vola al di là della neve - webalice.it filecome ogni sera affidai al diario i miei sentimenti....

134
Svetlana Yaroslavna Puskovic Vola al di là della neve Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimen- ti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti sto- rici, siano essi realmente esistiti od esistenti, è da consi- derarsi puramente casuale. Dedica. Ogni dolce sussurro che la mia storia susciterà è dedi- cato a te, incantevole Vàrvara. Continua a farmi sogna- re con le tue splendide melodie, e conducimi lontana, in mondi surreali che non ho mai visto prima. Tua Svetlana. 1

Upload: dinhnhi

Post on 16-Feb-2019

213 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Svetlana Yaroslavna Puskovic

Vola al di là della neve

Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimen-ti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti sto-rici, siano essi realmente esistiti od esistenti, è da consi-derarsi puramente casuale.

Dedica.Ogni dolce sussurro che la mia storia susciterà è dedi-cato a te, incantevole Vàrvara. Continua a farmi sogna-re con le tue splendide melodie, e conducimi lontana, inmondi surreali che non ho mai visto prima.Tua Svetlana.

1

Prologo Mosca, RussiaAncestrale e fulgida stella,dal recondito cielo risplendi come un diamante.Tu custodisci i misteri primordiali,tu vegli materna sul fluire dell’universo.Dolce astro sapiente, so che puoi carpire la mia sofferenza.In questa notte di luna nuova, affido al tuo splendore la mia afflizione.Conducimi in lei! E’ parte di me e regna nei sogni.Siamo due ali di una sola farfalla,due petali di un solo fiore,due raggi di un unico sole.Siamo il sentimento che si pronuncia “amore” Come ogni sera affidai al diario i miei sentimenti. Se-duta sul letto, estenuata da una giornata qualunque, ebbicura di riporre il mio prezioso confidente all’interno di un portagioie, celandolo così a occhi indiscreti. Con uno sguardo fugace all’orologio notai che la mezza not-te era appena giunta, cosa mi avrebbe portato il giorno che stava nascendo? L’amore? La felicità? O la libertà?Di certo, nulla di tutto ciò. “ La vita ti ha voltato le spalle. Sei sola al mondo, che tu viva o muoia non fa alcuna differenza; nessuno si accorge che esisti.” La mia anima è vessata dalla solitudine e a ogni giorno chetrascorre reputo l’esistenza un inutile calvario dove re-condite mete di felicità si prospettano all’orizzonte, ma nessuno mai potrà conquistarle. Sul mio ventre ho ta-tuato una farfalla ad ali spiegate, ho deciso d’imprimer-la sulla pelle per non scordare che le ragazze come me hanno diritto a spiccare il volo senza vergogna. Odio

2

vivere in questo collegio, ma mia zia ha deciso che deb-bo restarci. Suppongo che il termine “ Collegio” evochialla mente uno spazio angusto e desolato, locato per lo più nel degrado di qualche periferia. Magari, qualcuno immagina che trascorro le mie giornate dietro i vetri d’un fatiscente istituto a osservare il mondo che sfugge.Se è questo ciò che pensate, beh, vi state sbagliando. Il Majakovskij è ben altro. E non mi stupisco che tale nome suoni estraneo alle vostre orecchie; neanch’io co-noscevo l’esclusiva scuola moscovita, almeno fino a due anni fa, quando nella mia abitazione di Fifth Ave-nue, a New York, giunse quella lettera. “ Congratula-zioni, signorina Svetlana Yaroslavna Puskovic! Siamo lieti di comunicarle che il suo test d’ingresso è stato su-perato con il massimo dei voti e, di conseguenza, la suarichiesta d’ammissione ai corsi è stata accettata.” Atto-nita davanti alla cassetta delle lettere non credevo a ciò che avevo appreso. Le mie mani tremavano come fo-glie, mentre le lacrime scioglievano l’inchiostro im-presso sulla carta. No, non era commozione la mia, semplicemente rabbia. In realtà, alle domande di quel test avevo dato soltanto risposte errate, dunque, la spie-gazione logica non poteva che essere una: mia zia ave-va fatto carte false pur di gettarmi fuori casa. E mi ritro-vo qui, in gabbia, a implorare le stelle e a sognare l’a-more. Una truce angoscia mi attanaglia l’anima e finirà presto per soffocare il mio spirito, a quel punto perderò me stessa. Comprendere ciò che provo è arduo. La veri-tà, è che non so quanto valga la pena condurre una vita del genere. Ho soltanto sedici anni, ma la mia esistenza vuota e priva d’emozioni mi sta sfibrando l’anima. Ora-mi è da tempo che ho questa consapevolezza di me. Non so se tale caratteristica sia inscritta nel mio patri-monio genetico oppure, sia un qualcosa di meramente

3

acquisito. Certo è, che non posso parlarne con nessuno, o almeno non con la gente bigotta che mi circonda; cre-do che se lo sapessero mi rinchiuderebbero in una clini-ca psichiatrica. La tolleranza, credetemi, non è di que-sto mondo. Sì, la gente si sforza di accettare chi compieun percorso d’amore differente dal proprio, ma è intrin-seco nella loro cultura aborrire ciò che etichettano con l’epiteto “ diverso”. E’ così difficile nascondermi! So-pratutto quando un ragazzo mi fa la corte; in quelle oc-casioni trovo tutti gli espedienti possibili affinché non trapeli nulla. Di solito giustifico il mio disinteresse nei loro riguardi con la classica frase “ non sei il mio tipo”, ma non sempre riesco ad affrancarmi così facilmente. Dalle ragazze invece sono invisa, certo non da tutte, maè un cospicuo gruppo in questo collegio a non vedermi di buon occhio. Forse sono gelose dei voti eccellenti che conseguo, oppure dei miei occhi azzurri e dei lun-ghissimi capelli biondi; di certo, aborriscono la mia ostentata fermezza nel respingere ogni genere d’ avanceche giunge dall’universo maschile. 1 AstrelLondra, Inghilterra I signori Lawless attendevano con ansia l’arrivo del ret-tore Stanley. La segretaria li aveva fatti accomodare nell’ufficio di presidenza invitandoli a prestare un po’ di pazienza. - Il rettore sarà qui a minuti. – li aveva as-sicurati, eppure quei minuti erano già diventati quaran-ta. I due coniugi sedevano sulle poltrone di fronte la scrivania, discutendo animatamente ma a bassa voce.- Caro, non potremmo pensarci ancora un po’? Lasciar-la qui, in questo collegio, io… - Disse la donna con aria titubante, esternando le proprie perplessità.- Non c’è nulla da pensare. Non la stiamo abbandonan-do in un orfanotrofio, questo è il migliore collegio di

4

Londra, non immagini neppure quanti figli di deputati hanno studiato qui. - Ribatté il marito con voce ferma e risoluta.- Lo sarà pure ma, cosa m’invento con le amiche? Sonocerta che domenica, in chiesa, mi domanderanno sue notizie, e io cosa pensi che debba rispondere in proposi-to? Nostra figlia si trova in collegio perché abbiamo scoperto che è una… Cristo Santo! Non voglio nemme-no pronunciarla quella parola. -- Oh, Annette! Non farla tanto lunga. E’ soltanto una diciassettenne, queste crisi sono normali durante l’ado-lescenza. Probabilmente tra un paio d’anni le passerà e si troverà un ragazzo, magari anche ben piazzato. Quel-lo che dobbiamo fare adesso, è allontanarla per un po’, in modo che nessuno sappia e che lei non si distrugga lareputazione. -La figlia dei Lawless sedeva silenziosa alle spalle dei genitori, accomodata su un divano di pelle nera. Il suo sguardo afflitto e demotivato fissava un punto indefini-to della parete, nel profondo dei suoi occhi cerulei millesentimenti si offrivano a chi non era capace di coglierli.Tra le mani stringeva un talismano rosa, che le era sta-to donato da una veggente in un paesino della Transil-vania durante un viaggio studio. La porta della presidenza si aprì, e il rettore Stanley en-trò nel suo ufficio. - Signori buon giorno. Vogliate per-donarmi il ritardo. – L’uomo si accomodò dietro la scri-vania, e dopo aver controllato il fax si rivolse alla cop-pia con tono formale e garbato. - La segretaria mi ha comunicato che era vostro desiderio parlarmi. – esordì l’integerrimo rettore poggiando gli avambracci sulla scrivania. Il signor Lawless annuì. - Bene, di cosa si tratta? –

5

- Ecco, io e mia moglie siamo molto impensieriti per la condotta di nostra figlia. Ultimamente si mostra sco-stante e trascorre tutto il giorno fuori di casa. Con un’a-zienda da condurre e gli affari da portare avanti, per noiè molto arduo occuparci della ragazza, ma non per que-sto lasceremo che la sua buon’educazione vada alla de-riva. Un periodo in collegio sarebbe l’unica soluzione. – Si espresse l’uomo tutto di un fiato, convinto di aver esposto il problema in modo conciso e persuasivo.- Mi ascolti, signor Lawless – parafrasò il rettore lieve-mente contrito nel volto – Il mio istituto ha un sistema didattico improntato sul rigore e i docenti esigono la massima diligenza da ogni allievo. Da quello che mi dice, deduco che è intenzionato a iscrivere la ragazza, e nell’immediato presente... ecco, ci sarebbero alcuni problemi di vario ordine –- Qualsiasi intralcio lei possa riscontrare – lo interruppeil signor Lawless tassativo – spero non impedirà a mia figlia di frequentare quest’istituto. – Il rettore Stanley temporeggiò ancora, valutando la situazione, poi volse la sua attenzione alla giovane che in disparte sedeva suldivano.- Come ti chiami? – le domandò con voce autoritaria. La ragazza lo studiò per qualche momento, incuriosita dalla fisionomia irregolare che caratterizzava quel voltoindefettibile, poi tornò a fissare il suo talismano senza premurarsi di replicare alla domanda.– Astrel! Cos’è, hai perso l’udito? Il rettore ti ha fatto una domanda ben precisa. – intervenne la signora La-wless, risentita dal silenzio della figlia.- A cosa serve rispondere se ti sei già impicciata tu? D’altronde, invadere gli spazzi altrui è ciò che meglio tiriesce, mamma. –

6

- Chiudi quella bocca, per carità! Non ti consento di ri-volgerti a tua madre in una simile maniera. – sbottò il signor Lawless, compiacendo il volto basito della mo-glie. Il rettore Stanley dissentiva perplesso.- Domando scusa, signori. – disse, schiudendosi un var-co in quella piccola rappresaglia familiare.-Ritengo op-portuno che vostra figlia attenda fuori il mio ufficio: la sua parlantina baldanzosa potrebbe intralciare la civiltà di quest’incontro. - Sentenziò con alterigia pungente. Astrel scattò in piedi indignata, e incalzante raggiunse la porta d’uscita.- Non occorre che me lo diciate voi, vado via da sola. Voi intanto, deliberate pure sulla mia vita. –Spedita scappò dal collegio, ed amareggiata s’incamminò tra le caotiche strade della City. La sua collera la spinse a battere a lungo l’asfalto senza itinerario, mentre l’aria animava i suoi lunghi capelli nero corvino. Più volte si scrutò alle spalle, augurandosi che i suoi genitori non laraggiungessero in macchina e, per evitare che ciò acca-desse, si rifugiò su una sponda del Tamigi. Il rumore travolgente dell’acqua l’aiutò a estraniarsi dal resto che la circondava. - Il fiume scorre impetuoso, quanto vor-rei gettare in esso tutto il male che ho dentro. Se m’in-trospeziono vedo una vita vuota e piena di fallimenti. Ogni mattina mi sveglio prigioniera, intrappolata fra glialti e bassi di un’adolescenza che si diverte a giocare con le mie emozioni. Non è facile esistere quando la tuamente è un caos ridondante di paura e speranza, deside-rio e abbandono, follia e ragione. I miei genitori non micomprendono, in realtà non si sono mai sforzati di far-lo, eppure sono sempre lì, pronti a giudicare ogni alito d’aria che respiro. Non li sopporto più. Ormai conosco a memoria le loro prediche quotidiane: “ Sei una ribel-le, un’anticonformista, nessuno si comporta come te,

7

resterai sola tutta la vita se non ti adegui al mondo che ti circonda.” Gli altri mi credono una ragazza chiusa in se stessa che non sorride mai, e invece Dio solo sa quanto vorrei vivere le emozioni più belle che la natura ha creato! Ma chi può donarmi tutto ciò? E vado erran-do per la città come un’ombra vagante, nel tentativo di-sperato di placare il mio dolore, ricerco freneticamente la pace interiore, ma non so dove trovarla. Se solo po-tessi colmare il vuoto abissale che mi divora l’anima. – Una donna Room s’aggirava lungo la riva del Tamigi. Procedeva scalza per non perdere il contatto con la ma-dre terra, e indossava un’ampia gonna dalle tonalità flo-reali per giocare col vento. A tratti si fermava opponen-do le mani all’aria, e chiudendo gli occhi intonava una malinconica melodia. I campanellini che pendevano daisuoi bracciali l’accompagnavano nel canto. Quando notò la presenza d’Astrel a pochi metri di distanza, la gitana tornò al silenzio. Di solito non rivolgeva la paro-la agli estranei, ma quella ragazza emanava un’energia particolare, quasi suadente. - La tua anima pena, lo per-cepisco. Perché non segui gli insegnamenti della luna? -Astrel si voltò verso la voce che aveva appena udito, subendo il fascino d’un volto misterioso.- Chi sei? – le domandò, notando l’abbigliamento etni-co della donna. La gitana si espresse con voce serafica.- Il mio nome è Aradia, ma non importa ch’io sia. Quando diventerete un solo alito di vento, colmerai il tuo abisso. – - Scusami, ma non riesco a comprendere le tue parole. -- Non occorre che tu lo faccia. Devi agire come la luna, seguire il suo esempio. –- Che vuol dire agire come la luna? – Chiese Astrel sperando di ricevere un chiarimento. La donna sorrise affabilmente.

8

- Anche tu pensi che in origine la luna fosse così perfet-ta e tondeggiante come ci appare oggi? Beh, non mi stupisce. Questo è un errore che in fondo facciamo tutti.- - Quale errore? – - Quello di non comprendere i significati nascosti nella natura. Il mondo ci parla, fanciulla, e tu dovresti stare ad ascoltarlo se è la felicità ciò che desideri. - Astrel fu ammaliata da quelle parole, ma non riusciva, benché si sforzasse, a comprenderne il senso. - Vedi, milioni d’anni or sono, la luna non era altro che una roccia a metà, una semplice pietra che un giorno trovò nella sua orbita un altro masso uguale a sé. Avevale stesse dimensioni, analoghi crateri e il medesimo co-lore. E fu così che il nostro satellite divenne rotondo, bello e sfavillante come siamo abituati a conoscerlo. Tuttavia, alcuni giorni del mese la luna eclissa la sua preziosa metà, e se lo fa vi è una ragione precisa. - Astrel era sempre più conquistata, i movimenti mimici che la donna compiva in accompagnamento alla sua spiegazione l’avevano quasi indotta a prefigurarsi la scena in cui una luna separata a metà si congiungeva come d’incanto. Eppure, Astrel continuava a non com-prendere.- Quale ragione? Perché la luna dovrebbe eclissare la sua meta? – - Ma è ovvio, fanciulla! Per indicarci il cammino della felicità. Dimmi una cosa, preferisci la luna quando è piena o quando è crescente? – - Beh, quando è piena brilla di più. – - Infatti! Tutti brilliamo di più se possediamo la metà che ci completa, non dobbiamo far altro che trovare unaroccia uguale a noi: questo è il messaggio di cui è gra-

9

vida la luna. - Astrel meditò qualche istante su ciò che la donna aveva appena affermato, poi obbiettò. - A dire il vero, i libri di scuola dicono ben altro sulle fasi lunari. – - Intendi le spiegazioni astronomiche? Sì, quelle vanno bene, ma solo per il mondo della ragione, nel mondo del cuore valgono altre regole. Non sottovalutare mai questa parte d’universo, bella fanciulla, leggi la natura senza l’ausilio della mera razionalità e vedrai… – - Ci proverò – rispose Astrel un po’ scettica.- L’universo è nato in pochissimi istanti, in altrettanto poco tempo la tua vita cambierà. Presto brillerai anche tu, ma le tenebre resteranno in agguato per separarti dalla tua essenza. Non permetterglielo, e sarà in eterno. – Sulla scia di queste enigmatiche parole che suonava-no profetiche, la donna si congedò. Astrel tornò a guar-dare il fiume provando ora un lieve senso di benessere.Mosca, RussiaLa piscina del Majakovskij aveva chiuso da ben tre ore,il cartellino plastificato sulla vetrata d’ingresso lo indi-cava chiaramente. I fari sul tetto erano stati spenti, e le lampade led istallate sul fondo della vasca creavano un’atmosfera suggestiva. Non era la prima volta che violavo il regolamento per concedermi un tuffo proibi-to, ultimamente avveniva ogni sera. Resistere al richia-mo melodioso dell’acqua mi era impossibile, ogni voltache immergevo il corpo nel liquido primordiale sentivo di esserne parte integrante, e sapere che l’acqua era l’u-nico luogo in cui la forza coercitiva della gravità non poteva impedirmi di volare mi consentiva di assaporare un alito di libertà. Ancora una volta mi tuffai in gran segreto in barba al cartellino sulla porta, certa che nulla avrebbe ostacolato le mie atletiche bracciate in stile li-bero, tranne il fischietto della professoressa Čechov,

10

che in quel momento minacciava di spezzarmi i timpa-ni. L’insegnante dai capelli biondo cenere e dalla fisici-tà corpulenta, mi osservava impettita dal bordo vasca. Dall’alto del suo cipiglio si muoveva avanti e indietro rasentando l’orlo della vasca, come un felino in agguatoche si prepara a ghermire la sua preda. - Signorina Sve-tlana Yaroslavna! Sono stanca di rammentarle che la pi-scina non si può usare a quest’ora. - Odiavo il tono stiz-zito che adottava nel rivolgersi agli altri, ma non era nulla se paragonato al suo carattere facinoroso e irasci-bile. Contrariarla in qualcosa equivaleva a farle spacca-re un vetro dalla rabbia, o qualsiasi oggetto che si tro-vasse nell’arco della sua portata. Avvicinandomi alla scaletta, saltai fuori dall’acqua. Sapevo che con quella donna discutere era superfluo e non ci provai neppure. Rassegnata, mi avvolsi nell’accappatoio e mi allontanaidalla piscina mentre lo sguardo torvo della Čechov con-tinuava a puntarmi.- Svetlana! Dove va? – Sbraitò a squarcia gola con le vene ingrossate che le pulsavano sulle tempie. - In camera mia. – Risposi in modo irriverente e lapida-rio.- Ne ho abbastanza della sua impertinenza! La piscina può essere usata soltanto negli orari d’apertura e questovale per tutti, nessuno eccettuato. – M’ero ripromessa di non discutere con la Čechov, ma quel sussiego rivol-tante nelle sue parole mi spinse a erigermi a paladina dime stessa.- Questa mattina non ho saltato neppure una lezione – La informai ostentando fermezza – durante la pausa pranzo ho redatto il mio articolo per il giornale della scuola, e subito dopo sono corsa al laboratorio di chi-mica trascorrendovi ben due ore, al termine delle quali mi sono recata in camera mia per finire i compiti. Tutto

11

questo è coinciso con “ gli orari d’apertura della pisci-na” e, mi creda, coincide ogni giorno. Dunque, mi do-mando se stia nel mio diritto concedermi almeno un’oradi relax alla sera. - D’un tratto gli occhi della donna si fecero biechi come due canne di pistola pronte ad aprireil fuoco. - Nient’affatto. – Pronunciò con aria di sufficienza, quasi non meritassi la sua replica. – Le rammento tutta-via che questa è una scuola, non il Marriot Royal hotel. Le regole vigono per tutti, e come ho già detto nessuno è eccettuato dal rispettarle. -- Già, soltanto voi insegnanti potete agire arbitraria-mente, infischiandovi dei nostri diritti! – Polemizzai con biasimo. La Čechov ebbe uno scatto inconsulto e balzò in avanti, come se il pungiglione d’un ape si fossed’improvviso conficcato nella sua pelle chiara.- Non sono in grado di tollerare tutte queste lagne, non con il mal di testa che mi ritrovo. Fili subito in camera sua! E l’avverto, Svetlana, se una simile disobbedienza si ripeterà ancora, riferirò l’accaduto alla direttrice. - Convinta che quella bomba a orologeria stesse per esplodere, mi allontanai senza degnarla d’un saluto. Ero abituata all’insensibilità che ostentavano gli inse-gnanti del Majakovskij, spesso la spacciavano per rigo-re, necessario, dicevano, affinché riceviate una forma-zione impeccabile. La verità è che amavano trincerare la totale indifferenza nei nostri confronti sotto la ma-schera di tutori autoritari ma corretti ed equi. Giunsi in camera mia bagnata e gocciolante, intirizzita tra la spu-gna dell’accappatoio. La mia compagna di stanza era alle prese con una montagna d’indumenti che si appre-stava ad accalcare dentro una valigia. Quando s’accorseche il bagaglio era al limite della capienza, vi si poggiò

12

sopra con entrambe le ginocchia e lo gravò di tutto il suo peso corporeo.- Ciao Sveta. – Mi salutò con la voce strozzata dalla fa-tica, mentre tentava di chiudere la valigia.- Julia, perché stai facendo le valigie? Torni dai tuoi? – Le domandai, osservando la sua lotta contro il bagaglio.- No, cambio solo stanza. – Rispose col fiato alleggeri-to, dopo esser riuscita in quell’impresa.- Qui con me non ti trovi più bene? - Julia sorrise inte-nerita.- Niente affatto, Sveta. Domani arriverà una ragazza da Londra, e la direttrice ha stabilito che alloggerà qui, mentre io sarò trasferita in camera con Irina. – - Una ragazza da Londra? -- Già. Credo che la direttrice non sia molto lieta del suoarrivo, oggi era intrattabile. – Tuffandomi sul letto mi concessi una breve risata, al-lentando la tensione per l’alterco di poco prima con l’insegnante di ginnastica. - Non mi pare una novità, in-trattabile lo è sempre! -Londra, Inghilterra.Il Big Ben omaggiava solenne lo scorrere del tempo, svettando fastoso sui tetti della City. Un’imbarcazione turistica si preparava a salpare da un molo, agghindata afesta con vivaci bandierine e grosse lampade sospese sufili sottili. Le stelle adornavano di fascino il buio, inca-stonate come diamanti sul misterioso manto cosmico. Astrel uscì da un fast food sorseggiando un milkshake con la cannuccia. Lo strombazzare delle auto si alterna-va al rumore più ovattato dei motori e a quello in lonta-nanza di sirene e antifurti scattati per sbaglio. La giova-ne si riparò nell’androne del fast food, quasi lì i rumori non potessero raggiungerla. Le lancette fosforescenti del suo orologio le ricordarono che era giunto il mo-

13

mento di rincasare, ma al solo pensiero Astrel ebbe vo-glia di sparire, in un posto recondito e a chiunque inac-cessibile. Sedendosi sulla panchina del bus stop, diede l’ultimo sorso alla bevanda, poi si fece pensierosa. Era certa che i suoi la stessero attendendo infuriati. Prima lascenata del pomeriggio, poi era sparita per delle ore. In-dubbiamente le avevano serbato una punizione esem-plare, ma la giovane preferì non dar peso a quell’even-tualità. Alzandosi dalla panchina, scrutò in fondo alla corsia, speranzosa che il suo autobus giungesse presto. Lungo l’asfalto le auto sfrecciavano veloci come luc-ciole impazzite, sembrava che nulla potesse arrestare la loro folle corsa, tranne quella luce rossa che si accese dopo il giallo. Sulle strisce pedonali una donna attraver-sò la carreggiata tenendo per mano una bambina. Felicee spensierata, la piccola si divertiva a saltare da una ze-bratura bianca all’altra. Osservando quella scena dal ci-glio del marciapiede, Astrel provò un pizzico di malin-conia. Pochi anni addietro anche lei era una bambina gioiosa, una bambina che come tale, vedeva il mondo sotto ottiche differenti. Da piccoli non si è capaci di giudicare, perché non si possiede un’opinione, così, tut-te le frottole che i grandi raccontano vengono prese per buone. Frottole, era ciò che la vita aveva raccontato ad Astrel riguardo ai suoi genitori. Per quanto tempo s’ eraillusa che suo padre fosse un grand’ uomo? “ Il papà più generoso del mondo” le rammentava appassionata la madre, quando per Natale lei scartava i regali; pecca-to, che quello stesso uomo fosse così avaro di senti-menti, e di questo la piccola Astrel ne aveva sempre pe-nato. Due imprenditori quotati in borsa, una coppia sta-bile e regolare, che va a messa la domenica e torna a la-voro il lunedì. Gente dabbene. Una volta cresciuta, Astrel comprese che i suoi genitori non erano altro che

14

questo: una facciata modellata secondo i canoni della società. Semplici attori che si calano nella parte per re-citare la loro commedia borghese, fumo negli occhi, null’altro. Da quel mondo fatto di convenzioni e scan-dito da cliché, Astrel s’ era sempre sentita oppressa. Anima libera e sognatrice, non poteva accettare che la sua vita fosse ridotta ad una farsa da palco scenico. Lei aveva scelto d’essere non d’apparire, e questa, fu un’ir-riverenza che i suoi non le perdonarono più.2 L’ultima voltaIl suo viso contro lo spigolo della parete, un dolore atroce, poi tutto buio. Lara si svegliò di scatto ritrovan-dosi per terra, sdraiata davanti all’ingresso di casa. La vista era annebbiata, la mente confusa. La ragazza riac-quistò l’equilibrio con fatica, e barcollante s’incammi-nò lungo il corridoio. Fermandosi di fronte allo spec-chio osservò la sua immagine riflessa. I lunghi capelli rossi le cadevano scomposti giù per la schiena, i suoi brillanti occhi verdi, apparivano spenti e atterriti; e sul-la guancia, l’ennesimo segno di violenza. La minigonnabianca che indossava l’aiutò a ricordare ciò ch’era acca-duto, suo zio riteneva che fosse troppo corta e per tale ragione l’aveva picchiata. La ferita sullo zigomo le do-leva parecchio, Lara corse in cucina a tamponarla con del ghiaccio. Sul tavolo trovò una bottiglia di Whisky scolata fino all’ultimo goccio e le chiavi dell’auto spari-te dal proprio posto. – Quel pazzo sarà al volante sbron-zo. Spero proprio che non torni. – Disse la giovane donna, lasciandosi cadere su una sedia. Il ghiaccio co-minciò a sortire i suoi effetti benefici, il dolore s’atte-nuava lentamente, ma l’umiliazione per l’ennesima ves-sazione subita pulsava forte dentro il suo cuore. - Que-sta è l’ultima volta che mio zio mi mette le mani addos-

15

so! – Proruppe ad alta voce, per imporlo a se stessa con maggiore patos. – Sparirò da questa casa, per sempre. -Astrel oltrepassò il cancello della sua abitazione e per-corse velocemente il giardino. Gli idranti automatici in-naffiavano il prato, e nell’aria si levava l’inconfondibileodore di terra umida. Quella sera Astrel avrebbe prefe-rito non rincasare, in modo da sfuggire a una struggentecrisi isterica della madre e a una sfuriata del padre, tut-tavia era conscia di non avere scelta. Giunta davanti l’uscio, la ragazza mandò giù lentamente una boccata d’aria, cercando di prepararsi psicologicamente a ciò che poteva attenderla. Ancor prima che inserisse la sua chiave nella serratura osservò la maniglia d’ottone ruo-tare su se stessa, Willard era corso ad aprirle battendolasul tempo. - Buona sera, signorina. Ben tornata a casa. -- Ciao, Willard. – “ Il peggior maggiordomo che potesse capitarci!” Pro-testava sovente il padre d’Astrel, quando Willard tarda-va nello svolgere una mansione domestica, ma la ragaz-za non condivideva questo punto di vista. D’altronde, Willard era l’unico in casa a rispettare la sua privacy e ad accoglierla sempre col sorriso fra le labbra. Insieme scambiarono due chiacchiere amichevoli, poi Willard sicongedò tornando al suo da fare. Rimasta sola innanzi all’androne, Astrel si auspicò che i suoi genitori fosserogià andati a dormire, e con passo furtivo s’incammino su per le scale in punta di piedi. Salire velocemente mantenendo quella postura non le fu semplice, ma il freddo corrimano l’agevolò nell’impresa, e quando era in procinto di balzare sull’ultimo gradino, la voce graci-da di sua madre la fece sussultare. Astrel tornò a tocca-re il suolo con i talloni e voltandosi scrutò in fondo le scale.

16

- Astrel! Si può sapere dove accidenti ti sei cacciata pertutto il pomeriggio? - Astrel non desiderava dilungarsi in una discussione, e l’atteggiamento avverso della ma-dre la dissuase maggiormente.- In giro. – Replicò a monosillabi, ostentando indiffe-renza. La donna salì le scale divorando gli scalini, e unavolta raggiunta la figlia, le puntò il dito contro il viso. - In giro eh? Ci sono delle belle novità per te, signori-na! Fila giù nell’ufficio di tuo padre, ha da dirti un paio di cosette. – Sistemandosi la vestaglia da notte rosa confetto, la donna s’incamminò per il corridoio del pri-mo piano diretta nella propria camera.3 Una notizia inaspettataAstrel irruppe nell’ufficio del padre senza preoccuparsi di bussare alla porta. L’ambiente era saturo di fumo, tutto puzzava di sigaro, e in quel preciso istante, il fa-coltoso impresario ne stava premendo uno contro il portacenere. - La mamma mi ha detto che desideravi parlarmi. – Disse Astrel inghiottendo l’aria malsana. L’uomo distolse l’attenzione dalla miriade di fogli che tappezzavano la sua scrivania, e con sussiego osservò lafiglia. - E così, alla fine hai preferito rincasare. Il letto del mo-tel era troppo scomodo? – La stuzzicò con una punta di sarcasmo. Astrel preferì non dar peso al cinismo del pa-dre. - Cos’è che hai da dirmi? – L’uomo estrasse un altro si-garo dalla custodia in pelle appartenuta al fratello de-funto, e dopo averlo acceso ne godette la prima boccatasocchiudendo lievemente gli occhi, poi restituì all’am-biente un fitto alone di fumo che migrò verso l’alto. Astrel detestava quel viziaccio del padre, il fumo le fa-ceva bruciare la gola, e inoltre s’annidava insolente tra la sua chioma, annientando le fragranze dello shampoo

17

ai fiori di ciliegio. Vedere il padre fumare era per lei presagio di sventura, e d’altronde, tutte le volte che l’e-ra stata impartita una punizione esemplare c’era sempreun sigaro a rendere il contesto più gravoso di quanto non lo fosse già. - Se oggi pomeriggio non te ne fossi andata come una screanzata, sapresti già cos’ ho da dirti. - - Se oggi pomeriggio quel tronfio non m’ avesse cac-ciata, io sarei rimasta. – L’uomo imprecò fra sé e strin-se i denti, non gradiva quando gli altri lo eccepivano, ciò lo rendeva collerico e gli impediva di gustare l’aro-ma del suo Bolivar. Deciso a non sbottare, recuperò la ventiquattrore dal pavimento e la poggiò sulla scriva-nia. Aprendola si mise a rovistare fra i documenti in cerca di quel biglietto aereo acquistato poche ore prima,e una volta recuperato lo porse alla figlia. Astrel raccol-se il biglietto fra le sue mani, notando ch’era decorato dal logo di una nota compagnia aerea britannica.- Un volo per Mosca? - Chiese sbigottita. – Partirà do-mani da Heathrow? – Viste le circostanze, Astrel non poteva supporre che il padre le stesse regalando una va-canza. - Papà, cosa significa? Perché mi hai comprato un biglietto per la Russia? – Domandò, ansiosa di rice-vere una risposta.- Non ti piace Mosca? - La interrogò lui con sarcastico umorismo.- Io non capisco. – L’uomo richiuse la ventiquattrore inserendo la combinazione, poi si rivolse alla figlia. - Oggi pomeriggio, io e tua madre abbiamo avuto una lunga discussione con il signor Stanley. Gli abbiamo chiesto se fosse disposto ad accettarti nella sua scuola, ma essendo i corsi già iniziati e avendo riscontrato pro-blemi d’altro genere, per lui non è stato possibile farlo. – Astrel avrebbe voluto tirare un bel sospiro di sollievo,

18

ma quel volo fissato per il giorno seguente gliel’impedì.- Per tuo raro privilegio, cara Astrel, il padre che ti ha generato non è un infingardo operaio, ma una persona-lità distinta e influente. - continuò lui accantonando la modestia. – Per tale ragione, il signor Stanley ci ha of-ferto la possibilità di farti studiare al Majakovskij – - Dove? - chiese la ragazza del tutto spaesata. L’uomo parve irritato per ciò che considerava una carenza cultu-rale della figlia, e con baldanza le forni alcune spiega-zioni. - Il Majakovskij è il più famoso collegio moscovita. Chiunque vi abbia studiato ha praticamente un pass d’accesso per l’università Lomonosov. Il signor Stanleyè un benefattore del collegio, e grazie alla sua magnani-mità, l’istituto vanta una serie di laboratori didattici, nonché una fornita biblioteca scolastica. - L’impresario si concesse una pausa di pochi secondi, per passare dal-l’altezzoso al compiaciuto, poi continuò. - Capirai bene,che il signor Stanley occupa una posizione d’influenza all’interno del Majakovskij, così, gli è bastata una sem-plice telefonata per farti ammettere subito e gratuita-mente. Io e tua madre non dovremmo pagare neppure una retta! - concluse l’uomo col trasporto di un canta-storie che giunge al lieto fine della sua novella. Astrel rimase attonita, sconvolta da tanta freddezza. I suoi ge-nitori avevano scelto per lei! Senza consultarla, senza aver pena di mandarla via in un paese straniero. - Siete impazziti? – Urlò agitandosi – Come vi è potuta saltare in mente un’idea simile? Invece di parlarmene, siete corsi in agenzia ad acquistare il biglietto, e per giunta dovrei partire domani! – La ragazza provò a con-trollarsi, non voleva mostrare al padre quanto fosse fe-rita. – Non posso crederci! Mi spedisci in Russia, da sola, in un collegio che qui non ha alcuna credenziale, e

19

tutto per lasciare in tasca il portafogli. – L’uomo le ri-servò una smorfia astiosità che in genere teneva in ser-bo per umiliare i propri dipendenti quando tardavano al lavoro o mancavano in qualche commissione.- Sei una povera ingrata, Astrel. Io e tua madre stiamo solo cercando di salvarti la faccia, di non rovinare il tuodebutto in società.- - Di salvarmi da cosa, Papà?- Inveì Astrel con irruenza. - Dalle mie scelte sentimentali? Dalle mie idee? Da quello che sono? La verità è che a voi non è mai impor-tato nulla di me! Sin da quando sono nata non avete fat-to altro che progettarmi la vita. Che razza di messaggio ho ricevuto in questa famiglia? Quale realtà distorta mi avete messo di fronte? Per voi ciò che conta è solo ap-parire conformi alla morale contorta di quei quattro bi-gotti che vi circondano, ma se pensi che sprecherò la mia esistenza andando dietro le apparenze ti sbagli, ho rispetto per me stessa papà, non cadrò mai così in bas-so. - Il ricco impresario lanciò una biro contro la parete,senza volerlo ruppe il vetro d’un quadro che andò subi-to in frantumi. A quell’uomo non importavano le recri-minazioni della figlia, intrappolato com’era nel suo mi-nuto universo, non riusciva a comprendere le sofferenzedi una ragazza a cui viene preclusa la libertà d’ essere.- Non voglio udire una sola sillaba in più, Astrel. Do-mani stesso partirai per la Russia, ci resterai non meno di un anno, e chiudiamo qui la discussione. – La giova-ne si sentì frastornata come se un colpo di mazza l’a-vesse raggiunta, quasi vacillò e a stento trattenne le la-crime, ma alcune sfuggirono al suo rigido controllo, Astrel le braccò con le dita chiedendosi se a sconvol-gerla maggiormente fosse stata la notizia della sua im-minente partenza, o l’ostentata insensibilità del padre. Singhiozzante si voltò e uscì dall’ufficio.

20

4 Dirsi addio?

Astrel tornò in camera sua con aria sconfitta. Entrando, incrociò uno sguardo familiare.– Ciao Lara, non sapevo fossi venuta a trovarmi. – Larasedeva sul dondolo accanto alla finestra, stringendo fra le braccia un soffice peluche che tempo addietro le era appartenuto. Un fermaglio elastico le raccoglieva i folti capelli rossi alla nuca, e sulla guancia, un tocco di ci-pria tentava invano di celare la ferita.- Ciao Astrel, sono arrivata qualche minuto fa. Willard mi ha detto che stavi parlando con tuo padre e ho prefe-rito aspettarti qui. - - Hai fatto bene – Disse Astrel, impegnandosi per appa-rire serena, tuttavia, le due ragazze si conoscevano fin troppo per non accorgersi reciprocamente che qualcosa stava andando per il verso storto. Sin da piccole, quan-do un pomeriggio d’estate s’erano incontrate al parco, era nata in loro una solida amicizia fondata sulla stima reciproca. Per Astrel, Lara rappresentava quella sorella maggiore che non aveva mai avuto, l’unica persona ca-pace di stringerle la mano quando il mondo minacciava di crollare giù. Entrambe sapevano di poter contare l’u-na sull’altra, nell’insidioso mare della vita, soltanto la loro amicizia rappresentava un’ancora sicura. Vedendo l’amica stretta al suo orsacchiotto, Astrel avvertì una fitta al petto: come dirle addio? Come pronunciare que-sta concisa parola carica di rammarico? Eppure doveva farlo, doveva riuscire a congedarsi dall’amica del cuo-re, realizzando al contempo, che nell’imminente e tra-vagliato futuro, Lara non sarebbe stata al suo fianco. Prima d’informare l’amica di ciò che stava accadendo, Astrel le si avvicinò per attingere un blando conforto, fu allora che s’ accorse di quella brutta ferita che le

21

sfregiava il volto. - Oh Lara, cos’hai fatto alla guancia? - Entrambe compresero quanto superflua fosse la do-manda, Astrel sapeva bene chi aveva fatto del male al-l’amica, ma in cuor suo nutrì la speranza che si trattassesolo di un banale incidente domestico. Quando il viso di Lara si fece mesto e incupito, Astrel abbandonò i suoi crucci dimenticando la Russia. - Quel bastardo di tuo zio ti ha picchiato di nuovo, non è così? - Lara an-nuì con un cenno del capo. - Tesoro, mi dispiace, ades-so avverto la polizia. - Astrel aveva già sollevato il rice-vitore del telefono e si apprestava a comporre il nume-ro. - No! - Urlò Lara con tono appassionato. Astrel tentò dipersuaderla. – Ti prego, ascoltami. Lo capisci che questa storia non può più andar avanti? Se non è oggi, sarà domani, la prossima volta lui potrebbe…- Lara balzò in piedi la-sciando dondolare a vuoto la sedia, e fra le sue mani ac-colse quelle dell’amica fissandola negli occhi con sguardo penetrante.- Astrel, non ci sarà una prossima volta. Se sono venutada te questa sera, l’ho fatto per una precisa ragione.- E quale? - Lara fece piombare lo sguardo verso il pa-vimento e proferì con voce tremula.- Non potevo andar via senza salutarti. – - Andar via? Cioè, intendi scappare da casa? -- Proprio così. Tra due ore partirò per Southampton e da lì verso gli U.S.A. Purtroppo, dovrò affrontare que-sto viaggio senza documenti e senza un penny per le mie esigenze, ma… saprò cavarmela lo stesso. – - Cosa? – La interrogò Astrel sbalordita. - E perché mainon hai con te né documenti né denaro? – - Pensi che mio zio sia uno stolto? Ha sempre sospetta-to che volessi fuggire, e per impedirmelo mi ha seque-

22

strato il passaporto e vigila sul mio portafogli. E’ solo un povero illuso, lo fregherò comunque, …l’ho già fat-to. – Astrel ebbe un lieve mancamento e avvertì il biso-gno d’inspirare una boccata d’aria salubre, il fumo di prima non si decideva ad abbandonare le sue narici. Aprendo la finestra della propria camera si sedette sul davanzale e inspirò a fondo. I rumori cittadini si perce-pivano in lontananza condotti a tratti dal vento. - Vuoi andare a vivere con tuo fratello a Seattle, non è vero? – Lara raggiunse l’amica alla finestra guada-gnandosi un angolino sul davanzale, e con gli occhi ri-fulgenti di speranza rispose.- Sì. Adesso lui è ricco, ha la possibilità d’ospitarmi e offrirmi una vita migliore, così, finalmente potrò conti-nuare i miei studi. – La voce di Lara viaggiava sul tono dell’entusiasmo, già si vedeva, inscritta al college con l’armadietto pieno di libri e una collezione d’ottimi voti. Astrel desiderava con tutta se stessa che i sogni dell’amica si trasformassero in realtà, avrebbe concessoanche l’anima per saperla felice, ma l’apprensione che in quel momento provava le impedì di gioire con lei.- Come farai ad arrivare così lontano se ti mancano sol-di e documenti? - Lara possedeva già una risposta a quella domanda, ma rintracciarla le era costato parec-chio.- Vedi Astrel, ho trascorso notti insonni per trovare una soluzione a questo dilemma, e ora che ne possiedo una, non intendo perdere la mia occasione. Quando arriverò a Southampton, m’imbarcherò su un transatlantico, è una nave da crociera che raggiungerà gli Stati uniti nel giro di una settimana. A bordo lavorerò in nero come inserviente, ma questa è soltanto una copertura. –- Lavorerai in nero su una nave? – Ripeté Astrel sbalor-dita, col cuore palpitante. – Ma, Lara, sei sicura di vole-

23

re… insomma, non mi sembra per nulla una buona idea. -- E’ l’unico modo. – Ribadì lei con fare probante. - A mio zio non potrebbe saltare in mente di venirmi a cer-care in mezzo all’oceano, e quando dalla rabbia inizieràa scaraventare sedie e oggetti per casa, io sarò già in America a condurre una nuova vita. – Astrel era semprepiù agitata. Imbattersi da sola e da clandestina in una si-mile avventura non era certo un gioco per bambini. - Facciamo un passo indietro, Lara. – Disse Astrel muo-vendo le mani, quasi volesse acciuffare i concetti che lesfuggivano per agganciarli in una catena logica.- Cosa vuol dire che farai l’inserviente su una nave? E che intendi con “ copertura” ? - Lara posò la mano sullaspalla dell’amica carezzando la lana tiepida del suo golf.- Bene, cominciamo dall’inizio. – Premise - Otto mesi addietro ho conosciuto la persona che faceva al caso mio: un membro dell’equipaggio, un uomo che lavora abordo della Far Dream, la nave sulla quale viaggerò. Lui è disposto a fornirmi una copertura che mi permet-terà di traversare l’oceano indisturbata. -- E giunta a New York? Dovrai pur scendere dalla nave, come pensi di eludere i controlli doganali? –- Mi ha garantito che scenderò dalla nave ancor prima che attracchi, e una volta a New York, mi indirizzerà presso un suo conoscente, il quale mi fornirà documentifalsi per muovermi facilmente fino a Seattle. – L’e-spressione d’Astrel era basita, a tratti dubitava che una simile storia potesse accadere nella realtà e alla gente comune, eppure, Lara non pareva in vena di scherzi.- Che cosa chiede in cambio quest’uomo? –- Soldi. – Ribatté Lara. - Una cifra insormontabile per le mie capacità, ma il conto corrente di mio zio aveva

24

parecchie risorse prima che gliel’azzerassi. – Astrel ebbe l’accortezza di celare le perplessità che nutriva, non voleva gravare Lara del suo pessimismo.– Tuo fratello sa già che lo raggiungerai? – Domandò lagiovane scendendo dal davanzale e stirando energica-mente le braccia verso l’alto, quasi ambisse a toccare il tetto.- No, lo avvertirò soltanto se riuscirò a toccare il suolo americano. –- Pensaci bene Lara, sei sicura di ciò che fai? –- Andiamo, Astrel! Non devi angustiarti per me. – La esortò sprizzando ottimismo. – Sto per dare una svolta decisiva a questa misera esistenza. -- Lo so, ma se ti accadesse qualcosa di brutto io… -- Andrà tutto per il verso giusto, te lo garantisco, e ti prometto anche, che non appena arriverò a Seattle ti chiamerò ogni giorno. – Astrel dissentì col capo ed esplose in un pianto straziante.- Mi dispiace tanto Lara, ma quando arriverai a Seattle io non sarò più qui. -- Cosa? – Abbandonando ogni sforzo d’autocontrollo, Astrel lasciò che le lacrime venissero giù inondandole le guance. Lara cullò l’amica fra le sue braccia. Non ca-piva quale fosse la causa del suo tormento, ma non si sarebbe congedata da lei se prima non fosse riuscita al-meno a rasserenarla.- Perché stai piangendo? -- Mio padre ha deciso di rovinarmi la vita. – Sibilò fra isinghiozzi inconsulti.- In che senso? - Astrel respirò a fondo per sedare le la-crime, quello sfogo prepotente le donò un tenue sollie-vo. Adesso era in grado di raccontare all’amica ciò che era accaduto. Le parlò della freddezza che avevano avuto i suoi nel decidere di mandarla in collegio, del-

25

l’insolenza di quel rettore a cui s’erano rivolti, e afflitta,riferì anche del viaggio studio a Mosca. Lara ascoltò l’amica in silenzio, senza interromperla, esprimendo la sua incredulità soltanto con gli sguardi.- Io non capisco. - Esordì ora – Decidono di farti stu-diare a Mosca, in questo cavolo di collegio, e non ti consentono neppure d’abituarti all’idea. Tutto ciò è ri-dicolo! –Astrel annuì, stringendo fra le dita il suo inseparabile talismano rosa. Lara procedeva avanti e indietro per la camera, era irrequieta, come assalita da una raffica di dubbi, a modo suo cercava una soluzione per evitare che l’amica partisse. - Non potresti chiedere a tuo padre, magari, se lo con-vinci a rimandare la partenza di otto o nove giorni, avresti il tempo di trovare un collegio qui a Londra. - Astrel scosse il capo accompagnata dalla sua chioma bruna, e amaramente sorrise.- Credi davvero che mio padre si lasci scappare una si-mile occasione? Farmi studiare gratis in una scuola esclusiva? No, non ci rinuncerà mai. - Lara comprese l’ineluttabilità della situazione e a quel punto arrestò il suo passeggio privo di meta intorno alla stanza, sce-gliendo di consolare l’amica più che fornirle consigli alternativi.- Vieni qui, tesoro. – Le disse, protendendo le braccia verso lei. Astrel si lasciò confortare da un abbraccio protettivo.- Non voglio andare a Mosca. Ho paura. – Bisbigliò Astrel, avvicinando la bocca all’orecchio dell’amica. Lara tentò ancora di rasserenarla.- Comprendo la preoccupazione che ti angustia, ma io sono un’insanabile ottimista, e a differenza di te scorgo delle note positive in questa vicenda. - Astrel si allonta-

26

nò appena dal corpo di Lara, in modo da poterla osser-vare in volto, e con un barlume di speranza le domando- Quali sono gli aspetti positivi? - - Davvero non riesci a vederli? Ma come? Non credi che trascorrere un po’ di tempo lontano dai tuoi ti possagiovare nel riconciliarti con te stessa? Niente più “ Astrel sei strana, Astrel vestiti come s’addice, Astrel dovresti frequentare solo i figli dei nostri amici”. - Le due ragazze risero di cuore approfittando di quell’effi-mera ilarità per scaricare la tensione. - Sì, forse hai ragione, anche se avrei preferito andare alle Bahamas.- L’orologio di Lara emise due bep. La ragazza si accorse dell’orario e disattivò la sveglia.- Devo andare, tesoro, altrimenti rischio di perdere il mio treno per Southampton. - Astrel annuì rassegnata, soffocando dentro il petto quell’opprimente bisogno di piangere ancora; Lara andava incoraggiata con uno splendido sorriso. Mosca, Russia.La neve fioccava leggera cancellando ogni colore. L’immensa area della Piazza Rossa, le venti torri del Cremlino, i tetti delle abitazioni, e perfino le policrome cupole di S. Basilio, quella notte sfumarono nel gelido abbraccio dell’inverno. Un urlo acuto lacerò il silenzio della notte, tutti al Majakovskij ci svegliammo di so-prassalto. Julia trabalzò dal letto con un fremito, e agi-tando la mano in direzione del comodino afferrò l’inter-ruttore che pendeva dall’abatjour per accendere la lam-pada. Un bagliore abbacinante colpì i miei occhi cau-sandomi una fitta acuta all’altezza della fronte, pronta-mente mi fiondai sotto le coperte, unico luogo ove la luce non riusciva a raggiungermi.- Hai sentito anche tu, Svetlana? – Domandò Julia. Len-tamente sollevai la testa dal cuscino tornando allo sco-

27

perto, l’orologio sulla parete segnava le 4: 35, attraver-so la condensa sulla finestra scorsi la neve cadere giù. Dal corridoio provenivano passi e voci confuse, per l’ennesima notte Irina era riuscita a sfumare il sonno di tutti, gettando l’istituto in un fragoroso subbuglio. Julia si alzò nervosamente dal letto infilandosi la vestaglia. - E’ incredibile! – Sbottò, sforzandosi di conferire vee-menza alla sua voce assopita – Domani quella squili-brata sarà la mia nuova compagna di stanza. Fantastico!-- Non preoccuparti Julia, Ira sta attraversando un perio-do difficoltoso, ma le passerà, credo. – Replicai sbadi-gliando.- Beh, la direttrice dovrebbe avvertire i suoi genitori se non vuole che qui diventiamo tutti matti. – Al piano superiore, Irina si dimenava nel suo letto. - Non posso, non posso farlo ancora. – Sillabava con la voce cadenzata dai singhiozzi, mentre le lacrime s’infit-tivano sul cuscino. – Non posso! – Strillò, abbandonan-do il tepore delle lenzuola per divorare la stanza con la foga dei suoi passi. In preda ad una crisi isterica si sca-raventò contro una parete causandosi una contusione alla spalla, poi scivolò sul pavimento cominciando a di-menare braccia e gambe verso l’alto, quasi stesse offi-ciando un rituale scaramantico. La giovane Irina era stremata; flagellata dagli spiacevoli episodi che puntua-li si ripetevano quando la notte incombeva. Ogni notte nello stesso posto mefitico, ogni notte, alla mercé di chigradiva intrattenersi con lei. Irina sapeva bene come af-francarsi da quella condizione di schiavitù, le sarebbe occorso esternare tutto ai genitori, raccontar loro di come Ivan, un compagno di classe, la costringesse a su-bire le angherie del cliente di turno. Quante volte era stata sul punto di alzare la cornetta per chiamare la poli-

28

zia? Poi la paura s’insinuava in lei, le minacce di ritor-sione le tornavano in mente turbandola, e tutto restava com’era. Infilandomi le pantofole, mi diressi fuori dallamia camera. - Dove vai? - Mi chiese Julia sorseggiando un bicchie-re d’acqua. – A vedere come sta Irina. – Replicai, socchiudendo la porta dopo essere uscita dalla stanza. La segretaria delladirettrice Rosencrans percorreva goffamente il corrido-io del secondo piano, calpestando un’interminabile gui-da dalle colorazioni purpuree. Bassa e mingherlina, dal-l’aria bisbetica e il vestiario trasandato, la donna rende-va il doppio degli anni registrati all’anagrafe. I lamenti d’Irina le avevano spezzato il sonno nel cuore della not-te, spingendola a saltar giù dal letto per dirigersi belli-cosa in camera della giovane - Irina Nikolaevna! – Strepitò appena giunta a destina-zione.- E’ ora di piantarla con questi isterismi. – Rinca-rò furiosa, accendendo la luce nella camera. Irina mu-gugnava raggomitolata per terra, fra il letto e il comodi-no, e come in una monotona litania continuava a ripete-re e ripetere la stessa frase. – Non sono una prostituta! Io non sono una prostituta. No, non lo sono. - La segretaria della direttrice fu spiaz-zata da quell’atteggiamento, così come lo fui io quando giunsi in camera sua. Dove si era celata la ragazza che avevo conosciuto due anni fa? Quella che riempiva i li-bri e le pareti di cuoricini perché innamorata della vita? A vederla ora, pareva lo spettro di se stessa. Desidera-vo aiutarla, rendermi utile in qualche maniera, ma il mio compito si faceva arduo di fronte al carattere intro-verso e poco loquace che ultimamente aveva assunto lei. La segretaria della direttrice stava lì, piantonata al centro della stanza con le braccia conserte, pronta a

29

sbottare e a scagliare una raffica di sberle contro le guance emaciate della giovane. Io scelsi d’agire, e avvi-cinandomi alla ragazza tentai di rasserenarla.- Ira, non fare così, cerca di calmarti, va tutto bene.- - Non sono una prostituta! – Continuava a sgolarsi lei con impeto smisurato. - Certo, lo so, ma adesso basta piangere. - Irina non diede adito ai miei consigli, e divagando lo sguardo si concentro sul bianco della parete. Fissò il muro per qualche istante, strabuzzando gli occhi come se d’un tratto qualcosa avesse interessato la sua attenzione. Per un breve momento placò il pianto e sembrò riacquistarel’uso della razionalità, ma subito dopo, prese a respirareaffannosamente e a pronunciare asserzioni dalla logica inafferrabile.- Sveta, tu non immagini nemmeno ciò che mi accade ogni notte. - Era come se stesse delirando, e non capivofino a che punto fosse consapevole di ciò che afferma-va, tuttavia, prestai ascolto alle sue parole. - Cosa ti succede ogni notte, Ira? - La segretaria della direttrice non gradì la mia domanda, così come non gra-diva la mia presenza in quella circostanza.- Svetlana! Ritorni in camera sua, immediatamente! – M’intimò con tono minaccioso. - Sto solo cercando d’ aiutare una ragazza che non si sente bene. – Incalzai persuasa e lievemente animosa. - E io sto solo cercando un pretesto per farti perdere il semestre. - Sapevo di trovarmi dalla parte della ragione,in fondo, non facevo nulla di scorretto prestando soc-corso ad una compagna, eppure, la prima lezione che il Majakovskij m’aveva impartito era quella di non cerca-re mai riscatto contro l’ostilità dei sui educatori. Af-franta m’incamminai verso l’uscita. - Irina sta solo deli-rando, Svetlana.- Arringò la donna quando le passai ac-

30

canto. – Ciò che afferma è privo di riscontro, probabil-mente ha avuto un incubo. – Aggiunse persuasiva, ac-compagnando le sue parole con una puntuale e quasi esasperante gesticolazione delle mani. Era come turba-ta, pareva temere che i discorsi deliranti d’Irina avesse-ro acceso in me una qualche curiosità. Scelsi di non re-plicare, sconcertata da tanta vigliaccheria mi limitai a voltarle le spalle e andare.Londra, Inghilterra.Astrel si tuffò nel suo letto a baldacchino allargando le braccia, il trambusto che aveva marcato nel segno la sua giornata pareva ora aver assunto un peso fisico gra-vandole il corpo come fosse un macigno. Pressata da quell’insolita fiacchezza, Astrel si assopì nel tepore del-la coperta in pile; era sul punto d’abbandonarsi a un sonno profondo quando qualcuno busso alla sua porta. Astrel sgranò gli occhi e si tirò su dal letto a mezzo bu-sto.- Non voglio essere importunata! – Gridò. La porta era già aperta, ma Willard si fermò con discrezione davanti all’uscio.- Scusami tanto, Willard. – Replicò la giovane imbaraz-zata - Entra pure, io… credevo fosse mio padre. – Spie-gò per sincerarsi che il maggiordomo non avesse equi-vocato.- Nessuna scusa, signorina. – Willard entrò e si sedette sullo stesso dondolo che aveva ospitato Lara qualche minuto addietro. Con un gesto pratico strinse il papillonche portava al collo, poi scrutò Astrel leggermente pro-strato. - Suo padre mi ha commissionato di prepararle le valigie inserendovi solo lo stretto necessario, ma a Mosca fa molto freddo di questi tempi, così mi sono permesso d’aggiungere qualche capo pesante in più. – Astrel sorrise in segno di gratitudine.

31

- E’ gentile da parte tua, come sempre ti premuri che io stia bene. –Anche se Willard era soltanto il maggiordomo di casa, un dipendente al servizio del padre, per lei rappresenta-va molto più. Da bambina lo credeva il suo angelo cu-stode, un angelo che la sera non mancava di rimboccar-le le coperte, e se Morfeo tardava la intratteneva narran-dole una fiaba. Ed era sempre quell’angelo dalle mani bianche di velluto a sfilarle il termometro di bocca se latemperatura andava su, lui ad assistere alle recite natali-zie e ai saggi di danza, sedendo insieme agli altri geni-tori. Astrel prese fra le mani un cuscino ricamato da payettes e con il dito cominciò a ripassare i disegni. La tribolazione fluttuava nel profondo dei suoi occhi az-zurri, dopo essersi accomiatata da Lara, doveva reggereil peso di un altro addio.- Sei mai stato a Mosca, Willard? – Gli domandò, stac-cando lo sguardo dai ricami del cuscino.- Sì, molti anni fa. – - Sul serio? E, com’è? – Il maggiordomo ci pensò su unmomento.- Ecco, ci sono bei monumenti, tantissima neve che ti raggela le ossa, ma soprattutto… in Russia vivono le ragazze più belle del mondo! -- Davvero? – - Ma certo! – Affermò Willard con quel tono di meravi-glia che spesso impiegava quando le raccontava dei suoi viaggi in Zimbabwe. Astrel inspirò e si fece cupa.- Voglio che tu sappia una cosa, Willard. Io ho sempre apprezzato le tue premure e la munificenza nei nostri confronti. Detesto quando mio padre si rivolge a te in malo modo, con quel tono saccente. Lui non ha alcun diritto di rimbrottarti sempre e su tutto, tu sei l’unico che si è curato di me durante questi anni. – Il maggior-

32

domo sorrise compiaciuto, deliziato da quel pensiero sincero.- Oh, signorina Astrel, Il mio più grande privilegio è stato quello di vederla crescere e diventare una ragazza incantevole. – - Un giorno avrò una casa tutta mia, e tu lavorerai per me, con i dovuti lauti e con tutto il rispetto che meriti. –Promise Astrel - Ci posso contare? - Chiese Willard divertito, fingen-dosi lusingato. – Assolutamente sì! – Ribadì Astrel seriamente persua-sa.5 Diretta altrove

Dall’aeroporto londinese di Heathrow decollo il volo BA0874 diretto a Mosca.Mosca, Russia.Libera dallo studio, scelsi di dedicare qualche ora del pomeriggio allo shopping. La Via Arbat era tra le mie destinazioni predilette; mescolarmi con l’andamento spensierato dei turisti occidentali mi rilassava più di un antistress, ma optai per i Grandi Magazzini Gum. Nella magnificenza del centro commerciale per antonomasia, ero solita spendere molto tempo oltre che rubli. La miainnata esterofilia, erudita da corpose letture, mi condu-ceva a immergermi nel fascino dei bazar; quanti mondi convivevano tra le scansie di quei negozietti! A volte indossavo delle giacche in lana di lama provenienti dal Perù, e con le dita percorrevo i disegni geometrici che s’intrecciavano in allegre cromature. Non facevo parec-chia fatica a immaginarmi in un remoto paese andino, dove le tessitrici filavano la lana con eccelsa maestran-za. E che dire della musica occidentale suonata al flautodi Pan! Poi volgevo lo sguardo a oriente, e mi lasciavo

33

sedurre dagli abiti eccentrici delle danzatrici egiziane, ese la commessa era distratta, mi dilettavo con i cimbali o battevo qualche colpo ritmato sulle darbuke in esposi-zione. Intenta a passeggiare in galleria, catturata dai co-lori e dalle esposizioni in vetrina, non mi accorsi che qualcuno mi stava tallonando già da un pezzo. Prima aveva mantenuto un andamento distaccato, poi, si era avvicinato pian piano fino a raggiungermi per braccar-mi il passaggio. – Ira? Che cosa ci fai qui?- Le doman-dai, non appena la vidi materializzarsi di fronte ai miei occhi. Irina aveva il fiato corto e un inarrestabile tremu-lo alle ginocchia. Indossava un cappellino viola dal quale sfuggivano due o tre ciocche castane. A tratti bar-collava, e con i guanti rosa si sfregava le gote, quasi a voler cancellare dal volto il tormento che l’attanagliava,ma dal profondo dei suoi occhi verde acqua, traspariva la stanchezza per una notte trascorsa a delirale. – Posso parlarti? – Mi chiese con affanno. – Certo. - Replicai, esibendo volutamente la mia dispo-nibilità, affinché lei non fosse reticente.- Sveta, ti seguo da quando sei uscita dal Majakovskij, lungo la strada, sull’autobus, fino ad arrivare qui. Scu-sami, io non volevo violare la tua privacy, desideravo soltanto parlarti. -- Va bene, ma potevi anche farlo prima che uscissi da scuola, in questo modo evitavi di fare un giro inutile. - No! – Incalzò lei con un guizzo irrequieto. - No, al Majakovskij non potevo farlo, lui mi sorveglia sempre. - Guardai Irina con espressione interrogativa, ancora una volta le sue parole apparivano enigmatiche e in-comprensibili. - Chi ti sorveglia? Ira, io vorrei tanto aiutarti, ma se tu non mi lasci intendere qual è il problema non so cosa fare. –

34

- Pensi che io sia pazza, vero? - Mi chiese tra le lacri-me. Il suo tono era affranto, per nulla provocatorio. – Non mi stupirebbe, tutti lo pensano di me. - - Non io. - Ribattei decisa. La ragazza condusse nervo-samente le mani ai capelli, trepidante si pentì di ciò che stava facendo.- Cos’è che devi dirmi? Puoi fidarti di me, qualsiasi cosa sia, resterà comunque un segreto, te lo prometto. - - Non posso dirtelo. Non posso dirlo a nessuno! Devo andare… - Lesta come una lepre, Irina si dileguò e spa-rì in mezzo alla folla.– Irina! Aspetta un momento, dove vai? – Le gridai mentre la vedevo confondersi fra le persone. – Magari ti posso aiutare. - Tutto inutile, non riuscii a compren-dere il turbamento che crucciava la mia compagna.Il boeing 767 jet proveniente da Londra scendeva di quota lentamente preparandosi a toccare il suolo russo. La pista innevata dell’aeroporto Domodedovo si avvici-nava sempre più. “ Finalmente sto per tornare sul piane-ta terra!” Pensò Astrel in procinto di tirare un respiro li-beratorio, ma attendendo l’effettivo atterraggio dell’ae-roplano prima di allentare la tensione che da ore la di-vorava. La paura di volare era l’unica fobia che fin da bambina l’aveva accompagnata in tutti i suoi viaggi. Lei stessa non si spiegava a cosa fosse dovuto quell’ir-razionale quanto incontrollabile terrore che le prendeva ad ogni decollo. Lei che non temeva neppure i ratti, né le lucertole o i serpenti, e che avrebbe condiviso volen-tieri un tragitto in treno in loro compagnia, piuttosto che abbandonare il suolo alla volta del vuoto, in balia dell’aria e delle sue capricciose fluttuazioni.Finalmente le ruote dell’aeroplano incontrarono la pistadell’aeroporto, sfatando ogni congettura funesta che Astrel aveva rimuginato durante il viaggio. Quando il

35

velivolo si arrestò completamente e i portelloni si apri-rono, ella si stupì di come ciò fosse potuto accadere; davvero singolare che i motori non si fossero incendiatidurante il viaggio, così come era alquanto strano che nessun passeggero avesse con sé una bomba ben celata dentro il bagaglio a mano. E che dire di tutte quelle spierosse che mandano in delirio i piloti? Astrel si slacciò lacintura dalla vita con gran foga, certa che a breve un di-rottatore squilibrato avrebbe irrotto in cabina di pilotag-gio appropriandosi dei comandi e decollando per ch’is-sa quale destinazione; meglio affrettarsi a scendere pri-ma che ciò accadesse sul serio. Ormai in aeroporto, la ragazza recuperò i bagagli dal nastro trasportatore e si diresse agli arrivi, percorrendo prima un lungo corrido-io. L’enorme sala d’attesa che raggiunse infine, era af-follata da una moltitudine di persone. Astrel soffermò la sua attenzione sull’abbigliamento invernale di quegli individui, la maggior parte di essi erano imbacuccati per bene, quasi i loro volti sparivano sotto la pelliccia del colbacco e la lana doppia della sciarpa. Un anziano signore, dalla chioma canuta, si barcamenava tra la fol-la di turisti inglesi e cittadini russi di ritorno in patria. Con entrambe le mani agitava un foglio di carta, e a di-spetto della sua statura, non troppo elevata, riusciva a sollevare il foglio fin sopra i colbacchi della gente, af-finché campeggiasse in bella vista. Istituto Majakovskijriportava a caratteri cirillici. Astrel ebbe qualche diffi-coltà nel decifrare quell’iscrizione, e prima di riuscirvi la sillabò mentalmente accompagnando l’operazione con un movimento muto delle labbra. Infine comprese che l’anziano signore stesse attendendo proprio lei, e gravata da una certa timidezza, lo raggiunse e si presen-to.

36

- Signorina Astrel Lawless! Ben arrivata a Mosca. Io mi chiamo Vyacheslav Lavrov, e lavoro per il Majako-vskij come inserviente. Prego mi segua, fuori c’è un taxi che la sta aspettando. – Il vecchio inserviente, dallacorporatura esile e dai toni garbati, s’incamminò verso l’uscita dell’infrastruttura aiutando la nuova arrivata a trasportare le valigie. Astrel avrebbe gradito scambiare due chiacchiere con quel signore cortese, ma in mente non le giungeva alcuno spunto per avviare una conver-sazione. Fortunatamente a rompere il ghiaccio ci penso lui.- Quello è il suo taxi. – Disse, appena fuori l’aeroporto. - salga pure, penso io a sistemare i bagagli sul retro. – - Grazie. - Il signor Vyacheslav guardò l’orologio. - Sono certo che la signorina Rosencrans la starà già aspettando. - Astrel salì sul taxi e poi chiese. - Chi è la Rosencrans?- L’anziano inserviente le chiuse la portiera salendo sul marciapiede, poi rispose. - E’ la direttrice dell’istituto. – - Ah, capisco. Posso farle una domanda? – L’uomo an-nuì abbozzando un sorriso cordiale.- Che tipo è? E’ una persona severa? - Il signor Vya-cheslav attese qualche secondo prima di soddisfare la curiosità della straniera. - Ecco, signorina Astrel, era proprio necessario che lei venisse a studiare qui? Non poteva restare a Londra? Mi creda, sarebbe stato molto meglio se non fosse mai venuta.- Con reticenza e titubanza, l’uomo aggiunse – In ogni caso, se avrà bisogno di qualcosa si rivolga purea me, io non sono come lei, non voglio entrarci in quel genere di faccende.- Astrel fu molto turbata da quella risposta, ma non ebbe il tempo di muovere alcuna obie-

37

zione che il taxi partì allontanandola dal signor Vyache-slav, che fermo sul marciapiede le accennò un saluto.6 Spiacevole accoglienza

Imperiosa davanti all’ingresso del Majakovskij, la di-rettrice Anne Rosencrans attendeva spazientita che la nuova arrivata scaricasse le valigie dal taxi. Non mosse un dito per aiutarla, neppure quando la vide salire gli scalini gravata dal peso dei bagagli. - Signorina Lawless? – Astrel salì l’ultimo gradino tra-felata, poggiò le valigie per terra, eb annuì alla donna.- Bene, io sono la direttrice Rosencrans. - Si presentò con tono lapidario - Mi segua all’interno, per cortesia. - Aggiunse burberamente. Astrel si appropinquò alla donna e dopo cinque passi solcò l’ingresso di quella che per un lungo periodo sarebbe stata la sua nuova abi-tazione. I toni caldi dell’ambiente sembravano poter ac-cogliere chiunque, ma la ragazza provò solo un ango-scioso senso di vuoto. Di fronte a sé, si estendeva un enorme atrio ricoperto da una moquette bordeaux, e co-ronato dagli smerigli adamantini di quattro lampadari. Ai piani superiori dava l’accesso una scala con passa-mani laccati in oro e gradini rivestiti in marmo. Colon-nine ornamentali poste ai lati dell’atrio, fungevano da piedistallo per alcune riproduzioni in miniatura di scul-ture famose.- Da questa parte, signorina Lawless, desidero mostrar-le il nostro istituto. – - Potrei posare i miei bagagli prima? - La Rosencrans fuinnervosita da quella richiesta, e non si fece scrupoli nelmostrare il suo disappunto. Irritata, chiamò un inser-viente commissionandogli di sistemare le valigie al pia-no superiore, poi si rivolse ad Astrel congelandola con lo sguardo.

38

- Ci sono altre richieste, signorina, o possiamo prose-guire? -- Io… no, nessuna richiesta. -Farfugliò la ragazza, spiazzata da un simile atteggiamento.Con alcuni pacchetti in mano feci di corsa e tutta d’un fiato la scalinata del Majakovskij. Sapevo d’essere ec-cessivamente in ritardo, la direttrice mi aveva concesso soltanto due ore, ed io, beh, me n’ero presa quattro. Furtiva m’intrufolai all’interno della scuola, pregando affinché la Rosencrans non mi beccasse in flagrante, se solo si fosse accorta dell’orario, tutti i miei acquisti sa-rebbero finiti nella spazzatura. Fortunatamente di lei non vi era traccia, ed io raggiunsi la mia stanza in tutta tranquillità. Aprendo la porta, mi accorsi che per terra giaceva un foglio di carta piegato più volte, sapevo già di cosa si trattava, anzi, di chi si trattava. Chinandomi lo recuperai dal pavimento e lessi con indifferenza il messaggio in esso contenuto. Ciao bambola, che ne dici di divertirci insieme? Conosco un locale dove tutto è concesso… Ti prego non dirmi di no. Lo sai che ti sogno ogni notte. Ivan.Con i nervi a fior di pelle stracciai il biglietto in mille pezzettini e lo gettai nella spazzatura, non era il primo che ricevevo, ed ero certa che non sarebbe stato neppu-re l’ultimo. Un tocco alla porta fece rinsavire la mia at-tenzione, se solo si fosse trattato dell’autore del bigliet-to lo avrei preso a schiaffi. In realtà, dietro la porta a bussare, non c’era lui, ma uno dei tanti inservienti del Majakovskij. In mano teneva due valigie, e a giudicare dal suo fiatone dovevano essere molto pesanti.

39

- Devo sistemare questi bagagli all’interno. - M’infor-mò continuando a respirare affannosamente.- Ma, ah sì! Devono essere della ragazza nuova. Li posipure su quel letto. -Astrel percorreva un lungo corridoio dal pavimento granitico. Sulle alte mura rivestite con carta da parati, risuonava l’eco dei passi sgraziati che la direttrice com-piva due metri avanti a lei. Prima di fare una visita gui-data, Astrel avrebbe preferito raggiungere la sua stanza per concedersi una doccia rilassante, e magari riposare qualche ora, tuttavia, scelse di non contrariare quella biasimevole donna dagli atteggiamenti inospitali. Con-tinuando a seguirla, Astrel udì delle voci squillanti pro-venire da un’aula alla sua sinistra, e quando vi passò ra-sente, scorse all’interno un gruppo di alunne che attar-datesi in classe spettegolavano animosamente. Quando le giovani incrociarono lo sguardo frastornato di Astrel,interruppero le coinvolgenti ciance e la puntarono con ingiustificato astio. Astrel accelerò il passo per sfuggirea quegli sguardi inopportuni, d’un tratto l’ambiente che la circondava parve acquisire vita e fissarla in modo torvo, come fosse un corpo estraneo da annientare, per-fino il ritratto dello zar Nikolaj II, appeso al muro, la puntò aggrottando i lineamenti del viso. Qualche altro passo rumoroso, e la Rosencrans sostò davanti a una mastodontica porta decorata da vetri colorati. A fatica la spinse ed entrò all’interno della biblioteca scolastica. Astrel seguì la donna in silenzio, mentre un’intermina-bile fila di scaffali, s’illuminava pian piano sotto la luceintermittente dei neon. Il lusso dominò la scena ancora una volta. La grande sala dal perimetro circolare era or-nata da preziosi materiali: legno di palissandro per gli scaffali e i tavoli da lettura, cristalli per le vetrine che custodivano i vari trofei e onorificenze dell’istituto.

40

- Questa è la nostra biblioteca. - Esordì la direttrice, presentando lo spazio con un ampio movimento delle braccia, lì dentro la temperatura era decisamente più bassa. Astrel captò l’odore della carta miscelarsi a quel-lo del legno e in mente le tornarono i pomeriggi tra-scorsi a leggere l’Utopia di Thomas More alla London Library. - Io stessa ne sono la curatrice, mi prodigo nel reperire e catalogare i testi. Qui conserviamo i migliori capolavori che hanno fregiato la letteratura russa: Puš-kin Aleksandr Sergeevič, Michail Vasil'evič Lomono-sov, Tolsotj, e naturalmente molti altri, ma… sono con-vinta che lei non sappia neppure a cosa mi riferisco. - Iltono della Rosencrans tracimava sprezzo. Astrel ebbe qualche secondo d’esitazione, poi rispose. - Beh, a dire il vero, io sono cresciuta in Inghilterra e hoseguito un altro genere di studi. – - Ragion per cui, la conoscenza della letteratura russa è per lei di poco valore.- - No, io non intendevo dire questo. - Spiegò la ragazza – Ma qui è tutto diverso, mi occorrerà un po’ di tempo prima di familiarizzare con la vostra cultura. – - Non importa. – Sentenziò la Rosencrans, troncando la discussione. – Il giro allo zoo è terminato, l’accompa-gno in camera sua. – Astrel si attardò un momento pri-ma di uscire dalla biblioteca, chiedendosi cosa spinges-se quella donna a mostrarsi irta e inospitale.7 L’incontro

Recuperando i miei appunti dallo zaino, mi sedetti alla scrivania cominciando a ripassare per l’interrogazione del giorno successivo. Ebbi appena il tempo di aprire il quaderno che qualcuno entrò in camera mia interrom-pendomi. Feci roteare gli occhi al cielo quando m’ac-corsi che la Rosencrans aveva irrotto. La sua sagoma

41

bassa e sproporzionata le conferiva un unicum sul gene-re umano, mi bastò fissarla alcuni secondi per giungere alla mia solita conclusione: la direttrice dell’istituto è davvero orrenda! Molti dei miei compagni, dopo aver visto Il Signore degli anelli, erano soliti paragonarla al-l’orripilante Gollum, notando come la celebre afferma-zione dell’hobbit “il mio tesoro” si addicesse al suo vi-scerale bisogno di accumulare denaro. Certa che la visi-ta non fosse di cordialità, pensai che fosse giunta per redarguirmi, magari qualcuno le aveva spifferato del mio ritardo. Dietro di lei, una figura radiosa si materia-lizzò inaspettatamente. Era una ragazza. Alta circa un metro e ottanta, snella e dalle forme sinuose, bella come una principessa delle fiabe! Lunghissimi capelli neri le cadevano morbidi sulle spalle, ma la cosa che micolpì in particolar modo, furono i suoi occhi azzurri, sembravano due topazi incastonati. Non fu soltanto il colore di quegli occhi a catturarmi, ma il modo in cui essi mi fissarono. Inspiegabilmente i miei battiti au-mentarono, provai una stretta allo stomaco e per alcuni secondi fui incapace di dire la qualsiasi. Non era la pri-ma volta che mi capitava di vedere una bella ragazza, ma mai prima d’ora avevo provato delle sensazioni si-mili. In me sentivo germogliare un nuovo sentimento: era come se un legame arcaico e dimenticato mi unisse a lei. E’ difficile spiegare, ma quella visione incantevo-le risvegliò in me qualcosa che riposava da tempo, qualcosa, che non sapevo facesse parte di me. - Signorina Puskovic, questa è la sua nuova compagna di stanza, d’ora in avanti dividerete gli spazi, e guai a voi se non sarete capaci d’accordarvi. – Io e la ragazza ci fissammo ancora, fra i nostri sguardi correva un flus-so d’intesa. – Ah, dimenticavo! – Trasalì la Rosencrans,richiamando a sé l’attenzione della nuova studentessa. -

42

Nel nostro istituto vigono regole ben severe, riguardo alle quali, la signorina Puskovic sarà ligia nel deluci-darla. Badi bene, Astrel Lawless: io pretendo il più rigi-do ossequio, la minima inadempienza potrebbe costarle cara. - La ragazza annuì riverente. – Bene. Ritorno al mio da fare e spero che la sua presenza al Majakovskij non sia d’intralcio per nessuno. – La Rosencrans ritras-se la sua lingua da aspide zitella, e uscì dalla stanza cir-condata da una cupa bolla di negatività. La ragazza in-dugiò fissando il vuoto, frastornata come un uccellino cascato dal nido.- Spero di non disturbarti.- Fu la prima cosa che disse. La sua voce melodica mi sciolse come ghiaccio al sole.- No, nessun disturbo, sono felice di condividere la mia stanza con te. Come ti chiami? – - Mi chiamo Astrel, e tu? – - Sono Svetlana, piacere. – - Che bel nome che hai! Dalle mie parti non è molto co-mune. – - Grazie. Vieni da Londra, giusto? – - Sì. - Ok, mettiti pure a tuo agio. Ieri sera ho fatto spazio inquell’armadio, così potrai sistemarci le tue cose. -- Va bene. - Astrel iniziò ad aprire le valigie e a tirare fuori i vestiti, io mi sedetti sul mio letto a farle un po’ di compagnia.- La nostra scuola deve essere molto famosa all’estero se hai deciso di venirci a studiare. -- Famosa? – Ripeté lei perplessa. - Non lo so. A dire il vero, non ho scelto io di venire a Mosca. Sono stati i miei genitori a spedirmi qui.- Contro la tua volontà? -- Dire che mi hanno buttato fuori di casa equivale a un eufemismo. - Percepivo afflizione tra le parole di quella

43

ragazza; malgrado non la conoscessi ancora, i suoi stati d’animo si fondevano ai miei. - Quanta neve che c’è lì fuori! – Esclamò Astrel indicando la finestra – Non so perché, ma ho sempre immaginato Mosca come una cit-tà piena di neve. -- Forse perché lo è veramente, o almeno per un lungo periodo dell’anno. – Le risposi. Astrel lasciò che quei batuffoli leggiadri la seducessero col loro candore.- Per alcuni la neve è sinonimo di gelo e null’altro, io credo che sia una gomma in mano alla natura, capace dicancellare tutti quegli orrendi mostri di cemento, esal-tando al contempo la bellezza dei monumenti e delle foreste. - Le sue parole suonarono poetiche alle mie orecchie, e la poesia è un dono inconsueto di questi tempi. In un’epoca come la nostra, dove la gente si ap-propinqua al gregge incurante della direzione, in un’e-poca tale, è quasi d’obbligo tradire il proprio io in favo-re di un modello preconfezionato di vita. Sono i media a dirci chi siamo, loro stabiliscono cosa desideriamo e cosa invece non ci piace. A volte mi domando se la vo-lontà esista veramente, se ciò che diciamo, lo affermia-mo perché ne siamo persuasi, oppure perché stiamo eseguendo un comando involontario dettatoci dalla tv. E’ arduo svincolarsi dalla mediocrità di un mondo sen-za colori, dove ogni angolo dell’anima è dipinto di gri-gio, e dove la preoccupazione dei verdetti altrui preva-rica sull’ostentazione del proprio credo. Sono poche le persone capaci di cogliere la sterilità del grigio, e anco-ra meno, quelle che possiedono la temerarietà di nuota-re controcorrente deprecando le smaniose mode dei co-stumi. Il loro percorso è arduo e tutto in salita, e una volta raggiunta la cima, non c’è un premio ad attender-li, nessun’onorificenza che possa gratificarli, ma soltan-to l’onere d’essere etichettati come “diversi” o “devian-

44

ti”. Io sono una di loro. Sono una diversa che vive in mezzo alle circospezioni della gente, che ha scelto da sola il cammino da seguire, che non si è lasciata trasci-nare dalla massa informe di una società senza colori.Astrel cominciò a esplorare la stanza con attenzione; trovarvi tutti quei comfort la sorprese. Il Majakovskij, poiché collegio privato, era dotato d’ogni tipo di como-dità. Tutte le camere degli studenti erano fornite da connessioni internet a banda larga, Tv satellitare, vasca idromassaggio, e un efficiente impianto di climatizza-zione.- I tuoi genitori devono essere molto ricchi se ti fanno studiare qui.- Disse Astrel mentre tornava al suo da fare.- I miei genitori? – Domandai, quasi incapace di trovareun riscontro affettivo a quella parola. Astrel parve contrita.– Scusami, non volevo toccare un tasto dolente. - - No, non preoccuparti. - Le risposi con un sorriso. - Ecco… la mia è una storia un po’ lunga. - Spiegai con un certo imbarazzo.- Non sei obbligata a parlarmene se non te la senti. - - No, al contrario. Mi farebbe piacere. - Con una dol-cezza da me inaspettata, la ragazza si avvicinò e con di-screzione prese posto sul mio letto.– Bene, allora ti ascolto. - Mi fece uno strano effetto sfogliare ancora il libro della vita. Non ricordavo nep-pure quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che ne avevo condiviso le pagine con qualcuno. In realtà, ciò non era mai accaduto. Introversa come sono, ho sempre celato la mia essenza tra i meandri della mente, ma a volte lo spazio scarseggia. Quando tutto si accalcain una bolgia confusa, l’unica soluzione è esternare il tutto, traducendo i pensieri in parole, i sogni in poesie,

45

le angosce in lacrime. - Sei russa, vero? – Mi chiese Astrel mentre si sedeva. - Sì, Sono nata a Novosibirsk. - Le risposi, inebriata dalprofumo delicato che la sua pelle emanava vicino a me.- Da una famiglia molto povera, che tentava di soprav-vivere alle scelte errate di alcuni leader politici. Ma, non era la povertà l’unico problema… -- Cos’altro? – Domandò Astrel, per liberarmi dall’esita-zione.- Loro non si amavano più! I miei genitori, intendo. Forse a causa della gelosia cieca che mio padre nutriva nei confronti di mia madre, non saprei dire cosa minas-se l’equilibrio della loro relazione, perché ero troppo piccola, e fra i miei ricordi annovero soltanto le urla di quotidiane e furibonde liti. Una fredda mattina di di-cembre, quando avevo appena tre anni, mia madre si è svegliata prima del solito; In silenzio ha recuperato una vecchia valigia, l’ha riempita di viveri e di qualche in-dumento rappezzato, e poi, è sparita insieme al suo col-bacco e all’unico paio di scarpe invernali. -- E’ andata via di casa? –- Già. Per i primi tempi mio padre non ha fatto altro checercarla, si è recato perfino a Čeljabinsk, la città natale di mia madre, ma a nulla sono valse le sue ricerche. Ogni sforzo s’è rivelato vacuo. Fino a oggi di lei non si sa nulla. Feci una pausa, Astrel mi osservò comprensi-va, immedesimata nel mio racconto, quasi ne condivi-desse il ricordo.- Dunque, sei rimasta sola con tuo padre? –- Non proprio. Mio padre da quel momento ha perso la testa. Ha iniziato a bere, a essere violento e aggressivo, fino a quando, un giorno, colto da un raptus ha ucciso un compagno di lavoro per futili motivi. - La mia voce

46

si spezzò come un ramoscello, impedendomi di conti-nuare. Narrare di quegli anni lontani era semplice, e lo feci con apatia e distacco, ma proseguire non fu altrettanto facile, ora il peso dei ricordi cominciava a incombere, equelle vecchie ferite mai cicatrizzate dolevano inesora-bili.- E’ stato arrestato e gettato in prigione, ma la sua per-manenza in cella è durata appena il tempo di ammuti-narsi alle sbarre con un gesto estremo. – - Oh, lui si è… - Astrel aveva compreso perfettamente che fine atroce avesse spento mio padre, ma lasciò che fossi io a proseguire.- Si è ucciso, proprio così. Penzolava col cappio al colloquando l’hanno rinvenuto. -- Mi dispiace molto. – Disse la ragazza in tono som-messo.- A me non è andata meglio. Ormai senza famiglia, solol’orfanotrofio poteva attendermi, e fu il peggiore di No-vosibirsk a inghiottirmi nella sua miseria. - Astrel parvefrustrata, desiderava manifestare la solidarietà che nu-triva nei miei riguardi, ma conoscendomi appena, le fu arduo articolare le parole. Forse, quella ragazza non sa-peva di possedere un dono speciale; forse, nessuno le aveva mai fatto comprendere che i suoi occhi fulgidi riuscivano a essere eloquenti più di mille poemi. - Dopo cos’è avvenuto? Intendo dire, come hai fatto ad arrivare fin qui? –- Appena compiuti dieci anni, l’orfanotrofio che mi ospitava è riuscito a rintracciare una parente che non sapevo d’avere.- Una parente? –

47

- La sorella maggiore di mia madre, residente negli U.S.A. E’ stata una grande sorpresa scoprire d’avere una zia. -- Anche scoprire d’avere una nipote è qualcosa di sor-prendente, lei come ha reagito? –- Ha deciso d’adottarmi, e in breve mi sono trasferita a New York, nella sua residenza di Manhattan. - Hai vis-suto a New York? - Domandò Astrel con enfasi. – E’ lamia città preferita! - Continuò.- Sì, per cinque anni, ma li rammento con mestizia. Conducevo un tenore di vita molto elevato, diciamo chelo conduco tutt’ora. Al mio primo giorno nella Big Apple, mia zia mi portò a fare shopping. Insieme en-trammo in un negozio, si chiamava J. Craw. Lì, mi re-galò una carta di credito illimitata invitandomi ad ac-quistare tutto ciò che desideravo; ed io che non sapevo neppure a cosa servisse quel tesserino plastificato. –- Beh, adesso lo sai. – Replicò Astrel sorridendo e indi-cando il mio I-pod ultimo modello sul comodino.- Eppure – Continuai, chiudendo la parentesi economi-ca – la sua magnanima generosità non era un’espressio-ne d’affetto nei confronti di una ragazzina sfortunata, bensì un rimpiazzo materiale a un sentimento che non era capace di nutrire. Diceva di volermi molto bene, erabrava con le parole, la sua retorica avrebbe persuaso an-che il più ostinato degli scettici, ma con i gesti quotidia-ni, dai più banali a quelli importanti, si smentiva da sé. –- Io non capisco. – Obiettò Astrel – Se ha deciso spon-taneamente d’adottarti, per quale ragione non riusciva aessere amorevole? -- Ecco, lei non poteva avere figli suoi, ciò la rendeva frustrata e spesso cadeva in depressione. Mi ha adottatoper appagare la sua indole materna repressa, erronea-

48

mente ha rifuso in me ciò che si aspettava da un figlio naturale, ma io restavo comunque sua nipote, e questa clausola proprio non le riusciva d’accettarla. Credimi, èumiliante sentirsi il premio di consolazione, l’acquisto difettoso che vorresti riportare al negozio per barattarlo con uno migliore.-- Ma tu non eri un giocattolo! – Precisò Astrel con ar-dore, quasi quella vicenda avesse toccato una parte di sé, delle sue esperienze pregresse. - No, non ero un giocattolo, ma per mia zia raffiguravo ciò che la natura le aveva precluso. Così, una volta compiuti quindici anni, ha stabilito che dovevo tornare in Russia, perché erano molte le cose da imparare sulla mia terra. Diciamo pure: un brillante espediente per al-lontanarmi da casa. –- Dunque, neppure tu hai scelto questa scuola di libera iniziativa? – - Affatto. Odio il Majakovskij dal primo giorno che ci ho messo piede. –- Il Majakovskij o la direttrice? – Mi domandò con l’in-tento di sdrammatizzare. Il suo sorriso sfavillante alleg-gerì la situazione, prosciugando in sé quel sottile velo di malinconia che appannava i nostri sguardi. - Se solo fossi stata al posto di tua zia – Esordì poi, argomentan-do con fare convinto – non ti avrei mai considerato un premio consolatorio, bensì un dono prezioso. - Le sue parole suonarono così calde alle mie orecchie, che cre-dei il cuore mi si stesse infiammando.8 Vita segreta al Majakovskij

Nella stanza la luce era spenta. Con la complicità del buio i due partner si agitavano vogliosamente sfidando i margini ridotti di un letto singolo. Liudmila era in pre-da agli ormoni, e rapita dal fascino estatico del suo

49

partner, si concedeva a esso ansimando di piacere. An-cora una volta l’allieva del Majakovskij si strusciava la pelle con i muscoli caldi e suadenti d’un perfetto scono-sciuto, ma questa volta, ella ne rammentava il nome e perfino il colore degli occhi. Liudmila pensò d’aver in-contrato l’amante perfetto, mai nessuno prima di lui l’a-veva fatta godere così a lungo e intensamente. Con ar-dore lo agguantò per le scapole e inarcò il capo all’in-dietro, sperando che quel momento non avesse mai ter-mine. D’un tratto ai suoi ansimi di godimento si frappo-sero degli energici tocchi alla porta che la interruppero sul punto migliore. Liudmila si destò tornando con il capo in posizione corretta, con un balzo fu in piedi sca-raventando il suo partner per terra. – Oh mio Dio! – Esclamò colta dal terrore, incerta sul da farsi. Fulminea corse ad accendere la luce e nuda prese a girare per la sua camera ammonticchiando fra lebraccia tutti gli indumenti maschili sparsi sul tappeto. I tocchi alla porta si fecero più insistenti. – Sto arrivan-do! – gridò trafelata, ghermendo il suo stallone per un braccio e spintonandolo fino al bagno. - Entra qui. – Gliintimò, barricandolo all’interno della stanza da bagno insieme agli indumenti che aveva appena raccolto.- Ehi, aspetta, ma che diavolo fai? Aprimi! – Si ribellò lui, ormai imprigionato dalla ragazza che un momento prima godeva avviluppata alla sua carne. - Resta qui e sta zitto, se solo mi scoprono con te sono nei guai! – Bisbigliò l’allieva con le labbra rasenti al-l’uscio. All’ingresso qualcuno continuava a infuriare tocchi. Liudmila afferrò frettolosa una tovaglia da ba-gno e la usò per coprirsi, poi si accertò che in giro non vi fossero altri indumenti maschili e spedita corse ad aprire la porta. La segretaria della direttrice Rosencransapparve impettita innanzi allo sguardo disorientato del-

50

la giovane allieva. Una folta capigliatura rossastra le troneggiava arruffata sul capo, il suo naso aguzzo pun-tellato da efelidi si perdeva nei giganti fondi di bottigliache era solita indossare quando lavorava. Liudmila av-vertì il carico dell’occhiata inquisitoria che la donna le scagliò contro, e preoccupata che ella sospettasse qual-cosa si giustificò preventivamente.– Salve, mi scusi se non ho aperto subito la porta, ma come può notare ero sotto la doccia. - Al fine di renderela farsa più credibile, Liudmila strinse a sé la tovaglia fingendo di sentir freddo, quasi fosse bagnata. La segre-taria non diede peso a quelle parole, e col sussiego tipi-co del suo carattere si limitò a riferire ciò che doveva.– La direttrice Rosencrans ha chiesto di lei, si rechi in presidenza, subito. - Liudmila impallidì, le sue labbra sottili presero a fremere ritmicamente “ Forse l’ha vistoentrare” suppose terrificata.– La direttrice vu, vuole vedermi? E perché? –- Si rechi nell’ufficio della Rosencrans invece di pro-lungarsi in stupidi quesiti! - Ribatté la donna parecchio alterata. Liudmila si sforzò di essere cortese.- Sì, mi perdoni. Indosso qualcosa e corro in presiden-za. –- Si sbrighi. – Aggiunse la segretaria mentre andava viaborbottando fra sé parole incomprensibili.La studentessa richiuse la porta alle sue spalle e incolle-rita prese a scalciare contro una parete. - Odiosissima vecchia befana! Sei riuscita a rovinarmi la serata. – Rintronò, sferrando calci con maggiore violenza.Sono sempre stata una ragazza introversa e riservata. Non ero solita coinvolgere gli altri nella trama burra-scosa che caratterizza la mia vita. Accanto a me, tutta-via, posava un angelo dalla tale dolcezza, che credevo quasi mi leggesse dentro. Non abbiamo avvertito il bi-

51

sogno di sciogliere il ghiaccio, tra noi, il feeling è stato immediato. Potrebbe apparire inverosimile legare emo-tivamente con una persona che, per quanto benevola sia, resta pur sempre un’estranea. A volte si parla di colpi di fulmine, infatuazioni repentine capaci d’an-nientare tutte le norme sociali che si frappongono alla libertà d’esperire un rapporto interpersonale con la sola empatia. Adesso mi sentivo leggera come una libellula, finalmente ero riuscita ad affrancarmi dalla zavorra, quel fardello oppressivo di ricordi e paure che incalzavail mio spirito ovunque si recasse. Per tutto questo tem-po non avevo fatto altro che sgusciare via dai miei fan-tasmi, chiedendo asilo alle fantasie riguardo al futuro e ai buoni propositi per affrontare il presente. Seduta sul mio letto, osservavo Astrel organizzarsi in un nuovo spazio. Si muoveva in modo aggraziato ed elegante, an-che i gesti più banali, se compiuti da lei, apparivano ar-monici come il volo delle farfalle. Quando si chinò per sollevare una valigia, la mia attenzione cadde su un ciondolo rosa che indossava al collo, assomigliava a un cristallo, e luccicava a ogni leggiadro movimento che laproprietaria compiva. - Com’è bello quel pendente! – Commentai interessata. Astrel condusse una mano al collo bloccando il dondo-lio del suo monile. - Questo? - Chiese. - E’ un talismano, uno di quelli che le veggenti usano per leggere il futuro o roba del gene-re. Mi è stato donato da una donna Rom durante un soggiorno in Romania, solo che io non credo in questo genere di cose. – - A cosa non credi? - Domandai incuriosita. - Quando la veggente me lo diede in dono, mi disse di non separarmene mai, perché il talismano mi avrebbe protetto da ogni male. Allora avevo solo dieci anni, e

52

ogni volta che mi arrampicavo su un albero del mio giardino senza precipitare giù, credevo fosse opera del talismano. –- Devo supporre che negli ultimi tempi avrai cambiato opinione? –- Sì, naturalmente. –- E, se pensi che il tuo talismano non sia capace di pro-teggerti, come mai lo porti ancora al collo? – Doman-dai, sperando che le mie parole non suonassero indi-screte. Astrel tentò di spiegarmene il motivo, sembrava lieta di farlo, quasi attendesse da parecchio che qualcu-no la sollecitasse su quell’argomento.- Per me è una sorta di retaggio. Se lo stringo fra le dita posso rivivere il capitolo chiuso della mia infanzia, cre-dere ancora nelle fiabe e riscoprire la magia che i miei disincantati occhi ormai non vedono più. – - Dunque - mi pronunciai ora con l’intento di desumere la mia conclusione. – tu non credi che il mondo possa tornare magico come allora? – Astrel scosse la testa si-lenziosa, nel suo sguardo si rapprese un commisto di pessimismo e di vacua speranza.- Lo vorrei tanto, ma ho imparato che la felicità non vive di vita propria, perciò, è futile ricercarla con tanto ardore, dovremmo solo imparare a generarla. –- E come potremmo farlo? – Le domandai, stregata da tale profondità, la saggezza che palesava non si accor-dava alla sua giovane età.- Beh, funziona un po’ come il calore, se vogliamo otte-nerlo ci occorre una fonte d’energia, la mia felicità si nutre solo d’amore e finché non ne troverò a sufficienzacontinuerò a stringere questo talismano con amara ma-linconia. -

9 Insidiosi stratagemmi

53

Ogni sera, alle ventuno scoccate, l’illuminazione inter-na della scuola si spegneva in automatico cedendo il posto alle bluastre lampade notturne, istallate nei corri-doi e nell’atrio centrale del piano terra. Tutto imbrunivanella paziente attesa del mattino. In fondo al corridoio est, dall’imponente ingresso della presidenza, una luce fioca filtrava dal millimetrico interstizio fra la base del-la porta e il pavimento. La Rosencrans s’intratteneva ancora nel suo ufficio, impelagata nella burocrazia dellecarte pareva aver scordato l’esistenza dell’orologio. Con indosso un tallier blu notte dal taglio classico, l’an-ziana donna sedeva laboriosa dietro la scrivania, sor-seggiando un wisky invecchiato quindici anni dal pre-giato cristallo di un bicchiere. Il suo viso corrugato dal tempo e incorniciato da una sfoltita chioma canuta raf-figurava tutti gli anni decorsi dal suo cinquantesimo compleanno. Liberandosi momentaneamente dagli oc-chiali da presbite, l’attempata direttrice si sfregò le pal-pebre conducendo la nuca sullo schienale della poltro-na. Il suo sguardo vagante cadde su vecchie foto che arredavano la scrivania, e come sovente avviene dinan-zi al passato cartaceo, s’abbandonò con la mente in la-cunosi percorsi di reminescenze. Inglese dalla nascita, la direttrice Anne Rosencrans era cresciuta a Londra trale finezze di una vita agiata. Il padre, un abbiente pro-prietario terriero amante delle scienze umanistiche, conduceva a Londra un ragguardevole collegio privato, dove i figli dell’elite cittadina ricevevano l’adeguata istruzione per debuttare in società. La madre, anche lei dall’apollineo spirito filantropico, si dilettava con l’arpae il violino, insegnando musica nella scuola del marito. In quest’ambiente erudito e alto borghese, l’allora gio-vane Anne vi era cresciuta, maturando presto la capaci-

54

tà di declinare la sua persona con i diktat del perbeni-smo, dei buoni costumi, e della totale ammissione dei cliché sociali. Con la morte d’entrambi i genitori, tutti gli averi succedettero alla figlia, unica erede. Per ragio-ni del tutto sconosciute, nel 1995 ella vendette la scuoladel padre alla blasonata famiglia Stanley, impiegando ilricavato nella fondazione di un nuovo collegio con sedea Mosca. La donna diede all’istituto il nome di: Vladi-mir Vladimirovič Majakovskij, per onorare la memoria del primo poeta russo di cui aveva letto le opere, augu-randosi che ciò fosse propiziatore di fausti. Fu così, chela Rosencrans divenne la direttrice indiscussa del Maja-kovskij, e a decorare d’autorevolezza la sua carriera, come i nastrini sulle divise militari, vi sono ben dieci anni di conduzione scolastica. Rammento un periodo, circa un anno addietro, in cui i fondi dell’istituto co-minciarono a scarseggiare. Si vociferava che il Majako-vskij fosse sull’orlo del collasso, “ Impossibile” smenti-va perentoria la Rosencrans, se le chiedevano confermaa quella voce “ Le classi tracimano d’allievi, e ogni anno tutti quei ricconi infatuati dal capitalismo non fan-no che inoltrare domande d’iscrizione per i loro figli.” Su tali persuasive argomentazioni, la direttrice confuta-va tutti coloro che sostenevano il contrario. Ciò nondi-meno, la carenza di liquidità era palese in quel periodo: dal cibo di seconda scelta, al taglio delle spese per lo sport e i viaggi d’istruzione, fino al licenziamento in-giustificato di alcuni docenti. Nessuno si spiegava a cosa fosse dovuto quel repentino buco di bilancio, e scavare nelle insidie che insabbiavano la verità risulta-va ostico. Gli insegnanti destituiti vociferavano che la Rosencrans si fosse data al gioco d’azzardo, e in effetti,non di rado la si poteva incontrare in un casinò di Mo-sca a intrattenere una partita di poker o semplicemente

55

incantata dinanzi ai monitor luminescenti delle slot-ma-chine. Quale che sia la realtà, in meno di un anno la si-tuazione si ristabilì. Gli insegnanti furono riassunti, il cibo tornò a essere quello di una volta, e tutti parvero dimenticare la misteriosa vicenda senza porsi ulteriori domande. Intenta a digitare caratteri sulla tastiera, la di-rettrice udì bussare alla porta.- Avanti - Disse, schiarendosi la voce. Liudmila fece il suo ingresso in presidenza dominando la scena con spettacolosi ancheggiamenti di bacino, come se stesse calcando una passerella d’alta moda. Mantenendo l’an-datura e la rotta, raggiunse la scrivania della direttrice esi accomodò sul pouf verde muschio con rifiniture co-lore oro. L’allieva ebbe attenzione di curare la postura ed elegantemente accavallò le gambe poggiando en-trambe mani sopra le ginocchia. Liudmila adorava at-teggiarsi come una donna di classe, incarnare stereotipi confezionati dal senso comune le dava maggiore fidu-cia per affrontare la gente. Spesso i suoi gesti artificiosila rendevano oggetto di ludibrio da parte degli altri alle-vi, ma questo era un fattore di poco conto, per Liudmilacontava soltanto una cosa nella vita: trovarsi sempre al centro della scena. Bramava affinché gli altri la consi-derassero perfetta, lei meritava d’esserlo! Nell’egocen-trismo esasperato Liuda vi era affondata trascinando giù i sentimenti, a galla persisteva soltanto il marcio. Alta appena un metro e sessanta, dalle forme arrotonda-te e dai comuni occhi castani, la giovane era in conflittocol suo aspetto e con la schiettezza di tutti gli specchi. La vita era stata così crudele appioppandole quel corpo da anatroccolo che un cigno come lei non meritava d’incarnare, e quanto odio fomentava dentro per tale perfidia subita! Con fare cerimonioso, la ragazza lanciò

56

alla preside uno sguardo adulatorio sperando d’aggra-ziarsene i propositi.- Desiderava qualcosa da me, signorina Rosencrans? - La direttrice sollevò il bicchiere di wisky poggiato sullascrivania, fece roteare per alcuni secondi i cubetti di ghiaccio quasi sciolti, e poi mandò giù l’ultimo sorso d’alcool.- Avrei un favore da chiederle, Liudmila Borisovna. Vorrei affidarle un compito abbastanza intrigante. - Liudmila rizzò la schiena sul pouf, quasi volesse trova-re una posizione consona all’annuncio.- Dica pure, sono a sua totale disposizione. – La diret-trice diede un colpo di tosse parandosi la bocca, poi si espresse.- Ho appena ricevuto una telefonata da Londra. Il retto-re Stanley era ansioso di esprimere la sua gratitudine nei miei riguardi per l’aver accolto quella smorfiosetta che ci ha spedito. – - Si riferisce alla nuova allieva? Quella che doveva arri-vare dall’Inghilterra? – - Sì, proprio lei. – La preside si dilungò in una pausa vuota, implicitamente stava ammettendo di pensare a come dire meglio, ma Liudmila non colse questo mes-saggio subliminale e fremette sul silenzio della donna.- Insomma! – Incalzò, protraendosi in avanti col busto. – Qual è il compito che intende assegnarmi, signorina Rosencrans? – La donna non gradì l’impazienza della giovane, ma temendo di vagare rinunciò a riprenderla per giungere al dunque. Con un gesto pratico voltò lo schermo LCD del computer verso Liudmila, e dopo aver cliccato su un file disse - Il mio problema, è che non possiamo permetterci di mantenere a spese dell’istituto un’allieva che viene da fuori, non con i gravi in bilancio che abbiamo registrato

57

in quest’ultimo periodo. – La ragazza osservò il moni-tor. Era pieno d’iscrizioni accuratamente posizionate suuno schema a due colonne, le quali riportavano le voci di “dare” “avere”. Liudmila non si era mai intesa di partite doppie e di calcoli matematici, ma pervenne ugualmente alla conclusione a cui doveva arrivare: la situazione economica della scuola era nuovamente in ribasso. -Beh? – Si pronunciò Liudmila, come a voler minimiz-zare - Mi pare che la soluzione sia semplice: la rispedi-sca a Londra. - Concluse con aria risoluta, quasi avesse trovato la soluzione a un problema di geometria. Dal-l’altro capo della scrivania la direttrice tuonò con dis-senso. - Evidentemente, la parola diplomazia per lei non ha al-cun valore. Il signor Stanley è un nostro benefattore, se rimandassi indietro quella smorfiosa, rischierei di per-dere il 20% delle entrate. Cosa che non ci possiamo proprio permettere. Le farebbe piacere terminare gli studi in un altro collegio diverso dal Majakovskij? Ma-gari in una misera scuola pubblica, perché è questo ciò che potrebbe accaderti, a te e ai tuoi compagni, se il Majakovskij dovesse malauguratamente chiudere. - Liudmila parve scandalizzata.- Certo che no! Cosa propone di fare in merito? - La Rosencrans inspirò profondamente, poi rispose. - Di affidare nelle tue mani la situazione. – - Cosa? – - Non agitarti mia cara, l’incarico è più semplice di ciò che credi. Devi semplicemente far in modo che la nuo-va arrivata ci saluti al più presto. - Liudmila si abban-dono a una risatina nevrotica.– E come potrei mai riuscirvi? -

58

- Non è a me che devi porre tale quesito, ma al tuo in-gegno. Io cerco soltanto un pretesto, una ragionevole motivazione che mi consenta d’espellere quella ragaz-zetta dall’istituto senza perdere il rispetto del rettore Stanley. Solo se la spingiamo a infrangere il regola-mento, possiamo liberarcene. - Liudmila obbiettò assa-lita dai dubbi - Sì, ma se non infrangesse alcuna regola? – - Sta proprio in questo la tua mansione, devi fare in modo che ciò avvenga. Usa la persuasione, avvaliti del-l’inganno, risparmia la deontologia e vienimi in soccor-so! – La ragazza annuì, inquietata e intrigata al contem-po. - Reputo superfluo, Liudmila Borisovna, rammen-tarle che la nostra conversazione in realtà non ha mai avuto luogo, e che la discrezione e la riservatezza dei nostri accordi vada considerata d’irrinunciabile priorità.-- Sì, certamente. – Assicurò la ragazza - Non ne farò menzione con nessuno, ma in cambio io… - La direttri-ce sbuffò rassegnata e prese a battere nervosamente le unghie sulla plastica del tagliacarte, sapeva che per pa-gare il silenzio di Liudmila doveva cederle qualcosa in cambio. - Ricevere visite da individui esterni al Majakovskij non le basta? – Liudmila arrossì imbarazzata, aveva colto il senso di quelle parole. - Io, io non ricevo visite da - tentò di giustificarsi con voce strozzata.- Andiamo! Sa benissimo che nulla può sfuggirmi. Sono a conoscenza delle visite in camera sua, alquanto notturne per essere solo di cortesia. – - Perché allora non mi ha punito? Come fece quella vol-ta con Julia, quando la scoprì a baciarsi con un ragazzo.– Incalzò la giovane con un sottile tono di sfida. La Ro-

59

sencrans bloccò le unghie sul tagliacarte e lapidò la gio-vane con lo sguardo.- Mi auspico, Liudmila, che fra noi s’instauri un rappor-to di reciproca collaborazione. Io occorro dei suoi ser-vigi, ma sia chiaro a priori: non sono disposta a baratta-re più del necessario. Posso chiudere un occhio sulle sue… chiamiamole pure “Scappatelle”, in pratica l’ho faccio già da un pezzo, ma chiedere ulteriori privilegi, significherebbe scherzare col fuoco, e il fuoco, a volte riscalda, altre brucia. - L’antifona apparve chiara e pre-cisa alle orecchie dell’ancora imbarazzata studentessa.10 Verso la sua anima

Finalmente ero riuscita a mettere a proprio agio la mia nuova compagna di camera. Non doveva esserle sem-plice ambientarsi in un paese straniero, ma le difficoltà che si possono riscontrare in quest’impresa sono esiguese paragonate agli ostacoli tortuosi che il Majakovskij pone d’innanzi. Sapevo già in quali sgradevoli episodi stava per imbattersi quella ragazza dagli occhi cerulei: canzonature perfide da parte degli studenti, malanimo fra i volti degli insegnati, punizioni gratuite elargite dalla Rosencrans. Quest’immane sfilza d’atteggiamenti poco amichevoli, ruotavano intorno a un epicentro no-minato “competizione”, che nei connotati meno eufe-mistici suona come “sopraffazione”. Al Majakovskij le cose erano sempre andate così. Tutti contro tutti in un belligerante clima d’antagonismo. Quali le ragioni? Uno dei motivi principali poteva ravvisarsi nel tratta-mento ineguale che la Rosencrans adottava, lo stesso trattamento, che in fondo, ci riservavano gli insegnati, usando due metri e due misure con ogni studente. Que-st’errata linea didattica, faceva sì che fra noi nascesserorancori e invidie spesso difficili da redimere. Non erano

60

solo questi i motivi delle soventi inimicizie che ci si po-teva creare al Majakovskij, in genere occorreva conse-guire un bel voto o vincere una gara sportiva per attirar-si contro gelosie e cattiverie. La prepotenza usata per prevalere sugli altri, l’indifferenza totale per i sentimen-ti altrui, le vendette sottili e invisibili che tutti i giorni ticolpivano, caratterizzavano una realtà a cui inevitabil-mente Astrel sarebbe andata incontro. Sola e senza ri-sorse, io non potevo far nulla per evitarle quest’impattocrudo e scellerato, non potevo sostenerla in nessun altromodo se non standole vicino. Probabilmente vi doman-derete il motivo di tanta preoccupazione per una ragaz-za a me sconosciuta, e mi rincresce deludervi afferman-do che non possiedo alcuna risposta; non è affare di chi viaggia sull’onda del cuore crucciarsi nell’incertezza dei quesiti. Gli occhi d’Astrel volgevano languidi oltre ivetri della finestra. Osservando quei fiocchi bianchi ve-nire giù, la sua espressione divenne serafica. Di tanto intanto lanciava un’occhiata fugace al cellulare, forse si aspettava che i genitori la chiamassero, che qualcuno reclamasse sue notizie, eppure niente, da quando era ar-rivata a Mosca, non un solo squillo aveva contribuito a farla sentire meno sola. Magari un giro turistico della capitale poteva giovarle. - Eri mai stata a Mosca prima d’ora? – Le chiesi men-tre aprivo l’armadio per tirar fuori il cappotto. Astrel si voltò verso me, poi rispose.- L’anno scorso sono stata a San Pietroburgo per un viaggio studio, ma a Mosca non ero mai venuta.- - Ti piacerebbe visitarla? – Astrel parve interessata-Sì, certamente. – Colta da un entusiasmo che raramen-te provavo, mi diressi verso la porta carica d’energia.- Bene, allora andiamo. - La mia compagna di camera mi fissò perplessa.

61

- Cosa? Intendi dire adesso? – - Non ti va? – Domandai comprensiva. – Sì, ma non credo ci faranno uscire, sono le nove pas-sate. – Sorridendo maliziosamente replicai – E chi ha parlato di chiedere il permesso? – - Ok, ho capito. Da dove si esce qui senza correre il ri-schio d’essere beccati? - Abbottonandomi il cappotto, risposi - Non immagini neppure quanto siano trafficate le scaled’emergenza a quest’ora. - Svignarmela di nascosto era diventato un gioco fin troppo facile per me, e devo am-mettere, anche un pizzico intrigante. Non ero certo l’u-nica che violava il coprifuoco per godersi un po’ di night life, e quella sera non sarei stata né la prima né l’ultima. L’unico problema era costituito dal signor Vyacheslav Lavrov. All’operoso inserviente, infatti, erastato disposto d’aggirarsi su e giù per la scuola fino a tarda notte, in maniera da evitare fughe notturne e qual-siasi forma di disordine. Eludere il suo occhio vigile eraun’impresa da guinness, e non so a quale ingegnoso escamotage ricorrevano gli altri per riuscirvi. Io, tutta-via, possedevo una tecnica collaudata e infallibile. Mi bastava comporre il numero del Majakovskij e far parti-re la chiamata dal mio cellulare, a quel punto il telefonodell’istituto squillava… e il povero Vyacheslav si ap-prestava a rispondere con un’efficienza impeccabile. Quando riagganciava pensando che si trattasse di uno scherzo, io scendevo già le scale d’emergenza cantandovittoria.Liudmila rientrò in camera con l’espressione assorta. Il letto era ancora in disordine, e la finestra che dava sul giardino spalancata. Le tende svolazzavano in una dan-za scomposta. Liudmila corse a richiudere l’imposta

62

giostrandosi fra la stoffa del tendaggio. Che gran como-dità alloggiare al pianterreno!La neve aveva smesso di cadere, ma quel silenzio sur-reale aleggiava ancora impalpabile. Le finestre delle abitazioni erano offuscate dalla condensa, i lampioni accesi per le vie deserte, illuminavano la calma piatta diuna sera moscovita. In compagnia d’Astrel percorrevo la piccola traversa che fiancheggiava la parte laterale del Majakovskij, immettendoci ora nella strada princi-pale, una folata d’aria fredda ci colpì raggelandoci. Nonpoteva dirsi la sera adatta per passeggiare romantica-mente, ma entrambe nutrivamo il medesimo bisogno d’evasione. - Bene, Astrel, che meta preferisci? – Le domandai ri-volgendomi a lei con un sorriso. Astrel parve riflettere.- Beh, non saprei, la famosa Piazza Rossa è lontana da qui? –- Affatto, siamo a meno di un chilometro, seguimi. - I nostri passi solcarono la neve tracciando un temporaneoitinerario. Passeggiando tra i bagliori della sera, la sua mano strinse la mia. Non mi aspettavo quel gesto, che allo stesso tempo percepivo così spontaneo. Finalmentele dita iniziarono a scongelarsi, sotto la sua presa calda provai sollievo. Quel semplice gesto, compiuto con na-turalezza, contribuì ad aumentare la nostra intesa. Manonella mano giungemmo a destinazione e l’immensa area della Piazza Rossa si manifestò ai nostri occhi. Lo spettacolo da cartolina cui stavo assistendo mi era al-quanto familiare, eppure, non smetteva mai di stupirmi.Potrei sprecare mille parole nel vacuo tentativo di nar-rare la bellezza di quei monumenti, nel descrivere comele tonalità calde e purpuree contrastavano la temperatu-ra invernale, ma credo sarebbe impresa vana. Nessuna espressione letteraria o figura retorica che sia, potrà mai

63

essere all’altezza di ciò che stavo contemplando. L’e-norme perimetro della piazza era sgombero da turisti e passanti, le finestre del Grande Cremlino e dei magaz-zini Gum erano illuminate a festa, mentre le magnifichecupole di San Basilio si erigevano fiere, irte nel cielo.- Wow! – Esclamò Astrel meravigliata. – Quanti bei co-lori su quelle cupole, sembrano degli enormi gelati. – Con sguardo vispo ammirava tutte le bellezze che il pa-norama le offriva, le sue pupille sfrecciavano veloci da destra a sinistra, voraci, nel tentativo di catturare anche i dettagli più minuti. Osservandola con incanto, mi ac-corsi di quanto fosse bella. I lineamenti del suo volto ri-cordavano lo charme misterioso delle principesse orien-tali, ma la sua carnagione era nivea come quella di una valchiria. Quando il vento impazzava insolente, i suoi lunghi capelli corvini ondeggiavano vivaci svelando la forma dell’aria e rilasciando fragranze afrodisiache. Con la mano premeva la sciarpa al collo per evitare cheil freddo le penetrasse all’interno, e delicatamente soc-chiudeva gli occhi per non farli lacrimare.– Che ne dici se ci sediamo un po’? – Le proposi, sco-stando la neve da una panchina con il palmo della mano. - Va bene. - Pochi minuti più tardi, ci ritrovammo a ri-dere e scherzare come fanno le amiche di vecchia data.- Certo che la vita è davvero strana! – Disse Astrel ri-flettendo ad alta voce. – Cos’ha di strano la tua? – Astrel si fece riflessiva e assorta replicò. – Beh, di punto in bianco tuo padre ti dice che devi par-tire per la Russia, e poche ore più tardi, ti ritrovi qui, nella piazza più celebre di Mosca - Astrel ebbe un mo-mento d’esitazione e fugò lo sguardo altrove, quasi inti-midita, poi, tornando a fissarmi, trovò l’audacia per lan-

64

ciarmi un’occhiata interessata - …Con te. - Non so spiegare con esattezza ciò che provai in quel momento, ero così preda del suo incantesimo, che tutto attorno a me si mutò in qualcosa d’irreale, come una dimensione parallela in cui l’incalzare del tempo si smorza per ce-dere il posto a una forma di presente che si dilunga al-l’infinito.- Hai ragione, la vita è imprevedibile. Neanch’io avrei potuto immaginare d’incontrarti, ma sono felice d’aver-ti conosciuta. – Le risposi con un fil di voce. Lei conti-nuava a fissarmi. In un'altra circostanza, timida per come sono, avrei distolto lo sguardo imbarazzata, con lei tutto era diverso. Non mi sentivo a disagio quando mi guardava, non provavo inibizione nello stare seduta cosi vicino al suo volto. - Sei bellissima. Willard l’aveva detto che a Mosca ci sono le ragazze più belle del mondo. - Per un attimo credei che si trattasse solo di un sogno, un magnifico sogno che stavo vivendo a occhi aperti, eppure, ciò che avevo udito non poteva essere più reale.- Anche tu sei molto bella, non mi stancherei mai d’am-mirarti. – Astrel infittì la sua mano tra i miei capelli biondi, carezzandoli come se stesse apprezzando la morbidezza di un tessuto pregiato. Non potei che con-cedermi con tutta me stessa a quel tocco fatato e soc-chiudendo gli occhi avvicinai le labbra fino a condurle a un palmo dalle sue. Ora potevo sentire il suo respiro sfiorarmi l’anima e il suo sapore attrarmi come un ma-gnete. Un brivido struggente mi percorse la schiena quando finalmente le nostre bocche s’incontrarono. Ini-zialmente fu un tocco sottile, timido, delicato, poi as-sunse nuove sembianze, e tra un batticuore e l’altro mi ritrovai coinvolta nel bacio più intenso e romantico del-la mia vita. Oggettivamente stavo baciando con ardore

65

una ragazza che conoscevo da meno di tre ore, ma quel-la non era la prima volta che i nostri destini s’incrocia-vano per fondersi l'un l'altro. In realtà ciò avveniva da sempre e per sempre sarebbe stato così. Ogni essenza alimenta il suo esistere per riconciliarsi alla metà perdu-ta, e se le forze raziocinanti aberrano tali impeti antesi-gnani, sarà il cuore a far d’auriga, e il mio cuore quella sera, mi condusse in lei.- Sai di buono. - le dissi, riaprendo lentamente gli oc-chi.- Lucida labbra alle fragole. - - Davvero squisito. – Astrel fece scorrere la lingua fra le labbra.- Mi hai baciato per assaporarlo? –- Mm, non solo per quello. - Tra noi era scattata una scintilla, un trasporto folle e vibrante di passionalità. - Non ho mai visto una ragazza così bella. – Mi sussur-rò, avvolgendomi tra le sue braccia con pura dolcezza.- Forse, perché in quest’istante non puoi specchiarti da nessuna parte.-- Possiedi uno charme particolare, Svetlana. Avrò visto tantissime ragazze dagli occhi cerulei, ma soltanto i tuoi possiedono le cromature di un lago ghiacciato in uno sguardo caldo come l’estate. - La sua poesia mi conquistò ancora. Dolce e autentica come di rado la gente sa essere, quella ragazza mi donò nuove emozio-ni, sentimenti intensi e vivi, che da sempre decoravano le pagine del mio diario come utopiche fantasie, sogni ineffabili taciuti perfino al pensiero. Astrel si alzò dalla panchina rabbrividita, manifestando il desiderio di far ritorno in un luogo caldo.– Sbaglio, o la direttrice ha detto che tu avresti dovuto insegnarmi “ le regole vigenti nel vostro istituto” ? -

66

Mettendomi in piedi anch’io, pronta a imboccare la strada del ritorno, risposi. – Beh, non c’è modo migliore d’apprendere una regola se non infrangendola. -- Dunque, devo trarre che baciare una ragazza sia vieta-to. -- Vietatissimo, ma non nutro rimorsi per aver eccettuatola regola. -11 Il primo giorno al Majakovskij

Mosca si svegliava nel candore della neve mentre tiepi-di raggi solari la baciavano di luce. Il Moscova fluiva lungo il corso del suo letto, adorno di ghiaccio e di gelo. L’imminente arrivo della stagione invernale si ce-lebrava tra i fumi dei comignoli. Al pianoterra del Ma-jakovskij, allievi e docenti affollavano i corridoi con caotica frenesia, pochi minuti ancora, e il suono della campanella avrebbe sancito l’inizio della prima ora. Astrel si aggirava raminga barcamenandosi tra la folla. L’ansia da primo giorno le divorava lo stomaco a mor-si. L’aula di storia doveva trovarsi oltre una di quelle porte sulla destra, che si susseguivano contraddistinte da lettere. Astrel sapeva che la sua prima lezione si sa-rebbe svolta nell’aula con la lettera G, ma la giovane non riusciva a ricordare la corrispondente cirillica, e perben tre volte entrò nelle classi sbagliate beccandosi le burle di chi la considerava un’analfabeta. Esasperata gettò per terra lo zaino e si arrestò in mezzo al corrido-io, mentre la frenesia della mattina le correva intorno indifferente. I suoi genitori non avevano ancora recla-mato sue notizie, soltanto Willard si era prodigato ad accertarsi che stesse bene, “sii temeraria e ponderante” le aveva detto, com’era solito raccomandarle. Ciò che Astrel desiderava davvero in quel preciso istante era

67

esplodere in un fragoroso pianto e poi correre a perdi-fiato fino a raggiungere le rive del suo Tamigi, ma l’u-nico luogo in cui riuscì ad arrivare quella mattina, fu l’aula di cui era alla ricerca. Astrel vi entrò solcando l’uscio con ambascia, come se stesse oltrepassando la frontiera dello stato nemico. L’insegnante non era anco-ra arrivata, ma gli studenti sedevano con ordine ai pro-pri posti. Astrel indugiò davanti all’ingresso, mille sguardi inopportuni le piombarono addosso annichilen-dola. La sua presenza destò non poca perplessità. - Ehm, buon giorno, è qui la lezione di storia? - Chiese la ragazza, tentando di fendere un varco amichevole nell’ostile silenzio che gli alunni opponevano. Nessunole diede risposta, neppure con un leggero cenno del capo. - Cominciamo bene. – Farfugliò lei angustiata, sedendosi sull’unico banco libero. Un brusio ovattato si levò da ogni direzione. La ragazza cominciò a sfo-gliare un libro velocemente, sapeva d’essere lei l’argo-mento che alimentava quel parlottare confuso. Liudmilaentrò in classe esibendosi in una starnazzante chiac-chierata al cellulare.- E’ un fico da sballo! Entro domani me lo faccio, giu-ro. Ma come ti salta in mente? Lui non ha occhi che per me. – Pavoneggiandosi come una cheerleader, la studentessa desiderava suscitare invidia agli occhi dellealtre ragazze, tuttavia, la sua spavalda eloquenza si spense in modo repentino quando s’accorse che il suo posto era già occupato.- Tu chi diavolo saresti? – Chiese Liudmila ponendosi di fronte all’intrusa. Astrel sussultò sbalordita.- Come? Dici a me? – Liudmila sogghignò in segno di sprezzo.- Scusa, tesoro, ma le tue chiappe non possono riposare sulla mia sedia. – Astrel fece una smorfia sconcertata.

68

- Non vedo la ragione per cui tu debba essere così ispi-da e sarcastica nei miei riguardi. C’è posto per entram-be in questo banco, dunque puoi sederti, o la mia pre-senza ti urta? – Liudmila tentennò spiazzata, non era abituata a dibattere con persone sagaci. - Alzati subito da lì, sgualdrina! – Schiamazzò con irre-primibile ira. - Liudmila Borisovna! E’ questo il modo di fare? – In-tervenne l’insegnante di storia, appena giunta in classe. Nel vedere la donna accomodarsi dietro la cattedra, gli allievi si drizzarono in piedi esibendo rispetto. - Sedete-vi pure. – Le sedie scrosciarono in contemporanea. - Dunque, Liuda, qual è il problema, cara? – Nella voce dell’insegnate viaggiava un leggero tono di predilezio-ne.- Questa cretina ha occupato il mio posto. – Incalzò la studentessa inviperita. La professoressa osservò l’ulti-ma arrivata con aria di sufficienza.- Non mi sembra di conoscerla, signorina. – Disse, con-tinuando a ispezionarla.- Sono arrivata solo ieri. –- Ieri? E’ di Mosca o risiede nell’Oblast? –- No, vengo da lontano, sono inglese. –- Ah! La studentessa da Londra, o meglio: la raccoman-data del rettore Stanley. - Commentò la professoressa, curando le cadenze del suo tono mordace.- Di cosa sta parlando? Io non sono una raccomandata! - Protestò Astrel con impeto. L’insegnante finse di nonsentire e aprendo il libro alla lezione del giorno, conti-nuò a denigrare la nuova arrivata con la classe.- Credo che oggi incentreremo la nostra lezione su una semplice parola, la meritocrazia. D’altronde è un termi-ne che ricorre spesso nel nostro parlare, possiamo im-piegarlo in riferimento alle cariche istituzionali, ai di-

69

rettori di un’azienda, e in questo specifico caso agli stu-denti del Majakovskij. - Quel brusio fastidioso riprese aserpeggiare fra i banchi – A voi è concesso di seguire lelezioni giornaliere, di alloggiare in camere confortevoli,e di accedere agli spazi scolastici ed extrascolastici che l’istituto dispone. Per diventare gli allievi del Majakov-skij, tutti voi avete investito energie e facoltà intelletti-ve per superare i trabocchetti di un complesso test d’ammissione, tutti, eccetto quella ragazzina inglese, che con anglosassone freddezza si fa beffe dei vostri sa-crifici. - Una pioggia d’occhi torvi si rovesciò contro Astrel per la seconda volta, ovunque si girasse, la ra-gazza scrutava soltanto visi arcigni. Il cuore cominciò abatterle violentemente, sentimenti d’afflizione e collera scalpitavano nella sua mente alternandosi in un caotico tumulto.- Se davvero vuole saperlo – inveì provata – è stato miopadre a stipulare accordi con il rettore Stanley, lui mi ha costretto, lui mi ha gettato in questa fossa di leoni! -- Che tu sia stata costretta o meno, resti ugualmente unaprivilegiata. - Sentenziò una ragazza dai capelli rossi, seduta in fondo all’aula.- Precisamente.- Approvò la professoressa di storia – Non importa a nessuno come siano andate realmente le cose, lei ha giocato sporco, signorina Astrel, e sono cer-ta che da questo momento il suo inserimento scolastico tracimerà d’ostacoli. - Astrel stava per replicare, ma l’ansia provocatale dal vaticinio dell’insegnante frenò le sue parole affogandole in un singhiozzo. Liudmila batté la mano sul banco sollecitando ancora la sua at-tenzione. – Allora, tesoro, ti alzi da sola o devo prenderti di peso e poi sbatterti per terra come un sacco di patate?– Il tur-piloquio dell’allieva, se pur banale e provocante, solle-

70

vò una palpitante risata che coinvolse quasi tutti i pre-senti. Astrel fulminò la sua avversaria con lo sguardo, benché avesse un carattere mite e poco avvezzo all’ira-scibilità, la situazione in cui si trovava cominciava a spazientirla. – Io non mi muovo da qui. – Affermò con voce infles-sibile. Liudmila ghignò arcuando le dita. Invasata dal-l’ira si scaraventò contro Astrel e le afferrò i capelli perstrattonarla via dal suo posto. – Lasciami andare, ho detto lasciami! – Gridava Astrel lottando contro quella presa poderosa. Le manacce di Liudmila sembravano attaccate alla sua testa con la colla. I ragazzi presenti parvero divertirsi nel vedere due compagne fare a botte e fra urli incitanti e schiamazzi confusi, circondarono ledue combattenti per godersi meglio lo spettacolo. In classe si stava svolgendo un vero e proprio match, e a decretare il gong ci pensò la professoressa di storia. La donna afferrò Liudmila dal giro vita e a fatica la trasse via dalla sua preda, anche Astrel fu allontanata dalla sfidante, ma riuscì ugualmente a sferrarle un energico pugno che la colpì dritta a un occhio. Le due avversarie furono rese inermi, e se da un lato Astrel si era placata all’istante, dall’altro, Liudmila continuava a scalciare nel vuoto e a urlare come un’indemoniata. – Brutta stronza! Te la farò pagare! Te la farò pagare! –12 La cena del mercoledì

Il titanico orologio della biblioteca segnava le 19: 30. Nell’ampia sala, a parte me e le interminabili file di li-bri, non vi era nessuno. La batteria al litio del mio I-pod si era appena prosciugata, impedendo alla soave voce di Varvara d’allietarmi ancora. Senza la mia can-tante favorita, affrontare la pedanteria delle pagine su

71

cui mi stavo documentando risultava più arduo, eppure mi adoperai con zelo per completare la ricerca sugli Inuit. Abbandonando il resto in sottofondo, non mi ac-corsi che Ivan, un mio compagno di classe, era appena entrato in biblioteca e si dirigeva spavaldo verso il ta-volo in cui sedevo. I suoi passi pesanti spezzarono la mia concentrazione, mentre lui si sedeva accavallando le gambe, io richiudevo i libri infastidita dall’interru-zione. - Ciao bambola, stai bene? – Nell’udire quella voce mi venne il voltastomaco. Ri-pensai al contenuto del bigliettino sotto la mia porta, il “galante”mittente si trovava proprio accanto a me. Ahi-mè, sono già due anni che Ivan mi sbava dietro. Due anni segnati da continue proposte, inviti hot, e apprez-zamenti scurrili, che di certo non gradivo. Qualsiasi al-tra ragazza, al mio posto, sarebbe presto ceduta al quel fascino latino, sciogliendosi sotto lo sguardo penetrantedei suoi occhi neri, e vibrando nell’incandescenza dei suoi scultorei addominali. L’avvenenza del giovane stu-dente non passava certo inosservata, ma non era soltan-to quella ad ammaliare le donne. Ivan rapiva con gli sguardi, seduceva con i gesti, s’insinuava fra i pensieri femminili e si trasformava nel sogno erotico più proibi-to, più segreto. Per me le cose andavano in un'altra ma-niera. Forse ero l’unica ragazza a non svenire quando Ivan mi rivolgeva la parola, l’unica che non gli fissa il fondoschiena incantando lo sguardo come si fa con i ciondoli ipnotici, ma di certo, non ero la sola ad aver compreso che l’aitante adone era anche uno spregevole maschilista. Per Ivan le donne erano un po’ come le si-garette, da fumare prima assaporandone il gusto e da gettare poi, spegnendole con la punta della scarpa.

72

- Spiacente, Vanja, ma come vedi sono impegnata in faccende più importanti. – Lo informai, riaprendo i librie inarcando la schiena verso il tavolo.- Posso aiutarti io a completare la tua ricerca, così ti re-sterà del tempo da concedere al tuo fedele spasimante. –- Piantala, o ti lancio un libro contro! – Ivan non si scompose è intrigato replicò col sorriso marpione.- Beh, non ho un cattivo rapporto col dolore. – - Che lingua devo usare per farmi comprendere da te? Vattene e lasciami in pace, è così difficile da capire? – Sbottai ancora, vistosamente irritata dal suo fare irri-spettoso e triviale.- Ok, non agitarti bambola, altrimenti mi ecciti di più. Ti accontento, vado via, ma stasera, nel caso tu voglia ripensarci, mi trovi in camera mia tutto nudo, ehm, vo-levo dire solo. –- Va al diavolo! – Gli gridai esasperata, mentre lui si al-lontanava lanciandomi un voluttuoso bacio. Pochi mi-nuti più tardi, la porta della biblioteca si aprì nuova-mente. Sta volta mi ero proprio stufata di quell’idiota! Rivolgendo lo sguardo in fondo alla sala, m’accorsi chenon si trattava d’Ivan, ma di una splendida ragazza giunta da Londra appena una sera fa. Alla sua vista il mio cuore sobbalzo rinvigorendomi, più lei si avvicina-va, più la tempesta impazzava dentro me. – Posso farti compagnia? – Disse, quasi timorosa che lerispondessi di no. – Certo che puoi – Il suo volto fu addolcito da un lieve sorriso, e lieta si sedette, proprio dove Ivan aveva posa-to le sue disgustose natiche. Astrel indico i libri che avevo innanzi – Se stai studiando, non vorrei disturbar-ti. –

73

- Nessun problema- La tranquillizzai - ho appena finito.– Alzandomi dalla sedia riportai i libri al proprio posto.Astrel si strinse nel suo maglione bianco e mi osservò salire la scaletta di legno per raggiungere il quinto scaf-fale. – Oggi è stata una giornataccia. – considerò mestamen-te.– Non è andato bene il tuo primo giorno di scuola? – M’informai con voce faticata, mentre dall’ultimo gradi-no della scaletta mi tiravo sulle punte per combattere il tipico effetto domino dei libri suggli scaffali.- Beh, a parte l’esser stata presentata ai miei compagni come una raccomandata scansafatiche, e tralasciando anche che ho fatto a botte con una certa Liudmila, direi pure: un inizio encomiabile! –- Hai fatto a botte con Liudmila? – Le domandai con enfasi in parte nascosta. – Oh, ti prego, dimmi che l’hai mandata in ospedale! – Dissi, scendendo con attenzionedalla scaletta, affinché la iettatura che avevo pronuncia-to non si ritorcesse contro di me. Astrel sorrise. - Mi spiace doverti deludere, Svetlana, ma questa è la prima volta che giungo alle mani, e anche se apparirà retorico a dirsi, ha cominciato lei. -- Non è affatto retorico se stiamo parlando di Liudmila. Non sai quante me ne ha combinate. Ti consiglio di starle lontana, è una carognetta prepotente. - Astrel an-nuì, mentre i suoi aggraziati lineamenti si tingevano di mestizia.- Sai una cosa? – Disse, con l’intento di confidarmi i suoi pensieri. – Ho una gran nostalgia di casa. Mi man-ca Londra, e la mia amica Lara, e naturalmente Willard,che a quest’ora starà preparando il tè. - Non riesci proprio ad ambientarti qui? -

74

- No. E’ tutto così inospitale, così algido. - Le sue paro-le nostalgiche riuscirono a penetrarmi in fondo, mi coinvolsero a tal punto, che provai l’irrefrenabile biso-gno di stringerla a me e rincuorarla. Percepivo quanto Astrel desiderasse ricevere calore umano, era come se in quel momento la sua anima mi stesse parlando “ab-bracciami” mi diceva “ stringimi forte e non lasciarmi mai più, finalmente ti ho ritrovato dolce metà.”Guidata solo dal sentimento, l’avvolsi con le braccia e chiusi gliocchi. Com’era piacevole averla vicina, percepire il profumo frizzante dei suoi capelli, fondersi con la fra-granza leggera della cipria al talco. Avvinghiate in quell’abbraccio, il mondo sembrò sfumarci intorno, le nostre labbra si toccarono ancora, e tutto riprese ad es-ser magico esattamente come la sera precedente. Quan-to avrei voluto fermare il tempo, imprigionarlo di na-scosto in uno scrigno segreto, e vedere poi tutti i pendo-li bloccarsi a mezz’aria. Il suono della campana scola-stica infranse le mie aspettative, più trillava echeggian-do per la biblioteca, più comprendevo che nulla era in grado d’arrestare il divenire del tempo, infatti, quel gi-gante orologio segnava ora le otto in punto. - Cavolo, la cena del mercoledì! – Strepitai ad alta voce.- Cos’è la cena del mercoledì? – Chiese Astrel incurio-sita.- Una fra le tante ridicole trovate che la Rosencrans fa-rebbe meglio a risparmiarsi. –- Ovvero? –- Ovvero, ogni mercoledì sera pretende che alcuni di noi cenino insieme a lei nel salone principale anziché inmensa. –- A quale scopo? –

75

- Prendiamo posto in un tavolo unico, la preside indice un argomento da dibattere, e gli altri devono argomen-tarlo esponendo le proprie opinioni al riguardo. E’ una sorta di simposio. –- Un simposio? Che spasso! Non che abbia qualcosa contro le serate culturali, anzi. – Precisò Astrel. - ma credo d’averne abbastanza per oggi. –- Sta tranquilla, di rado la preside ci tedia per più di un’ora, e poi, la tua assenza alla cena significherebbe un tacito assenso a dissociarti dalla vita scolastica.-- Mentre la mia presenza sarà interpretata come un atto di sfrontatezza, giacché ho la fama d’infingarda privile-giata. -- Vedo che inizi a conoscere la dialettica di questo col-legio. –- Già. – Si espresse con sguardo leggermente assorto. – Però, ciò che davvero mi piacerebbe conoscere sei tu. –- Io? – Domandai, visibilmente lusingata - Beh, dopo quello che è accaduto ieri sera, io vorrei tanto… - Astrel si mordeva le labbra e freneticamente agitava le mani, era come incapace di comunicare con me, frenata da una sorta di pudore che le avvoltolava i fili del ragionamento. Ruppi il suo imbarazzo con un semplice sguardo, nell’universo degli occhi niente era impossibile da esprimere.- Anche a me piacerebbe conoscerti meglio, e sono pronta a seguire qualsiasi sviluppo maturerà la nostra nuova amicizia. –Il salone principale del Majakovskij rappresenta l’ango-lo pregiato dell’istituto. La Rosencrans l’aveva ammo-biliato seguendo il gusto dello stile vittoriano, curando-ne i dettagli più minuti. Al centro della sala, sopra un tappeto intrecciato a mano proveniente da Marrakech, dominava l’arredamento un massiccio tavolo di forma

76

ovoidale in legno d’acero. Nella parte ovest della sala, un salottino in velluto rosso cocciniglia circondava il grande caminetto di travertino. A rendere l’ambiente in-timo e raccolto, contribuivano le sfumature giallo ocra sulla carta da parati, finemente abbinate al bordeaux deltendaggio. L’anziana direttrice amava l’eleganza classi-cheggiante di quel luogo, per tale ragione ne preservavala compattezza limitandone l’accesso. Nell’arco setti-manale che precedeva il mercoledì, il salone restava un luogo solitario e immerso nel silenzio. Solo alla polvereche si depositava sui cimeli era consentito l’accesso. Il mercoledì sera lo scenario si rivoluzionava. Le voci dei ragazzi, il via vai dei camerieri che facevano scrosciare le stoviglie sui carrelli portavivande, lo scoppiettio dei ciocchi dentro il camino e il profumo delle pietanze cheimprimevano le stoffe dei tendaggi, tutto brulicava di vita. Liudmila sedeva composta al tavolo, stando ben attenta che i suoi gomiti non si poggiassero per sbaglio sulla tovaglia di fiandra. Paziente attendeva che il resto dei commensali prendessero posto. Alla cena del mer-coledì lei giungeva sempre con mezz’ora d’anticipo ri-spetto all’orario previsto, in modo da esternare alla di-rettrice il suo spiccato interesse per l’appuntamento set-timanale. In realtà la studentessa odiava dover consu-mare una cena in compagnia della Rosencrans, stava male alla sola idea di vederla masticare a bocca aperta con la protesi dentaria che di tanto in tanto veniva giù. Malgrado l’abominevole spettacolo cui sapeva andare incontro, Liudmila sedeva sempre accanto all’anziana donna, approfittando del fatto che nessuno volesse far-lo. Per ingannare l’attesa, la giovane estrasse il cellularedalla tasca e cominciò a messaggiare con un ragazzo dapoco conosciuto.

77

- ci vediamo in camera mia alle 22: 00, entra dalla fine-stra, è aperta. - Era questo ciò che aveva scritto nel suo sms. La campa-na della scuola emise un altro trillo, stava a indicare chei “prescelti” per la cena dovevano affrettarsi a raggiun-gere il salone principale, prender posto e dare una lettu-ra veloce ai depliant che esponevano il tema della sera-ta. Liudmila distese accuratamente il tovagliolo sulle gambe, e avvicinandosi con la sedia al tavolo si mise alla ricerca di una vittima, qualcuno da irridere per semplice diletto. Di solito puntava il mirino contro le ragazze del primo anno, in particolare quelle timide e diligenti, loro non erano capaci di risponderle per le rime, e ciò le facilitava il gioco. Liudmila adorava farsi beffe delle altre persone, prenderle in giro e ridere di loro. Era una pulsione che doveva soddisfare a tutti co-sti, una sorta di droga senza la quale andava in astinen-za. Solo enfatizzando i difetti altrui, lei riusciva a placa-re quell’insanabile complesso d’inferiorità che tanto la tormentava. Quando mi vide attraversare il salone insie-me ad Astrel, sobbalzò sulla sedia facendosi infima, la sua preda ideale era appena giunta, e di certo la litigiosastudentessa non l’avrebbe lasciata scappare, non dopo ciò che era accaduto durante l’ora di storia. Nel mo-mento in cui le passammo vicino, notai il suo occhio tu-mefatto. Liudmila tentava di occultarlo dipanando alcu-ni ciuffi sulla fronte, ma bastava un movimento del capo affinché le tornasse in risalto. “ Quel cerchio vio-laceo dovrebbe servirle da lezione.” Pensai.- Eccola arrivata, la nostra cara compagna inglese. – Esordì Liudmila magnetizzando l’attenzione dei pre-senti. Astrel non replicò e indifferente si sedette al mio fianco. - Che c’è, hai paura di prender posto vicino a me?- Continuò lei, divampando rivalsa - Temi che ti

78

possa tornare il colpo che m’ hai inflitto all’occhio? – Astrel la snobbò ancora, disattendendo le sue puerili istigazioni. - Tanto meglio. Detesto mischiarmi con le puttanelle anglosassoni. – Gli occhi dei presenti grava-rono sbigottiti su Liudmila, ma la studentessa non pro-vò la benché minima soggezione. Un quartetto di ragaz-ze, che ciarlava fittamente innanzi al camino, esplose inun fragoroso sghignazzo. Una fiamma impetuosa si ac-cese in me cominciando a scorrermi nelle vene, rara-mente quella sciocca riusciva a farmi perdere la calma, ma questa volta era diverso. Non potevo lasciare che la mia amica venisse umiliata in quel modo, non sopporta-vo l’idea di vederla soffrire per degli improperi così pe-santi ma allo stesso tempo così infondati. Sentendo il furore aumentarmi dentro, diedi a quella vipera la ri-sposta che si meritava.- Stasera a chi tocca, Liuda? Chi oltrepasserà il davan-zale della tua finestra? Bada bene al tuo privato prima d’apostrofare gli altri. - Una risata palpitante, come quelle che fanno da sottofondo ai film comici, si levò fra i ragazzi mettendo Liudmila in serio disagio. Al Ma-jakovskij la privacy non era di casa, persino i soffitti avevano orecchie e bocca.- Questa me la paghi Svetlana! Hai capito? – Infuriò lei agitando una forchetta tra le mani. La situazione sareb-be degenerata ulteriormente, se la direttrice non fosse giunta a ristabilire l’ordine con un semplice, ma terrifi-co, schiarimento della voce. Da tempo avevo imparato a tutelarmi dalle scabrezze del mondo e dalla spregiudi-cata malevolenza di persone come Liudmila. Mi ero giàtrovata in situazioni analoghe a quella, e con magistraleindifferenza fingevo che nulla mi potesse scalfire. Agli altri ostentavo un’armatura corazzata capace di resisterea qualunque attacco, in realtà vivevo ogni singola catti-

79

veria come il colpo letale di un dardo avvelenato. Ri-cordo ancora il mio primo giorno al Majakovskij. Era un martedì di settembre, quando insieme a due ragazzi, facevo il mio ingresso nella famigerata scuola. Nessunodi noi ricevette una calorosa accoglienza da parte della Rosencrans, ma io fui l’unica che per sei lunghi mesi alloggiò in una scomoda stanza di servizio, con l’acqua calda a giorni alterni, e scarna di qualsiasi altro com-fort. Quali le ragioni di un’ ammenda così severa? Mia zia aveva pagato con ritardo la prima mensilità. Un ri-tardo irrisorio, appena due giorni, eppure, alla direttriceparve un pretesto sufficiente per impartirmi una lezioneesemplare. Una volta la settimana ricevevo una telefo-nata da New York. M’infastidiva alzare il ricevitore e udire la voce fredda e meccanica di mia zia, perfino i ri-sponditori automatici dei gestori telefonici riuscivano a simulare un tono di cortesia più coinvolgente del suo. – Fammi tornare a New York! Ti prego, zia, non mi trovo bene qui, quella donna mi odia e io non so cosa fare. - Mille volte avevo pronunciato queste parole fra le lacrime, ma dall’altro capo udivo soltanto la linea ca-dere improvvisamente. Passavo intere notti a riempire ildiario di quesiti: perché la gente che mi sta intorno cal-pesta i miei sentimenti come fossero erbacce secche? Perché gli altri possono decidere della mia vita e gestir-la a loro piacimento? Se la libertà esiste, se non è sol-tanto un’utopia che alimenta ideali, allora perché a me non è concesso di possederne almeno una parte? Non sono ancora riuscita a risolvere i miei quesiti, la logica contorta della vita non è facile da comprendere, eppure,io una cosa l’avevo capita: mi trovavo in gabbia. Una gabbia lussuosa dalle barre dorate, ma pur sempre bar-re, sarei mai riuscita a trovare le chiavi e valicare il confine della mia prigionia? Trascorsa un’interminabile

80

e pedante ora, la direttrice decretò la fine del dibattito, la cena del mercoledì era ufficialmente conclusa. Soli-tamente, la Rosencrans sfoderava argomenti d’attualità come temi della serata, e spesso ci interrogavamo sui trend di sviluppo del nostro paese, o sui pericoli insiti nell’immissione di gas serra nell’aria. Dibattiti d’alto interesse sociale, questo era indubbio, e probabilmente, ognuno di noi avrebbe avuto maggiore propensione nel-l’argomentarli, se la regola imprescindibile non fosse stata: esprimi il tuo parere soltanto se è conforme a quello della Rosencrans. Come di consueto, la direttricenon si sarebbe accomiatata da tavola se prima non aves-se espresso il suo malcontento alla cuoca, tacciandola d’aver aggiunto troppo sale alla stessa pietanza che il mercoledì precedente lamentava esser scipita.Celata fra i muri della sua camera, Liudmila indossava la nuova lingeria di seta. In precario equilibrio su un tacco vertiginoso, la studentessa si atteggiava in pose sexy e provocanti davanti allo specchio. - Tu sei una donna fatale, nessuno può resisterti. - diceva sensual-mente a quel riflesso seminudo e un po’ tondeggiante. L’orologio indicava le nove e quaranta, a breve il suo voglioso partner avrebbe scavalcato la finestra per stru-sciarsi nel letto assieme a lei, e al solo pensiero Liuda avvertiva dei piacevoli fremiti scuoterle l’intimo. Ma quella che si apprestava a divenire una serata rovente e goduriosa, si trasformò presto in uno smacco. Proprio come avvenuto la sera precedente, degli insistenti toc-chi alla porta interruppero Liudmila quando era molto, molto impegnata a intrattenere il suo ospite.Le nostre mani si cercarono vicendevolmente, insieme si legarono in un delicato contatto, lasciando fluire il carico emozionale che vibrava come uno spirito dan-zante. I miei passi e i suoi battevano il pavimento all’u-

81

nisono, mentre spedite attraversavamo il corridoio per tornare in camera. La porta dell’aula di scienze era aperta, e nel momento in cui Astrel ed io vi passammo rasenti, lei si fermò di colpo perché conquistata da una mappa stellare appesa al muro. Svelta entrò in aula in-vitandomi a seguirla. In classe non c’era nessuno, dato l’ orario, e ogni nostro spostamento produceva un tenueriverbero che riecheggiava fra i muri. La luce bianca dei lampioni sul cortile s’infiltrava attraverso le fine-stre. - Scommetto che v’insegnano a distillare la vodka.– Scherzò Astrel, indicando un alambicco. - Quante cose interessanti qui dentro! -Disse, mentre gli oggetti presenti facevano a gara per stimolare la sua attenzione.Osservò distrattamente la tavola periodica di Mende-leev raffigurata col gesso sulla lavagna d’ardesia. Poi s’intrattenne d’innanzi una teca che preservava riprodu-zioni d’antichi strumenti. Con entrambe le mani lambì il cristallo della vetrina e con il volto si avvicinò tanto da lasciarvi l’alone. Era come se desiderasse trapassare il vetro e ghermire quel vecchio astrolabio per macchi-narlo con giocoso spirito, forse si sarebbe accontentata della piccola meridiana o del termometro galileiano, pur di manovrarne uno. Infine, puntò gli occhi su ciò che dall’inizio l’aveva conquistata più del resto, una gi-gantografia delle ottantotto costellazioni ufficiali.- Wow! – Esclamò - Guarda com’è bella la Corona bo-reale! E che mi dici di Pegaso, o della Chioma di Bere-nice? Con l’aiuto di una fervida fantasia, i popoli della terra sono riusciti a disegnare sul firmamento. Dall’e-misfero boreale a quello australe, si sono sbizzarriti nel-l’unire puntini luccicanti dando vita alle figure più ine-dite. Sono in pochi a conoscere la costellazione dell’O-rologio o della Macchina pneumatica. –

82

- A cos’è dovuta questa passione per gli astri? – Le do-mandai, curiosa di saperne al riguardo. Astrel mi osser-vò sorridendo, aveva l’espressione classica di chi sognaa occhi aperti.- Hai mai provato a sdraiarti su un prato verde in una notte d’estate? -- Sì, mi è capitato. – Le risposi, immaginando il profu-mo di rugiada e le carezze dei fili d’erba sulle braccia.- Allora puoi comprendermi. Ti sarai interrogata anche tu sui misteri imperscrutabili del cosmo. C’ è un solo universo? Se sì, all’interno di cosa si estende? Ma, so-prattutto: noi siamo gli unici ad abitarlo? –- Oh, quanto vorrei poterti rispondere! Forse è inutile porsi delle domande così inarrivabili, sarebbe saggio ri-nunciare e ammettere i propri limiti ma, credo che un uomo smetterebbe d’ essere tale se lo facesse. - Astrel annuì, poggiando una mano sulla cartina. - E’ piacevolediscutere con te. – Commentò, mostrando apprezza-mento nei miei riguardi. – Se anche gli altri adolescenti usassero la tua dialettica forse, avrei più amici. – Il suo commento mi stupì piacevolmente, di rado la gente sa-peva apprezzare le mie riflessioni e coglierne lo spunto per disquisire con sagacia, il più delle volte si meravi-gliavano che persino una ragazza bionda con le gambe in mostra disponesse di un organo celebrale. - Io cerco soltanto d’ esprimere i miei pensieri, tento di ricavare un significato a ciò che risulta d’arduo discer-nimento. - Replicai con modestia.- Capisco. – - Se può interessarti - Continuai, attratta dall’idea che mi balenava in mente. – All’ultimo piano dell’istituto c’è un piccolo osservatorio astronomico. Non aspettarti la stazione di Mauna Kea, però, ci sono due telescopi che arrivano ben oltre i nostri nudi occhi. –

83

- Fantastico! Andiamo a spiare i pianeti. – Accettò lei, entusiasmata dalla mia proposta.L’ufficio della Rosencrans giaceva al buio. Il ticchettio ritmico dell’orologio a pendolo intervallava il silenzio dando voce ai secondi con cadenze regolari. Dalla fine-stra filtrava una debole luce che illuminava parzialmen-te la poltrona su cui la preside tentava di riposare. Un inedito bisogno di raccoglimento l’aveva spinta a celar-si fra le mura del suo ufficio, ma il tentativo d’isolarsi dal resto veniva puntualmente invalidato da qualsiasi brusio o scroscio proveniente dall’esterno. La donna se-deva con lo sguardo perso al vuoto e l’espressione abu-lica, quasi in trance. Nella sua mente rimuginava la so-lita ossessione. Quel vizio insanabile che voracemente si nutriva del suo patrimonio prosciugandone ogni ri-serva. La donna si massaggiò il collo attraverso un mo-vimento breve e rapido della mano, gravando la pelle vizza della nuca di tutta la sua ansietà. Poi condusse en-trambe le mani alle tempie e socchiudendo gli occhi massaggiò anche quelle. “ Devo porre fine a tutto ciò. Io devo riuscirci. Da domani, non un solo rublo finirà perduto al gioco.” Quante volte se l’era ripromesso? Ma i suoi nobili propositi si frammentavano come cri-stalli innanzi a una partita di black-jack o a un’invitanteroulette. Tentando di scacciare i tormenti, la preside de-cise di trascorrere qualche ora al PC per completare un po’ di lavoro arretrato. Dal corridoio provenivano passi incalzanti che si udivano sempre più acuti, fino a quan-do, la direttrice non vide la porta del suo ufficio spalan-carsi e Liudmila entrare con gran foga. La giovane al-lieva s’accorse che La luce era spenta, in mezzo al buio intravide la faccia rugosa della Rosencrans, che illumi-nata dal monitor, appariva biancastra come quella di uno spettro. La voglia d’insultare quella vecchia zitella

84

ribolliva in lei come la lava di un vulcano. Ancora una volta la preside era riuscita a rovinarle la festa sul più bello, ma adesso la studentessa si trovava al suo cospet-to, e se pur con l’espressione imbronciata e i vestiti stropicciati, doveva fingersi cortese e riverente. La don-na accese la luce ed esaminò l’allieva con espressione coriacea.– Ho interrotto qualcosa, Liudmila Borisovna? So che non è buona norma assentarsi quando qualcuno ci vienea trovare, tuttavia, mi urge conferire con lei; temo dun-que che il suo ospite dovrà pazientare.- Liudmila strinsei pugni con veemenza, dalla rabbia stava quasi per con-ficcarsi le unghie dentro la carne. - Non c’è problema signorina Rosencrans, io sono sem-pre a sua completa disposizione. – Rispose, tradendo la sua affermazione con una smorfia adirata e risentita.- Mi compiaccio. – Affermò la donna, modellando un sorriso ipocrita. - Desidero sapere se sta svolgendo quelpiccolo favore che le ho commissionato. - Liudmila tra-salì in preda al panico. Spiazzata, realizzò di non posse-dere un piano preciso e ben delineato da esporre, così assunse un atteggiamento difensivo.- Ecco, come posso spiegare? Per questo genere di coseoccorre del tempo, ed è passato appena un giorno, di conseguenza io… - Quando la direttrice udì pronuncia-re la parola “tempo”, balzò in piedi battendo energica-mente la mano sulla scrivania. - Santo cielo, Liudmila! - Proruppe alzando il tono del-la voce. - Se c’è una cosa di cui non disponiamo, quellaè il tempo. - - Lo so, lo so. Comprendo perfettamente la delicatezza della situazione ma, quella ragazza è qui d’appena un giorno. Con tutto il dovuto rispetto, signorina Rosen-crans, io non sono capace di operare miracoli. – Liud-

85

mila espirò ritrattando la sua posizione. – Ad ogni modo, se mi concede soltanto una settimana, potrei riu-scire a… -- Non se ne parla proprio – Troncò la preside perento-ria. – Domani stesso farai in modo che l’intera scuola lacreda una ladra, a te la strategia. -- Una ladra! – Esclamò Liudmila perplessa. – Come posso? – La Rosencrans tornò al suo da fare fingendo che Liudmila fosse già andata via, e taciturna cominciò a sfogliare alcuni documenti contenuti in una cartellina.- Va bene, ci proverò. – Decretò la studentessa dopo aver riflettuto in silenzio. – Ehm, se dovessi fallire? – aggiunse impensierita. La direttrice continuava a lavo-rare assorta, l’eloquenza del suo silenzio non poteva travisarsi. Liudmila smise d’intrattenersi e si diresse verso l’uscita, solo allora la direttrice alzò lo sguardo e concluse dicendo – Sarebbe davvero un peccato istallare delle grate su tutte le finestre del piano terra, non trova anche lei? -13 Due corpi un’essenza

La luna nuova svelava le stelle agli spettatori terrestri, anche le più timide scintillavano attraverso milioni d’anni luce. Insieme ad Astrel salivo la scala che mi avrebbe condotta all’ultimo piano del Majakovskij, dove grazie ai proventi del signor Stanley, la Rosen-crans aveva allestito un piccolo osservatorio per le le-zioni d’ astronomia. Giunte sull’attico ci intrufolammo guardinghe all’interno dell’osservatorio, non era con-cesso recarvisi senza un insegnante al seguito, ma il si-gnor Vyacheslav soffriva spesso di sbadataggine e scor-dava di serrare l’ingresso. Una cupola con struttura a spicchi, in lamiera zincata. sovrastava il basamento cir-colare della stanza, e grazie al portellone mobile, da me

86

appena aperto, era possibile scrutare una parte di cielo. Astrel mosse qualche passo curioso calpestando il pavi-mento circolare, rivestito da un materiale ignifugo di colore bianco. Al centro della stanza, un telescopio con montatura altazimutale non poté che lasciarsi ammirare dagli occhi sedotti della mia amica, ma quando ella si mosse per raggiungerlo fui costretta a bloccarla.- Aspetta, Astrel! – Astrel si arrestò al mio comando – Guarda lì. – Le dissi, indicandole con la punta del dito una piccola spia rossa che lampeggiava sulla scrivania, all’interno di un dispositivo posto tra il PC e un oculareortoscopico a sei lenti. - L’allarme è attivo. –- Accidenti! – Esclamò lei delusa, ma non troppo. - Oh Astrel, sono desolata! L’allarme si può disattivare solo dalla presidenza, e quella strega sarà lì adesso. Lei sorrise puntando gli occhi al tetto. - L’idea di spiare il cielo alla scoperta dei suoi misteri arcaici mi allettava parecchio, ma questa sera le stelle sivedono benissimo anche ad occhio nudo. -- Sì, ma non è la stessa cosa. – Replicai sconfitta. Astrelsi avvicinò a me e con un gesto delicato mi cinse la vita.- Io credo sia molto romantico stare qui, non trovi an-che tu? - Sole in quel luogo buio, al riparo da sguardi indiscreti e intransigenti, la situazione non poteva che evolversi in un solo modo. Entrambe desideravamo la stessa cosa, lo volevamo intensamente. Mi colpì molto la naturalezza e la spontaneità con cui avvenne il tutto. Non ci fu alcuna esitazione nei nostri gesti, nessuna vergogna né senso del pudore, solo la complicità di duepersone fatalmente attratte. Stringendoci, cominciammoa sfiorarci in zone proibite. Lentamente prima, con di-screzione e delicatezza, poi con maggiore passionalità. Le sue mani tiepide viaggiavano pioniere sul mio ven-

87

tre. Sapevo dov’erano dirette, sapevo quando si sareb-bero fermate, e desideravo soltanto che giungessero a destinazione. Erano sensazioni così nuove per me, così insolite. Trasportata com’ero in un'altra dimensione, nella mia mente non c’era spazio che per quel momen-to, il nostro momento. I vestiti sparirono presto dalla scena, cedendo il posto a un contatto intenso. Mi persi in lei così come fa la falena quando vede la luce, ci giraintorno e poi… si fonde nel suo bagliore. Sdraiate ora sul pavimento gelido, sentivo il suo cuore battere forte, la sua pelle soffice strofinarsi con la mia, e finalmente, lei in me nel profondo. Per un interminabile istante pro-vammo un’estasi divina. Adesso la passione aveva ce-duto il posto alla tenerezza, la sensualità alla dolcezza, isospiri intensi a quelli lievi e sussurrati. I nostri corpi nudi, che abbracciati si regalavano carezze sottili e na-scoste, di certo apparirebbero uno spettacolo triviale e sgradito ai benpensanti del borgo. Perversione, è la pri-ma parola che userebbero nel descriverci, degrado e de-vianza sociale, direbbero anche. A volte mi chiedo per-ché, perché proprio l’uomo, unico essere del regno ani-male dotato di razionalità, finisca sempre per compor-tarsi come il più stolto! D’altronde, chi non reputa l’a-more un sentimento libero e privo di confini? Ciò signi-fica che esso va vissuto in totale trasporto e naturalezza,altrimenti, si rischierebbe di perderne lo spirito magico che lo caratterizza. Eppure, a dispetto di questo lampan-te assioma e della sua incontrovertibilità, in ogni cultu-ra è già stabilito a priori come l’amore debba svolgersi. Si può stare insieme solo se eterosessuali, molto meglioda sposati, all’interno del matrimonio si sa, quella scur-rilità che si pronuncia “sesso” trova una collocazione funzionale. Non si può amare una persona che abbia il colore della pelle diverso dal proprio, e nemmeno chi

88

crede in un altro Dio, è vietato pure amarsi, se vi è dif-ferenza d’età o di ceto sociale. Ci sono modi “giusti” d’amare, modi “permessi”, modi “normali”. Siete dav-vero convinti di tutto ciò? Pensate che il terreno ideale per coltivare l’amore sia una società bigotta e intolle-rante? Quella stessa società che chiude occhi e cuore di fronte a guerre e sofferenze, e si lascia invece scanda-lizzare da due uomini che vanno in giro mano nella mano? Io ho scelto un luogo differente per allevare il mio sentimento, una terra vergine e prospera che porta il nome di libertà. E non importa se il dazio da pagare è l’intolleranza della gente, i loro giudizi razziali, e la di-scriminazione. Nel mio cuore pulsa comunque la gioia, alimentata dalla tenacia che mi ha spinto a travalicare ilconfine. Il pavimento freddo cominciò a sortire i suoi effetti, forse era giunto il momento di alzarci e recuperare i ve-stiti sparsi qua e la intorno a noi. A volte la sera, prima d’addormentarmi, socchiudevo gli occhi per fantastica-re sulla mia prima volta. L’immaginazione riusciva a condurmi in ogni luogo: letti soffici, vasche idromas-saggio, spiagge esotiche o romantici chalet. Devo am-mettere che un osservatorio astronomico ha un po’ de-luso le mie aspettative, ma in cambio ho avuto lei.- Da oggi il mondo è più bello. – Le dissi, mentre la guardavo rivestirsi. Gli occhi d’Astrel sbucarono dal pull-over che stava indossando, vogliosi di ritrovare i miei.- Anche per me. – Rispose verace. Mettendomi in piedi le porsi una mano per alzarsi. - Ti conosco da poco tempo, Astrel, ma ti reputo una ragazza speciale. -- Speciale? – Ripetè lusingata.

89

- Proprio così. Sei dolce, affabile, aperta, e poi, nessunopiù di te riesce a comprendermi con uno sguardo. – Lei annuì serafica, arrossendo appena. - Correggimi se mi sbaglio. – Continuai, stringendo la sua mano tra le mie - Ma penso ci sia qualcosa in te, qualcosa che non ti consenta di viver serena come un adolescente dovrebbe.-- Esatto. E’ proprio così. – Si meravigliò lei, quasi con-vinta che possedessi un’arte divinatoria, e per un mo-mento mi fece sentire un’indovina al cospetto della sua palla di vetro. - Ora sei stata tu a capirmi con uno sguardo, mi hai letto l’anima. E pensare che quello stu-pido freudiano del mio analista non c’era mai riuscito! -- Per certe cose non occorre la psicanalisi. Cos’è che non va? - Astrel chiuse gli occhi per un momento, una lacrima calda e veloce le rigò il volto. - Sono tante le cose che non vanno, Svetlana, ma… il problema maggiore è costituito dai miei genitori. Loro non vogliono accettarmi per quella che sono. -- Ti riferisci al fatto - Astrel annuì ancor prima che for-mulassi la mia domanda. – Sì, esatto. Credo ti sarai accorta che i ragazzi non m’interessano più di tanto. – Con un sorriso le carezzai il viso prosciugandole il segno umido della lacrima. – E allora? Pensi che questo legittimi i tuoi a rovinarti la vita? A emarginarti o farti sentire inferiore? Sai qualè l’unica differenza tra le persone come noi e gli altri? –Astrel lasciò rispondere me. – Che noi siamo una mino-ranza, un universo inesplorato, e la gente ha sempre te-muto ciò che non conosce. –- Convengo col tuo pensiero, Svetlana, ma ciò non li autorizza a fomentare disprezzo nei nostri riguardi. Nessuno ha il diritto di annoverarci tra i rifiuti della so-cietà. Eppure il mondo ci riserva lo stesso livore che

90

spetterebbe a un delinquente, per non citare l’opprimen-te senso di colpa che in base al parere di certi religiosi dovremmo provare.- Senso di colpa! - Replicai sbottando – Così dovrem-mo essere noi a martoriarci per colpe inesistenti? E cer-ti capi di stato? Uomini panciuti dall’aria malandrina, che allegramente discutono sotto cappelle dorate e si beffano delle conseguenze che le loro scelte comporta-no. - Entrambe sospirammo in segno d’impotenza, due ragazze che nutrivano il medesimo dispregio per le brutture del mondo, non costituivano certo la condizio-ne necessaria per sovvertirne i connotati.14 Ladra

Mille schizzi zampillavano dalla piscina bagnando il pavimento circostante e rendendolo lucido. Il sole fil-trava dalle ampie vetrate che sovrastavano la piscina e colpendo l’acqua rifrangeva dinamici riflessi sul tetto dilegno. Nella parte bassa della piscina, Astrel eseguiva gli esercizi d’acquagym insieme ai suoi compagni di classe. L’aria riscaldata sapeva di cloro e Astrel sentiva già gli occhi bruciare intorno alla cornea. Dal bordo va-sca, la Čechov coordinava i movimenti a suono di fi-schietto, sollecitando gli allievi a prestare maggiore im-pegno.- Voglio vedere quelle ginocchia schizzare fuori, corag-gio! – Ripeteva, alternando gli schiocchi delle dita al fi-schietto. - Siete lenti! Lenti ragazzini, flosci come cefa-lopodi. – Nascosto dietro un’apparente partecipazione, lo sguardo d’Astrel era assente, completamente altrove.Il suo risveglio quel giorno era stato un po’ turbolento. Aveva aperto gli occhi di botto, disturbata dal suono della sveglia che non smetteva di trillare, e si era tirata su dal letto credendo per un momento di trovarsi a Lon-

91

dra. Quando comprese d’essere ancora li, a tre fusi orarida casa, tornò a sdraiarsi affondando la guancia sul cu-scino. – Che ci faccio qui? – Bisbigliò mentre si raggo-mitolava fra le lenzuola. – Voglio andarmene via. – Il suo cuore sobbalzò improvvisamente, quasi le stesse parlando, quasi volesse ricordarle che andare via ades-so, avrebbe comportato la perdita di qualcosa, o meglio,di qualcuno. Intrufolandosi furtiva nello spogliatoio femminile, Liudmila si accertò d’essere completamente sola. Fece un giro veloce delle docce, le tendine erano aperte e dentro non c’era nessuno, anche i bagni erano liberi. Dalontano provenivano i fischi della Čhecov e il rumore classico di una massa d’acqua in movimento. La giova-ne studentessa comprese di poter agire liberamente, ma doveva fare in fretta. Di fronte a lei, una panchina colo-rata era colma di zaini e borsoni, insieme a felpe e scar-pe da ginnastica gettate a casaccio sul pavimento con i lacci che serpeggiavano ovunque. Liudmila indugiò qualche istante, poi si decise. Con una mossa felina si avvicinò alla panchina, sollevò uno zaino, e solo dopo aver letto il nome del proprietario riportato sulla tar-ghetta, v’introdusse quell’oggetto di sparute dimensioniche stringeva in mano già da un pezzo. Accertandosi d’averlo nascosto per bene dentro una tasca interna, ri-pose lo zaino al proprio posto. – Missione compiuta! – Esclamò a bassa voce. – Non vedo l’ora di mettere in atto il piano B. – A quel punto, tornò in classe a seguirela lezione e a fingere che nulla fosse.Io e te. Soltanto noi negli abissi segreti dell’amore.Un sentimento ci unisce e la nostra pelle si sfiora.Il tuo cuore danza con il mio

92

e le nostre anime si fondono.Ora posso sentirti in me e averti.Finalmente siamo essenza.- Forse dovrei cambiare il finale o aggiungere delle rime. No. Devo riscriverla daccapo. - Sola con il mio diario, sedevo in un tavolo della mensa scolastica. Il vociare gavazzano degli altri studenti, tipico dell’ora di pranzo, non riusciva a farmi concentrare. Magari con l’arrivo della sera, tranquilla nella mia stanza ad ammi-rare lei che dorme, sarei riuscita a scrivere con maggio-re ispirazione. Il cibo nel vassoio stava quasi per fred-darsi, ma preferivo aspettare Astrel prima d’iniziare a mangiare. Richiusi il diario accarezzandone la coperti-na, era rivestita da soffice ciniglia rosa. Sul frontespiziocampeggiava una targhetta di cartone robusto, apposita-mente incollata per indicare il nome del proprietario, ma io scelsi di trascrivervi una frase: vola al di là della neve, tutto ciò che sarebbe occorso affinché il mondo potesse accettarmi. All’ingresso della mensa, Liudmila prendeva a strattoni il distributore di bevande, ancora una volta le aveva fregato i soldi. Con la mano premevasul vetro speranzosa che la sua lattina uscisse, ma nulla da fare, quella macchina non voleva saperne. – Danna-zione! – Imprecò inviperita, come sempre bastava un non nulla a farle perdere le staffe. Inserendo un'altra moneta, Liudmila s’accorse che Astrel era appena en-trata in mensa portando il proprio zaino con sé. Dimen-ticando all’istante il suo piccolo inconveniente col di-stributore, Liuda la seguì con la coda dell’occhio fino a quando non la vide raggiungere il tavolo in cui sedevo, e posarvi sopra lo zaino. – Oh, eccoti qui. Adesso capi-rai cosa comporta mettersi contro di me. – Liudmila realizzò di star parlando ad alta voce, e d’istinto si por-tò una mano alla bocca opponendovi pressione, quasi a

93

volerla rimbrottare per tanta arbitrarietà. Nessuno avevaudito le sue parole, ma la studentessa s’imbarazzò ugualmente divenendo paonazza. Incedendo con anda-tura raffinata, Astrel imprigionò i miei sensi ammalian-domi col suo fascino etereo. I suoi occhi cerulei quel giorno possedevano un inedito fulgore, pareva quasi che tutti i colori dell’oceano si fossero uniti in un soffiodi cielo per renderle omaggio. Il mio umore non poté che migliorare, le pedanti lezioni mattutine m’avevano reso neghittosa e insonnolita, ma ora la mia ambita era di nuovo accanto a me. Quando i nostri sguardi s’incro-ciarono, insieme tornammo alla sera precedente. Anchelei stava rivivendo quel momento, ne ero certa, lo com-presi dal gesto d’intesa che mi lanciò, più eloquente di mille parole.- Ciao. – Mi salutò- Ciao, Astrel. –- Che cosa stavi facendo d’interessante? – Domandò, ri-ferendosi al diario che avevo appena messo via.- Beh, io scrivo i miei pensieri, traduco in lettere emo-zioni e sentimenti, mi aiuta ad esprimere ciò che provo. - Astrel sorrise affascinata e sedendosi di fronte a me rubò una foglia di lattuga dal mio vassoio.- Capisco. Anche a me piacerebbe farlo, qualche volta ho tentato, ma, difficilmente scelgo la scrittura come canale comunicativo, io non sono brava con le parole. –- Forse non lo sei quando le stendi sulla carta, ma se le trasformi in voce riproduci il canto delle sirene. – Astrel apprezzò il complimento e le sue gotte si accese-ro come rubini. - Sono convinta che entrambe sentiamoil mondo nella stessa maniera – Aggiunsi.- Sì, lo penso anch’io, e se quel diario è l’emblema del tuo universo, il portale dal quale vi si accede, non desi-dero altro che ricevere un invito per poterlo visitare. –

94

La sua proposta mi provocò una piacevole stretta allo stomaco, condividere con lei la mia vera essenza, im-pressa in quel diario, era ciò che più desideravo.– Non vedo l’ora di leggerti le mie poesie! – Fu la mia risposta seria e sincera.Liudmila si trovava ancora lì, impassibile innanzi al di-stributore di bevande, come se gli occhi di Medusa l’a-vessero pietrificata. Scrutandosi intorno, notò che la mensa era più affollata del consueto, non un solo tavololibero. Tornando a puntare Astrel, la sua espressione si fece infima. – Oggi è il tuo giorno sfortunato, carognet-ta, ti farò passare per una misera ladra. – Ancora una volta il Super-io di Liudmila non aveva compiuto ade-guatamente il proprio lavoro, permettendo che i pensie-ri della giovane si palesassero a voce alta. Liudmila quasi non s’accorse di averlo fatto, in quel momento eraassorbita dalla smania di rivalsa. Eccitazione e preoccu-pazione altercavano nella sua mente, non poteva per-mettersi di sbagliare, altrimenti, la Rosencrans le avreb-be reso la vita impossibile; la nuova arrivata doveva ab-bandonare la scuola al più presto, e questo furto ne sa-rebbe stato il pretesto. Al tavolo dei docenti la Čhecov trangugiava una bistecca ai ferri. Incurante del galateo, mandava giù un boccone dopo l’altro rumoreggiando come una belva feroce. Liudmila le si avvicinò intenta ascambiare due parole, ma l’insegnante era troppo occu-pata a ingozzarsi per prestarle ascolto. La studentessa laosservava basita, schifata da tanta ingordigia. Non oc-correva una fantasia fulgida per immaginare la Čhecov nella penombra di una caverna preistorica alle prese con la clava. – Mi scusi professoressa, se ha cinque mi-nuti…. – Liuda cercava di conquistare l’attenzione del-l’insegnante badando che il suo tono fosse quanto più garbato possibile, quella donna le occorreva per il suo

95

piano, e l’ultima cosa che desiderava era mettersela contro facendola spazientire. – Ha qualche problema, Liudmila Borisovna? La lezio-ne d’aerobica è spostata per le due. – Sbottò la donna, rabboccandosi il bicchiere di Vodka. – Veramente, non sono qui per la lezione d’aerobica. – Precisò con un sorriso espansivo. La Čhecov prese a picchierellare la forchetta sul piatto con ritmo irregola-re. - Allora qual è la ragione che l’ha spinta a importunar-mi? – Domandò con lo sguardo magnetizzato dai rim-balzi bislacchi della forchetta sul piatto di plastica. Liudmila si chinò col capo verso l’insegnante e intrat-tenne con ella una breve conversazione, scrutando al contempo gli altri docenti per sincerarsi che nessuno udisse le sue parole bisbigliate.- Ma come ti balena in mente? Tutto ciò ha del parados-so! – Liudmila fissò la professoressa di ginnastica con fare supplichevole, pareva lì lì per genuflettersi e im-plorare la donna d’assecondarla. La Čhecov Storse le labbra e fece roteare gli occhi, poi si alzò da tavola con-trariata, abbandonando gli ultimi bocconi della sua deli-ziosa bistecca. Un senso di pesantezza addominale l’ac-compagnò fino al centro della mensa, insieme alla riso-luta Liudmila, che l’appressava briosa come un cagnoli-no scodinzolante. L’insegnante ghermì con le dita il fi-schietto che portava al collo e lo spolverò dagli spiluc-chi di lana rilasciati dal maglione, poi lo strinse nell’un-to delle sue labbra che sapevano ancora di vodka e aglio. Emise due fischi acuti consumando tutto il fiato che aveva in gola, decisa a placare il vociare festaiolo dei presenti, affinché la loro attenzione s’incanalasse sulla fremente Liudmila. Quando la studentessa s’ac-certò d’avere tutti gli occhi puntati su di sé, e pregando

96

affinché quell’istante di notorietà non avesse fine, esor-dì mettendo in mostra le sue spiccate doti da comme-diante. L’espressione tragica che aveva assunto si acco-stava bene al tono piangente della sua voce. - Sta notte mi è accaduta una cosa terribile! – Esordì, creando un velo di suspense - Mentre stavo dormendo, qualcuno è entrato in camera mia e ha cominciato a rovistare ovun-que. - Liudmila fece una pausa, sforzandosi di far scen-dere le lacrime dagli occhi, poi continuò la sua appas-sionata recita. - Quando mi sono svegliata, ho trovato a soqquadro ogni angolo della stanza. Fortunatamente non mancava nulla, tranne un oggetto per me d’inesti-mabile valore. – La ragazza si portò una mano al petto per conferire maggiore patos a ciò che diceva. - Si trattadi un anello; un anello appartenuto alla mia povera non-na defunta, a cui io ero molto legata. Sono vivamente dispiaciuta per ciò che intendo chiedervi, ma ho biso-gno della vostra collaborazione se desidero riappro-priarmi del mio prezioso ricordo. Dovrete soltanto apri-re gli zaini e mostrarne il contenuto alla professoressa Čhecov, non che stia accusando qualcuno in particola-re, ma sono convinta che il colpevole sia qui fra noi. – Liudmila fu letteralmente attorniata dalle sue compa-gne, la storia della nonna defunta le aveva conquistate tutte. A nessuna di quelle ragazze passò per la mente che la loro beniamina stesse mentendo, e con verace partecipazione tentavano di consolarla con svenevoli moine. La Čhecov rifletteva a braccia conserte. “ Come le può saltare in mente che l’anello sia in qualchezaino? Con tutti i posti che ci sono per nasconderlo? Che razza d’idea è mai questa? ” Nonostante la profes-soressa di ginnastica avesse un carattere sospettoso e poco avvezzo nel rifondere fiducia in soggetti differentida se stessa, quella volta non aveva capito di trovarsi

97

coinvolta in un raggiro. Lasciando da parte le sue consi-derazioni, l’insegnante decise di assecondare Liudmila, non voleva incorrere in possibili problemi con la Ro-sencrans, perché era questo ciò che sarebbe accaduto sesolo avesse contrariato i capricci prepotenti della sua al-lieva prediletta. Liudmila fissava tutti noi con sguardo compunto, credo di non averla mai vista così provata. Ammetto che in un primo momento la sua arringa mi persuase, aveva mescolato toni misurati e persuasivi, tanto da stentare a cedere che fosse lei a parlare. Riflet-tendo, però, qualche dubbio mi era sorto. Non capivo lasua ostinazione nel voler perlustrare gli zaini di tutti gli alunni presenti in mensa, se solo quella storia fosse sta-ta vera, lei stessa avrebbe capovolto l’intero Majakov-skij per riappropriarsi della refurtiva.- Secondo me, ha inventato ogni cosa. Quella lì cerca sempre un pretesto per attirare l’attenzione e creare scompiglio. – Commentò Astrel, lasciando trasparire quanto di personale vi fosse in ciò che affermava.- Hai ragione, Liudmila adora stare al centro della sce-na, più che smania di protagonismo, il suo è un narcisi-smo sfrenato. – Le risposi. Dopo un lungo giro d’inda-gini, la Čhecov giunse al tavolo in cui sedevamo io e Astrel. Con lo sguardo c’intimo di prestarle attenzione, e con voce stizzita si rivolse a entrambe. – Aprite le borse voi due, devo controllare. – Liudmila si sforzava di tenere i nervi saldi, le sue amiche conti-nuavano ad assillarla con domande petulanti.- Sei sicura che non manchi altro? -- Come hai fatto a non accorgerti che c’era qualcuno in camera? –- Al posto tuo, io sarei morta di paura! – La derubata stava per soffocare, non riusciva a scrollarsele di dosso.Evadendo con lo sguardo, s’accorse che la Čhecov sta-

98

zionava al nostro tavolo e cacciava l’occhio dentro lo zaino d’Astrel.- Oh mio Dio! – Esclamò a voce alta. – Ragazze scusa-temi, ma devo proprio andare. – Una volta liquidate le sue compagne, Liudmila corse ad affiancare la corpu-lenta insegnate di ginnastica.- Non è nemmeno qui. – Concluse la Čhecov, ormai estenuata di cercare a vuoto. Nel sentire pronunciare tali parole, Liudmila ebbe un tuffo al cuore, la professo-ressa non s’era accorta di quella piccola tasca interna incui si trovava l’anello. Vedendo il suo mefistofelico piano sgretolarsi come un castello di sabbia, la studen-tessa decise d’intervenire. Con un gesto selvaggio sot-trasse lo zaino ad Astrel, recuperò l’anello da quella ta-sca, e infine, lo tirò fuori con un sospiro teatrale. - Ec-colo! Il mio anello, sì, è proprio il mio anello! - Quasi tutti raggiunsero il nostro tavolo, facendo a spintoni perconquistare il posto in prima fila. La Čhecov era senza parole, letteralmente basita. Di fronte all’evidenza do-vette ricredersi, Liudmila aveva ragione. Un furto rap-presentava un episodio inedito per il Majakovskij, un gesto che non si credeva possibile, neppure ad opera deipiù scalmanati. “ Questa londinese ci sta dando filo da torcere.” Pensò l’insegnante corrucciandosi in viso. E’ superfluo sottolineare, che da un insegnante come la Čhecov ci aspettavamo tutti una reazione brutale ed ec-cessiva, uno di quegli sfoghi isterici a cui spesso assi-stevamo, per intenderci.- La professoressa ti farà nera! – Disse una voce in mezzo alla folla. – Non vorrei essere al tuo posto, Astrel. – Canzonò un’altra, suscitando qualche risatina. Purtroppo, nessuno di noi si sbagliò in merito, e di lì a poco, l’insegnante d’educazione fisica scagliò la sua iraselvaggia contro la povera Astrel. Con l’ausilio delle

99

sue manacce pesanti, ghermì la ragazza per un braccio cominciando a strattonarla.- Ladra! Non ti vergogni? Sei qui da due giorni, e già ti metti a rubare. - Più la Čhecov s’infervorava, più la stretta sul braccio d’Astrel aumentava a dismisura. Il dolore divenne insopportabile.- Mi lasci stare, mi fa male! - La situazione voltò a fa-vore di Liudmila e la studentessa colse l’attimo provan-do a rincarare la dose. - Ora ricordo! - esordì con atteggiamento battagliero – Questa notte ti ho visto uscire dalla mia stanza. Hai ru-bato tu il mio anello, maledetta ladra! - L’evidenza par-lava a sfavore di Astrel, e in una simile circostanza, cre-dere alle fandonie di Liudmila sembrava l’unica ragio-nevole possibilità. Io non lo feci. Neppure per un istan-te dubitai riguardo all’innocenza della mia amica.- Ora basta, Liudmila! Stai dicendo delle assurdità, Astrel non può aver rubato il tuo stupido anello. – Stril-lai incollerita. Lei replicò litigiosa.– Ah, no? Allora perché si trovava nel suo zaino? –- Sei stata tu a infilarglielo, è ovvio. – - Il braccio! – Astrel continuava a gridare di dolore, quella donna era talmente coriacea che avrebbe potuto piegare il ferro. – Non vede che le fa male? – La Čhecov non mi prestò attenzione, era furibonda come un rottweiler aizzato alla lotta. – Ci provi gusto a rubare? Sei una cleptomane per caso? - - Non ho rubato nulla. –- Smettila di dire sciocchezze, impudente ladruncola! Come puoi denegare innanzi all’evidenza? -Astrel era confusa, disorientata, come riuscire a dimostrare la sua innocenza? Ormai si trovava nella ragnatela che Liud-

100

mila aveva tessuto per lei, e uscirne non sarebbe stato facile.- Professoressa, rischia di spezzarle l’osso! – Schiamaz-zò un ragazzo tra la folla. L’insegnante di ginnastica si persuase, e finalmente ritrasse la sua mano grassa e cal-losa dal braccio d’Astrel.- Ci penserà la Rosencrans a darti una bella lezioncina. – Disse la Čhecov, articolando le dita della mano. - Questo non mi sembra corretto! – Protestai istintiva-mente, poi mi rivolsi a Liudmila – Perché non dici la verità? Coraggio, ammettilo che è tutta una messinsce-na. – - Ma quale verità? Quale messinscena? – Replicò lei con voce innocente. - Sei una povera vigliacca, solo un’ignobile come te po-teva arrivare a tanto. – Tuonò Astrel con disprezzo. - Ne ho abbastanza di voi tre, signorine. - Sbraitò la Čhecov esasperata – Recatevi in presidenza, subito! Nelcaso non lo rammentaste, siamo al Majakovskij, non nel postribolo di un sobborgo. – Liudmila prese a sin-ghiozzare spasmodicamente.– Dice sul serio? Intende mandare in presidenza anche me? Ma io non ho fatto nulla. – Si oppose frignando. - Credo proprio che mi farò radiare dall’insegnamento se odo un’altra parola, Liudmila. Adesso filate tutte e tre. -15 Incubi senza fuga.

Il vento sferzava le rive del Moscova increspando l’ac-qua e trascinando nella sua direzione le sottili lastre di ghiaccio che galleggiavano sul fiume. Il sole appariva espariva dal cielo, portando con sé le ombre degli alberi e degli edifici. Su una sponda del fiume, Irina cammi-nava da sola calpestando alcune foglie secche. Proce-

101

dendo spedita verso la stazione della metro, la ragazza dall’animo struggente sapeva di dover tornare lì, in quelvecchio magazzino in disuso, adibito da Ivan a luogo dei piaceri. – Io sono una persona libera, nessuno può costringermi a fare ciò che non desidero – Ripeteva a sestessa nel vacuo intento di auto persuadersi. – Andrò dalui e porrò fine a questa storia. – Prima di svoltare per raggiungere la stazione Paveletskaya, Irina si fermò un istante a osservare il mondo che le correva intorno. Com’era bella la sua città quando il soffice mantello bianco l’avvolgeva, e le sfumature rosate del cielo face-van rifulgere il fiume come un incommensurabile na-stro di seta. Quanto avrebbe voluto deliziare di quel pa-norama. Concedersi al vento e ai profumi autunnali, udire l’idilliaca melodia del divenire attraverso i fruscii sussurrati delle frasche. Ormai era impossibile. Nulla poteva donarle pace. Nella sua mente, soltanto lo spazioper le ossessioni e i ricordi raccapriccianti. Con aria mesta, la ragazza riprese a camminare. Adesso guarda-va al suo passato con malinconia, proprio a quel passatodal quale era fuggita perché non le piaceva. – La vita dicampagna non fa per me, in mezzo alla steppa c’è trop-po silenzio. Ho deciso di partire, voglio andare a Moscaa studiare. – Con queste lapidarie parole, cominciava lalettera che Irina aveva lasciato ai suoi genitori sul tavo-lo della cucina, poi era uscita di casa nel cuore della notte, ed era saltata sulla transiberiana per raggiungere Mosca. – C’è una scuola molto importante qui, si chia-ma Majakovskij. Mi hanno ammesso circa un mese fa, voi non dovrete preoccuparvi di nulla, ho i miei rispar-mi, e userò quelli per pagare la retta. – Questo lo aveva scritto nelle corrispondenze successive, quando Irina era ancora felice: felice per aver realizzato un sogno, felice di aver conosciuto un ragazzo di nome Ivan. - Lui

102

è molto gentile con me, mi riempie d’attenzioni e non mi lascia un momento, credo d’essermi innamorata. – Si concludeva così l’ultima missiva inviata ai suoi geni-tori, ciò che era accaduto in seguito, Irina lo aveva te-nuto in serbo. Nessuno sapeva di quel magazzino oscu-ro, dei materassi vecchi che puzzavano d’umido, gettatiper terra in mezzo agli scaffali. Come spiegare ciò che si prova a sdraiarvisi controvoglia? A essere il giocatto-lo di chi ha pagato per averti? A volte ragazzi, amici d’Ivan pronti a sborsare rubli per divertirsi, altre, ses-santenni morbosi con l’alito pesante e la pelle untuosa.La Čhecov ci accompagnò in presidenza imponendoci di restarvi fino a che la Rosencrans non fosse tornata dalla pausa pranzo. – Oggi la preside è di pessimo umo-re, ed io non vorrei mai essere al vostro posto. – ci in-formò l’insegnante con un certo sarcasmo che pareva divertirla, poi uscì dall’ufficio battendo la porta con violenza, per alcuni secondi i cristalli delle finestre tre-marono. – Dannazione a lei! – Imprecò Liudmila contro la porta che si era appena chiusa. – E’ tutta colpa vostra! Sono stata derubata e per giunta punita, questo è assurdo, as-surdo! – Astrel inspirò lentamente sforzandosi di non reagire, e come se volesse evadere da quella circostan-za, s’incamminò verso la finestra. Il suo sguardo fugacecominciò a viaggiare oltre i confini che la vista le impo-neva, lì dove l’immaginazione supplisce a ciò che gli occhi non vedono, le orecchie non sentono e le mani non toccano, in quel luogo avulso chiamato fantasia, in cui la gente trova ricovero quando la vita recalcitra e smania come un’animale imbizzarrito. Il prolungato si-lenzio di Astrel smorzò in qualche modo i toni pesanti della situazione, Liudmila continuava a puntarla acci-gliata, bramosa di attaccare briga un’altra volta, ma

103

Astrel non smise di ostentare il suo distacco. Esacerba-ta, Liudimila si ritirò in un angolo della presidenza, giungendo le braccia e sbuffando come una bambina capricciosa a cui i genitori non hanno comprato il gela-to. – Brava, fingi pure di non sentirmi, nemmeno ti cono-sco e già ti odio. –La voglia di staffilarle una serie di schiaffi mi strugge-va dentro, avrei voluto picchiarla e riempirla d’insulti fino a farla sparire dalla vergogna, tuttavia, non vi riu-scii, forse fu la mia indole inoffensiva a impedirmelo. Ciò che realmente avevo a cuore in quel momento, era rasserenare Astrel. Con passo felpato la raggiunsi e ac-costandomi al suo fianco scrutai oltre la finestra in sua compagnia, quasi vi fosse un panorama invisibile che soltanto noi due potevamo ammirare.– Ehi, tutto bene? – Le domandai, preoccupata dall’esa-gitazione che palesava. Astrel trasalì, interrompendo il filo dei suoi pensieri. – Tu mi credi, vero? – Mi chiese angustiata e a voce bassa, poggiandomi entrambe le mani sulle spalle. – Non sono stata io. Te lo giuro Svetlana. Tu devi creder-mi, fidati di me! –- Sss - La interruppi, sfiorando con le dita le sue labbra soffici – Lo so, lo so, anche volendo non avresti potuto,sbaglio, o abbiamo trascorso l’intera notte insieme? – Astrel mi regalò un sorriso dolcissimo, ed io lo regalai a lei con la stessa intensità d’emozioni. – Ho il sonno leggero, Astrel, non v’è battito d’ali che mi sfugga, fi-guriamoci se non mi fossi accorta che la mia compagna di stanza si dileguava con un passamontagna al volto e una torcia in mano! – Ironizzai, nel tentativo di smor-zare la gravità della situazione. Lei sorrise ancora, e nelsuo volto rifulse una nuova luce, una luce che attraver-

104

sando il ceruleo dei suoi occhi si fece incommensurabi-le, una luce, che mi pervase fin nell’abisso dello spirito.Sapevo che quello era il momento in cui insieme l’a-vremmo pronunciato, e le sue labbra che abbozzavano parole frammentarie mi diedero conferma di ciò.- Svetlana io… Sì ecco, io credo d’essermi-La Rosencrans apparve in presidenza cogliendoci di sorpresa, ad annunciarla neppure il calpestio dei suoi bassi mocassini sul corridoio. Liudmila sussultò dal-l’angolo in cui si era ritirata e smarrita accennò un salu-to alla donna, ma in replica non ricevette nulla. La pre-side si sedette alla scrivania con aria flemmatica, e giungendo le mani rese tangibile la superiorità burocra-tica che la separava da noi. La magia che aleggiava fra me e Astrel sfumò repentinamente, come una nuvola di vapore, al suo posto incombette la cruda realtà. - Avvi-cinatevi al mio tavolo. – Esordi la donna, mantenendo fisso lo sguardo sui pollici che roteavano l’uno intorno all’altro. In assoluto silenzio, avanzammo verso quella scrivania. La direttrice sollevò lo sguardo e ci fisso a lungo con aria imperturbabile, infine si schiarì la voce ecominciò a parlare.– Qualcuna di voi avrebbe l’accor-tezza di spiegarmi che caspita è accaduto in mensa? – Come un cane che voracemente abbranca il suo osso per non lasciarselo sottrarre, Liudmila prese la parola alvolo. – Signorina Rosencrans, mi rincresce aver creato il caos, ma la “new entry” della scuola mi ha rubato un anello questa notte. La direttrice si voltò verso Astrel edenfatizzò un’espressione di agghiacciante sbalordimen-to. Sgomenta da quanta sfacciataggine e sangue freddo potesse avere Liudmila, intervenni nella discussione con impulsività.

105

– Non è affatto vero! Liudmila ha inventato ogni cosa. Mi creda, è la verità. – La direttrice non diede peso alle mie parole, e rimarcando quell’aria apatica non si scompose di una virgola. - Signorina Astrel, ha mai sentito pronunciare la parola “reato”? Lo sa che i peggiori delinquenti cominciano sempre cosi? Prima qualche caramella al negozio d’ali-mentari, poi uno o due scippi per strada, e in men che non si dica si ritrovano dietro le sbarre costretti a restar-vi per molto, molto tempo. – Astrel si concesse una ri-sata nervosa, chiedendosi fino a che punto quella donnacredesse a ciò che affermava.– Probabilmente non ci siamo intesi. – M’intromisi an-cora, monopolizzando l’attenzione sul mio cipiglio. – Astrel non è una ladra. – La Rosencrans sbottò brutal-mente. – Adesso basta, Svetlana Yaroslavna! Ne ho abbastanzadel suo atteggiamento da paladina. Non voglio più ve-derla impicciarsi in questioni che non la riguardano, e se la scopro a spendere una sola parola in sostegno di quella squilibrata d’Irina, le faccio passare i guai! – Liudmila rise beffardamente – Irina! Lo sanno tutti che è pazza. - Forse era il caso dinon replicare alle impudenze della Rosencrans, ma sa-pevo che di lì a poco Astrel sarebbe stata punita, decisi dunque, di perseverare con caparbietà.- Perché finge di non intendere ciò che dico? Andiamo, è illogico che un ladro s’intrufoli in una stanza con l’in-tenzione di rubare, ma non porta via né soldi né oggetti di valore, limitandosi a sottrarre uno stupido anello che fra l’altro non è nemmeno d’oro. - La Rosencrans cor-rugò la fronte, il mio discorso filava così corretto che avrebbe voluto darmi ragione, ma non lo fece natural-mente. La situazione le stava sfuggendo di mano. Ave-

106

va chiesto lei a Liudmila d’architettare quella messin-scena, ma si aspettava che l’alunna benamata avesse maggiore sagacia nel rendere il tutto verosimile. Senza saperlo, avevo posto la direttrice in serio imbarazzo, e ora, la donna meditava a mani giunte sul da farsi. Il suo volto inespressivo non permetteva alla preoccupazione d’intravedersi, e il suo silenzio prolungato non lasciava spazio ai buoni pronostici.- Quando lei si rivolge a me, Svetlana Yaroslavna, tienea mente il concetto di gerarchia? Solo un folle s’arro-gherebbe la superbia di ammendare la direttrice della scuola. - Ormai mi ero cacciata in un bel guaio, e qual-siasi cosa avessi aggiunto, non sarebbe servita a mitiga-re la mia posizione. Ripiombando nel silenzio, la donnasi alzò dalla scrivania e si diresse verso il carrello porta vivande. Dalla sua collezione di liquori scelse un whi-sky e ne versò una piccola quantità in un bicchiere di cristallo. Dopo averne sorseggiato una goccia tornò allasua scrivania, e abbandonò il bicchiere accanto al fer-macarte. – Ieri mattina ho contattato un imbianchino, il muro di cinta del cortile ha l’intonaco che viene giù a pezzi. – Disse, tornando col bicchiere fra le mani. – Considerate le circostanze, credo sarà divertente per lei trascorrere un bel pomeriggio all’agghiaccio in compa-gnia di un pennello. – Un sorriso sornione modellò le sottili labbra di Liudmila “ Se ha punito Svetlana così, Astrel è praticamente espulsa dalla scuola. Oh, sono ge-niale, il mio piano ha funzionato alla perfezione! ” Pen-sò, reprimendo a fatica l’entusiasmo. – Si rivolga al si-gnor Vyacheslav Lavrov, lui le fornirà il materiale oc-corrente per tinteggiare il muro, e ora, uscite dal mio ufficio e lasciatemi lavorare. – Astrel era incredula, let-teralmente sdegnata da tanta cattiveria.

107

– Quello che sta facendo è vergognoso! – Sbottò, pene-trando la Rosencrans negli occhi con una sfacciataggineestranea al suo carattere. – Sono io la ladra, giusto? Al-lora punisca me. – La direttrice rispose dal dispotismo della sua poltrona, adottando un tono talmente freddo da apparire non umano. – Pare che la ragazzina londinese accusi difficoltà nel recepire concetti elementari: prendo io le decisioni al-l’interno di queste mura, la mia parola è irrefutabile. E adesso andate fuori dalle scatole! Vi concedo tre secon-di per sparire o incapperete in ben altri guai. – Amareg-giata dalla perfidia che incarnava quella donna, presi Astrel per mano e la condussi verso la porta.- Lascia stare, è solo una vecchia arpia malefica. – Le bisbigliai mentre andavamo via. Prima di congedarsi, Liudmila si attardò qualche momento fissando la Ro-sencrans a bocca aperta. “ Io non capisco. ” Pensò ag-grottando le sopracciglia “ La direttrice cercava un pre-testo per espellere Astrel, e ora che ne possiede uno fra le mani, non ne approfitta ma punisce solo Svetlana. Che diamine passa per la testa di quella donna? ” Liud-mila stava quasi per muovere la sua obbiezione, era sul punto di sbottare pretendendo delle spiegazioni che giu-stificassero quel comportamento illogico, ma la direttri-ce le intimò nuovamente d’uscire con un semplice, ma efficacissimo gesto della mano. Un lungo e fatiscente corridoio buio, una luce abba-gliante in fondo a esso. Sulle pareti riecheggiava l’eco dei suoi passi incalzanti, mentre il soffio del suo respirosi faceva trafelato. Col cuore in gola e a gran velocità, Irina saettava verso l’uscita. Voltandosi con un guizzo della testa, scorse Ivan correrle dietro come un toro in-ferocito, era troppo veloce, di lì a poco l’avrebbe rag-giunta.

108

– Fermati bastarda! Dannazione Ira, non fare la stronza,fermati ho detto! - Atterrita, la ragazza cercò d’accele-rare ulteriormente il passo sentendo le forze venirle meno. Tutto inutile, le possenti braccia d’Ivan l’ag-guantarono come arpioni, impedendole di proseguire la sua corsa. Sfiatata, Irina si dimenò e provò a colpirlo, voleva sferrargli un pugno, centrarlo dritto in faccia perfracassargli il naso. Non ci riuscì. Ivan era più forte e non si pose scrupoli nell’immobilizzarla spalle al muro.Ormai in trappola, la ragazza comprese di nulla potere contro il suo brutale aggressore, e con le lacrime agli occhi tentò invano d’indurgli compassione implorando-lo con indulgenza. – Ti prego lasciami andare, non voglio entrarci più nul-la in questa storia, ti prego Vanja, ti scongiuro. – Lui la puntava minaccioso.– Nessuna può uscirne Ira, lo sai a cosa vai incontro se tenti di scappare, vero? - Irina sentì le gambe cedere dalla paura e la voce bloccarsi in gola, nondimeno, cer-cò dentro sé la forza per reagire a quelle pesanti minac-ce. – E tu lo sai a cosa vai incontro se solo informo la poli-zia di quello che mi costringi a fare? A me e alle altre, naturalmente. - Le parole erano venute fuori di getto e senza mediazioni, mosse da un impulso disperato, lo stesso impulso che aveva spinto Ira ad affrontare testa atesta la persona che più di ogni altra, riusciva a farla ca-dere in un cronico stato di soggezione. Tuttavia, adesso attendeva timorosa la reazione del compagno di scuola, che preludeva già alquanto crudele. Ivan sentì un im-provviso bollore ardergli il viso. Come aveva osato unapersona insignificante, una semplice “femmina”, apo-strofarlo in quel modo? Il sangue gli ribollì in testa mandandolo in tilt. In preda a un raptus estrasse un col-

109

tello dalla tasca dei jeans, lo fece roteare più volte tra lemani, e poi, lo punto dritto al collo della ragazza. In-ghiottendo rumorosamente, Irina percepì la fredda lamadel coltello lambire minacciosa la sua pelle. - Non far-mi del male. - Fu l’unica cosa che riuscì a dire con un fil di voce – Ti prego abbassa il coltello. – Continuò. Terrificata dalla minaccia di una morte prematura, con-sapevole che Ivan aveva ormai abbandonato ogni facol-tà razionale, Irina immaginò che quel viso indemoniatofosse l’ultima cosa che le restasse da vedere. – Se solo ti azzardi a riferire mezza parola agli sbirri, se osi raccontare a qualcuno ciò che ogni notte fate per me, giuro che ti farò pentire amaramente d’essere venu-ta al mondo. Nessuno deve sapere, chiaro? - Irina annuìcon un cenno del capo, auspicandosi che il suo compa-gno di scuola le permettesse ora d’andar via. Ivan lesse il terrore negli occhi straziati della ragazza. Sapeva d’impugnare il coltello dalla parte del manico, e ciò gli donò un piacevole senso d’onnipotenza. - Sai che potreiammazzarti se solo lo volessi? Mi basterebbe aumenta-re la pressione sul tuo grazioso collo per mozzarti la ca-rotide. E ciò che vuoi, Irina? Morire da sola in un ma-gazzino desolato, sgozzata come un maiale da macello?Vuoi che il tuo corpo putrefatto sia rinvenuto nei fonda-li del Moscova? –- No! – Vociò stentorea la ragazza.- Bene, allora vedi di non farmi incazzare un’altra vol-ta. Devi fare la brava con me, lo sai. – Ivan ammiccò beffardo e aggiunse. – Questa sera c’è un mio amico che vorrebbe fare la tua conoscenza, si chiama Nikolaij,e sarà qui per le undici. Osa disertare l’appuntamento, eti farò conoscere il lato animalesco del mio carattere. -16 Un retaggio dal mio passato.

110

Le nuvole leggere carezzavano il cielo del tardo pome-riggio disegnando figure che solo la fantasia poteva de-cifrare. In piedi in mezzo al giardinetto del Majakov-skij, con le guance semi congelate e le mani sporche d’intonaco, osservavo il lavoro appena svolto. Il muro di cinta era stato ritoccato in tutto il suo perimetro, così come stabilito dalla Rosencrans per punire la mia inso-lenza. Le braccia mi dolevano tremendamente, dopo aver trascorso un intero pomeriggio a fare su e giù con un pennello colante di vernice, quasi non le sentivo più.Desideravo tornare in camera e fare una doccia calda, tuttavia, la panchina vuota alla mia destra assunse un inedito aspetto invitante, sedermi qualche momento pri-ma di tornare in camera era ciò di cui avevo bisogno. Attorno a me, sfumature autunnali e invernali si fonde-vano all’orizzonte del panorama. Il vento rapiva le fronde giallognole ai rami delle betulle per danzarvi in vivace armonia, poi le abbandonava ai loro destini, la-sciando che si adagiassero al bianco suolo per baciarlo di oro. Chiudendo gli occhi sotto la pressante stanchez-za, m’accorsi di quanto silenzio regnava in quel piccologiardino; nonostante la scuola fosse a soli due passi dal centro di Mosca, nessun rumore metropolitano riusciva a penetrare lo scudo silenzioso che vi aleggiava. - Ciao – Una voce calda e familiare giunse alle mie orecchie. Voltandomi, vidi Astrel raggiungermi e sedersi sulla stessa panchina malconcia che ospitava me. – Wow! – Esclamò meravigliata, sotto lo scricchiolio del legno marcio. – Lo hai dipinto tutto da sola? – Chiese, intuen-do quanto la domanda fosse retorica. – Ma, quel muro èalto un metro e lungo pressappoco altri nove, come hai fatto a pitturarlo in così poco tempo? – - Lavorando sodo. – Le risposi con voce ansante. – Il signor Vyacheslav si è prestato più volte ad aiutarmi,

111

ma ho preferito non farlo incappare nei rimbrotti di quella megera. -Astrel si fece incupita. – Spettava a me quest’incombenza, tu non meritavi una punizione così brutale. –- Nemmeno tu. – Replicai, ammirandola, anche con lo sguardo triste era bellissima. – La Rosencrans avrebbe dovuto punire Liudmila, è soltanto sua la colpa di tutto ciò. - Astrel fece spallucce rassegnata. – Sua, mia, ormai non fa alcuna differenza. Tutti qui, mi credono una ladra, e io non posso dimostrare il con-trario. –- Io resto comunque dalla tua parte, hai la mia parola. Qualsiasi cosa accadrà, non sentirti mai sola. - Astrel rapì la mia mano e la fasciò fra le sue dita inguantate e tiepide di lana.– E’ la prima volta che qualcuno fa questo per me. Tu mi hai difeso ostinatamente, hai perorato la causa di una ragazza che conosci da appena due giorni. Non eri obbligata, eppure lo hai fatto, certa di non ricavarne nulla se non guai. - Ciò che disse mi addolcì come mie-le, ancora una volta sentii il desiderio di baciarla e con-durla in me con passione. Astrel accolse le mie labbra econ trasporto m’inebriò della sua essenza. Baciandola, compresi di provare qualcosa in più che una semplice attrazione fisica, io mi ero perdutamente innamorata. Sì, amavo un’altra ragazza, l’amavo davvero. Ultima-mente scrivo al diario più del solito, con l’inchiostro imprimo domande che si sommano caoticamente alle altre già presenti. Ci sono così tanti quesiti in quelle pa-gine che una notte ho sognato di sfogliarle al contrario e di leggervi finalmente risposte esaurienti. Se solo con la realtà si potesse fare lo stesso! Magari, saprei già cosa mi vieta d’amare una donna, capirei perché la so-cietà non accetta con tolleranza le mie scelte sentimen-

112

tali, che di certo, non ledono la salute di nessuno.- Tu sei d’accordo con loro? - Domandai una volta al diario -Pensi che sia sbagliato innamorarsi di una ragazza? Come se si potesse scegliere. Certe cose succedono e basta. E poi, ti sembra che io abbia qualche problema? Forse tu non lo sai, ma le persone ignoranti consideranol’omosessualità una grave malattia, alcuni genitori con-sultano i migliori psicologi nello speranzoso tentativo di “guarire” i propri figli. - Tutto questo è umiliante perla dignità di una persona, non trovi ? – Tempo fa presi la metro, dovevo dirigermi al parco botanico. Mi sedettiin fondo al vagone, casualmente, vicino a due donne sulla quarantina che interloquivano amichevolmente. Indossavano dei colbacchi di volpe e avevano un mar-cato accento del sud. Parlavano del più e del meno, di-scorsi vaghi che non ricordo, solo una parte della con-versazione mi rimase spiacevolmente impressa. - Tu come reagiresti se un giorno scoprissi d’avere un figlio omosessuale? - Chiese una delle due donne, l’altra non rispose, quasi scandalizzata dalla domanda scabrosa, poi, con aria schifata disse - Oh mio dio! Preferirei mil-le volte essere la madre di un delinquente che di un gay.- Di colpo mi voltai verso quella donna e la fissai basi-ta, lei notò il mio gesto, e quasi volesse sfidarmi, mi punto negli occhi con ironica commiserazione. - Che c’è? Fai parte del club anche tu? Sei una di quelle? Oh, non vorrei mai venirti madre. - Lasciandomi senza pa-role, la donna si alzò e si diresse verso l’uscita, l’altra laseguì un po’ imbarazzata, e insieme scesero dal treno che si era appena fermato a una stazione. - Razzista pervertita! - La insultai con tutto il fiato che avevo in gola, alcuni passeggeri mi osservarono perplessi. Que-st’episodio, caro diario, lo porto dentro con dolore. Sono convita che se tu potessi parlare, mi diresti di ra-

113

gionare con obbiettività, e di capire che quelle parole sono state pronunciate da una donna stupida e xenofo-bica. Converrei volentieri con te, se non fossi certa che in fin dei conti l’intera società la vede così, soltanto, che alcuni preferiscono dissimulare i loro sentimenti sotto un infimo velo di perbenismo. In tutte le popola-zioni del mondo, da nord a sud, da est a ovest, la parola “omosessuale” suscita scandalo e vergogna. E’ come una colpa dalla quale ci si deve redimere, uno scheletro nell’armadio da tener ben nascosto. E non dirmi che un giorno le cose cambieranno, che l’uomo imparerà a se-guire l’amore ovunque lo conduca temendo soltanto l’odio, il tempo in cui ciò accadrà, è tanto recondito quanto l’infinito. –17 Diabolica perseveranza

Uscendo dalla presidenza, la Rosencrans spense la luce e chiuse a chiave la porta. Erano le ventitré passate, e inmezzo alla penombra del corridoio, la donna contava i passi che la separavano dal suo elegante appartamento, locato al penultimo piano dell’istituto. Fra le grinze del-la mano stringeva un mazzetto di chiavi e il manico del-la valigetta porta documenti. Giunta alla scala principa-le, scorse una sagoma scura stazionare sui primi gradi-ni. - Chi è là? - Domandò, mentre si avvicinava alla si-lhouette per svelarne l’identità. – Liudmila Borisovna! – Strepitò sorpresa, dopo averne riconosciuto il volto. – Che cosa ci fa qui? Sa che dopo le nove pretendo il massimo silenzio, e non tollero di vedere gente a bi-ghellonare per l’istituto. Torni in camera sua, adesso. - Liudmila fece orecchie da mercante, e comportandosi come se quell’appassionato rimprovero non le fosse mai stato posto, inveì contro la donna, dimenticando per un momento chi aveva di fronte.

114

– A che gioco stiamo giocando, signorina Rosencrans? Per quale motivo mi ha spinto a fare una cosa simile se poi non è servita a nulla? – Strillò, con il viso corruc-ciato. La Rosencrans non ebbe alcuna reazione appa-rente. Il suo sguardo cheto e imperturbabile strideva con la situazione animata.- Non so a cosa si riferisce, Liudmila. – Disse la donna con voce apatica. L’allieva indugiò qualche istante pri-ma di ribattere, la soverchia tranquillità della Rosen-crans la inquietava parecchio, quella donna era perfetta-mente in grado di gestire le proprie emozioni, per tale ragione le riusciva così semplice agire in maniera spie-tata.- Sa benissimo a cosa mi riferisco! -- No, non lo so. – Ribadì la donna cominciando a salire le scale.- Sto parlando di ciò che è successo oggi, del furto che mi ha costretto ad inscenare. - La Preside si fermò con ipiedi su due gradini differenti, e poggiandosi sul passa-mano si voltò verso l’allieva.- E allora? Il suo piano si è rivelato un fiasco, e lei ne pagherà le conseguenze. - Liudmila cominciò a frignaree a tirarsi i capelli.- Il mio piano era perfetto! Tutta la scuola ha creduto che quella stupida londinese mi avesse rubato un anel-lo, e stata lei che ha lasciato il furto impunito. Non è mia la colpa! - La Rosencrans rise sarcasticamente.- Sei proprio un’inetta, Liudmila. Una persona all’altez-za della situazione, non avrebbe mai congeniato un pia-no così balordo. Bastava che tu nascondessi soldi in quello zaino, una somma compromettente, ed io ti avreisubito appoggiato denunciando un furto di denaro dal mio appartamento. - Un silenzio repentino calò fra le

115

due. Liudmila incrociò le braccia e meditò a lungo su quella possibilità.– E va bene! – disse infine, ostentando scaltrezza. – Ho sbagliato lo ammetto, ma siamo in tempo per rimediare.Mi procuri dei contanti e vedrà di cosa sarò capace. - La Rosencrans sembrava persuasa, ma non lo diede a vedere. - Ci penserò su. - - Dunque… siamo d’accordo, mi concederà una secon-da chance? –- Ho detto: ci penserò su! – Sbottò la preside riprenden-do a salire le scale.18 La Far Dream

Una settimana dopo.Le buie e tranquille acque dell’oceano Atlantico ospita-vano l’imponente sagoma della Far Dream, una sfarzo-sa e rinomata nave da crociera, che più volte l’anno sal-pava da Southampton alla volta di New York. Il varo del raffinato transoceanico, avvenuto appena due anni addietro, era riuscito a sfatare tutti gli scetticismi e le polemiche per ciò che i media definivano “ La rinascita di un mito”, o con toni più sensazionalisti, “ Il Titanic riemerge dagli abissi ”. Si stentava a crederci, ma salire a bordo della Far Dream significava tornare al 1912 e rivivere il fascino di un gioiello sfortunato e dalla vita effimera. - Intendiamo restituire all’Inghilterra ciò che il mare le ha sottratto. Una volta terminata, la Far Dream diventerà la precisa copia del Titanic. – Così commentava l’architetto Charles Chatham ai microfoni della BBC. – A parte le nuove tecnologie adottate per i sistemi di propulsione e navigazione, lo stile architetto-nico della nave rispecchierà in ogni dettaglio quello del celebre transoceanico. Io e il mio collaboratore stiamo

116

lavorando alla ricostruzione del salone da pranzo, che realizzeremo in stile Giacomo I, con colonne dorate e suppellettili in argento. Anche le sale da lettura, decora-te con intarsi di madreperla su pannelli di mogano, fa-ranno fede alle originali. Il tocco finale sarà conferito dal grande scalone A, uno degli elementi ornamentali dimaggior spicco, insieme al cupolone di vetro che lo sor-monterà. – Il revival del Titanic apparteneva un po’ a tutti, all’orgoglio dei britannici come alla storia della navigazione, ma quel lusso galleggiante restava un pri-vilegio riservato a esigui facoltosi. Solo chi poteva ac-quistarne il biglietto avrebbe aperto le braccia al vento per farsi immortalare sulla prua della nave, partecipan-do poi, a un’indimenticabile festa a tema con abiti d’e-poca. L’attuale viaggio della Far Dream volgeva quasi al termine. Il suolo americano si stagliava all’orizzonte come un lungo nastro scintillante, spezzando con i suoi bagliori la monotonia della notte. Gli oltre duemila pas-seggeri si preparavano a scendere, poche ore di naviga-zione, e anche per loro un’esperienza indimenticabile sisarebbe conclusa. Stringendo a sé il cappotto, Lara pas-seggiava serenamente sul ponte di coperta. Adesso po-teva respirare una boccata d’aria fresca e scaricare lo stress accumulato durante una lunga settimana di lavoroa bordo. Il firmamento sovrastava il mare ornando la notte di magia. Il rumore dei motori si fondeva a quellodello scafo battuto dalle onde. Poggiandosi al parapetto,la ragazza lasciò che la brezza notturna le sfiorasse il volto. Osservando New York avvicinarsi sempre più, Lara capì d’avercela fatta. Era riuscita a scappare dal-l’Inghilterra, aveva abbandonato lo zio e le sue botte, e ora, un’infinita distesa d’acqua la separava dal vecchio continente, dal luogo in cui, anni tristi e dolorosi erano trascorsi inesorabili. Lì, in mezzo alle lucine metropoli-

117

tane, una vita nuova e carica d’aspettative attendeva solo d’esser vissuta, ma prima di raggiungerla, Lara do-veva superare un ultimo e decisivo ostacolo: il controllodoganale. La paura di non farcela, l’idea di vedere il suo sogno sgretolarsi rapidamente come un vaso di cre-ta, l’angustiava tremendamente. - Ho diritto anch’io a una vita migliore! – Protestò impetuosamente, rivolgen-dosi a un Dio che non credeva esistesse. - Lo so che c’èl’hai con me, lo so. Se così non fosse, non m’ avresti portato via i genitori a soli cinque anni, abbandonando-mi alle follie perverse di un porco senza scrupoli. Do-v’eri tu quando mi picchiava a sangue, o quando mi strappava gli slip con la bava alla bocca? - Lara interru-pe bruscamente quel dialogo, in realtà si trattava soltan-to d’un monologo, un monologo elegiaco inscritto nel vento e abbandonato ad esso. – Queste cose apparten-gono al mio passato, devo dimenticarle ad ogni costo! –Concluse singhiozzante, per non piombare in un perico-loso vortice di ricordi. L’odore pungente di una sigaret-ta accesa distolse Lara dai suoi turbamenti. Lo chef del-la nave si era avvicinato a lei con passo felpato, intento a scambiare quattro chiacchiere di congedo.- Ormai manca poco, Lara! – Esordì, con elegante ac-cento parigino. - Riesco già a vedere la statua della li-bertà. - Disse scherzosamente, gettando la sigaretta in mare. Sulla camicia bianca portava un cartellino plasti-ficato in cui v’era scritto il nome François, ma il raffi-nato chef si faceva chiamare Verner. Da molti anni la-vorava in giro per l’Europa, e nel fascino di città come, Varsavia, Vienna, Budapest e Praga, François amava deliziare i palati più esigenti col gusto di una delicata arte culinaria. Attualmente cucinava in mezzo all’ocea-no, regalando ai passeggeri della Far Dream, banchetti succulenti e imbanditi con le migliori prelibatezze.

118

- Che cosa farai adesso, Lara? - Chiese François accen-dendo un'altra sigaretta. - Ti prenderai qualche giorno di vacanza, prima di tornare a bordo? – Lara esitò un istante, lo chef non sapeva del suo contratto lavorativo inesistente.- No, non credo. Arrivata a New York ripartirò per Seattle. – Spiegò sbrigativamente.- Seattle? Quella vicino al monte Rainier? Dove Kenne-th Arnold disse d’aver avvistato degli ufo? Ho capito! Sei appassionata di dischi volanti. - Lara sorrise apprez-zando l’umorismo dello chef.- No, tutt’altro. A Seattle vive mio fratello, e ho inten-zione di trasferirmi lì con lui. -- Hai un fratello? Anche a me piacerebbe averne uno, o magari una sorella. Purtroppo, i miei genitori hanno la-sciato che restassi figlio unico. – Commentò François, con un retrogusto d’infantile malinconia. Lara lo osser-vò comprensiva.- In realtà, io e mio fratello abbiamo due madri diffe-renti, siamo fratellastri, ma a me non piace questa paro-la. -- E perché mai? – La interrogò lui.- Non saprei spiegarlo, sembra connotare una forma d’intolleranza reciproca, quella gelosia inconfessata cheti porta all’odio. Io e mio fratello, invece, ci siamo sem-pre voluti un gran bene, anche se abbiamo vissuto in case separate. –- In case separate? – Chiese lo chef, facendosi interes-sato.- Sì - Temporeggiò Lara, riflettendo su quanto fosse saggio raccontare le proprie vicende a un estraneo. – Purtroppo, i miei genitori sono morti a seguito di un grave incidente stradale. –- Ah, mi dispiace molto. –

119

- Per mio fratello è andata diversamente. Lui ha perso soltanto un padre fra le lamiere accartocciate di quella Mercedes, ed è cresciuto con la madre naturale, mentre io, ho trascorso l’infanzia con uno zio paterno. –– Sono certo che ti avrà cresciuto come fossi figlia sua. – Disse François, ignaro di quanto le sue parole suonas-sero sconvenienti. - Già… - Lara simulò un sorriso d’assenso, sforzandosi d’apparire credibile, quasi temesse che François potesseleggerle dentro e scoprire la verità.19 Il Gorki Park.

Mosca, MajakovskijUn plumbeo lunedì mattina era da poco cominciato. Nell’aula di chimica, gli allievi del primo anno svolge-vano taciturni la verifica scritta; dieci minuti ancora, e avrebbero dovuto consegnare il compito. La professo-ressa Tatjana Vasilevna Meštrovič, procedeva lungo la classe accertandosi che nessuno sbirciasse la scheda delcompagno a fianco, il rumore dei suoi tacchi a spillo riecheggiava fra le pareti. Seduta al penultimo posto con la scheda di verifica seppellita sotto un’infinità di prodotti make-up, Liudmila piegò più volte un biglietti-no di carta, e con un gesto rapido lo passò alla compa-gna antistante. La ragazza afferrò il biglietto con pru-denza, nascondendolo dentro la manica del maglione. Quando fu certa che la professoressa non potesse veder-la, lo dispiegò velocemente e lo lesse. Mi sei in debito. Mi devi un favore. Fatti trovare in biblioteca alle 17: 00, non un minuto più tardi! La ragazza si voltò verso Liudmila con aria interrogativa. – Che cosa vuoi dire? Perché sarei in debito con te? –Le chiese a bassa voce, scuotendo il biglietto fra le mani.

120

- Ne riparliamo più tardi. – Replicò Liudmila a labbra serrate, con in mano il rimmel blu cobalto che tanto le faceva gli occhi da cerbiatta. Stringendo la mano d’A-strel sfrecciavo giù per la scala principale. Erano le quattro del pomeriggio e avevo appena disertato la le-zione di biologia con un fantomatico mal di testa. - Svetlana, aspetta! Non così veloce. - Senza asseconda-re Astrel continuai a scendere esortandola a sbrigarsi.- Suvvia, Astrel! Dobbiamo far presto. Il signor Vya-cheslav potrebbe sbucare da un momento all’altro e scoprirci. - Quasi tutti gli studenti a quell’ora, seguiva-no i corsi pomeridiani, la Rosencrans invece, lasciava l’istituto per disbrigare alcune faccende. Quale momen-to migliore per abbandonare la scuola senza rischiare d’esser colti in flagrante? Furtivamente oltrepassammo l’uscita secondaria e procedemmo con passo circospettolungo il vialetto laterale, voltandoci più volte per ispe-zionare alle nostre spalle. L’ansia ci accompagno fino all’angolo, ma una volta svoltato, essa si confuse nel caos metropolitano. Le auto avanzavano sull’asfalto calcando la neve con i pneumatici e tingendola di un sudicio grigio fumo. I pedoni ai lati delle strade atten-devano l’accensione del verde per schizzare via al ritmodegli impegni personali, mentre parecchi metri sotto i loro stivali, vagoni brulicanti di gente saettavano nel buio dei tunnel. Al quadro di un’ordinaria giornata cit-tadina, faceva da sfondo un pallido sole che presto si sarebbe addormentato a ponente, sfumando i colori del giorno come pastelli su carta bagnata. Lungo la Via Mokhovaya Ulitsa, feci segno a un’auto di fermarsi. Il conducente sulla cinquantina decelerò accostandosi gradualmente sul ciglio destro della carreggiata. Pre-mendo un bottone vicino al volante abbassò il finestri-no anteriore e sorrise cordialmente.

121

- Buona sera! - Mi salutò. Aveva un’aria affidabile, e lasua macchina profumava di concessionaria. Dall’inter-no proveniva un ameno tepore, e la stazione radio su cui era sintonizzato stava trasmettendo un pezzo di Var-vara, Tayal sneg, il mio favorito, una ragione in più per salire. Ricambiando il saluto, mi rivolsi all’uomo chie-dendogli se fosse disposto ad accompagnarci al Gorki Park per la cifra di cento rubli. L’uomo accettò volen-tieri invitandoci all’interno. Mentre aprivo la portiera, notai che Astrel esitava a salire mostrando una certa diffidenza.- Su, Astrel, andiamo! Questo signore è disposto ad ac-compagnarci. – - Ma, lo conosci? – Mi chiese, sperando che rispondessidi sì. Sorridendo, compresi che Astrel non era cono-scenza di quella tipica usanza moscovita.- No, non lo conosco. – Le risposi con sincerità. – Vedi,qui a Mosca ci sono pochissimi taxi e quando la gente non ha voglia di prendere la metro, chiede dei passaggi a pagamento. Lo fanno in tanti, basta accordarsi sul prezzo. – Astrel obbiettò ancora incerta. - Una sorta d’autostop? -- Sì, più o meno. – Le risposi, mentre salivamo in mac-china e l’uomo partiva.- Che strano, a Londra sarebbe impensabile chiedere passaggi agli estranei. – Commentò lei, mentre la città scorreva oltre il finestrino.- Forse perché ci sono troppi autobus a due piani. – Ri-battei sorridente. Avvolta nella penombra crepuscolare, la biblioteca del Majakovskij riecheggiava i torvi silenzi di un’abbazia gotica. Davanti all’ingresso, alcuni docenti scambiava-no considerazioni sulla didattica colloquiando a voce bassa. Un allievo sedeva sulla scala a libretto consul-

122

tando assorto alcuni testi appena prelevati dallo scaffa-le, affiancato da un giovane che sgranocchiava biscotti salati. Al centro della stanza un inserviente dava la ceraal pavimento sperando di arrecare il minor disturbo possibile. Seduta a un tavolo da lettura con la lampada pieghevole accesa, Liudmila attendeva che la sua com-pagna di classe si presentasse all’appuntamento, e per ingannare il tempo sfogliava una rivista di moda. La ca-terva di libri classificati sugli scaffali poteva offrirle in-trattenimenti migliori di un semplice magazine che spiattellava modelle imbronciate e anoressiche, ma Liudmila sembrava allergica alla cultura, non riusciva a coglierne l’importanza. Soltanto lo shopping la rende-va appagata, o quelle intriganti serate trascorse a ciarla-re con le amiche tra una spennellata alle unghie e l’al-tra. – Non capisco perché la gente spreca carta stam-pando libri, quando potrebbe impiegarla per stamparvi rubli. – Diceva spesso e stupidamente, guadagnandosi ilbenestare di chi la pensava esattamente come lei. Dei passi svelti ed echeggianti attraversarono la biblioteca creando una sorta di fischio, simile a quello che accom-pagna i giocatori di basket nelle palestre. Liudmila li sentiva sempre più incalzanti, ma non si voltò. Sapeva già che la sua compagna di classe stava per raggiunger-la, soltanto lei poteva calpestare l’eleganza del Majako-vskij con delle inappropriate Converse.- Potresti spiegarmi quale oneroso debito mi lega a te? -Esordì la ragazza, richiamando Liudmila all’attenzione.– Sappi che io non ti devo alcun favore! – sbottò peren-toriamente. Liudmila si concesse un sorriso mordace.- Non mi devi alcun favore? Ne sei persuasa? -- Sì, ne sono assolutamente persuasa. – Ribatté la ra-gazza senza farsi intimorire da quell’atteggiamento bie-co.

123

- Ebbene, mettiamola così, carina: c’ero anch’io l’altra sera al Goldman, e ti ho vista quando ubriaca fradicia ti sei tolta il reggiseno e ti sei messa a ballare su una se-dia. - La ragazza avvertì i muscoli addominali contrasi in uno spasmo virulento che le troncò il respiro.- E con ciò? – Disse, sforzandosi di non far vacillare la voce.- Se ora non mi aiuterai in quello che ti chiedo, farò in modo che lo sappia tutta la scuola. – La studentessa ri-mase di sasso, una repentina sudorazione accompagnò le palpitazioni del suo giovane muscolo cardiaco.- E’ una minaccia questa? Raccontalo pure a chi vuoi, se non hai le prove per dimostrarlo, gli altri penseranno che siano i tuoi soliti pettegolezzi. -- Chi ti dice che non ho le prove? – Chiese Liudmila, porgendo alla compagna una busta bianca che aveva appena recuperato dalla borsa. La ragazza estrasse il contenuto della busta e lo fissò incredula, oltre dieci scatti la ritraevano ubriaca e svestita mentre con ilarità danzava attorniata da turisti americani.- Oh mio Dio… - Balbettò tramortita. – Non posso es-sere io. - Di quella serata le rimanevano pochissimi ri-cordi, l’alcol li aveva offuscati in un groviglio intricato di luci e suoni. Le foto che stava sfogliando supplirono al vuoto di memoria, con fredda obbiettività le mostra-rono un inedito aspetto del suo carattere, dove il senso del pudore era migrato negli sguardi di chi la osservava.– Come ho potuto spogliarmi davanti a tutti quei ragaz-zi? – Si domandò confusa, iniziando a stracciare le foto con dei movimenti brevi e tremolanti delle mani. Liud-mila non la fermò, le permise di ridurre gli scatti in brandelli.- Puoi anche bruciarle se vuoi, io non sono una sprov-veduta, le originali si trovano nel mio PC. -

124

- A chi le hai mostrate? – Domandò la ragazza, consa-pevole di dover cedere ai ricatti di Liudmila.- A nessuno finora. - Rispose lei osteggiando una flem-ma che risultava quasi cortese. - E nessuno ne verrà maia conoscenza, se tu mi aiuterai in ciò che ti chiedo. –- Dunque, non mi resta che pagare il tuo silenzio? –- Vedo che cominci a ragionare. – Commentò Liudmila,felice di poter piegare qualcuno alla propria volontà.- Dimmi che cosa vuoi! – L’asservì la giovane profon-damente umiliata.- Ecco, diciamo una mano d’aiuto per intrufolarmi in camera dell’ultima arrivata, non dovrai far altro che stardi guardia davanti l’uscio, mentre io do un’ occhiata all’ interno. –- Ma sei impazzita? – Strillò la ragazza – Sai benissimoche queste cose non si possono fare, pensa a come ci punirebbe la Rosencrans se ne venisse a conoscenza! – - Oh, come siamo fifone. – La canzonò Liudmila. - Hai paura della preside? Allora stai ben attenta, non vorrei che le tue foto finiscano per sbaglio in mezzo ai suoi documenti. –- No, ti prego! Liuda non farlo, i miei genitori ne ver-rebbero presto a conoscenza. – La supplicò la ragazza giungendo le mani come si fa innanzi a un’icona reli-giosa.- Aiutami, è l’unico modo per evitare che ciò accada. - Concluse Liudmila, con inamovibile fermezza. La cam-panella della scuola suonò puntuale alle diciotto. Il suo trillo acuto indicava la conclusione di tutte le lezioni e accompagnava per circa un minuto il caos di ragazzi che dalle aule si riversavano nei corridoi. Liudmila uscìdalla biblioteca con appresso la compagna di classe. La borsa sportiva che portava a tracolla conteneva una grossa somma di rubli, tutti in contanti, tutti vinti dalla

125

Rosencrans al casinò Arbat. “ Quando li avrai nascosti in camera della londinese, io denuncerò la scomparsa del denaro, e farò intervenire le forze dell’ordine. ” Il piano della preside superava d’ingegno il suo, e se pur amalincuore, Liudmila dovette ammetterlo a se stessa. Col senno del poi si pentì di non aver fatto altrettanto quando poteva agire nero su bianco, a ogni modo, una seconda chance per riscattare il suo errore si schiudeva all’orizzonte, e la giovane era fiduciosa di potersela ca-vare egregiamente. Stringendo a sé la borsa l’allieva si fece strada tra i ragazzi che congestionavano le scale, e dopo averle salite, s’incamminò per il corridoio ovest del primo piano; la sua compagna le stava dietro fissan-dola con sguardo accigliato. Le porte delle camere si susseguivano monotonamente tra venature di palissan-dro e targhette in ottone incise da numeri. Sui muri i volti d’insigni personaggi storici incorniciati nell’onori-ficenza dei quadri, parevano osservare le due ragazze con taciturno dissenso. Liudmila incalzò il passo fino a che non giunse innanzi all’uscio che le interessava. Ra-pidamente cacciò l’occhio in fondo al corridoio per sin-cerarsi che nessuno s’aggirasse nelle vicinanze, e con un gesto nervoso inserì una chiave nella serratura.- Chi ti ha dato quella chiave? – Domandò la ragazza, stazionando accanto a lei con una spalla poggiata al muro.- Questa chiave? Ehm… - temporeggiò Liudmila – Il signor Vyacheslav Lavrov. E’ la copia che tiene in por-tineria. - Concluse frettolosamente dando due giri di serratura.- Il signor Vyacheslav Lavrov? – Ripeté la ragazza con scetticismo. - Così è tuo complice? Andiamo, gliel’a-vrai rubata. -

126

- Chiudi il becco, dannazione! – Eruppe Liudmila, muovendo la maniglia verso il basso e aprendo la porta.- Resta qui e non ti muovere di un solo millimetro. - Ordinò minacciosamente, dirigendosi all’interno della stanza. Una delicata essenza di talco inebriò le sue nari-ci, ma lei non si lasciò sedurre e aggrottò il volto quasi fosse uno sgradevole miasma. La studentessa cominciò a scrutare intorno a sé con subdola indiscrezione . L’or-dine che dominava su tutto non serbava neppure un an-golo al caos, e ciò la colpì in modo particolare, la sua camera appariva un campo di battaglia al raffronto. Dal lampadario fissato al centro del tetto, pendeva giù un acchiappasogni in legno di salice. Le sue piume colora-te attingevano vita dall’aria, e fluttuando su ignoti itine-rari animavano il pavimento con ombre ballerine. Su tutti i vetri delle finestre, farfalle di carta lucida sfolgo-ravano in armonica allegria, eclissandosi a tratti nella seta celeste delle tendine. L’obiettivo precipuo di Liud-mila era di trovare un luogo strategico dove celare il de-naro, e sgattaiolare via a lavoro compiuto, ma il deside-rio irrefrenabile di sbirciare all’interno di beautycase e cassetti, tipico del suo carattere puerile, la costrinse a modificare parzialmente i piani d’azione. Vittima della curiosità, si diresse verso l’armadio e l’aprì. Vi frugò come una bambina che ammira di nascosto gli abiti del-la mamma, e fa un giro veloce sui tacchi affondandovi ipiedi. Poi corse a scartabellare alcuni giornali stipati sotto la scrivania, ma i periodici che trattavano di scien-ze e attualità non potevano interessarla. Infine, si recò nel bagno e cominciò a giocherellare con i prodotti ma-ke-up.- Liuda? Devi fare molto? Sono stufa di aspettare qui! –Protestò la ragazza dall’ingresso. Liudmila sussultò, e con le labbra imbrattate dalla sbavatura di un rossetto

127

uscì dal bagno. Forse era giunto il momento d’occupar-si del denaro, tuttavia, un portagioie ornato con pepite colorate e fili in oro, posto su un comodino, suscitò ai suoi occhi un’attrattiva irresistibile. “ Aprimi.” Sembra-va sussurrarle, “Vieni a scoprire cosa si cela al mio in-terno ”. Quasi ipnotizzata, la studentessa si avvicinò al portagioie, e lasciò che le sue mani vi si posassero len-tamente. Con entrambi i pollici premette sulla chiusura a scatto, e una volta apertala, la ragazza sollevò il co-perchio superiore del cofanetto. L’interno del portagio-ie era rivestito da elegante raso vermiglio, e tra fermaglie orecchini di vario genere, si nascondeva un piccolo diario dalla copertina rosa. Liudmila fissò il contenuto del portagioie con sguardo da predone, come un pirata che brama innanzi a uno scrigno che tracima dobloni. – Un diario, uno di quelli che non si fanno leggere a nes-suno! – Esclamò eccitata, recuperando il libricino. - Vola al di là della neve - lesse ad alta voce – Vola al di là della neve? – Si domandò, del tutto incapace di astrarne il senso. – Cos’è? Un catalogo per i tropici? – La giovane allieva si accomodò su uno dei due letti, pronta a cacciare il naso tra le pagine di un diario che non le apparteneva. Nessuno scrupolo le balenò in co-scienza detenendola dal violare i pensieri segreti che quei fogli custodivano, e avventurandosi nella lettura, s’imbatté in romantiche poesie, in citazioni famose e in aneddoti di vita. Nulla che fosse degno di ricevere la sua attenzione. Probabilmente, Liudmila si aspettava una piccante antologia di pettegolezzi con maldicenze d’ogni tipo, e magari, anche una serie di stuzzicanti epi-sodi a sfondo erotico arricchiti da minuziose descrizio-ni.Tuttavia, procedendo negli scritti, la giovane allieva rintracciò qualcosa che la sorprese. La sua espressione si tinse di sbalordito sgomento, più avanzava nelle ri-

128

ghe spostando le pupille da sinistra a destra, più artico-lava smorfie di sdegnato diniego. – Loro due…- realizzò con gli occhi sgranati dallo stu-pore. – Non posso crederci! E’ rivoltante. – commentò, percorsa da brividi di repellenza. Adesso Liudmila sa-peva. Adesso tutto sarebbe cambiato. Il diario, da sem-pre emblema di private confessioni, aveva inconsape-volmente tradito, prostrandosi inerte alla foga di fameli-ci occhi che ne avevan divorato il contenuto. Liudmila non era una ragazza dalla spiccata perspicacia, di que-sto nessuno poteva dubitarne, ma dal basso della sua in-genuità, ella comprese di possedere un’arma micidiale da scagliare contro la sua acerrima rivale inglese. Il de-naro era passato in secondo piano, quasi l’allieva non rammentasse più di essersi recata in quella camera con uno scopo determinato; d’altronde, se alla Rosencrans urgeva un pretesto per cacciar via Astrel dall’istituto, quell’insignificante diario gliel’avrebbe servito su un piatto d’argento. - Insomma, hai finito? – Sollecitò nuovamente la ragaz-za, facendo capolino dallo stipite della porta. Liudmila annuì alzandosi dal letto. Con un gesto accurato stirò la coperta in modo da cancellare il suo passaggio, poi tra-fugò il diario riponendolo nella borsa, e si allontanò in-sieme ai rubli.Il Gorki Park è uno dei più famosi e divertenti giardini di Mosca. Sorge proprio sulla riva del Moscova e si estende per circa tre chilometri. Al suo interno si trova un piccolo luna park dotato di ruota panoramica, e spes-so nell’auditorium del parco vengono organizzati con-certi rock. In estate, le barche che salpano dal molo ef-fettuano qualche escursione lungo il fiume, in inverno invece, i laghetti artificiali si congelano completamente,trasformandosi in sconfinate piste di pattinaggio. Perfi-

129

no gli Scorpions lo avevano citato in un loro brano “Wind of change” e lo scrittore Martin Cruz vi aveva ambientato un thriller agghiacciante nel suo libro dal ti-tolo omonimo. Con l’arrivo della stagione fredda, pote-vo tirar fuori dalla scatola i miei pattini da ghiaccio e recarmi al Gorki Park, dov’ero solita trascorrere interi pomeriggi slittando libera e veloce sulla gelida coltre che ricopriva le acque dei laghetti. Astrel mi aveva ap-pena confidato di non cavarsela bene sui pattini, che l’i-dea d’indossarli le faceva pensare a tutti i lividi che avrebbe contato sulle ginocchia e sui gomiti, eppure, adesso si trovava proprio lì, su un’enorme pista ghiac-ciata, insieme a me e a tanta gente che desiderava pro-vare l’ebbrezza di planare in tutta libertà.– Ti prego tienimi! Sto per cascare. – Letteralmente av-viluppata al mio braccio, Astrel tentava di mantenere l’equilibrio muovendosi con prudenza. – Andiamo, Astrel, non è poi così difficile; guarda me enon aver paura di cadere. – Astrel sembrò persuadersi econ cautela abbandonò la presa sul mio braccio. Vacil-lante abbozzò qualche passo scoordinato, sforzandosi digovernare i pattini che indossava ai piedi; due o tre giri di pista, e il suo portamento migliorò notevolmente. In men che non si dica la paura d’impattare sul ghiaccio divenne per lei un ricordo remoto, e se adesso stringe-va forte la mia mano, lo faceva per un’altra ragione. La pista era colma di gente quel pomeriggio, una danza ir-refrenabile di cappellini e sciarpe colorate che spicca-vano sul suolo bianco. L’aria fermentava di nuovi sapo-ri, con lei vicino, tutto gustava di zucchero filato. Con-cedendomi alla verve, liberai il cuore dai fantasmi che lo tormentavano, e tutte le mie paure, tutte le angosce, le preoccupazioni e la solitudine che regnavano tiranne,sfumarono d’improvviso quasi non fossero mai esistite.

130

“Una creatura rinata” è così che mi sarei narrata a qual-cuno che me l’avesse chiesto. Dal cielo bruno, nivei ba-tuffoli discesero al suolo sfiorando l’aria. Molti pattina-tori accolsero i doni dell’inverno approntando i palmi in aria, Astrel si fermò al centro della pista e ricambiò la carezza delle nuvole con un dolce sorriso che sbocciotra le sue gote arrossate dal gelo.- Sei la mia principessa. – Le sussurrai, convinta di vi-vere una favola romantica. Astrel mi condusse a un pal-mo dal suo volto.- Anche tu sei la mia. – Rispose, stringendomi le mani etrascinandomi via con lei. Insieme volammo come li-bellule, esplorando l’aria e lo spazio che ruotava com-plice intorno a noi, fino a quando, l’inesperienza d’A-strel sui pattini le causò una brusca scivolata che coin-volse anche me. L’impatto con il suolo fu duro, violento, ma nessuna di noi due si fece male. Una situazione esilarante, per certiaspetti anche un po’ imbarazzante. E’ con questi termi-ni che in genere si può descrivere una figuraccia, ma nel ricordo che serbo di quel momento, colgo solo delleromantiche emozioni. La dinamica “dell’incidente” fu tale, che ci ritrovammo l’una sopra l’altra, inevitabil-mente vicine e strette, fisse negli occhi come non mai. Stravaccate sul ghiaccio, sentivamo già i vestiti inzup-parsi d’acqua, ma le nostre risate c’impedirono di cu-rarci del freddo.- Svetlana? – Pronunciò Astrel, sfiorandomi la guancia con il suo guanto ricoperto di brina.- Dimmi. – Lei mi guardò con rilucente idillio, come fossi una dea, e per un incommensurabile momento cre-dei davvero d’esserlo.- Svetlana, io credo di… no, non lo credo, lo sento. Io sento d’amarti. – Tutto languì d’immediato, e il mondo

131

smise d’orbitarci intorno; suoni, luci, e colori, si ovatta-rono in un alone sfocato. Ora il resto non esisteva più. - Tu mi ami, Astrel?- Le domandai con un sussurro sfiatato, temendo d’aver udito male.- Sì, io ti amo. – Ripeté, con una dolcezza tale, che avrebbe reso in fiore anche gli sterpi. - Prima d’incon-trarti, la mia vita era un puzzle frammentato, un susse-guirsi caotico d’eventi che procedevano senza una coe-renza. Ogni giorno mi guardavo allo specchio e mi do-mandavo se valesse la pena continuare a respirare un’e-sistenza priva di pathos ma con te ogni afflizione tace, etutto riacquista il suo brivido vitale; sei la primavera che ha disgelato il mio cuore. - Quali soavi melodie! Erano dedicati a me quei voli pindarici? A una ragazza così delusa dalla vita, tanto da considerare l’amore un banale espediente per imbellettare romanzi?- Anch’io ti amo, Astrel. - Risposi, dichiarando amore per la prima volta. – Sento che tra noi fluisce un legameinscindibile, qualcosa che ci rende complementari, come in un incastro perfetto. -- Come la luna piena. - farfugliò lei, protendendo il vol-to verso il mio con le labbra struggenti di desiderio. La voglia di fonderci in un lungo e romantico bacio brillò nei nostri sguardi come la scia di una cometa, ma la gente continuava a slittare anonima in ogni direzione, e a noi non era concesso vibrare nell’abbraccio di Vene-re. Avremmo dovuto compiacere ai canoni del buon co-stume? Lasciare che essi spadroneggiassero in noi fa-cendo razzia dei sentimenti? Piegarci ai dettami di un’indole tiranna sarebbe equivalso ad assassinare la nobiltà dell’amore e a ripudiare la sublime ambrosia che ci offriva. Giungendo le nostre labbra ci baciammo con ardore; impudenti contro chi bofonchiava sbigottitoo ridacchiava imbarazzato; noi e soltanto noi, libere e

132

fiere di godere ciò che nessuno avrebbe mai potuto sot-trarci.La direttrice Rosencrans sostava di sbieco al colossale portone del suo istituto. Rattrappita dal gelo serale, la donna chiuse l’ombrello e lo sbatacchiò dal manico per scrollare via lo strato di neve depositatovi, poi liberò la mano sinistra dal guanto e scosse anche il colbacco. Liudmila osservò la scena attraverso una finestra del primo piano, e spedita corse giù per raggiungere la don-na, doveva parlarle assolutamente. La Rosencrans s’in-camminò all’interno del Majakovskij attraversando l’a-trio d’ingresso con andamento lesto; tra le rughe dei suoi lineamenti palesava la collera per l’ennesima scon-fitta al poker. - Signorina Rosencrans? - La chiamò Liudmila a gran voce, scendendo anelante l’ultimo gradino delle scale. A tracolla indossava ancora la borsa sportiva, che appe-santita balzava su e giù scontrandosi con i fianchi della ragazza. La preside si voltò verso l’allieva.- Cosa sono questi schiamazzi da carampana? – La boi-cotto inarcando la fronte e folgorandola con uno sguar-do truculento.- Devo riferirle qualcosa di molto importante. – Incalzò Liudmila. – Ho trovato un diario nella camera della nuova arrivata. – Spiegò affannata.- Lei ha trovato un diario? Oh, che romantico! – Repli-cò la donna con spregevole ironia – Mi parli del denaro piuttosto, in quale punto della stanza lo ha collocato? – Liudmila approntò il palmo della mano verso la donna, quasi a volerla interrompere, e galvanizzata proseguì il filo del suo discorso.- I soldi sono ancora qui, dentro la mia borsa: dopo ciò che ho letto -

133

- Come sarebbe? – Proruppe furente la Rosencrans, ghermendo Liudmila per il collo della camicetta e strat-tonandola con impeto. – Io le avevo chiesto una cosa. Una semplice, elementare, dannatissima cosa! Lei ha osato disobbedirmi. – Liudmila si divincolò tramortita eindietreggiò vacillando; il viso cremisi della preside avrebbe terrorizzato la paura stessa. - No, io non le ho disobbedito. Mi creda, c’è una spie-gazione plausibile a tutto ciò. –Si giustificò l’allieva, tentando di rabbonire l’ira incontenibile della direttrice.- Si è scavata la fossa con le sue mani, Liudmila Bori-sovna. -Sentenziò la Rosencrans con un infido ammic-camento.- Lei è in errore! – Obbiettò l’allieva, forte delle sue ra-gioni. – Sono convinta che cambierà idea dopo aver preso visione del diario che le mostrerò. – - Prendersi gioco di me la diletta? Sarebbe un tragico errore provarci, una nefandezza che le farei pagare amaramente. – Liudmila dissentì in eloquente silenzio.- Orbene – Esordì la donna, decisa a prestare udienza alla giovane allieva - mi delizi con le bazzecole di que-sto diario, e implori i santi affinché io non decreti la malaugurata sentenza di sbatterla fuori dal Majakov-skij. –

CONTINUA …

134