vivere senza padroni stefano boni

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    Stefano Boni

    Vivere senza padroniAntropologia della sovversione quotidiana

    eluthera

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    2006 Stefano Bonied Eluthera editrice

    il nostro sito www.eleuthera.ite-mail: [email protected]

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    Indice

    La condivisione: reti di convivenza e dono

    Levasione: il lavoro e il consumo

    Lo scontro: forme di resistenza a istituzioni repressive

    La politica: quotidianit e rappresentazione

    Noi: un circuito antagonista

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    Introduzione

    Il movimento della sinistra antagonista e libertaria ela sua cultura:questo il tema discusso in questo libro. Il movimento la suacultura: questa la proposta che voglio esporre e sostenere. In ci

    che segue mi soffermo sulle pratiche di vita quotidiana di chi tendea sovvertire lordinamento attuale. Sostengo che proprio nel vis-suto quotidiano di chi porta avanti una critica radicale alle formedi dominio contemporaneo, piuttosto che nei grandi eventi me-diatici del movimento, che si pratica e si costruisce lantagonismo.

    Individuare e descrivere un ambito di prassi eversiva significasovvertire due letture egemoniche del movimento. La prima quella prevalente nel mondo normale, della cultura dominante.La cronaca dei mass media e il senso comune si interessano delcircuito di persone che descrivo di seguito quasi esclusivamentequando si tratta di condannare qualche azione di protesta violenta.La diversit tra i manifestanti e la societ civile spesso si riduce alladicotomia semplicistica tra chi rompe le vetrine e chi lavora per ri-pararle. Inoltre, lattenzione dei professionisti dellinformazioneviene invariabilmente rivolta a espressioni eclatanti, estreme, spet-

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    tacolari: manifestazioni, scontri, grandi raduni, espropri o dan-neggiamenti. Il racconto mediatico di questi contesti spesso ba-nalizza la differenza tra ribellione e normalit presentandola comeuna questione di simboli e mode o come una scelta tra rispettabi-lit e vandalismo.

    La seconda rappresentazione distorta quella ufficiale del mo-vimento. Lautorit di spiegare cosa sia veramente il movimento ela sua gente riservata ai leader. Anche in questo caso, ci si sof-

    ferma su eventi o fenomeni che hanno un richiamo mediatico,anche se si esalta la piazza piuttosto che demonizzarla. Spesso que-ste autorappresentazioni si dilungano sulle grandi motivazioniideologiche e assumono la forma della retorica militante, dellapropaganda e della teorizzazione politica. un discorso gestito daquei personaggi carismatici che riescono a monopolizzare laccessoai media per sostenere che il movimento una collettivit rispet-tabile e legalitaria, una disubbidienza civile. Lopposizione radi-cale viene cos ridotta a un elenco di partiti, associazioni e gruppi,ignorando il fatto che queste sigle comprendono solo una parte re-

    lativamente piccola di chi manifesta. Nellottica di questa rappre-sentazione, lantagonismo appare degno di essere raccontato soloquando si riunisce, si compatta, si mostra e si scontra. Viene coscancellato il legame tra mobilitazioni di piazza e modalit di ge-stione del quotidiano. Ci si sofferma sullincidente, ci si limita allacronaca giornalistica mentre quello che mi sembra pi rilevante proprio ci che misconosciuto: lesistenza di una configurazioneculturale, intesa come un ambiente sociale in cui certi valori spe-cifici sono quotidianamente tradotti in vissuto. I mass media, ma sorprendentemente anche chi gestisce la rappresentazione au-torizzata interna al movimento, occulta ci che c di politico nelvissuto della gente che sostengono di rappresentare.

    In ci che segue, mostro la limitatezza delle due prospettive eillustro la distanza tra queste e il vissuto di chi quotidianamentesovverte lordine. Lo scopo di una descrizione dello stile di vita del

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    movimento, ossia di questa trasmutazione in testo della quoti-dianit, non quello di prendere posizione, di dare giudizi moralio politici, n tanto meno di prendere le distanze da quelli chevengono etichettati come estremismi. Raccontare questo circuito,ora, ha due scopi, differenziati per lettori.

    In primo luogo, questo lavoro pensato per chi vive lam-biente che mi appresto a descrivere. Cerco di offrire una descri-zione e unanalisi credibile e approfondita di un mondo che viene

    sistematicamente ridotto a uno stereotipo semplicistico nel mo-mento in cui viene rappresentato. La prassi di unesistenza al difuori dei canoni della normalit tende a essere ignorata, trivializ-zata e criminalizzata dai media e non stato fatto, dallinterno diquesto mondo, uno sforzo per raccontarsi nella quotidianit. Ep-pure fermarsi come di fronte a uno specchio a ragionare su sestessi, sulla propria modalit di fare le cose e di vedere il mondosenza cadere nella banalizzazione mediatica mi sembra uno sforzosalutare. La riflessione sul proprio quotidiano un modo perrafforzare la coscienza su quali sono le norme sociali interioriz-

    zate, anche se spesso recepite e praticate inconsapevolmente. Pen-sarsi come parte di un circuito anche un modo per rivendicareunidentit propria, irriducibile a immagini stereotipate e sem-plicistiche.

    In secondo luogo, questo testo un aprirsi alla normalit. Sechi appartiene al mondo qui descritto potrebbe riconoscersi neltesto, chi non ne fa parte potrebbe trovare degli stimoli per cercaredi comprendere meglio i propri figli, i propri vicini, i propri fratellio semplicemente un frammento di umanit. Per chi esterno aquesto mondo, la prima operazione essenziale ascoltare la di-versit che si racconta in questo libro: cercare di capire modalitdiverse di stare al mondo partendo dai fatti e dai racconti, libe-rando la lettura per quanto possibile da schemi mentali pre-costituiti, da stereotipi e pregiudizi. Non chiedo di sospendere ilgiudizio; chiedo di rinviarlo, di farlo seguire alla comprensione.

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    Uno stesso testo per due categorie di lettori. Lobiettivo quindiquello di facilitare un dialogo con una diversit culturale vicina mache si tende a condannare e svalutare prima ancora di cercare di ca-pirla. Vista la difficolt che la normalit ha nel rapportarsi in ma-niera aperta e dialogante con quella che si pu inizialmente chia-mare la diversit antagonista, il libro pu essere uno strumentoche permette di sostituire relazioni che stentano a crearsi, anche se in realt il testo pu essere solo un surrogato della conoscenza

    diretta. Esaminare linterazione tra la cultura dominante e chivuole sovvertirla anche un modo per cercare di capire le ragionidi uno scontro.

    In queste pagine viene rappresentato un ambiente culturale,cos come lho vissuto e come me lhanno raccontato, senza cen-sure. Ho scelto di trattare temi sconvenienti spesso occultati come espressioni di un circuito di vita. Il ruolo delle mie idee sultesto innegabile ma il libro una raccolta di vicende, racconti,vissuti che in una certa misura si narrano da soli ed espri-mono se stessi. Ho registrato nei primi cinque anni del nuovo

    millennio queste opinioni e questi eventi, li ho trascritti e com-mentati. Ma le voci qui riportate raccontano, anche se non sem-pre consapevolmente, un s sociale: narrano un particolare sensodel mondo che straborda e trascende la mia sistematizzazione.Qui ripropongo queste voci. Il mio ruolo stato quello di rendereesplicite le regolarit nel pensiero e nella condotta di questarea,ossia i valori e le azioni comuni e ricorrenti. Il testo sostiene cheesiste un insieme di ideali e di pratiche condivise e caratterizzantiun circuito culturale: unidea egualitaria e partecipativa della so-cialit; una riduzione del consumo che consente una minimizza-zione del lavoro; tensioni nel rapporto con le istituzioni; un quo-tidiano e variegato fare politica.

    Nel raccontare questo mondo trascuro le divergenze interne al-lambiente antagonista e libertario, i compromessi con le logichedominanti e le incongruenze che sono pur molteplici e palesi. Ho

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    scelto, invece, di soffermarmi su quelli che mi sembrano i princi-pali caratteri distintivi della quotidianit, ossia su come il vissutosi distingue da quello prevalente. Limmagine che offro di questomondo libera da interessi e non si allinea alle logiche dei gestoridellimmagine del movimento. A volte gli esempi riportati sem-breranno estremi, frutto di scelte minoritarie e quindi non rap-presentative del circuito nel suo complesso. Il caso limite pu perindicare unaccentuazione di dinamiche diffuse. La critica indo-

    mita dellesistente costituisce la premessa per la pensabilit degliatti descritti in seguito: certi vissuti, anche se non comuni, sonoresi immaginabili e possibili da un immaginario condiviso.

    Gli avvenimenti narrati di seguito hanno avuto luogo princi-palmente a Siena, nellambiente in cui ho vissuto in questi ultimianni. Le testimonianze riportate qui sono frutto di osservazioni econversazioni informali con un centinaio di persone. Non maistato fatto uso del registratore: mi sono annotato nella memoria leespressioni e le ho trascritte quando ne ho avuto occasione. Laconvivialit senese, che ha generato le pratiche che sono diventate

    loggetto di questa riflessione, relativamente ristretta e legata,per molti versi, a un ambiente rurale. Per alcuni aspetti innega-bilmente diversa dalle socialit sovversive metropolitane. Potrebbequindi essere considerato uno studio rappresentativo della quoti-dianit del movimento solo in un contesto particolare. La criticaha probabilmente una sua fondatezza, ma il circuito senese in-serito in una rete di frequentazioni con chi condivide valori ana-loghi altrove. Inoltre le pubblicazioni (sia quelle cartacee che te-lematiche) e i momenti di incontro tra diverse realt hannopermesso di verificare che la pratica sovversiva ammette variabiliregionali, presenta delle discrepanze tra citt e campagna ma, alcontempo, condivide alcuni tratti, alcuni valori fondanti.

    Cosa intendo quando parlo di circuito culturale antagonistaapparir pi chiaramente man mano che scorrer il testo e chesaranno descritte vicende, persone, idee e luoghi. Il tentativo di

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    caratterizzare il gruppo e le norme che descrivo come un circuitoculturale pone seri problemi. Le pratiche che racconto sono realtidentificabili nella prassi quotidiana ma sono, allo stesso tempo,difficilmente definibili e delimitabili al di fuori del loro dispie-garsi concreto: non hanno un nome n confini chiari. Il tentativodi discuterne in astratto per necessario, se non altro come in-troduzione.

    In prima approssimazione quello che mi appresto a descrivere

    la cultura del movimento. Il passaggio cruciale che propongo quello dalleclatante allordinario, dalla retorica dei partiti alle as-semblee di piccoli gruppi, dalle grandi manifestazioni alla quoti-dianit, dalle posizioni di principio ai valori effettivamente messiin opera, dai leader alle persone dimenticate dalla televisione. Misoffermo sui modi di sentire, di pensare e di agire che accomu-nano diversi individui appartenenti a un ambiente culturale defi-nibile come antagonista o sovversivo. I termini antagonismo esovversione non si riferiscono quindi a una classificazione cri-minologica o poliziesca bens a unideologia diffusa associata a

    pratiche che, di fatto, tendono a stravolgere importanti aspettidel vivere prevalente.

    La cultura delleversione, intesa come leffettivo seppur par-ziale rovesciamento dellordinamento ideologico e organizzativo,propone una quotidiana opposizione alla normalit. Il concettodi normalit verr usato per contrastare i modelli dominantinella societ italiana con chi li sconvolge praticamente. Quelli chedefinisco modelli normali sono sicuramente variegati: il mondocontemporaneo stimola la moltiplicazione delle identit ma que-ste per alcuni versi mostrano spiccate somiglianze tra loro.

    Racconto quindi un frammento del variegato mondo del mo-vimento, quello della sinistra antagonista e dellambiente liber-tario. La collocazione politica di questo circuito non riducibilea sigle. Larea comprende alcuni degli iscritti, simpatizzanti e vo-tanti di Rifondazione Comunista ed ex-membri di associazioni

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    qualiATTAC e i Social Forum. Le persone che generano lo stile divita descritto di seguito, per, pi frequentemente collaboranosaltuariamente con gruppi extra-parlamentari, pi o meno attivi,delle aree dell(ex?) autonomia e dellanarchia o non fanno politicain gruppi strutturati. difficile quantificare, misurare questa po-polazione perch la sua composizione mutevole e i suoi confiniincerti. Questarea ha infatti rapporti stretti con ambienti affini,anche se pratica percorsi privilegiati di convivialit interna che

    definiscono unidentit e generano una pratica distintiva. utile sgombrare il campo da fastidiosi fraintendimenti e darappresentazioni fuorvianti. Il circuito culturale osservato allini-zio del terzo millennio, un prodotto storico che ha le sue radicipi evidenti nei movimenti di contestazione che si sono sviluppatisoprattutto dal 1968 in poi. I semi gettati negli ultimi decenni sisono per trasformati, mischiati, aggiornati, dispersi e sarebbe ap-prossimativo e semplicistico identificare la pratica antagonistacontemporanea come un residuo, una sopravvivenza, di movi-menti e stili di vita degli anni Sessanta o Settanta. Non si tratta

    neanche di una cultura giovanile, appellativo abusato e spessoconnotato come un semplice momento di passaggio, parte delciclo della vita. Le culture giovanili sono, per definizione, una faseche porta, con la maturit, a prendere le distanze, spesso penten-dosi, degli errori di giovent. Le modalit descritte, anche se inbuona parte praticate da giovani, non possono essere ridotte a fe-nomeno giovanile. Una parte cospicua dei protagonisti del testoha figli e ha passato i trentanni impenitente. Inoltre, le variantigiovanili della cultura trattata ad esempio il mondo degli stu-denti universitari tendono a essere, per diversi aspetti e in par-ticolare per quel che riguarda leconomia, meno distintive e a mo-strare una peculiarit pi estetica che pratica. Non si trattaneanche della cultura di una classe subalterna di lavoratori sfrut-tati. O meglio, questa caratterizzazione sembra inadeguata perch,come vedremo, il lavoro non prevede certamente n posizioni di-

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    rigenziali, n carriere partitiche di vertice, n lavvio di grandi at-tivit imprenditoriali, ma ugualmente restio allimpiego sala-riato proletario.

    A differenza da quanto sostenuto in modo pi o meno stru-mentale, lapparenza non sembra un elemento distintivo in gradodi poter predire lappartenenza allambiente in questione. Ci pos-sono essere ricorrenze nel mostrarsi allesterno: certi stili nel ve-stiario, lutilizzo di certi simboli espressamente politici (magliette

    con licona standard del Che, scritte antifasciste o slogan movi-mentisti), una tendenza alpiercinge ai dread. Questi segni sono,per, elementi non caratterizzanti, nel senso che oltre a non ap-passionare tutti i membri della socialit sovversiva, vengonospesso impiegati da gente che vive la propria quotidianit in mododistante dallambiente descritto di seguito. Inoltre, lutilizzo deisimboli e la gestione dellapparenza non vengono considerati cen-trali nello stabilire appartenenze di gruppo. Il vestito in realt am-mette una grande variabilit (vecchi, usati, etnici, autoprodotti,riadattati) anche se minimizza gli abiti alla moda e costosi. Se esi-

    ste unidentit nellapparenza, questa va cercata in quella che vienein genere letta dal mondo prevalente come una certa trasanda-tezza, che , per chi la pratica, il rifiuto, e in alcuni casi lesplicitoe impenitente sovvertimento, di quelli che sono i canoni domi-nanti di abbigliamento. nel vissuto quotidiano che si scontranodue modi di vedere e vivere il mondo ed quindi fuorviante li-mitare le divergenze ad aspetti estetici e coreografici quali le mo-dalit di vestirsi.

    Per designare il circuito antagonista viene, a volte, usato unnoi. Il noi indica una soggettivit plurale, un senso di appar-tenenza attivo. un noi indefinito e spesso nascosto negli stessidiscorsi dei protagonisti. Indefinito perch il noi lascia aperte di-verse interpretazioni su dove tracciare quel confine tra chi sta den-tro e chi sta fuori. Si fa riferimento in continuazione a una col-lettivit, scarsamente definita, non omogenea ma segnata da

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    azioni e modi di fare condivisi, coordinati e finalizzati. Questonoi viene riproposto, nella sua indeterminatezza, come desi-gnatore dellambiente qui discusso.

    Nei capitoli che seguono esamino alcuni ambiti in cui questonoi si distingue dalla normalit: le modalit di socializzazione,luscita dal mondo del lavoro e del consumo, gli attriti con le isti-tuzioni, la dimensione politica. La prassi sovversiva va cercatanella complessa interazione tra questi diversi atteggiamenti e nei

    valori che esprimono. Un singolo fattore non sarebbe sufficientea caratterizzare il noi: solo nella loro totalit i vari aspetti com-pongono, come frammenti di un mosaico, unidentit dotata disenso. Solo laccostamento di molteplici elementi caratterizzano,nel loro insieme, unappartenenza che comunque diversificata eaperta a soluzioni molteplici.

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    La condivisione:reti di convivenza e dono

    Solidariet e uguaglianza vengono spesso presentate come valoriimprescindibili del movimento e della sinistra. Ideali che hannoun fascino speso, nella politica ufficiale, per invocare una mobili-

    tazione di piazza, la modifica di una linea politica, lo stanzia-mento di soldi per interventi umanitari, lazzeramento del debitodi alcune nazioni. Solidariet e uguaglianza risuonano nei pro-grammi dei partiti politici, nei discorsi dei parlamentari, nelle di-chiarazioni di intenti delle organizzazioni non governative, neglislogan delle manifestazioni e nei documenti del movimento. In-vocare questi valori, in genere, non significa adottare una praticadi vita coerente: la traduzione in prassi spesso delegata ai politici,alle associazioni o allintervento dello Stato. Per rendere operativiquesti nobili principi non prevista una trasformazione della vitadei singoli ma un intervento degli organi incaricati, delle istitu-zioni. I gestori ufficiali della solidariet e delluguaglianza spessoproiettano la loro pensabilit in luoghi immaginati e tempi po-sticipati. Per solidariet si adotta un bambino a distanza, si com-prano prodotti equi e solidali, si organizzano campi di volonta-

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    riato, si apre un conto alla Banca Etica, addirittura si invocano in-terventi militari.

    Luguaglianza economica, in modo simile, passa attraverso po-litiche governative che, nei casi migliori, riescono appena a ri-durre spesso in maniera fittizia lenorme divario tra i redditi.Luguaglianza politica passa necessariamente attraverso la rappre-sentanza che, nel momento in cui permette il voto, di fatto escludeil cittadino da qualunque altro processo decisionale. La delega,

    con la conseguente inattivit quotidiana, a fondamento dellapolitica delle democrazie rappresentative: delega innanzitutto nelrapporto tra votante ed eletto, delega nella partecipazione a partitie associazioni che prevedono invariabilmente (anche quelli cheprofessano con forza legualitarismo) strutture di comando, rap-presentanti e, appunto, delegati. La proliferazione di discorsi sulnuovo municipio e sullAgenda 21, che prevedono un maggiorecoinvolgimento della cittadinanza, rimangono, per ora, limitatisia nella composizione di chi ha diritto di partecipazione che nelpeso decisionale degli organismi, quasi invariabilmente consultivi

    e sottoposti alla ratifica delle istituzioni.Gli ideali solidali ed egualitari vengono, al contempo, evocati

    per attrarre consensi ma ben circoscritti nella loro applicazionepratica: lattivismo prende forme diverse ma comunque distintedal vissuto di tutti i giorni. Non prevista la pratica della solida-riet e delluguaglianza nel quotidiano: non richiesto un attivoaiuto reciproco allinterno dei circuiti politici e associativi; non forse considerata neanche pensabile una gestione delle decisionirealmente partecipata e orizzontale. Nelle istituzioni pensabilecome azione immediata non la pratica, ma solo lastratta rivendi-cazione di questi valori. Solidariet e uguaglianza sono discorsiche si traducono nella costruzione di un immaginario etico e po-litico, un voleressere. Nel proiettare gli ideali nella sfera della-zione associativa o istituzionale, si perde di vista la quotidianitdove, in maniera meno mediata, solidariet e uguaglianza pos-

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    sono essere praticati e resi quotidianit seppur parzialmente e, atratti, in modo contraddittorio.

    Nellorganizzazione dei rapporti personali interni al circuitodel noi si gioca una parte importante della rivendicazione di unagire distintivo. Spesso il mondo antagonista presenta lopposi-zione tra il s e il resto come fondata sulla presenza/assenza diumanit, proprio per quanto concerne i valori di solidariet euguaglianza. Molti comportamenti e istituzioni della societ pre-

    valente vengono letti come profondamente disumani. Il lavorosalariato, i pregiudizi legati alla razza, alla sessualit o al genere, iltrattamento degli immigrati, i modi di sfruttare gli animali, i rap-porti di sfiducia e il timore verso il vicino vengono vissuti e discussicome semplicemente, palesemente, disumani. Si cerca di valu-tare le singole persone per le loro idee, ma rimane la sensazione divivere allinterno di una societ che, nel suo complesso, riaffermavalori di discriminazione e sfruttamento, li riproduce nella pra-tica, e, quando non li condivide, raramente si espone per metterliin discussione pubblicamente e praticamente. La proibizione delle

    droghe leggere, i mille divieti che disciplinano il vissuto, la gerar-chia nei rapporti di lavoro, la regolamentazione capillare del quo-tidiano, la schedatura delle impronte digitali, il poliziotto di quar-tiere sono visti come esercizi cos lontani da una condizione dinaturale spontaneit umana che ci si interroga su come i pi sisiano ridotti a un tale grado di rincoglionimento. La colpa diquella che viene letta come la degenerazione della societ domi-nante viene attribuita da un lato alla disciplinarizzazione del corpoe della mente, dallaltro imputata ai mezzi di comunicazione dimassa. Nel noi alcuni rifiutano di mandare i figli a scuola se nona quelle obbligatorie perch vedono nelleducazione istituziona-lizzata un tentativo di abituare i soggetti ad accettare, fin da pic-coli, lautorit e la repressione.

    Di conseguenza, i rapporti tra il noi e gli ambienti che ri-producono nei discorsi e ripropongono nella condotta quello che

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    viene visto come il disumano prevalente sono tendenzialmentedifficili. La mancanza di gratificazione nei contatti, che sono purcomuni, tra il noi e le reti di socialit esterne rivela questa di-stanza ideologica. Alla lunga, queste esperienze di tensione nellerelazioni innestano una reciproca diffidenza, anche in rapporti diaffetto consolidato. Nei circuiti neutri (la riunione dei parenti, lafesta paesana, gli amici di infanzia, lambiente di lavoro) le prati-che di vita del noi sono classificate come atteggiamenti giovanili

    spinti a un intollerabile estremo e protratti oltre let in cui pote-vano essere considerati leciti. Nellottica del noi, luscita da cir-cuiti amici e linserimento in quelli normali spesso genera il disa-gio della scelta tra proporre espressioni considerate accettabili inquel contesto oppure esprimersi secondo coscienza, con il rischiodi generare tensioni: confronti accesi, reprimende, silenzi, licen-ziamenti.

    I rapporti con i parenti, anche quelli pi stretti, sono spesso ca-ratterizzati dalla constatazione di una distanza che, a tratti, ge-nera turbamento. Daniele racconta con un certo fastidio e con

    tristezza le riunioni familiari cos come le cene o i pranzi con zii ecugini. Si sofferma sul senso di incomunicabilit che si crea a ta-vola quando mancano argomenti di conversazione e il suo disagioquando vengono proposte battute razziste. Una volta, Daniele harisposto alla moglie di un cugino che manifestava la sua irrita-zione contro gli immigrati: Mi pare di sentire la televisione!. calato il silenzio. Il contatto con la normalit, luscita dallam-biente del noi, pu essere traumatico. Daniele percepisce inquasi tutti i parenti una mancanza di interesse per la sua vita, nongli chiedono cosa faccia o dove abiti. Ha limpressione che la suaesistenza faccia parte di ci di cui non si parla, ci di cui si ha ti-more per una diversit troppo accentuata, non assimilabile, nondigeribile.

    Gianna ha passato buona parte della sua estate con il compagnoin un paese del basso Lazio e si trovata a vivere due eventi mon-

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    dani: un matrimonio e un battesimo. Nella preparazione allo spo-salizio si sentita soffocata dalle attenzioni per la sua diversit.Mentre gli altri erano tutti omologati, mascherati tutti uguali: ilsuo vestito di lino era troppo semplice, considerato inadeguatoalla cerimonia; non ha accettato le perle che le aveva offerto lamadre del compagno per nobilitare la sua apparenza; non an-data dal parrucchiere prima dellevento; non si stirava i vestiti; nonriusciva a trovare una sintonia con le altre donne del paese; du-

    rante il pranzo nuziale ha cominciato a fare battute sarcastiche acui solo io ridevo. In pratica, stato uno scandalo. Al batte-simo si seduta casualmente a un tavolo di soli uomini che parla-vano di politica esprimendo posizioni fasciste; a un certo puntoGianna ha preso la parola e ha espresso le sue idee. Da figlia gli di-cevo di guardare il mondo che avevano creato. Gli dicevo che si do-vevano porre il problema di fare un mondo dove una ci potesse vi-vere serenamente. Gianna pensava di essere stata dialogante, diessersi espressa sinceramente, di essersi aperta al confronto. Altroscandalo: i parenti tolgono la parola a Gianna e al suo compagno,

    lo zio addirittura minaccia fisicamente il nipote, il ragazzo diGianna. Il disagio generato da rapporti che non si fondano sullacondivisione di valori e pratiche non limitato ai legami di pa-rentela, si ritrova nei rari casi in cui la scelta della residenza escedalle reti di conoscenza connotate e conosciute e si fa casuale,come ad esempio per gli studenti universitari fuori sede. Sole havissuto per sei mesi in una casa con altre studentesse. Oltre a sen-tirsi ferita dal perentorio rifiuto delle coinquiline ad accogliere ilsuo cane a casa, ricorda la sensazione che ha avuto quando si ac-corta che gli alimenti in frigorifero erano divisi per piani, che in-dicavano la propriet: Mi ha preso male. brutto! Ma propriobrutto! Ho pensato Io qui non ci voglio vivere.

    La distanza tra circuiti a volte si amplifica, prescinde dalle sfu-mature, si legge come contrapposizione. I 99 Posse cantavano Ioodio, un fatto di appartenenza. Lucilla, una sera che alterata,

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    si sfoga: il mondo esterno tutto una merda, chi passeggia peril corso di Siena sono dei mostri, dei mostri. Non ci si riesce aparlare. A volte basta un nulla, una mancata sintonia nel saluto,per far scattare riflessioni sullimpossibilit di uno scambio profi-cuo con chi non si avvicina alle modalit in questo caso al-linformalit del noi. Fabrizio va a prendere suo figlio allascuola materna. Incontra un altro genitore, un signore.

    Fabrizio (al signore): Ciao.Laltro: Buongiorno!.Fabrizio (dopo un po, rivolto a me): Non so mai come rapportarmicon i miei pari, che rapporto averci. Forse perch non voglio che siano imiei pari, non voglio diventare cos.

    La difficolt nel relazionarsi rimanda a delle divergenze nellaconcezione della persona e nel rapporto tra questa e la comunit.Nel noi si aspira a, e si mette in pratica per quanto possibile, unideale di individuo, come in buona parte dellideologia occiden-

    tale contemporanea, libero da costrizioni e limitazioni. La libert,per, non intesa n come tutela di una sicurezza messa a repen-taglio da pericoli pi o meno immaginari il terrorismo, limmi-grato, il ladro, il tossicodipendente n in senso economicista, le-gata alla sacralit dellimprenditorialit e alla salvaguardia dellapropriet privata. La libert nel noi invece intesa come liberaformazione di una personalit singolare, in un contesto di egua-litarismo nella diversit. Le forme di repressione statuali, im-prenditoriali, poliziesche e sociali alla libera gestione dellindivi-dualit vengono quindi ritenute violenze.

    La lotta per la liberazione del mondo animale dallo sfrutta-mento industriale e medico attesta una sensibilit comune nelnoi, riconducibile allestensione del concetto di libert ad altrespecie, sottoposte alla violenza e allo sfruttamento. Crestino, albar con gli amici, racconta una sua accentuata anche per il cir-

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    versit nella ricerca di una crescita gestita in proprio e non impo-sta. Gli itinerari di breve e lungo periodo sono caratterizzati dascelte spesso difficilmente concepibili in circuiti culturali diversidal noi. Nel gennaio 2001, un ragazzo e una ragazza partonodalla loro comunit, sulle colline sopra Pistoia, con lintenzione diraggiungere a cavallo prima il lago di Bolsena, dove un loro co-noscente fabbro si era offerto di costruirgli un carro, e quindi Na-poli. Il viaggio, iniziato in inverno, procede a piccole tappe di

    poche decine di chilometri al giorno riuscendo a percorrere prin-cipalmente strade sterrate fino a Napoli, salvo poi tornare perchi cavalli erano richiesti per la semina primaverile.

    Il noi abbatte i canoni propagandati e prevalenti, lasciandoalla creativit umana il compito di trovare strade diverse. Una co-mune, ad esempio, per combattere la struttura maschilista del lin-guaggio, sceglie un plurale al femminile invece dellortodosso plu-rale maschile: i membri, maschi e femmine della comune sichiamano e si fanno chiamare le comunarde. Il tentativo di al-lontanamento dal prevalente genera canoni, modelli di condotta

    e reti di frequentazione incentrate sulla messa in discussione del-lautorit e del profitto, sulla condivisione e sul mutuo soccorso.Questi principi non vorrebbero per essere imposti, attraversolindottrinamento o la costrizione, ma semplicemente proposti:laffinit ideologica stimola lamicizia; la lontananza non implicasanzioni o imposizioni ma semplicemente separazione di circuiti difrequentazione. Si tratta di norme di condotta che non vorreb-bero essere normative o fisse ma che configurano una momenta-nea sintonia nella pratica, senza generare vincoli.

    Parte del mondo antagonista si propone di ritornare a quelloche si immagina essere lo stato di natura, libero da quella cheviene percepita come la degenerazione contemporanea che sicrede faccia perdere di vista la comune umanit. Per alcuni, lau-tosussistenza in un luogo isolato la soluzione migliore per co-struire unesistenza alternativa: Ci vogliono almeno un paio di

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    generazioni prima di purificarci di tutte le cazzate che ci hannomesso in testa. Alla disumanizzazione degli altri si contrapponeuna lettura dei rapporti nel proprio ambiente come semplice-mente umani. Si ammette che, in realt, non tutti i comporta-menti, anche allinterno della rete di convivialit sovversiva, espri-mono questa umanit, ma perlomeno la direzione dovrebbetendere alla spontaneit, al rifiuto delle convenzioni repressive,alla liberatoria evasione dalla moralit generale. I rapporti do-

    vrebbero fondarsi sul rispetto reciproco, sulla fiducia, sulla soli-dariet e sullaccoglienza delle diversit. Valori relazionali chepermettono di costruire rapporti, quindi di uscire in senso egua-litario dallindividualismo.

    Per alcuni la ricerca di unarmonia condivisa si traduce nel ri-pensamento della dimensione emotiva, corporea e spirituale. Lesedute di stimolo della consapevolezza individuale e di gruppo,attraverso forme di espressione artistica, ascetica, drammatica esperimentale mirano a equilibrare la persona e i suoi rapporti,spesso proponendo come metodo e fine il rifiuto della gerarchia e

    un relazionarsi orizzontale. Lattenzione per il corpo, espressa nelgusto di fare e ricevere massaggi, nella meditazione, nella danza, inunalimentazione preferibilmente priva di agenti chimici, coscome nello studio di terapie naturali meno invasive, spesso pre-suppongono il rifiuto dellautorit medica ufficiale e di una con-cezione esclusivamente ospedaliera del benessere. Lesplorazionedi percorsi spirituali spesso con influenze orientali o sudameri-cane evadono i canoni classici del dogmatismo religioso, conta-minano le certezze in una continua ricerca di unarmonia perso-nale e collettiva. Queste forme di espressione sono vissute, daalcuni del noi, con scetticismo perch accusate di misticismo eleaderismo, mentre altri vivono questi percorsi di sperimentazionecome una dimensione della ricerca di uno stare-nel-mondo privodi autorit e prevaricazione, e quindi propongono vissuti e valorianaloghi a quelli di chi difende convinzioni atee e razionaliste.

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    La condivisione un valore centrale nel vissuto quotidiano delnoi. una condivisione spontanea, non autoritaria, esterna alleistituzioni, priva di strutture gerarchiche. La tendenza a mettere emettersi in comune idealmente generalizzabile nel senso che non limitata ad ambiti, persone o contesti particolari. Larmonizza-zione delle diversit concepita e gestita allinterno di un vissutoche cerca di minimizzare il potere. Di conseguenza, la sintonia,la volont individuale collettivizzata, che permette di costruire re-

    lazioni egualitarie. La curiosit la migliore amica comune silegge in una raccolta di fogli in cui sono contenute le frasi stori-che pronunciate in un appartamentino. La curiosit, la disponi-bilit alla conoscenza, la premessa per la costruzione di uno spa-zio comune tra persone, momento di reciproca scoperta cherichiede i valori sbandierati nel noi dellospitalit e del ri-spetto reciproco, senza seguire percorsi preordinati se non laffinitelettiva.

    La musica uno degli ambiti di espressione e un risultato dellindividualismo egualitario e partecipativo che caratterizza i

    rapporti nel noi, libera armonizzazione di volont individuali.Un pomeriggio una decina di amici la maggior parte dei qualisenza particolari competenze musicali genera spontaneamenteuna suonata. Un paio di persone mettono mano ai tamburi pre-senti in soggiorno, altre rimediano un tamburino e altre percus-sioni. Cira va a prendere in macchina due strumenti autoprodotticon vasi di fiori coperti da teli sintetici tirati e fissati sulla superfi-cie. Una grande forma di parmigiano di plastica viene provata eutilizzata dopo aver appurato che produce un suono decente. Icucchiai di legno della cucina sostituiscono le bacchette; si provaa suonare con posate per terra, sul tavolo. Tra un pezzo e un altro,gli strumenti girano di mano.

    La suonata improvvisata, racimolando gli strumenti a disposi-zione, costituisce una scena abbastanza usuale nel noi. Chi hadegli apparecchi musicali, spesso li porta con s. Si suona in

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    gruppo durante ritrovi sociali, cene, feste, spesso improvvisandocon ci che disponibile. Il metodo e la dinamica della suonata ri-vela dei tratti della socialit egualitaria: un rapportarsi coordi-nato liberamente dai partecipanti che interagiscono, si ascoltano(o provano ad ascoltarsi) per generare unarmonia. Lesito pro-dotto dalla interazione di persone con competenze musicali avolte molto diverse, che si valorizzano reciprocamente nellin-contro e nella voglia di far nascere unarmonia acustica. Un flau-

    tista che si scusa per non essere riuscito a inserirsi al meglio nellamelodia di una canzone, si sente rispondere da un chitarrista na-poletano: Qui nisciuno professional. Le percussioni che riem-piono le serate, i cerchi di tarantella, le improvvisazioni sonoresono modalit di socializzare e di concepire il mondo vicine alnoi: la musicalit spontanea e aperta un elemento che si inse-risce in maniera coerente con i valori dellegualitarismo e dellapartecipazione diffusa.

    Come la musica anche la giocoleria altro ambiente che spessosi sovrappone al circuito qui trattato percepita come un ri-

    torno a una naturalezza, a una corporeit non convenzionaliz-zata. una continua esplorazione delle potenzialit della coordi-nazione (giocoleria con clave, palline, diablo), dellequilibrio(acrobatica, trapezio), della flessibilit (contorsionismo), delle re-condite e stupefacenti capacit del corpo (mangiafuoco, fachiro,mimo), dellarmoniosit (contact, danza), dellinesauribile ric-chezza del linguaggio (cantastorie, filastrocche, conduzione deglispettacoli). Larte di strada riparte dallessenziale, il corpo umanoe le sue risorse, cos come la musica riparte dallaccessibile sem-plicit del ritmo e delle tonalit. Nelluno e nellaltro caso il ri-corso agli strumenti relativamente poco importante: a essere va-lorizzato il coinvolgimento della persona attiva. Non cgiocoleria che non investa direttamente la persona e il suo fare; gliattrezzi quando vengono utilizzati esaltano le capacit senzaassumere unattrattiva autonoma. Inoltre i congegni sono soggetti

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    a continui processi di manipolazione: si generano continuamentestrumenti musicali cos come oggetti di giocoleria, anche se in uncaso e nellaltro c la possibilit di comprarli. I giocolieri, spessopraticano forme di autogestione creativa: si crea ci che serve par-tendo non dalla fissit della tecnologia bens dallumanit e dallesue capacit inventive. Lautogestione, in senso pi ampio, inte-ressa anche lorganizzazione di incontri, di spettacoli, la trasmis-sione reciproca del sapere.

    Percussioni e arti di strada sono considerate, in qualche modo,ambiti salvati, riscattati alla normalit, che connotano il noi,anche se mai secondo rigidi criteri di inclusione/esclusione. Gliambienti del noi e dei giocolieri presentano importanti sovrap-posizioni nei valori, nelle pratiche, nelle persone: in entrambi icontesti si esalta il sincretismo, libridazione, il flusso e lindeter-minatezza. La giocoleria vede nellalterit non un pericolo ma unafrontiera da scoprire perch proprio nellinnovazione che si ge-nera spettacolo. La giocoleria non solo si apre a un meticciato ar-tistico, ma rivendica il momento della performance pubblica

    come modo per diffondere messaggi come un virus allin-terno della normalit. Lo spettacolo si fa per lesterno, comuni-cazione: il pubblico dovrebbe uscire non solo divertito ma conta-minato dagli stimoli che le esibizioni propongono. La giocoleria quindi sia circuito connotato, sia canale di trasmissione dei va-lori di questo ambiente.

    Musica e giocoleria sono inseriti in una socialit intensa, fruttodi reti di conoscenze connotate ma ampie. Reti di rapporti chevengono coltivate nella condivisione di momenti di svago. Lecene, il bar, le visite e soprattutto le feste si accordano bene con lecaratteristiche di convivialit del noi: aperta, partecipata e al-largata. Una socialit accentuata che riscopre quello che vienevisto come il libero godimento della conversazione, dellalcol, diluoghi belli, del cibo, di sostanze psico-attive, di sonorit. Martinail pomeriggio del primo dellanno osserva le tartine di fegato e

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    salmone (preparate con condimenti gi offerti durante la setti-mana di feste) che serviranno per un pranzo di una decina diamici. Guarda che signori! Non abbiamo i soldi per comprare labenzina, ma guarda che pranzetto da signori!. Le feste sono mo-menti di reciprocit, di offerta, di preparazione collettiva che scan-discono, soprattutto in primavera e in estate, lintensificarsi dellaconvivialit: incontri allargati sia occasionali (feste improvvisate,concertini tra amici, viaggi in gruppo) che a date fisse (compleanni

    di amici o figli di amici, Capodanno, lequinozio primaverile e ilsolstizio estivo, il 25 aprile, il Primo maggio, i raduni musicali). Ilnoi ha una dimensione millenarista, interessata innanzitutto perlomeno in questa fase storica a una salvezza personale, a unsottrarsi da unumanit che, per molti versi, disprezza: per moltiuna modalit per uscire dal mondo repressivo la riappropria-zione del tempo dedicato al divertimento, al piacere, allo svago, alriposo, allamore. Ci si autopercepisce tra i pochi che riescononon solo a sviluppare una sorta di comprensione profonda delleconvenzioni distruttive contemporanee, ma anche a vivere una

    socialit, in qualche modo, al di fuori delle bruttezze del mondo.Il sottrarsi permette e genera momenti di incontro gratificante,spesso festaiolo.

    La riflessione su questi momenti di socialit sollecita il rac-conto di una pratica sociale spesso associata a questi incontri, fre-quente non solo nel noi ma in modo accentuato in questo am-biente: le canne. Nel noi si usano sostanze (principalmentemarijuana e hascisc) che tendono a essere socializzate nel con-sumo e socializzanti negli effetti, a differenza delle droghe chetendono ad accentuare la dimensione individualistica come la co-caina o gli acidi. La coltivazione di marijuana provata da molti,quasi sempre per uso personale, con modalit che vanno dallepiantine alle finestre a forme di coltivazione pi redditizia. Versomarzo iniziano a circolare i semi e per aprile le piantine sono, ingenere, gi germogliate. Ci si preoccupa di collocarle, spesso con

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    giri da una casa allaltra, in un luogo sufficientemente vicino perpoterle accudire regolarmente ma lontane da occhi indiscreti. Lacoltivazione spesso unoperazione condivisa che vede pi per-sone coinvolte: chi offre competenze tecniche, chi si limita a farei complimenti dopo una visita guidata, chi si alterna a innaffiarledurante la lunga estate prima del raccolto. Il raccolto, appunto, afine settembre o a ottobre, e quindi la seccatura a volte accele-rata un po brutalmente con il passaggio in forno e le prime de-

    gustazioni.Il consumo di sostanze psico-attive rappresenta un momento dicondivisione, il tipo di scambio disinteressato, differito, allargatoche viene valorizzato nel noi. La preparazione della canna spesso unoperazione collettiva in cui diverse persone collaboranonel reperire il necessario: il fumo, le cartine, il filtro, la sigaretta oil tabacco. La canna si prepara con hascisc o marijuana di pro-priet di qualcuno che loffre volontariamente: non mai consu-mata individualmente se c un gruppo. La canna deve girare: chila prepara o laccende, la passa alla sua destra o alla sua sinistra.

    Una coppia di amici che, durante una festa, rimasta a un tavo-lino da sola a fumare, senza collettivizzare, attira, infatti, com-menti negativi. Il giro e la proposta di fumare che pu natural-mente essere rifiutata coinvolgono tutti quelli che partecipanoalla conversazione, che sono presenti alla convivialit del mo-mento. Daniele, che viene saltato dal giro perch ne sta prepa-rando unaltra, scherzosamente si lamenta e la richiede. A volte, afeste o raduni, dopo un giro completo di quelli con cui si sta chiac-chierando, la canna passa al di fuori del gruppo di conoscenti,semplicemente donandola al vicino sconosciuto. Si saltano soloquelli che si sa che non vogliono fumare, altrimenti il giro viene ri-spettato rigorosamente. Chi incerto sulla persona a cui cederlachiede dove andava? e gli verr indicata la direzione.

    Anche se si preparano e si fumano canne da soli, lattenzionealla distribuzione del fumo indica una volont di condividere la

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    tranquillit associata al consumo di hascisc e marijuana. Il giroche fa una canna pu essere tra due, fino a una decina di persone.Se si in due a fumare e uno deve assentarsi e non pensa di tornarepresto, a volte invita laltro a finirla, rendendo cos lecita la finedella condivisione. Per giri poco numerosi, in cui si pu fumarepi a lungo prima di cederla, a volte si fa attenzione che la cannaconcluda il suo giro con lultimo in modo che a fine fumata lacanna sia stata passata lo stesso numero di volte a tutti. Se il giro

    numeroso, la canna sar tendenzialmente pi carica di fumo omarijuana e si faranno solamente un paio di tiri prima di passarla.C unattenzione a fumare in modo tale da garantire a tutti per-lomeno un tiro. Se la canna non finisce il giro pu intervenirequalcuno: Bisogna fare unaltra canna per Stefano. Se il gruppo numeroso, per ovviare allimpossibilit di soddisfare tutti conuna sola canna, vengono spesso preparate e appicciate pi canneche girano in diverse direzioni in modo da coprire il gruppo.

    Visto dallottica del noi, la canna come le sigarette e lalcol,oltre che al cibo rientra in un circuito di reciprocit, di dono, di

    condivisione. Per diverse ragioni e lillegalit contribuisce forsemeno delle ristrettezze economiche si pu essere privi di hascisce marijuana anche per lunghi periodi, ma si comunque coinvoltinel consumo proprio grazie allofferta rotativa. Si consuma pre-valentemente allinterno dei giri di amici, ma alle manifestazionie ai concerti si pu chiedere a chi non si conosce un po di fumo,una canna o anche solo un tiro. Inoltre, il fumo e la marijuanasono tra i beni pi di frequente scelti per fare regali. Chi ha, cede;chi non ha, condivide il consumo e metter a disposizione se equando avr.

    I momenti di socialit festaiola, a volte, coinvolgono reti piampie del circuito di socialit del noi e sono quindi momenti incui la fragile identit del noi si incontra con ambienti pi o menosimili. Sono i criteri e le modalit di gestione della festa nel noiin genere a basso costo e aperta che denotano i valori del gruppo

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    organizzativo e, in parte, selezionano i partecipanti. Una casa co-mune invita gli amici per coinvolgerli nellorganizzazione di unafesta impegnativa. La discussione si sofferma sulle modalit perraccogliere, nel corso della serata, i 1.100 euro spesi per la prepa-razione (rimborso a un gruppo di musicisti, costi per lamplifica-zione, il generatore, il vino e i cocktail). Nel corso della discus-sione, alcuni sostengono che la soluzione pi semplice quella dimettere il vino e i cocktail a pagamento, seppur a prezzi modici (ri-

    spettivamente 50 centesimi e 1 euro a bicchiere). Altri credonoche il prezzo fisso dia unimmagine brutta sembra di essere in unlocale ed meglio condividere le spese con gli amici chiedendouna decina di euro a un centinaio di partecipanti: questo, si dice, il modo per coinvolgere gli amici, per responsabilizzarli. Baffo:Per me la festa non inizia quando arriva la gente che si dice ora lafesta iniziata. La festa nella preparazione, nel cucinare insieme,nellaccendersi una canna, nel chiacchierare. Io sar qui dalla mat-tina, vengo anche a dormire per fare queste cose. Si decide infinedi raccogliere i soldi con prezzi fissi per vino e cocktail ma spie-

    gando bene, con cartelli esplicativi, perch si fa pagare, elencandole spese che si sono sostenute e la cifra che serve per coprirle; unavolta ottenuta la somma necessaria, non si pagheranno pi le be-vande. Altre volte si va in giro con una cassetta per raccogliere ledonazioni che nel noi sono finalizzate quasi invariabilmente non a un profitto ma a cercare di appianare i costi.

    Lesempio citato sopra ci porta a riflettere su un tratto impor-tante forse cruciale del tentativo di strutturarsi di un indivi-dualismo egualitario, ossia i processi decisionali di interesse co-mune, il momento in cui le singolarit si confrontano per stabilireuna linea condivisa. Qui lideale dellindividualismo egualitario sitrova a dover fare i conti con la necessaria armonizzazione dellesingolarit in vista di uno scopo, di un progetto comune. Essendoimpraticabile il ricorso alla coercizione e scarso il consolidarsi di fi-gure riconosciute come dotate di notevole autorit e carisma, la

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    capacit di agire collettivamente necessariamente costruita suun consenso che dovrebbe seguire momenti di discussione e con-fronto. Il coordinamento tra individui frutto spesso fragile emomentaneo dellattivazione di reti di conoscenze gi consoli-date. La faticosa mobilitazione dei singoli in attivit condivise puriguardare la decisione di aggregarsi a una casa allargata, il coin-volgimento nellannuale produzione di passata di pomodoro, laraccolta delle olive, cos come lorganizzazione di una festa o la de-

    cisione su come gestire un procedimento giudiziario. Laccetta-zione collettiva di un certo modo di affrontare un progetto sifonda sulla capacit persuasiva di chi propone quella modalit.

    Le decisioni vengono, in genere, prese orizzontalmente. Nonesistono strutture gerarchiche prestabilite, n si creano personalitche riescono a indirizzare costantemente a loro piacimento il pro-cesso decisionale. Lautorevolezza nel confronto attraverso il qualevengono stabiliti gli obiettivi del gruppo frutto di una capacit,dimostrata nel tempo, di chiarezza nellanalisi, di tenere fede agliimpegni presi, di generosi sforzi in precedenti attivit collettive o

    di competenze specifiche. Un superiore peso decisionale ovverouna maggiore capacit persuasiva pu essere riconosciuta inquesti casi ma lautorevolezza vale solo fino a quando la linea pre-scelta non urta gli interessi e la sensibilit degli altri. C semprela possibilit di rimettere in discussione, anche radicalmente, pro-getti di interesse comunitario gi decisi e avviati: si pu accusaredi protagonismo e leaderismo chi minaccia lorizzontalit. Lau-torit momentanea e sottoposta a un continuo processo di va-lutazione e verifica.

    Lobiettivo la partecipazione sorretta dal consenso, senza de-leghe e votazioni. Se non si arriva a ununanimit convinta, si cercaperlomeno di non suscitare opposizioni nette. Lespressione di unacontrariet al sentimento prevalente nel gruppo genera spesso ri-flessioni e un approfondimento del confronto. Quando, per, leposizioni stentano a conciliarsi, la divergenza pu condurre una

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    parte in genere quella minoritaria allabbandono: ci si allontanadal processo decisionale e dalle sue conseguenze. In contrasto conla gestione gerarchica dei processi decisionali (aziendali, militari,burocratici) che prescindono dal consenso, spesso nel noi la pro-cedura lenta, attenta al rispetto dei ritmi di ciascuno. I percorsicollettivi sono, soprattutto in fase di progettazione, incerti, inver-tibili, con tempi e risultati imprevedibili. Su iniziative di breve sca-denza cos come su progetti di lungo periodo, larte della persua-

    sione non basta se non si combina con la capacit di condivideree di costruire una gestione collettiva, diffusamente soddisfacente.Le decisioni vengono prese con modalit comprese tra due po-

    larit procedurali che ammettono comunque posizioni intermediee numerose ibridazioni. Da un lato, lo spontaneismo in cui le-gualitarismo si esprime in una bassa strutturazione e nellarmo-nizzazione volontaria delle individualit, priva di momenti deci-sionali riconosciuti come centrali e vincolanti. Linsofferenza versolinvadenza del gruppo sul singolo risulta in un rifiuto di impegniformalizzati. Si preferisce la discussione spontanea, magari nel

    corso della cena, o i confronti che non necessariamente coinvol-gono tutti quelli che partecipano a un progetto. A volte basta unavoce per fissare un incontro: Stasera non uscire che si parla. Lalibert individuale dovrebbe essere protetta dalle interferenze delgruppo e larmonia complessiva dovrebbe risultare dallistintivoaffiatamento personale. Le affinit si scoprono nellimplementa-zione: spesso la progettualit quindi limitata e poco vincolante.

    Dallaltro lato, alcune comuni, associazioni, gruppi, preferi-scono forme di confronto comunitario (la riunione, il cerchio,lassemblea) a cui viene riconosciuta lautorit di stabilire deci-sioni vincolanti per i partecipanti. Questi momenti, a volte espli-citamente ispirati alle varie tecniche e forme della comunicazionedi gruppo consapevole o ecologica, vorrebbero essere forte-mente egualitari, dando a tutti la possibilit di esprimersi libera-mente. Non esistono figure di autorit, se non raramente

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    qualcuno che, negli incontri pi allargati, facilita il dialogo. Nonesistono regole procedurali fisse, se non quelle strettamente fun-zionali come, ad esempio, il passaggio di un oggetto per segnalarechi ha la parola, cercando in questo modo di minimizzare le in-terruzioni e la sovrapposizione delle voci. Raramente vengono fis-sati limiti temporali per gli interventi e si cerca, al contempo, distimolare un coinvolgimento attivo di tutti i presenti. Ci pu es-sere una programmazione delle tematiche da affrontare che co-

    munque modificabile secondo i desideri dei partecipanti. Nelcorso del dialogo, le divergenze che emergono vengono esposte eanalizzate. A volte il contraddittorio si fa acceso, genera tensioni eil confronto stenta a trovare soluzioni condivise, ma comunqueil tener conto dei pareri, delle ragioni, delle argomentazioni e delleproposte altrui che dovrebbe condurre verso un graduale avvici-namento delle diverse posizioni. In seguito allo scambio di opi-nioni, le vedute di ognuno si dovrebbero fondere in un convinci-mento comune, in cui chi ha partecipato alla decisione e ne vivele conseguenze si dovrebbe riconoscere. Quando questo non av-

    viene, il gruppo pu far sentire, sulle questioni che lo riguardano,il proprio peso sui singoli affinch siano accettate le mediazioni ri-tenute pi ragionevoli. Le decisioni prese in questi momenti diconfronto comunitario, se non completamente rispondenti allavolont di ognuno, dovrebbero essere, per lo meno, un compro-messo considerato accettabile. Non si tratta di discorsi astratti: lariunione spesso delibera sullassegnazione dei compiti ai singoli,sulla distribuzione dei fondi collettivi, sulla gestione degli spazicomuni, sulla pianificazione di lavori e investimenti.

    Esiste il problema, soprattutto nei gruppi pi strutturati, dicome rapportarsi con membri che, pur non sollevando obiezionial momento della delibera collettiva, non si conformano alla lineastipulata. La sanzione rispetto a queste forme di indisponibilit arendere operative le decisioni comunitarie prevedono il ricorsoalla reprimenda pubblica, al pettegolezzo, al sarcasmo sullina-

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    dempienza e, in forma estrema, allallontanamento, non tantodalla convivialit del noi nel suo complesso ma da alcuni ambitispecifici: uniniziativa, una casa, un gruppo politico. A livello dicircuito pi ampio, non sono state elaborate modalit per stig-matizzare i comportamenti ritenuti gravi, offensivi, violenti, senon il diffondere linformazione sul fatto. Anche chi si comportaoccasionalmente in maniera considerata dal sentire diffuso im-morale, egoista, prevaricante, strumentale viene raramente affron-

    tato o emarginato.Una perquisizione risulta in tre accuse di reato: furto, propa-ganda sovversiva e coltivazione di marijuana. Le tre imputazionisono mosse contro gli unici due residenti ufficialmente nella casain cui vivono, in realt, altre quattro persone. unassemblea atratti nervosa in cui i fatti vengono soppesati a lungo, le varieopzioni vagliate, le voci di tutti ascoltate, che decide di cercare didirottare laccusa di coltivazione su un altro membro del gruppo,in modo da scagionare i due indagati da una delle tre accuse. Sitratta, in pratica, di sostenere, sotto testimonianza, di essere il

    solo responsabile della coltivazione di marijuana. Tra i quattroabitanti non indagati, uno ha in corso due procedimenti penali esi decide di esimerlo dalla responsabilit di questultima accusa.Gli altri tre si riuniscono un paio di volte e valutano i rischi checomporta lautodenuncia. C inquietudine per una decisionenon facile. Nessuno si offre come volontario e si decide quindi diestrarre a sorte: chi avesse alzato la carta pi alta da un mazzo sisarebbe denunciato. Lintero processo decisionale si svolge oriz-zontalmente, senza costrizioni, basandosi su valutazioni di op-portunit.

    Lattivazione di questo tipo di procedura decisionale prevede erichiede reticoli di relazioni relativamente omogenei dove vige ilprincipio delluguaglianza e della solidariet quotidiana. Questicircuiti, anche se coinvolgono persone disperse sul territorio,hanno frequentemente dei luoghi di residenza e di ritrovo che

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    sono centrali nella rete di frequentazioni. In genere le case delnoi sono pronte ad accogliere, senza ricompense monetarie,amici e conoscenti per periodi anche lunghi. In alcuni casi, que-sta apertura fa nascere luoghi dove la condivisione accentuata. Ipercorsi di vita dei singoli spesso conducono, per periodi pi omeno lunghi, in case allargate, con composizione fluttuante,aperte allospitalit, gestite collettivamente, a volte legate a pro-getti esplicitamente politici. Queste case sono una necessit in

    quanto permettono di abbattere le spese, ma sono anche luoghi disperimentazione della convivialit. La convivenza viene organiz-zata in modo pi o meno esplicito nellespressione dei valoridellindividualismo egualitario e solidale. Il gruppo si trova a con-dividere cos non solo una residenza ma un percorso di vita, perperiodi anche lunghi, e a doversi dare un ordine decisionale, adover stabilire le modalit della relazione tra singolo e gruppo.

    interessante notare la composizione di queste case. Si trattaspesso di abitazioni dove diversi amici, non legati da rapporti pa-rentali, scelgono di vivere sotto lo stesso tetto. La scelta della resi-

    denza non si struttura necessariamente, forse neanche primaria-mente, intorno al rapporto di coppia. Luscita dalla convenzioneporta a un ripensamento generalizzato dei rapporti sentimentali edella concezione di famiglia che viene frantumata e ricompostadai singoli in maniera personale. Cercare di descrivere regolaritnellorganizzazione dei rapporti di amore nel noi e cercare dicapire se siano diversi da quelli prevalenti e se sono diversi, inche modo? opera che lascio volentieri ad altri. Mi limito quiad affrontare lorganizzazione della residenza e a dire che lo ste-reotipo del sesso libero o del rapporto aperto non rende giustiziadi un processo complesso, finalizzato al tentativo di costruire unaconvivialit fondata sulle proprie esigenze, a prescindere dalla-derenza ai canoni dominanti. Esistono coppie che convivono, maallinterno di un panorama che ammette una variabilit compresatra la residenza da sola/o a una allargata che a volte conta diverse

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    decine di persone. La scelta della coppia di vivere assieme unop-zione, possibile ma non necessaria, spesso parziale.

    Le situazioni pi stabili e strutturate (comuni, centri sociali)oltre ad avere un ricambio costante di residenti stabili prevedonospazi (stanze, divani, spazi per tende) per gente di passaggio. Lafluidit residenziale prende la forma di un flusso, in alcuni casicontinuo, di ospiti che si fermano per periodi pi o meno lun-ghi. La composizione delle case quindi soggetta a stravolgimenti

    dovuti alla nascita e alla fine di rapporti di fiducia, di amore, di co-munanza e di affinit politica. C comunque una marcata ten-denza allaccettazione di nuovi inquilini, a unaccoglienza ordi-naria anche quando di lungo termine, alla trasformazione deirapporti di amicizia in offerta di coabitazione. A volte, i rischiumani e legali dellaccoglienza ad esempio nella ricezione permesi di numerosi extra-comunitari senza permesso di soggiornoin una casa comune non prevalgono sul principio e sulla vo-lont di aprire la casa a chi ne ha bisogno.

    In genere si ha una limitata sicurezza rispetto alla stabilit della

    situazione residenziale. Raramente gli alloggi sono di propriet; avolte si tratta di abitazioni abbandonate o occupate; spesso si vivein affitto o secondo altri accordi, ad esempio si effettuano dei la-vori di ristrutturazione invece di pagare mensilmente. Gli edificisono spesso malandati, parzialmente inagibili, non ristrutturati.In una casa allargata si dorme per un primo periodo, mentre sifanno dei lavori, tutti e sette in una stanza. Successivamente i lo-cali sono attribuiti ai singoli, anche se si pone il problema di nonvincolare la coppia a una stanza: si sceglie quindi di sancire, al-meno teoricamente, la libert di tutti di sistemarsi a loro piaci-mento per la notte.

    In questi contesti emergono i tentativi di avviare percorsi co-munitari. Gli ambiti che si decide di affrontare collettivamentepossono essere pi o meno coinvolgenti. Nelle realt pi precariein cui c un minore investimento comunitario, ci si pu limitare

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    allassistenza nei piccoli problemi quotidiani; alla gestione di unorto o di alcuni spazi comuni; allorganizzazione di feste, incon-tri e spettacoli; a una cassa comune per le spese essenziali; a formedi assistenza finanziaria per chi attraversa momenti di difficolt. Inrealt pi strutturate, si arriva a gestire comunitariamente nonsolo la casa ma anche il lavoro, i progetti politici coinvolgenti, levacanze, lintera gestione finanziaria, le tensioni interne al gruppoe i problemi esistenziali dei singoli. In genere, queste esperienze

    hanno sia una progettualit interna, legata a una convivenza oriz-zontale e solidale di chi le vive stabilmente, sia lintenzione diaprire il luogo allesterno, mettendo a disposizione spazi (ad esem-pio laboratori dove lavorare il legno o la ceramica, locali per ini-ziative, riunioni e feste), accogliendo chi senza casa, ospitandomomenti di approfondimento o svago, agendo come fulcro digruppi di acquisto o di iniziativa politica.

    Il tentativo di sviluppare delle modalit di stare insieme egua-litarie e solidali pone la questione di sviluppare strumenti deci-sionali alternativi, tema che spesso genera discussioni appassio-

    nate. La ricerca di modalit per strutturare il rapporto tra personae gruppo in modo egualitario prende, a volte, la forma di riunionisettimanali (della durata di diverse ore, occasionalmente di giorni),cos come di discussioni a cena, o altre modalit creative di con-fronto.

    In una casa composta da quattro persone si crea tensione per-ch due donne accusano due uomini di lasciare spesso piatti spor-chi nei lavelli. Il disagio femminile si esprime inizialmente conuna scherzosa Petizione per la difesa del piatto, in cui si denuncia latriste condizione del piatto lasciato oleoso. Gli accusati reagisconocon un dettagliato, anche se ugualmente ironico, cartellone, postovicino ai lavelli, in cui si invitano i componenti della casa a se-gnare le volte in cui i piatti vengono sporcati e le volte in cui ven-gono puliti. Uno sguardo veloce segnala spiccate differenze nel bi-lancio dei singoli, anche se una massima di Russell scritta sul

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    cartellone avverte che ci sono tre tipi di bugia: la bugia, la bugiainfame e le statistiche. In seguito, un Quesito, appeso sulla portadella cucina, chiede: La massimizzazione dellefficienza sistemica causa o conseguenza della massimizzazione del benessere indi-viduale?. Lesempio mostra come si cerchi di gestire le potenzialitensioni amplificando la comunicazione e cercando forme che sti-molino una riflessione, senza offendere, nellimpossibilit di co-stringere. In alcuni casi i muri delle case si riempiono di lamenti,

    considerazioni, espressioni di esigenze, sfoghi, indovinelli, dise-gni, indicazioni, avvertimenti In una casa allargata, allenne-sima bolletta Telecom pagata con i soldi della cassa comune, acui contribuivano tutti gli abitanti giudicata da alcuni eccessi-vamente gravosa, viene nascosto il telefono portatile della lineafissa. Per telefonare bisognava usare il telefono fisso, collocato inun luogo non riscaldato. Era inverno. Chi aveva nascosto il cord-less sperava cos di ridurre le spese telefoniche o, perlomeno, im-porre, al freddo, una riflessione.

    I percorsi comunitari sono spesso fragili: i tentativi si spen-

    gono per sfratti, insostenibilit finanziaria, conflitti interni. Co-stanza, dopo lennesimo sfratto: Sono stanca di spostarmi an-cora. Ogni poco a fare traslochi. Non si riesce a vivere qui. Se unovuole vivere qui perch ci lavora, perch gli piace il paesaggio,non ce la fa. E le case vengono tenute vuote. Vendute a tedeschi,a milanesi, anche a senesi che le aprono una volta al mese. Sentoun senso di rabbia. Metterei una bomba in casa di uno che hatrenta case e le tiene vuote. Sento solo rabbia. Tentativi comuni-tari che spesso sfociano in frustrazione ma che rappresentanoanche semi di esperienze personali che germogliano in altri con-testi, a volte coinvolgendo altre persone.

    Allinizio di questa parte sulla gestione della socialit nel noi,ho sostenuto che la capacit di generare pratiche distintive egua-litarie, orizzontali e solidali era centrale per valutare la reale au-tonomia ideologica e pratica rispetto ai modelli dominanti. La-

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    nalisi indica che esiste una traduzione in prassi dei valori propo-sti come caratterizzanti, una implementazione per parziale, li-mitata a particolari ambiti. Sia la forza che la debolezza del noipossono essere ricondotte, almeno in parte, alla fragilit dei pro-cessi decisionali, non vincolanti, permanentemente discutibili,non coercitivi. Da un lato, il procedimento partecipato attraversoil quale si generano decisioni di gruppo rivela alcuni valori centralicome il rifiuto dellautorit e dellinvadenza nelle libert indivi-

    duali; delinea circuiti identitari; indirizza attivit economiche,scelte residenziali, iniziative politiche. Dallaltro lato, lindividua-lismo egualitario mostra spesso limiti organizzativi: una scarsa ef-ficacia rispetto agli obiettivi proposti; iniziative economichespesso prive di competitivit rispetto ai canoni del mercato; unainsufficiente sintonia nei tempi e nei modi dellagire collettivo; unimpatto pubblico esiguo.

    Questi limiti sono dovuti a problemi irrisolti nel rapporto trasingolo e collettivit: una partecipazione fluttuante e scostante aimomenti di deliberazione, decisioni e interventi lenti e faticosi,

    scarsa chiarezza nella distribuzione dei compiti, inefficienza ri-spetto agli impegni presi come singoli e quindi come gruppo. At-tualmente lindividualismo egualitario riesce a offrire i canoni perunorganizzazione collettiva nella sopravvivenza quotidiana, ininiziative di corto e medio periodo, in gruppi poco numerosi.Sono rari ma non del tutto assenti le realt consolidate da de-cenni di esperienza, competitive sul mercato, che coinvolgono inmodo intimo una collettivit allargata. Si gestiscono insieme ispirandosi allorizzontalit partecipata lavori agricoli, feste, case,comuni, alcuni gruppi politici e centri sociali, attivit artigianali,gruppi di acquisto, incontri di giocolieri e di ciclisti sovversivi,oltre che lorganizzazione e lofferta di informazioni telematiche,come in alcuni gruppi di attivisti Indymedia. Non si gestisconosecondo queste modalit fabbriche, quartieri, partiti. Lorganiz-zazione assembleare e partecipativa genera frammenti di noi

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    compatibili con certi ambiti e ambienti. Forse non neanche pen-sabile, nel contesto attuale, che una tale gestione diventi la formaegemonica di amministrazione di una societ complessa e specia-lizzata.

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    Levasione: il lavoro e il consumo

    Abajo el Trabajo e Dinero Gratis sono diventati slogan gridatidi frequente durante le manifestazioni etichettate prima comeno-global e poi con un ancora pi scadente new-global. Le

    formule immaginarie appaiano sui muri dove passano i cortei. Uncentro sociale romano celebra annualmente la festa del non-la-voro. A prima vista queste espressioni possono apparire ossimoriattraenti che si prestano a essere elevati a slogan perch conden-sano un programma politico, una sorta di assalto al cielo, la visionedi un futuro oggi inavvicinabile. Ma forse pi utile vederle nonsolo come momenti di elaborazione teorica astratta o di fantapo-litica, ma come espressioni di un vissuto. Se esaminati in rapportoalla prassi quotidiana, gli slogan, anzi, perdono la loro forza pro-pulsiva e si limitano a essere sintesi un po brutali e banali del rap-porto che il noi ha con il mondo del lavoro e del consumo.

    Evasione potrebbe essere il concetto che meglio sintetizza ilrapporto tra il noi e il ciclo produzione-consumo. Unevasioneparziale, nella maggior parte dei casi, ma radicale se raffrontata alregime lavorativo prevalente. Il noi difficilmente viene impiegato

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    nella burocrazia pubblica o privata, nel grande terziario commer-ciale, in strutture fortemente gerarchizzate o nelle grandi imprese.Raramente lavora come impiegati, nella rappresentanza, per lebanche, nelle cosiddette forze dellordine. Lostilit verso questitipi di occupazione ha diverse motivazioni. C fastidio per los-sessionante espressione dellautorit del padrone che a volte pre-tende, oltre al tempo e allo sforzo, anche di trasformare la personadel lavoratore, i suoi modi di fare, di vestire, o di gestire lappa-

    renza. Carlo riassume la sua intolleranza verso lautorit nelmondo lavorativo: Preferisco lavorare il doppio ma senza pa-drone. Sono in un periodo che se c un padrone, gli metto lemani addosso entro una giornata. Provoca sconcerto lotticaesclusivamente produttivista degli imprenditori che impongonoritmi forsennati e calpestano quelli che sono considerati diritti ele-mentari, anche se non necessariamente garantiti dalla legge. Cmalessere per la lunghezza dei tempi di impiego che occupanobuona parte della giornata, lasciando spazi limitati di autonomia.Si prova rabbia per paghe spesso ritenute inadeguate, a volte ridi-

    cole. Lostilit verso il mondo del lavoro riassunta in una scrittamurale proposta durante la manifestazione del novembre 2002 aFirenze. Con cinico sarcasmo si ricorda lo schema essenziale delciclo economico prevalente: Lavora, Consuma, Crepa.

    La messa in crisi del lavoro, luscita dalle logiche del denaro gi in atto. Le pratiche dei singoli scoprono percorsi creativi persovvertire lideologia e la prassi diffusa. Viene evitato un ciclo diproduzione e consumo, presentato dalla cultura prevalente comenaturale e necessario, che si pu sintetizzare, con la rozzezzaprofondamente espressiva che caratterizza le riduzioni drastiche,nella formula: lavoro-guadagno-pago-pretendo. La ricetta delli-deologia prevalente prevede il denaro come principale regolatoredel ciclo (lavoro-soldi-guadagno-soldi-pago-soldi-pretendo) e unio fortemente individualizzato come soggetto agente. In-vece, nel noi i rapporti economici non sempre vengono mone-

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    tarizzati e non sempre il singolo al centro delle dinamiche. Ognianello e ogni passaggio della formula che condensa la propostaegemonica del ciclo lavorativo-possibilit di consumo viene mi-nato, parzialmente ma in modo significativo.

    Limpiego salariato normale viene vissuto come sfruttamento,come momento in cui il tempo della persona viene concesso perinteressi altrui. Si vedono profonde continuit tra la prostituzione socialmente disdegnata e il lavoro salariato. I racconti che si

    fanno nel noi degli impieghi a lungo termine, in strutture re-pressive e autoritarie, mettono in evidenza la violenza dellim-pianto lavorativo che caratterizza il rapporto autoritario che sot-tomette il dipendente al padrone. C un senso di disagionellessere agli ordini di qualcuno che spesso impartisce direttive inmodo irrazionale e irritante. La magrezza della paga conferma li-naccettabilit dei contratti occupazionali offerti sul mercato. Irisracconta come si sia fatta licenziare da un lavoro come camerieranel ristorante di un albergo di lusso a una settimana dallassun-zione perch si sentiva trattata con aria di superiorit dal respon-

    sabile. Un gruppo di clienti arriva al ristorante quando i lavoratorisi apprestavano ormai alla chiusura e riceve un trattamento me-diocre. Il gruppo si lamenta con il direttore che riprende Iris. Leigli risponde per le rime facendogli notare una serie di manchevo-lezze nella sua gestione del locale. Questo si inalbera e le chiede seviene accusato di non saper fare il proprio mestiere. Iris gli ri-sponde che sicuramente non sa rapportarsi in modo cordiale e co-struttivo con i dipendenti. Il noi ha una indisposizione ad ac-cettare dinamiche che ritiene essere di sfruttamento e diventaindocile, svogliato, sabotatore quando si trova a lavorare in con-dizioni di oppressione, gerarchia, discriminazione.

    Roberto, nato nella ex-Yugoslavia, da diversi anni in Italia, an-cora in attesa di un permesso di soggiorno di lunga durata, cercalavoro, per soldi e per poter avviare le pratiche per allungare lasua permanenza legale. Richiamato da un annuncio, si presenta a

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    una ditta che monta infissi per una giornata di prova. Si lascianocon il titolare che promette di richiamarlo ma, nei giorni seguenti,non si fa sentire. Roberto racconta che va a trovare il titolare ac-compagnato da Walter, un viaggiatore tedesco arrivato da ol-trAlpe con un trattore che usa olio vegetale come carburante pertrainare il suo carrozzone. Lospite, con il suo cane Pogo, si ap-poggiano ormai da qualche mese nella casa allargata in cui viveRoberto.

    Il titolare mi dice che ha preso un altro che ha gi esperienza di lavoro conil legno. Gli chiedo, allora, di pagarmi la giornata di lavoro che avevofatto. Si fruga in tasca e mette 35 euro sul tavolo. Li prendo e gli chiedocosa siano. Ho lavorato nove ore gli dico. Mi chiede quanto avevo pen-sato di guadagnare. Gli dico che mi aspettavo sui 1.500 al mese. A que-sto punto si alza. Era grosso, ma grosso: due spalle due braccioni eraenorme. Mi prende per il collo, mi spinge fuori e l alza il pugno controil mio viso. Walter in macchina con Pogo; cerca di uscire ma era nellamacchina di Stefano, quella con la porta che non si apre dal di dentro. Il

    titolare cerca di strapparmi i soldi di mano. Io glieli allontano e me nevado. Io e Walter ci spostiamo con la macchina fuori dalla sua propriet.La strada era vuota. Parcheggiamo e io scendo e mi metto a gridare e in-sultarlo: Sfruttatore! Ladro! Bastardo! Ladro!.

    La diversit antagonista, in genere, non si esprime allinterno diambienti operai. Pochi lavorano in fabbrica e quei pochi non tro-vano punti di riferimento nel sindacato confederale. La necessitspinge Paolo ad accettare un posto in catena di montaggio. Nellegrandi assemblee sentivi i delegati che ti spiegavano che aumen-tando la produttivit del 4,7% si aumentava il premio di produ-zione dello 3,5%, eccetera, eccetera. Bevevo una birra e alla se-conda iniziavo ad assopirmi. Presto lorganizzazione dellaproduzione e i principi di Paolo entrano in un conflitto irrisolvi-bile. Paolo ricorda lentrata della fabbrica e la sequenza di cartelli

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    che dirigono, vietano, ordinano, impongono come vivere quelluogo. Il suo impiego rischioso ma le scarpe antinfortunistichenon erano contemplate per la sua posizione; quando porta isandali gli viene per intimato di cambiarli. Alla prima manife-stazione con il Manifesto e Liberazionein tasca trova solo dele-gati burocratizzati; questi organizzano per lo sconcerto di Paolo gli scioperi in modo tale da non interrompere la catena pro-duttiva: chi sciopera per il quarto dora stipulato, viene sostituito

    da un altro lavoratore che aveva gi concluso il suo sciopero. Ladirezione, oltre a tenere una sorta di schedatura dei dipendenti,impone di programmare con largo anticipo i giorni di ferie. Dopodue contratti da nove mesi viene licenziato per incompatibilitcon il regime di fabbrica; Paolo commenta la motivazione azien-dale: il pi grande attestato di stima nei miei confronti.

    Uno dei problemi principali con i contratti lavorativi preva-lenti la scarsit di spazio che lascia per altre attivit. Il rapportocon lo scorrere del tempo rivela la distanza ideologica tra chi vuolevivere seguendo le proprie esigenze corporee, di socialit, di svago,

    di scoperta e un tempo disciplinato dagli orari di entrata e di uscitadallimpiego. Il tempo nel noi spesso indefinito a priori: nonesistono routine ripetute settimanalmente su un ciclo annuale; siminimizzano sveglie fissate alla stessa ora ogni giorno; i progettioccupazionali sono spesso vissuti come una possibilit piuttostoche una necessit. Quasi tutti possono permettersi di scegliere, e ineffetti scelgono, di rinunciare agli orologi da polso. Chiedo a Da-niele come va.

    Ma! Le giornate passano. Tipo oggi mi sono svegliato ed ero rilassato, misono messo a prendere un po di sole quando chiama Stefano che mi diceChe fai? Mi si fermata la macchina. Allora vai a recuperare Stefano.Porta la macchina dal meccanico. Poi ci si fermati a casa di amici a farepranzo. Tornando a casa ci siamo fermati a Siena a vedere se cera qualchelavoretto. Non cera niente, ma niente. Allora ci siamo fermati a fare la

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    spesona per la casa [una casa allargata]. Insomma sono uscito la mattina di-cendo Tra un po torno e sono rincasato alle sette.

    La giornata tende a essere spostata in avanti come orari: la sve-glia raramente compatibile con la normale entrata al lavoro e siprolunga in socialit negli orari notturni, lasciati vuoti dalla nor-malit.

    Si regola la vita in base alle condizioni meteorologiche, alle fasi

    della luna, si ascolta la voglia e la stanchezza, si cerca la rilassa-tezza: il quotidiano calibrato sulle necessit del singolo piuttostoche sulle esigenze dellimpiego. Lattivit produttiva inserita per quanto possibile in giornate caratterizzate da una variabilit,una creativit, unimprevedibilit: il lavoro non determina la di-stribuzione del tempo ma ne una parte che deve essere armo-nizzata con le altre. I modelli sociali prevalenti di vivere lo scorreredel tempo, con cadenze ripetitive e coercitive, sorprende e im-paurisce. Daniele che lavora come stagionale in un vivaio riflette:

    Il pensiero che tra andata e ritorno in macchina, lavoro e pausa-pranzosto dando undici ore della mia vita a loro mi fa male C un signoreche lavora l che ogni giorno verso le cinque meno cinque guarda loro-logio e dice: Anche per oggi la giornata finita. un commento che miha colpito. Non dice il lavoro ma la giornata. Vuol dire che la sua esi-stenza finisce l, nel lavoro.

    La riflessione si chiude prospettando unalternativa: Abbas-sando i consumi si potrebbe arrivare a lavorare unora al giornoIo sono per il non lavoro.

    Non ci sono quindi aspirazioni operaiste, la soluzione piut-tosto sottrarsi. Da un lato, uscire dalla produzione intesa comeimpiego salariato; dallaltra superare la suddivisione rigida tratempo di lavoro e tempo di svago. Luscita dalloccupazione dilungo periodo prevede il non cercare e il non accettare proposte

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    lavorative che tolgono tempo senza dare benefici adeguati. Nelnoi sono rari e spesso sofferenti quelli che hanno impieghi fissi,che prevedono un ammontare consistente di ore lavorative setti-manali. A volte si ragiona insieme sul disagio, espresso da alcunicome periodo di ansia e stress o sullemergere di sintomi di ma-lessere fisico, legati allintensificazione dei tempi di lavoro. Mi-riam impiegata per un mese come commessa con orari fissi e,dopo una pausa di qualche settimana, come cameriera: i lamenti

    per la violenza dellimpiego quotidiano sulla sua vita sono conti-nui, ossessionante il controllo dellorologio in attesa dellorariodi entrata al negozio, il senso di sollievo al ritorno a casa si sosti-tuisce, nel giro di qualche ora, in angosciosa attesa della routine la-vorativa del giorno dopo. Nel noi il lavoro salariato a orariofisso si pu subire ma momentaneamente e senza piegarsi allac-cettazione di una ciclica e cospicua espropriazione di tempo incambio di un misero stipendio. Si sente Buon lavoro non sidice, mettendo in evidenza limpossibilit per un lavoro salariatodi essere piacevole, gratificante. Il testo di due magliette prodotte

    e indossate in questo ambiente rivela il valore del non-lavoro: Re-spiro meglio sottacqua che al lavoro; unaltra che rappresenta unapersona che dorme: Oggi non vado a lavorare, non penso che ciandr neanche domani.

    In genere si accettano impieghi a orario fisso e a tempo inde-terminato solo in situazioni in cui i rapporti lavorativi prevedonouna qualche forma di gestione partecipata, in cui le interferenzeesterne sono limitate e c la possibilit di discutere e deciderelorganizzazione e le modalit dellimpiego. Questo avviene al-meno in parte in strutture cooperative che lavorano in ambitoculturale, didattico, sociale e di terapia alternativa, nei servizi aitossicodipendenti e allinfanzia, nellassistenza alla persona, inquelle piccole imprese dove proprietario e lavoratore sono legatida un rapporto che va oltre lo scambio lavoro-salario. Questi me-stieri, anche se aspramente criticati per la pochezza della retribu-

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    zione, sono in genere a tempo parziale e rispondono quindi alle-sigenza di non esaurire la vita nel lavoro. Loccupazione in agri-coltura o comunque a contatto con lambiente un altro ambitodi lavoro privilegiato anche perch spesso stagionale. Giorgio ra-giona sui vantaggi del lavoro nei campi: laria buona, lo scarsocontrollo, se vuoi ti fermi un attimo, ti rolli una canna senza chenessuno ti rompa le palle.

    Nellimpiego salariato si entra come commessi, camerieri,

    pizzaioli, operai, manovali agricoli, montatori di palchi o assi-stenza in fiere o mostre con un senso di rassegnazione momen-tanea, a tempo determinato, in genere per brevi periodi. Dallaproduzione, soprattutto si esce con rapidit, scegliendo occupa-zioni stagionali, giornaliere, licenziandosi dagli impieghi a tempoindeterminato. Daniele lavora occasionalmente, per brevi periodi,come bidello. Un giorno, in tarda mattinata, durante la colazione,sente squillare il cellulare e una voce gli propone un impiego an-nuale come bidello. Lui rifiuta frettolosamente, dice che ha dafare in quel periodo. Quando linterlocutore gli chiede specifica-

    zioni, mente: Sto lavorando alla vendemmia. La voce continua,gli chiede se ha fatto domanda per lassunzione annuale. Danieleglissa, dice che non ne sa nulla. La voce insiste: il lavoratore chedeve fare domanda per essere inserito nelle graduatorie annuali, seno le proposte di impiego saranno solo a tempo determinato. Da-niele cerca di chiudere la conversazione ma la voce dallaltra parte ostinata. Daniele comincia a infastidirsi. La voce incalza fino aquando Daniele riesce a divincolarsi e a terminare la telefonata.

    Limpiego in genere finalizzato a ripianare debiti o trovare isoldi per finanziare un viaggio o permettere un acquisto. Loccu-pazione, fin dallentrata, quasi sempre considerata a tempo,ma luscita viene accelerata se si riscontrano dinamiche oppres-sive. Rossano, con competenze informatiche, assunto come pro-grammatore ma si licenzia dalla ditta, a pochi mesi dallassun-zione, quando questa gli chiede di mettere sotto controllo le

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    connessioni internet dei dipendenti. Miriam e Gianna, due ra-gazze vicine alla trentina, ragionano sul fatto che nessuna di loro hafatto lo stesso lavoro per lunghi periodi. La prima ha avuto unoc-cupazione fissa per un massimo di nove mesi, la seconda mai perpi di tre. Miriam dopo un periodo dinattivit lavora una sera inun pub ma lo lascia dopo aver ricevuto una paga scandalosa.Quello che le d particolarmente fastidio sono le continue racco-mandazioni del padrone che considera opprimenti: Mi stava sem-

    pre dietro! Mi teneva il fiato sul collo. Se devo lavorare per te,dimmi quali sono le regole e poi lasciami fare senza controllarmi incontinuazione. Si cercano momenti, anche lunghi, di sottrazionedal lavoro per costruire rapporti con persone o avviare un percorsoformativo. Valeriano parla delle sue prospettive per il futuro.

    Forse ce la facciamo a vendere la casa. Non chiediamo molto. Se la ven-diamo mi prendo un paio di anni in cui non faccio niente. Mi piazzo le penso a me stesso. Ora che lavoro tutto il giorno non trovo tempo perfare ci che vorrei. Non riesco ad ascoltarmi, a cercarmi dentro. Sono

    cose per cui serve tempo e con i ritmi attuali non ci riesco.

    Domenico ha finito luniversit ma decide di non cercare unlavoro: La felicit non avere niente da