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1 1.1 L’energia idroelettrica 1.1.1 Gli impianti “Energia idroelettrica” è un termine usato per definire l'energia elettrica ottenibile a partire da una caduta d'acqua: gli impianti idraulici, quindi, sfruttano l'energia potenziale meccanica contenuta in una portata di acqua che si trova disponibile ad una certa quota, rispetto al livello cui sono posizionate le turbine. Pertanto, la potenza nominale di un impianto idraulico (P) dipende sostanzialmente da due fattori: il salto o prevalenza geodetica (H) e la portata d’acqua (Q). r h = g H Q P h indica il rendimento globale, ossia il rapporto fra la potenza immessa in rete e la potenza teorica dell’impianto; il suo valore compreso fra l’80 e il 90% tiene conto di tutte le perdite dovute alla turbina, al generatore, al trasformatore e all’eventuale moltiplicatore di giri 1 . Le grandezze g e r indicano rispettivamente l’accelerazione di gravità e la densità dell’acqua. In base potenza nominale, gli impianti idraulici si suddividono in: § Micro-impianti, se P < 100 kW; § Mini-impianti, se 100 kW < P < 1000 kW; § Piccoli-impianti, se 1000 kW < P < 10000 kW; § Grandi-impianti, se P > 10000 kW. Una classificazione ben più significativa prevede la distinzione fra impianti § a deflusso regolato (a bacino), § di accumulo a mezzo pompaggio, § ad acqua fluente. Gli impianti a deflusso regolato sfruttano un bacino idrico naturale o, come avviene nella maggior parte dei casi, artificiale, che funge da serbatoio di accumulo dell’acqua (Figura 1); gli sbarramenti che costituiscono dighe alte molte decine di metri hanno l’obiettivo di aumentarne la capienza. Nonostante il notevole impatto ambientale, questa tipologia di impianto (Figura 2) è assai diffusa; trattandosi, sostanzialmente, di centrali ad accumulazione sono particolarmente adatte per coprire i carichi di punta. In genere, le potenze sono superiori ai 10 MW ma possono arrivare a valori molto più grandi: nell'impianto di Itaipu, in Brasile, dotato di un bacino avente un’estensione di 1460 Km 2 (4 volte il lago di Garda), si producono, a pieno regime, 12600 MW. Gli impianti di accumulo a mezzo pompaggio (Figura 3) presentano le stesse caratteristiche degli impianti tradizionali ma, a differenza di questi, assicurano la disponibilità di acqua nel serbatoio superiore mediante sollevamento elettromeccanico (con pompe o con la stessa turbina di produzione). In questo tipo di impianto, sono presenti due serbatoi collocati a quote differenti: nelle ore diurne, durante le quali è massima la richiesta dell’utenza, l'acqua immagazzinata nel serbatoio superiore (bacino di svaso) viene sfruttata per la produzione di energia elettrica mentre, nelle ore notturne, la stessa viene riportata dal bacino inferiore (bacino di invaso) a quello superiore. Nonostante la quantità di energia necessaria per riempire il bacino di svaso sia superiore a quella fornita dall’acqua durante la caduta, il 1 Il moltiplicatore di giri consente l’accoppiamento fra la turbina e il generatore nel caso in cui le velocità di rotazione siano diverse.

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1.1 L’energia idroelettrica

1.1.1 Gli impianti “Energia idroelettrica” è un termine usato per definire l'energia elettrica ottenibile a partire da una caduta d'acqua: gli impianti idraulici, quindi, sfruttano l'energia potenziale meccanica contenuta in una portata di acqua che si trova disponibile ad una certa quota, rispetto al livello cui sono posizionate le turbine. Pertanto, la potenza nominale di un impianto idraulico (P) dipende sostanzialmente da due fattori: il salto o prevalenza geodetica (H) e la portata d’acqua (Q).

ρη ⋅⋅⋅⋅= gHQP

η indica il rendimento globale, ossia il rapporto fra la potenza immessa in rete e la potenza teorica dell’impianto; il suo valore compreso fra l’80 e il 90% tiene conto di tutte le perdite dovute alla turbina, al generatore, al trasformatore e all’eventuale moltiplicatore di giri1. Le grandezze g e ρ indicano rispettivamente l’accelerazione di gravità e la densità dell’acqua. In base potenza nominale, gli impianti idraulici si suddividono in: § Micro-impianti, se P < 100 kW; § Mini-impianti, se 100 kW < P < 1000 kW; § Piccoli-impianti, se 1000 kW < P < 10000 kW; § Grandi-impianti, se P > 10000 kW.

Una classificazione ben più significativa prevede la distinzione fra impianti § a deflusso regolato (a bacino), § di accumulo a mezzo pompaggio, § ad acqua fluente.

Gli impianti a deflusso regolato sfruttano un bacino idrico naturale o, come avviene nella maggior parte dei casi, artificiale, che funge da serbatoio di accumulo dell’acqua (Figura 1); gli sbarramenti che costituiscono dighe alte molte decine di metri hanno l’obiettivo di aumentarne la capienza. Nonostante il notevole impatto ambientale, questa tipologia di impianto (Figura 2) è assai diffusa; trattandosi, sostanzialmente, di centrali ad accumulazione sono particolarmente adatte per coprire i carichi di punta. In genere, le potenze sono superiori ai 10 MW ma possono arrivare a valori molto più grandi: nell'impianto di Itaipu, in Brasile, dotato di un bacino avente un’estensione di 1460 Km2 (4 volte il lago di Garda), si producono, a pieno regime, 12600 MW. Gli impianti di accumulo a mezzo pompaggio (Figura 3) presentano le stesse caratteristiche degli impianti tradizionali ma, a differenza di questi, assicurano la disponibilità di acqua nel serbatoio superiore mediante sollevamento elettromeccanico (con pompe o con la stessa turbina di produzione). In questo tipo di impianto, sono presenti due serbatoi collocati a quote differenti: nelle ore diurne, durante le quali è massima la richiesta dell’utenza, l'acqua immagazzinata nel serbatoio superiore (bacino di svaso) viene sfruttata per la produzione di energia elettrica mentre, nelle ore notturne, la stessa viene riportata dal bacino inferiore (bacino di invaso) a quello superiore. Nonostante la quantità di energia necessaria per riempire il bacino di svaso sia superiore a quella fornita dall’acqua durante la caduta, il

1 Il moltiplicatore di giri consente l’accoppiamento fra la turbina e il generatore nel caso in cui le velocità di rotazione siano diverse.

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pompaggio risulta conveniente per un motivo prettamente economico, derivante dal fatto che le tariffe commerciali notturne dell’energia sono inferiori a quelle diurne. Questi impianti costituiscono, attualmente, il miglior sistema di accumulo di energia: contribuiscono alla copertura del fabbisogno elettrico, soprattutto nelle ore di punta, ed il loro ruolo diventa particolarmente significativo nei momenti in cui viene a mancare la produzione delle centrali termoelettriche. Esiste, infatti, un carico limite al di sotto del quale è opportuno “staccare dalla rete” le centrali termoelettriche; in questi casi di emergenza le centrali di pompaggio fungono da scorta.

Figura 1: bacino con diga a volta.

Figura 2: schema impianto a bacino.

Figura 3: centrale di pompaggio.

Figura 4: impianto ad acqua fluente.

Le turbine degli impianti ad acqua fluente sono azionate dall’acqua dei fiumi (Figura 4). Non disponendo di alcuna capacità di regolazione degli afflussi, la portata coincide con quella presente nel corso d'acqua, a meno di una quota detta deflusso minimo vitale2, necessaria per salvaguardare l'ecosistema. La produzione di energia elettrica segue quindi l’andamento stagionale delle magre e delle piene. Questi impianti erano molto più diffusi all'inizio del secolo scorso, per azionare macchine utensili in piccoli laboratori, oggi, invece il loro potenziale è sottovalutato, nonostante il ridotto impatto ambientale.

2 Il deflusso minimo vitale è la minima portata di acqua che deve essere rilasciata nel corso d'acqua a valle dello sbarramento o dell'opera di presa, per la tutela del corpo idrico assoggettato.

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A differenza dello sfruttamento dei grandi impianti, ritenuto un settore con ridotti margini di espansione, il micro-idroelettrico si presenta come una fonte ancora da scoprire. Per installazioni di potenza inferiori ai 100 kW, è sufficiente disporre di salti modesti (7-20m) e di ridotte portate, tipici dei piccoli corsi d’acqua. I vantaggi di questi piccolissimi sistemi consistono nella semplificazione delle procedure burocratiche (negli impianti di taglia superiore è necessaria l’autorizzazione per il prelievo delle acque) e nel trascurabile impatto ambientale.

1.1.2 Le turbine idroelettriche La turbina idraulica è una macchina che estrae energia da un fluido avente un carico idraulico sufficientemente elevato, derivante dalla variazione di quota piezometrica. È essenzialmente costituita da un organo fisso, il distributore, e da uno mobile, la girante. Il primo svolge tre compiti fondamentali: indirizza la portata in arrivo alla girante imprimendovi la direzione dovuta, regola la portata mediante organi di parzializzazione, provoca una trasformazione parziale (turbine a reazione) o totale (turbine ad azione) della quota piezometrica in energia cinetica. A seconda della portata smaltita e del dislivello geodetico (salto), si possono individuare le seguenti tipologie di turbine: § Turbina PELTON

Le Pelton sono turbine ad azione nelle quali la portata si ripartisce in uno o più ugelli (una turbina ad asse verticale può avere fino a sei ugelli, con una o due giranti); i vari getti sono regolati da una valvola a spillo. Sono dotate di un tegolo deflettore, avente lo scopo di deviare il flusso dalle pale, in caso di brusco distacco di carico, al fine di evitare colpi d'ariete intollerabili nella condotta. L'acqua abbandona le pale a velocità molto bassa (idealmente a velocità nulla) per cui la cassa, che contiene la ruota, può essere molto leggera. Sono adatte per salti compresi nell'intervallo 50-1300 m e per portate ridotte (0,5-20 m3/s), in installazioni ad asse orizzontale o verticale.

Figura 5: turbina Pelton.

Figura 6: particolare della Pelton.

§ Turbina TURGO

La Turgo è una turbina ad azione che può lavorare con salti compresi tra i 15 ed i 300m. Rispetto alla Pelton, presenta delle pale con forma e disposizione diverse, inoltre, il getto colpisce simultaneamente più pale. Il volume d'acqua che una turbina Pelton può elaborare è limitato dal fatto che il flusso di ogni ugello possa interferire con quelli adiacenti, mentre la turbina Turgo non soffre di questo inconveniente. È dunque possibile ridurre il diametro della girante: ne deriva, a pari velocità periferica, una maggiore velocità angolare, che consente

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l'accoppiamento diretto al generatore, evitando il moltiplicatore, con conseguente diminuzione dei costi ed aumento dell'affidabilità. Non diffusa in Italia, bensì nel resto dell'Europa, è consigliata per situazioni con notevoli variazioni di portata ed acque torbide. .

Figura 8: schema getto turbina Turgo.

§ Turbina Cross-flow

Chiamata anche turbina Banki-Michell, in onore dei suoi inventori, è una macchina ad azione adatta ad un’ampia gamma di portate e salti (5-200 m). La curva che esprime il rendimento in funzione della portata presenta due caratteristiche importanti: nonostante il valore massimo sia inferiore all'87%, il rendimento si mantiene pressoché costante quando la portata scende fino al 16% del valore nominale. L'acqua entra nella turbina attraverso il distributore e passa nel primo stadio della ruota, che funziona quasi completamente sommersa. Il primo stadio è caratterizzato da un piccolo grado di reazione. Il flusso che abbandona il primo stadio cambia di direzione al centro della ruota e s'infila nel secondo stadio, totalmente ad azione. La ruota è costituita da due o più dischi paralleli, tra i quali si montano, vicino ai bordi, le pale, costituite da semplici lamiere piegate.

Figura 9: schema turbina Cross-flow.

Figura 10: microturbina Cross-flow.

§ Turbina Kaplan

Si tratta di una turbina a reazione a flusso assiale, utilizzata generalmente per bassi salti (2-20 m) e portate elevate (8-400 m3/s). Quando sia le pale della girante sia quelle del distributore sono regolabili, la turbina è una vera Kaplan (o a doppia regolazione), mentre, se sono regolabili solo le pale della ruota, la turbina è una semi-Kaplan (o a singola regolazione). La potenza massima oggi raggiunta dalle turbine Kaplan è di circa 200 MW, presso impianti in Brasile.

Figura 7. turbina Turgo.

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Figura 11. turbina Kaplan.

Figura 12: schema turbina Kaplan.

§ Turbina Francis

Sono turbine a reazione a flusso radiale, con distributore a pale regolabili e girante a pale fisse, adatte per salti medi (10-500 m) e medie portate (2-150 m3/s). Nelle turbine Francis veloci, l'alimentazione è sempre radiale, mentre lo scarico dell'acqua è solitamente assiale; in queste turbine l'acqua si muove come in una condotta in pressione: attraverso il distributore (organo fisso) perviene alla ruota (organo mobile) alla quale cede la sua energia, senza entrare in nessun momento in contatto con l'atmosfera. Queste turbine sono impiegate soprattutto in impianti di accumulo, dove svolgono sia la funzione di produzione dell’energia elettrica si quella di pompaggio.

Figura 13: turbina Francis.

Figura 14. schema turbina Francis.

1.1.3 La situazione attuale L’energia idraulica riveste un ruolo di primaria importanza a livello mondiale, infatti, fra le fonti rinnovabili, è quella che contribuisce in modo più consistente alla produzione di energia elettrica (2650 TWh nel 2001, circa ¼ del totale). Continuando il confronto con le altri fonti rinnovabili, emerge che lo sfruttamento della risorsa acqua implica, probabilmente, il maggior impatto ambientale a fronte di rendimenti di processo più alti. Per individuare le potenzialità di questo settore, è necessario descrivere separatamente la situazione dei paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo. Nei primi, lo sfruttamento dell’energia elettrica, fatta eccezione per il micro-idroelettrico, si presenta come un’attività ormai satura; nei secondi, invece, vi sono discreti margini di sviluppo. I primi dieci produttori di energia elettrica al mondo sono elencati in Tabella 1. In Italia, la produzione energetica da fonte idroelettrica è aumentata del 20% circa negli ultimi 40 anni, passando dai 42000 GWh del 1960 ai 51000 GWh del 2000. Contemporaneamente, la percentuale di energia idroelettrica rispetto alla produzione totale è diminuita rapidamente,

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a causa dell’incremento del fabbisogno energetico, a cui si è fatto fronte impiegando soprattutto fonti convenzionali. Tale percentuale è infatti scesa dal 65%, nel 1960, al 19%, nel 2000.

Figura 15: produzione di energia idroelettrica (milioni di tonnellate di petrolio equivalente).

PRODUTTORI TWh Rapporto percentuale con

la produzione mondiale di energia idroelettrica

Rapporto percentuale con la produzione nazionale di energia

Canada 333 12,6 56,7 Cina 277 10,5 18,9 Brasile 268 10,1 81,7 USA 223 8,4 5,7 Russia 176 6,7 19,7 Norvegia 124 4,7 99,3 Giappone 94 3,6 9,0 Svezia 79 3,0 49,0 Francia 79 3,0 14,3 India 74 2,8 12,8

Tabella 1: i primi dieci produttori di energia idroelettrica nel mondo (dati riferiti al 2001).

Energia idroelettrica prodotta in Italia.

0102030405060

1960 2000

TW

h

Figura 16: la produzione di energia idroelettrica in Italia.

65% EE 19% EE

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1.2 L’energia solare Ogni anno il sole irradia sulla terra 19.000 miliardi di TEP. La radiazione solare, capace di sviluppare una potenza termica pari ad 1kW/m² nelle giornate di cielo sereno, è la fonte energetica più abbondante sulla superficie terrestre. Questa energia può essere utilizzata per la produzione di acqua calda e per il riscaldamento degli ambienti (solare termico), per la produzione di energia elettrica (solare fotovoltaico, tecnologie a concentrazione solare) e meccanica.

1.2.1 Il solare termico La tecnologia per l’utilizzo termico dell’energia solare ha raggiunto, nell’ultimo decennio, un buon livello di affidabilità, al quale bisogna aggiungere un notevole miglioramento delle prestazioni. L’applicazione più comune è il collettore solare piano, impiegato per il riscaldamento dell’acqua sanitaria. Esso è costituito da un’intelaiatura termicamente isolata, coperta da un vetro protettivo capace di resistere a pioggia e grandine. All’interno della cella, una piastra metallica scura, detta corpo nero assorbente, assorbe l’energia solare che riscalda il fluido termoconvettore circolante nei tubi saldati su di essa. Il liquido caldo risale il collettore e viene convogliato nel serbatoio dove cede calore all’acqua; una volta raffreddato, si ricomincia il processo. I collettori piani possono essere di due tipi:

§ a superficie non selettiva, dove la piastra assorbente è verniciata in nero; § a superficie selettiva, dove le prestazioni della piastra captante sono potenziate da un

trattamento che riduce la riflessione. Il calcolo della potenza termica utile (Qu) deriva dalla differenza fra gli apporti entranti nella lastra, dovuti alla radiazione solare (G), e quelli uscenti, legati allo scambio di calore fra la lastra e l’esterno.

)TT(AGAQ amCCu

.−−= µατ

AC: area collettore, α e τ sono i coefficienti di trasmissione e di assorbimento della lastra; µ: coefficiente di scambio termico fra la piastra e l’ambiente esterno; Tm : temperatura media della piastra; Ta: temperatura dell’aria. I collettori piani presentano due difetti. Innanzitutto, essendo caratterizzati da un elevato rapporto massa/area, sono poco flessibili. Per ovviare a questo inconveniente, si possono utilizzare collettori cilindrici, dalla struttura molto più compatta: si tratta di tubi di vetro sottovuoto, all’interno dei quali è posta la superficie assorbente, in rame, di forma circolare. Inoltre, il rendimento, calcolato come il rapporto fra la potenza utile e la radiazione incidente, diminuisce considerevolmente all’aumentare della differenza di temperatura fra la lastra e l’ambiente. Per contenere le perdite per convezione, è preferibile adottare i collettori a concentrazione.

Tecnologie a concentrazione solare Il collettore a concentrazione è il componente base dei sistemi solari termici ad alta temperatura. Si tratta di un dispositivo in grado di raccogliere e convogliare la radiazione

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solare verso un ricevitore, che può essere termico o fotovoltaico. In relazione alla geometria e alla disposizione del concentratore rispetto al ricevitore, si distinguono i concentratori parabolici lineari o puntuali ed a torre con ricevitore centrale. § Sistemi a specchi parabolici lineari

Indicati con il termine SEGS (Solar Eletric Generating System), sono utilizzati per focalizzare, lungo un singolo asse, i raggi solari su un lungo tubo ricevente posizionato lungo la linea focale dei concentratori. Un mezzo portatore di calore, pompato attraverso i tubi ricettori, alimenta una stazione di potenza localizzata centralmente. Il calore solare viene così sfruttato per la generazione di vapore che aziona una turbina. La temperatura tipica di esercizio raggiunge i 400°C. Questi impianti producono da 30 a 80 MW elettrici. I concentratori lineari parabolici ad inseguimento costituiscono la tecnologia di concentrazione solare più collaudata: negli USA la capacità installata ammonta a 354 MW.

Figura 17: schematizzazione del SEGS.

Figura 18: sistema di collettori parabolici.

§ Sistemi a torre

Un sistema di specchi che inseguono il moto del sole, su doppio asse, chiamati eliostati, riflettono l’energia solare su di un ricevitore montato in cima ad una torre, disposta al centro. Il calore solare è raccolto da un fluido, ad esempio nitrato fuso, che funge da accumulatore di energia. Si produce così vapore a 565°C che espande in turbina. Le torri solari sono adatte alla produzione di energia elettrica, nell’intervallo di potenza fra 100 e 200 MW. Famosa è la centrale a torre “Solar Two” in California; in Israele, è presente un impianto con il ricevente a terra. L’accumulo di energia termica è indispensabile per ovviare alla discontinuità della fonte solare: il sistema adottato con più frequenza è quello dei serbatoi a sali fusi. Essendo dei pessimi conduttori di calore, lo trattengono fino al momento del suo prelievo per le necessità richieste dal sistema. I sali fusi sono a base di nitrati di sodio e di potassio.

Figura 19: centrale a torre solare.

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§ Sistemi a concentratori parabolici indipendenti Consistono in uno specchio parabolico mobile che segue il sole e riflette i raggi solari nel punto focale, dove sono assorbiti dal ricevitore. Il calore è poi trasferito da un sistema fluido -vapore (sodio) al motore – generatore, di tipo Stirling o J.Brayton. La potenza dei singoli moduli varia nell’intervallo compreso fra 5 e 50 kW. Negli impianti con un numero limitato di specchi, si monta un generatore in corrispondenza di ogni punto focale mentre, all’aumentare delle unità riceventi, il calore viene convogliato, attraverso heat pipe, presso una stazione di potenza, come nel caso degli impianti a torre.

Figura 20: concentratore parabolico da 10 kW (New Messico).

Figura 21: concentratore a specchi multipli.

Le tecnologie per la concentrazione solare sono ampiamente collaudate in California, New Messico e Spagna. In Italia, questo argomento è tornato ad essere di grande attualità in seguito all’accordo fra ENEA ed ENEL per l’installazione, a Priolo Gargallo (Siracusa), di un impianto sperimentale denominato Archimede. Il progetto comprende un impianto solare da 20 MW, basato su collettori parabolici lineari, integrato con una centrale termoelettrica a ciclo combinato. Le principali novità riguardano: § l’impiego massiccio dell’accumulo termico, per garantire la generazione costante di

potenza durante le 24 ore; § l’incremento della temperatura del fluido termovettore.

1.2.2 Il solare fotovoltaico La tecnologia fotovoltaica consente di trasformare direttamente l’energia della radiazione solare in energia elettrica, sfruttando il cosiddetto effetto fotovoltaico. Esso è noto fin dal secolo scorso: la prima applicazione commerciale si ebbe nel 1954 negli Stati Uniti, quando i laboratori Bell realizzarono la prima cella fotovoltaica, utilizzando il silicio monocristallino. L'effetto fotovoltaico è responsabile della formazione di una differenza di potenziale, capace di generare una corrente elettrica, ai capi di una giunzione p-n opportunamente realizzata ed esposta a radiazione luminosa. Un fotone, la cui energia é quantizzata secondo la teoria di Planck, interagendo con la struttura cristallina di un semiconduttore, può eccitare un elettrone della banda di valenza del cristallo, portandolo in banda di conduzione.

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In particolare, se l'energia associata al fotone (pari al prodotto hν fra la costante di Planck e la frequenza) é maggiore dell'ampiezza Eg della banda proibita (salto energetico fra banda di conduzione e quella di valenza), il fotone cede tale energia al cristallo, generando una coppia elettrone-lacuna, che può contribuire alla conduzione elettrica del semiconduttore. L'eccesso di energia, pari a hν-Eg, viene dissipata in calore all'interno del cristallo. Affinché la coppia generata partecipi effettivamente alla conduzione e non avvenga quindi il fenomeno di ricombinazione, essa deve trovarsi in presenza di un campo elettrico che separi le cariche della coppia stessa, in modo tale che possano così essere raccolte mediante due appositi elettrodi. Per generare energia elettrica mediante conversione della radiazione luminosa, l'effetto fotoelettrico deve essere prodotto in una giunzione p-n: essa, infatti, é caratterizzata da un forte campo elettrico nella propria regione di svuotamento, capace di muovere gli elettroni, nella banda di conduzione, verso la zona di tipo n (cristallo donatore) e le lacune, nella banda di valenza, verso la zona di tipo p (cristallo accettare). Se la giunzione é elettricamente chiusa su un carico, questo sarà attraversato da una corrente di intensità proporzionale al numero di coppie elettrone-lacuna generate e raccolte (Figura 22). In definitiva, la combinazione dell'effetto fotoelettrico e dell'effetto volta (presenza del campo elettrico all'interfaccia di una giunzione p-n) porta all'effetto fotovoltaico; il dispositivo elettronico in cui esso avviene é la cella fotovoltaica.

Figura 22: schema effetto fotovoltaico.

Esistono due tipi di sistemi fotovoltaici: quelli senza accumulo e quelli con accumulo. Questi ultimi sono provvisti di accumulatori per "mettere in serbo", durante il giorno e specialmente nelle ore di sole, l'energia elettrica da utilizzare poi durante la notte e quando il sole è coperto. L'energia viene conservata in batterie (normalmente piombo-acido) ed un regolatore di carica impedisce che la tensione superi un certo valore, in modo da salvaguardare l'integrità degli accumulatori. È una soluzione adatta per utenze isolate. Attualmente, i moduli fotovoltaici sono utilizzati in applicazioni che richiedono piccole potenze e laddove sia particolarmente oneroso collegarsi con la rete elettrica. La cella fotovoltaica, componente base di questi impianti, è costituita da una sottile fetta (0,3 mm) di materiale semiconduttore (wafer), in genere silicio, opportunamente trattata. Tale trattamento si compone di diversi processi chimici, tra i quali vi sono i “drogaggi”:

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inserendo nella struttura cristallina del silicio delle impurità, cioè atomi di boro (accettore) e fosforo (donatore), si genera corrente elettrica. Sono due le tipologie di celle: § quelle a silicio multicristallino, aventi efficienze del 10-13%; § quelle a silicio monocristallino, aventi efficienze del12-16%.

Il wafer di multicristallo deriva dalla fusione e successiva ricristallizzazione del silicio di scarto dell’industria elettronica (“scrap”di silicio). Da questa fusione si ottiene un “pane” che viene tagliato verticalmente in lingotti con forma di parallelepipedo, per cui i wafer ottenuti presentano una forma squadrata e le caratteristiche striature. Il wafer di monocristallo si produce con il metodo Czochralsky , basato sulla cristallizzazione di un “seme” di materiale molto puro, che viene immerso nel silicio liquido e quindi estratto e raffreddato lentamente per ottenere un “lingotto” di monocristallo, che avrà forma cilindrica (da 13 a 30 cm di diametro e 200 cm di lunghezza). Successivamente, le celle ottenute affettando questo cilindro vengono squadrate non completamente, lasciando i caratteristici angoli smussati; il colore è uniforme. Le centrali solari fotovoltaiche si compongono di più moduli, ognuno dei quali è formato da un insieme di celle. L’insieme di più moduli forma un pannello mentre l’insieme di più pannelli, collegati in serie, forma una stringa. Le stringhe collegate in parallelo costituiscono il campo di una centrale fotovoltaica.

Figura 23: centrale fotovoltaica.

La centrale fotovoltaica di Serre, una delle più grandi d'Europa, ha una potenza di poco superiore ai 3 MW. Sarà installato in Germania il più grande impianto fotovoltaico del mondo. Coprirà una superficie di circa 45.000 m2, con una potenza di 5 MW; verranno utilizzati oltre 35.000 moduli FV in silicio monocristallino ad alta efficienza, per un costo complessivo di 20 milioni di euro. Supererà in grandezza le installazioni solari "record" già esistenti in Germania, come l’impianto da 4 MW di Hemau e quello da 2,1 MW realizzato presso il Trade Center di Monaco. L’elettricità prodotta verrà venduta alla rete di distribuzione locale. L'attuale tecnologia fotovoltaica non è ancora competitiva: il costo dell'energia ottenuta da sistemi fotovoltaici è dieci volte superiore al costo dell'energia ottenuta da sistemi eolici e 4/5 volte superiore al costo dell'energia ottenuta da centrali solari termoelettriche. Occorre però evidenziare che nell’ultimo decennio si sono dimezzati i costi per i moduli, da 8000$/kW a 4000$/kW. Ciò lascia intravedere buone possibilità di penetrazione del mercato nel prossimo

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futuro, in virtù della flessibilità e della semplicità di gestione che caratterizzano questi impianti.

1.3 L’energia eolica

1.3.1 L’origine del vento Dal sole giungono sulla terra 1367 W/m2 di energia radiativa: il flusso totale è pari a 177000 TW che, al netto delle dispersioni, si riducono a 117000 TW. Questa enorme quantità di energia che si ripartisce fra l’aria, l’acqua e la terra è responsabile della formazione dei venti e delle correnti marine e della fotosintesi clorofilliana. Si stima che circa il 2% dell’energia irradiata dal sole si converta in energia eolica. Il vento nasce dal movimento di masse d’aria che, a bassa quota, si spostano da aree ad alta pressione atmosferica verso aree adiacenti a bassa pressione, con velocità proporzionali al gradiente di pressione. Si è calcolato che l’aria calda, salendo, raggiunge un’altezza di circa 10 km e si dirige verso i poli; la rotazione terrestre fa sì che il vento si “sparga” in tutto il pianeta. La direzione del vento è influenzata dalla forza di Coriolis che causa una rotazione antioraria delle correnti ventose nell’emisfero settentrionale (accade il contrario nell’emisfero meridionale). Il vento, come l’acqua, è stato la più antica sorgente di energia meccanica sperimentata dall’uomo. Sin dall’antichità, l’energia eolica ha trovato impiego in svariate applicazioni come la navigazione a vela e l’essiccazione dei prodotti dell’agricoltura e della pesca. La comparsa dei primi mulini a vento in Mesopotamia e in Egitto ha dato inizio alla conversione dell’energia eolica in energia meccanica, necessaria per la macina del grano e per la movimentazione degli attrezzi nelle segherie, nelle concerie… L’invenzione della dinamo nella metà del XIX secolo ha introdotto la possibilità di generare elettricità dall’energia eolica; risale al 1887 il primo aerogeneratore realizzato in Europa.

1.3.2 Gli aerogeneratori Le turbine eoliche, altrimenti dette aerogeneratori, sono macchine in grado di trasformare l’energia eolica, prima, in energia meccanica di rotazione e, poi, in energia elettrica. Sono formate da un sostegno che porta alla sommità la gondola o navicella, all’interno della quale sono contenuti l’albero di trasmissione lento, il moltiplicatore di giri, l’albero di trasmissione veloce, il generatore elettrico ed i dispositivi ausiliari. All’esterno della navicella, dal lato dell’albero lento, è fissato il rotore, composto da un mozzo sul quale sono montate le pale. Il rotore può essere collocato sia sopravento che sottovento; la prima è la soluzione più diffusa. L’aerogeneratore opera in un determinato intervallo di velocità: si avvia solamente per velocità del vento superiori alla velocità di inserimento, compresa fra 2,5 e 3,5 m/s (valore che dipende dal tipo di macchina), e si ferma per velocità del vento superiori ad una certo valore critico (18-20 m/s), oltre il quale potrebbe essere compromessa l’integrità della struttura. Esiste una vasta gamma di turbine eoliche: il più importante criterio di classificazione si riferisce alla posizione dell’asse. § Aerogeneratori ad asse orizzontale

Fra tutte le soluzioni rappresentate in Figura 24, quelle utilizzate con maggiore frequenza sono i rotori ad elica, per impianti di grossa taglia, ed i rotori multipala, per applicazioni da qualche kW di potenza. Nelle turbine ad elica, ogni sezione della pala si comporta come un profilo alare posto in un flusso d’aria la cui velocità è data dalla risultante della velocità del vento naturale e della velocità del vento dovuta alla rotazione della pala stessa. Il profilo deve essere tale da offrire la minima resistenza all’avanzamento sviluppando, nel contempo, un’elevata portanza. Ne

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derivano velocità di rotazione periferiche molto alte che, in alcuni rotori, sono prossime alla velocità del suono. Bisogna inoltre evitare la formazione di vortici turbolenti pericolosi a valle delle pale rotoriche, la cui progettazione deve assicurare un’elevata resistenza a fatica ed una vita utile economicamente ragionevole.

Figura 24: tipologie di rotori ad asse orizzontale.

Confrontando la soluzione monopala con la bipala e la tripala, in termini di prestazioni, si scopre che la turbina tripala è quella che, nel punto di funzionamento ottimale, raggiunge il coefficiente di prestazione (vedi paragrafo 1.3.3) più alto. Si giunge a questa conclusione calcolando il punto di massimo della curva caratteristica di ogni macchina, che esprime, in termini adimensionali, la potenza utile in funzione della velocità di rotazione del rotore. Inoltre, è opportuno evidenziare che, al diminuire del numero di pale, aumenta la velocità di rotazione del rotore in corrispondenza della quale la potenza utile è massima.

Figura 25: turbina bipala.

Figura 26: turbina tripala.

Dall’ultima considerazione si può dedurre quale sia la peculiarità delle turbine multipala: è sufficiente un vento debole per far lavorare il rotore in condizioni ottimali. Il rotore è costituito da un elevato numero di pale (18 o più) disposte a raggiera su un mozzo e inclinate rispetto al piano di rotazione, come in una grande ventola. Il diametro medio è compreso fra 1,5 e 3 m. Sono impiegate, nella maggioranza dei casi, per pompare acqua dai pozzi.

Figura 27: turbina multipala.

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§ Aerogeneratori ad asse verticale Rispetto alla macchine ad asse orizzontale, facilitano la discesa dei cavi ed hanno un costo per unità di superficie inferiore. D’altro canto, l’efficienza del rotore è inferiore e le pale sono sottoposte ad una sollecitazione maggiore, motivo per cui se ne modifica la forma in modo opportuno. In Figura 28 è rappresentato un classico esempio di turbina eolica Darrieus: è un impianto di 60 kW in un sito di prova presso i laboratori di Sandia. Oltre alla caratteristica forma a fuso, è stata ideata anche la configurazione ad “H” (Figura 29).

Figura 28: turbina Darrieus.

Figura 29. turbina Darrieus ad "H”.

Sistemi off-shore Gli aerogeneratori trovano una collocazione ottimale anche in mare aperto, lontano dalla costa, purché il fondale sia poco profondo. Si riduce così l’impatto sul paesaggio ed aumentano le ore di funzionamento dell’impianto, grazie alla maggiore costanza del vento. La configurazione delle turbine più adatta a questo tipo di applicazione è quella ad asse orizzontale: ognuna di esse può arrivare a produrre 5 MW. Ad oggi, in Europa, sono operative 5 centrali off-shore in Olanda, Svezia e Danimarca. La più grande è quella danese: collocata nel Mare del Nord, produce 160 MW a pieno regime. La Figura 30 mostra proprio un campo eolico off-shore nel Mare del Nord.

Figura 30: impianto off-shore.

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1.3.3 La teoria di Betz L’obiettivo di questo paragrafo è il calcolo della quantità di energia che viene trasferita dal vento alla turbina, per mezzo del rotore. Essa dipende, in prima analisi, dalla densità dell’aria (dipendenza lineare), dal raggio dell’area circolare intercettata dal rotore (dipendenza quadratica) e dalla velocità del vento (dipendenza cubica). Si può affermare, sin da ora, che non tutta l’energia posseduta dal vento può essere assorbita dal rotore, poiché ciò implicherebbe un arresto della massa d’aria immediatamente a valle delle pale. In realtà, il vento, attraversando il rotore, rallenta e cede solo una quota della propria energia. Per determinare il valore di tale quota si ricorre alla teoria di Betz che, nell’ipotesi di flusso monodimensionale, esprime la conservazione dell’energia e della quantità di moto fra la condizione 1, a monte del rotore, e la condizione 2, a valle del rotore. La portata d’aria m, con velocità v1, investe le pale del rotore e viene rallentata fino alla velocità v2; per l’equazione di continuità, trascurando la comprimibilità dell’aria, vale che

2211 AvAv ρρ = con A2>A1

Dalla conservazione della quantità di moto si ricava che

)vv(mF 21

.−=

dove F indica la forza orizzontale esercitata dal flusso sulla macchina. La potenza è pari a

v)vv(mFvW 21

.−==

ma dal bilancio dell’energia cinetica si ottiene

2/)vv(mW 22

21

.−=

Affinché le due relazioni che esprimono la potenza siano equivalenti, deve valere:

2vv

v 21 +=

Il rallentamento avviene, dunque, per metà a monte e per metà a valle del rotore. Definendo il coefficiente di interferenza a come

1vv

1a −=

ed esprimendo tutte le grandezze necessarie al calcolo della potenza in funzione di v1,

)a1(vv 1 −= )a21(vv 12 −= A)a1(vvAm 1

.−== ρρ

si ricava la seguente espressione della potenza:

[ ] 23

1221

21

122

21

.

)a1(a42

Av)a21(vv

2A)a1(v

)vv(2m

W −=−−−

=−=ρρ

Imponendo l’annullamento della derivata prima di W, si ricava il coefficiente di interferenza che massimizza la potenza. La soluzione a=1 non ha significato fisico, per cui si sceglie il valore a=1/3. Sostituendo questo valore nell’espressione di W e rapportando il risultato ottenuto con la potenza che si avrebbe se la velocità v1 rimanesse costante nell’attraversare il rotore, si ricava il coefficiente di prestazione Cp.

La teoria di Betz consente di concludere che la turbina può assorbire al massimo il 59,3% circa dell’energia posseduta dal vento.

592,0)31

1(34

)a1(a4

2v

Av

)a1(a42

Av

C 222

11

23

1

p =−=−=−

=

ρ

ρ

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1.3.4 La situazione attuale Alla fine del 2002, le turbine eoliche installate nel mondo raggiungono una capacità di 32000 MW, di cui 23076 MW in Europa. I primi cinque stati del vecchio continente in termini di capacità installata sono: § Germania (12001 MW), § Spagna (4830), § Danimarca (2881 MW), § Italia (788 MW), § Olanda (678 MW).

Nonostante le turbine eoliche stiano riscuotendo un discreto successo negli ultimi 15 anni, con conseguente riduzione dei costi (l’energia eolica è, fra le rinnovabili, quella meno costosa), rimangono delle forti perplessità circa lo sfruttamento intenso della risorsa vento.

Figura 31: previsioni di costo dell’energia eolica.

I problemi che i detrattori dell’eolico evidenziano, riguardano l’impatto degli aerogeneratori sull’ambiente, in termini di occupazione del territorio, impatto visivo e rumorosità. Qualsiasi progettazione oculata tiene conto di questi fattori, la cui importanza diminuisce considerevolmente nelle applicazioni off-shore, oltre l’orizzonte visibile dalla costa. Secondo stime forse un po’ottimistiche, nei prossimi anni, i sistemi off-shore potrebbero coprire il 20% del fabbisogno elettrico dei paesi costieri.

1.4 Energia dal mare In linea di principio, è possibile estrarre energia da cinque fonti presenti nel mare: le correnti, le onde, le maree, le correnti di marea ed il gradiente termico tra superficie e fondali.

1.4.1 Le onde Gli studi, finalizzati alla definizione di una tecnologia che consenta di sfruttare il moto delle onde del mare per generare elettricità, conducono a dei risultati ancora incerti. Secondo il principio della colonna oscillante di acqua (Figura 32 e Figura 33), è stata adottata, in impianti dimostrativi, una turbina denominata “wavegen” avente la proprietà di mantenere lo stesso senso di rotazione indipendentemente dalla direzione del flusso d’acqua, quindi si produce lavoro sia in fase di compressione che in quella di decompressione.

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Gli impianti sono stati progettati per una potenza di 2 MW e non sono necessariamente costieri; con piattaforme al largo si potrebbe raccogliere la spinta, ben più elevata, delle onde lunghe del mare. Possono, inoltre, essere abbinati agli impianti eolici off-shore.

Figura 32: la colonna oscillante (fase 1).

Figura 33: la colonna oscillante (fase 2).

Una diversa filosofia di pensiero sfrutta l'ampiezza dell'onda per mezzo di una struttura semisommersa che, grazie al movimento dettato dall’onda stessa, agisce su dei pistoni idraulici che, a loro volta, azionano dei generatori (progetto Pelamis). In genere, la singola struttura è composta da 5 elementi congiunti, ognuno dei quali ha un diametro di 3,5 m ed è lungo 150 metri, per una potenza di 750 kW. Impianti di prova saranno installati al largo della Scozia (750 kW) e al largo dell'isola di Vancouver, in Canada (2 MW); gli impianti commerciali dovrebbero essere da 30 MW e "coprirebbero" un km2 di mare.

1.4.2 Le maree È noto che le maree sono la conseguenza della forza di attrazione che la luna esercita sulle masse d’acqua terrestri. Dal loro regolare innalzamento ed abbassamento, si può ricavare energia, a condizione che l’ampiezza della marea sia tale da giustificare l’installazione di un impianto piuttosto costoso, come accade nella Francia settentrionale, dove il dislivello tra l’alta marea e la bassa marea è pari a 12-13 m. Per costruire una centrale di marea, l’estuario è sbarrato in direzione del mare con una diga artificiale. Le applicazioni costiere sono penalizzate dall’abbondante sedimentazione all'interno del bacino, per questi motivi, si sta pensando a degli impianti offshore. Per la generazione di energia elettrica si utilizzano turbine a bulbo. Sono macchine assiali a reazione che derivano dalla Kaplan, adatta per salti ridotti; il nome fa riferimento alla cassa impermeabile, a forma di bulbo, che contiene il generatore, in modo da isolarlo dall’acqua che circonda la macchina. Sono caratterizzate da un numero di giri specifico alto e da elevate portate. Ad oggi, sono stati individuati 21 siti nel mondo, dove le caratteristiche delle maree sono compatibili con l’installazione di questo tipo di centrali. La centrale di La Rance, in Francia, produce 240 MW da 35 anni.

Figura 34: ciclo di produzione dell'energia dalle maree.

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1.4.3 Le correnti marine e di marea L’energia delle correnti di marea è una delle fonti rinnovabili più interessanti ed inesplorate. Le turbine per lo sfruttamento delle correnti possono essere, come per gli impianti eolici, ad asse orizzontale o verticale. Le prime si adattano alle correnti marine costanti, come quelle presenti nel Mediterraneo; le seconde sono compatibili con le caratteristiche delle correnti di marea, che cambiano direzione di circa 180°, più volte, nell'arco della giornata. In Figura 35 è riportata l'immagine di una turbina ad asse orizzontale simile a quelle installate nelle centrali di Hammerfest in Norvegia e di Lynmouth in Inghilterra.

Figura 35: turbina marina.

1.4.4 Il gradiente termico La prima centrale per la conversione dell'energia termica degli oceani in energia elettrica (Otec: ocean thermoelectric conversion) è sorta nel 1996, al largo delle isole Hawaii. I cicli Otec sfruttano la differenza di temperatura tra i diversi strati dell'oceano. L'energia solare riscalda l’acqua dell’oceano, creando una differenza di temperatura fra le acque superficiali, che possono raggiungere i 25-28°C, e quelle situate più in profondità, che non superano i 6-7°C. Le acque superficiali, più calde, fanno evaporare sostanze come ammoniaca e fluoro; i vapori ad alta pressione, dopo il passaggio in turbina entrano in un condensatore, dove tornano allo stato liquido grazie al raffreddamento operato dall'acqua aspirata dal fondo. Una differenza di 20°C basta ad assicurare il corretto funzionamento del ciclo termodinamico, il cui rendimento è però molto basso a causa del piccolo salto entalpico.

1.4.5 Appendice

Figura 36: schematizzazione dello sfruttamento delle maree.

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Figura 37: sezione di una turbina a bulbo.

Figura 38. vista della turbina a bulbo.

Figura 39: vista dal mare della turbina a bulbo.

Figura 40: impianto per lo sfruttamento delle correnti.

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Figura 41: ciclo OTEC chiuso.

Figura 42: ciclo OTEC aperto.

Figura 43: diagramma T-s del ciclo OTEC aperto.

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1.5 L’energia geotermica

1.5.1 Introduzione L’energia geotermica è contenuta, sotto forma di calore, all’interno della terra e deriva dal decadimento di sostanze radioattive; tale calore si diffonde, dall’interno verso la superficie del pianeta, generando un gradiente geotermico (δT/δz) pari a circa 30°C per km. In corrispondenza delle dorsali, questo valore cresce di un fattore 10. A seconda della temperatura del fluido geotermico, oltre alla produzione di energia elettrica, sono possibili diversi impieghi: acquicoltura (T<38°C), coltura in serre (38-80°C), teleriscaldamento (80-100°C), usi industriali (T>150°C), essiccazione del legname… In un sistema geotermico, rappresentato in Figura 44, gli strati più superficiali del magma caldo (A) solidificano in rocce ignee (B) che conducono calore. L’acqua sotterranea, riscaldata da questo calore o dai vapori provenienti direttamente dal magma, risale per convezione in un bacino poroso e permeabile (C) all’interno del quale rimane intrappolata, a causa del soprastante strato di roccia solida impermeabile (D). Le eventuali fessure presenti (E) fungono da valvola di sfogo per il “grande boiler” sotterraneo; le manifestazioni visibili di questi fenomeni nascosti sono i geyser, le fumarole (F) e le sorgenti termali (G).

Figura 44:bacino geotermico.

Non tutti i sistemi geotermici producono vapore, come nell’esempio descritto: quando le temperature sono inferiori si ottiene solamente acqua calda, mentre, in altri casi, in assenza d’acqua, si sfrutta la roccia calda. Deriva da questa considerazione la suddivisione delle fonti geotermiche in idrotermali e petrotermali.

1.5.2 I sistemi idrotermali A seconda della composizione del fluido bifase che origina dal riscaldamento dell’acqua confinata all’interno dello strato impermeabile, i sistemi idrotermali possono essere ripartiti in due categorie: § a prevalenza di vapore in pressione (fluido bifase con alto titolo); § a prevalenza di acqua pressurizzata (fluido bifase con basso titolo).

Nei sistemi a prevalenza di vapore (Figura 45), quest’ultimo raggiunge la superficie terrestre a circa 200-250°C, ad una pressione che può superare i 35 bar (1). In virtù delle sue proprietà,

22

viene sfruttato per azionare una turbina a condensazione, a monte della quella è posizionato un separatore centrifugo per la rimozione del particolato. Bisogna sottolineare che il vapore trascina con sé non soltanto particelle solide ma anche gas corrosivi, materiali erosivi e incondensati (CO2, H2S). La pressione di immissione in turbina (3) scende a 7-8 bar a causa dei processi 1-2 e 2-3, assimilabili a laminazioni isoentalpiche. Dopo l’espansione in turbina, il vapore entra nel condensatore a miscela dove si unisce all’acqua proveniente dalla torre di raffreddamento: il risultato è acqua satura che viene pompata nella torre stessa. Buona parte dell’acqua raffreddata ritorna nel condensatore, mentre il resto viene reintrodotto nel terreno. Una parte del vapore, anziché andare in turbina, può alimentare degli eiettori per l’estrazione dei gas incondensati dal condensatore. Il modesto salto entalpico rende necessarie elevate portate al fine di raggiungere potenze significative: ciò implica l’impiego di grandi torri di raffreddamento. In generale, tutti i componenti dell’impianto disposti a valle dello scarico della turbina avranno dimensioni consistenti a causa dell’elevato volume specifico del vapore, la cui pressione di condensazione è superiore a quella adottata nei cicli Rankine tradizionali.

Figura 45:impianto a prevalenza di vapore.

Figura 46: diagramma T-s del ciclo.

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La più grande centrale a prevalenza di vapore è chiamata “The Geysers”: si trova 140 km a Nord di San Francisco, in California, e produce 750MW. Sono dello stesso tipo l’impianto di Larderello, in Italia, la cui potenza è pari a 500-600 MW, e quello di Matsukawa, in Giappone. Nei sistemi a prevalenza d’acqua, come già detto, si sfrutta il calore dell’acqua calda che affiora in superficie, risalendo naturalmente per la sua stessa pressione o mediante pompaggio. La temperatura dell’acqua è solitamente compresa fra 150 e 320°C, mentre la salinità varia da 3000 a 280000 ppm. Le migliori soluzioni impiantistiche comprendono i sistemi flashed-steam e quelli a ciclo binario; i primi lavorano con acqua ad alta temperatura mentre i secondi si adattano meglio a temperature modeste. Nei sistemi flashed-steam (Figura 47), l’acqua o, meglio, il fluido bifase a basso titolo proveniente dal bacino sotterraneo, viene inviato ad un serbatoio di flash (3) che ne riduce ulteriormente la pressione (fino a 5-10 bar), ad entalpia costante. Ne risulta una miscela bifase di qualità leggermente superiore (il titolo di vapore nel punto 3 è maggiore di quello al punto 2) dalla quale si separano vapore saturo (4) da inviare in turbina ed una soluzione satura (5) da reintrodurre nel terreno. Dopo l’espansione in turbina (6), il vapore viene miscelato con l’acqua proveniente dalla torre di raffreddamento, come negli impianti a prevalenza di vapore.

Figura 47: impianto flashed steam.

Figura 48: diagramma T-s del ciclo.

Esempi di impianti di questo tipo si trovano in Giappone (Onuma, 10 MW), in Messico (Cerro Prieto, 75 MW) e negli USA (California, 10 MW).

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Il principale difetto degli impianti flashed-steam è quello di sprecare molta energia, tutta quella contenuta nella soluzione satura che viene reintrodotta nel terreno; il vapore saturo, infatti, rappresenta soltanto una piccola frazione della portata estratta dal sottosuolo. Per aumentare l’efficienza del processo, sono state sviluppate due metodologie: § il doppio flash (Figura 49), ossia l’introduzione della soluzione ottenuta al punto 5 in

un altro separatore che ne abbassi la pressione (6) in modo da ricavare dell’altro vapore che espanderà nella turbina di bassa pressione.

§ la turbina ad acqua, azionata dalla soluzione ottenuta al punto 5, operante in parallelo con la turbina a vapore.

Figura 49: impianto doppio flash.

Figura 50: diagramma T-s del ciclo.

Se la temperatura del fluido proveniente dal sottosuolo è compresa fra 150 e 200°C, non è possibile utilizzare un sistema a flash, poiché l’efficienza del ciclo sarebbe compromessa dalla disponibilità di vapore a pressioni troppo basse. In tal caso, si utilizza il sistema a ciclo binario (Figura 51), in cui l’acqua dal sottosuolo funge da sorgente di calore per un ciclo chiuso che opera con un fluido organico a basso punto di ebollizione come freon, ammoniaca, propano o isobutano. L’acqua calda, estratta dal bacino geotermico, circola in uno scambiatore di calore per poi tornare al sito di provenienza. Lo scambiatore trasferisce il calore al fluido organico che si trasforma in vapore surriscaldato. Quest’ultimo alimenta un ciclo Rankine chiuso con condensatore a superficie.

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Nel ciclo binario, il fluido che attraversa la turbina e il condensatore è pulito; i problemi legati alla presenza di sostanze corrosive nell’acqua proveniente dal sottosuolo interessano soltanto lo scambiatore di calore.

Figura 51: schema impianto a ciclo binario.

1.5.3 I sistemi petrotermali I sistemi petrotermali (Figura 53) utilizzano il calore delle rocce (HDR: hot dry rock), in assenza di acqua. Questa nuova tecnologia consiste nell’immettere acqua fredda in profondità, per mezzo di un pozzo d’iniezione, in modo da recuperare il calore delle rocce. Questo riscalda il fluido che risale in superficie attraverso il pozzo di produzione composto da due canali; per evitare la perdita di fluido, la circolazione è assistita da pompe sommerse. Se l’energia termica assorbita dalle rocce è sufficiente a vaporizzare il fluido di lavoro, si produce energia elettrica con il solito ciclo Rankine, altrimenti, si utilizza l’acqua calda per il teleriscaldamento. In Alsazia, l’impianto sperimentale di 3 MW dovrebbe entrare in funzione nel 2006-2007: attualmente, dal pozzo di produzione si ricava vapore con temperatura superiore a 140°C, per un totale di 20000 MWh di energia elettrica. Un progetto analogo è in fase di realizzazione a Basilea, in Svizzera. Il potenziale derivante dalla messa a punto di queste tecnologie è enorme, come si può vedere dalla mappa geotermica dell’Europa (Figura 54): nelle aree più scure, dal rosso al nero, gli impianti HDR sarebbero sufficienti a soddisfare interamente la richiesta di energia elettrica mentre, nelle zone dal giallo al rosso, potrebbero fornire acqua per il riscaldamento e per usi sanitari.

1.5.4 La situazione attuale La produzione di energia elettrica dalle risorse geotermiche, se realizzata in un impianto a ciclo binario, rappresenta la soluzione a minor impatto ambientale, anche grazie alle dimensioni contenute di tali impianti, inferiori, in rapporto alla potenza prodotta, persino a quelle delle centrali a combustibili fossili. Anche nell’ambito del teleriscaldamento, lo sfruttamento dei bacini geotermici si integra meglio nell’ambiente dei pannelli solari. Agli inizi del 2000, gli impianti geotermici erano installati in 22 paesi al mondo, con una capacità totale di circa 8000 MW ed una produzione di energia elettrica di circa 50 TWh. I paesi guida sono: Usa, Nuova Zelanda, Italia, Islanda, Messico, Filippine, Indonesia e Giappone. In Italia, oltre allo sfruttamento del vapore dei giacimenti geotermici di Larderello, di Travale e dell’Amiata, esiste la possibilità di recuperare calore da tutta la zona che si estende dalla Toscana fino al Napoletano (Campi Flegrei), ricchissima di vapori e di acqua calda.

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Dal punto di vista economico, il costo degli impianti geotermici è costituito per circa 2/3 dalle spese per la perforazione; il principale ostacolo alla diffusione sul territorio di queste tecnologie è imputabile al fatto che, nonostante l’impiego delle migliori tecnologie per individuare gli acquiferi dalle caratteristiche adeguate, non si ha la certezza di effettuare la perforazione in un bacino che risponda alle aspettative.

Figura 52. aree idrotermali ad alta temperatura nel mondo.

Figura 53: sezione impianto HDR.

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Figura 54: mappa geotermica dell'Europa.