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Si sono subito offerti come testimonial perché “la gente deve capire”. “La gente deve capire” che loro e le loro famiglie hanno sofferto e per poter ricostruire una vita segnata da generazioni di sofferenze non è sufficiente pagare le famiglie. I soldi, in alcune famiglie, sono il problema, non la soluzione. Temono che tanta pubblicità sconsiderata possa compromettere i delicati equilibri su cui stanno costruendo il loro futuro. Per esorcizzare la paura abbiamo pensato a questa rivista frutto di chiacchiere, giochi e attività. È il tentativo di farci testimonial di noi stessi e di sfruttare la malaugurata occasione per ricomporre i pezzi come facciamo ogni giorno. #5buoneragioni per accogliere i bambini che vanno protetti Hanno percepito il discredito verso le comunità come un attacco personale Quando hanno visto in televisione che si parlava delle comunità educative come di una minaccia si sono sentiti in pericolo. Sulla televisione c’è chi “parla male” di noi! ...Simpatica questa cosa... I ragazzi sono furenti

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per accogliere i bambini che vanno protetti

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Si sono subito offerti come testimonial perché “la gente deve capire”.

“La gente deve capire” che loro e le loro famiglie hanno sofferto e per poter ricostruire una vita segnata da generazioni di sofferenze non è sufficiente pagare le famiglie.

I soldi, in alcune famiglie, sono il problema, non la soluzione.

Temono che tanta pubblicità sconsiderata possa compromettere i delicati equilibri su cui stanno costruendo il loro futuro.

Per esorcizzare la paura abbiamo pensato a questa rivista frutto di chiacchiere, giochi e attività.

È il tentativo di farci testimonial di noi stessi e di sfruttare la malaugurata occasione per ricomporre i pezzi come facciamo ogni giorno.

#5buoneragioniper accogliere i bambini che vanno protetti

Hanno percepito il discredito verso le comunità come un attacco personale

Quando hanno visto in televisione che si parlava delle comunità educativecome di una minaccia si sono sentiti in pericolo.

Sulla televisione c’è chi “parla male” di noi! ...Simpatica questa cosa...

I ragazzi sono furenti

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Non solo per Anna,ma anche per me

Paolo sale alla guida dell’automobile che ci porterà a casa di Anna e Gaia. “Bea, ti ricordi di quando Anna è arrivata da noi?”. Sorrido. “Sì, aveva circa 1 mese e fino ad allora era stata in ospedale. Chissà come sta Gaia..”.

Lei aveva combattuto una lunga e faticosa battaglia contro un nemico subdolo e senza pietà.. la droga... e l’aveva sconfitto. Ricordi. Quella ragazza poco più piccola di me, i suoi occhi, la sua timidezza, i suoi sorrisi così rari inizialmente, i suoi silenzi.

E la piccola Anna... una bambina solare, che amava stare in compagnia. “Ti ricordi Bobby?”, mi fa Paolo. Certo... il suo inseparabile maialino di peluche..e il pollice che Anna ciucciava arrotolandosi una ciocca di capelli tra le dita.

Siamo arrivati. Gaia ci aspetta lungo il viale e ci conduce verso casa sua. Abbracci, emozioni. La sua casa ci accoglie illuminata dal sole. Gaia inizia a raccontarsi “Sarei felice

che la mia storia potesse essere di incoraggiamento per altre mamme”. Le parole iniziano a fluire in un racconto che ripercorre anni difficili e di sofferenza. “Avevo un’altra bambina che stava andando in adozione. La gravidanza di Anna non era stata voluta. Non venivo da una situazione facile. Volevo rompere col padre della bambina, era una settimana che vivevo fuori casa. È venuta in ospedale l’assistente sociale del Sert e mi ha detto che Anna sarebbe andata subito in adozione. Questo perché non stavo facendo nulla. Mi ha chiesto che cosa volessi fare. L’ho guardata. Io non ce la faccio più, le ho detto. Mi ha chiesto se volevo andare in comunità. Ho risposto di sì. Mi aveva dato uno spiraglio per staccarmi da lui e cercare di venirne fuori. Per Anna ho evitato l’adozione entrando in comunità”.

È così che Anna è arrivata da noi. Gaia, inizialmente, poteva fare visita alla figlia per un’ora ogni quindici giorni, alla presenza di uno di noi. Poi gli incontri divennero

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settimanali e della durata di due ore. Gaia si occupava dell’igiene personale di Anna, giocava con lei, le dava la pappa. Aveva ben presenti i bisogni e le esigenze della piccola. Stavano imparando a conoscersi.

“Inizialmente quando venivo da voi, avevo paura di essere giudicata”, prosegue Gaia. “Mi sentivo a disagio. Poi il fatto di sentirsi dire che non mi dovevo preoccupare, che voi eravate lì per me e per mia figlia mi ha fatto sentire più tranquilla. Le vostre rassicurazioni mi confortavano. Voi eravate lì, mai invadenti. Mi avete dato fiducia. Ho capito che stavate lì non solo per accudire Anna, ma anche per aiutare me. Mi accorgevo che le volevate bene e che lei vi cercava. Non mi dispiaceva”. Anna appariva serena con quella sua mamma che riconosceva e che chiamava.

“Voi le avete sempre detto che io ero la sua mamma e le parlavate di me. Mi accorgevo che lei non era confusa anche se stava con voi tutto il giorno... io ero la mamma e non voi. Se mi avesse chiamata per nome sarebbe stata una coltellata”.

Gli incontri in comunità iniziarono a durare per giornate intere così da permettere a Gaia di seguire Anna nella sua ruotine di vita. A partire da un anno e mezzo di età, abbiamo iniziato ad accompagnare Anna presso la comunità in cui Gaia viveva. Quando Gaia è uscita dalla comunità e si è trasferita in una casa lì vicina, Anna ha iniziato a dormire

da lei a weekend alterni. “Anche quando ha cominciato a venire a casa con me non mi dava fastidio che vi cercasse e parlasse di voi perché sapevo che le volevate bene”.

Anna ci raccontava della casa della mamma, del suo lettino e dei suoi giocattoli. “Se fossi stata dall’inizio con mia figlia in una comunità non ce l’avrei fatta, anche se l’avrei voluto. Non avrei avuto il tempo di capire quello che era stato nella mia vita e dargli un senso... non sarebbe stato giusto né per la bambina né per me... uno dei due si sarebbe perso”.

A tre anni, Anna è tornata a vivere con la sua mamma. “I primi tempi Anna parlava molto di voi. Ancora adesso che sono passati tre anni mi chiede di venirvi a trovare... non si può scordare che lei è stata bene e che avete aiutato anche me. Il primo periodo è stato difficile... mi sono stati vicini gli operatori della mia comunità..dovevo imparare a prendermi cura da sola di mia figlia...”. Il nostro tempo è finito... ringraziamenti, abbracci che non vogliono terminare. Gaia risale in macchina e ci accompagna per un pezzo di strada. Gaia ce l’ha fatta.

Ci saranno momenti difficili, come nella vita di ciascuno di noi. Ma lei ha lottato per riprendersi la sua vita. La rete dei servizi l’ha aiutata e supportata. Le ha dato il tempo per potersi ritrovare. E lei l’ha voluto fare. Ci saluta dallo specchietto retrovisore. Gaia e Anna vanno incontro alla vita.

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19 novembre 2014ci ritroviamo - tutti dimessi

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Come definiresti la tua esperienzain Comunità?

Una “svolta”Mi ha dato nuove prospettive

Significativa...Condivisione...

Un’esperienza senza precedenti...

Possibilità di pensare al mio futuroCrescere

Ho imparato moltoÈ stata dura, mi mancava la mia famiglia...

Mi ha cambiato: sono più responsabile ed apertocon le persone

Ho avuto modo di prendere una strada… mi ha offerto un contesto di vita...

Come ti sei sentito nel momentodelle dimissioni dalla Comunità?Quali erano le tue emozioni?

Mi sento come un pesce abituato a stare nell’acquache deve imparare a vivere in superficie Paura del nuovoConfusioneGioia

Un senso di vuoto e paura mi ha pervaso il cuore e l’animaLa paura di non poter più trovare persone prontead attutire le cadute

Mi sono sentita un po’ sola, triste e spaventata... ero felice, allo stesso tempo, di ritornare a casa

Ero molto contenta di aver finito quel percorso, credo di essermelo guadagnato

Ero triste, perché dovevo lasciare persone alle quali mi ero legato; ero contento perché tornavo con i miei genitori e avrei avuto maggiore libertà

Sapevo che quando sarei uscita non avrei più avuto attenzioni e spinte per crearmi un futuro

Quali erano le tue aspettative rispetto al “dopo Comunità”?

Come quando un bambino impara a camminare... quando è pronto cammina, ma è come se ricominciasse a farlo...

LavoroPatenteCasa Autonomia

Sono riuscita a realizzarle solo in parte... queste sono le conseguenze da pagare quando al mondo sei sola...

Le mie aspettative erano positive... non mi aspettavo, però, un futuro facile...

Mi aspettavo di trovare un lavoro, ma così non è stato, anche un po’ per colpa mia... avrei solo sperato che i miei genitori mi capissero di più, soprattutto mio padre...

...che la mia vita sarebbe cambiata in meglio, ma è rimasta uguale... le mie aspettative erano sbagliate!!

Senti che avresti avuto bisogno di...

Avrei voluto sentire più affetto

Una tranquillità ed un’anima più forte

Avevo bisogno di avere al mio fianco gli operatori,di regole, di avere una “dritta”... Avevo bisogno del loro supporto. Ho bisogno di sicurezze

Avevo bisogno di più comprensione

...un lavoro che mi desse la possibilità di andare a vivere da solo, in modo da sentirmi meglio con me stesso...

Rimanere almeno un altro anno in Comunità. Continuare ad avere supporto: essere ascoltata, compresa e indirizzata

Come stai oggi?

Oggi sto bene e mi sento ricca di tante cose

Potrei stare meglio se riuscissi a tornare indipendente e vivere... avendo il privilegio di pagare un affitto...

Non sto come pensavo sarei stata. Ora non ho la sicurezza di poter contare su qualcuno quando ne ho bisogno

Oggi sto bene. Mi sono avvicinata molto a mio padre ed è quello che ho desiderato da sempre

Mi sento solo... e anche un po’ fiducioso: spero che le cose possano cambiare il prima possibile. Vorrei essere autonomo, perché so di esserne capace, ma non ne ho le possibilità.

Oggi sto un po’ così... Non mi sento realizzata, non riesco a trovare un lavoro per mantenermi ed essere indipendente come in realtà vorrei essere!

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Arrivo all’appuntamento con qualche minuto di anticipo. Vengo avvistato dalla sentinella che mi si fa incontro. Bussa e preme ripetutamente sul finestrino armata di scopa e ombrello, fa versi e facce, mi fa cenno di scendere. Appena fuori dalla macchina vengo abbracciato e subissato di domande. Sorrido, saluto e mi avvio all’ingresso. Dall’altra parte dell’uscio, dentro l’appartamento, mi accolgono un ragazzo dalla faccia simpatica e nera come la pece che si confonde nella penombra del corridoio e una signorina che sta uscendo per incontrare la sua amica del palazzo di fronte. La ragazza si scusa, fa come per ripensarci ma poi, come è bello che sia a quindici anni, se una amica aspetta bisogna correre. Sbuca dalla sala una faccia furbetta, è nuova della casa, l’avevo vista una sola altra volta, occhi grandissimi e ricci imponenti, ironica e sveglia parla come una cabarettista navigata, le pause giuste, i toni della voce, chiede se per l’intervista debba truccarsi o cambiarsi d’abito, sorrido e mi avvio verso il lungo tavolo di legno della sala.

Da qui posso vedere la grande cucina a vista, la sala con i coloratissimi divani che abbiamo ridisegnato e progettato insieme ai ragazzi, il murales che racconta la loro casa, i loro spazi, i loro tempi e i loro amici. Sono passati pochi secondi ed ecco che mi accolgono le educatrici di turno. Mi offrono il caffè e pianifichiamo la strategia. Attiriamo tutti

con la scusa di una merenda con nutella e poi iniziamo.Il primo a notare il microfono è un ragazzo alto e sorridente, oggi era malato e non è andato a scuola, si aggira in pigiama. Cos’è? Perché ha questa forma? A cosa serve? Cosa facciamo? Quando iniziamo? Ma io non l’ho mai fatta un’intervista. In realtà oggi è per lui un giorno particolare perché il suo compagno di stanza è diventato grande e è andato a vivere da solo, lui è dovuto rimanere a casa per abbracciarlo e augurargli “in bocca al lupo”.

È sempre bella l’accoglienza dei ragazzi di Castel del Piano. Ci si conosce da tempo ma è da settembre che con Smec e «Luoghi Comuni» si è creata una relazione speciale. Loro avevano bisogno di rifare il look alla casa e si sono rivolti a noi. Noi abbiamo rigirato la domanda a loro e abbiamo lavorato insieme sugli spazi disegnando muri e ridisegnando i divani. Col quartiere si sta progettando un campo di calcio perché i confini tra dentro e fuori, come ci racconteranno i ragazzi, sono sempre labili. Oggi parleremo di noi, così come siamo capaci, in modo disordinato, dando libero sfogo ai pensieri, alle associazioni e alle emozioni.

Da queste parti non ci si annoia mai, l’esuberanza è tanta e oltre ai ragazzi della casa ci sono quelli dei palazzoni,

NOBEL PER LA PACEAGLI INVIDIOSI Ombrelli per tutti quando piove

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sono tanti e abituati a bussare alle porte e alle finestre a tutte le ore del pomeriggio. Cercano gli amici per giocare e gli adulti per parlare ma oggi piove e bussano in cerca di ombrelli per non bagnarsi. Mancano all’appello solo due ragazzi che sono nelle loro camere ma al richiamo della nutella arrivano portando tutta la loro energia travolgente e i loro look che parlano delle loro passioni. Per catturare l’attenzione di tutti ci mettiamo una ventina di minuti e un’altra decina per rodare, ma poi è un fiume in piena.

Con il fare dell’artista underground un ragazzo occupa la scena e ci racconta di come lui accudisca i suoi sette fratellini preparandogli da mangiare, proteggendoli e facendoli studiare. Tutti ridono e continuiamo, parlando della scuola e di come i loro compagni apprezzino le loro bravate. «Loro non sono capaci di sabotare le lezioni e così mandano avanti noi», così tutti ridono e possono nascondersi nel casino. Si apre una discussione, c’è chi intuisce di venir usato ma un posto da protagonista non ha valore. Ci tengono però a precisare che ci sono insegnanti con cui non è permesso e che ci sono materie come storia che sono interessanti e utili, ma stare tutto quel tempo fermi e zitti non è proprio possibile. Ci confrontiamo sul piacere che provano nel far disperare educatori e insegnanti e la loro lucidità e consapevolezza

risulta disarmante: «Ci piace quando urlano, è bello essere ascoltati, è bello che ci sia chi si occupa di noi». Castel del Piano è un quartiere difficile e si sentono fortunati ad avere qualcuno che si prenda cura di loro. Altri nel cortile e ai giardinetti non sono altrettanto fortunati. Sono lasciati a se stessi. Si sentono in dovere di aiutarli come gli adulti fanno con loro, dandogli consigli, accogliendoli a casa. Ma si rendono conto che non è sufficiente. «Alla nostra età se non provi non capisci e non possiamo occuparci di tutti noi».

C’è anche chi ci insulta e ci tratta male perché non capisce che abbiamo bisogno di un periodo di tranquillità per poi tornare dai nostri genitori. C’è anche chi è invidioso. «Chi non è qui non può capire». Se poi si litiga gli adulti difendono sempre i propri figli e finisce sempre che è colpa nostra. Impari chi sono gli amici, chi sono gli stupidi e chi sono quelli pericolosi da cui stare lontano.

Poi tutto d’un tratto si preoccupano per me. «Non abbiamo parlato di te del tuo lavoro e del progetto Smec…». Sono splendidi! Lascio la comunità educativa La Meridiana dopo due ore di intervista, e con la conferma che è uno spazio prezioso per i ragazzi, gli adulti e il territorio.

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Tutto aPposto

QUESTO È da dì

Ciao sono Mohamed, ho 21 annie sto qui in Italia da circa 5 anni.

Sono arrivato in comunità il 15 aprile 2011.Venivo da un altro paese, con un’altra religione,un’altra lingua e questo mi faceva un po’ paura;

mi faceva preoccupare.Qui mi hanno trattato bene, mi sentivo tranquillo, uno di loro.

Qui mi hanno aiutato anche ad andare a scuola,ho preso una qualifica per la terza media; e poi anche un attestato

per la lingua italiana; e poi anche una qualifica per giardiniere.Ho studiato fino alla terza superiore e poi m’hanno aiutato

fino a che ho trovato anche un lavoro.Adesso abito da solo, abito qui vicino.

Se vengo sempre a trovarli si vede che sono stato benee… ECCO QUESTO E’ DA DI’!

Ciao sono Rita, vengo da Napolie vivo da due anni e mezzo qui in comunità.

Contrariamente a tanti coetanei ho scelto io di venirein questa comunità nonostante avessi la possibilità di

rimanere giù a Napoli con dei parenti.Questa comunità è diventata la mia casa.

Gli operatori mi hanno aiutato per la scuolaanche se a volte non ci vado perché non ho voglia.

Gli operatori mi hanno sostenutonei momenti più difficili e particolari.

Posso sicuramente dire che se non fossi stata qui,se questa non fosse stata la mia strada,avrei preso una via poco consigliabile

e chissà dove starei ora.Comunque questa è una comunità molto bella

e... TUTTO APPOSTO!

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Quando sono entrato per la prima volta in comunità non ci volevo entrare. Avevo paura ed ero arrabbiato.

Quando ho visitato la comunità per la prima volta era estate, era il compleanno di mia sorella e lei viveva già in comunità.

Ci vuole tempo per abituarsi e capire che ci si può stare bene. Capisci che può essere utile solo dopo, quando le cose della tua vita iniziano ad essere meglio.

Sono passati 5 anni ed oggi sono maggiorenne ma non voglio tornare a vivere a casa dei miei genitori anche se oggi non mi fanno più paura.

Quando mi hanno detto che sarei entrato in comunità sono scappato. Mi hanno ripreso i carabinieri. Mi sentivo come un eroe braccato.

Ci sono stato bene da subito in comunità ma non mi ci sono mai abituato. Sono scappato tante volte e mi sono sempre venuti a cercare.

In comunità ho imparato quello che dovevo imparare e me ne sono andato. Ci penso spesso perché lì ero tranquillo.

Quando sono arrivato in comunità mica lo avevo capito che ci sarei rimasto tanto tempo.

In comunità era tutto strano c’erano le regole, si mangiava insieme, c’era sempre chi cucinava e i bagni erano sempre puliti.

Gli educatori parlavano strano e mi chiedevano come stavo e come mi sentivo e quelle cose lì.

Era strano perché qualche ragazzo non mangiava, io invece c’avevo sempre una gran fame, cazzo.

Ho imparato tante cose ma ancora è difficile vivere. Anche mio fratello avrebbe tanto bisogno che qualcuno si occupasse di lui.

La mia mamma mi ha sempre voluto bene ma non è capace di occuparsi di noi. Lei è una bambina e sono contento che qualcuno la aiuti.

Sono maggiorenne decido le mie cose ma ho ancora bisogno dei tutor per decidere del mio futuro.

Ero cinina quando sono arrivata in comunità e non andavo a scuola. Ero cicciottella e spesso non tornavo a casa a dormire.

Quando sono entrata in comunità mi sono chiusa in camera. Mica ti puoi fidare subito delle persone, è anche sbagliato.

A casa mia è sempre stato un casino ci si vuole bene a modo nostro. Ognuno fa quello che vuole e mio padre è un coglione.

Per fortuna adesso è in comunità anche mia sorella anche se un po’ è tardi; c’avevano da penarci prima! Io credo che mi sono salvata, i miei fratelli grandi hanno fatto una fine di merda.

Non lo so non mi ricordo. Non è bello finire in comunità perché vuol dire che non hai una famiglia per bene come quegl’altri.

Oggi quando vedo i miei genitori non ho più paura ma nessuno può chiedermi di perdonarli. Se sarò grande e avrò un figlio non sarò come loro.

Quando sono entrato in comunità non parlavo con nessuno. Ti tolgono il telefono e te lo danno solo quando vai a scuola.

La prima volta che sono entrato in comunità non capivo una sola parola di italiano. Capivo solo che c’erano persone buone.

Quando sono entrato in comunità non era la prima volta. Ne avevo attraversate tante e non era stato piacevole.

i TWITT delle COMUNItà

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Questa rivista nasce dalla collaborazione tra ragazzi, educatori e mediatori di:Associazione Luoghi Comuni (www.luoghicomunimagazine.it); Cooperativa Gaia (www.gaiaonlus.it); Cooperativa La Tenda (www.comunitalatenda.com); Cooperativa La Locomotiva (www.lalocomotiva.it); Cooperativa Nuova Dimensione (www.nuovadimensione.com); Cooperativa BorgoRete (www.borgorete.it); CNCA-Umbria Gruppo IAF (www.cnca.it/umbria)

E tanti altri avremmo voluto coinvolgere ma le risorse sono scarse, il tempo è tiranno e questo è solo l’inizio.

#5buoneragioniper accogliere i bambini

che vanno protetti #1

#2

#3

#4

#5

Incontrocon la stampa

maggio 2014

Carissima/o amica/o

in un momento in cui una realtà preziosa come le “comunità” che accolgono bambini e adolescenti che non possono vivere nelle loro famiglie, spesso per drammatiche vicende che li coinvolgono, sono attaccate in modo strumentale come luoghi potenziali di malaffare, e sono svalutate nella loro professionalità e competenza, 6 grandi realtà associative che da molti anni si occupano di questi problemi hanno lanciato un “Manifesto” in 5 punti per dire BASTA ALLE IDEOLOGIE SULLA PELLE DEI BAMBINI CHE NON POSSONO VIVERE ALL’INTERNO DELLA PROPRIA FAMIGLIA.

Le famiglie in situazioni di grave difficoltà vanno sostenute, ogni sforzo deve essere fatto perché ogni bambino possa vivere nel proprio nucleo familiare: ma nello stesso tempo è dovere di una società civile allontanare con determinazione e tempestività bambini e adolescenti che nel loro contesto familiare subiscono gravi violazioni dei loro diritti.

Non sempre l’inserimento in una nuova famiglia è possibile nell’immediato: frequentemente questa possibilità deve essere preparata nel tempo con una grande attenzione ai bisogni specifici di ogni bambino e con profondo rispetto dei suoi vissuti emotivi.

Per questo occorrono le comunità di accoglienza siano esse familiari o educative!

Luoghi capaci di offrire un “sostegno professionale” a quei bambini e ragazzi che hanno subito eventi altamente distruttivi: realtà che nemmeno lontanamente per le modalità con cui sono oggi gestite e per la professionalità di chi vi lavora, vanno confuse con gli istituti di un tempo.

Se ritieni di condividere questo “Manifesto” ti chiediamo di sottoscriverlo per dare il tuo prezioso contributo alla difesa di un presidio essenziale per la tutela dei bambini e degli adolescenti nel nostro paese.

Tutti noi anticipatamente ti ringraziamo per il tuo fondamentale sostegno.

AGEVOLANDOCISMAICNCACNCMPROGETTO FAMIGLIASOS VILLAGGI DEI BAMBINI onlus

#5buoneragioni