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B A ANNOXV N°837 2 MARZO 2015 RIVISTA APERIODICA DIRETTA DA STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI E VARIA UMANIISSN2279–6924 ¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬ Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila a Questo numer o. Un numero che testimonia il cammino percorso dalla nostra rivista. Sono certo che gli aezionati lettori (senza lincoraggiamento dei quali tutto questo non sarebbe possibile) condivideranno la soddisfazione che abbiamo voluto sottolineare nei titoli dei primi due articoli. N INDICE 1 Sibylle von Olfers nalmente in italiano. (Marisa Fadoni Strik) 2 Intervista a Ettore Maria Mazzola, architetto. (Eleonora Aragona) 5 Letture. Eric Zemmour, «Le suicide français». (Gabriella Rouf ) a Non s e nz a un a c er ta s od di s f a - z i one ( 1 ) : S i byl l e von Ol f er s na lme n- t e i n i t a l i a no gr a z i e a l Cov i l e . di Marisa F adoni Strik a colmato una grave lacuna Il Covile dei piccoli n. 5, pubblican- do nella prima traduzione in ita- liano in versi rimati, una delle opere piú aascinanti per linfanzia, sostanzialmen- te sconosciuta nora nel nostro paese: Qualcosa sui bimbi radice di Sibylle von Ol- fers. H L edizione tedesca del 1990 comprende un saggio di Walther Scherf, di grande in- teresse, anche perché ci riferisce dellinin- terrotta fortuna delle opere della V on Ol- fers nellarea di lingua tedesca: Fin dallinizio del secolo ventesimo i «Bimbi ra- dice» appartengono al patrimonio della nostra Il Covile, ISSN 2279–6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge sullEditoria n°62 del 2001. Direttore: Stefano Borselli. Redazione: Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Armando Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghi- ni, Ciro Lomonte, Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Mishe, Pietro Pagliardini, Almanacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salíngaros, An- drea G. Scio, Stefano Serani, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. © 2014 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative Commons. Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 3.0 Italia License. il.covile@gmail.com. Arretrati: www.ilcovile.it. Caratteri utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Stemann e gli Education di Manfred Klein, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com. ☞Programmi: impaginazione LibreOce (con Estensione Patina), trattamento immagini GIMP e FotoSketcher.

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  • BAANNOXV N°837 2 MARZO 2015

    RIVISTA APERIODICA DIRETTA DA

    STEFANO BORSELLI dIl Covilef RISORSE CONVIVIALI E VARIA UMANITÀISSN2279–6924¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila

    a Questo numero.Un numero che testimonia il cammino percorsodalla nostra rivista. Sono certo che gli affezionatilettori (senza l’incoraggiamento dei quali tuttoquesto non sarebbe possibile) condivideranno lasoddisfazione che abbiamo voluto sottolinearenei titoli dei primi due articoli. N

    INDICE

    1 Sibylle von Olfers finalmente in italiano. (Marisa Fadoni Strik)

    2 Intervista a Ettore Maria Mazzola, architetto.(Eleonora Aragona)5 Letture. Eric Zemmour, «Le suicide français».

    (Gabriella Rouf )

    a Non senza una certa soddisfa-zione (1): Sibylle von Olfers finalmen-te in italiano grazie al Covile.

    di Marisa Fadoni Strik

    a colmato una grave lacuna IlCovile dei piccoli n. 5, pubblican-do nella prima traduzione in ita-

    liano in versi rimati, una delle opere piúaffascinanti per l’infanzia, sostanzialmen-te sconosciuta finora nel nostro paese:Qualcosa sui bimbi radice di Sibylle von Ol-fers.

    H

    L’edizione tedesca del 1990 comprendeun saggio di Walther Scherf, di grande in-teresse, anche perché ci riferisce dell’inin-terrotta fortuna delle opere della Von Ol-fers nell’area di lingua tedesca:

    Fin dall’inizio del secolo ventesimo i «Bimbi ra-dice» appartengono al patrimonio della nostra

    Il Covile, ISSN 2279–6924, è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Direttore: Stefano Borselli.☞Redazione: Francesco Borselli, Riccardo De Benedetti, Aude De Kerros, Pietro De Marco, Armando Ermini, Marisa Fadoni Strik, Luciano Funari, Giuseppe Ghi-ni, Ciro Lomonte, Roberto Manfredini, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Almanacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salíngaros, An-drea G. Sciffo, Stefano Serafini, Stefano Silvestri, Massimo Zaratin. ☞ © 2014 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative Commons.Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 3.0 Italia License. ✉ [email protected]. ☞Arretrati: www.ilcovile.it. ☞Caratteri utilizzati: perla testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e gli Education di Manfred Klein, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini, www.iginomarini.com.☞Programmi: impaginazione LibreOffice (con Estensione Patina), trattamento immagini GIMP e FotoSketcher.

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    educazione. E se oggi gli esperti di libri illu-strati non sanno bene se prendere sul serio il li-bro come oggetto storico da collezione, e comeclassificarlo dal punto di vista artistico, un’accu-rata tesi di dottorato di ricerca del 1958 ha di-mostrato che all’epoca i Wurzelkinder, quanto apopolarità, si collocavano al quarto posto, pre-ceduti da Struwelpeter, (Pierino Porcospino). Atutt’oggi li troviamo ugualmente nella lista deibestseller.1

    Scherf si domanda che cosa renda questi«Bimbi» ancora cosí attuali:

    Senza dubbio l’idea stessa dei bambini che vi-vono nella calda, rassicurante e accogliente ter-ra, del gioco nelle grotte, dell’essere all’uniso-no con l’andamento dell’anno […] Lo si sfoglipagina per pagina, a partire dall’impianto illu-strativo: ci si sente, come i bimbi, sempre di casanell’oscuro e imponente groviglio delle radici.È lo svegliarsi al riverbero della luce in senoalla Madre Terra (che richiama molte associa-zioni al risveglio in piacevole sicurezza), la viva-

    1 Walther Scherf, «Etwas von Sibylle von Olfers undihren Wurzelkindern», postafazione in Sibylle von Ol-fers, Etwas von den Wurzelkindern, Esslinger Verlag,1990.

    ce operosità dei bimbi nell’apparato radicale, epoi la drammatica partenza nel mondo! Se sinqui gli ambiti si mostravano slegati, essi risulta-no adesso, con grande maestria, intrecciati l’unl’altro in un unico dirompente movimento. Ilcielo stesso è un turbinio di uccelli. A questa sce-na ne seguono quattro fuori nel mondo, incorni-ciate da un gradevole viticcio, non sovrastilizza-to, di fiori e rami che evocano gli elementi stili-stici del Jugendstil (o del Romanticismo?).L’ultima, la ventosa e fredda scena autunnale,riporta gli scarmigliati bimbi alla protettiva ter-ra.Cosa si può desiderare di meglio di questa so-vrapposizione di motivi a portata di bambino: si-curezza, partenza e ritorno — l’essere partecipiallo scorrere dell’anno e della natura piú auten-tica, mai in un ruolo artificiosamente costruito.

    Scherf colloca i «Bimbi radice» in un mo-mento di passaggio dalle raffigurazioni ot-tocentesche, spesso sovraccariche e con te-sti edificanti, ad una nuova cultura del Bil-derbuch (libro illustrato) di tipo modernista,piú interessata all’innovazione estetica: laVon Olfers mantiene invece una salda e

    dIl Covilef N° 837

  • | (3) |affettuosa attenzione al mondo infantile,unendo raffinatezza e semplicità. Il suo èuno sguardo di tenerezza volto alle creatu-re e al creato, il cui ordine e bellezza si rive-lano, quanto nell’immenso, nel pic-colissimo, nel nascosto, nel mite. Pur nonessendovi riferimenti religiosi, si avverteuno sguardo serenamente contemplativo einsieme una profonda comprensione delmondo fantastico infantile.

    E qui bisogna dire qualcosa sull’autrice,la cui breve esistenza ha i caratteri diun’intensità spirituale e artistica fuori dalcomune.

    Sibylle von Olfers, 1906.

    Sibylle von Olfers non era artista famo-sa. Il suo nome non è neppure citato nei di-zionari dell’arte dell’illustrazione.2 Nata l’8maggio 1881 al castello Metgethen, presso

    2 Evidentemente ci ha pensato Walther Scherf a ridarlelegittimità: Scherf, Walther, «Olfers Sibylle von» inNDB, Neue Deutsche Biographie vol. 19 (1999), pag.520–522 dell’Accademia Bavarese delle Scienze ini-ziata nel 1953 e che ha pubblicato finora 24 volumi. Èprevisto il N° 25 entro il 2020.

    Königsberg nella Prussia orientale, ricevet-te qui la sua istruzione e qui le furono im-partite le prime lezioni di disegno. Mal’impulso decisivo lo trovò a Berlino in casadella zia Marie von Olfers (1826–1924), an-ch’essa pittrice e i cui libri illustrati furonomodello per la giovane diciasettenne che vi-veva presso di lei, ricevendone lezioni di di-segno e pittura. Contemporaneamente, fre-quenta la Scuola d’arte. È in questo perio-do che redige cinque dei suoi dieci libri il-lustrati.

    A diciotto anni decide di farsi suoraentrando, sei anni piú tardi, nell’Ordine diSanta Elisabetta (col nome di MariaAloysia) a Königsberg dove la sua famigliasi era da tempo trasferita.

    Qui Sibylle lavora nella farmacia e si de-dica alla cura dei malati, avendo tuttavia lapossibilità di proseguire la sua formazioneartistica. Nel 1907 si trasferisce a Lubeccadove le viene concesso il permesso di fre-quentare i corsi di pittura del Prof. W. Leobarone di Lütgendorff-Leinburg, pittoredi genere e paesaggista, futuro direttoredel Museo del Duomo. Allo stesso tempo èinsegnante di disegno in una scuola ele-mentare e pedagoga di una certa fama incittà. Copia i Maestri della pittura italiana edipinge le sue prime pale d’altare tuttoraconservate nella Chiesa del Sacro Cuore diGesú a Lubecca.

    Una polmonite la porta a curarsi a Gar-done, in Italia. Nel 1915 lavora come infer-miera nel lazzaretto di Breslavia, ma a causadella malattia è costretta a tornare alla suacongregazione. La polmonite, trascinatasinel corso dei suoi lavori ad una Via crucis,la condurrà alla morte, avvenuta in pienaguerra il 29 gennaio del 1916.

    Il grande periodo dei suoi Bilderbücher vadal 1905 al 1912. Il suo primo libro, Was Ma-rilenchen erlebte (Le esperienze vissute di

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    Marilina, 1905, seconda edizione 1907), èben accolto. Nel frattempo, (1906), vienepubblicato Mummelchen und Pummelchen,Eine Hasengeschichte in acht Bildern (Una sto-ria di conigli e bambini paffutelli in ottoquadri), e sempre di quell’anno è Butze Bu-tze Bübchen.3 Nel 1909 è la volta di Prinzes-schen im Walde (Principessina nel bosco), acui fa seguito Windchen (Venticello, 1910).Con la sua ultima opera pubblicata in vitanel 1912, König Löwes Hochzeitschmaus (Ilbanchetto di Re Leone), la critica non fumolto benevola. Nel 1916 viene stampatoIm Schmetterlingsreich (Nel regno delle farfal-le), e postumo, nel 1921, Brumm brumm Bär-

    3 Titoli difficilmente traducibili in italiano, Pummel-chen si dice di bambini paffutelli (tombolini); sich mum-meln, verbo, significa imbacuccarsi, infagottarsi, maanche borbottare, nella forma non riflessiva mummeln.Lo stesso vale per Butze butze che è come dire babau,che evoca uno spauracchio per i bambini. Butzemann intedesco è un coboldo, un folletto. Bub invece, diminuti-vo Bübchen, è un maschietto, un ragazzino.

    chen (L’orsetto brontolone), tratto dal suolascito.

    I Wurzelkinder, pubblicati nel 1906, ri-stampati nel 1907 e in una piccola edizionenel 1914, sono comunque il suo capolavoro.Scherf scrive che è inutile congetturarequanto Kreidolf (o Theobald Kerner) abbiainfluenzato Sibylle von Olfers. Le di luiBlumenmärchen, fiabe con i fiori come pro-tagonisti, apparvero nel 1898, Die Schla-fenden Bäume (Gli alberi dormienti), nel1901. Probabilmente entrambi furono sti-molati dai libri illustrati inglesi che eranoanche largamente diffusi, in lingua origi-nale, nelle famiglie tedesche.

    Conclude Scherf :Ai tempi del Jugendstil, dell’Impressionismo edella Psicologia infantile ai suoi albori, si assi-ste ad una profonda presa di coscienza su ciòche rappresentavano la casa e le bellezze delgiardino, la natura autentica e il vivere in modogiusto, la famiglia e l’amorevole attenzioneverso il bambino. Questo libro fu parte di que-sta nuova mentalità e —per la nostalgia che neabbiamo — è rimasto vivo.

    Marisa Fadoni Strik

    dIl Covilef N° 837

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    a Non senza una certa soddisfa-zione (2): Ettore Maria Mazzola, premiato con Excellence Urban Design Award Honorable Mention, nell’intervista di Eleonora Aragona.

    Fonte: L’Indro-L’approfondimento quotidiano indipen-dente, 25 febbraio 2015, www.lindro.it

    edilizia popolare può essere unmotore di ripresa e si può guadagna-re dalla rigenerazione dei quartieri

    degradati. Questa è la posizione di Ettore MariaMazzola, architetto, urbanista e restauratore, edocente all’University of Notre Dame nel RomeStudies Program. L’architetto originario di Bar-letta ha stilato un piano dettagliatissimo su comesi potrebbe recuperare il Corviale, uno dei quartie-ri dormitorio di Roma, e come farlo senza rimet-terci decine di milioni di euro.

    L’

    Allora come si potrebbe realizzare questa chime-ra? È veramente possibile rigenerare un quartieree farlo senza costi da capogiro per lo Stato?

    Il progetto per il Corviale lo ho fatto ascopo dimostrativo. Volevo rendere eviden-te quello che avevo scritto in un libro La cit-tà sostenibile è possibile, che è stato il risultatodi una ricerca di diversi anni. Per risponde-re a domande come: perché era stato possi-bile che in passato, in particolare il periodonero di fame abitativa che seguí l’Unitàd’Italia e quello ancora peggiore dei primianni del Novecento, le case popolari fosse-ro degli splendidi quartieri che oggi il mer-cato immobiliare considera a livello di cen-tro storico, degli alloggi popolari con dellecaratteristiche ben lontane da quelle cheoggi assoceremmo alla casa popolare. A co-struire questi alloggi è stato l’Istituto perla costruzione delle case popolari nato pro-prio nei primi del Novecento per rimettere

    a posto i problemi provocati dall’ediliziapopolare gestita fino a quel momento daglispeculatori privati.

    E a cosa la hanno portato questi anni di ricer-ca?

    Ho scoperto delle cose che mi hanno la-sciato veramente stupefatto. Ho pensatoecco qui ci hanno preso in giro, ci stannoprendendo in giro e continueranno a pren-derci in giro. Quello che ho trovato è statoche attualizzando i costi, basandoci sui datireali e non su stime approssimative, e andan-do a vedere quanto tempo avevano impiega-to a costruire quelle opere popolari sembraincredibile. Pensate che le prime 144 case diSan Saba sono state iniziate nell’ottobre del1908 e nell’aprile del 1909 ci vivevano già 144famiglie e sono costate il 45% in meno diquello che costa l’edilizia popolare cor-

    2 Marzo 2015 Anno XV

    Il Covile ha presentato il progetto di Ettore MariaMazzola per il Corviale nel n. 588

    del 22 maggio 2010.

    http://www.lindro.it/http://www.lindro.it/http://www.lindro.it/http://www.lindro.it/http://www.lindro.it/http://www.lindro.it/http://www.lindro.it/

  • | (6) |rente. Mentre per costruire il Corviale diRoma ci sono voluti sette anni e mezzo peravere 122 alloggi e il costo di costruzione èstato esattamente in linea con il costo di co-struzione di qualsiasi tipo di edilizia. Primapresa in giro. Se poi si considera che perCorviale, da quando è stato realizzato adoggi, sono stati spesi 46 milioni per metteredelle pezze su cose che non funzionavo.

    Seconda presa in giro… Allora com’è stato pos-sibile? Perché le cose sono cambiate?

    Durante le mie ricerche ho cercato di ca-pire quale fosse stato il meccanismo cheaveva consentito questo tipo di realizzazio-ne e ho trovato un corpus di leggi illumi-nate deliberate, dall’inizio del Novecentoal 1925, in Italia prima di Mussolini. Questeleggi innanzitutto prevedevano il divieto as-soluto di segregare le classi meno agiate inquartieri popolari. Era previsto che le casepopolari dovessero mischiarsi con le casenormali, questo perché erano stati condottidegli studi protosociologici che dimostrava-

    no come la gente tenda ad emulare chi staun gradino sopra di lei. Quindi mischiandole classi la gente tendeva a migliorare il pro-prio comportamento. A questo propositola storia di Testaccio è emblematica, è statocredo il primo quartiere a livello mondialea progettazione partecipata. Questo quar-tiere nel 1905 era uno dei piú pericolosi diRoma ma in poco tempo cambiò volto an-che grazie all’opera di un noto protosocio-logo dell’epoca, Domenico Orano, conside-rato un anarchico insurrezionalista dai suoidetrattori. Lui si trasferí a vivere lí per ten-tare di capire le ragioni per cui le cose nonfunzionassero e creò un Comitato per il mi-glioramento economico e morale di Testac-cio. Questo comitato accoglieva persone diqualsiasi estrazione sociale e politica e tirògiú una serie di punti su come migliorarequel quartiere degradatissimo. Parliamo diun quartiere da cui il Papa in visita fu caccia-to a pietrate. Al termine di queste ricerchedurate cinque anni fu convocato in Italiaun architetto che era dovuto andare in cer-

    dIl Covilef N° 837

    Progetto Borgo Corviale, planimetria generale.

  • | (7) |ca di fortuna all’estero, Giulio Magni, ilquale si limitò a tradurre in architetturaquelle che erano le esigenze evidenziate daquesto comitato.

    Come fece?Si creò un sistema di gestione economica

    del cantiere, si pensò che fosse giusto che acostruire le case popolari fosse lo Stato in-vece di continuare ad appaltare ai privati egestire malamente ciò che viene costruitomale. Si creò quindi anche un sistema che ri-sollevò l’economia, il comune di Roma erafallito negli anni ’80 dell’Ottocento a causadella speculazione privata. Per cui si capíche solo entrando in sana competizionecon il privato il pubblico poteva risollevarese stesso. Si crearono migliaia e migliaia diposti di lavoro, si creò un sistema per fra-zionare gli appalti, gestendo una serie dipiccole cooperative artigiane. Ci si ritrovònella situazione in cui il costruttore era an-che il consumatore, infatti Testaccio fu co-struita da una serie di artigiani che sarebbe-ro andati ad abitare in quelle stesse case. Egrazie all’insieme di questi elementi spariro-no tutte le violenze che fino a quel mo-mento avevano caratterizzato il quartiere.Tanto è vero che nel 1917 il presidente del-l’Istituto case popolari rilevato il successodi questo progetto coniò quello che diven-ne lo slogan dell’istituto «La casa sana ededucatrice», perché si notò come il tipo dicasa sviluppasse il senso di appartenenza esvolga un ruolo educativo. Poi accadde cheMussolini mise fine a tutto questo e l’Istitu-to divenne solo un ente gestore di case co-struite da privati.

    Però lei sostiene che questi progetti risollevaro-no l’economia di Roma. Come fu possibile?

    Le leggi fatte dal 1907 al 1921 consentiva-no, in primis, allo Stato, tramite l’Istituto

    case popolari, di costruire queste abitazionie di costruire anche per conto di terzi. Cosífacendo l’Istituto riusciva ad autofinanzia-re l’edilizia popolare, infatti poteva costrui-re anche case per privati e reinvestire iprofitti nelle strutture per i ceti disagiati.In questo modo si generava economia, sievitava di avere spese e soprattutto si co-struiva con materiali e tecniche che poinon richiesero manutenzione. Uno dei pro-gettisti di quegli anni, Quadrio Pirani, inuna relazione di un progetto che fece perTestaccio nel 1911 diceva: quando costruia-mo case di grandi dimensioni dobbiamofarlo con materiali durevoli per evitare i fu-turi costi di manutenzione. Infatti i suoiedifici non sono mai stati restaurati. C’era-no quindi persone illuminate che però adun certo punto sono state bistrattate dallaloro stessa generazione, perché la battagliatra l’architettura tradizionale e moderna inquegli anni si è combattuta sull’asse Ro-ma-Milano. Roma era in mano agli artigia-ni, Milano all’industria, il potere di que-st’ultima poco alla volta ha scalzato il valo-re dell’artigianato e si è passati all’edilizia.

    È necessario quindi fare un passo indietro?Oggi se ci sono le condizioni, soprattut-

    to per quella che è la crisi economica, perimparare dalla nostra storia. Io sia nei libriche nei progetti dicevo essenzialmente chenoi abbiamo avuto dei periodi tremendi,esattamente come quello che stiamo viven-do adesso. Il comune di Roma era fallitodopo le speculazione del 1883–85, però allo-ra si seppero risollevare le sorti dello Statoe soprattutto la qualità dell’architetturaall’epoca era di alto livello sia a livello pub-blico che privato.

    Sí, ma oggi è economicamente possibile rigene-rare le periferie degradate?

    2 Marzo 2015 Anno XV

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    dIl Covilef N° 837

    Febbraio 2015, residenza di Clarence House. L’architetto Ettore Maria Mazzola, premiato alcongresso annuale INTBAU (International Network for Traditional Architeure and Urbani-sm) con l’Excellence Urban Design Award Honorable Mention per il suo Progetto di Rigenerazio-

    ne Urbana del Corviale di Roma, conversa con S.A.R. il principe Carlo.

    Al Congresso, oltre che una serie di eminenze grigie dell’urbanistica, dell’architettura e del-la politica e dell’ambiente, erano presenti i rappresentanti di tutte le delegazioni mondialidell’INTBAU, ormai un centinaio abbondante, che hanno portato una loro testimonianzadell’incredibile lavoro di rinascita dell’architettura arti e artigianato che, non solo staconsentendo di restaurare e ricostruire siti che attirano masse di turisti, ma si sta dimostran-do anche un enorme business per le economie locali. Per esempio, in Afganistan, grazie aduna Fondazione ad hoc creata dal Principe Carlo, nel tentativo di riformare l’artigianato e ri-mettere in vita la produzione di splendide ceramiche artistiche di un villaggio semi abbando-nato, non solo è stato possibile ridar vita a quella comunità, ma addirittura il successo artisti-co della produzione ha portato l’INTBAU locale a ricevere commesse milionarie da parte dicatene alberghiere arabe e americane, spiazzando con l’artigianato il potere dell’industriaglobale! [...] Al termine dell’incontro il Principe ha fatto uno splendido discorso, ripercor-rendo i suoi ultimi circa trent'anni, ovvero da quando, con il documentario e libro A Visionof Britain, decise di dedicarsi alla causa dell’architettura, dell’urbanistica e della tuteladell’ambiente e dei centri storici. Con quel gesto Egli si attirò molti nemici, ma è anche veroche è solo grazie al Suo coraggio e alle Sue donazioni e fondazioni, se oggi esiste a livellomondiale una rete sempre piú vasta di architetti dediti all’architettura e all’urbanistica degne

    del loro glorioso passato. (E.M.M.)

  • | (9) |Dalle valutazioni fatte, ad esempio nel

    caso di Corviale, ho dimostrato che nonsolo si potrebbe dare alloggio a 2000 perso-ne in piú, rispetto ai 6.500 residenti attuali,ma si potrebbero installare una serie difunzioni che non esistono: un mercato, unabanca, un ufficio postale, un posto di poli-zia, scuole che coprano tutte le fasce di al-lievi, un cinema, una biblioteca, una chiesa.Tutte quelle attività che non esistono. Se-condo quanto ho stimato nelle casse delloStato entrerebbero 511 milioni di euro chepotrebbero essere reinvestiti in altre areedegradate e si restituirebbero alla campa-gna circa 12 ettari. Tutto questo avverreb-be in maniera indolore per i residenti. È sta-to perché sono riuscito a dimostrare questoche mi è stato assegnato l’International Ma-king Cities Livable. Se noi andassimo a riem-pire dei vuoti, quei vuoti che circondano iquartieri dormitorio, spostando di pochimetri i residenti e si potrebbero demolire leparti obsolete. Del resto mantenere degliedifici pubblici che hanno dei costi disu-mani, come il Corviale di Roma, come loZen di Palermo, non ha senso. Anche per-ché il tempo è gentiluomo come dicevaEdoardo Bennato, quindi se costruisci de-gli edifici in maniera inadatta quegli edificitendono a cadere. Mantenere in vita edificiche vogliono morire, perché cosí sono staticoncepiti, non ha senso.

    Economicamente?Si potrebbe autofinanziare, perché in

    questo momento ci sono 6500 residenti aCorviale mentre invece in futuro ce ne po-trebbero essere piú di 8.500, il che significache ci sono degli alloggi in piú che potreb-bero essere venduti, ci sono una serie di atti-vità commerciali e di laboratorio che posso-no essere vendute. Quindi man mano che siprocede ci si autofinanzia, partendo dai 44

    milioni che la Regione Lazio ha a disposi-zione per la riqualificazione di Corviale sipotrebbero iniziare a costruire le primecase e poi il progetto andrebbe avanti dasolo.

    Quindi secondo Mazzola abbiamo già tuttoquello che ci servirebbe per costruire in maniera as-solutamente all’avanguardia. Anche per quantoriguarda i criteri antisismici, l’architetto sostie-ne che l’Italia avrebbe per le mani il miglior codi-ce del mondo, il Codice antisismico borbonico del1783. Infatti proprio l’anno scorso è stato ricono-sciuto da una commissione internazionale di e-sperti come quello con i criteri antisismici miglioridel mondo. È un codice stilato dopo il terremotodel 1783 che praticamente creava una sorta di aba-co di soluzioni tecnologiche per prevenire il proble-ma sismico e si rifaceva al sistema degli antichiromani che si chiamava opus craticium che nonè altro che un’intelaiatura di legno nascosta nellestrutture che riesce a ripartire uniformemente sututto l’edificio.

    L’avanguardia non necessariamente deveessere futuristica, perché magari il passatoci dà delle lezioni che dimostrano che sefossimo un pochino meno presuntuosi a-vremmo le soluzioni a tutti i problemi cheabbiamo in questo periodo. Sia a livello ar-chitettonico che economico. Possiamo rico-minciare da dove ci siamo fermati, dal 1931,dalla mostra sull’architettura razionalista equando Mussolini vietò di costruire con sti-le diverso dal contemporaneo. Se fossimoin grado di ripartire da dove ci siamo ferma-ti potremmo andare avanti.

    Conclude cosí la nostra chiacchierata l’architet-to Mazzola, che proprio in questi giorni e per ilsuo lavoro è stato premiato a Londra dal principeCarlo con l’Excellence urbano design awarddall’INTBAU (International network for tra-ditional architetture and urbanism).Eleonora Aragona

    2 Marzo 2015 Anno XV

  • V LettureEric Zemmour, Le suicide français.

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    di Gabriella Rouf

    e suicide français di Eric Zemmourè uno di quei libri4 di cui tantiparlano malissimo vantandosi di

    non averlo letto, per cui gran parte delladiscussione da esso sollevata è da cestina-re direttamente, se non come documentodell’intolleranza e dell’odio violento chemanifestano i paladini dei diritti e delle li-bertà se qualcuno non si adegua al pensie-ro unico. Oltre che per l’exploit mediati-co e di vendite, il libro, anche per questomotivo, testimonia di un’opinione coeren-te e condivisa, che viene percepita comepericolo da quanti, piú meno consapevol-mente, hanno condotto la Francia ad unacrisi identitaria che Zemmour non esita adefinire suicidio e che, piú che di tali ipo-tetici pericoli, si compone di recessioneeconomica, disgregazione sociale, proble-mi di sicurezza.

    L

    Il testo ripercorre, dal 1970 al 2007, conqualche estrapolazione all’oggi, quaran-t’anni di storia della Francia, dimostrandocome, tappa dopo tappa, l’identità del Pae-

    4 Eric Zemmour, Le suicide français, ed. Albin Michel2014. Il libro, uscito nell’ottobre ha avuto un’ampia ri-sonanza e successo di vendite (anch’esso oggetto di con-testazioni e polemiche). Zemmour ha usufruito di un ac-cesso mediatico inconsueto (che gli è stato rinfacciato),anche se non è detto che ciò abbia giovato alle tesi del li-bro, per la nota approssimazione polemica e personali-smi dei dibattiti televisivi, in cui tutti, compreso chiascolta, restano fissi nelle loro posizioni e pregiudizi.L’osservazione piú pertinente da fare al testo è una cer-ta reticenza nei confronti della destra, le cui responsabi-lità passate sono evidenziate alla pari con quelle dellasinistra, ma su cui, avvicinandosi all’oggi, il testo tace.Ma lo comprendiamo, lo comprendiamo...

    se è stata minata e svenduta alle ideologiedel capitalismo consumistico, poi del libera-lismo mondialista.

    Un testo di piú di 500 pagine, incoercibi-le ad ogni riassunto e semplificazione, inquanto cerca di cogliere nel singolo eventoil massimo delle sfaccettature, ed è solo lavisione d’insieme che dimostra come aspet-ti anche anodini, apparentemente lontanil’uno dall’altro, abbiano via via — ma nonineluttabilmente — privato il popolo fran-cese della sua identità, radici, memoria na-zionale, risorse umane, ambientali e produt-tive, aprendo in contemporanea un dram-matico contrasto con la componente islami-ca della popolazione stessa.

    Zemmour fa questa riepilogazione concoraggio e senza tabú, ma anche con equili-brio e capacità dialettica: non ha pietà perl’opportunismo e l’ambizione dei politici —fino al carnevale degli ultimi anni5 —, masoprattutto mette sotto accusa la responsa-bilità degli intellettuali e dei media nell’ela-borare ed offrire (sempre da sinistra!) l’ideo-logia a copertura e sostegno del trionfo ca-pitalistico finanziario globalizzato: il liberi-smo genetico, il multiculturalismo autofusti-gante, la religione dei diritti individuali,fino alla perversione delle teorie del gendero altre imposture pseudoscientifiche inse-gnate nelle scuole.

    Individua nel ’68 la formazione di unceto agente e promotore del neototalitari-smo ideologico, il quale, rapidamente con-vertitosi al liberalismo economico o facen-do già parte per nascita di ceti privilegiati,ha eroso dall’interno le istituzioni — politi-che, giuridiche, formative —, mentre cine-

    5 «Viviamo in un’epoca carnevalesca. Nicolas Sarkozy èstato un Bonaparte da carnevale; François Hollande èun Mitterand da carnevale e Manuel Valls, un Clemen-ceau da carnevale. [...] Oggi, solo le istituzioni, come ilbusto delle donne di una volta, tengono su diritte lenostre sfatte eminenze» (p. 518)

    dIl Covilef N° 837

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  • | (11) |ma, musica leggera, letteratura di consu-mo, milieu artistico, trovavano in ciò il climafavorevole per il marketing e l’omologazio-ne televisiva. Fino alla professionalizzazio-ne di una specie di rivoluzione permanente,di una protesta a comando, di una trasgres-sione di Stato, ovviamente innocua per leélites burocratiche e finanziarie europee emondiali, ma ben gradita alla casta politicacontinuamente in cerca di facile popolaritàe depistaggi dalle loro responsabilità reali.

    Nonostante gli strilli delle femministe diultima generazione, il testo, che si pone incontinuità con Le premier sexe,6 non dà pre-minenza esclusiva a tali aspetti,7 dando or-mai per consumato il processo di femmini-lizzazione (che io chiamerei femministizza-zione) della società francese, che si integracon la mentalità bobò,8 per replicare strati diceto medio arrendevole alle mode di consu-mo e culturali à la page.

    La disgregazione identitaria ha nella pre-senza della popolazione islamica la suacontraddizione piú forte e drammatica.Zemmour individua in primo luogo nell’ele-mento quantitativo l’origine concreta dellosquilibrio e (ma le due cose sono evidente-mente legate) contrappone il modello di as-similazione progressiva ad una collettivitànazionale dalla forte identità a quello del-l’integrazione multiculturale, per la qualela nazione stessa si fa contenitore neutrale,con l’imposizione di una specie di laicismometodologico. E infatti è il modello dellascuola del ministro Peillon,9 in cui i caratte-ri originari familiari verrebbero sradicati —pia illusione, del resto, come nota Finkiel-

    6 Eric Zemmour. Le premier sexe, ed. Denoël 2006.7 Essi sono invece al centro del pamphlet uscito in Italia

    Sii sottomesso. La virilità perduta che ci consegna all’I-slam, ed. Piemme 2015

    8 Bobò è la contrazione di bourgeois-bohème, con il signifi-cato che ben s’intuisce.

    9 V. Il Covile n. 734 del gennaio 2013.

    kraut10 — e si colerebbero nello stampo, de-purato dalle scorie medievali della religio-ne e delle tradizioni, le infinite opzioni del-la felicità, che poi non sono — e precaria-mente — altro che i consumi.

    Complessa è l’analisi svolta da Zemmoursul regime di Vichy e la sua identificazioneufficiale ed esclusiva con la persecuzione de-gli ebrei francesi, fino a costituire intornoad essa un complesso di colpa nazionale,fornire ampio spazio alla penetrazione deimodelli USA (pensiamo all’arte concettua-le) e costituire un precedente di discredito,una specie di anno zero, per il progressivocedimento del patrimonio identitario nazio-nale, storico, artistico, produttivo, ambien-tale. Di qui ovviamente l’accusa al libro dirazzismo, se non di antisemitismo, piutto-sto insulsa, perché Zemmour è ebreo.

    Del resto è stato piú volte notato comela caratterizzazione degli ebrei solo comevittime dell’olocausto fa perdere di vista laspecificità ebraica anche come esempio diassimilazione nelle comunità nazionali,11

    mentre collocare il nazismo come male asso-luto extrastorico esime dall’analisi delle ori-gini e dello sviluppo della teoria e prassi ge-nocida, del suo parallelo con quella comu-

    10 Un anno prima di Zemmour, Alain Finkielkraut inL’identité malheureuse ed. Stock parlava dell’identitàfrancese in agonia, indagandone l’aspetto filosofico eantropologico, con particolare riguardo alla scuola. Illaicismo svuotato di valori nazionali al positivo (el’ebreo Finkielkraut fa riferimento a Peguy), è distrutti-vo verso le radici e la tradizione cristiana, ma (proprioper questo) ininfluente verso altre tradizioni. La pacifi-cazione attraverso il laicismo declinato in ideologia è il-lusoria. Quanto alla par condicio della blasfemia, si è vi-sto i risultati.

    11 Come bisnipote di ebreo francese trasferitosi in Italia aitempi dell’Unità, posso testimoniare del permanere nel-la famiglia dell’orgoglio per il suo servizio nell’esercitodi Francia, della conservazione della sua coccarda trico-lore e delle foto della sua partecipazione alle celebra-zioni a Parigi come reduce della Campagna d’Italia.

    2 Marzo 2015 Anno XV

  • | (12) |nista e del suo ripresentarsi nell’eugeneticae nel totalitarismo soft.

    Quello per cui Zemmour è convincente,quanto insopportabile per gli esponenti delconformismo e del pensiero debole, è — aldi là dei singoli aspetti — l’avere egli svoltoun ragionamento secondo un metodo dianalisi strutturale, di ricerca di cause, di re-sponsabilità, di fatti. Di fronte alla dia-spora dei concetti e dei linguaggi, al relati-vismo alibi per l’ignoranza, di fronte allespecializzazioni fondate sui luoghi comuni,di fronte all’a priori urlato o vittimistico,Zemmour ha il coraggio della sintesi.

    Suo merito è dimostrare che l’attuale de-riva non era ineluttabile, che è stata costrui-ta scelta dopo scelta, atto dopo atto, per lopiú con leggi, regolamenti, ma anche conuna pluralità di decisioni, accordi, eventisettoriali, spesso mediatici, con date, luo-ghi, nomi e cognomi. E se non si tratta diuna congiura, forse nemmeno di un proget-to se non nella perseveranza di fondo degliattori meno noti e piú forti, non è certo unprogresso — ormai è evidentissimo a tutti—, e tanto meno l’evoluzione lineare versolivelli superiori di civiltà e verso un’umani-tà piú prospera, libera e felice.

    Zemmour, ebreo d’origine maghrebina,esprime un disperato amore per il suo Pae-se: ha nostalgia di ciò che egli stesso non hadirettamente vissuto, per la storia terribilee gloriosa che ha studiato a scuola, per lalingua, la letteratura, un immaginario intel-lettuale e popolare fatto di paesaggi, di uo-mini, di cibo, di arte, di canzoni, di bellez-za. Noi che viviamo in un Paese espostoall’analoga aggressione dell’egualitarismoconsumistico globalizzato, siamo nelle con-dizioni di comprendere senza equivoci cosaintende Zemmour quando difende, e anchechiama all’appello, il popolo francese, chedi tale retaggio è depositario e che vive la

    scissione dalla classe politica ed intellettua-le che l’ha tradito.

    Ogni collettività nazionale è caduta nel-la trappola dell’Europa a suo modo e pa-gando il suo prezzo. Nonostante l’irrita-zione verso le istituzioni che mal governa-no e tradiscono gli interessi nazionali,permane nel popolo l’amore per il proprioPaese, la percezione della sua identità. Nes-suno invece può amare questa Europasenza radici, che è un tutt’uno con i suoiparassiti, la sua burocrazia espressione di-retta delle lobbies, la sua politica espres-sione diretta della finanza.

    La costruzione di una sintesi, anche conle approssimazioni del caso, è oggi neces-saria per contrapporre valori forti, condivisie radicati, ai modelli imposti da centri deci-sionali sempre piú lontani da ogni control-lo. La destrutturazione del discorso fino arendere la realtà indecifrabile, la riduzionedell’umano al pulsionale fino a rinunciareall’esercizio della ragione, sono funzionaliall’accentramento e alla ferrea concatena-zione, logica e materiale, del potere. 0

    dIl Covilef N° 837Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus)

    http://www.ilcovile.it/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.4%20-%20Indagini%20su%20Epimeteo%20tra%20Ivan%20Illich,%20Konrad%20Weiss%20e%20Carl%20Schmitt.pdfhttp://www.ilcovile.it/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.4%20-%20Indagini%20su%20Epimeteo%20tra%20Ivan%20Illich,%20Konrad%20Weiss%20e%20Carl%20Schmitt.pdfhttp://www.ilcovile.it/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.4%20-%20Indagini%20su%20Epimeteo%20tra%20Ivan%20Illich,%20Konrad%20Weiss%20e%20Carl%20Schmitt.pdfhttp://www.ilcovile.it/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.4%20-%20Indagini%20su%20Epimeteo%20tra%20Ivan%20Illich,%20Konrad%20Weiss%20e%20Carl%20Schmitt.pdfhttp://www.ilcovile.it/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.4%20-%20Indagini%20su%20Epimeteo%20tra%20Ivan%20Illich,%20Konrad%20Weiss%20e%20Carl%20Schmitt.pdfhttp://www.ilcovile.it/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.4%20-%20Indagini%20su%20Epimeteo%20tra%20Ivan%20Illich,%20Konrad%20Weiss%20e%20Carl%20Schmitt.pdfhttp://www.ilcovile.it/scritti/Quaderni%20del%20Covile%20n.4%20-%20Indagini%20su%20Epimeteo%20tra%20Ivan%20Illich,%20Konrad%20Weiss%20e%20Carl%20Schmitt.pdf