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SGUARDO SULLA STORIA DELLA CHIESA PRIMO MILLENNIO SGUARDO DI SINTESI DEGLI ARGOMENTI TRATTATI NEL PRIMO MILLENNIO Storia della salvezza – Storia della Chiesa Storia della salvezza. Il cammino di Dio con l’uomo, dall’origine della creazione sino alla passione-morte-resurrezione-ascensione di Cristo al cielo. Messa per iscritto nella Sacra Scrittura, completata con l’ultimo degli apostoli. Nella storia della salvezza Dio gradualmente rivela se stesso e il suo progetto salvifico. Storia della Chiesa: è sempre cammino di Dio con l’uomo. In questo cammino non rivela nulla di nuovo, ma aiuta l’uomo a realizzare quanto rivelato, nella mozione dello Spirito Santo. La storia della Chiesa si divine in quattro epoche: Storia della Chiesa antica: primi sei secoli Storia della Chiesa medievale: dal VI al XIII secolo Storia della Chiesa moderna: dal XIII al XVI secolo Storia della Chiesa contemporanea: dal XVI ad oggi. Argomenti trattati 1. CHIESA DELLE ORIGINI DAGLI ANNI 30-60. 2. PADRI APOSTOLICI 3. GLI APOLOGISTI 4. LE PERSECUZIONI: In una prima fase – fino al 250 – esse si dirigeranno soprattutto contro il nome “cristiano”, prendendo cioè di mira i singoli, in quanto accusati di praticare la fede cristiana; in una seconda fase – dal 250 in poi – le persecuzioni saranno più sistematiche, mirando a distruggere la Chiesa in quanto organizzazione (colpendo i suoi capi e le sue strutture) a smembrarla ed annientarla. 5. LE ERESIE Eresia, significa, prendere, scegliere, eleggere, una verità che diviene parziale fuori dal complesso armonico della verità. Il popolo cristiano oltre ad essere lacerato dalle persecuzioni dall’esterno, veniva anche colpito dall’interno con il sorgere 1

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SGUARDO SULLA STORIA DELLA CHIESA PRIMO MILLENNIO

SGUARDO DI SINTESI DEGLI ARGOMENTI TRATTATI NEL PRIMO MILLENNIO

Storia della salvezza – Storia della ChiesaStoria della salvezza. Il cammino di Dio con l’uomo, dall’origine della creazione sino alla passione-morte-resurrezione-ascensione di Cristo al cielo. Messa per iscritto nella Sacra Scrittura, completata con l’ultimo degli apostoli. Nella storia della salvezza Dio gradualmente rivela se stesso e il suo progetto salvifico.Storia della Chiesa: è sempre cammino di Dio con l’uomo. In questo cammino non rivela nulla di nuovo, ma aiuta l’uomo a realizzare quanto rivelato, nella mozione dello Spirito Santo.La storia della Chiesa si divine in quattro epoche: Storia della Chiesa antica: primi sei secoli Storia della Chiesa medievale: dal VI al XIII secolo Storia della Chiesa moderna: dal XIII al XVI secolo Storia della Chiesa contemporanea: dal XVI ad oggi.

Argomenti trattati

1. CHIESA DELLE ORIGINI DAGLI ANNI 30-60.2. PADRI APOSTOLICI3. GLI APOLOGISTI4. LE PERSECUZIONI: In una prima fase – fino al 250 – esse si dirigeranno soprattutto contro il nome “cristiano”, prendendo cioè di mira i singoli, in quanto accusati di praticare la fede cristiana; in una seconda fase – dal 250 in poi – le persecuzioni saranno più sistematiche, mirando a distruggere la Chiesa in quanto organizzazione (colpendo i suoi capi e le sue strutture) a smembrarla ed annientarla.5. LE ERESIE Eresia, significa, prendere, scegliere, eleggere, una verità che diviene parziale fuori dal complesso armonico della verità. Il popolo cristiano oltre ad essere lacerato dalle persecuzioni dall’esterno, veniva anche colpito dall’interno con il sorgere delle eresie, che deformavano l’identità di Cristo e inevitabilmente, della Chiesa e dei cristiani. La molta letteratura di questi primi secoli della Chiesa, attesta questa sofferenza ma anche gli interventi per salvaguardarla. Le eresie da un lato laceravano la Chiesa, ma dall’altro lato la spingevano a fortificare, con argomentazioni e riflessione, le sue motivazioni di fede, che vennero ad essere definite in modo dogmatico, per mezzo di alcuni concili.6. I PADRI DELLA CHIESA. Alcuni Padri greci. Alcuni Padri cappadoci. Alcuni Padri latini.7. CONCILI ECUMENICI. I concili ecumenici (cioè concili della chiesa universale, e non soltanto di una o più chiese particolari) celebrati nel primo millennio, sono di importanza fondamentale per la formazione e lo sviluppo del dogma di fede. Essi sono i seguenti otto:

1. Nicea I (325); 2. Costantinopoli I (381); 3. Efeso (431); 4. Calcedonia (451); 5. Costantinopoli II (533); 6. Costantinopoli III (680-681);

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7. Nicea II (787), 8. Costantinopoli IV (869-870).

Sono tutti concili indetti da imperatori, e celebrati in località dell’oriente cristiano.8. LA SVOLTA COSTANTINIANA9. IL MONACHESIMO10. IL MEDIOEVO. I Epoca (500-700) ðIncontro. II Epoca (700-1050) ðFusione. III Epoca (1050-1300) ðDistinzione. IV Epoca (1300-1500) ðDecadenza o dissoluzione.

INIZIO

Storia della salvezza – Storia della ChiesaStoria della salvezza. Il cammino di Dio con l’uomo, dall’origine della creazione sino alla passione-morte-resurrezione-ascensione di Cristo al cielo. Messa per iscritto nella Sacra Scrittura, completata con l’ultimo degli apostoli. Nella storia della salvezza Dio gradualmente rivela se stesso e il suo progetto salvifico.Storia della Chiesa: è sempre cammino di Dio con l’uomo. In questo cammino non rivela nulla di nuovo, ma aiuta l’uomo a realizzare quanto rivelato, nella mozione dello Spirito Santo.La storia della Chiesa si divine in quattro epoche: Storia della Chiesa antica: primi sei secoli Storia della Chiesa medievale: dal VI al XIII secolo Storia della Chiesa moderna: dal XIII al XVI secolo Storia della Chiesa contemporanea: dal XVI ad oggi.

11. CHIESA DELLE ORIGINI DAGLI ANNI 30-60.GLI INIZI DELLA CHIESA VIVE A GERUSALEMME11.1. I suoi inizi con la Pentecoste (At 2,1-13)11.2. Comincia la sua crescita, con il primo discorso di Pietro (At 2, 14-41)11.3. Stile di vita dei primi cristiani (At 2,42-47)11.4. Pietro guarisce uno storpio alla porta Bella del Tempio, dopo un suo discorso al tempio, viene arrestato insieme a Giovanni e rimessi il giorno dopo in libertà (At 3,1-25; 4,1-22)11.5. La prima comunità cristiana di Gerusalemme condividono i loro beni (At 5,1-11)11.6. Secondo arresto degli apostoli, liberati dall’angelo del Signore (At 5,17-32) 11.7. Intervento di Gamaliele a favore degli apostoli (At 5,34-42)11.8. Comincia la distinzione dei ministeri, nascita dei diaconi (At 6,1-7)11.9. Arresto di Stefano, suo discorso, martirio (At 6, 8-15; 7, 1-60)

SI COMINCIANO A VALICARE I CONFINI DI GERUSALEMME11.10.Si comincia ad uscire dai confini di Gerusalemme, nelle regioni della Giudea e della Samaria (At 8,1-4)11.11.Nascita di una comunità cristiana in Samaria, accolgono la parola, vengono battezzati. Pietro e Giovanni si recano per fare dono dello Spirito Santo (At 8, 9-17)11.12.Conversione di Paolo (At 9,1-18)

COMINCIA LA DISTINZIONE TRA GIUDAISMO A CRISTIANESIMO11.13.La non esigenza della circoncisione per essere battezzati (Passaggio giudaismo-cristianesimo). Cornelio, discorso di Pietro nella casa di Cornelio, Pietro dona ragioni del suo agire ai giudei-cristiani. (At 10, 1-44; 11, 1-18)

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11.14.Ad Antiochia sorge una comunità cristiana. Da Gerusalemme viene inviato Barnaba. In questo luogo vengono chiamati per la prima volta cristiani. (At 11,19-26) 11.15.Altro arresto di Pietro da parte di Erode, liberato da un angelo (At 12, 1-19)11.16.Concilio di Gerusalemme (49) (At 15, 1-29)11.17.Prima grande persecuzione sotto l’imperatore Nerone. A causa di un incendio che devastò la città di Roma furono colpevolizzati i cristiani. Pietro crocifisso a Roma con la testa in basso, tra il 64-68, nello stesso periodo Paolo fu decapitato. 11.18.Tra il 70 e il 90 furono definiti i vangeli, primo quello di Marco, ultimo quello di Giovanni, quando furono scritti quelli di Matteo e di Luca questi già erano alla conoscenza di quello di Marco. Intorno al II secolo si definisce tutto il Nuovo testamento.

12. PADRI APOSTOLICII padri apostolici, sono prossimi agli apostoli, hanno avuto contatti e relazioni con gli apostoli, o in modo diretto, oppure sono i primi depositari della tradizione apostolica. Quindi si pongono in quel periodo successivo al tempo definito post-apostolico.12.1. San Clemente di RomaClemente di Roma: vescovo di Roma, terzo nella successione di Pietro (Lino, Anacleto, Clemente…), scrive una lettera alla comunità cristiana di Corinto intorno al 95/96. In questa lettera, nei toni in cui viene scritta, si afferma: 1 - il primato che la Chiesa di Roma esercita verso tutte le altre Chiese.2 – la gerarchia ecclesiastica, per mezzo della successione apostolica: ci si unisce agli apostoli, da questi a Cristo, per Cristo al Padre. La successione apostolica garantisce l’unità con Cristo, in Cristo, per Cristo e con Cristo al Padre. 3 – Emergono questioni del dogma cristologico: Cristo è presentato come lo scettro della maestà divina, l’irradiazione della gloria del Padre, il Salvatore e il Redentore di tutti gli uomini.4 – Emerge nello scritto anche il dogma trinitario.

12.2. Sant’Ignazio di AntiochiaSant’Ignazio vescovo d’Antiochia, scrive delle lettere ad alcune Chiese (Efeso, Magnesia, Tralli, Roma, Troade, Filadelfia, Smirne) durante il viaggio da Antiochia a Roma, che lo condurrà al martiro, subìto assieme ai due compagni Zosimo e Rufo. A Roma infatti egli sarà consegnato alle fauci delle belve. Le sue lettere sono di genere esortativo, scritte velocemente nel poco tempo a sua disposizione, e nella condizione di travaglio di uno che sta per essere condotto al martirio. Preme al vescovo rivelare la sua fede cristiana, il desiderio di raggiungere Cristo. Questi gli argomenti trattati nelle sue lettere: Ecclesiologico: Primato di Roma. Dona consigli di fede, ma non comandi, riconosce questo ruolo alla Chiesa di Roma. Ecclesiologico: La Chiesa è in unità con l’autorità. Essa non è una realtà di amici, ma Cristo è il fondamento dell’unità. Cristo Gesù è invisibile fondamento della Chiesa cattolica, i Vescovi sono fondamento visibile di unità presso il popolo da essi governato. Da Cristo il pensiero del padre, dai vescovi il pensiero di Cristo. Dogmatica: Cristologia. Ignazio afferma la reale carne di Cristo, contraddicendo gli gnostici i quali negavano la carne e la vita reale di Cristo. Afferma anche la reale carne di Cristo nell’Eucarestia. Spirituale: Ascetismo. Vede nel martirio la via per essere totalmente in Cristo (vedi pag. 419, Storia della Chiesa, vol. I la Chiesa primitiva). “Lasciate che venga immolato, scrive, mentre l’altare è pronto… Lasciatemi diventare preda delle fiere; per loro mezzo raggiungerò Dio. Io sono il grano di Dio; sia io macinato dai denti delle fiere per diventare il pane bianco del Cristo”. Probabilmente questo supplizio si consumò nel Colosseo, la cui costruzione ebbe inizio con Vespasiano per essere completata sotto Domiziano.

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Dogmatica: Trinitaria. Nelle sue lettere emerge la distinzione tra il Padre e il Figlio. Unità nella natura, distinzione nelle persone. Ignazio sviluppa il suo pensiero teologico a partire dall’insegnamento di Paolo e dall’apostolo Giovanni, del cui Vangelo egli mostra di conoscere il testo scritto (a differenza di Clemente, vissuto quindici anni prima).

12.3. Policarpo di SmirnePolicarpo è contemporaneo di Ignazio d’Antiochia. Sant’Ireneo ne racconta il martirio avvenuto nel 155. Nella sua lettera ai Filippesi (in cui egli dona garanzia alle lettere di Ignazio), si ha un esempio della morale e della predicazione cristiana dei primi due secoli della Chiesa. La lettera esorta alla retta fede, al ricordo della morte e resurrezione del Signore, a seguire l’esempio di Cristo facendo riferimento al discorso della montagna. Lo scandalo del presbitero Valente e della moglie, noto a tutti nella Chiesa di Filippi, diventa occasione per esortare alla condanna del vizio dell’avarizia, alla pratica della carità sincera, a perseverare nella retta fede e nella pazienza dinanzi alla persecuzione e all’eresia. Policarpo è legato all’ortodossia e ama l’unità della Chiesa.Il martirio di Policarpo. Su sollecitazione dei fedeli, Policarpo fuggì in campagna, dove fu trovato dai soldati, ai quali si consegnò, chiedendo anche che venisse dato loro da mangiare, mentre egli si ritirava in preghiera per due ore. Mentre era condotto verso il martirio, cercavano di persuaderlo a rinnegare Cristo, ma egli con molto convincimento si rifiutò: “Perché devo bestemmiare contro il mio re e Salvatore, lo servo da ottantasei anni, non mi ha mai fatto nulla di male”. Per questo venne arso sul rogo, dal quale tuttavia non proveniva odore di carne bruciata, ma profumo d’incenso o di qualche profumo prezioso. Quando infine venne colpito con un pugnale, dalla ferità uscì tanto di quel sangue da spegnere il rogo. 12.4. Altri testi del periodo apostolicoSono testi dei quali non si conoscono gli autori. Essi ci aiutano a rintracciare alcuni elementi di sviluppo della Chiesa dei primi secoli. La Didaché (dottrina dei dodici Apostoli). Ha le caratteristiche di un piccolo libro di catechismo, un vademecum per la liturgia, un testo di devozioni. Nel testo è ancora molto presente l’influenza giudaica, mentre non si ha traccia, ancora, del problema delle eresie. La gerarchia appare poco sviluppata, si parla della venuta di Cristo, come anche della liturgia eucaristica della domenica. Probabilmente l’autore di questo scritto è giudeo-cristiano: lo si deduce dai molti riferimenti all’Antico Testamento, dai numerosi riferimenti al Vangelo di Matteo, dal calcolo dei giorni della settimana fatto alla maniera giudaica, dalla prescrizione dell’astinenza degli idolotiti. I destinatari si presume siano giudei convertiti al cristianesimo.Lettera di Barnaba: alcuni vorrebbero attribuirla all’apostolo San Barnaba. Si divide in due parti: la prima è una controversia contro il giudaismo; la seconda tratta in prevalenza la questione morale (la via del bene e del male).Lettera a DiognetoIl Pastore di Erma: scritto certamente non di speculazione teologica. Testo frammentario, tratta di cinque visioni, di dodici comandamenti e dodici parabole. Nella prima parte la Chiesa viene presentata con diversi simboli, in quattro visioni successive; nella seconda parte si parla della rivelazione del Pastore (angelo che, nelle sembianze di un pastore, si rivela al romano cristiano Erma), il quale esorta i cristiani ai loro doveri e alla penitenza. Lo stesso tema è affrontato anche nei comandamenti e nelle parabole. Nei primi due secoli, a partire dai Vangeli, prendono gradualmente forma la vita liturgica, la preghiera, la celebrazione eucaristica, la liturgia battesimale. Si giunge anche a definire il Credo Apostolico (vedi pag. 467.468).

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13. GLI APOLOGISTIQuando nell’Impero romano, in cui prosperava l’idolatria, il numero dei cristiani iniziò a crescere considerevolmente, la fede cristiana iniziò ad attirare le attenzioni e l’ostilità delle autorità romane e dell’opinione pubblica. Ciò costringerà i cristiani a praticare il loro culto nel nascondimento, fatto che però contribuirà ad alimentare alcune calunnie a loro sfavore: essi venivano accusati di pratiche immorali come l’incesto (solo perché tra di loro si chiamavano fratelli e sorelle) e il cannibalismo (perché nell’Eucaristia si cibavano della carne e del sangue del Signore). Erano accusati inoltre di eresia (per il rifiuto di riconoscere gli dèi romani) e di essere contro l’Impero (di sovvertirne le tradizioni, le usanze, le leggi e di non riconoscere l’autorità dell’Imperatore). In questo contesto vivono e operano gli apologeti, uomini di cultura filosofica che hanno difeso la fede cristiana, soprattutto presso gli uomini di governo dell’Impero e i dotti pagani. Essi hanno cercato di introdurre il messaggio evangelico presso gli strati più colti della società romana, utilizzandone le categorie e il linguaggio (ovvero la filosofia stoica e platonica), ma senza tradire la sostanza del messaggio evangelico. A causa di questa loro attività, talvolta saranno accusati – dagli stessi cristiani – di aver “ellenizzato” e falsato la parola di Dio. Essi sono invece da lodare e da prendere come esempio, poiché con la loro opera hanno favorito la diffusione e la comprensione della Parola di Dio, nel mondo in cui vivevano. (È quello che farà molti secoli dopo Tommaso d’Aquino, quando introdurrà la teologia come scienza nelle università, e per fare questo utilizzerà le categorie aristoteliche). Gli apologisti, giustificavano il cristianesimo mostrandolo come rivelazione divina, ma anche religione di ragione. Smentivano le calunnie che venivano mosse contro i cristiani, accusati di essere “nemici del genere umano”, mostrando come essi fossero i più fedeli nel servizio allo Stato. Si chiedeva per loro giustizia e diritto di vivere. 13.1. Quadrato, si presume discepolo degli apostoli, è il più antico apologista, scrisse intorno al 123-124 all’imperatore Adriano, in difesa dei cristiani.13.2. Aristide, intorno al 150 espose ad Adriano (o forse più probabilmente ad Antonino Pio) con uno scritto la dottrina evangelica dei cristiani.13.3. Melitone di Sardi, del suo scritto apologetico si conosce solo il titolo; qualche brano del testo è riportato da Eusebio. Egli scrisse a Marco Aurelio verso il 167.13.4. Atenagora, filosofo di Atene, scrisse a Marco Aurelio nel 177. Gli presenta la Legatio, oppure Supplicatio pro Christianis, con toni garbati (a differenza di Melitone), senza colpire rudemente, polemizzando contro gli avversari dei cristiani. Con rispetto parla dell’impero, e della sua vita intrecciata con quella dei cristiani. Esalta la vita e i costumi dei cristiani: anche se molti di essi forse a parole non erano in grado di spiegare il loro credo, l’esempio della loro vita lo esplicitava perfettamente. Scrive anche il De resurrectione mortuorum, dove afferma il mistero della resurrezione dei corpi, verità difficile da accettare per i pagani (i quali accusavano i cristiani di contraddizione, dicendo: se un corpo risorge, perché allora i cristiani accettano che venga trucidato con il martirio?).13.5. San Teofilo, è il settimo vescovo di Antiochia, scrive la sua apologia dal titolo Ad Autolycum libri tres. Il destinatario, Autolico, è un pagano, amico di Teofilo, al quale espone la dottrina su Dio distinguendo le tre persone divine. È forse il primo ad utilizzare la parola trias (triade) in riferimento alle persone divine, contraddistinguendole con il termine: Dio, Verbo e Sapienza.13.6. Taziano discepolo di Giustino, da difensore della dottrina cristiana, diventerà eretico. Espulso dalla comunità cristiana di Roma, in Siria fonderà la setta degli encratiti. Essi presumevano che attraverso la severa mortificazione del corpo, si potesse essere liberati dall’influsso dei demoni; per questo disprezzavano il matrimonio, considerandolo come peccato, rifiutavano il gusto del vino e della carne. Taziano è colui che ha cercato di unificare le narrazioni dei quattro vangeli in una sola esposizione (facendo una specie di collage dei testi), nel cosiddetto Diatessaron (secondo quattro).

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13.7. San Giustino, figlio di una famiglia non cristiana della Samaria. Cercatore della verità, per questo frequenta diverse scuole di filosofia, senza riuscire ad appagare la sua sete di verità, prima di trovare ristoro nel cristianesimo. Egli approda alla fede osservando l’intrepidezza dei cristiani davanti ai giudici, al supplizio e alla morte. Essi erano accusati di vivere nel male e nei vizi, ma la loro esemplarità di fronte al martirio, rivela a Giustino la falsità di quelle accuse: “Quale uomo, dedito ai vizi, tollera così volentieri le privazioni dei beni e la morte?”. Sebbene Giustino riconosca nelle filosofie dei semi di verità, egli indica il cristianesimo “come l’unica, utile e sicura filosofia”. Egli è colui che saprà coniugare il concetto filosofico di logos, con il Logos divino del cristianesimo, per mezzo del quale gli uomini vengono creati, il Logos che è uscito dal seno del Padre, è persona ed è subordinato al Padre.Giunto a Roma aprirà una scuola. Le sue opere sono otto, ma ne conosciamo soltanto tre: l’Apologia maggiore; la seconda Apologia; il Dialogo con Trifone giudeo (ebreo). Nel 165 sarà denunciato come cristiano alle autorità e, avendo rinunciato a sacrificare agli idoli, decapitato insieme ad alcuni dei suoi discepoli.L’Apologia maggiore, composta nel 150, è indirizzata all’imperatore Antonino Pio, ai suoi figli adottivi Marco Aurelio e Lucio Vero, al senato e al popolo romano. Si compone di 68 capi. Su terreno filosofico, Giustino tratta del cristianesimo come religione divina e umana, in quanto coinvolge la ragione dell’uomo. Affronta la questione delle persecuzioni dei cristiani, invitando i governanti a giudicare secondo giustizia, constatando che mentre “uomini di verità” vengono condannati, vengono lasciati liberi gli apostati. Giustino riconosce che è vera l’affermazione dei governanti romani nel dichiarare i cristiani “atei”, se la si intende per rapporto alla moltitudine dei loro dèi, ma non per rapporto all’unico e solo Dio. Dalla sua apologia veniamo a conoscenza anche dello stile cultuale delle comunità cristiane: la domenica si celebrava l’Eucarestia, distribuita ai presenti e portata agli assenti dai diaconi. La seconda Apologia, scritta intorno al 160, in continuità con la prima, è composta da 15 capi.Il Dialogo con Trifone giudeo (ebreo), si colloca ad Efeso nel 135. In questo scritto egli mostra al suo interlocutore come, con l’avvento di Cristo e della religione cristiana, fosse decretata la fine della legge mosaica: il popolo eletto, il novello Israele, è il popolo dei cristiani, eredi delle promesse antiche. Nello scritto si riscontrano anche delle inesattezze: circa l’Onnipotenza di Dio, il Verbo, la natura degli angeli e delle anime umane. Ai tempi di Giustino andava di moda la dottrina del millenarismo, tesi secondo cui le anime degli eletti dovevano regnare con Cristo per mille anni sulla terra, prima del giudizio universale.

14. LE PERSECUZIONI14.1. Le cause. I romani erano stati piuttosto tolleranti verso la religione giudaica, che al pari del cristianesimo non riconosceva gli idoli pagani. Verso i cristiani invece – che pure avevano nel giudaismo le loro radici, ma che gradatamente si andavano distinguendo da esso – gli imperatori romani assumeranno un atteggiamento totalmente diverso. Questo perché i cristiani, a differenza dei giudei (che formavano una piccola nazione a sé stante nell’impero), non costituivano un fenomeno circoscritto: la loro fede non conosceva confini di nazione, razza, lingua, ma coinvolgeva sudditi di ogni ceto sociale in ogni parte dell’Impero; un fenomeno scomodo, impossibile da controllare, che veniva perciò avvertito come una minaccia, come un corpo estraneo all’interno della società dell’Impero. Un fattore determinante, era il rifiuto dei cristiani di adorare gli idoli e la statua dell’Imperatore: essi in questo modo si dissociavano dal “culto pubblico” che costituiva un fattore di unità all’interno del vasto Impero, formato da numerosi popoli con usanze e tradizioni religiose diverse. Per questo motivo i cristiani saranno additati come “nemici del genere umano” e ribelli, ed inoltre calunniati con accuse infamanti, come praticare la magia, l’incesto, l’infanticidio e il cannibalismo. Le persecuzioni si abbatteranno sui cristiani ad ondate successive, e secondo modalità diverse. In una prima fase – fino al 250 – esse si dirigeranno soprattutto contro il nome “cristiano”, prendendo cioè di mira i singoli, in quanto accusati di praticare la fede cristiana; in una

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seconda fase – dal 250 in poi – le persecuzioni saranno più sistematiche, mirando a distruggere la Chiesa in quanto organizzazione (colpendo i suoi capi e le sue strutture) a smembrarla ed annientarla. Nei secoli di persecuzione, molti sosterranno con coraggio il martirio, per la loro adesione inamovibile a Cristo Signore, ma molti altri abbandoneranno la fede (apostati), dinanzi alla minaccia di morte: la situazione di questi ultimi, darà origine al problema dei “Lapsi” (di cui parleremo in seguito).14.2. Prima fase (I-II secolo) fino all’imperatore Decio 249/251:Nerone: sotto il suo impero il cristianesimo conosce la prima, feroce persecuzione. L’occasione è data dall’incendio di alcuni quartieri romani – che si presume appiccato per ordine dello stesso Nerone, per accrescere i suoi palazzi – di cui saranno accusati i cristiani. Sotto Nerone trovano il martirio Pietro e Paolo tra il 64-65 (o tra il 67-68, secondo una versione che vuole Pietro vescovo di Roma per 25 anni, dal 42).Tempo di pace sotto gli imperatori Flavii: Vespasiano e Tito. I due imperatori, per scostarsi dalla linea del predecessore – il quale non aveva lasciato un lodevole ricordo – non si opporranno ai cristiani, i quali nell’impero conosceranno non solo un periodo di pace, ma anche di considerazione. Vespasiano e Tito, pur essendo i distruttori della città di Gerusalemme (assediata e rasa al suolo nel 70), non mostrano di avere preconcetti verso una religione nata dal giudaismo. Domiziano. Passato alla storia come imperatore tiranno e ombroso, egli fa scoppiare una persecuzione contro i cristiani nel 95, infliggendo inoltre pesanti imposte per abbellire la città di Roma. Finirà assassinato nel 96. Nerva. Sotto il suo regno (due anni) i cristiani conoscono un periodo di pace. Traiano. Salito al potere, proibisce con un decreto ogni associazione non autorizzata: una disposizione che si ripercuoterà inevitabilmente sui cristiani. Sotto il suo regno trovano il martirio Clemente di Roma, terzo nella successione di Pietro (martirizzato attorno all’anno 100), Simeone successore dell’apostolo Giacomo alla guida della Chiesa di Gerusalemme (il cui martirio è collocato intorno al 107) ed Ignazio di Antiochia (cfr. sopra). Adriano. Sotto l’imperatore Adriano la persecuzione per i cristiani non trova tregua, fomentata dal diffondersi di accuse calunniose, sostenute anche dai letterati: accuse di dividere l’impero, di praticare magie, riti orgiastici, e altre cose abominevoli. Sotto Traiano trova il martirio il papa Telesforo (136/138). Molti cristiani sono martirizzati in Umbria.Antonino. Figlio adottivo di Adriano, pur mostrandosi meno accanito del padre, farà osservare le disposizioni emanate dal suo predecessore. I cristiani in questo periodo cercheranno di dare ragione del loro credo attraverso le apologie, scritti nei quali si spiega che il cristianesimo è una religione innocua e benefica, che non c’è motivo di temere né di affliggere con crudeltà. Sotto Antonino trova il martirio Policarpo di Smirne (anno 155). Marco Aurelio. Proseguirà sulla linea dei suoi predecessori. Uomo di filosofia, egli giudicava i cristiani poco intelligenti, osservando come accettassero con fierezza la sofferenza del martirio, che per lui era invece deplorevole e indegno. Sotto il suo regno molti cristiani troveranno il martirio in diverse provincie dell’impero, tra di essi Santa Cecilia. Pace sotto Commodo. Figlio di Marco Aurelio, sarà etichettato come sovrano crudele e spietato dai senatori, ma il suo governo vedrà una fase di distensione nei rapporti tra l’Impero e la Chiesa. A ciò contribuì la presenza a corte della schiava cristiana Marcia, la quale diverrà moglie dell’Imperatore (senza ricevere il titolo di Augusta). Grazie alla sua influenza molti confessori della fede, condannati alla pena capitale o ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna, saranno graziati o liberati, senza pretendere da essi la rinuncia al loro credo. Dinastia dei Severi: il regno dei Severi, corrisponde ad un periodo di relativa pace per la Chiesa. Settimio Severo, tenterà di arrestare il proselitismo cristiano, ponendo in atto una persecuzione che, tuttavia, si esaurirà in poco tempo. Sotto Massimino, si conoscono alcuni episodi cruenti, isolati. Giordano III lascerà in pace la Chiesa. Filippo l’arabo, darà tante prove di simpatia verso i cristiani, che da alcuni sarà considerato un fedele.

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Il breve periodo di tregua è destinato a concludersi con l’ingresso delle persecuzioni nella seconda fase, a partire dal 250.14.3. Seconda fase: le persecuzioni del terzo secolo. Da Decio al 311.Decio. Pone in atto la persecuzione più violenta di tutte le precedenti, mirando non a “fare martiri, bensì “degli apostati”; il suo obiettivo è il disfacimento dei cristiani, la dispersione e l’annientamento della Chiesa. Con un editto (del quale non è giunto a noi il testo) egli impone ad ogni suddito dell’impero un atto pubblico di adesione al culto pagano. Tale atto consisteva nella partecipazione al “convito sacro”, dove si faceva una libazione o sacrificio agli dèi, oppure nell’offerta di qualche grano d’incenso dinanzi alla statua dell’Imperatore, riconoscendone la sua divinità. Coloro che rifiutavano venivano incarcerati ed erano indotti, con ripetute torture (ma anche con mezzi di seduzione), a rinnegare la loro fede. I loro beni, confiscati, andavano nelle casse dell’Impero. Questa lenta agonia, condurrà molti cristiani all’apostasia. Gli apostati si distingueranno in tre categorie: i Sacrificati, ovvero quelli che avevano offerto sacrifici alle statue degli dei, i Turificati, che avevano bruciato qualche grano d’incenso dinanzi alle statue degli dèi o dell’imperatore; i Libellatici, coloro i quali, per sfuggire all’editto imperiale, avevano acquistato un “libello”, cioè un documento (falso) in cui si certificava che essi avevano offerto il sacrificio prescritto agli dèi. Anche se gli apostati saranno molti, non mancheranno i testimoni fedeli nemmeno in questo periodo del terzo secolo. Tra i martiri ricordiamo Papa Fabiano (gennaio 250), a Capua il vescovo Agostino e sua madre Felicita, a Siracusa la vergine Agata. Gallo. Durante il suo regno, si diffonderà nell’Impero una terribile peste, la cui causa sarà attribuita all’irreligiosità dei cristiani (perché essi rifiutavano di offrire sacrifici per ingraziarsi gli déi). L’imperatore farà arrestare papa Cornelio, successore di Fabiano [l’Imperatore invitò in tribunale il popolo perché esprimesse il giudizio di condanna su papa Cornelio. Ma al giudizio si presentarono in massa – con meraviglia delle autorità – proprio i cristiani, affermando il loro credo (ciò rendeva evidente che i tentativi di Decio di sopprimere il cristianesimo non erano valsi a nulla). La condanna del papa sarà perciò mutata in esilio, vicino a Civitavecchia, dove morirà nel 253. Anche il suo successore, papa Lucio, conoscerà l’esilio, ma solo per essere richiamato a Roma l’anno successivo]. Sotto il pontificato di Cornelio, si pone il problema dei Lapsi (cioè i cristiani apostati) che chiedevano di fare ritorno alla fede cristiana. Sulla questione si verrà a creare una divisione in seno alla Chiesa: alla posizione conciliante di papa Cornelio, che prometteva il perdono dopo una penitenza, si opporrà il sacerdote del clero romano Novaziano, che rifiutava di riaccogliere in seno alla comunità quelli che erano caduti. Novaziano attirerà dietro di sé un seguito, ponendosi a capo (come antipapa) della chiesa ereticale detta “dei puri” o “dei santi”, la quale durerà fino al VII secolo. Valeriano. Inizialmente favorevole verso i cristiani, assumerà un atteggiamento ostile in seguito (ciò si deve anche all’influsso del consigliere Macriano, fanatico dei culti orientali). Egli tenterà di risollevare la precaria condizione economica dell’impero, attraverso la confisca dei possedimenti dei cristiani (possedimenti che, man mano che la Chiesa cresceva, incominciavano ad essere “consistenti”). Le persecuzioni sotto Valeriano seguiranno un “metodo” diverso da quello di Decio, ma non meno implacabile, che mirava a colpire direttamente le autorità, i capi della Chiesa. Con un primo editto (agosto 257) egli imporrà al clero (Vescovi, presbiteri, diaconi) di sacrificare agli idoli dell’impero, vietando anche la celebrazione del culto e la visita ai cimiteri. L’editto non vietava ai cristiani di adorare il loro Dio in privato, ma imponeva loro di adeguarsi in modo pubblico ai riti ufficiali dell’impero, sotto pena di morte o esilio. Con un secondo editto (258), l’Imperatore si rivolgeva ai capi del clero e ai laici di elevata condizione sociale: ai primi imponeva, sotto pena di morte, di sottostare alle disposizioni imperiali; ai secondi venivano tolti cariche e titoli, erano confiscati i beni ed infine, se non si ravvedevano, venivano giustiziati. Molti cristiani che vivevano presso i palazzi imperiali prestando servizio a corte, conosceranno l’esilio o i lavori forzati, nelle aziende dell’impero (agricole e minerarie). Sotto Valeriano, nel 258 saranno fatti martiri papa Stefano (successore Sisto II) e i suoi diaconi, fra cui Felicissimo, Agapito e Lorenzo, come anche probabilmente anche il giovane quattordicenne Pancrazio. Nello stesso anno conosce il martirio

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anche San Cipriano di Cartagine (definito da Agostino “uomo di sublime mistura tra agnello e leone”). [Prima di essere martirizzato gli si fece un processo in cui lo invitavano a sacrificare agli idoli romani. Egli risponde: “io non lo faccio”. Ribadiscono: “Stà in guardia. Fa ciò che ti è stato ordinato. In un affare così chiaro non c’è da discutere”. Il magistrato pronunciò la sentenza: “Noi ordiniamo che Tascio Cipriano sia decapitato”. “Sia ringraziato Iddio”, rispose Cipriano. Al luogo del martirio egli si mise a pregare, togliendosi il pallio, poi si tolse la dalmatica consegnandola ai diaconi, rimanendo solo con la tunicella. Fece contare per il carnefice 25 monete d’oro, poi, bendatosi gli occhi da solo, fu decapitato. I fedeli posero vicino delle stoffe perché si inzuppassero del sangue del santo martire]. Gallieno. Compone la prima dichiarazione ufficiale di tolleranza verso i cristiani. Il suo successore Aureliano (270-275), tuttavia – dopo una fase iniziale in cui lascia in vigore la disposizione di Gallieno – tenterà di imporre un culto monoteistico importato dall’oriente come religione di Stato, col fine sia di rinsaldare l’unità dell’Impero sia di colpire i cristiani. Il suo regno però avrà durata breve (sarà assassinato).Diocleziano. Inizialmente favorevole verso i cristiani, probabilmente grazie all’influsso della moglie Prisca e della figlia Valeria, cristiane o almeno catecumene (alla loro conversione aveva contribuito la presenza di molti cristiani alla corte del palazzo imperiale, presso la città Nicomedia). Nel 286 Diocleziano assocerà a sé nel governo un Augusto, Massimiano Erculeo, e due Cesari, Costanzo Cloro e Galerio. Quest’ultimo contribuirà a riaccendere l’ostilità verso i cristiani, spingendo lo stesso Diocleziano ad emanare alcuni editti sfavorevoli ai cristiani: il primo editto (23 febbraio 303), ordinava la distruzione nell’impero dei luoghi di culto dei cristiani, la distruzione dei libri sacri, la perdita di eventuali cariche pubbliche, del diritto di stare in giudizio sia per sostenere un’accusa (es. adulterio, furto, ingiuria) sia per difendersi da accuse rivolte contro essi. I cristiani schiavi inoltre non potevano essere messi in libertà. L’editto non sarà applicato ovunque con la stessa forza. Nelle regioni della Gallia e della Bretagna governate da Costanzo Cloro, ad esempio, l’applicazione dell’editto fu solo “apparente” (si fece distruggere qualche Chiesa). In altre regioni dell’impero (governate da Galerio) l’accanimento fu crudele. Altri due editti si aggiungeranno a peggiorare la situazione. Il secondo editto chiedeva l’arresto del clero, il terzo concedeva la libertà a quei cristiani che sacrificavano agli idoli, torture e supplizio a chi si rifiutava. I tre editti imperiali avranno l’esito di riempire le carceri, e condurre alla morte molti esponenti del clero. Un quarto editto, che ribadiva le disposizioni anticristiane, fu emanato da Galerio, oramai quasi padrone dell’impero a motivo della malattia di Diocleziano. In questo periodo conoscono il martirio Marcellino, Sant’Agnese, Santa Lucia. 14.4. Verso la pace. L’abdicazione di Diocleziano, porterà un po' di pace per i cristiani, definitivamente sancita dall’editto di pace dell’aprile 311, con il quale gli Augusti e i Cesari dell’Impero (Galerio, Licinio, Costantino e Massimino Daia), concedevano ai cristiani la libertà di culto, la restituzione dei luoghi di culto e dei beni personali precedentemente confiscati. Martire: colui il quale professa la fede fino a perdere la propria vita.Confessore: professa la fede anche nella persecuzione ma non arriva a perdere la vita.

15. LE ERESIE Eresia, significa, prendere, scegliere, eleggere, una verità che diviene parziale fuori dal complesso armonico della verità. Il popolo cristiano oltre ad essere lacerato dalle persecuzioni dall’esterno, veniva anche colpito dall’interno con il sorgere delle eresie, che deformavano l’identità di Cristo e inevitabilmente, della Chiesa e dei cristiani. La molta letteratura di questi primi secoli della Chiesa, attesta questa sofferenza ma anche gli interventi per salvaguardarla. Le eresie da un lato laceravano la Chiesa, ma dall’altro lato la spingevano a fortificare, con argomentazioni e riflessione, le sue motivazioni di fede, che vennero ad essere definite in modo dogmatico, per mezzo di alcuni concili.

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15.1. Eresie giudeo-cristiane: ebioniti, nazarei, elkasaiti. Queste eresie sorsero in età apostolica, specialmente dopo la morte di Giacomo il minore a Gerusalemme e in Palestina. Giudei-cristiani, che non riuscirono a liberarsi totalmente dalle loro consuetudini mosaiche, riconoscevano la messianicità di Gesù, ma non la sua divinità. 15.2. Gnosticismo. Gnosis, significa la “vera conoscenza”, conoscenza che si considera un possesso riservato a pochi prescelti. Questi affermavano di possedere la conoscenza non per via razionale o insegnamento, ma per vie misteriose (rivelazioni segrete). I sostenitori di questa eresia entrarono in relazione con la rivelazione cristiana, ma rimaneggiandola. Essi sostenevano che Cristo è un essere spirituale (eone), che deve rivelare agli uomini il sommo Dio (pleroma). Questo entra nel corpo di Gesù nel tempo della sua missione, per lasciarlo con la crocifissione. Sulla croce si troverebbe pertanto solo un corpo apparente, in quanto lo spirito non può subire sofferenza. È evidente che gli gnostici non credono nella divinità di Cristo, non danno nessun valore redentivo alla morte in croce, ma solo al suo insegnamento: erano salvati e redenti solo coloro che comprendevano la “dottrina segreta” del Cristo-Logos. I pagani ed ebrei (definiti ilici) non avevano salvezza, perché definiti incapaci di conoscere e quindi destinati al regno delle tenebre, con la materia. I cristiani (definiti medi, psichici), potevano avere una salvezza minore e beatitudine limitata. La pienezza era solo per i prescelti. Secondo gli gnostici, Cristo avrebbe lasciato una duplice rivelazione: per la grande Chiesa quella contenuta nella sacra scrittura, mentre per i prescelti una superiore, nascosta. 15.3. Manicheismo. Suo fondatore è Mani (215-273), il quale si proclama colui che porta a compimento la rivelazione, dopo Buddha, Zarathustra e Gesù. Per Mani l’uomo può vincere il male in se stesso e crescere nella luce, solo astenendosi dall’uso della materia, vista come intrinsecamente cattiva. Per questo i manichei aborrivano la carne, la bevanda del vino e i piaceri sessuali. 15.4. Marcionismo. Fondato da Marcione (85-160), sosteneva nella sua dottrina un rigido dualismo. Affermava che il Dio dell’antico testamento fosse l’iracondo Dio del male, mentre quello del nuovo testamento, Cristo Gesù, fosse il sommo Dio buono. Gli ebrei erano ritenuti seguaci del dio dell’antico testamento e crocifissori di quello del nuovo, ma solo apparentemente, perché Gesù – secondo tale dottrina – aveva un corpo solo apparente. Encratiti. Anche essi ostili verso la materia e il corpo. Erano ritenuti un male il vino, mangiare carne, il matrimonio. Aderirà a questa setta l’apologeta Taziano. Encratismo - Da encràteia, che significa astinenza, temperanza. Dottrina a sfondo ascetico, di cui il più noto rappresentante fu Taziano nel secolo II. Partendo dal principio gnostico della materia intrinsecamente cattiva, considerava come peccato l’unione matrimoniale, proibiva l’uso della carne del vino, pretendeva che il sacrificio eucaristico si facesse con la sola acqua, e rigettava le ricchezze come peccato. Nel secolo IV, l’encratismo rivisse nei discepoli dell’asceta cappadoce Eustazio di Sebaste; fu combattuto da sant’Anfilochio vescovo di Iconio e condannato in un sinodo del 390 a Sido in Panfilia.Euchiti - Setta eretica diffusasi nell’Asia Minore verso la fine del secolo IV. Sosteneva l’unione personale del demonio col peccatore e di Dio col giusto, in una specie di panteismo. I suoi seguaci furono chiamati così perché facevano assegnamento solo sulla preghiera per scacciare il demonio e unirsi ipostaticamente a Dio. Furono condannati a più riprese; così nel sinodo di Sido del 390 e nel Concilio di Efeso del 431.Docetismo - Eresia cristologica che appare già verso la fine dell’età apostolica, si diffonde nei primianni del secolo II e lascia la sua impronta nella maggior parte dei sistemi gnostici. Per i doceti l’umanità di Cristo era solo apparente; negavano quindi, come si esprime sant’Ignazio di Antiochia ai fedeli di Smirne, che “Gesù Cristo è veramente uscito dalla razza di David, secondo la carne... veramente nato da una Vergine... è stato veramente trapassato dai chiodi nella sua carne”; che “l’Eucaristia è la carne di Cristo, la carne che ha sofferto per i nostri peccati, la carne che il Padre, nella sua bontà, ha resuscitato”.

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Montanismo. Montano (II secolo) ne è il fondatore. Egli condannava la fuga dinanzi al martirio, anzi predicava che bisognava anelare ad esso. Si considerava profeta dello Spirito Santo e completatore della rivelazione. Egli era sostenuto nella sua predicazione da due donne estatiche: Priscilla e Massimilla, che sostenevano di aver ricevuto delle rivelazioni profetiche. La dottrina montanista predicava la durata del regno di Cristo per mille anni il (chiliasmo o millenarismo), in seguito al quale ci sarebbe stata una nuova alleanza di Cristo con l’umanità, e la fine del mondo. I seguaci di Montano si raduneranno a Perpuza (Frigia), per attendere la venuta di Cristo e il giudizio universale. Tra coloro che saranno conquistati da questa dottrina, vi è Tertulliano. 15.5. Monarchianismo: Il monarchianesimo cerca di salvare a tutti i costi l’unità in Dio, la monarchia del Padre. Questa eresia assume due forme. La prima è detta monarchianismo adozionista: Gesù di Nazaret sarebbe un uomo, che si contraddistingue da tutti gli altri uomini per essere rivestito da Dio di una forza divina (dynamis) nel momento del battesimo al Giordano, quando egli – rimanendo sempre uomo – viene “adottato” da Dio. Il massimo rappresentante di tale teoria è Paolo di Samosatra (morto verso il 272), vescovo di Antiochia. Egli riteneva che sia il Figlio che lo Spirito non avessero una sussistenza propria, pur avendo la loro esistenza in Dio (un po’ come la sapienza e la parola per l’uomo: queste realtà non hanno una loro sussistenza propria, pur esistendo nell’uomo). Egli considera il logos non un’ipostasi divina, ma una proprietà divina che si unisce, che va ad abitare in Gesù di Nazaret e lo rende il Salvatore. La seconda forma di questa eresia è detta monarchianismo modalista (patripassianesimo, sabellianesimo). Noeto e Prassea (attivi in Asia alla fine del II secolo) elaborano il patripassianesimo: l’unico Dio è identificato nel solo Padre, e il Figlio non è che un modo attraverso il quale Dio si manifesta per attuare la redenzione. Sulla croce, quindi, non avrebbe sofferto il Figlio, bensì il Padre. Sabellio (morto verso il 257) sostiene invece che Padre, Figlio e Spirito siano tre modi attraverso i quali Dio si è manifestato in momenti diversi della storia. Al Padre corrisponde la creazione, al Figlio la redenzione e allo Spirito la santificazione. Per fondare tale teoria, egli si rifà ai passi biblici di Gv 14,9-10 e soprattutto all’affermazione di Gv 10,30: “Io e il Padre siamo una cosa sola”.15.6. Arianesimo: Ario (presbitero di Alessandria vissuto tra il 256 e il 356) nel suo insegnamento nega la Trinità, asserendo che il Figlio non è consostanziale al Padre, ma è semplicemente una Creatura di ordine superiore. Il Logos non è tale dall’eternità, non è non creato, non è Dio Egli stesso. Come tutte le creature, il Figlio è generato dal Padre nel senso che è fatto da Lui e, sebbene sia chiamato Dio, non è veramente Dio se non in quanto partecipa della Grazia: Chiaramente, secondo Ario, il Figlio è in una posizione subordinata rispetto al Padre e non è a Lui coeterno. Affermando che il Padre e il Figlio sono simili per divina natura ma non esattamente uguali, Ario sgretola la Trinità, unico Dio in tre Persone distinte e coeterne.15.7. Pelagianesimo: il fondatore è Pelagio (354-420), monaco britanno, uomo austero e colto. Nella sua dottrina afferma che l’uomo non ha bisogno della grazia per agire bene, bastando la sua sola volontà. La grazia è data solo per operare più facilmente in modo giusto. Modalismo - Eresia del secolo III, secondo cui in Dio c’è una sola persona come c’è una sola e medesima natura: i nomi di Padre, di Figlio e di Spirito Santo non sono altro che aspetti diversi dell’unico Dio, cioè sono modi di considerare Dio nelle sue operazioni ad extra; come la creazione, l’incarnazione, l’effusione della grazia. Non esiste dunque Trinità in Dio ma “monarchia” (donde anche il nome di monarchismo); e quando diciamo che il Figlio di Dio s’è incarnato e ha sofferto alla passione con la morte, è un modo di dire, perché in realtà è stato lo stesso Padre a incarnarsi e a patire sulla croce (donde anche il nome di patripassiani). Primi autori dell’eresia pare siano stati Prassea e Noeto ai primi del secolo III, contro i quali scrissere Tertulliano (Adversus Praxeam) e Ippolito rimano (Contra Noetum); altri sostenitori a Roma dell’eresia furono Epigone, Cleomene e Sabellio; dal nome di quest’ultimo la setta modalista fu chiamata sabelliana e durò fino al secolo V combattuta da Eusebio di Cesarea (Contra Marcellum e De ecclesiastica theologia) e da sant’Ilario da Poitiers (De Trinitate).

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15.8. Donatismo: suo fondatore è il vescovo Donato (270-355). I donatisti sono sostenitori di una "Chiesa dei martiri", ossia di una Chiesa di uomini perfetti, e negano la validità dei sacramenti, se amministrati da presbiteri in stato di peccato. Pongono anche restrizioni all'ammissione dei lapsi, cioè di coloro che, in seguito alle persecuzioni (in particolare quella di Diocleziano), avevano ceduto, abiurando o consegnando ai pagani i libri sacri. Fondamento della dottrina donatista è il principio che il battesimo e l'ordine sacro non devono considerarsi mezzi di salvezza efficaci in se stessi, ma che la loro efficacia dipende dalla dignità di chi li amministra. Rispetto alla "grande Chiesa", la setta dei donatisti si propone così come una Chiesa ristretta di martiri, entro cui trovano posto solo i perfetti cristiani. I donatisti negano inoltre l’obbedienza alle autorità imperiali.15.9. Il monofisismo (dal greco monos, «unico», e physis, «natura») è il termine usato nella teologia cattolica e nella storiografia occidentale per indicare la forma di cristologia, elaborata nel V secolo dall'archimandrita greco Eutiche (378-456), secondo il quale la natura umana di Gesù sarebbe assorbita da quella divina, e dunque in lui sarebbe presente solo la natura divina, “allo stesso modo di una goccia di miele che, caduta in mare, in esso si dissolve”. Eutiche sosteneva che la distinzione delle due nature in Cristo era prima della sua incarnazione, dopo ne sussiste solo una. L’integrità della natura umana in Cristo viene in tal modo annullata, e di fatto essa non esiste più, poiché l’essere uomo di Cristo è di una sostanza diversa dalla nostra. Questa posizione di dottrina mette in serio pericolo, anzi vanifica l’attività di mediatore e di redentore di Cristo Gesù.15.10. Il monotelismo (noto anche come monoteletismo o eresia di Sergio) è la dottrina consistente nell'affermazione che in Cristo esisterebbe un'unica volontà, per cui la volontà divina controllerebbe la sua umanità, ma anche un'unica operatività o energia (monoenergismo). Dunque in Cristo vi sarebbe sempre stata un'unica volontà effettiva, così che tutti gli atti, umani e divini, che si attribuiscano all'unica persona di Cristo, dovrebbero essere ricondotti ad un unico principio, all’unica energia operante nel Salvatore. Ciò spiegherebbe – secondo i sostenitori di tale teoria – la mancanza di peccato in Cristo, che sarebbe da attribuire alla mancanza di una volontà umana e alla presenza, in lui, di una sola volontà divina. L'obiezione dei cristiani ortodossi è che la negazione di una volontà umana farebbe dell’umanità di Cristo un'umanità imperfetta, oltre a togliere valore alla sua passione redentrice.15.11. Nestorianesimo- Nestorio, patriarca di Costantinopoli, fu piuttosto il propagatore e il sostenitore dell’eresia che va sotto il suo nome e che si era già manifestata negli scritti di Diodoro di Tarso fin dal 378 (m.394) e di Teodoro di Mopsuestia, suo discepolo (m.428), della scuola di Antiochia. Diventato patriarca di Costantinopoli nel 428 e imbevuto delle idee di Teodoro, per combattere l’eresia apollinarista usò tutta la sua eloquenza e l’autorità della cattedra, ma negò alla Vergine il titolo di Madre di Dio che già da tempo le veniva attribuito. Maria, diceva in sostanza Nestorio, non è madre di Dio ma madre di Cristo, perché la persona di Cristo, nata da Maria non è identica alla persona del Verbo generato del Padre; cioè le due nature in Cristo non si sono unite ipostaticamente (secundum hypostasim o secundum essentiam) ma in una nuova persona che non è né la persona del Verbo né la persona dell’uomo, ma la persona del composto. Di conseguenza, in Cristo non si possono in concreto attribuire le proprietà della natura divina all’uomo e le proprietà della natura umana a Dio (comunicatio idiomatum).Contro la dottrina di Nestorio si levò un teologo di primissimo ordine, san Cirillo vescovo di Alessandria. Nestorio chiese nel 429 a papa Celestino la convocazione di un concilio generale che lo giustificasse. Il Papa domandò informazioni anche a Cirillo e nell’agosto 430 in un sinodo romano fece condannare la dottrina di Nestorio; poi spedì quattro lettere: una a Nestorio perché ritrattasse, un’altra alla chiesa di Costantinopoli, una terza a Giovanni di Antiochia che sosteneva Nestorio e una quarta a Cirillo che lo incaricava di rendere esecutoria la sentenza del sinodo romano. Poichè Nestorio tergiversava accusando Cirillo di apollinarismo, Teodosio II, d’accordo con Celestino I, convocò il Concilio di Efeso che condannò la dottrina nestoriana (2 luglio 431).Nicolaiti - A questi eretici Giovanni l’Evangelista attribuisce una dottrina che è “profondità di Satana” (Ap 3), la quale, con lo specioso pretesto che bisogna maltrattare la carne, incoraggiava

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l’immoralità e toglieva ogni carattere d’impurità alla fornicazione. Secondo sant’Ireneo e san Clemente Alessandrino, maestro e capo dei nicolaiti era stato Nicola, uno dei sette diaconi ordinati dagli Apostoli; perdutamente innamorato di una donna e ripreso dagli Apostoli, Nicola s’era in seguito dedicato a una vita ascetica di espiazione.Apollinaristi - Eretici del secolo IV, che presero il nome da Apollinare di Laodicea in Siria (c. 310-390), già amico di sant’Atanasio e suo sostenitore nella lotta contro l’arianesimo. Qualche anno dopo d’essere stato eletto vescovo della sua città, Apollinare, per mettere in rilievo la personalità divina del Cristo, affermò che Cristo non possedeva un’anima umana propria, in quanto il Verbo incarnato aveva preso il posto di quest’anima; di conseguenza, il Verbo aveva assunto un corpo umano ma senza anima, e quindi non si poteva più parlare di due nature ma di una unica natura e di un’unica persona in Cristo. Fu condannato da papa Damaso nel Sinodo romano del 377.Macedonianismo o pneumatomachi. Con il nome di Macedonianismo si indica una eresia di Macedonio di Costantinopoli, vescovo morto attorno al 360. Macedonio pur provenendo da un pensiero cristologico ariano, sosteneva che lo Spirito Santo non è la terza persona della trinità , egli non ha la stessa dignità e divinità del Padre e del Figlio e riteneva che lo Spirito Santo è una creatura di Dio, pur essendo superiore agli angeli, ma non Dio e subordinato al Padre e al Figlio.

16. I PADRI DELLA CHIESASono quattro i requisiti per definire chi è Padre della Chiesa: 1) Ortodossia, ovvero un insegnamento conforme alla fede della Chiesa; 2) Santità della vita, manifestata con la coerenza di una vita evangelica (testimonianza spesso sigillata con il martirio); 3) Approvazione da parte della Chiesa, in forma implicita o esplicita; 4) Antichità: si tratta di quelle persone che vissero nei primi secoli del cristianesimo. Dobbiamo comunque affermare che su questo punto si è alquanto oscillato e, per vario tempo, vennero classificati tra i Padri della Chiesa anche scrittori medievali dell'epoca precedente alla scolastica. Poi prevalse una maggiore severità, ed ora l'evo patristico si fa comunemente concludere, in Occidente, con la morte di Isidoro di Siviglia (636), in Oriente con quella di Giovanni Damasceno (ca. 750).Quando uno di questi requisiti è mancante, si parla di scrittori ecclesiastici, e non di Padri della Chiesa. Per alcuni scrittori della prima età che non furono santi, o che, in qualche momento della loro produzione, non furono ortodossi, come, per esempio Tertulliano, Origene, Eusebio di Cesarea comunque in senso lato di attribuisce il titolo di Padri della Chiesa, questo per gli eminenti servigi che hanno reso in un certo senso alla Chiesa, e per altri motivi, si spiega l’eccezione, anche se per costoro il termine più propriamente tecnico che si addice è il titolo di scrittori ecclesiastici.L’Epoca dei Padri della Chiesa è delimitata come già affermato entro i confini dell'antichità cristiana, e si suddivide in tre periodi d'ineguale estensione, ma sotto certi aspetti di eguale importanza. 1. Periodo delle origini - Arriva fino al Concilio di Nicea (325) ed è quello che maggiormente interessa la critica moderna, la cui attenzione è rivolta in modo particolare alle origini cristiane. Appartengono a quest'epoca i Padri Apostolici, i cui scritti, sebbene scarsi di valore letterario o filosofico, riflettono tuttavia l'eco immediata della predicazione apostolica, ed informano come venne intesa e realizzata fin dagli inizi la costituzione impressa da Cristo alla sua Chiesa. Tale autorità è condivisa solo in parte dai Padri apologisti del sec. II, e ancor meno dai Padri controversisti del secolo successivo; in compenso questi ultimi offrono i primi saggi di sistemazione dottrinale, che ne fanno dei veri precursori dei grandi maestri del periodo aureo. 2. Periodo aureo – É il più breve, in quanto termina con la morte di Agostino (431), ma è anche quello del massimo splendore della letteratura patristica. Crisi dottrinali profonde, come l'ariana e la pelagiana, travagliarono in questo tempo la Chiesa. I Padri di quest'epoca, impegnati nelle grandi dispute, seppero dare un contributo decisivo alla sistemazione della scienza teologica. Emergono tra essi le figure di Atanasio, Basilio, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo , considerati come

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i Dottori massimi della Chiesa orientale; mentre in Occidente dominano incontrastati Girolamo, il Dottore delle Scritture, Ambrogio, il Dottore dell'indipendenza della Chiesa, Agostino, che non è soltanto il Dottore della Grazia, ma il Dottore universale, colui che per vari secoli fu il principale, se non l'unico ispiratore del pensiero cristiano occidentale.3. Periodo della decadenza - Si estende dalla morte di Agostino fino al termine dell'epoca patristica. È un periodo di lento decadimento, causato dalle invasioni barbariche in Occidente, e dal dispotismo degli imperatori in Oriente. Le grandi opere vennero quasi del tutto a mancare, e quelle 7 poche che si scrissero risentono la stanchezza e la mancanza di originalità. Ciò non impedisce che emergano ancora qua e là figure grandissime, come quelle di Giovanni Damasceno e del Papa Gregorio Magno. Ma queste non sono che felici eccezioni, che non distruggono l'impressione dell'insieme. L'importanza dei Padri di quest'epoca consiste soprattutto nell'aver conservato i tesori dell'antico sapere teologico, cosicché, posti come anello di congiunzione tra il mondo antico che tramonta. e quello nuovo che s'inizia, ebbero il merito di porre i fondamenti della successiva civiltà medievale. La lingua dei Padri Fino a quasi tutto il sec. II.La letteratura teologica sviluppata dai padri, è il frutto delle questioni di fede che richiedevano luce e chiarezza nel tempo della loro esistenza. Il loro sviluppo teologico non segue la metodologia della sistematizzazione, la quale invece si affermerà dopo il periodo dei manuali, al tramonto del medioevo. I Padri sono attenti osservatori della storia della Chiesa e della società in cui vivono, si pongono in ascolto per cogliere il pensiero che determina la prassi, con il fine di offrire agli uomini, attraverso una riflessione condotta alla luce della rivelazione, un chiaro orientamento di fede.I loro scritti si sviluppano in modo particolare su tre fronti: questioni Trinitarie, Cristologiche e Soteriologiche. I padri greci furono più attenti ai problemi dogmatici: trinità e cristologia; quelli latini alle questioni soteriologiche, cioè alla vita del cristiano, al problema della salvezza, della giustificazione, del libero arbitrio dell’uomo, del peccato, dello stato di grazia originale, del peccato originale di Adamo, della necessità della grazia. Le lingue principali in cui i padri hanno redatto le loro opere sono il latino e il greco. 16.1. PADRI GRECIOrigene (185-254): insegna nella città di Alessandria, dove diviene direttore della scuola catechetica della città. Lo storico Eusebio di Cesarea narra che egli, interpretando alla lettera il passo di Mt 19,12, giungerà ad evirarsi. È il principale studioso della Scrittura, avendo scritto commenti su quasi tutti i libri. Egli sviluppa l’idea di un triplice significato racchiuso nei testi sacri: letterale (storico), morale, allegorico (spirituale). Sostiene la consustanzialità del Figlio al Padre, ma solo il Padre è buono, mentre il Figlio non è che immagine della sua bontà. Lo Spirito Santo lo considera subordinato al Figlio. Con Origene compare il termine Teotokos (Madre di Dio). Origene è sicuramente una delle personalità determinanti per tutto lo sviluppo del pensierocristiano. Egli raccoglie l'eredità di Clemente Alessandrino e la rilancia verso il futuro in manieratalmente innovativa, da imprimere una svolta irreversibile allo sviluppo del pensiero cristiano. Fuun vero “maestro”, e così lo ricordavano con nostalgia e commozione i suoi allievi: non soltanto unbrillante teologo, ma un testimone esemplare della dottrina che trasmetteva. “Egli insegnò”, scriveEusebio di Cesarea, suo biografo entusiasta, “che la condotta deve corrispondere esattamente allaparola, e fu soprattutto per questo che, aiutato dalla grazia di Dio, indusse molti a imitarlo” (Hist.Eccl. 6,3,7).Tutta la sua vita fu percorsa da un incessante anelito al martirio. Aveva diciassette anniquando, nel decimo anno dell’imperatore Settimio Severo, scoppiò ad Alessandria la persecuzionecontro i cristiani. Clemente, suo maestro, abbandonò la città, e il padre di Origene, Leonide, vennegettato in carcere. Suo figlio bramava ardentemente il martirio, ma non poté realizzare questodesiderio. Allora scrisse al padre, esortandolo a non recedere dalla suprema testimonianza dellafede. E quando Leonide venne decapitato, il piccolo Origene sentì che doveva accogliere l’esempiodella sua vita. Quarant’anni più tardi, mentre predicava a Cesarea, uscì in questa confessione: “Anulla mi giova aver avuto un padre martire, se non tengo una buona condotta e non faccio onorealla nobiltà della mia stirpe, cioè al martirio di mio padre e alla testimonianza che l’ha reso

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illustre in Cristo” (Hom. Ez. 4,8). In un’omelia successiva – quando, grazie all'estrema tolleranzadell’imperatore Filippo l’Arabo, sembrava ormai sfumata l’eventualità di una testimonianza cruenta– Origene esclama: “Se Dio mi concedesse di essere lavato nel mio sangue, così da ricevere ilsecondo battesimo avendo accettato la morte per Cristo, mi allontanerei sicuro da questo mondo...Ma sono beati coloro che meritano queste cose” (Hom. Iud. 7,12). Queste espressioni rivelano tuttala nostalgia di Origene per il battesimo di sangue. E finalmente questo irresistibile anelito venne,almeno in parte, esaudito. Nel 250, durante la persecuzione di Decio, Origene fu arrestato etorturato crudelmente. Fiaccato dalle sofferenze subite, morì qualche anno dopo. Non aveva ancorasettant’anni.Origene impresse alla storia della teologia e del pensiero cristiano una “svolta irreversibile”.Ma in che cosa consiste questa “svolta”, questa novità così gravida di conseguenze? Essacorrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nella spiegazione delle Scritture. Farteologia era per lui essenzialmente spiegare, comprendere la Scrittura; o potremmo anche dire chela sua teologia è la perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi. In verità, la sigla propria della dottrinaorigeniana sembra risiedere appunto nell’incessante invito a passare dalla lettera allo spirito delleScritture, per progredire nella conoscenza di Dio. E questo cosiddetto “allegorismo”, ha scritto vonBalthasar, coincide precisamente “con lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamentodei dottori della Chiesa”, i quali – in un modo o nell’altro – hanno accolto la “lezione” di Origene.Così la Tradizione e il magistero, fondamento e garanzia della ricerca teologica, giungono aconfigurarsi come “Scrittura in atto” (cfr Origene: Il mondo, Cristo e la Chiesa, tr. it., Milano1972, p. 43). Possiamo affermare perciò che il nucleo centrale dell’immensa opera letteraria diOrigene consiste nella sua “triplice lettura” della Bibbia.Girolamo nella sua Epistola 33 elenca i titoli di 320 libri e di 310 omelie di Origene.Purtroppo la maggior parte di quest’opera è andata perduta, ma anche il poco che ne rimane fa di luil’autore più prolifico dei primi tre secoli cristiani. Il suo raggio di interessi si estende dall’esegesi aldogma, alla filosofia, all’apologetica, all’ascetica e alla mistica. È una visione fondamentale eglobale della vita cristiana. Il nucleo ispiratore di quest’opera è, come abbiamo accennato, la“triplice lettura” delle Scritture sviluppata da Origene nell’arco della sua vita. Con questaespressione intendiamo alludere alle tre modalità più importanti – tra loro non successive, anzi piùspesso sovrapposte – con le quali Origene si è dedicato allo studio delle Scritture. Anzitutto eglilesse la Bibbia con l’intento di accertarne al meglio il testo e di offrirne l'edizione più affidabile.Questo, ad esempio, è il primo passo: conoscere realmente che cosa sta scritto e conoscere che cosaquesta scrittura voleva intenzionalmente e inizialmente dire. Ha fatto un grande studio a questoscopo ed ha redatto un'edizione della Bibbia con sei colonne parallele, da sinistra a destra, con iltesto ebraico in caratteri ebraici, poi il testo ebraico traslitterato in caratteri greci e poi quattrotraduzioni diverse in lingua greca (quella di Aquila, Simmaco, quella dei Settanta, e di Teodozione),che gli permettevano di comparare le diverse possibilità di traduzione. Di qui il titolo di “Esapla”(“sei colonne”) attribuito a questa immane sinossi. Questo è il primo punto: conoscere esattamenteche cosa sta scritto, il testo come tale.In secondo luogo Origene lesse sistematicamente la Bibbia con i suoi celebri Commentari.Essi riproducono fedelmente le spiegazioni che il maestro offriva durante la scuola, ad Alessandriacome a Cesarea. Origene procede quasi versetto per versetto, in forma minuziosa, ampia eapprofondita, con note di carattere filologico e dottrinale. Egli lavora con grande esattezza perconoscere bene che cosa volevano dire i sacri autori. Infine, anche prima della sua ordinazionepresbiterale, Origene si dedicò moltissimo alla predicazione della Bibbia, adattandosi a un pubblicovariamente composito. In ogni caso, si avverte anche nelle sue Omelie il maestro, tutto deditoall’interpretazione sistematica della pericope in esame, via via frazionata nei successivi versetti.Anche nelle Omelie Origene coglie tutte le occasioni per richiamare le diverse dimensionidel senso della Sacra Scrittura, che aiutano o esprimono un cammino nella crescita della fede: c'è ilsenso “letterale”, ma esso nasconde profondità che non appaiono in un primo momento; la secondadimensione è il senso “morale”: che cosa dobbiamo fare vivendo la parola; e infine il senso

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“spirituale”, cioè l'unità della Scrittura, che in tutto il suo sviluppo parla di Cristo.È lo Spirito Santo che ci fa capire il contenuto cristologico e così l'unità della Scrittura nellasua diversità. Ma questo senso storico ci trascende verso Cristo, nella luce dello Spirito Santo, e cimostra la via, come vivere. Se ne trova cenno, per esempio, nella nona Omelia sui Numeri, doveOrigene paragona la Scrittura alle noci: “Così è la dottrina della Legge e dei Profeti alla scuola diCristo”, afferma l'omileta; “amara è la lettera, che è come la scorza; in secondo luogo perverrai alguscio, che è la dottrina morale; in terzo luogo troverai il senso dei misteri, del quale si nutrono leanime dei santi nella vita presente e nella futura” (Hom. Num. 9,7). Soprattutto per questa viaOrigene giunge a promuovere efficacemente la “lettura cristiana” dell’Antico Testamento,rintuzzando in maniera brillante la sfida di quegli eretici – soprattutto gnostici e marcioniti – cheopponevano tra loro i due Testamenti fino a rigettare l’Antico. A questo proposito, nella medesimaOmelia sui Numeri l'Alessandrino afferma: “Io non chiamo la Legge un ‘Antico Testamento’, se lacomprendo nello Spirito. La Legge diventa un ‘Antico Testamento’ solo per quelli che voglionocomprenderla carnalmente”, cioè fermandosi alla lettera del testo. Ma “per noi, che lacomprendiamo e l’applichiamo nello Spirito e nel senso del Vangelo, la Legge è sempre nuova, e idue Testamenti sono per noi un nuovo Testamento, non a causa della data temporale, ma dellanovità del senso... Invece, per il peccatore e per quelli che non rispettano il patto della carità,anche i Vangeli invecchiano” (Hom. Num. 9,4).Le controversie origeniste, i dibattiti sull’interpretazione delle sue opere che si protrasserodopo la sua morte fino al 553 d.C. (condanna dell’origenismo da parte del II Concilio diCostantinopoli (DS 433), dopo il sinodo del 543 (DS 403-411), provocarono la scomparsa dellamaggior parte dell’opera letteraria di Origene: abbiamo quindi non il testo originale greco, maframmenti in traduzioni latine. Ricordiamo qui le opere principali: le Omelie (sulla Genesi, Esodo,Levitino, Cantico dei Cantici, Profeti; Matteo, Luca); Commentari (Matteo, Giovanni, Lettera aiRomani); Scritti apologetici: Contro Celso; Dialogo con Eraclide; Scritti dogmatici: De Principiis(in quattro libri, il primo e il più antico manuale di teologia, di cui abbiamo solo pochi frammenti);De Resurrectione, Stromati (miscellanea); Scritti vari: De oratione, Esortazione al martirio;Epistole (circa un centinaio, ce ne sono pervenute integralmente solo due).Sant’Atanasio d’Alessandria (296-373): da diacono, accompagna il Vescovo di Alessandria al concilio di Nicea. Divenuto a sua volta vescovo della stessa città, si impegna soprattutto nell’elaborazione della dottrina sul Verbo incarnato, affermando la sua uguaglianza con il Padre, nell’opera Discorso sull’incarnazione del Verbo. Atanasio di Alessandria è uno dei grandi protagonisti della tradizione cristiana e già pochianni dopo la morte, venne celebrato come «la colonna della Chiesa» dal grande teologo e Vescovodi Costantinopoli Gregorio Nazianzeno (Discorsi 21,26), e sempre è stato considerato come unmodello di ortodossia, tanto in Oriente quanto in Occidente. Non a caso, dunque, Gian LorenzoBernini ne collocò la statua tra quelle dei quattro santi Dottori della Chiesa orientale e occidentale,insieme ad Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Agostino, che nella meravigliosa abside dellaBasilica vaticana circondano la Cattedra di san Pietro.Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati.Ma soprattutto questo grande Santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbodi Dio, che – come dice il prologo del quarto Vangelo – «si fece carne e venne ad abitare in mezzoa noi» (Gv 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversariodell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, riducendolo ad una creatura «media» traDio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia, e che vediamo in atto in diversi modianche oggi. Nato probabilmente ad Alessandria, in Egitto, verso l’anno 300, Atanasio ricevetteuna buona educazione prima di divenire diacono e segretario del Vescovo della metropoli egiziana,Alessandro. Stretto collaboratore del suo Vescovo, il giovane diacono prese parte con lui alConcilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nelmaggio del 325 per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare variequestioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del

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presbitero alessandrino Ario.Questi, con la sua teoria, minacciava l’autentica fede in Cristo, dichiarando che il Logos nonera vero Dio, ma un Dio creato, un essere «medio» tra Dio e l’uomo, e così il vero Dio rimanevasempre inaccessibile a noi. I Vescovi riuniti a Nicea risposero mettendo a punto e fissando il«Simbolo della fede» che, completato più tardi dal primo Concilio di Costantinopoli, è rimastonella tradizione delle diverse confessioni cristiane e nella Liturgia come il Credo nicenocostantinopolitano.In questo testo fondamentale – che esprime la fede della Chiesa indivisa, e cherecitiamo anche oggi, ogni domenica, nella Celebrazione eucaristica – figura il termine grecoomoousioj homooúsios, in latino consubstantialis: esso vuole indicare che il Figlio, il Logos, è«della stessa sostanza» del Padre, è Dio da Dio, è la sua sostanza, e così viene messa in luce lapiena divinità del Figlio, che era negata dagli ariani.Morto il Vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come Vescovo diAlessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorieariane condannate dal Concilio niceno. La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche senecessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gliavversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostantel’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessasostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere – in questa situazionepersino Ario fu riabilitato –, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatoreCostantino e poi da suo figlio Costanzo II. Questi, peraltro, che non si interessava tanto della veritàteologica quanto dell’unità dell’Impero e dei suoi problemi politici, voleva politicizzare la fede,rendendola più accessibile – secondo il suo parere – a tutti i sudditi nell’Impero.La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicendedifficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte – durante un trentennio, tra il 336 eil 366 – Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando diciassette anni in esilio esoffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il Vescovo ebbe modo disostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli idealidel monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita Antonio con una scelta di vita alla qualeAtanasio fu sempre vicino. Sant’Antonio, con la sua forza spirituale, era la persona più importantenel sostenere la fede di Atanasio. Reinsediato definitivamente nella sua sede, il Vescovo diAlessandria poté dedicarsi alla pacificazione religiosa e alla riorganizzazione delle comunitàcristiane. Morì il 2 maggio del 373, giorno in cui celebriamo la sua memoria liturgica.L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato su L’incarnazionedel Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice inquest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio «si èfatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimoun’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noiereditassimo l’incorruttibilità» (54,3). Con la sua risurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire lamorte come se fosse «paglia nel fuoco» (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica disant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, etramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenutorealmente «Dio con noi».Tra le altre opere di questo grande Padre della Chiesa – che in gran parte rimangono legatealle vicende della crisi ariana – ricordiamo poi le quattro lettere che egli indirizzò all’amicoSerapione, Vescovo di Thmuis, sulla divinità dello Spirito Santo, che viene affermata con nettezza,e una trentina di lettere «festali», indirizzate all’inizio di ogni anno alle Chiese e ai monasteridell’Egitto per indicare la data della festa di Pasqua, ma soprattutto per assicurare i legami tra ifedeli, rafforzandone la fede e preparandoli a tale grande solennità.Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattuttodi un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana: la Vita di Antonio, cioè la

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biografia di sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo Santo, proprio mentre ilVescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. Atanasio fu amico delgrande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come suaeredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. Divenuta prestopopolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, labiografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione delmonachesimo, in Oriente e in Occidente. Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centrodi un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino collocanelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione.Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva averesul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. Scrive infatti nella conclusione di quest’opera:«Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che nonl’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scrittiné per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la suapietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. Come infatti si sarebbesentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra imonti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gliappartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? E anche se questi agiscononel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quantisentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nelpercorrere il cammino della virtù» (93,5-6).San Giovani Crisostomo (344-407): nato ad Antiochia, conduce prima una vita monastica nel deserto, poi diviene diacono e presbitero ad Antiochia, quindi Vescovo di Costantinopoli. Fu definito Bocca d’oro, per la sua predicazione. Scrive dei trattati sul sacerdozio, matrimonio, verginità, commenta la Scrittura nei suoi sermoni, offre catechesi battesimali.

16.2. PADRI CAPPADOCISan Basilio (330-379): prima di diventare vescovo della città di Cesarea (370), conduce una vita monastica. Organizza la carità, in un periodo di frequenti carestie. Organizza anche la vita monastica comunitaria, componendo le Grandi e Piccole regole. Nella rispettiva opera, emerge la preoccupazione dell’Unità della Chiesa segnata dalle lacerazioni apportate dall’eresia ariana. Commenta la Scrittura e precisa il ruolo dello Spirito Santo, in un Trattato dello Spirito Santo. Gregorio di Nazianzo (329-390): amico di Basilio, ordinato presbitero dal padre, vescovo di Nazianzo, anche egli di nome Gregorio. Divenuto vescovo di Sasima, non ne prenderà mai il possesso, essendo inviato invece alla città di Costantinopoli. Meriterà l’appellativo di teologo, per aver affermato che la teologia non è una tecnologia, cioè un insieme di argomentazioni umane su Dio, ma è il frutto di una vita di preghiera e di dialogo con Dio stesso. Theologia significa infatti Theos (Dio) + logos (parola, discorso), ovvero “discorso su Dio”.Gregorio di Nissa (335-394): fratello di San Basilio, dopo essere stato sposato entrerà in monastero, per divenire in seguito vescovo di Nissa. Avrà un ruolo importante nel concilio di Costantinopoli.16.3. PADRI LATINITertulliano (160-220): svolge l’attività di avvocato a Roma. Convertitosi al cristianesimo, si trasferisce a Cartagine dove svolge il ministero di catechista. Nei suoi scritti apologetici egli chiede tolleranza per i cristiani, mostrando come essi non costituiscano una minaccia per l’impero. Altrove esorta invece i cristiani a non contaminarsi con i riti pagani. Si dedica anche all’interpretazione della Scrittura ed a trattare le tematiche della Trinità (è il primo ad adoperare i termini Trinità e persona), degli insegnamenti di Cristo, della sequela. Si oppone alla prassi del battesimo dei bambini. Abbraccerà, nella fase finale della sua vita, l’eresia montanista.Tertulliano (Quinto Settimio Fiorente Tertulliano) nato in Africa tra la fine del secondo el'inizio del terzo secolo inaugura la letteratura cristiana in lingua latina. Con lui comincia una

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teologia in tale lingua. La sua opera ha dato frutti decisivi, che sarebbe imperdonabile sottovalutare.Il suo influsso si sviluppa su diversi piani: da quelli del linguaggio e del recupero della culturaclassica, a quelli dell'individuazione di una comune “anima cristiana” nel mondo e dellaformulazione di nuove proposte di convivenza umana. Non conosciamo con esattezza le date dellasua nascita e della sua morte. Sappiamo invece che a Cartagine, verso la fine del II secolo, dagenitori e da insegnanti pagani, ricevette una solida formazione retorica, filosofica, giuridica estorica. Si convertì poi al cristianesimo, attratto - come pare - dall'esempio dei martiri cristiani.Cominciò a pubblicare i suoi scritti più famosi nel 197. Ma una ricerca troppo individuale dellaverità insieme con le intemperanze del carattere — era un uomo rigoroso — lo condusserogradualmente a lasciare la comunione con la Chiesa e ad aderire alla setta del montanismo.Tuttavia, l’originalità del pensiero unita all’incisiva efficacia del linguaggio gli assicurano unaposizione di spicco nella letteratura cristiana antica.Sono famosi soprattutto i suoi scritti di carattere apologetico. Essi manifestano due intentiprincipali: quello di confutare le gravissime accuse che i pagani rivolgevano contro la nuovareligione, e quello - più propositivo e missionario - di comunicare il messaggio del Vangelo indialogo con la cultura del tempo. La sua opera più nota, l’Apologetico, denuncia il comportamentoingiusto delle autorità politiche verso la Chiesa; spiega e difende gli insegnamenti e i costumi deicristiani; individua le differenze tra la nuova religione e le principali correnti filosofiche del tempo;manifesta il trionfo dello Spirito, che alla violenza dei persecutori oppone il sangue, la sofferenza ela pazienza dei martiri: “Per quanto raffinata - scrive l'Africano -, a nulla serve la vostra crudeltà:anzi, per la nostra comunità, essa è un invito. A ogni vostro colpo di falce diveniamo più numerosi:il sangue dei cristiani è una semina efficace! (semen est sanguis christianorum!)” (Apologetico50,13). Il martirio, la sofferenza per la verità sono alla fine vittoriosi e più efficaci della crudeltà edella violenza dei regimi totalitari.Ma Tertulliano, come ogni buon apologista, avverte nello stesso tempo l’esigenza dicomunicare positivamente l’essenza del cristianesimo. Per questo egli adotta il metodo speculativoper illustrare i fondamenti razionali del dogma cristiano. Li approfondisce in maniera sistematica, acominciare dalla descrizione del “Dio dei cristiani”: “Quello che noi adoriamo è un Dio unico”. Eprosegue, impiegando le antitesi e i paradossi caratteristici del suo linguaggio: “Egli è invisibile,anche se lo si vede; inafferrabile, anche se è presente attraverso la grazia; inconcepibile, anche se isensi umani lo possono concepire; perciò è vero e grande!” (ibid., 17,1-2).Tertulliano, inoltre, compie un passo enorme nello sviluppo del dogma trinitario; ci ha datoin latino il linguaggio adeguato per esprimere questo grande mistero, introducendo i termini “unasostanza” e “tre Persone”. In modo simile, ha sviluppato molto anche il corretto linguaggio peresprimere il mistero di Cristo Figlio di Dio e vero Uomo.L’Africano tratta anche dello Spirito Santo, dimostrandone il carattere personale e divino:“Crediamo che, secondo la sua promessa, Gesù Cristo inviò per mezzo del Padre lo Spirito Santo,il Paraclèto, il santificatore della fede di coloro che credono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito”(ibid., 2,1). Ancora, nelle opere dell’Africano si leggono numerosi testi sulla Chiesa, cheTertulliano riconosce sempre come ‘madre’. Anche dopo la sua adesione al montanismo, egli nonha dimenticato che la Chiesa è la Madre della nostra fede e della nostra vita cristiana. Egli sisofferma pure sulla condotta morale dei cristiani e sulla vita futura. I suoi scritti sono importantianche per cogliere tendenze vive nelle comunità cristiane riguardo a Maria santissima, ai sacramentidell’Eucaristia, del Matrimonio e della Riconciliazione, al primato petrino, alla preghiera... In modospeciale, in quei tempi di persecuzione in cui i cristiani sembravano una minoranza perduta,Tertulliano li esorta alla speranza, che - stando ai suoi scritti - non è semplicemente una virtù a séstante, ma una modalità che investe ogni aspetto dell’esistenza cristiana. Abbiamo la speranza che ilfuturo è nostro perché il futuro è di Dio. Così la risurrezione del Signore viene presentata come ilfondamento della nostra futura risurrezione, e rappresenta l’oggetto principale della fiducia deicristiani: “La carne risorgerà - afferma categoricamente l'Africano -: tutta la carne, proprio la

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carne, e la carne tutta intera. Dovunque si trovi, essa è in deposito presso Dio, in virtù delfedelissimo mediatore tra Dio e gli uomini Gesù Cristo, che restituirà Dio all’uomo e l’uomo aDio” (Sulla risurrezione dei morti 63,1).Dal punto di vista umano si può parlare senz’altro di un dramma di Tertulliano. Con ilpassare degli anni egli diventò sempre più esigente nei confronti dei cristiani. Pretendeva da loro inogni circostanza, e soprattutto nelle persecuzioni, un comportamento eroico. Rigido nelle sueposizioni, non risparmiava critiche pesanti e inevitabilmente finì per trovarsi isolato. Del resto,anche oggi restano aperte molte questioni, non solo sul pensiero teologico e filosofico diTertulliano, ma anche sul suo atteggiamento nei confronti delle istituzioni politiche e della societàpagana. Fa molto pensare questa grande personalità morale e intellettuale, quest'uomo che ha datoun così grande contributo al pensiero cristiano. Si vede che alla fine gli manca la semplicità, l'umiltàdi inserirsi nella Chiesa, di accettare le sue debolezze, di essere tollerante con gli altri e con sestesso. Quando si vede solo il proprio pensiero nella sua grandezza, alla fine è proprio questagrandezza che si perde. La caratteristica essenziale di un grande teologo è l'umiltà di stare con laChiesa, di accettare le sue e le proprie debolezze, perché solo Dio è realmente tutto santo. Noiinvece abbiamo sempre bisogno del perdono.In definitiva, l’Africano rimane un testimone interessante dei primi tempi della Chiesa,quando i cristiani si trovarono ad essere autentici soggetti di “nuova cultura” nel confrontoravvicinato tra eredità classica e messaggio evangelico. E’ sua la celebre affermazione secondo cuila nostra anima “è naturaliter cristiana” (Apologetico 17,6), dove Tertulliano evoca la perennecontinuità tra gli autentici valori umani e quelli cristiani; e anche quell’altra sua riflessione, mutuatadirettamente dal Vangelo, secondo cui “il cristiano non può odiare nemmeno i propri nemici” (cfrApologetico 37), dove il risvolto morale, ineludibile, della scelta di fede, propone la “non violenza”come regola di vita: e non è chi non veda la drammatica attualità di questo insegnamento, anche allaluce dell’acceso dibattito sulle religioni.Negli scritti dell’Africano, insomma, si rintracciano numerosi temi che ancor oggi siamochiamati ad affrontare. Essi ci coinvolgono in una feconda ricerca interiore, alla quale esorto tutti ifedeli, perché sappiano esprimere in maniera sempre più convincente la Regola della fede, quella -per tornare ancora una volta a Tertulliano – “secondo la quale noi crediamo che esiste un solo Dio,e nessun altro al di fuori del Creatore del mondo: egli ha tratto ogni cosa dal nulla per mezzo delsuo Verbo, generato prima di tutte le cose” (La prescrizione degli eretici 13,1).Ricordiamo i suoi scritti principali: l’Apologetico; La testimonianza dell’anima; A Scapula(proconsole d’Africa che nel 212 aveva scatenato una violenta persecuzione verso i cristiani);Contro Marcione; Sul battesimo; Sulla carne di Cristo; La Resurrezione della carne; ControPrassea (è questo il più importante contributo alla dottrina trinitaria prima di Nicea, a cui hannoattinto tanti autori compreso il grande Agostino); Dell’anima; La preghiera; La penitenza; Lapudicizia.Sant’Ambrogio (333-397): nato a Treviri, dopo la morte del padre diviene governatore delle provincie della Liguria e dell’Emilia. È ancora catecumeno quando, mentre vigila sull’ordine pubblico in occasione dell’elezione del vescovo di Milano, si ode la voce di un bambino dire: “Ambrogio vescovo”. In pochi giorni – lasciati tutti i suoi beni ai poveri – riceverà il battesimo e l’ordine sacro, per essere costituito vescovo di Milano. Nelle sue prediche combatte l’arianesimo, contribuendo alla diffusione delle disposizioni di Nicea. È uno dei precursori del monachesimo occidentale. La sua azione pastorale si caratterizza per la chiara distinzione operata tra governo civile ed ecclesiastico: ne è conferma la pubblica penitenza imposta da Ambrogio all’imperatore Teodosio, per il terribile massacro compiuto a Tessalonica nel 390; penitenza motivata affermando che anche l’imperatore è nella Chiesa, non sopra di essa, e pertanto è anch’egli bisognoso della cura dell’anima che la Chiesa è tenuta ad offrire.San Girolamo (347-420): consacrato alla vita monastica, vive per un periodo – assieme ad un gruppo di amici – ad Aquileia, dove si dedica alla vita ascetica. Durante un pellegrinaggio a Gerusalemme, è costretto da una malattia a fermarsi per un certo tempo ad Antiochia, dove si

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dedicherà allo studio esegetico e della lingua greca ed ebraica. Ordinato sacerdote, si reca a Costantinopoli per ascoltare Gregorio Nazianzeno, e diviene amico di Gregorio di Nissa. Chiamato da papa Damaso a Roma, tradurrà la Bibbia in latino: tale traduzione, definita la Vulgata, diverrà il testo “ufficiale” della Chiesa per molti secoli. Lasciata Roma, si trasferirà a Betlemme dove resterà fino alla sua morte. In Palestina fonderà anche alcuni monasteri maschili e femminili. Girolamo può essere considerato senza dubbio il più colto dei padri occidentali.Sant’Agostino (354-430): segue il percorso di una vita travagliata, prima di approdare al cristianesimo. Figlio di padre pagano e madre cristiana, Monica, viene educato cristianamente, ma non riceve il battesimo. Studia retorica e grammatica, insegnando a Cartagine, Tagaste e Milano. Da una relazione illegittima avrà anche un figlio, Adeodato. Ricercatore della verità, per un certo periodo Agostino si accosterà alla setta dei manichei. A Milano tuttavia, avuto modo di conoscere e ascoltare il vescovo Ambrogio, approderà alla fede e sarà battezzato dallo stesso Ambrogio la notte di Pasqua del 387, insieme al figlio Adeodato. Ritiratosi in Africa, assieme ad alcuni amici, si dedicherà alla vita monastica cenobitica. Sarà persuaso dal vescovo di Ippona Valerio a diventare presbitero, quindi suo Vescovo coadiutore. Divenuto Vescovo della città alla morte del predecessore, Agostino si dedicherà al ministero episcopale per 35 anni. Morirà il 28 agosto del 430, durante l’assedio posto dai vandali alla città. Nei suoi scritti e nella sua predicazione, Agostino si oppone strenuamente all’eresia, confutando le dottrine dei pelagiani, dei manichei e dei donatisti, come anche l’arianesimo, il sabellianesimo e il patripassianismo. San Gregorio Magno (540-604): fondatore di monasteri in Sicilia (nelle terre ricevuta in eredità) vive una vita monastica in solitudine, fino a quando papa Pelagio II lo chiamerà per inviarlo a Costantinopoli come suo delegato. Anche durante il suo incarico, egli continuerà a condurre vita monastica, dedicandosi allo studio della teologia. Rientrato nel suo monastero in Sicilia, continuerà a servire il pontefice, tanto che alla morte di questi sarà chiamato a succedergli come Papa. Il suo pontificato lascerà un segno importante nella storia della Chiesa (al punto da valergli il titolo di magno). È da sottolineare, tra le altre cose, la sua incisiva azione di riforma del clero, di cui troviamo una testimonianza nell’opera Liber regulae pastoralis: essa contiene indicazioni per la vita sacerdotale e l’attività pastorale, e costituirà un punto di riferimento per tutto il medioevo, in materia di formazione dei sacerdoti. Altra opera importante è il Commento morale a Giobbe, che diverrà un testo base per la teologia morale-ascetica dei secoli successivi. Nei Dialoghi, egli descrive la vita di diversi santi, tra cui Benedetto da Norcia, il primo vero padre del monachesimo occidentale. Interverrà anche nel campo della liturgia, per quanto concerne la celebrazione della Santa Messa e i canti.

17. CONCILI ECUMENICII concili ecumenici (cioè concili della chiesa universale, e non soltanto di una o più chiese particolari) celebrati nel primo millennio, sono di importanza fondamentale per la formazione e lo sviluppo del dogma di fede. Essi sono i seguenti otto:

1. NICEA I (325); = condanna l’arianesimo e si afferma la consustazialità del Figlio con il Padre.

2. COSTANTINOPOLI I (381); = condanna il macedonianesimo o eresia pneumatomachi e afferma la divinità dello Spirito Santo.

3. EFESO (431); = condanna il nestorianesimo affermando la maternità di Maria, Madre di Dio.

4. CALCEDONIA (451); = condanna il monofisismo, il monotelismo e il monoenergismo, affermando l’unione ipostatica delle due nature nell’unica persona di Cristo.

5. COSTANTINOPOLI II (553); = ribadirà la condanna del nestorianesimo. Circa la Vergine Maria: nella sessione ottava del 2 giugno del 553, canone 2 (Denzinger-Schönmetzer 422), viene usata l’espressione aeipàrthenos, “sempre vergine”. COSTANTINOPOLI III (680-681); = ribadirà la condanna del monotelismo.

6. NICEA II (787); = contro l’iconoclastia, si afferma la venerazione delle immagini sacre. 21

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7. COSTANTINOPOLI IV (869-870); = deposizione di Fozio, la supremazia del papa anche in Oriente.

Sono tutti concili indetti da imperatori, e celebrati in località dell’oriente cristiano.

17.1. INTRODUZIONE: PER UNA VISIONE D’INSIEMEI secoli IV-V sono caratterizzati da violente controversie, scoppiate in seno alla Chiesa, sulla professione di fede nell’unità e trinità di Dio e sull’incarnazione, cioè i due elementi che costituiscono ancora oggi la base e l’elemento distintivo della fede cristiana.

I due misteri principali della fede cristiana 1.     Unità e Trinità di Dio.2.     Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo.

Le discussioni, che si protrarranno per diversi decenni, sfoceranno nella celebrazione di una serie di sinodi e di concili, che definiranno le principali verità della fede cattolica.Le questioni teologiche trattate, nell’ordine, sono le seguenti: il mistero DELL’UNITÀ E TRINITÀ DI DIO. In che modo va inteso il rapporto tra Padre e Figlio, o tra Padre, Figlio e Spirito all’interno della Trinità? Il conflitto su tale questione viene provocato da Ario – condannato dal concilio di Nicea – e durerà fino al concilio di Costantinopoli I. I primi due concili ecumenici di Nicea e Costantinopoli, pertanto, si sono interessati del dogma trinitario. La questione teologica trinitaria solleva anche quella cristologia, circa il RAPPORTO TRA DIVINITÀ E UMANITÀ DI GESÙ CRISTO. Le questioni cristologiche saranno oggetto dei quattro concili successivi (Efeso, Calcedonia, Costantinopoli I e II). Il settimo concilio del primo millennio (Nicea II) affronterà la questione dell’iconoclastia. L’ottavo ed ultimo concilio ecumenico (Costantinopoli IV) è indetto dall'imperatore bizantino Basilio I il Macedone, per confermare la deposizione del patriarca di Costantinopoli Fozio. Costui può essere considerato il principale artefice dello scisma del IX secolo tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. Deposto formalmente al concilio, presieduto dai legati pontifici, egli finirà per riconoscere la supremazia del papa anche sull'Oriente. Questo concilio, tuttavia, non viene riconosciuto dalle Chiese orientali. Esso è l'ultimo dei Concili ecumenici tenuti in Oriente e convocati dagli imperatori.Di seguito presenteremo in modo più approfondito i singoli concili e le questioni da essi affrontate.17.2. Il Concilio di Nicea (325).Il concilio di Nicea viene indetto dall’imperatore Costantino nel 324, per risolvere la questione suscitata dalla predicazione di Ario (256-336). Originario della Libia, Ario esercita il ministero di presbitero ad Alessandria, sotto la guida del vescovo Alessandro D’Alessandra. È considerato teologo capace e zelante. Prima del 318, egli comincia ad esporre la propria teologia, che parte dall’assoluta trascendenza, immutabilità di Dio, per difendere la quale egli giunge a separare nettamente Dio-Padre da Dio-Figlio. Per Ario, vero Dio sarebbe soltanto il Padre ingenerato, mentre il Figlio apparterrebbe alle creature e non sarebbe eterno (“Ci fu un tempo in cui egli non era”), ma sarebbe stato tuttavia la prima e la prediletta fra tutte le creature. Egli è, per Ario, intermediario e strumento di Dio.La dottrina di Ario susciterà ad Alessandria un notevole interesse, ma anche obiezioni: il vescovo Alessandro scomunica Ario insieme ai suoi seguaci, ma la controversia sorta attorno alle sue idee è destinata ad allargarsi a dismisura. Ciò si deve anche al fatto che Ario non si rassegnerà ad abbandonare le sue posizioni, ma cercherà degli appoggi, trovandoli specialmente nel vescovo Eusebio di Nicomedia e anche in Eusebio di Cesarea.

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Gli animi si dividono. Nel 320 viene celebrato – presieduto dal vescovo Eusebio di Nicomedia – un sinodo in Bitinia che si esprime in favore di Ario, chiedendo la sua riammissione nella Chiesa, nettamente rifiutata dal vescovo Alessandro. Un sinodo ad Antiochia si esprimerà a favore di Alessandro, condividendone ampiamente la posizione teologica e rinnovando la condanna ad Ario e dei suoi seguaci.L’imperatore deciderà, a questo punto, di risolvere la questione definitivamente, convocando a tale scopo il CONCILIO DI NICEA, che ha inizio il 20 maggio 325 e al quale partecipano 250-300 vescovi provenienti dall’oriente, oltre a due presbiteri dall’occidente. Il risultato dogmatico è compendiato nella professione di fede di Nicea, che fa riferimento probabilmente al testo usato nell’atto liturgico del battesimo. Questo testo confessa che “IL FIGLIO DI DIO È DELLA NATURA DEL PADRE”, “CHE EGLI È DIO VERO DA DIO VERO, GENERATO, NON CREATO, DELLA IDENTICA NATURA DEL PADRE” (homoousia: consustanzialità, diverrà il punto controverso principale).

Credo degli Apostoli

«Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terrae in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore,il quale fu concepito da Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto;discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte;salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente:di là verrà a giudicare i vivi e i morti.Credo nello Spirito Santo,la santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi,la remissione dei peccati,la risurrezione della carne,la vita eterna. Amen».

Credo di Nicea

Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili.E in un solo Signore, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, cioè dall'essenza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio, generato, non creato, consustanziale con il Padre;per mezzo di lui tutte le cose sono state create, sia quelle nel cielo sia quelle sulla terra;per noi gli uomini e per la nostra salvezza discese e si è incarnato;morì ed è risuscitato il terzo giorno ed è salito nei cieli;e verrà per giudicare i vivi e i morti.E nello Spirito Santo.A riguardo di quelli che dicono che c'era un tempo quando Egli non c'era, e prima di essere generato non c'era,e che affermano che è stato fatto dal nulla o da un'altra sostanza o essenza,o che il Figlio di Dio è una creatura, o alterabile o mutevole,la santa cattolica e apostolica Chiesa li anatematizza.

Il concilio condannerà la dottrina ariana e scomunicherà Ario, il quale tuttavia non si sottometterà alla decisione conciliare, al pari dei suoi seguaci (tra cui il vescovo Eusebio di Nicomedia): da questo punto di vista, il concilio di Nicea non aveva ancora chiuso, in modo definitivo, la questione. All’indomani di Nicea, infatti, si scatena un’accesa controversia sul simbolo niceno (il “credo”), destinata a durare ancora per cinquanta anni. Gli alessandrini persistono sulla loro posizione teologica. Il partito che si era schierato con Ario, pur prendendone le distanze, si schiererà decisamente contro l’homoousios. L’imperatore – preoccupato per le divisioni che turbano la pace e l’armonia dell’impero – verrà a trovarsi, negli anni dopo il concilio, sotto l’influenza di questo partito antiniceno, capeggiato da Eusebio di Nicomedia, tanto che verso la fine del 327 Ario verrà riabilitato. Ma gli oppositori dell’eresia non si arrendono (tra questi sant’Atanasio, vescovo di Alessandria, che per la sua fede nella divinità del Cristo sarà esiliato per ben cinque volte).

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Sotto l’imperatore Costanzo II (337-361), anch’egli antiniceno, si operano diversi tentativi di dare soluzione alla controversia teologica attraverso un compromesso tra le due posizioni. Col risultato che la fazione antinicena si suddividerà in tre gruppi, a seconda del modo di spiegare il rapporto tra Padre e Figlio in seno alla Trinità. Questi gruppi prendono il nome dal termine greco utilizzato in sostituzione dell’homoousios niceno: OMOIUSIANI, secondo i quali Padre e Figlio sono simili (homoiousios) nella sostanza: essi parlano di “similitudine” nel tentativo di evitare il termine homoousios (“della stessa sostanza”), al centro di tante polemiche; OMEI: parlano di una semplice somiglianza (homoeiusios) tra Padre e Figlio ANOMEI: sono gli ariani che mantengono la posizione di Ario, secondo cui c’è dissomiglianza (an-omoios) tra Padre e Figlio.Le controversie teologiche divideranno l’impero ancora per diversi decenni, fino a che l’imperatore Teodosio il Grande, con l’editto Cunctos populos (381), non imporrà la confessione nicena come confessione dell’impero.

17.3. Il Concilio di Costantinopoli (381).Le discussioni sulla divinità del Figlio vengono ulteriormente aggravate dalla controversia sullo Spirito Santo. Il concilio di Nicea si era limitato a dichiarare la fede della Chiesa nello Spirito Santo, con parole semplici e senza aggiungere spiegazioni. Ma sulla divinità dello Spirito, non vi era ancora una posizione chiara. Gli pneumatomachi ritenevano lo spirito come un essere creato, identificandolo con uno degli spiriti inviati da Dio per servire: ne negavano dunque l’eternità e la divinità, ma nello stesso tempo lo distinguevano dalle nature angeliche e spirituali, collocandolo al disopra di esse.Coloro che sul piano teologico indicheranno la strada da seguire, nella seconda metà del IV secolo, sono i Padri Cappàdoci: Basilio il Grande, Gregorio Nazanzeno e Gregorio di Nissa (definiti neo-niceni).Essi introducono la categoria dell’essere ipostatico: l’unica ousia (sostanza) di Dio nelle tre ipostasi di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sarebbero certamente da distinguere per quanto riguarda le loro particolarità, mentre c’è uguaglianza di azione delle tre ipostasi nella creazione, storia della salvezza e nella redenzione.Avvalendosi della teologia sviluppata dai Cappadoci, il Concilio di Costantinopoli I porrà fine alle questioni: i 150 padri del sinodo appartenevano in maggioranza alla corrente neo-nicena, favorevole all’idea di consustanzialità (homoousios) di Padre e Figlio, ai quali si aggiungeva ora lo Spirito Santo. Il simbolo di Costantinopoli formulerà con espressioni bibliche il seguente articolo: “Crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, che procede dal Padre, che con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti”.

Credo Niceno-Costantinopolitano

Credo in un solo Dio, Padre onnipotenteCreatore del cielo e della terra,di tutte le cose visibili e invisibili.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli:Dio da Dio, Luce da Luce,Dio vero da Dio vero,generato, non creato,della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose

sono state create.Per noi uomini e per la nostra salvezzadiscese dal cielo,e per opera dello Spirito Santosi è incarnato nel seno della Vergine Mariae si è fatto uomo.Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,morì e fu sepolto.Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,è salito al cielo, siede alla destra del Padre.E di nuovo verrà, nella gloriaper giudicare i vivi e i morti,e il suo regno non avrà fine.

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Credo nello Spirito Santo,che è Signore e dà la vita,e procede dal Padre e dal Figlio.Con il Padre e il Figlioè adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa,una santa cattolica e apostolica.Professo un solo Battesimoper il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei mortie la vita del mondo che verrà.Amen.

Nel 382, con l’accettazione da parte di Roma della lettera sinodale orientale e della risoluzione dogmatica, si poneva fine alla controversia trinitaria.Al testo latino del credo niceno-costantinopolitano è legata l’importante controversia che si accenderà – secoli più tardi – sul Filioque (e del Figlio). Il testo originario proclama che lo Spirito “procede dal Padre”, e non si sa con chiarezza quando venne inserita nel simbolo per la prima volta la formula “procede dal Padre e dal Figlio”. La chiesa greca rifiuterà decisamente l’aggiunta: nelle discussioni che condurranno al grave scisma tra Roma e Bisanzio (nel 1054), il Filioque sarà uno dei punti fondamentali.L’arianesimo non scompare completamente con il concilio del 381. In oriente sopravvivono comunità ariane fino al secolo V. Inoltre il popolo dei Goti, i cui vescovi avevano preso parte del Concilio di Costantinopoli, adotterà la confessione omeusiana (Figlio simile alla sostanza del Padre) influenzando la maggior parte delle stirpi germaniche che, nei decenni e secoli seguenti, penetreranno nell’Impero Romano.

17.4. Il Concilio di Efeso (431).Le discussioni cristologiche del tardo IV sec., portano ad elaborare – contro la cristologia ariana – il concetto di vera divinità del Logos e di vera e completa umanità di Cristo. I successivi sviluppi dottrinali, si concentreranno sulla questione del rapporto tra divinità e umanità in Gesù Cristo. Su questo tema si confronteranno due scuole di pensiero, caratterizzate da due modi diversi di presentare il mistero della persona di Cristo.La cosiddetta Scuola antiochena, rifacendosi alla tradizione di Diodoro di Tarso, pone in forte risalto la distinzione tra Logos e Carne/uomo, per esaltare al di là di ogni dubbio, la trascendenza del Verbo divino. All’uomo Gesù spetterebbe lo stesso onore e la stessa adorazione che spetta al Logos divino. Nella stessa direzione proseguirà il discepolo di Diodoro, Teodoro di Mopsuestia.Nella Scuola alessandrina si pone in primo piano l’unità delle due nature, sulla base dell’opera di Didimo il cieco, che aveva cercato di prendere sul serio l’intera umanità in Cristo. Il rappresentante di spicco della cristologia alessandrina è san Cirillo d’Alessandria, la cui posizione si riassume nell’affermazione: “Il Logos divenne uomo, della nostra stessa natura, senza cessare di essere Dio”.La controversia teologica tra le due scuole, scoppierà attorno al 429, quando il vescovo di Costantinopoli Nestorio (della scuola antiochena) interverrà nella discussione sul titolo mariano di “Madre di Dio” (Theotokos). Egli rifiuta tale titolo onorifico, in quanto Maria – secondo lui – dovrebbe essere chiamata soltanto “Madre di Cristo” (Cristotokos), perché Cristo sarebbe il nome della nuova persona, il composto dalle due nature, umana e divina. Le due nature, per l’incarnazione non sarebbero unite ipostaticamente nell’unica persona eterna del Verbo, ma l’incarnazione ne compone con le due nature una nuova persona, Cristo. Questa è l’argomentazione con la quale Nestorio giustifica la sua definizione della Vergine Maria, Madre di Cristo e non Madre di Dio. Agli occhi degli esponenti della scuola di Alessandria, tutto ciò apparirà sospetto di eresia. Cirillo aprirà la controversia per risolvere la questione. Ambedue i contendenti cercheranno il proprio riconoscimento dalla Chiesa di Roma. Un Sinodo romano del 430, informato soltanto da Cirillo, esorterà Nestorio alla ritrattazione delle sue tesi. Papa Celestino I incaricherà Cirillo di eseguire la decisone sinodale, ed egli stilerà un elenco di “dodici anatematismi”, dodici tesi alle quali Nestorio doveva rinunciare.

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Intanto l’imperatore Teodosio II, per risolvere la questione, aveva convocato un Concilio ad Efeso per il 7 giugno 431. Cirillo vi arriverà con un grosso seguito, mentre Nestorio – che per ordine del vescovo aveva accettato il titolo di Teothokos – con una piccola minoranza. Senza aspettare l’arrivo degli altri vescovi orientali di Antiochia, pur essendo ripetutamente invitato a partecipare Nestorio all’apertura del concilio, egli fece sapere che sarebbe intervenuto solo con l’arrivo di tutti i vescovi ancora in viaggio. Il 22 giugno senza aspettare Cirillo aprirà di propria autorità l’assemblea. Con la lettura della lettera imperiale, si definisce ufficialmente aperto il concilio. In quella assemblea si dona lettura della seconda lettera che Cirillo aveva inviato a Nestorio, dopo un adeguato intervento di Cirillo, i vescovi presenti votarono che il contenuto della sua lettera rispettasse la fede professata a Nicea. In quella occasione fu letta anche la lettera di risposta di Nestorio alla lettera di Cirillo, definendola nel suo contenuto sacrilega. Si rende nota anche quanto papa Callisto aveva risposto a Nestorio e di una terza lettera che Cirillo aveva scritto a Nestorio, nella quale si contenevano dodici anatematismi verso la dottrina di Nestorio. Da questa assemblea Nestorio ne uscirà deposto dall’ufficio episcopale, escluso da ogni assemblea sacerdotale, sarà accusato di eresia e definito come “Nuovo Giuda”. Con una lettera Cirillo scrive alla chiesa di Alessandria, affermando con toni trionfalistici, “il nemico della fede è caduto”. Il 26 giugno giungeranno Giovanni d’Antiochia con gli orientali, i quali terranno, insieme al commissario imperiale, una loro assemblea che dichiarerà eretici i “dodici anatematismi” e deporrà Cirillo e il vescovo locale. La situazione diverrà ancora più confusa con l’arrivo dei legati romani, che aderiscono subito a Cirillo. Con l’appoggio dei romani, sono scomunicati Giovanni d’Antiochia e una parte dei sui vescovi.Nel 433 si giungerà, nella cosiddetta unione d’Antiochia – in cui svolge un ruolo importante soprattutto Teodoreto di Cirro –, a formulare il cosiddetto “simbolo di unione”, che approva il titolo di Theotokos – condannando Nestorio – e dichiarando la fede in Gesù Cristo come perfetto Dio e perfetto Uomo e nell’unione delle due nature. Tale simbolo tuttavia non porrà fine alle controversie: il modo di intendere e spiegare la divinità e l’umanità di Cristo, rimane ancora da chiarire e precisare. Certo il concilio di Efeso fu accerchiato da diversi meschini difetti umani, ma che nonostante tutto favorirà un progresso cristologico, il quale negli anni successivi, permetterà alla riflessione teologica di elaborare quei concetti che confluiranno, a definire il dogma poi proclamato dal Concilio di Calcedonia.Sarà sempre motivo di rammarico il fatto che ad Efeso non si sia giunti da una discussione oggettiva, serena e concreta, tra Nestorio e i suoi amici da una parte e Cirillo con i suoi dall’altra. Forse si sarebbe chiarito che il contrasto teologico era motivato da una mancanza ti terminologia precisa ed esattamente determinata. Forse Nestorio, avrebbe riconosciuto la tradizione da lui trascurata la quale riconosceva Maria Madre di Dio e avrebbe accetto la comunicazione degli idiomi. Ma anche Cirillo da parte sua avrebbe visto che Nestorio, si era impegnato seriamente nella comprensione dell’unità delle due nature in Cristo, ed era vicino all’ortodossia più di quanto sembrasse. Gli appellativi con cui si definisce Nestorio di “nuovo Giuda” e il “sacrilego” gravano su Efeso come un’ombra nera. Certo Nestorio ormai in esilio, venendo alla conoscenza del contenuto di una lettera che Papa Leone scrisse a Flaviano, dichiarò in una lettera destinandola alla popolazione di Costantinopoli, che egli era pienamente d’accordo con la cristologia espressa da papa Leone e da Flaviano. Purtroppo la sua difesa pervenuta nel Liber Heraclidis (interpolato) = con delle alterazioni nel testo, non consente comunque di riconoscere alcuno sostanziale passo in avanti rispetto alla sua posizione già da lui espressa, la quale ricevette la condanna da parte del Concilio nel 431. 17.5. Il Concilio di Calcedonia (451).Negli anni successivi al simbolo di unione del 433, le formulazioni di Cirillo a difesa dell’unità del Verbo incarnato, saranno assunte e diffuse esasperandole in senso monofisistico: la natura umana di Cristo, con l’incarnazione, si sarebbe mescolata a quella divina e addirittura “mutata” in essa, così che alla fine non resterebbe che un’unica natura del Verbo incarnato (mono “una” + physis “natura”, da cui monofisismo).

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Gli anni quaranta del VI secolo porteranno una svolta decisiva. A Cirillo era succeduto come vescovo di Alessandria Dioscoro, che per rafforzare l’influenza d’Alessandria aveva appoggiato la teologia monofisistica; invece il nuovo vescovo di Costantinopoli Flaviano, anch’egli seguace di Cirillo, si apprestava ad operare resistenza contro Alessandria, opponendosi al monofisismo. A Roma entrava in scena il pontefice san Leone Magno.Colui che farà scoppiare la nuova controversia è Eutìche di Costantinopoli, che con l’appoggio di Dioscoro inizia a propugnare il monofisismo: “Io confesso che nostro Signore prima dell’unione (prima di divenire uomo) era composto di due nature, dopo l’unione confesso soltanto una natura”. Flaviano si opporrà al fanatico Eutiche. Nel cosiddetto sinodo endemico (celebrato in città) di Costantinopoli (448), Eutiche viene deposto e scomunicato. Alla cristologia di Eutiche, i padri sinodali si opporranno con la seguente formula: “Noi confessiamo che Cristo dopo l’incarnazione è composto di due nature, in una ipostasi e una persona; lo confessiamo come unico Cristo, unico Figlio, unico Signore”.Papa Leone, fattisi inviare gli atti sinodali, si assocerà alla condanna di Eutiche. Egli inoltre invia a Flaviano una dettagliata esposizione cristologica (Epistola ad Flavianum) in cui difende la distinzione delle nature anche dopo l’unione.I seguaci di Eutiche intanto avevano indotto l’imperatore a convocare un nuovo concilio generale ad Efeso sotto la presidenza di Dioscoro. Esso nel 449 – godendo dell’appoggio imperiale e agendo sotto la protezione di una speciale “guardia del corpo” composta di monaci fanatici – riabiliterà Eutiche e la sua cristologia, dichiarata come ortodossa (ignorando l’Epistola dogmatica di papa Leone, che non potè nemmeno essere letta), e condannando all’esilio Flaviano di Costantinopoli e gli avversari di Eutiche. In questo modo veniva annullata la formula d’unione del 433 ed il monofisismo sembrava trionfare come professione ortodossa di fede. Papa Leone, descrivendo in modo triste tale avvenimento (“Mani prigioniere si prestarono per empie firme”), definirà la riunione di Efeso come un SINODO DI LADRONI.La revisione di questa risoluzione, tuttavia, fu possibile già l’anno successivo, dopo la morte improvvisa dell’imperatore Teodosio II a cui succederà la sorella Pulcheria che, sganciatasi dalla politica religiosa del fratello, più volte insieme al marito – il generale Marciano – si rivolgerà al papa per chiedere la celebrazione di un concilio. Leone I acconsentirà, a condizione che i suoi legati presiedessero l’assemblea. Il Concilio di Calcedonia, celebrato fra l’8 ottobre e il 1 novembre del 451, sotto la direzione di alti funzionari imperiali e con oltre 350 partecipanti, costituisce il più grande sinodo della Chiesa antica. Il Concilio decretò la condanna del sinodo endemico del 448 e la deposizione di Dioscoro. La seduta del 10 ottobre risultò un trionfo per papa Leone: “Questa è la fede dei Padri. Questa è la fede degli Apostoli…Pietro ha parlato per bocca di Leone…Noi tutti crediamo così. Come Cirillo, così crediamo noi”. Quanto alla confessione di fede fu definita la formula seguente: fede in unico e medesimo Figlio, Signore, Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità.Il Concilio si occuperà anche di questioni riguardanti l’ordinamento e la disciplina della Chiesa. L’ultimo dei canoni (leggi) conciliari, in particolare, creava il Patriarcato di Costantinopoli.

UNO SCHEMA DEI PRIMI QUATTRO CONCILI

1°NICEA

(325)

  indetto da Costantino (sotto il pontificato di Silvestro). Espresse contro Ario la divinità di Gesù Cristo e la sua consustanzialità col Padre. Fu fissata, per tutta la Chiesa, la data della celebrazione della Pasqua.Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio Vero, generato non creato dalla stessa sostanza del Padre

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2°COSTANTINOPOLI

I (381)

  indetto dall'imperatore Teodosio I (pontefice Damaso). Contro gli Pneumatomachi, che negavano la divinità dello Spirito Santo, definì questa dottrina.Non fu ecumenico nella sua convocazione, ma solo in quanto la Chiesa accettò la condanna dell'eresia che negava la divinità dello Spirito.Credo nello Spirito Santo, che è il Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.

3°EFESO

(431)

  indetto dall'imperatore Teodosio il Giovane (pontefice Celestino I). Condannò Nestorio di Costantinopoli, che insegnava l'eresia secondo la quale Maria non era la Madre di Dio, (theotokos) ma la madre di Cristo, uomo (anthropotokos). Fu pure condannato Celestio, sostenitore con Pelagio della dottrina pelagiana, considerata eretica.

4°CALCEDONIA

(451)

  indetto dall'imperatore Marciano (pontefice Leone I). Fu il completamento del precedente. Si espresse contro la dottrina di Eutiche ed i monofisiti, confermando che in Gesù Cristo vi sono due nature, la divina e l'umana. Il Concilio, quindi, riconobbe: 1. l'unità di operazione (monoenergismo) e 2. l'unità di volontà, vale a dire, due volontà naturali e due modi naturali d'operare, indivisi, immutati, inseparati e non mescolati. Il Concilio, inoltre, pur riconoscendo al papa, il primato della Chiesa di Roma, sancì la parificazione di tutti i vescovi, sia occidentali sia orientali. Unione ipostatica, due nature umana e divina, in modo inconfuso, nella persona di Cristo.

17.6. Il Concilio di Costantinopoli II (553).La formula di fede di Calcedonia era stata proclamata come confessione che doveva unificare, ma i monofisisti condannati formeranno il nucleo di una risoluta opposizione, cui aderiranno ben presto anche altri avversari del concilio. Le divisioni all’interno della Chiesa, nonostante la chiara formulazione di Calcedonia, continuavano a sussistere.Nel 544/545 l’imperatore Giustiniano emana un decreto dottrinario, che condanna persona ed opera di Teodoro di Mopsuestia, ritenuto il padre del nestorianismo, gli scritti contro Cirillo di Teodoreto di Ciro e la lettera di Iba D’Edessa; i cosiddetti TRE CAPITOLI, per purificare in questo modo il simbolo calcedonense da qualsiasi sospetto di nestorianismo e per guadagnare l’assenso dei monofisisti. In quegli scritti si insisteva sulla distinzione delle due nature, al punto da insinuare come uno sdoppiamento di personalità tra Gesù uomo e Gesù Dio, che venivano ad essere due cose separate. Si finiva per cadere anche nell’adozionismo, affermando che il Verbo divino sarebbe entrato in Gesù solo dopo la nascita (sicché Maria sarebbe Madre di Gesù uomo, ma non di Gesù Dio).Il 5 maggio 553 lo stesso imperatore riunirà un concilio a Costantinopoli, cui prenderanno parte 166 vescovi, tra i quali soltanto una dozzina provenienti dall’occidente (anche il papa Virgilio preferirà tenersi lontano). Esso si chiuderà confermando la condanna dei Tre Capitoli e della dottrina dei nestoriani, ma non riuscirà a ricucire la sospirata unione con i monofisisti (i quali addirittura, sotto il vescovo siriano Baradai, protetto dall’imperatrice Teodora, fonderanno una propria chiesa monofisita). Anche in Italia il concilio provocherà delle scissioni: la separazione da Roma delle province di Milano ed Aquileia.

1. La Verginità perpetua di Maria è un dogma della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa. Tale dogma afferma che Maria, la madre di Gesù, è sempre rimasta vergine, prima, durante e dopo il concepimento del suo figlio. Il dogma è stato definito dal

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secondo Concilio di Costantinopoli nel 553. Questo concilio fu convocato dall'imperatore Giustiniano nel 553 e si i poneva l'obiettivo di riconciliare i cristiani copti dell'Egitto (sostenitori del monofisismo) con la Chiesa. Per raggiungere questo obiettivo, l'imperatore fece condannare gli scritti di tre autori nestoriani (la raccolta era nota con il nome di Tre Capitoli), particolarmente invisi ai copti, ossia Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e il vescovo Iba di Edessa. Nel corso del Concilio venne anche condannato l'origenismo e furono pronunciati 14 anatemi.

2. In seguito al dogma Maria viene comunemente chiamata Maria Vergine ed è detta la Vergine per antonomasia. In Sintesi Maria è rimasta “Vergine nel concepimento del Figlio suo, Vergine nel parto, Vergine incinta, Vergine madre, Vergine perpetua” [Sant'Agostino, Sermo 186, 1: PL 38, 999]: con tutto il suo essere, ella è “la serva del Signore” (Lc 1,38).

(CCC 499) L'approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a confessare la verginità reale e perpetua di Maria [Concilio di Costantinopoli II: DS 427] anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo [San Leone Magno, Tomus ad Flavianum, DS 291, 294; Pelagio I, Lettera Humani generis: DS 442; Concilio Lateranense, DS 503; Concilio di Toledo XVI, DS 571; Pio IV, Cost. Cum quorumdam hominum, DS 1880]. Infatti la nascita di Cristo “non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l'ha consacrata” [Conc. Vat. II, Lumen gentium, 57]. La Liturgia della Chiesa celebra Maria come la Aeiparthenos, “sempre Vergine” [Lumen gentium, 52 e CCC 500) A ciò si obietta talvolta che la Scrittura parla di fratelli e di sorelle di Gesù [Mc 3,31-35; 6,3; 1Cor 9,5; Gal 1,19]. La Chiesa ha sempre ritenuto che tali passi non indichino altri figli della Vergine Maria: infatti Giacomo e Giuseppe, “fratelli di Gesù” (Mt 13,55) sono i figli di una Maria discepola di Cristo [Mt 27,56] la quale è designata in modo significativo come “l'altra Maria” (Mt 28,1). Si tratta di parenti prossimi di Gesù, secondo un'espressione non inusitata nell'Antico Testamento [Gen 13,8; 14,16; 29,15; ecc.]. (CCC 501) Gesù è l'unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria [Gv 19,26-27; Ap 12,17] si estende a tutti gli uomini che egli è venuto a salvare: “Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto “il primogenito di una moltitudine di fratelli” (Rm 8,29), cioè dei fedeli, e alla cui nascita e formazione ella coopera con amore di madre” [Lumen gentium, 63].

L’Origenismo condannato dal Concilio: Orìgene ed i suoi seguaci, nel tentativo di conciliare la tradizione

ecclesiastica con i principi della filosofia platonica, enunciarono tesi particolari, in seguito condannate come eretiche,

riguardo alla natura del Logos, l'eternità della creazione, la preesistenza delle anime, l'apocatastasi.

Le idee più controverse che diedero adito a tante discussioni in una Chiesa che gradualmente poneva le basi del

proprio Credo in vari campi di fede sono:1. la creazione eterna e il numero infinito dei mondi successivi;2. la preesistenza (platonica) delle anime e la loro caduta nei corpi, a modo di castigo per le colpe passate;3. La corporeità degli angeli (eterea);4. la negazione dell'eternità dell'inferno, detta anche restaurazione universale, mediante una riabilitazione generale dei

dannati, compreso Satana;5. la negazione della risurrezione della carne come è espressa nel Simbolo degli apostoli;6. la subordinazione del Verbo al Padre e quella dello Spirito Santo rispetto al Verbo.

XIV ANATEMISMI CONTRO “I TRE CAPITOLI”

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I. Chi non confessa che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno una sola natura o sostanza, una sola virtù e potenza, poiché essi sono Trinità consostanziale, una sola divinità da adorarsi in tre ipostasi, o persone, sia anatema.

II. Uno, infatti, è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il Signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose. Se qualcuno non confessa che due sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l'altra in questi nostri ultimi tempi, quando egli è disceso dai cieli, s'è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa, sia anatema.

III. Se qualcuno afferma che il Verbo di Dio che opera miracoli non è lo stesso Cristo che ha sofferto, o anche che il Dio Verbo si è unito col Cristo nato dalla donna, o che egli è in lui come uno in un altro; e non confessa invece, un solo e medesimo signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si è incarnato e fatto uomo, al quale appartengono sia le meraviglie che le sofferenze che volontariamente ha sopportato nella sua carne, costui sia anatema.

IV. Se qualcuno dice che l'unione del Verbo di Dio con l'uomo è avvenuta solo nell'ordine della grazia, o in quello dell'operazione, o in quello dell'uguaglianza di onore, o nell'ordine dell'autorità, o della relazione, o dell'affetto, o della virtù; o anche secondo il beneplacito, quasi che il Verbo di Dio si sia compiaciuto dell'uomo, perché lo aveva ben giudicato, come asserisce il pazzo Teodoro; ovvero secondo l'omonimia per cui i Nestoriani, chiamando il Dio Verbo col nome di Gesù e di Cristo, e poi, separatamente, l'uomo, "Cristo e Figlio", parlano evidentemente di due persone, anche se fingono di ammettere una sola persona e un solo Cristo, solo di nome, e secondo l'onore, e la dignità e l'adorazione; egli non ammette, invece, che l'unione del Verbo di Dio con la carne animata da anima razionale e intelligente, sia avvenuta per composizione, cioè secondo l'ipostasi, come hanno insegnato i santi padri; e quindi nega una sola persona in lui, e cioè il Signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità, costui sia scomunicato. Poiché, infatti, l'unità si può concepire in diversi modi, gli uni, seguendo l'empietà di Apollinare e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano l'unità, parlano di un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di Teodoro e di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una unione di relazione. La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra eresia, confessa l'unione di Dio Verbo con la carne secondo la composizione, ossia secondo l'ipostasi. Questa unione secondo la composizione nel mistero di Cristo, salvaguarda dalla confusione degli elementi che concorrono all'unità, ma non ammette la loro divisione.

V. Se qualcuno intende l'unica persona del signore nostro Gesù Cristo come implicante più sussistenze, e con ciò tenta introdurre nel mistero di Cristo due ipostasi o persone, e se di queste due persone, da lui introdotte, parla di una secondo la dignità l'onore e l'adorazione, come hanno scritto nella loro pazzia Teodoro e Nestorio, e accusa il santo concilio di Calcedonia, quasi che abbia usato l'espressione "una sola sussistenza", secondo questa empia concezione; e non ammette, piuttosto, che il Verbo di Dio si è unito alla carne secondo Ripostasi e che, quindi, egli ha una sola ipostasi, cioè una sola persona; e che così anche che il santo sinodo di Calcedonia ha confessato una sola ipostasi del Signore nostro Gesù Cristo, costui sia anatema. La santa Trinità, infatti, non ha ricevuto l'aggiunta di una persona in seguito all'incarnazione di Dio Verbo, uno della santa Trinità.

VI. Se qualcuno afferma che la santa gloriosa e sempre vergine Maria solo impropriamente e non secondo verità è madre di Dio, o che ella lo è secondo la relazione, nel senso che sarebbe nato da lei un semplice uomo, e non, invece il Dio Verbo, che si è incarnato dovendosi riferire,

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secondo loro, la nascita dell'uomo al Verbo Dio, in quanto presente all'uomo che nasceva; e chi accusa il santo sinodo di Calcedonia, di chiamare la vergine madre di Dio nel senso empio escogitato da Teodoro; o anche se qualcuno la chiama madre dell'uomo o madre di Cristo, intendendo con ciò che Cristo non sia Dio, e non la ritiene davvero, e secondo verità madre di Dio, per essersi incarnato da essa, in questi ultimi tempi, il Verbo Dio, generato dal Padre prima dei secoli, e che, quindi, piamente il santo sinodo di Calcedonia l'ha ritenuta madre di Dio, costui sia anatema.

VII. Se qualcuno, dicendo "in due nature", non confessa che nella divinità e nella umanità si deve riconoscere il solo signore nostro Gesù Cristo, così che con questa espressione voglia significare la diversità delle nature, da cui senza confusione e in modo ineffabile è scaturita l'unità, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e senza che la carne si trasformasse nella natura del Verbo (l'uno e l'altra, infatti, rimangono ciò che sono per natura, pur operandosi l'unione secondo ipostasi; se costui, dunque, intende tale espressione come una divisione in parti nel mistero di Cristo; ovvero, pur ammettendo, nello stesso ed unico signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, la pluralità delle nature, non accetta solo in astratto la differenza dei principi da cui è costituito, non tolta certo in seguito all'unione (uno, infatti, è da due, e due in uno), ma in ciò si serve della pluralità delle nature per sostenere che esse sono separate e con una propria sussistenza, costui sia anatema.

VIII. Se uno confessa che dalle due nature, divina e umana, è sorta l'unione, o ammette una sola natura incarnata del Verbo di Dio ma non intende queste espressioni secondo il senso dei santi padri, cioè che, avvenuta l'unione secondo Impostasi della natura divina e della natura umana, un solo Cristo ne è stato l'effetto; ma con questa espressione tenta introdurre una sola natura o sostanza della divinità e della carne di Cristo, costui sia anatema. Dicendo, infatti, che il Verbo Unigenito si è unito alla carne secondo l'ipostasi, noi non affermiamo che si sia operata una confusione scambievole delle nature, ma che, rimanendo l'una e l'altra ciò che è, il Verbo si è unito alla carne. Di conseguenza, uno è anche il Cristo, Dio e uomo, consostanziale al Padre secondo la divinità, della nostra stessa natura, secondo l'umanità. Per questo, la chiesa di Dio rigetta e condanna sia coloro che dividono o separano secondo le parti il mistero della divina incarnazione di Cristo, sia coloro che le confondono.

IX. Se qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due nature, con ciò introduce due adorazioni, una al Verbo .Dio, una all'uomo; o se qualcuno, mirando alla soppressione della carne, o alla confusione della divinità e dell'umanità, va cianciando di una sola natura o sostanza degli elementi uniti, e così adora il Cristo, ma senza venerare con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne, come la chiesa di Dio ha ricevuto dall'inizio, costui sia anatema.

X. Se qualcuno non confessa che il signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria ed uno della santa Trinità, costui sia anatema.

XI. Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi scritti, e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla santa chiesa cattolica e apostolica e dai quattro predetti santi concili; inoltre, chi ha ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle degli eretici che abbiamo nominato, e persiste nella propria empietà fino alla morte, sia anatema.

XII. Se qualcuno difende l'empio Teodoro di Mopsuestia, il quale dice altro essere il Verbo di Dio ed altro il Cristo, sottoposto alle passioni della anima e ai desideri della carne, che si è liberato a poco a poco dai sentimenti inferiori, è migliorato col progresso delle opere, ed è

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divenuto perfetto nella vita; che è stato battezzato come semplice uomo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, e attraverso il battesimo, ha ricevuto la grazia dello Spirito santo ed è stato stimato degno dell'adozione di figlio, e che, a somiglianza di una immagine dell'imperatore, viene adorato nella persona del Dio Verbo, e dopo la risurrezione è divenuto immutabile nei suoi pensieri e del tutto impeccabile. L'empio Teodoro ha anche detto che l'unione del Verbo di Dio con il Cristo è tale, quale l'apostolo afferma per l'uomo e per la donna: Saranno i due in una sola carne. Con altre innumerevoli bestemmie, egli ha osato dire che dopo la resurrezione il Signore quando soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito santo, non diede ad essi lo Spirito santo, ma soffiò solo simbolicamente. Egli ha detto anche che la confessione di Tommaso, quella che fece quando, palpate le mani e il costato del Signore, dopo la resurrezione, esclamò: Mio Signore e mio Dio, non è stata fatta da Tommaso nei riguardi di Cristo, ma che Tommaso, meravigliato per il miracolo della risurrezione, ha glorificato Dio che aveva risuscitato Cristo. E, ciò che è peggio, anche nel commento da lui fatto agli Atti degli apostoli, lo stesso Teodoro, paragonando il Cristo a Platone, a Mani, ad Epicuro, a Marcione, afferma che, come ciascuno di questi, trovata una propria dottrina, fece sì che i suoi discepoli si chiamassero Platonici, Manichei, Epicurci, Marcioniti, allo stesso modo avendo trovato il Cristo una dottrina, da lui hanno preso il nome i cristiani. Se quindi, qualcuno difende l'empio Teodoro, che sopra abbiamo nominato, e i suoi empi scritti, nei quali egli ha riversato le bestemmie cui abbiamo accennato ed altre innumerevoli contro il grande Dio e signore nostro Gesù Cristo; e non condanna lui e i suoi malvagi scritti, e quelli che lo accettano e lo scagionano, o affermano che ha esposto rettamente la dottrina, quelli che hanno scritto a suo favore e dei suoi empi scritti, quelli che la pensano o la pensarono un tempo come lui, e perseverarono in tale eresia fino alla morte, sia anatema.

XIII. Se alcuno difende gli empi scritti che Teodoreto scrisse contro la vera fede, contro il primo, santo concilio di Efeso, contro s. Cirillo e i suoi dodici anatemi, e tutto ciò che egli compose in difesa di Teodoro e di Nestorio, empi, e degli altri che professano le loro idee, e li accettano, e accettano la loro empietà, e a causa di essi chiama empi i dottori della chiesa, quelli, cioè, che professano l'unione secondo l'ipostasi del Verbo di Dio; se, dunque, costui non anatematizza gli empi scritti suddetti, e coloro che hanno principi simili a questi, o li hanno avuti, e quanti hanno scritto contro la retta fede, e contro Cirillo, uomo santo, e i suoi dodici capitoli, e chi muore in tale empietà, costui sia anatema.

XIV. Se qualcuno difende la lettera che si dice essere stata scritta da Iba al persiano Mari, che nega che il Dio Verbo, incarnatosi nella santa madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo, e afferma che da essa sia nato un semplice uomo, che chiama tempio, in modo che altro sia il Dio Verbo, altro l'uomo; e accusa s. Cirillo, il quale ha predicato la vera fede dei cristiani, di essere eretico e di avere scritto come l'empio Apollinare; e rimprovera il primo santo concilio di Efeso, quasi che abbia senza sufficiente giudizio e discussione condannato Nestorio e definisce i dodici punti di s. Cirillo empi e contrari alla retta fede, questa lettera, empia essa stessa, prende le difese di Teodoro e di Nestorio e dei loro empi scritti e dottrine. Se, quindi, qualcuno difende questa lettera, e non anatematizza essa e quanti la difendono, e quanti dicono che essa, o anche una sua parte, è retta; e quelli che hanno scritto e scrivono in suo favore o a favore delle empietà che essa contiene, o tentano di giustificarla con tutte le sue empietà in nome dei santi padri e del santo concilio di Calcedonia, e sono rimasti fermi in queste idee fino alla morte, costui sia anatema.

Fatta, dunque, a questo modo la professione delle verità, che abbiamo ricevuto sia dalla divina Scrittura, sia dall'insegnamento dei santi padri, e da quanto è stato stabilito intorno all'unica e vera fede dai predetti quattro sinodi; e pronunciata anche la condanna contro gli eretici e la loro empietà, e inoltre contro quelli che o hanno scusato o tentano di scusare i tre capitoli di cui

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abbiamo parlato, e che hanno perseverato e continuano a perseverare nel proprio errore; se qualcuno tentasse di trasmettere, insegnare, o scrivere alcunché in opposizione con quanto noi abbiamo disposto, se questi è vescovo o chierico, poiché agisce in modo alieno da quello proprio dei sacerdoti e dello stato ecclesiastico, sarà spogliato della sua dignità vescovile o di chierico; se poi fosse monaco o semplice laico, sarà anatema.

17.7. Il Concilio di Costantinopoli III (680/681).Nel 633 l’imperatore Costantino IV, nel tentativo di trovare una formula d’unione con i monofisisti, farà elaborare e diffondere la cosiddetta formula monoergetistica. Essa, elaborata da Sergio da Costantinopoli, risolveva il problema ricorrendo al concetto di un unico soggetto operante umano-divino, mosso cioè da un unico principio di attività e di operazione (monos + energhia, una sola energia).Contro questa formula si solleveranno tuttavia nuove opposizioni, di cui si farà portavoce il monaco Sofronio, facendo notare – giustamente – che l’affermazione di nature in Cristo implica anche l’esistenza di due “energie” (o principi operativi), umana e divina. Il dibattito non sembrava approdare ad una soluzione chiara. Sergio perciò correggerà la sua formula, sostituendola con la cosiddetta formula monotelistica (monos+telos, una volontà), parlando – anziché di un'unica energia – di un’unica volontà. Si deve notare che le due soluzioni (monoenergetica e monotelista) non risolvevano il problema del monofisismo (cioè la convinzione che la natura umana di Cristo fosse “assorbita” dall’unica natura divino-umana, finendo per distruggere la vera umanità del Salvatore). Le due formule si limitavano a trasferire il problema dal piano della natura a quello dell’energia o della volontà: affermando l’esistenza di una unica energia o volontà in Cristo, equivaleva a dichiarare la natura umana di Cristo non perfetta, andando contro il dogma di Calcedonia. Nonostante tutto, tale formula monotelista sarà resa obbligatoria dall’imperatore Eraclio (sotto il papa Onorio I), al fine di porre fine alle diatribe e alle contese in seno all’impero.A muovere la protesta contro la decisione imperiale, saranno i seguaci calcedonensi, guidati da san Massimo il confessore. Intervenendo nella questione, egli richiederà la condanna del monotelismo, spiegando che, poiché la volontà deve essere associata alla natura, si deve parlare di due volontà in Cristo, le quali non sono contrapposte, ma in perfetta armonia. Anche papa Giovanni IV condannerà il monotelismo. Il suo successore, papa Martino I, si esprimerà anch’egli a favore di due volontà. Intanto, però, l’imperatore Costante II aveva proibito la discussione sulla questione, per garantire l’unità dell’impero. Egli giungerà addirittura a condannare il papa di tradimento a Costantinopoli, a farlo esiliare e condannare a morte nella penisola di Crimea nel 655. Anche Massimo il Confessore subirà la stessa sorte.A Costante II succederà il figlio Costantino IV, il quale convocherà un sinodo imperiale a Costantinopoli che si svolge dal 680 al 681 nella sala del Trullo (da qui il nome trullano I). Il concilio formulerà una dettagliata professione di fede, a partire dalla lettera di papa Agatone, che aveva condannato il monotelismo esponendo in modo esauriente la dottrina sulle due volontà: “Crediamo in due volontà naturali e due energie naturali”. I monotelisti saranno esiliati.Al fine di integrare i due ultimi concili, l’imperatore Giustiniano II convocherà un nuovo concilio, sempre nella sala del trullo (Trullano II 691/692). I suoi 102 canoni si riferiscono soltanto alla Chiesa bizantina. Alcune disposizioni, in particolare, mettevano in risalto certe differenze nella vita e nella disciplina della Chiesa Orientale rispetto a quella Occidentale, fino al punto di insinuare i primi segni della rottura destinata a consumarsi in futuro: il concilio rivendicava per il patriarca di Costantinopoli una dignità pari a quella del papa, si andava contro le disposizioni romane sul celibato, sul matrimonio dei presbiteri e dei diaconi. Papa Sergio si rifiuterà di riconoscere le decisioni del concilio (il quale perciò non è un concilio ecumenico, ma è ritenuto tale ancora oggi dalle Chiese Ortodosse); anche l’imperatore procederà con forza contro di esso.17.8. La lotta iconoclasta e il Concilio di Nicea II (787).

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Nella Chiesa si conosce il culto delle immagini sacre, con la consapevolezza che la venerazione dell’immagine è cosa diversa dall’adorazione, che si deve unicamente al Dio vivente, Colui che le immagini intendono rappresentare. Per quanto riguarda le immagini sacre, bisogna dire che la Chiesa primitiva, per i primi tre secoli, fu fedele al comando dato da Dio a Mosè nell'Esodo di non farsi immagine o idolo alcuno, per evitare il pericolo dell'idolatria. Fin dai primissimi secoli, tuttavia, nella Chiesa si usavano simboli come il pesce (icquV ð Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore), l’ A e W ( ð alfa e omega, principio e fine), la sigla JHS ( ð Gesù Salvatore degli uomini) ed ovviamente la croce (senza Crocifisso però). Col diffondersi del cristianesimo in occidente, a contatto quindi con la cultura greco-romana (templi, divinità, immagini), e col sostegno della riflessione teologica dei Padri cappadoci (Basilio e i due Gregorio) che si pronunciavano in favore delle immagini, si inizia a riconoscere il grande valore pedagogico delle immagini sacre per i deboli. Così il loro culto, a partire dai sec. IV e V, viene a diffondersi nella Chiesa. Purtroppo però, il fragile equilibrio tra il culto delle immagini e l'abuso (adorazione), sarà spesso turbato.Il culto delle sacre immagini si radicherà profondamente, in particolare, nella Chiesa greca (soprattutto ad opera dei monaci, capi spirituali del popolo), dove era diventato parte integrante della religione. Vi erano però alcuni che vedevano in esso una illecita concessione al paganesimo. Il governo imperiale, in un preciso momento storico e per motivi legati a precise scelte politiche, farà sua questa dottrina praticando l’iconoclastia (“distruzione delle immagini”). La lotta al culto delle immagini viene aperta dall'imperatore Leone III l'Isaurico (o il Siro: era della Siria), che nel 726 con un editto dispone l'allontanamento o il velamento delle immagini sacre, ripreso da un secondo editto del 730 che ordinava esplicitamente la loro distruzione. Tali decisioni non sono mosse semplicemente da motivi di fede. Ve ne sono altri determinanti: 1) Leone III nel tentativo di restaurare l'impero, cercava il favore di maomettani ed ebrei, assai numerosi ed influenti in certe regioni, i quali erano ostili alle immagini; 2) il culto delle immagini implicava un cedimento alla cultura occidentale, quindi bisognava vivificare lo spirito orientale, legato alla filosofia platonica che poneva la perfezione nella pura idea; 3) la soppressione delle immagini ridimensionava il potere ecclesiastico e costituiva un mezzo per accaparrarsi i beni dei monaci, difensori delle immagini; 5) vietando le immagini, si intendeva “purificare la fede”, dato che il culto delle immagini era motivo di dissidio fra i teologi. In sintesi, dietro la scelta dell’imperatore, si celava un intento fortemente politico, quello di sottomettere la Chiesa al suo potere. Difendere le immagini, pertanto, per la Chiesa significava anche difendere la propria indipendenza dal dispotismo imperiale.Difensore dotto della fede contro l'iconoclastia, sul piano teologico e dottrinale, è san Giovanni di Damasco (Damasceno), vissuto in pieno territorio islamico e fuori i confini dell'impero. Papa Gregorio II ammonirà l'imperatore a fare marcia indietro e a desistere dalla lotta iconoclasta, rivendicando la materia delle immagini sacre come competenza esclusiva dei vescovi. Il suo successore, Gregorio III farà di più, decretando la scomunica per chiunque avesse distrutto, profanato o disprezzato le immagini sacre. Per ritorsione, l’imperatore Leone III confischerà gli ingenti patrimoni che la Chiesa romana possedeva nell’Italia meridionale e in Illiria, incorporando queste regioni al patriarcato di Costantinopoli, sottraendole alla giurisdizione di Roma, per sottometterle (liturgicamente, economicamente e giuridicamente) all’impero bizantino, sotto il quale resteranno fino al 1059, con l’avvento dei Normanni. Tali divergenze non faranno altro che accrescere la distanza tra papato e impero, e questa è una delle ragioni che spingeranno i Papi a cercare nuove alleanze, trovando l’appoggio del nascente regno dei Franchi: una scelta che segnerà profondamente la storia della Chiesa medievale e dell’Europa stessa.

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A Leone III succederà il figlio Costantino V Copronimo, il quale non solo proseguirà sulla stessa linea del padre, ma – improvvisandosi teologo – pretenderà di fondare il divieto del culto alle immagini su base dottrinale. Convocato un “concilio” a Ieria nel 754, con 338 vescovi (ma senza Papa e senza alcun patriarca, dunque non ecumenico), egli decreterà l'iconoclastia, dichiarando diabolico e idolatrico il culto delle immagini, e colpendo con l’anatema l'ex patriarca Germano e Giovanni Damasceno. Ovunque le immagini sacre saranno allontanate dalle chiese, le pitture murali spesso distrutte, i mosaici coperti d'intonaco e sostituiti con rappresentazioni profane (alberi ed uccelli). Fra i monaci, che si opposero al brutale despotismo, non mancarono i martiri dell'iconoclastia, altri emigrarono in occidente portando con sé tesori d’arte e reliquie (trovando rifugio soprattutto nelle terre bizantine del Sud Italia, lontane da Costantinopoli e dunque meno soggette alla potestà dell’Imperatore). Papa Stefano II nel sinodo lateranense del 769, colpirà con la scomunica il «Synodus execralibus» iconoclasta del 754. L’imperatore Leone IV, figlio di Costantino V, si dimostrerà più mite. Ma la fine dell’iconoclastia si avrà con l'imperatrice Irene, la quale dopo la morte del marito, assumerà la reggenza per il figlio Costantino VI. Ella, che in passato aveva praticato in segreto il culto delle immagini, revocherà i decreti iconoclasti concedendo a ciascuno libertà di fabbricare e venerare immagini sacre. Per risolvere la questione sul piano dottrinale, infine, indisse un Concilio (questa volta veramente ecumenico, data la partecipazione di patriarchi e dei legati di Papa Adriano I), che si tenne a Nicea nell’787. Questo conciliò ripudiò lo pseudo-sinodo del 754, affermando che sulla base della tradizione si può e si deve tributare un culto di devota venerazione alle immagini di Cristo, della Madonna, degli Angeli e dei Santi: poiché questa venerazione è diretta al prototipo stesso, cioè alla persona rappresentata; ma l'adorazione vera e propria (latria) spetta soltanto a Dio. Un nuovo periodo di lotta iconoclasta e di persecuzioni si riaccenderà in oriente sotto l'imperatore Leone V l'Armeno che nell'815 ristabilirà i decreti del 754, fino a quando l'imperatrice madre Teodora che prenderà le redini del governo alla sua morte, in qualità di reggente per il figlio Michele III, ancora minorenne, non restaurerà il culto – questa volta in modo definitivo – celebrando un sinodo tenuto a Costantinopoli nell'843, a perenne ricordo del quale fu istituita la grande festa dell'ortodossia che si celebra la 1ª domenica di Quaresima. Caratteristiche delle icone: 1) non devono contenere errori teologici; 2) devono essere conformi alla tradizione; 3) devono essere artistiche. Ciò è possibile solo se nascono in un clima di preghiera e di ascesi. L'icona introduce la trascendenza, serve per la liturgia, aiuta la preghiera della famiglia. Non vuole imitare la natura, ma trasmettere un messaggio che trasforma l'intimo. L'icona si concentra sul volto che viene dipinto color oro, con la luce che piove dall'alto, con occhi grandi e la bocca piccola che raffigura il silenzio di Dio. Il colore roseo indica la divinità, il blu l'umanità. La Vergine Maria è raffigurata in tre modi diversi: 1) elèusa: la tenerezza, guancia a guancia con Gesù; 2) odigitria: indica la via che è Gesù; 3) orante: con le braccia aperte.

17.9. IL CONCILIO DI COSTANTINOPOLI IV 869-870Durante il IX secolo in seno alla Chiesa greca si accendono dure controversie, che pongono le premesse, e manifestano i segni della sua futura definitiva separazione dall'occidente. Queste lotte interne sono legate alla nomina del vescovo di Bisanzio. Il vecchio vescovo, il patriarca Ignazio, nell’Epifania dell’858 aveva rifiutato pubblicamente l’Eucaristia – a causa della sua vita immorale – a Cesare Barda, zio dell'imperatore Michele III «l'ubriaco». Barda, che di fatto teneva in mano il potere dominando completamente il giovane nipote, si vendicherà costringendo il patriarca ad abdicare e nominando al suo posto Fozio (laico, riceverà l’ordinazione presbiterale e poi episcopale dall'arcivescovo di Siracusa Gregorio Asbesta, già scomunicato da Ignazio).Questi eventi causeranno una spaccatura nella chiesa di Bisanzio, tra sostenitori ed avversari di Fozio, che si scomunicheranno a vicenda. Papa Niccolò I, riconoscendo i difetti occorsi nell'intronizzazione di Fozio (nomina di un laico e sua consacrazione da parte di un vescovo scomunicato, e per di più in una sede ancora occupata da Ignazio), invierà due legati per esaminare

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la situazione. I legati tuttavia, oltrepassando le loro facoltà (esaminare la situazione) riconfermeranno la deposizione di Ignazio, mentre questi dichiarava invalida la sua abdicazione e si rifiutava di riconoscere i legati quali suoi giudici. Ricevuto un rapporto a Roma, il Papa decreterà la destituzione dei legati, privando Fozio di ogni dignità ecclesiastica e minacciandolo (assieme ai suoi partigiani) di scomunica nel caso di ulteriore disobbedienza. Il Papa ordinava infine il ripristino di Ignazio e dei suoi fautori. Ma Fozio, appoggiato apertamente dalla corte imperiale, si opporrà alle disposizioni papali, iniziando anzi un’accesa campagna contro papa Niccolò I, prendendo come pretesto il fatto dell’annessione alla Chiesa di Roma dei Bulgari, da poco convertiti. Egli esporrà le sue accuse contro l’invadenza dei missionari romani in Bulgaria e contro la disciplina occidentale ivi introdotta, in una enciclica dell’867. Nella stessa enciclica, inoltre, si puntava il dito contro la dottrina degli occidentali circa la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio (Filioque), giudicata come esecrabile eresia. La medesima enciclica convocava i patriarchi in un grande sinodo per pronunciare un giudizio sul Papa. Questo sinodo tenutosi l'867 dichiarerà deposto e scomunicato quale “eretico e devastatore della vigna del Signore” Papa Niccolò I, il quale moriva prima ancora di essere informato di questa decisione. La rottura era ormai consumata. Verso la fine dello stesso anno tuttavia Basilio I il Macedone, dopo aver assassinato Michele III, si impadronirà di tutto il governo, costringendo Fozio ad abdicare, ripristinando Ignazio e riprendendo le relazioni con Roma. Per risolvere la questione indirà, in consonanza col Papa Adriano II, un Concilio ecumenico a Costantinopoli (869-870), sotto la direzione di tre legati pontifici. Fozio sarà condannato e ridotto allo stato laicale. Lo stesso concilio, però, sarà occasione di nuove tensioni tra Roma e Bisanzio. Esso infatti, in una sessione successiva, annetterà i Bulgari al patriarcato di Costantinopoli, nonostante le proteste, gli ammonimenti e le minacce di Papa Giovanni VIII. Altre tensioni si verranno a creare a causa degli sviluppi successivi degli eventi. Dopo la morte di Ignazio, Fozio sarà ripristinato nella sua posizione di Vescovo. Egli sfruttando la debolezza politica di Papa Giovanni VIII, che aveva bisogno dell'aiuto bizantino contro le invasioni dei Saraceni, e forte della sua influenza presso la corte imperiale, riuscì a fare prevalere la sua posizione nel sinodo di Costantinopoli dell'879-880 (non ecumenico, ma ritenuto tale dalle Chiese ortodosse), guadagnando dalla sua parte persino i legati papali. Il sinodo riconoscerà Fozio come legittimo patriarca, ripudiando il concilio dell'869-870 (vero concilio ecumenico). Esso inoltre dichiarerà il Simbolo Niceno-Costantinopolitano come unico e solo, condannando ogni omissione ed ogni aggiunta. Bisogna ricordare che sia Papa Giovanni VIII che i suoi successori riconosceranno Fozio (ma non il concilio dell’879), nonostante questi avesse ripreso nella sua Mystagogia Spiritus Sancti la polemica contro la dottrina dei Latini sulla processione dello Spirito Santo; inoltre i Greci ebbero in grande onore la sua memoria. Fozio è da essi venerato come “maestro apostolico ed ecumenico” e come “santo”.In sintesi: il Concilio di Costantinopoli (869-870) è riconosciuto dalla Chiesa Cattolica come l’ottavo concilio ecumenico. Indetto dall'imperatore bizantino Basilio I il Macedone per confermare la deposizione di Fozio, e svoltosi sotto la presidenza dei legati pontifici, esso afferma la supremazia del papa anche sull'Oriente. Questo concilio non viene riconosciuto dalle Chiese orientali ortodosse. Esso è l'ultimo dei Concili ecumenici tenuti in Oriente e convocati dagli imperatori.

18. LA SVOLTA COSTANTINIANADopo il governo dell’imperatore Diocleziano, comincia il tempo dell’affermazione della religione cristiana nell’impero romano. Costantino nasce intorno al 280 da Costanzo Cloro e da Elena. Cresciuto alla corte dell’imperatore Diocleziano, nel 306 viene chiamato al ruolo di “Cesare” d’Occidente (ricordiamo che Diocleziano aveva instaurato il sistema della tetrarchia, che prevedeva la divisione dell’impero in due parti – Occidente e Oriente – ognuna delle quali era governata da un

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“Augusto” e da un “Cesare”). Si narra che la conversione di Costantino al cristianesimo si ebbe in una circostanza particolare, in occasione della decisiva vittoria – durante la guerra civile che avrebbe segnato la sua ascesa al vertice del potere – contro il forte avversario Massenzio nei pressi di ponte Milvio, a Roma. Costantino attribuirà la vittoria al Dio dei cristiani, essendogli apparsa in visione, nella notte precedente alla battaglia, una croce con l’inscrizione: “in hoc signo vinces” (sotto questa insegna vincerai). Costantino concederà molti favori ai cristiani, tra cui edifici per il culto e la costruzione di basiliche (San Pietro in Vaticano, Santo Sepolcro a Betlemme). Nonostante tale atteggiamento favorevole verso i cristiani, i suoi costumi non saranno molto coerenti al vangelo: egli sarà battezzato solo sul letto di morte (dopo essere stato carnefice della propria famiglia, avendo fatto uccidere il suocero, la moglie, un figlio e tre cognati). Costantino fu riluttante fino alla fine nel ricevere il battesimo, sia perché non aveva abbandonato del tutto atteggiamenti pagani, e sia perché se da un lato la predicazione sul battesimo, metteva in evidenza la sublimità del sacramento e il valore della grazia battesimale, dall’altro lato metteva anche in evidenza che tale grazia si poteva perdere a motivo del peccato, per queste ragioni si voleva ricevere alle soglie della morte. Eusebio testimonia che Costatino ricevette il battesimo con atteggiamento di grande devozione. Come i primi cristiani, dopo il battesimo si è rivestito di abiti bianchi, non volendo più toccare gli abiti di porpora, le ultime parole da lui dette, dopo aver ricevuto il battesimo: “ora mi riconosco veramente felice: ora so d’essere diventato partecipe della vita immortale, della vita eterna”, morirà il giorno di Pentecoste del 337 il 22 maggio. In un primo momento Costantino assumerà il governo dell’Occidente, avendo al fianco, come sovrano in Oriente, l’augusto Licinio (persecutore dei cristiani). Ben presto i due sovrani entreranno in conflitto: dal loro scontro Costantino ne uscirà come unico e solo imperatore. La sua vittoria segna l’inizio del processo di definitiva cristianizzazione dell’impero romano, a partire dal 324. Costantino sposterà la capitale dell’Impero in Oriente, nella città di Bisanzio, che sarà ribattezzata Costantinopoli nell’11 maggio del 330, divenendo una “seconda Roma”. Tutto ciò contribuirà a delineare sempre di più la separazione tra oriente e occidente (con le due capitali Roma e Costantinopoli) già avviata nei secoli precedenti, che si consumerà con lo scisma del 1054. Sotto il regno di Costantino si assiste alla progressiva scomparsa dei culti pagani e alla chiusura dei templi (alcuni dei quali distrutti, altri trasformati in basiliche cristiane). In questa fase i pagani, da persecutori, passeranno ad essere perseguitati: la religione costituisce sempre l’anima dell’impero, anche se adesso invece di essere quella degli idoli pagani è quella del Dio dei cristiani. Nel 325 la domenica, così come le altre grandi feste cristiane, viene proclamata giorno festivo. Nel 380, infine, il cristianesimo diviene ufficialmente “religione di stato”, con l’editto Cunctos populos dell’imperatore Teodosio.

19. IL MONACHESIMOLe origini del fenomeno monastico sono ancora avvolte, in gran parte, da una fitta oscurità, per la mancanza di una documentazione chiara che la illustri. Il termine tecnico monachós compare per la prima volta nel vangelo encratita di Tommaso (ritrovato nella biblioteca copta di Nag-Hammadi) mentre nella lettera dello Pseudo-Barnaba si invitano caldamente dei dissidenti, da identificare con gruppi di Ellenisti della regione siro-asiatica, a non monazein, cioè a non starsene appartati dalla comunità, in nome di una pretesa superiorità spirituale. Sappiamo che forme di ascetismo domestico, sono praticate già nel corso del II e III secolo, ma è soltanto a partire dai decenni a cavallo tra il III e IV secolo che il monachesimo viene prepotentemente alla ribalta della storia cristiana, in tutto il suo spessore sociologico e religioso. Si tratta di un fenomeno complesso che si estende dall’Egitto, sua culla d’origine, alla Siria e alla Mesopotamia e a tutta l’Asia Minore, per espandersi verso l’Occidente latino (Italia, Gallia, Spagna, Africa, Isole Britanniche) con notevole rapidità, già nel IV secolo. Quali sono le ragioni che hanno trasformato il monachesimo in un fenomeno di massa, al punto che – com’è stato osservato – il deserto “si affollò come una città”?

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Vi sono indubbiamente delle concause di natura sociale ed economica: la anacoresi, cioè la fuga verso il deserto, costituiva per molti diseredati ed oppressi l’unica via di scampo da situazioni sociali di emarginazione. Le persone, uomini e donne, che prendevano la via del deserto, erano dunque in generale di bassa estrazione sociale, prive di mezzi economici e di cultura. Questo spiega perché la convivenza in gruppo di tali persone, malgrado la buona volontà, non dovesse essere delle più facili e anche perché, ad un certo momento, si sia imposta l’esigenza di dar forma a delle strutture di vita comune ordinata, le quali avvolgessero, attraverso una disciplina adeguatamente severa, l’educazione religiosa e l’esperienza di questi monaci. Si può dunque parlare di una evoluzione del fenomeno monastico dei primi secoli, corrispondente al passaggio da forme di eremitismo anacoretico verso forme di cenobitismo organizzato. Le origini del monachesimo si fanno risalire in genere al III° sec. In Oriente, quando in alcuni uomini l’aspirazione alla vita ascetica – presente fin dal principio nel cristianesimo –, si fa così forte da indurli a staccarsi dai propri simili prima parzialmente poi del tutto, per ritirarsi in località lontane e deserte. Per il loro isolamento questi vengono chiamati monaci oppure anacoreti e più tardi eremiti. Essi abbracciano dunque questo sistema di vita come fuga dal mondo, nella ricerca di un contatto ininterrotto con Dio. I primi esponenti di questo monachesimo anacoretico, vissuti in Egitto, sono: Paolo di Tebe e Sant’Antonio il Grande.Antonio il Grande (251-356) è il “Patriarca del monachesimo”, famoso come uomo di preghiera, lottatore contro i demoni, guida di anime e guaritore d’infermi, al punto che la sua vita miracolosa sarà messa per iscritto dal suo ammiratore Atanasio, vescovo di Alessandria (quella di Paolo da Tebe, invece da S. Girolamo). Tale documento offre una fonte importante per la conoscenza della vita monastica dei primi secoli. Figlio di agiati genitori cristiani, provenienti dal Medio Egitto, Antonio è il padre degli anacoreti, cioè degli eremiti del deserto d’Egitto. Alla morte prematura dei genitori egli, all’età di venti anni, venduti tutti i suoi beni per dare il ricavato ai poveri, si ritirerà in solitudine affidando la sorella ad un monastero femminile. Egli pone il luogo del suo ritiro, inizialmente, nei pressi dei suoi luoghi natali, ma presto sarà costretto, per non essere disturbato, ad inoltrarsi nel deserto, quindi su un monte difficile da raggiungere, oltre il Nilo. Ben presto l’esempio di Antonio sarà seguito da altri, cosa che causerà il passaggio da una vita eremitica ad una forma di vita più comune. Dopo venti anni d’isolamento, Antonio accetterà di circondarsi di discepoli, i quali costruiranno celle vicine, creando una comunità di anacoreti, ancora priva di una regola scritta e di stabilità. Solo successivamente, in una terza fase di sviluppo del fenomeno monastico, si assisterà al sorgere del Cenobitismo, legato al nome di Pacomio (286-346) che verso il 320 fonda un chiostro con una casa formata di celle per numerosi monaci, ai quali dona una regola comune che stabilisce norme per la preghiera, pratiche di pietà, vestito e orari di lavoro. Il capo spirituale della comunità prende il nome di abate, cioè padre. La vita eremitica, in questo modo, si trasforma nella vita di una comunità ben organizzata. Il monachesimo cenobitico si diffonderà prima in Oriente (durante la sua vita Pacomio fonderà molti monasteri, giungendo ad un seguito di 9000 monaci; la sorella Maria fonderà la prima comunità femminile). Nel V sec. il centro del monachesimo, con il diffondersi dei monasteri femminili accanto a quelli maschili, è la regione della Tebaide. Anche in Occidente, pressappoco nello stesso periodo, vi sono uomini che si danno alla vita monastica, come S. Atanasio. In Gallia il rappresentante e il promotore del monachesimo è S. Martino di Tours che si adopera con tutte le sue forze per la sua diffusione in Gallia e in Spagna. Ma il vero “patriarca” e il fondatore del cenobitismo occidentale, è senza dubbio San Benedetto da Norcia. Nato a Norcia nel 480 da nobile famiglia rurale, egli abbandona la vita agiata dei suoi compagni per darsi alla vita eremitica sui monti Sabini, per lunghi anni pregando e mortificandosi in una caverna del Subiaco. Quando, in seguito, si uniranno a lui i primi discepoli, egli fonderà alcuni monasteri nella valle dell’Aniene. Scacciato da lì, si ritirerà nel 529 sul monte Cassino, luogo di fondazione del monastero che viene considerato la culla e il centro dell’ordine benedettino. Nel 534, forse per incarico di Papa Agapito, Benedetto preparerà un codice di vita monastica o Regola, che costituirà per i secoli successivi un punto di riferimento indiscusso per la vita monastica

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occidentale, raccomandata da molti papi, soprattutto da S. Gregorio Magno. Benedetto muore nel 547. La casa madre di Montecassino sarà distrutta dai Longobardi e ricostruita verso il 717.

Alcuni vocaboli utili:Monachesimo in Oriente. Padri del monachesimo sono Antonio e Pacomio. Antonio è il padre del monachesimo eremitico, Pacomio del monachesimo cenobitico.Monachesimo in Occidente. In occidente si diffonde grazie ad Atanasio, ma tra i maggiori sostenitori della vita monastica vi sono anche Girolamo, Martino di Tours, Ambrogio di Milano e Agostino (il quale scrive la regola del monachesimo occidentale). Ma il vero “fondatore” del monachesimo occidentale è considerato Benedetto da Norcia.Monaco = deriva da monachos, solitario; all’inizio il monastero è residenza di un monaco.Eremita = deriva da eremos, deserto e significa colui che vive nel deserto lontano dagli uomini.Anacoreta = deriva da anachorein, ritirarsi, e significa colui che ha lasciato il mondo. La parola è quasi sinonimo di eremita.Cenobita = deriva da Koinos bios, vita comune e significa colui che conduce una vita comune organizzata.Abba o Apa = significa Padre, abate o superiore.Amma = significa madre, Badessa, superiora.Monachesimo. Tale termine nel tempo verrà ad indicare lo stile di vita di coloro che lasciano il mondo e si dedicano alla contemplazione di Dio. La vita monastica si divide in vita solitaria (anacoretismo o eremitaggio) e vita comune (cenobitismo).Tra gli eremiti del deserto dei primi secoli, si distinguono:1. dendriti: vivono tra gli alberi2. reclusi: vivono nei rifugi; o inclusi: si facevano murare per lungo tempo in una cella.3. boscoi: mangiano erbe selvatiche4. stiliti: vivono in cima a delle colonne5. adamiti: lasciano i vestiti

20. IL MEDIOEVOIl medioevo è il periodo storico che abbraccia il periodo tra il IV-V sec. e il XV sec, cioè circa mille anni di storia. Generalmente il suo inizio si pone nel 476, con la caduta dell'ultimo imperatore romano Romolo Augusto, mentre il suo termine si fa coincidere con la scoperta dell'America nel 1492. A seconda però dei punti di vista che assumiamo, possiamo delimitare il medioevo prendendo come riferimento altre date importanti:- dal punto di vista religioso: 313 Editto di Costantino - 1517 rivolta luterana;- dal punto di vista politico: 476 caduta dell'ultimo imperatore d'occidente - 1453 caduta dell'ultimo imperatore d'oriente;- dal punto di vista dei commerci: 632 l’Islam si interpone nel mondo cristiano chiudendo alcune importanti rotte commerciali - 1492 scoperta dell'America o 1450 invenzione della stampa con Gutenberg.Poiché nessuna di queste date può essere considerata in assoluto inizio o fine di una nuova epoca, possiamo definire il medioevo come il periodo della storia occidentale, dei popoli germanico-romani dal IV-V sec. al XV. Gli storici parlano spesso, inoltre, di basso e alto medioevo, indicando rispettivamente il periodo iniziale (fino all’anno 1000 c.ca) e quello finale dell’epoca medievale.La cultura medievale nasce dalla sintesi di tre componenti, antichità, cristianesimo, germanesimo. Da questo punto di vista, se teniamo conto della progressiva compenetrazione e dal reciproco influsso tra cristianesimo e germanesimo, il periodo medievale può essere suddiviso in 4 epoche:I Epoca (500-700) ðIncontro. Grazie all'attività missionaria i popoli germanici vengono a contatto con la fede cristiana, che però viene insegnata e accolta secondo la dottrina eretica

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dell’arianesimo. I Franchi, invece, si convertono alla fede secondo la dottrina cattolica. In questa fase di incontro si verificano molti battesimi collettivi, ma poca catechesi (catecumenato) e quindi poca vera conversione interiore (spesso rimane il vecchio stile di vita).II Epoca (700-1050) ðFusione o compenetrazione più profonda, grazie ad una seconda ondata missionaria di monaci. I germani hanno una cultura agraria, i cristiani hanno la verità di fede. Tra le due realtà vi è uno scambio: i popoli cristiani acquisiscono una cultura agraria, la religione si diffonde dalle città alle campagne. In questa fase si parla di un adattamento della fede cattolica al germanesimo. Tale inevitabile adattamento, tuttavia, non è sui principi di fede e di morale – che rimangono sempre stabili –, bensì su elementi secondari quali costumi, diritto, ecc.Nasce il "Sistema delle chiese proprie" e la dottrina del territorialismo, legata alla concezione germanica del diritto del proprietario sul possesso terriero (fonte di diritto è il territorio); questa concezione porta con sé effetti deleteri, perché a lungo andare i signori laici si riterranno i “padroni” delle chiese costruite sul loro territorio. La suddivisione della società germanica in classi di principi, nobili, plebei viene accolta nella Chiesa, favorendo il sorgere dell'aristocrazia ecclesiastica. L'inclinazione alla guerra propria dei germanici, segna l’istituzione nella Chiesa della cavalleria, giustificata con scopi pacifici e liberatori.La concezione sacrale del re, tipica del mondo germanico, riceve la conferma (e una rilettura in senso cristiano) da parte della Chiesa. Con la pratica della consacrazione del re, sorge la figura del re-sacerdote, incoronato dal Papa e investito pertanto di un mandato divino, di un potere “sacro” di governo sulla società cristiana. In questa figura di re-sacerdote, rientrano personaggi come Pipino il Breve, Carlo Magno e Ottone il Grande. La dignità regale verrà tanto esaltata, che i sovrani si rivendicheranno per sé – indebitamente – il diritto di insediare e destituire vescovi ed abati (investitura laicale) e di disporre liberamente del patrimonio ecclesiastico. Nel 1043 Enrico III giungerà a deporre tre Papi e a farne quattro.III Epoca (1050-1300) ðDistinzione. La Chiesa reagisce all'abbraccio soffocante del potere temporale – che sfruttando l'alto potere riconosciutogli si accaparra chiese, abbazie, nomine ecclesiastiche, ecc. – dando inizio ad un processo di distinzione che culmina nella deposizione e nella scomunica dell’imperatore Enrico IV (che ostinatamente rivendicava un potere sugli affari interni della Chiesa) da parte di s. Gregorio VII. Con l’affermazione dell’autonomia della Chiesa dal potere imperiale, si avvia il processo di laicizzazione del potere temporale dei sovrani. Questa fase è caratterizzata da una tenace lotta fra Impero e Chiesa: Barbarossa contro Alessandro III; Federico II contro Innocenzo III. Il processo di distinzione si conclude con Bonifacio VIII e la Bolla Unam Sanctam (1302), che afferma l’autonomia – e la superiorità – del potere spirituale nei confronti di quello temporale. Questo momento costituisce l’apice dell’influenza del Papa nella vita politica dei popoli europei, ma segna anche l’inizio del declino del potere papale. IV Epoca (1300-1500) ðDecadenza o dissoluzione. Dalla lotta fra Stato e Chiesa, nascono gli Stati nazionali, con la Francia in testa, che si sottraggono all'autorità dell'imperatore e del papa.La precedente cultura unitaria inizia a differenziarsi facendo posto ad un crescente individualismo, che dal punto di vista religioso si manifesta nelle forme devozionali tipiche di questo periodo. Il laicato si sottrae sempre più al governo del clero. In filosofia e in teologia nasce e si diffonde lo scetticismo e il nominalismo di Ockham, che segna una scissione, una separazione tra fede e ragione. La tensione fra primato papale e collegio episcopale, e fra accentramento curiale e Chiesa universale dà vita al fenomeno del conciliarismo. In questa epoca nascono e si diffondono i movimenti ereticali dei catari e dei valdesi. La conclusione di questo processo di dissoluzione, coincide con la cosiddetta Riforma protestante (1517), che segna la rottura definitiva dell’unità spirituale che, per secoli, aveva tenuto insieme i popoli dell'Occidente.

21.I EPOCA (500-700) INCONTRO

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L’incontro dei popoli germanici con il cristianesimo, almeno in una fase inziale, appare problematico per due motivi: 1) politico: la Chiesa è “alleata” con l’Impero (Costantino e successori); 2) religioso: i popoli germanici sono ariani, in contrasto con i cattolici.Gli Unni sono tra i primi ad iniziare la loro avanzata dall’Asia, per inoltrarsi verso l’Europa orientale e poi da lì verso il Sud e l’Occidente. La loro avanzata è la causa dell’inizio di massicce migrazioni di popoli, dal Nord-est dell’Europa verso le terre dell’Occidente. I Visigoti, guidati dal loro re Alarico, conquistano la “Città Eterna” nel 410 (il cosiddetto “sacco di Roma”). Agostino scrive in questo periodo l’opera La Città di Dio, con la quale intende dare una visione di fede alla situazione storica, invitando a non fermarsi alla città terrena di Roma, ma a guardare ad un’altra città, quella di Dio, che non può essere né assediata né distrutta dall’uomo: un’opera di speranza in un tempo di forte sgomento. Gli Unni, intanto, guidati da Attila, si dirigono verso l’Italia, ma sono persuasi da Papa Leone Magno a fermare la loro avanzata. Agli Unni seguono i Vandali, che assediano Roma: in questo caso il Pontefice riuscirà ad ottenere soltanto il risparmio della vita dei romani, ma non potrà evitare rapine e saccheggi. Le truppe germaniche, nel 476, avevano destituito l’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augusto, eleggendo re d’Italia Odoacre, assassinato successivamente dal re degli Ostrogoti Teodorico. Gli Ostrogoti a loro volta saranno vinti, verso il 550, dall’imperatore d’Oriente Giustiniano.I popoli germanici si convertono all’arianesimo. Il re degli Ostrogoti cercherà di unificare tutte le stirpi germaniche in un'unica professione di fede ariana. Questo progetto fallirà perché il re dei franchi Clodoveo, aiutato dalla moglie Clotilde cristiana, si farà battezzare dal vescovo San Remigio nella notte del Natale del 496. Questo evento segnerà l’inizio della fusione dei popoli germanici con la cultura cristiana classica, creando le premesse della nascita dell’Occidente cristiano cattolico.

11. 1 Primo incontro della Chiesa con il germanesimoIl primo vero e proprio incontro dei popoli germanici con il cristianesimo, non viene causato dall’opera evangelizzatrice dei missionari. Non si tratta dunque di una convinta adesione di fede, ma di una scelta dettata da motivi politici. Ciò è attestato dallo stile di vita di questi popoli, che manca di coerenza con la fede abbracciata. Il re dei Franchi, Clodoveo, con la sua conversione al cattolicesimo attira dalla sua parte non soltanto la popolazione cristiana indigena, ma anche l’episcopato cattolico e le simpatie dell’imperatore romano d’Oriente. In questo periodo, il popolo dei Franchi viene definito come il “nuovo popolo dell’impero”, chiamato a rappresentare e diffondere il Regno di Cristo in tutto il territorio Occidentale. Se da un lato effettivamente la conversione dei Franchi assume importanza cruciale dal punto di vista della storia della Chiesa, dall’altro lato il re e la nobiltà franca si intrometteranno nella vita interna della Chiesa, quasi da diventarne i padroni. La Chiesa franca diverrà sempre più territoriale, isolandosi dalla Chiesa universale.

11. 2 Il cristianesimo nelle terre iro-scozzese (Irlanda)A differenza di quanto accade tra i popoli germanici, nelle terre più a Nord il cristianesimo si sviluppa grazie all’opera di missionari come S. Martino da Tours e il monaco vescovo Palladio. In Irlanda il vero e proprio artefice della conversione al cristianesimo è il vescovo San Patrizio. Il territorio irlandese era suddiviso non per città, ma per stirpi. In ognuna di esse, San Patrizio impiantò una comunità monastica con a capo un abate: il monaco in questo modo diviene un sacerdote in cura d’anime. Un’altra eminente figura missionaria è quella di san Colombano il giovane, che con un gruppo di dodici compagni attraverserà le terre della Bretagna, della Gallia e di Borgogna, operando un rinnovo della vita religiosa del clero e della nobiltà. Egli fonderà una serie di monasteri, avendo un seguito di giovani alla vita monastica.

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11. 3 Il cristianesimo nella Britannia (Regno Unito)Anche l’Isola britannica diventa cristiana grazie all’opera missionaria, precisamente di s. Agostino di Canterbury, priore di un monastero romano, inviato in missione da papa Gregorio magno insieme ad altri 40 monaci. Al suo arrivo la Britannia è divisa in sette regni. Il primo ad accogliere il cristianesimo è il re di Kent, il quale si fa battezzare nel Natale del 507, seguito da 10.000 sudditi. Papa Gregorio, nell’inviare altri missionari in queste terre, inviterà al rispetto della cultura del luogo, da riempire di contenuti e messaggio cristiano. Grazie ai missionari romani e a quelli dell’Irlanda, ben presto i popoli anglosassoni diverranno cristiani. Molti re e regine termineranno la loro vita nel chiostro: 23 re e 60 regine vengono venerati come santi.

12. II Epoca (700-1050) Fusione

Nell’opera di fusione dei popoli germanici con il cristianesimo in Occidente si vede come protagonista nella prima fase, Vinfrido Bonifacio (S. Bonifacio). La sua importanza infatti è determinata non tanto dalla sua azione missionaria, tanto per la sua abilità nel far uscire la Chiesa franca da una cultura nazionalista isolata, orientandola ad allacciare rapporti più ravvicinati con Roma. Sarà la base sulla quale si instaurerà l’alleanza del regno dei Franchi con il papato. Il suo culmine si raggiungerà con l’incoronazione di Carlo Magno imperatore nella notte di Natale dell’800.Vinfrido Bonifacio, nacque in Britannia nel 675, fu monaco molto istruito. Da papa Gregorio II ottenne a Roma il mandato di missionario ricevendo il nome del martire Bonifacio. Una seconda volta a Roma fu consacrato vescovo. Da Gregorio III fu nominato arcivescovo, dal quale riceve più autorità sul territorio germanico, potendo consacrare i vescovi per le nuove diocesi. Una terza volta a Roma, viene costituito dal papa nunzio apostolico.

12.1 Cirillo e MetodioMentre la Chiesa che era in Occidente con a capo Roma prese a cuore la conversione dei popoli germanici, ariani e pagani: Visigoti, Ostrogoti, Franchi, Anglo-Sassoni, Longobardi. La Chiesa in Oriente si interessò della conversione dei popoli slavi (Moravia, Bulgaria, Russia).Era iniziata una prima fase di cristianizzazione degli abitanti slavi grazie alla presenza di alcuni monaci missionari iro-scozzesi; alle relazioni commerciali e ai soldati che rientravano in patria. Più incisiva diviene con Carlo Magno, il quale chiese una serie di missionari, di preti e monaci che si adoperassero a fare queste popolazioni cristiane. Anche l’oriente capeggiati da Bisanzio ebbe a cuore queste terre. La prima terra slava conquistata a Cristo fu la Moravia. Re Ratislao, considerò che se i sudditi del suo regno fossero convertiti a Cristo avrebbero facilitato il suo governo politico, per questo fece richiesta a Roma che gli mandassero dei missionari, che parlassero la loro lingua. Non potendo Roma esaudire la sua richiesta, si rivolse a Bisanzio al patriarca Fozio, il quale non facendosi sfuggire l’occasione pur di essere in opposizione con l’Occidente, mandò i due fratelli Cirillo e Metodio. Non avendo questi popoli un alfabetico proprio i due missionari composero il paleoslavo. Furono accusati di blasfemia ed eresia per l’utilizzo nella liturgia della lingua paleoslava, per questo vennero invitati a presentarsi a Roma per essere esaminati. Morto Cirillo a Roma, ritornerà come vescovo Metodio in Moravia, al quale le fu dato il permesso di utilizzare la lingua paleoslava nella liturgia, dopo che l’epistola e il vangelo fossero proclamati in lingua latina. In seguito i discepoli dei due fratelli composero il nuovo alfabeto, il cirilliaco. Il merito della conversione dei popoli slavi a da attribuire a Bisanzio.

12.2 Nascita dell’islamismo e le invasioni arabe

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L’Islam nacque nella penisola Arabica. Maometto suo fondatore, a sei anni era già orfano di entrambi i genitori, per questo fu cresciuto dallo zio. A 25 anni sposa la vedova di un ricco commerciante, questo lo porta a compiere viaggi d’affari nella Siria e in Arabia, venendo a conoscenza di diverse confessioni religiose, in modo particolare l’ebraismo e il cristianesimo. A 40 anni si presenta per il suo popolo come un riformatore sociale religioso, dopo le presunte rivelazioni dell’arcangelo Gabriele. Aveva maturato una fede costituita da un misto di idee dell’Antico Testamento, dell’ebraismo, del cristianesimo e dello gnosticismo, sfociando in un rigido monoteismo. Volle purificare La Mecca degli idoli, ma gli abitanti lo cacciarono, per questo fuggi a Media, definita questa fuga “Egiria”, segnando l’inizio della storia araba e da essa gli arabi fecero iniziare una nuova era. Per Maometto Dio è unico e non può avere figli, pertanto Cristo da lui è considerato figlio solo di Maria. Cristo per l’islamismo è come un solo inviato del Signore (Allah) alla pari di Abramo, Mosè, i Profeti, ma poiché giudei e cristiani hanno falsato il messaggio, è stato mandato Maometto, il massimo dei profeti che corregge tutti gli inviati precedenti. La religione islamica, propone la sottomissione di tutto il mondo a Dio, con l’utilizzo delle armi, promettendo godimenti ultraterreni per chi si adoperasse per questa causa. È una religione dall’obbedienza facile, non prescrive la mortificazione della natura, sono consentite 4 moglie, e concubine a volontà, libertà di fare bottini e libero sfogo allo spirito bellicoso per il dovere della conquista del mondo. Maometto asseconda tre concupiscenze dell’uomo occhi (bottino), carne (istinto sessuale), superbia della vita (potere). I successori di Maometto Omar e il suo successore Othman, redigono il corano in 114 sure (capitoli) che contiene le presunte rivelazioni divine del profeta. Omar fonda il regno arabo, il quale comincia la sua avanza nell’impero orientale: Damasco, Gerusalemme, la Persia, Africa settentrionale, Costantinopoli spingendosi in seguito anche verso l’Occidente meridionale. Mentre gli islamici inferiscono sull’Oriente, l’Occidente indisturbato prosegue la sua opera di evangelizzazione dei popoli germanici.

12.3 Carlo Magno, la Chiesa, il rinnovamento dell’Impero OccidentaleIl papa consacra re dei franchi Pipino il Breve nel 754, questo dona al Pontefice piena sovranità a tutti i territori confiscati ai Longobardi, nascendo gli Stati Pontifici che durano fino al 1870. Il papa entra in stretta alleanza con i Franchi, diventa sovrano ma si pone in una condizione delicata nei riguardi dell’imperatore di Costantinopoli. Succede a Pipino il Breve, il figlio Carlo Magno il quale diventa Re dei Franchi nel 768, regnando insieme con il fratello Carlomanno, il quale governa il sud del regno, morto quest’ultimo diventa l’unico regnante. Carlo concepì la sua missione regale con spirito del tutto cristiano. Dinanzi ai suoi occhi stava sempre l’ideale della “città di Dio”, di Agostino. Si dedicò assiduamente a con grande amore all’elevazione religiosa e culturale del suo popolo. Il suo disegno era quello di riunirli tutti insieme per farne un unico e potente popolo cristiano, per questo era necessario educarli e formarli. Il pensiero di Carlo nel suo governo era influenzato da alcune figure dell’Antico Testamento, tanto da farsi chiamare dai suoi confidenti Re Dadiv. Si definiva re inviato da Dio per difendere il nuovo popolo di Dio, i cristiani, si fece nominare rex et sacerdos. Si riteneva Carlo, il supremo signore della Chiesa franca e disponeva liberamente di tutto il patrimonio ecclesiastico. Riempì vescovati e monasteri da uomini da lui scelti, intromettendosi nella nomina dei vescovi e degli abati, facendoli più che pastori a cura d’anime uomini di potere per il disbrigo degli affari di stato. L’impero di Carlo, poteva benissimo competere con quello bizantino in oriente e quello Arabo. Papa Leone III, fece togliere dalla preghiera liturgica il nome dell’imperatore bizantino, introducendo solo quello di Carlo. Era evidente che la manovra volesse affermare Carlo come unico sovrano di governo non solo dell’Occidente ma anche dell’Oriente e si affermasse la supremazia del pontefice anche su Bisanzio. Si concretizzò questa intenzione del pontefice la notte di Natale dell’800, dove incorona il Re dei Franchi in imperatore del Sacro Romano Impero. La scelta del pontefice non entusiasmò Bisanzio. Carlo muore ad Aquisgrana (Germania), succedendo il figlio Ludovico il Pio.

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Decadenza dell’impero carolingio. Pur cercando di seguire la politica del padre, in Ludovico fecero difetto la previdenza politica e la fermezza nel mantenere l’unità dell’impero. Ludovico ebbe tre figli dalla moglie Ermengarda, ai quali aveva diviso l’impero in tre parti, subentrando un quarto figlio dalla seconda moglie Giuditta, su suo suggerimento modificò la divisione dell’impero, causando discordie tra i fratelli. Con il trattato di Verdum 843 si giunge alla divisione dell’impero in tre parti. L’unità costruita da Carlo Magno fu infranta, per quanto si cercò di ricostruirla in seguito, andò sempre più sgretolandosi. Il Sacro romano impero germanico durerà fino al 1806, ma malgrado la volontà di universalismo, rimarrà soltanto una realtà germanica.

12.4 Lo scisma greco del 1054Motivazioni ecclesiastiche: tra la Chiesa latina e la Chiesa greca vi era diversità di lingua e carattere: (i greci accusavano i latini di ignoranza e inciviltà; mentre i latini accusavano i greci erano opulenti ed effeminati). Per i greci il papa ha primato d’onore, mentre per i latini di giurisdizione. Per i greci i sacerdoti potevano sposarsi, come anche il rito era fede e non poteva essere mutato. Teologicamente c’era la controversia del Filioque. Motivazioni politiche: l’unione del papa con i Franchi. La fondazione dello Stato Pontificio a danno di Bisanzio, l’incoronazione di Carlo Magno ad Augusto, con il ripristino dell’impero romano d’Occidente. In Oriente il patriarca Sergio II tolse il nome del papa dalle liste delle preghiere liturgiche. La vera e definitiva divisione fu causata da Michele Cerulario. Questo rimproverò i latini di eresia, a Costantinopoli confiscò i loro monasteri e fece chiudere le loro Chiese. In Occidente il pontefice Leone IX, inviò una delegazione per rimettere ordine. Ma il patriarca Cerulario, aizzò il popolo contro i latini, non permettendogli di celebrare la S. Messa. Questi sentendosi pienamente sicuri del consenso del papa, il quale era morto il 19 aprile, il 16 luglio del 1054 nella Chiesa di Santa Sofia sull’altare maggiore, alla presenza del clero e dei fedeli i delegati del papa firmarono la bolla di scomunica del patriarca e dei suoi seguici. Si sperava che questa presa di posizione inducesse il patriarca a sottomettersi, mentre egli firmò un’altra bolla di scomunica contro i latini, durata per molti secoli. La scomunica fu tolta il 7 dicembre del 1965 da Paolo VI e dal patriarca Atenagora I.

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