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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in: CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI Degrado, Materiali, Metodi diretti di restauro e preventivi su materiali archeologici Studio, Restauro e Contesto territoriale Relatore: Presentata da: Prof. Domenico Pancucci Daniele Pasta Correlatore: Prof. Angela Lombardo Anno Accademico 2004 - 2005

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO

FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI

Corso di Laurea in:

CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI

Degrado, Materiali, Metodi diretti di restauro e preventivi su

materiali archeologici

Studio, Restauro e Contesto territoriale

Relatore: Presentata da:

Prof. Domenico Pancucci Daniele Pasta

Correlatore:

Prof. Angela Lombardo

Anno Accademico 2004 - 2005

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Alla mia Famiglia

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INDICE

INTRODUZIONE……………………………………………………………………….1

1. METODOLOGIA E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO………3

2. ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI........…8

2.1 CARTE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI……………………………………………………..9

2.2 INIZIATIVE LEGISLATIVE IN AMBITO NAZIONALE…………………………………………...11

2.3 INIZIATIVE LEGISLATIVE RELATIVE AL TERRITORIO REGIONALE DELLA SICILIA……14

3. TIPOLOGIE DI MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO………………...16

3.1 MATERIALI INORGANICI…………………………………………………………………………...17

3.2 MATERIALI ORGANICI………………………………………………………………………………20

3.3 REPERIBILI IN SCAVI EXTRAEUROPEI……………………………………………………………29

3.4 FATTORI DI DEGRADO INTRINSECI ED ESTRINSECI …………………………………………..30

4. PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTOINTERVENTO…………………….36

5. CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE ……………………………………...42

GRAFICO I: METODOLOGIE E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO…………………………………………………...3

TABELLA I: ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI………………………………………………………..8

GRAFICO II: MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO……………………….16 TABELLE II – III - IV: MATERIALI INORGANICI E ORGANICI; SCAVI EXTRA EUROPEI……………………………………………………...23-26-29 GRAFICO III: PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTO INTERVENTO SULLO

SCAVO…………………………………………………………………………………..36

GRAFICO IV: CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE………………………...42

CONCLUSIONI………………………………………………………………………….47

RINGRAZIAMENTI……………………………………………………………………48

ELENCO ILLUSTRAZIONI…………………………………………………………...49

BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………...51

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INTRODUZIONE

Il motivo che mi ha spinto alla realizzazione del lavoro è stato il mio interesse maturato

nell’ambito degli studi archeologici per le problematiche legate alla conservazione dei manufatti

archeologici. Le discipline archeologiche, studiate durante il corso di laurea, hanno costituito la

base delle conoscenze teoriche sulla storia, la specificità dello studio archeologico e i metodi

impiegati dall’archeologia. Il problema della conservazione, affrontato durante le lezioni frontali da

un punto di vista teorico, è stato anche affrontato durante le indispensabili ore di tirocinio per

rivelarne i suoi aspetti pratici.

Lo studio dei materiali archeologici, il loro degrado e le misure di conservazione da potere

adottare sono i parametri fondamentali per consentire di consegnare l’opera alle future generazioni,

senza che sia alterata o cancellata l’informazione contenuta in essi. Inoltre il seguente studio vuole

mettere in evidenza l’importanza di un lavoro interdisciplinare dove la presenza di un conservatore -

restauratore durante uno scavo archeologico, è fondamentale, soprattutto, quando nello scavo siano

presenti materiali molto delicati, come per esempio i materiali organici, i materiali metallici e

materiali ceramici con rivestimenti o con la presenza di tracce d’uso.

La tesi si compone di cinque parti. La prima vuole spiegare quelli che sono i principi “moderni”

di uno scavo archeologico e le tecniche utilizzate per eseguirlo. La seconda parte riassume gli

aspetti legislativi, con particolare riferimento a quelle che sono le norme di tutela dei beni

archeologici e quella che è la disciplina giuridica della ricerca archeologica e la concessione di

scavo. Sono state prese a riferimento norme Internazionali, Nazionali e Regionali. La terza parte è

dedicata alla conoscenza dei materiali reperibili in uno scavo archeologico, alle loro caratteristiche

tecnologiche e ai problemi di conservazione che i materiali incontrano in ambienti di scavo. La

quarta parte affronta le operazioni di conservazione da adottare durante lo scavo, che si basano su

norme di buon senso che evitano di compromettere lo stato di conservazione dei reperti e le

1

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operazioni vere e proprie, tese a rallentare o bloccare i processi di degrado in atto durante lo scavo

archeologico. Il quinto capitolo sintetizza le operazioni di conservazione a lungo termine.

Concludendo, insisto nel dire che il lavoro da me svolto ha voluto spiegare l’mportanza della

figura del conservatore – restauratore negli scavi archeologici ed evidenziare la sua indispensabilità

qualora si rinvengano materiali particolarmente delicati.

Mi scuso in anticipo per errori e mancanze dovute alla vastità della materia trattata.

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1. METODOLOGIA E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO

FINO AGLI

ANNI ‘50

DAGLI

ANNI ’50

TECNICHE:

SCOPI: RICERCA DI OGGETTI

STERRO

SCAVO

ARBITRAR

METODI

STRATEGIE

WHEELER - KENYON

HARRIS - CARANDINI DAGLI ANNI ’70

SAGGI

TRINCEE

GRANDI AREE

SCAVO INTEGRALE

TRINCEE

SAGGI

TECNICA: SCAVO STRATIGRAFICO

SCOPI: RICERCA DI TESTIMONIANZE

METODOLOGIA E TECNICHE DELLO

SCAVO ARCHEOLOGICO

GRAFICO I

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CAPITOLO 1 METODOLOGIA E TECNICHE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO Se in uno scavo archeologico si vuole differenziare tra strategie, tecniche e metodi, ci si accorge

che le strategie sono state sempre le stesse laddove le tecniche e i metodi si sono evoluti nel tempo.

Uno scavo archeologico può essere condotto secondo tre strategie: i saggi, le trincee e lo scavo

integrale, anche se, le prime due costituiscono molto spesso la strategia iniziale di uno scavo che

successivamente verrà condotto integralmente.

I saggi “possono dare indicazioni sulla potenzialità stratigrafica di un insediamento e, situati

secondo una precisa strategia possono rispondere a problemi topografici fondamentali(…)”1, le

trincee “utilizzate per lo scavo di strutture lineari, come mura, fossati, strade, permettono di

impostare rapidamente un problema e acquisire subito i primi dati”2, lo scavo integrale permette di

scavare completamente l’area archeologica.

Fino agli anni ’50 del secolo scorso, nonostante il regolamento d’esecuzione n° 363 del 1913

affermasse che “lo scavo dovrà essere condotto non solo allo scopo di rinvenire oggetti antichi, ma

anche per intenti scientifici”3, l’obbiettivo della ricerca archeologica era ancora quello di trovare

“oggetti antichi”. La tecnica, per tagli arbitrari (di 10, 20, 30 cm), attraverso la quale venivano

condotte le ricerche considerava la terra come un impedimento al recupero degli oggetti.

Un primo passo in avanti fu fatto quando l’archeologia prese in prestito dalla geologia il

concetto di strato e quindi adottò il sistema dello scavo stratigrafico. Tuttavia la stratigrafia

geologica è diversa dalla stratigrafia archeologica. Infatti, la prima, è il risultato di processi

naturali, caratterizzata dalla presenza di sedimentazioni rocciose, contenenti oggetti vegetali e

animali ed è una sua caratteristica generale il fatto che gli strati più profondi sono quelli più antichi

e quelli più in superficie sono i più recenti. La stratigrafia archeologica, di carattere incoerente e

fragile, è il risultato di eventi naturali ed antropici e contiene manufatti prodotti dall’uomo, si

1 A. CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991. 2 A. CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991. 3 R.D. 30 gennaio 1913 n°363, regolamento d’esecuzione della legge n° 364 del 1909

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aggiunga che la legge di sovrapposizione naturale degli strati, non è qui valida, poiché possono

essere intervenuti fattori di sconvolgimento.

Tuttavia, tenendo ben presente la differenza tra le due discipline, dagli anni ’50 in archeologia si

è affermata la tecnica dello scavo stratigrafico che contrariamente alla tecnica di scavo arbitrario

permette di conoscere il contesto da cui provengono i reperti e di coglierne i rapporti reciproci e di

originaria giacitura.

Nell’ottica di questa tecnica si affermò il metodo di Wheeler - Kenyon, che prevede lo scavo di

aree anche estese ripartite in quadrati di 5m x 5. L’area effettivamente scavata all’interno di ogni

quadrato occupa i effetti m 4 x 4 giacchè viene risparmiato mezzo metro di terra su ogni lato, al fine

di creare intorno a ciascun quadrato un corridoio di terra (non scavata) che durante i lavori serve per

il passaggio dei mezzi e degli operatori e a scavo ultimato costituisce un testimone di terra – ove è

visibile la stratigrafia verticale – che può essere smontato in qual si voglia momento.

Il sistema, che non permette di cogliere lo scavo e le strutture messe in luce in tutta la loro

interezza se non nel momento in cui i testimoni vengono “eventualmente” eliminati, presenta un

altro inconveniente: attuando questo metodo si è generalmente portati a non studiare attentamente la

stratigrafia orizzontale durante i lavori, fidando nel fatto che essa rimarrà visibile sulle pareti

laterali (i testimoni) fino a quando essi non saranno rimossi. In effetti è un concetto erroneo poiché

al centro dello scavo la stratigrafia poteva presentare caratteri completamente diversi da quelli

visibili sulle pareti di terra.

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Figura 1. Sistema Wheele – Kenyon.

La tecnica di scavo Wheeler - Kenyon fu superata negli anni 70’ dalla tecnica Harris, codificata

in Italia da Andrea Carandini negli anni ’80. Essa è basata sul concetto di unità stratigrafiche

(U.U.S.S.). Infatti premesso che il processo di stratificazione è un processo di costruzione e

distruzione effettuato dall’uomo o dalla natura, bisogna tenere conto non soltanto degli strati di terra

accumulatisi nel tempo, ma quelle delle opere di costruzione e distruzione dell’uomo

(rispettivamente U.U.S.S. positive e U.U.S.S. negative). Pertanto sono definite U.U.S.S. e cioè

elementi che indicano azioni o eventi, sia gli strati, sia le fondazioni, sia le strutture murarie (

costruzione e distruzione), sia pozzi, buche e fori per pali.

Il metodo stratigrafico Harris – Carandini pone, invece, l’accento sulla necessità di studiare e

capire lo scavo nel momento in cui viene eseguito e non a posteriori, prevede, infatti, una

documentazione precisa e dettagliata di ogni elemento messo in luce: oggetti e U.U.S.S. Pertanto

ogni strato viene documentato con una pianta quotata, ogni unità stratigrafica (U.S.) viene numerata

e registrata in apposita scheda. Ogni scheda contiene la descrizione generale dell’U.S. e riporta gli

eventuali rapporti esistenti con altre U.U.S.S., seguono una serie di annotazioni sui materiali da cui

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è composta l’U.S., sugli inclusi organici (ossa, carbone, ecc.) e inorganici (pietre, argilla, sabbia

ecc.) sulla sua consistenza e stato di conservazione.

Tale tecnica, al momento considerata la migliore permette di scavare grandi aree conciliando “il

rigore stratigrafico con l’ampia visione dei fenomeni indagati (…)”4.

4 A.CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991.

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2. ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI

• Carta di Atene 1931 • Raccomandazioni dell’UNESCO

del 1956 • Carta del restauro Italiana 1972 • Assemblea generale dell’ICCROM

del 1983 • Convegno dell’ICCROM del 1983 • Carta del CNR 1987

CARTE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI

• Convenzione Europea del 1992

• Istituzione della Direzione centrale

degli scavi e musei del Regno 1875

• Varati gli Uffici Regionali per la conservazione 1891

• Legge n° 185del 1902 • Legge n° 364 del 1909 • Legge n° 1089 del 1939 • Codice Civile 1942 • Costituzione Italiana 1947

INIZIATIVE LEGISLATIVE IN AMBITO

NAZIONALE

• Codice dei beni culturali e del paesaggio 2004

• I Regi Custodi e la formazione del

<<plano delle antichità>> 1778 • Provvedimento a scala regionale

del 1781 • La Commissione di Antichità e

Belle Arti 1827 • Provvedimento del Ministro di

Casa Reale 1839 • Istruzione delle Commissioni

Provinciali e del “Regio commissariato speciale pei musei e scavi della Sicilia” 1875/76

• Legge n°1089 del 1939 • Approvazione dello Statuto della

Regione Siciliana 1946 • L.R. n° 80 del 1977

PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI CHE COINVOLGONO IL TERRITORIO

REGIONALE DELLA SICILIA

• L.R. n° 116 del 1980

TABELLA I

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CAPITOLO 2

ASPETTI LEGISLATIVI RELATIVI AGLI SCAVI ARCHEOLOGICI

2.1 CARTE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI

A livello Internazionale ci sono stati vari provvedimenti tesi alla tutela del patrimonio

archeologico e dei beni culturali in generale. I principali documenti culturali realizzati dalla

comunità scientifica, non hanno valore normativo e per entrare a far parte della legislazione

Nazionale devono essere ratificati. Nel 1931 la comunità ha stimolato il dibattito circa la tutela e il

restauro con la “Carta di Atene” che viene redatta grazie all’apporto di circa cento esperti

provenienti da una ventina di paesi prevalentemente europei e vengono dibattuti numerosi ed

importanti temi riguardanti la tutela e il restauro dei monumenti architettonici.

La conferenza auspica che ci sia una collaborazione tra gli Stati per la conservazione del patrimonio

artistico e archeologico. Sull’opportunità di “mettere alla luce”, durante uno scavo archeologico,

beni che successivamente non possono essere conservati, la commissione si esprime dicendo che

“sarà consigliabile seppellirli nuovamente, dopo, beninteso, averne preso precisi rilievi”1. Poiché le

scoperte archeologiche arricchiscono non solo i singoli Stati, ma anche la Comunità Internazionale,

è auspicabile una collaborazione internazionale per quanto riguarda i regolamenti di scavo, in

particolare lo studio dei reperti archeologici e la loro conservazione. Questi sono i principi che sono

alla base delle “Raccomandazioni dell’Unesco” del 1956. Le raccomandazioni dettano i

provvedimenti che ogni Stato Membro dovrebbe assicurare per la protezione del patrimonio

archeologico; per quanto riguarda l’atto di concessione esse prescrivono che gli Stati membri

dovrebbero stabilire norme che lo regolino, in funzione anche della salvaguardia, manutenzione e

restauro del sito e dei reperti archeologici. Nel 1972 la “Carta del restauro Italiana” diramata dal

Ministero della Pubblica Istruzione, disciplina “ (…) anche le operazioni atte ad assicurare la

1 Dall’art. 4 della Carta di Atene.

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salvaguardia e il restauro dei resti antichi in rapporto alle ricerche terrestri e subacquee”2. Le

maggiori istruzioni in materia di beni e scavi archeologici vengono date nell’Allegato A, dedicato

alla salvaguardia del sottosuolo archeologico, necessariamente legato ad una serie di disposizioni e

di leggi riguardanti l’esproprio e l’applicazione di particolari vincoli. Per questo motivo è

fondamentale eseguire un’ispezione molto dettagliata del suolo al fine di predisporre i

provvedimenti necessari. La Carta da delle istruzioni affinchè, nelle normali esplorazioni

archeologiche terrestri, sia garantita oltre che la conoscenza storica del sito anche la sua

conservazione: “ (…) Durante le esplorazioni archeologiche terrestri, mentre le norme di recupero e

di documentazione rientrano più specificatamente nel quadro delle norme relative alla metodologia

degli scavi, per ciò che concerne il restauro debbono osservarsi gli accorgimenti che, durante le

operazioni di scavo, garantiscono la immediata conservazione dei reperti, specialmente se essi sono

più facilmente deperibili e la loro ulteriore possibilità di salvaguardia e restauro definitivi (…) Ai

fini dell’attuazione di queste istruzioni si rende necessario che, durante lo svolgimento degli scavi,

sia garantita la disponibilità di restauratori pronti, quando necessario, al primo intervento di

recupero (…)”3. Anche nell’ “Assemblea generale dell’ICCROM”, svoltasi a Roma nel 1983 si

raccomanda che gli Stati Membri “prendano le misure necessarie per prevenire l’apertura di siti

archeologici , eccettuate speciali circostanze, senza che sia data dovuta considerazione alle esigenze

della conservazione”4 e che “ prendano le misure necessarie per assicurare un deposito adeguato e

sicuro dei reperti archeologici per evitare la perdita e il deterioramento di testimonianze scientifiche

e culturali e la possibilità di traffici illeciti”5. Nel 1986 viene pubblicato il testo “La conservazione

sullo scavo archeologico”, che contiene i commenti che alcuni Soprintendenti rilasciarono in

occasione di un “Convegno dell’ICCROM” svoltosi a Cipro.

Dai commenti si evince che il problema dei fondi necessari agli scavi, alla conservazione,

immagazzinaggio, pubblicazione e manutenzione può essere risolto sia “condividendo la

2 Dall’art. 3 della Carta Italiana del Restauro. 3 Dall’allegato A: “Istruzioni per la salvaguardia e il restauro delle antichità” della Carta Italiana del Restauro. 4 Punto a) del documento dell’Assemblea dell’ICCROM, Roma, 1983. 5 Punto b) del documento dell’Assemblea dell’ICCROM, Roma, 1983.

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responsabilità con altri organismi, sia Nazionali che Esteri” sia pubblicando gli scavi eseguiti e

sospendendo quelli non urgenti, infine prevedendo nell’atto di concessione tali oneri. La “Carta

della conservazione e del restauro” del C.N.R. (1987) contiene delle indicazioni sulla

programmazione dell’intervento conservativo nello scavo archeologico e propone, qualora non

vengano predisposte le misure necessarie di conservazione, il reinterro dello scavo con un sistema

di drenaggio funzionale e con “(…) materiali sterili, inerti leggeri (miscele di pozzolana e lapillo,

ecc.). In ogni caso ogni progetto e la relativa attuazione dovranno essere studiati tenendo conto

delle differenti esigenze climatiche dei vari ambienti, particolarmente differenziate in Italia”6. Gli

Stati Membri del Consiglio d’Europa e gli altri Stati parti della Convenzione Culturale Europea

hanno redatto, nel 1992, la “Convenzione Europea per la protezione del patrimonio

archeologico”, che ha notevolmente contribuito all’identificazione e alla protezione del patrimonio

archeologico, definendone quali elementi, le testimonianze e i beni dell’esistenza dell’umanità nel

passato, che ogni parte s'impegna a rispettare. Ogni parte s’impegna, inoltre, a garantire il valore

scientifico delle operazioni di ricerca archeologica e alla conservazione integrata del patrimonio

archeologico, realizzabile attraverso una collaborazione tra archeologi, urbanisti e responsabili del

riassetto del territorio. Per il finanziamento della ricerca e la conservazione archeologica le parti

s’impegnano a prevedere un sostegno finanziario alla ricerca archeologica e a promuovere una

collaborazione internazionale per la prevenzione del traffico illegale del patrimonio archeologico e

una mutua assistenza tecnica e scientifica.

2.2 INIZIATIVE LEGISLATIVE IN AMBITO NAZIONALE

Per fare un excursus sulle principali iniziative legislative in ambito Nazionale, è bene partire

dall’Unità d’Italia, momento in cui si avvia un processo di normalizzazione generale per la tutela

del patrimonio storico ed artistico, dopo che si era venuta a creare una organizzazione fortemente

eterogenea e disarticolata. Nel 1875 viene istituita la Direzione centrale degli scavi e musei del

6 Dall’allegato C: “Istruzioni per la conservazione e il restauro delle antichità” della Carta del C.N.R.

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Regno, contemporaneamente viene rinnovato l’Organo consultivo Nazionale, la Giunta di

archeologia e Belle Arti, in seno al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, alla quale veniva

demandato il compito di fornire indirizzi culturali, sia per gli scavi archeologici che per i restauri

dei monumenti, validi per l’intero territorio italiano. Nel 1891 vengono varati gli Uffici Regionali

per la Conservazione; quest’ultimi hanno varie funzioni per quanto riguarda la conservazione dei

monumenti delle Regioni. Per quanto concerne, invece, il settore archeologico, gli Uffici Regionali

devono collaborare con la direzione degli scavi, affidata ai direttori dei musei, le specifiche

competenze dei due istituti sono espresse nella circolare n° 1036 del 1891. Tuttavia un’ efficace

azione di tutela comincia a concretizzarsi solo dopo l’emanazione della prima legge organica del

giugno del 1902 n° 185 “per la conservazione dei monumenti e degli oggetti d’antichità e d’arte”. Il

regolamento per la sua esecuzione è pronto nel luglio del 1904. Un ulteriore contributo a migliorare

la legislazione relativa alla tutela dei beni culturali e archeologici è la legge n° 364 del 1909, il cui

regolamento d’esecuzione è il R.D. 30 gennaio 1913, n° 363, tuttora in vigore nella sua originaria

formulazione, ove si legge che “lo scavo dovrà essere condotto non solo allo scopo di rinvenire

oggetti antichi, ma anche per intenti scientifici”.7 La legge 1089 del 1939 è stata l’unica legge che

ha normato la materia in esame fino al 1999, anno di approvazione del Testo unico8. La suddetta

legge (n° 1089 del ‘39) definisce che la responsabilità della conservazione dei beni culturali in

esame, cioè quelli archeologici, è affidata al Ministro per l'educazione nazionale. Inoltre, è espressa

chiaramente la possibilità del Ministero di potere intervenire in qualsiasi momento, per accertarsi

sullo stato di conservazione del bene . Il Ministero inoltre si attribuisce la facoltà di “eseguire

ricerche archeologiche(…) in qualunque parte del territorio del Regno e a tale scopo può, con suo

decreto, ordinare l'occupazione degli immobili ove debbono eseguirsi i lavori. Il proprietario

dell'immobile ha diritto ad un indennizzo per i danni subiti (…)” 9. Inoltre il Ministro per

l’Educazione Nazionale è legittimato ad effettuare gli espropri per eseguire ricerche archeologiche.

7 D. PANCUCCI, I beni archeologici, in Guida ai beni culturali ed ambientali di Sicilia, Edikronos 1980 pag. 44. 8 Testo unico delle disposizioni legislative in materia dei beni culturali e ambientali o Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n° 490, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n° 352. 9 Dall’art. 43 della legge n° 1089 del 1939.

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Nel caso in cui il Ministro non può eseguire direttamente i lavori di scavo, può affidare il compito a

enti o privati attraverso l’atto di concessione che contiene tutte le clausole che il ministro detta e a

cui l’ente o il privato devono sottostare, pena la revoca della concessione. Sono previste sanzioni

penali per coloro che s’impossessano di cose provenienti da ricerche.

Con l’approvazione del Codice Civile nel 1942, le cose di interesse archeologico entrano a far

parte del demanio pubblico, se immobili10 e del patrimonio indisponibile dello Stato se mobili11.

Un altro contributo alla valorizzazione del patrimonio culturale è dato da Costituzione Italiana,

approvata nel 1947, dove all’articolo 9 cita testualmente “La Repubblica promuove lo sviluppo

della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico

della Nazione”. Con l’entrata in vigore del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” nel 2004 è

stato abrogato il Testo unico del 1999. Nel codice la tutela dei beni archeologici viene effettuata

tramite gli articoli 45, 46 e 47, che sanciscono le prescrizioni di tutela indiretta, e tramite gli articoli

88, 89 e 90. Qualora si tratti di un area archeologica caratterizzata dalla vastità del complesso, si

rende indispensabile garantire anche la fruizione estetica e visiva dei beni costituenti il complesso;

pertanto, oltre al vincolo diretto sulle presenze esistenti, può essere imposto anche un vincolo

indiretto . Il codice sancisce che l’attività di ricerca è riservata al Ministero dei Beni Culturali,

attraverso i propri organi periferici (le Soprintendenze archeologiche); il Ministero può dare in

concessione a soggetti pubblici o privati l’esecuzione delle ricerche. Ove la domanda di concessione

di scavo venga ritenuta accoglibile, l’atto di concessione, da emanarsi a cura del responsabile della

direzione generale per i beni archeologici, dovrà fissare tutte le prescrizioni vincolanti per lo stesso

concessionario. Il legislatore, nel codice attuale, coinvolge, nella fase istruttoria, il competente

sovrintendente territoriale, il quale deve valutare il piano e gli scopi delle ricerche che risulteranno

dalla domanda del privato richiedente e formulare al ministero il proprio parere. Nel corso dei lavori

di scavo l’amministrazione ha facoltà di intervenire in ogni tempo per fissare nuove prescrizioni,

che si impongono in relazione agli sviluppi della ricerca, e può anche disporre la sospensione dello 10 Art. 822 del Codice Civile. 11 Art. 826 del Codice Civile.

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scavo e la revoca della concessione quando ricorrano particolari e motivate ragioni di pubblico

interesse. Il codice prevede sanzioni penali e amministrative per chiunque esegue ricerche

archeologiche senza autorizzazione o non osserva le prescrizioni date dall’Amministrazione nella

concessione di scavo o durante l’esecuzione dei lavori e per colui che non denunci

tempestivamente, entro le ventiquattro ore, un rinvenimento fortuito di cose di interesse

archeologico.

2.3 INIZIATIVE LEGISLATIVE RELATIVE AL TERRITORIO REGIONALE DELLA SICILIA

La cultura della tutela in Sicilia ha origini molto antiche. Nel 1778, con dispaccio Reale, il

controllo del territorio venne affidato a due “regi custodi” che avevano il compito di redigere un

“plano” delle antichità e definire la spesa che occorreva per conservarli e custodirli. Nel 1781 un

altro provvedimento a scala regionale prevedeva che tutti i siti ed i singoli monumenti archeologici

erano di proprietà dello Stato. Durante l’attività svolta in questo periodo sono da segnalare

numerose campagne di scavo, principalmente a Catania, Siracusa, Selinunte e Solunto, e svariati

piccoli interventi manutentivi. Nel 1827 il sistema dei “regi custodi” viene abolito; si insedia a

Palermo, con giurisdizione su tutta la Sicilia, la Commissione di Antichità e Belle Arti. Gli specifici

compiti di cui viene investita la Commissione sono più di carattere burocratico che culturale ed

interessano principalmente i permessi di esportazione ed una sorta di controllo, a distanza, degli

scavi archeologici che il luogotenente generale della Sicilia concedeva a chi presentava i documenti

di “legale possidenza o consenso del proprietario”12. Poiché gli scavi erano concessi senza nessun

requisito scientifico e la descrizione dei ritrovamenti era fatta quasi sempre da un inesperto, nel

1839 il Ministro Segretario di Casa Reale accorda che durante le operazioni di scavi archeologici vi

fosse la costante presenza di agenti di polizia.

Tra il 1840 e il 1847 grazie ai finanziamenti del duca di Serradifalco la ricerca archeologica ha

conseguito progressi insperati e ha permesso ritrovamenti di grandissimo valore.

12 F. TOMASELLI, Il ritorno dei Normanni, Officina (Roma), 1994

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Tra il 1875 e il 1876 si avvia un programma di rinnovamento; viene abolita la Commissione di

Antichità e Belle Arti e vengono istituite le Commissioni Provinciali; molte delle attribuzioni che

erano state proprie della vecchia Commissione centrale passano al “Regio commissariato speciale

pei musei e scavi della Sicilia”. A questo nuovo istituto era demandato il coordinamento

dell’attività di ricerca archeologica, quello della manutenzione e del restauro degli edifici demaniali

di particolare pregio storico e artistico ed il rilascio dei permessi di esportazione. Dal commissariato

dipendevano il museo di Palermo e un ufficio tecnico diretto da un “ingegnere direttore degli

scavi”.

Dopo la creazione degli Uffici regionali per la conservazione dei monumenti della Sicilia, il

ruolo delle Commissioni Conservatrici Provinciali e degli Ispettori agli scavi e ai monumenti viene

messo in discussione anche per il sovrapporsi delle competenze proprie ai tre istituti.

La legge 1089 del 1939 è stata per molto tempo osservata anche in ambito Regionale.

Quando nel 1946 viene approvato lo Statuto della Regione Siciliana, si stabilisce che “Fanno

parte del patrimonio indisponibile della Regione (…) le cose d’interesse storico, archeologico,

paleontologico ed artistico, da chiunque ed in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo regionale

(…)”13.

La L. R. del 1 Agosto 1977, n. 80 stabilisce le “Norme per la tutela, la valorizzazione e l’uso

sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione Siciliana”.

La L. R. del 7 Novembre 1980, n. 116 prevede, invece, le “Norme sulla struttura, il

funzionamento e l’organico del personale dell’Amministrazione dei beni culturali in Sicilia”.

13 Dall’art. 33 dello Statuto della Regione Siciliana.

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3. MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO

CONOSCENZA

COSCIENZA

INORGANICI

ORGANICI

PREISTORIA

ETA’ CLASSICA

MEDIOEVO

PREISTORIA

ETA’ CLASSICA

MEDIOEVO

LAPIDEI CERAMICHE METALLI

LAPIDEI CERAMICHE METALLI VETRI

OSSA E AVORI LEGNI RESTI VEGETALI E ALIMENTARI

CAUSE INTRINSECHE DI DEGRADO

CAUSE ESTRINSECHE DI DEGRADO

IL SUOLO

GLI ASPETTI CLIMATICI

MA

TE

RI

AL

I E

XT

RA

- E

UR

OP

EI

RESTI VEGETALI E ALIMENTARI

CUOIO LEGNI OSSA E AVORI

MATERIALI REPERIBLI

NELLO SCAVO

GRAFICO II

16

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CAPITOLO 3

TIPOLOGIE DI MATERIALI REPERIBILI NELLO SCAVO

3.1 MATERIALI INORGANICI

LAPIDEI

Ne fanno parte i reperti mobili e le strutture. I primi possono essere costituiti da materiali come

il calcare, la selce, l’ossidiana e da pietre semi – preziose, utilizzati per la realizzazione di strumenti,

statuette e per oggetti d’ornamento personale.

Le strutture sono costituite da murature e suoli. Le murature possono essere dipinte e non, i

suoli possono essere composti da terra battuta o realizzati con una malta di allettamento ed

elementi decorativi1. Le prime tecniche di realizzazione delle murature si avvalevano dei piani di

posa tenuti assieme da argille o da altre sostanze, le tecniche successive, invece, sono caratterizzate

della presenza di un legante, solitamente costituito da calce. L’uso di argille che sono Silicati idrati

di Alluminio è dovuto alla loro capacità di gonfiare quando assorbono acqua, permettendo di fare

aderire i piani di posa, esse tuttavia non fungono da leganti. Dei veri e propri leganti, invece, sono le

calci ottenute dalle rocce calcaree che cotte si trasformano in una polvere incoerente (ossido di

calcio anidro) la quale viene idratata per legare a se gli altri materiali da costruzione. Le malte a

base di calce includono sempre un inerte che serve a dare maggiore consistenza alla calce pura,

inoltre esse possono essere distinte in aeree e idrauliche, le prime sono le malte che danno vita al

materiale legante reagendo con l’aria, le seconde invece reagiscono anche sotto acqua. Le malte a

base di calce idraulica sono state usate per la realizzazione di cisterne, le malte a base di calce aerea

per la realizzazione di dipinti murali. Le murature dipinte possono essere distinte in pitture parietali,

pitture “a fresco” e pitture “a secco. Nelle prime l’immagine pittorica è stesa direttamente sul

supporto “grezzo”, questa tecnica è praticata nel periodo preistorico. Le pitture “a fresco” sono

eseguite stendendo il colore quando il supporto di calce è ancora bagnato, esse si caratterizzano per

1 I frammenti con funzione decorativa possono essere di laterizio e ciottoli di fiume policromi nel caso dell’opus signinum e frammenti di pietra policromi nel caso dell’opus sectile.

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la resistenza all’umidità e all’abrasione. La pittura “a secco” si avvale di colori a tempera stesi

sull’intonaco ormai asciutto, essa è connotata da fragilità e sensibilità ai fattori atmosferici.

CERAMICI

La classe dei ceramici è assai vasta, ma la tipologia dei manufatti ceramici prodotti in epoca

antica è riconducibile alla classe delle terrecotte che hanno un processo di lavorazione simile a

quasi tutti gli altri ceramici. Il processo di lavorazione consta di quattro fasi e cioè, della

preparazione dell’impasto, della foggiatura, dell’essiccamento e della cottura. Per quanto riguarda

l’impasto è possibile l’impiego di una o più argille che sono composte essenzialmente da minerali

argillosi, da altri minerali, di cui il principale è il quarzo, e da altri componenti tra i quali i più

comuni sono i carbonati (calcite: CaCO3) e gli idrossidi di ferro (goethite FeOOH). L’Argilla

proveniente dal luogo di estrazione deve essere depurata da quelle parti più grossolane e fastidiose

per la lavorazione. Prima di essere cotta l’argilla viene fatta essiccare affinché perda l’Acqua

assorbita in fase di lavorazione. Il processo di cottura ha lo scopo di stabilizzare la forma dei

manufatti e conferisce ad essi una struttura cristallina eventualmente combinata ad una fase vetrosa

che li rende resistenti alla compressione ma sensibili alle tensioni e agli urti (sono fragili). La

cottura della terracotta si esegue ad una temperatura compresa tra i 700°C e i 1000°C. Talvolta,

alcuni manufatti ceramici “archeologici”, hanno solo sfiorato la temperatura di 600°C, ciò fa si che

questi reperti siano generalmente molto porosi.

Un’ulteriore caratteristica del materiale ceramico è la presenza o meno di un rivestimento che

può essere realizzato con colori a freddo o con colori ceramici; i primi coincidono con i rivestimenti

argillosi2, essi non richiedono alcun trattamento termico dopo l’applicazione e il loro colore

definitivo coincide sostanzialmente con quello che hanno al momento stesso dell’applicazione. I

colori ceramici, invece, sono detti anche smalti perché richiedono una ricottura del manufatto dopo

2 Possono essere definiti argillosi i rivestimenti prevalentemente a base di argille come ad esempio gli ingobbi e le patine ceramiche.

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la loro applicazione così da trasformare il materiale colorante in uno strato vetroso, inoltre, il loro

colore finale è molto diverso da quello di partenza.

Per quanto riguarda i ceramici senza rivestimento, essi caratterizzano il periodo preistorico e

romano e sono state utilizzate per la realizzazione di vasellame, urne, anfore, olpi, lucerne, buccheri

statuaria, oggettistica, elementi architettonici e ornamentali. Per quanto riguarda, invece, i ceramici

con “patina ceramica” essi costituiscono il vasellame greco (a “figure rosse” o “nere”) e il

vasellame romano del tipo “sigillate” chiare o italiche “a vernice nera”. La terracotta smaltata,

invece, è caratteristica del periodo medioevale.

METALLI

I reperti metallici possono essere costituiti da metalli puri (es.: Oro, Argento, Rame o Ferro) o da

leghe metalliche (es.: Bronzo, Peltro).

Quali prodotti finiti e non deteriorati, i metalli e le leghe metalliche sono: lucenti, duri, non sono

porosi, hanno una struttura cristallina ed una elevata resistenza meccanica, sono insolubili

nell’Acqua, si ossidano, sono attaccabili dagli acidi, dagli alcali e dai biodeteriogeni, non bruciano

ma possono fondere.

VETRI

Il vetro antico è ottenuto dalla fusione della Silice (sottoforma di sabbia) con gli alcali (Sodio, Potassio) e gli

alcalino-terrosi (es.: Calcio). Talvolta il Piombo può sostituire il Sodio conferendo al vetro una maggiore

trasparenza. Le colorazioni sono dovute all’aggiunta di coloranti di tipo ionico come il Ferro e il Manganese

o attraverso l’aggiunta di aggregati di sostanze coloranti.

I vetri, nel senso più stretto del termine, non hanno una struttura cristallina bensì uno stato amorfo

(stato di aggregazione di aggregazione di tipo vetroso). Pertanto, essi non possiedono una buona

resistenza alla compressione né alla tensione né agli urti (sono molto fragili). Sono caratterizzati

dalla trasparenza, variabile in base alle impurità, al contenuto di bolle d’aria e allo stato di

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conservazione (fanno eccezione le paste vitree). Presentano una leggera capacità di assorbimento,

sono sensibili agli sbalzi termici, hanno una discreta resistenza agli agenti chimici. Un eccesso o un

difetto di ossidi alcalini lo rendono particolarmente sensibile all’umidità. I vetri sodici sono

particolarmente sensibili all’Acqua, quelli con troppo carbonato di calcio hanno tendenza a

devetrificare. La devetrificazione avviene quando la struttura del vetro si avvicina a quella di un

cristallo, fragile poiché si possono creare dei piani di rottura lungo le superfici di sfaldamento dei

cristalli; è questa la ragione della delicatezza dei vetri antichi.

3.2 MATERIALI ORGANICI

OSSA E AVORI

Ossa e Avori hanno proprietà simili, a cominciare dalla composizione: entrambi sono costituiti,

per il 30% circa, da proteine (collagene, osseina) e grassi e da sali minerali a base di calcio (fosfato

di Calcio associato a carbonato e fluoruro di Calcio). Il componente organico e quello inorganico si

compenetrano tanto intimamente che le ossa e gli avori mantengono inalterate le proprie forme, sia

che si distruggano le sostanze organiche, sia che si disciolgono le sostanze minerali. Possiedono

entrambi una doppia struttura: spugnosa ed irregolare all’interno, compatta e laminata esternamente

(parte corticale). Quella dell’Osso è più porosa e discontinua; quella dell’Avorio più dura,

compatta, regolare.

Le tipologie di ossa reperibili nello scavo possono provenire da scheletri umani o animali, gli

scheletri umani sono costituiti da ossa “lunghe” che hanno due strutture e da ossa come quelle del

cranio, a sezione ricurva, che hanno invece, tre strutture, due esterne di tipo compatto e una interna

spugnosa.

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Infine, le ossa e gli avori sono stati utilizzati per la realizzazione di oggetti come dimostrano i

seguenti esempi:

Figura 2. Pantera in avorio intarsiato con lapislazzuli, Uruk (ca. III millennio a.C.)

Figura 3. Osso a globuli, Cultura di Castelluccio, Sicilia, 2200/2100-1400° a.c. età del Bronzo

LEGNO

Il legno proviene dagli alberi, ha una struttura differenziata costituita da cellule, organizzate in

tessuti rispondenti alle diverse esigenze connesse con la vita dell’ albero e condizionate dall’

ambiente. Il materiale si origina dal Cambio e si struttura in Corteccia, Alburno, Durame e Midollo.

3

c

b

a

Figura 4.

1 Corteccia; 2 Alburno; 3 Durame; 4 Midollo. a sezione longitudinale; b sezione trasversale; c sezione radiale.

2

4

1

Le specie legnose hanno un’anatomia differente a secondo se appartengono alla famiglia delle

Conifere o delle Latifoglie, inoltre, esse, hanno proprietà come la densità, la resistenza a flessione e

il modulo di elasticità che dipendono dalla specie legnosa d’origine.

Il legno è composto da lignina, cellulosa, emicellulosa, estrattivi e inclusi minerali.; la cellulosa

costituisce la struttura portante di ogni fascio, rivestito esternamente dalla lignina e si avvolge a

spirale all’interno dei tubi di lignina; l’emicellulosa, invece, occupa gli spazi tra la cellulosa e la

lignina.

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Il legno nell’antichità ha avuto un uso enorme per la costruzione di capanne, imbarcazioni,

palafitte. I ritrovamenti dei manufatti di legno possono avvenire sia sulla terraferma sia in acqua;

sulla terra ferma possiamo ritrovare resti di capanne ecc., in mare possono essere rinvenuti relitti di

navi, pali di capanne risalenti alle popolazioni palafitticole.

CUOIO

Il cuoio è ottenuto per trattamento chimico (conciatura) delle pelli animali. Le sostanze utilizzate

per tale trattamento (tannino, oli, fumi, ecc.) ne preservano il costituente principale, il collagene. Il

cuoio ha una struttura fibrosa “aggrovigliata” che gli conferisce una buona resistenza fisica.

Sebbene sia meno igroscopico del legno è comunque estremamente sensibile all’azione dell’Acqua

e all’attacco biologico; quest’ultimo può portare il cuoio al completo deterioramento.

RESTI VEGETALI E ALIMENTARI

Ne fanno parte i resti dei contenuti delle anfore usate per le libagioni o per il trasporto di olio e di

vino, i pollini archeologici e le tracce di piante e di radici sul terreno. Tali resti sono una fonte

molto preziosa perché danno informazioni circa la vita, l’alimentazione, la cultura e l’ambiente

delle società che ci hanno preceduto.

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MATERIALI REPERIBILI I UNO SCAVO PREISTORICO

MATERIALI INORGANICI

CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI

MATERIALI LAPIDEI • Pitture parietali, Graffiti, Statuette

TABELLA II

• Suoli e Murature

• Strumenti

Figura 5. Pittura rupestre, Altamira (Spagna), Paleolitico superiore.

CERAMICHE • Ceramica con decorazione impressa

• Ceramica con decorazione incisa

• Ceramica con decorazione dipinta

Figura 6. Ceramica tricromica, cultura di Stentinello (Sicilia), Neolitico medio.

METALLI • Oggetti in Rame

• Oggetti in bronzo

• Oggetti in Ferro

• Oggetti in materiali preziosi

Figura 7. Coppa d’oro, cultura di S.Angelo Muxaro – Polizzello (Sicilia), età del ferro

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MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO DI ETA’ CLASSICA

CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI

MATERIALI LITICI • Epigrafi

TABELLA II

• Pitture murali • Statue

• Suoli in “opus signinum” “opus sectile” e

“mosaicati”

CERAMICHE

• Ceramica figurata e non

Figura 8. Pittura su tufo, Tarquinia, 450 circa a.C.

Figura 9. Vaso greco a figure rosse, 510 – 500 a.C.

METALLI • Monete

• Lastre in bronzo

• Oggetti d’uso comune e d’ornamento personale

• Armi

Figura 10. Locri Epizefiri, Tabella di bronzo scritta.

VETRI

• Vetri colorati e non, d’uso comune e per la mensa

Figura 11. Vasi Romani della fine del I sec. a. C.

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MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO MEDIEVALE

CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI

MATERIALI LAPIDEI

TABELLA II

• Epigrafi

• Pitture murali • Statue

• Suoli in “opus signinum” “opus sectile” e

“mosaicati”

Figura 12. Mosaico pavimentale, Piazza Armerina, IV sec. d.C.

CERAMICHE • Ceramica invetriata • Ceramica smaltata

• Ceramica piombifera

• Ceramica stannifera

Figura 13. Ceramica smaltata.

METALLI • Monete • Lastre in bronzo

• Oggetti d’uso comune e d’ornamento

personale

• Armi Figura 14. Puntali di cintura in bronzo

altomedievali. VETRI

• Vetri colorati e non, d’uso comune e per la mensa

Figura 15. Bottiglia ad ampolla, Gela (Sicilia) fine XIII sec.

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MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO PREISTORICO

MATERIALI ORGANICI

CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI

OSSA E AVORI

• Ossa umane e animali • Denti

• Capelli

• Spilloni

• Bottoni

LEGNI

• Relitti

Pali di capanne

RESTI VEGETALI E ALIMENTARI

• Pollini

Semi

• Frumento

• Paglia

TABELLA III

Figura 17. Resti di palafitte, II millennio a.C. Fiavè (Trento)

Figura 18. Cereali selvatici e domestici.

Figura 16. Sep litica, Barma Grand so Imperia.

oltura di epoca Paleoe dei Balzi Rossi pres

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MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO DI ETA’ CLASSICA

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CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI OGGETTI OSSA E AVORI

• Ossa umane e di animali • Denti, Capelli

• Pettini

• Spilloni

• Bottoni

LEGNI

• Relitti

• Pali di capanne

Figura 19. Tomba femminile, Alianello (Basilicata).

CUOIO

• Calzature

• Foderi

• Rivestimenti di scudi

Figura 20. Resti lignei,Ercolano.

Figura 21. Calzari romani.

RESTI VEGETALI E ALIMENTARI

• Pollini • Semi

• Frumento

• Paglia

• Recipienti contenenti vino e olio

Figura 21. Anfora olearia, I sec. a.C.

TABELLA III

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MATERIALI REPERIBILI IN UNO SCAVO MEDIEVALE

CLASSI MATERICHE PRINCIPALI TIPOLOGE DI OGGETTI

• Ossa umane e di animali OSSA E AVORI

TABELLA III

• Denti, Capelli

• Pettini

• Spilloni

• Bottoni

Figura 23. Pettine in osso, Villa Oliveti di Rosciano, altomedioevo.

LEGNI • Relitti

• Pali di capanne

Figura 24. Relitto tardoromano.

CUOIO

• Calzature

• Foderi

• Rivestimenti di scudi

RESTI VEGETALI E ALIMENTARI

• Pollini • Semi

• Frumento

• Paglia

• Recipienti contenenti vino e olio

Figura 25. Abbigliamento maschile Longobardo.

Figura 26. Semi deposti in tomba, Arsalo Seprio.

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3.3 MATERIALI REPERIBILI IN SCAVI EXTRAEUROPEI

Esempi di manufatti in materiali organici e inorganici appartenenti ai tre periodi Preistoria –

età classica - Medioevo

Figura 27. Imbarcazione in legno e corda; Egitto. Figura 29. Muro decorato, Trujlo, Perù.

Figura 28. Poncho, in lana e cotone; Perù Figura 30. Cina, Xi’ an; Guerrieri di terracotta

TABELLA IV

29

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3.4 FATTORI DI DEGRADO INTRINSECI ED ESTRINSECI

MATERIALI INORGANICI

LAPIDEI

La porosità è, più di ogni altro, il fattore responsabile del comportamento dei materiali in pietra.

Nel sottosuolo umido o bagnato, essa consente all’Acqua (liquida o vapore), di avere accesso

all’interno del corpo di un reperto e di percorrere ogni canale della sua struttura, sino ad

impregnarlo completamente. Durante il percorso, l’Acqua deposita le sostanze in essa disciolte o

sospese (acidi, basi, sali, gas, biodeteriogeni, ecc.), ognuna delle quali, interagisce con la pietra,

innescando reazioni chimiche (es.: acidi con composti carbonatici) o dando luogo a fenomeni fisici

ciclici (es.: cristallizzazione / deliquescenza dei sali). L’Acqua stessa, nel caso di temperature sotto

gli 0°C può gelare, trasformandosi in cristalli solidi di volume maggiore che crescono all’interno

dei pori più grandi. In seguito all’attacco acido le pietre di natura carbonatica possono subire

fenomeni di parziale dissoluzione e lisciviazione, che impoveriscono la microstruttura interna. I

fenomeni di cristallizzazione causano forti stress fisici alla struttura fino a provocare lesioni sempre

più ampie, fratture esfoliazioni, distacchi di parti1.

CARAMICA

La porosità della maggior parte dei manufatti ceramici “archeologici” fa si che restino sensibili

alla migrazione dei sali solubili che provocano danni nei confronti del sistema

supporto/rivestimento e alla variazione di stato dell’acqua che avviene all’interno dei pori.

Le temperature relativamente basse di cottura favoriscono i fenomeni di riargillificazione in

seguito al contatto dei manufatti con l’acqua.

In generale gli acidi, invece, sono in grado di attaccare il materiale ceramico cambiandone la

composizione, altrettanto possono fare anche i sali solubili innescando reazioni chimiche dannosi

1 I vocaboli da usare per la definizione delle alterazioni macroscopiche dei materiali lapidei sono contenuti nella Normal 1/88.

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per i manufatti stessi; altre reazioni chimiche che si possono verificare sono la ricarbonatazione

dell’ossido e dell’idrossido di calcio da parte dell’anidride carbonica atmosferica e le reazioni

generate dagli inquinanti atmosferici veicolati dall’aria e dall’acqua.

Alcune procedure, come il semplice lavaggio con acqua, o la pulitura in generale, possono

provocare fenomeni di lisciviazione cioè l’asportazione di uno o più componenti dal materiale

ceramico, sono assolutamente escluse le puliture effettuate con acidi e, invece, sono da praticare le

puliture che prendono in considerazione il tipo di manufatto ceramico e il suo stato di

conservazione.

METALLI

I metalli, ottenuti artificialmente (fatta eccezione per l’oro), reagiscono con elementi esterni (O2,

SO2, CO2, H2O, sali, acidi, ecc.) contenuti nel suolo o nell’aria dando vita a processi di corrosione. I

processi di corrosione hanno luogo in ambienti con presenza di umidità e Ossigeno e sono generati

da un attacco di tipo elettro-chimico ai danni del metallo. Durante il periodo di interramento, i

processi di corrosione apportano le maggiori trasformazioni chimiche, dopodiché si stabilisce un

equilibrio tra il metallo e l’ambiente. L’equilibrio si interrompe e la corrosione si riavvia durante la

messa in luce.

VETRI

Il vetro “archeologico” è soggetto a corrosione. Si può dire che il fenomeno è determinato dalla

perdita selettiva del Sodio e del Potassio, a partire dal primo strato superficiale, il quale, di

conseguenza, diventa particolarmente fragile. In seguito alla corrosione il vetro può presentare

caratteristici effetti di deterioramento: porosità, puntinatura, opalescenza (parziale perdita di

trasparenza), iridescenza associata ad effetti madreperlacei e/o argentei, cristallizzazione

superficiale (aspetto saccaroide), esfoliazioni degli strati corrosi, distacchi e assottigliamento.

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MATERIALI ORGANICI

OSSA

La composizione, unitamente alla struttura, rende i materiali ossei “archeologici” meno soggetti

a putrefazione e, più in generale, al deterioramento, rispetto ad altri reperti organici; tuttavia essi

possono essere colonizzati da muffe e batteri. In un terreno umido o bagnato subiscono l’idrolisi

dell’Osseina; più in generale, la componente organica è soggetta all’attacco alcalino mentre la

componente minerale è soggetta all’attacco acido.

LEGNO

Il legno subisce i danni maggiori se interrato in sottosuoli umidi e areati: viene attaccato dalle

muffe e dai funghi, in particolare la cellulosa viene degradata dalle sostanze acide e alcaline qualora

queste siano particolarmente concentrate, raramente si conserva. In suoli o ambienti asciutti, il

legno può essere attaccato da tarli.

Al contrario, se il suolo è scarsamente areato, molto umido e bagnato, aumentano le probabilità

di conservazione. In quest’ultimo caso il legno assorbe grandi quantità d’Acqua fino a saturazione:

l’Acqua dissolve lentamente la cellulosa (idrolisi) fino a sostituirla quasi del tutto.

CUOIO

Il cuoio può essere rinvenuto, talvolta in discrete condizioni, qualora il suolo di interramento sia

completamente asciutto oppure completamente bagnato, il tenore di Ossigeno sia molto basso e il

pH acido. Come accade per il legno, l’Acqua svolge una doppia azione: dapprima solubilizza alcuni

componenti (es.: i tannini), poi colma i vuoti chimici provocati dai fenomeni di lisciviazione e

idrolisi, diventando essa stessa parte integrante e supportante della struttura. Il cuoio si comporta

come un “filtro”: trattiene diversi materiali inorganici (es.: carbonati, silicati, ossidi, ecc.)

trasportati dall’Acqua, con preferenza per i sali insolubili del Ferro: mentre i primi cristallizzano

all’interno della struttura fibrosa contribuendo al suo sfaldamento, i secondi infondono una

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colorazione bruno nerastra al cuoio e lo rendono ulteriormente fragile. Il cuoio può laminarsi già

durante l’interramento.

RESTI VEGETALI E ALIMENTARI

Il degrado è legato alla decomposizione a cui vanno incontro in seguito alla permanenza nel

terreno. I pollini possono fossilizzarsi, qualora ci sono le condizioni adatte, mentre le radici e i resti

alimentari si conservano meno facilmente.

IL SUOLO

Il suolo può essere composto da 4 tipi di particellati, spesso alternati o mescolati fra loro:

sabbia, terriccio più o meno grasso, limo e argilla. Un terreno sabbioso è ricco di Ossigeno (O2), è

permeabile all’Acqua (H2O); viceversa, un deposito argilloso assorbe e trattiene grandi quantità d’

acqua ed è poco permeabile ai gas atmosferici, quali ad esempio Ossigeno, Anidride

Carbonica(CO2) e Anidride Solforosa (SO2). L’Acqua, nel suolo come altrove, gioca un ruolo

fondamentale ai fini degli equilibri chimici, fisici e biologici: scatena reazioni chimiche e vi

partecipa, agisce sia come solvente sia come veicolo delle sostanze solute, umidifica o bagna, fino

ad impregnazione, sia il suolo sia i materiali porosi, determinando fenomeni fisici il più delle volte

dannosi nei riguardi di questi ultimi. Il pH del suolo, normalmente, è situato tra 5 e 9 e da 2 a 11 nei

casi estremi. Il pH del suolo può variare nel caso in cui si verifichino pioggie che determinino un

apporto di Idrogeno (H+), che, combinato con l’Anidride Carbonica (CO2) forma l’Acido Carbonico

(H2CO3). L’Anidride Carbonica è prodotta anche dalle radici e dai microrganismi che in presenza di

acqua fanno aumentare l’acidità del suolo. Un suolo ricco di ioni alcalini (Na+, K+) o alcalino-

terrosi (Ca2+, Mg2+), molto probabilmente ha una predominanza basica. La neutralità è raggiunta a

valori di pH intorno a 7. Sia la temperatura, sia l’Ossigeno, generalmente diminuiscono verso la

profondità del suolo. Ciò fa supporre che negli strati più bassi del suolo vi siano maggiori

probabilità che i materiali si conservino meglio e più a lungo.

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ASPETTI CLIMATICI

Hanno un ruolo determinante sulla conservazione dei reperti archeologici. In particolare la

temperatura (T) influenza la velocità delle reazioni chimiche, un riscaldamento comporta

l’espansione dei materiali e un raffreddamento generalmente la loro contrazione (con l’eccezione

dell’acqua); inoltre in certe gamme di temperatura si può sviluppare la vita biologica (es.: piante,

batteri); infine la temperatura influenza direttamente l’umidità relativa (UR) dell’aria e, quindi, lo

stato di equilibrio dei materiali con l’atmosfera circostante. In riferimento ai fattori che la

influenzano la T dell’aria è strettamente collegata alla presenza dei raggi infrarossi (IR) e, pertanto,

sarà direttamente proporzionale alla durata dell’irradiazione solare e alla sua intensità.

Un altro aspetto climatico importante è l’umidità assoluta (UA) dell’aria che è strettamente

collegata alle precipitazioni e ai fenomeni di evaporazione dei corsi d’acqua e del terreno; l’ UR,

invece, è il risultato della correlazione fra UA e T. La variazione dei valori di T e UR è

determinante per la conservazione dei materiali archeologici soprattutto quando essa è molto

repentina, in quanto, lascia pochissimo tempo ai materiali per trovare un equilibrio, innescando

sollecitazioni meccaniche causate dall’assorbimento e dal rilascio di umidità; l’evaporazione di

acqua dal materiale saturo porta, anche, alla formazione di cristalli salini, le cosiddette

efflorescenze, prodotte dalla precipitazione dei sali disciolti nell’acqua che cristallizzando

aumentano di volume. Altre sollecitazioni possono essere causate dall’azione meccanica dell’acqua

di precipitazione, dai fenomeni di gelo/disgelo e, per alcuni di essi, dall’assorbimento dell’acqua in

fase liquida con conseguente aumento del volume.

Infine, i fattori ambientali non controllati, uniti a un’assenza di ventilazione e di luce possono

provocare la proliferazione di microrganismi sui manufatti di origine organica o su altri manufatti

purchè sia presente una fonte di nutrimento organica.

All’interno degli aspetti climatici come fattori estrinseci di degrado, rientrano senz’altro gli

inquinanti atmosferici prodotti da processi naturali ma soprattutto dalle attività antropiche. Fra gli

inquinanti gassosi, i più comuni sono gli ossidi di zolfo e di azoto ci sono poi le polveri metalliche (

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come il piombo degli scarichi delle automobili ) che possono fungere da catalizzatori in determinate

reazioni. Gli inquinanti atmosferici possono innescare fenomeni chimici di degrado nei manufatti

archeologici, oppure limitarsi a formare delle incrostazioni.

Tra le reazioni chimiche più comuni possiamo annoverare le “croste nere” che sono il risultato

della reazione tra l’acido solforico (H2SO4) e il carbonato di calcio; il prodotto finale è chiamato

crosta nera o più in generale crosta perché il solfato di calcio che si genera dalla suddetta reazione

forma un’incrostazione che tende a essere dilavata con il conseguente impoverimento materico per i

manufatti a base di calcare.

Un’altra reazione chimica è provocata dall’anidride carbonica che disciolta in acqua forma

l’acido carbonico (H2CO3) il quale reagisce con i manufatti a base di calcare per produrre

bicarbonato di calcio Ca(HCO3)2 che è un sale molto solubile.

Le incrostazioni, invece, possono essere provocati dal particellato atmosferico, generalmente

di colore scuro, che può creare dei problemi al momento della sua rimozione qualora sia molto

spesso e molto ben ancorato al supporto.

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4. PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTO INTERVENTO

PROCEDURE E

ATTEGGIAMENTI CORRETTI

DURANTE LO SCAVO

PROCEDURE DOPO LO SCAVO

A SCAVO EFFETTUATO

METODOLGIE

DURANTE L’ESTRAZIONE

OPERAZIONI DI

CONSOLIAMENTO

PRIMA PULITURA

COPERTURE E PROTEZIONI

TEMPORANEE

OPERAZIONI DI

PRELIEVO

PREVENZIONE

DALL’ATTACCO BIOLOGICO

ALTRE OPERAZIONI

OPERAZIONI DI

CONSERVAZIONE

DOCUMENTAZIONE

PRIMO IMBALLAGGIO

REGISTRAZIONE ED ETICHETTATURE

DEPOSITO TEMPORANEO IN SITO

GRAFICO III

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CAPITOLO 4

PROCEDURE E TECNICHE DI PRONTOINTERVENTO

Le procedure e le tecniche di pronto intervento comprendono tutte quelle pratiche da adottare

durante lo scavo, per evitare la perdita di informazioni e drastici interventi di restauro dopo la messa

in luce.

Le metodologie di estrazione devono valutare il tipo di reperto, il suo stato di conservazione, i

casi in cui è possibile asportare il terreno in prossimità dei reperti, i tempi di sosta degli stessi

nell’area di scavo ed infine gli strumenti idonei da utilizzare in prossimità delle loro superfici.

Altrettanto idonei devono essere gli strumenti per la prima pulitura che devono soltanto togliere la

terra o il fango attraverso l’applicazione di acqua. A tal fine possono essere usati pennelli di setole

naturali di lunghezza variabile e spugnette. Tra gli accorgimenti sono consigliati, anche, le

coperture e le protezioni temporanee. Le coperture che spesso vengono utilizzate sono costituite da

una struttura portante verticale, da una struttura portante di copertura e da una tettoia che può essere

realizzata in laminati plastici di Poliestere rinforzati con fibre di vetro, con lamiere metalliche

“grecate” oppure su siti particolarmente esposti all’irraggiamento diretto del sole con pannelli

metallici coibentati. Ovviamente si possono realizzare altri tipi di coperture in funzione dell’area di

scavo e ad altre esigenze.

Le protezioni temporanee possono comprendere i teli in “plastica”, impermeabili, solitamente

in PoliEtilene (PE) che risultano appropriati per la protezione di reperti organici rinvenuti in terreni

umidi o bagnati, se invece sono impiegati per coprire le strutture si deve porre attenzione al fatto

che l’impermiabilità di tali teli può rivelarsi dannosa, perché l’acqua si può accumulare producendo

pericolose sollecitazioni alle strutture emergenti e alle creste dei muri e inoltre può formarsi, al di

sotto di essi, un microclima che favorisce la crescita di piante e colonie batteriche le quali

indeboliscono e impoveriscono i materiali. La dimensione dei teli è importante affinché la

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rimozione degli stessi non diventi, in una fase successiva pericolosa per le strutture e problematica

per gli addetti ai lavori; inoltre, con l’abbassamento della temperatura nelle ore notturne, si

producono fenomeni di condensazione che bagnano inevitabilmente i reperti. Risulta, inoltre

indispensabile un controllo periodico delle condizioni dei teli in PE, in quanto sono soggetti a

deterioramento relativamente rapido se sottoposti a prolungato irraggiamento solare e in caso di

fenomeni di gelo. Altrettanto utili sono i tessuti per “colture protette”, di cui fanno parte le reti

ombreggianti e i tessuti per pacciamatura. Le prime sono composte da filamenti di PoliEtilene

(HDPE) e il loro uso nelle campagne di scavo è dovuto al fatto di essere traspiranti, leggere e facili

da montare. I tessuti per pacciamatura, invece, sono composti da trame fitte di PoliPropilene (PP) e

nello scavo possono essere impiegati come passatoie protettive su superfici stratigrafiche, per

recinzioni o coperture ombreggianti provvisorie. Altri tipi di tessuto utilizzati per la protezione

temporanea possono essere i tessuti-non-tessuti e i geotessuti. I tessuti-non-tesuti sono composti da

sottili filamenti di PP stabilizzato ai raggi UV saldati tra loro per termo-pressione. Vengono

impiegati, inoltre, durante la movimentazione di piccoli reperti archeologici “mobili” e nelle fasi

d’imballaggio. I geo-tessuti sono ottenuti dalla combinazione di fibre di Poliestere (PET) e sono

caratterizzati da una forte resistenza alla trazione, si prestano ad essere modellati a contatto con

superfici di pavimentazione e non sono impermiabili. Un loro uso improprio, qualora vengano usati

per coprire le superfici in elevato, può determinare la compromissione degli spigoli delle creste,

inoltre i geo-tessuti si comportano come ricettori di polvere, terra, acqua e sporco in genere e

subiscono un deterioramento meccanico relativamente veloce. Non se ne conoscono al momento

molti esempi di applicazione nel campo della conservazione, ma il Gore-Tex che è una membrana

con una struttura micro porosa, inattaccabile dagli acidi e dagli agenti chimici e biologici, assicura

una perfetta impermeabilità e traspirazione.

All’interno delle protezioni temporanee si possono distinguere le protezioni localizzate, assolvono a

questa funzione le piccole coperture modulari che possono essere facilmente posizionate e rimosse

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al di sopra del reperto. A scopo esemplificativo è possibile prendere in considerazione un prototipo

realizzato nel 1999 dal Servizio Beni Archeologici della Regione Autonoma Valle d’Aosta:

Figura 31. Applicazione per una protezione localizzata temporanea di una sepoltura in corso di scavo. Il prototipo è costituito da una struttura portante in archi di trafilato in ferro zincato e da un tessuto in poliestere di colore blu scuro.

Un altro tipo di protezione localizzata è il “wafer climatico”. Di questo tipo di intervento

possono essere realizzate diverse varianti, in particolare quello per l’intervento sui reperti di origine

organica di piccole e medie dimensioni impregnati d’acqua e molto delicati, consiste nel fare

aderire una pellicola sottile di PE per “alimenti” al reperto, a questa si sovrappone delicatamente

del fango e si ricopre il tutto con un foglio di Alluminio.

Delle vere e proprie azioni di pronto intervento sono le operazioni di stabilizzazione,

realizzabili attraverso la puntellatura, delle grandi porzioni di intonaco, le cinghiature e i bendaggi

affinché parti non coese si perdano.

Per la riadesione o la ricoesione di parti o frammenti si possono eseguire fissaggi e

consolidamenti entrambi con materiali specifici1.

1 Per i fissaggi si possono usare le resine acriliche in soluzione (es.: PARALOID B-72 al 20% in Acetone), oppure colle monocomponenti a base di nitrato di cellulosa o a base di copolimeri clorovinilici e chetonici. Per i consolidamenti si possono usare resine acriliche e viniliche in soluzione o in emulsione oppure materiali inorganici come l’ Idrossido di Calcio, l’Idrossido di Bario e i Silicati di Etile.

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Uno dei problemi d’affrontare durante il pronto intervento sullo scavo è il consolidamento e la

stabilizzazione delle stratigrafie.

Durante le fasi di scavo, può essere necessario prelevare il reperto insieme alla zolla di terreno

che lo contiene, per quest’azione si fa ricorso a due tecniche; il prelievo in blocco senza supporto,

che permette di prelevarlo insieme alla zolla di terra e il prelievo in blocco con supporto che

permette di prelevarlo dopo la stabilizzazione del terreno circostante.

Tra le operazioni finalizzate alla salvaguardia dell’intera area archeologica rientra la

prevenzione dell’attacco biologico, che può essere eseguito attraverso l’uso di diversi mezzi fisici,

meccanici e chimici2. Quest’ultimi possono essere o ad ampio spettro che permettono lo sterminio

della maggior parte degli agenti biologici, o selettivi che debellano soltanto la specie nociva.

Dopo la fase di recupero viene la fase di imballaggio, che deve essere effettuata con tecniche e

materiali idonei. L’imballaggio dovrà tenere conto delle classi materiche, dello stato di

conservazione e della dimensione dei reperti. I contenitori e sub – contenitori saranno

compatibilmente alle risorse economiche dello scavo, idonei soprattutto con i materiali di origine

organica e quindi dedicati ad essi (Carton-plum, Buste non acide ecc.). Le informazioni relative ai

reperti: la documentazione, le registrazioni, l’etichettatura e l’annotazione di informazioni di

carattere anagrafico-amministrative gestionali vengono effettuati secondo un criterio utile sia

all’archeologo che al conservatore. La documentazione, costituisce una fonte di riferimento per

valutare l’evoluzione dello stato di conservazione dei reperti e una registrazione scritta del giornale

di cantiere con annotate le indicazioni che fanno riferimento al tipo di prodotti usati, al tipo di

diluizione e alle modalità di applicazione. Le registrazioni vengono effettuate su moduli prestampati

contenenti dati relativi al sito, al contenitore e al reperto. L’etichettatura è eseguita sia sui

contenitori da trasporto che sui sub-contenitori, queste non devono rilasciare sostanze dannose per i

reperti e non devono deteriorarsi, a questo scopo possono essere utilizzate etichette in PP ed in PE. I 2 I mezzi meccanici non consentono la rimozione delle spore e quindi hanno una efficacia limitata nel tempo, i mezzi fisici, come i raggi U.V., i raggi Gamma, le correnti a bassa frequenza, le basse temperature e gli ultrasuoni, possono danneggiare i materiali del substrato.

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dati trascritti devono essere leggibili essenziali e stabili, a tale scopo è preferibile utilizzare

pennarelli ad alcol o a vernice stabili. Realizzato un corretto imballaggio i reperti possono sostare

per un periodo più o meno lungo in un deposito temporaneo in sito. Fra i depositi inadatti per i

materiali di origine organica, tra quelli impiegati abitualmente, si collocano le “baracche”

prefabbricate in lamiera zincata oppure le serre “a tunnel” in teli di PE trasparente.

Opportunamente, invece, vengono utilizzate piccole coperture mobili e strutture semifisse di medie

dimensioni costituite appositamente. Tra le coperture mobili posseggono dei buoni requisiti quelle

costituite da piccole strutture leggere e da tessuti oscuranti in PET per tende da sole o da tende da

accampamento in cotone o in PET, o infine, i gazebo per stand con teli in PET anziché in

PoliVinilCloruro (PVC). Come strutture fisse, invece, possono essere impiegati i prefabbricati in

laminati coibentati con schiume poliuretaniche e i container abitativi in pannelli coinbentati.

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5. CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE

REPERTI MOBILI

MUSEALIZZAZIONE

IMMAGAZZINAMENTO

ALL’APERTO

REINTERRO

MUSEALIZZAZIONE SOTTO STRUTTURE DI PROTEZIONE

ALL’INTERNO DI EDIFICI

PROVVISORIO

DEFINITIVO

STRUTTURE

LA CONSERVAZIONE A

LUNGO TERMINE

GRAFICO IV

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CAPITOLO 5

CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE

La conservazione a lungo termine riguarda sia i reperti mobili che le strutture.

I reperti possono essere esposti in un museo oppure essere immagazzinati, qualora la scelta

del detentore del museo ricada su quest’ultima possibilità. In entrambi i casi è necessario che

l’ambiente sia idoneo alla conservazione dei reperti, l’esposizione funzionale alla fruizione e

l’immagazzinamento alla consultazione.

I fattori di degrado vengono evitati se l’ambiente viene monitorato attraverso i

termoigrografi e l’esposizione avviene all’interno di vetrine, è possibile rendere adatti gli

ambienti attraverso l’istallazione di termoconvettori o ventilatori (rispettivamente per

l’innalzamento e l’abbassamento della temperatura) e di deumidificatori.

Anche le vetrine devono avere un microclima controllato e devono essere evitati gli

scambi d’aria con l’ambiente esterno. Ottime vetrine, funzionali alla fruizione e alla

conservazione, sono predisposte di alloggiamenti per i prodotti essiccanti (gel di silice) di

lastre di vetro che hanno subito un processo antiriflettente e hanno dispositivi di

illuminamento a fibre ottiche contenenti bassi valori di raggi U.V., dannosi per i materiali.

I magazzini adibiti alla conservazione dei reperti archeologici, quindi, non devono essere

umidi e freddi ma i valori termoigrometrici devono potere essere controllati attraverso

l’istallazione di termoconvettori e deumidificatori e, infine, è necessario che “la gestione…

sia simile a quella delle biblioteche…”1

1 G. DE BENEDICTIS, L’Archeologo da ripensare, in I Beni Culturali tutela e valorizzazione, 2001, p.18.

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Figura 32. Deposito “temporaneo” sul cantiere archeologico. In questo caso non sono state rispettate le norme sulla conservazione.

Figura 33. Deposito di materiale archeologico. In questo caso potrebbe non essere favorita la consultazione.

La musealizzazione delle strutture può essere fatta all’aperto, sotto strutture di protezione o

all’interno di edifici. La musealizzazione all’aperto favorisce la fruibilità cercando una

conservazione duratura anche attraverso la realizzazione di “copertine” in muratura sulle

strutture da proteggere. Le “copertine” devo essere distinguibili dalla muratura originaria, e

devono avere una resistenza ai fattori metereologici inferiori a ciò che devono proteggere.

Queste pratica perciò presuppone un attento monitoraggio e un programma di manutenzione,

qualora esso non dovesse avvenire si verificherà il deterioramento dello strato di sacrificio (le

copertine) e delle strutture.

La musealizzazione sotto strutture di protezione dovrebbe tutelare il sito da critiche

condizioni climatiche e dovrebbe salvaguardare i manufatti di alto valore, ciò è possibile sulle

strutture di medie dimensioni che richiedono un tipo di protezione superiore alla semplice

musealizzazione all’aperto, ma non sempre riescono nell’intento.

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Le possibilità di coperture sono varie e possono fare ricorso a strutture ed a materiali diversi,

sarà il caso per caso a determinare la scelta, ma una copertura comunque deve assicurare:

- la resistenza agli agenti atmosferici locali,

- la facile manutenzione della struttura stessa.

La musealizzazione all’interno di edifici può essere effettuata qualora lo scavo si trovi già

all’interno di un edificio e quando un monumento importante debba essere protetto da avverse

condizioni climatiche. Entrambe le ipotesi esigono una realizzazione e una progettazione

estremamente accurate, che tenga in considerazione l’ambiente esterno e l’interazione di esso

con l’ambiente espositivo. La progettazione non può prescindere da:

- l’utilizzo di coperture con materiali coibentati,

- accurato drenaggio e canalizzazione delle acque piovane attorno all’edificio,

- adeguato impianto per stabilizzare l’UR anche in caso di assidua presenza di

visitatori,

- adeguato controllo dell’illuminazione, nella fattispecie dei raggi infrarossi ed

ultravioletti

- disponibilità economica pere le spese di manutenzione ordinarie e straordinarie, per il

personale di sorveglianza, per il monitoraggio del clima e la manutenzione degli

impianti di climatizzazione

- L’ utilizzo di fonti luminose non a luce diretta e compatibili con la conservazione.

Il reinterro può essere, invece, provvisorio o definitivo. Il reinterro provvisorio può essere

eseguito attraverso:

• i geo-tessuti che separano le strutture dal riempimento il quale deve essere esente da

sali solubili ed impurità metalliche

• l’argilla espansa oppure il polistirolo espanso che garantisce la sua facile rimozione.

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Il procedimento da seguire per l’utilizzo corretto di quest’ultimo mezzo è il seguente: si usano

grandi e piccoli blocchi di polistirolo, per colmare rispettivamente grandi e piccole cavità, al

di sopra di essi vengono posti strati di geo-tessuti per evitare che il terreno di riporto possa

raggiungere lo strato archeologico.

Il reinterro definivo viene intrapreso quando lo scavo ha fornito tutte le informazioni ottenibili

e quando il suo potenziale archeologico non ne motiva la musealizzazione.

In questo caso si dovrebbe tenere presente che l’area archeologica potrà essere scavata in

futuro e che si dovranno utilizzare materiali di riempimento riconoscibili e stabili

chimicamente.

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CONCLUSIONI

A conclusione del lavoro di ricerca mi preme sottolineare che nel materiale trovato in

letteratura spesso si evidenzia il problema della conservazione dello scavo archeologico, in quanto è

doveroso rispettare tali testimonianze che si trovano, spesso, in uno stato di conservazione molto

compromesso, a causa di fattori naturali o antropici.

Il Corso di Laurea da me intrapreso tre anni fa ha lo scopo di creare figure professionali che

operano per la conservazione intesa come salvaguardia del messaggio oggettivo contenuto nei Beni

Culturali, attraverso l’insegnamento delle discipline scientifiche teoriche e pratiche e di quelle

umanistiche comprendenti: la storia, la teoria del restauro, la storia dell’arte che hanno sviluppato il

mio senso critico.

Infine voglio dire che alcune delle pratiche di conservazione da me analizzate nel capitolo del

pronto intervento e della conservazione a lungo termine, risultano essere oggi come desuete, ma il

loro utilizzo è spiegato nella letteratura a cui ho fatto riferimento. Quindi è auspicabile che nel

settore della conservazione dei beni archeologici si intraprendano sperimentazioni per l’uso di nuovi

materiali che hanno la funzione di prevenire certe tipologie di degrado, tenendo sempre presente

che “ogni opera d’arte è un unicum (…). Pertanto anche le indagini da compiere, i rilevamenti, le

cautele, non saranno mai le stesse (…)” (C.BRANDI, Teoria del restauro, Einaudi, 1977); inoltre

poiché il restauro non è una scienza esatta ma la sua interpretazione può cambiare in futuro e

portare a nuove conclusioni, bisogna che si rispettino i principi della riconoscibilità, minimo

intervento, compatibilità espressi anch’essi, ampiamente, nella Teoria del restauro di Cesare

Brandi.

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RINGRAZIAMENTI

Devo iniziare i ringraziamenti con due persone straordinarie vale a dire il Prof. Pancucci e la

Prof.ssa Lombardo che mi hanno sostenuto, incoraggiato, aiutato e che mi hanno fatto conoscere

alcuni aspetti del vasto argomento oggetto della mia tesi di Laurea.

A loro vorrei aggiungere la dott.ssa Alfano, le bibliotecarie e la Prof.ssa Pellegrino, dipendenti

del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro.

Un particolare ringraziamento ai docenti di tirocinio e ai loro assistenti tecnici.

Grazie anche ai colleghi con i quali ho trascorso gli ultimi tre anni di studi nel migliore dei modi.

Poi un grazie di vero cuore a tutti i Professori per i loro spunti stimolanti e per la loro

disponibilità.

Una menzione particolare, infine, all’Università degli studi di Palermo e al Centro Regionale

per la Progettazione e il Restauro e a tutti i loro dipendenti per l’assistenza prestata e per la

possibilità che ci hanno offerto di avviare questo innovativo Corso di studi a Palermo.

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ELENCO ILLUSTRAZIONI

• Figura 1. Metodo Wheeler – Kenyon. Elaborazione personale.

• Figura 2. Pantera in avorio intarsiato. Immagine tratta dal testo: Dalla preistoria all’antico

Egitto, AA.VV., la Biblioteca di Repubblica 2004.

• Figura 3. Osso a globuli. Immagine contenuta nelle dispense di Preistoria e Protostoria, 2005

• Figura 4. Struttura del legno. Immagine contenuta nelle dispense di Scienze e Tecnologie dei

materiali 2003.

• Figura 5. Pittura parietale. Immagine tratta dal testo: Dalla preistoria all’antico Egitto,

AA.VV., la Biblioteca di Repubblica 2004, pag.

• Figura 6. Ceramica tricromia. Immagine contenuta nelle dispense di Preistoria e Protostoria,

2005.

• Figura 7. Coppa d’oro. Immagine contenuta nelle dispense di Preistoria e Protostoria, 2005.

• Figura 8. Pittura su tufo. Immagine tratta dal testo: Arte in Occidente, E. BAIRATI

A.FINOCCHI, Loescher 1995.

• Figura 9. Ceramica a figura rosse. Immagine tratta dal testo: L’arte Italiana, P.ADORNO,

D’Anna 1992.

• Figura 10. Lastra in bronzo. Immagine tratta dal web.

• Figura 11. Vetri del I sec. a.C. Immagine contenuta nelle dispense di Degrado dei materiali e

Diagnostica, 2004.

• Figura 12. Mosaico pavimentale. Immagine tratta dal web.

• Figura 13. Ceramica smaltata. Immagine tratta dal web.

• Figura 14. Puntali in bronzo. Immagine tratta dal web.

• Figura 15. Bottiglia ad ampolla. Immagine tratta dal testo: Federico e la Sicilia, AA.VV., 2000.

• Figura 16. Sepoltura paleolitica. Immagine tratta dal testo: Dalla preistoria all’antico Egitto,

AA.VV., la Biblioteca di Repubblica 2004, pag.

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• Figura 17. Palafitte. Immagine tratta dal testo: L’arte Italiana, P.ADORNO, D’Anna 1992.

• Figura 18. Cereali selvatici e cereali domestici. Immagine tratta dal testo: Archeologia, teorie,

metodi e pratica, RENFREW e BAHN, Zanichelli 2002.

• Figura 19. Tomba femminile. Immagine tratta dalla rivista “Archeo”, gennaio 1992.

• Figura 20. Armadio ligneo. Immagine tratta dal web.

• Figura 21. Calzari romani. Immagine tratta dala rivista “Archeo”, novembre 2003.

• Figura 22. Anfora olearia. Immagine tratta dal web.

• Figura 23. Pettine in osso. Immagine tratta dal web.

• Figura 24. Relitto tardo romano.Immagine tratta dal testo: La tutela e la valorizzazione dei

manufatti d’interesse storco in archeologia navale, S. LORUSSO, Bologna 2004.

• Figura 25. Abbigliamento maschile Longobardo. Immagine tratta dal web.

• Figura 26. Semi deposti. Immagine tratta dalla rivista: Archeologia Medievale XXXI, 2004.

• Figura 27. Imbarcazione in legno e corda.Tratta dal testo: L’arte Italiana, P.ADORNO, D’Anna

1992.

• Figura 28. Muro decorato. Immagine tratta dal testo: Archeologia recupero e conservazione,

AA.VV., Nardini 1993.

• Figura 29. Poncho in lana e cotone. Immagine tratta dal testo: I popoli del sol e della luna,

tesori d’arte dall’antico Perù, AA.VV., Fabbri editori1990.

• Figura 30. Guerrieri di terracotta. Immagine tratta dal web.

• Figura 31. Protezione localizzata. Immagine tratta dal testo: C.PEDELI’ S. PULGA, Pratiche

conservative sullo scavo archeologico,All’Insegna del Giglio, 2002.

• Figura 32. Deposito “temporaneo” in sito. Immagine tratta dal testo: C.PEDELI’ S. PULGA,

Pratiche conservative sullo scavo archeologico,All’Insegna del Giglio, 2002.

• Figura 33. Deposito di materiale archeologico. Immagine tratta dalla rivista: i Beni Culturali,

tutela e valorizzazione, anno IX, 2001.

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Page 54: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO - pancucci.it DI LAUREA/TESI ALLIEVO DANIELE PASTA.pdf · presenti materiali molto delicati, come per esempio i materiali organici, i materiali

BIBLIOGRAFIA

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• A. CARANDINI, Storie della terra, Torino, Einaudi, 1991.

• P. BARKER, Tecniche dello scavo archeologico, Milano, 1977.

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• R. TAMIOZZO, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Giuffrè, 2004.

• C. PEDELI’, S. PULGA, Pratiche conservative sullo scavo archeologico, All’Insegna del

Giglio, 2002.

• AA.VV., Archeologia recupero e conservazione, Nardini, 1993.

• G. DE PALMA, Il “Pronto” intervento sullo scavo, in Archeo, gennaio 1992, p.62 e ss.

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• C. RENFREW, P. BAHN, Archeologia : Teorie Metodi Pratica, Zanichelli, 2002

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