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NARRATORI MODERNI PER LA SCUOLA Tonino Guerra - Luigi Malerba Storie dell'anno mille ed. Bompiani DISEGNI DI ADRIANO ZANNINO PREFAZIONE DI GIULIANO GRAMIGNA © 1972 Casa editrice Valentino Bompiani & C. S. p.A. Via Mecenate 87/6 - Milano XVII edizione "Narratori moderni per la scuola" luglio 1980 PREFAZIONE Il carattere che subito colpisce nelle vicende di Millemosche, Carestìa e Pannocchia è di essere favola vissuta in quanto favola, storia vissuta in quanto storia. Vale a dire che i protagonisti inventati e animati da Luigi Malerba e Tonino Guerra sanno benissimo di essere personaggi di un racconto e come tali di tanto in tanto si pavoneggiano e si osservano. Carestìa a una domanda risponde: "Siamo nel Medio Evo", usando il senno di poi che potrebbe impiegare il lettore e ricalcando la battuta del selvaggio incontrato da Cristoforo Colombo nella "Scoperta dell'America" di Pascarella: "Chi ho da essé? Sò un servaggio." Questa particolare situazione e la coscienza di questa situazione danno loro, contrariamente a quanto si penserebbe, una libertà, una irresponsabilità straordinarie che vengono a galla nei momenti più felici del libro. I tre sciagurati morti di fame (ma l'essere "morti di fame" è qui una qualità che va oltre il realismo, è un'ilare, dinamica connotazione che non rimanda alla vera fame ma a tutta una tradizione letteraria di affamati) vengono mossi, agiti da una forza che a un certo momento sfugge al loro controllo, opera dentro i loro corpi quasi loro malgrado e alle cui prodezze e malefatte assistono con una meraviglia e un divertimento non inferiori a quelli del lettore. Così il braccio di Millemosche che, in una delle invenzioni più stralunate e divertenti del libro, deve sostituire l'arto mancante del capitano dei mercenari, attraverso una sorta di trapianto incruento, rivestendo la dignità della funzione diventa autonomo e distribuisce schiaffi e pugni per tutto il campo, a dispetto della volontà del suo naturale e fisiologico titolare. Guerra e Malerba hanno qui raccolto e portato all'estremo della caricatura tutti i luoghi comuni di un certo tipo di favola becera e picaresca, di cui si potrebbero indicare le ascendenze più o meno prossime, da Giambattista Basile al Pulci, al Bertoldo di Giulio Cesare Croce, fino magari al buon soldato Sschweig. Fame, pestilenza, guerra, tutti i grandi flagelli dell'epoca in cui si muovono i personaggi del racconto ("Infatti quei tempi erano il Medio Evo, quando le campagne erano abbandonate e non si faceva altro che combattere da tutte le parti e contro tutti e c'era una gran polvere in giro e se pioveva la polvere diventava fango e allora c'era un gran fango...") vengono comicamente degradati, stravolti: perfino la morte diventa buffa. Millemosche, cavaliere senza cavalcatura, e i suoi sodalivittime Pannocchia e Carestìa le passano brutte: battaglie, camminate, digiuni interminabili, caccia disperata e inutile al cibo (e quando finalmente esso capita a portata di mano, pare un'allucinazione), avventure in convento, falsi miracoli, partecipazione a un assedio, rischio di vedersi bruciare una mano sul braciere o di finire sul rogo come indemoniati, incontro e breve parentesi idillica di Millemosche con la bella Menegota, eppoi ancora fughe, scampando al mare e alla cattura dei pirati... La fame è la compagna inseparabile e fa scattare le situazioni più divertenti, le formule stilistiche più folgoranti: "Le lucertole si mangiano solo quando si è proprio affamati, cioè sempre." Sono uomini Millemosche e soci? ci si può chiedere. Certo non lo sono ma non sono neppure fantocci: proiezione di una facoltà inventiva e dissociativa scatenata, essi sono l'incarnazione di un mondo che ha felicemente perso ogni rispetto alle convenzioni e che diventa corposo proprio per la sua assurdità. In questo mondo non si danno più confini fra dentro e fuori, sogno e veglia,

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NARRATORI MODERNI PER LA SCUOLA Tonino Guerra - Luigi Malerba

Storie dell'anno mille ed. Bompiani

DISEGNI DI ADRIANO ZANNINOPREFAZIONE DI GIULIANO GRAMIGNA

© 1972 Casa editrice Valentino Bompiani & C. S. p.A.Via Mecenate 87/6 - Milano

XVII edizione "Narratori moderni per la scuola" luglio 1980

PREFAZIONEIl carattere che subito colpisce nelle vicende di Millemosche, Carestìa e Pannocchia è di essere favola vissuta in quanto favola, storia vissuta in quanto storia. Vale a dire che i protagonisti inventati e animati da Luigi Malerba e Tonino Guerra sanno benissimo di essere personaggi di un racconto e come tali di tanto in tanto si pavoneggiano e si osservano. Carestìa a una domanda risponde: "Siamo nel Medio Evo", usando il senno di poi che potrebbe impiegare il lettore e ricalcando la battuta del selvaggio incontrato da Cristoforo Colombo nella "Scoperta dell'America" di Pascarella: "Chi ho da essé? Sò un servaggio." Questa particolare situazione e la coscienza di questa situazione danno loro, contrariamente a quanto si penserebbe, una libertà, una irresponsabilità straordinarie che vengono a galla nei momenti più felici del libro. I tre sciagurati morti di fame (ma l'essere "morti di fame" è qui una qualità che va oltre il realismo, è un'ilare, dinamica connotazione che non rimanda alla vera fame ma a tutta una tradizione letteraria di affamati) vengono mossi, agiti da una forza che a un certo momento sfugge al loro controllo, opera dentro i loro corpi quasi loro malgrado e alle cui prodezze e malefatte assistono con una meraviglia e un divertimento non inferiori a quelli del lettore. Così il braccio di Millemosche che, in una delle invenzioni più stralunate e divertenti del libro, deve sostituire l'arto mancante del capitano dei mercenari, attraverso una sorta di trapianto incruento, rivestendo la dignità della funzione diventa autonomo e distribuisce schiaffi e pugni per tutto il campo, a dispetto della volontà del suo naturale e fisiologico titolare.Guerra e Malerba hanno qui raccolto e portato all'estremo della caricatura tutti i luoghi comuni di un certo tipo di favola becera e picaresca, di cui si potrebbero indicare le ascendenze più o meno prossime, da Giambattista Basile al Pulci, al Bertoldo di Giulio Cesare Croce, fino magari al buon soldato Sschweig. Fame, pestilenza, guerra, tutti i grandi flagelli dell'epoca in cui si muovono i personaggi del racconto ("Infatti quei tempi erano il Medio Evo, quando le campagne erano abbandonate e non si faceva altro che combattere da tutte le parti e contro tutti e c'era una gran polvere in giro e se pioveva la polvere diventava fango e allora c'era un gran fango...") vengono comicamente degradati, stravolti: perfino la morte diventa buffa. Millemosche, cavaliere senza cavalcatura, e i suoi sodalivittime Pannocchia e Carestìa le passano brutte: battaglie, camminate, digiuni interminabili, caccia disperata e inutile al cibo (e quando finalmente esso capita a portata di mano, pare un'allucinazione), avventure in convento, falsi miracoli, partecipazione a un assedio, rischio di vedersi bruciare una mano sul braciere o di finire sul rogo come indemoniati, incontro e breve parentesi idillica di Millemosche con la bella Menegota, eppoi ancora fughe, scampando al mare e alla cattura dei pirati... La fame è la compagna inseparabile e fa scattare le situazioni più divertenti, le formule stilistiche più folgoranti:"Le lucertole si mangiano solo quando si è proprio affamati, cioè sempre."Sono uomini Millemosche e soci? ci si può chiedere. Certo non lo sono ma non sono neppure fantocci: proiezione di una facoltà inventiva e dissociativa scatenata, essi sono l'incarnazione di un mondo che ha felicemente perso ogni rispetto alle convenzioni e che diventa corposo proprio per la sua assurdità. In questo mondo non si danno più confini fra dentro e fuori, sogno e veglia,

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linguaggio figurato e linguaggio letterale. Sta qui il carattere specifico della storia architettata da Malerba e Guerra, che obbedisce a una logica formale, esteriormente impeccabile, sostanzialmente folle. I personaggi agiscono nello stesso modo in cui parlano nei loro dialoghi, che son quasi sempre divertentissimi esempi di nonsenso. "Certo che i piedi sono un disastro. Sarebbe meglio non averceli." "Giusto. Se uno non ha i piedi non ha nemmeno il mal di piedi.""A me piacerebbe di non aver la pancia così non avrei più fame." "E la schiena? A che cosa serve? Solo per avere il mal di schiena. Anche quella sarebbe meglio non avercela." "A me sono i pensieri che mi disturbano. Penso troppo e poi mi viene il mal di testa. Mi piacerebbe non averci la testa".L'esempio più flagrante è nell'episodio della costruzione della casa da parte di Pannocchia e Carestìa, dove i due flussi, di parole e di azioni, corrono paralleli l'uno influenzando l'altro con la sua coerentissima dissennatezza: il risultato è che, alla fine, i due, perfettamente felici, si trovano inscatolati dentro una casa senza finestre e senza porte. Storie dell'anno Mille è un esempio in qualche modo straordinario, e dilettosissimo,dell'influenza che la lettera ha sulla realtà: forse il rimando più pertinente, più che al teatro di Ionesco o a certa nostra novellistica (prima si era citato il Basile) dove personaggi scimuniti compiono letteralmente, fraintendendo, ciò che viene loro ordinato (e così per esempio il giovanotto invitato a non uscire di casa senza "tirarsi dietro la porta", scardina l'uscio e se lo carica sulle spalle), indirizza a talune folli sequenze di film dei fratelli Marx. È vero però che Pannocchia, Carestìa e Millemosche non sono affatto scimuniti. Essi sono, in qualche modo, terribili loici o se si vuole poeti: per loro non esiste più metafora, espressione figurata: ogni metafora è realtà.Sarebbe difficile, in questo romanzo a quattro mani, distinguere le invenzioni che spettano a Malerba e quelle che sono di Guerra. I due scrittori, fra i più singolari della nostra narrativa contemporanea, hanno ovviamente certi umori comuni. Comunque si potrebbe anche dire che l'attitudine all'astrazione grottesca, alla logica del nonsense sembra derivare dalle pagine dei libri di Malerba, dalla Scoperta dell'alfabeto a Salto mortale, mentre talune trovate di movimento, il senso irresistibile che il corpo è qualcosa che vive a sé e può impadronirsi di noi, rispecchiano un carattere tipico della narrativa di Guerra (L'uomo parallelo). Storie dell'anno Mille è una favola di un comico insieme denso e intellettualissimo, che gioca fra il puro divertimento, l'antica facezia e il "folle" di gusto moderno. ("Si mettono a camminare gattoni tenendo gli occhi chiusi per non essere visti." Ma il divertimento chiamato in causa è del tipo particolare, pungente che entra in ogni fase di quel Gran Gioco con le Parole che è la letteratura. Una favola in cui trionfa una sorta di automatismo frenetico e i personaggi vengono sbattuti qua e là, a comporre via via una sequenza vertiginosa di vignette: ma che finisce per avere molti più sensi, e più profondi, di parecchi libri cosiddetti seri.

GIULIANO GRAMIGNA

INTRODUZIONELA VITA E L'OPERA

Tonino Guerra nasce a Santarcangelo di Romagna, in provincia di Forlì, nel 1920.La sua opera dialettale, iniziata nel 1946, è riunita nel volume I Bu (I buoi) uscito nel 1972. Le prime prove di narratore furono La storia di Fortunato e Dopo i leoni, cui fecero seguito L'equilibrio, L'uomo parallelo (Premio Argentario 1969), Il cannocchiale (in collaborazione con Lucile Laks), I cento uccelli e, nel 1978, Il Polverone, tutti tradotti nelle lingue principali.Il nome di Tonino Guerra divenne presto noto anche nel mondo cinematografico internazionale: con Antonioni e Fellini ha collaborato alla sceneggiatura di film di grande successo come L'avventura, L'eclissi, La notte, Deserto rosso, Elowup e Amarcord.Luigi Malerba nasce nel 1927 a Bercelo, in provincia di Parma. Dopo essere stato agricoltore e direttore di una società pubblicitaria, passa attraverso l'esperienza cinematografica. Il cappotto, La lupa, La spiaggia, Amore in città sono tutti film che portano la firma di Malerba.Nel 1963 passa alla letteratura e pubblica La scoperta dell'alfabeto, (ampliato nel 1971 e ripubblicato in questa collana nel 1977).Il serpente (Premio di Selezione Campiello 1966) è la storia di una fantasia di un modesto

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commerciante romano di francobolli, che si rinchiude in un mondo intcriore dove vive storie d'amore e di violenza.Sempre nel 1966 vince la Ninfa d'oro per il migliore soggetto televisivo al Festival Internazionale di Montecarlo.Nel 1968 esce Salto mortale, una storia pervasa di stranezze e fantasie, dove ogni pagina sembra un colpo di dadi che rimette in discussione tutto. A Salto mortale (Prix Médicis 1970) fanno seguito Il protagonista, Le rose imperiali, Le parole abbandonate e, nel 1978, IL pataffio. Ha anche pubblicato alcuni libri per ragazzi (Come il cane diventò amico dell'uomo, Mozziconi, Storici te e Pinocchio con gli stivali).Sono questi i due autori che hanno dato vita alleStorie dell'anno Mille, e nel libro ritroviamo le caratteristiche letterarie comuni ad ambedue: una certa predilezione per la campagna e per il paesaggio emiliano e romagnolo, un'attenzione ai caratteri contadini, un gusto per l'avventura, la capacità di raccontare le storie più inverosimili in maniera del tutto concreta.

STORIE DELL'ANNO MILLE

Una storia compiuta in realtà non esiste: il romanzo è formato da una serie di episodi legati l'uno all'altro dalla presenza dei tre protagonisti: Millemosche, Pannocchia e Carestìa.Millemosche è, forse, il personaggio principale: si dichiara "cavaliere", e ritiene che questo titolo gli dia diritto a qualche privilegio rispetto aisuoi due compari, ma invariabilmente si rivela al loro stesso livello.Incontratisi per caso, alla fine di una battaglia, mentre i corvi rovistano tra i cadaveri, i tre, pur appartenendo a fazioni opposte si uniscono in un comune girovagare. Perché ciò avvenga non è chiaro, ma salta fuori, poco a poco, che un problema è comune a tutti e tre, ed è uno dei più grandi problemi di tutto il medioevo: la fame.Riempire lo stomaco è l'obiettivo principale di questi tre uomini dell'anno mille, e le tentano proprio tutte: raccolgono lo sterco di cavallo, per rivenderlo; chiedono la carità a vari conventi; si arruolano in un esercito che assedia un castello, sperando che l'assedio duri a lungo, per sfamarsi a sazietà; cucinano il berretto intinto nella farina; arrivano ad allucinazioni collettive per cui un prato con molti sassi bianchi diventa un prato pieno di pecore. Ad un certo punto, per una serie di equivoci, lo stesso Pannocchia viene scambiato per un porco, come Charlot, che nel celebre film La febbre dell'oro viene scambiato per un gigantesco pollo.Ma per procurarsi il cibo, i tre incorrono in una serie di avventure che continuamente mettono a repentaglio la loro vita. Così il libro è anche la storia di una continua fuga. Ed in questa corsa senza fine, come uno spaccato, ci appare la vita medioevale con tutti i suoi vari personaggi.Le donne sono assenti dalla trama del romanzo a parte Menegota, strana figura di contadina, per la quale un violento schiaffo equivale a una dolce carezza.Tutto il mondo è ridotto a formule elementari che rispecchiano le impressioni dei tre. Da un dialogo in apparenza privo di grandi concetti "intellettuali " viene fuori una filosofia semplice ma non per questo priva di forza. Le domande a cui i tre tentano di dare risposta sono infatti, in apparenza, sconcertanti: "Da dove viene la terra? che cosa è la vocazione religiosa? È meglio l'acquao il fuoco?"E le risposte più che da un ragionamento complesso sono determinate dagli

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istinti che muovono i tre nella loro continua fuga. Così, ad esempio, l'acqua è meglio del fuoco, quando spegne un incendio pericoloso, ma è peggio del fuoco quando minaccia di annegare la gente.Nel libro si ritrovano i caratteri contadini e furbi della terra d'origine comune ad ambedue gli scrittori: l'Emilia Romagna.Così nella fine che non c'è, nel senso che la storia sembra continuare con altre avventure, pare di ritrovare la continuità di un modo di vita naturale, ingenuo e astuto insieme che è tipico di una certa tradizione campagnola di tutti tempi.

L'ideologia

Quando studiamo il medioevo a scuola siamo obbligati a sapere tutto sulle battaglie sostenute da Ottone I contro gli Ungari. Ricordiamo a memoria la grande pace di Augusta. Dobbiamo conoscere il significato della Cavalleria. Studiamo che, accanto al santo, all'asceta, all'eremita, il cavaliere è una delle figure caratteristiche del medioevo.Siamo abituati a immaginarci festosi tornei, giostre in cui il primo premio è la mano della bella figlia del signore feudale.Pensiamo alla cultura dei grandi monasteri benedettini, in cui si studiavano le arti del Trivio (Grammatica, Retorica, Dialettica e Logica) e del Quadrivio (Astronomia, Musica, Aritmetica e Geometria) .Ma studiamo mai qual era realmente la vita e l'ideologia dei poveri, della massa enorme di affamati che premeva sulle città e sulle campagne in cerca di cibo? Il libro nella sua semplicità ci dà l'immagine di questo tipo di persone, che vengono raramente menzionate nei libri di testo.Allora non esisteva la televisione, la radio; i giornali erano sconosciuti perché ancora non era stata inventata l'arte della stampa che farà la sua apparizione solo fra cinque secoli. La scuola era patrimonio di ricchi o del clero e i bambini non uscivano spesso dal loro piccolo orticello. In questa situazione la trasmissione della cultura era affidata alle canzoni dei vari cantastorie, era affidata alle storie che venivano tramandate di padre in figlio. I più poveri dunque avevano una cultura che era storpiatura ridotta e involgarita delle cognizioni in possesso delle classi più ricche e del clero in generale. La lingua del papa, il latino, lingua dei dotti e dei preti, diventa per Millemosche un misterioso rumore che finisce in US, UM, IBUS, ORUM, come una formula magica di streghe. L'onore, per Pannocchia e Carestìa, suggestionati da Millemosche, diventa possedere un cavallo ed essere cavaliere, il simbolo dell'onore è dunque il cavallo, che non può dunque essere mangiato, nemmeno nella più grande fame. Satana è per i contadini di uno sperduto villaggio un nemico reale che minaccia di divorare la loro grassa mucca.

La società

Siamo in pieno medioevo, anno Mille. Paura, superstizione e fame dominano tutti i rapporti sociali. Attraverso le esperienze dei tre vediamo una società opposta alla nostra. Il mondo medioevale è fatto di tanti piccoli microcosmi, separati l'uno dall'altro come i castelli erano separati da alte mura e profondi fossati dal resto del territorio.Vi è la vita dei monaci: digiuni, preghiere collettive, sfruttamento della religione a

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fini di lucro sono le caratteristiche di questo piccolo universo che è il monastero medievale. Esso è come un centro di cultura e di potere a cui accorrono dai paesi d'intorno frotte di villici ignoranti per adorare le reliquie dei santi.C'è poi la casta dei militari mercenari. Il servizio militare non è obbligatorio. Un qualche ricco signore assolda, per la conquista di un regno adiacente, un capitano di ventura il quale, con i soldi avuti a disposizione ingaggia dei soldati mercenari, attratti dalla prospettiva di una paga sicura, di un cibo garantito e forse di un ricco bottino. Così tutto l'interesse dei soldati e dei loro comandanti diventa il prolungare al massimo il periodo d'ingaggio, per guadagnare qualche soldo in più. L'assedio intorno alla città nemica, questa forma di guerra assolutamente senza senso in un'epoca di missili, diviene una piacevole scampagnata senza grande spargimento di sangue, in cui gli assedianti curano i propri orti, allevano bestiame e si riposano.E vi è il terribile mondo degli appestati, spesso evocato con paura dai tre che si trovano a sfiorarlo nelle loro peripezie. È un incubo fatto di dolore e di morte. Un mondo chiuso a tutti gli altri, in cui gli ammalati non sono, come oggi, curati in ospedali, ma sono lasciati a se stessi. Vagano per le strade, assetati e allontanati come cani rabbiosi, costretti a tenere al piede una campanella che è simbolo e avvertimento di morte.Appaiono d'improvviso i pirati saraceni, il pericolo che viene dal mare.Le canzoni tramandate da quel periodo ricordano la famosa "vela nera", caratteristica delle barche dei pirati che calavano a terra facendo razzie e prendendo schiavi. È un'altra società ostile, un'altra lingua, un'altra religione, totalmente sconosciuta, ancora non nota attraverso le storie fantastiche delle crociate.I contadini sono un'altra struttura a sé stante. Vivono in casupole sparse per le campagne, esposte alla furia dei vari eserciti. Ognuna di queste casupole costituisce un nucleo autosufficiente, dove si produce per consumare sul posto.La produzione e lo scambio di merci sono estremamente limitati. Non esistono grandi fabbriche, si produce quel tanto che serve per essere consumato.Ogni castello è isolato e sa badare a se stesso. Il mercato è molto ridotto: i contadini non producono grano da vendere sul mercato, la lana delle pecore viene filata in luogo. Così le comunicazioni sono scarse: che bisogno c'è di comunicare se ogni comunità basta a se stessa?Gli unici viaggiatori sono i monaci che si spostano da un monastero all'altro e i militari in marcia.Il potere è sminuzzato nelle mani di tanti piccoli principi che si accontentano di chiedere grano ai propri contadini: dediti in genere al lusso in corti dominate dall'ignoranza. Nelle loro mani èil diritto di vita e di morte sui sudditi inchiodati alla terra.La cultura è patrimonio di pochi adepti che si tramandano le cognizioni degli antichi filosofi senza aggiungere niente di nuovo. È l'epoca in cui San Benedetto da Norcia fondava l'ordine dei benedettini che tanto merito ebbero per tutta la cultura occidentale con la loro opera di ricopiatura dei libri greci e latini. Opera compiuta interamente a mano, da cui la denominazione di "amanuensi", data ai monaci addetti all'opera.Su tutto regna una natura aspra, totalmente estranea ai tre, ostile.Una natura che è stata appena scalfita dall'opera dell'uomo. Non vi sono grandi

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città di cemento, non vi sono grandi navi, autostrade, non c'è, insomma, il segno dell'uomo ovunque. Il paesaggio è composto da boschi pieni di alberi, da fiumi puliti, da deserti in cui i rari uomini si agitano rincorrendosi l'un l'altro. Lo sfruttamento delle forze naturali era molto ridotto e l'uomo viveva in mezzo a queste forze, invece di lavorare per usarle secondo le proprie necessità.

La lingua

Quello che più colpisce nel libro, è l'espressione immediata e sintetica che rende perfettamente l'immagine descritta. Non vi sono parole difficili, perché tutto il linguaggio è adeguato al livello di coscienza dei tre e della società che li circonda. Anzi, il vocabolario sembra quasi volutamente povero, fatto di poche parole continuamente ripetute, perché povero è il mondo in cui si svolge la storia.È la spontaneità del racconto che determina l'immediatezza narrativa.Le frasi sono brevi, le costruzioni sintattiche assai semplici. Tutto ci ricorda da vicino gli impulsi elementari dell'uomo nella lotta per la sua sopravvivenza.Gli autori si limitano a mostrare i gesti dei personaggi, le loro azioni e le loro intenzioni così come esse si vengono via via svolgendo. Non vi sono quindi complicati costrutti filosofici, perché gli stessi pensieri più profondi escono fuori come risposta a necessità materiali.L'azione si svolge in continuo presente che immerge il lettore da subito nel corso degli avvenimenti. Non siamo dunque di fronte a una narrazione fredda e distaccata del tipo: "...Correva in quei giorni l'anno mille", ma proprio come al cinema, viviamo noi stessi le vicende di questi tre disgraziati.L'esperienza cinematografica dei due autori è visibilissima nell'impostazione generale del libro, che conserva tutto il fascino dello spettacolo cinematografico, la velocità, la presa diretta sullo spettatore.GAETANO SANSONE

DUE UOMINI IN UN POZZO

La cornacchia aveva fatto un giro largo sul campo di battaglia, poi era andata a chiamare il branco quando gli uomini avevano finito di fare tutto quel trambusto. Molti si erano allontanati a piedi o a cavallo e quelli rimasti lì per terra erano immobili e silenziosi. Non ce n'era uno che muovesse un dito e anche quelli che avevano la bocca aperta o gli occhi aperti non parlavano e non vedevano niente. Adesso c'era un gran silenzio tutto intorno, una gran calma, si muoveva soltanto il fumo che saliva dai cespugli di sterpi secchi e dai carri incendiati. I carri bruciavano insieme ai cavalli e il fumo si attorcinava 1 nell'aria e poi si spandeva in una nuvola grigia e densa come quando sta per piovere. Poi era arrivato un merlo nero insieme a una gazza e si davano da fare tutti e due laggiù in mezzo a quella gente immobile e silenziosa. Arrivavano sempre per primi il merlo nero e la gazza, prima delle cornacchie e prima dei briganti che venivano a spogliare i morti.Il merlo nero saltava intorno a beccare un occhio qua e un occhio là mentre la gazza andava in giro a cercare qualche anello di oro brillante ma non aveva trovato niente, cioè soltanto ferraglia, lance spade alabarde2 e corazze ammaccate e coperte di polvere.

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Perché a quei tempi le battaglie si facevano con le lance le spade e le alabarde e le corazze. Infatti quei tempi erano il Medio Evo, quando le campagne erano abbandonate e non si faceva altro che combattere da tutte le parti e contro tutti e c'era una gran polvere in giro e se pioveva la polvere diventava fango e allora c'era un gran fango. E anche molta cenere a causa degli incendi perché gli uomini bruciavano spesso le case e qualche volta gli interi paesi. Bruciavano anche gli uomini, ma soprattutto le donne, le streghe. Era difficile che una cornacchia potesse assaggiare la carne di una strega perché quando il fuoco si spegneva la strega non c'era più, c'era soltanto la cenere. Del resto la carne di strega pare che sia molto dura. Molto meglio quella dei soldati morti di fresco. E infatti le cornacchie arrivano di corsa sul campo di battaglia ma adesso che sono arrivate non possono scendere perché succede questo fatto strano che si sentono delle voci che prima non si sentivano in mezzo a tutti questi uomini distesi nella polvere. Da dove vengono queste voci? Vengono dal pozzo. E insieme alle voci vengono dei rumori d'acqua pestata con i piedi e poi dei tonfi e poi ancora le voci che litigano a sangue fra di loro. A guardare bene là in fondo si possono vedere due ombre che si muovono e quattro occhi bianchi che galleggiano sull'acqua sporca. Una di queste ombre si chiama Pannocchia e l'altra Carestìa. Il loro problema è molto semplice, uscire dal pozzo.Hanno deciso così: come prima mossa Pannocchia monta sulle spalle di Carestìa. Come seconda mossa Carestìa monta sulle spalle di Pannocchia. Come terza mossa Pannocchia monta di nuovo sulle spalle di Carestìa e si aggrappa finalmente all'orlo del pozzo che è molto profondo e cioè molto alto visto dal basso come lo vedono loro. Il progetto però deve essere difettoso perché ogni volta che incominciano la scalata, alla seconda mossa cascano in acqua tutti e due. E allora ricominciano da capo litigando e bestemmiando come due disertori."Lascia andare la mia gamba.""Non posso.""Almeno il piede.""Guarda che il piede è mio.""Come fa a essere tuo il piede se la gamba è mia?""Il piede è una cosa la gamba un'altra.""Lascia andare il piede o ti do un calcio." "Non puoi.""Perché?""Perché al piede ci sto attaccato io.""Ho anche un altro piede per darti un calcio. Eccolo qua. ""Guarda che questo piede è mio anche questo. Non puoi darmi un calcio con il mio piede. ""E allora sono capace di darti un calcio con il ginocchio."Gli astronomi antichi si mettevano in fondo a un pozzo per guardare le stelle. Pannocchia e Carestìa però, per quanto siano abbastanza antichi anche loro, non sono andati nel pozzo per guardare le stelle. Si sono infilati là dentro per non fare la guerra e adesso che la battaglia è finita e vogliono uscire si accorgono chesi sono messi in trappola con le loro proprie mani.Si sente un tonfo. Ecco che sono ricascati."Di chi è stata l'idea di entrare qua dentro?""Era l'unico modo per salvare la vita."

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"Che cosa ce ne facciamo della vita se non riusciamo a portarla fuori dal pozzo? ""È sempre meglio di niente.""Ci voleva una scala una corda qualcosa per uscire. Morti per morti allora era meglio morire in battaglia.""Per me è lo stesso, io non ho preferenze sulla morte.""Ti sbagli. Altro è morire in un letto con il materasso di lana e altro è morire annegato. Oppure scorticato infilzato bruciato strozzato scannato sbudellato. Oppure di fame di sete di febbre di lebbra3 che ti venga la lebbra."

NOTE.1. attorcinava: attorcinare, avvolgere una cosa su se stessa.2. alabarda: antica arma, costituita da un'asta lunga terminante con una punta provvista lateralmente di una scure.3. lebbra: malattia contagiosa e spesso mortale che determina un disfacimento della pelle.

IL CAVALLO NON SI TOCCA

Lì vicino al pozzo c'è un albero di leccio1 pieno di foglie una attaccata all'altra. Ci sono anche i rami naturalmente e il tronco nudo con la corteccia nera. In cima all'albero in mezzo al fogliame c'è qualcosa che si muove, ma non è un qualsiasi qualcosa. Allora sarà un uccello. Nemmeno quello. Forse è il fogliame stesso che si muove per il vento. Non c'è vento. È qualcosa che fa un rumore di ferraglia, cioè una pesante corazza di ferro che sta precipitando a terra e dentro la corazza c'è un uomo con la sua testa il suo corpo e tutto il resto. Anche lui si è tenuto alla larga dalla battaglia e adesso si rialza da terra aiutandosi con la terra, si guarda attorno e si stropiccia gli occhi per capire se tutti quei morti sono veramente morti e se lui è veramente vivo. Lui, cioè Millemosche. Intanto un morto è muto come un pesce e lui prova a gridare e ci liesce benissimo. Allora è vivo, meno male. Grida ancora, non si sa mai. Questa volta qualcuno gli risponde da sottoterra, cioè dal pozzo."Invece di gridare buttaci una corda!""Chi siete?""Amici.""Amici di chi?""Amici tuoi." "Che cosa fate lì dentro?" "Affoghiamo. Buttaci una corda!" "E dove la prendo?""Dove c'è un pozzo c'è anche una corda e allora tu la prendi e la butti giù." .Millemosche si guarda attorno e la corda non la vede perché ci sta sopra con i piedi. Allora si allontana di qualche passo, la vede la raccoglie e la butta nel pozzo per un capo senza accorgersi che l'altro capo gli si è annodato a un piede. Così quando Pannocchia e Carestìa si attaccano per salire succede questo, che la corazza casca dentro al pozzo con dentro Millemosche facendo uno sfrigolio di scintille contro i muri e poi un gran tonfo nell'acqua e poi un urlo disperato. E le maledizioni degli altri due."Invece di buttare la corda è venuto giù lui, che ti venga la lebbra!""Che cosa sei venuto giù a fare? Torna indietro che sarà meglio. "Millemosche ha la bocca piena d'acqua e anche il naso e le orecchie sono piene

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d'acqua di fango e di rane. Respira l'acqua fin dentro i polmoni e poi la ributta fuori con uno sternuto insieme al fango e alle rane. Pannocchia e Carestìa lo rimettono in piedi contro il muro, poi Pannocchia gli si arrampica sulle spalle. Come seconda mossa Carestìa si arrampica sulle spalle di Pannocchia e arriva all'imboccatura del pozzo. Basta. Riesce a tirarsi fuori e dopo di lui tira fuori anche Pannocchia e poi Millemosche con la sua corazza.Adesso che sono lì con i piedi piantati sulla terra si guardano in faccia tutti e tre. Millemosche si accorge subito che Pannocchia e Carestìa sono dei nemici. Anche Pannocchia e Carestìa si accorgono che Millemosche è un nemico ma è troppo tardi perché ha già tirato fuori la spada e gliela punta contro la pancia."Se siete d'accordo vi faccio prigionieri e se non siete d'accordo vi sbudello.""Ma chi ha vinto la battaglia?""Come faccio a saperlo? Con questa corazza addosso non ho visto niente.""Lo sai che c'è l'obbligo di mantenerli i prigionieri? Vediamo che cosa ci dai da mangiare."Allora il discorso è un altro perché Millemosche è più affamato di loro. Per fortuna lì a due passi c'è un cavallo ferito e quasi morto, con la bocca aperta e gli occhi pieni di mosche. A parte le mosche e gli occhi, Pannocchia dice che ci vengono quaranta bistecche e Carestìa dice che ce ne vengono anche cento se si tagliano un po'"più sottili. Millemosche invece si inginocchia vicino alla bestia e si mette a parlargli nelle orecchie."Dai alzati. Se fai tanto a alzarti, dopo cammini come prima. Vedrai che con me ti trovi bene, sono un cavaliere, mi chiamo Millemosche. Su non fare la commedia, alzati e vieni via con me. ""Ma non vedi che è quasi morto? Facciamoci delle bistecche. ""Io sono cavaliere e non vi permetterò mai di mangiare carne di cavallo.""Allora le mangiamo solo noi che non siamo cavalieri. ""Il cavallo non si tocca.""Fammi assaggiare almeno un orecchio.""Se tagli un orecchio al cavallo io taglio un orecchio a te.""Almeno la coda. Quella non se ne accorge nemmeno, sta là dietro.""Assassini. Che cosa dite se vi taglio la coda a voi, brutti animali? La coda è la sua bellezza."Pannocchia e Carestìa si sono messi lì a quattro zampe con la lingua di fuori. Non è neanche simpatico questo cavallo, sono bestie che guardano dall'alto in basso l'uomo che va a piedi e se possono lo mettono sotto. Quando passa lui per la strada bisogna farsi da parte per lasciarlo passare. E meno male che non hanno le corna. Però hanno gli zoccoli per dare i calci. Sono buoni da mangiare e basta, come carne non c'è niente da dire. Carestìa fa un salto e si attacca alla coda cercando di strapparne almeno un pezzo. Fa appena in tempo a torcerla due o tre volte che Millemosche gli arriva addosso con la spada in mano e degli urli da fare spavento anche alle cornacchie che stanno girando li intorno insieme al merlo nero a beccare un occhio di qua e un occhio di là. Con un tipo così è meglio starci lontano e infatti si vanno a cacciare di corsa nella boscaglia.Pannocchia prende un sentiero a destra e Carestìa un sentiero a sinistra. Tanto per confondere Millemosche che però è più furbo di tutti e due e prende il sentiero di mezzo. Ha sempre sentito dire infatti che la furbizia sta nel giusto mezzo.

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Nella boscaglia i tre sentieri vanno ognuno per suo conto, cioè fanno dei gran giri e spesso prendono la strada più lunga muovendosi in mezzo ai cespugli con delle curve molto larghe come se avessero tempo da perdere. E alla fine si affacciano, uno qua e l'altro là, a guardaredalla cima di una collina un bosco di betulle senza più nemmeno una betulla cioè tutto pelato e coperto di terra secca. I tre sentieri scendono giù fino al centro del bosco e qui fanno la pace, si riuniscono e diventano una strada unica che cammina lungo la valletta. E così sono costretti a fare anche i nostri straccioni perché lasciandosi trascinare dai piedi e i piedi dai sentieri finiscono per ritrovarsi uno dietro l'altro nell'unica strada e continuano a camminare in fila indiana come gli indiani.Millemosche è davanti, gli altri due lo seguono. Dopo un po'"Millemosche si gira arrabbiato verso Pannocchia che gli va dietro passo passo."Perché mi vieni dietro passo passo?""Io non vengo ma vado.""E dove vai?""Vado per la mia strada.""Chi ha detto che è tua?""Allora facciamo un po'"per uno. Metà e metà."Carestìa che cammina un po'"più indietro a testa bassa e con le orecchie aperte, ha sentito che Millemosche e Pannocchia si stanno dividendo qualcosa a metà e allora corre avanti e prende Millemosche per una manica perché vuole anche lui la sua parte."E a me niente?""Tu che c'entri?""Io c'entro tanto come voi. O ci vogliamo mettere a litigare?""Io sono un cavaliere e non mi metto a litigare con due straccioni come voi.""E allora io dico questo: facciamo finta di essere amici e dividiamo tutto in parti uguali.""Tutto tutto?""Tutto.""Anche la roba da mangiare tipo galline oche formaggio e altri animali?""E dov'è tutta questa roba?""Può darsi che la troviamo strada facendo.""Allora la dividiamo.""Se troviamo un porco dividiamo anche il porco? ""Anche un bue, se troviamo un bue.""Meglio il porco, ha la carne più saporita.""Un po'"troppo dolce.""Come si vede che non lo hai mai mangiato. Il porco ha la carne salata. "Intanto si dividono la strada a metà per uno, tutti e tre. Pannocchia e Carestìa adesso sono contenti come delle pasque. Millemosche invece fa una gran fatica a camminare con tutta quella ferraglia addosso, così incomincia a togliersi qualche pezzo di corazza e a buttarlo sulla strada: il pettorale l'elmo uno stinco un gambale un altro stinco e un altro gambale.2 A forza di buttar via è rimasto con il giubbotto di maglia di ferro. Passa vicino a un cespuglio e un filo si aggancia a uno spino. La maglia incomincia a disfarsi mentre Millemosche cammina. Quando se ne accorge il giubbotto non c'è più, c'è un filo che serpeggia nella polvere e si

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raggomitola fino a diventare una palla. Quando il giubbotto di maglia di ferro diventa una palla, il soldato che lo portava diventa uno qualsiasi cioè non è più un soldato. Millemosche adesso non è più un soldato, è uno qualsiasi come qualsiasi altro.

NOTE.1. leccio: l'albero del leccio è un albero simile alla quercia; il suo legno serve per i lavori di carpenteria.2. il pettorale, l'elmo, ecc.: parti della corazza che riparavanoil petto, la testa, il ginocchio e la coscia.

LE CASTAGNOLE D'ORO

Non si sa chi dei tre ha visto per primo le -castagnole di sterco di cavallo. Belle e compatte sulla polvere della strada e nelle piazzole e lungo i fossi di confine dove i cavalli vanno a spiluccare l'erba. Su quella strada si vede che sono passati anche dei somari, pecore cani capre gatti randagi e altri animali. Vicino ai campi di battaglia invece si trova soltanto una poltiglia spruzzata in tutte le direzioni da cavalli e uomini sbandati e impauriti. Ma dai campi di battaglia è meglio starci lontani per tante ragioni.Il primo a raccogliere lo sterco è Millemosche."Lo sterco è oro. Con lo sterco si può avere di tutto: frumento patate riso cavolfiori insalata finocchi orzo granoturco cipolle aglio rape carote zucche e fiori di tutti i tipi e di tutti i colori.""Le zucche va bene ma con i fiori che cosase ne fanno?" "Li guardano." "E dopo?" "Dopo niente. Sono contenti di guardarli ebasta."" Certa gente non la capisco. Con la fame che e è in giro, uno si mette lì e guarda i fiori. "Quando le tasche sono piene di sterco si tolgono i pantaloni e riempiono anche quelli comedei sacchi dopo avere legato con uno spago il fondo della gamba. Poi riempiono i camiciotti e le maglie di lana e i cappelli. Sono sicuri che troveranno da vendere tutta questa roba. Ma vale più quello di pecora o quello di cavallo? Forse hanno fatto male a mescolarlo. E poi si vende a peso o a ginocchio? Torna conto a venderlo? Perché non coltivare da soli la terra e far crescere dei cavoli giganti o frumento o zucche o anche insalata? E dopo magari incominciare a vendere queste ortaglie e mettere da parte i soldi e con i soldi chiamare dei muratori e fargli tirare su una grande muraglia attorno agli orti e una volta costruita la muraglia per tenere lontani i ladri, costruirci dentro delle case. Tre case, una per uno. Millemosche dice che è meglio un piazzo perché adesso sono ricchi e così vanno avanti a discutere sulla costruzione di questa muraglia e di questo palazzo.Camminano per la strada con tutto questo peso sulle spalle, completamente nudi e circondati da una nuvola di mosche e di calabroni selvaggi. Ogni tanto guardano per terra e si chinano a raccogliere tutto lo sterco che gli capita sotto gli occhi. Smuovono con le mani e coi piedi le erbe e i cespugli. Ogni volta trovano qualcosa. In una radura vedono degli escrementi di pecora che sembrano delle olive nere e incominciano a riempire anche le calze. C'è una lunga fila di

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queste olive nere che si inoltra in un bosco e si allunga in una pianura spinosa. Fanno notte a raccogliere e quando anche le calze sono piene fanno dei mucchietti qua e là. Passeranno a prenderli domani. Adesso si accovacciano a terra per dormire ma invece di dormire parlano, fanno progetti. Poi si coprono i piedi con le olive nereperché è dai piedi che viene il freddo e va su per la schiena fino alla testa.La mattina dopo si mettono a cercare i mucchietti di olive nere ma l'odore dello sterco che si portano addosso gli confonde le idee. Annusano l'aria come cani da tartufi ma poi si leva il vento e fa una gran confusione di odori e così vanno a finire lontano, in un prato verde. Qui c'è una gran puzza e infatti Millemosche ha messo i piedi su una grossa pagnotta di sterco secco di fuori e fresco di dentro."Questa l'ha fatta una mucca." "Non può essere. Quella di mucca è meno della metà.""Allora di chi è?" "Può essere di un cinghiale." "Quella di cinghiale è a torciglione."1 "Sarà di bufala.""Quella di bufala da sul nero. Questa da sul biondo. " "E allora?""Ho sentito dire che in mezzo alle boscaglie ci sono certi animali che non stanno né in cielo né in terra.""Che tipo di animali?" "Non li ho mai visti ma se c'è lo sterco ci saranno anche loro."Millemosche Pannocchia e Carestìa raccolgono queste grosse pagnotte bionde e le ammucchiano una sull'altra, ma a un tratto Carestìa si ferma sui piedi impaurito. Ha visto l'orma di un animale, larga e profonda. La studiano attentamente tutti e tre. È quasi quadrata e da una parte ci sono dei fori rotondi lasciati forse dagli artigli. Vanno dietro a queste orme finché arrivano su una sponda rocciosa dove si apre una caverna. Questo animale terribile che abita lì dentro. Pannocchia propone subito di scappare lontanissimo. E se invece fosse una bestia bonacciona e con la carne tenera e saporita? Millemosche dice che più le bestie sono grosse e più si lasciano ammazzare. Allora ammucchiano della legna e degli sterpi davanti alla caverna e accendono un fuoco."Così quando esce casca dentro le fiamme e ce lo troviamo già arrostito. " "In che senso?""Nel senso che per uscire deve passare per forza di qua dove abbiamo acceso il fuoco." "E se ci fosse un buco dall'altra parte?" "Le grotte hanno solo il buco davanti." "Io ne ho vista una che aveva un buco davanti e un buco di dietro.""Il buco di dietro ce l'avrai tu nella testa." Sono lì che aspettano con pazienza. Aspettano ancora. Continuano a aspettare. Aspettano. Allora dentro la caverna forse non c'è nessuna bestia. Invece c'è e viene fuori improvvisamente con un ruggito calpestando il fuoco e saltando in mezzo ai cespuglioni di ginepro con la groppa infuocata. Chi ha visto un occhio chi un corno chi soltanto una montagna di peli infuocati. Ma allora che bestia è? Millemosche e gli altri due si buttano a inseguirla e mentre corrono sentono dei lamenti e dei ruggiti che fanno tremare la terra e i sassi. E allora si fermano e decidono che è meglio starci lontani da una bestia così perché chi ha fame corre sempre il rischio di essere mangiato.

NOTE.1. torciglione: cerchio formato da strisce attorcigliate.

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LA TERRA DA DOVE VIENE

Da dove vengono tutti quei sassi rossi e azzurri e verdi che ci sono nei fiumi? Vengono dalle montagne. C'è una spiegazione per tutte le cose, basta trovarla. E i colori da dove vengono? Quello dev'essere Dio quando si diverte e dice questo sasso lo faccio rosso e questo verde e questo un po'"verde e un po'"rosso, a righe. Equesti li faccio a punta così quelli che ci camminano sopra si fanno male ai piedi. E infatti Millemosche Pannocchia e Carestìa se la prendono con lui per il male di piedi, perché secondo loro la colpa è sua.Vanno avanti scalzi sui sassi sguaiolando come dei cani e ogni tanto tirano su uno dei piedi e ci soffiano sopra per mandare via il bruciore."Certo che i piedi sono un disastro. Sarebbe meglio non averceli.""Giusto. Se uno non hai i piedi non ha nemmeno il mal di piedi.""A me piacerebbe non avere la pancia così non avrei più fame.""E la schiena? A che cosa serve? Solo per avere il mal di schiena. Anche quella sarebbe meglio non avercela. ""Anche lo stomaco allora.""E i ginocchi?""A me sono i pensieri che mi disturbano.Penso troppo e poi mi viene il mal di testa. Mi piacerebbe non averci la testa.""Sarebbe bello non averci niente."Non è che nei fiumi ci sono solo i sassi, c'è per esempio anche la sabbia e lungo le sponde dove la terra dei campi si mescola con l'acqua c'è una fanghiglia che con il sole screpola e in mezzo alle croste si vedono le impronte indurite degli uccellacci che venivano a bere quando ancora c'era un po'"d'acqua. Camminare con i piedi nudi sul fango secco è una bellezza se uno ha camminato fino a quel momento sui sassi a punta. Poi il fango secco diventa polvere e camminare sulla polvere è una bellezza dopo che uno ha camminato sul fango secco. Ma quando la polvere diventa troppa e i piedi affondano fino ai ginocchi, allora non è più una bellezza. È un disastro.Millemosche Pannocchia e Carestìa fanno tre solchi nella polvere e forse farebbero meglio a ritornare indietro a un certo punto, ma non sanno più da che parte voltarsi perché si è levato il vento e adesso la polvere entra negli occhi nella bocca nelle orecchie e in tanti altri posti."Chissà da dove viene tutta questa polvere.""Perché deve venire da qualche parte? Quando cammini sulla terra te lo domandi da dove viene la terra?""Io sì.""E da dove viene la terra?""Non te lo dirò mai."Per fortuna la polvere scompare d'improvviso, forse il vento se l'è portata via. Millemosche Pannocchia e Carestìa si trovano finalmente in mezzo a una campagna con tanta erba davanti dove non c'è mai passato nessuno, né uomo nébestia. E uno non sa se andare a sinistra o a destra o al centro perché tutte le strade sembrano buone e invece sono proprio quei posti dove c'è bisogno di sapere dove stai andando. Allora vai avanti a caso come stanno facendo Millemosche Pannocchia e Carestìa.

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"Ma dove stiamo andando?""Non lo so.""E già, stiamo facendo una fatica da cani e non sappiamo nemmeno dove andiamo.""Io dico che se camminiamo stiamo andando in qualche posto.""Dove?""Io non sono pratico di qua. Come faccio a saperlo? Però insisto a dire che se camminiamo vuol dire che stiamo andando in qualcheposto. ""Ma almeno dimmi se è molto lontano questo posto. Io non ce la faccio più a camminare.""Come posso sapere quanto è lontano se non ci sono mai stato?""La questione è un'altra: c'è da mangiare in questo posto dove stiamo andando?""Lo sapremo quando ci saremo arrivati."Proprio in quel momento si sente tremare la terra e ci sono nell'aria dei tuoni che fanno tremare anche l'aria. E allora i tre si mettono a correre per scappare da questo terremoto se si tratta di un terremoto o da questa tempesta se si tratta di una tempesta. Finché arrivano a una strada di campagna che si vede e non si vede in mezzo all'erba. Ci sono le orme dei buoi e il solco delle ruote. Millemosche Pannocchia e Carestìa si fermano sfiniti e siccome la terra continua a tremare si stringono l'uno all'altro per stare insieme casomai ci fosse da sprofondare sottoterra. E stando così stretti finalmente si accorgono che tutto quel tremore e quei rumori vengono dalle loro pance. Allora si scostano e si guardano spaventati, poi guardano il cielo sereno e silenzioso.Millemosche e Carestìa riprendono a camminare lungo la strada mentre Pannocchia si mette a sedere perché deve togliersi una spina da un piede. La cerca con gli occhi e con le mani, poi fa segno agli altri due di aiutarlo. Li fa sedere e loro si siedono, ma adesso che sono seduti ci stanno meglio che in piedi e non hanno più voglia di alzarsi."Perché non ci fermiamo qui?""E poi cosa facciamo? ""Aspettiamo."'"Chi aspettiamo?""Non lo so. Quando arriva lo sapremo.""Perché non gli andiamo incontro?""A chi?""Non hai detto che sta per arrivare qualcuno? ""Sì, ma non so chi è, quindi è meglio che lo aspettiamo. Altrimenti come facciamo a riconoscerlo?""Glielo possiamo domandare.""La questione è un'altra: ci darà qualcosa da mangiare questo tipo che sta arrivando? Oppure è uno affamato come noi?""Come faccio a dirtelo se non lo conosco?"

LA PESTE DIETRO LA CURVA

A pochi passi da dove sono seduti Millemosche Pannocchia e Carestìa si vede una curva che gira dietro a un canneto. Però il canneto non ha importanza, quella che

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conta è la curva. Anche se girasse dietro a una roccia o a una collina, da una curva facilmente può arrivare qualcuno, cioè un uomo o anche un animale o chissà chi. Se la curva è in Africa può arrivare una tigre ma per fortuna non siamo in Africa. Sarebbe un disastro se arrivasse una tigre. Con un po'"di fortuna potrebbe arrivare invece un carro carico di roba da mangiare ma di quelli ne passeranno cinque o sei in tutto il Medioevo e quindi è meglio non pensarci proprio. Il più delle volte da una curva non arriva niente e nessuno. Poi magari quando uno non se lo aspetta arriva la peste. Una volta è arrivato il Papa. Così Millemosche Pannocchia e Carestìa, mentre si grattano i piedi e se li massaggiano con lo sputo, ogni tanto danno un'occhiata alla curva. Non si sa mai. E finalmente, a forza di guardare arrivano tre frati. Sono stracciati e rattoppati, camminano curvi in avanti come se spingessero qualcosa e invece spingono soltanto l'aria. Millemosche e gli altri due si alzano in piedi e aspettano che i frati gli arrivino fra i piedi."Meno male che siete arrivati, fratelli frati." "Perché?""Siamo nudi e scalzi e affamati.""Il digiuno è la giusta penitenza per i peccatori. ""E chi sarebbero questi peccatori?""Tutti gli uomini di questo mondo.""Però un peccatore vestito è un po'"meglio di un peccatore nudo scalzo e affamato. Perché non ci date i vostri vestiti?""I nostri vestiti sono benedetti. Non possono essere usati da gente profana.""Intanto a noi gente profana non ce l'ha mai detto nessuno. E poi tutto sta a vedere se ci vanno come misura. Fateci provare.""La regola non ce lo permette. Siamo frati e dobbiamo osservare la regola.""Ma noi per fortuna non siamo frati e non dobbiamo osservare niente."I frati cercarono di continuare per la loro strada ma Millemosche Pannocchia e Carestìa non li lasciano passare. Vediamo come la mettiamo. Carestìa incomincia a frugare dentro a una sporta dei frati che sembra piena di roba da mangiare e invece è piena di ciuffetti di barba. Rovescia la sporta sull'erba per vedere se almeno sotto la barba c'è qualcosa da mangiare e allora i frati si arrabbiano e si mettono a raccoglierla perché si tratta di una reliquia 1 di Fra Guidone. E intanto che cercano la barba in mezzo all'erba e alla terra, Millemosche vorrebbe almeno le scarpe già che i vestiti non si può. Il frate anziano dice di no ma poi dice di sì e alla fine anche gli altri due frati sembrano persuasi a dare le loro scarpe ai tre straccioni, basta che dopo li lascino andare in pace. Va bene. Ma quando si tirano su le tonache c'è questo, che sono tutti e tre scalzi. Millemosche Pannocchia e Carestìa restano lì a guardare i piedi nudi dei frati, li toccano, si rendono conto che questa volta sono stati gabbati. Gabbati per gabbati, quando i frati stanno per andarsene gli saltano addosso e gli levano le tonache e tutto il resto, anche qualche pezzetto di pelle.

NOTE.

1. reliquia: parte del corpo di un Santo, o oggetto che egli ha adoperato, venerato dai fedeli.

US UM IBUS ORUM

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Lungo una strada piena di sassi cammina una fila di gente impolverata. Strisciano i piedi per terra. Vengono da chissà dove. Davanti ci sono degli storpi che arrancano tenendosi a dei bastoni. Altri si trascinano a quattro zampe grattando il terreno con le unghie. E dopo gli storpi alcuni cardinali vestiti di rosso con la faccia e le mani di cera e dietro ai cardinali un gruppo di soldati e dietro ai soldati una portantina fatta di vimini intrecciati, con tende bianche e l'ombra piccola e rannicchiata del Papa nell'interno. E dietro la portantina gente che cammina in ginocchio e altra che cammina in piedi. Straccioni e anche qualche principe isolato con una candela in mano.Dove va il Papa? Chi vuole incontrare? Nessuno lo sa perché lui non dice niente a nessuno. Ogni tanto gli storpi si fermano e anche la portantina si ferma per concedere un po'"di riposo ai portatori.Mentre il corteo è fermo e i tre frati sono lì in ginocchio, un cardinale vestito di rosso li avvicina per soddisfare un desiderio del Santissimo Padre il Papa. I tre frati e cioè Millemosche Pannocchia e Carestìa ascoltano con spavento la voce del cardinale."Sua Santità chiede di essere confessata da uno di voi."andate a piedi, vai a piedi tanto"Quale Santità?""Sua Santità il Papa. È un grande onore che vuole concedere al più umile di voi tre. "La paura è tale che sulla polvere della strada si formano tre piccole pozzanghere, una sotto Millemosche una sotto Pannocchia e una sotto Carestìa come se si fossero fermati tre cavalli." Il più umile sei tu. ""No no, io non sono umile.""Neanch'io.""Ma come? Siete affamati e più umili di così non si può. ""Anche tu sei affamato e come noi. ""Ma io avevo un cavallo prima di farmi frate. E poi sono superbo. Non sono degno di confessare il Papa. "La voce severa del cardinale li interrompe e li invita a decidere. Allora Millemosche si gira verso i due e incomincia a fare la conta. An dan des che te mane puta pes, an dan des. La mano si ferma su Pannocchia che scatta in piedi e scappa chissà dove. Anche Carestìa si alza per scappare ma Millemosche lo tiene giù in ginocchio e rifa la conta. An dan des che te mane puta pes, an dan des. Tocca a Carestìa ma anche lui con un salto si libera da Millemosche e scappa chissà dove. Millemosche guarda un momento il cardinale che assiste alla scena a bocca aperta, poi si alza e lentamente si avvicina alla portantina.Con le mani che gli tremano, Millemosche scotta la tenda e infila la testa in mezzo ai tendaggi per sentire la confessione del Papa. Ma non apre gli occhi per la paura e la vergogna e resta lì in un'aria che sa d'incenso e di altrecose. E intanto sente la voce umida del Papa che dice tante parole che finiscono in us um ibus orum. E lui non capisce e resta dentro con la testa a farsi intontire da quel ronzio che non finisce mai. Poi sente una mano fredda che gli si appoggia sulla testa e altre parole misteriose nelle orecchie e dei baci umidi sulle mani e in ultimo una spinta sulla fronte per cacciarlo fuori dal finestrino.

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Il corteo degli storpi con tutti gli altri dietro torna a muoversi cantilenando nella direzione del vento. Millemosche resta con gli occhi chiusi anche dopo, quando non c'è più nessuno, finché gli vengono vicino Pannocchia e Carestìa. Allora apre gli occhi e cerca di parlare ma gli escono solo delle parole che finiscono in us um ibus orum.

FRA GUIDONE ECCETERA ECCETERONE

Millemosche Pannocchia e Carestìa attraversano i campi inciampando nelle tonache e facendosi lo sgambetto e cadono a terra e si rialzano e riprendono a camminare senza protestare tanto sanno benissimo che ormai le gambe stanno in piedi per miracolo. La fame fa di questi scherzi e anche peggio come per esempio le nuvole che prendono la forma di bistecche. Se invece guardano per terra allora i sassi somigliano alle salsicce. A un tratto si mettono tutti e tre a correre dietro a un uccello che vola basso e quando lo hanno preso e pulito dalle penne, pronto per essere mangiato, si accorgono che era una farfalla e che nelle loro mani c'è soltanto un pizzico di polvere. Allora è meglio niente piuttosto che mangiare una farfalla. Guai a stuzzicare la fame. Tu mangi una farfalla o una cavalletta credendo di calmarti e invece ti accorgi che lo stomaco si mette a urlare e a rotolarsi per terra perché vuole tre bistecche una gallina due uova e una pera cotta. Siccome Millemosche queste cose le sa a memoria, come vede quattro o cinque ghiande per terra gli da un calcio per non farsi venire la tentazione di raccoglierle."Le ghiande sono roba per i porci.""Quali porci?""Non lo so.""Dove sono andati? Se ci dici da che parte sono andati gli corriamo dietro. ""Ma di chi stiamo parlando? ""Dei porci.""Quali?""Quelli che sono scappati.""E dove sono andati? ""Non lo so, sei tu che devi dircelo."Ma Millemosche non dice niente perché non lo sa neanche lui da che parte sono andati i porci. Se lo sapesse lo direbbe ma adesso ha in testa una gran confusione e in questi casi lui chiude la bocca e va avanti perché sa che andando avanti si arriva sempre da qualche parte. E infatti arriva davanti alla porta di un convento e dice ecco che siamo arrivati davanti alla porta di un convento. Ma Carestìa non ci crede fino a quando la porta si apre e compare la faccia del frate guardiano. Dio sia lodato."Sia lodato chi?""Dio.""Va bene sia lodato, su questo siamo tutti d'accordo. E dopo?"Il frate guardiano ha un momento di dubbio, non su Dio ma su questi tre frati straccioni con gli occhi fuori dalla testa e la testa fuori dalla grazia di Dio. Ma sono sempre frati, secondo lui, e li fa entrare. Invece sono Millemosche Pannocchia e Carestìa che si vanno a mettere in un angolo del cortile."E adesso che cosa facciamo?"

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"Aspettiamo che suoni la campanella.""E dopo?""Dopo si mangia.""E se non suona?""È segno che si è rotta.""Ma allora se si è rotta non si mangia.""Non lo so se si è rotta. Forse no.""Perché hai detto forse?""Che cosa devo dire?""Devi dire che non si è rotta di sicuro.""Va bene sono sicuro che non si è rotta.""Allora possiamo stare tranquilli?""Forse.""Non dire forse.""Allora non dico niente.""Meglio niente che forse."

UN SACCO PIENO DI BARBA

Il convento era un convento così sperduto in mezzo alle montagne che nessuno sapeva che ci fosse. Per vederlo bisognava arrivare davanti alla porta, proprio come sono arrivati per caso Millemosche Pannocchia e Carestìa. Lo avevano fondato dei frati che si erano persi in mezzo alla boscaglia, ma un giorno era arrivata la peste e se li era portati via tutti. Così il convento restò chiuso e abbandonato per cento anni e più. Lo scoprirono per caso dei frati randagi che venivano dall'Oriente e li guidava Fra Guidone che era il più grande frate del Medioevo.Dopo la sua morte ogni tanto dal convento partiva un frate per andare a Roma a parlare con il Papa e chiedergli di santificare Fra Guidone, ma nessuno di questi frati era mai ritornato indietro. I frati erano sicuri che un bel giorno Fra Guidone sarebbe andato a finire sugli altari in mezzo a tutti gli altri Santi e avrebbe avuto anche lui il suo giorno sul calendario.Tanto per incominciare Fra Guidone faceva le prediche cantando. E infatti aveva la più bella voce di tutti i frati e di tutti i preti della terra. Aveva anche composto molte cantilene che incominciavano tutte con un verso della Bibbia e finivano con Cristo Rex et Domine cioè nostro re e padrone eccetera ecceterone. Componeva il canto e il controcanto. Era il migliore cantore sia nelcanto fermo sia in quello melodiato e cioè con la voce piena di variazioni e infatti delle volte finiva la predica gridando eccetera ecceterone con voce ferma e a volte invece usava la voce melodiata, con la E finale prima aperta poi chiusa poi acuta come se fosse una I e in ultimo con una E grave lunghissima che si sfibrava nell'aria. Cantava benissimo anche quando aveva il raffreddore. Da giovane cantò con tanta dolcezza che una monaca cadde giù dalla finestra e altre volte caddero dei bambini e dei vecchi e così Fra Guidone smise di cantare nelle piazze di paese e radunava la gente in aperta campagna. Cantava anche in falsetto. 1 Tra l'altro fischiava così bene che gli uccelletti lo stavano a sentire. Se fischiava da merlo arrivavano in convento tutti i merli e così gli usignoli se fischiava da usignolo, oppure squittiva come le rondini e un inverno arrivò da lontano una nuvola di

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rondini che oscurò il cielo e coprì di escrementi il convento.Quando cantava Fra Guidone veniva gente da tutte le parti. C'erano campagnoli con dei ramoscelli d'albero in mano e c'erano tanti bambini con le candele. Fra Guidone saliva su una torre di legno e cantava. Vicino a lui c'era un gonfalone bianco che indicava da quale parte soffiava il vento e così la gente si metteva sottovento altrimenti il canto se ne andava tutto dall'altra parte e si perdeva nelle valli dove non c'era nessuno. Il momento più alto era quando Fra Guidone si copriva la testa con un cappuccio e il suo canto era diretto soltanto a Dio. Nel silenzio il gonfalone2 bianco sventolava verso l'alto come se ci fosse un vento speciale che soffiasse da sottoterra e tirasse verso il cielo tutte le cose insieme al canto di Fra Guidone. E infatti volavano le foglie, si allungavano le fiammelle delle candele, volavano i cappelli e si drizzavano i capelli della gente e si alzava anche tutta la polvere che c'era in giro. Era proprio quando Fra Guidone aveva la testa dentro al cappuccio che succedevano i miracoli. Per esempio un contadino che aveva un reumatismo al braccio destro e non poteva più lavorare gli era andato il reumatismo nel braccio sinistro. Una donna che aveva una gamba più corta dell'altra gli erano diventate corte tutte e due e dopo camminava benissimo. Un bambino che balbettava e faceva ridere tutti era diventato muto e non faceva più ridere nessuno.Quando Fra Guidone si tirava su il cappuccio e finiva la predica con una cantata finale, la gente gli correva intorno strappandogli i peli della barba da portare a casa come reliquie. E allora Fra Guidone per evitare che gliela strappassero, un giorno si era portato dietro un paio di forbici e si era tagliato la lunga barba per dare un ciuffetto a tutti quelli che glielo chiedevano. Purtroppo si alzò un vento fortissimo e portò via tutta la barba e il frate si arrabbiò molto e pestò i piedi e decise di non cantare più. Si chiuse nella sua cella del convento e tutte le mattine cominciò a tagliarsi la barba e a metterla in un sacco.Appena il sacco fu pieno, lo chiuse con lo spago e aspettò di morire. Infatti morì subito dopoe i frati del convento vissero per molti anni scambiando i peli della barba di Fra Guidone con roba da mangiare, specialmente maiali e farina di grano.Naturalmente con il passare del tempo la barba miracolosa di Fra Guidone cresceva di valore e al mercato si contrattava il bestiame con i ciuffetti di barba invece che con le monete d'oro e d'argento. Ma c'erano anche quelli che si tenevano il loro ciuffetto di barba in casa o sotto i vestiti e non volevano darlo via a nessun prezzo perché i miracoli non hanno prezzo. Ma fra tutti i miracoli di Fra Guidone quello più miracoloso era il sacco di barba sempre pieno. Per quanta barba vendessero i frati, il sacco era sempre pieno. E un altro fatto che ha del miracolo è che la barba dei frati di questo monastero non cresceva mai. Forse per rispetto alla barba di Fra Guidone o forse per un'altra ragione eccetera ecceterone.Millemosche Pannocchia e Carestìa stanno lì a ascoltare le storie di Fra Guidone, quando arriva il suono di una campanella e allora saltano in piedi e vanno dove vanno tutti gli altri frati, cioè sotto una loggia dentro una porta lungo un corridoio giù per una scala avanti per un altro corridoio e a un certo punto Carestìa incomincia a preoccuparsi e a fare delle domande a Millemosche."Dove andiamo?""Nel refettorio."

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"Che cos'è?""Il posto dove mangiano i frati.""Se hanno un posto fatto apposta per mangiare è segno che mangiano spesso.""I frati mangiano tutti i giorni.""Mi dispiace che non so il latino se no mi farei frate subito.""La vita del frate è la più bella che ci sia però bisogna averci la vocazione.""Che cos'è?"Una cosa strana che può venire a chiunque sia.""Anche a noi?""A tutti.""E come fa uno a capire se ha la vocazione?""Questo non lo so ma credo che quando uno ce l'ha se ne accorge, come la fame.""La fame è facile perché ti prende allo stomaco e alla pancia.""La vocazione ti prende alla testa. Credo che ti incomincia a girare la testa e allora dici mi faccio frate mi faccio frate.""Ecco che mi gira la testa.""È la fame.""Come fai a saperlo? Secondo me invece è proprio la vocazione.""Hai voglia di farti frate?""Sì.""Adesso mangiamo e se dopo mangiato ti gira ancora la testa è segno che hai la vocazione. Allora ti fai frate. ""E voi?""Ci facciamo frati anche noi. Una vocazione basta per tutti e tre."Il priore si mette a capotavola e tutti gli altri si dispongono attorno a lui. Poi arriva il cuoco del convento e mette una scodella davanti a ciascuno e a tutti quanti. Millemosche Pannocchia e Carestìa guardano subito se dentro la scodella c'è qualcosa da mangiare e invece sono vuote. Il frate priore si mette a leggere a voce alta unpasso del Vangelo in latino et cum fecisset mescolando le parole quasi flagellum de funicolis come in una minestra o minestrone omnes eixit de tempio mentre i frati si mettono a masticare e a fare scricchiolare i denti oves quoque et boves. Millemosche e gli altri due incominciano a innervosirsi. Carestìa guarda Pannocchia, Pannocchia guarda Millemosche, Millemosche guarda Carestìa e tutti e tre guardano le scodelle vuote poi guardano il soffitto poi tornano a riguardarsi e intanto gli ronzano nelle orecchie quelle parole latine che sembrano una gran minestra o minestrone. Poi la voce del priore tace e tutti si mettono a pregare in silenzio. A questo punto Millemosche si fa coraggio e si rivolge al frate che gli sta vicino."Fratello frate, scusate tanto ma la mia scodella è vuota, come si spiega? Non ci sarebbe qualcosa da mettere sotto i denti e dentro lo stomaco?""Stiamo facendo un digiuno di una settimana perché San Guidone ci faccia trovare sempre il sacco pieno.""Ma la barba cresce di più mangiando di più." "Cresce di più la nostra ma non la sua." "Ma la sua come fa a crescere se è morto?" "Con le preghiere e con il digiuno." Pannocchia e Carestìa si tappano le orecchie per non sentire parlare di digiuno. Millemosche se le vorrebbe tappare anche lui ma non fa in tempo perché

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tutte le cose si mettono a girare, compresi i frati e Pannocchia e Carestìa e il priore e sente un gran ronzio nell'aria e dei fischi come se fosse cascato dentro la buca di un vulcano.

NOTE.1. falsetto: tipo di voce alterata, che risulta più acuta della voce normale.2. gonfalone: stendardo adottato come insegna dalle associazioni medievali.

IL MIRACOLO DEL PORCO

Millemosche Pannocchia e Carestìa si svegliano che sono ancora addormentati. Fanno fatica a aprire gli occhi e anche la bocca il naso e tutto il resto. Finalmente si mettono in piedi e sono ancora nel refettorio. Annusano l'aria, si guardano attorno perché non ci credono e invece è proprio odore di salsicce di porco."Però è un odore vecchio.""Mica tanto. Al massimo sarà di quattro o cinque giorni.""A quest'ora se lo saranno mangiato tutto.""Di che cosa stai parlando?""Del porco.""Bisognerebbe sapere dove lo hanno preso. Forse ce n'è un altro.""Fra Guidone fa i miracoli. Perché non gli chiediamo un porco anche noi?""Allora è meglio che lo chiediamo direttamente a Dio. Tanto Fra Guidone dipende da Dio anche lui.""Io non so se si può parlare di porci con Dio.""Che cosa ti credi? Dio è uno come noi. Possiamo chiedergli quello che vogliamo. Se ci mettiamo in tre a dirgli facci trovare un porco facci trovare un porco, io dico che deve starci a sentire per forza."Arrivano nell'orto dove i frati camminanopregando e camminando formano un cerchio come se fosse una cerimonia una penitenza o un girotondo. I tre si mettono a pregare anche loro facci trovare questo porco facci trovare questo porco. E già che ci sono ne chiedono due e Carestìa ne chiede tre, uno per uno. Però litigano su questo fatto finché decidono che per stare sul sicuro bisogna chiederne solo uno tutti e tre insieme. Così vanno avanti e indietro per l'orto e intanto danno delle occhiate in giro per vedere se il Signore si decide a far comparire il porco.Millemosche e Carestìa vanno avanti a pregare mentre Pannocchia resta indietro di qualche passo perché ha sentito qualcosa che assomiglia a un grugnito. Quasi quasi non crede alle sue orecchie e quando si volta non crede ai suoi occhi vedendo in mezzo alle foglie una cosa che assomiglia alla testa di un porco. Lascia andare avanti gli altri due e poi si mette a strisciare in mezzo all'erba gattoni gattoni1 con gli occhi fissi sull'animale senza accorgersi che intanto ha messo male le mani e è caduto a testa in giù dentro a un tombino, ha battuto la fronte sul fondo di tufo e adesso è lì con la bocca aperta e gli occhi chiusi come se dormisse e invece non dorme, è come se fosse morto anche se non è proprio morto ma ci manca poco. Così quando Millemosche e Carestìa si voltano, Pannocchia non c'è più. Si trovano a faccia a faccia con il porco e si buttano subito in ginocchio."Che cosa vedi?"

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"Vedo una Bestia che non ci credo.""Che bestia?""Un porco.""Allora si tratta di un miracolo." "Se non succedono qui i miracoli dove vuoi che succedano?""E Pannocchia dov'è?" "Come dov'è? Non c'è più, adesso c'è il porco.""Il porco è una cosa e Pannocchia un'altra." "Allora non hai capito niente. Succede ogni tanto per miracolo che un uomo viene trasformato in un gatto in un cane o in un altro animale. Questa volta in un porco, grazie a Dio.""Trasformato per trasformato, meglio il porco.""Il porco è il re degli animali." "Veramente il re degli animali è il bue." "Sì ma subito dopo viene il porco." "Guarda che dopo il bue viene la gallina." "No no, viene il porco, non c'è confronto." I due seguono il porco che cammina fra i cespugli dell'orto. Millemosche ogni tanto chiude gli occhi e poi li riapre perché non ci crede. Carestìa invece li tiene bene aperti perché non si sa mai che il porco può scomparire da un momento all'altro come è già successo altre volte che basta chiudere gli occhi un momento e quando li riapri il porco non c'è più. Allora meglio ammazzarlo subito senza perdere tempo."Ma non sarà che ammazzando il porco ammazziamo il nostro amico Pannocchia?""Ma cosa dici? Noi ammazziamo un porco e basta. Il destino del porco è quello di essere mangiato, su questo non si discute." "E l'anima?" " Il porco l'anima non ce l'ha. ""Io dico quella di Pannocchia." "Secondo me non ce l'ha neanche lui." "Ce l'ha, ce l'ha.""L'anima non la mangiamo, quella la lasciamo andare dove vuole lei."

NOTE.1. gattoni gattoni: muoversi carponi come un gatto.

IL CONTROMIRACOLO

Millemosche e Carestìa spingono il porco verso una scaletta di pietra che porta dove sono le celle. Poi uno per le orecchie e l'altro per la coda lo tirano su gradino per gradino e lo fanno entrare dentro la prima porta che trovano. E lì continuano la discussione sul porco che si è accovacciato in un angolo e li guarda con gli occhietti rossi. Carestìa corre da qualche parte a cercare un coltello o un altro arnese qualsiasi basta che abbia una lama e possibilmente anche un manico, mentre Millemosche si siede a terra vicino al porco e lo guarda in faccia come si guarda una persona umana. Gli occhi del porco gli sembrano quelli di Pannocchia e anche le orecchie e anche il muso è quasi uguale. Il naso un po'"meno con quei due buchi tondi uno vicino all'altro. Poi il porco fa un grugnito e a Millemosche gli sembra proprio di avere sentito la voce di Pannocchia. Carestìa gli mette in mano un coltello."Che cosa devo fare? ""Lo ammazzi.""Ti rendi conto che questo è il nostro amico Pannocchia?""Amico per modo di dire. Vorrei vederlo al nostro posto. Ci avrebbe già mangiati

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tutti e due.""Sì, forse hai ragione. Ma io adesso non posso, mi ha guardato in un modo strano. Tieni il coltello e ammazzalo tu per primo che dopo lo ammazzo io. "Carestìa riprende in mano il coltello e lo punta alla gola del porco. Poi chiude gli occhi. Anche Millemosche si è tappato gli occhi per non vedere. Quando li riaprono si accorgono che la punta della lama non è entrata nemmeno di un centesimo nella cotica dell'animale. Carestìa ridà il coltello a Millemosche."Io spingo ma la forza non arriva al braccio. Si .ferma tutta qui nella giuntura della spalla.""Se fosse un cristiano lo ammazzerei come niente ma una bestia non me la sento. ""È una bestia per modo di dire. ""Se è Pannocchia ancora peggio." "Ma non hai detto che un cristiano lo ammazzi come niente? ""Sì ma un nemico. In battaglia e in duello ne ho fatti fuori a centoni. Ma devo essere arrabbiato. Così a freddo non me la sento. ""E allora cerca di arrabbiarti."Millemosche cerca di arrabbiarsi ma non ci riesce. Allora mettono via il coltello e decidono di buttarlo giù dalla finestra così si ammazza da solo e buonanotte. Prendono su il porco sotto la pancia e lo alzano fino al finestrino della cella. Prima infilano la testa ma il corpo fa fatica a passare e lo devono spingere con le mani e con i piedi. Finché riescono a farlo precipitare nell'orto, sulla testa di un povero frate che stava passando lì sotto e che si schiaccia a terra come una ricotta. Il frate è Pannocchia. Si era appena tirato fuori dal tombino e adesso è di nuovo a terra schiacciato come una ricotta. Quando sta per rialzarsi e mettersi ancora una volta in piedi ecco che gli arrivano adosso Carestìa e Millemosche che cercano il porco e invece trovano Pannocchia."Che cosa fai qui? Ritorna porco subito! ""Io sono Pannocchia.""E non fare finta di non capire. Ritorna porco che sarà meglio per te.""Guarda che siamo capaci di mangiarti lo stesso."Pannocchia si lamenta e cerca di rimettersi in piedi ma Carestìa e Millemosche non vogliono. Gli danno calci e spintoni e vogliono farlo camminare a quattro zampe come un porco, senza ormai curarsi se i frati li vedono o li sentono. Continuano a dirgli ritorna porco che sarà meglio per te. E Pannocchia niente ma a un certo punto si alza e si mette a scappare zoppicando perché ha visto all'ingresso del convento tre frati e sono quelli che loro hanno spogliato nel bosco.I tre frati vedono Pannocchia e gli altri due. Li riconoscono e si mettono a gridare e a corrergli dietro seguiti da tutti gli altri. Altro che porco, devono scappare. Dentro una porta su per una scala giù da una finestra. Finalmente si arrampicano sul tetto. Forse ce la fanno a mettersi in salvo, ma non è detto. Le tonache impicciano i movimenti, le tegole ballano sotto i piedi ma la paura gli dà il coraggio di aggrapparsi al ramo di un grosso albero che pende fuori dal muraglione di cinta. Da qui spiccano un gran salto e vanno a finire in mezzo alla boscaglia perdendosi fra i cespugli mentre i frati si mettono a suonare le campane e ogni colpo si sente che vorrebbe essere una bastonata.UN PEZZO DI STOFFA DI FRATE

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Con una tonaca da frate si può fare, volendo, un vestito da cristiano. Prima di tutto si stacca il cappuccio e gli si fanno due buchi nel fondo e nei buchi si infilano le gambe. Così uno si trova che ha già le braghe. Poi si staccano le maniche che diventano le due gambe delle braghe. In ultimo si taglia a metà la tonaca e si gira attorno alle spalle come un mantello. Con il pezzo di stoffa avanzato si può fare quello che si vuole, delle strisce da legarsi intorno alla pancia se uno soffre il freddo alla pancia, un cappello se uno soffre il freddo alla testa, oppure un copriorecchie se uno soffre il freddo alle orecchie. O se no niente. E allora uno può vendere questo pezzo di stoffa se trova chi lo compra, oppure regalarlo a un poveraccio che passa per la strada. Se non passa nessun poveraccio allora questo pezzo di stoffa avanzato uno non sa più che cosa farne. Però non si può buttare via, è di lana. Se mai uno fa finta di niente e lo perde mentre cammina per la strada. Ma deve. perderlo in modo che quando poi se ne accorge e ritorna indietro per cercarlo non lo trova più, altrimenti si ricomincia da capo questo pezzo di stoffa e la cosa può diventare noiosa. Forse farebbe meglio a seppellirlo ma deve stare attento a pareggiare bene il terreno in modo da non trovarlo più quando si pentirà di averlo seppellito. Perché è un peccato seppellire un pezzo di stoffa di lana. Se uno si trova vicino a un fiume o a un lago può anche buttarlo in acqua però deve saper nuotare, altrimenti quando si tuffa per andarlo a riprendere può affogare e, per quanto sia, sarebbe un peccato perdere la vita per un pezzo di stoffa di lana avanzato dalla tonaca di un frate.Così Millemosche Pannocchia e Carestìa si tengono in mano il loro pezzo per uno e vanno avanti a mugugnare fra i denti perché non hanno il coraggio di buttarlo via. Magari potrebbero ridarlo indietro ai tre frati che hanno spogliato, ma ai frati è meglio starci lontano il più possibile dopo quello che è successo su al convento. Allora discutono un po'"e alla fine decidono di comportarsi come se i tre pezzi di stoffa non esistessero e non fossero mai esistiti, di non parlarne più e di non sentirne più parlare.

NOTE.1. cotica: pelle spessa e dura del maiale.

NERO IL FALCONE

Ci sono dei falconi neri che dal basso di una valle salgono in cielo a perpendicolo e vanno a scontrarsi contro delle anatre di passaggio. Le anatre colpite scoppiano in una nuvola di penne e poi precipitano giù con tutto il loro peso come se fossero dei sassi o delle scarpe, nel caso che dei sassi o delle scarpe si trovassero a quella altezza e potessero avere le penne. A terra c'è qualcuno che raccoglie le anatre, nel mentre che tre cavalieri fanno ripartire altri falconi togliendo il coperchio dalle ceste dove sono dentro.Millemosche Pannocchia e Carestìa stanno lì a guardare le anatre e i falconi. Si mangerebbero volentieri sia le une che gli altri. Ma ci sono i cavalieri e con quelli non si scherza, sono armati. Millemosche aguzza gli occhi sui falchi che adesso fanno larghi giri perché è finito il passaggio delle anatre e stanno cercando qualcosa come potrebbe essere una biscia uno scoiattolo o un altro animale selvatico come per esempio un cinghiale da cavargli gli occhi. Infatti si gettano a capofitto verso un punto preciso e Millemosche capisce subito che stanno

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arrivando su di loro e allora si butta a terra e si ammucchia con gli altri due per ripararsi dalle beccate. Si difendono alla disperata cacciando la testa nell'erba e proteggendosi gli occhi con le mani e le mani con le mani fino a quando arrivano dei cavalli e della gente che urla e fischia. Allora i falchi vanno a posarsi sui guantoni di cuoio dei tre cavalieri che guardano quei tre mucchi raggomitolati a terra e provano a dargli un calcio per vedere se si tratta di uomini o di animali."Perché fate finta di essere cinghiali?""Come facciamo finta se non sappiamo neanche che cosa sono i cinghiali?""Allora cambiate modo di vestire e di muovervi. ""Ma noi stiamo fermi.""Allora cambiate modo di stare fermi.""In che modo?""Perlomeno fate finta di essere uomini."Il cavaliere che ha parlato e che è il più cattivo dei tre, sprona il cavallo giù verso la valle e gli altri due lo seguono reggendo sulle mani inguantate i falconi neri da combattimento. Millemosche Pannocchia e Carestìa si tirano su in piedi e si rimettono a camminare con i piedi.

IL CAVALLO IN TESTA

Dopo tre o quattro giorni di camminate senza incontrare anima viva, Millemosche si mette a pensare che sia Pannocchia sia Carestìa gli portano scalogna. E allora una mattina si sveglia prima degli altri e decide di scappare. Si avvia lungo il sentiero ai piedi della montagna di sabbia e zolfo dove si erano fermati a dormire e raggiunge alcuni massi coperti di ortica. Li oltrepassa e già si sente tranquillo e solitario.Millemosche ha una sua idea in testa, ritornare a casa. Chissà perché non ci ha pensato prima. A casa c'è sua moglie e i suoi animali da cortile. Due capre sei galline e le api gialle e nere di Bacone. Quando sciamano 1 d'estate Bacone va a riprenderle battendo un sasso sulla padella o abbagliando la regina con uno specchietto. E allora gli sciami scendono e fanno una palla attorno a un ramo di fico e lui le riporta a casa. Adesso che Millemosche cammina da solo ricorda i discorsi di Bacone2 sulle api, gli elenchi dei nemici e dei parassiti. Bacone gli diceva che i nemici principali sono quelli che mangiano le apie sono il toporagno 3 l'orso il tasso la faina la martora la donnola la lucertola il rospo e la rana. I parassiti invece rubano il miele e sono gli uomini il calabrone il pecchione4 e le vespe. Poi c'è la tarma che rode la cera. Il nemico più terribile però è il topo campagnolo perché mangia le api, mangia il miele e mangia anche la cera. Bacone odiava il topo campagnolo più di qualsiasi altro animale al mondo e gli dava la caccia tutti i giorni dell'anno. E quando ne prendeva uno lo mangiava vivo infilandolo in una pagnotta al posto della mollica. Quattro o cinque topi di campagna li aveva mangiati anche Millemosche. Però arrostiti dalla Gioconda che era bravissima per i topi le bisce da acqua e le lucertole. Le lucertole si mangiano solo quando si è proprio affamati, cioè sempre.Con tutti questi ricordi in testa Millemosche cammina lungo il sentiero per più di un'ora. Poi si siede per riposarsi un po'"e si accorge che Carestìa e Pannocchia stanno dormendo a pochi passi da lui. Ma allora non ha camminato? Eppure ha i polpacci molto stanchi. Si vede che gira e rigira il sentiero lo ha riportato allo

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stesso punto di prima. E già che si trova sull'onda dei ricordi e della malinconia non fa nemmeno caso a quei due lì che dormono, prende un sasso a punta e si mette a disegnare qualcosa sulla crosta secca della collina. Prima disegna la coda poi le gambe di dietro poi la pancia e la schiena e in ultimo la testa e le gambe davanti. È un cavallo. Quando si risvegliano Pannocchia e Carestìa e si mettono a guardare questa cosa disegnata e prima che loro possano fare qualsiasi commento, Millemosche dice che il suo cavallo era proprio così, con la testa slanciata le gambe nervose la coda lunga. E mentre parla capisce perché aveva cercato di scappare. Un uomo che è stato lunghi anni con un cavallo non può intendersi con quelli che sono sempre andati a piedi. Tra un uomo qualsiasi e un cavaliere c'è la stessa differenza che c'è tra un gatto e un leone oppure tra una cornacchia e un'aquila per restare nel regno animale, o tra un fico e una quercia per andare nel regno vegetale. Un uomo a cavallo è come se fosse una bestia sola con la testa da uomo e le gambe e la coda da cavallo. Avere sentito sotto le gambe la sua schiena e la sua pancia e avere cavalcato con la criniera sbattuta in faccia e il suo odore nell'aria, tutto questo ti fa diventare un uomo diverso.Millemosche è così convinto di quello che sta pensando che si mette a parlare del suo cavallo con Pannocchia e Carestìa che non se lo meritano. E incomincia dalla fine, cioè dalla morte del suo cavallo morto con il cimurro.5 Poi parla anche dei cavalli in generale, dei pregi e dei difetti legati al colore del pelo e dice che il cavallo bianco non sopporta il sole e quello nero si sfianca sui terreni rocciosi, poi descrive e nomina a uno a uno i muscoli e le altre parti dell'animale dalle orecchie alla coda. Ma a questo punto si accorge che l'interesse a bocca aperta di Pannocchia e Carestìa viene da un altro tipo di interesse. Se lui dice il nome di un muscolo o parla della coscia lunga del cavallo, loro già vedono questa carne sulla brace e immaginano di mangiarla. Basta guardarli e si capisce subito la loro idea. E infatti d'improvviso non resistono più e incominciano a domandare quante bistecche si possono fare da una spalla di cavallo o dalla schiena o dalla pancia e allora Millemosche si alza in piedi e si rimette a camminare con questi due che vogliono fargli ripetere quali sono i muscoli e le parti principali del cavallo. Millemosche allora diventa tutto rosso in faccia e incomincia a saltare sui piedi."Vi ho detto che non permetterò mai che si mangi in mia presenza carne di cavallo.""Ma chi è che la mangia? Noi immaginiamo di mangiarla e basta.""Non dovete nemmeno immaginare di mangiarla. ""Io mi immagino quello che voglio.""Fino a un certo punto e comunque non coni cavalli che racconto io. ""Io ho anche immaginato di essere Papa e nessuno mi ha detto niente.""Quello anch'io.""Allora vedi che abbiamo ragione?""No. Perché se uno immagina di diventare Papa non fa del male a nessuno. Se lo mangi è un'altra questione.""Ma noi non abbiamo mangiato niente.""Mentre io vi parlavo del mio cavallo in buona fede, me lo avete mangiato sotto gli occhi. Muscolo per muscolo."Pannocchia e Carestìa non dicono niente. Stanno ancora masticando perché la carne di cavallo è un po'"dura e alla fine si leccano le labbra voltandosi dall'altra

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parte per non farsi vedere da Millemosche. Il quale si allontana gridando e allora gli vanno dietro gridando anche loro.

NOTE.1. che sciamano: le api abbandonano il vecchio alveare e se ne vanno a formare uno nuovo.2. Bacone: il nome di questo contadino ricorda il nome di un famoso filosofo inglese del '500 che iniziò una celebre dissertazione filosofica proprio prendendo spunto dalla vita delle api e dei ragni.3. toporagno: piccolo mammifero insettivoro simile al topo, ma col muso più aguzzo e la coda pelosa. 4. pecchione: è il maschio dell'ape.5. cimurro: malattia contagiosa che colpisce cani e cavalli alle mucose nasali.

MEGLIO DI GUERRA CHE DI FAME

Un mucchio di pietre rosse al sole insieme a una lucertola verde al sole anche lei sul mucchio di pietre rosse. Poi una mano magra e sporca. La lucertola si nasconde in una crepa. Adesso vengono fuori tre teste piene di capelli e sei occhi delusi perché la lucertola è scappata. C'è molta stanchezza in quelle facce e in quegli occhi e anche molta fame. Sono Millemosche Pannocchia e Carestìa. Davanti a loro c'è una valle con ciuffi di piante selvatiche e pietre rotolate chissà da dove e al centro un castello e intorno al castello una quantità di tende e soldati a piedi e a cavallo."Quelli sono mercenari che assediano un castello.""E quello è un castello assediato dai mercenari.""E io che cosa ho detto?""Non incominciamo con le discussioni, non ho voglia di discutere."I tre guardano pensierosi il castello e l'accampamento sotto le mura. Ci sono anche delle oche e dei maiali che girano in mezzo alle tende e dei panni messi a .asciugare sulle siepi e sugli alberi e c'è anche fumo di fuochi accesi. Più volte, a turno, i tre sembrano sul punto di parlare ma poi o sbadigliano o lasciano una parola a metà e così niente. Finalmente Carestìa si decide e tira fuori dalla bocca un principio di discorso che però si ferma sul più bello."Mi viene in mente che quasi quasi.""Che cosa?""Niente.""No, volevi dire qualcosa.""Volevo dire che quasi quasi, no niente.""Avanti, che cosa ti era venuto in mente?"Carestìa è così pentito e impaurito per quello che gli è passato per la testa che si alza e scappa via. Ma gli altri due gli corrono dietro e lo prendono per i piedi."Non ti lasciamo andare se non dici quello che volevi dire."Carestìa cerca ancora di scappare ma questa volta i due lo tengono inchiodato a terra per le gambe e per le braccia. Adesso vediamo se parla. Allora Carestìa chiude gli occhi e parla tutto d'un fiato col fiato in gola."Volevo dire che quasi quasi mi rimetterei a fare il soldato mercenario. Almeno si mangia."

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Pannocchia gli sputa in faccia e gli da un calcio e uno schiaffo. E siccome si accorge che Millemosche non si è arrabbiato e lo vede più o meno d'accordo con Carestìa, allora si allontana perché lui non vuole rimettersi a fare il soldato neanche morto. Va a sedersi una decina di passi più in là e sta a muso basso a grattare la terra.Millemosche si alza in piedi senza dire niente, raggiunge le pietre rosse, torna a guardare l'accampamento con uno sguardo lungo e pieno di calcoli."Un assedio è comodo, magari va avanti degli anni. Si sta lì si mangia si beve e non si fa fatica. Basta non avvicinarsi troppo alle mura. Io ho già fatto un assedio una volta. È durato due anni, i più belli della mia vita. Avevo anche un cavallo, quello là che vi dicevo prima.""Ho sentito dire che gli assediati ti tirano addosso l'olio bollente.""Queste sono balle che non so chi le ha inventate. Io sono pratico e ti dico che l'olio costa caro e se ne trova poco al giorno d'oggi. Gli assediati se ce l'hanno stà tranquillo che se lo tengono da conto.""Ma bisogna vedere se ci ingaggiano.""Ci ingaggiano, ci ingaggiano. Dove li trovano tre come noi? Però non bisogna dire che abbiamo così fame. Se loro dicono avete fame, noi diciamo no, abbiamo appena mangiato un porco. "Alla parola porco Pannocchia salta in piedi e si avvicina a Millemosche e Carestìa. Li guarda con gli occhi lucidi e le labbra che gli tremano sulla bocca."Io non ci riesco a dire che ho mangiato un porco. ""Neanch'io.""Allora voi state zitti che parlo io."Millemosche si muove in direzione dell'accampamento ma poi si guarda indietro per vedere se gli altri due lo seguono. Carestìa fa due passi svelti e si mette al suo fianco. Pannocchia fa un passo avanti e due indietro poi uno di traverso poi due passi avanti e un altro di traverso e insomma va un po'"da una parte e un po'"dall'altra perché non sa neanche lui dove vuole andare.

IL BRACCIO MORTO

Inciampano nei sassi e nei cespugli un po'"perché non li vedono e un po'"perché alzano male le gambe specialmente dal ginocchio in giù. Arrivano vicino alle prime tende dell'accampamento e la cosa che li meraviglia di più è che non si vede nessuno. Dove sono i soldati? Ci sono soltanto delle oche e delle galline. Le seguono piano piano decisi a saltargli addosso ma si trovano faccia a faccia con una quarantina di soldati che camminano in silenzio dietro a un piccolo carretto tirato da un mulo.Sul carretto c'è una cassettina di legno, nera lunga e stretta. Questo è un funerale. Infatti molti stanno piangendo. Millemosche e gli altri due scherzando scherzando si mettono a piangere anche loro. Ci sono mercenari grassi e magri, coperti di corazze rattoppate e ricucite con il filo di ferro. Parla Millemosche"Di chi è il bambino?""Quale bambino?""Il bambino nella cassa, il morto.""Non è morto nessun bambino.""E allora chi c'è nella cassa?"

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"Un braccio.""E fate il funerale a un braccio?""È il braccio destro del nostro capitano. Glielo ha staccato un cavallo impazzito, con un morso."Il carro che sta portando la piccola bara si ferma. Due soldati alzano la cassetta e la lasciano scivolare in una buca stretta di misura. Il capitano segue immagonito la sepoltura del suo braccio. È lui che lentamente smuove il mucchio di terra accanto alla buca e la fa cadere sulla bara con dei piccoli calci. I soldati lo guardano in silenzio. Poi si girano e se ne vanno lasciandolo solo con i suoi patemi.1Millemosche Pannocchia e Carestìa si siedono in disparte e discutono di braccia e di gambe umane."È meglio perdere un braccio o una gamba?""Una gamba.""E dopo come fai a camminare?""Uno invece di camminare sta seduto, è anche più comodo.""Secondo me è meglio perdere un braccio. Noi siamo gente che dobbiamo scappare quasi sempre e per scappare le gambe servono moltissimo.""Io insisto a dire che è meglio perdere una gamba piuttosto che perdere un braccio. Tanto per incominciare se perdi il braccio perdi anche la mano."" Se perdi la gamba allora perdi anche il piede. ""Vuoi mettere la mano con il piede? Il piede serve solo per stare in piedi mentre con le mani puoi tirare il collo alle galline e ai cristiani, puoi dare i pugni e gli schiaffi, puoi tirarti su e giù le braghe. Se no devi farti aiutare da qualcuno tutte le volte.""Con il piede puoi dare i calci. Le braghe si tirano su e giù benissimo anche con una mano sola.""Non ci credo.""Scommetto quello che vuoi.""Che cosa ci scommettiamo?""La testa.""Quale testa?""La nostra. Chi perde, perde la testa."Millemosche allora si alza in piedi e, tenendo un braccio dietro la schiena, slaccia con l'altro le braghe, le abbassa, e resta qualche momento in mutande davanti al capitano che sta tornando in quel momento e si ferma su tutti e due i piedi.Millemosche lo vede e si rialza alla svelta e si tira su alla meglio le braghe adoperando sempre una mano sola. Poi fa un passo indietro prima di parlare, sia per rispetto che per paura."Ma cosa fai davanti alla mia tenda?""Niente, capitano. Era solo una finta. Volevo dimostrare che è meglio avere un braccio solo piuttosto che una gamba sola.""Che cosa te lo fa dire?""Il fatto per esempio che uno può fare le sue necessità senza aiuto di nessuno."Il capitano entra nella tenda con un passo malinconico, poi si siede sopra uno sgabello e ogni tanto si guarda il braccio sinistro e ci pensa sopra. A forza di pensare gli viene un'idea che lo mette in agitazione. Da degli ordini che portano

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una grande confusione nell'accampamento, ma subito la confusione prende una forma e i soldati si radunano davanti alla tenda. In mezzo ai soldati ci sono anche Millemosche Pannocchia e Carestìa.Non lo sanno nemmeno loro perché si trovano là in mezzo ma, visto che tutti corrono a mettersi in colonna, anche loro si infilano in mezzo agli altri e si mettono in colonna.Il primo soldato è già entrato nella tenda e ne è uscito subito con un volo a testa in avanti. Si alza da terra e va via sgangherato. E succede così anche per il secondo e per il terzo. A questo punto Millemosche e gli altri due cercano di uscire dalla colonna ma ci sono delle guardie armate che li ricacciano indietro."Noi siamo di passaggio. Non c'entriamo.""Adesso ci siete e ci restate.""Non sappiamo nemmeno che cosa sta succedendo. ""Lo saprete dopo.""Dopo quando?""Nella tenda. Il capitano cerca un braccio destro. ""Per fare cosa?""Tutto."I tre vorrebbero sapere delle altre cose. Per esempio se il capitano ha in mente di tagliarlo quando ha trovato il braccio che gli va bene oppure che cosa. Ma siccome è arrivato il turno di Carestìa, la guardia lo prende e lo spinge dentro la tenda. Si sentono subito degli urli e poi Carestìa vola fuori anche lui a testa in avanti. Millemosche fa un salto all'indietro cercando di scappare via ma le guardie lo prendono e lo infilano nella tenda.In piedi davanti a lui al centro della tenda c'è il capitano. Gli fa segno con la mano sinistra di venire avanti ma Millemosche si sposta soltanto con la testa e il busto. I piedi sono inchiodati a terra. Il capitano lo guarda fisso negli occhi e lui chiude gli occhi."Noi ci siamo già visti da qualche parte.""Sì, capitano, davanti alla tenda.""Sai perché sei entrato qui?""Vagamente.""Fammi vedere il tuo braccio destro."Millemosche è talmente in confusione che non sa più quale è il braccio sinistro e quello destro. Incomincia a scoprire quello sbagliato ma si rende conto subito che il braccio destro è l'altro e allora lo scopre tutto fino alla spalla per mostrare più muscoli che può. Il capitano gli gira attorno poi gli prende il braccio con la mano sinistra e lo accartoccia come se fosse di mollica. Millemosche si lascia cascare a terra coprendosi gli occhi con le mani mentre il capitano lo colpisce con una scarica di calci e si arrabbia perché non scappa come sono scappati gli altri. Poi lo risolleva e lo sbatte da tutte le parti. Alla fine si siede sfinito sullo sgabello e guarda questo straccione testardo che sta rannicchiato ai suoi piedi ridotto una palla di dolore. Millemosche alza lentamente la testa."Uno che sopporta le botte come me non c'è nessuno. ""Sì ma il braccio è piccolo.""Crescerà.""Come fa a crescere?""Mangiando."

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"Come ti chiami?""Millemosche Quisquiglia.""Sai maneggiare la spada?""La spada la sciabola e la lancia. Sono cavaliere. So anche tirare le sassate.""Bravo. Ti assumerò come mio braccio destro. Ti vanno bene due ducati al giorno? ""Facciamo quattro.""Guarda che assumo soltanto il tuo braccio destro. Con l'altro fai quello che vuoi.""Ho due persone a carico, capitano.""Tre ducati. Più non posso.""Tre e mezzo.""Più di tre no. Questo assedio mi costa un occhio della testa e il principe è in ritardo con i pagamenti. "Si mettono d'accordo per tre ducati al giorno. A questo punto il capitano chiama i suoi luogotenenti per l'investitura del suo nuovo braccio destro. Poi indossa il suo vestito da cerimonia. Millemosche si mette alle sue spalle e infila il braccio destro nella manica vuota. Due luogotenenti allacciano due cinture di cuoio intorno al capitano e a Millemosche in modo da farli diventare quasi un'unica persona. Però lo stanno legando troppo stretto."Soffoco.""Ricordati che quando sei nelle tue funzioni di braccio destro non hai diritto alla parola, è come se tu non esistessi.""Va bene, capitano.""Stà zitto.""Ho capito.""Silenzio!"Il capitano gli sferra un calcio all'indietro e questa volta Millemosche capisce che deve stare zitto con la bocca chiusa. E quando finalmente c'è silenzio, il capitano fa la sua dichiarazione con voce più solenne che può."Nomino il cavaliere Millemosche Quisquiglia mio braccio destro. Da questo momento il suo braccio mi seguirà nella buona e nella cattiva fortuna, in pace e in guerra. Mi difenderà dai nemici e dagli amici, mi servirà fedelmente sia di giorno che di notte anche per i piccoli bisogni del corpo."Il capitano esce dalla tenda con Millemoschelegato alle spalle. Lo seguono i luogotenenti. Lì fuori, al centro dell'accampamento, sono schierati i soldati. Il capitano li passa in rivista e ogni tanto si ferma e batte i piedi per terra in segno di autorità. Millemosche si prende qualche piccola iniziativa in appoggio al suo comandante. A un soldato che ha l'elmo storto gli da un colpo in testa per raddrizzarlo. A un altro che ha la pancia troppo in fuori gli da un pugno che lo fa piegare in due. A un altro da uno schiaffo perché ha i baffi. I soldati sono molto intimoriti dal nuovo braccio destro del capitano e man mano che si avvicina si tengono pronti a fare un passo indietro per evitare gli schiaffi e i pugni.Alla fine della rassegna c'è la discussione fra il capitano e i suoi luogotenenti per mettere in chiaro alcuni fatti che sono già chiari ma non si sa mai."Bisognerà studiare il piano per un assalto in grande stile.""Non vorrete conquistare il castello, capitano?""Siete matti? Se lo conquistiamo il principe ci licenzia. Possiamo tirare avanti

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l'assedio per un altro anno almeno. Dicevo soltanto che bisognerà. "Interrompe il discorso per seguire con gli occhi il braccio destro che sottolinea le sue parole con una mimica svolazzante, gran gesti in tondo e in largo a destra e a sinistra. Poi il braccio si ferma e si appoggia con la mano sul fianco del capitano in un atteggiamento di grande sicurezza."Dicevo che bisognerà studiare un assalto spettacolare nel caso che il principe venga a farci visita, tanto per dargli un po'"di fumo negli occhi. "

NOTE.1. patema: grave tristezza interna.

IL RE DI TUTTO IL MONDO

Pannocchia e Carestìa si sono messi a costruire una casa con i sassi buttati giù dagli assediati per difendersi dagli assalti. Prendono due sassi per volta e vanno piano piano a disporli uno sull'altro in una zona appartata alla periferia delle tende. Non gli hanno voluto dare una tenda, e loro si fanno su una casa con i muri il tetto e il resto. Buttano dello sterco fresco di cavallo nelle fessure e così le pietre si cementano tra loro e il muro diventa robustissimo. La calce fa ridere in confronto allo sterco fresco di cavallo. Anche quello di vacca è buono ma non è la stessa cosa.Ogni tanto si fermano e vanno a guardare il lavoro da una certa distanza e così si rendono conto che il muro cresce sia per il dritto che per il traverso."Ho sentito dire che ci sono delle case con due piani, uno di sopra e uno di sotto.""E io ho sentito dire che ci sono delle case con due porte, una per entrare e una per uscire."" Sì, però le porte sono pericolose. ""Perché?""Perché dalle porte entrano i ladri. Già che ci facciamo una casa è meglio stare al sicuro.""Ma di che cosa hai paura? Più ladri di noi non c'è nessuno.""Hai ragione. Io se potessi ruberei tutto.""Tutto secondo me è un po'"troppo. Tra l'altro non sai più dove metterlo.""Ti sbagli, perché io rubo anche la terra e le strade e le case con quello che c'è dentro e così lascio tutto dove sta perché tanto è tutto mio.""Per stare tranquillo dovresti rubare tutto il mondo. ""E allora?""Dopo non sai più che cosa rubare.""E allora?"Già lavoravano da due o tre giorni e avevano visto Millemosche appena di sfuggita. Sapevano che lui ormai si era sistemato e questo a loro faceva anche piacere. Meglio due che se la passano male piuttosto che tre. E bisogna dire la verità, Millemosche adesso se la passava discretamente. Provava e riprovava varie maniche sia di panno sia di metallo e una anche di piastre d'argento. Tutte le maniche del vecchio braccio destro del capitano, che era più grosso e quattro dita più lungo, bisognava scorciarle e stringerle. Millemosche sedeva o stava in piedi e i sarti e i fabbri, quando si trattava di metalli, lavoravano "attorno al suo braccio senza nemmeno scambiare una parola con lui. Diciamolo pure

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francamente, lo trattavano come se non esistesse. Tanto è vero che ogni tanto Millemosche si addormentava dalla noia anche se era in piedi. Aveva imparato dal suo cavallo a dormire in piedi. Bisogna tenere le gambe larghe e stare col petto in avanti e il sedere indietro. Se non dormiva si metteva lì a guardare in faccia il sarto o il fabbro fintanto che questi non ne potevano più e dicevano adesso basta e lo facevano voltare da un'altra parte.Una volta c'era un pidocchio che camminava sulla fronte del fabbro e piano piano arriva sul collo passando per l'orecchio, poi ricompare sulla mano e da qui spicca un salto e va a finire sulla mano di Millemosche. Qui il pidocchio si ferma e non ha il coraggio di infilarsi sotto la manica del capitano, si guarda intorno e con un altro salto ritorna sulla mano del sarto. Brutto segno. I giorni seguenti Millemosche aveva seguito i viaggi del pidocchio sul corpo del sarto ma non c'era verso di fare amicizia. Del resto ogni tanto guardava il suo braccio che cambiava maniche e gli sembrava che anche quello non fosse più amico suo. E infatti era diventato troppo importante e così faceva fatica a stare insieme agli stracci che coprivano le gambe e tutto il corpo.Il braccio sinistro in confronto a quello destro faceva pietà. Millemosche aveva capito che ormai il braccio era più importante di lui. Prima veniva il braccio, poi tutto il resto. Dopo le prove delle maniche Millemosche girava in mezzo all'accampamento, metteva la testa per ogni dove e ogni tanto dava degli schiaffi ai soldati col braccio destro. Nessuno aveva la possibilità di ribellarsi e quando uno si aspettava uno schiaffo lui gli dava un pugno nella pancia.Una mattina attraversa a piedi tutto l'accampamento per vedere dove si sono ficcati Pannocchia e Carestìa. Aveva il braccio destro coperto da una corazza d'argento. Passa la zona dei carriaggi, il quartiere degli orti tutti pieni di cavoli e finalmente trova i due amici che stanno lavorando alla casa."Che cosa state facendo?""Una casa.""Chi vi ha dato il permesso di fare una casa?""Nessuno.""Di chi sono i sassi?""Del nemico."Allora Millemosche si mette a strafotterli e mostra il suo braccio d'argento che fino a quel momento aveva tenuto nascosto dietro la schiena. Carestìa e Pannocchia restano abbagliati, si specchiano nel metallo e restano impressionati a vedere le loro facce sporche che adesso sembrano pulite e lucide come il metallo dove si specchiano."Cavolo!""Cavolo cosa?""È d'argento.""Sì.""Ma allora perché non scappiamo?"Il braccio colpisce con uno schiaffo Carestìa e subito dopo anche Pannocchia. Perfino Millemosche è sorpreso della sua violenza e cerca di tenerlo fermo con la mano sinistra e gli dice calma e non darti delle arie, stai fermo che sono amici. E allora il braccio va a posarsi tranquillo al sole su uno spuntone di roccia che viene fuori da terra. Carestìa e Pannocchia guardano con spavento questa cosa che luccica e abbaglia. Anche Millemosche la guarda malamente, come se non fosse

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roba sua. Carestìa si fa sotto a Millemosche con una faccia da fare paura."Vattene. Porta via quel braccio."«Via dove?""Altrimenti buttalo in un fosso.""Come faccio a buttarlo in un fosso?""Taglialo."Come se avesse capito tutti quei discorsi, il braccio d'argento si alza e Millemosche si mette a inseguire i due amici in mezzo all'accampamento e mena botte dove capita, cioè sulla loro testa, mettiamo, e anche su quella degli altri soldati. Ma Millemosche sapeva benissimo che non era il braccio che faceva tutte queste cattivèrie. Cercava di dare la colpa al braccio e invece era lui. Dava degli schiaffi per divertimento tanto per divertirsi.

TUTTE LE LORO DONNE

Non erano tutte rose fiorite. Un capitano compra un braccio e poi gli lascia fare quello che vuole lui, questo non è possibile. Dal terzo giorno in poi Millemosche è legato alla schiena del comandante e il suo braccio destro tiene in mano una spada pesante. Stanno esercitandosi in un duello e il capitano gli grida di spostare il braccio a destra e a sinistra, vuole che impari a duellare e ogni tanto gli da dei pugni in testa che gli fanno tremare il cervello. Dopo le esercitazioni si mangia, cioè mangia il capitano.Il capitano è uno che mangia sempre. Si sveglia alle otto e mangia e mentre mangia ordina quello che vuole mangiare alle dieci e alle dieci decide quello che deve mangiare da lì a due ore. Sempre così fino a mezzanotte. E Millemosche deve adoperare bene il braccio destro per portare alla bocca le cosce di lepre o di oca o di montone. Deve staccare al momento giusto la carne dai denti del capitano. E spesso deve rimettere la carne nel piatto e grattargli la testa o mettergli un dito in un orecchio per sturarlo. Tutto a tempo, senza una parola, un avvertimento. E la cosa peggiore è un'altra. Vedere tutta quella roba nel piatto e non avere la possibilità di mettere in bocca nemmeno una carota. Niente. Grattare la pancia del capitano e sentirla crescere di giorno in giorno mentre la sua deveessere piatta per aderire meglio alla sua schiena senza dover allungare le cinture che li tengono legati insieme. Piano piano però qualcosa sfugge al controllo del capitano.Millemosche incomincia a capire il lavoro che deve fare. Stare all'erta quando il capitano ha mangiato troppo o bevuto troppo e chiude o abbassa gli occhi per la fiacca o il sonno. Allora approfittare di quei momenti per muovere a suo piacere la mano e mettere un pezzo di carne nella sua bocca invece che in quella del capitano. Il quale resta a bocca aperta a aspettare e invece della carne gli arriva il dorso della mano che striscia sulle labbra unte per pulirgliele. I momenti migliori sono quando il capitano si addormenta dopo mangiato e allora la mano può cercare nei piatti e anche nelle tasche del giubbotto se c'è qualche ducato oppure grattarsi personalmente nel caso ce ne fosse il bisogno.La sera finisce in sbadìgli e così la mano destra copre la bocca aperta del comandante e poi gli stropiccia gli occhi come succede a chi ha sonno e cerca di stare sveglio. Per andare a letto il capitano slaccia i cinturoni e Millemosche casca

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a terra senza forze come se avesse perso la spina dorsale. Allora il capitano gli da due o tre calci per toglierselo dai piedi e Millemosche si trascina da qualche parte per dormire.I primi giorni è una dura faccenda, come quella di un cane legato alla catena. Ma poi Millemosche riesce a ottenere un'ora di libertà dopo i pasti principali e così può girare per l'accampamento e scambiare qualche parola con qualcuno, specialmente con Pannocchia e Carestìa quando li trova. Ma loro non parlano più con lui per via del braccio destro. Allora Millemoschenon lo veste più d'argento o di velluto, lo tiene alla buona come l'altro braccio. Tutto per fare la pace con Pannocchia e Carestìa che vanno avanti a costruire la casa senza neanche guardarlo. Lui sta seduto lì vicino mentre parlano di donne e muore dalla voglia di parlare anche lui con loro e invece niente.

COSTRUIRE LA CASA

Pannocchia e Carestìa a un certo punto sono rimasti con pochi sassi e allora vanno sotto le mura del castello a fare cagnara. Urlano contro le sentinelle nemiche che vi venga la lebbra e altri sacramenti e allora quelle si arrabbiano e gli buttano addosso una grandinata di sassi mentre loro si allontanano alla svelta. Dopo un po'"vanno a raccogliere i sassi e ricominciano a tirare su i muri della casa. Millemosche si stufa di stare lì senza far niente. Una volta tenta anche di aiutarli col braccio sinistro perché con quello destro qualcuno potrebbe fargli la spia e dirlo al capitano, ma loro prendono i sassi che gli offre e li rimettono nello stesso posto dov'erano prima. E allora lui se ne va via da solo perché non trova più nessuno che parla con lui. Pannocchia e Carestìa invece parlano fra loro che è una bellezza."Ho sentito dire che ci vogliono anche le finestre. ""Io non le farei. Dalle finestre entrano i pipistrelli le civette le zanzare le cornacchie e le bisce. ""Le bisce entrano piuttosto dalla porta che dalla finestra.""Infatti è per questo che non abbiamo fatto nemmeno la porta.""La casa che facciamo noi deve somigliare a una prigione.""La prigione è la più bella casa che ci sia. Tra l'altro quando sei in prigione ti passano sempre un pezzo di pane e un po'"d'acqua tutti i giorni.""Sì, però delle volte ti bastonano e ogni tanto ti impiccano.""Questo succede anche se cammini per la strada.""Però per la strada puoi scappare.""Abbiamo detto che non facciamo né porte né finestre. Come fanno a entrare?""Chi?""Quelli che ci vogliono bastonare. Io credo che non entrano.""E se per caso entrano?""Noi scappiamo." "Bravo merlo, e dove passiamo se non ci sono né porte né finestre?""È molto semplice, passiamo dove sono passati loro.""Meno male, allora siamo salvi."Ormai la casa è alta abbastanza. È ora di chiuderla. Pannocchia e Carestìa mettono dei pali di traverso da un muro all'altro e sui pali appoggiano un po'"di tutto per fare il tetto. Lastre di pietra tavole di legno pezzi di corazze rotte. Una

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casa senza tetto non è neanche una casa, dice Pannocchia, come un uomo senza cappello, perché ci piove dentro.Mentre lavorano là in cima a fare il tetto vedono da lontano nella pianura una nuvola di polvere e dentro la nuvola quattro o cinque cavalieri al galoppo.Vengono a fermarsi proprio vicino alla casa di Pannocchia e Carestìa e li guardano curiosi alzando le celate. Il più importante dei cavalieri è il principe di Roccaprebalza famoso da tutte le parti. Ma Carestìa e Pannocchia fanno fatica a riconoscere un principe da un cavaliere qualsiasi. E non sanno che tutto dipende da lui, anche il capitano di ventura e anche i soldati i carriaggi1 e tutte le tende del campo. E non sanno neppure che il principe è venuto a controllare l'andamento dell'assedio e che è furibondo perché il capitano e i suoi mercenari non sono ancora riusciti a conquistare il castello. Guardano il principe a tu per tu come se anche loro fossero a cavallo e infatti sono alla stessa altezza."Che cosa state facendo?""Una casa.""Allora avete intenzione di stare qui molto tempo. ""Più che si può.""E il castello quando pensate di conquistarlo?""A noi del castello non ce ne importa proprio un cavolo. Basta che ci buttano giù ancora un po'"di sassi e magari delle tavole per coprire meglio il tetto.""E che altri progetti avete?""Fare un orto e un pollaio per coltivare le galline e l'insalata.""E poi?""Col tempo qualche albero di mele.""È così che fate la guerra?""Questa è la guerra che preferiamo."Il principe da un colpo di sprone 2 al cavallo e attraversa l'accampamento spaventando uomini e animali.

NOTE.1. carriaggi: erano i carri al seguito dell'esercito, in cui si trasportavano le vettovaglie.2. colpo di sprone: vuol dire stimolare con lo sperone il cavallo.

L'OCCHIO DEL PADRONE

Il principe di Roccaprebalza entra nella tenda del capitano e lo trova seduto a tavola che sta mangiando un'oca. Millemosche è legato alle sue spalle e adopera la mano destra con bravura. Il capitano, che ha l'occhio sempre attento alla porta, si alza in piedi di scatto tirandosi dietro anche Millemosche con la forchetta in mano, poi con la sinistra cerca di buttare a terra tutte le ossa e gli altri avanzi della mangiata. E intanto manda giù il boccone alla svelta mentre Millemosche da la mano al principe e il principe gli da la sua credendo di darla al capitano. Ma c'è qualcosa che non va e poi ci sono altre cose che non vanno."E quello chi è?""Nessuno.""Come nessuno?""È il mio braccio destro. Ho perso il braccio in battaglia e ho pensato di sostituirlo.

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""Quale battaglia?""Per la conquista del castello.""Ma non lo avete conquistato.""C'è mancato poco.""Questo assedio va troppo per le lunghe, capitano. E intanto i vostri soldati si costruiscono case di pietra e coltivano l'insalata.""Si tratta di un nuovo piano che ho inventato io.""Quale piano?""Le case. Costringiamo il nemico a buttarci i sassi addosso e con quelli costruiamo un paese. Così alla fine della guerra voi avrete due paesi. Settecamini di Sopra, che sarebbe il castello con le case dentro le mura, e Settecamini di Sotto che è quello che stiamo costruendo.""Non dite stupidaggini. I sassi sono sempre quelli. Se costruite Settecamini di Sotto vuol dire che Settecamini di Sopra scompare.""Siccome dopo le case costruiremo anche le mura, alla fine ci troveremo dentro a un castello identico a quello che volevate conquistare.""Ma io vi pago per prenderlo con le armi. Voi siete dei soldati mercenari, non dei muratori."Millemosche si sbaglia e batte con il pugno sul tavolo sottolineando le frasi del principe invece di quelle del capitano, sbalordendo sia il principe che il capitano. Ormai che ha preso la spinta continua a battere con violenza e a un certo punto il capitano, incitato dal braccio che si muove a mulinello tagliando l'aria in modo minaccioso, dice che vuole rispetto per sé e per i suoi soldati e che lui non è un muratore ma un capitano di ventura coi fiocchi e che se ne infischia dei suoi soldi.D'improvviso il braccio di Millemosche perde la testa e si abbatte con uno schiaffo violento sulla faccia del principe di Roccaprebalza che salta sui piedi e sguaina la spada. Il capitano si tira indietro subito."Non sono stato io.""Come non siete stato voi? E chi è stato?""Il mio braccio destro.""E allora vi ordino di punirlo.""Giuro che lo punirò.""In che modo?""Per dimostrarvi che sono un uomo d'onore metterò la mano destra sul fuoco di fronte a tutti i miei soldati."A questo punto salta fuori la testa di Millemosche per dire che lui non è d'accordo. Ma nessuno lo sta a sentire. Il capitano esce dalla tenda tirandoselo dietro e incomincia a dare ordini sollevando un gran polverone fra i soldati e i cavalli. Tutto questo serve a gettare fumo, cioè polvere, negli occhi al principe e per dimostrargli che quando il capitano da un ordine l'accampamento si mette in moto come una macchina. Ma in mezzo a tutta questa confusiò ne c'è qualcuno che trova un braciere e qualcun altro che vi accende dentro il fuoco e questa è una brutta notizia per Millemosche.

IL FUOCO SCOTTA

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In mezzo a tutta questa polvere e a questa confusione gli unici a starsene tranquilli in disparte sono Pannocchia e Carestìa che finiscono di chiudere il tetto della loro casa. Sono in piedi su una traversa di legno e cercano di tappare l'ultimo buco dal di dentro con un pezzo di corazza. Quando hanno finito di inchiodarlo tra due travi, si trovano al buio e chiusi dentro la casa. Con un salto saltano a terra e vanno a rannicchiarsi in un angolo appoggiando la schiena al muro."Adesso se tira il vento o piove o fa la neve noi possiamo anche metterci a ridere.""Speriamo che piova e che cadano i fulmini sulla testa di tutti quei vagabondi che non hanno una casa.""Speriamo che venga anche il terremoto.""E poi la grandine come sassate.""E una bella inondazione.""Qui siamo al riparo anche dalla peste.""Sei sicuro?""Qui non entra neanche la fame che entra dappertutto. "Questo è lo sbaglio, di nominarla. Come la nomini arriva subito e ti salta addosso come una belva. Passa attraverso i muri, scavalca le montagne, viaggia di notte e di giorno sia con il caldo che con il freddo e la pioggia. Allora Pannocchia e Carestìa fanno la pace con Millemosche e si mettono a chiamarlo con tutta la voce che hanno. Ma Millemosche in questo momento sta passando un brutto momento.Il braciere è pronto in mezzo all'accampamento e le fiamme hanno consumato la legna riducendola in braci ardenti. Il principe di Roccaprebalza e tutti i soldati aspettano che il capitano metta la mano destra sul fuoco come aveva promesso di fare. Nel silenzio squillano le trombe. Il braccio destro però non ha nessuna voglia di alzarsi e resta teso lungo il fianco. Visto che da solo non si muove, il capitano lo afferra con la mano sinistra e cerca di metterlo sulle fiamme del braciere. Millemosche urla come un cane abbaia quando la ruota di un carro gli schiaccia la coda, anche se lui per dire la verità la coda non ce l'ha e non ce l'ha mai avuta. Da uno strappo violento per confondere il capitano, gli fa lo sgambetto, si rotola a terra con lui e finalmente riesce a svincolarsi dalle cinghie che lo tenevano legato e si mette a scappare fra le tende inseguito dai soldatagli. Raggiunge la casa di Pannocchia e Carestìa e sale sul tetto e dopo aver tolto alcuni sassi si lascia cadere nell'interno sulle spalle dei due amici che stanno aspettando al buio chissà che cosa e chissà chi sei?Millemosche non ha nemmeno la voce per rispondere. Si aggrappa a loro e cerca di chiudergli la bocca con le mani perché tutt'attorno alla casa ci sono i soldati a piedi e a cavallo che lo stanno cercando. Si sentono le loro voci, gli ordini i richiami i sacramenti. Pannocchia e Carestìa sono lì con la bocca tappata da Millemosche e sanno benissimo che quelli di fuori se li trovano insieme li ammazzano tutti e tre. Allora èmeglio stare con la bocca chiusa senza tirare il fiato e magari chiudere anche gli occhi e le orecchie e tutti gli altri buchi. E scappare appena si può scappare. Peccato proprio adesso che hanno una casa. Questo succede per colpa di Millemosche. Così, quando i soldati si allontanano per andarlo a cercare da un'altra parte, Pannocchia e Carestìa lo coprono di insulti e di scaracchi.

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"Brutto assassino delinquente.""Ci tieni prigionieri senza darci nemmeno un pezzo di pane e un po'"d'acqua.""Non sono io che vi tengo prigionieri.""E allora chi è?""Quelli dell'accampamento. ""Anche tu sei uno di quelli.""Adesso non lo sono più, sono scappato via.""Via dove?""Con i miei amici Pannocchia e Carestìa.""Non raccontare balle. Pannocchia e Carestìa siamo noi.""E io sono Millemosche. Adesso siamo tutti e tre insieme un'altra volta.""E allora che cosa facciamo?""Facciamo quello che abbiamo sempre fatto, scappiamo. "Millemosche si affaccia con la testa sul tetto a guardare che cosa sta succedendo fuori. E poi esce dal buco dove è entrato, seguito dagli altri due. Saltano a terra e si mettono a camminare gattoni tenendo gli occhi chiusi per non essere visti. Si sentono dei cavalli in arrivo, c'era da aspettarselo. Allora si infilano tutti e tre dentro una botte e chiudono il coperchio. Restano lì senza fiatare fino a quando i cavalli si sono allontanati.Una botte è un bel posto per nascondersi manon per viverci tutta la vita anche se la vita, in una situazione come questa, è meglio perderla che trovarla. Incominciano a discutere su quello che conviene fare e discutendo si agitano mi po'"troppo così che la botte si mette a rotolare sul terreno in pendenza. Preso l'avvio, aumenta di velocità a vista d'occhio e fa dei gran balzi schiacciando sassi e ramaglie. Millemosche Pannocchia e Carestìa si riparano la testa con le mani e con le braccia perché i contraccolpi sono peggio dei pugni e dei calci.La botte salta un fosso butta giù una siepe da uno scrollone a un albero facendo cadere a terra una pioggia di mele che si mettono a rotolare anche loro. Arriva a gran velocità ai piedi di una collina e per la spinta si mette a rotolare anche in salita e raggiunge il culmine, lo supera e riprende a scendere veloce lungo l'altro versante in direzione di un fiume. Finalmente fa un gran volo sopra un cespuglio di salici e con un tonfo va a cadere in acqua. Millemosche Pannocchia e Carestìa, tutti ammaccati e aggrovigliati sul fondo, adesso non parlano più perché credono di essere affogati e hanno perso la cognizione delle cose.Fuori c'è un gran silenzio, solo qualche uccello ogni tanto e qualche cicala da lontano. Il fiume si muove tortuoso e lento in mezzo a montagne verdi e colline bianche come se andasse a fare una passeggiata.

OCCHIO PER IL MERLO NERO

Si può dormire benissimo dentro una botte accovacciati tutti e tre sul fondo, dondolati dalla corrente del fiume sul quale la botte sta navigando al tramonto portata dalla corrente e sospinta da un vento leggero. I tre che stanno dormendo sul fondo della botte che sta navigando sul fiume al tramonto portata dalla corrente e sospinta da un vento leggero sono Millemosche Pannocchia e Carestìa.Arriva un merlo nero e si va a posare sull'orlo della botte facendo volare via quattro passeri una farfalla un ragno. Il ragno veramente non vola via ma si butta

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in acqua e cammina sull'acqua del fiume come Gesù sull'acqua del mare. Il merlo nero da quando ha assaggiato l'occhio umano non mangerebbe niente altro al mondo. Preferisce quelli azzurri, sono i migliori, più dolci e più teneri ma anche i più rari in queste regioni. O se no quelli neri o quelli neri neri. Sono un po'"duri ma hanno molto sapore. Adesso guarda dentro la botte e non sa da dove incominciare, ha sei occhi lì davanti e questo significa una mangiata discreta, ma sono tutti chiusi. Finalmente prende la mira, salta dentro la botte e da una gran beccata. Si sente un urlo altissimo che rimbomba come dentro una campana e sale dritto verso il cielo. Il merlo nero vola via spaventato. Pannocchia e Carestìa si svegliano di soprassalto mentre Millemosche si porta una mano all'occhio beccato e con l'altro si mette a piangere grossi lucciconi e mille maledizioni."Chi è stato?""A fare cosa?""A cavarmi un occhio!""Io dormivo.""Io anche.""Che gli venga la lebbra fulminante a chi è stato!""Sarà stato un uccello.""E allora che gli venga la lebbra all'uccello!""Con un occhio in meno non si muore.""Se non muoio divento guercio.""Meglio guercio che niente.""Ma lo sai che un guercio vede tutto a metà? Se guardo una mela vedo solo mezza mela, se guardo una donna lo stesso, un porco lo stesso vedo solo mezzo porco.""Pazienza. Vuoi dire che vedrai a metà anche un brigante che ti corre dietro, un lupo che ti vuole mangiare, un temporale con i lampi e i tuoni. ""Lo dite per consolarmi. Un uomo con un occhio di meno non è più un uomo intero.""Ma guarda che l'occhio ce l'hai ancora. È un po'"massacrato ma ce l'hai ancora."Anche se il dolore è molto forte, Millemosche è contento di avercelo ancora il suo occhio. Lo apre con fatica e vede tutto rosso ma Carestìa lo consola dicendo che è meglio rosso che niente. Certo che bisogna stare attenti d'ora in avanti a non mettersi mai a dormire dove ci sono degli uccelli. Uno pensa sempre agli uccelli come una cosa da mangiare e invece succede all'incontrario, sono loro che ti mangiano o perlomeno ti manSTORIE DELL'ANNO MILLE109giano un occhio. L'ideale sarebbe mettersi a dormire soltanto al chiuso, possibilmente dentro una casa o anche in un fienile. Mai sotto un albero perché sugli alberi ci sono gli uccelli. Ma qui non siamo sotto un albero."E allora dove siamo?""Nel Medioevo.""Questo lo so. Io dicevo come posto.""Sembra una botte.""Se è una botte può darsi che sia piena di vino.""Qui c'è il tappo. Se lo togliamo forse viene fuori il vino."

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"Fammi pensare un momento: siccome noi siamo dentro la botte, allora come fa a venire fuori il vino? Al posto del vino ci siamo noi.""Io dico che se noi siamo al posto del vino vuoi dire che il vino sarà al nostro posto e quindi è lo stesso.""Non è lo stesso.""Allora secondo te se togliamo il tappo veniamo fuori noi invece del vino? Lo capisci anche tu che non può essere così. Io dico che al di là del tappo c'è il vino.""E com'è questo vino? Rosso o bianco? Io preferisco quello rosso.""Se non ci decidiamo a togliere il tappo non lo sapremo mai, e magari finisce che se lo beve qualcun altro.""Secondo me non viene fuori niente.""Viene viene."Millemosche deve spostarsi per liberare il tappo. Va a mettersi al posto di Carestìa e Carestìa al posto di Pannocchia. Adesso sul tappo ci sta seduto Pannocchia. Lo fanno alzare in piedi dentro la botte che traballa malamente. Millemosche mette un piede al posto della testa, la testa al posto del ginocchio, il ginocchio al posto della mano e la mano sul tappo. Prova a girarlo a tirarlo a dargli dei colpetti per smuoverlo. Il tappo è calcato forte e non si smuove. Invece salta via improvvisamente e arriva uno schizzo d'acqua che li bagna tutti e tre. Millemosche schiaccia il palmo della mano contro il buco altrimenti la botte si riempirebbe d'acqua in un momento, ma un po'"si riempie lo stesso."È acqua, che vi venga la lebbra a tutti e due! ""Rimetti subito il tappo se no andiamo a fondo.""Non lo trovo più. Però ho trovato un pesce.""Ma che pesce, è il mio piede."Millemosche toglie il piede dell'altro e ci mette il suo calcagno che è il miglior calcagno del mondo, soprattutto per tappare i buchi.

LA PESTE ALLA FINESTRA

La botte procede sulla corrente in mezzo a una zona paludosa, poi fra boschi di pioppi alti alti, passa anche sotto a un ponte e poi in mezzo a un paese ma deve essere disabitato perché non si vede e non si sente anima viva. Millemosche Pannocchia e Carestìa gridano e chiamano a gran voce ma nessuno si affaccia come se fossero tutti scappati via oppure morti per la peste o per il colera. Finalmente vedono una finestra aperta e una vecchia affacciata, con la testa china come se li guardasse. La chiamano, ma la vecchia non si muove e non risponde. Pannocchia allora si mette i diti in bocca e fa un fischio fortissimo che trapàna l'aria. Niente. I tre si guardano in faccia e non hanno il coraggio di dire quello che pensano. Un branco di corvi gira alto sopra le case gracchiando e ogni tanto qualcuno piomba in basso e entra da una finestra. Che cosa va a fare? Sull'acqua galleggia qualche topo morto e qualche gatto morto. Un cane con la pancia gonfia e gli occhi di fuori. Una pecora. Millemosche Pannocchia e Carestìa restano qualche momento in silenzio, poi i loro pensieri vengono fuori tutti in una volta."Ho sentito che la peste cammina con i topi e altri animali da un paese all'altro e da una casa all'altra attraverso la terra.""E io ho sentito che cammina anche attraverso l'acqua del mare e quella dei

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fiumi.""E anche attraverso l'aria che respiriamo. Bisognerebbe non respirare, almeno tanto che attraversiamo il paese.""E i polmoni?""Li tieni fermi per un po'. Uno può tenere fermi i polmoni come si possono tenere ferme le mani o le gambe."Millemosche Pannocchia e Carestìa trattengono il fiato. Diventano rossi in faccia e poi violetti e alla fine stanno passando dal violetto al nero. Quando vedono che finalmente sono lontani dal paese riprendono a respirare ingoiando più aria che possono e la trovano buona e dolce come la carne di maiale."Meno male che non abbiamo preso la peste.""Sei sicuro?""Sicurissimo. Gli appestati non sono come noi, si riconoscono subito.""Come si fa a vedere se uno ha la peste?""Intanto l'appestato ha i campanelli legati ai piedi.""E poi?""E poi l'appestato ha la peste e noi non abbiamo niente.""Meno male, l'abbiamo scampata bella."La botte ha infilato un canale che porta l'acqua a un mulino là in fondo circondato da pioppi altissimi e sberluccicanti. C'è una grande ruota di legno a pale che gira spinta dall'acqua perché si tratta di un mulino molto moderno dove l'acqua ha preso il posto dell'asino, cioè è lei e non l'asino che fa ancfare la macina. Il canale scende verso il mulino sempre più veloce trascinando la botte. Millemosche Pannocchia e Carestìa si accorgono che sta succedendo qualcosa quando questo qualcosa è già successo, cioè la botte è andata a sbattere contro un pilone di sassi e si è sfasciata completamente scaraventandoli in acqua. Non riescono nemmeno a gridare perché l'acqua gli entra nella bocca nelle orecchie negli occhi e in molti altri posti. Cercano di aggrapparsi all'acqua per non affogare. Millemosche riesce a montare a cavallo della grande ruota che continua a girare e lo solleva in aria lanciandolo sul tetto del mulino. Si sente un gran rumore di tegole rotte e un urlo scannato. Millemosche sprofonda nel vuoto. Pannocchia e Carestìa si aggrappano anche loro alla ruota e volano in aria andando a finire dove è andato a finire Millemosche.

O ANGELI O DIAVOLI

Uno stanzone tutto bianco di farina, grandi ragnatele, quattro mole che girano macinando il grano e da una parte un cassone pieno di farina. Come tre sassi uno dopo l'altro Millemosche Pannocchia e Carestìa piombano giù dal soffitto e vanno a cadere dentro il cassone della farina sollevando una nuvola bianca. Una donna che sta vicino a una macina si mette a urlare a scannagòla mentre i tre si agitano dentro al cassone. Sono tutti grondanti d'acqua e perciò la farina gli si impasta addosso imbiancandoli dalla testa ai piedi. Mezzo cecati e Millemosche più guercio che mai, escono dal cassone e a tentoni cercano una via d'uscita. Si mettono a correre da una parte all'altra sbattendo contro i muri e le porte mentre la donna scappa si nasconde chiama aiuto. In mezzo al polverone di farina arriva il marito che scende da una scaletta di legno con in mano un grosso bastone.

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Sembra zoppo ma non lo è. Uno zoppo fa sempre più paura di uno con le gambe sane e Millemosche a forza di toccare e di muoversi dentro lo stanzone riesce finalmente a trovare la porta. Si butta fuori a testa in avanti seguito dagli altri due. L'uomo scende di corsa gli ultimi gradini e corre fino alla porta ma invece di uscire a inseguire i tre, la chiude di colpo e poi la ferma con un pesante catenaccio, bravo merlo."Bravo merlo, li hai lasciati scappare!""Chi erano?""Non lo so, forse dei diavoli. Erano tutti bianchi e sono venuti giù dal cielo.""Se erano bianchi e sono venuti giù dal cielo forse erano degli angeli.""No no, gli angeli non possono avere delle facce come quelle. Erano magrissimi. Gli angeli sono grassi."Chi ti ha detto che gli angeli sono grassi?""Lo sanno anche i cani che gli angeli sono grassi e hanno le ali.""Volavano?""No, sono caduti giù a corpo morto.""Eppure secondo me se sono venuti giù dal cielo erano degli angeli.""Ma non vedi che hanno sfondato il tetto? Gli angeli sono leggerissimi e volano. Quelli erano diavoli, te lo dico io. Dovevi prenderli.""E tu vuoi che io mi metta a combattere con i diavoli? Ma lo sai che se un diavolo ti soffia addosso ti spedisce dritto all'inferno in un momento? E se per caso erano angeli e li prendevo a bastonate che cosa mi sarebbe successo?"L'uomo controlla il catenaccio della porta e poi va a chiudere meglio una finestra perché, angeli o diavoli, quei tre gli hanno buttato all'aria tutta la farina e gli hanno sfondato il tetto e quindi meglio fuori che dentro.

SI MANGIA

Sarà un caso ma ogni volta che Millemosche Pannocchia e Carestìa trovano qualcosa da mangiare c'è sempre il padrone li vicino o se non c'è salta fuori subito dopo. La gallina il porco il bue la pecora il cavallo hanno sempre un padrone. Il pane la polenta la farina, lo stesso. Anche le mele le zucche i ceci le fave hanno un padrone, però qualche volta è abbastanza lontano e qualche volta dorme. Il padrone degli animali invece non dorme mai. Se per caso dorme e si sveglia all'improvviso perché il ladro ha fatto rumore, allora è il più cattivo di tutti. È capace di ammazzarti come ridere. Ancora ancora per un porco o per un bue ma morire per un'oca o una gallina è una gran brutta morte. Resta il fatto che mangiare è molto difficile e quando uno non mangia da un po'"di tempo è difficile anche scappare per via delle gambe che non stanno in piedi. Millemosche Pannocchia e Carestìa però scappano lo stesso, bianchi come tre fantasmi, al buio, per una strada di campagna che va a finire in mezzo a una boscaglia.Uccellacci notturni volano via spaventati sbattendo le ali al loro passaggio. I tre si fermano in mezzo al bosco a pensare. Il pensiero è questo: gli uccelli sono buoni da mangiare, anche quelli notturni tipo civette gufi e pipistrelli. Con il vantaggio che non hanno un padrone."Allora perché non accendiamo un bel fuoco e ci facciamo arrostire uno di questi uccellacci?""Prima bisognerebbe prendere l'uccellaccio."

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"Va bene l'uccellaccio, ma come facciamo a farlo arrostire se non abbiamo il fuoco?""D'accordo accendiamo il fuoco, ma quando l'abbiamo acceso che cosa facciamo arrostire?""L'uccellaccio.""Quale uccellaccio?""Come faccio a saperlo prima di averlo preso? "Millemosche Pannocchia e Carestìa si fermano a raccogliere degli sterpi secchi e della legna per accendere il fuoco. Poi alla luce delle fiamme si mettono a correre dietro agli uccellacci, li vanno a stanare dai cespugli dove stanno dormendo, fanno dei gran salti in aria ma ritornano giù sempre a mani vuote. Il fatto è che gli uccellacci volano. Allora ritornano tutti e tre vicino al fuoco. C'è già la brace e la cenere al punto giusto. Si mette giù l'uccellaccio con le penne e tutto, poi si copre con la cenere bollente e si lascia lì pochi minuti. Quando si scopre, le penne sono bruciate e l'uccellaccio è pronto da mangiare. Non si butta via niente, si mangia la testa e si mangiano anche le budelle perché sono piene di grani di ginepro e anzi sono molto profumate e danno profumo anche al resto. Seguendo il filo dei pensieri, Carestìa si mette a scavare sotto la cenere ma l'uccellaccio non c'è più."Chi lo ha preso?""Che cosa?""L'uccellaccio.""Guarda che ti sbagli."Carestìa guarda con odio quei due ladri di Millemosche e Pannocchia. Secondo lui lo hanno imbrogliato, non sa come ma in qualche modo. Si strappa di testa il berretto impastato di farina e lo butta in terra con rabbia. Il berretto. Ma adesso Carestìa si mette a ridere perché gli è venuta in mente una cosa che lo fa ridere di contentezza."Io avrei in mente una bella idea.""Che cosa?""Non so se ve la dico.""Dicci almeno di che cosa parla questa idea. Parla di mangiare?""Sì.""E allora dilla.""Sarebbe questa: fare cuocere il berretto e poi mangiarlo. "Il berretto di Carestìa è impastato di farina e ha lo spessore del dito pollice di un piede. Ha già la forma tonda di una focaccia. Ha anche un bel buco nel mezzo. Sembra fatto apposta per essere cotto e mangiato. Carestìa lo mette sulla brace mentre Millemosche e Pannocchia lo stanno a guardare con gli occhi. Millemosche fa uno scaracchio 1 a tutti gli uccellacci che stanno nel cielo o nascosti tra i cespugli e che non si sono lasciati prendere, poi si inginocchia e si mette a soffiare sulla brace per ravvivarla. Un profumo di focaccia abbrustolita viene su dal berretto e annebbia la mente di tutti e tre ma Carestìa si rismuove subito e solleva la focaccia, cioè il berretto, per vedere se è già cotta. Non ancora. Aspettando aspettando incominciano tutti e tre a far andare la lingua e a mandare giù la saliva. Poi Carestìa prende uno stecco e rigira il berretto, cioè la focaccia, per farlo cuocere anche dall'altra parte. Quando è ben cotto lo infilza e lo mette

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su un sasso. Sono molto confusi tutti e tre all'idea di poter finalmente mangiare una cosa. Però lo sapevano che un giorno o l'altro sarebbe successo. Millemosche tira fuori un coltello e dice adesso facciamo metà per uno e gli altri due fanno segno di sì con la testa senza fiatare. Allora incomincia in silenzio a tagliare la focaccia, cioè il berretto, in due parti uguali. Con una certa fatica perché dentro la pasta c'è la stoffa. Millemosche si prende la prima metà, poi taglia l'altra metà in due parti uguali e ne da una a Carestìa e una a Pannocchia."Metà a me, metà a te, e metà a te.""Guarda che la mia metà è più piccola della tua.""Anche la mia metà è più piccola, che ti venga la lebbra!"."Allora rifacciamo da capo: metà a me, metà a te, e metà a te."Millemosche ripete la divisione talis et qualis come prima. Carestìa e Pannocchia si rendono conto che c'è qualcosa che non va ma non riescono a capire dove sta l'errore. Rigirano fra le mani i loro pezzi di berretto, cioè di focaccia, e li confrontano con quello che Millemosche tiene stretto fra le sue."Non capisco perché la mia metà è più piccola della tua.""Sarà l'effetto della fame. Non è la prima volta che la fame ti fa dei brutti scherzi.""Anche la mia metà è più piccola.""Ne parliamo dopo mangiato. Quando avete fame non siete più capaci di ragionare."Millemosche addenta alla svelta il suo pezzo di focaccia croccante, cioè di berretto croccante, e incomincia a masticare. Carestìa e Pannocchianon sono per niente convinti di questa divisione e avrebbero voglia di questionare ma non resistono più e si mettono in bocca i loro pezzi. Sono buonissimi e li mandano giù in quattro boccate. Poi si guardano in faccia tutti e tre. Poi si guardano le mani. Sono vuote."Io ho ancora fame.""Anch'io.""Cioè io ho più fame di prima.""Proviamo a dormire così ci dimentichiamo la fame.""Ma io quando ho fame non riesco a dormire per via dello stomaco.""E io per via della pancia.""Quando dormi dormi e non hai più fame. Proviamo a dormire, provare non costa niente."I tre si buttano giù raggomitolati sull'erba e chiudono gli occhi. Ma Carestìa continua a far andare le mascelle, non riesce a fermarle. Si sentono i suoi denti che scricchiolano a vuoto. Millemosche non riesce a chiudere del tutto l'occhio beccato dal merlo nero e allora ci tiene sopra una mano, poi distende le gambe come se dormisse ma lo sa anche lui che non dorme. Pannocchia apre un occhio per guardare Carestìa."E smettila di masticare.""Io mastico fin che mi pare.""Abbiamo deciso di dormire, no? E allora stai fermo con i denti.""State zitti che io sto dormendo. Ho il sonno leggero e se parlate mi sveglio subito.""Se parli è segno che non dormi neanche tu.""Parlo perché mi avete svegliato, altrimenti dormirei."

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"Va bene, io non dico più niente però devi incominciare tu a dormire.""Ecco, io mi sono già addormentato.""Non ci credo.""Giuro che dormo come un sasso.""Lo dici come se fossi capace solo tu di dormire. Guarda, dormo anch'io e dormo anche più di te.""Allora stiamo dormendo tutti e tre. Stiamo zitti se no ci svegliamo."

NOTE.1. scaracchio: sputo.

LA MUCCA E CIOÈ LA VACCA

Millemosche Pannocchia e Carestìa stanno ancora dormendo raggomitolati sull'erba e non si sa quanto tempo è passato. Il cielo è rosso e dev'essere l'alba o il tramonto, uno dei due. Andrebbero avanti a dormire ancora chissà quanto ma d'improvviso risuona lì vicino un campanaccio. I tre si svegliano di soprassalto e dopo alcuni movimenti confusi aprono gli occhi. Prima di tutto si meravigliano di essere vivi e di essere quelli che sono e cioè Millemosche Pannocchia e Carestìa. Poi si meravigliano di vedere li a due passi una mucca grassa e lucida che li guarda con occhi mansueti. Si guardano in faccia colpiti dallo stesso dubbio finché Millemosche si distende di nuovo sull'erba tranquillamente, come se niente fosse."Non illudiamoci come al solito. Stiamo sognando. ""Tu che cosa sogni?""Una vacca bianca e grassa.""Anch'io.""E io anch'io.""Ma com'è possibile che tutti e tre stiamo sognando la stessa cosa?""Succedono di queste combinazioni ogni tanto"."Non potrebbe essere un altro che ci sta sognando? ""Come sarebbe?""Cioè siamo andati a finire dentro al sogno di qualcuno.""E chi sarebbe questo tale?" __"Non lo so, uno che ci conosce.""E se è un altro che ci sogna, noi dove siamo in questo momento?""Dove ci siamo fermati a dormire.""Allora qui, perché ci siamo fermati qui. Quindi se siamo qui siamo noi.""Che c'entra? Uno ci può sognare dove vuole lui, qui o in un altro posto, con la vacca o senza la vacca. ""Allora io dico che questa vacca è troppo grassa per essere vera. Una vacca così grassa non esiste. I sogni fanno di questi scherzi, fanno sembrare tutto più bello e più grasso. ""Io vado a toccarla.""E quando l'hai toccata?""Se è viva è segno che non stiamo sognando.""Anche nei sogni le cose sembrano vere, poi ti svegli e ti accorgi che hai sognato e basta.""Io dico che stiamo sbagliando tutto. La domanda che dobbiamo farci è questa:

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abbiamo fame sì o no?""Sì.""E allora io dico che è ridicolo patire la fame anche dormendo. Ce la mangiamo in sogno."Carestìa ha ragione, deve riconoscerlo anche Millemosche. Si alzano tutti e tre e avanzano verso la mucca con le mani spalancate. Le mani si posano sul dorso sulla pancia e sul testone della bestia. La carezzano e la palpano come per misurarne la grossezza e la grassezza."È una gran bella bestia.""Se è un sogno è un gran bel sogno.""Però non facciamo come con il berretto. Questa volta le divisioni le facciamo meglio.""Am am.""Ci facciamo tante salsicce, tutte lunghe uguali. Ce ne verranno più di duecento. Quanto fa duecento salsicce diviso tre?""Le salsicce è sbagliato, quelle si fanno con il porco. Con la vacca si fanno le bistecche.""Ci verranno duecento bistecche?""Anche di più.""Facciamo duecento. Quanto fa duecento bistecche diviso tre?""Io i conti li so fare se ho le bistecche davanti. Così a mente non ci riesco. "Nascosto dietro un albero c'è un contadino che guarda i tre uomini bianchi che brigano intorno alla sua mucca. Il contadino, cioè il padrone della mucca, si stropiccica gli occhi due o tre volte perché non ci crede a questi uomini così bianchi e così magri. Ma che cosa hanno in mente di fare? E chi sono? Così magri e così bianchi. Da dove vengono? Il contadino si calca in testa il cappello e scappa via come il vento.

LE CORNA DEL DIAVOLO

Nella piazzetta del paese sono radunati i paesani. In mezzo a questi c'è il padrone della mucca e c'è anche il padrone del mulino con sua moglie. Poi c'è il prete con tre donnette. Il maniscalco con due garzoni. Meno il prete e le tre donnette sono tutti armati di forconi e bastoni. Il maniscalco invece ha una spada con la lama storta che gli hanno portato a raddrizzare. Il prete ha in mano un Crocefisso di ferro battuto che impugna come un martello tenendo Gesù con la testa all'ingiù. Le tre donnette borbottano qualcosa, forse pregano. Gli altri parlano tutti insieme e ogni tanto qualcuno si fa il segno della Croce."Li ho visti bene. Sono tre fantasmi tre anime dannate.""Avevano le corna?""Sì, lunghe così.""Allora sono tre diavoli dell'inferno.""I diavoli sono neri e questi invece sono bianchi.""Se hanno le corna sono diavoli. Anche i buoi ci sono quelli neri e quelli bianchi a seconda della razza.""Ha ragione lui. Se fossero anime dannate non mi avrebbero rubato l'animale perché le anime non mangiano. I diavoli invece sono dei ladri famosi, portano le bestie all'inferno e le arrostiscono sulle fiamme."

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"Avevano la coda?""Sì, e in fondo alla coda un rampìno.""Sono piovuti giù dal cielo come tre fulmini. Ho visto una grande nuvola di fumo e poi dei lampi e sono volati via facendo tremare tutta la casa.""Hanno detto qualcosa?""Mi sembra di avere sentito delle parole in latino.""E tu sai il latino?""No.""Sentiamo il prete che cosa dice.""Io dico che si tratta di tre indemoniati. Bisogna cercarli prenderli e bruciarli sul rogo subito."I paesani con il prete in capotesta arrivano vicino al bosco dove Millemosche Pannocchia e Carestìa hanno acceso un gran fuoco per cuocere la mucca. Millemosche ha in mano un carbone e sta facendo una riga nera tutto intorno a una coscia dell'animale. Pannocchia corre dall'altra parte e segna l'altra coscia. Carestìa segna alla svelta tutte e due le spalle. Saltando da una parte all'altra i tre segnano con il carbone la schiena la pancia la testa la coda e tutto il resto fintante che la mucca è tutta coperta di righe nere. E intanto stanno a litigare."Questo pezzo è mio.""E questo è mio.""La schiena l'ho segnata prima io.""Da quella partelì è tua ma da questa l'ho segnata io." """"La lingua è mia. Guai a chi la tocca la lingua.""Io ho segnato tutta la testa e quindi la lingua è mia perché sta nella testa.""La lingua sta nella bocca.""Bravo. Anche la bocca sta nella testa.""Allora mi prendo la coda che è anche meglio della lingua.""Io ho segnato la pancia e quindi tutto quello che c'è dentro è mio.""Nella pancia c'è solo la trippa.""Il fegato il cuore e i rognoni dove sono?""Quelli sono nel petto ma il petto è mio.""Eppure ci dev'essere qualcosa anche nella pancia. ""Te l'ho detto c'è la trippa.""Vedremo."Sempre continuando a litigare, Millemosche Pannocchia e Carestìa preparano un grosso cavalletto sopra al fuoco per far cuocere i pezzi della mucca. La quale forse incomincia a capire e da degli strattoni all'albero dove l'hanno legata. Poi alza la testa e fa un gran muggito come se volesse chiamare aiuto aiutatemi."È meglio ammazzarla, subito, prima che arriva qualcuno.""Tocca a te che sei cavaliere e hai più pratica di noi. Tu hai fatto la guerra per tanti anni.""Ve l'ho già detto un'altra volta, se si tratta di ammazzare un cristiano non sarebbe niente ma una vacca non me la sento. È meglio che facciamo la conta e a chi tocca tocca.""Stai attento a non fare imbrogli come con il berretto.""An dan des che te mane puta pes an dan des. Tocca a te.""No no, ti sei sbagliato. Ho visto benissimo che mi hai contato due volte.""Va bene rifacciamo. An dan des che te mane puta pes an dan des."

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FUOCO E FIAMME

Camminando in punta di piedi e nascondendosi uno dietro l'altro e l'altro dietro gli alberi, i paesani e i contadini armati di forconi e bastoni, il prete con le tre donnette, il maniscalco con i due garzoni si avvicinano passo passo al fuoco intorno al quale stanno Millemosche Pannocchia e Carestìa sempre più incarogniti nella discussione su chi deve ammazzare la mucca. An dan des. E infatti i tre non si accorgono di niente e quando se ne accorgono è troppo tardi per scappare perché si trovano buttati a terra con i forconi puntati contro la pancia e le ossa che scricchiolano per i pugni e i calci che gli piovono addosso improvvisamente come la grandine durante la tempesta. Adesso gli farebbe molto comodo che tutto quello che è successo fosse un sogno ma non c'è niente da fare, non riescono a svegliarsi perché sono già svegli. È una gran brutta storia con intorno tutta quella gente che li ha scambiati per diavoli dell'inferno o per indemoniati o per anime dannate. Una delle donnette che sta dietro al prete tira fuori un paio di forbici. Bisogna cavargli gli occhi subito, prima di metterli sul rogo. Il pericolo peggiore dei diavoli sta negli occhi e nella coda. Con una occhiata ti possono fulminare e se uno tocca la coda diventa diavolo anche lui. Ma questi tre la coda l'hanno nascosta. Sono furbi. La vecchia si avvicina e vuole tirarelì giù per forza le braghe di Millemosche per tagliargli la coda. Ma intanto si fa avanti il padrone del mulino con in mano un rotolo di corda."State attenti che volano. Bisogna legarli subito perché se no volano via.""Ma perché non li infilziamo su un palo così la facciamo finita senza stare lì a perdere tempo? "Facciamo le cose come si deve. O il palo o il rogo, una delle due.""Meglio il rogo, non c'è confronto. Un palo, si mettono a ridere quelli.""A ridere mica tanto infilzati su un palo.""Ti dico che quelli hanno un buco grande che ci passa un bordonale. 1 Invece con il fuoco si bruciano e amen. ""Io sono per il palo.""Io per il fuoco."Il prete bacia più volte il suo Crocefisso. Li guarda con occhi furbi come quello che di diavoli ne ha visti tanti in vita sua. Intorno a lui si fa un gran silenzio e anche le tre donnette smettono di masticare le loro preghiere, se si tratta di preghiere, e quella con le forbici le nasconde sotto la sottana. Il prete alza in aria il suo Crocefisso come se volesse dare una martellata in testa a Carestìa che sta lì per terra, e parla con una voce che sembra tirata su da un pozzo con una carrucola."Siete tre indemoniati. Vedo i segni di Satana sulle vostre facce." /"Siamo soltanto tre morti di fame.""Perché non li bruciamo subito? C'è già il forno acceso.""No. Bisogna preparare un rogo. E interrogarliprima di bruciarli. E poi spargere le ceneri al vento dopo che sono bruciati. "Millemosche è spaventatissimo. Pannocchia ancora più di Millemosche e Carestìa ancora più di Pannocchia. E Millemosche è più spaventato di tutti e tre messi insieme. Pannocchia apre la bocca per parlare ma non viene fuori nemmeno una parola come se gli si fosse seccata la lingua. Carestìa si mette a scalciare ma in un momento si trova legato dalla testa ai piedi stretto stretto come un salame di

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Felino. Si trovano legati tutti e tre e poi sollevati sulle forche e portati verso il paese.Branchi di uccellacci neri si mettono a volare sopra il corteo perché si vede che hanno già sentito odore di morto o qualcosa del genere. Sono corvi e i corvi hanno un naso speciale per queste cose. Si mettono a gracchiare e a volare sempre più bassi e qualcuno si avvicina tanto da dare qualche beccata ai tre sfortunati che, adesso si lamentano con le voci strozzate per la paura."Ma che cosa avete in mente di fare? Guardate che io sono un cavaliere, non potete bruciarmi. Lasciatemi andare o almeno fatemi fare un duello con uno di voi.""Non abbiamo fatto niente di male. Siamo, soltanto tre poveri diavoli.""Avete sentito? Hanno confessato. Hanno detto che sono tre diavoli.""Al rogo! Al rogo!""Arrosto! Arrosto!"

NOTE.

1. bordonale: grossa trave.

MILLE MALEDIZIONI

In mezzo alla piazza del paese la gente ha ammucchiato una grande catasta di legna intorno a un palo molto alto per legarci i condannati. Infatti vengono portati fino lì e poi alzati con i forconi fino in cima alla catasta e qui legati al palo con delle corde molto robuste. Sulla punta del palo i paesani hanno infilato la ruota di un carro dipinta di rosso. Nessuno sa il perché di questa ruota. È una cosa che hanno visto fare altre volte in altri posti e allora hanno messo su la ruota anche loro perché non si venga a dire che non sanno mettere in piedi un rogo secondo le regole. Prima di dar fuoco alla paglia e alle fascine che stanno sotto la catasta di legna, il prete ha da fargli qualche domanda. Non è un vero processo ma ci manca poco. Comunque è sufficiente per decidere che devono essere bruciati, cosa che del resto era già stata decisa prima."Perché siete così bianchi?""Siamo cascati nella farina.""La farina del diavolo. ""Ma che diavolo, la farina stava nel mulino. C'è lì il mugnaio che può dirlo. ""Voi dovete soltanto tacere e rispondere. Non vi è concesso di fare delle domande o di chiamare in causa il mugnaio o altri. Allora: avete visto Satana? ""Non abbiamo visto niente.""Avete visto Satana?""Io Satana non lo conosco e non l'ho mai visto, non so neanche come è fatto e i miei amici lo stesso.""Avete visto Satana? Rispondete! Avete visto Satana?""No no e poi no.""Vi conviene confessare. Avete visto Satana?"Le cose si sono messe in modo che peggio di così non si potevano mettere. Nemmeno Millemosche si era trovato mai a tu per tu con la morte come questa volta. Eppure lui ha viaggiato il mondo, ha combattuto contro i Toscani e i

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Longobardi e una volta è stato anche ferito alla schiena durante una battaglia. Gli passano in mente i momenti peggiori della sua vita e si accorge che questi momenti non finiscono mai, sono durati degli anni. Come quando ha mangiato vermi per una settimana, come quando ha preso la febbre giù nelle paludi di Garavicchio, come quando si è trovato nel fiume e non sapeva nuotare. La morte, questa proprio non ci voleva. Che cosa diranno al suo paese quando sapranno che Millemosche è morto bruciato come una strega? E sua moglie? E i suoi figli? Per fortuna che non ha figli altrimenti che cosa penserebbero di un padre bruciato sul rogo?Millemosche sente un gran fischiare nelle orecchie e dentro la testa, dev'essere la morte che sta arrivando. Come è fatta? Che faccia ha? Forse quando arriva lei io non ci sono più perché sono già morto e così resta fregata. Ma è una consolazione molto magra in confronto alla vita che se ne va. E se invece dopo la morte fosse tutto rose e fiori? No, non può essere. E in ogni caso Millemosche sa già che in Paradiso non c'è posto per lui e nemmeno per Pannocchia e Carestìa. Mentre pensa a tutte queste cose, il prete continua a gridare avete visto Satana, avete visto Satana e la sua voce rimbomba nella piazza. Fino a quando lì vicino qualcuno risponde di sì.Millemosche e Carestìa si voltano stupefatti a guardare Pannocchia. Ecco che cosa significa portarsi dietro un ignorante come quello. Significa che se c'era ancora una poca speranza di salvarsi adesso non c'è più neanche quella. Millemosche e Carestìa sentono già le fiamme che gli scottano i piedi e il fumo che gli entra nel naso. Abbassano gli occhi a guardare ma la catasta per fortuna è ancora spenta. Allora è la rabbia per la risposta di Pannocchia che gli fa salire le fiamme ai piedi."Ma che cosa dici, che cosa ti viene in mente, che ti venga la lebbra! ""Avete sentito? Hanno visto Satana! Hanno confessato! Adesso abbiamo la prova che sono dei diavoli!""Lui ha confessato ma io no! Io Satana non l'ho mai visto! ""Nemmeno io, porco diavolo! ""E invece lo abbiamo visto insieme.""Ma che cosa dici, disgraziato!""È la verità. Abbiamo visto Satana tutti e tre insieme, là nel bosco. E adesso se non mi slegate ve lo faccio vedere anche a voi. Slegatemi subito o se no chiamo Satana. Satanaaai!"La faccenda di Satana incomincia a impensierire i contadini anche perché le facce di Millemosche Pannocchia e Carestìa sembrano proprio quelle di tre diavoli venuti direttamente dall'inferno. A farle sembrare così non è altro che lo spavento di finire arrostiti. In più c'è l'occhio rosso di Millemosche, quello che ha preso la beccata del merlo nero. Poi ci sono i suoi rutti perché quel berretto arrostito era buono ma la stoffa è dura da digerire. E poi ci sono anche i rutti di Pannocchia e di Carestìa che si aggiungono a quelli di Millemosche e poi ci sono altri rumori di dietro che si aggiungono ai rutti. Così qualche contadino incomincia a scappare lentamente senza dare nell'occhio e soprattutto senza farsi vedere dal prete. Ma ci sono anche quelli che vogliono accendere il fuoco subito perché tre uomini che bruciano sul rogo è uno spettacolo gran bello da vedere."Bruciamoli subito prima che arriva Satana!""Accendiamo il fuoco così se arriva lo bruciamo anche lui."

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"Il fuoco. Accendete il fuoco!""Il sale!""L'aglio!""La stoppa!""La pece!""L'aceto!""La cera!""Un guscio di noce nera!"Urlano tutti chi una cosa e chi un'altra. Finalmente un contadino si avvicina al rogo con un mazzetto di paglia infiammata e vi appicca il fuoco. Le fascine incominciano a crepitare e un fumo nero si accompagna alle fiamme. Millemosche Pannocchia e Carestìa si mettono a tossire e a piangere per il dispiacere di essere ormai sul punto di morire e per il fumo che gli fa bruciare gli occhi. Carestìa che ha sempre il naso all'erta, ha l'impressione di sentire un odore che non è soltanto di legna bruciata."Ragazzi, sento odore di carne arrosto.""Siamo noi, cretino!"Infatti è arrivata dal basso una lingua di fuoco improvvisa e ha bruciacchiato la pelle di un piede di Millemosche e uno di Pannocchia. Il quale continua a urlare a scannagòla per chiamare Satana in aiuto. Millemosche adesso, preso alle strette, si mette a chiamare Satana anche lui sperando di spaventare i contadini."Satana! Satana! Mi senti? Satana! Vieni subito, Satanaaa! Corri! ""Speriamo che arrivi in tempo." "Satana! Satanaa! Fai presto Satanaaa!" "Ecco Satana! Eccolo che sta arrivando!" "Ma non dirai mica sul serio? Pannocchia!" "Eccolo! Eccolo!"Millemosche e Carestìa si guardano attorno per vedere se veramente Satana sta arrivando. E Pannocchia continua a gridare eccolo lì, eccolo che finalmente sta arrivando, e poi si mette a sputare sulle fiamme. Non si capisce se questi sputi sono un saluto a Satana oppure un tentativo di spegnere il rogo. In ogni modo anche Millemosche e Carestìa si mettono a sputare e sputano fintante che si sono seccata la lingua.Nonostante il caldo che incomincia a salire dal basso, sentono dei gran brividi nella schiena e in tutto il corpo, sarà la paura di morire sarà la paura di Satana, perché è chiaro che se arriva lui se li porta dritti all'inferno tutti e tre. Dopo le fiamme del rogo finire in quelle altre fiamme laggiù sotto è una cosa che a Millemosche e a Carestìa gli piace poco cioè non gli piace proprio per niente. Ma con Pannocchia non c'è verso di parlarci perché continuala gridare e a sputare. Dove lo prende tutto quello sputo non si riesce a capire. I contadini ormai sono scappati quasi tutti. Ne sono rimasti quattro o cinque intorno al prete che sta lì a aspettare Satana con il suo Crocefisso in mano come un guerriero con la sua spada. Dietro di lui ci sono ancora due o tre donnette in ginocchio e con gli occhi chiusi per non vedere Satana. In mezzo ai tuoni e ai lampi che riempiono l'aria, il prete alza il Crocefisso verso il cielo e si mette a recitare i suoi esorcismi a voce altissima in latino."Audi audi audi spiritus a Deo maledicte, apostata spurcissime, faetidissime, serpens vilissime, lupe rapacissime, recognosce sententiam tuam horribilem et poenam terribilem. Pereant ergo omnes cogitationes tuae in tuum detrimentum et confusionem, o spiritus maledicte, ad laudem Dei et poenam terribilem et

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expulsionem tuam subitaneam ab haec tres creaturae miserandae."Le creaturae miserandae non sono altro che Millemosche Pannocchia e Carestìa che adesso si agitano dentro i nodi della corda perché i piedi gli scottano e ogni tanto una fiammata più alta delle altre gli arriva fino al naso. Se la vedono veramente brutta. Ma improvvisamente dal cielo nero incomincia a rovesciarsi a terra una pioggia del diavolo. La legna sfrigola sotto l'acqua, le fiamme si smorzano poco alla volta in una grande fumata biancastra. Il prete ormai ha finito i suoi esorcismi e quindi è inutile che sta lì a bagnarsi sotto la pioggia e infatti si allontana di corsa seguito dalle donnette. Per Millemosche Pannocchia e Carestìa invece è cento volte meglio l'acqua che il fuoco. Infatti mentre il fuoco si spegne le corde*bagnate scivolano sulle gambe e sui bràcci. Millemosche riesce a liberare una mano poi un braccio poi l'altro braccio poi la pancia poi le gambe e per ultimo anche la testa. Adesso la corda si allenta e riescono a liberarsianche Pannocchia e Carestìa. In due salti per uno sono a terra.Attraversano di corsa il paese senza incontrare nessuno perché i paesani si sono chiusi dentro le case per via di Satana e della pioggia. Prendono per la campagna e corrono sotto l'acqua che continua a cadere a secchiate portata da raffiche di vento. Arrivano su un prato poi dentro a un bosco, saltano un fosso poi si vanno a impantanare in una zona fangosa dove affondano fino al ginocchio. Ma ormai sono al sicuro e si godono la pioggia come una benedizione del cielo."Se non pioveva a quest'ora eravamo arrostiti.""L'acqua è la cosa più bella che ci sia al mondo. ""L'acqua è tutto. Quando uno ha sete beve un po'"d'acqua e la sete se ne va.""Anche quando uno ha fame è meglio l'acqua che niente.""In confronto all'acqua il fuoco fa schifo.""Intanto l'acqua viene dal cielo mentre il fuoco viene da sottoterra.""E poi il fuoco scotta e l'acqua no.""L'acqua è meglio del fuoco in tutti i casi della vita.""Meno che quando devi fare arrostire una bestia. Allora ci vuole il fuoco.""Sì, però ci vuole anche la bestia. E quando ce l'hai puoi sempre farla bollire nell'acqua. Quasi quasi la preferisco bollita invece che arrosto.""Anche bollita ci vuole sempre il fuoco, che gli venga la lebbra.""In certi casi il fuoco è meglio dell'acqua.""Quando piove per esempio l'acqua è uno schifo se non hai un tetto sopra la testa.""E quando sei tutto bagnato per la pioggia un bel fuoco vale tanto oro.""Quando nevica lo stesso, il fuoco è tutto.""Secondo me quasi quasi il fuoco è meglio dell'acqua. ""Se ti dicessero che cosa vuoi, il fuoco o l'acqua, tu cosa prendi?""Io ci penso sopra un po'"e poi prendo il fuoco. ""Anch'io.""Secondo me il fuoco è la cosa più bella che ci sia al mondo."Cercano di muoversi ma i piedi sono imprigionati nel fango. Non possono andare avanti e neppure ritornare indietro. Pannocchia si mette a muovere le mani e i bràcci come se nuotasse."Che cosa fai?""Non posso muovere i piedi e allora muovo i bràcci e le mani.""Così non andrai avanti nemmeno di un passo. "

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"Non si sa mai.""Maledetta l'acqua e chi l'ha inventata.""Il fango.""Allora maledetto il fango e chi l'ha inventato.""Se stiamo qui ancora un po'"finiremo per affogare nel fango, che gli venga la lebbra.""Bisogna andare in qualche altro posto.""Basta che non sia il paese dove ci volevano bruciare. ""Sei matto? Bisogna stare lontano da tutti i paesi. Anzi bisogna stare lontano da tutto.""Allora perché non stiamo qui dove stiamo?""Ho paura che dovremo restarci per forza.""Allora andiamo via. Per forza non mi piace.""Incomincia tu che noi ti veniamo dietro." Con la volontà si muovono anche le colline e Millemosche infatti incomincia a muoversi, un piede alla volta. Pannocchia e Carestìa lo seguono. Dove vanno non lo sanno neanche loro ma lo sapranno quando saranno arrivati.

IL NOCE E LA NOCE

Un sole freddo da fine del mondo, qualche nuvola nel cielo e branchi di uccelli infreddoliti, qualche macchia di neve sulle montagne, un gran silenzio tutto intorno come se fosse passata la peste. Un prato verde. In mezzo al prato c'è un albero di noce e sotto l'albero di noce c'è Carestìa che osserva attentamente uno per uno i rami spogli. Millemosche, seduto su un sasso, tiene d'occhio Carestìa che osserva attentamente uno per uno i rami spogli."Che cosa guardi?""Se ci sono le noci.""Come fanno a esserci le noci se non ci sono neanche le foglie?""Io delle foglie non so che cosa farmene, io cerco le noci.""Se ci fossero le avrebbe già mangiate qualcuno. ""Siccome invece questo, qualcuno non le ha mangiate dovrebbero esserci.""Forse non ci sono mai state e non le ha mangiate nessuno.""Ma tu di chi sei amico mio o di nessuno?"Millemosche gli dice che più amico di lui non c'è persona al mondo, poi si volta a controllare Pannocchia che sta in ginocchio in mezzo all'erba e alle foglie secche. È chiaro che sta cercando qualcosa ma per il momento ha trovato soltantoerba e foglie secche. Non è detto però che a forza di cercare non riesca a trovare una noce.Ecco infatti che Pannocchia raccoglie qualcosa e si caccia la mano in tasca facendo finta di niente. Ma Carestìa lo ha visto e smette di guardare l'albero puntando gli occhi sulla tasca. Anche Millemosche lo ha visto. Si alza in piedi di corsa."Che cosa ti sei messo in tasca?""Non lo so.""Come non lo sai? Io sono sicuro che hai trovato una noce.""Forse.""Guardaci, no?"

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"Ci ho guardato.""Che cos'è?""Una noce.""E allora perché dici che non lo sai?""Uno si può sbagliare. Magari crede di avere trovato una noce e invece ha trovato un sasso.""Fai vedere, così te lo diciamo noi se è una noce o un sasso.""E se poi è un sasso?""Lo butti via.""No, non ci sto. Se so di avere in tasca una noce mi sento meglio che se so di avere in tasca un sasso. Allora aspetto. ""Che cosa aspetti?""Aspetto un po'.""Guarda che siamo in tre e se hai trovato una noce abbiamo diritto alla nostra parte anche noi." "L'ho trovata io e decido io.""A me aspettare è una cosa che mi fa andare in bestia.""A me lo stesso.""Va bene, se insistete la tiro fuori. Però dovete insistere molto."Millemosche e Carestìa insistono molto e finalmente Pannocchia si decide. Tira fuori la mano dalla tasca e allunga il pugno chiuso verso i due che stanno aspettando con gli occhi aperti. Poi la mano si apre: è una noce."È una noce.""E adesso che cosa facciamo?""Con una noce non si può fare niente. Stuzzica la fame e dopo è peggio di prima.""Si butta via.""Piuttosto che buttarla via è meglio darla a un poveraccio.""Quale poveraccio?""Non lo so. Io per esempio sono un poveraccio.""Per carità non facciamo i furbi con la noce. Che cos'è una noce? È quasi niente.""Un quasi niente buono da mangiare, però.""Va bene ma non ci metteremo a litigare per una noce, adesso. Per me conta di più l'amicizia.""L'amicizia non si mangia.""L'amicizia no ma l'amico sì, se uno ha molta fame.""Che cosa vorresti dire?""Che ti conviene darmi la noce che ci penso io. Dammela."Pannocchia guarda Millemosche, molto indeciso se consegnare la noce. Poi allunga la mano. Millemosche prende la noce con un gesto veloce e la scaglia molto lontano con un altro gesto molto veloce. Pannocchia e Carestìa la seguono con gli occhi, pòi corrono dove pensano che sia caduta. Millemosche invece si mette a scappare dalla parte opposta a quella della noce. Quando i due se ne accorgono, Millemosche è già lontano. Lo vedono che salta sopra un fosso, scavalca una siepe, attraversa un prato e scompare dentro a un bosco di querce."Millemosche è scappato.""Come mai?""Secondo me si è fregata la noce.""Che cosa facciamo?"

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"Che cosa vuoi fare? Se scappa bisogna corrergli dietro."Pannocchia e Carestìa si mettono a correre nella direzione dove è scomparso Millemosche, saltano sopra il fosso, scavalcano la siepe, attraversano il prato e scompaiono nel bosco di querce. Fanno molta strada in discesa e in salita, passano al di là di una montagna, ogni tanto vedono da lontano Millemosche che sta ancora scappando. E se invece di Millemosche fosse un altro così da lontano? Il mondo è pieno di gente che scappa, soprattutto quando c'è qualcuno che gli corre dietro.

UN PRATO PIENO DI PECORE

Pannocchia e Carestìa non ne possono più di correre e camminare, ma se si fermano sentono un gran freddo che gli entra nelle ossa. Cercano di scaldarsi i diti delle mani e dei piedi con il fiato, ma è freddo anche quello perché viene dallo stomaco vuoto. Solo quando uno ha mangiato e ha lo stomaco pieno, spiega Carestìa, butta fuori il fiato caldo. E allora per non sentire il freddo non resta altro che tapparsi le orecchie così non si sente più niente e buonanotte. Carestìa ha una certa pratica di queste cose e Pannocchia sarebbe anche d'accordo con lui se non fosse contrario. Prima di tutto perché non vuole darla vinta a Millemosche che è scappato con la noce e poi perché lui, bene o male, pensa "al futuro."Non possiamo passare tutto l'inverno qui con le orecchie tappate.""Non ho sentito quello che hai detto."" Se non apri le orecchie non mi puoi sentire. ""Come?"Per farsi capire Pannocchia si alza e si rimette a camminare. Carestìa si alza e gli va dietro un po'"offeso perché le decisioni vanno prese insieme. Già Millemosche si è comportato male e adesso ci si mette anche Pannocchia. Camminano un bel pezzo senza parlare cercando di prendere sempre le strade in discesa perché sono molto stanchi e perché sicuramente anche Millemosche avrà preso le strade in discesa. Passano in una zona molto verde, una grande distesa di erba medica e ginestrone. E in mezzo a tutto questo verde vedono un grande branco di pecore bianchissime. Pannocchia e Carestìa si fermano di colpo. Tante pecore insieme non le avevano mai viste."Quelle sono pecore o mi sbaglio?""Stai zitto che sono pecore, che ti venga la lebbra! ""Lo sai che sono buonissime da mangiare?""Ce ne prendiamo una per uno.""Io me ne prendo due.""Io tre.""Ma allora perché non ce le prendiamo tutte? Così abbiamo da mangiare per un anno. Se ne mangiamo una alla volta, loro neanche se ne accorgono. ""È buono anche il latte di pecora. Possiamo fare il formaggio pecorino.""E la lana. Io mi faccio subito due materassi.""Perché due?""Uno per sotto e uno per sopra.""Con la pelle di pecora si possono fare dei giubbotti. Si mette il pelo voltato all'indentro cosi tengono il freddo e la pioggia.""Ma non scapperanno via quando ci vedono?"

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"Se camminiamo pecoroni forse ci scambiano per pecoroni.""Ma dopo ci verranno dietro dove vogliamo noi?" „"Se non vengono dove vogliamo noi, possiamo benissimo andare noi dove vogliono loro."Pannocchia e Carestìa si buttano a terra e si avvicinano al branco camminando a quattro zampe come se fossero delle pecore anche loro. Ogni tanto alzano la testa per guardare e le pecore sono sempre lì, non si muovono e non dicono niente. Forse dormono. Ma Pannocchia fa segno a Carestìa di stare giù e di tacere, non si sa mai. Pecoroni pecoroni si avvicinano ancora. Si graffiano le mani e i ginocchi ma non fanno caso al dolore, non fanno caso a niente, nemmeno al freddo che gli gela le orecchie. Ècco che ormai sono arrivati a pochi passi. Si scambiano una occhiata e poi saltano in piedi tutti e due insieme e si buttano avanti di corsa a testa bassa mirando ciascuno a una pecora. Carestìa da una gran testata contro qualcosa di molto duro."È un sasso, che ti venga la lebbra!""Anche la mia è un sasso.""Allora te lo dico io che cos'è: ci siamo sbagliati.""Hanno fatto finta di essere delle pecore.""Chi?""I sassi.""Quali sassi?""Le pecore.""Quali pecore?""Come faccio a saperlo se sono dei sassi?"Il prato è cosparso di grossi sassi bianchi, tondi, levigati dal vento e dalla pioggia. Sembrano pecore ma non hanno la lana e non sono buoni da mangiare. Pannocchia e Carestìa allora si mettono a mangiare l'erba come l'avrebbero mangiata le pecore se ci fossero state. Radicchi, rughetta, zampe di gallo e lingue di cane. Quando alzano gli occhi dal prato vedono là in fondo, addossata a una parete di tufo, una baracca di legno con un filo di fumo che esce dal camino.Pannocchia e Carestìa si avvicinano circospetti e sospettosi. Quando sono lì provano a spingere la porta. È chiusa. Girano intorno e trovano che anche il finestrino è chiuso. Pannocchia rifa il giro della casa e si mette a guardare attraverso una fessura della porta. Si stacca quasi subito e fa segno a Carestìa di venire a guardare anche lui. Quello che vedono li lascia a bocca aperta ma senza parole. Poi vanno a sedersi per riprendere fiato."Come avrà fatto quello schifoso di Millemosche a trovare una donna così bella?""Come vuoi che abbia fatto? L'ha trovata per caso e per fortuna, come si trovano i funghi.""Perché non bussiamo?""È inutile, tanto non ci apre.""E allora che cosa facciamo?" "Ci conviene aspettare. Anche perché voglio sapere che fine ha fatto la noce.""Capace che se la sono mangiata loro due, lui e la donna.""Vigliacchi.""Hai visto? Vatti a fidare degli amici.""Io nell'amicizia non ci credo. Gira e gira sono sempre gli amici che ti fregano.""Hai ragione, gli amici bisognerebbe ammazzarli tutti."

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Pannocchia e Carestìa si accucciano lì da una parte sopra un mucchio di paglia e si abbracciano stretti stretti per scaldarsi. Chiudono gli occhi perché sanno che chi chiude gli occhi alla fine si addormenta. E infatti si addormentano.DOVE C'È L'UOVO C'È ANCHE LA GALLINASarà che ha sentito qualcosa di fuori come il rumore del russare di Pannocchia e Carestìa, Millemosche apre la porta e si presenta all'aria con la faccia da furbo. Va a sedersi vicino a Pannocchia e Carestìa che si sono svegliati da poco e lo guardano di strafalcioni, come si guarda un traditore."E la noce che fine ha fatto?"Millemosche si mette una mano in tasca e tira fuori la noce. La lascia cadere in terra senza dire niente. Pannocchia la raccoglie subito, se la mette in tasca e Carestìa?"Metà è mia.""Dovete fare a metà.""Tu non vuoi la tua parte?""Io non ho fame.""Strano.""Ma che strano, è segno che ha mangiato. Dì la verità, Millemosche, hai mangiato?""Ho mangiato delle uova di gallina.""Se ci sono le uova ci saranno anche le galline.""Quelle non si toccano, sono di Menegota.""Chi è Menegota?""La donna che mi dà da mangiare.""Dove sono le galline?""In casa ma sono legate con uno spago per via dei ladri.""Faccene rubare almeno una.""Ladri!""Ma non l'abbiamo ancora rubata.""Se ci provate vi ammazzo tutti e due.""Tu prova a ammazzarci e vedrai che cosa ti facciamo. ""L'ho detto per dire.""Però hai perso la testa dietro a Menegota.""Mi trovo bene così, con la testa persa. Vedo dappertutto dei fiori, tanto per dire. Voi li vedete i fiori?""No.""Io come mi guardo intorno non vedo altro che fiori, rossi blu viola bianchi celesti, di tutti i colori.""I fiori te li tieni per te. A noi dacci almeno le uova se non ci vuoi dare le galline."Millemosche ritorna nella baracca e richiude la porta con il catenaccio e poi si mette a cantare. Pannocchia e Carestìa raccolgono il mucchio di paglia e lo portano dietro la baracca per non sentire. Poi Pannocchia tira fuori la noce, la rompe con un sasso sotto gli occhi attenti di Carestìa. Il dentro è nero secco e ammuffito. Pannocchia lo divide in due lo stesso e ciascuno butta via la sua metà. Poi si accucciano sulla paglia per dormire e dormono. Dopo dormito si svegliano e chiamano Millemosche che risponde cantando.""Che cosa fai?""Canto."

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"Chi ti ha insegnato?""Menegota.""E ti piace cantare?" "Moltissimo. Cantiamo sempre, invece di parlare cantiamo.""Si vede che avete la pancia piena. Dacci le uova se no andiamo via."Pannocchia e Carestìa stanno accucciati tutto il giorno sul mucchio di paglia e aspettano le uova che Millemosche gli fa scivolare fuori dal finestrino. Qualche giorno arrivano due uova, qualche giorno tre, qualche giorno niente. Dopo un po'"Pannocchia e Carestìa non ne possono più per la fame e la malinconia. Allora è meglio andare in giro per il mondo piuttosto che stare lì a fare gli accattoni. Che amicizia è quella di Millemosche? Crede di essere più furbo di loro perché ha trovato una donna che gli da da mangiare. Cresce il malumore. Anche perché Millemosche ogni tanto si diverte alle loro spalle. Per esempio un giorno mette fuori la mano e lascia scivolare sulla paglia due uova. Pannocchia e Carestìa corrono e si accorgono che sono due gusci vuoti. Li schiacciano sotto i piedi. Dopo i due gusci vuoti Millemosche manda giù due uova vere e loro credono che siano altri gusci e schiacciano anche quelle. Così per quel giorno devono accontentarsi di mangiare le erbe grasse che crescono sul tufo e i funghetti che spuntano intorno al tronco di un grosso olmo."Lui mangia e beve e noi qui a aspettare dalla mattina alla sera come due accattoni. Tutto per qualche uovo. Ci avesse una volta fatto assaggiare una gallina o almeno un po'"di polenta. Niente.""Io ho deciso che forse me ne vado.""Hai ragione, vengo via anch'io. Se Millemosche vuole venire con noi, altrimenti peggio per lui.""Che cosa avete da lamentarvi?"È Millemosche che fa la domanda arrivando d'improvviso alle spalle di Pannocchia e Carestìa. I due si voltano e lo guardano malamente. Tanto per incominciare non è questo il modo di arrivare alle spalle della gente per ascoltare i discorsi degli altri. Secondo:"Abbiamo deciso che noi andiamo via. Tu fai quello che vuoi, se vuoi restare resta. Noi andiamo. Siamo stufi di aspettare i tuoi comodi e i tuoi avanzi.""Ma se non avete mai mangiato tanto in vita vostra! Anche il formaggio.""Le croste.""È un formaggio fatto così, tutta crosta.""Non è possibile. Se c'è la crosta ci sarà anche un dentro. Chi lo mangia questo dentro?""Non ci metteremo a litigare per una crosta di formaggio adesso?""Io litigo per il dentro, non per la crosta."È lo stesso. Io dico che se siamo amici non dobbiamo litigare, altrimenti che razza di amici siamo?"

HO SOGNATO MENEGOTA

Pannocchia vede una margherita grande come la ruota di un mulino, un papavero gigantesco che fa una bella ombra rossa tutto intorno, un fiore di zucca alto come un campanile. Gelsomini, rose rosa e gialle. Anche gli alberi sono tutti fioriti come se fosse primavera, ciliegi, peschi mele, e perfino le querce hanno i rami coperti

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di fiori. Pannocchia cammina a piedi nudi sull'erba, tirando su con il naso per annusare tutti i profumi di tutti quei fiori e si sente come se avesse bevuto un fiasco di vino. Il Paradiso deve essere così, pieno di fiori e di profumi. Solo che nel Paradiso, secondo Pannocchia, devono esserci anche tanti prosciutti e formaggi sparsi per terra così quando uno ha fame si siede e mangia un bel pezzo di formaggio o addenta un prosciutto. Pannocchia guarda per terra pieno di speranza ma vede solo erba e allora capisce che questo non è ancora il Paradiso anche se a prima vista gli assomiglia molto.Camminando sul prato Pannocchia si imbatte in un bel sasso quadrato e si siede. Ma ecco che arriva un uccello con le penne gialle e blu e incomincia a girargli intorno e a dargli delle beccate sulla testa come se avesse un messaggio per lui. Pannocchia si volta appena e vede una cosa che lo fa restare secco di meraviglia. Sotto un gigantesco fiore di zucca c'è Menegota che glisorride. Pannocchia si stropiccia gli occhi e poi guarda ancora, caso mai si fosse sbagliato. È proprio lei Menegota, bellissima. Gli parla cantando e, fatto molto strano, come apre bocca, Pannocchia si accorge di cantare anche lui. "Vieni Pannocchia." "Dove?""In un posto molto bello." "Perché non stiamo qui? È bellissimo." "È più bello dove dico io." "Sei sicura che non è uno scherzo?" "Se non mi credi chiamo Millemosche e vado via con lui.""No no, vengo subito." Pannocchia la segue. Fa qualche passo di corsa per avvicinarsi di più, ma quando lui si avvicina lei si allontana. Allora si mette a correre e Menegota si mette a correre anche lei. Pannocchia si butta all'inseguimento, spicca dei salti volando sopra i cespugli e finalmente riesce a acchiappare Menegota per una gamba che ha la forma uguale identica a un prosciutto. Pannocchia apre la bocca e gli da un gran morso. Si leva in aria un urlo altissimo e subito dopo Pannocchia si sente arrivare un pugno in faccia che gli fa voltare la testa dall'altra parte. Apre gli occhi e si trova sul mucchio di paglia, tutto abbrancicato a Carestìa che ha ancora il pugno alzato e sta per dargliene un altro."Cosa ti salta in mente di morsicarmi?" "Ma lei dov'è andata?" "Lei chi?" "Menegota.""Ma dove vuoi che sia andata? È in casa. Guarda qua che morso mi hai dato! "Carestìa gli fa vedere una coscia dove sono impressi i segni rossi e profondi dei denti di Pannocchia. Allora è stato un sogno. I fiori, Menegota, tutto quanto. Pannocchia si alza dalla paglia ancora strasognato."Carestìa! L'ho vista da vicino!""Chi?""Menegota!""Perché non mi hai chiamato?""Come facevo se dormivo?"A questo punto Millemosche esce dalla baracca muovendo le mani e i bràcci come quando è molto arrabbiato e si va a piantare faccia a faccia davanti a Pannocchia."Ripeti quello che hai detto! ""Ho visto Menegota in mezzo a un prato.""Non è vero! Menegota è stata sempre in casa con me.""L'avrò vista in sogno."

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"Non ti permetto di sognare la mia donna!""L'ho già sognata.""Dimmi che non era lei.""No no, era lei. Sono sicurissimo.""Mi dispiace per te, ma io sono capace di ammazzarti.""Va bene non la sogno più."Millemosche ritorna nella baracca e si mette a guardare Menegota che sta dormendo. La guarda con sospetto come si guarda una donna traditora. Più la guarda e più è peggio, il sospetto cresce e gli monta alla testa. Millemosche sente un formicolare nella mano, poi la mano gli parte e da uno schiaffo a Menegota. La gelosia è una brutta bestia, se ne rende conto anche lui, ma ormai lo schiaffo è partito e non si può più tirare indietro. Allora si butta in ginocchio e domanda perdono di che cosa?"Dello schiaffo.""Quale schiaffo?""Quello lì sul letto mentre dormivi."Menegota credeva che fosse una carezza un po'"più forte delle altre e così non c'è neanche bisogno di fare la pace, anzi dice fammi un'altra carezza uguale a quella di prima. Millemosche va fuori a prendere aria perché sente una grande confusione nella testa, va a svegliare Pannocchia."Che cosa stavi sognando?""Niente.""Invece sì. Dimmi che cosa sognavi.""Un cane.""Che cosa faceva quel cane?""Andava in giro da queste parti.""E dopo?""Dopo mi hai svegliato.""E Menegota cosa faceva?""Menegota non c'era nel sogno.""Dov'era?""In casa.""Adesso vi faccio una proposta a tutti e due.""Che proposta?""Io vi dò damangiare quello che volete ma voi mi dovete promettere di stare sempre svegli.""Non ce la facciamo.""Almeno provate."Ormai Millemosche non dorme più e non fa dormire nemmeno gli altri due. Arriva all'improvviso e se li trova con gli occhi chiusi li prende a pugni. E allora Pannocchia e Carestìa dormono in piedi di giorno appoggiati a un albero oppure appoggiati l'uno alla schiena dell'altro.Menegota cerca di spiegargli che gli altri possono sognare tutto quello che vogliono e che lei sui sogni degli altri non ci comanda. Ma Millemosche non c'è verso di fargliela capire. Sta lì immusonito e non parla più con nessuno. Fa dei giri intorno alla baracca come la luna intorno alla terra e certe volte si mette a dormire sulla paglia vicino a Pannocchia e Carestìa. Una mattina mentre fa i suoi giri intorno alla baracca si accorge che Pannocchia e Carestìa stanno bruciando la

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paglia."E adesso come fate?""A fare?""A dormire.""Abbiamo deciso che andiamo via.""E io?""Resti con Menegota.""Menegota non mi piace più.""Allora vieni via anche te.""Non posso scappare come un ladro.""Invece di scappare come un ladro cerca di scappare in un altro modo.""Dovete aiutarmi a trovare una ragione o unascusa.Pannocchia si prende la testa fra le mani. Resta così, immobile, con gli occhi chiusi. Carestìa fa lo stesso, con grande meraviglia di Millemosche. Basta lasciarli soli per qualche giorno, questi due, e eccoli qua che non li riconosci più. Come quando si sono persi nella foresta e li ha ritrovati nella pianura che si erano persi nella pianura. O quell'altra volta che si erano messi in testa di mangiare la terra. Avevano sentito dire che durante l'assedio di Roccaripesena i soldati avevano mangiato la terra e così la volevano mangiare anche loro. Ma quella era creta, brutti cretini. Si sa che la creta è buona da mangiare. E adesso eccoli lì con la testa fra le mani e gli occhi chiusi come due non si sa che cosa."Che cosa fate?""Stai zitto che pensiamo.""Da quando in qua avete imparato a pensare?""Ecco, ho pensato.""Che cosa hai pensato?""Il modo per liberarti di Menegota.""Sentiamo.""Prendi una campanella e te la leghi al piede.""E poi?"E poi, gli spiega Carestìa, gli fai credere di avere preso la lebbra. Quella si spaventa e non ti fa più entrare in casa. E allora Millemosche può partire tranquillo perché è lei che lo ha messo alla porta. Il trucco è proprio quello di farsi mettere alla porta. Pannocchia che non gli è venuto in mente niente è d'accordo con Carestìa. Millemosche non è proprio d'accordo ma ci manca poco. Gli sembra una gran vigliaccata questa della campanella, lui che è cavaliere. E poi non è ancora sicuro se gli conviene o no lasciare Menegota, il letto le uova la polenta e tutto il resto, lui che è un cavaliere. Dopo averci pensato decide che deve pensarci ancora un po'.SEMPRE CAVALIEREMillemosche entra nella baracca di Menegota traballando sulle gambe come se fosse molto debole e ha una faccia gialla come la polenta. A una caviglia, porta legato un campanaccio di quelli che si mettono al collo delle vacche. Fa un passo dentro la stanza senza richiudere la porta, poi alza la gamba e la muove in aria facendo risuonare il campanaccio. Menegota lo guarda piena di sorpresa e vorrebbe andargli vicino ma Millemosche la ferma con la mano. "Sta indietro!" "Che cosa ti è successo?" "È successo che ho preso la lebbra. Adesso non voglio

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attaccarla anche a te e allora ho deciso di partire."Menegota gli corre incontro e lo bacia sulle guance e sulle orecchie mentre Millemosche cerca in tutte le maniere di tenerla lontana. La donna gli si butta addosso da tutte le parti e lui non sa come difendersi. Ma appena la donna si stacca, ricomincia a suonare il campanaccio."Non capisco più niente. Perché mi hai baciato? Ti ho detto che ho addosso la lebbra." "Non preoccuparti che ce l'ho anch'io.""Cosa?" "La lebbra."Millemosche fa un salto per aria. Infila la porta e si mette a scappare di corsa a quattro a quattro. Pannocchia e Carestìa lo vedono correre scampanellando attraverso i campi e, senza capire che cosa sia successo, si mettono a corrergli dietro."Se scappa così è segno che qualcuno gli corre dietro.""Siamo noi che gli corriamo dietro.""E perché gli corriamo dietro?""Per prenderlo.""E lui perché scappa?""Per non essere preso.""Proviamo a fermarci a vedere cosa fa."Provano a fermarsi ma Millemosche continua a scappare scavalcando i cespugli e saltante sopra i fossi. Allora i conti non tornano più. Pannocchia e Carestìa riprendono l'inseguimento, scavalcando anche loro i cespugli, saltano sopra i fossi, corrono in salita e in discesa seguendo il percorso di Millemosche. Attraversano una boscaglia fitta fitta e poi sbucano fuori in una pianura dove scorre un grande fiume pieno d'acqua. Non ne possono più di correre come se scappassero."Millemosche, aspettaci!""Se ci aspetti non ti facciamo niente."Millemosche invece continua a correre, punta diretto verso il fiume, passa in mezzo a un canneto, sbuca fuori dall'altra parte e finalmente si butta in acqua con un gran tuffo."Aiuto che affogo! Non so nuotare! Aiuto! Salvatemi subito!"Pannocchia e Carestìa si fermano vicino all'acqua, guardano Millemosche che va sotto con la testa, poi ricompare in superficie e fa andare i bràcci per tenersi a galla, poi va sotto di nuovo. Su e giù. Non sanno proprio che cosa fare."Ma perché ti sei buttato se non sai nuotare?""Non lo sapevo! ""Adesso che cosa facciamo?""Aiuto aiutatemi!""Bisognerebbe salvarlo. ""Prova a buttarti.""Non so nuotare, non ho mai nuotato in vita mia.""E allora come fai a sapere che non sai nuotare se non hai mai nuotato? Prova.""Prova tu.""Io ho provato una volta e sono affogato.""E com'è che sei vivo allora?""Perché mi hanno salvato.""Allora buttati che dopo io ti salvo."

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"Non mi fido. Buttati tu che dopo ti salvo io.""Se tu non ti fidi di me perché io dovrei fidarmi di te?""Begli amici che siamo! Prima lasciamo affogare Millemosche e poi ci lasciamo affogare tutti e due anche noi. Degli amici così mi fanno schifo."Millemosche invece non affoga perché riesce a aggrapparsi per miracolo a un tronco che galleggia sull'acqua. Ci monta a cavallo lasciandosi trascinare dalla corrente. Un vero cavaliere si vede anche quando sta a cavallo di un tronco d'albero, c'è poco da fare. Millemosche sta impettito, con la schiena dritta e le mani attaccate a due rametti come alle briglie, e cerca di guidare il tronco verso la riva. Però con un vero cavallo, con gli zoccoli piantati sulla terra, le cose andrebbero, in modo diverso. In acqua Millemosche deve accontentarsi di stare a galla e andare dove va il tronco.Pannocchia e Carestìa sono stramorti di stanchezza e fanno fatica a tenergli dietro camminando lungo la riva. Inciampano nei sassi e nei cespugli, si perdono in mezzo alle canne e si strappano la pelle sui rovi. Man mano che vanno avanti gli sembra perfino che il fiume cammini in salita, ma lo sanno benissimo che è un effetto della stanchezza. Chiamano Millemosche che corre sempre più veloce sull'acqua a cavallo del suo cavallo di legno."Fermati Millemosche! Cerca di fermarti!""Non ci riesco! ""Allora cerca di andare piano! Perché vai così forte?""Non sono io, è l'acqua!""Guarda che noi non ce la facciamo più a camminare. Guarda Millemosche che ti lasciamo andare.""Delinquenti! Se mi lasciate morire non vi guardo più in faccia per tutta la vita."Continuando a chiamarsi e a litigare, Pannocchia e Carestìa camminano ancora per ore e ore lungo il corso del fiume. Vedono il sole che tramonta e l'alba li ritrova che stanno ancora camminando dietro a Millemosche che alla fine si addormenta sul suo cavallo di legno.

TUTTI I FIUMI ARRIVANO IN QUALCHE POSTO

Il fiume è diventato grandissimo tanto che non si vede da una riva all'altra. Si sente già nell'aria un odore di alghe e di pesce. Questo significa che il mare non è lontano. Infatti Pannocchia e Carestìa a un tratto si fermano. La terra sulla quale stanno camminando si allontana sempre più dall'acqua e sembra quasi che ritorni indietro per lasciare spazio a una enorme distesa verdastra che arriva fino all'orizzonte. Pannocchia si pianta sui piedi e guarda lontano proteggendosi gli occhi con la mano."O mi sbaglio o questo è il mare.""Ecco, lo sapevo che andava a finire nel mare questo fiume, che gli venga la lebbra.""Questo lo sapevo anch'io. Tutti i fiumi finiscono nel mare.""Mica tutti.""Se li prendi per l'altro verso i fiumi finiscono sulle montagne, ma per il verso giusto finiscono tutti nel mare come questo.""Ci sono anche quelli che si perdono per la strada." "Poveretti, mi dispiace."

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"Poveretto Millemosche!""Questa volta ce lo siamo perso del tutto e buonanotte.""Millemosche! Ma dove vai? Non vedi che lì c'è il mare?""Fermati Millemosche! Fermati!"Millemosche è troppo lontano per sentire. Si sta allontanando sempre più dalla riva, è diventato piccolo piccolo là in mezzo alla distesa d'acqua. Muove i bràcci, fa dei segni come di saluto e si sente appena la sua voce portata a folate1 dall'aria marina. Pannocchia e Carestìa arrancano faticosamente tirandosi dietro le gambe. Ormai Millemosche è arrivato in mezzo al mare aperto. Si agita e grida ma la sua voce è coperta dal rumore delle onde. Pannocchia e Carestìa cascano sfiniti sulla sabbia della spiaggia."Io non ce la posso più.""Più avanti di così non andiamo se no finiamo affogati anche noi come Millemosche.""Che cosa farà adesso là in mezzo a tutta quell'acqua? Guarda quanta ce n'è.""Addio Millemosche! Mi raccomando!""Che cosa ti raccomandi?""Niente, dicevo così, tanto non mi sente. Povero Millemosche, lo sai che quasi quasi mi dispiace? ""Facciamo finta di niente.""Non era mica cattivo, in fondo, Millemosche.""Però la donna non ce l'ha fatta vedere.""Secondo me era stregato. Se no come ti spieghi che si va a buttare in acqua? Se uno non sa nuotare si butta dappertutto meno che in acqua.""L'acqua è un disastro se non si sa nuotare.""Forse voleva imparare.""Lo dico sempre che non bisogna mai cercare di imparare le cose che non si conoscono."Laggiù in mezzo al mare Millemosche è diventato un puntìno che compare e scompare dietro le onde.

NOTE.

1. folata: raffica improvvisa di vento.

I PIRATI SARACENI

Una specie di barcone sgangherato con le vele rattoppate si avvicina a Millemosche che sta ancora a cavallo sul suo tronco in mezzo al mare. Il barcone è carico di pirati saraceni e che sono pirati saraceni si capisce subito dalle loro facce, dai loro gesti, dal modo di parlare, dagli stracci che portano addosso e dai lunghi pugnali che manovrano con grande furbizia. In un altro momento Millemosche avrebbe fatto di tutto per scappare, ma qui si tratta di morire affogato o mangiato dai pescecani. Allora sono meglio i pirati. Gli sembra perfino di aver sentito dire che ci sono dei pirati buoni che vanno in giro per il mare a salvare quelli che sono naufragati, e se per caso non lo ha sentito dire adesso gli fa comodo pensarlo. Fa dei gran gesti di amicizia in direzione del barcone piratesco saraceno e grida con la poca voce che gli è rimasta. "Tiratemi su e

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salvatemi. Sono carico d'oro." La parola oro ha questo di speciale, che si sente anche da lontano e in mezzo al rumore delle onde. Si sente anche quando c'è il vento o la nebbia o il temporale. È la parola più sonora che ci sia e ha un gran bel suono per la gente di tutto il mondo, ma per i pirati è come una calamita. Corrono tutti a guardare quello strano tipo che si tiene abbraccicato al tronco d'albero, chiamano il capopirata, parlano fra loro."Dice che è carico d'oro.""Ma se è mezzo nudo!""Ce l'avrà dentro le budelle.""Allora tiriamolo su così ci divertiamo ad aprirgli la pancia. Forse è veramente piena d'oro.""Lasciamolo dove sta così se lo mangiano i pesci. Tanto noi non possiamo mangiarlo.""E perché? La carne di cristiano è buonissima, più o meno è come quella del coniglio."Per fortuna che Millemosche non capisce. Uno dei pirati butta in acqua una corda. Lui si aggrappa subito ma quando è vicino al barcone piratesco saraceno non ce la fa a salire. Allora si lega la corda intorno alla vita e poi fa segno ai pirati di tirare. Appena ha messo piede sul barcone, Millemosche sta quasi per ributtarsi in acqua. Si guarda intorno spaventato da quelle facce grattugiate dal vaiolo 1 e capisce di essere in un altro mare di guai. Come si fa? Vogliamo ributtarci in acqua un'altra volta? Millemosche gli viene in mente che un'arma ce l'ha anche lui, molto peggio di un pugnale di una spada o di una alabarda: il campanaccio che ha ancora legato al piede. Allora alza la gamba e incomincia a scuoterla con tutta la forza che gli è rimasta."Ho la lebbra! Ho la lebbra! Scappate che sarà meglio per voi! Sono marcio di lebbra dalla testa ai piedi! "Millemosche si mette a correre da una parte e dall'altra a inseguire i pirati che incominciano a buttarsi in acqua uno dopo l'altro piuttostoche farsi toccare dal lebbroso. Il capopirata saraceno gli tira un coltello. Millemosche riesce a schivarlo per miracolo, poi ricomincia a correre dietro ai pochi che ancora sono rimasti sul barcone e finalmente anche questi si buttano in acqua mandandogli centomila stramaledizioni insaraceno.Rimasto solo, Millemosche corre a cercare il timone ma non lo trova da nessuna parte. Eppure deve esserci. Infatti lo cercava dalla parte sbagliata perché il timone sta di dietro e non davanti, cioè a poppa e non a prùa, come dicono quelli che si intendono di barche e altre imbarcazioni. Le vele niente, quelle è meglio lasciarle perdere perché come ci mette mano incominciano a sbattere e a gonfiarsi. Si formano anche dei nodi dove rischia di restarci strangolato. Ma il timone invece basta muoverlo un po'"e il barcone volta a destra e a sinistra proprio come un cavallo quando uno tira la briglia. Con la differenza che qui bisogna stare attenti alle curve molto più che con un cavallo perché se no si scaravolta la barca. Insomma a forza di sterzate e giravolte, Millemosche riesce a avvicinarsi alla riva. Gira il barcone ha preso la direzione giusta e finalmente va a infilarsi nella sabbia sbalzando Millemosche che fa un gran volo a testa in avanti e va a infilarsi nella sabbia anche lui.

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NOTE.

1. vaiolo: è una malattia che lascia profonde cicatrici ed eruzioni nella pelle.

MEGLIO VIVI CHE MORTI

Il barcone piratesco saraceno resta infilato nella sabbia mentre Millemosche si pulisce gli occhi con il dorso della mano e vede che cosa? Vede Pannocchia e Carestìa che si fregano anche loro gli occhi con il dorso delle mani e lo guardano come un morto risuscitato dopo il cimitero."Ma tu sei Millemosche!" "E voi siete Pannocchia e Carestìa!" "Allora ci siamo tutti." "Ma sei sicuro che sei tu e non un altro? Non facciamo scherzi, Millemosche.""Allora, se vogliamo discutere, perché mi avete lasciato affogare? ""E tu perché ti sei buttato in acqua?" "Se ve lo dico vi buttate in acqua anche voi." "Non ce lo dire, che ti venga la lebbra! " "E voi non nominate la lebbra, per piacere." Millemosche si siede sulla sabbia vicino ai due amici e si mette a raccontargli che lui è riuscito a vincere in duello almeno cento pirati saraceni, a portargli via il barcone e a pilotarlo fino lì sulla "spiaggia. Millemosche andrebbe avanti chissà quanto a raccontare le sue avventure se non comparissero sul pelo dell'acqua alcuni pirati che si avvicinano a nuoto per venirsi a riprendere il loro barcone. Millemosche diceche non se la sente di fare un altro duello e si mette a scappare insieme a Pannocchia e Carestìa che, alla vista dei pirati, si mettono a scappare ancora più di lui.

SCHEDA DI LETTURA RAGIONATAAutori : Tonino Guerra Luigi MalerbaTitolo: Storie dell'anno MilleLuogo di edizione : MilanoCasa editrice: Valentino BompianiData di edizione: 1972Collana : Narratori moderni per la scuolaPersonaggi principali :Millemosche, il "cavaliere".Pannocchia e Carestìa, due soldati morti di fame.ARGOMENTOIl libro narra la storia di Millemosche, Pannocchia e Carestìa che vagano nella società alla ricerca di un po'"di cibo e di un po'"di tranquillità.La storia non ha un filo unico, a parte la presenza dei tre protagonisti.È composta da tante piccole avventure e disavventure, raccontate in forma semplice e accessibile.Dopo essere riusciti a uscire da un pozzo i tre, che una volta appartenevano a eserciti nemici, affrontano la strada insieme. Cercano di evitare la peste e pensano di vendere lo sterco per far soldi. Incontrano tre frati a cui rubano i vestiti. Incontrano il Papa che li scambia perfrati veri e pretende di essere confessato da uno dei tre, toccherà a Millemosche. Riparano in un convento che custodiva i peli della barba di un celebre frate: Fra Guidone Eccetera Ecceterone. Peli inesauribili, mentre, caso strano, ai frati di quel convento non

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cresceva la barba. Scappano dal convento dopo aver tentato di mangiarsi un maiale e si arruolano in un esercito di mercenari che assediava un castello. Millemosche diventa, fisicamente, il braccio destro del capitano, il quale ha perso il suo in battaglia. Scappano ancora dopo che Millemosche ha schiaffeggiato il signorotto feudale che aveva ingaggiato i mercenari, inseguiti dai soldati che vogliono bruciare la mano di Millemosche. Credono di vedere in sogno una mucca che è del tutto reale e si accingono a mangiarla sul serio. Ma i contadini vigilano e li mettono sul rogo. Arriva un temporale che spegne l'incendio. Scappano e una contadina offre loro ospitalità. Ma scoppia la gelosia. Se ne vanno di nuovo. Arrivano al mare e si trovano davanti i pirati saraceni. Scappano di nuovo.È un libro che si legge d'un fiato, perché è un invito a una gioiosa lotta per la sopravvivenza. Il ritmo della storia, la sua velocità, permettono una lettura facile. Un umorismo contadinesco pervade tutta la vicenda dall'inizio alla fine.LINEE TEMATICHE— La società medievale sembra essere fatta da tante piccole società incastrate l'una nell'altra.— La produzione di beni di consumo e di merci nella società medievale era estremamente limitata, perché?— Perché tre disperati si uniscono in un comune cammino? È solo la fame o c'è qualcosa di più?— La chiesa sembra poco dedita alle opere di bene e molto attenta al commercio delle reliquie sacre, come mai? — Il mito della cavalleria affascina violentemente i tre protagonisti. Essere cavalieri è il più grande fra gli onori. Sembra un altro mondo rispetto alle misere esistenze dei tre, un mondo che essi vivono di riflesso.SPUNTI PER RICERCHEE ARGOMENTI PER DISCUSSIONI— Differenza tra la lingua dei dotti e quella del popolo.— Iniziano a ingrossarsi le città, che nel periodo precedente erano andate quasi distrutte.— La funzione di Carlo Magno, per la rinascita culturale.— Che funzione hanno gli istinti primordiali: fame, paura nella vita dell'uomo?— Qual era il rapporto tra uomo e natura nel medioevo. e qual è questo rapporto oggi?— Qual era l'organizzazione sociale nel medioevo? Vi sono differenze tra la chiesa di allora e la nostra chiesa?ATTIVITÀ— Ricerca sugli usi e costumi medievali.— Raccolta di materiale sulle armi antiche, fotografie di spade, elmi corazze.— Ricostruzione figurata di un piccolo borgo medievale con i vari personaggi: contadini, cavalieri, monaci, fabbri ecc.Bibliografia degli autoriTonino Guerra: I Bu; La storia di Fortunato; Dopo i leoni; L'equilibrio; L'uomo parallelo; Il cannocchiale ; I cento uccelli; Il Polverone.Luigi Malerba: La scoperta dell'alfabeto; Il serpente; Salto mortale; Il protagonista; Le rose imperiali; Le parole abbandonate; Il pataffio; Come il cane diventò amico dell'uomo; Mozziconi; Storiette; Pinocchio con gli stivali; Dopo il pescecane.Opere che si richiamano ai temi di questo libroTecnica e società nel Medioevo di White Lynn, Il Saggiatore (un trattato agevole sulla società medievale).180SCHEDACiviltà medievale di De Stefano, Zanichelli (sempre sullo stesso tema).

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I fanatici dell'apocalisse di Cohn Norman, Ed. di Comunità (storia della grande attesa della fine del mondo). Figure e fatti di storia medievale di Brigante Colonna (i personaggi più in vista e i fatti più noti dell'epoca). La Cavalleria di Gautier, Massimo ed. (l'epopea dei cavalieri e i vari ordini cavallereschi). Luci e ombre del Medioevo di Hillyer, Fabbri. Ivanhoe di Walter Scott (il più famoso romanzo d'avventure del Medioevo, che ha reso famose le gesta dei cavalieri e il loro mondo).