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§ PARAGRAFO RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI

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Page 1: Vol. Paragrafo 4:Vol. Paragrafo 4 - UniBG · Paragrafo Rivista di Letteratura & Immaginari pubblicazione periodica coordinatore FRANCESCO LO MONACO Redazione FABIO CLETO, DANIELE

§PARAGRAFORIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI

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ParagrafoRivista di Letteratura & Immaginari

pubblicazione periodica

coordinatore

FRANCESCO LO MONACO

Redazione

FABIO CLETO, DANIELE GIGLIOLI, MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE,FRANCESCO LO MONACO, FRANCESCA PASQUALI, VALENTINA PISANTY,

LUCA CARLO ROSSI, STEFANO ROSSO, AMELIA VALTOLINA

Segreteria di Redazione

STEFANIA CONSONNI

Ufficio 211Università degli Studi di Bergamo

P.za Rosate 2, 24129 Bergamo - tel: +39-035-2052744 / 2052706email: [email protected] - web: www.unibg.it/paragrafo

webmaster: VICENTE GONZÁLEZ DE SANDE

La veste grafica è a cura della Redazione

La responsabilità di opinioni e giudizi espressi negli articoliè dei singoli collaboratori e non impegna la Redazione

Questo numero è pubblicato con il contributodel Dipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità

© Università degli Studi di BergamoISBN – 978-88-95184-97-5

Sestante Edizioni / Bergamo University PressVia dell’Agro 10, 24124 Bergamo

tel. 035-4124204 - fax 035-4124206email: [email protected] - web: www.sestanteedizioni.it

Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo

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INCONTRI

§1. GIOVANNI SOLINAS, La critica tra dialogo e conflitto. Conversazionecon Romano Luperini

FIGURE

§2. NICCOLÒ SCAFFAI, Fortuna e sfortuna di un poeta editore. Ineditidi Domenico Buratti

§3. PAOLA DI MAURO, Da dandy. L’intellettuale dada contro la guerra

§4. GABRIELE BUGADA, La pazzia del tiranno. Ritratti di un poterebandito

QUESTIONI

§5. LUIGI MARFÉ, In viaggio con Erodoto. Appunti per una tipologiadel l’anti-turismo contemporaneo

§6. GIANPAOLO IANNICELLI, Tra le crepe della memoria. Dinamiche ecriticità del processo di trasmissione del passato

STERNIANA

§7. STEFANIA CONSONNI, Schemi di costruzione spaziale del tempo inTristram Shandy

§8. STEFANO A. MORETTI, “Quell’inquieto calesse”. Deviazioni spa-ziotemporali in Laurence Sterne e Prosper Mérimée

I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO

NUMERI ARRETRATI

ParagrafoIV (2008)

Sommario

9

31

55

73

99

113

135

163

183

185

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La ricerca sociologica sulla memoria ha sollecitato negli anni recenti pro-spettive, categorie, nessi e relazioni originali. In particolare, dato che la me-moria pubblica nelle società moderne è sempre più una memoria pubblicamediata, di sicuro interesse si è rivelato lo sguardo orientato alle dinamichee agli intrecci che si instaurano tra memorie e media.1 Inoltre, poiché lamemoria collettiva è una rappresentazione comune di un certo passato, siassume che la memoria stessa e i momenti attraverso cui essa viene edificatasiano fondati anche – se non soprattutto – su processi comunicativi.

Ciò che resta ai margini di tali riflessioni è la questione della trasmissio-ne intra- e intergenerazionale del patrimonio memoriale, sia che si tratti dipiccoli gruppi, sia che si considerino comunità e società più ampie.

Il nodo cruciale, il momento in cui una memoria collettiva è maggior-mente a rischio di dispersione, di sgretolamento, è il passaggio di tale pa-trimonio da quegli individui o gruppi che hanno vissuto direttamente glieventi ‘memorabili’ – ne hanno quindi una rappresentazione fattuale – allegenerazioni successive, le quali, nella migliore delle ipotesi di una trasmis-sione riuscita, saranno portatori di una rappresentazione semantica.2

Secondo una tale prospettiva, sono molteplici i quesiti sui quali è op-portuno riflettere: cosa si intende per “dovere della memoria”?3 Quale

1 Cfr. Paolo Jedlowski, Memoria, esperienza e modernità. Memorie e società nel XX secolo,Milano: FrancoAngeli, 2002; Marita Rampazi e Anna Lisa Tota (a cura di), Il linguaggiodel passato. Memoria collettiva, mass media e discorso pubblico, Roma: Carocci, 2005.

2 Joël Candau, Memoire et identité (1998), trad. it. di Tommy Cappellini, La memoria el’identità, Napoli: Ipermedium, 2002.

3 Emmanuel Kattan, Penser le devoir de la mémoire (2002), trad. it. di Tommy Cappelli-ni, Il dovere della memoria, Napoli: Ipermedium, 2004.

PARAGRAFO IV (2008), pp. 113-131

§6

Gianpaolo Iannicelli

Tra le crepe della memoriaDinamiche e criticità del processo di trasmissione del passato

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ruolo giocano i media e i diversi artefatti culturali? Agiscono in direzionedi un ampliamento delle possibilità e dell’efficacia della trasmissione me-moriale o, piuttosto, finiscono col produrre quella che è stata definita“agnosia dell’evento”?4

La logica della strage e dell’eccidio può in tal senso fornire elementi si-gnificativi di riflessione, in quanto se, da un lato, tali eventi rappresenta-no casi limite, forse unici, per le loro caratteristiche intrinseche, dall’altro,la loro unicità li rende paradigmatici ed esemplari, casi rispetto ai quali itemi qui affrontati si manifestano con maggiore evidenza.

1. La costruzione della memoria. Una questione di comunicazione

La memoria collettiva è una rappresentazione comune di un certo passato,una narrazione dotata di senso per determinati gruppi, comunità, società.Ne consegue che l’esistenza stessa di una memoria e i momenti attraversocui essa viene edificata siano fondati anche – se non soprattutto – su pro-cessi comunicativi. Guardare alla memoria da questa prospettiva porta aspostare il fuoco dell’analisi verso la comunicazione che vede coinvolti nel-la “sfera pubblica”5 i diversi soggetti civili e istituzionali implicati.

Se prendiamo come esempio un tipo di evento paradigmatico qual èquello di una strage, di un attentato, allora uno dei momenti in cui puòessere più evidente quello che si configura come un confronto-scontro trale parti, laddove esso abbia luogo, è chiaramente il cerimoniale comme-morativo. È in questa occasione che si può verificare la compresenza dellediverse componenti coinvolte, che le loro posizioni si articolano in ma-niera diretta e immediata. Il caso delle stragi italiane, poi, è reso ancorapiù peculiare dal sospetto di connivenza o, quanto meno, di depistaggiodelle indagini da parte di apparati deviati dello Stato, tale da giustificarel’appellativo di ‘stragi di Stato’.6 Di conseguenza, l’incontro tra rappresen-

114 / GIANPAOLO IANNICELLI

4 Cfr. Joël Candau, op. cit., p. 143.5 Qui intesa come quello spazio pubblico caratteristico delle moderne società democrati-

che all’interno del quale le convinzioni, le opinioni, le credenze e i principi dei cittadini aproposito di questioni di rilevanza collettiva si confrontano e si influenzano reciprocamentesulla base di argomentazioni razionali, in linea di principio, accessibili a tutti. Cfr. JürgenHabermas, Strukturwandel der Öffentlichkeit (1962), trad. it. di Augusto Illuminati, Ferruc-cio Masini e Wanda Perretta, Storia e critica dell’opinione pubblica, Roma-Bari: Laterza, 2002.

6 Un sospetto che non si fonda nel nulla, ma che trova terreno fertile – come nel caso,oggetto di una mia personale ricerca, della strage del treno 904 del 23 dicembre 1984 –

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tanti istituzionali e società civile assume spesso i toni aspri, se non delloscontro aperto, quanto meno della critica e della manifestazione di rabbiae sdegno.

Una sorta di ‘guerra comunicativa permanente’ che continua ancheattraverso altri mezzi, quali i comunicati e le conferenze stampa delle di-verse associazioni di cittadini, gli articoli che appaiono sui giornali, glispazi dedicati dalla televisione ad episodi di questa risma, le pubblicazionida parte di studiosi, ricercatori, ecc. Così come strumenti di costruzionee comunicazione pubblica della memoria sono anche tutti quei simboli,quegli artefatti, quegli oggetti culturali nei quali possiamo scorgere traccee segni che parlano del passato.

2. Il dovere della memoria

Ma procediamo per gradi. È proprio dell’umano lasciare tracce di sé, del-la propria esistenza, attività, cultura. Una produzione di tracce che si èfatta via via più cosciente ed esplicita, fino a divenire, nella seconda metàdel XX secolo, una vera e propria ossessione memoriale,7 un desiderioconvulso e compulsivo di registrare il passato, di conservarlo e rievocarlo.Un “mal d’archivio”8 figlio di un’angoscia latente nelle società connotateda identità collettive e individuali sempre più precarie e instabili.

Emmanuel Kattan definisce con molta precisione il momento di ini-zio di tale ossessione: “Dalla fine degli anni Ottanta, la preoccupazionedel passato, nelle sue differenti manifestazioni – che si tratti della com-memorazione dello sbarco alleato, della celebrazione del bicentenario del-la Rivoluzione francese o di gesti di pietà fatti in memoria delle vittimedel nazismo – occupa un posto preponderante nello spazio pubblico.

TRA LE CREPE DELLA MEMORIA / 115

proprio nelle stesse indagini, le quali hanno seguito, per lo più in processi paralleli,l’ipotesi di coperture e sviamenti da parte di ufficiali e apparati corrotti dello Stato o diforze armate. Pur non essendoci mai state condanne in tal senso, è chiaro che in casi comequesti, dove la verità, se non del tutto oscura, è sempre confusa, il solo sospetto finisce perrappresentare per il comune cittadino un dubbio legittimo. Cfr. Alexander Höbel e Gian-paolo Iannicelli, La strage del treno 904. un contributo dalle scienze sociali, Napoli: Iperme-dium, 2006.

7 Cfr. Antonio Cavicchia Scalamonti, “Il peso dei morti ovvero dei ‘dilemmi di Antigo-ne’!”, in Emmanuel Kattan, op. cit., pp. 7-24.

8 Jacques Derrida, Mal d’archive. Une impression freudienne (1995), trad. it. di GiovanniScibilia, Mal d’archivio. Un’impressione freudiana, Napoli: Filema, 1996.

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Questo interesse accresciuto per la storia – e in particolare per i criminidella storia – si accompagna spesso a un’invocazione al ricordo, a un ap-pello al ‘dovere della memoria’”.9

Un’espressione, quest’ultima, che a prima vista può apparire pacifica escontata. A proposito, poi, di particolari fatti della storia, come le stragi,taluni pesanti crimini subiti da gruppi o interi popoli, l’obbligo di ricor-dare e, attraverso il ricordo, di impegnarsi affinché quanto accaduto nonsi ripeta, sembra diventare, almeno dal punto di vista morale, una certez-za irrefutabile.

2.1. Apprendere dalla Storia

Eppure, non appena ci si interroghi sui fondamenti normativi di un do-vere della memoria e sul suo significato, emerge una serie di questionicomplesse. È sempre auspicabile per una società il dovere della memoria?E a chi spetterebbe: all’individuo o, riguardando spesso eventi collettiviche questi, il più delle volte, non ha vissuto di persona, a gruppi spe ci fi -ci,10 intere comunità e soggetti istituzionali?

Nel dibattito sul dovere della memoria è preponderante il ruolo difen-sivo che il ricordo può svolgere; l’idea secondo cui la storia impartiscadelle lezioni da cui va tratto un insegnamento, perché chi dimentica ilpassato ne agevola il ripetersi, è tanto diffusa quanto costantemente invo-cata. Il problema, in questo caso, è che se guardandoci indietro possiamoscorgere con estrema chiarezza che cosa dobbiamo assolutamente evitareche si ripeta, quali sono gli sbagli commessi dai quali è auspicabile che sirifugga tanto nel presente quanto in futuro, non è altrettanto manifestoche cosa dovremmo o potremmo fare a tal fine; la storia, infatti, può mo-strarci che cosa si deve evitare, ma non ci insegna che cosa fare. Certo èche se, ancora alle soglie del terzo millennio e ai suoi albori, abbiamo do-vuto assistere a episodi di ‘purificazione etnica’, a stermini di massa e stra-gi terroristiche, allora sorgono legittimamente diversi dubbi e interrogati-vi. È del tutto ovvio che per sconfiggere fenomeni come il razzismo o ilterrorismo non bastino solo delle pratiche commemorative sistematica-mente reiterate; la corretta conservazione della memoria non può esserenella maniera più assoluta una condizione sufficiente a debellare piaghe

116 / GIANPAOLO IANNICELLI

9 Emmanuel Kattan, op. cit., p. 29.10 Il riferimento qui è sia ai protagonisti diretti di una certa vicenda, sia a categorie so-

ciali e a figure professionali come gli storici, gli intellettuali e gli altri scienziati sociali.

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così complesse che richiedono sforzi enormi in molte sedi – politiche,istituzionali, militari, ecc. – e, oggigiorno, concertati a livello internazio-nale. In ogni caso, viene da domandarsi se le modalità attraverso le qualiogni comunità sceglie di commemorare il proprio passato siano adeguate;se riescano, in altre parole, a tenere alta la soglia dell’attenzione nei con-fronti del potenziale ritorno delle tragedie della storia, a stimolare con ef-ficacia uno stato di vigilanza collettivo e a veicolare una cultura dell’im-pegno civile.

2.2. Una memoria pacificata

Non possiamo addentrarci in questa sede nel complesso dibattito ineren-te i soggetti più idonei a farsi carico del dovere della memoria – questionesulla quale si sono spese voci autorevoli come quelle di Primo Levi, Cze-slaw Milosz, Paul Ricoeur e Yosef Yerushalmi.

Innanzitutto, riprendendo alcuni degli interrogativi già emersi, siscorge l’altra faccia dell’appello al dovere della memoria, ovvero il rischioche un eccessivo attaccamento al passato risulti individualmente e collet-tivamente paralizzante – se non proprio controproducente.11 Allora, qualeatteggiamento è da auspicare tra la necessità della memoria e le ‘virtù’dell’oblio? Che tipo di condotta è opportuno assumere se, da un lato, so-no evidenti i doveri morali e le esigenze pratiche che la memoria imponee, dall’altro, non possono essere negate nemmeno le contraddizioni, o ad-dirittura le conseguenze nefaste, che un suo uso carico di rancore e desi-derio di vendetta determina?

È chiaro che ci si muove su un terreno sdrucciolevole alla ricerca con-tinua di un equilibrio: quello, appunto, tra un richiamo ossessivo alla me-moria di tutti i passati ambivalenti e dolorosi che potrebbe comportareabusi capaci solo di acuire le tensioni del presente e una prescrizione, ta-lora troppo disinvolta, dell’oblio. Ciò che Kattan propone, allora, è unasorta di compromesso che non porti, però, alla costruzione di una memo-ria asettica, ovvero scevra da ogni antinomia – cosa fors’anche impropo-nibile, impossibile da realizzare quando determinati passati sono contro-versi e contraddittori in sé:

TRA LE CREPE DELLA MEMORIA / 117

11 Per una ricostruzione sintetica ma efficace di tale dibattito si rimanda al volume cita-to di Kattan. Si veda anche, in particolare per l’interessante concetto di “imprenditorimorali della memoria”, Anna Lisa Tota, La città ferita. Memoria e comunicazione pubblicadella strage di Bologna, 2 agosto 1980, Bologna: Il Mulino, 2003.

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Lo sforzo di riconciliazione con il passato ha una doppia funzione: con-tribuisce in primo luogo a impedire che i conflitti del passato siano ri-messi in gioco nel presente; e in secondo luogo, permette agli eredi dellevittime di ieri di progettare il futuro in favore di una messa a distanza deiricordi dolorosi che essi continuano a portare con sé. La ricerca di un taleideale – che si potrebbe chiamare “memoria pacificata” – non presupponela dissoluzione di ogni tensione, ma mira piuttosto a smorzare la logicadel risentimento e il perpetuarsi della violenza”.12

Costruire una memoria pacificata vuol dire innanzitutto riconoscere e ad-dossarsi la propria storia, non negarla, non rifiutarla, per quanto ‘scomo-da’ essa possa essere. L’oblio può portare a una quiete solo superficiale epoco duratura: così come sul piano individuale, anche collettivamente siè verificato talvolta nel corso della storia un ritorno del rimosso. Per taci-tare una coscienza turbata da ricordi di ingiustizie e torti subiti è più effi-cace compiere un’operazione di pacificazione della memoria che persegui-re l’occultamento del passato, in quanto la negazione di ciò che è accadu-to non incide sulle cause che sono all’origine delle tensioni attuali, nonne favorisce l’elaborazione e l’accettazione. Laddove, al contrario, ricerca-re la pace della memoria vuol dire – come in una sorta di ‘psicanalisi col-lettiva’ – confrontarsi apertamente con i motivi del dolore determinatidal ricordo e con le problematiche relative alle modalità di conservazione,di rappresentazione e di trasmissione del passato. A tale scopo, è necessa-rio riflettere con pacatezza ed equanimità sulla propria storia, fare i conticon essa piuttosto che cancellarla da ogni orizzonte presente e futuro.

Dunque, compiere un lavoro di memoria vuol dire assegnare al passa-to un posto di rilievo nel proprio presente affinché esso possa recitare unruolo significativo nell’edificazione e nello svolgimento del percorso divita. Il passato deve integrarsi, prima in forma narrativa e poi fattivamen-te, nell’elaborazione del racconto di vita soggettivo e di gruppo. Ciò av-viene tramite un processo che potremmo definire di costruzione socialedella memoria, in quanto questa viene esteriorizzata attraverso le narra-zioni e le rappresentazioni collettive, poi prende la forma dei diversi arte-fatti culturali attraverso i quali viene oggettivata e infine integrata nell’e-sperienza personale e di gruppo. Con terminologia e approccio diversi,una delle funzioni principali della narrazione, sul piano sociale, è quelladi permettere la classificazione e l’interpretazione di ciò che viviamo at-

118 / GIANPAOLO IANNICELLI

12 Emmanuel Kattan, op. cit., p. 129.

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traverso la diffusione fra i membri di una società di modelli cognitivi co-muni.13

Una siffatta integrazione dà luogo a tre dinamiche molto rilevanti.14

In primo luogo, vi è un immediato beneficio apportato dalla narrazione,dalla ‘messa in racconto’ della propria esistenza: infatti, per suo tramite èpossibile interporre una distanza fra sé e un passato doloroso o comunqueopprimente. In altre parole, l’inserimento del passato in una storia di vitaintegrale e lineare può liberare un potenziale terapeutico nei confrontidegli aspetti più traumatici legati a un certo ricordo. Nel senso che, con-siderando la successione degli eventi biografici come un tutto coerente,vengono dotati di senso e significato anche i singoli eventi che compon-gono l’insieme, cioè il percorso esistenziale complessivo. Si giunge a con-clusioni del tutto analoghe pure considerando la questione nell’ottica del-la psicologia cognitiva, in particolare quella elaborata da Bruner, secondola quale le rappresentazioni delle esperienze fatte attraverso la narrazioneforniscono degli schemi che rendono un soggetto più capace di interpre-tare la propria biografia.15 È anche una questione di oggettivazione, perl’appunto: il ricordo, una volta raccontato, messo a distanza attraverso lanarrazione, diviene cosa altra rispetto al soggetto, esiste – in senso feno-menologico – indipendentemente dall’intenzionalità della coscienza del-l’individuo, cessando di gravare su questa.

In secondo luogo, la narrazione svolge una funzione liberatoria ristabi-lendo la continuità che l’evento tragico aveva spezzato. Quello che era unpunto di rottura, una frattura di una biografia o della storia di una collet-tività diventa, attraverso il racconto, parte di un flusso continuo e ininter-rotto che arriva fino al presente ed è rivolto parimenti al futuro e perciòpiù agevolmente rappresentabile come parte integrante dell’identità.

Infine, essendo impossibile una ritenzione del passato nella sua inte-rezza, la narrazione, occupandosi di certi avvenimenti, ne lascia fuori de-gli altri; in altre parole, essa opera una selezione includendo gli elementi

TRA LE CREPE DELLA MEMORIA / 119

13 Cfr. Jerome Bruner, “La costruzione narrativa della ‘realtà’”, cit. in Paolo Jedlowski, Sto-rie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Milano: Bruno Mondadori, 2000, p. 49.

14 Le espongo qui in estrema sintesi, rimandando per gli approfondimenti al già men-zionato volume di Kattan, pp. 129-142. Sulle funzioni e i benefici della narrazione si ve-dano anche Antonio Cavicchia Scalamonti, La morte. Quattro variazioni sul tema, Napoli:Ipermedium, 2007, pp. 142-45, e Paolo Jedlowski, Storie comuni. La narrazione nella vitaquotidiana, op. cit.

15 Cfr. Jerome Bruner, In Search of Mind: Essays in Autobiography (1983), trad. it. di Sil-vano Chiari, Autobiografia. Alla ricerca della mente, Roma: Armando, 1984.

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che presentano una qualche utilità attuale per la collettività ad esclusionedi quelli che non presentano alcun interesse.

Certo, ci sono passati così controversi, eventi tanto drammatici e in-spiegabili che il loro inserimento in una memoria pacificata risulta un’ope-razione ostica. È come se determinati momenti della storia fossero intrin-secamente resistenti a ogni tentativo di messa in racconto. Difficoltà delgenere presenta, ad esempio, la Shoah. E non soltanto per il popolo ebrai-co, si badi bene, ma anche per lo stesso popolo tedesco: per il primo l’in -tegrazione narrativa può addirittura minacciare e destabilizzare l’iden ti tàpiuttosto che rinsaldarla. E lo stesso discorso, rovesciato, vale per il secon-do: come è possibile inserire positivamente un evento che provoca vergo-gna e senso di colpa in una narrazione che non sia di peso per le coscienze?

In altri termini, per poter perseguire l’ideale di una memoria pacifica-ta non basta accettare, imparare e trasmettere un certo passato, né affer-mare semplicemente che bisogna integrarlo nei racconti, nelle prospetti-ve, nei progetti e nelle azioni presenti di un gruppo, ma c’è bisogno chevengano esplicitati e forniti gli strumenti per comprendere in che modo ein che senso un evento carico di valenze negative possa essere pertinentecon una certa identità.16

Ne consegue che, talvolta, mettere un punto ai discorsi sul passato,sulle interpretazioni da attribuirgli e sull’uso che se ne deve fare è cosaimpossibile. In questi casi, accettare di continuare a dibattere vuol direessere obbligati ad accettare anche, e senza soluzione di continuità, lacontroversia, la polemica, lo scontro. Allora, si domanda Kattan, non sa-rebbe preferibile per una comunità tacere una volta per tutte e abbando-narsi all’oblio? Che cosa induce una collettività a rivivere costantemente isuoi conflitti passati? Perché questo passato continua a invadere lo spaziopubblico e il presente? Forse perché la modernità ha cambiato alcune cosedecisive: nelle società tradizionali la memoria collettiva si manteneva ‘vi-va’ e dinamica fornendo al gruppo un universo simbolico totalizzante,cioè un quadro d’insieme che comprendeva i momenti fondatori e la tra-

120 / GIANPAOLO IANNICELLI

16 Per continuare con lo stesso esempio, la pertinenza del genocidio nazista per l’iden ti -tà del popolo tedesco, o meglio la pertinenza della memoria di quell’evento, sta nel fattoche esso può fungere da sostrato per l’edificazione di uno Stato fondato sui valori dellademocrazia e della libertà. Il che non significa voler fissare per sempre la colpevolezza te-desca o che l’odierna vita democratica della Germania sia basata su un debito o su unavergogna perenni, ma soltanto affidare a questo popolo una responsabilità particolare,quella di essere sentinella principale e universale a difesa della giustizia e dei diritti umani.

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dizione del gruppo stesso in base alla quale era possibile spiegare e inter-pretare il presente. I miti delle origini e tutti i passaggi più rilevanti inchiave identitaria venivano riattualizzati e trasmessi attraversi i riti e le ce-lebrazioni. Ma ora che questo rapporto si è dissolto, ora che la storia e lamemoria si sono separate sotto i colpi di una serie di processi sociali eculturali – l’individualizzazione, la secolarizzazione, il weberiano Entzau-berung – il passato ci si presenta come un ‘buco nero’, una landa inospita-le nella quale non sappiamo più vivere. Il che ci disorienta, e allora il suocontinuare a essere sempre presente e nel presente indica forse il bisognodi riannodare i fili spezzati con quel qualcosa senza il quale pare che nonsi diano né l’identità, né la cultura stessa: la propria memoria collettiva.Allora, meglio una memoria permanentemente controversa e conflittuale,meglio una memoria in incessante fermento che non una memoria tacita-ta e che, proprio in quanto tale, non ha più alcuna vitalità.

3. Conservazione e trasmissione della memoria

La memoria, oltre agli individui e ai gruppi che ne sono portatori, svolgeessa stessa alcune importanti funzioni sociali. È ormai chiaro il suo legamecon la fondazione dell’identità culturale di una collettività; ma in che mo-do, e attraverso quali processi, la memoria edifica un’identità? Condizioneaffinché ciò si verifichi è la condivisione di una serie di elementi, tra i qua-li lingua, convenzioni verbali (che, secondo Halbwachs, costituiscono ilquadro sociale della memoria collettiva più elementare e più stabile allostesso tempo),17 saperi, conoscenze, credenze, stili, comportamenti, ecc.

Tale comunanza non sarebbe possibile senza un’adeguata trasmissionedella memoria intesa, appunto, come patrimonio culturale. E questo per-ché la socializzazione, l’educazione e l’apprendimento non avrebbero néfondamenta né contenuto, ma sarebbero dei processi da fondare e rifon-dare ogni volta, da porre in questione di continuo. Ma, se così fosse, l’esi -stenza stessa – senza la possibilità per i soggetti di ‘mettere tra parentesi’,secondo l’insegnamento fenomenologico,18 una serie di conoscenze e pra-

TRA LE CREPE DELLA MEMORIA / 121

17 Cfr. Maurice Halbwachs, Les cadres sociaux de la mémoire (1925), trad. it. di Gian-franco Brevetto, Luciana Carnevale, Gianfranco Pecchinenda, I quadri sociali della memo-ria, Napoli: Ipermedium, 1997.

18 Cfr. Peter Berger e Thomas Luckmann, The Social Construction of Reality (1966),trad. it. di Marta Sofri Innocenti e Alessandra Sofri Peretti, La realtà come costruzione so-ciale, Bologna: Il Mulino, 1969.

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tiche diventate scontate attraverso le routines, di considerare scontati eaproblematici ampi ambiti della vita – sarebbe impossibile.

Invece, se l’uomo non è una monade ma un essere sociale, è perché latrasmissione intra- e intergenerazionale del patrimonio culturale è inces-santemente all’opera e gli consente, così, di essere immerso costantemen-te in un milieu socio-culturale onnicomprensivo. Nelle parole di JoëlCandau, “[a] partire da questo apprendimento – adattamento del presen-te a un futuro organizzato a partire da una reiterazione del passato –, eglicostituirà la sua identità, in particolare nella sua dimensione protomemo-riale. In uno stesso gruppo, questa trasmissione ripetuta un gran numerodi volte e diretta a un gran numero di individui sarà alla base della ripro-duzione della società considerata”.19 Una trasmissione che non è mai unatto meccanico di trasferimento di un’eredità memoriale sempre uguale ase stessa, ma invece, “per prestarsi alle strategie identitarie, essa deve assu-mere il ruolo complesso della riproduzione e dell’invenzione, della resti-tuzione e della ricostruzione, della fedeltà e del tradimento, del ricordo edell’oblio”.20

3.1. Le vie della trasmissione

Ma attraverso quali vie e quali supporti avviene la trasmissione? Fatta ec-cezione per le comunità tradizionali e quelle di piccole dimensioni nellequali la comunicazione orale è sufficiente a trasferire all’individuo il baga-glio culturale di cui ha bisogno, un ruolo preponderante lo ha avuto lascrittura, e in particolare la stampa. Tali mezzi, permettendo di comuni-care e socializzare grandi masse a un patrimonio culturale fissato e resostabile dal supporto materiale impiegato, forniscono certamente, più delracconto orale, una maggiore quantità di elementi per la costruzione e latrasmissione della memoria collettiva e consentono, al contempo, di rag-giungere strati più vasti di popolazione. Anche se dobbiamo ricordare cheil rapporto tra scrittura – e più in generale tra tutte le tecnologie del ri-cordo – e memoria resta problematico: la scrittura, infatti, può anche fa-vorire la messa a distanza critica della tradizione.21

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19 Joël Candau, op. cit., p. 128.20 Ivi, pp. 128-29.21 Su questo argomento, vasto quanto affascinante, sul quale aveva già riflettuto Platone

nel Fedro, si vedano gli studi, ormai classici, di Eric A. Havelock, Muse Learns to Write(1986), trad. it. di Mario Carpitella, La musa impara a scrivere. Riflessioni sull’oralità e l’al -fa betismo dall’antichità al giorno d’oggi, Bari-Roma: Laterza, 1987, e Walter J. Ong, Ora-

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Diventa, quindi, basilare la selezione di ciò che si deve conservare etrasmettere, nonché la questione della ricezione. E qui le società modernemostrano una contraddizione di fondo, un paradosso: le abnormi possi-bilità di archiviare dati, infatti, rendono complicata la selezione di quantosia realmente utile e opportuno trasmettere tra la grande quantità di ma-teriale a disposizione. Nelle comunità orali tale problema non si poneva;il contatto diretto, ‘vissuto’, tra le persone, l’assenza di mediazioni, in de-finitiva “l’autenticità delle relazioni” consentivano l’immersione totaliz-zante del singolo nell’universo simbolico di riferimento del proprio grup-po.22 Ma la complessità caratteristica delle società attuali necessita di cri-teri in grado di orientare la selezione.23

Per di più, in questa situazione di sovrabbondanza di informazioni,persino la ricezione diventa problematica, poiché le capacità individualidi immagazzinare e trattare tutto ciò che viene trasmesso non sono affattoillimitate, anzi, sono piuttosto ridotte se confrontate alla vastità delle co-noscenze disponibili. E la differenza col passato, secondo alcuni, è netta:“La complessità del mondo attestata dalla massa enorme di informazionidisponibili in modo così atomizzato, è sempre meno assoggettabile aquella messa in ordine quasi spontanea che assicurava la memoria colletti-va individuandovi concatenamenti esplicativi”.24 Il risultato è che la me-moria finisce col somigliare sempre di più a un simulacro e che le risorsenecessarie all’edificazione e al mantenimento dell’identità collettiva si in-deboliscono e si disperdono:

In fin dei conti, la trasmissione è tanto emissione che ricevimento.L’efficacia di questa trasmissione, cioè la riproduzione di una visione delmondo, di un principio d’ordine, di modi d’intelligibilità della vita socialesuppone l’esistenza di ‘produttori autorizzati’ della memoria da trasmette-re: famiglia, antenati, capi, maestri, precettori, guerrieri, eruditi, ecc. Fin-tanto che essi saranno riconosciuti dai ‘riceventi’ come i depositari della

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lity and Literacy. The Technologizing of the Word (1982), trad. it. di Rosamaria Loretelli,Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna: Il Mulino, 1986.

22 Cfr. Claude Lévi-Strauss, Antropologie structurale (1958) trad. it. di Paolo Caruso,Antropologia strutturale, Milano: Il Saggiatore, 1966.

23 Per un approfondimento di questa tematica – qui necessariamente solo evocata – inchiave storica, filosofica e semiotica, si veda Umberto Eco, Dall’albero al labirinto. Studistorici sul segno e l’interpretazione, Milano: Bompiani, 2007.

24 Danièle Hervieu-Léger, La religion pour mémoire (1993) trad. it. di Aldo Pasquali, Re-ligione e memoria, Bologna: Il Mulino, 1996.

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memoria ‘vera’ e legittima, la trasmissione sociale assicurerà la riproduzio-ne delle memorie forti. In compenso, quando i guardiani e i luoghi dellamemoria diventano troppo numerosi, quando i messaggi trasmessi sonoinnumerevoli, ciò che è trasmesso diventa sfumato, indefinito, poco strut-turante e i ‘riceventi’ hanno un margine di manovra molto più grande chepermetterà ad essi, a loro modo, di ricordare o di dimenticare.25

Con particolare riferimento alla trasmissione del passato che si realizza at-traverso la profusione di immagini televisive, Candau sostiene che essa“produce un’agnosia dell’evento: questo non è più che una successione dipiani percepiti senza durata e indipendenti gli uni dagli altri, più o menode-realizzati e il cui senso sfugge in gran parte allo spettatore. A partire dauna determinata soglia, la densificazione della memoria iconica rende piùdifficile lo sviluppo di una memoria semantica”.26

Ma la questione centrale qui non è quella relativa alla trasmissionedella memoria come patrimonio culturale, quanto piuttosto il problemapiù specifico della trasmissione, o meglio della trasmissibilità, della me-moria di eventi tragici; è qui, infatti, che si annidano le maggiori criticitàe i problemi per la sopravvivenza della memoria e, soprattutto, di una“giusta memoria”:27 di fronte all’orrore di una strage, all’insensatezza diuno sterminio, alla crudeltà di un qualsiasi abominio è davvero possibileraccontare, e quindi trasmettere, il dolore delle vittime, la stessa realtàdelle loro sofferenze o questi sono indicibili? Quali sono gli strumenti piùefficaci a tale scopo?

Si è già accennato al ruolo degli storici; ma c’è chi considera il loro la-voro troppo asettico per trattare una materia che, se ha la velleità di essereadeguatamente ricevuta e di diventare memoria collettiva, deve parlare

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25 Joël Candau, op. cit., p. 155. Occorre però sottolineare il fatto che anche in seno allamodernità continuano a sussistere molteplici vie di trasmissione del patrimonio memoria-le che consentono di mantenere una qualche fedeltà alla tradizione. Parlo di tutti quei ri-tuali, quelle azioni consuetudinarie, i costumi, le abitudini, le pratiche informali e istitu-zionalizzate che, agite nel corso della vita quotidiana nelle relazioni interpersonali, dannocontinuità e durata a una certa cultura. Si tratta, essenzialmente, della perpetuazione diforme protomemoriali, cioè di attitudini, di condotte, di modi appropriati di stare almondo costituiti da disposizioni poste nel corpo, ossia frutto di un’acquisizione inconsa-pevole, piuttosto che di una trasmissione esplicita, derivante dall’immersione degli indivi-dui nella società fin dalla loro nascita.

26 Ivi, p. 143.27 Paul Ricoeur, La mémoire, l’histoire, l’oubli (2000), trad. it. di Daniella Iannotta, La

memoria, la storia, l’oblio, Milano: Raffaello Cortina, 2003.

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anche – forse soprattutto – la lingua dell’emotività, del pathos. Ecco per-ché Paul Celan e Jorge Semprun, tra gli altri, credono che solo attraversola letteratura si renda possibile la trasmissione, mentre non manca chi ri-tiene che di fronte all’orrore, alla ‘verità’ dell’inferno, sia possibile soltan-to il silenzio.28 La trasmissione della memoria emerge insomma con tuttala problematicità che Primo Levi enunciava in I sommersi e i salvati, làdove indicava la tensione fra il dovere di dialogo con i giovani, e il rischiodi sembrare anacronistici, di non essere ascoltati.29

3.2. La scomparsa delle ‘memorie viventi’ e la Visual History Foundation

La criticità della trasmissione si farà ancor più viva quando i testimoni ditragedie e orrori che hanno squassato il Novecento saranno scomparsi. Ilproblema è generalizzabile a ogni altro evento, certo, ma è particolarmentesentito in relazione all’esperienza della Shoah in quanto unicum. È anchevero che, a proposito dei misfatti dei totalitarismi, sono stati più insistentie reiterati i tentativi di revisione, di negazione, di occultamento; almeno inquesto caso, l’ossessione memoriale si lega all’ansia di perdita dei supersti-ti, delle ‘memorie viventi’ appunto, cioè di coloro che oggi possono ancoraopporre la propria testimonianza alla manipolazione della storia. “Biso-gnerà ormai fare affidamento ai soli documenti”, scrive Kattan: “Non saràpiù dato nessun accesso diretto al passato. La risposta alla domanda ‘cosa èsuccesso?’ non potrà più essere trovata se non negli archivi, negli artefatti,nei libri di storia. Più nessuno potrà dire: ‘io c’ero’ e opporre la sua memo-ria di uomo ai tentativi di manipolazione del passato”.30

È molto significativo in questo senso, ad esempio, il progetto nato daun’idea del regista Steven Spielberg, il quale nel 1994, dopo aver condot-to a termine le riprese di Schindler’s List, fondò la Survivors of the ShoahVisual History Foundation allo scopo di raccogliere e conservare il mag-gior numero possibile di testimonianze audiovisive filmando, appunto, leinterviste realizzate con superstiti e altri testimoni del genocidio nazista.La fondazione è attualmente impegnata nello sforzo di rendere accessibileil suo intero archivio a chiunque, in tutto il mondo, voglia servirsene co-me risorsa educativa. L’intento è estremamente chiaro e reso esplicito dal-lo slogan che campeggiava in maniera evidente sulla home page del pre-

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28 Antonio Cavicchia Scalamonti, “Il peso dei morti”, cit., p. 23.29 Cfr. Emmanuel Kattan, op. cit., p. 33.30 Emmanuel Kattan, op. cit., p. 83.

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cedente sito web della fondazione: “Per sconfiggere il pregiudizio, l’in tol -le ranza, l’estremismo – e le sofferenze ad essi dovute – attraverso l’uso di-dattico delle testimonianze di storia visuale della Fondazione”.31 In questoè affiancata dall’organizzazione Facing History and Ourselves, il cui impe-gno è rivolto al coinvolgimento di studenti di diversa estrazione socio-culturale in tematiche quali il razzismo, l’antisemitismo, l’etica e il sensodi responsabilità, allo scopo di promuovere lo sviluppo di una società piùinformata, più umana e, di conseguenza, meno conflittuale.

Il progetto è ambizioso e presenta spunti di riflessione interessanti. Auna prima e più superficiale lettura potrebbe apparire come l’ennesimoindizio della compulsione memoriale che la modernità sta vivendo, contutte le varianti e le possibilità che le tecnologie, di volta in volta, offro-no; di quel frenetico produrre e conservare tracce che, con-fuse tra tantis-sime altre in un flusso indifferenziato, rischia di diventare uno sterileesercizio di archiviazione di per sé poco capace di costruire memorie. Main realtà, a mio parere, sono proprio la presa di coscienza del problemadella scomparsa delle ‘memorie viventi’ e una conseguente attenta rifles-sione sulla questione della trasmissione e della comunicazione intergene-razionale i punti di partenza che hanno ispirato la fondazione. Ne siaprova il fatto che la raccolta delle testimonianze non resta fine a se stessa,né soltanto mira a commemorare le vittime o a rafforzare o rifondarel’identità di questo o quel popolo coinvolto: c’è, nell’operato della fonda-zione, una consapevolezza del fatto che accumulare artefatti e segni delpassato non significa automaticamente costruire e trasmettere una me-moria collettiva, e tale consapevolezza si traduce in un lavoro attivo di ri-cerca dei metodi più efficaci per una trasmissione della memoria che rag-giunga davvero lo scopo di inserire in maniera significativa la storia nel-l’orizzonte della vita delle persone, di incorporarla nelle loro esperienzequotidiane.

Secondo quanto afferma Margot Stern Strom, direttrice di Facing Hi-story and Ourselves, gli studenti che partecipano al progetto, dopo averguardato e ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti, provano rabbia,indignazione, confusione; poi, grazie alla guida dei loro insegnanti, rie-scono a inquadrare, attraverso il confronto con la storia e i temi da essaposti, questioni etiche generali nei termini pratici delle scelte che si pre-

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31 Allo stato attuale la fondazione conta oltre 52.000 testimonianze raccolte in 57 paesie in 32 lingue diverse (www.usc.edu/schools/college/vhi/ oppure www.vhf.org).

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sentano loro quotidianamente nel corso della vita; apprendono che la sto-ria stessa non è un fatto ineluttabile, ma una questione di decisioni con-crete, anche piccole, prese da uomini concreti come loro e che, quindi,ogni scelta comporta una responsabilità. Una forma e un’intensità di coin-volgimento probabilmente non raggiungibile da nessun libro di testo, danessuna lezione scolastica convenzionale, da nessun altro metodo o stru-mento didattico più tradizionale.

Se dunque il problema della modernità – come ha fatto notare Sim-mel – è quello di colmare la sproporzione enorme che si è prodotta tra“sapere oggettivo” e “sapere soggettivo”32 – ovvero tra la massa di infor-mazioni socialmente disponibili e le capacità individuali di appropriarse-ne significativamente – tra passato ed esperienza, tra storia e memoria,progetti e metodi educativi e formativi di questo tipo sembrano potercontribuire a colmare, o quanto meno arginare, tale scarto. La fondazioneambisce a dare il proprio contributo, insieme con studiosi, ricercatori, in-segnanti, educatori e documentaristi, allo sviluppo e alla diffusione dimetodologie di insegnamento della storia innovative e più efficaci, chemirino, cioè, a elaborare il passato e ad assumerlo come parte costitutivadel presente che viviamo e del nostro futuro.

Ma al di là della valutazione dell’impatto di tali istituzioni, ciò che daun punto di vista sociologico è interessante cogliere è la presa di coscienzadel problema della scomparsa delle memorie viventi e delle conseguentistrategie che diversi attori sociali pongono in essere. Che poi queste pos-sano anche fornire una risposta appropriata alle preoccupazioni di Levisulle possibilità di trasmissione della memoria, sul dialogo con le genera-zioni future e sui rischi di essere anacronistici è ancora tutto da vedere.Di certo, se ciò che più occorre è un nuovo linguaggio fatto non tanto ditermini originali, quanto proprio di nuovi codici espressivi e registri co-municativi, un linguaggio che abbia la caratteristica di essere logopatico,33

ovvero razionale e affettivo al medesimo tempo, in modo da generare unimpatto che possa consentire un contatto più profondo con l’oggetto rap-presentato, il mezzo audiovisivo è il più indicato, forse l’unico che pre-senti tale caratteristica. Nelle parole di Antonio Cavicchia Scalamonti,

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32 Cfr. Georg Simmel, Die Großstädte und das Geistesleben (1903), trad. it. di Paolo Jed-lowski e Renate Siebert, Le metropoli e la vita dello spirito, Roma: Armando, 1995.

33 Cfr. Julio Cabrera, Cine: 100 años de filosofía. Una introduccíon a la filosofía a travésdel análisis de películas (1999), trad. it. di Marco Di Sario, Da Aristotele a Spielberg. Capirela filosofia attraverso i film, Milano: Bruno Mondadori, 2000.

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Che significano sei milioni di morti? O sette? O tredici? O i venti denun-ciati da Kruschov durante il regime staliniano? Come viviamo questainformazione? Questi sono numeri, nient’altro che numeri, con pocosenso! […] D’altronde, se lo scopo è la trasmissione, il problema è innan-zitutto l’efficacia d’essa. Che trasmissione sarebbe se non arrivasse a se-gno! Inoltre, va detto che i fatti storici sono fatti umani, fatti cioè com-piuti dagli uomini. La verità d’essi, quella da comunicare, non può esseresolo razionale. Specie se alla razionalità si attribuisce quel carattere difreddezza e di controllo delle emozioni che dovrebbero definirla. È notoche alcuni eventi, per essere pienamente compresi, vanno vissuti o rivissu-ti affettivamente. Il che implica che la trasmissione richiede la capacità diun discorso razionale ma anche emotivamente valido!34

4. Codici espressivi e forme culturali della memoria

Avendo accennato ad alcuni percorsi e strumenti di trasmissione memo-riale, è opportuno accennare al rapporto tra le forme culturali in cui lememorie si cristallizzano, i mezzi attraverso cui vengono comunicate, icontesti della fruizione di questi artefatti e i contenuti e la possibilità stes-sa dell’attività del ricordare.

Le forme in cui può sedimentarsi una memoria sono svariate: da quel-le naturalmente considerate tali, come i monumenti, le statue, le targhe,le lapidi, fino ai diari, ai libri, alle canzoni, ai film, agli spettacoli di variogenere. Ognuno di questi mezzi parla, ovviamente, un linguaggio diver-so, usa il codice espressivo che gli è proprio. E differenze non trascurabilici sono anche tra i differenti generi peculiari a ciascuno di essi; ad esem-pio, così come è certamente diverso apprendere un determinato fatto sto-rico da un libro di testo piuttosto che leggendo una targa commemorati-va o ascoltando una canzone ad esso ispirata, fa ugualmente differenzache il libro letto sia un saggio o un romanzo, un pamphlet o una raccoltadi poesie, o che il prodotto audiovisivo a cui si assiste sia un documenta-rio, un film o una testimonianza da parte di un osservatore diretto dell’e-vento in questione. E così via fino a continuare con ulteriori distinzionitra i sottogeneri: un film come Schindler’s List suscita sicuramente sensa-zioni e riflessioni diverse, almeno in parte, da quelle che può stimolare Lavita è bella di Benigni. Si tratta di differenze logopatiche appunto, essendo

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34 Antonio Cavicchia Scalamonti, La morte, op. cit., pp. 137-38.

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diverse le emozioni coinvolte e i bisogni di comprensione, di conoscenzastorica e di approfondimento che ne scaturiscono.

Se dunque è vero, con McLuhan, che “il mezzo è il messaggio”, è chia-ro che la scelta di utilizzare un certo codice rispetto a un altro non è indif-ferente, non è neutrale: non lo è innanzitutto perché condiziona i contenu-ti stessi dell’attività del ricordare, in quanto la struttura del mezzo ne vin-cola i gradi di libertà espressiva. Inoltre, non lo è per i processi di ricezioneche vengono attivati: trattandosi per lo più di prodotti estetico-culturali, ilfruitore si porrà nei confronti di questi artefatti adottando prima di tuttoschemi cognitivi e comportamenti tipici per quell’oggetto. Tipici perchésocialmente determinati e influenzati dalle esperienze simili precedente-mente vissute dal soggetto più che rispondenti a dinamiche strettamenteindividuali. Infine, è il contesto stesso della fruizione – come attestato dadiversi studi e teorie della sociologia della comunicazione35 – a rendere rile-vante la scelta del codice espressivo. È evidente che essere in classe o a unconcerto, in una piazza di fronte a un monumento o al cinema, a unacommemorazione o a casa propria guardando una fiction in tv non è lastessa cosa: anche in questo caso il nostro essere immersi in una società,nella sua cultura, nei suoi ruoli, nelle sue regole di condotta, ci porterà adassumere in ogni singolo caso atteggiamenti e condotte peculiari.

Dunque, l’efficacia di un certo codice espressivo e l’adeguatezza diuna determinata forma commemorativa in relazione all’evento da ricor-dare dipendono da tutti gli elementi appena discussi, comprese le caratte-ristiche delle persone alle quali essi si rivolgono. Il problema più sentitoresta sempre quello della trasmissione ai giovani, ma più in generale a tut-ti coloro i quali non hanno vissuto in prima persona quel passato che sicerca di ricordare e trasmettere. E si sa che i giovani sono più sensibili aquelle forme espressive che essi sentono più vicine, quelle che riescono aparlare loro suscitando il maggior coinvolgimento possibile, cioè propriola musica e il cinema. È giocoforza, allora, chiedersi se non sia proprio at-traverso questi media e i loro rispettivi linguaggi che bisogna cercare difarsi prestare attenzione dai giovani, da chi non c’era e, perciò, non sa; senon sia parlare la lingua di chi dovrebbe ascoltare il modo migliore di tra-smettere una vera memoria collettiva, ovvero pezzi di passato socialmentee individualmente dotati di senso e coerenza.

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35 Cfr. Roberto Grandi, I mass media fra testo e contesto. Informazione, pubblicità, intrat-tenimento, consumo sotto analisi, Milano: Lupetti, 1994.

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D’altro canto, non è ingiustificato sollevare un dubbio: e se, per esem-pio, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti smettessero di essere due immi-grati italiani, due anarchici ingiustamente condannati a morte negli StatiUniti nel 1927,36 per diventare solo i protagonisti di una canzone (la bal-lata di Joan Baez ispirata alla loro vicenda) o di un film (quello di Giulia-no Montaldo del 1971) su un vecchio caso giudiziario? E se le donne cheballano da sole nella canzone They Dance Alone37 di Sting venissero ricor-date poeticamente come persone che esprimono il dolore danzando senzaperò sapere il perché, cioè perdendo di vista il momento e le vicende sto-riche cui la canzone fa riferimento (ovvero gli anni del regime dittatorialedi Pinochet in Cile e dei desaparecidos)?38 In altre parole, quello che stocercando di dire è che se la trasmissione e la conoscenza del passato fatteattraverso registri narrativi ‘sensibili’ si slegassero troppo da un apprendi-mento e una comprensione dei fatti storici che vadano di pari passo,l’efficacia della memoria potrebbe risultarne minata al pari della situazio-ne in cui l’eccessiva impersonalità e ‘asetticità’ dei codici espressivi e deicontesti di fruizione della trasmissione memoriale rischiano di dar luogoa un corto circuito della ricezione.

È per questo ordine di ragioni che è plausibile ipotizzare – affinchél’ideale del “dovere della memoria” possa imboccare la strada della con-cretizzazione evitando di alimentare solo un’utopia o sterili retoriche – la

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36 Lo stesso governatore del Massachusetts, cinquant’anni dopo l’esecuzione, nel 1977,al termine di un lungo e approfondito esame dell’ufficio legale dello Stato, pronunciò unadichiarazione di riabilitazione dei due anarchici sostenendo che il processo attraverso ilquale essi furono condannati fu “scorretto” e “viziato da pregiudizi contro gli stranieri e idissidenti”.

37 They Dance Alone è la traduzione dello spagnolo Gueca Solo, nome di una danza tra-dizionale cilena che più recentemente è stata usata come forma di espressione di doloreper la perdita delle persone care e di protesta politica. Questa canzone nasce da un percor-so molto significativo a proposito dei discorsi affrontati in questo e nei precedenti para-grafi. Sting sostenne la fondamentale differenza tra il leggere o il sentir parlare della tortu-ra e l’esperienza di ascoltarne i racconti direttamente dai protagonisti. La scrisse, infatti,dopo aver conosciuto e parlato di persona a ex prigionieri politici che erano stati vittimedi torture e sevizie di ogni genere. Oltre a confermare il ruolo essenziale delle testimo-nianze storiche dirette, possiamo considerare il percorso che ha portato alla nascita di que-sta canzone come una sorta di traduzione da un codice espressivo (il racconto orale) a unaltro (la musica), in cui il secondo ha enormemente ampliato la diffusione dei contenutidel primo, seppur sacrificando qualcosa in termini di fedeltà e oggettività storica.

38 Anche se, in verità, Pinochet viene esplicitamente nominato nella canzone: “Hey Mr.Pinochet, you’ve sown a bitter crop […] can you think of your own mother dancing withher invisible son?”.

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necessità di un impegno di tutti gli attori sociali: dagli studiosi agli intel-lettuali, dagli scrittori agli artisti, dalle associazioni di cittadini ai soggettiistituzionali e politici, dai testimoni diretti a ogni singolo individuo, conle loro produzioni di artefatti culturali, nonché di progetti coerenti cheevitino di generare memorie ‘mute’, tracce ‘silenziose’, come, ad esempio,tutti quei monumenti che riempiono sì le nostre città e che magari parla-no anche di eventi di indubbio rilievo, ma di cui più nessuno conosce or-mai né l’origine né il significato. Sotto l’effetto dell’illusione che i nostrimonumenti commemorativi saranno sempre al loro posto per farci ricor-dare, troppo spesso affidiamo loro il nostro impegno di memoria, abban-donandoli e ritornando a loro solo quando una contingenza presente lorichieda. Ma, in questo modo, altro non facciamo che condannarli – econdannare noi stessi – all’oblio.

Laddove sarebbe più utile sperimentare modalità e linguaggi innovati-vi di trasmissione della memoria, cioè che sappiano raccogliere l’invito aconiugare razionalità ed emotività, discorso e affettività, logos e pathos,fatto storico e leggenda, affinché il legame che abbiamo col nostro passa-to sia più profondo e radicante. Il che, in un’epoca di forte precarietà an-che culturale ed esistenziale non è poco. Non solo la teoria, ma anche nu-merosi casi empirici – tra cui quelli qui riportati – mostrano l’efficacia el’utilità di tale percorso.

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