la metamorfosi - ricerca

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Ricerca riguardante la metamorfosi, partita da un dibattito discusso all'interno di una classe di scuola superiore.

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Giovanni Culpo 1C Es. n° 13 p.147 – Scrivi un testo espositivo:

La Metamorfosi Secondo l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana “Treccani”, la metamorfosi è:

“La trasformazione di un oggetto in un altro e soprattutto dell’uomo in animale, in pianta, in pietra, in astro e viceversa. Essa avviene prevalentemente per opera di chi ne

ha il potere (mago, stregone, ecc.) e istantaneamente, in seguito o a una parola magica, o ad un contatto con la terra, o al tocco di una bacchetta magica, o alla degustazione di

una pozione, ecc. Con lo stesso mezzo avviene il ritorno alla forma umana, spesso accompagnato da distruzione delle spoglie animali.”

La metamorfosi è stata oggetto di racconti, poemi mitologici e di componimenti epici fin dall’Antica Grecia, dove solitamente essa veniva sfruttata come un poetico modo per spiegare meccanismi o entità naturali, come il mito di Apollo e Dafne o quello di Aracne.

Uno tra i racconti di metamorfosi più famosi è sicuramente quello di Narciso, di cui però esistono due versioni: una ellenica, raccontata da Conone, ed una romana, raccontata dal poeta latino Ovidio nelle Metamorfosi. Entrambe narrano di un giovane sedicenne, Narciso, figlio della ninfa Liriope del dio fluviale Cefiso. Egli era particolarmente dotato di una formidabile e splendida bellezza, di cui andava molto fiero, elogiando e lodando il proprio corpo. Gli abitanti della sua città, che fossero uomini o donne, giovani o anziani, lo amavano sperdutamente, ma egli li respingeva uno ad uno a causa della sua orgogliosità eccessiva.

Nella versione ellenica è raccontato un particolare episodio in cui Narciso respinse, come suo solito, un giovane ragazzo di nome Aminia, il quale però non si dava per vinto e che continuò quindi a fare richieste amorose. Narciso, approfittando di questa sorta di persuasione, donò una spada al giovane Aminia, consigliandogli di trafirsi l’addome davanti alla sua casa. Facendo questo, però, Aminia chiese agli dei una vendetta nei confronti del presuntuoso Narciso.La vendetta si compì proprio quando Narciso, contemplando ed adorando la sua bellezza, rimase incantato dalla sua immagine riflessa in una fonte, innamorandosi perdutamente di essa. Egli, preso dalla disperazione e sopraffatto dal pentimento, si trafisse il petto con la stessa spada di Aminia, dal cui sangue spunterà dopo poco quello che oggi è il fiore narciso.

La versione romana, invece, comincia con una profezia del profeta Tiresia, che disse alla madre di Narciso che avrebbe raggiunto la vecchiaia solo se “non avesse mai conosciuto se stesso”. Diventato un ragazzo di enorme bellezza, all’età di sedici anni si addentrò in un bosco a caccia di cervi, seguito furtivamente però dalla ninfa Eco, costretta a ripetere soltanto le parole che udiva, a causa di una maledizione divina. Ella, innamoratasi di Narciso, corse da lui e la abbracciò, ma egli la respinse in modo brusco ed inconsulto spezzandole letteralmente il cuore.Nemesi, dea della giustizia divina, vedendo ciò che Narciso aveva fatto ad Eco, decise di punirlo, costringendolo in qualche modo ad osservare la sua immagine riflessa in una profonda pozza. Egli però si accorse che non avrebbe mai potuto ottenere l’amore del suo riflesso, quindi si uccise struggendosi

Giovanni Culpo 1C Es. n° 13 p.147 – Scrivi un testo espositivo:

inutilmente, come diceva la profezia di Tiresia. Quando le Driadi vollero prendere il suo corpo trovarono soltanto un fiore, conosciuto oggi come Narciso.

Un altro mito raccontato da Ovidio è quello di Apollo e Dafne, raccontato anch’esso nelle Metamorfosi.Il racconto narra del primo amore di Apollo, Dafne, ninfa e Sacerdotessa della Madre Terra. Il dio colse l’occasione di dichiararsi, ma fu subito respinto a causa del desiderio di libertà della ninfa. Apollo, innamoratosi ancora più pazzamente di lei, cominciò ad inseguirla follemente, alla ricerca di un amore che era stato ormai rifiutato.Dafne, spaventata, chiese l’aiuto di sua madre Gea (la Madre Terra), che la trasformò in uno splendido albero di Laurus nobilis, l’alloro, che sarà in tutta la mitologia greca il preferito di Apollo, di cui porterà una corona sulla testa. Questo sarà il simbolo di tutti i poeti e i musicisti dell’ellade.

Questo racconto verrà poi interpretato in vari modi da studiosi, associando il principio della Castità a Dafne, e quello del desiderio sessuale al dio Apollo, bramoso di lussuria.

Altro famoso mito è quello di Aracne, figura mitologica tradizionalmente cittadina di Colofone, nella Lidia. La fanciulla, figlia del tintore Idmone, era una delle ragazze più abili nel tessere della città, tanto che sosteneva di avere insegnato ad Atena l’arte della tessitura. Data la sicurezza della fanciulla nelle sue parole, ella sfidò la dea a duello. Atena, non appena apprese la notizia, fu sopraffatta dall'ira e si presentò ad Aracne sotto le spoglie di una vecchia suggerendo alla stessa di ritirare la sfida e di accontentarsi di essere la migliore tessitrice tra i mortali. Per tutta risposta Aracne disse che se la dea non accettava la sfida era perché non aveva il coraggio di competere con lei. A quel punto Atena si rivelò in tutta la sua grandezza e dichiarò aperta la sfida.Quando le tele furono completate e messe l'una di fronte all'altra, la stessa Atena dovette ammettere che il lavoro della sua rivale non aveva eguali: i personaggi che erano rappresentati sembrava che balzassero fuori dalla tela per compiere le imprese rappresentate. Atena, non tollerando l'evidente sconfitta, afferrò la tela della rivale riducendola in mille pezzi e tenendo stretta la spola nella mano, iniziò a colpire la sua rivale fino a farla sanguinare, la quale cercò poi di impiccarsi dalla disperazione.Minerva infine volle salvare la giovane ragazza, trasformandola però in un gigantesco ragno per punirla.

Questo mito avrà poi una serie di riferimenti nella cultura poetica occidentale, infatti Aracne è citata da Virgilio nelle Georgiche, da Ovidio nelle Metamorfosi, da Dante nell'Inferno (Canto XVII) nel Purgatorio (Canto XII), da Boccaccio nel De mulieribus claris e da Giambattista Marino nella poesia Donna che cuce.

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