenziale lo stretto monitoraggio clinico, laboratoristico ed eventual-mente strumentale durante l’utilizzo off-label. Assolvere a quest’obbligo rispetto ad ogni somministrazione tera-peutica off-label appare però spesso molto oneroso per i medici nella quotidianità clinica ed assistenziale.

Conclusioni

L’utilizzo di farmaci off-label in campo pedia- trico è una situazione comune in Europa, così come

nel resto del mondo. L’assenza di informazioni e di ade-guate formulazioni possono esporre i pazienti pediatrici ad eventi avversi inaspettati oppure a sotto-dosaggi che non comportano alcuna efficacia terapeutica. Sembra d’altra parte fondamentale, laddove non sia possibile in-tervenire con farmaci mirati, poter utilizzare delle solu-zioni alternative, sempre che queste siano scientificamente valide ed i genitori del paziente siano adeguatamente informati sulla terapia .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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tutto su Farmaci off-label in Pediatria: un update

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[ comE si fa ]

Come si fa diagnosi di celiachia? Destreggiarsi fra esame istologico,autoanticorpi, linee guida e normative Le nuove linee guida ESPGHAN non rappresentano un punto di arrivoma un passaggio importante, frutto di una nuova concezione della malattia.

La celiachia (malattia celiaca o MC) è una pato- logia immunomediata sistemica causata dal glutine

e dalle prolamine correlate contenute in grano, orzo e se-gale. Si manifesta in individui geneticamente predisposti ed è caratterizzata da una combinazione variabile di ma-nifestazioni cliniche dipendenti dal glutine, presenza di autoanticorpi specifici nel siero, positività per gli aplotipi

HLA DQ2 e/o DQ8 ed enteropatia. Questa nuova definizione, proposta dal gruppo di lavoro della European Society for Paediatric Gastroentero-logy Hepatology and Nutrition (E-SPGHAN), ha sostituito quella pre-cedente basata sul concetto di MC come enteropatia glutine-dipendente,

rispecchiando la radicale modifica dell’approccio diagnosti-co alla patologia. Infatti, mentre secondo i criteri diagno-stici ESPGHAN del 1990 la diagnosi era posta sulla base del riscontro di un danno intestinale nei pazienti a dieta contenente glutine e la biopsia duodenale rappresentava una tappa ineludibile del processo diagnostico, grazie alla rilevanza acquisita dalla sierologia oggi è divenuto possibile evitare la biopsia in alcuni pazienti che soddisfino determi-nate condizioni, discusse dettagliatamente in seguito. La dieta senza glutine rappresenta a oggi l’unica possibilità terapeutica per questi pazienti, che devono eliminare per tutta la vita dalla loro dieta cereali contenenti glutine. È anche per questo che una corretta diagnosi è fondamentale.

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Roberta KosovaRenata AuricchioRiccardo TronconeDipartimento di Scienze Mediche Traslazionali e Laboratorio Europeo per lo Studio delle Malattie Indotte da Alimenti (ELFID) – Università Federico II, Napoli

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Chi testare?

La MC si può manifestare con una moltepli- cità di quadri clinici, da forme asintomatiche in cui

il riscontro di positività anticorpale e danno duodenale consente la diagnosi (MC silente o subclinica) alle for-me caratterizzate da segni e sintomi gastro-intestinali o extra-gastrointestinali (Tabella 1). La MC andrebbe sempre esclusa in bambini con segni e sintomi di malas-sorbimento quali diarrea cronica, “failure to thrive” e calo ponderale, ma sospettata in caso di stipsi cronica, dolori addominali cronici/ricorrenti, nausea e vomito, anoressia, distensione addominale. I sintomi e segni extra-intestinali sono rappresentati da bassa statura, ritardo puberale, ame-norrea, stomatite aftosa ricorrente, dermatite erpetiforme. In altri casi, il sospetto viene posto sulla base del riscontro

laboratoristico di anemia ferro-carenziale o rialzo degli enzimi epatici (AST-ALT). Necessitano inoltre appro-fondimento diagnostico per escludere la diagnosi di MC tutti quei pazienti a maggior rischio perché familiari di I grado di pazienti celiaci o perché affetti da patologie associate alla MC, come ad esempio i pazienti con diabete mellito tipo 1 o con altre patologie autoimmuni come la tiroidite o l’epatite autoimmune, e i pazienti con sindrome di Down, Turner o Williams o con deficit totale di IgA (Tabella 2).

Ruolo dell’hLA

Affinché si manifesti la risposta immunolo- gica caratteristica della MC è necessaria una predi-

sposizione genetica, in gran parte determinata dalla posi-tività per gli aplotipi HLA di classe II DQ2 e/o DQ8. Ta-li molecole assumono un ruolo chiave nella presentazione dei peptidi della gliadina deamidati ai linfociti a livello della mucosa intestinale. Più del 90% dei pazienti celiaci

Tabella 1. Segni e sintomi indicativi di MC

Gastrointestinali Extra-intestinali

Diarrea cronica Bassa statura

Failure to thrive Ritardo puberale

Calo ponderale Amenorrea

Dolori addominali Dermatite erpetiforme

Stipsi cronica Stomatite aftosa ricorrente

Nausea Ipertransaminasemia

Vomito Anemia ferro-carenziale

Anoressia

Distensione addominale

Tabella 2. Patologie e condizioni associate a maggior rischio di MC

Patologie autoimmuni ad es. diabete mellito tipo 1, tiroidite autoimmune

Patologie genetiche Sindrome di Down Sindrome di Turner Sindrome di Williams

Deficit di IgA Familiari di I grado di pazienti celiaci

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risulta infatti positivo per il DQ2 e praticamente tutti i rimanenti per il DQ8, motivo per il quale la negatività per tali geni rende molto improbabile la diagnosi di MC. Viceversa la sola positività DQ2/8 non permette di porre diagnosi di MC, in quanto circa il 30% della popolazione caucasica è portatrice di tali aplotipi. La tipizzazione del-l’HLA assume pertanto un ruolo diagnostico in alcune situazioni particolari:

1. nei pazienti con sospetto di MC che soddisfino i criteri capaci di rendere superflua l’esecuzione della biopsia duodenale (pazienti sintomatici con elevati titoli di IgA anti-transglutaminasi) nei quali la tipizzazione HLA viene utilizzata per la conferma diagnostica;

2. nei pazienti con condizioni associate a maggior rischio di MC, in cui la tipizzazione HLA dovreb-be rappresentare il primo step diagnostico, poiché una negatività per il DQ2/8 renderebbe inutile qualsiasi ulteriore approfondimento per MC;

3. in tutti quei pazienti che presentino una diagnosi dubbia (ad esempio nei casi con alterazioni isto-logiche ma negatività anticorpale), laddove la ne-gatività per DQ2/8 permette di escludere la MC e indirizza la diagnosi verso altre cause di danno intestinale.

Oltre agli aplotipi HLA sono stati identificati circa 50 polimorfismi genici che sembrerebbero predisporre allo sviluppo di MC, tuttavia l’analisi di tali geni non assume al momento un ruolo diagnostico.

Ruolo dei test sierologici

La produzione di specifici anticorpi rappre- senta una manifestazione precoce della MC, che

precede lo sviluppo del danno intestinale e costituisce un biomarker caratteristico di tale patologia. Gli anticorpi utilizzati per la diagnosi di MC sono gli anti-transglu-taminasi 2 (anti-TG2) di classe IgA, gli anti-endomisio (EMA) di classe IgA e gli anticorpi contro i peptidi de-

amidati della gliadina di classe IgA e IgG. Le IgA anti-TG2 rappresentano gli autoanticorpi dotati di maggiore sensibilità, motivo per il quale, nel sospetto di MC, la loro ricerca costituisce il primo step diagnostico. Bisogna però sottolineare che la positività delle IgA anti-TG2, sebbene a basso titolo, si può riscontrare in condizioni diverse dalla MC, come alcune patologie autoimmuni o nell’infezio-ne da EBV; il riscontro di positività di IgA anti-TG2 a qualunque titolo, a causa dell’elevata specificità per MC, impone comunque un ulteriore approfondimento diagno-stico. Per il dosaggio degli EMA viene utilizzato un test di immunofluorescenza. Questo ultimo, perché operatore dipendente, richiede rispetto ai test ELISA o RIA espe-rienza nell’interpretazione dei risultati; laddove positi-vo, però, rinforza la diagnosi perché dotato di maggiore specificità. Tale test identifica infatti gli anticorpi diretti contro gli epitopi extracellulari della transglutaminasi, caratteristici della MC e risulta negativo in quei casi in cui le IgA anti-TG2 siano prodotte in seguito a danno tissutale o infiammazione, come può accadere in altre pa-tologie. Secondo gli algoritmi proposti dall’ESPGHAN la loro ricerca viene utilizzata nel caso si voglia evitare la biopsia nei pazienti sintomatici con elevato titolo di IgA anti-TG2, o può essere utilizzata nei pazienti con basso titolo di IgA anti-TG2 prima di decidere se sottoporre il paziente a biopsia duodenale.

Ultima categoria anticorpale associata alla MC è rap-presentata dagli anticorpi rivolti verso i peptidi deamidati della gliadina (DGP). Tali anticorpi andrebbero dosati in quei pazienti nei quali vi è un forte sospetto clinico di MC, laddove si evidenzi una negatività di IgA anti-TG2 ed EMA, in particolare se si tratta di bambini di età <2 anni. Il dosaggio dei DGP IgG può inoltre essere utilizzato in quei pazienti nei quali non è noto il livello di IgA, come alternativa al dosaggio delle IgA totali o in caso di noto deficit di IgA. Tali anticorpi hanno sosti-tuito i “vecchi” anticorpi anti-gliadina (AGA), non più utilizzati perché dotati di scarsa specificità. Nei pazienti con negatività dei test per la ricerca degli anticorpi IgA anti-TG2 o DGP, laddove i valori di IgA siano nella nor-

La produzione di specifici anticorpi rappresenta una manifestazione precoce della MC, che precede lo sviluppo del danno intestinale.

IgA anti TG2 +IgA totali(o IgG anti DGP)

IgA anti TG2 negativeIgA anti TG2 positive

Inviareal gastroenterologopediatra

IgA anti TG2 >10ULN IgA anti TG2 <10ULN

EMA e HLA EGDScon biopsie multiple

EMA + HLA DQ2/8 + EMA – HLA DQ2/8 – EMA – HLA DQ2/8 + Lesioni di grado 1secondo Marsh

Lesioni di grado 2–3secondo Marsh

MC Considerareuna falsa positivitàdelle IgA anti TG2

– MC potenziale– Falsa negatività

delle biopsie– Falsa positività

della sierologia

MC

DSG e follow-up DSG e follow-up

MC esclusa

Approfondire se– deficit IgA– età <2 anni

Paziente con segni/sintomisuggestivi di MC

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2come si fa Come si fa diagnosi di celiachia? Destreggiarsi fra esame istologico, autoanticorpi, linee guida e normative

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ma, è ragionevole escludere la diagnosi di MC. Tuttavia, nel valutare i risultati di tali test, va sottolineato che la positività sierica di tali anticorpi è glutine dipendente, motivo per il quale occorre verificare ‒ per escludere una falsa negatività ‒ che il soggetto assuma con la dieta una sufficiente quantità di glutine.

Ruolo della biopsia duodenale

Le nuove linee guida ESPGHAN del 2012, pur prevedendo in alcune condizioni la possibilità di

non praticare la biopsia intestinale, dettano regole preci-se per l’esecuzione e l’interpretazione della stessa biopsia. Per la diagnosi istologica, potendosi trattare di lesioni “patchy” ‒ cioè di severità differente nelle diverse aree del duodeno ‒ è raccomandato l’utilizzo dell’esofago-gastro-duodenoscopia, con conseguente possibilità di raccogliere biopsie multiple, almeno 4 a livello della II o III porzione del duodeno e almeno 1 a livello del bulbo duodenale, che può rappresentare l’unica sede coinvolta dal danno intestinale. Viene pertanto sconsigliato il ruolo della biop-sia mediante “capsula”, la quale sebbene meno invasiva, raccogliendo un solo frammento bioptico, rischia di non identificare lesioni “patchy”. La classificazione proposta dalle linee guida ESPGHAN per distinguere l’entità del danno intestinale è quella di Marsh, che va dal grado 1 (presenza di infiltrato infiammatorio con >25 linfociti

intraepiteliali/100 cellule epiteliali), al grado 2 (iperplasia delle cripte con incrementato indice mitotico) al grado 3 a/b/c (presenza di atrofia dei villi di grado lieve/mode-rato/grave). Mentre il riscontro di lesione di grado 2-3, associato a positività anticorpale, è altamente predittivo di MC, lesioni di grado 1 sono scarsamente specifiche e non patognomoniche, potendosi riscontrare anche in una varietà di altre patologie. In questi casi metodiche diagnostiche aggiuntive per la diagnosi di MC sono la conta dei linfociti γδ intraepiteliali mediante immunoi-stochimica (la cui ricerca richiede tuttavia un frammento bioptico congelato in OCT) e la ricerca dei depositi di IgA anti-TG2 a livello mucosale in immunofluorescenza.

Algoritmi diagnostici

Le nuove linee guida ESPGHAN prevedono due algoritmi diagnostici: uno per i pazienti sinto-

matici, il secondo per quelli asintomatici, ovvero pazienti appartenenti a gruppi a rischio che si sottopongono a screening. Nei pazienti con sintomatologia indicativa di MC il primo test da eseguire è rappresentato dal dosag-gio delle IgA anti-TG2, associato, se non è un dato già noto, al dosaggio delle IgA sieriche totali (o in alter-nativa al dosaggio dei DGP IgG). In caso di positività delle IgA anti-TG2 il successivo work-up diagnostico a cura del gastroenterologo pediatra dipende dal titolo

IgA anti TG2 +IgA totali(o IgG anti DGP)

IgA anti TG2 negativeIgA anti TG2 positive

Inviareal gastroenterologopediatra

IgA anti TG2 >10ULN IgA anti TG2 <10ULN

EMA e HLA EGDScon biopsie multiple

EMA + HLA DQ2/8 + EMA – HLA DQ2/8 – EMA – HLA DQ2/8 + Lesioni di grado 1secondo Marsh

Lesioni di grado 2–3secondo Marsh

MC Considerareuna falsa positivitàdelle IgA anti TG2

– MC potenziale– Falsa negatività

delle biopsie– Falsa positività

della sierologia

MC

DSG e follow-up DSG e follow-up

MC esclusa

Approfondire se– deficit IgA– età <2 anni

Paziente con segni/sintomisuggestivi di MC

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come si fa Come si fa diagnosi di celiachia? Destreggiarsi fra esame istologico, autoanticorpi, linee guida e normative

Figura 1

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delle IgA anti-TG2. Se i valori sono <10 volte i valori di riferimento (<10ULN), per la conferma diagnostica è necessario eseguire l’esame istologico delle biopsie duodenali. Viceversa nei pazienti con va-lori di IgA anti-TG2 superiori a 10 volte i valori di riferimento (>10ULN) il succes-sivo step diagnostico prevede il dosaggio degli EMA e la tipizzazione dell’HLA, alla ricerca del DQ2/8. Dalle più recenti evidenze si deduce infatti che nei pazien-ti con valori elevati di IgA anti-TG2 e positività degli EMA vi è un’elevata pro-babilità di atrofia dei villi intestinali, con un valore predittivo positivo che si avvicina al 100%. In questi casi, acquisita la positività di EMA e HLA, il ga-stroenterologo pediatra può discutere con i genitori e con il paziente la possibilità di iniziare direttamente la dieta senza glutine senza praticare preliminarmente la biopsia intestinale, monitorando il miglioramento clinico e la progressiva negativizzazione del valore delle IgA anti-TG2 (Figura 1).

Nei pazienti asintomatici nei quali viene identifica-ta una positività delle IgA anti-TG2, per la conferma diagnostica è invece sempre necessario ricorrere alla gastroduodenoscopia con biopsie duodenali, indipen-dentemente dal valore delle IgA anti-TG2 riscontrato. Nei pazienti con condizioni associate a maggior rischio di MC ‒ come evidenziato in precedenza ‒ il work-up diagnostico dovrebbe però partire dalla tipizzazione del-l’HLA (Figura 2). Infatti solo nei pazienti con positività del DQ2 e/o DQ8 risulta ragionevole il monitoraggio del possibile sviluppo di MC mediante dosaggio periodico delle IgA anti-TG2.

Situazioni particolari

Deficit di IgANei pazienti nei quali si identifica un deficit di IgA, la negatività delle IgA anti-TG2 non permette di escludere

la MC. Pertanto, nel caso in cui il valore di IgA totali è <0,2 g/l, è necessario ricorrere al dosaggio degli anticorpi anti-TG2, EMA e DGP di classe IgG. Per la conferma diagnostica, a prescindere dal valore delle IgG anti-TG2 identificato, è necessario ricorrere alla biopsia duodenale. Occorre essere sempre sicuri della capacità del paziente di produrre IgA dal momento che il deficit di IgA è una delle condizioni associate alla MC: il 10% dei soggetti con deficit di IgA è affetto da MC.

Diabete mellito tipo 1Nei pazienti affetti da tale patologia, la MC spesso si presenta in forma sub-clinica, motivo per il quale è molto importante il monitoraggio sierologico di tali pazienti. Spesso le IgA antiTG2 sono presenti a basso titolo e i valori possono essere fluttuanti, motivo per il quale è opportuno riverificare la positività prima di procedere alla biopsia. Tuttavia la positività anche a titolo basso, accompagnata dalla positività degli EMA, impone l’ese-cuzione della biopsia intestinale. Nel caso dei pazienti con diabete mellito tipo 1 la tipizzazione HLA ha un valore limitato, giacché virtualmente tutti i pazienti sono HLA DQ2 e/o DQ8 positivi.

Celiachia potenzialeQuesta condizione è definita dalla presenza degli auto-anticorpi della MC in assenza di un’atrofia intestinale, in presenza o meno di clinica associata. In questi casi la

Tipizzazione HLA per DQ2/DQ8

HLA DQ2/8 –HLA DQ2/8 +

IgA anti TG2 +IgA totali (o IgG anti DGP)*

No rischio di MC

IgA anti TG2 + IgA anti TG2 –

EGDScon biopsie multiple

Escludere deficit IgA ebasso contenutodi glutine nella dieta*

* Ritentare periodicamente o se comparsa di segni/sintomi

Lesioni di grado 2–3secondo Marsh

Lesioni di grado 1secondo Marsh

– Follow-upe dieta normale

– MC potenziale – Falsa negatività

delle biopsie– Falsa positività

della sierologia

MC

DSG e follow-up

Paziente con condizioniassociate a maggior rischiodi MC

Figura 2

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4come si fa Come si fa diagnosi di celiachia? Destreggiarsi fra esame istologico, autoanticorpi, linee guida e normative

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decisione o meno di iniziare una dieta senza glutine va presa caso per caso e uno dei principali fattori che guidano tale decisione è la presenza o meno di sintomi associati, che possono migliorare o regredire dopo l’inizio della dieta senza glutine. Quindi, nonostante manchino linee guida precise, è generalmente accettato proporre la dieta senza glutine a pazienti sintomatici, mentre per quelli asintomatici ‒ considerato il rischio elevato di evoluzione verso un quadro di atrofia intestinale ‒ è indispensabile, laddove il paziente sia lasciato a dieta libera, un regolare e stretto follow-up clinico-laboratoristico ed eventual-mente istologico.

Bambini di età inferiore a 2 anniIn questa fascia di età il dosaggio delle IgA anti-TG2 mostra una minore sensibilità per la diagnosi di MC. Circa un bambino celiaco su dieci non presenta aumento di questi anticorpi. In caso quindi di forte sospetto clini-co e assenza di IgA anti-TG2 è opportuno procedere al dosaggio delle IgG/IgA DGP.

Problemi aperti e prospettiveLe nuove linee guida ESPGHAN rappresentano un’im-portante novità nella gestione della MC. A livello na-zionale un tavolo di lavoro del Ministero della Salute sta procedendo, alla loro luce, ad una revisione delle linee guida nazionali con conseguenti ricadute sulle modalità di certificazione e prescrizione.

Da un punto di vista clinico-scientifico restano aperte una serie di questioni:

· la sierologia ha assunto una crescente rilevanza nell’iter diagnostico. La qualità dei test necessita però di essere perfezionata. La riproducibilità dei risultati con i diversi kit e la validità della soglia scelta pari a 10 volte i valori normali attendono di essere rivalutati.

· Esiste un problema di qualità delle biopsie (soprat-tutto legata al loro orientamento) e di riproducibi-lità dei referti preparati in base alla classificazione di Marsh. Pure da rivedere il valore delle biopsie praticate al bulbo duodenale.

· La reale necessità di avere i dati HLA e EMA per bypassare la biopsia duodenale deve essere ridiscus-sa sulla base dei dati che si stanno raccogliendo. Ciò vale anche per il mantenimento di due algorit-mi separati per pazienti sintomatici e non. Nel caso poi davvero occorresse trattare in maniera diversa sintomatici e non il problema sorge relativamente al tipo di sintomi da considerare.

In conclusione, le nuove linee guida ESPGHAN non rappresentano un punto di arrivo ma un passaggio impor-tante, frutto di una nuova concezione della malattia vista come malattia sistemica con forte impronta autoimmu-ne. I dati degli studi prospettici in corso sono attesi con grande attenzione. Non è escluso che in un futuro non lontano si proceda ad un’ulteriore revisione delle attuali linee guida .

Gli autori dichiaranodi non avere nessun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. husby S, Koletzko S, Korponay-Szabó IR, Mearin ML, Phillips A, Shamir R, Troncone R, Giersiepen K, Branski D, Catassi C, Lelgeman M, Mäki M, Ribes-Koninckx C, Ventura A, Zimmer KP. Guidelines for the diagnosis of coeliac disease J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012;54:136-60.

2. Walker-Smith JA GS, Schmitz J, Shmerling Dh, Visacorpi JK. Revised criteria for diagnosis of celiac disease. Arch Dis Child 1990;65:909-11.

3. Giersiepen K, Lelgemann M, Stuhldreher N, Ronfani L, husby S, Koletzko S et al. Accuracy of diagnostic antibody tests for coeliac disease in children: summary of an evidence report. J Ped Gastroenterol Nutr 2012;54:229-41.

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Tipizzazione HLA per DQ2/DQ8

HLA DQ2/8 –HLA DQ2/8 +

IgA anti TG2 +IgA totali (o IgG anti DGP)*

No rischio di MC

IgA anti TG2 + IgA anti TG2 –

EGDScon biopsie multiple

Escludere deficit IgA ebasso contenutodi glutine nella dieta*

* Ritentare periodicamente o se comparsa di segni/sintomi

Lesioni di grado 2–3secondo Marsh

Lesioni di grado 1secondo Marsh

– Follow-upe dieta normale

– MC potenziale – Falsa negatività

delle biopsie– Falsa positività

della sierologia

MC

DSG e follow-up

Paziente con condizioniassociate a maggior rischiodi MC

Un tavolo di lavoro del Ministero della Salute sta procedendo ad una revisione delle linee guida nazionali con conseguenti ricadute sulle modalità di certificazione e prescrizione.

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[ strumEnti di lavoro ]

Consigli ai genitori:Vomito e diarrea Una scheda sintetica da utilizzarenel rapporto con i familiari dei pazienti.

I l vomito e la diarrea sono molto comuni nell’infanzia e si possono presentare da soli o associati. Il vomito in genere scompare nel giro

di 6–8 ore mentre la diarrea può durare anche qual-che giorno. Il trattamento principale è rappresentato dalla reidratazione, che deve essere iniziata il prima

possibile con soluzioni reidratanti orali. Quanto più il soggetto ne beve, meglio è; la quantità consigliata è di almeno un litro nelle 24 ore per bambini di 10 kg di peso. Non è indicato alcun tipo di digiuno, anzi si deve riprendere al più presto la regolare alimentazione con una dieta libera evitando alimenti grassi.

In caso di vomito

· Attendere circa 30 minuti dall’ultimo episodio prima di iniziare la reidratazione orale;

· offrire piccole quantità di soluzione reidratante fredda: 5 ml (pari a un cucchiaino da tè) ogni 5 minuti e aumentare gradatamente a seconda della tolleranza del bambino;

· iniziare la rialimentazione quando il vomito è cessato da almeno un paio di ore, con cibi secchi (grissini, fette biscottate).

In caso di diarrea

· Reidratare e riprendere il prima possibile la regolare alimentazione orale;

· l’allattamento al seno non deve essere mai interrotto;

· il latte artificiale va mantenuto alle normali concentrazioni;

· non somministrare liquidi zuccherati (ad esempio succhi di frutta);

· lavarsi spesso le mani per evitare il rischio di contagio.

Soluzioni reidratanti

Le soluzioni reidratanti sono reperibili in farmacia, in formulazione liquida o in bustine da diluire in acqua secondo le indicazioni previste sulla confezione: non hanno un buon sapore poiché contengono sali ma sono più gradite se somministrate fredde. È buona abitudine tenere in casa, tra i farmaci di uso comune, una soluzione reidratante.

Non sono idonee per una corretta reidratazione:

· acqua o bevande zuccherate;

· succhi di frutta;

· bibite in generale.È altamente sconsigliata

l’automedicazione con antiemetici, antidiarroici, antibiotici: questi farmaci devono essere eventualmente prescritti da un medico. Sono invece utili i fermenti lattici probiotici. La disidratazione (perdita di liquidi) è la complicanza più frequente. Occorre pesare il bambino all’inizio delle

manifestazioni per valutare la perdita di peso che non deve essere superiore al 5% del peso iniziale del bambino.

È necessaria una valutazione medica

Quando:

· il bambino ha perso più del 5% del peso;

· il bambino ha febbre superiore a 39 gradi centigradi;

· il bambino ha meno di 6 mesi;

· il bambino appare sonnolento o difficilmente risvegliabile o poco reattivo;

· il bambino urina poco o nulla;

· non è possibile una corretta reidratazione orale;

· compare sangue nel vomito o nelle feci;

· compare forte dolore addominale .

A cura del Tavolo Tecnico Congiunto ASL MI1: Pediatri di Famiglia, Pediatri Ospedalieri, Rappresentanti ASL

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[ caso clinico ]

Ptosi palpebrale:il caso di A. In un complesso quadro eziologicosi è cercato di stabilireun protocollo diagnostico condivisoin ambito scientifico, al fine di identificarela natura della lesione responsabiledella sintomatologia clinica.

A. è un bambino di 4 anni e 6 mesi, in abi- tuale buona salute. Giunge alla nostra atten-zione in Pronto Soccorso pediatrico, inviato

dal medico curante per sospetta Paralisi di Bell. La mam-ma riferisce comparsa di minima ptosi palpebrale sinistra persistente da circa un mese e successiva ad un’infezione delle prime vie respiratorie; segnala inoltre una minima alterazione del comportamento con tendenza all’irritabi-lità nelle ultime settimane, dato da lei interpretato come conseguente a nuove dinamiche familiari. A. è nato a termine, da taglio cesareo programmato; adattamento ne-onatale regolare, non problemi perinatali. Parenti di primo grado in buona salute; esposizione a fumo di tabacco. A

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Adriana Fumarola1

Caterina Radice2

Roberta Burnelli2

1 Scuola di Specializzazione in Pediatria – Università di Ferrara2 SSD Oncoematologia Pediatrica – Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Anna di Ferrara

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Alla valutazione clinica, A. pre-senta buone condizioni generali, ptosi palpebrale sinistra e miosi o-molaterale; l’obiettività cardiocir-colatoria risulta regolare e al torace non si apprezzano rumori patologici. L’addome si presenta trattabile, sen-za masse palpabili clinicamente, con milza e fegato nei limiti. La valuta-zione oculistica esclude patologie di pertinenza dell’occhio; la visita neu-rologica pediatrica evidenzia la nota ptosi palpebrale sinistra con aniso-coria, con motilità oculare estrinseca indenne, assenza di asimmetria fun-zionale dei muscoli facciali; riflessi osteotendinei presenti e simmetrici, prove cerebellari negative, non deficit di forza né di sensibilità. Alla luce della valutazione clinica generale e neurologica specialistica, il sospetto di Paralisi di Bell viene meno, a favore invece di una Sindrome di Bernard-Horner (SBH).

Nel tentativo di identificare la natura della lesione responsabile e la sua localizzazione, ripercorriamo velo-cemente la storia di A. La sua è una SBH acquisita, com-parsa in benessere, senza traumi o interventi chirurgici che possano giustificarne l’origine né altra sintomatologia neurologica che possa ricondurre a danno ipotalamico, del tronco encefalico o del tratto cervicale. Ricordando il lungo e complesso decorso della via simpatica pupil-lare, con il suo stretto rapporto con l’apice polmonare e le strutture del collo, rivalutiamo A.; ad un più attento e mirato esame clinico emerge una minima ipofonesi del campo polmonare sinistro ed in fossetta sovraclaveare sinistra si mette in evidenza la presenza di tumefazione dura. La radiografia del torace (Figura 1) mette in luce una voluminosa massa all’emitorace sinistro, con impor-tante deviazione della trachea. La TC toraco-addominale

conferma la presenza di un’estesa ne-oformazione mediastinica solida, del diametro massimo di oltre 13 cm, a struttura disomogenea, con esten-sione mediale all’interno del canale vertebrale, compressione e dislo-cazione controlaterale del midollo spinale e allargamento del forame di coniugazione D2-D3; compressione e dislocazione controlaterale anche di trachea, mediastino e strutture vascolari, presenza di plurime no-dularità parenchimali solide a carico del parenchima polmonare di destra, la maggiore di circa 5 mm. Con l’o-biettivo di riconoscere la natura della

massa, si esegue un’agobiopsia ecoguida-ta in analgosedazione e successivamente,

per il mancato reperimento di materiale diagnostico, una biopsia a cielo aperto nonostante l’elevato rischio aneste-siologico. Nella stessa seduta operatoria eseguiamo anche aspirato di sangue midollare e biopsia osteo-midollare in due sedi che escludono l’infiltrazione da parte di cellule maligne. Nel sospetto di neuroblastoma, effettuiamo il dosaggio dell’acido vanilmandelico e acido omovanillico che risultano nella norma. Il referto istologico infine depone per “neoplasia maligna indifferenziata a piccole cellule rotonde, compatibile con sarcoma di Ewing extra-scheletrico”, peraltro non sostenuto dalla presenza delle traslocazioni geniche note riconducibili alla famiglia dei sarcomi indifferenziati e dei sarcomi di Ewing, negati-va all’analisi molecolare. A completamento diagnostico eseguiamo una rachicentesi esplorativa, senza riscontro di cellule neoplastiche nel liquor, una RM cranio-spinale senza evidenza di localizzazioni metastatiche nonostante la localizzazione della massa primitiva all’interno del ca-nale vertebrale ed una scintigrafia globale scheletrica con tecnezio, senza riscontro di lesioni ossee.

Figura 1. Rx torace di A. Processo espansivo di oltre 13 cm in sede mediastinica sinistra con dislocazione controlaterale e armonica compressione a largo raggio tracheo- bronchiale; opacamento verosimilmente pleurico in sede basale laterale omolaterale.

Nel tentativo di identificare la naturadella lesione responsabile e la sua localizzazione,ripercorriamo velocemente la storia di A.

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A. è ora pronto per iniziare il trattamento chemio-terapico secondo quanto indicato per “la famiglia dei sarcomi di Ewing extraossei” all’interno del protocollo AIEOP (Associazione Italiana di Ematologia ed Oncolo-gia Pediatrica)-EPSSG (European Pediatric Soft Tissue Sarcoma Study Group)-RMS 2005; dopo nove cicli di chemioterapia e 24 sedute di radioterapia sulla sede di malattia (43,2 Gy), si esegue l’intervento chirurgico di asportazione della massa, con exeresi macroscopicamente completa. L’analisi del materiale operatorio mostra l’as-senza di infiltrazione da parte di neoplasia vitale. Il passo successivo è il completamento terapeutico con autotra-pianto mediante chemioterapia ad alte dosi e reinfusione di cellule staminali emopoietiche autologhe. Al termine di questo lungo e complesso percorso terapeutico A. si presenta in condizioni generali abbastanza buone, senza segni di malattia vitale residua, ma nonostante tutto pre-senta ancora la nota asimmetria oculare sinistra.

Fisiopatologia ed epidemiologia

La Sindrome di Bernard-Horner è un disor- dine della via oculo-simpatica (vedi Box) e si ca-

ratterizza per la presenza della triade sintomatologica: ptosi palpebrale, miosi e anidrosi ipsilaterale1. Descritta inoltre la presenza di enoftalmo. Nella fase iniziale della lesione possono anche associarsi rossore ed ipertermia della cute dell’emivolto omolaterale. La ptosi palpebrale è generalmente minima e pertanto definita come pseu-doptosi; ciò la differenzia dalle ptosi palpebrali derivanti

dalla compromissione della branca oftalmica del nervo trigemino che risultano più evidenti in quanto secondarie a disfunzione del muscolo elevatore della palpebra.

La sintomatologia clinica della SBH è spiegata dall’in-terruzione, a qualsiasi livello, della via simpatica-pupillare, con perdita d’innervazione del muscolo dilatatore della pupilla, del muscolo tarsale superiore e perdita dell’azione simpatica vasocostrittoria e di controllo sulle ghiandole sudoripare. Ciò determina prevalenza del parasimpatico, con conseguente miosi e vasodilatazione periferica (ros-sore e calore della cute dell’emivolto omolaterale), pseu-doptosi palpebrale e anidrosi ipsilaterale.2 L’incidenza della SBH in età pediatrica è bassa; si stima infatti sia di 1,42/100.000 pazienti con età inferiore ai 19 anni.2,3 La diagnosi è prevalentemente clinica; tuttavia lo studio tramite indagini strumentali quali radiogrammi, TC/RMN è essenziale nel delineare la natura e l’estensione della patologia sottostante, responsabile del danno a ca-rico della via simpatica pupillare.4 Le lesioni responsabili della SBH possono avvenire a livello centrale, a carico del primo neurone della via simpatica, a livello pre-gangliare (quindi del secondo neurone simpatico) oppure a livello post-gangliare (ovvero sul terzo neurone).2,4,5 In termini anatomici, possono essere sede della lesione sia l’ipo-talamo che il tronco encefalico, il midollo cervicale, il torace, il collo, la base del cranio e l’orbita. Si deduce che il riscontro di una SBH isolata ha uno scarso valore in termini di localizzazione della lesione e quindi dell’even-tuale eziologia della sintomatologia clinica.

Neuroni di primo ordine (linea tratteggia-ta) prendono origine dall’ipotalamo po-stero-laterale, discendono lungo il tronco encefalico e il midollo spinale, terminan-do nei segmenti cervicale (C8) e toracico (T1-T2) dove ci sono i neuroni di secondo ordine (linea punteggiata). Questi decor-rono lungo le radici spinali ventrali (a) e l’apice del polmone, poi lungo la catena simpatica cervicale e contraggono sinapsi nel ganglio cervicale superiore (b), subito al di sotto della base del cranio; da qui, i neuroni di terzo ordine (linea continua) viaggiano lungo la carotide (c) nel seno cavernoso e con la branca oftalmica (d) del

quinto nervo cranico, si uniscono alla bran-ca nasociliare del quinto nervo cranico o passano direttamente attraverso il ganglio ciliare (e), raggiungendo l’occhio come nervi ciliari lunghi (f) e corti (g). Nell’orbita, i neuroni di terzo ordine innervano il mu-scolo dilatatore della pupilla e il muscolo tarsale superiore (muscolo di Muller). Le fibre parasimpatiche pre-gangliari (linea grigia) hanno origine dal nucleo oculomo-tore accessorio (h), decorrono come nervo oculomotore (i), danno luogo a sinapsi nel ganglio ciliare e raggiungono l’occhio co-me nervi ciliari corti.3

NORMALE ANATOMIA DELLA VIA OCULO-SIMPATICA

Midbrain

Spinal cord(C, T, T)

Sphincier muscleof pulil

Dilator muscleof pulil

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cd

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f

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Eziologia e iter diagnostico

Dal punto di vista eziologico, generalmente le cause della SBH in età pediatrica sono distinte in

congenite e acquisite. Esse, in termini di frequenza, sono pressoché sovrapponibili.3 Per la forma congenita, la causa più comune è riconosciuta nei traumi alla nascita,3 con compromissione del plesso brachiale; per gli stretti rap-porti anatomici, le anomalie della arteria carotide interna possono anch’esse associarsi a SBH, così come le masse localizzate nel collo, quali il neuroblastoma o il timo ecto-pico.2,3,4 Nelle forme congenite può essere presente anche un altro segno caratteristico, cioè l’eterocromia (riduzione omolaterale della pigmentazione iridea: Sindrome di Von Passow), in quanto la produzione melanocitica avviene in seguito a stimolazione simpatica.

Le cause di SBH acquisita sono molteplici, neoplasti-che e non: tuttavia, secondo quanto riportato in lettera-tura, in età pediatrica l’eziologia neoplastica deve sempre essere sospettata fino a prova contraria.2 In quest’ottica è opportuno ricordare che il tumore più frequentemente associato a SBH è il neuroblastoma: una SBH isolata è il primo segno di presentazione di un neuroblastoma in circa il 2% dei casi.4 Seguono, in termini di frequenza, paraganglioma e ganglioneuroma; raro invece il tumore del timo. Le cause non neoplastiche, invece, comprendono complicazioni post-chirurgiche, dissezione arteriosa caro-tidea, traumi responsabili di paralisi del plesso brachiale, siringomielia, patologie polmonari come pneumotorace ed empiema toracico ed infezioni soprattutto virali.4,6,7 A volte, tuttavia, non è possibile identificare l’eziologia e in

Dal punto di vista eziologico,generalmente le cause della SBH in età pediatricasono distinte in congenite e acquisite.

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Tabella 1 - Sindrome di Bernard-Horner: classificazione eziologica4,6,7,8,9

Livello della lesione Neuroni di I ordine Neuroni di II ordine Neuroni di III ordine

Eziologia Malformazione di Arnold Chiari

Meningite

Tumori della base cranica

Patologie demielinizzanti

Lesioni ipotalamiche

Traumi a carico del collo (fratture vertebrali, dissezione di arteria vertebrale)

Tumori ipofisari

Siringomielia

Traumi da parto con interessamento del plesso brachiale

Costa cervicale

Complicanze post-chirurgiche (tiroidectomia, tonsillectomia, ablazione tonsillare con radiofrequenza)

Posizionamento di drenaggi toracici o di catetere venoso centrale

Linfoadenopatie (linfoma di Hodgkin, leucemia, masse mediastiniche, tubercolosi)

Ascesso mandibolare

Lesione dell’orecchio medio

Neuroblastoma

Infezioni da Herpes Zoster

Dissezione carotide interna (associata generalmente a improvviso dolore all’emivolto o emicollo omolaterale)

Agenesia della arteria carotide interna.

Tabella 2 - Masse mediastiniche: eziologia

Mediastino anteriore 30% Mediastino medio 30% Mediastino posteriore 40%

Linfomi (Hodgkin e non-Hodgkin)

Leucemie

Cisti broncogene

Lipomi

Timomi

Tumori a cellule germinali

Gozzi ectopici

Tumori tiroidei

Linfoadenopatie (infiammatorie e neoplastiche)

Malformazioni broncopolmonari

Angiomi

Cisti pericardiche

Lesioni esofagee

Ernie iatali

Neuroblastoma

Ganglioneuroblastoma

Ganglioneuroma

Neurofibroma

Cisti neurogene

Cisti broncogene

Meningocele toracico

Sarcoma di Ewing

Linfoma

Rabdomiosarcoma

Ematopoiesi extramidollare

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tal caso si parla di SBH idiopatica. Un’altra classificazione eziologica della SBH considera il livello ove è avvenuta la lesione (Tabella 1).

In questo complesso quadro eziologico si è cercato di stabilire un protocollo diagnostico condiviso in ambi-to scientifico, al fine di identificare la natura della lesione responsabile della sintomatologia clinica.4 Dinanzi ad un bambino con i segni riconducibili a SBH è raccomandato eseguire un attento esame obiettivo generale che preveda la palpazione di collo, addome e ascelle, nella ricerca di masse obiettivabili clinicamente.3,4 In caso di anamnesi negativa per trauma alla nascita, interventi chirurgici, altri traumi e in assenza di segni clinici che possano suggerire un’eziologia, è necessario proseguire con accertamenti diagnostici stru-mentali quali radiogramma del torace, ecografia cervicale e RMN di encefalo, collo e torace, indirizzati ad evidenziare a quale livello dei tre ordini di neuroni è localizzata la lesione. Le indagini laboratoristiche saranno utili, se non determi-nanti, nell’identificare l’eziologia della lesione medesima. Il dosaggio delle catecolamine urinarie e dei loro metaboliti (acido omovanillico e acido vanilmandelico) è dunque in-dispensabile, nell’ottica di identificare un neuroblastoma che, come detto precedentemente, rappresenta la neoplasia più frequentemente associata alla SBH. Bisogna tuttavia ricordare che lo studio urinario, da solo, è insufficiente per escludere tale neoplasia, nonostante circa il 90–95% dei pazienti con neuroblastoma abbia un aumento delle cate-colamine urinarie. Il suo valore predittivo positivo è infatti elevato, ma la negatività dell’esame non esclude in maniera certa la presenza di neuroblastoma di piccole dimensioni.4 A tal proposito è utile sottolineare che, nonostante la difficoltà pratica della raccolta delle urine nelle 24 ore, essa è più sensi-bile rispetto al dosaggio delle catecolamine su spot urinario e dunque da preferire. Valutando le ipotesi diagnostiche nell’ambito delle cause di masse mediastinico-toraciche (Tabella 2), potranno identificarsi esami laboratoristici mi-rati, anche se comunque l’esame istologico è indispensabile per una diagnosi definitiva.

Conclusioni

Il caso di A. si delinea come esempio di SBH ac- quisita, non traumatica, causata da una neoplasia to-

racica. Ancora una volta è rilevante come un’accurata anamnesi associata ad un attento esame obiettivo sia-no spesso essenziali nell’orientamento diagnostico. Nel nostro caso, la pseudoptosi (Figura 3), inizialmente in-terpretata erroneamente come asimmetria oculare in

paralisi di Bell (Figura 4), associata ad anisocoria per miosi pupillare sinistra, configuravano una SBH isolata, unico segno clinico in assenza di altre manifestazioni di malattia. L’obiettività toracica ha suggerito le indagini strumentali dalle quale poi si è partiti per la definizione eziologica della malattia. Il caso di A. conferma come, in assenza di traumatismi e interventi chirurgici, l’origine neoplastica della ptosi palpebrale acquisita debba sempre essere sospettata. Il suo è un esempio di tumore toracico non frequente, molto esteso, che però ha dato un unico segno: la SBH, che – nonostante il lungo e faticoso iter terapeutico e il conseguimento di una regressione della malattia – persiste tuttora .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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Figura 3. Ptosi palpebrale destra. Figura 4. Paralisi destra del facciale.

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Prescrizioni al telefono:chi ci tutela? La migliore tutela per un sanitario è agire con diligenza e nel rispetto delle best practice, evitando atteggiamenti “difensivistici”.

Edoardo ScaliciClaudia Minacapelli MarottaDipartimento di Scienze per la promozione della salute e materno infantile – Sezione di Medicina legale, Università di Palermo

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Prescrizioni al telefono:chi ci tutela? La migliore tutela per un sanitario è agire con diligenza e nel rispetto delle best practice, evitando atteggiamenti “difensivistici”.

“D ottore: Chiara, la mia piccola di 4 mesi, da stamattina ha la febbre alta e difficoltà a respirare… cosa le devo dare?”.

Quante volte a un pediatra di libera scelta è capitato di ricevere una telefonata simile? E ogni volta ci si chiede quali siano i limiti, le competenze e le responsabilità di una eventuale prescrizione telefonica. Nell’ambito della responsabilità medica la casistica attribuisce un ruolo sempre più emergente al tema della prescrizione medica telefonica.

Studi condotti a livello internazionale riportano che le cause degli errori in terapia sono multifattoriali e coinvol-gono differenti operatori sanitari, ciascuno dei quali inte-ragisce a vari livelli nel processo di gestione del farmaco. In considerazione di ciò, tutti gli operatori coinvolti sono chiamati a prestare attenzione ai possibili errori derivanti da un uso non corretto dei farmaci, poiché questi errori, se opportunamente monitorati e valutati, possono essere evitati. In uno studio condotto nel Regno Unito nel 2000, più della metà degli eventi registrati è risultata dovuta ad errori legati ad un uso non corretto dei farmaci. Un altro studio realizzato in 1116 ospedali statunitensi nel 2001 ha evidenziato che gli errori in terapia si verificano nel 5% circa dei pazienti ricoverati in un anno. Un’indagine recente condotta negli USA ha mostrato che la maggior parte degli eventi avversi attribuibile ad errori in terapia si verifica nella prescrizione e interessa farmaci ipogligemiz-zanti (28,7%), cardiovascolari (18,6), anticoagulanti (18,6) e diuretici (10,1%). Come riportato dalla “Raccomandazione per la prevenzione della morte, coma o grave danno deri-vati da errore in terapia farmacologica” pubblicata a cura del Ministero della Salute nel 2008, l’errore di prescrizione può riguardare sia la decisione di prescrivere un farmaco da parte del medico (in base a diagnosi, dati raccolti sul paziente, indicazioni, controindicazioni, terapie conco-mitanti, efficacia terapeutica e tollerabilità del farmaco), sia il processo di scrittura della prescrizione (qualità e completezza delle informazioni essenziali). L’atto della prescrizione da parte del medico può essere influenzato da vuoti di memoria, dimenticanze dovute ad interruzioni

frequenti, fretta, stress e fatica o incompleta conoscenza dei farmaci e del paziente.

In particolare le cause più comuni di errore nella fase di prescrizione sono rappresentate da:

· prescrizioni al di fuori delle indicazioni terapeuti-che o in caso di controindicazioni;

· associazioni inappropriate per scarsa conoscenza di interazioni;

· errata scelta della forma farmaceutica, dose, via di somministrazione, intervallo di somministrazione;

· raccolta incompleta delle informazioni essenziali relative al paziente (nome, diagnosi, anamnesi cli-nica e farmacologica, allergie conosciute, terapie farmacologiche concomitanti, reazioni farmaco-genetiche, ipersensibilità);

· prescrizione illeggibile (cattiva grafia) o firma il-leggibile;

· duplicazione della terapia;

· prescrizione incompleta o che genera confusione relativamente alla via di somministrazione, alla dose o alla forma farmaceutica;

· prescrizione frettolosa ed imprecisa: si può con-fondere il dosaggio per virgole mal posizionate (ad esempio, digossina 0,05 mg/ml sciroppo invece di 0,5 mg/2ml fiale iniettabili);

· uso ancora presente della prescrizione telefonica o verbale in caso d’urgenza, che può indurre confu-sione o fraintendimento (ad esempio, farmaci con nomi o suoni simili come Losec, Lasix, Laroxyl, Noroxin);

· uso di acronimi e abbreviazioni non standardizzate (ad esempio, la lettera “U” usata come abbreviazio-ne della parola “Unità” confusa con uno zero, un 4 o un 6;

· utilizzo di istruzioni per l’uso in latino (ad esempio, la dicitura os scambiata per occhio o orecchio sinistro);

· utilizzo di un’unità posologica errata (ad esempio, milligrammi invece di microgrammi).

In ultimo, le suddette raccomandazioni indicano che le prescrizioni verbali o telefoniche vanno evitate e, laddove

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presenti, devono essere limitate solamente a circostanze particolari e in ogni caso verificate immediatamente (ad esempio, facendo ripetere l’operatore). Tutto ciò comporta una sensazione di smarrimento e frustrazione nei pediatri di libera scelta che si sentono “indifesi” e schiacciati tra “necessità di curare” e “paura di incorrere in un procedi-mento penale e/o richiesta di risarcimento danni”.

Sono molteplici le fattispecie della vita quo- tidiana che conducono il medico specialista in Pe-

diatra, Medicina generale o altrimenti specializzato a trasmettere una determinata prescrizione medica al pa-ziente o ai suoi prossimi congiunti (ad esempio geni-tori del neonato, bambino o adolescente), per telefono o anche per il tramite di altri mezzi di comunicazione più moderni (posta elettronica). Tali condotte mediche implicano l’applicazione di più fattispecie giuridiche che, se non rispettate, possono comportare per il professioni-sta il doversi difendere in un giudizio di responsabilità professionale medica in ambito civile, avverso la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimonia-li, e/o penale, dall’eventuale imputazione di reato. Deve preliminarmente, allora, porsi una differenziazione tra la prescrizione medica in generale, oggetto specifico della presente trattazione, e la species ricetta medica che, invece, può considerarsi quale particolare prescrizione medica, ove le prestazioni prescritte sono parzialmente o total-mente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Per ciò che concerne la ricetta medica risulta possibile trovare numerose definizioni nelle fonti più qualificate e svariate, tutte però accomunate da due importanti e-lementi giuridici: la forma scritta e la responsabilità del sanitario non solo nei confronti del paziente secondo le regole specialistiche dell’arte/scienza praticata e relative responsabilità in ambito civile e penale, ma anche verso lo Stato che paga le prestazioni. In ordine alla ricetta medica possono rilevarsi dei testi normativi (R.D. 30 settembre 1938, n. 1706, Regolamento per il Servizio Farmaceutico,

all’art. 38 recita “(…) qualunque ricetta deve essere firmata da un medico chirurgo ‒ oggi anche medico odontoia-tra ‒ o da un veterinario”) e giurisprudenza sulla valenza dell’atto prescrittivo (atto pubblico o mero certificato amministrativo), gli eventuali illeciti previsti, l’uso appro-priato delle risorse e il rispetto dei principi di efficacia a cui deve tendere l’attività prescrittiva del medico. Questo perché anche attraverso l’attività di pagamento parziale o totale delle prestazioni garantite dal SSN e, più in gene-rale, attraverso tutta l’attività medica garantita dal SSN, lo Stato assicura ai cittadini un importante diritto sociale, costituzionalmente garantito, qual è il diritto alla salute.

Per il soddisfacimento del diritto alla salute e di tutti gli altri diritti sociali (diritti che assicurano le prestazioni pubbliche necessarie per un’esistenza civile e dignitosa, per esempio salute, istruzione, famiglia), differentemente da quanto avviene per i diritti individuali, lo Stato deve impiegare ingenti risorse pubbliche.1 Ben si comprende, dunque, l’esigenza insita in quasi tutti gli ordinamenti democratici di contemperare due esigenze prioritarie per ogni Stato: da un lato garantire il diritto alla salute, dall’altro ridurre le risorse economiche eliminando gli sprechi o abusi.

Con riguardo alla prescrizione medica, dif- ferentemente dalla ricetta medica, non vi sono

molte definizioni, né particolari riferimenti normativi e giurisprudenziali. Il Codice di deontologia medica, all’art. 13, può essere d’aiuto nella misura in cui stabi-lisce che “(…) la prescrizione diagnostico-terapeutica è una diretta e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità. Le pre-scrizioni diagnostico-terapeutiche devono fondarsi su aggiornate e validate acquisizioni tecnico-scientifiche, conseguire l’uso appropriato delle risorse e rispettare i principi di efficacia, di sicurezza e di equità”. Le varie definizioni presenti nello scibile dottrinale denotano, comunque, la difficoltà di un’univoca ed esaustiva defi-

Le prescrizioni diagnostico-terapeutiche devono fondarsisu aggiornate e validate acquisizioni tecnico-scientifiche, conseguire l ’uso appropriato delle risorse e rispettare i principi di efficacia, di sicurezza e di equità.

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nizione di prescrizione medica. Cercando di approntare una definizione, evidenziandone i caratteri costitutivi e finalistici intrinseci all’atto stesso, si può definire la prescrizione medica come l’indicazione del medico al paziente circa il comportamento o terapia da attuare, ivi compresi naturalmente i farmaci da assumere, le cure e ogni altro trattamento, al fine di trattare il problema di salute riscontrato secondo le regole (protocolli e linee guida) della scienza medica. In prima analisi, la forma scritta ‒ che, invece, si è vista essere elemento necessa-rio e costitutivo della ricetta medica, così come della maggior parte delle prescrizioni mediche ‒ non risulta comunque quale elemento necessario e costitutivo di ogni prescrizione medica, potendovi essere legittima prescri-zione, ovvero eseguita secondo diligenza qualificata del professionista, anche per il tramite di mezzi di comu-nicazione. Emergono, dunque, almeno due importanti questioni giuridiche inerenti la prescrizione medica in generale, fondamentali in qualunque attività medica e raffiguranti due degli obblighi del medico: l’indicazione fornita dal medico secondo la diligenza qualificata del professionista e il rispetto delle regole della scienza pra-ticata. La prescrizione medica è di certo una delle attività del medico. L’attività medica, ex lege, deve essere svolta dal professionista con diligenza professionale e, come aggiunge consolidata giurisprudenza, nella conoscenza e rispetto delle regole di settore. Il combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone al medico, o altro professionista, una diligenza superiore a quella comune del buon padre di famiglia, definita appunto diligenza professionale o qualificata, adeguata all’attività svolta e alle relative modalità di esecuzione. Tale diligen-za qualificata, anche secondo la giurisprudenza, impone, a sua volta, la conoscenza e l’osservanza delle regole del settore (linee guida e protocolli di settore) che, appunto, sono l’insieme delle regole per ogni ambito della scienza medica definite, raccolte e apprezzate dalla dottrina e dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Il loro rispetto limita considerevolmente la scelta operativa compiuta dal medico al quale, comunque, secondo la propria diligenza professionale, viene consentito dalla legge di discostarsene, motivando in ragione della salute del paziente. Ne discende che il vero criterio di giudizio di qualsiasi attività medica è la rispondenza della stessa ad un’adeguata diligenza professionale che, fino a prova contraria, in ragione della salute del paziente, presuppone l’applicazione delle regole della scienza medica. Orbene, secondo criteri di normale diligenza medica, linee guida e protocolli di settore, l’attività di prescrizione deve essere

preceduta dalle analisi cliniche e diagnostiche condotte sul paziente, anche attraverso l’utilizzo di particolare strumentazione. Ciò implica che una prescrizione me-dica sarà legittima solo se preceduta dalle sopraindicate attività propedeutiche o, comunque, se adeguatamente disposta secondo le regole della diligenza qualificata di settore. Potrà dunque aversi, ritornando al caso specifico, una prescrizione medica per telefono o altro mezzo di comunicazione pienamente legittima, poiché in linea con la normale diligenza qualificata medica e le regole del settore, preceduta da dette attività preliminari o comun-que adeguatamente predisposta. In tal senso si pensi, ad esempio, al medico che presa visione dei risultati degli ac-certamenti diagnostici correttamente espletati solo in un secondo momento, magari a breve o brevissima distanza di tempo, legittimamente dispone una prescrizione al pa-ziente senza ritenere necessarie ulteriori indagini (senza visitarlo nuovamente, ad esempio). Ed ancora, a riprova della facoltà del medico di operare secondo la propria diligenza qualificata, si pensi al caso di comunicazioni te-lefoniche ricevute dal medico, magari di guardia medica o reperibile, che non ravvede connotati di serietà e urgenza per eseguire la visita domiciliare e legittimamente dispo-ne una prescrizione medica via telefono o altro mezzo secondo la propria diligenza qualificata professionale. Al contrario, prosegue la stessa giurisprudenza, il medico commette il reato di omissione di atti d’ufficio se rifiuta una visita domiciliare che risulta poi realmente urgente. Per lo stesso principio di diritto potrà essere giudicato responsabile, agli effetti civili, o anche penali, il medico che dispone una prescrizione medica telefonicamente, in seguito rivelatesi errata, senza prima aver compiuto le attività preliminari dovute secondo la diligenza qua-lificata e le linee guida di settore. Sul punto, si ricorda la sentenza n. 4376/1999 con la quale la Corte di Cassazione, III Sez. Civ., condannava un medico per avere prescrit-to telefonicamente un farmaco (nella specie ossitocina, produttiva di effetti dannosi per il nascituro) in carenza di una previa visita medica, in tale caso necessaria. A ben vedere, dunque, anche in tema di prescrizioni mediche impartite via telefono ‒ come in tutti i casi di condotta sanitaria ‒ risulta rilevante, ai fini della legittimità del comportamento del medico, la normale diligenza qua-lificata richiesta ad un professionista nell’espletamento della propria professione e il rispetto delle best practice o discostamento dalle stesse motivato da particolari esi-genze di salute del paziente.

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Dal combinato di quanto esposto in precedenza e dall’obbligo per i pediatri di libera scelta alla repe-

ribilità telefonica discendono alcune indicazioni utili alla pratica medica quotidiana. Una eventuale prescrizione telefonica non deve prescindere da alcuni punti fonda-mentali:

· piena contezza dell’anamnesi del soggetto (sarebbe auspicabile astenersi da una prescrizione in man-canza di una sufficiente raccolta anamnestica);

· analisi critica dei sintomi “riferiti”, al fine di una corretta diagnosi differenziale;

· indagare su eventuali allergie e/o reazioni avverse a farmaci;

· dopo una prescrizione telefonica, accertarsi della corretta ricezione delle informazioni, facendo ripe-tere, anche più volte, all’interlocutore il nome del farmaco, la via di somministrazione e la posologia;

· indicare chiaramente, qualora la sintomatologia non migliorasse o si avverasse un suo peggioramen-to o insorgessero altri sintomi, di essere ricontattato prontamente, ovvero di recarsi presso la più vicina struttura ospedaliera.

Da parte dei colleghi si chiede sempre al medico legale cosa si possa e cosa non si possa fare, come comportarsi in determinate situazioni e, nello specifico, quali farmaci

si possano prescrivere telefonicamente. È ovvio come sia impossibile elencare quali farmaci poter prescrivere o meno telefonicamente, ma certamente si possono fornire utili indicazioni. Da quanto esposto in precedenza sui punti fondamentali della prescrizione telefonica, si ritie-ne che (fatti salvi i requisiti già accennati: anamnesi del soggetto, anche ad eventuali allergie a farmaci, diagnosi differenziale, interazione con altri farmaci, e così via) si possano prescrivere telefonicamente farmaci maneggevoli, possibilmente già utilizzati dall’utente e, soprattutto, con limitati effetti collaterali (quali per esempio antipiretici, antibiotici).

Una notazione a parte va fatta sui nuovi mezzi di comunicazione, quali la e-mail o WhatsApp (per esem-pio invio di foto del minore per eventuale diagnosi di malattia esantematica). Se da un lato viene sollevato da più parti il problema della tutela della privacy sull’invio di documentazione sanitaria (quale lettera di dimissio-ni, prescrizione farmacologica, etc.) tramite e-mail, è da rilevare che la normativa vigente (Decreto Presidente della Repubblica del 11.02.2005 n. 68, Decreto Legislativo 185/2008 convertito con Legge 2/2009) ha dato pieno valore legale alla Posta elettronica certificata come stru-mento di trasmissione telematica e, a tal fine, basti pensare al vigente processo telematico. Si ritiene, pertanto, che la trasmissione di eventuale documentazione sanitaria tramite PEC (ovviamente inviata ad altro utente fornito di PEC) sia lecita ed auspicabile.

Alla luce delle considerazioni esposte in precedenza, si ritiene che la migliore tutela che un sanitario possa avere sia l’agire con diligenza e nel rispetto delle best practice, evitando atteggiamenti “difensivistici” (richieste di accertamenti strumentali e/o specialistici, spesso inutili, richieste di ricoveri impropri o senza alcuna indicazione clinica) che invece possono comportare profili di respon-sabilità professionale .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

Si possono prescrivere telefonicamente farmaci maneggevoli,possibilmente già utilizzati dall ’utente e, soprattutto,con limitati effetti collaterali.

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Chiara Di PedeCaterina AgostoFranca BeniniUOC Cure Palliative e Terapia Antalgica Pediatrica – Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova

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Il bambino con SMA tipo 1 e 2: la care a domicilio L’atrofia muscolare spinale (SMA) è una malattia neuromuscolare ereditaria a trasmissione autosomica recessiva, causata dalla delezione del gene SMN1.

Introduzione

L’ atrofia muscolare spinale (SMA) è una malattia neuro- muscolare ereditaria a trasmissione autosomica recessiva, causata dalla delezione del gene SMN1, responsabile della produzione della

proteina SMN (Survival Motor Neuron). La mancata produzione di questa proteina comporta la degenerazione dei motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale (2° motoneurone) deputati al controllo della muscolatura striata, causando una progressiva denervazione, atrofia muscolare ed iposte-nia.1 L’ipostenia muscolare è solitamente simmetrica e coinvolge maggior-mente i distretti prossimali; la muscolatura respiratoria viene interessata in

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maniera eterogenea, a seconda della gravità della forma clinica e nelle forme più gravi può essere coinvolta anche la muscolatura oro-faringo-laringea per degenerazione dei neuroni bulbari.

La presentazione clinica di malattia è eterogenea; se-condo la letteratura internazionale2 la SMA si distingue in 4 forme che riportiamo in Tabella 1.

La SMA è la seconda malattia genetica autosomica recessiva più comune in età pediatrica; ha un’inciden-za globale di 1/6000–1/10000 nati vivi; la frequenza dei portatori è di circa 1/40–1/60 nella popolazione generale.2 Rappresenta circa il 28% delle patologie seguite presso il Centro di Cure Palliative Pediatriche di Padova (23 bambini su 80). Prima di procedere con la trattazione sistematica delle prime due forme di SMA, delle relati-ve problematiche e delle possibili strategie di gestione, è opportuno fare una precisazione per quel che riguarda la SMA1: presso il Centro di Padova vengono seguiti sia bambini per i quali i genitori scelgono un percorso di ac-compagnamento/supporto volto all’obiettivo di garantire il comfort del bambino seguendo il naturale decorso della patologia, sia bambini per i quali i genitori scelgono un percorso “proattivo”, che ha l’obiettivo di prolungarne la sopravvivenza. Le strategie di care riguardanti gli aspetti di alimentazione e di igiene posturale sono valide per entrambe le categorie di bambini; le tecniche di fisiote-rapia respiratoria e di gestione di ortesi ed ausili sono più specificamente riferite ai bambini per i quali i genitori hanno optato per un percorso “proattivo”.

SMA1 (mai seduti)

Rappresenta la forma più grave di SMA. All’in- terno della SMA1 distinguiamo, come prece-

dentemente schematizzato in Tabella 1, tre sottoforme (A,B,C), sulla base dell’età d’esordio, delle caratteristi-che cliniche e della gravità dei sintomi. La SMA1A si manifesta alla nascita o entro il primo mese di vita; dal punto di vista motorio questi pazienti si presentano

marcatamente ipotonici, con impossibilità ad eseguire anche il minimo movimento antigravitario; presentano insufficienza respiratoria grave con collasso della parete toracica e bilancia addominale e gravi difficoltà nell’a-limentarsi; possono presentare artrogriposi, piede torto e precoci retrazioni muscolo-tendinee multidistrettuali. L’aspettativa di vita è, in genere, inferiore ai 3 mesi. La SMA1B si manifesta tra il 1° e il 3° mese di vita; si osservano scarsi movimenti antigravitari degli arti; il controllo del capo è assente e si manifesta insufficienza respiratoria; anche in questi bambini possono eviden-ziarsi precoci retrazioni muscolo-tendinee e conseguenti deformità scheletriche. L’aspettativa di vita, in assen-za di supporto ventilatorio, è in genere di 6–12 mesi. La SMA1C è caratterizzata da un esordio tra i tre e i sei mesi di vita; questi bambini presentano almeno inizialmente il controllo del capo e sono in grado di eseguire qualche movimento antigravitario degli arti. L’instaurarsi di precoci retrazioni muscolo-tendinee è un’evenienza comune in questi bambini. L’aspettativa di vita, in assenza di interventi supportivi della ventilazione e dell’alimentazione è in genere inferiore all’anno di vita, ma raggiunge i 24 mesi e in alcuni casi si può realizzare una stabilizzazione del quadro clinico dopo qualche anno con adeguato supporto ventilatorio e nutritivo.2

La funzione deglutitoria e la capacità di alime- tarsi sono gravemente compromesse nei bimbi affetti da SMA1, in misura diversa a seconda della gravità del quadro clinico.2 L’ipotonia generale che li caratterizza colpisce anche la muscolatura bulbare coinvolta nella deglutizione, causando suzione debole ed una marcata

Tabella 1. Classificazione

SMA1 (mai seduti)

SMA2 (mai in piedi)

SMA3 (deambulanti)

SMA4 (adulti)

1A (più grave) 10 sottoforme da 2 (più grave) a 2,9 (più lieve)

3A (più grave)

1B 3B

1C (più lieve) 3C (più lieve)

La SMA è la seconda malattia genetica autosomica recessivapiù comune in età pediatrica e ha un’incidenza globaledi 1/6000–1/10000 nati vivi.

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incoordinazione suzione-respirazione-deglutizione. Con l’andare del tempo, oltre alla difficoltà nell’alimentarsi per os, potrà sopraggiungere anche la difficoltà nella gestione della saliva che, se non gestita correttamente, può essere inalata, specialmente nei cambi di postura e negli sposta-menti.3 Anche lo scarso controllo del capo contribuisce allo sviluppo di difficoltà nell’alimentazione, limitando l’adozione di posture compensatorie che potrebbero ren-dere più sicura la deglutizione. Tale disfunzione può cau-sare polmoniti ab ingestis, che rappresentano la principale causa di morte in questi pazienti.2

I principali sintomi correlati a difficoltà di degluti-zione sono:

· necessità di tempi dei pasti prolungati;

· scarso incremento ponderale;

· affaticamento durante l’alimentazione;

· colpi di tosse durante o subito dopo la deglutizione;

· episodi acuti di soffocamento durante l’alimenta-zione;

· infezioni respiratorie ricorrenti.L’esame clinico dell’apparato oro-faringeo e l’osser-

vazione del pasto devono far parte del periodico follow up di questi bambini, in modo tale da mettere in atto appropriate strategie non appena le difficoltà deglutitorie sopraggiungano; data la rapida evolutività della patolo-gia le valutazioni dovrebbero essere piuttosto ravvicinate (ogni 15–20 giorni).2

I bambini affetti dalle forme più gravi di SMA1 (1a, 1b) mostrano evidenti difficoltà nell’attaccarsi al se-no e durante la deglutizione sin dai primi mesi di vita, mentre i bambini affetti dalle forme più lievi di SMA1 (1c) in genere conservano il meccanismo della suzione, sia al seno che con biberon, incontrando le maggiori dif-ficoltà nei momenti di stanchezza (per esempio alla fine della giornata o in concomitanza di intercorrenti infezioni respiratorie). In quest’ultima categoria di pazienti è possi-bile che lo svezzamento avvenga in modi e tempi sostan-zialmente paragonabili a quelli che ritroviamo in bambini sani. È fondamentale che i genitori vengano addestrati fin da subito ad analizzare le caratteristiche del pasto ed eventuali “campanelli d’allarme” che pos-sono verificarsi al domicilio: il bambino suda mentre mangia? Sembra affaticato o irritato? Tossisce? Si sono prolungati i tempi dei pasti? Qualora il bambino venga allattato al seno, è opportuno che venga gradualmente abituato dalla mamma alla posizione prona (sebbene non molto gra-

dita almeno inizialmente), in quanto espone il piccolo ad un minor rischio di inalazione (vedi Figura 1). Qualora invece il bimbo venga nutrito con biberon, è opportuno utilizzare biberon di dimensione ridotta (come quelli uti-lizzati nelle nursery), con foro della tettarella non troppo largo, abituando il bambino alla posizione sul fianco o comunque con il capo ruotato di lato, qualora tollerasse meglio la posizione supina-semisupina.3 Nel momento in cui ci si rende conto che proseguire un’alimentazione per via orale comporta una fatica eccessiva per il bambino ed un aumentato rischio di inalazione, è indicato proporre e condividere la scelta di iniziare un’alimentazione ente-rale per via alternativa a quella per os.2 Gli studi clinici più recenti suggeriscono di procedere precocemente al posizionamento della PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) con l’obiettivo di garantire fin da subito un adeguato introito calorico e idrico ed una più facile ge-stione del bambino durante la fase acuta di malattia.2

Nella pratica clinica, in genere, in prima battuta si avvia un’alimentazione enterale attraverso SNG (sondino nasogastrico) con l’obiettivo di integrare l’alimentazio-ne per via orale, resasi non più sufficiente. È indicato, a questo proposito, che i genitori vengano sin da subito addestrati ed abilitati alla gestione del SNG/PEG e della pompa per la nutrizione enterale.

La precoce abilitazione dei genitori al corretto posizionamento del loro bambino è di fondamentale importanza ed ha 3 obiettivi prioritari: garantire una buona respirazione (riducendo al minimo il rischio di inalazione di saliva e/o di latte), contenere l’instaurarsi di dolore da ipomobilità e di retrazioni muscolo-tendi-nee, consentire al bambino una relazione sociale il più soddisfacente possibile. Il concetto che sta alla base è che più riusciamo a proteggere il corpo del bambino attraverso un adeguato allineamento posturale, tanto più riusciamo a salvaguardare le sue funzioni motorie residue ed a mantenere una ventilazione efficiente.4 Per evitare l’instaurarsi di dolore da ipomobilità e di lesioni da iperpressione è fondamentale che il bambino affetto da SMA1 venga posizionato su appositi dispositivi anti-

decubito (cuscini di miglio)3 e che venga mobilizzato frequentemente, effettuando cambi di postura almeno ogni 2 ore.

I cuscini di miglio sono semplici cu-scini di cotone confezionati su misura e riempiti di semini di miglio che hanno lo scopo di sostenere parti del corpo che altrimenti verrebbero schiacciate sul pia-Figura 1.

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no di appoggio ed accogliere il corpo del bambino adattandosi alla sua forma. Un altro presidio di fondamentale importan-za, soprattutto quando il bimbo è ancora piccolo, è la “tavola materassino”, che con-siste in un materassino di gommapiuma incollato su un asse di compensato su cui si posiziona il bambino con i cuscini di miglio. Lo scopo è quello di consentire ai genitori di spostare agevolmente il picco-lo da una stanza all’altra mantenendolo posizionato correttamente e in sicurezza.

Vediamo a questo punto quali sono le posture possibili per un bambino af-fetto da SMA1 e quali sono le indicazioni e i vantaggi:

· postura di relazione (supina): finché il bambino è in grado di gestire la saliva, può essere mantenuto supino sia sui cuscini di miglio che in braccio, in modo che il genitore o un caregiver possa guardare il piccolino negli occhi ottenendo una relazione gratificante per entrambi;

· postura di gioco (sul fianco, vedi Figura 2): qualora subentrino delle difficoltà nel mantenimento della posizione supina o qualora si voglia consentire al piccolo di manipolare piccoli oggetti in situazione di ridotta gravità è possibile posizionarlo sul fianco sui cuscini di miglio cosicché la saliva presente in faringe possa uscire dal cavo orale;

· posizione di sicurezza (prona, vedi Figu-ra 3): deve essere considerata in assoluto la posizione più sicura per tutti i bambini affetti da SMA1, poiché consente una migliore ventilazione delle basi polmo-nari ed è quindi sempre indicata in caso di aumentato impegno respiratorio e in situazioni di emergenza; in questa posi-zione il bambino ventila al massimo delle sue possibilità e le abbondanti secrezioni

presenti in faringe possono fuoriuscire dal cavo orale ed essere aspirate agevolmente, evitando che invadano le vie aeree; il pic-colo può essere posizionato con l’ausilio dei cuscini di miglio ma può anche essere tenuto in braccio supportando addome e torace con l’avambraccio, e sostenendo il capo ruotato di 90° con l’altra mano in modo tale da consentirgli di osservare l’ambiente circostante. Tale postura può essere adottata sia durante l’alimentazione che durante il riposo e consente alla saliva di fuoriuscire per gravità dalla bocca evi-tando che venga inalata.

Per effettuare qualsiasi passaggio po-sturale in sicurezza va sempre preservato l’asse capo-tronco-bacino; il bacino rap-

presenta il punto di “snodo” mentre il capo rappresenta il punto di “supporto”.

Ad oggi non esistono evidenze scientifiche che dimostrino l’efficacia della fisioterapia motoria in questa tipologia di pazienti; esistono però delle raccomandazioni espresse nel Consensus Statement for Standard of Care in Spinal Muscular Atrophy2 alle quali ci si attiene nella pratica clinica. Nel bambino affetto da SMA1, oltre al comune massaggio infantile, è importante che i genitori vengano addestrati all’esecuzione di una quotidiana mobi-lizzazione globale con l’obiettivo di prevenire l’instaurar-

si di retrazioni muscolo-tendinee e deformità muscolo-scheletriche a livello di arti superio-ri, arti inferiori, rachide e gabbia toracica. Il piccolo dovrebbe essere mobilizzato più volte al giorno, in particolare al risveglio, prima del sonno notturno e dopo il bagnetto. Di fonda-mentale importanza sono inoltre gli esercizi di allungamento/stretching del rachide, che han-no l’obiettivo di mantenere la gabbia toracica elastica e la colonna vertebrale flessibile. Una delle manovre di allungamento del rachide che

Figura 2.

Figura 3.

Figura 4.

Per effettuare qualsiasi passaggio posturale in sicurezzava sempre preservato l ’asse capo-tronco-bacino.

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i genitori possono eseguire quotidianamente è la “mano-vra del furetto”, che consiste nella trazione manuale del rachide realizzata applicando una mano sulla nuca e una mano sotto il mento esercitando una trazione progressiva, mantenuta per qualche secondo (vedi Figura 4).

Gli obiettivi principali della fisioterapia respi-ratoria sono: mantenere una gabbia toracica elastica e prevenirne la deformità, incentivare il drenaggio delle secrezioni e garantirne l’eliminazione. È indicato pertanto eseguire quotidianamente mobilizzazioni del torace, in-sufflazioni manuali con pallone Ambu, utilizzo dell’assi-stenza meccanica alla tosse (Cough Machine), combinata con manovre di assistenza manuale alla tosse (spremiture toraciche ed abdominal thrust),5 l’aspirazione orofaringea può essere di aiuto nel rimuovere le secrezioni dopo aver eseguito le manovre di tosse assistita.2

Queste tecniche e in particolar modo l’utilizzo della Cough Machine devono essere apprese e messe in pratica dai genitori fin da subito, con l’indicazione di intensifi-carne l’uso in caso di intercorrenti infezioni respiratorie.5

L’acqua rappresenta un ambiente ideale per i bam-bini in generale, e in particolare nei bambini con malattie neuromuscolari; l’idrokinesiterapia rappresenta per i bim-bi affetti da SMA una valida opportunità riabilitativa.15 I benefici dell’acqua consistono nella possibilità di far muovere i piccoli in condizioni di ridotta forza di gravità, garantendo uno scarico parziale o totale sulle articola-zioni, facendo sperimentare loro il galleggiamento e la piacevole sensazione di essere completamente immersi in un ambiente “accogliente”.

Finché i bimbi sono piccoli è possibile sfruttare la possibilità di immergerli in acqua calda in vasca da ba-gno a casa quotidianamente, sfruttandone l’azione mio-rilassante; una volta cresciuti, è possibile impostare un adeguato programma riabilitativo in ambiente acquatico (temperatura dell’acqua >32–33°C), definendo i bisogni e gli obiettivi specifici del bambino.

SMA2 (mai in piedi)

La seconda forma di SMA è detta “interme- dia”1,2 (la quarta forma non viene presa in conside-

razione perché si manifesta in età adulta). La diagnosi avviene verso i diciotto mesi di vita poiché non viene raggiunta la stazione eretta o viene persa dopo un breve periodo; la deambulazione non viene mai raggiunta. Già

dopo i sei mesi sono rilevabili le prime manifestazioni di ipotonia e debolezza muscolare prevalentemente agli arti inferiori. Come tutte le forme, anche la SMA2 presenta un’estrema variabilità nelle sue manifestazioni cliniche e viene pertanto suddivisa in dieci sottoforme, secondo la classificazione di Dubowitz1 in base al punteggio ottenuto alla Hammersmith Functional Motor Scale.6 Lo spettro di abilità funzionali varia dal semplice mantenimento del-la stazione seduta al mantenimento della stazione eretta, mentre la capacità di eseguire alcuni passi in autonomia rende ragione del passaggio alla categoria successiva.6

Le difficoltà di deglutizione ed alimentazione possono presentarsi anche nei bambini affetti da SMA2.7 I principali sintomi correlati a tali difficoltà sono:

· prolungati tempi dei pasti;

· scarsa crescita o calo ponderale;

· tosse durante e subito dopo la deglutizione.

In questa categoria di pazienti le principali cause di queste difficoltà sono dovute a:

Fase pre-orale

· limitata apertura mandibolare dovuta a ridotta motilità dell’articolazione temporo-mandibolare;

· difficoltà nel portare il cibo alla bocca conseguente all’ipostenia muscolare degli arti superiori;

Fase orale

· morso debole;

· facile affaticabilità della muscolatura masticatoria;

· deformità cranio-facciali inclusi malocclusione dentale, morso aperto anteriore con incisivi supe-riori prominenti.

Fase di deglutizione

· scarso controllo del capo;

· disfunzione della muscolatura oro-faringea;

· incoordinazione respirazione-deglutizione.

Anche in questi piccoli pazienti l’esame clinico dell’apparato oro-faringeo e la valutazione del controllo del capo durante l’alimentazione in relazione al loro effetto sull’efficienza dell’alimentazione e della deglu-tizione sono fondamentali e vanno incluse nei perio-dici follow up (ogni 6–12 mesi). Valutazioni aggiuntive rispetto a quelle previste nei regolari follow up vanno effettuate ogniqualvolta i genitori/caregiver segnalino segni clinici di inalazione o di affaticamento durante i pasti. Lo studio video-fluorografico della deglutizione è indicato nei casi in cui la valutazione clinica ponga il forte sospetto di disfagia, al fine di monitorare la fun-

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zione deglutitoria ed identificare appropriate strategie di trattamento.2,7

Accorgimenti e trattamenti specifici dovrebbero essere presi in considerazione al fine di ridurre il rischio di polmoniti ab ingestis, ottimizzare l’efficienza della nu-trizione e rendere più piacevole il momento del pasto.2 Riportiamo di seguito alcune delle strategie compensa-torie da poter mettere in atto quotidianamente:

· modificare la consistenza degli alimenti: una dieta semi-solida può compensare le difficoltà di masti-cazione e ridurre l’affaticamento e il tempo neces-sario per completare il pasto; l’utilizzo di addensan-ti per i liquidi può ridurre il rischio di inalazione degli stessi;

· garantire una corretta postura in posizione seduta e utilizzare appropriati ausili per l’alimentazione, se necessari, al fine di facilitare l’alimentazione in autonomia e aumentare l’efficienza della degluti-zione e dell’alimentazione stessa;

· eseguire mobilizzazioni passive del rachide cervi-cale e dell’articolazione temporo-mandibolare per prevenirne la rigidità;

· eseguire stimolazioni tattili orali con alimenti di diversi gusti e temperature per rinforzare il riflesso di deglutizione.

Nel caso in cui l’apporto nutrizionale per os non fosse sufficiente a soddisfare il fabbisogno calorico del bambi-no è necessario prendere in considerazione l’opportunità di iniziare un’integrazione enterale per via alternativa a quella per os.2

La fisioterapia respiratoria è fondamentale per contrastare la patologia restrittiva alla quale inevitabil-mente vanno incontro questi bambini, accompagnata da un meccanismo di tosse riflessa e volontaria inefficace sia in fase inspiratoria che espiratoria.2,8

L’assistenza manuale della fase inspiratoria della tosse può essere effettuata mediante insufflazioni con Pallone autoespansibile Ambu con lo scopo di aumentare il vo-

lume d’aria inspiratorio; l’assistenza manuale alla fase espiratoria della tosse consiste nella rapida compressio-ne addominale in sincronia con la tosse spontanea del bambino (abdominal thrust) con lo scopo di aumentare il picco di flusso in espirio.9 Le insufflazioni manuali con Ambu eseguite quotidianamente (8–10 insufflazioni per 2–3 volte al giorno) hanno, inoltre, lo scopo di migliorare la compliance polmonare e della gabbia toracica e preve-nire l’instaurarsi di atelettasie.8,9 L’assistenza meccanica alla tosse mediante Cough Assist device ha lo scopo di vicariare il meccanismo della tosse; questo apparecchio, applicando pressione positiva alle vie aeree seguita da pressione negativa, consente la rimozione delle secre-zioni, dimostrandosi più efficace, per quel che riguarda l’aumento del picco di flusso durante la tosse, rispetto alle tecniche manuali precedentemente descritte. L’im-postazione dei parametri pressori va eseguita di volta in volta in base alle caratteristiche peculiari del bambino ed alla sua tolleranza (in genere le pressioni inspiratorie medie sono comprese tra 15–40 cmH2O, mentre quelle espiratorie tra 20–50 cmH2O).8,9

In genere si eseguono 4–5 cicli di insufflazioni-essu-flazioni in successione seguiti da respiro spontaneo (o ventilazione meccanica).

La frequenza delle sedute varia in base al quadro clinico (da 2–3 volte al giorno a 2–3 volte all’ora), da e-seguire preferibilmente lontano dai pasti. Questo device può essere utilizzato quotidianamente, con modalità analoghe a quelle descritte per le insufflazioni manuali con Ambu, per migliorare la compliance toracica e pre-venire le atelettasie. Di fondamentale importanza per il corretto utilizzo dell’apparecchio risulta l’adeguato addestramento del caregiver e la sintonia col bambi-no.2 Nei bambini con gravi deformità toraciche e scarsa compliance della gabbia toracica possono insorgere in seguito all’utilizzo della macchina dolori toracici da sti-ramento delle strutture muscolo-scheletriche. L’efficacia può essere limitata in pazienti con lingua molto iposte-nica o di grandi dimensioni poiché il flusso espiratorio può essere ostacolato.9

La fisioterapia respiratoria è fondamentaleper contrastare la patologia restrittiva alla qualeinevitabilmente vanno incontro questi bambini.

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Fondamentale resta la mobilizzazione passiva po-lidistrettuale e lo stretching quotidiani poiché le retrazioni capsulo-legamentose, la rigidità articolare e le deformità ossee sono precoci e insorgono inesorabilmente in questi bambini.2 Anche l’idrokinesiterapia è un’opzione riabi-litativa da associare alla fisioterapia motoria a secco, da poter proporre anche in gruppo, quando i bimbi diventano più grandi; un adeguato programma riabilitativo andrà impostato in base ai bisogni ed agli obiettivi del singolo bambino. Una regolare attività sportiva adattata dovrebbe essere incoraggiata al fine di mantenere una buona mobi-lità e coordinazione motoria da un lato, dall’altro al fine di incentivare la partecipazione e l’integrazione sociale.2

In questo tipo di pazienti, che a causa dell’ipomo-bilità e di posizioni obbligate sono a rischio di svilup-pare lesioni da iperpressione, oltre ai frequenti cambi di postura è indispensabile una corretta cura della cute. In particolare nei bambini che utilizzano la mascherina oro-nasale o nasale per la ventilazione meccanica non invasiva, sono di frequente riscontro lesioni da decubito proprio dove l’interfaccia va ad appoggiarsi (in genere fronte e naso). In caso di arrossamento è consigliabile l’utilizzo di una maschera differente nei giorni successivi oppure la regolazione della cuffia in modo che non si verifichi alcun appoggio della maschera nello stesso punto; è inoltre consigliabile applicare prodotti antidecubito nella zona di arrossamento; è importante applicare questi prodotti prima che si verifichino lesioni da decubito con soluzione di continuità; in quest’ultimo caso è consigliabile non applicare il prodotto antidecubito ma verificare che la maschera non appoggi più nello stesso punto.

La fisioterapia motoria non è sufficiente a preve-nire e contenere l’insorgenza delle retrazioni muscolo-tendinee e le conseguenti deformità scheletriche.2 Pertan-to è necessario che vengano utilizzati durante l’arco della giornata e se possibile durante il riposo notturno presidi

(ortesi ed ausili) confezionati su misura, che hanno lo scopo di contenere le deformità scheletriche, posticipando il più possibile l’opzione chirurgica. È importante che il fisiatra, il fisioterapista, il tecnico ortopedico e i familiari collaborino nell’identificare l’ortesi/ausilio più idoneo per raggiungere l’obiettivo funzionale desiderato e garantire il comfort del bambino. Le ortesi e gli ausili su misura da proporre precocemente (ma non prima dei 18–24 mesi) al bambino e alla sua famiglia sono:

· corsetto tipo statico equilibrato o tipo Cheanau con o senza supporto per il capo e con ampio foro addominale (vedi Figura 5) per consentire un’ade-guata escursione diaframmatica e l’esecuzione delle manovre di assistenza manuale alla tosse: questo tipo di presidio consente un miglior allineamento e sostegno antigravitario di capo e tronco in stazione seduta e contiene, per quanto possibile, la rapida ed inevitabile evoluzione della curva scoliotica. L’utilizzo del corsetto in stazione seduta favorisce il controllo del capo, piccole rotazioni e consente a questi bambini di sfruttare la forza residua de-gli arti superiori per manipolare oggetti piccoli e leggeri, comandare una carrozzina elettronica con interfacce particolari e utilizzare computer e tablet per comunicare, giocare e per l’istruzione;

· tutori gamba piede (AFO) da indossare durante il giorno per limitare le retrazioni dei flessori del piede e l’instaurarsi di piede equino (vedi Figura 6);

· tutori coscia-gamba-piede (KAFO) da indossare durante il riposo notturno con l’obiettivo di limi-tare le retrazioni dei flessori delle ginocchia (vedi Figura 7);

· tutori bacino-coscia-gamba-piede (HKAFO) per il mantenimento della stazione eretta (vedi Figura 8);

· tutori per arti superiori da indossare durante le ore di riposo per mantenere un corretto allineamento dell’articolazione del polso;

· unità posturali, indispensabili per contenere at-

Figura 5. Figura 6. Figura 7. Figura 8.

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teggiamenti posturali scorretti, utilizzabili in varie situazioni (a casa, in auto, all’interno di un passeg-gino, di una carrozzina e così via).

Esistono poi altri tipi di ausili, non confezionati su misura, che possono essere proposti precocemente a questi bambini con l’obiettivo di consentirgli di mantenere la

Figura 9. Figura 10. Figura 11. Figura 12.

Tabella 2. Gestione delle difficoltà deglutitorie nella SMA1 e SMA2

Deficit deglutizione Care

SMA1 Suzione debole Biberon con tettarella morbida

Assente controllo capo Posture: semisupino con capo ruotato, sul fianco, prona

Incoordinazione suzione-respirazione-deglutizione

Foro tettarella non troppo largo

SNG (se alto rischio di inalazione o ridotto introito calorico)

SMA2 Limitata apertura mandibolare

Mobilizzazioni passive articolazione temporo-mandibolare e rachide cervicale

Difficoltà nel portare cibo alla bocca

Morso debole Ausili per alimentazione

Affaticabilità muscolatura masticatoria

Modifica delle consistenze (semisolidi)

Malocclusione

Incompleto controllo capo Ausili per la postura

Incoordinazione respirazione-deglutizione

Stimolazioni tattili orali per rinforzo riflesso deglutizione

Liquidi addensati

SNG/PEG se ridotto introito calorico

Tabella 3. Posture nella SMA1

Postura Obiettivo Quando

Supina Relazione Finché il bambino gestisce bene la saliva e mantiene buone saturazioni

Sul fianco Manipolazione e gioco Per brevi periodi della giornata

Prona Sicurezza e miglior ventilazione

In situazioni di emergenza e di maggior impegno respiratorio

Tabella 4. Fisioterapia motoria nella SMA1 e SMA2

Intervento Obiettivo Modalità

Mobilizzazione passiva polidistrettuale

Prevenire il dolore da ipomobilità

Quotidiana

Cambi di postura Prevenire il dolore da ipomobilità

Ogni 2 ore

Stretching Contenere le retrazioni muscolo-tendinee

Mantenere elasticicità del rachide

Quotidiano

Attività in acqua Consentire movimenti altrimenti impossibili a secco

Regolare

Tabella 5. Fisioterapia respiratoria nella SMA1 e SMA2

Intervento Obiettivo Modalità

Airstacking con pallone Ambu

Aumentare volume pre-tussivo

Mantenere gabbia toracica elastica

8–10 insufflazioni x 2–3 volte/die, da incrementare in corso di infezione respiratoria

Cough Assist (macchina della tosse)

Supplire il deficit del meccanismo della tosse

Aumentare il picco di flusso durante la tosse

4–5 cicli di insufflazioni/essufflazioni per 2–3 volte/die da incrementare in corso di infezione (fino a 2–3/h)

stazione eretta, rispettando alcuni criteri fondamentali quali l’allineamento corporeo, la modularità, il comfort:

· statica da prono e da supino;

· stabilizzatori a verticalizzazione graduale.

Alcuni bimbi affetti da SMA1 – che alloggiati in un’adeguata unità posturale con l’ausilio del corsetto con supporto per il capo riescono a mantenere un sufficiente controllo capo-tronco – e tutti i bimbi affetti da SMA2 possono sperimentare precocemente la carrozzina e quin-di l’autonomia negli spostamenti. Di seguito le tipologie di carrozzina più frequentemente proposte:

· carrozzina superleggera (vedi Figura 9): per bimbi anche molto piccoli (1–5 anni), per spostamenti in ambienti interni;

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Bibliografia

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È evidente come le attività ludiche ricoprano un ruolo fondamentale anche nei bimbi affetti da SMA: ogni bambino ha il diritto di sperimentare la gioia del gioco.

· carrozzina leggera (vedi Figura 10): per bimbi che conservano una discreta funzionalità degli arti superiori, per spostamenti in ambienti interni ed esterni;

· carrozzina elettronica (vedi Figura 11): per bim-bi con minima funzionalità degli arti superiori; grazie ad interfacce adattate (joystick di varie ti-pologie, controllo a tavolo, a mento, a piede, a soffio) possono comandarla agevolmente e godere dell’autonomia necessaria ad esplorare l’ambiente esterno.

Il gioco nella SMA1 e SMA2

Il gioco rappresenta uno dei modi privilegiati per esplorare il mondo esterno e quello delle relazioni

interpersonali, per sviluppare abilità motorie e cogniti-ve, per sperimentare ruoli ed agire la propria creatività. È evidente come le attività ludiche ricoprano un ruolo fondamentale anche nei bimbi affetti da SMA. Ogni bambino ha il diritto di sperimentare la gioia del gioco; è essenziale che gli oggetti che si scelgono sulla base delle preferenze del bambino rispettino le sue difficoltà mo-torie, evitandogli di sperimentare la frustrazione del non riuscire ad utilizzarli perché sono troppo grandi, troppo pesanti, poco maneggevoli. Nell’ambito della scelta dei giocattoli è possibile distinguere alcune categorie:

· giocattoli comunemente reperibili sul mercato e che, per caratteristiche, si prestano ad essere utiliz-zati anche in bimbi con grave ipostenia muscolare (per i neonati: palestrine con oggetti appesi abba-stanza in basso da poter essere raggiunti, pupazzetti di pezza da infilare sulle dita, palloncini gonfiati ad elio, sonaglietti luminosi; per bimbi da 1 a 3 anni: pongo, giochi musicali leggeri, bolle di sapone, co-lori e vernici a dito; per i bambini in età prescolare: evidenziatori, gessetti che si fissano alla base della carrozzina, stampini; per i bambini in età scolare: piste automobilistiche, trucchi, videogiochi);

· giocattoli comuni facilmente adattabili: ad esempio puzzle a cui vengano applicati piccoli magneti per facilitarne il posizionamento;

· giocattoli “adattati”, progettati appositamente per soddisfare esigenze specifiche: ad esempio giocattoli a batteria collegati ad un sensore e-sterno che ne consenta un’attivazione facilitata (vedi Figura 12) .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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Integrazione ospedale territorio: percorsi diagnostico-terapeutici a cura del Journal Club of Pediatrics di Benevento L’appropriatezza è solo uno degli elementidella qualità, ma coinvolge il medicosia per gli aspetti professionali o clinici sia per quelli organizzativi.

Introduzione

L’ esigenza di definire dei percorsi diagno- stico-terapeutici scaturisce da una parte dai criteri di appropriatezza degli interventi nel-

la pratica clinica e dall’altra dalla crescente necessità di integrazione ospedale-territorio, nell’ambito di una ormai improcrastinabile riorganizzazione della rete dei servizi ospedalieri e territoriali. Da alcuni anni il SSN deve affrontare problemi di sostenibilità a causa di una

cospicua riduzione delle risorse disponibili e le migliori solu-zioni possibili si concretizzano con politiche di razionalizza-zione dell’offerta assistenziale1. Anche se dai dati dell’ultimo rapporto OCSE sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia

Iride Dello Iacono1

Nunziatina Sorice2

Carmen Maria Verga3

1 UOS Pediatria ed Allergologia Ospedale Fatebenefratelli Benevento2 PLS ASL Bn13 PLS ASL Salerno, Vietri sul Mare

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emerge un Paese con ottimi standard,2 le attuali con-giunture, in molti casi, hanno reso ancora più evidenti problemi relativi alla qualità delle cure; la variabilità e l’inappropriatezza delle prestazioni e degli interventi sono da sempre presenti, seppure in grado differente, su tutto il territorio nazionale ed a tutti i livelli assistenziali. Secondo l’OMS l’onere economico per le prestazioni inutili ‒ cioè che non danno alcun beneficio al paziente ‒ varia dal 20% al 40%.3 L’appropriatezza è solo uno degli elementi della qualità, ma coinvolge il medico sia per gli aspetti professionali o clinici sia per quelli organizzativi.

L’appropriatezza professionale o clinica4 si realizza se gli interventi sanitari, alla luce delle prove scientifiche disponibili:

· sono di provata efficacia, con livelli di evidenza variabili;

· sono prescritti al “paziente giusto, nel momento giusto, per la giusta durata”;

· procurano effetti favorevoli accettabili rispetto ai benefici.

L’appropriatezza organizzativa si realizza se gli in-terventi sanitari sono appropriati da un punto di vista dell’organizzazione, cioè sono erogati in condizioni tali da impegnare risorse, “setting” e “professional” adeguati. La nostra normativa in materia sanitaria richiama co-stantemente ai principi di appropriatezza: li ritroviamo nel Patto per la salute, nel Piano Sanitario Nazionale, negli Accordi Collettivi Nazionali ed Accordi Inte-grativi Regionali dei Medici di Medicina Generale (MMG) e dei Pediatri di Libera Scelta (PLS). Oltre alla problematica dell’appropriatezza altre criticità so-no state da tempo segnalate in Medicina e sono sta-te oggetto di attenta riflessione. La governance della qualità non è ben strutturata né uniforme, esistono disomogeneità nelle prestazioni e negli esiti, il ruolo dell’assistenza primaria e territoriale può essere am-pliato (OCSE). Sono stati sviluppati, inoltre, strumenti

e metodi (per esempio quelli della valutazione della qualità e della sicurezza delle cure, dell’EBM o del technology assessment), ma poco o nulla è stato fatto per la loro implementazione nella pratica clinica quo-tidiana e per rendere i professionisti clinici responsabili dell’elaborazione sia dei vari documenti di indirizzo, sia delle politiche aziendali.5

Il progetto JC

In considerazione di quanto detto, nel 2013 prende il via il progetto del “Journal Club of Pediatrics

in Benevento: incontri monotematici ospedale-territorio per la elaborazione di linee guida comuni”( JC) per ini-ziativa di Iride Dello Iacono, responsabile dell’UOS di Pediatria Ospedale Sacro Cuore di Gesù-Fatebenefratelli di Benevento. Gli scopi del progetto sono:

· l’implementazione delle più valide ed aggiornate linee guida evidence-based nella pratica clinica;

· l’elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi, basati sull’ottimizzazione delle risorse disponibili e sull’integrazione ospedale-territorio;

· l’applicazione dei principi di appropriatezza pro-fessionale ed organizzativa;

· la realizzazione di una formazione continua evi-dence based che risponda ai bisogni formativi degli iscritti;

· l’insegnamento delle nozioni di base dell’EBM, degli strumenti e della metodologia di analisi della letteratura scientifica, delle strategie di ricerca per la risposta a quesiti clinici.

La metodologia didattica del JC prevede:

· un congruo numero di incontri, 9 in 12 mesi, di-stribuiti dall’inizio alla fine dell’anno, perché la formazione accompagni costantemente il pediatra nella sua attività;

L’appropriatezza organizzativa si realizza se gli interventi sanitari sono erogati in condizioni tali da impegnare risorse, “setting” e “professional” adeguati.

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Bibliografia

1. Botturi D, Rodella S. Appropriatezza. Una guida pratica. ER Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale 2014. http://goo.gl/ZWwQTF

2. OECD Reviews of Health Care Quality: Italy 2014. http://goo.gl/Cu0C5B

3. Salvia A. Le verifiche di qualità. Quaderni del Ministero della Salute 2012 http://goo.gl/4hs5Lc

4. Domenighetti G, Vernero S. Fare di più non significa fare meglio. Salute internazionale, 8 maggio 2013 http://goo.gl/vMXtrA

5. GIMBE. L’appropriatezza nel mirino del SSN. 3° Conferenza nazionale GIMBE. Bologna, 2008. A

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· un numero limitato di partecipanti, massimo 50, per definire meglio l’offerta formativa sugli utilizzatori e favorire l’interattività durante gli incontri;

· la partecipazione degli iscritti all’elaborazione del programma ed all’organizzazione degli incontri;

· una lezione di EBM di circa un’ora ad ogni in-contro, chiamata “Pillola di EBM”. Durante detta lezione si apprendono e si ripetono periodicamente le nozioni di base dell’EBM. Si dà inoltre risposta a quesiti clinici di interesse comune, attinenti o meno all’argomento della giornata e, spesso, pro-posti dagli iscritti, sviluppandoli come Critically Appraised Topics (CATs);

· una struttura aperta anche a partecipazioni e col-laborazioni esterne, per condividere con colleghi esperti di altre Regioni i problemi clinici e/o me-todologici che emergono durante il corso o, al con-trario, portando al JC le più interessanti esperienze di altri gruppi di studio in Italia;

· 3 ore di lezione interattiva sull’argomento clinico del giorno con un docente esperto, possibilmente, ma non necessariamente, referente sul territorio;

· la stesura di un Percorso diagnostico-terapeutico su ogni problema clinico trattato, a cura di uno o più iscritti, sulla base della LG più valida e aggior-nata, della relazione del docente, delle principali evidenze scientifiche ma anche delle esigenze, delle criticità o delle risorse locali. Il Percorso è strutturato in modo da rispondere con raccoman-dazioni condivise ai più frequenti ed importanti quesiti, è relativamente breve e schematico per aumentarne la fruibilità, ma riporta tutti i prin-cipali riferimenti per le raccomandazioni con i relativi livelli di evidenza;

· la presentazione dei Percorsi e la discussione per eventuali modifiche/integrazioni nell’ultima gior-nata di corso;

· l’aggiornamento permanente dei Percorsi in caso di novità rilevanti dalla letteratura;

· la condivisione di tutto il materiale bibliografico, delle relazioni, oltre che, naturalmente, dei Percorsi;

· la comunicazione permanente tra iscritti e docen-te di EBM, tramite e-mail, per qualunque chia-rimento o eventuali quesiti clinici non trattati durante il JC.

Conclusioni

La definizione di percorsi diagnostico-tera- peutici e dei progetti di integrazione ospedale-ter-

ritorio non consiste nella semplice conoscenza ed appli-cazione di una LG. Il percorso può modificare una o più raccomandazioni, sia per il semplice aggiornamento delle evidenze scientifiche che per una loro più puntuale valu-tazione, ma soprattutto perché tiene conto ed ottimizza le locali risorse disponibili. Ecco perché il lavoro del JC non è di semplice studio e conoscenza di quanto scritto da altri, ma è una vera e propria ricerca ed elaborazione originale sia di contenuti teorici, sia della loro applica-bilità nella pratica clinica. Quest’anno il JC è alla sua terza edizione: alla sua conclusione saranno stati trattati 24 argomenti di clinica, saranno stati sviluppati circa 15 CATs ed elaborati altrettanti Percorsi .

Gli autori dichiarano di non avere nessun conflitto di interesse.

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MALATTIE INfETTIVE IN ETà PEDIATRICA: UNA REVIEwl’european Centre for Disease Pre-vention and Control (ECDC) ha realizzato una revisione sistematica che ha preso in esame i periodi di incubazione, contagiosi-tà e diffusione di 30 delle malattie infet-tive più comuni nei bambini e nei ragazzi misurando anche il periodo di esclusione dalle scuole e dalle altre strutture per l’infanzia. I risultati della review forniscono evidenze importanti che possono essere utilizzate a supporto di azioni di salute pubblica, come per esempio la definizione del periodo minimo di assenza da scuola di un bambino/ragazzo malato, e possono costituire la base per l’elaborazione di una guidance relativa alle strategie di controllo e prevenzione. I risultati sono suddivisi in quattro gruppi di patologie:

· prevenibili con vaccino: morbillo, meningite meningococcica, parotite, pertosse, rosolia e varicella;

· trasmesse da cibo e/o acqua: infezioni da enterovirus, gastroenterite virale da adenovirus, astrovirus, calicivirus (noro-virus e sapovirus) o rotavirus, epatite A, campylobatteriosi, infezioni da Escheri-chia coli, infezioni da Salmonella (non tifoidee e tifoidee), shigellosi; giardiasi;

· trasmesse per via aerea: influenza, mononucleosi infettiva, infezioni da virus respiratorio sinciziale, infezioni da streptococco (scarlattina, faringite streptococcica, impetigine);

· altre malattie trasmissibili di interes-se pediatrico: quinta malattia, sesta malattia, impetigine da stafilococco, colonizzazione ospedaliera da patogeni resistenti e infezioni da MRSA.. Pillole dal Mondo n. 1019, 13/06/2016

http://goo.gl/jVUmhB

PROBLEMI RESPIRATORI:qUALI fARMACI UTILIzzARE?l’european Medicines agency (EMA) ha lanciato una consultazione pubblica sui farmaci pediatrici da utilizzare per le patologie respiratorie. In base all’articolo 43 del Regolamento Pediatrico Europeo il Comitato Pediatrico (PDCO) dell’EMA ha messo a punto un inventario che si basa sia sui risultati di una survey relativa a tutti gli usi pediatrici dei farmaci in Europa che sull’elenco già esistente dei bisogni pe-diatrici individuati dal precedente gruppo di lavoro. L’elenco stilato dall’EMA sarà progressivamente implementato per area terapeutica e non deve essere considerato come uno strumento di prescrizione né come una raccomandazione per i tratta-menti. Il PDCO dell’EMA ha preso in con-siderazione lo stato di autorizzazione dei medicinali e la formulazione disponibile, tuttavia queste informazioni sono limitate e non sono disponibili per tutti gli Stati membri. Pertanto l’EMA invita tutti coloro che abbiano interesse a consultare la lista a verificare lo stato di autorizzazione dei medicinali.

Tutti i commenti devono essere inviati entro l’11 luglio 2016, utilizzando l’apposito template all’indirizzo [email protected]. Pillole dal Mondo n. 1000, 16/05/2016 http://goo.gl/b446ry

UMBIPRO CONTRO L’ONfALITE NEI NEONATIl’eMa ha anche raccomandato l’uso di Umbipro (clorexidina digluconato), un gel antisettico per prevenire le infezioni del cordone ombelicale (onfalite) dei neonati nei Paesi al di fuori dell’Unione Europea (UE). La clorexidina è un agente antibatte-rico comunemente usato come collutorio e antisettico topico, che uccide i batteri o ne impedisce la crescita sulla pelle. Le linee guida per la cura del neonato dell’Orga-nizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandano la clorexidina per la cura del cordone ombelicale nei parti in casa. È stata identificata dalle Nazioni Unite come uno dei 13 prodotti salvavita per donne e

bambini che, se maggiormente e corretta-mente utilizzati, potrebbero salvare le vite di più di sei milioni di donne e bambini nei Paesi più poveri del mondo. Umbipro è stato raccomandato per la pulizia del mon-cone del cordone ombelicale dei neonati per prevenire le infezioni gravi, una delle principali cause dei decessi neonatali in regioni con elevata mortalità neonatale. . Pillole dal Mondo n. 993, 05/05/2016 http://goo.gl/WDQKOF

ANTIBIOTICO RESISTENzA SUL BMJi ricercatori della Bristol Univer-sity e dell’Imperial College of London hanno preso in esame 58 studi osserva-zionali presenti in database internazionali (Medline, Embase, Cochrane e ISI Web of Knowledge) riguardanti antibioticore-sistenza nelle infezioni del tratto urinario acquisite in comunità in pazienti tra 0 e 17 anni e causate da 77.783 batteri di tipo E coli. Negli studi provenienti da paesi OCSE, la prevalenza aggregata di resistenza antimicrobica era del 53,4% (95% C.I. dal 46% al 60,8%) per ampicillina, del 23,6% (dal 13,9% al 32,3%) per trimetoprim, dell’8,2% (dal 7,9% al 9,6%) per co-amoxiclav, e del 2,1% (dallo 0,8 al 4,4%) per ciprofloxacina; nitrofurantoina aveva la prevalenza più bassa dell’1,3% (da 0,8% a 1,7%). La resistenza negli studi in Paesi non OCSE era significativamente più alta: 79,8% (dal 73% al 87,7%) per ampicilli-na, il 60,3% (dal 40,9% al 79%) per co-amoxiclav il 26,8% (dall’11,1% al 43%) per ciprofloxacina e il 17% (dal 9,8% al 24,2%) per nitrofurantoina. È quindi risul-tato che i batteri isolati nel tratto urinario di bambini che avevano ricevuto prescri-zioni precedenti di antibiotici nelle cure primarie avevano più probabilità di essere resistenti agli antibiotici, e che questo au-mento del rischio persisteva fino a sei mesi (odds ratio 13,23 95% C.I. 7,84-22,31). La prevalenza è particolarmente elevata nei Paesi al di fuori dell’OCSE, probabilmente per la disponibilità di antibiotici da banco. . Pillole dal Mondo n. 980, 15/04/2016

http://goo.gl/dCQOpl .

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CornerAIfASegnalazioni dall’Agenzia Italiana del Farmaco

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4. le prescrizioni diagnostico-terapeutiche devono fondarsi su:a. aggiornate e validate

acquisizioni tecnico-scientifiche, l’uso appropriato delle risorse e il rispetto dei principi di efficacia, di sicurezza e di equità;

B. valutazione clinica da parte del sanitario in base alla sua esperienza;

C. raccolta anamnestica, esame clinico e diagnosi differenziale;

d. attento utilizzo delle risorse economiche.

5. Gli obblighi del medico nella prescrizione sono:a. corretta anamnesi ed esame

obiettivo;B. diligenza qualificata

del professionista e il rispetto delle regole della scienza praticata;

C. rispetto del codice deontologico;d. rispetto della privacy.

6. la diligenza qualificata impone al medico:a. la conoscenza e l’osservanza

delle regole (linee guida e protocolli di settore);

B. un costante aggiornamento scientifico;

C. un’esperienza clinica prolungata;d. risposte A+B.

7. l’atrofia muscolare spinale (SMa) è una malattia neuromuscolare ereditaria con trasmissione:a. legata al cromosoma X;B. legata al cromosoma Y;C. autosomica dominante;d. autosomica recessiva.

8. la SMa è caratterizzata da tutti i seguenti elementi, eCCetto:a. la muscolatura respiratoria viene

interessata in maniera eterogenea; B. l’ipostenia muscolare è solitamente

simmetrica e coinvolge maggiormente i distretti prossimali;

C. la capacità di alimentarsi è gravemente compromessa, in misura diversa a seconda della gravità del quadro clinico;

d. la SMA2 non presenta problemi della deglutizione.

9. l’appropriatezza professionale o clinica si realizza se gli interventi sanitari:a. sono di provata efficacia, con livelli

di evidenza variabili;B. sono prescritti al “paziente giusto,

nel momento giusto, per la giusta durata”;

C. procurano effetti favorevoli accettabili rispetto ai rischi:

d. tutte le precedenti.

10. tra gli scopi di un progetto di integrazione ospedale-territorio possiamo includere:a. l’implementazione delle più valide

ed aggiornate linee guida evidence based nella pratica clinica;

B. l’elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi, basati sull’ottimizzazione delle risorse disponibili e sull’integrazione ospedale-territorio;

C. l’applicazione dei principi di appropriatezza professionale ed organizzativa;

d. tutti i precedenti.

[Quiz]

Test di autovalutazione

Le risposte esatte saranno pubblicate sul prossimo numero della rivista.

1. Quali sono le cause della scarsa disponibilità di farmaci “pediatrici”?a. Sono essenzialmente legate

alla rarità delle sperimentazioni pediatriche;

B. sono dovute al fatto che i pediatri preferiscono utilizzare i farmaci per adulti;

C. non c’è una scarsa disponibilità di farmaci ad uso pediatrico;

d. il costo dei farmaci è più elevato in età pediatrica che in età adulta.

2. Cosa si sta facendo riguardo all’utilizzo dei farmaci off label in Pediatria?a. Non c’è nessuna novità a riguardo;B. la FDA e l’EMEA si sono attivate,

in questi ultimi anni, per provvedere ad una regolamentazione del settore;

C. non si potrà mai attuare una regolamentazione su questi farmaci;

d. i Paesi si stanno attivando singolarmente in base al proprio Sistema Sanitario.

3. esiste un problema di responsabilità medico-legale in Pediatria per quanto riguarda i farmaci off label?a. Sì, la somministrazione dei farmaci

off label comporta una grande responsabilità;

B. no, non esiste alcun problema a riguardo;

C. sì, ma solo per i neonati;d. no, se i farmaci sono stati

già sperimentati per gli adulti.

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4Quiz Test di autovalutazione

Le rispostedel numero precedente

1. la telematica è: la telematica per la ricerca nell’ambito delle scienze sanitarie, la telemedicina, la teleformazioneRisposta corretta: DLa definizione di telematica è più stabile rispetto alla definizione, per esempio, di telemedicina perché subisce di meno l’evoluzione della tecnologia. la defini-zione di telemedicina cambia ogni anno (è una definizione della American Te-lemedicine Association). La telematica comprende tutte le categorie di risposte date ed anche altre.

2. Nei pazienti con FC il calo annuo del FeV1 è 2%Risposta corretta: CLa bibliografia corrente evidenzia che il calo previsto medio annuo del FEV1 nei pazienti con Fibrosi Cistica è del 2%. Que-sto valore ribaltato è considerato anche come un indice di valutazione del centro di Fibrosi Cistica.

3. la relative infant dose (rid) da ritenersi sicura in merito al rischio di reazioni da farmaci nel poppan-te in corso di allattamento al seno è ogni valore < 10 %Risposta corretta: AIl limite di sicurezza indicato convenzio-nalmente è al 10 % per tutti i farmaci. Naturalmente la RID è solo uno dei pa-rametri da poter prendere in considera-zione, ma ha il vantaggio di evidenziare quanto della dose materna un lattante riceva rispetto alla madre.

4. il lorazepam è una benzodiaze-pina a emivita intermediaRisposta corretta: BIl lorazepam è una benzodiazepina a e-mivita intermedia (12 h), che può teorica-mente accumularsi col passar del tempo nel lattante. Agli usuali dosaggi tuttavia non sono descritti in letteratura effetti

collaterali da esposizione attraverso il lat-te materno, come invece risulta per il dia-zepam a lunga emivita (43 h), per questo motivo controindicato in allattamento.

5. il rischio di reazioni collaterali sul bambino da farmaco assunto dalla madre che allatta è maggiore nei primi 2 mesi di vitaRisposta corretta: BIl rischio di effetti collaterali dipende dal-la capacità del bambino di metabolizzare la quota di farmaco a cui è esposto. Que-sta capacità è comprensibilmente ridot-ta nei pretermine e nel piccolo lattante. Nei primi 2 mesi di vita si concentrano l’80% circa delle segnalazioni di effetti collaterali. Il rischio collegato all’uso di farmaci in corso di allattamento perde di importanza dal 3° mese di vita in poi.

6. la diagnosi di fibrosi cistica vie-ne posta in base al test del sudoreRisposta corretta: CLa sintomatologia suggestiva e la fami-liarità sono elementi importanti, ma non sufficienti per porre diagnosi di fibrosi ci-stica. L’analisi genetica con la presenza di due mutazioni del gene CFTR a volte non conduce alla diagnosi certa per l’eteroge-neità della mutazioni non sempre asso-ciate a malattia. Il test del sudore rimane quindi il “gold standard” per valutare la funzione della proteina CFTR e quindi per la conferma diagnostica, anche se c’è la possibilità – peraltro molto rara – di falsi negativi. Il test del sudore consiste nel do-saggio dei livelli di cloro nel secreto delle ghiandole sudoripare, raccolto abitual-mente a livello dell’avambraccio. Valori al di sopra di una determinata soglia (60 mMol/L) sono compatibili con la diagnosi di fibrosi cistica.

7. la diagnosi di Cystic Fibrosis Screen Positive, inconclusive dia-gnosis (CF-SPid) comprende tutti gli aspetti elencati eCCetto la gra-ve insufficienza pancreaticaRisposta corretta: CLa CF-SPID è una diagnosi che si basa su riscontri di natura genetico-molecolare (la presenza di mutazioni) e biochimica (screening neonatale positivo, test del sudore dubbio), ma spesso senza alcun sintomo. L’identificazione di neonati con CF-SPID non implica, in assenza di manife-stazioni di malattia, la necessità di terapie particolari, ma piuttosto di un piano di follow-up da eseguirsi presso un Centro FC, con l’obiettivo di identificare preco-cemente segnali di malattia.

8. Nella fibrosi cistica quali sono le conseguenze delle mutazioni di ga-ting? ridotto tempo di apertura dei canali della membrana cellulareRisposta corretta: DLe mutazioni del gene CFTR che causano la FC possono essere classificate in base al meccanismo di compromissione della funzione della proteina. Nelle mutazio-ni di gating le proteine raggiungono la membrana, ma determinano un ridotto tempo di apertura dei canali. Sono ca-ratterizzate da un fenotipo grave con insufficienza pancreatica.

9. le indicazioni all’uso delle “na-socannule ad alto flusso” (high-flow nasal cannula, HFNC) sono tutte eCCetto grave distress respi-ratorioRisposta corretta: BI pazienti con grave distress respiratorio che già presentano segni di scompenso, tachicardici, con acidosi respiratoria o con FiO2>0,60 (dopo stabilizzazione iniziale) non devono essere trattati con hFNC, ma dovrebbero essere sottoposti a NIV o VM.

10. il sistema HFNC (high-flow nasal cannula) non determina aumento della sensazione di bocca seccaRisposta corretta: DIl sistema hFNC è stato studiato per umi-dificare la miscela dei gas in modo che l’umidità relativa raggiunga circa il 100% ad una temperatura compresa tra 34°C e 37°C, inoltre migliora il comfort del pa-ziente riducendo la sensazione di bocca secca e la dispnea, migliora la clearance muco-ciliare e riduce le atelettasie.

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Rivista ufficiale di Formazione continuadella Società Italiana di Pediatria

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In caso di sindromi influenzali, nel periodo di convalescenza

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