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AP2015 ANTROPOLOGIA BIBLICA (Prof.ssa Nuria Calduch-Benages, MN) Secondo Semestre 1997/98. ANNOTAZIONI: - La specializzazione della professoressa è il libro di Bensira Il PROGRAMMA 1. -INTRODUZIONE a) Antropologia e antropologia biblica b) Antropologia e cultura c) Tipi di antropologia biblica. d) Antropologia dell'AT e del NT. e) Linguaggio antropologico. 2. L'UOMO CREATO PER L'ALTRO Genesi 1 e Genesi 2 3. NEGARE L'ALTRO É MORIRE Genesi 3 4. IL DECALOGO, CAMMINO DI LIBERTA Esodo 20,2-17/ Deuteronomio 5,6-21. 5. I PROFETI, DIFENSORI DELL'ALLEANZA (si farà soltanto uno. Elia o Eliseo) 1Re 18,20-46. 6. I SAGGI: LA PROVA DEI GIUSTI Siracide 2,1-18. 7. L'ANTROPOLOGIA DEL NT a) Sinottici b) Scritti giovannei c) Corpus paulinus. 8. GESU E LE DONNE. Lavoreremo sui testi. 1

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AP2015 ANTROPOLOGIA BIBLICA(Prof.ssa Nuria Calduch-Benages, MN)

Secondo Semestre 1997/98.

ANNOTAZIONI:- La specializzazione della professoressa è il libro di Bensira

Il PROGRAMMA1. -INTRODUZIONE

a) Antropologia e antropologia biblicab) Antropologia e culturac) Tipi di antropologia biblica.d) Antropologia dell'AT e del NT.e) Linguaggio antropologico.

2. L'UOMO CREATO PER L'ALTROGenesi 1 e Genesi 2

3. NEGARE L'ALTRO É MORIREGenesi 3

4. IL DECALOGO, CAMMINO DI LIBERTAEsodo 20,2-17/ Deuteronomio 5,6-21.

5. I PROFETI, DIFENSORI DELL'ALLEANZA (si farà soltanto uno. Elia o Eliseo)1Re 18,20-46.

6. I SAGGI: LA PROVA DEI GIUSTISiracide 2,1-18.

7. L'ANTROPOLOGIA DEL NTa) Sinotticib) Scritti giovanneic) Corpus paulinus.

8. GESU E LE DONNE.

Lavoreremo sui testi.

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1. INTRODUZIONEL’Antropologia – è una scienza dell’uomo, scienza umana, che studia una realtà

di per se molto complessa, misteriosa, che è l’essere umano. Però il campo di studio dell’antropologia non si limita all’essere umano, come essere fisico, ma abbraccia tutto l’ambito vitale della vita dell’uomo. Quindi, la cultura e la civiltà. In altre parole, l’antropologia vuole rispondere ad una domanda antica, molto antica e molto attuale allo stesso tempo. E una domanda cui nessuno di noi può sottrarsi: cosa è l’uomo? Questa domanda è classica. L’antropologia è nata come scienza nel secolo XIX, più esattamente tra il 1860 e il 1890. Però questa scienza è ereditaria di una lunga tradizione molto più antica. Una tradizione che si rifà a questi personaggi: Erodoto(484-420 a.C), Tucidide(465-395 a.C.), Senofonte(430-355 a.C.), Tacito(55-120 d.C.), Suetono(69-125 d.C.). Tutti questi sono storici classici, greci e latini, e sono considerati come gli antenati, i precursori dell’antropologia. Però fra tutti, in maniera particolare, il primo, cioè Erodoto di Alicarnasso, che è conosciuto come il padre dell’antropologia. Questo, fece lunghi viaggi in vita sua, una vita molto interessante. Sappiamo che andò in Egitto, in Siria, in Persa, tra molti posti altri che egli visitò. Il tratto più caratteristico della personalità di Erodoto è senza dubbio la sua curiosità. Sappiamo dai racconti che era un uomo molto, molto curioso. Aveva una doppia curiosità. Una curiosità che chiamiamo geografica o etnografica, dunque una curiosità sulle usanze, i paesi, i popoli stranieri, le tradizioni, e poi una curiosità storica. Quindi, era incuriosito dagli eventi del passato, cosa era stato prima del mondo in cui lui viveva. La sua curiosità è una curiosità non tanto topografica, non tanto geografica, ma la sua curiosità preferiva tutte quelle cose che andavano in rapporto con l’uomo. Quindi, era più una curiosità di tipo umano, non tanto di tipo topografico, geografica, cartografico. Una geografia umana, in termine moderni, ed era interessato in tutte queste questioni. Per esempio le tradizioni, gli stili di vita, i tratti delle popolazioni, proprio geografia umana, che diciamo oggi. Erodoto ricevette il titolo di padre dell’antropologia, grazie a queste sue curiosità, umana, da una parte, e storica, dall’altra. E perchè storica, anche? Perchè Erodoto parla del passato, passato del suo popolo, però non vuol andare troppo lontano nel suo tempo. Preferisce parlare di quello che accade uno o due secoli prima soltanto. Non parlava della mitologia, non si riferiva ai miti antichi degli dei, come nacque il mondo, tutto questo non interessava a lui. Voleva sapere il passato più prossimo del suo popolo, e lui, evidentemente, era greco. Erodoto scrisse una storia, che ha molti volumi, in greco, però anche tradotta. Una storia lunghissima dove lui racconta la guerra tra i greci e i persiani. Questo è il punto focale. Questo sarebbe il principale scopo dell’opera. Lui interrompe continuamente questo filo storico. E lo interrompe digressioni, con storie, con spiegazioni, con aneddoti, tutta una serie di cose che si infilano dentro di questo filo, questa storia che lui sta raccontando. Erodoto fa una rappresentazione del mondo, dove i personaggi sono sempre ordinati secondo il modello greco. Perchè il modello greco? Perchè evidentemente il modello greco è per lui punto di riferimento. Tutto quello che non è greco è l’alterità, quindi i barbari, gli stranieri e tutto quello che non combacia con il modello greco e l’altro. Questo è molto interessante. Quindi, l’alterità per Erodoto si riconosce a partire dal modello greco che è il modello per eccellenza. Testi di Erodoto:

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“Questa è l’esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso, perchè gli eventi umani non svaniscano con il tempo. E le imprese grande e meravigliose, compiute sia dai greci sia dai barbari, non restino senza fama, in particolare per quale causa essi si fecero guerra”. (Storia I)Si vede già chiarissimo che tutti quelli che fecero la guerra contro i greci erano i barbari, tutti gli altri. Tutta la sua filosofia antropologica viene descritta perfettamente. Esempio di digressione fatta da lui:“Per me, dunque, è assolutamente chiaro che Candisse era in preda a una grande follia, altrimenti, non avrebbe cominciato a deridere la religione e le usanze. Apriva sepolture, ne esaminava i cadaveri, derideva le statue”. Questo era la peggiore cosa che si poteva fare, poiché diceva Erodoto: “ Le usanze sono fatte così, quindi con il passo della tradizione, e mi sembra che Pindaro fosse nel giusto quando diceva che le usanze è la regina del mondo” (Storia III, par. B 38). Quindi, vedette il tipo di storia che lui fa con queste digressioni con i suoi personaggi.

Erodoto non utilizzò mai in tutte queste volumi della sua storia la parola antropologia, mai. E la parola antropologia, è una parola greca, viene di antropos(uomo) e logos, logia(studio). Però lui non usò questa parola. Però si noi capiamo l’antropologia nel senso più ampio come un trattato sull’alterità, un trattato sugli altri, come pensano gli altri, come vivono gli altri, quali modo di pensare, come reagiscono, ecc., allora Erodoto, evidentemente, fu il primo antropologo della storia. Da Erodoto si può passare al Rinascimento con la scoperta dell’America, che fu il grande evento, andiamo al secolo l8 dove si scoprì il Pacifico, l’Africa, l’interiore dell’America, si svilupparono le scienze naturali. E un momento di rinascimento, di rinascite ai nuovi mondi, un momento di grandi viaggi degli esploratori, tantissimi avventurieri che cominciarono a fare grandi viaggi per conoscere il mondo. Tutto il movimento che cominciò con il Rinascimento e culminò nel secolo 18, aprì, preparò il terreno per la nascita della scienza di cui stiamo parlando. Per la nascita dell’antropologia. Abbiamo detto all’inizio che come scienza, l’antropologia nasce tra il 1860 e il 1890, e due nomi che si deve ricordare sono: nel 1884 a Oxford c’era un corso universitario su antropologia, e poi all’università di Harvard, nel 1886.

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Nel secolo XIX questa scienza si diversificò quasi immediatamente in diversi discipline, che sono: l’antropologia fisica o somatica e l’antropologia culturale o culturalista, queste furono le due grandi diversificazioni dell’antropologia. L’antropologia culturale ricevette anche il nome di etnologia. L’antropologia fisica è molto concreta, molto limitata come scienza, perchè studia lo sviluppo fisico e somatico dell’uomo, durante tutti i secoli di esistenza sul pianeta. Anche fa il paragone tra i diversi tipi fisici di uomo che ci sono sulla terra, quindi è molto definita, molto limitata. L’antropologia culturale studia quello che chiamiamo il “fatto culturale”, dai diversi gruppi umani che abitano sulla terra. Come possiamo definire questo “fato culturale”? Io direi che è l’insieme di conoscenze, di diversi tipi di arti, di religioni, di usanze, di diritti acquistate dall’uomo che vive in società. Tutto questo insieme forma, costituisce il fatto culturale. A questi elementi dobbiamo aggiungere una caratteristica fondamentale della cultura che è la sua trasmissibilità, questo è il punto fondamentale, poiché una cultura diventi una grande civiltà di questa ha bisogno di questa trasmissione, pensate, per esempio alla diffusione dell’ellenismo. Perchè l’ellenismo diventasse quel fenomeno grandissimo, quella civiltà che invase tutto il vaccino del Mediterraneo, ci fu bisogno non soltanto di una potenza, di una energia come tale nel popolo greco, ci fu bisogno di una grande trasmissione. Quindi, questo è il punto chiave. Come si trasmette una cultura? Abbiamo la tradizione, la usanza, la tradizione culturale, l’eredità culturale, tutto questo forma parte di questo fenomeno di trasmissibilità di una cultura. Quindi, l’antropologia culturale studia il fatto culturale dei diversi gruppi umani che popolano sul pianeta.a) Antropologia e antropologia biblica

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Dove noi possiamo situare l’antropologia biblica, in tutto questo? L’antropologia biblica appartiene all’antropologia culturale, senz’altro. Accenniamo il documento della Pontificia Commissione Biblica, di 1983. È un documento dove si studiano, si presentano tutti gli approcci che si possono fare alla Sacra Scrittura, che sono molti. E uno di esso è l’approccio attraverso l’antropologia culturale. Il metodo dell’antropologia culturale è un metodo che adesso sta prendendo molta forza, soprattutto negli USA e anche nella Spagna, perchè ci è stato un rapporto abbastanza vivo tra le persone: “Mentre l’approccio sociologico studia soprattutto gli aspetti economici e istituzionali, quello antropologico si interessa a un vasto insieme di altri aspetti, che si riflettono nella lingua, nell’arte, nella religione, ma anche nei vestiti, negli ornamenti, nelle feste, nelle danze, nei miti, nelle leggende, e tutto ciò che concerne l’etnografia. In genere l’antropologia culturale cerca di definire le caratteristiche dei diversi tipi di uomini nel loro ambiente sociale, come per esempio, l’uomo mediterraneo”(Malina). Questo che ha fatto il Prof. Malina, è studiare l’uomo mediterraneo, la donna mediterranea, la casa mediterranea. Perché la Bibbia è nata nel bacino del Mediterraneo. Allora, lui è partito da questa premessa. Dice: “Nella società attuale degli USA, è impossibile, soprattutto i ragazzi giovani, che prendano la Bibbia e che ne capiscano qualcosa, è impossibile. Perchè è tutto così lontano da loro, il linguaggio, le immagini che loro non possono capire. È impossibile. Lui ha cominciato a sviluppare un nuovo metodo per aprire gli occhi degli americani verso il NT. Dice: “L’uomo mediterraneo con tutto ciò che questo implica di studio dell’ambiente rurale o urbano e di attenzione ai valori riconosciuti dalla società, onore e disonore, il segreto, la fedeltà, la tradizione, tipo di educazione e di scuole, al modo di cui si esercita il controllo sociale, alle idee che si ha della famiglia, della casa, della parentela, alla situazione della donna, ai binomi istituzionale, come capo-dipendente, proprietario-locatario, benefatore-beneficiario, libero-schiavo, senza dimenticare la concezione del sacro e del profano, il tabù, il rituale del passaggio da una situazione all’altra, la magia, l’origine delle risorse, del potere, dell’informazione. Quindi, questo è un nuovo approccio che si può fare alla Sacra Scrittura, sia all’Antico, sia al Nuovo Testamento, basato sull’antropologia culturale. L’antropologia culturale offre grandissime possibilità per capire la sacra Scrittura. Un nuovo metodo di approccio per capire la Bibbia. Quale è la domanda fondamentale dell’Antropologia biblica? Cos’è l’uomo? Però è meglio dire: Chi è l’uomo? Perché dicendo cos’è l’uomo?, senza volerlo, benché capiamo cosa vogliamo dire, presupponiamo l’uomo come una cosa, nel senso che sia un qualcosa finita. Però si domandiamo chi è l’uomo?, la risposta evidentemente sarà: è una persona. Quello che importa non è tanto dire è una persona, ma qualcosa di aperto, perché una persona è un essere aperto all’infinito, all’altro, a se stesso, quindi, non è un qualcosa di finito. La persona è sempre un elemento di sorpresa, di mistero, è sempre qualcosa di inesauribile, non si sa mai le ricchezze, le potenzialità, le capacità che una persona ha dentro di sé, mai. Quindi, questa domanda vogliamo o non, ci accompagna cotidianamente. Anche si non tentiamo di ignorarla, tante volte per comodità o per pigrizia, queste domande fondamentali lasciamo da parte, perché ci complicano la vita, si cominciamo a pensare troppo allora nascono i problemi. Però questa domanda di chi è l’uomo, scaturisce non soltanto dal nostro mistero personale, che è un mistero fatto di successi, di fallimenti, di gioia, di tristezze, di tanti paradossi. Ma è anche una domanda che scaturisce della realtà d’altrui, dalla società in cui viviamo, non è un qualcosa

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rigorosamente personale, è una domanda che nasce dal mondo in cui viviamo, dal nostro rapporto con gli altri. Risposte a queste domande ci sono molte, però dobbiamo riconoscere che tutte sono parziali. Perché una conoscenza ultima e perfetta dell’uomo è irraggiungibile. Ricordiamo Socrate, il filosofo greco, che concepì la natura umana un problema a se stesso, per lui la natura umana non aveva niente a che fare con gli dei dal panteon, con la mitologia, niente. Per lui il problema era veramente la natura dell’essere umano, ricordiamo quella famosa frase: ”Conosce te stesso”, che riassume tutta la filosofia di Socrate. Cosa significa questa frase, oggi: auto-esame, autoconoscenza, introspezione. Secondo lui, l’uomo deve interrogarsi, e deve interrogare la propria natura per ricercare delle risposte. Questo fu, già un tentativo nel secolo IV, secolo di Socrate.

Lasciando la filosofia, andiamo al Cristianesimo. Cosa fa il cristiano davanti a questa domanda: chi è l’uomo?, cosa facciamo noi davanti a questa domanda? Il cristiano si rivolge alla Bibbia e cerca di trovare una soluzione. Però cosa capita? La Bibbia no dà una risposta magica, immediata, chiara a questa domanda. Perché la Bibbia non risponde così alle domande. La Bibbia si occupa del mistero dell’uomo, sotto molti aspetti. E ci offre una grande ricchezza di possibilità. Una ricchezza però che non è dispersiva, al contrario, tutte le immagini, tutte le spiegazioni, tutti i racconti biblici illuminano da diversi angoli la realtà così complessa dell’uomo. Sono racconti diversi, con stili e generi letterali diversi, situati in epoche diversi, in ambienti diversi. Però la configurazione della persona umana, nella Bibbia, è sempre la stessa. È vero che i testi della Bibbia non parlano di Dio in se, e neppure dell’uomo in se, però ci troviamo dinanzi a testi che sono essenzialmente relazionali. Che parlano di Dio in rapporto all’uomo e parlano dell’uomo in rapporto a Dio. Però la maggioranza dei testi sono orientati a spiegare più l’uomo che a Dio, il soggetto, nella maggior parte dei casi, è sempre l’uomo. Dalla Genesi fino all’Apocalisse, scopriamo una interrotta curiosità di sapere cosa è l’uomo, come si autointende l’uomo. Vediamo che l’uomo della Bibbia non smette mai di interrogarsi su se stesso. L’uomo biblico è aperto alla trascendenza, e disposto sempre all’ascolto. Questa apertura al trascendente è nell’uomo un elemento fondante, costitutivo. Non è un appendice, qualcosa aggiunta dopo. L’uomo nasce con questa apertura al trascendente. E un uomo religioso, che si autointende a partire del suo rapporto con Dio. Finiamo con una riflessione di Abraam Retschel, poeta ebreo, che ha scritto nel 65, ”Chi è l’uomo?”: “Dalla prospettiva della Bibbia chi è l’uomo? Un essere in travaglio che si confronta con i sogni e i piani di Dio. Con i sogni di Dio di avere un mondo redento, con i sogni di riconciliazione tra cielo e terra, di una umanità che è veramente a sua immagine, che riflette la sua sapienza, giustizia e compassione. Il sogno di Dio non è solo di essere come partner nella creazione. Qualunque cosa facciamo, qualunque azione sviluppiamo, non possiamo anticipare neanche strappollare il dramma della redenzione, non possiamo ridurre e neanche aumentare il potere del male”. b) Antropologia e cultura

L’antropologia biblica studia l’antropologia culturale del gruppo umano che ha vissuto i fatti, gli eventi, le esperienze religiose, politiche e sociali che i testi vi testimoniano. In realtà si trattano di due tipi di gruppi umani ben diversi:1- il gruppo che ha vissuto e ha scritto la Bibbia ebraica;2- il gruppo che ha elaborato la versione greca dell’AT e il NT.

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Quindi, il mondo ebraico e il mondo greco.L’antropologia biblica non studia l’antropologia della bibbia, ma si occupa di un

gruppo umano, di una comunità umana. La bibbia va avvicinata come un fenomeno di civiltà, un fenomeno di cultura, o di culture. Soltanto così è possibile studiare una cultura a partire dalla Bibbia. Ma c’è una difficoltà e una ambiguità nell’antropologia biblica. Cioè:1- la Bibbia è un’opera immensa che testimonia più di 2000 anni di storia. Per es. Il

Pentateuco: il documento javista data del sec X a.C.; il documento sacerdotale del sec VI-V a.C. Sono testi di epoche differenti, di concezioni differenti sull’uomo.

2- La Bibbia contiene più di 70 libri scritti in epoche diversi con metodi diversi, che riflettono circostanze diversi. Per es.: la legislazione del Levitico, Proverbi 10-29, Giobbe, le parabole di Gesù.

3- Il gruppo umano della Bibbia va dal nomadismo alla vita sedentaria, dall’organizzazione tribale all’organizzazione statale, dal giudice alla monarchia, da una economia chiusa ad una di mercato. D’altra parte, le strutture tribali decadono progressivamente. E Israele che dal niente comincia con poche tribù, invece di crescere viene continuamente invaso da diversi imperi: egiziano, mesopotamico, persiano, greco, romano. La vita di Israele è la vita di un popolo colonizzato, anche deportato. Tutto ciò significa un contatto costante con diversi culture che hanno lasciato tracce nel popolo della Bibbia, nel popolo di Israele. Israele non è stato mai un popolo isolato, sempre in continua battaglia, lotta, dipendenza, sottomissione, rapporto con tutti i popoli attorno. Il primo influsso è stato il mesopotamico, poi l’egiziano, la dominazione Assiria, la Babilonia, la Persa, Grecia e Roma.

Quindi, dalla nascita il popolo è stato sempre in contatto con gli altri. Il primo influsso che ha ricevuto è stato quello della cultura di Sumer, la sumeria e l’accadia.

Sumer ha influito di maniera implicita perché i sumeri sono spariti prima della nascita del popolo di Israele. Però dopo i sumeri vengono gli accadi, che entrarono in contatto con i cananei, dove finisce il popolo. Cfr. La storia comincia con Sumer. Il primo influsso senza sapere. Sia nella forma sia nel contenuto i libri della Bibbia si rassomigliano molto alla letteratura delle prime civiltà del prossimo oriente. Non è che su svaluta il significato degli scritti della Bibbia o il genio degli ebrei che hanno scritto. Anzi, uno soltanto può meravigliarsi davanti al cosiddetto “miracolo ebraico”, capace di trasformare i temi statici e i modelli convenzionali dei loro predecessori nella creazione letteraria più dinamica e più vibrante che nessuno abbia mai potuto conoscere. Ecco il “miracolo ebraico”: il contatto con le prime culture.

Le difficoltà sopra sono elementi molto importante in qualsiasi studio di natura antropologica.

La Bibbia si presenta come una testimonianza vivente di molti secoli di storia. Una testimonianza che esprime molte culture, sottolineate molte lingue. Così offre un’immagine del mondo e dell’uomo dinamica, completamente dinamica. Il mondo e l’uomo nella Bibbia sono sempre in cammino. E ambedue cercano costantemente la loro identità e il loro destino. Perciò la Bibbia è sempre attuale.

Bibbia e cultura, dunque, sono concetti inseparabili. Il messaggio biblico non esiste senza una cultura. Però non si identifica mai con una sola cultura, non è un messaggio escludente, è aperto. L’antropologia biblica non può essere ridotta a un semplice prodotto del suo tempo, perché è molto di più. Si percepisce nei testi biblici

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una nuova dimensione che va al di là dello spazio e del tempo. L’uomo della Bibbia, grazie al suo rapporto con Dio è un uomo capace di creare una nuova cultura, una nuova civiltà, che si situa nel piano della liberazione. Cioè, è vero che il messaggio è inculturato, ma è anche vero che il suo messaggio non è chiuso, non è limitato, non esclude a nessuno, perché si situa su un altro piano, va al di là del fenomeno culturale antropologico, perché si situa nel piano della Rivelazione. Perciò l’uomo biblico può trascendere questi elementi che sono di per sé inculturato. Evidentemente quello che non si può fare è saltare i passaggi. Non si può strappare il messaggio biblico come si la Bibbia non avesse né terra, né lingua, né cultura, né appartenenza alla storia. Però è vero anche che il messaggio biblico ha una energia; veramente divina e ispirata che fa saltare queste barriere. Perciò è un messaggio universale, essendo inculturato. Questa è la grandezza della Bibbia. Dunque, Bibbia e cultura senz’altro unite.

c) Tipi di Antropologia biblicaSono due tipi di Antropologia biblica:

1) L’opera più diffusa di Antropologia biblica di Hans Walter Wolf. Il Prof. Wolf scrisse nel 1973. E stato un manuale per eccellenza. Nel prologo Wolf indica che il suo studio si basa solo sull’AT, però sarebbe da completare da una parte dedicata al NT. Considera la sua opera incompleta. Definisce la sua opera come un’antropologia sistematica. Quindi, un’antropologia organizzata seguendo uno schema molto fisso, chiaro, tripartito:1) l’essere dell’uomo2) il tempo dell’uomo3) il mondo dell’uomo

Il contenuto: 1) descrizione dell’essere dell’uomo, delle sue componenti, delle sue facoltà, dei suoi organi, dei suoi sensi. Spiega i temi antropologici più rilevanti, come: anima(nefesh), carne(basar), spirito(ruah), cuore(leb); poi spiega il corpo umano. 2) raccoglie tutto ciò che la Bibbia dice sulla creazione dell’uomo, dell’universo, della vita, la morte, la gioventù, la vecchiaia, il lavoro, il riposo, la malattia, la guarigione, la speranza. 3) centrata sulla società. Tratta la coppia, la famiglia, gli amici, i nemici, il padrone, gli schiavi, i maestri e i discepoli. Finisce con una sezione dedicata al destino dell’uomo, che è una sezione bella: l’uomo è destinato a vivere nel mondo, è un uomo destinato ad amare l’altro, un uomo che è destinato a dominare la creazione e a lodare Dio.

Wolf stesso spiega il suo metodo. Dice: né AT contiene una dottrina unanime sull’uomo, omogenea né noi possiamo stabilire una linea di sviluppo dell’idea biblica sull’uomo. E vero, però malgrado ciò riesce a presentare l’antropologia biblica di una maniera abbastanza unitaria. Infatti, sua opera riesce a dare più o meno l’immagine biblica sull’uomo. Cosa manca a questa sua opera? Manca un accenno alla struttura politica e religiosa del popolo di Israele. Per esempio: le penalità, il sacerdozio, il culto non appaiono. Anche le esperienze di gruppo. Wolf parla sempre dell’uomo come singolo, come persona, ma l’esperienza come gruppo manca. Anche il rapporto tra Dio e l’uomo. Wolf presenta un’antropologia sistematica, di un modo strutturato, classico.2) L’opera di Gilles Cusson, Notes d’anthropologie bibliche, Rome 1977. Presenta un altro tipo, non sistematico, ma storico. Sono dispense per l’uso degli studenti.

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Secondo lui l’antropologia è una scienza rigorosa dell’uomo concreto, vivente in gruppo e considerato nel dinamismo del suo divenire. E l’antropologia biblica è l’antropologia di una civiltà che veniamo a conoscere attraverso la Bibbia. E la Bibbia deve essere collegata alla storia del popolo che la ispira. É completamente diversa dell’opera di Wolf: 1) considera l’AT e il NT; 2) vuole essere una presentazione storica dell’antropologia biblica. Una presentazione legata allo sviluppo storico dell’uomo. Sua opera non è facile, suo pensiero è complicato. Mette in rilievo il carattere specifico delle idee di Israele sull’uomo e allo stesso tempo vuol mostrare le connessione culturale con gli altri popoli.

Cusson divide il suo libro così:1) visione ebraica globale sull’uomo, basandosi nei primi capitoli della Genesi.2) Una spiegazione della visione presentata in Gen 1, 11. Quello che ha presentato

spiega in chiave antropologica. Analizza la figura di Abramo, di Mosè, dei profeti, dei saggia, sempre puntando alla esperienza antropologica.

3) Molto breve come un prolungamento dell’esperienza ebraica dopo l’esilio fino al NT. Cusson fa un percosso storico.

Questi due opere segnano i due tipi di antropologia biblica, quella sistematica e quella storica. Altri esempi: W. Eippol, G. von Rad, due teologie bibliche. Eippol presenta un’antropologia biblica sistematica; von Rad un’antropologia biblica storica. Due approcci diversi, come in Wolf e Cusson. Nella situazione attuale è più diversa, non si fa così. Oggi, nessuno vuole più un’antropologia sistematica, si vuole una sistemazione storica, però non storico. Oggi, si fa tutto: antropologia di tipo esegetico, narrativa, socio-culturale, esegetico-biblica, filosofico-biblica. Tutto dipende dal punto di vista dell’autore. Altri campi: antropologia etica.

Secondo giornod) Antropologia dell’AT e del NTRapporto tra l’Antico e Nuovo Testamento

Come capire l’antropologia dell’AT e del NT. Si deve partire dall’AT, base della nostra Bibbia. L’AT fu anche la Bibbia per la primitiva chiesa.

Per noi cristiani, la Bibbia consta di questi due testamenti, l’Antico e il Nuovo. La nostra concezione biblica non vuole in nessun momento sostituire o soppiantare la Bibbia ebraica, la Bibbia di Gesù, poiché la Bibbia ebraica era quella che Gesù conosceva. Quindi, la Bibbia ebraica, l’AT, fu anche la Bibbia della prima Chiesa. Finché la prima Chiesa non ebbe il Vangelo in mano, ha dovuto passare, più meno un secolo. C’è una comunanza profonda tre l’Antico e il NT. Però dobbiamo essere consci dal fato che il NT supera l’Antico, in una serie di punti ben definiti. Questo dato è un elemento fondamentale per la nostra concezione dell’antropologica biblica. E vero che l’Antico e il Nuovo si armonizzano, si completano a vicenda. Ma, il problema è in che modo capita, si svolge questa armonizzazione. Prendiamo un esempio: la Sacra Famiglia. Come si sviluppa questa armonizzazione. Non possiamo guardare l’AT come qualcosa di superato, come il Nuovo è il compimento, l’Antico è la parte incompleta, la parte che si deve perfezionare, e soltanto è valido il Nuovo, per oggi. Questo non è un atteggiamento che noi possiamo prendere. Un altro esempio: l’idea della benedizione. Come la troviamo nell’AT? Una idea totalmente materiale. Quali sono le grandi benedizioni nell’AT? Avere figli, maschili, ricchezze, avere beni, avere una lunga vita.

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Questi sono le tre benedizioni che si vedono nell’AT. Benedizioni materiali, nell’ordine materiale. Questa idea di benedizione continua nel NT, perché c’è la benedizione nel NT. Cosa fa il NT? L’ordine nel NT. Nel NT l’ordine è spirituale. Quindi, questo è un esempio. L’importante è vedere che il Dio dell’Antico e del NT è lo stesso Dio che si occupa di tutta la vita dell’uomo. Forse nella mentalità veterotestamentaria, si sottolineavano alcuni aspetti, nella mentalità neotestamentaria si sottolineano anche.

Pensiamo al Vangelo di Giovanni. E un vangelo meno agganciato alla storia, preferisce il linguaggio dei simboli, dei discorsi teologici. Però nel quarto vangelo si cita l’AT, utilizza l’appello all’AT. Questa mostra che il NT è intimamente collegato all’Antico. Quindi, è lo stesso Dio, che opererà attraverso la figura di Gesù. Quindi, se prima parliamo di un Dio che si rivela nella storia di Israele, che si rivela nella creazione, adesso parliamo di un Dio che si rivela in un uomo, che si è incarnato in un uomo. E con la figura di Gesù evitiamo una eccessiva spiritualizzazione del rapporto tra l’uomo e Dio. La rivelazione di Dio è una rivelazione continua, come sappiamo. Il problema è questo, perché siamo nell’antropologia biblica. Possiamo dal punto di vista dell’antropologia trovare un elemento comune che ci permetta di fare questo collegamento tra l’Antico e il NT in una maniera più meno completa? C’è un elemento di unificazione o non c’è? Questa è una domanda che c’è sotto la nostra disciplina.

Parliamo sul tema dell’Alleanza. L’alleanza è presente sia nell’Antico sia nel NT. Questo è un dato di fatto. Non è soltanto presente, ma è una tematica fondamentale nei due testamenti. Possiamo dire che l’alleanza è un centro, uno dei principali dell’Antico e del NT. Ricordiamo un po’ l’esperienza del popolo di Israele. Quale fu l’esperienza costitutiva, fondamentale per il popolo di Israele? L’esodo. Israele nacque con questa esperienza. E l’elemento fondante. Ricordiamo Mosè, che fu il guidatore di tutto il popolo, sempre seguendo le parole di Jahvé. Dopo avere vissuto questa esperienza il popolo reinterpretò, formulò di nuovo l’esperienza che aveva vissuto. Questo è importante. Non soltanto vivere, ma riflettere su quel che si è vissuto. E come la formulò Israele? Attraverso quella forma che si ripete nell’AT: Dio ha fato un’alleanza con Israele. E Israele ha acetato questa alleanza con Dio. Quello che voglio dire è questo: l’alleanza di Dio con il popolo di Israele è una reinterpretazione, o come si dice oggi, una rilettura dell’evento fondante dell’esodo. L’alleanza diventa come una parola che illumina la realtà vissuta. Non è soltanto il fato concreto che Dio ha liberato il popolo in quel momento storico, lasciamo questo. E quella percezione che sente Israele di aver stabilito un rapporto ad un altro livello, non dal livello concreto della salvezza concreta. Quindi, l’alleanza acquista una prospettiva, una portata molto più grande. Certo, questa è una sintesi rapida. Ma, tutti sappiamo il problema che c’è a livello della composizione del pentateuco. L’alleanza appare nella Genesi, nell’Esodo, nel Levitico, Deuteronomio, c’è l’alleanza. E noi sappiamo che il pentateuco ha sofferto una evoluzione molto complicata, e oggi ancora non si dà una risposta soddisfacente. Alcuni, oggi, dicono che il pentateuco è un paradigma cambiante, che sta in continuo cambio, in continuo movimento. Ma, io mi riferisco al messaggio d’insieme, al messaggio teologico d’insieme che non è per niente in contrapposizione ai problemi di tipo letterali, di tipo storico. Ma, una lettura sincronica, il testo come abbiamo oggi. Lasciando a parte i problemi possiamo dire che l’alleanza è la parola chiave per il popolo di Israele. Sia all’inizio, quando Israele nacque come popolo, sia nelle successive vicende della sua storia. L’alleanza è come un paradigma che permette

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capire la personalità del popolo di Israele. Perché vedete che il popolo di Israele è un popolo segnato con questo rapporto intimo con Dio. È come uno specchio che riflette questa personalità, il volto di Israele. Cosa farà Israele con questa alleanza? La interpreterà all’inizio, subito dopo l’esodo. Cosa fa in Es. 15? Canta la vittoria, lodando Dio. È già una prima interpretazione. Però poi lungo tutta la storia di Israele, di nuovo, adatterà continuamente, riformulerà questa alleanza. Ricordate: da una parte l’alleanza nel Sinai, quando Mosè ricevette il Decalogo, la prima alleanza, e ricordate Ger 31 che parla della stessa o di una altra? Parla già di una alleanza in un altro gradino, in un’altra tappa del popolo di Israele. L’alleanza con Dio è la stessa, però Israele ha subito una evoluzione. L’alleanza sempre continua ad essere il punto di riferimento del popolo di Israele. Il Nuovo Testamento

Anche la prima comunità viveva questa realtà dell’alleanza. La prima persona che dimostra è lo stesso Gesù. La vita del cristiano presentata da Gesù nel Vangelo è una vita che deve seguire uno schema di alleanza. Quale sarebbero i testi più rilevanti? L’istituzione dell’eucaristia, il discorso della montagna, la pasqua di Gesù. La vita del cristiano è la nuova alleanza che Gesù stabilisce. È chiaro che il tema dell’alleanza nasce nell’AT e si sviluppa piano piano fino ad arrivare al suo compimento nella persona di Gesù.

Non è il tema centrale della Bibbia, però ci permette fare un collegamento molto stretto con l’antropologia biblica. L’alleanza potrebbe essere un elemento di unione, di connessione tra i due testamenti a livello di una visione antropologica. Non si può ridurre l’AT e il NT al tema dell’alleanza, però moltissimi problemi di carattere antropologico hanno a che vedere con il tema dell’alleanza. Forse non è esplicito, non si vede così a colpo d’occhio, ma questo rapporto c’è. Possiamo dire utilizzando una metafora, che l’alleanza è una specie di contenitore dove si accumulano diversi temi antropologici. Però, anche l’alleanza è come una cornice, una prospettiva, un atteggiamento di tipo ermeneutico, che permette a Israele di capire se stesso e la realtà. L’alleanza come una categoria ermeneutica che ci permette di capire tutta la realtà di Israele, non solo come popolo, ma tutto quello che accade attorno a Israele. In parole più semplice: guardare l’uomo biblico alla luce della categoria dell’alleanza. È una esperienza primordiale che è sempre presente nella vita di Israele. Pensiamo ai profeti, ai saggi. Quante volte i profeti parlano di stabilire un’alleanza, di rompere un’alleanza. Ci sono tanti esempi di questo: Osea ci basta. È una costante nei testi biblici.

Concludiamo. Cos’è questa categoria di alleanza che parliamo? Nel suo contenuto essenziale l’alleanza è questa formula: “Tu sei il mio Dio e noi siamo il tuo popolo”; “Tu sei il mio popolo e il sono il tuo Dio”. È un rapporto con Dio, che implica delle condizioni, che esige qualcosa di ambedue le parti. Dalla prospettiva umana, l’alleanza è accettare JHWH come unico Dio, lasciare gli altri dei che appaiono nella Bibbia e seguire soltanto JHWH. Da parte di JHWH l’alleanza è proteggere e difendere il suo popolo. Cosa fa Dio con il suo popolo? Prima lo libera dall’Egitto, lo protegge dai nemici, lo benedice con la discendenza, li da le ricchezze, la pace, ecc. Se il popolo è fedele a Dio Lui risponde con generosità, con benevolenza, di una forma positiva. L’alleanza appare come un dono, un regalo che Dio fa al suo popolo. Lo fa perché vuole, ha voluto scegliere questo popolo. E questo dono è un dono di amicizia, di amore incondizionato. Dio è in favore dell’uomo, è vicino all’uomo. Sempre che può aiutare

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aiuta, protegge, benedice. È un amico fedele, un amore sicuro che non fallisce mai. Quindi, questo rapporto di alleanza è un rapporto dinamico, si mantiene lungo tutta la Bibbia. È una dinamica che si vede in tutti i testi biblici, dall’inizio fino alla fine con la figura di Gesù. Come finisce la storia fino a nostra Bibbia? Finisce in che questo rapporto di dio con l’uomo diventa un rapporto di figliolanza. Di questo non si parla nell’AT. Nell’AT l’uomo è servitore di Dio, mai figlio di Dio. Con Gesù l’uomo diventa figlio di Dio. Quindi, non soltanto si tratterà di un Dio che protegge, difenderà l’uomo, che li darà ricchezze, discendenze, non solo. C’è un passo in più, che è il passo dell’amore. Sarà un Dio che amerà totalmente il suo Figlio. Quale la prospettiva dell’alleanza? Dio ama l’uomo, ama l’umanità senza discriminazioni. Cosa fa questa persona umana? Li risponde con lo stesso amore, come fece Gesù. Gesù è la figura paradigmatica, è la risposta perfetta.

Questa alleanza sia l’antica sia la nuova offre una nuova prospettiva. Una concezione che illumina la personalità dell’uomo biblico e non soltanto la personalità dell’uomo biblico, ma la realtà dove l’uomo biblico si muove. Nella Bibbia tutto quello che accade all’uomo è in rapporto con Dio. Tutte le realtà umane devono essere capite e integrate in questo rapporto uomo-Dio.

L’antropologia biblica è un’antropologia teologica o religiosa. Perché dal primo momento la visione biblica dell’uomo parte da Dio. Non c’è uomo senza questo rapporto con Dio. Non si può capire l’uomo senza questo riferimento essenziale a Dio.

Dal punto di vista dell’alleanza pare che si possa parlare di antropologia di modo generico, sia dall’Antico sia dal NT, se prendiamo la prospettiva ermeneutica dell’alleanza. Pare che si possa vedere una visione unitaria dell’antropologia che abbraccia l’Antico e il NT. Ma anche si può parlare separatamente.

Una constatazione: in quasi tutti i libri di antropologia biblica manca la categoria dei generi, che fa riferimenti ai generi maschili e femminile. Un unico fatto: questo va connesso al linguaggio della corporeità. E questo non viene contemplato nei libri. È una tematica molto collegata alla categoria sui generi, che di solito venne tralasciata. Il Wolf parla del corpo umano, ma senza sottolineare la categoria dei generi; F. Raurell ha scritto il mito della maschilità di Dio come problema ermeneutico. C’è un dato di lacuna nell’antropologia biblica attuale che è proprio questa della categoria dei generi. Però la scienza va avanti: c’è il libro diretto da Mercedes Navarro sul corpo della donna, la voce “corporeità” in NDTB, il corpo come segno della persona.Commento sulla bibliografia

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Terzo giornoe) Linguaggio antropologico

Il linguaggio antropologico della Bibbia richiede la concezione israelita dell’uomo. Concezione che è con una parola moderna, olistica, che viene dal greco e vuol dire tutto intero, concezione globale.

Il concetto e la percezione della totalità è l’elemento chiave per capire la psicologia e l’antropologia d’Israele. Pensiamo al mondo greco: questo si caratterizza per il dualismo anima e corpo. L’anima è il mondo separato dal corpo. In contrasto con questo mondo dualista greco, la mentalità israelita è monista. L’uomo forma un’unità indissolubile: spirito-anima-corpo. Questi termini nella lingua ebraica non hanno lo stesso significato che nelle nostre lingue. L’israelita non fa differenza tra le funzioni psichiche, che riguardano l’anima e le funzioni fisiche, che riguardano la phisis, il corpo. Ambedue dipendono degli organi corporali. Dunque, il punto di riferimento per l’antropologia israelita è il corpo, non l’anima.

Nella Bibbia vengono menzionati circa 80 parti diverse del corpo umano. Alcuni termini concreti: mano, cuore. Altri astratti: anima o spirito. Questi si scambiano nei testi. Es.: Sal 84, 3: si possono essere sostituito per pronomi personali; Giob l6, 4: non c’è la vostra anima al posto della mia anima(testo ebraico); Is 52,7: si menziona un organo per indicare la funzione che ha i piedi, significato di agilità che ha il messaggero. Questi testi mostrano, illustrano la possibilità di scambio.Componenti strutturali dell’uomo:1) anima = nefesh

Questo termino è presente in tutte le lingue semitiche. Nell’accadico significa “il soffio di vita”, che trasforma un corpo in un essere vivo. Anche l’organo da dove viene questo soffio, cioè la gola o la parte visibile della gola, il collo. Cfr. Gen 2,7. Significa anche vita, non come la intendiamo noi, ma il senso è il rapporto stesso col vivere, in contrapposizione con la morte. Il “nefesh” può presentare due linee di significato: a) la salvezza o la conservazione della vita(Sal 30,4) e b) la minaccia o la distruzione della vita(1Sam 25,29). “Nefesh” è anche collegato coi desideri. Quelli desideri più primari: desideri di cibo e di bevanda. Anche quelli più elevati: di unione con Dio. Altri desideri che possono essere legittimi o illegittimi, per es.: il desiderio del salario, di avere discendenza, il ritorno alla patria, la vendetta, ecc. Tutto il mondo dei desideri viene assorbito dal termine “nefesh”. Sal 41,2: l’anima mia anela a te Dio; Is 26,9: di notte anela a te, l’anima mia. In ambedue i casi “nefesh” si riferisce all’essere umano come individuo, come singolo, come persona. Possiamo sostituire “l’anima mia” con “tutto il mio essere”, “tutta la mia persona”. Nell’antropologia biblica l’uomo non possiede l’anima, ma è anima. In questi testi “nefesh” designa, esprime la persona nella sua globalità, quindi in una concezione olistica, nella sua globalità. Per definire, citiamo un testo che presenta un’eccezione molto particolare di “nefesh”: Nm 6,6: si parla del voto del nazireato. I nazirei avevano molte cose vietate, e una di queste era avvicinarsi ai cadaveri, perché questi contaminano. Così “nefesh” indica anche il corpo morto.2) carne = basar

In ebraico per parlare del corpo si utilizza il termine basar, che significa in nostre lingue, carne. Può designare la carne dell’uomo o anche la carne che si mangia. Cfr. Gen 2,22: la creazione della donna; Is 22,13: si mangia carne e beve vino.

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Si applica al corpo come una realtà diversa dal sangue, che è la sede del principio vitale. Il sangue c’è la vita. Perciò i semiti hanno tanto rispetto e tanta paura del sangue, perché toccare il sangue, versare il sangue è toccare e versare la vita. Allora “basar” come l’opposto a sangue. Nel Sir 14,18 carne e sangue, l’idea della generazione. Il saggio sottolinea che, l’uomo mortale, che non è eterno, in contrapposizione all’essere eterno di Dio, passa come le foglie che cadono dell’albero. Basar anche come un’unità sia a livello fisico sia livello spirituale. Sal 38,4: tutta la mia “basar”(spirituale); Nm 8,7: purificazione dei leviti. Il corpo nella sua totalità. Un altro significato: quando esprime un vincolo di parentela tra le persone in una famiglia: Gen 37,27: il tentativo di Giuda di salvare Giuseppe, a causa del vincolo tra loro; Gen 2,23: carne delle mie carne, osso delle mie ossa. Ancora: la fragilità della natura umana. È una condizione che è connaturale con la persona umana sin dalla nascita. Fragilità, debolezza, limitatezza, qualsiasi di queste. Sal 56,5: che cosa può farmi un corpo?; Giob 10,4: occhi di carne, fragilità mortale opposta a Dio.3) cuore = leb Nelle nostre lingue moderne designa il centro della vita affettiva dell’uomo, cioè le emozioni, i sentimenti, gli affetti. Cfr. “L’affettività alla luce della parola di Dio”.

La ragione, l’intelletto, la scienza, tutto quello che è discorsivo, tecnico non centra con il cuore. Il cuore è riservato alle emozioni.

Nel campo biblico è diverso. Cuore ha un significato più ampio. Designa la personalità cosciente, intelligente, libera dell’essere umano nella sua totalità. Il cuore designa l’interiorità dell’essere umano, il centro della vita intima della persona umana nella sua globalità. È il centro della psicologia semitica. I semiti erano eredi della tradizione babilonese e assiria e ricevettero tutte le tradizioni riguardo al cuore, e secondo loro le emozioni e i sentimenti si trovano occulti nell’organo interno dell’uomo, stano occulti, nascosti nelle viscere, soprattutto i reni, il fegato, le viscere e specialmente, il cuore, l’organo per eccellenza. Per il semita il cuore è il principio di tutti gli affetti e di tutta l’attività dell’anima. In altre parole: sentimenti, intelligenza e volontà, abitano nell’organo più importante e misterioso della vita.a) Il cuore come sede della vita emotiva. Dal profondo del cuore scaturiscono le

passioni vitali: l’amore e l’odio, l’amore della sposa(Cc 5,2), l’amore di Dalila per Sansone(Gd 16,15), Lev 19,17: odio nel cuore. Altri sentimenti appaiono rilevanti nella Bibbia: la gioia, la tristezza, il coraggio, la paura, tutti questi nascono nel cuore dell’uomo. Pr 15,13: cuore lieto, cuore triste. 2Sam 7,27, Dt 20,3.

b) Il cuore come sede della vita intellettuale. Comprensione, riflessione, attenzione, memoria, sono tutte attività intellettuali che hanno luogo nel cuore. Un testo chiaro su Salomone: 1Re 3,9, un cuore docile. La docilità richiama l’ascolto. Per essere docile prima bisogna ascoltare con attenzione e dopo ascoltare sottomettere a quello che un ha ascoltato. In ebraico: un cuore che ascolti, che sia capace di ascoltare. Ascoltare e distinguere bene dal male, sono cose che non appartengono al campo dell’affettività, ma sono cose che stanno a tutt’altro nucleo. Che dice Qoèlet? 14,13: ho messo tutto il mio cuore... Non è niente di sentimentale, ma un mondo di ricerca e di spiegazione. Per il semita tutto quello che riguarda all’intelligenza abita nel cuore.

c) Il cuore come sede della volontà. Intenzione, propositi, piani, progetti, decisione, impegni, ecc. Tutto queste cose si elaborano, secondo il semita, nel cuore. Sal 20,5:

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secondo il tuo cuore... faccia riuscire i tuoi progetti. Nonostante questo ventaglio di significati, possiamo affermare che il cuore oltre a essere il centro vitale dell’uomo è in più il centro decisivo della sua personalità. Non soltanto il centro vitale, ma il centro che conforma la sua personalità, li dà dei caratteri caratteristici della sua persona.

4) spirito = ruah Etimologicamente, la parola ruah è collegata con una radice semitica che fa allusione al vento, all’aria quando si muove. Infatti, il significato più usuale di ruah si trova nella sfera del mondo fisico, quasi sempre. In Gen 1,2: lo spirito di Dio aleggiava sulle acque; Is 7,2: come si agita il vento. Riguardo all’uomo il “vento dell’uomo” è in primo luogo il suo soffio. La forza vitale che lo distingue dagli idoli di legno o di argento. Quindi, l’uomo ha questa ruah vitale che non hanno gli idoli. Per es. questo viene illustrato in Ab 2,19: guai a chi dice al legno...la dentro non c’è il soffio vitale. Né la pietra né il legno hanno ruah. Non c’è il soffio vitale. Quindi, la ruah è una energia vitale che procede da Dio e a Lui ritorna sempre. Qoèlet 12,7: prima che la polvere...e la ruah torni a Dio. È chiaro che la ruah è soffio vitale, ma essa è di origine divina. È Dio che lo dà all’uomo. Però, così come il vento non ha sempre la stessa intensità e ha tante forme diverse, pensiamo alla brezza, al venticello, alla tramontata, l’uragano, così anche il comportamento dell’uomo(la ruah) cambia continuamente. Quindi, la ruah dell’uomo ha tanti possibili varianti. Es.: la regina di Saba: 1Re 10,3-5 rimase senza fiato(in ebraico: non c’era in lei più ruah). Anche la ruah in altri occasioni esprime le decisioni della volontà, specialmente quando queste sono frutto dell’azione dello Spirito del Signore: Ez 36,26. Questo spirito nuovo, questa ruah sarà la ruah che viene dall’altro, viene da Dio.

Concludendo, abbiamo spiegato un po’, attraverso questi testi, il significato dei 4 termini più importanti dell’antropologia biblica. La differenza tra di loro non è alcuni volte tanto facile da spiegare. Soprattutto quando indicano globalità, totalità della persona. In molti casi anima-corpo, spirito-carne sono costituibili. I 4 termini presentano diversi aspetti della persona umana, però sempre intesa nella sua totalità. Possiamo dire però, in modo generale, che l’anima copre l’ambito emozionale; la carne l’aspetto corporale; il cuore l’attività intellettuale e volitiva; lo spirito si riferisce a quelle energie vitali che l’uomo ha perché ricevute da Dio. Sarebbe la parte più spirituale.

Possiamo dire che la mentalità ebraica concepisce la persona non come un’anima incarnata, che è la concezione greca, ma come un corpo animato.Il corpo umano

Cominciamo con gli organi interni, che sono più nascosti, e che soltanto possono vedere i medici, gli anatomisti, gli indovini, tutti quelli che scrutano l’interiore delle viscere, come sappiamo dalle diversi traduzioni.a) le viscere – raqan. Il seno materno e anche l’utero si chiamano raqein. E dalla stessa

radice c’è la parola raqanin che significa pure le viscere e anche la misericordia. Tutte queste parole vengono dalla radice raqan, che dà luogo a un verbo che si chiama proprio raqan, avere pietà, avere misericordia, tenerezza. Così che le viscere sono la sede della pietà, della tenerezza e della misericordia, perché in primo luogo, le viscere si riferiscono al seno, all’utero della donna, dove si concepisce un figlio. Allora l’archetipo della misericordia è l’istinto materno: Is 49,15, commuoversi il

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cuore. Per la tenerezza di Dio: Ger 31,20, le mie viscere si commuovono per lui. Anche la rabbia di Dio: Sal 40,12, non chiudere le tue viscere(in ebraico). Sentimenti come le commozioni, la pena, l’angoscia, tutte queste abitano nelle viscere dell’uomo. Gen 43,30: Giuseppe si era commosso nell’intimo, nelle sue viscere; Cc 5,4: mi ha sconvolta.

b) Il fegato – cosa sappiamo del fegato? Sappiamo che segrega la bile. E diventa così la sede della collera, dell’ira. Il fegato è anche la sede delle emozioni, la fonte del pianto e di tutte le reazioni al dolore. Secondo i testi le lacrime nascono nel fegato, passano alla gola e escono di li, però nascono nel fegato. Dobbiamo ricordare un uso molto frequente nell’antichità che si chiama l’epatoscopia, l’osservazione del fegato, che era molto sviluppata in Mesopotamia. Si scrutava, si studiava, si osservava il fegato e così si poteva conoscere segreti, tratti, caratteristiche delle persone, poiché si credeva che nel fegato abitavano i sentimenti, le emozioni della persona. Era una specie di riflesso. Guardando il fegato si poteva capire la persona. Secondo Platone, il fegato è come uno specchio dove si rispecchiano gli dèi. Anche nelle nostre lingue si dice: “avere fegato”, cioè, avere il coraggio di fare qualcosa. Il fegato appare così in espressioni colloquiali, che combaciano organo corporale con il sentimento.

c) Il rene – associato al cuore. Soltanto Dio può scrutare il rene e il cuore dell’uomo. Appaiono abbinati, per es.: Sal 7,10 e Ger 11,20. I reni si oppongono a tutto ciò che significa esteriorità, superficialità, tutto ciò che è allo esterno della persona. I reni sono la sede dei sentimenti segreti, dei desideri più intimi della persona, della coscienza della persona. Così che in Ger 12,2 i reni si oppongono alla bocca, organo della esteriorità.

d) Il ventre – così come il cuore indica l’interiore del corpo umano e si oppone alle labbra. Il ventre anche partecipa a questa caratteristica poiché è un organo interno, nascosto. Es.: Pr 22,18: intimo, ventre; Giob 32,18-19: il mio ventre; Gen 2,3: il ventre del sheol.

e) Le ossa – si oppongono a basar(la carne), perché è la parte visibile. Le ossa non si vedono. Hanno a che fare con le emozioni. Le emozioni possiedono una forza disgregativa, che fa vacillare la persona. Le ossa tremano, vacillano, travagliano, soffrono a causa delle emozioni, come se le ossa fossero tutta la persona che potesse soffrire. I salmi soprattutto Sal 102,6: aderisce la mia carne alle mie ossa.

f) Le braccia, le mani, i piedi – sono anche nella Bibbia membri importanti, perché di essi dipendono la sopravvivenza, il lavoro, l’integrità dell’uomo. Pensiamo, per es., alle attività dell’essere umano come lavorare, mangiare, difendersi, lottare, tutto ciò che si fa con le mani e i piedi. Perciò, tutte queste estremità simboleggiano la forza e la potenza, specialmente le braccia e le mani, poiché con le braccia e con le mani, l’uomo è capace di lottare, di pugnare la spada, ecc. Da una parte c’è questo simbolismo legato al potere, alla battaglia, fisico; dall’altra parte c’è anche un simbolismo più astratto, come quando il re sostiene il scettro con le mani. Ricordate: Dio ha agito con mano potente e braccio teso, cosa che appare come un ritornello dopo la liberazione d’Egitto. Cosa significa questo? Significa che Dio ha agito col potere in mano, come uno che interviene e vince sempre. Quando uno invece è preso da paura, cosa capita? Si dice nel testo biblico, che ha le mani deboli, tremanti, che le braccia non hanno più forza, per es.: Sal 76,6: nessun prode ritrovava la sua mano, quindi la paura li aveva sconvolti di tal modo che già non sapevano cosa fare

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e non trovavano la mano. L’immagine esprime una esperienza fisica molto comune, provocata dalla paura. Questa è una tematica molto ricca da studiare, come sono le cause e gli effetti della paura nelle persone. E i testi ci parlano di mani, ginocchia che tremano, di piedi che vacillano. Quindi, tutte le estremità si indeboliscono e l’uomo non reggi più. Il fato di essere in piedi, di reggersi significa essere vivo, che un ha dinamismo, coraggio, è la posizione verticale. Invece, la posizione orizzontale indica il contrario. È la posizione del sonno, della morte, del sepolcro. Ez 37: la visione delle ossa che stanno in posizione orizzontale, come la morte, come la valle, come stano dormendo. Finisce il brano con tutte le ossa che si alzano in piedi, perché la posizione verticale è la posizione dell’uomo. Quindi, c’è tutto un mondo dietro a questi organi corporali, un mondo da scoprire, un mondo molto ricco, perché è il mondo della persona umana.

g) La testa – è la parte superiore, la parte più elevata del corpo umano. Si utilizza questa parola per designare la cima di una montagna, il capitello di una colonna, il nervo delle mura, dove sono le sentinelle, o la parte più alta della porta. Il sommo sacerdote è chiamato capo dei sacerdoti. Il libro di Siracide 11,1 descrive la testa anche come un atteggiamento di orgoglio, di superiorità; alzare la testa, tenere alta la testa ha questa asserzione di orgoglio: mantenere alta la testa significa non umiliarsi, sapere mantenersi la dignità, come persona. Quindi, la testa è collegata con l’importanza, la dignità, proprio perché è la parte più alta della persona. E nella testa troviamo anche alcuni elementi che sono: gli occhi, il naso, la bocca, le labbra, gli orecchi, gli elementi del volto umano. Sono importanti perché 4 dei 5 sensi si trovano nel volto: la vista, l’olfatto, l’udito, il gusto. Invece il tatto è distribuito in tutto il corpo. E è molto importante per il linguaggio antropologico.

h) Il volto – è la parte più visibile della persona, quello che si vede per primo. E importante che il volto è destinato non soltanto ad essere visto, ma è necessario per vedere. Vedere e essere visto, contemplare e essere contemplato. Pensiamo all’espressione faccia a faccia, che vuol dire che le due persone vogliono stabilire un rapporto. Coprirsi il volto: quando non vuol essere visto, quando sente vergogna, quando ha paura, quando vuol sparire della realtà, per es. i bambini e i suoi gesti. È un meccanismo di difesa. Ma anche significa sfuggire al dolore, la sofferenza, non volere implicarsi nella realtà che ci circonda. In altre parole: vuol dire anche stabilire una distanza tra me e quel che sta davanti a me. Is 53,3: si coprì la faccia davanti a lui. È anche il luogo dove si esprimono in modo più evidente i sentimenti. Le emozioni provocano reazioni di tipo circolatorio. Il volto riflette lo stato d’animo di una persona. Non si può nascondere che sta dentro. Perciò il Sal 105,16 dice: fa brillare il suo volto; Sir 25,17: la malvagità di una donna ne cambia l’aspetto; Sir 36,22: la bellezza di una donna allieta il volto. Cfr. “L’uso metaforico di nomi delle parti del corpo in ebraico e in aramaico”.

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20/III/'98.

GENESI 1-3.

Adesso incominciamo un'altra parte del nostro corso e forze è la più interessante, perché tratta dei testi direttamente.

Allora, io vorrei trattare con voi i tre primi capitoli della Genesi. Perché questi tre capitolo presentano un modo di concepire l'uomo. Presentano, direi, un'antropologia completa. Troviamo in queste pagine, un uomo creato per l'altro. Un uomo aperto all'alterità dell'universo, all'alterità altrui, all'alterità di Dio e anche all'alterità di se stesso. Troviamo un uomo capace di scoprire il dono della libertà che Dio li da e un uomo che è capace di vivere la alleanza, un uomo capace di riconoscere il dono della vita, ricevuta da Dio e dai genitori e capace di condividerla con gli altri. Un uomo orientato alla giustizia, alla solidarietà e alla condivisione. Io direi un uomo aperto e sempre in cammino con gli altri. Un uomo però che romperà la alleanza e vorrà uccidere il fratello. Vorrà essere come Dio e vorrà essere il creatore invece di creatura. Sarà un uomo che soffrirà a causa del peccato però che anche saprà ristabilire l'alleanza. Queste sono le linee molto generiche di questa antropologia che noi incontreremo.

Allora, nel libro del Genesi, posso distinguere questi due grandi passi che sono essenziali per capire tutta l'opera.A.- Gen 1-11: che è la preistoria biblica. O si volete la storia delle origini. B.- Invece il blocco di Gen 12-50 è la storia dei trapianti.

Ambe e due i blocchi sono collegati con quello che in ebraico li chiamano "toledo", che in italiano sarebbero le genealogie di Dio, le generazioni. "Yada" in ebraico significa "generare". É un susseguirsi di generazioni.

A.- Allora in 1,11: abbiamo tre grandi elementi:

la storia del cielo e della terra,la stira dei Adamo e i suoi figli,la storia di Noè e i suoi figli.

Cosa abbiamo nella storia dei patriarchi? Anche tre blocchi, tre elementi:La storia di Abramo e il suo figlio,la storia di Isacco e i suoi figli,e la storia di Giacobbe e i suoi figli.

Allora tutto questo libro della Genesi segnato di queste generazioni che indicano la grandezza della vita e la sua continuità. Quindi, la storia umana è un susseguirsi di generazioni. Allora noi interessa soprattutto questo primo gruppo:

1.- Gen 1-11: la preistoria di vita, o la storia delle origine. Perché si chiama così? Perché Gen 1,11 presenta due racconti mitici della

creazione, uno dopo l'altro. E di solito gli studiosi hanno segnalato le differenze tra queste

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due racconti. Però è anche da notare che ci sono diversi punti in comune tra questi due racconti biblici. Per esempio: il vocabolario, in quanto a tematiche e in quanto ad elementi narrative. Questo lo potete vedere voi stessi con i testi.

Ed ecco che si tratta di due racconti diversi però ci si può percepire una unità di fondo molto interessante. Questi due racconti si completano a vicenda e non si possono capire l'uno senza l'altro. Io dico che sono come i due atti della creazione. O della creazione in due momenti. Si chiama racconti delle origini. Perché? Perché sono racconti che vogliono raccontare ai lettori come fu creato il mondo, come fu creato l'uomo. Quindi, sono racconti che vogliono andare agli origini dell'umanità. Allora vediamo quale è il primo racconto:

Gen 1,1-2,4a: Questo è il primo racconto che evoca la creazione del mondo in sette giorni.

Gen 2,4b-3,24: E il secondo narra l'apparizione dell'uomo e della donna e i loro peccato con la conseguente espulsione del paradiso.

Questi due testi sono messi uno dopo l'altro nella Bibbia, però non sono contemporanei. Secondo l'ipotesi classica (che qui non possiamo discutere adesso) il primo racconto appartiene alla fonte sacerdotale. Rappresentato con la lettera "P". Quando possiamo datare questa fonte sacerdotale? Secolo VI prima di Cristo.

Mentre il secondo testo appartiene alla fonte Yahvista, rappresentato con la lettera "Y", ed è una fonte che risale al secolo X prima di Cristo.

Quindi, vedete che è molto più antica la fonte Yahvista che la fonte sacerdotale. Questo è necessario per capire ed entrare nel nostro testo.

Allora, lo scopo di questi due racconti, non ha niente di scientifico, più tosto un racconto di natura filosofico. Perché presentano una riflessione fondamentale dell'universo e l'umanità, nelle loro relazioni reciproche e nel loro rapporto con Dio. Il pensiero, le idee, le concezioni di questi racconti partono tutte della esperienza del popolo d'Israele, che si basava: nella liberazione dall'Egitto,la alleanza con Dio,e il dono della terra.

Queste erano le tre realtà configurative del popolo d'Israele. Però in questi racconti l'orizzonte va al di la d'Israele. Questo è chiaro perché in nessuno di questi due si parla d'Israele. L si allarga a tutto l'universo ed a ogni uomo. Per ciò noi possiamo dire che sono racconti delle origine, perché sono racconti universali validi sempre, ovunque e per chiunque. Ogni persona umana può sentirsi implicata in qualsiasi di questi due racconti. Allora detto questo io vorrei cominciare con il primo:

1.- Gen 1,1-2,4a: Questo è un racconto che è stato qualificato come una specie di inno. Un inno alla

creazione. Però è un inno degli dei con un carattere un po’ liturgico. Perché è un inno che ripete moltissimo tutte le idee formule. Tutta l'opera della creazione si articola a torno a una cornice temporale cronologica. Ed è la cornice del sabato ebraico. Il primo giorno, secondo giorno, terzo giorno, quarto giorno, il quinto, il sesto e poi il settimo il giorno del riposo. Quindi, il sabato il culmine di questa liturgia della creazione.

Allora, questo inno contiene una breve introduzione: e possiamo segnarli, sono:

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I due primi vv. 1-2 e poi questi primi vv. si possono collegare con l'ultimo, 2,4a, facendo quello che nell'esegesi si chiama una inclusione. E una inclusione no è altro che la ripetizione di una stessa parola, di uno stesso sintagma, tante volte la stessa frase, all'inizio e alla fine di una pericope. La pericope può essere lunga, può essere breve o anche può essere tutto un mito.

Allora se noi vediamo questo racconto, voi vedete, comincia: "in principio Dio creo il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque".

Andiamo adesso alla fine del racconto a 2,4a: "Queste sono le origini del cielo e della terra quando vennero create". Questa è una tipica inclusione. E qui abbiamo:

1,2INNO Inclusione2,4a.

Qui dentro possiamo distinguere due scene:Dal 3-13e dal 14-31.

Questi due scene abbiamo dentro.Nella prima scena: 3-13: Dio crea degli spazi separando gli elementi. Nella seconda scena 14-31: Questi spazi vengono riempiti, ornati e anche appare

l'uomo come l'ultima delle creazioni. Quindi, io vorrei sottolineare due momenti importantissimi da notare in questa catena di creazione:

Prima è la differenziazione, in ebraico è "badal"= il verbo "separare". E secondo è il perfezionamento. Dio crea separando e poi completando, arricchendo, pulendo, quello che ha differenziato. Sono due momenti.

Allora questo processo di separazione è la base della creazione. E come procede questa separazione? É una separazione che viene causata, provocata dalla parola di Dio, perché è la parola di Dio che crea. Il testo lo dice: Dio disse e poi accade. Quindi il processo parte, guardate bene dall'unità grandi, maggiori, che sono indifferenziate, una massa d'acqua, una massa di terra, per arrivare alle unità minori, più piccole differenziate. Allora la terra che si fa una massa informe viene specificata, le acque che sono anche una massa informe viene anche specificata. Il cielo anche e così via. Questo è il processo secondo il racconto sacerdotale. Io non voglio trattenermi in questo processo per andare a vedere il cielo, la terra, le acque. Perché il mio interesse punta su un altro campo. Però avete bisogno di sapere come Dio crea nel nostro testo sacerdotale.

Io vado subito quasi, quasi, non alla fine però al v.26-27: Perché? semplicemente perché qui si tratta della creazione dell'uomo. Allora, la prima cosa che voglio sottolineare in questo racconto è che la creazione dell'uomo è l'ultima creazione. Quindi, è l'ultima di una serie. Prima ci sono stati tutti quelli elementi del cosmos e alla fine come punto finale appare la creazione dell'uomo. Leggiamo i due vv.: v.26: "E Dio disse, facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare, e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra".

v.27: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò". Poi continua dicendo siate fecondi, moltiplicatevi, ecc.

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Allora, lo importante è che della stessa maniera che Dio ha creato l'universo con questo ritmo Dio crea l'uomo. Vedete che la struttura è la stessa. Ogni volta il narratore mete: "e Dio disse". Per l'uomo è esattamente lo stesso: "e Dio disse". Allora, vengono le parole che compiono quello che Dio ha detto. Quindi, voglio dire con questo che l'uomo viene creato così come è stato creato l'universo, però come culmine, come punto finale. Allora, andiamo a vedere questi due versetti perché sono i versetti più importanti per noi.

v.1,26: Questo "facciamo l'uomo". Chi lo dice questo? Lo dice il narratore. Perché il narratore ti racconta quello che Dio disse. Si tratta di un narratore che nella teoria narrativa, ci dice che è un narratore "onnisciente". Quindi, un narratore che conosce tutto, che conosce tutti i personaggi e principalmente tutto quello che c'è dentro del personaggio. Allora, questo narratore è capace di sapere il pensiero di Dio. Come parla Dio dell'uomo? "Facciamo l'uomo", dice in ebraico: "nasa= facciamo, Adam". Senza l'articolo. E l'uomo appare come un essere non definito. Un essere non definito che vuole esprimere l'umanità, la persona umana, l'individuo, quindi, non un uomo differenziato. Adam, significa l'umanità intera. "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza e domini su tutto quello che nella terra.

Guardiamo adesso il v.27: Allora è il secondo momento, perché accadde un piccolo cambiamento che è molto importante per il nostro testo. "Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina gli creò".

Comincio l’analisi. * Prima è il verbo. Il verbo, non è il verbo "fare" come prima nel v.26 abbiamo

detto, che era "facciamolo". Adesso il verbo è "creare". E il verbo tecnico "Bara", per indicare gli effetti creatrice della parola di Dio. Quando si dice "bara", indica proprio questo fatto creativo di Dio.

* Come viene qui la parola "Adam", in ebraico? Non è più "adam", ma viene con l'articolo davanti. Quindi, mettiamo "ha adam". In italiano è "l'umanità". É una cosa molto significativa nella lingua ebraica. Prima era "adam" adesso "ha adam". É più determinato però ancora è generico. Più determinato perché porta l'articolo però è ancora generico, perché non ti specifica niente delle differenze, è l'uomo, la persona umana.

* "Maschio e femmina gli creò". Guardate bene il passaggio che abbiamo nel testo. C'è un passaggio del singolare al plurale. Guardate bene: "Dio creò l'uomo (ha adam) a sua immagine" e adesso prende la frase al rovescio, "a immagine di Dio gli creò". Sempre al singolare, però la seconda parte, "maschio e femmina gli (otam bara) creò. Lo stesso verbo però questa volta il complemento è al finale.

Cosa mi interessa? vedere il plurale. Mi interessano questi due nomi: "Maschio e femmina". Qui abbiamo visto l'adam che anche può essere con l'articolo ed è l'umanità o umanità. Però nell'ultima parte del versetto dice: "maschio e femmina". Guardiamo il testo ebraico. Il testo ebraico dice: ish= maschioishah= femmina.

Uno capisce subito che la radice è la stessa. Quello che cambia soltanto è la terminazione, questo suffisso al femminile.

Ish è l'uomo differenziato al maschilee ishah è l'uomo differenziato al femminile.

Più farò un tentativo, so che non si può dire in italiano, però mi capirete benissimo.

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Ish, miglior che maschi e femmina, io mi inventerei questo: maschio va bene, ma l'altra, gli metterei "maschia".Perché riflettere su una stessa radice è una... (vedete in una terminazione spagnola mi funziona, potete dire varón e varona, intentando). In italiano cambiando le parole maschio e femmina, si perde il gioco bellissimo che c'è nella lingua ebraica.

Fatte attenzione perché ci sono in due versetti quattro parole che si possono usare così, fine dell'esistenza:

"Adam" ------- ish"ha adam"----- ishah.Quindi, per trovare la differenziazione nei testi si deve trovare o ish o ishah. Per

adesso quando si parla di "adam" o "ha adam", si parla ancora di questa umanità indifferenziata. Questo è molto importante per la nostra discussione.

Dovremo aspettare fino a Gen 3,20 per sapere il nome della "isha" e dovremo aspettare fino a Gen 4,25 per sapere il nome del ish. Perché i nomi propri appaiono tardi, appaiono dopo. Gen 3,20 e 4,25. Allora ish e ishah, mostrano evidentemente la differenziazione a livello sessuale. E anche le parole ebraiche, non è il caso di spiegare tanto perché questo:

"zaqar"= uomo maschio"neqebah"= Donna.Quindi, in ebraico queste due parole significano lo stesso. Maschio e femmina. E

indicano proprio la differenza sessuale tra l'uomo e la donna.Allora, dal fatto di questo adam è stato voluto e creato da Dio sessualmente

differenziato scaturisce la perfetta uguaglianza ed identica dignità sia dell'uomo, sia della donna. Guardate che ambe e due sia l'uomo che la donna stanno al vertice della creazione e hanno il mandato dice il testo, di dominare tutto l'universo, di dominare la terra e di dominare gli animali.

Ancora di più, sia l'uomo che la donna sono immagine di Dio. Lo dice il testo: "facciamo l'adam a immagine di Dio". Che significa per l'essere umano è lo specchio di Dio nel mondo. Lo dice il testo. Guardando ogni essere umano si vede Dio. Se lo diciamo di un'altra maniera, possiamo dire che Dio è scolpito in ogni essere umano, in ogni uomo e in ogni donna. Ogni persona porta in se l'impronta di Dio al maschile e al femminile.

Vorrei citare una frase che a me piace tanto di Martin BUBER, molto breve però molto significativa che dice: "Dio è l'eterno TU dell'uomo". Allora questa grandezza dell'uomo non può nascondere la sua creaturalità. Abbiamo visto che l'uomo fu creato nello stesso giorno in cui furono creati gli animali. Quindi, niente privilegio. En anche l'uomo viene benedetto anche con gli animali. Nel racconto non c'è uno spazio specifico per l'uomo. Perché? Perché l'autore vuole ricordare che noi non siamo Dio. Abbiamo un rapporto privilegiato, perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Questo si, però noi siamo, malgrado tutto, delle creature. E questo è il paradosso che ogni persona umana portiamo dentro di noi. Quindi, una tensione che ti spinge verso Dio, verso l'alto e una tensione che ti spinge verso il basso, io direi verso la terra, verso gli animali, verso tutto quello che è orizzontale. Queste due tensioni che le abbiamo come c'è l'ha ogni persona umana. Quindi, nel racconto, (e vorrei sottolineare questo) è vero che la creazione dell'uomo è il culmine, però dirò anche che l'uomo appartiene al mondo delle creature. E questo non si può dimenticare, che è quello che vedremo dopo nella storia del peccato. Che quello che si dimentica è proprio questo aspetto della creaturalità della persona.

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Andiamo più avanti. In questo racconto Gen 1,1-2,4a abbiamo visto che il narratore ci racconta la creazione dell'universo e dell'uomo. Però si tratta di una creazione del mondo che non sottolinea l'aspetto temporale, l'aspetto cronologico, l'aspetto storico. Si tratta di un inizio originato. E questo è quello che la gente semplice ha difficoltà e fa confusione. Il testo non racconta quando fu creato il mondo ma racconta la sua origine che è diverso. Quindi, il vero senso del mondo che fu creato da Dio. E lo ha creato, lo abbiamo detto prima, separando, ed è vero. Ma io vorrei ancora sottolineare qualche altro termino che è importate. Seguendo quello che dice il ebraico e le nostre tradizioni. Dio manda avanti questa creazione "separando", "facendo". Se andate a vedere la CEI v.7;16;25;26; e 31 troverete il verbo "fare"= "asa" in ebraico.

Poi Dio anche crea, il verbo "creare" quello che abbiamo detto "bara": vv. 1;21; e 27.

Poi c'è il verbo "collocare" o porre in italiano. vv. 17. Quando dice "Dio gli posse nel firmamento del cielo per illuminare la terra". Parla delle stelle, per ciò dice li posse.

Anche c'è il verbo "dare": vv. 29;30 "E Dio disse, ecco, io vi do ogni erba che produce seme" e più avanti dice: "io do in cibo ogni erba verde".

Quindi abbiamo: "separando" e poi tutti questi verbi e poi c'è anche una terza maniera di creare, con la PAROLA. Dio crea con la sua parola. E si volete contare quante volte appare: "E Dio disse", ne troverete 10. Dieci volte "e Dio disse". Sono le dieci parole famose che alcuni comparano con le dieci parole del decalogo. Le dieci parole della creazione e le dieci parole della legge. Come l'uomo deve comportarsi.

Cosa possiamo dire anche di questa creazione con la parola? Che Dio anche da il nome alle cose e poi le benedici. E quello che fa con la parola. Dare il nome, benedire le cose, sono atti che provengono della parola di Dio. Allora, possiamo dire per concludere con il nostro testo che si tratta di una cosmogonia. Quindi, una cosmogonia viene di cosmo=mondo e gonia= del mondo greco che vuol dire nascere. Allora la cosmogonia vuol dire la nascita dell'universo. E noi abbiamo tantissimi esempi di cosmogonie nell'oriente antico. Molto famose sono le cosmogonie mesopotamiche. Per esempio Sierancon era formato l'universo. E la Bibbia ha questo spiragli di cosmogonie, con questa bobeda involta, celeste, le acque di sopra, l'acqua di sotto, poi le colonne che sostengono la terra, era una maniera di spiegare il mondo. Allora, tanto per giocare un po’ con le parole. Io dico che il nostro testo può essere capito come una cosmogonia, però una cosmogonia che culmina con la creazione dell'uomo. Anche della persona umana il sesto giorno prima del riposo del sabato. Ecco, in questa cosmogonia appare come elemento importante questa dimensione animale dell'uomo, nel senso che fu creato lo stesso giorno, però anche ricevete la stessa benedizione degli animali, però anche ricevete lo stesso cibo. Perché l'uomo aveva bisogno di cibo per nutrirsi. Quindi sono tre elementi che si fanno capire che l'uomo può paragonarsi in questo senso con gli animali. Intendendo la natura di questa cosmogonia. E questo sarebbe il mistero dell'uomo che questo nostro testo presenta. Quindi, un uomo creato a immagine di Dio, questo è il primo elemento e secondo elemento è che è un uomo simile agli animali. Questo è il paradosso della persona umana. Immagine di Dio e simili agli animali.

Gen 2,4b-3,24:

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Allora, dimentichiamo per adesso il racconto sacerdotale, e prendiamo il secondo racconto, il Yahvista, ed è tanto diverso di quello che abbiamo visto prima. Il primo era abbastanza monotono dal punto di vista letterario, era d'un carattere liturgico, perché sette volte le formule si ripetono. Questo invece è molto diverso. Qui non si tratta della creazione dell'universo, ma della creazione dell'uomo e il suo spazio vitale.

Altri punti differenti sono:- la forma,- l'ordine che segue Dio nella creazione,- il nome di Dio, perché Dio riceve un altro nome,- e soprattutto è diversa la prospettiva. L'orientamento del testo.In questo racconto la creazione appare come l'inizio della storia umana. Dove si

trovano già le risposte alle grandi contraddizioni, ai grandi paradossi e domande sulla vita.Quali sono questi grandi paradossi, queste punti interroganti?Il primo è l'origine sulla vita,La dualità dei sessi,Il senso del lavoro,il senso del dolore,il senso della morte,il mistero della maternità.

Quindi è un racconto più colorito, io direi così, più creativo e più ricco dal punto di vista letterario. Gli elementi sono basicamente gli stessi.

Però il modo in qui questi elementi sono trattati è completamente diverso. Allora, per chiarire un po’ questa confusione, abbiamo detto che:Gen 1,1-4a era una cosmogonia.Io direi che Gen 2,4b-3,24 era una "antropogonia"= Quindi, la nascita, la creazione

dell'uomo. Quindi, è un racconto di origini, sia l'uno sia l'altro, però voi vedete che sono due

prospettive completamente diverse. E lo stile anche. Però questa non è nessuna cosa sorprendente. Perché l'autore

sacerdotale proponeva questo un po’ pesante, un po’ monotono di raccontare. Invece il Yahvista è il ideologo, il narratore di favole. La maggior parte dei racconti dal libro della Genesi non sono dal sacerdotale, ma dal Yahvista.

Allora, questo testo io lo divino per facilitare un po’ il lavoro in delle scene:

1) 2,4b-6: che farebbe una specie di sommario.2) 2,7-25: Poi viene il primo episodio.3) 3,1-7: Il secondo episodio.4) 3,8-21: Il terzo episodio.5) 3,22-24: E una specie di epilogo.

1) 2,4b-6: Vediamo il sommario:

"Quando il Signore Dio, fecce la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non ha lasciato

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piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo, e faceva salire sulla terra l'acqua dei canali per irrigare tutto il suolo".

Allora, qui comincia un racconto diverso. Perché? Prima di tutto per l'inizio. In italiano la traduzione della CEI dice: "Quando il Signore fecce la terra". In ebraico viene indicato l'espressione "un giorno", quindi c'è una rottura a livello spaziale che indica che qui comincia un altro racconto. La traduzione italiana ha preferito questa traduzione "quando il Signore".

Poi vediamo che il verbo "fare", "quando il Signore Dio fecce la terra". Invece nel versetto precedente voi avete "quando vennero creati".

Terzo elemento, "il nome di Dio". La traduzione nostra dice "Il Signore Dio", nel testo precedente parla soltanto di "Dio". In ebraico sarebbe "Yahveh", "Elohim". Ma il testo parla di Yahveh Elohim.

L'ultimo elemento che indica che c'è una rottura è che nel nostro testo si dice: "quando il Signore Dio fecce la terra e il cielo" e nel testo precedente non si parla mai di "terra e cielo". Ma al rovescio, di "cielo e terra". Questa è una formula già. Quindi, sono elementi che ci danno la chiave per dire, evidentemente qui comincia l'altro racconto. Questi sono piccoli dettagli.

Come viene caratterizzato questo sommario di 2,4b-6? Il sommario viene caratterizzato dalle negazioni. Quindi, tutto viene negato. Non c'era nessun cespuglio, non c'era nessuna erba, il Signore non aveva fatto piovere, nessuno lavorava il suolo, quindi, la tonalità è la negazione. La negazione del cespuglio, dall'erba, dall'acqua e dall'uomo. E questo sommario è una specie di prologo che anticipa gli elementi fondamentali che poi noi troveremo nel racconto. Evidentemente questi elementi sono: da una parte Yahveh Elohim e dall'altra parte l'Adam e dall'altra parte c'è la terra e l'acqua. Cespuglio, erba, e acqua.

Tutto viene inquadrato in ritmo molto lento: non c'era questo, non c'era l'altro, Dio non aveva fatto piovere, nessuno lavorava, un ritmo molto lento che accompagna una situazione che non ha movimento. Una situazione statica, ferma, non c'è azione. Quindi, non succede niente in questo testo. Il sommario è una specie di attesa, un tempo di attesa affinché i lettori piano, piano entri nel racconto. Ed è vero, perché noi incominciando la nostra lettura in 4b, dopo di aver visto che non c'era questo, che non c'era l'altro, quindi c'è una specie di attesa, al pensare cosa viene dopo. Questa è una tecnica del narratore. Quindi se non c'era questo, non c'era l'altro e Dio non aveva fatto piovere, e l'uomo non coltivava la terra, allora che capita? Quindi, il sommario segue il ritmo delle mancanze. E uno aspetta che dopo le mancanze, verrà un tempo in tutto si sarà riempito.

Allora andiamo un po’ più in profondità di questo sommario e diamo un'occhiata a: lo spazio, al tempo e ai personaggi.Vediamo se possiamo dire qualcosa di più. Quale è lo spazio in qui si muove questo sommario? Lo spazio e la terra. Una terra

che non aveva nessun cespuglio campestre e ne anche nessuna erba. Quindi è l'immagine di una terra arida, desertica, sterile che contrasta bellissimo con l'esuberanza del giardino che troveremo più avanti. Il giardino del paradiso è una cosa magnifica.

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Cosa viene sottolineato anche in questa terra? il suolo. Dice che il suolo non era coltivato perché nono c'era nessun uomo che lo coltivassi. E qui, se volete giocare ancora con le parole, questo è uno dei giochi più conosciuti in ebraico. É questo:

che sappiamo che "Adam" vuol dire l'umanità, l'uomo e la terra, il suolo in ebraico si dice "Adamah".Quindi, quando si dice che l'uomo viene della polvere della terra capite benissimo

in ebraico, perché anche la parola terra proviene della stessa radice. Quindi, la "adamah" non era coltivata perché non c'era nessun "adam" che la coltivasse.

Ne anche c'erano le acque in questo spazio. Non c'era l'acqua perché Dio non aveva fatto piovere e invece sappiamo che Dio ha il potere di aprire i cieli per far piovere, però non lo fa. Non c'è la pioggia che viene dall'alto, però avete visto c'è l'acqua. C'era un canale che saliva dalla terra e irrigava tutta la superficie del suolo. Quindi, l'acqua dell'alto non c'era però c'era l'acqua a livello orizzontale.

Perché sono importanti questi piccoli dettagli? Perché piano, piano, tutto lo spazio che prima è vuoto si riempirà con gli elementi. Però piano, piano, perché tutto cede in certo ordine nella creazione. Per ciò l'autore comincia dicendo, il vuoto, la mancanza, non c'è questo, non c'è l'altro, però gli elementi stanno e piano, piano si organizzano.

Guardiamo adesso il tempo: si parla sempre seguendo l'ebraico di un giorno che segna l'inizio di un periodo di tempo. Però è un tempo anche qui, indifferenziato. Perché è un tempo differenziato? perché non c'è azione da parte dell'uomo. Quindi, il tempo che non ha un punto di riferimento, il tempo non si differenzia.

Quindi, il fatto che non ci sia un uomo che coltivi la terra ci lascia senza la possibilità di un'azione in questo tempo. Quindi, il tempo è dato allo spazio e tempo e spazio sono dati all'uomo, alla persona umana. Noi siamo i punti di riferimento per poter giocare con il tempo e con lo spazio. Se questo adam non c'è, quindi lo spazio e il tempo ci sono però ci sono in maniera indifferenziata, perché non c'è punto di riferimento.

Perché tutto questo? Perché il narratore fino adesso anche vuole presentare l'inizio del mondo. Quindi, i primi momenti della creazione.

Due parole sui personaggi:Quale sono i personaggi della nostra scena? Io comincerei dal narratore: perché è colui che lavora di più.Secondo, Yahveh Elohim: che è l'unico che fa qualcosa nel teso. Che cosa fa? dice

nel testo: "Il Signore fecce la terra e il cielo e poi fa risalire della terra l'acqua dei canali per irrigare il suolo".

E poi abbiamo l'adam: Però adam no fa qualcosa, soltanto è menzionato. "Non c'era nessun adam che coltivasse il suolo". E sappiamo che l'adam si metterà in scena, però adesso non fa niente.

Quindi, possiamo dire che questo sommario è caratterizzato dalla assenza, della mancanza. E gli elementi che costituiscono la vita stanno li. Dio sta li, l'uomo, la terra, e l'acqua sta li. Però soltanto stanno, non funzionano, non sono attivi. E stanno li però in forma negativa. Quindi, bisogna aspettare che questa assenza diventi presenza. Bisogna aspettare che questa mancanza sia riempita e questo è un paradigma della creazione. Si comincia dal nulla, dal vuoto, della assenza, della mancanza, per arrivare alla pienezza della creazione. Per ciò è molto furbo l'artista, il narratore. E comincia con queste serie di mancanze, perché il lettore capisca quello che verrà fatto dopo. E anche perché il lettore

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abbia già i punti di riferimento. Allora dopo questo impatto così lento, rallentato, viene il primo episodio.

2) EP. 2,7-25: Primo episodio.

É un po’ lungo, però io lo divido sempre per aiutare. E questo primo episodio comincia con tre versetti:

vv.7;8;9: che formano un piccolo blocco.E il v.7 è un versetto importante perché comincia il racconto. "Allora il Signore

Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente". Questo è l'inizio del racconto. In linguaggio narrativo questo è il momento che fa scattare l'azione successiva. Quindi, il momento iniziale dove tutto comincia a muoversi.

In questi tre vv. 7-9 c'è un protagonista che è questo Yahveh Elohim. Un protagonista e io direi l'unico soggetto della scena che compie delle azioni. Perché lui fa molte cose, Yahveh Elohim. Dove le fa? E quelle è lo scenario? dice il testo: "plasmò l'uomo con polvere del suolo".

Il primo elemento è il suolo. Poi parla nel v. 8 di un giardino.v.9 parla del mezzo del giardino.Yahveh Elohim è l'unico protagonista della scena e compie cinque azioni che sono

traducendo i verbi:modellare,soffiare,piantare,collocare,far germogliare.Cinque azioni compiute da Yahveh Elohim senza nessuna risposta o reazione da

parte di nessuno. Yahveh fa quello che vuole e nessuno risponde. Quindi, Dio fa senza collaborazione, senza opposizione, senza resistenza.

Allora chiediamoci: e l'uomo? Perché l'uomo vediamo che c'era li. É l'uomo che fa questo adam. L'adam c'è, però non è un vero protagonista perché non compie ancora nessuna azione. Non solo non compie nessuna azione, ma è l'oggetto dalle azioni di Dio. Dice il testo che: "Dio lo modella li soffia un alito di vita, lo colloca nel giardino". Quindi l'oggetto è sempre questo adam, però questo adam non risponde, non reagisce, quindi è l'oggetto delle azioni, perché si comporta passivamente. Almeno fino adesso. L'uomo c'è però come se non ci fosse.

Allora, analizziamo queste azioni di Dio: Cominciamo con la prima. "Yahveh modella o plasma". Il verbo è "iatsar"= che

può significare anche formare, configurare, tagliare o scolpire. Per esempio è un verbo che si utilizza quando si tratta dei metalli o quando si tratta del lavoro del vasaio (alfarero in spagnolo) con la cresta. Ricordate Geremia, Isaia che presentano questa immagine del vasaio modellando i basi. Allora, per tutte queste cose si può utilizzare il verbo "iatsar". E invece di "iatsar" allude, fa allusione al modo con qui Dio fa le cose. Come le fa Dio?

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come un artigiano, come uno che lavora con le mani, come un vasaio se volete utilizzare la figura dei profeti che è molto bella.

Guardate la differenza con il testo sacerdotale che abbiamo fatto all'inizio. Li come creava Dio? Abbiamo visto che di molte maniere, però con la parola praticamente. Separando con la parola. Qui, la parola non c'è. Dio entra in contatto con la terra, con la hadama, con il suolo, come? con le dita. Quindi, tocca la polvere della terra per creare l'uomo. Guardate l'immagine, Dio devi abbassarsi, sporcarsi le mani, giovare con questa polvere, mescolarla, modellarla. Quindi, Dio prende la terra è una realtà indifferenziata per plasmare una unità differenziata. Però lo fa di una maniera molto diversa a come lo fa nel racconto sacerdotale. Nel racconto sacerdotale, Dio separa con la parola, qui Dio crea separando con il gesto, con la mano. Sono due maniere di creare di Dio e funzionano le due, però sono diverse. Si crea con la parola e si crea con il gesto.

Da cosa dipende? dallo stille letterario, della fantasia dell'autore. L'autore sacerdotale è molto più freddo e il Yahvista è molto più colorito.

Seconda azione di Dio: "Soffiare". Dio soffia. Il verbo "Napa" che significa soffiare o alitare. Il testo dice esattamente, "Dio soffia nelle narici dell'adam un alito di vita". E questo è anche un verbo importante, perché soffiare indica un movimento interiore di vita. L'aria che entra nel corpo della persona diventa parte stessa della persona. E quando questa volta può a sua volta soffiare può offrire un qualcosa che li appartiene. L'aria soffre come una specie di processo. Questo è un alito di vita, che Dio soffia nell'uomo, è importante perché avvicina l'uomo a Dio. Crea una inerzia, un vincolo vitale attraverso l'aria tra questo uomo e Dio.

Terza azione: "Piantare". "Dio pianta". Pianta un giardino all'oriente nel Eden e li colloca l'essere umano che aveva modellato. Qui possiamo dire che questo verbo piantare è una azione che anche si fa con le mani. É una azione che indica un lavoro manuale. Vedete che tutte queste immagine sono antropomorfiche perché il Yahvista si caratterizza per questo. Far vedere Dio come un vassoio, come uno scultore. Far vedere Dio come uno che pianta. E sono immagini antropomorfiche.

Quarta azione: " Yahveh Elohim fa germogliare". Fa germogliare del suolo ogni sorta di alberi tra qui l'albero della conoscenza del bene e del male. Sicuro che avete visto già la differenza. Le prime creazioni le fa Yahveh stesso, Yahveh plasma, soffia, e pianta. La quarta, non la fa Yahveh stesso, la "fa fare". In ebraico è la forma "sigillo", quando tu vuoi che una persona vuole che faccia qualcosa allora utilizza questa forma verbale. Fa germogliare, non è lui stesso, da la forza però l'azione non la compie lui direttamente. Quindi, arrivati a questo punto vediamo che la creazione è ogni volta più perfetta, più differenziata, più completa. Perché dico questo? Perché dal suolo creò ogni sorta di alberi. Quindi, una gran varietà di alberi. E la varietà indica differenziazione e la differenziazione indica ricchezza.

Che possiamo dire dell'uomo? Analizziamo un po’ quello che ci viene dato dal testo.

Non parla, prima cosa. Non dice una parola, non agisce, soltanto accetta le azioni di Dio. Perché? perché questo adam è il risultato dalla doppia azione di Dio:

Modellare,E Soffiare.

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Dio l'ha modellato e ha soffiato quell'alito di vita. Quindi, l'adam è l'essere umano che comincia ad essere, comincia la sua esistenza, però ancora deve differenziarsi, ancora deve perfezionarsi. E quelle parola presenta l'ebraico? Presenta "haadam", quindi l'adam con l'articolo. Allora, qui vi chiedo attenzione perché la domanda è questa:

Questo "haadam" si riferisce all'uomo maschio o all'umanità? Io domando, perché dopo di aver fatto questa riflessione e perché voi vi rendete conto delle interpretazioni che ci sono state. Seguendo quello che la lingua ebraica ci permette seguire l'uso dei testi, "haadam" significa l'uomo nel senso di umanità. Perché se l'autore vuole dire che quest'umanità è differenziata al maschile, utilizza ish o utilizza haadam. O maschile o ish o qaba o al femminile o ishah o neqeba. Quelle due parole che abbiamo visto all'inizio. Però mai utilizzerà adam l'uomo maschio. Allora perché invece la maggioranza dei commenti e interpretazioni lo tengono al maschile? Perché? La risposta non è sempre chiara. Però io vi posso offrire due possibilità:

Una può essere perché la cosa normale è vederlo al maschile. É normale perché il punto di riferimento sempre è stato l'uomo maschio. Perché questa domanda? Perché riflette un modello patriarcale della società in qui evidentemente il maschio era il punto di riferimento. Allora dire adam è tradurre come l'uomo è la cosa più normale. Nessuno si domandava se la donna poteva essere inclusa in questi termini.

Seconda possibilità, perché per i lettori è molto difficile e anche per i narratori, creare o parlare di un personaggio che non sia sessualmente differenziato. Pensiamo che questo è scritto da autori che scrivono sui personaggi. Quindi parlare di un adam che rappresenta l'umanità è più difficile che creare un solo uomo e una sola donna. Che sono i personaggi che rappresentano l'umanità.

Allora, la risposta dal punto di vista biblico è molto chiara. Haadam significa l'umanità e non c'è nessun dubbio.

E io vi do un altro argomento che è molto interessante e voglio che voi lo sentiate: Se questo adam fosse unicamente un uomo maschio la proibizione che noi troviamo di mangiare dell'albero in 2,16-17 non potrebbe implicare la donna. Perché la donna ancora non è nata, la donna non è apparsa. Che dice vv.16-17: "Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, quando tu ne mangiasti certamente moriresti". Mi spiego. Se questo uomo soltanto è l'uomo maschio la donna non è tenuta a questa proibizione. Perché ancora non era fatta la donna. La donna apparirà più avanti. Pensatici, sono elementi narrativi che fanno pensare, riflettere molto sui testi. Quindi, la mia risposta è che si sta parlando dell'umanità, non c'è ancora una differenziazione. La differenziazione e il problema verrà dopo. Perché c'è un gioco tra queste parole. Tutti sono d'accordo che la proibizione non è soltanto per l'uomo maschio, perché nessuno può mangiare di questo albero. Allora questo vuol dire che Adam è complessivo. Allora facciamo un passo in avanti.

vv. 2,10-14: E così piano, piano completeremo. Abbiamo visto i versetti:v.7-9,e adesso vv.10-14: e questo io lo chiamo una pausa del racconto. Un intervallo, una pausa.

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Perché a partire del v.10 i personaggi spariscono. Non c'è più Yahveh Elohim, anche questo uomo, benché se non faceva niente, non c'è più. Quindi spariscono i personaggi e il narratore ci presenta una descrizione generale dei fiumi del paradiso.

Sono quattro:il BisonKisonTigrisEufrate.

Curiosamente sappiamo anche i nomi propri delle regioni. Dice che il primo passa per Avila, l'altro Kus, l'altro Esiaviasur e del Eufrate non si dice niente.

Quale è l'unico fiume che ha qualche particolarità? Il Bison: dice che attraversa un paese molto ricco, dove c'è l'oro, un paese dove c'è

anche la resina odorosa, e poi c'è la pietra di ponce.Quindi, il paese che attraversa il fiume Bison è un paese ricco in minerali, poi in

queste sostanze profumate e poi nel minerale per eccellenza che è l'oro.Quindi, questo non è gratuito. Il narratore ci racconta questi dettagli è perché è

molto interessato nello "spazio". Quindi il narratore vuole che noi c'è ne accorgiamo di questo paese ricco in tutti i sensi.

É uno spazio ordinato, differenziato, dove si può vivere abbastanza bene perché ci sono delle ricchezze. Quindi, potete far subito il paragone tra quello spazio che abbiamo visto qui, in quella terra indifferenziata, l'assenza, la mancanza, e poi questo paradiso irrigato da quattro fiumi con tutte queste ricchezze. Quindi, tutto questo scenario è voluto dall'autore perché l'autore vuole proprio dimostrare il cambio. Cosa possiamo dire di più? Io direi che possiamo paragonare la visione dell'acqua del nostro testo con il caos che c'era nel primo racconto sacerdotale.

20/III/'98.

Vi ricordo nuovamente lo schema della Genesi. Sommario; 2,4b-61) EP. 2,7-25 (stiamo vedendo questo punto)

EP 3,1-7EP 3,8-21

Epilogo 3,22-24.

1º EP. 2,7-25: (stiamo vedendo questo punto)7-910-14: (siamo rimasti proprio qui.)15-1718-2324-25

Ricordate che siamo nel secondo racconto della narrazione Yahvista. Abbiamo visto: il Sommario che è Gen 2,4b-6.

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Poi il primo punto. 2,7-25. E avevamo visto la prima scena e siamo rimasti qui, nel v. 10-14. Che era una specie d'intervallo.

Io riprendo un po’ quella pausa. Era una descrizione, dei quattro fiumi del paradiso che poi si troveranno in altri testi della Scrittura. Adesso mi viene in mente un testo di Bensira 24 quando la sapienza si auto-definisce come bel fiumi, non esattamente uno di questi quattro. Però appaiono quattro fiumi che fanno ecco a questi fiumi del paradiso. Sono quattro fiumi che rappresentano molto di più di quello che indicano i nomi propri geografici che vogliono indicare. Ricordate che anche che c'era quella piccola sfumatura di un paese ricco che c'era l'oro, che c'era la resina odorosa, e c'erano anche pietre di ponce. Più meno questo abbiamo visto.

Allora, il protagonista di questa opera descrittiva è senz'altro lo spazio. Non ci sono i personaggi, ne Dio, ne personaggi umani, però lo spazio riempie tutto, tutto il testo. Guardate come è uno spazio ordinato, differenziato, dove si poteva vivere e vivere bene.

Io vorrei dare qualche spunto a questa parola descrittiva. Per esempio vorrei soffermarmi "al via dell'acqua, l'immagine dell'acqua". Abbiamo quattro fiumi in questo testo però ricordate un po’, come è apparsa l'acqua al versetto 6 e all'inizio del sommario, diceva il testo così: che Dio non aveva fatto piovere, che non c'era acqua, però faceva salire della terra l'acqua dei canali per irrigare tutto il suolo. Soltanto c'è questo. Acqua dei canali per irrigare tutto il suolo. Qui nel nostro testo la distribuzione dell'acqua è molto più concreta, molto più sfumata, molto più definita.

Abbiamo 4 fiumi con quattro nomi che irrigano quattro posti ben concreti. Diciamo che l'acqua è qui é centralizzata su questi quattro fiumi. Perché vi dico questo? perché voi vedete come il precetto di differenziazione è quello che segna l'atto preferito di Dio, avanza piano, piano. Tutta quella massa informe che abbiamo visto nel racconto sacerdotale di acqua e terra, qui avanza progressivamente in questo processo di differenziazione.

Allora, quale impressione presenta il giardino con i quattro fiumi. Prima di tutto io parlerei di fertilità, PV l'acqua che irriga una terra, porta con se l'idea di fertilità. Pensate per esempio all'estensione del fiume Nilo in Egitto. Il ND è proprio il cuore dell'Egitto.

Secondo, questa fertilità anche indica ricchezza. Perché è una terra fertile e senz'altro una terra ricca. QW, fertilità e ricchezza. Però la ricchezza non è che dipenda soltanto delle acque che irriga la terra. Perché anche la propria terra ha oro, ha questa resina, questa pietra di ponce. Quindi cosa indicano le pietre preziose e i profumi? I profumi sempre indicano sempre l'ambiente di esuberanza, di ricchezza, di finezza. Quindi, una idea generale di ben essere. Questa pausa ha presentato proprio un paradiso. Questo è voluto dall'autore. L'autore vuole che sappiamo che li si stava benissimo, che era il migliore posto per vivere. Uno spazio io direi stupendo che vorrei nella vita perché tutto si muove, tutto vive, però il tempo non conta più. Uno ha la sensazione di fare un corso al di la del tempo. E PV abbiamo questa sensazione? se non abbiamo personaggi.

Facciamo un salto adesso al:vv. 15-17: Possiamo leggere, sono due vv. "Il Signore Dio presse l'uomo e lo posse

nel giardino del Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo (l'adam). Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino ma

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dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiasti, certamente, morirai".

Vediamo soltanto questi due versetti. Vedete che subito dopo questa pausa, al vv.15 si produce un cambiamento a livello narrativo molto importante. Il protagonista fino a questo momento è il timore di Dio, Yahveh Elohim.

Allora, Dio per prima volta nel racconto rivolge la parola all'adam. In senso positivo e in senso negativo. Però lo importante è che Dio parla, rivolge all'uomo la parola.

Allora, tutta questa scena presenta un momento difficile, io direi complicato perché porterà delle conseguenze per tutto quello che serve. Quindi, questi due versetti sono il quit della questione con tutto quello che verrà dopo. Perché è il momento dove la frana si complica. Fino al momento tutte le ragioni andavano bene, erano descrizioni, quello che aveva fatto Dio con la terra, come stava il giardino, però a partire di questo momento, a partire di questo divieto tutto cambierà. Perché è importante analizzare questo versetto? Non tanto il v.15, quanto il v.16, perché è dove Dio parla.

Allora, Dio prende l'uomo e lo posse nel giardino del Eden. Io vi domando, voi domandate al testo: da dove lo prende? Se lo prende lo deve prendere da qualche posto, per porlo nel giardino. Se lo pone nel giardino, vuol dire che non c'era prima. Quindi, lo deve prendere da qualche altra parte per porlo nel giardino. Allora, non possiamo inventare quello che il testo non dice, però la logica ci fa dire che lo prende dal di fuori del giardino.

Però vedete come sono i testi. Voi tornate al v.8 cosa diceva? "poi il Signore Dio piantò un giardino sull'Eden ad Oriente e vi collocò l'uomo che aveva creato". Una cosetta, che Dio collocò l'uomo nel giardino. Ma dove stava prima? fuori del giardino. Non possiamo dire di più. Però cosa è interessante in questa azione di Dio? L'intenzione che ha Dio. Perché lo colloca in mezzo a questo giardino meraviglioso? Per coltivarlo, e custodirlo. Due verbi. Queste sono le intenzioni di Dio. Ed è importante analizzare questo, perché Dio non soltanto vuole che l'uomo sia il padrone del giardino, padrone nel senso di quello che domina tutto quello che c'è nel giardino, Dio vuole che lo coltive e che lo faccia crescere. Allora, qui c'è un punto molto importante che noi non svilupperemo che parla di tutta questa filosofia ecologista. Se sapete quanti studi, quanti articoli prendono punti di questi testi biblici per sviluppare questa teoria dell'ecosistema e della creazione che è un problema moderno.

Questo è importante perché il Signore dice "ti metto qui perché lo coltivi e lo custodisca", non soltanto per dominarlo e distruggerlo, ecc. Allora, questo è chiaro, che Dio vuole che l'uomo sia il custode, sia il professore. E questo è positivo per l'uomo. Un punto in favore dell'uomo.

Pero subito dopo arriva la famosa frase che tanti problemi ha causato. Il testo ebraico dice che Dio parlò all'adam. Alla persona, all'umanità. Però gli dice in singolare: "tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino" ma segue un altro testo diverso. Allora, io comincio con la prima:

è un discorso diretto dove il narratore entra nel pensiero di Dio e ci lo racconta. Il Signore diede questo comandamento: "tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino".

Cosa possiamo vedere in questa parola di Dio? Prima di tutto una concessione da parte di Dio. "tu potrai mangiare". É una concessione. E questa concessione insiste sul fatto di mangiare. Questo è l'evento importante.

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Perché mangiare? Perché non gli ha detto un'altra cosa, perché insiste sul fatto di mangiare? Perché mangiare nel senso dal punto di vista di antropologia significa vivere. La vita dell'uomo dipende dal cibo che quotidianamente prendiamo.

E gli autori che studiano l'antropologia proprio del mangiare nelle diverse culture analizzano questo fatto così semplice che passiamo ogni giorno senza pensarci. Se noi prendiamo il cibo che è qualcosa esterno a noi. Prendiamo un qualcosa che viene dal di fuori per metterlo dentro di noi e fare il processo di assimilazione che gli specialisti studiano.

Quindi l'uomo come persona ha bisogno di qualcosa di esterno a lui per poter continuare la sua esistenza. E allora non può vivere senza mangiare, dipende dal cibo. E questo cosa significa? Significa che l'uomo non è il principio della sua vita. Quindi l'uomo non può vivere con le sue proprie forze, ha bisogno di questo cibo che viene dal di fuori. Allora, l'uomo è una creatura dipendente da Dio. Questo è l'insegnamento, il punto che c'è nel testo. Dove il mangiare indica la nostra creaturalità. Non siamo essere estrani. Siamo essere umani che hanno bisogno del cibo. Pensate all'importanza dei banchetti. Non è tanto nel senso del cibo, ma della comunicazione, perché nella Bibbia ci sono tanti, tanti racconti che girano sui banchetti. Andate a toccare nei vangeli stesso di Gesù. Quante volte non appare Gesù mangiando con questi, con gli altri, ecc. E tante cose accadono nell'ora dei banchetti. E tutto gira in torno al fatto del cibo. Questo non interessa me.

Importante è anche la totalità: Perché che dice Dio? tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino. Dio insiste nell'idea della totalità, pare che niente sia escluso. Però non immediatamente limita questa concessione come un avversativo antiebraico. Tu poi mangiare di tutti glia alberi del giardino "ma". Allora, questa limitazione è l'albero della conoscenza del bene e del male che adesso trattiamo.

Lo schema è: prima fa una concessione, una restrizione e adesso la motivazione.E subito il "perché". Perché quando tu ne mangiasti certamente moriresti. Quindi è

un discorso molto breve quasi due versetti, però è un discorso anche simpaticamente molto collegato. Cioè ha una struttura interna molto fina. Allora, quale è la giustificazione: "se tu ne mangiasti certamente moriresti". Quindi, tutto quello che il cibo ti porta, che è la vita, la possibilità di continuare nell'esistenza, ecc. Questo lo perderesti. Quindi la vita si può perdere in morte. Questo è chiaro.

Allora, andiamo a vedere questi "alberi" perché sono il punto della proibizione e anche della concessione di Dio. Quali sono questi alberi? Anche questa è una polemica nella quale gli specialisti anche hanno presentato tantissime probabilità? Lo primo che ci interessa è vedere che ci sono due alberi. Questo è il primo punto. E non dovete confondere. Due alberi, e questo albero della vita era già apparso nel v.9: "Allora il Signore Dio fecce germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare", tra qui l'albero della vita in mezzi al giardino l'albero della conoscenza del bene e del male. Quindi già tra la pria scena questi alberi stavano li. Invece nella proibizione soltanto fa accenno Dio all'albero della conoscenza del bene e del male. Quindi, pare che l'albero della vita si può mangiare. Allora, Wensterman, che è uno dei grandi commentatori, uno dei commentari classici, lui dice nella sua ipotesi: "che l'autore parla d'un solo albero, che non ci sono due alberi". Secondo Wensterman. Che è un solo albero sotto due forme diverse. Allora, l'albero importante secondo Wensterman, sarebbe l'albero della conoscenza del bene e del male. Siano due alberi o sia un albero con due forme che dopo discuteremo, l'importante è che vedete la differenza. Perché se l'autore fa apparire

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queste due parole, uno l'albero della vita e l'altro l'albero della conoscenza del bene e del male, quindi una tappa c'è. La differenza indica che c'è qualche punto che lui vuole sottolineare. E questo è lo che a noi interessa. L'albero della vita si può mangiare, perché la vita è a disposizione dell'uomo. Quindi l'uomo può mangiare di quelle cose che servono per il suo cibo. In vece l'albero della conoscenza del bene e del male è più delicato. Mi spiego.

Il bene e il male è l'espressione che in linguaggio tannico si chiama un "merismo". E la Bibbia è piena di merismi. Allora, il merismo è una espressione che consiste in indicare la globalità attraverso due elementi che di solito si oppongono. Per esempio il bene e il male, il cielo e la terra, il sole e la luna, le parole e le opere, e tanti altri. Invece di dire che tutto, l'autore sceglie una di queste espressioni.

Allora, l'albero del bene e del male significa una realtà globale che indica tutti gli aspetti, tutti i misteri, tutto quello che può avere di nascosto nella vita di una persona.

Allora, se questo albero della conoscenza del bene e del male, conoscere il bene e il male, cosa significa se è un merismo? É conoscere tutta la verità. É chiaro. Uno che conosce il bene e il male in linguaggio biblico vuol dire uno che è al di sopra di tutto quello che è a livello umano. E questo appartiene solo a Dio. Quindi, perché se tuo può conoscere tutta la realtà, vuol dire che tu sei all'inizio di essa, sei il principio di essa. Altrimenti non puoi conoscere tutta. Puoi conoscere un aspetto, però non tutta.

Allora, la conseguenza. Andiamo un po’ più in la. L'uomo non è il creatore della realtà, perché si fosse il creatore della realtà la conoscerebbe tutta senza nessuna eccezione. Però l'uomo non può. Perché non può? perché l'uomo è soltanto una particella di quella realtà. Vedete il gioco? L'uomo è soltanto una delle creature che formano quella realtà. Quindi, mai potrà diventare il creatore. Questa è tutta la dinamica che c'è dietro a questo testo.

Allora, possiamo capire che Dio gli dica okay, l'albero della vita si, però dall'albero della conoscenza del bene e del male quello no.

Io direi che non soltanto questo è importante ma l'altro fatto più importante forze quel contenuto anche di questa previsione di questa concessione è il fatto che Dio rivolga la parola all'uomo. Suppone che l'uomo ha già acquistato una capacità linguistica di ascoltare, di capire. Inseguito parla all'uomo e suppone che l'uomo sia un soggetto di dialogo, soggetto di parola.

Cosa indica questo, che il processo di differenziazione avanza, però non avanza soltanto qui con lo spazio, no, no, ma anche con la persona umana. Quindi l'adam che non aveva mai parlato adesso pare che sia soggetto di dialogo. Lui non parla però al meno ascolta. Quindi, Dio dal primo momento si preoccupa dell'uomo. Questo è un fatto. Ha fatto l'avvertenza, poi ha fato la una proibizione e poi inizia il dialogo con lui e questo è (io direi) una dimostrazione della pedagogia di Dio. Quindi, Dio rivolge la parola all'uomo per prima volta. Come? Prima in maniera positiva come fanno tutti i buoni maestri, come tutti i buoni pedagoghi quando devono proibire qualcosa o devono ammonire o devono avvertire qualcosa non cominciano subito attaccando la questione di fondo ma cominciano con una prima premessa, con un primo passo dove dopo tutto viene fuori. Altrimenti l'efficacia dell'insegnamento rischia. Così fa Dio. Questo cosa indica? Indica che la limitazione, la proibizione non è tanto lo importante quanto la concessione. Quindi, non è che Dio pone in primo posto questa proibizione del mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male. Quella non è la cosa più importante per l'uomo. Guardate bene la

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forma in qui Dio parla, si rivolge all'uomo. É molto interessante per scoprire la sua pedagogia. Questo qui e in tantissimi altri testi. (E anche la sapienza imparerà di questa pedagogia di Dio). E in tanti testi la sapienza agirà e parlerà al discepolo così come Dio ha parlato a tanti personaggi nella Bibbia.

Quindi, sono due maestri diversi evidentemente dei quali si può arrivare a livello di metodo pedagogico, come parlare, come rivolgersi nell'insegnamento, come si comincia, come si finisce. Non è facile. Quindi, questo è il primo tentativo di Dio di parlare con l'uomo.

Perché dopo il v.17 si chiude con un'altra sezione.

vv. 18-23: un altro episodio, dove tutte le Bibbie hanno come titolo: "la creazione della donna".

Analizziamo tutto questo testo e pure ricordando quello che abbiamo fatto l'altro giorno quando abbiamo analizzato il racconto sacerdotale. Ricordate le parole ebraiche PV saranno molto utile per capire il racconto Yahvista e vedete le differenza, i problemi di questo racconto ha suscitato.

Vi dico subito, che il primo racconto sacerdotale, mai ha causato dei problemi. Vi ricordate come era: "Dio creò all'adam, a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina gli creò". Stupendo. Non c'è niente, è tutto chiaro. Maschio e femmina, creature ambe e due e a immagine e somiglianza di Dio. Però il racconto Yahvista si ha portato dei problemi e ha fatto una serie d'interpretazioni molto polemiche lungo la storia. Io non mi fermerò nelle polemiche ne anche nelle interpretazioni, perché sono immense però voglio fermarmi sul testo.

Allora, dice così il testo di v.18-23: "Il Signore Dio disse: Non è bene che l'adam sia solo: gli voglio dare un aiuto che gli sia simile. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come gli avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nome a tutte il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora, il Signore Dio fecce scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al su posto. Il Signore plasmò con la costola, che aveva tolta all'adam, una donna e la condusse all'adam. Allora l'adam disse: Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta". E qui è dove non funziona l'italiano. Li hanno messo dal maschi è stata tolta. Qui non prende il gioco un po’. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. O tutti e due erano nudi l'uomo e sua moglie ma non ne trovavano vergogna. Questo è il nostro testo.

Allora incominciamo con il nostro testo che io intitolo non la creazione della donna, ma "creazione dell'uomo e della donna":

Perché quello che si crea dove non credo io è nell'alterità. Quindi la riconoscenza del nostro nome. Allora in questa nuova scena osserviamo una cosa magnifica che è ancora Dio si preoccupa di questo adam che ha creato. Quindi, è preoccupato. E mostra la preoccupazione con questo pensiero: "Non è bene che l'uomo sia solo gli voglio fare un aiuto che gli sia simile". Il narratore entra nel pensiero di Dio. Non so se quando leggete questo testo subito vi fa ricordare un altro. Credo di si. "Non è bene, non è buono che

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l'uomo sia solo". Se ricordiamo il racconto sacerdotale, dopo ogni atto che Dio faceva di creazione, il narratore dice: "e Dio vide che era buono", in ebraico è lo stesso, la stessa frase: "e vide che era buono". In vece qui vide che non era buono: "non è buono che l'uomo sia solo". Quindi c'è un richiamo. Non era buono. Quindi l'essere umano non è fatto per vivere solo, ha bisogno degli altri. Una cosa molto chiara però che si deve ribadire. L'uomo è fatto per la relazione, per la comunicazione. Nessuno di voi è nato per l'individualismo, nessuna persona. Ora, Dio se ne accorge di questa mancanza nella creazione che ha fatto. Quindi, ha creato un cosmos bellissimo, col giardino, ha creato una persona umana che è il culmine della sua creazione però imperfetta, perché qui dice qualcosa che manca. Dio se ne accorge che l'uomo è fatto per l'altro. E adesso manca questo altro. Quindi, c'è un qualcosa di non perfetto nella creazione di Dio. Allora, cosa decide? Fare. "gli voglio fare un aiuto che gli sia simile. E qui non vi posso aiutare nella traduzione, perché è una delle frase più difficili che esistono nei commentari è questa. Mettiamola così: "Ebbe un aiuto", alcuni traducono: "un aiuto che li sia simile", "un aiuto che li sia davanti". Altri traducono: "un aiuto che li sia adeguato"= (ezer kenegedo).

Ripeto, è una espressione molto difficile, perché questa seconda parte ne ebbe tutti questi significati.

Allora c'è un articolo di Gian Lui SKA in Biblica 65 (1984). Lui fa uno studio molto puntuale su questa espressione. E studia tutte le possibilità di traduzione e alla fine arriva ad una conclusione abbastanza logica, ha un senso comune. E lui riconoscendo la difficoltà scrive così: "non è un aiuto qualsiasi". Questa espressione vuol dire questo. Non è un aiuto qualsiasi, ma "è un aiuto concreto destinato a coprire la necessità, un bisogno vitale. Senza la quale può avvenire una situazione molto pericolosa".

Se capite il punto della questione, è un aiuto e indispensabile. Non è un aiuto che può andar bene per un momento e poi per un altro momento o così variabile. No. É un aiuto vitale, e senza questo aiuto la persona è destinata a vivere senza aiuto. Quindi, che gli sia simile, punta su un'altra cosa, un altro aspetto. Che gli sia adeguato, si, ma si vede tropo utilitarismo. É molto difficile tradurre questa questione. Quindi è importante sapere questo che è un "ezer"= un aiuto, importante, indispensabile per la vita. Allora Dio ha guardato l'opera che ha fatto. Guardate questo adam e ha percepito che questa creazione era incompleta. Non era totalmente vuota a causa della solitudine. Qui c'è un cambiamento che non si riesce a capire molto bene. Dio percepisce questa incompletezza, perché l'uomo è tropo solo è cosa fa? E allora si dedica a gli animali. Vedete la preoccupazione del v.18.

E poi tutto il v.19 e il v.20. sono versetti molto lunghi, molto carichi d'informazioni. Sono dedicati a gli animali. A tutte il bestiame. Allora, Dio cerca la soluzione in quello che lui aveva appellato prima. Questo uomo è solo, vediamo di soluzionare questo con la creazione che abbiamo. Allora, da un incarico all'uomo, che metta il nome. Dare il nome a gli animali. E tutti sappiamo che poter dare il nome a gli animali gli devi conoscere, quale è uno, quale è altro. E per poter riconoscerli devi distinguere. Se uno non distingue non può riconoscere e se non può riconoscere non può stabilire il nome perché non vede la differenza. Quindi, si può pensare anche ad un'altra idea. Che Dio vuole che l'uomo domini sugli animali. Non tanto il fatto di dimostrare la capacità di riconoscere e distinguere, quanto la capacità di avere potere sugli animali. Sono diverse interpretazioni.

Comunque, io dico che questo è un tentativo che fa Dio per risolvere questa solitudine dell'uomo. E guardate che il testo gira e gira. Sono due versetti molto lunghi.

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E come finisce il v.20: "ma l'uomo non trovò un aiuto=kenegedo che li fosse simile. Quindi la ricerca di Dio è fallita. E l'uomo continua con la stessa solitudine. E qui, vedete che la narrazione cambia.

v.21: c'è una parola che indica, "allora il Signore Dio decide un'altra cosa". Vedendo che questi animali non potevano aiutare all'uomo, decide un'altra cosa.

Ed entra in azione Dio. "Fecce scendere un torpore sull'uomo e si addormentò, gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto". Allora, io comincerei dal sonno.

"fecce cadere un torpore sull'adam e si addormenta". Allora, come analizziamo questo torpore? Io credo che abbiamo dato qualche indicazione i primi giorni. Questo torpore, questa idea del sonno è l'idea che vuole staccare l'uomo della terra. Con il torpore, automaticamente si stacca di quello che stava facendo, di quello che stava parlando. Si stacca del mondo che c'era terra. Ricordate l'istoria di 2Sam 14. La storia della donna saggia di Tecqua.

Parlando del sonno, è quando un personaggio prova far cadere nel sonno ad un altro personaggio. Abbiamo tanti, tanti esempi. É un staccarsi del pericolo che in quel momento sta vivendo. O il profeta Gionna, quando scende giù nella nave e cade un profondo sonno.

Questo torpore indica come uno spazio di possibilità per l'azione. Però andiamo a vedere l'azione di Dio che è quella che ha suscitato tantissimi,

tantissimi commentari. Questo che: "prende una delle costole dell'adam, e chiude la carne al suo posto, e poi formò la "isha" con questa costola. Allora questa azione di Dio ha fatto pensare a molti studiosi al famoso mito "dell'androgino": che è un mito molto conosciuto perché è uno dei miti più citati e più delicati, quando si tratta di questi racconti della creazione. Diciamo che questo mito androgino, è un mito che non è universale, non è presente in tutte le culture, però è un mito molto antico e diffuso soprattutto attraverso l'opera di Platone che si chiama "convivium". Non è che si trovi soltanto nella cultura greca, si trova anche in altre culture. Però, a partire di Platone è stata record l'opera. Evidentemente io non vi posso leggere tutto il libro però vi posso leggere il pezzo più famoso del quale è nata tutta questa letteratura. E capirete subito perché ci sono contatti con il racconto del Yahvista. Allora, il testo dice così: " In principio (vedete) tre erano i sessi degli uomini, non due come precedentemente, maschio e femmina, ma c'era in più un terzo sesso che partecipava ai caratteri di tutte e due gli attuali. Il nome solo li sopravvive, l'animale è già spento. Il maschio-femmina (l'androgino) cioè un tempo era l'unico essere vivente. Come aspetto e come nome formato dagli altri due sessi, insieme, riuniti, maschio e femmina. Di più, la figura umana era nella sua totalità rotonda. Dorso e fianchi formavano un cerchi ininterrotto. Quattro erano le mani, d'uguale numero le gambe e i volti due rotondo, rotondo, perfettamente simili. La testa invece, erano di due volti opposti con una testa. Quattro le orecchie due i genitali. A gli dei fecero un consiglio. Tentarono la scalata verso il cielo con l'intenzione di far violenza a gli dei. Fu così che gli altri dei fecero consiglio di quanto dovevano fare. Nemmeno lasciar impunita la strozzata condotta. I dei dunque ci pensarono molto e finalmente disse: Ho trovato mi pare il sistema, mi metterò a tagliare in due ciascun uomo, saranno così più deboli e nello stesso tempo si potranno servire miglior. Il loro numero sarà più grande e così fecero i dei e taglio gli uomini in due". Ecco dunque da un'origine così remota è innata nell'uomo il reciproco amore. Amore riconduce alla stessa condizione. Cerca di fare uno ciò che è due. Cerca di meritare così l'umana natura. In conseguenza ciascuno di noi è un terzo uomo, la metà dell'uomo intero.

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Un uomo diviso come le sondole. Le sondole è un pesce. Come un menguado. Era uno e sono due ora. E ciascuno per ciò continua in ricerca dell'altra metà che gli corrisponda. E prima d'ora come sto dicendo eravamo tante singole unità. A lo stato che vedete in seguito alla nostra colpa il dio ci ha separati uno in una dimora l'altro in un'altra dimora. Questo è il testo più conosciuto del mito dell'androgino. Questo maschio-femmina insieme che spiegherebbe i due sessi.

Le cose sono così, questi miti, hanno il suo influsso e per esempio la letteratura rabbinica talmudica ha conosciuto il mito dell'androgino. E per esempio per illustrare un numero degli scritti talmudici che commenta il libro della Genesi, proprio il nostro brano, il commentatore dice così: "Adamo ed Eva erano fatti, dorso a dorso, attaccati con le spalle. Allora Dio gli separò con un colpo lascia dividendoli in due. Altri sono di parere diverso. Il primo era maschi del lato destro. E termina del lato sinistro. Ma Dio lo ha diviso in due metà.

Quindi, questo è un commento rabbinico al libro della Genesi. E indica perfettamente la concezione dal mito dell'androgino, come questo è chiarissimo. É stato un mito che ha avuto tantissimi, tantissimi influssi in tante culture.

Se qualcuno di voi ha interesse in questi libri antichi, io consiglio MIRCEA ELIADE, ha il trattato delle religione antiche e tanti altri volumi sull'androgogia delle religione antiche. Allora è chiaro che il racconto della Genesi va in questa direzione, però sono cose interessanti da vedere perché spiegano tanti commenti, tanti spiegazioni che ogni volta puoi sentire di qua o di la. Quello che vorrei sottolineare sonno i personaggi.

v.23: Dopo che Dio ha fatto questa azione un po’ strana di fare con la costola di dell'altro. Dice il testo:

"Allora l'uomo disse", e questo uomo, l'adam in ebraico, è una persona indifferenziata, non ha coscienza di se stesso ne anche dell'altro. Perché non può accorgersi delle differenze. E questo essere umano non è ancora cosciente della sua solitudine. Perché non ha bisogno dell'altro. Per ciò Dio lo fa addormentare en questo sonno un po’ anche mitico che rassomiglia la morte per fare questa azione. Diciamo così, che il tempo si ferma e grazie all'intervento di Dio, questo adam entra in una nuova dimensione. L'unico che agisce è Yahveh Elohim. L'adam soltanto finisce l'azione di Dio. Il testo, giocando con la costola, la carne, ecc., modella il corpo umano senza che la persona se ne renda conto. Dio trasforma il corpo della persona che era un corpo nato dalla terra.

adamah= terraadam= umanità.Quindi, Dio prende questo corpo nato dalla terra e lo trasforma. Quindi, questo

corpo da una parte è materiale perché è presso dalla ha adama, dalla polvere della terra, però sappiamo che ha una parte spirituale che è quell'alito biblica che il Signore anche infuse. Quello già era un primo elemento di differenziazione.

Però adesso arriva un altro elemento di differenziazione che nascerà a partire di questa nuova creazione. Quale sarà?

Sarà la "Ishah" (Donna) questa isha non è modellata o plasmata ma è costruita da Dio. Sto giocando con i verbi fanno gioco in ebraico. Non è modellata ma è costruita da Dio. Questa ishah non è costruita dalla polvere della terra. La ishah non viene dalla adamah, ma viene già da un essere umano che è vivo. Viene dal adam. Lei è tolta dall'adam. Dopo averla costruita Dio l'ha presenta all'essere umano. Ancora

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indifferenziato, ancora adam. Ricordo questo tante volte, perché nel testo ebraico non appare la parola "ish" che è la parola che indica proprio il testo maschile. Tutto il testo ebraico sta parlando del haadam, questo uomo indifferenziato.

Però, arriviamo al v.23. Qui le interpretazioni sono mille, più di mille. Questa volta disse questo haadam: "questa volta essa è carne della mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta". Allora io vi dico le parole che stanno in ebraico: "Allora il haadam disse:...la si chiamerà ishah perché dal ish è stata tolta". Vedete che in ebraico il gioco il gioco è perfetto PV ishah, si vede subito che viene da ish e non c'è nessun dubbio.

E Il haadam sappiamo cosa significa. Voi ricordate nel racconto sacerdotale, li c'erano due parole diverse:

zaqar= uomoneqebah= donna.Sono due parole diverse, e non si può fare confusione. Qui linguisticamente sono

due parole che indicano i due sessi di una maniera chiara, netta, non c'è nessuna difficoltà. Questo era nel racconto sacerdotale. Era l'adam. Dio gli creo maschi e femmina.

Invece nel racconto Yahvista le cose cambiano, perché la ishah evidentemente è collegata con ish. E qui è il punto, e anche significa lo stesso. Significa maschio e femmina. Però qui il rapporto diciamo di venire da... di procedenza, è chiaro.

Ecco, andiamo un po’ più avanti, il soggetto del verbo "disse". Allora l'uomo disse, è chiaramente l'adam. Non c'è dubbio. La gente può interpretare quello che vuole, ma l'ebraico è chiaro. É l'adam che ancora non ha sofferto l'alterità, non ha scoperto l'altro, l'altra persona. Normalmente si ha pensato, che ci sia già il maschio, perché nella tradizione di contare è sempre il maschio, il punto di riferimento. E di fatto è così ishah viene da ish, che è una parola formata da ish. Però non perdete mai di vista questo che adam va collegato con adamah. Quindi ish con ishah. L'etimologia non lascia dubbio. Che la persona umana sia maschio, sia femmina, non importa questo, viene da dove? viene dalla terra. Quindi, una creatura creata da Dio. Questo è il punto. Dopo, quando parliamo già di ish e di ishah stiamo parlando già di una differenziazione sempre di questa stessa persona umana. Però all'inizio non c'era. Stava creata da Dio questa differenziazione, perché l'umanità come ente, da sola non poteva vivere.

Allora questa scena secondo me dovrebbe intitolarsi non la creazione della donna, secondo me, dovrebbe chiamarsi "la scoperta dell'alterità". Più diretto. La scoperta dell'alterità, PV l'alterità la scopre sia l'uomo, sia la donna. Perché l'alterità intende l'altro, sia chi sia. L'alterità e l'altro o l'altra, dipende di chi parla evidentemente. Quindi, soltanto nell'alterità la persona non intesta la propria umanità in pienezza. L'essere umano soltanto può essere capito, quando si capisce che è maschio e femmina. Io voglio essere espressiva. Non soltanto come differenza sessuale. Ma lo più importante è quando facciamo riferimento a una differenza di genere. Non soltanto a una differenziazione a livello di sesso ma è una differenziazione di genere, che coinvolge tutta la persona. Quindi, la creazione dell'uomo è unita alla creazione dell'alterità. Questo è il punto. Perché quale era la mancanza che Dio ha contemplato nella sua creazione? Proprio la solitudine di quell'adam, perché li mancava l'alterità. Li mancava un altro, un'altra per confrontarsi.

Allora, mediante la parola l'essere umano, riconosce l'altro. E solo da quel momento in poi potrà riconoscersi se stesso. É quello che fa l'adam. Adesso si, mediante la parola è capace di riconoscere l'altra persona. E questo è un meccanismo che tutti

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conosciamo. Nella misura in qui io riconosco l'altro, riconosco me, automaticamente. Nella misura in qui accetto l'altro, accetto me e così via. Sempre lo stesso meccanismo.

Quindi, la creazione del maschio e della femmina è il punto culminante della creazione. Che possiamo dire ancora di più? che è un perfezionamento dell'opera creativa di Dio. É una rivelazione di Dio sull'umanità. Ricordate quel processo di differenziazione che stiamo vedendo già dall'inizio dal Genesi. Ecco qui, questo processo continua. Però adesso è già la massima differenziazione, la più perfetta.

Guardate che la prima parola che pronuncia l'adam in tutta la Bibbia, la prima parola è una parola di riconoscimento reciproco. E questo è stupendo. La prima parola che esce della sua bocca è una parola più che positiva. É una parola che riconosce, mediante la quale riconosce l'alterità, l'altro. Quindi, accettare l'altro è accettare la diversità. E soltanto chi accetta la diversità potrà creare unità. Va insieme. Lo importante è riconoscere l'altro, che l'altro è l'altro e non sei tu.

Secondo passo è l'unica maniera per poter creare a partire di questa differenziazione l'unità. Senza questo previo riconoscimento non c'è via per l'unità, perché non c'è niente da unire. Questo è il punto. Se non riconosci che c'è un altro che non sei tu che voglio dire? che non c'è niente da unire. Che soltanto sei tu, e basta. Questa era la solitudine da quell'adam. Non c'era nessuno per confrontarsi, non per chiacchierare, dove vedere che la realtà non era soltanto lui.

Allora, con questa azione la solitudine dell'essere umano adesso viene superata. Quindi, grazie all'alterità la persona umana può vincere la solitudine. Quindi, adesso si, a partire di questo momento abbiamo nella Bibbia questi tre personaggi. Ed è chiaro: haadam= che è tutto l'insieme. Ish e adam=maschio. Ishah e haadam= femmina. Quindi, l'essere umano differenziato. Io credo che questa sia la mia interpretazione, la mia riflessione del testo biblico e voi potete sentire tantissime altre diverse con altre tonalità. La mia sottolinea questo fatto dell'alterità, perché anche siamo un poco nell'antropologia biblica, e più che andare a discutere i miti, l'androgino, per esempio o altre particolarità, voglio infuocare la mia riflessione su questo angolo. E credo, per me, che sia il punto più importante. Ma lo lascio al vostro giudizio.

Una conclusione:vv.24-25: molto curiosa: "per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e

si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne". Il v.25 dice un'altra cosa: "Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie ma non

ne trovavano vergogna".Questa è la conclusione, prima di tutto perché sia un aggancio. Per ciò dice: "per

questo", supponiamo quello che è capitato prima, "per questo" e dopo vengono altri due versetti. E dopo incomincia già il secondo episodio del capitolo terzo. E qui cambiamo già, perché appare il serpente, già è un'altra storia. E per forza questi due versetti 24 e 25 devono mettere il punto a questa scena. Però ripeto è una conclusione un tanto particolare.

Guardiamo le cose più importanti."L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e diventeranno

una sola carne". Io direi che il narratore sente il bisogno di spiegare qualcosa al lettore. Io la vedo un po’ forzata questa conclusione, non la vedo molto naturale. Come si quello che scrive volessi dire, spiegare una cosa, benché non andasse tanto bene, lo stesso, lui lo dice.

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E che cosa è quello che vuole spiegare? Quello che faranno l'uomo e la donna nel futuro. Quindi, adesso hanno scoperto l'alterità e cosa capiterà? Quindi lui vuole spiegare, "per questo", aggiunge. Perché lo vediamo in esso.

Soltanto può unirsi quello che è separato. Quindi il testo del v.24 presuppone la differenziazione della quale abbiamo parlato prima. "e si unirà a sua moglie". Quindi abbiamo detto per unirsi benché siano due persone diverse, due persone separate. Allora, soltanto così si potrà vivere in un'altra maniera che il testo ebraico esprime con questa frase: "una sola carne" (basar in ebraico). La espressione anche in particolare in espressione semitica che vuole senz'altro sottolineare l'unità. L'unità di queste due persone. Non si parlerà più del io e il tu ma di parlerà di un noi al plurale. Comunque fatte attenzione nel testo perché ci sono cose interessantissime. Il protagonista nel testo continua ad essere l'uomo. "si abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie". Supponiamo che anche la moglie ha abbandonato suo padre e sua madre per unirsi a suo marito. Questi sono gli occhiali dall'autore. Già si sopraintende che la moglie farà lo stesso. Lo farà, però si vede subito chi lo ha scritto.

Allora, questo è chiaro, questa è una informazione che l'autore vuole darci. Come una spiegazione che non c'era bisogno.

E poi aggiunge un'altra spiegazione nel v.25 quando dice: "erano nudi e non trovavano vergogna". É una informazione un po’ strana, perché ne pura c'era bisogno di dire questo. É un'informazione un po’ strana anche qui. Però si può dare la sua spiegazione. E la spiegazione è molto semplice.

E dipende dall'ebraico, dalla lingua: "tutti e due erano nudi, ma non ne trovavano vergogna".

C'è un gioco tra nudi= "arummin". I due erano arummim. e con la stessa parola si può dire questo aggettivo che definisce il serpente. Come era il serpente? dirà poi nel cap. 3º. Il serpente era astuto= in ebraico sarebbe "arum". Quindi, il gioco è chiaro. Arum=serpente, arummim=nudi. Due parole che hanno significati completamente diversi però permettono il gioco di parole, che ne in italiano, ne in spagnolo possiamo fare il gioco con queste parole, perché sono parole diverse.

Questo è il primo aggancio col quale l'autore gioca. Arum e arummim. Poi dobbiamo saltare e dobbiamo andare avanti nel testo, perché dopo vedremo che l'uomo e la donna trovarono vergogna. E Dio fu costretto a fare quelle tuniche di pelle e a vestirli. Quindi, nel primo testo non trovano vergogna. Poi il serpente gioca in mezzo e poi ci sarà un altro nudi che si provocherà vergogna. E tra l'uno e l'altro, il serpente. Perché il serpente sarà colui che rovinerà tutta la storia nel seguente episodio.

Nel cap.3, v.7 dice: "Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi. Intrecciarono foglie di ficco e se ne fecero cinture". Qui la parola è la stessa ma il sentimento che loro hanno è diverso.

Quindi, questa prima menzione della nudità e la vergogna è un aggancio, sono un concetto che permette l'aggancio all'episodio seguente. E così si può spiegare perché prima non sentivano vergogna e dopo si. Quindi, è tutta la trama che l'autore fa.

Allora, il tema centrale è la nudità unita alla non vergogna. Allora cosa significa la nudità? Perché questo è un concetto anche molto ricco che evidentemente supera l'aspetto fisico, materiale. Possiamo capirlo di molte maniere. Non è che sta scritto come si deve capire. La nudità può essere anche, la libertà di colui che non è attaccato al peccato. La libertà che hanno i bambini quando ancora non conoscono il male per esempio. La nudità

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può essere anche la situazione di una persona pulita dal di dentro, chiara, che non ha bisogno di protezione, che non ha bisogno di nascondersi. Perché è una persona che vive nella libertà, nella verità, quindi è tranquillo. Ci sono molti significati di questa nudità. Però può essere anche che la nudità in questo contesto possa riferirsi a le differenze che ci sono tra ish e ishah. Può darsi benissimo, (io lo dico perché mi inserisco nel contesto) che qui la nudità significhi che l'ish e l'ishah non sono fonti ancora della differenziazione. Quindi, non riconoscono completamente la differenziazione tra di loro. E come se io dicessi che loro non hanno una personalità ancora ben definita, ben indipendente.

Ci sono molte interpretazioni da questi versetti, però possiamo provare con questa e poi vedremo se dopo l'episodio del serpente questo funziona. Io credo di si. Quindi erano già ish e ishah, però erano i primi momenti. Quindi avevano conosciuto l'alterità reciprocamente, però non erano ancora consci da tutto quello che comportava per uno essere ish e per l'altro essere ishah. Dopo il peccato tutto questo cambierà. Qui era ancora un clima di paradiso. Il male non era ancora entrato. Loro non avevano questo contatto col male. Quindi, il clima paradisiaco anche coinvolge i rapporti umani. I rapporti tra i due erano completamente chiari in questo senso del non poter andare oltre. In questo momento. Poi automaticamente cambierà nel versetto seguente con l'azione del serpente.

27/3/'98.

2) EP. 3,1-7. "La storia del serpente".

La storia del serpente. Gen. 2: Tenta di rispondere a quella questione iniziale, chi è l'uomo quello della

creazione. Quale rapporto esiste tra creatore e creato. Cos'è l'alterità. Allora, adesso cambiamo domande.

E Gen. 3 si preoccupa: di un'altra tematica. Esiste il male nel mondo? E perché?. Perché vive l'uomo l'esperienza del male in se stesso. Cos'è il peccato. Quale senso ha? Quale è la sua dinamica. Allora possiamo dire: se Gen. 1,2 rispondeva alle domande sulla vita. Gen 3 si preoccupa della morte e del peccato. Sono due blocchi ben distinti: 1,2 e 3.

Oggi vorrei vedere questo episodio. Perché credo che sia il più ricco. Se non arriviamo alla conclusione, non fa niente, perché sono due versetti proprio che concludo il discorso.

Sono due blocchi:1.- 3,1-5 2.- 3,6-7

1.- 3,1-5: Il serpente e la donna:Questa scena incomincia, con l'irruzione di un nuovo personaggio, che è il

serpente. E ricordate il gioco di parole che abbiamo indicato l'altro giorno. Arumim= nudi. E arum= il serpente. Allora questa radice, dalla quale viene arum, la radice ebraica, può avere due connotazioni:

La prima, è quella di essere collegato con essere astuto, prudente, e poi, anche collegato col mondo della sapienza e intelligenza. Tutte queste connotazioni entrano nella radice arum. Però dobbiamo aggiungere anche un altro significato che proviene d'un testo abbastanza conosciuto. Num 21 dove c'è quell'episodio degli Israeliti che furono morsi dai

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serpenti. E alla fine il Signore dice a Mosè di fare quel serpente e tutti quelli che guardavano il serpente di rame, e tutti quelli che guardavano il serpente, venivano guariti. Quindi a parte di tutti questi significati, c'è anche il simbolismo a torno alla vita. Il serpente significa il rinnovamento della vita. Perché, guardando quel serpente, potevano guarire gli israeliti. Quindi, tutte queste connotazioni sonno a torno a questa radice di arum. Allora il narratore ci presenta il personaggio con un superlativo. É il primo usato nel testo. Fatte caso a queste piccole cose.

In 2,9: Il narratore ha parlato di alberi desiderabili da vedere e buoni da mangiare. In 2,12: Il loro fine, un luogo di qualità.Poi in 2,18: Ha detto che non era buono che l'uomo fosse solo.Quindi, ci sono delle indicazioni di qualità e non c'era nessun superlativo. Questa

volta è la prima che dice: "era l'animale più astuto del campo che Dio aveva creato". Quindi, il più astuto, pero creatura. Questa è la prima informazione che il narratore ci da. É anche una creatura di Dio. Però questo serpente, è un animale che parla. Si rivolge alla donna e riesce a stabilire un dialogo.

É la prima volta che parla la donna. Le prime parole sono con il serpente. Questo dialogo si svolge in tre momenti:

Prima, parla il serpente, v.1Poi risponde la donna, vv. 2-3E poi, nuovamente interviene il serpente. vv. 4-5.Allora importante è il fatto che il primo dialogo. Perché i discorsi che noi abbiamo

visto gli altri giorni erano sempre monologhi. Era l'uomo che diceva, o Dio che diceva, pero, non c'era un io e un tu che parlavano.

Quindi, il primo dialogo che pur tropo rivela un fenomeno molto comune anche oggi. Quello che io ho chiamato, la manipolazione dell'informazione. Quindi è un fenomeno più attuale e così impossibile.

Il serpente sa qualcosa che la donna non sa. Però, quando finisce la scena, la donna sa di più di quanto sapeva all'inizio. Allora, il serpente, sa, quello che ha detto Dio. Al meno il serpente tenta di sapere quello che ha detto Dio. Ed è proprio la parola di Dio, che fa scattare il dialogo. Guardiamo bene il testo:

"Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore. Egli, (il serpente) disse alla donna: è vero, che Dio ha detto, non dovete mangiare di nessun albero del giardino?"

Io adesso vi do una traduzione un pochitino diversa, senza questa domanda interrogativa. Io traduco così, perché il testo lo permette. Permette, varie possibilità.

"Così che Dio vi ha detto, non mangiate di nessun albero del giardino" (non si fa nessuna domanda, si afferma.)

E qui comincia quello che chiamo la sottile manipolazione del linguaggio, da parte del serpente. Mi spiego.

Il serpente, da per scontato che Dio ha detto quello che egli sta dicendo adesso. E non è vero. Quello che dice il serpente, non è quello che Dio ha detto prima. Allora, andiamo a vedere quello che Dio ha detto prima:

2,16: Il Signore diede... (ricordate questo comando alla donna). "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma del albero della conoscenza del bene e del male non debbi mangiare. Perché quando tu ne mangiasi, certamente moriresti". Questo è quello che Dio ha detto.

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Ché fa adesso il serpente? Cambia l'ordine della frase. Questa è la prima cosa. Colloca in primo posto il verbo in negativo, cosa che Dio non ha fatto e usa il plurale. Cosa che Dio non ha fatto. Dio ha detto: "tu potrai mangiare". Non ha detto voi non dovete mangiare. Quindi, il fatto, che Dio affermava il serpente adesso lo nega, (vedete con calma questi testi). Grammaticalmente, non c'è dubbio. Quindi, nel discorso del serpente si sottolinea soltanto la proibizione radicale di Dio. Quindi, la sottolineatura del serpente è la proibizione. Guardate bene: "non potete mangiare". Questa è come incomincia il discorso del serpente. Quindi, l’accento ricade sulla proibizione. Una proibizione che già non da spazio alla libertà. Quindi, se si incomincia con una negazione così radicale, non c'è scelta. Quindi, il serpente dall'inizio, fa questa manipolazione del linguaggio e allo stesso tempo dubita della parola di Dio. Dubita. La mete a confronto. Automaticamente, cosa indica questa intervenzione del serpente. Che Dio, è diventato il nemico per eccellenza. Dio è l'avversario, il contrincante. Però, ricordate che Dio continua ad essere il suo creatore. Non solo dell'uomo e della donna, ma anche del serpente. Voglio essere ancora più chiara. Analizziamo la frase del serpente con più dettaglio.

Il testo ebraico, ha questa particella: "ap ki" o meglio sono due particelle che in italiano si possono tradurre così: "bene" questo bene che mettiamo nel discorso, o pure, "allora". Anche possiamo dire, "bene" ascolta un attimo, voglio parlarti. Questa maniera di ricavare l'attenzione. Quando uno dice: "allora", questo "ap ki" c'è nella frase l'idea d'una constatazione. Constatazione. Quindi, il serpente, non fa una domanda, per ciò non ho voluto tradurre come la CEI. É possibile, ma non ho voluto. Non è che il serpente ha bisogno d'una informazione e fa una domanda chiara e ingenua. Non vuole domandare. Quello che il serpente fa è costatare le parole di Dio. Per ciò comincia così: allora dio vi ha detto, o così che Dio vi ha detto. Ripeto, il serpente non domanda niente di concreto. É una particella, che, lascia trasparire l'intenzionalità del serpente. E questo credo che anche in italiano e in Spagnolo funziona bene. Se io vi dico: "A, così che il preside vi ha detto che dovete essere puntuali". Quindi, io non domando. Io sto facendo una constatazione. Però una constatazione, nella QW sto tentando di manipolare la l'informazione. Se io vi dico: "così che il preside vi ha detto..." Quindi, suppongo quello che il preside ha detto. Però nella mia maniera d'incominciare il discorso, c'è già un'intenzionalità. É velata, però è da parte mia. Questo è la "ap ki". Allora, non domanda. É una insinuazione, un modo di aprire il dialogo senza imporsi di una maniera firme, diciamo così, senza forzare la domanda. Perché se io vi domando: "É vero che il preside vi ha detto.." è diverso. Dall'altra maniera, già suppongo che si vi ha detto quello. Allora, questa insinuazione è una forma di manipolare la risposta. E questo lo sappiamo tutti dalla esperienza. Manipolare la risposta. Allora, la frase del serpente descrive, però velatamente, l’immagine di un Dio tirano. Questo è l'esempio che vi metto col preside. Uno che comanda le regole a suo modo. Un dio tirano, che dopo aver regalato il giardino ad Adamo ed Eva, quel paradiso, adesso proibisce loro di mangiare di tutti gli alberi. Allora, quale regalo è questo. Quindi, è la perversione del linguaggio. E questo si può fare soltanto con due particelle utilizzando l'enfasi, mettendo l'enfasi lì dove uno vuole.

Allora, vediamo cosa risponde la donna al serpente. É da notare, che il serpente, si rivolge alla donna parlando in plurale. Voi, però sta parlando con la donna. Perché non dice tu. Ella donna, risponderà anche, con il noi. Con la prima persona plurale. Quindi, soltanto possiamo interpretarlo così: che questo "voi" e questo "noi", diamo che rappresentano l'umanità. Sia l'uomo, sia la donna, altrimenti li avrebbe detto, "tu" e io. Noi

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e voi. Quindi, non c'è nessuna differenza, nessuna preoccupazione per la differenza. E la preoccupazione è un'altra. La donna, io direi, che risponde bene. Al meno in apparenza, relativamente bene. Cosa dice: "dai frutti degli alberi del giardino, no possiamo mangiare".

Allora, analizziamo la risposta. La prima cosa che la donna cambia è l'idea di totalità globalità. Non dice tutti gli alberi del giardino. Questi piccoli dettagli, sono molto importanti. Che la donna dice: "dai frutti degli alberi del giardino" e secondo dettaglio, menziona i frutti. Mai si erano menzionati frutti. Mai, lei lo dice, dei frutti. E poi continua, dicendo: "ma dai frutti dell'albero che sta nel mezzo del giardino, ha detto Dio che non dobbiamo mangiare e che non dobbiamo toccarlo, a finché non moriamo". Questo è letterale dal ebraico. Allora, è chiaro per tutti noi, che la donna aggiunge un'informazione che Dio non ha detto in 2,16. Non ha parlato dei frutti Dio. Questo sarebbe la cosa meno importante e Dio ha parlato dei frutti, e po’ la donna aggiunge di non toccare. Dio non ha parlato mai di non toccare gli alberi. Questo lo inventa lei. La donna, però è capace di distinguere tra quello che ha detto il serpente e quello che ha detto Dio. Ma io direi, a modo suo. Mi spiego. Quindi, il serpente dice una cosa, e la donna corregge un po’, ma lo corregge a modo suo. tanto è vero, che anche cambia il discorso di Dio. E aggiunge delle cose che Dio non ha detto. Però, è importante che è capace di distinguere tra l'informazione del serpente e quello che Dio ha proibito loro. Quale è l'unica cosa che non riesce distinguere la donna a mio avviso. forze a noi ci avrebbe capitato lo stesso. L'intenzione del serpente. Perché quello non è facile da scoprire. L'informazione sbagliata si, però l'intenzione che c'era dietro no, perché è molto sottile. Quindi, Dio, in più, se fatte attenzione, non parlò dell'albero che stava al centro del giardino. Perché quell'albero era l'albero della vita. Quale è la proibizione in 2,16: di non mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male. Quindi, quello che voglio sottolineare è questa informazione manipolata d'una parte e dall'altra. Nessuno dei due dice quello che Dio ha detto in 2,16, nessuno.

Allora, possiamo dire, che la donna interpreta a modo suo le parole di Dio. Quindi, non è proibito soltanto mangiare dei frutti dell'albero, ma è anche proibito toccarlo. Allora, quella è sono i due divieti:

mangiare e toccare.

Che sono i sensi più primitivi dell'uomo. Quel fatto del mangiare, ne abbiamo già parlato. L'esperienza del mangiare. E l'esperienza del toccare è anche una esperienza (rispetto) primitiva nel senso che è il senso più primario. Molto più fino e l'udito, la vista, ma il tatto no. Mangiare i frutti, (è chiaro) significa, far tuo l'albero. Così possiamo dire, MC e possedere. Non c'è bisogno di spiegazioni. MC e possedere, far tuo, quel cibo che viene dal di fuori.

E toccare è un'altra forma di possedere, più esterna. Toccare, nel senso di prendere, di prendere una cosa per farla anche tua. Quindi, c'è l'idea di possessione, sia a un livello, sia all'altro. E il secondo elemento che io sottolineerei di queste parole è:

Il conflitto tra morte e vita. Dice la donna: "Dio ha detto non lo dovete MC, non lo dovete toccare, altri menti morirete". Quindi, il MC è la vita, perché il MC significa saper sopravvivere e il rischio di questo MC dell'albero è la morte. Questo conflitto tra morte e vita che continuerà in questi capitoli e non finisce qui.

Quello che mi stupisce, perché prima non avevo fatto caso. É che: sia la donna, sia il serpente, stanno sempre parlando di quello che Dio ha detto. Non parlano di loro stessi.

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Il punto di riferimento sempre è Dio. Quello che Dio ha detto, quello che Dio ha proibito, quello che Dio ha concesso. Sempre Dio. Guardate i versetti:

v.1: appare Dio.vv. 2-3: appare Dio, quando parla alla donna.vv.4-5: appare Dio quando parla il serpente.

Sempre girando a torno a Dio. E questo, potrebbe essere come un’avvertenza per i lettori. Perché una avvertenza? perché noi ci rendiamo conto che sia il serpente, sia la donna, sono ossessionati dall'idea di Dio. Quello che a loro due preoccupa è la figura, la persona di Dio. Questo è come una specie di avvertenza, di luce, che ci fa vedere che il problema, sarà Dio. Il problema no è MC o MC. Il problema sarà Dio. Se noi vogliamo essere come Dio accettiamo la diversità, la creaturalità o no. Però questo non lo dice il testo. Il testo, soltanto sottolinea la presenza di Dio. Ho detto prima che la donna, non riesce a distinguere le intenzioni del serpente. A me pare chiaro. E comprensibile. Perché il serpente è molto astuto e gioca più con quello che non dice, che con quello che dice.

Io lo spiego con questa manipolazione moderna dell'informazione. Il serpente, controlla l'informazione. Omette quello che vuole. Omettere e poi gioca con gli elementi che a lui interessa. Per esempio il verbo conoscere. Tutto ciò PV lo fa? per imbrogliare la donna. L'intenzione è nascosta, però è chiaro l'inganno. Ecco, la donna ha risposto così come ha saputo e di nuovo interviene il serpente. Guardate che la cornice è questa:

Serpente,Donna,Serpente.

La cornice del dialogo, da più rilevanza al serpente. Quale è l'intervenzione: "non morirete a fatto..." (dice il serpente) "perché Dio sa",

il verbo "yadà"= conoscere. Perché Dio sa che il giorno in qui voi ne mangerete si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio. Conoscitori, del bene e del male. Quindi due verbi, riferiti alla conoscenza. Come già ha fatto prima, il serpente dichiara che Dio è il principale nemico da combattere. Vedete, come sempre sta girando su lo stesso punto.

Ripeto, che ha detto Dio in 2,17: "Quando tu ne mangiassi, certamente moriresti. Glielo dice all'Adam". Quindi, Dio sta affermando la possibilità di morire. Che dice adesso il serpente? proprio il contrario, "non morirete". Il gioco è sottilissimo. Ogni intervento dal serpente, è proprio lo opposto di quello che ha detto Dio. Sempre. Però appare, che veramente il serpente stia ripetendo le parole di Dio. E non è vero. Sempre lo fa cambiando, trasformando l'informazione. Quindi, se il serpente dice: "non morirete", che sta dicendo? sta eliminando la limitatezza, la finitezza, la creaturalità della persona umana. Quindi, non ci sarà più la morte per voi. E qui comincia la trappola. In cui cadrà la donna. Quindi, una possibilità di essere come il creatore. Quale è la motivazione che da il serpente? "perche Dio sa". Secondo il serpente, Dio sa una cosa che non ha detto alla donna. Ed è vero, perche questo Dio non lo ha detto in 2,16-17. Questo lo dice il serpente. Quindi, il serpente suppone che la donna, non sa quest'informazione. E PV Dio non gli ha detto questa informazione alla donna? Perche sarebbe stato rischioso per Dio. Perché allora avrebbe potuto avere dei contrincanti, dei nemici. Tutto questo, è il discorso del serpente. Allora, il serpente presenta un Dio onnipotente che vuole l'umanità ai suoi piedi, schiava, senza libertà ne autonomia. Questo è quello che il serpente vuole che la donna capisca. Che Dio, è un tirano, con la parola che abbiamo utilizzato prima. E per ciò non lascia loro MC dell'albero. Quello voglio che voi vediate è questo: che il serpente dal primo momento

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con la astuzia e l'intelligenza ha diretto il dialogo. Ha presso l'iniziativa e ha condotto il dialogo. Ha diretto il discorso. Suscitando il dubbio nella coscienza della donna. Quello che voleva, piano, piano, far vacillare la donna. E questo dubbio da che cosa nasce? Io credo che nasca dai desideri che c'erano nel cuore della donna ma che non erano stati formulati. Quindi, il serpente riesce a far emergere della donna dei dubbi delle inquietudini, delle possibilità che erano lì, però che erano nascoste. Allora, il serpente inganna chiaramente la donna mediante una manipolazione della realtà. Fa credere alla donna, quello che non è in realtà. Quindi, sia il serpente, sia la donna negano la coscienza di essere creature. Non accettano i propri limiti. E questo è il grande peccato. La temporalità e la morte. Allora, con grande abilità, il serpente va lasciando allo scoperto, va svelando, quello che era occulto all'inizio del dialogo. Quando ha detto "così che Dio ha detto..." Qui non si vedevano tutte queste cose, però piano, piano, appare il problema di fondo. Il problema è questo: l'uomo limitato e finito non potrà mai diventare un uomo illimitato e infinito. Semplicemente, perché l'uomo sempre sarà una creatura. Quindi, la negatività del serpente, consiste nel fatto di negare la morte. La morte, non esisterà per voi. Negare la morte. Di dare un'informazione parziale. Di occultare la dimensione finita degli uomini.

Diciamolo in altre parole: Il serpente, fa propaganda di una vita senza morte. Di una possibilità di essere come Dio. E diciamo, che di fatto, quando il serpente dice: " non morirete" in certo modo, ha ragione. PV? mi spiego. MC di un albero non porta de per sé la morte. Una cosa è che Dio la abbia proibito, ma il MC di un albero non può provocare la morte di nessuno. Questo è chiaro. La morte è conseguenza di un'altra cosa. Dalla propria natura dell'uomo. Ed è proprio quello che il serpente e la donna non vogliono accettare. Non morirete, certamente. Però la morte berrà da un'altra parte.

Facciamo adesso una domanda. PV il serpente, PV il narratore ha scelto questa figura? il serpente.

Possiamo tentare una risposta. Forse perché il serpente non è un animale pericoloso, soltanto in apparenza. Nel senso che non fa rumore, striscia, non è un animale feroce, però sappiamo che un morso è mortale. E di fatto, il serpente non è grande. Non è un mostro. Il serpente non si distingue da lontano. Non si vede che viene, non se distingue, uno non si può preparare. Se non lo vede. Non si fa sentire. É più tosto silenzioso. Ed è anche un animale capace di camuffare. Quindi, è molto ben trovata la figura del serpente, per esprimere in modo poetico questa astuzia, questa abilità di cambiare la realtà e di manipolare la realtà per ottenere quello che uno vuole.

Io credo che questa sia una delle scene più riuscite. Da questi capitoli. Serpente, donna, serpente, e di una maniere quasi molto sottile, sottile fanno apparire il problema di fondo che era questo peccato. Però si uno lo legge pare una favola che non tocca fondo. Questo è stato il dialogo. Andiamo a vedere:

3,6-7: Una azione consumata:Se in 3,1-5 si parlava, era dialogo. In 3,6-7 è un'azione consumata. Dopo il dialogo

siamo all'azione e alle sue conseguenze. Guardate come il narratore è furbo. Automaticamente il serpente sparisce dalla scena.

3,6-7 come se niente fosse accaduto: "Allora la donna, vide che l'albero era buono da MC, gradito a gli occhi e desiderabile per acquistare saggezza,(dice intelligenza il testo), presse del suo frutto e ne mangiò. Poi li diede anche al marito che era con lei e

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anche egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutte e due e si accorsero di essere nudi (arumim) intrecciarono foglie di ficco e se ne fecero cinture". Quindi, vedete che è come una pausa che spiega le conseguenze di quel dialogo che abbiamo avuto all'inizio. Allora, andiamo a vedere quello che capitò alla donna.

Perché la donna si trova davanti all'oggetto desiderato. Così dice il testo: e vide la donna, l'albero, quindi si suppone che lo ve era lì davanti. Due protagonisti: l'albero ed essa.

Immaginate un po’ la scena. La donna davanti a quello che lei desiderava. E allora dice il narratore, che la donna vide. Quindi percepì personalmente l'albero che desiderava. Noi non sappiamo se la donna è andata a cercare quest'albero o no. Perche questa fase della ricerca il testo non lo riporta. Soltanto troviamo già la donna guardando l'albero. Essa lo vede e io creo che è chiaro quello che accade. Non c'è bisogno di spiegare. Lei si trovò davanti a quello che desiderava, quindi è un atto di percezione, la donna realizza un atto di percezione senza nessuna mediazione. In quel momento non c'è ne il serpente ne Adamo, niente. Solamente la donna e l'albero. Dall'informazione passa alla percezione propria. In quel momento non c'è bisogno di parole perche lei ci ha l'albero davanti. E questo può essere capito se vogliamo come il primo gesto autonomo del essere umano. Se trova davanti all'oggetto desiderato. Senza l'intervento di nessun'altra persona o mediazione. É questa una cosa molto poetica che anche noi facciamo, quando desideriamo qualcosa, tentiamo di umanizzarla perché umanizzare le cose è una maniera di farle molto più vicine. Che fa la donna con l'albero? L'umanizza. E gli attribuisce delle proprietà. Guardate bene li aggettivi, è buono, è piacevole ed è desiderabile e questo non contraddice il testo. Ricordate 2,7. "Dio fecce germogliare ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da MC". Quindi c'è una coerenza nel testo. É logico che questa donna si senta attratta di questo albero.

Andiamo un po’ più in profondità. La donna percepisce che l'albero è buono da che cosa? buono da MC. Quindi, la sensibilità del gusto, sempre giochiamo con i sensi. Prima il gusto, e in un secondo momento percepisce che è gradito alla vista. Vediamo un altro senso:

La sensibilità ora visuale. Prima il gusto, poi la vista e il terzo momento desiderabile per acquistare l. Quindi c'è un s alto, dai sensi, gusto e vista passa ad una qualità più elevata. Una qualità che è più intellettuale o morale. Tutte queste caratteristiche, io li riduco a un solo concetto, il concetto del desiderio. L'albero della conoscenza del bene e del male è un oggetto molto desiderabile.

Prima d'incominciare, vorrei fare riferimento a una domanda che hanno fatto qui ed è giusto farla, PV dicevano che si questa immagine della serpente ha qualcosa a che vedere con i culti della fertilità e senz'altro, in tutti quelli significati che vi ho dato, di arum, arumim, c'è anche tutto il trasfondo dei culti cananei, al quale il serpente era collegato. Quindi, tutto questo trasfondo d'idolatria, c'è. É un altro filone di simbologia. Anche nella Bibbia, tutti questi culti che facevano i cananei, sotto gli alberi, tutto questo è collegato. Quindi, si. Allora, riprendiamo il testo.

Eravamo nel desiderio. La mia interpretazione, era questa: che tutte queste caratteristiche: buono da MC, gradito alla vista e desiderabile per acquistare intelligenza, vogliono spremere il concetto, la realtà del desiderio. Quindi, quest'albero, della conoscenza, del bene e del male è un oggetto molto desiderabile. Diciamo che la fase,

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seguendo sempre il testo, della percezione è finita. Già, la donna, secondo il narratore, ha visto, quello che desiderava.

E adesso si passa all'azione, l'azione vera e propria. E la donna, seguendo, quello che Dio ha fatto nella creazione, prende dal frutto dell'albero. Si dice, seguendo quello che Dio ha fatto nella creazione, perché se ricordate la prima lezione sul Genesi, abbiamo visto che Dio creava, separando. E per separare, si deve prendere una cosa d'un altra e distaccarla. In ebraico, questo "da" indica la provenienza di questo "min". In italiano va molto bene quella espressione "da", perché ci indica chiaramente: "da qui", e si separa. É tutto uno schema. Lui separava il materiale della creazione, per differenziarlo. Allora, la donna, anche, fa questa separazione con i frutti dell'albero. Prendere "da" per "staccare". La donna, prende i frutti senza mediazioni. Prende i frutti come la conseguenza della percezione che ha avuto. L'albero, era desiderabile, lei va e prende i frutti, e poi gli mangia. Quindi fa diventare suo quell'albero. E questo lo capiamo. Ottieni il desiderio e lo possiedi. Così, se seguiamo la logica del testo, la donna, ha potuto accedere alla conoscenza. Alla sapienza, diceva la CEI, per esempio. Sapienza, intelligenza, conoscenza.

Immediatamente l'altra azione che fa, dice: "lo diede a suo marito, e lui anche ne mangiò. Quindi, l'uomo, il marito, anche accede alla conoscenza, alla sapienza, per iniziativa della donna. Queste sono le azioni. Una dietro l'altra. E adesso, il narratore, ci racconta, gli effetti dell'azione appena compiuta. Nel versetto 7: "si aprirono gli occhi di tutte e due e si accorsero di essere nudi. Intrecciarono foglie di ficco e se ne fecero delle cinture". Importante di nuovo è questo campo semantico del vedere. "Si aprirono gli occhi", indicazione su gli occhi, e poi "si accorsero", noi traduciamo così in italiano, ma il verbo che c'è dietro è anche il verbo "giadà"= conoscere. "E loro conobbero che erano nudi". É questo il gioco del conoscere e del sapere. Allora la questione, sempre, seguendo il testo è che grazie all'iniziativa della donna, ambe e due, scoprono la nudità. Questo altro concetto che adesso vorrei un po approfondire di più.

Scoprono la nudità. Una nudità, che non comporta soltanto (insisto su questo, PV ci sono tantissime interpretazioni già medievali, che io credo, che si devono superare) connotazioni di tipo sessuale. Ma molto di più. Il concetto della nudità, supera questa differenziazione. Mi spiego: I, quando loro se ne accolgono, vogliono proteggersi dello sguardo d'uno e dell'altro. Quando, si accorsero che erano nudi, vogliono coprirsi. Coprirsi, nel senso di mettere una barriera, una protezione. Quindi, l'atto di coprirsi, non indica soltanto coscienza della propria nudità. Io aggiungo, fisica, come s'intende di solito. Di una maniera limitata, ma la necessità di proteggere la propria differenza. Quindi, sono due creature diverse, l'uomo e la donna. E l'atto di coprirsi, indica questo desiderio di proteggere la propria identità. Quella di ognuno, ognuno ha la sua.

Però, facciamo un altro passo, forze è più osato. L'atto di coprirsi, nel testo, è un atto parziale. Perché il testo dice che si coprirono, però parzialmente. Non è che si coprirono dalla testa fino ai piedi. In fatti dice l'autore: "intrecciarono foglie di ficco per farsi delle cinture". Un poco di vestito parziale. Però il significato che c'è dietro quest’immagine, pero me è molto più profondo di quello che appare C a colpo d'occhio.

L'atto di coprirsi è parziale, perché la coscienza della nudità rimane dentro di essi. Io lo spiego C, voi potete discutere, riflettere, questo è sempre aperto. Io dico, anche se loro si coprissero completamente, cosa che non dice il testo, la coscienza di nudità non sparirebbe. Perché il problema non è coprirsi fino qui, fino qua, etc. Perché non è un problema di spazio. Non è un problema di parzialità nel coprirsi. Il problema è profondo.

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IL problema della nudità è al di dentro di queste due persone. Quindi è molto ben scelta l’immagine. Se si coprono parzialmente perché la nudità che loro sentono non si può coprire mai. Perché la nudità si porta dentro. Quindi, è frutto del mutuo riconoscimento. La differenza dell'altro, sottolinea, svella, manifesta la propria differenza. Diciamo, che la somiglianza che c'era tra i due si è rotta. É frantumata. E adesso dovranno imparare a vivere di un'altra maniera. Quindi a vivere coscienti di questa differenza reciproca. Adesso, l'uomo e la donna, hanno attinto il frutto della conoscenza. Questa è la logica del testo. Perché hanno mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male. Quindi, hanno conquistato quella conoscenza del bene e del male. E hanno compiuto un atto di autonomia. Che sia bene, che sia buono o cattivo, queste sono categoria che non centrano nel testo. Quello possiamo dirlo noi. Il testo, seguendo la logica, loro lo hanno fatto di una maniera autonoma, però, hanno sbagliato. Questo lo sappiamo. Hanno sbagliato, perché hanno scelto un'autonomia che inganna. PV è una autonomia che nega i limiti o vuole negare i limiti. E questo è il punto. E questa è la chiave: in 2, 25, l'uomo e la donna, erano nudi e non ne provavano vergogna, e adesso se accolgono di essere nudi. É diverso, c'è la percezione. Prima, lo erano e non se ne accorgevano, perché non c'era niente da percepire. Non c'era un problema. Adesso lo sonno e se accorgono di essere nudi e ne provano vergogna. Quindi, vedete il cambiamento. E quando è capitato questo cambiamento? Dopo l'azione, la manipolazione del serpente. É chiaro che nel capitolo terzo, il serpente è il personaggio che fa scattare tutta la trama. Abbiamo bisogno di questo serpente, altri menti tutta la storia del peccato, della caduta, della espulsione del paradiso no può funzionare. Questo è molto più profondo, va molto più in là di quello che apparentemente si vede nel testo. E come abbiamo parlato con alcuni di voi. Approfitto per dire questo: le categorie di questi racconti delle origine, sono racconti di categorie che sono universali. Quindi, sbagliamo tutti, quando vogliamo analizzare i testi tropo, tropo al dettaglio nel senso di limitare le parole, i concetti. Quindi, parla del mangiare, però dobbiamo andar al fondo, di che cosa significa il mangiare. A parte di fare così e metterti così. Toccare, lo stesso. L'uomo, la donna, il vestito, coprire. Sono tutte, parole che hanno un certo, un primo livello, il livello usuale che anche noi utilizziamo. Pero tutti queste parole, tutti questi concetti vanno al di là. Perché tutti questi racconti, sono racconti degli origini che vogliono rispondere alle grande domande dell'umanità. Quindi, non è che si possa rispondere soltanto con una eccezione di significato e basta. Questa è la grandezza di questi racconti e anche Caino e Abele, la torre di Babele, sono i grandi racconti della Bibbia che sono universali.

Passiamo adesso al seguente episodio: 3,8-24:Di questo terzo episodio, prima di spiegare un po’ il testo, rifletterei sul peccato che

Adamo ed Eva hanno commesso. Quindi, quale è il peccato e in ché cosa hanno sbagliato. Si, l'idea c'è la abbiamo, ma vorrei dire questo in cinque maniere diverse:1ª.- La prima, sarebbe che la prima cosa sbagliata è credere ciò che dice il serpente: il serpente vuole dare questa visione di un Dio tirano, despota, che vuole come avere tutto il potere, il controllo sull'umanità. 2ª.- Vedere Dio, che è sempre il creatore, come un rivale e comportarsi come tale nei suoi riguardi. Come se si dovesse lottare contro Dio.

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3ª.- Rifiutare i limiti, come cammino di vita, come luogo di crescita, come possibilità di riconoscere e accettare l'alterità. Se uno rifiuta i limiti rifiuta se stesso. Perché i limiti formano parte della nostra natura umana. 4ª.- Voler tenere per se tutto il ricevuto senza condividere con nessuno. 5ª.- Cedere alla paura di perdere, di non avere tutto, di mancare di qualche cosa. La paura di perdere. Questa idea di possedere tutto quello che c'è. Sono come sfumature, come prospettive dallo stesso peccato. Quinto, per me sarebbe cedere alla paura di perdere. Quindi, quel desiderio de aver tutto e possedere tutto. Dio ha fatto un divieto, soltanto uno, noi vogliamo tutto.

Il nostro testo, denuncia questo peccato e allo stesso tempo, indica un cammino di vita e di crescita, perché adesso interverrà Dio di una maniera molto chiara. Quindi, il messaggio sarebbe questo: l'accettazione gioiosa della nostra creaturalità delle nostre debolezze, delle differenze e dell'alterità. Se noi accettiamo questo. C'è per noi una possibilità di crescita mal grado, il peccato. Io credo, che qui, possiamo ripetere il "leit motiv", il titolo che anch'io ho messo a questi riflessioni, negare l'altro, significa morire. Negare l'alterità, per la persona umana è la morte, e questo dilemma, è lo stesso che troviamo nella storia di Caino e di Abele. Che non lo possiamo fare, perché il tempo non lo permette. É una storia, che va al di là di tutte le storielle che ci raccontano e proprio la storia di una persona che non accetta l'alterità, e in quel caso è il suo fratello. E anche, questo dilemma: "negare l'altro significa morire", si trova nella torre di Babele. Un altro testo, che noi, non possiamo fare.

Quindi, vediamo adesso, la prima scena che sarebbe: 8,19:I protagonisti, adesso sono: Serpente finito, l'uomo e la donna e Dio. Però, di questi

tre, il grande protagonista sarà Dio, non soltanto come attore, ma anche come il direttore del racconto. Finalmente, Dio prenderà l'iniziativa, che rimetterà tutto a posto. Tutto a posto.

v.8: " Poi udirono il Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con la sua moglie, si nascosero del Signore Dio in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: dove sei? Risponde: ho udito il tuo passo nel giardino, ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto. Riprese: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forze mangiato del albero che Io ti avevo comandato di non mangiare? Rispose l'uomo: la donna che tu mi hai posto a canto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato. Il Signore Dio, disse alla donna: (e continua il dialogo. E Dio parlerà con l'uomo, con la donna e col serpente. Saranno i tre dialoghi. Cominciamo un pochitino dall'inizio e vediamo questo udirono il rumore, la brezza di Yahveh Elohim che passeggiava nel giardino).

Allora, la presenza di Dio riempie il giardino. E il narratore informa che Dio è tornato. Questo è geniale. É tornato per l'uomo e per la donna. Perché Dio, era sempre stato lì, sempre. Dio non se ne era andato. Però, loro avevano questa sensazione. Che Dio era sparito, e che Dio era tornato. Allora, l'uomo e la donna, sentono la presenza di Dio e quale è la reazione immediata? Nascondersi, nascondersi. Ambe e due si sentono uniti in una cosa. Ambe e due, sono creature e si sentono completamente diversi da Dio. E noi, quando leggiamo questo testo, abbiamo l'impressione che tutto è cambiato. Prima di mangiare del frutto dell'albero (guardate, il giardino era un luogo paradisiaco dove Dio si incontrava con gli uomini. Adesso, dove si nascondono gli uomini? Nel giardino). Quindi, è un luogo per nascondersi. Prima, loro erano nudi, adesso sono vestiti. Prima il giardino era un terreno da

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coltivare, per lavorare. Adesso lo utilizzano per difendersi da Dio. Guardate, come tutti gli elementi dopo il peccato cambiano, sono gli stessi elementi. Questo è lo scenario, il giardino e allora cominciano le domande del Signore. Guardate come tutto il dialogo è basato sulle domande che Dio fa: vv.9-12, le domande sono dirette all'uomo.v. 13 alla donna.vv. 14-15: Serpente.v. 16: la donnavv. 17-19: L'uomo.

É tutto il processo. Quindi l'uomo, la donna, il serpente, la donna e l'uomo. Vedete, come è anche una forma chiastica. Quindi concentrica se volete. Sempre l'uomo, la donna e il serpente in mezzo.

Allora, Dio, interpella l'uomo per stimolare la coscienza, mai per giudicarlo o per ridicolizzarlo. Non si vede questa intenzione da parte di Dio.

La prima domanda è una domanda di tipo locale. Li dice: dove sei? "Dove sei?", indica, che Dio sa che l'uomo è nascosto. E la seconda, C ti ha fatto sapere che eri nudo? Quindi, la domanda, anche che Dio sa quello che è successo però non vuole parlare apertamente.

E la terza domanda, è molto più diretta. Hai forze mangiato, del albero, di qui ti avevo comandato di non mangiare?

Andiamo al "quit" della questione. Tutte queste domande, sottolineano l'autorità di Dio. Un Dio che sa tutto, e che manifesta la sua autorità parlando apertamente del suo divieto. aveva proibito loro di mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male.

Quale è la risposta dell'uomo? Questo, è eccezionale. Le migliore cose sono le risposte che danno. Le risposte, seguono una sequenza:

Prima, percezione,Seconda, il senso,Terzo l'azione.

Facciamo l'analisi:"Ho ascoltato la tua voce nel giardino". quindi, percezione uditiva. "Ho avuto paura perché sono nudo". questo è il senso che lui ha provato. Ho avuto

paura, perché sono nudo..."e mi sono nascosto." Quindi azione e conseguenza. Interessante è questa risposta dell'uomo perché può essere applicata alla donna. Cosa gli ha chiesto all'uomo? "Dove sei?" Una domanda semplice, e l'uomo

risponde con una sequenza lunga e logica anche. "Ho ascoltato la voce, ho avuto paura perché ero nudo, quindi mi sono nascosto. Non gli risponde semplicemente, cono qui. E diciamo che, è la risposta sincera di una persona autonoma, capace di conoscenza e di distinguere, di pensare. L'uomo si riconosce come un io. Un io, una persona. Essere io, vuol dire non essere tu. Quindi, vuol dire non essere tutto, ma soltanto una parte. Tutte queste cose giocano sempre insieme. Esperimentata paura, è una caratteristica propria delle creature. Quindi, Dio non esperimenta la paura. E reagire nascondendosi esprime anche un grande bisogno di protezione, di aiuto. E questo risponde anche alla natura dell'uomo. Sonno tutte descrizioni, che combaciano benissimo con questo io della persona umana. Un io personale, che ha paura e che reagisce chiedendo aiuto, chiedendo protezione.

Alla seconda domanda e alla terza, l'uomo risponde giustamente:

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"La donna che tu mi hai dato come compagna, essa mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato". Tutta la autoaffermazione della prima risposta, cade subito con questa seconda risposta. Perché cade? perché lui fa il possibile per allontanare da se qualsiasi possibilità di colpa di errore. Ed è molto sottile (arguto) anche no. La donna, (non la mia compagna) che tu mi hai dato, per compagna. Pensiamo hai genitori, quando si arrabbiano e dicono questa espressione "tua madre", come se, colui che parla, non fosse il marito della donna. "Tua madre", è lo stesso. Sempre e dare la colpa, puntare a l'altra persona. Questo è geniale. Quindi, cosa indica, "la donna che tu mi hai dato". Non indica vicinanza, compagnia. Indica tutto il contrario, distanza, lontananza, separazione. Quindi, l'iniziativa è stata tua Signore. L'iniziativa è stata tua, non mia. É chiaro, l'uomo colpevolizza la donna del fatto che ha commesso, come lasciando intravedere che lui non voleva accettare l'invito, però, si è visto quasi costretto ad accettare. Quindi, l'uomo non accetta, questa differenza e crea una distanza. Ormai separati. La donna lo ha ingannato.

Il Signore non dice niente, ascolta, e passa alla donna. Però di una maniera molto più diretta: Ché hai fatto? Ché hai fatto? É geniale, perché il gioco continua. La donna risponde: Il serpente mi ha ingannato, e io ho mangiato. Quindi, non è che Dio la stia dichiarando colpevole, ma ha bisogno di un motivo. "Ché hai fatto? o lo possiamo tradurre, PV lo hai fatto?". Il "ma" ebraico, può indicare qualsiasi domanda, il PV o il ché. PV dice Dio così: PV lo hai fatto? Perché pensa che la donna può rispondere e può riflettere su quello che ha fatto. Però la risposta della donna va nella stessa linea di quella dell'uomo. Evidentemente no, no, "il serpente mi ha ingannata". Quindi tutte e due tentano di evitare la risposta diretta. Sia l'uomo, sia la donna. Quindi vogliono eludere la responsabilità. L'uomo accusa la donna, la donna accusa il serpente.

Però, diciamo qualcosa in favore della donna. C'è, il serpente mi ha ingannato e io ne ho mangiato. I veder che la donna non dice che gli ha offerto anche all'uomo. Non dice, ne ho mangiato e poi gli ho dato a lui. Soltanto riferisce il fatto che lei ne ha mangiato. Io direi che è un atteggiamento difensivo che si capisce. Al meno, mi ha ingannato, e poi però, io ne ho mangiato. Così si mantiene il sustans della questione. Allora noi ci domandiamo questo. Quale sono le conseguenze di aver mangiato dell'albero? Perché questo interrogatorio di Dio, si fa lungo. Quindi Dio sta interrogando. Il lettore si dice: cosa capiterà dopo, cosa capiterà quando Dio ha finito d'interrogare. Questo è quello che io gli chiamo il suspens della questione. Non si sa. Dio castigherà o non castigherà a l'uomo e alla donna.

Comunque, nel v.14, Dio, non domanda più niente, niente ai personaggi e passa al serpente.

vv.14-15: Al serpente, non li domanda niente. Lo tratta come quello che è. Un animale, colpevole di quello che ha fatto. Non li chiede niente, soltanto li dice: "poiché tu, hai fatto questo, si tu, maledetto" e continua il messaggio di maledizioni. Guardate, non mi trattengo nel messaggio al serpente che ha tre momenti (Lo potete vedere voi):

Una formula di maledizione, una qualifica, e la spiegazione di questa maledizione. "Maledetto, perché ha ingannato la donna". Quindi, ha giocato con la donna per

farla cadere. La qualifica, è una qualifica di separazione. Avete visto, più di tutto il bestiame e

più di tutte le bestie selvatiche. Quindi, il serpente verrà separato, da tutti li animali.

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E terzo è la spiegazione del significato di questa maledizione. Questa è stupenda, perché li dice: "sul tuo ventre camminerai, e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita". Quindi, il serpente rimarrà sempre, in contatto con la "damhá", con la terra, quello che mai aveva voluto accettare. Il serpente voleva anche essere come Dio, voleva superare Dio, e Dio lo rimette al suo posto. Quindi la terra.

Uno sguardo adesso alla donna. Perché torna Dio a rivolgerli la parola alla donna. E vediamo, che Dio, continua ad esse molto severo, duro. É stato duro con il serpente, adesso sarà duro con la donna e poi anche duro con l'uomo. Perché i castighi saranno tremendi. Allora, quale è la conseguenza per la donna? Sarà il dolore, la sofferenza unito alla procreazione della vita. Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai i figli.

E la seconda parte del versetto è una parte molto, molto discussa. Vi do soltanto le indicazioni. Prendiamo quello che dice la CEI, per avere un punto di riferimento.

"Alla donna disse: moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, e con dolore partorirai i figli". Questo è chiaro, non c'è dubbio. Però la seconda parte si.

"Verso il tuo marito, sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà". Quindi, secondo questa traduzione, così come il serpente sarà dominato, dagli altri animali, qui, la donna, sarà dominata dal marito. Perché hanno tradotto così il verbo "mashal", che è la stessa parola, che vuol dire, proverbio, parabola in ebraico.

Mashal, contiene questa radice: mshal, e questo è un verbo, una recipolivalenza che ha tantissimi significati. Uno di essi è dominare. Sarebbe la traduzione che ha fatto la CEI. Ma un significato è essere "simile a". Essere simile. Sono due significati diversi, però che stanno lì.

Allora, se scegliamo il secondo significato il testo cambia. Sarebbe così il testo: A tuo marito, andrà il tuo desiderio, ed egli sarà uguale conte. Avrà lo stesso desiderio verso di te. Sono le due grandi interpretazioni, completamente diverse, sui quali li autori, discutono. Se la donna sarà dominata dal marito o se si tratta di questo mutuo desiderio tra i due. Allora qui, io posso raccomandare se qualcuno ha interesse un articolo di J. SDUMITT, like Adam, like Eva, in Biblica 72 (1991), e proprio studia questo senso di mashal. É molto I e vi può dare una luce.

Questo è il castigo che riceve la donna. Questa sofferenza. E poi abbiamo l'uomo.vv.17-19: riceve anche un lungo castigo. "All'uomo disse: perché hai ascoltato la

voce da tua moglie e hai mangiato dell'albero di qui ti avevo comandato: non devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e carne produrrà per te, e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane finché tornerai alla terra perché da essa sei stato tratto. (Adam-adama.) Polvere tu sei, e in polvere tornerai". Così finisce il dialogo di Dio.

Allora, diciamo due parole su questo castigo dell'uomo e poi chiudiamo il nostro discorso. Diciamo, che il castigo che Dio da all'uomo, rassomiglia molto a quello del serpente. Lo stille, anche il discorso, tratta sulla terra, sulla polvere, sul suolo, e il cibo. Quattro volte, appare, il verbo mangiare. E quindi, la terra e il cibo, sono i due elementi molto ben collegati, perché il cibo viene prodotto dalla terra. Se prima, l'uomo, soltanto doveva prendere i frutti degli alberi, quando il giardino era un luogo di pace. Adesso dice che: "trarrai il cibo con dolore e con sudore mangerai il pane". Quindi, la fatica del lavoro, per poter mangiare. Dopo questa fatica, questo lavoro, c'è anche il riferimento alla morte. Con la famosa frase: "fin che tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto". Quindi,

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quella storia, della etimologia del nome di "Adam" che abbiamo visto all'inizio, ritorna alla fine. Quindi il castigo più grande sarà il fatto di accettare la morte, di ritornare alla terra. Adam- adamà.

Allora, guardate bene questo dettaglio. Se in Gen 3,1-7: il testo sottolineava la somiglianza dell'uomo e della donna con Dio. In Genesi 3,8-24, l'elemento che predomina è la vincolazione dell'uomo e la donna con la terra. Con il suolo. E questo riassunse il messaggio. L'uomo e la donna sono simili a Dio. Senz'altro, perché questo lo abbiamo già visto all'inizio del racconto. Però, diversi in quanto sono creature. L'uomo e la donna hanno la certezza della morte. E più chiaro, Dio non lo poteva dire. Dalla polvere vieni, e alla polvere tu ritornerai. Il castigo è forte, perché occupa un buon spazio nella narrazione. Forse un po’ esagerato. Dio veramente, castiga con una grande larghezza. Come finisce il nostro testo?

vv.20-24: Questa è la seconda scena. Diciamo che ci sono 3 elementi che non svilupperò: il nome della donna, che riceve il nome di Eva, per prima volta, sappiamo come si chiama, Eva, che è collegato con la radice vita, per ciò si chiama, "madre dei viventi". Secondo, Dio, copre l'uomo e la donna, li fecce delle tuniche di pelle. Guardate, che qui, sono tuniche. Qui, si sono vestiti completamente. É geniale questo gioco del vestito. Adesso Dio li copre completamente. Quindi, li unisci in maniera diversa. E poi, terzo elemento: è il monologo interiore di Dio, con il quale finisce tutto il racconto. Dio parla dei suoi pensieri, e decide di cacciare via Adam y Eva del paradiso. Questo è come finisce la nostra scena. Quindi, la storia, nostra finisce qui, e l'ultimo aggancio che dobbiamo fare e che noi non continueremo è questo:

Gen 4,1-2: perché la storia di Caino e di Abele comincia con la storia di una nascita. É molto bello. L'uomo conobbe Eva sua moglie la quale concepì e partorì Caino. E qui, comincia un'altra storia di peccato, che noi non toccheremo.

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IL DECALOGO3/IV/'98

Abbiamo due sezioni nel tema del decalogo. Lo abbiamo intitolato: Cammino di libertà, perché questa sarebbe la linea teologica a partire della quale io vi invito entrare in questa dinamica.

La montagna del Sinai, viene chiamata nella tradizione dell'esodo o la montagna dell'oreb secondo Deuteronomio. É stata considerata dalla tradizione, come luogo classico, tra l'incontro tra Dio e il suo popolo. Questa montagna, sia l'Oreb, sia il Sinai, é un luogo privilegiato dove il Signore si manifestò. E questo incontro, fu sigillato per il patto dell'alleanza. In fatti si parla, della alleanza sul Sinai e dell’Alleanza sull'Oreb.

In ché consiste questa alleanza sul Sinai? Possiamo dire, che l'Alleanza è la consegna da parte di Dio del Decalogo. E il

decalogo, è visto come la rivelazione più importante della volontà di Dio. Questo decalogo ottiene 10 parole. Tra virgolette. Sarebbero:

"Aseret hadebarem" le 10 parole di Dio per Israele. E queste 10 parole di Dio, costituiscono la legge fondamentale della alleanza. E questo viene espresso in Dt 4,13: "Egli annunziò la sua alleanza che li comandò di osservare (Cioè i 10 comandamenti) e li scrisse su due tavole di pietra). Troviamo anche altri passi, come Dt 5,22; 10,4.

Nell'Antico Testamento, si sono conservate due versioni del decalogo:Una è Es 20,1-17L'altra è Dt 5,6-21.Allora, tra queste due versioni, ci sono più di 20 differenze. Benché coincidono

nello essenziale. Possiamo dire che le due versioni, sono quasi identiche. Malgrado queste vecchie differenze. Il testo del Decalogo che è più corto di quello del Deuteronomio. Perché il testo del Deuteronomio sviluppa di più il quarto, il quinto e il decimo comandamento. Adesso io, non voglio studiare queste differenze, che sono piccole differenze, però si voglio sottolineare le differenze più importanti. Perché noi non faremo uno studio comparativo netto.

Io scelgo il testo del Deuteronomio per studiare, però come introduzione voglio sottolineare questi fatti.

Allora, la differenza più notevole, si trova nel comandamento sul sabato. Per esempio in Es 20,28, si utilizza il verbo "ricordare". In vece in Dt 5,12, il verbo è "osservare". In vece di ricordare, è osservare il sabato.

Questo, direte che è una differenza linguistica, grammaticale ed è vero, però io vorrei andare oltre e vedere la motivazione di questo comandamento. Non spiegare u osservare il PV ma vedere la motivazione di questo comandamento, di rispettare il sabato. E questo è il punto importante della differenza.

Nel Esodo, la motivazione è collegata con la Genesi. Con il racconto della Genesi, per esempio Gen 2,2ss. É il fatto che il Signore dopo aver finito la creazione, il settimo giorno riposò, il sabato. Quindi, per l'autore del libro del Decalogo, il riposo sabbatico, deriva dell'azione che Dio fecce nella creazione del mondo. Così l'uomo farà lo stesso.

Andiamo a vedere il testo del Deuteronomio. Deuteronomio non parla della creazione, ma, fa riferimento alla liberazione dell'Egitto. E così, il sabato, diventa anche una esigenza di liberazione dell'uomo. Nessun rapporto, nessun accenno al riposo della creazione. Più tosto un tempo che libera l'uomo di tutte le cariche di tutto il lavoro che

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porta durante la settimana. Questo possiamo dire che è la differenza tra le due persone del decalogo.

Io vorrei segnare altre due:La seconda si trova nel quinto comandamento, Dt 5,16: Contiene due frasi in più

che suo parallelo in Es 20,12. Sono piccole cose, ma queste hanno anche suo significato. Le due frase piccole

sono: "Come Yahveh il tuo Dio ti ha comandato""A fin che tu sia felice".Questo accenno alla felicità dell'uomo è una cosa che soltanto Dio può fare. Ripeto:

Come Yahveh tuo Dio ti ha comandato e affinché tu sia felice. Questo nel quinto comandamento.

Nel decimo comandamento si cambiano di nuovo alcuni termini. I termini che si spostano sono:

La casa e la moglie:E poi si aggiungono altri come il campo.Sono piccole cose però che tal volta alterano il testo.

Quindi il sabato, nel 5, e nel 10 comandamento ci sono delle differenze. Ma alcuni pensano il contrario la maggioranza di autori sostiene che Dt 5, dipende di Es 20. Diciamo che questo è il pensiero comune. Si tratterebbe di una versione modificata e amplificata come l'autore deuteronomista ha fatto con il testo del Decalogo.

Io non entrerò in queste discussioni perché non interessano noi direttamente però vi dico subito che sceglierò un testo, Dt 5,6-21: Proprio il che rappresenta uno stadio superiore più elaborato più adattato dalla prima redazione. Dovendo scegliere un testo,

scegliamo Dt 5,6-21, e vi dico subito che il nocciolo della questione, rimarrà la stessa.

Allora incomincio con qualche accenno alle due tavole:A questa parte possiamo citarla come "due tavole".

La frase due tavole, appare in numerosi testi. Sia dal E, sia dal Deuteronomio. Per vedere la parola ebraica: "lujot haeben". Questo è molto frequente nelle due

tradizioni. Si parla tante volte di tavole senza pietra, si parla anche di tavole della testimonianza. Nella tradizione del Decalogo, appare, come tavole della testimonianza.

In vece nella tradizione del Deuteronomio, si parla di tavole dell'Alleanza. Sono diverse accezioni che si riferiscono tutte alle stesse tavole. Questo è il punto.

Allora, ché hanno fatto gli autori, essendoci due tavole dei 10 comandamenti, la cosa più logica è fare 5 e 5. Non stupisce a nessuno. E di solito, se si vedono i commentari, si parla così 5 in una tavola e 5 in un'altra. Allora per completare il quadro, ché si fa? 5 comandamenti rivolti a Dio e 5 comandamenti rivolti al prossimo. Questo è uno schema classico ma logico. Però se voi contate i comandamenti, vedrete che sono più di 10. Quindi, non funziona. Perché sono più di 10. Io dico, che seguendo il testo. Allora, questa revisione, che è la più frequente è logica PV nella prima parte c'è una grande insistenza su questa frase: "Il Signore tuo Dio" e si andate al testo lo troverete 9 volte. Mentre alla fine, nella seconda tavola c'è un piccolo sintatto che si ripete e non si riferisce al Signore, "e al tuo prossimo". Lo ripete 4 volte. Quindi la logica ci dice, la prima parte Dio, seconda il prossimo. Poi, c'è anche un altro elemento I: una inclusione.

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Nel v.6 appare questa frase: "Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra di Egitto".

Se andiamo alla fine, v.15-16 troviamo: "Il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dall'Egitto...la terra che il Signore tuo Dio ti darà". Quindi, "Il Signore tuo Dio" è l'elemento ricorrente, sia dall'inizio, sia verso la fine.

Quindi, ché fanno la maggioranza degli autori?Fanno 6-16= riferita a Dio

17-21= Il resto al prossimo.Un'altra possibile struttura, un'altra composizione che rispecchia forze un po’

meglio tutti quelli elementi letterari che ci sono nel testo. E non soltanto letterari, ma tematici e forze rimane qualche altro elemento. Dopo puoi scegliere una o un'altra. Allora, io vi propongo questa che farete in tre parti:1.- 6-10: "Il Signore tuo Dio"2.- 11-16: "Il Signore e l'altro"3.- 17-21: "Il prossimo".

Adesso vi do qualche elemento di giudizio su questa proposta:Se guardiamo Dio:Nel v.6-9: si parla in prima persona singolare. "Io sono il Signore tuo Dio" Io prima

persona.A partire del v.11: qui, nella seconda parte, non c'è più la prima persona. Si parla di

Dio, ma come il Signore in terza persona.E a partire del v.17 Dio sparisce. Non si parla di Dio ne in prima persona, ne

seconda, ne in terza persona.Allora, prima persona, nella prima parte, seconda persona nella seconda parte e

assenza di Dio nella terza parte. Questo è se guardiamo Dio. Guardiamo però i destinatari di questo comandamento.In 6-10 Si parla di Israele. E con quali elementi si parla di Israele, si parla degli altri

dei, si parla dei padri, e dei figli, e si parla delle generazioni. Degli altri dei, padri, figli e delle generazioni. Tutti questi sono elementi del popolo d'Israele.

Di chi si parla in 11-16: Si parla dell'Israelita in rapporto alla sua famiglia. L'Israelita e la famiglia.

E di ché cosa si parla in 17-21: Si parla dell'Israelita e il prossimo. Israelita e il prossimo.

Così in queste tre parti, in queste tre sezioni abbiamo tutti i rapporti che si pongono nel decalogo. Sia di parte di Dio, sia da parte dell'uomo che deve osservare il decalogo.

L'ultima parola riguardo a questa triplice divisione.Se noi vediamo i verbi, ce ne sono a parte del soggetto la parte più importante,

vediamo che nell'ultima parte ci sono, imperativi al negativo. Quindi si danno delle proibizioni: "Non fare questo", "non fare l'altro". Dice: "tu non farai, non servirai, ecc., Quindi, ordini al negativo.

Se prendiamo vv.11-16 vediamo che le ordini, le proibizioni continuano. Però c'è una osservanza tra ordine in negativo e ordine in positivo. Quindi comandamenti e proibizioni. Proibizioni e comandamenti. Per esempio in un momento dice: "osserva". Non dice: "non fare". In un altro momento dice: "onora il tuo padre e tua madre". Quindi è al positivo.

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Terza parte: 17-21: ritorniamo a gli imperativi in negativo. Tutto in negativo. Ricordiate la prima parte: "Non ucciderai, non commetterai adulterio, nono ruberai, non darai falsa testimonianza, non invidierai, non desidererai, ecc., quindi, tutto è un inseguito d'imperativi negativi. Vedete, come gioca anche il testo. Negativo e negativo e in mezzo c'è questa alternanza.

Rimaniamo così. Se questo è la parte centrale 11-16, Io sottolineerei queste versetti 5,12-15. Di qui io sottolineerei PV sono il centro proprio da tutto il decalogo.

Vediamo cosa dicono 5,12-15: "Osserva il giorno di sabato per santificarlo come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il signore tuo Dio. Non fare lavoro, ne tu ne tuo figlio, ne tua figlia, ne tuo schiavo, nella tua schiava, ne il tuo bue, ne il tuo asino, ne alcune delle tue bestie ne il forestiero è entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo quando sei stato in Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio tesso, per ciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato".

Quale è il punto più sviluppato? è il sabato. Quindi, pare che sia il punto più importante e di fatto abbiamo visto che tra i due testi il punto più incisivo in quanto differenza è proprio la motivazione del sabato. Però quale è la parola che mi ha colpito di più a parte del sabato? la parola schiavo, schiava. Il Signore ti fa uscire della schiavitù, schiava. Schiavo una parola chiave in ebraico.

Schiavo= "ebed"= servo.Ricordate come si dice: "io sono il servo di Yahveh"."ebed"= vuol dire servo, sia servitore.

Adesso facciamo la differenza. Allora, al centro di tutto il decalogo si trova questo concetto di "ebed".

Allora, riflettiamo un attimo in questa panoramica generale a livello più teologico con tutti questi elementi che noi abbiamo avuto e con tutti quelli che troveremo andando avanti in ogni passo.

Io direi così: le dieci parole, questo decalogo, non è un qualcosa che Dio impone al popolo. Ma è un elemento di alleanza che Dio offre al popolo. E questa è la chiave di lettura è molto diversa. Il decalogo appare come dono destinato al popolo a finché questo popolo possa vivere in libertà. Non è un peso in più che Dio aggiunge al popolo è tutto il contrario. É un cammino di libertà. Quindi, dire decalogo, non è dire imposizione, schiavitù, ma tutto il contrario. Quando diciamo decalogo stiamo dicendo alleanza, come primo elemento, stiamo dicendo vita ed stiamo dicendo libertà. Io credo che sono le tre parole che vanno sempre:

Alleanza,VitaLibertà.

Il Signore Dio che ha liberato il suo popolo della schiavitù dell'Egitto, vuole offrire un dono a questo popolo, a finché non perda la libertà. PV Dio libera il popolo in un momento determinato, però questa libertà si deve mantenere. Ma come lo fa? Allora Dio offre questo dono a finché sia il cammino per mantenere questa libertà. E questo dono è un dono speciale. Perché è un dono che spreme un mutuo, una reciproca appartenenza. Non è come il don della terra, un regalo. Ma il dono della legge implica delle condizione d'una parte e dall'altra. Questo si fa nell'alleanza. Il decalogo, la legge si deve capire in chiave

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d'Alleanza. Altri menti non ha senso. C'è bisogno di uno che firma il contratto d'una parte e uno che firma d'altra. Questo è il sotto fondo che vogliamo aver presente di questa parte.

Quindi, il popolo d'Israele entra in questa dinamica di servire Dio e non essere schiavo di Dio. Già che il decalogo non opprime a nessuno. Questi due elementi stanno dietro il E ed è molto importante. Perché servire possiamo farlo tutti volentieri. Se io voglio servire qualcuno è logico che esce di me che sono libera, ma essere schiavo, non è mai una scelta libera. Colui che riesce a fare schiavo a qualcuno è per obbligazione avere possessione. Quindi, ci stanno i due sensi. Però il senso che predomina nel decalogo è il senso di servire Dio senza essere schiavo. Essere schiavo appartiene all'Egitto, al passato e Dio ha liberato già il popolo.

Allora, detto questo, dobbiamo fare un altro passo molto I che già è stato studiato da un autore che vi ho segnato nella bibliografia: McCarthy, Dennis J., Treaty and Covenant. A Study in Form in The Ancien Oriental Documents and in the Old Testament (Analecta Biblica 21A; Rome: PIB 1978).

Allora, questo è una parte dello strutturale e si tratta dell'alleanza dei popoli dell'antico Oriente. Ed è stata una tessi brillante in questo senso. Perché ha scoperto tutto il sotto fondo che c'è dietro a questo decalogo, questa alleanza di Dio con il suo popolo. Non è che voglio esporre tutto, ma posso dare un'occhiata e fare una conclusione ed è molto I PV e tutta una dinamica di tipo legale, politici, dietro il nostro decalogo. Io faccio per voi un riassunto per capire questa dinamica.

Daremo uno sguardo al trattato d'alleanza che si faceva da le diverse popolazioni e che c'è nell'Antico Testamento. Questi trattati d'Alleanza del decalogo ha vincoli presenti tra due nazioni, due potenze. E questi vincoli tra due nazioni, due re o due potenze ci aiuterà a capire i vincoli che si sono stabilite tra Dio e il suo popolo. É chiaro che nel contratto, non sono due gruppi umani che si mettono a confronto, ma c'è una disuguaglianza che Dio è Dio e la seconda parte del contratto è il popolo d'Israele. Un Dio potente e un popolo quasi miserabile. Però non importa, perché la dinamica è la stessa.

Allora gli elementi che McCarthy tira fuori e altri che poi discuti su questo tema sono esattamente cinque. Sono cinque parti che stanno in queste trattati d'alleanza:1.- La titolatura: Quando i due contraenti dichiarano la loro identità. Quindi, i due contraenti dicono il nome. É evidente che non si può fare un patto con qualcuno che non si conosce. Ci vuole la presentazione dalle due parti. Nel nostro caso i contraenti sono Dio e il popolo d'Israele. Però QW sono i titoli? Tutto questo si può andare a verificare nel testo. I titoli sono: "Dio e il popolo d'Israele". Dio, Dio d'Israele. E il piccolo popolo è il popolo di Dio. Dio si presenta come il Dio d'Israele e Israele si presenta come popolo di Dio. Guardate bene come le due composizioni hanno la preposizione "di" che per noi significa appartenenza. É una appartenenza che non può essere provvisoria. É una appartenenza che deve essere radicale, per sempre. Noi sappiamo per altri testi che il Dio d'Israele sarà sempre il Dio d'Israele. E il popolo malgrado le limitazioni sarà sempre il popolo di Dio. In questo vincolo di appartenenza, è il vincolo che già è stato stabilito dal primo momento del trattato d'alleanza. Questo vincolo di reciproca appartenenza non si può rompere. Noi sappiamo che nella pratica ci è stata la vicenda del decalogo. Ma a livello formale il vincolo d'appartenenza si può distruggere.2.- Questo vincolo è quello che si chiama il paragrafo storico: questo sarebbe il secondo momento del trattato di alleanza. E questo elemento spiega la storia che unisce i due contraenti. PV è chiaro che prima del patto deve esistere qualche rapporto. I due contraenti

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di una maniera o in un'altra si dovevano conoscere prima di stabilire il rapporto. Quindi pensiamo al fatto di due popoli, due potenze, due re, qualche rapporto dovevano avere prima di decidere a stabilire l'accordo. Allora, lo stesso si può applicare alla relazione tra Dio e il suo popolo. Allora, domandiamoci, quale è questa storia precedente che unisce Dio con Israele? Quale è la storia del patto dell'alleanza? che la sappiamo. É la liberazione dell'Egitto. Per ciò nel decalogo insiste in questa frase: "Io sono il tuo Dio che ti ha fatto uscire..." E come sempre ripete lo stesso. Il libro del Deuteronomio ha una serie di formule che si ripetono monotonamente. Alla fine non si stanca, è sempre lo stesso. PV? É un bel motivo. PV è il Dio ti ha fatto uscire dall'Egitto. Allora questo elemento fondante nel popolo d'Israele e questo elemento che ha dato una identità al popolo d'Israele. PV prima di questo erano un popolaccio che dovevano soffrire. Non avevano identità, ne futuro, ne niente. Grazie all'intervento di Dio acquistano una identità e una posizione nella storia.

Abbiamo parlato di mutua appartenenza, però, io direi che da parte di Dio c'è anche un fatto più importante in favore suo: il fatto che Dio ha dato origine al popolo d'Israele. Non soltanto l'identità, il futuro, la possibilità di libertà. Lo ha creato, diciamo così. Dio è l'origine del popolo d'Israele. Quindi Dio è il creatore del popolo d'Israele. Cosa significa questo che l'origine d'Israele sta in Dio. Questo supera la mutua appartenenza tra le due parte. Lasciamolo così.

A livello più umano, questo trattato d'alleanza suppone la parità delle due parti. Quindi sono due che sonno uguali che fanno un patto. Nel caso di Dio e il suo popolo, questa alleanza, non gode di questa parità, PV una delle parti è l'origine dell'altra. Quindi ci sarà sempre una parte in inferiorità di condizioni. Mutua appartenenza sì, ma una è l'origine dell'altra parte. Non sono uguali le parti, però l'accordo d'alleanza ci sarà lo stesso. E per ciò nell'Antico Testamento questo mutuo rapporto sarà visto attraverso le diverse metafore. Non possiamo fermarci qui, pensate alla metafora sponsale. Vedere, è molto tipico nei libri dei profeti Dio e Israele come si fossero due spossi. Pensate al libro di Ossea. Dove il profeta la sua donna infedele, rappresentano, intanto che Dio è l'infedeltà del popolo d'Israele. Adesso mi viene in mente un libro che forze vi piacerà. É l'ultimo libro che ha scritto P. Alonso Schekel, "Los simbolos matrimoniales en la Biblia" (I simboli matrimoniali nella Bibbia) L'originale è in spagnolo. Questo è un corso che lui aveva dato qui alla Gregoriana e adesso ha raccolto tutto il materiale che non è molto scientifico, è molto facile da leggere è divulgativo. Racconta tutti questi dati. É molto I e sopra tutto perché ci stanno i profeti dietro, come Geremia per esempio. Questo è molto bello.

E la seconda metafora che vi può interessare è la metafora della "paternità o maternità". Dio che non si presenta come lo sposo d'Israele, ma si presenta come il padre o la madre in Isaia. Quando dice che Dio ti ha amato come una madre ama suo figlio. E in un'altra parte dice che Dio educa il suo popolo come un padre educa il suo figlio. Vedete che le due immagine, siano sponsali, di marito e moglie o questa di paternità o maternità vogliono spremere proprio questo rapporto di Alleanza. Sono elementi frequentissimi in tutta la Bibbia. E anche la letteratura sapienziale quando parla del rapporto tra il discepolo e la sapienza utilizza anche questo simbolo sponsale. Perché la sapienza è come la spossa desiderata dal giovane. É tutta una ricerca che si muove in un ambito pedagogico, però c'è anche dietro la metafora sponsale. Quindi, questo è un elemento ricorrente.3.- La dichiarazione di alleanza: Quindi, una volta che si sonno presentati e si è sposto la vicenda precedente si dichiara la alleanza.

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Questo sarebbe il momento più importante, il momento centrale, PV è il momento della stipulazione della alleanza. Quando si scrive, si determina in ché cosa consiste la alleanza. Es si stabiliscono quello che si chiamano le clausole del patto.

I diritti e i doveri dei contraenti devono essere esplicitati in questo momento. Quindi tutto quello che si deve dire riguardo al trattato di alleanza è proprio quella dichiarazione che si deve assumere. Nel nostro caso, le clausole riguardano soltanto Israele. Non Dio. Però non dimentichiamo che anche Dio si impegna nell'osservanza della legge. Allora, PV Dio ha questa volontà d'impegnarsi? Perché la legge che Dio da al suo popolo non è altra che la sua legge. Quindi, la legge che regola il suo essere e il suo agire. Ed è chiaro che le clausole della alleanza impegnano di più il popolo d'Israele che non Dio. Però, ed è vero che tutte e due sono tenuti a rispettare questa legge. Quindi, la legge in questo caso è valida per ambi e due le parti mal grado con le differenza che noi abbiamo sottolineato. Dopo le dichiarazioni vengono:4.- I testimoni: E qui la presenza di testimoni è sempre richiesta quando si stabilisce un patto. Pensiamo a un matrimonio, e tanti altri casi. I testimoni hanno dato garanzia. Allora chiediamoci cosa garantiscono questi testimoni? La legittimità della alleanza. Che questa alleanza sia veramente legittima. Allora i testimoni, devono vegliare affinché la alleanza si stabilisca giustamente con tutte le condizioni con tutte le clausole necessarie per ambi e due le parti. Quindi, che non ci sia ingiustizia, al momento di fare questa dichiarazione. Se questo trattato si rompe o c'è una trasgressione del patto in un futuro questi testimoni saranno interpellati di nuovo al riguardo.

Allora, chiediamoci, nel nostro caso tra Dio e Israele, chi sono i testimoni? Chi sono? Evidentemente, nel nostro caso non possono essere da soli agiscono li elementi della natura, il cielo, la terra, il mare, loro fanno i testimoni. QW senso ha che questi elementi della natura abbiano questa funzione? Il senso è il seguente: il mare, il cielo, la terra, possono significare la fragilità del patto. La possibilità che questo patto venga rotto, che non sia eterno. che non si rispecchino le clausole di questo. E PV si deve presupporre questa docilità del patto. Perché nel nostro caso tra Dio e Israele c'è una delle parti che è molto più debole. Una delle parti che è un popolo molto limitato che può rompere il patto. E noi sappiamo che questo patto è stato interrotto tantissime volte. da parte di Dio c'è una fedeltà assoluta, PV Dio si è impegnato nel primo momento e non si tirerà mai in dietro. La alleanza di Dio è una alleanza per sempre. Non si rompe, non si discioglie, è garantita dall'inizio. Forze facendo una riflessione più esistenziale, possiamo chiederci, come mai Dio, si è deciso per fare una alleanza con l'uomo? Lui che veramente è una fedeltà incondizionata, che quando da la parola, da la parola per sempre. Come mai è deciso di fare questo patto di alleanza, con l'uomo, con il popolo d'Israele che Lui saprà già in principio che era fragile, debole, ecc. Quindi questo è un voto di fiducia da parte di Dio con il suo popolo, con ogni persona. Quindi, qui si lascia aperta una riflessione molto più I, questo rapporto di Dio con l'uomo sapendo in anticipo tutte le sue debolezze. Comunque, ci stanno tutti questi elementi della natura che vogliono fare di testimoni.5.- Le conseguenze che si derivano del patto: Le conseguenze, sono di due tipi:

Le conseguenze positive: che sono tutti i benefici che le due parti otterranno se il patto si mantiene. Se si rispettano le condizioni di questo patto.

E anche le conseguenze possono essere negative: se il patto viene interrotto. Allora se il patto viene rotto, ci saranno delle sanzioni. Quando la legge si rompe ci sono delle

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sanzione. Quindi, la parte che ha fallito deve essere penalizzata di una maniera o in un'altra. Quindi o benefici o sanzioni.

Nella alleanza tra Dio e il suo popolo questi benefici o queste sanzioni si traducono in degli elementi che noi conosciamo molto bene: in benedizioni o maledizioni. Se il patto si mantiene e si rispetta il popolo riceverà benedizioni in abbondanza. Ma se il patto viene rotto, il popolo sarà maledetto.

Cosa esprimono le benedizioni? La vita, e la benedizione. E la maledizione, è la morte. Quindi vita e morte vengono sempre da Dio. É Dio che benedice ed è Dio che maledice. Dipende della risposta del popolo. Quindi vedete che il nostro testo, il nostro trattato di alleanza c'è la fragilità dell'uomo verso l'eternità, l'immutabilità di Dio. Malgrado, ripeto, questa fragilità del popolo la alleanza agisce. Perché Dio così l'ha voluto.

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Quindi, questi cinque passi, stanno alla base del nostro testo. Quindi, il decalogo che noi abbiamo risponde a tutti questi elementi. Con tutte quelle differenze che ci sono.

Allora, detto tutto questo incominciamo lo studio del nostro testo, seguendo questa presentazione che abbiamo fatto all'inizio.

5,6-10; 5,11-16; 5,17-21.

E incominciamo con la prima parte, 6,10: "Il Signore tuo Dio". E vediamo il testo ricordando tutti quelli elementi che abbiamo ricordato all'inizio. "Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile". Prima persona, la frase "il Signore tuo Dio", l'uscita dall'Egitto e servile, è una parola che viene da "hebed".

Adesso incominciamo gli imperativi Dt 5,8: "non avere altri dei di fronte a te, non ti farai idolo ne immagine alcuna di ciò che è là in su in cielo ne di ciò che è qua giù sulla terra ne di ciò che è nelle acque sotto terra. Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non ti prostrerai". Tutto in negativo. E adesso la spiegazione: "perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso che comincia con la colpa dei padre nei figli fino alla terza o quarta generazione per quanto mi odiano, ma usano il ricordo fino a mille generazioni verso coloro che ti amano e osservano i miei comandamenti". Questa è la prima parte.

Allora vediamo dove incomincia il decalogo. Comincia della stessa maniera con qui finisce. Comincia con una frase di autopresentazione o con una autorivelazione da parte di Dio. É una frase come un ritornello. Un ritornello che ha due momenti.

Primo momento: "Io sono il Signore tuo Dio".Secondo momento: Che ti ha fatto usciere dalla terra di Egitto. Dice il testo

ebraico: "d'una casa di servi". La CEI ha tradotto come "dalla condizione servile" secondo dice la traduzione italiana. L'ebraico è più concreto. "d'una casa di servi".

Allora, prendiamo il primo momento: "Io sono il Signore tuo Dio": Qui c'è da sottolineare il vincilo di appartenenza tra Dio e il suo popolo. Non c'è soltanto la prima persona singolare ma c'è anche il possessivo "tuo", "io sono il Signore tuo Dio". Questo è il tratto caratteristico di questa piccola frase.

E nel secondo momento c'è da sottolineare l'intervento di Dio nella storia del popolo, "che ti ha fatto uscire dalla terra di Egitto". Un intervento salvifico come abbiamo visto tante volte che è l'evento fondante del suo popolo. Quindi Dio si presenta come il

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liberatore del suo popolo. Un liberatore che ha salvato, che ha liberato al popolo di una casa di servi. Vediamo il testo ebraico. PV nel testo ebraico la opposizione è molto più dura. Una casa non è mai un luogo di schiavitù. La casa di per sé è un luogo che indica famiglia, di rapporti di ben essere, di unità, di fraternità. Quindi la casa è il rifugio della famiglia, dove si sta bene. Quindi "casa di servi", sono due poli che non vanno insieme. Una casa che non è dei servi. In vece in questo caso c'è una metafora. In questo caso sta per evitare la schiavitù. Con questa espressione si sottolinea ancora di più il ruolo liberatore di Dio. Allora il popolo, sappiamo dalla storia, che passa dalla schiavitù al servizio di Yahveh. Passa dalla schiavitù al servizio. Guardate, di una schiavitù forzata, imposta, ad un servizio libero. E questo è il gioco che io prima vi ho accennato qui, con la parola hebed. Un sevo servitore, schiavitù servizio. E qui non posso altro che raccomandarvi un titolo di un libro che è un classico ed è molto conosciuto che porta questo titolo esattamente: Giorges Auzou, "Dalla servitù al servizio" EDB, Bologna (1997). L'originale è in francese del anno 1961. É un libro molto importante, perché ha una lettura pastorale della Bibbia, del libro del Decalogo. Il titolo lo dice tutto, della servitù al servizio. Quindi, è la ispirazione di questa piccola frase che vi ho detto. Che il popolo passa di una schiavitù forzata a un servizio libero verso Dio. Allora, torniamo:

L'azione salvifica di Dio è il fondamento del decalogo. E quindi il decalogo ha anche una dimensione salvifica. E questo è importante. Ripeto, la legge non è un peso, ma la legge sta in un'altra ottica completamente diversa. Abbiamo detto, " cammino di libertà e anche possibilità di salvezza". La libertà arriva fino a un punto. La salvezza arriva fino alla fine. La legge non è soltanto cammino di libertà ma è anche possibilità. Dobbiamo aggiungere di salvezza. Grazie a ché cosa? Grazie a che al inizio ci è stata la salvezza di Dio per il popolo d'Israele. Allora, il decalogo è destinato al popolo perché possa liberarsi della schiavitù e possa vivere in libertà. Quindi, questa prima affermazione che abbiamo letto "io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire ecc." Non è soltanto una autorivelazione di Dio. Questo sarebbe tropo poco, ma è molto di più. É il fondamento della sua autorità sul popolo. Io direi ancora di più, "autorità e amore" verso il suo popolo. Perché se Dio ha salvato il popolo dall'Egitto. É stata fatta un scelta d'amore da parte di Dio.

Quindi, questo versetto, si può considerare, come una legge fondamentale sulla QW si appoggia tutto il decalogo. Di tutti i versetti che noi studieremo dipendono di questa legge fondamentale: Che Dio è il Dio d'Israele, e lo libera dall'Egitto. Allora, questa libertà, la libertà della quale parla questa legge fondamentale è anche molto di più che la soppressione della schiavitù. La liberazione del giogo, del peso egiziano è importante senz'altro. Però l'intervento del Signore provocò un'altra liberazione. Israele non soltanto fu liberato dal giogo egiziano, da quella situazione di sofferenze, da quella situazione umiliante, ecc. Quella si, però non soltanto. Israele liberò se stesso di una specie di compromesso tacito con la propria situazione. Israele era schiavo in Egitto, e questo era una condizione negativa, era una sottomissione, una umiliazione. Però d'altra parte in Egitto si viveva. Si poteva mangiare, si poteva lavorare, e si poteva sopravvivere. In Egitto c'era una certa sicurezza di vita. Non la migliori delle protezione, però c'era una certa sicurezza di vita. C'era il cibo, c'era l'acqua e più o meno c'era una protezione dal sistema. Perché erano schiavi, però dipendevano dal faraone, e si questo rappresentava una umiliazione, però c'era anche una possibilità di poter continuare avanti. Quindi, in Egitto, il popolo era schiavo, però doveva vivere. Nel esodo, la liberazione di Dio, fu per loro la

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nascita alla libertà e come tutte le nascite rappresentò il Cristo. Inizio d'un cammino sconosciuto verso la vita. Ricordate quella scena che viene citata quando il popolo nel deserto si ricorda delle cipolle dall'Egitto. Ed è un sentimento molto umano. Quando vengono delle difficoltà, o prima si stava miglior, "sempre si stava miglior". Sempre succede questo. Quello di prima sempre era miglior. Quindi, questa forma di idealizzare il passato, era una schiavitù. Quindi, la liberazione è una liberazione che attinge una liberazione molto più grande. Quindi la liberazione dell'Egitto è un paradigma biblico. Un paradigma biblico che va al di là di una liberazione storica di un momento. Questo è chiaro. Israele fu liberato da se stesso. A partire di quel momento Israele acquisto una identità una personalità come popolo che non aveva prima e questo è chiaro. E per avere una vita autentica, continuo con questo discorso è indispensabile la libertà. Non si può vivere autenticamente in fondo si uno non gode di questo statuto di libertà. Diciamo che la libertà è il fondamento di qualsiasi rapporto, con se stesso, con gli altri, con Dio. Se non c'è libertà non ce vita. Per ciò Dio da il decalogo al popolo d'Israele. Perché mediante il decalogo possa essere libero, possa vivere e possa arrivare alla salvezza. Questa è la teologia che sta sotto questo comandamento. Abbiamo visto la legge fondamentale, la presentazione di Dio.

Vediamo adesso il primo comandamento: adesso, Dio dichiara così: "Non avrai altri dei di fronte a me". Questo è il primo comandamento. Se io traduco il testo ebraico, cambia un pochitino: "Non ci saranno per te altri dei davanti il mio volto". É chiaro che si tratta di una proibizione. Un imperativo negativo. E l'espressione "davanti il mio volto", può significare molte cose. Davanti a me, può significare contro di me. Può significare oltre a me. Al di là di me. A mio danno. Sia come sia, perche la CEI ha tradotto di fronte a me, il contesto indica la rivalità tra Yahveh e gli altri dei. Questo è il primo momento da sottolineare. Ostilità, rivalità opposizione tra Yahveh e questi dei.

Secondo elemento da sottolineare nella frase. Questo che ho detto nella traduzione dall'ebraico. "Per te", in italiano sparisce. Non ci saranno "per te altri dei". Perché è importante il per te? Perche ci da la chiave di lettura e indica la portata, l'importanza della provvidenza di Dio. L'esistenza degli altri dei non importano tanto quanto il rapporto che Israele ha con essi. Il punto non è che altri dei ci sono. Ma il punto è il rapporto che Israele può avere con questi altri dei. Diciamolo con altre parole: il punto centrale della proibizione è il rapporto del popolo e il suo Dio. Non sono gli dei, ma il punto è del popolo e il suo Dio. Se in questo rapporto c'è un altro Dio significa che il Signore, non è più Dio. PV non è l'unico. É chiaro, c'è un altro. E se non è l'unico, non è assoluto. E se non è assoluto non può essere Dio PV Dio è sempre un assoluto. E si invece di un altro Dio c'è ne sono "altri" in plurale. Una pluralità. Allora significa che Dio non esiste più. Ma che ne sono altri, tanti altri e che non può essere una sola persona. Quando questo fenomeno si produce automaticamente si sostituisce Dio con un'altra cosa con un'altra persona, con un altro Dio. Si scatena un processo di sostituzione si tratta di sostituire Dio con un altro elemento. E questo sarà il problema costante d'Israele. Costante in tutta la Bibbia. E anche se facciamo l'applicazione, anche il problema di ogni persona che malgrado considera Dio come il Signore della sua vita allo stesso tempo cerca un'altrove dove poggiarsi. Non è che uno rifiuta Dio così, e che secondo i momenti, secondo le circostanze cerca un altro dio dove collocarsi. Cerca una sicurezza al di fuori. Detto in altre parole, questo è il problema del sincretismo religioso. E sincretismo religioso non vuol dire sostituire il Dio di Yahveh

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con un altro dio. Sincretismo religioso, vuol dire, mantenere il Dio di Yahveh quando mi interessa e mantenere anche gli altri dei anche quando mi interessano. Questo è il sincretismo religioso. E io mi ricordo alle volte del profeta Elia. Lo studieremo nel suo momento. La lotta del profeta Elia, era contro il sincretismo religioso che c'era nel regno del nord in Palestina in Israele. PV c'era questo sincretismo? PV lì c'erano i Baali. La regione del Baalismo e il dio Baal aveva un grande influsso come vedremo, ebbe un grande influsso su gli israeliti perche era un dio molto patente. Allora ché facevano gli Israeliti? Non rinnegavano Yahveh, no, no. Yahveh andava bene, ma anche Yahveh andava bene. Allora si mantenevano i due. É anche quello che si vedrà in Siracide 2,14, quando dice: "Guai a un peccatore che cammina su due cammini". Uno che vuole avere a Yahveh in piede e Baal all'altro piede. In spagnolo diciamo: "Nadar y guardar la boca". Sono dei proverbi. Dio quando mi interessa soltanto mi interessa. Questo è sincretismo religioso.

I dei stranieri, specialmente i baali, sempre hanno attirato l'attenzione di Israele. Sempre. Già prima della monarchia. Pensate per esempio a Numeri 25, che è l'episodio di Baal. O pensate a Guidici 6,24, che è la storia di Gedeone. Quindi questo interesse per gli altri dei è sempre stato. Soltanto nell'esilio, Israele cominciò sul serio a credere in un solo Dio. Ad essere veramente monoteista. Il problema è che Dio non sopporta il sincretismo religioso. Dio esige una adesione totale, una fede totale. Dio, Dio di Yahveh è un Dio assoluto e non può avere competenza e non può avere altri dei. Ciò non significa una rinuncia radicale a tutto quello che non è Dio. Spieghiamo bene la situazione. Il modo di Israele, significa saper riconoscere che Dio è l'unico assoluto. Tutto il resto, perché è importante e necessario è relativo e secondario. E questa era la lotta di Yahveh con il suo popolo. Voleva che loro capissero questo fatto. Che Dio è assoluto. Il problema è che l'uomo ha bisogno di sicurezze relative e secondarie perché le sicurezze assolute non si vedono, non si toccano. E l'uomo cerca sempre di sostituire. Quindi, se non ci sarà questa lotta tra il Dio di Yahveh e i baali.

Quindi questo è il primo comandamento: "Non avrai altri dei di fronte a me".

Mi piacerebbe ripetere lo schema che noi stiamo seguendo:1.- Dt 5,6-10 Il Signore tuo Dio (Comandamenti 1º-2º)2.- 11-16 Il Signore e l'altro (3º-4º-5º)3.- 17-21 Il tuo prossimo (6º-7º-8º-9º-10º).Questo era lo schema iniziale dal quale noi siamo partiti.

Il primo giorno abbiamo fatto l'introduzione,E qui corrisponde al primo e secondo comandamento.Oggi vedremo il terzo, quarto e quinto comandamento.E poi il sesto, settimo, ottavo, nono e decimo.

Noi siamo nel secondo comandamento. Allora prendiamo il testo e sarebbe Dt 5,8: "Non ti farai idolo ne immagine alcuna di ciò che à la su in cielo ne di ciò che è qua giù sulla terra ne ciò che è nelle acque che è sotto terra".

Cominciamo qui. Allora la parola chiave di questo versetto è la parola ebraica "pesel"= statua.

Che indica una statua scolpita sia in legno, in pietra o metallo. Quindi non ti farai, dice il testo, immagine alcuna. Non ti farai nessun "pesel", nessuna statua scolpita. Domandiamoci subito quella è il vero contenuto della proibizione? Si tratta di immagine

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degli altri dei? o di Immagine di Dio? La domanda è lecita perché il testo non lo dice. Il test soltanto dice: "Non ti farai immagine alcuna di ciò che è la su e ne di ciò ecc." E le previsioni delle immagine e il tratto caratteristico della religione d'Israele. Non sappiamo quando incominciò questa proibizione. Non si sa. Studiosi hanno fatto diverse ricerche però non possono stabilire il momento in qui apparve questa proibizione. Però dicono, che probabilmente nacque per indicare la differenza con la religione cananaica. Che permetteva i passi delle immagine degli dei cananei. Quindi, per contrastare con questa religione allora Israele stabilì questa proibizione: non ti farai idoli. Allora si pensa che il nostro testo si riferisce alle immagine di Dio, del unico vero Dio. La proibizione non è contro l'arte di fare immagini che è come un desiderio che l'uomo ha avuto da sempre. L'uomo sempre ha tentato di riprodurre la divinità e renderla visibile. Questo è qualcosa di naturale. Il vero problema è la tentazione dell'uomo di convertire queste immagine in idoli e poi renderli culto. Questo è il vero problema, non tanto il fatto di riprodurre queste immagini, cosa naturale, quanto il pericolo che queste immagini possono avere per l'uomo. Anche se sonno immagine del vero Dio, Dio è tal mente grande e trascendente che non si può racchiudere in una immagine. L'uomo non può capire completamente Dio, lo abbiamo detto già altre volte, l'uomo non può raffigurare Dio, l'uomo non può stabilire il suo volto e dire Dio è così. Dio ha questo volto, Dio ha questa forma. Sarebbe un atto idolatrico.

Ricordiamo solo un momento la storia del vitello grasso che tutti conosciamo. Gli Israeliti stanno aspettando Dio, aspettando Mosè che scenda dalla montagna e si stancano di aspettare. E per ciò costruiscono un Dio visibile. Costruiscono un Dio manipolabile. Un Dio più credibile. Il vitello che è più credibile e non un Dio che non si vede. Quindi la presenza del vitello da loro una sicurezza e noi diciamo una falsa sicurezza. Però era una sicurezza per l'uomo. PV sonno essi a dominare il vitello. Si sentono padroni di quel dio che hanno creato. Con Dio non si può fare lo stesso, perché è Dio chi dirigere i passi, le azioni dell'uomo. L'idea de fondo che c'è nel nostro testo è che Di non si lascia manipolare. Dio non si lascia addomesticare, dio non si lascia prendere dal pensiero, dalla volontà, dal desiderio dell'uomo. Io penso andando un pochitino oltre il testo: che noi possiamo anche correre questo rischio. Io non faccio adesso delle applicazioni che non entrano nel mio campo. Però, la parola a dove ci porta? Facendo una parentesi. (Dico che noi corriamo questo rischio già che noi non scolpiamo immagini di legno, di metallo ecc. Siamo capaci di scolpire queste immagini di Dio nel nostro cuore. E di questo tutti ne abbiamo l'esperienza. Quindi, questa frase che diciamo spesso: noi facciamo un Dio a nostra misura, facciamo un Dio che ci è più comodo, un Dio a nostra immagine, è una maniera di fabbricare idoli. E questo è il punto contro la quale va questa proibizione. Andiamo un pochitino più avanti PV il comandamento continua.

v. 9: "Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non ne servirai" Quale è la parola chiave? Senz'altro, questo: il verbo "abad" che significa "Servire". Però il verbo "abad", servire si può tradurre anche per "dare culto". PV dare culto a Dio è una forma di servizio. Però, ripeto, la radice del verbo significa servire. E l'idea è la seguente: "tu non devi farti schiavo delle immagine", per ciò dice il testo "non ti prostrerai e non li servirai". E questo è molto importante, perché servire li idoli, significa farsi servitori di loro. Pare che questa idea la abbiamo già accennato. Servire è qualcosa che si fa volentieri, da propria iniziativa. Da propria iniziativa, servire qualcuno. Mentre esser schiavo, essere servitore indica non un atto di libera iniziativa, ma un atto al quale io sono costretto a farlo. Essere schiavo, essere servo indica il contrario di una libera iniziativa, indica una schiavitù, una mancanza

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di libertà. Questa è una sfumatura molto importante. E di fatto, quando noi ci fabbrichiamo questi idoli, nella nostra mente, nella nostra fantasia pensiamo che noi siamo i soggetti. Coloro che prendiamo le decisioni, che comandiamo. E invece il primo fatto è il contrario. PV quando noi ci fabbrichiamo degli idoli, il risultato è che noi diventiamo servi, schiavi di questi idoli che noi ci fabbrichiamo. Questo è un gioco. Un gioco che tocca il campo della tentazione perciò il comandamento attacca direttamente. Pensiamo un po’. Noi di solito progettiamo i nostri desideri incompiuti, le nostre paure nascoste e crediamo nella falsa sicurezza che gli idoli ci possono dare. Idoli in diverse traduzioni. Quindi, in fondo, in fondo, abbiamo bisogno di questa sicurezza. Teoricamente no sappiamo che è una falsa sicurezza. Noi sappiamo che la vera sicurezza soltanto ci la può dare Dio. Teoricamente questo è chiaro, però nella pratica, la nostra psiche si lascia guidare e segue questi idoli, perché in fondo, in fondo cerchiamo questa sicurezza. Umanamente comprensibile, PV pensiamo che noi siamo i padroni di questi idoli. Però il meccanismo è completamente rovesciato. Dal momento in qui noi serviamo gli idoli, noi diventiamo schiavi di questi idoli. Cosa spreme questo meccanismo così normale, così naturale? Esprime la nostra debolezza, la nostra fragilità umana cento per cento. Che siamo vietati ad adorare le creatura invece di adorare Dio. Dice il testo: "Non ti prostrerai davanti a queste cose e non li servirai". PV tu soltanto ti puoi prostrare soltanto davanti a Dio.

E allora ché dice il testo? ci da la motivazione. Avete visto non è soltanto un comandamento e basta. Un comandamento con spiegazione. Dice v. 9 seconda parte: "PV io il Signore tuo Dio sono un Di geloso che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e quarta generazione. Per quanto mi odiano, ma uso misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti". É più lunga la motivazione, la spiegazione che il divieto.

Allora, analizziamo questa spiegazione che da Dio. La prima parola che ci sorprende è la parola "geloso". "Perche io il Signore tuo Dio

Sono un Dio geloso". Un Dio pieno di zelo. Quindi il Dio liberatore d'Israele si presenta come un Dio geloso. E la gelosia è un sentimento che va unito all'amore. In fatti la gelosia dipende dall'amore. Spieghiamo che vuol dire questo concetto. Se l'amore è possessivo. La gelosia sarà un voler possedere l'altro completamente senza lasciare l'altro un momento di riposo, di sollievo. Un amore possessivo. Però se la gelosia spreme un amore autentico allora la gelosia non è possessione ma espressione di esigenza di libertà. Mi spiego subito: Esigenza di libertà per l'altro. Questo, applicato nel rapporto tra Dio e il popolo o tra Dio e l'uomo. Come si spiega. Io creo che: nell'alleanza di Dio con il suo popolo il signore è geloso perché non è indifferente (per me questa è la chiave di lettura). Dio è geloso del suo popolo PV lo ama e perché tutto quello che capita al suo popolo li interessa. Dio è geloso della libertà d'Israele. Dio vuole che Israele sia un popolo libero. E PV? perché sa che la alleanza deve essere fatta con libertà. Ricordati quei trattata dei popoli antichi sopra tutto di quei popoli antichi che abbiamo visto l'altro giorno. I trattati di alleanza soltanto si possono fare se le due parte vogliono. Quindi un'alleanza non si fa per obbligo. Quindi, Dio si preoccupa per la fedeltà di Israele così come la persona che ama non è indifferente a quello che occorre alla persona amata. E qui stiamo nell'ottica sponsale di amore tra Dio e il popolo d'Israele. Allora se capiamo la relazione di Dio con il popolo in quest'ottica d'amore, possiamo dire che Dio sia un Di geloso. É questa la gelosia della quale si sta parlando. Questo è il primo tratto, la gelosia. E subito dopo viene un altro elemento:

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Un Dio geloso che "visita" la colpa, dice il testo ebraico ma in italiano si dice "castiga" la colpa dei padri, dei figli, ecc., fino a tutte le generazioni. PV traduciamo "castiga"? PV il verbo "visitare"= pacà, indica questa visita punitiva di Dio. Quando si dice nella Bibbia: "quando il Signore ti visiterà" normalmente F riferimento al giorno del giudizio. Così è chiaro che noi traduciamo castiga. Cosa fa Dio con la colpa del suo popolo? Da una parte sappiamo che la sopporta, la perdona, però non per ciò lascia impune il colpevole. Perché questa colpa del peccato d'Israele, ha delle conseguenze negative che passeranno di generazioni in generazioni. Questa constatazione di un popolo eletto ma peccatore, è una constatazione utilizzando un linguaggio analogico che fa soffrire Dio, diciamolo così. Dio soffre a causa del peccato del suo popolo. E così vedete che finisce questa parte del versetto 10.

Allora entriamo nella seconda parte secondo la proposta che abbiamo fatto del:vv.11-16: "Il Signore e l'altro".Non parliamo più soltanto da Dio, ma da Dio in collegamento, in rapporto con

l'altro. Questa è la sezione centrale del decalogo. E questa sezione centrale del decalogo sviluppa tre punti centrali che sono:1.- Il nome del Signore v.112.- Il Sabato vv. 12-15.3.- I genitori: padre, madre, v 16.

Quindi, quale è il centro del decalogo? É il sabato. Qui nel 12-15 il precetto è negativo. Nel 11 e il 16 positivo. Lo vedremo quando lo spiegheremo. Anche senza spiegare un'altra cosa uno subito vede la distribuzione: un solo versetto per il nome del Signore, un solo versetto per i genitori e in vece quattro versetti dedicati al sabato. Quindi, soltanto guardando la larghezza dei versetti vediamo subito che l'autore vuole sottolineare l'importanza del sabato.

I due primi v. 11 e 12-15, il nome di sabato si riferiscono a Dio. Il nome di Dio e si osserva il sabato in onore anche di Dio. Quindi, i due comandamenti si riferiscono a Dio.

Invece il terzo comandamento si riferisce ai genitori. É vero che i genitori sono quelli che danno la vita ai figli, pero la vita è sempre in ultimo termine un dono di Dio. Allora quale è la funzione di questo versetto? La funzione di questo versetto è di fare di ponte con la terza parte del decalogo. PV qui si parla già di Dio e dei genitori.

Nella terza parte del decalogo di chi si parlerà? soltanto del prossimo. Si lascerà Dio e si vedrà il prossimo. Diciamo in altre parole che i genitori sono il primo prossimo che tutti abbiamo. Quindi, è molto strategica la funzione di questo versetto 16.

Si passa progressivamente prima da Dio, poi dai genitori e poi il prossimo. Questa linea discendente dal decalogo. Allora andiamo a vedere questi tre comandamenti più da vicino.

Prendiamo v. 11: che sarebbe il terzo comandamento. Dice il testo: "Non pronunciare in vano il nome del Signore tuo Dio, PV il Signore non ritiene innocente chi pronuncia il suo nome in vano". Allora proviamo di spiegare ché significa in linguaggio moderno il non pronunciare il nome di Dio in vano. Dobbiamo andare subito alle parole. E la parola chiave in questo versetto è questo "in vano", che è la traduzione in italiano. Ma in ebraico c'è una parola tipica del libro di Cohelet. "Shawe"= Nulla. Questo sostantivo è un sostantivo che può significare molte cose che girano nello stesso campo semantico. E può indicare "Nulla" o nullità, vuoto, inconsistenza, apparenza, irrealtà, inganno, menzogna, e anche finzioni. Vedete che il campo semantico è qualcosa che sfugge. Che sfugge della

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realtà. Che sta nel vuoto. Allora li autori studiano l'uso di questa parola nel decalogo e danno diverse interpretazioni. Che io vi ho riassunto in tre:1.- In falso: e quale è il punto di riferimento? sarà il giuramento. Quindi, il divieto del decalogo sarebbe fare un giuramento falso. Secondo la prima interpretazione, il giurare in falso. 2.- Poi c'è un altro gruppo di autori che interpretano shawe come inganno o falsità. E allora lo applicano al potere magico del nome di Dio. In nome di Dio avrebbe un potere così forte, così magico, che produrrebbe disgrazia o maledizione. Quindi, si appella a questa magia che è nascosta nel nome di Dio. 3.- La terza ipotesi sarebbe questa che ha scelto la CEI, in vano, o inutilmente. Allora, come si spiega il divieto? Sarebbe utilizzare il nome di Dio senza motivo senza motivo sufficiente o senza motivo valido. Utilizzare il nome di Dio così nella vita. 4.- Secondo me, se devo dare la mia opinione, penso che il terzo comandamento gira in torno all'idea di falsità, all'idea d'inganno, però intessa in un senso più largo. Io non penso che qui si faccia riferimento al potere magico del nome di Dio. Però si credo che l d'inganno e di falsità sia alla radice, alla base di questo divieto. Penso che non si tratta di giuramenti o di pratiche magiche ma di utilizzare il nome di Dio per la falsità. Diciamolo in altra maniera: utilizzare il nome di Dio per scoppi che non sono autentici. Creo, sapete che le interpretazioni sempre sono discutibili. Le faccio un esempio, per chiarire la mia posizione: Ricordate gli amici di Giobbe. L'intervento che hanno i tre amici di Giobbe nel dramma. Loro utilizzano il nome di Dio per giustificare le proprie idee. Loro hanno delle idee tropo fisse, riguardo al tema della dottrina della tradizione, le forze religiose. E loro utilizzano il nome di Dio per riaffermare, per giustificare le loro teorie, i loro atteggiamenti. Siano autentici o non lo S. Questo sarebbe un caso che andrebbe bene a questa spiegazione, utilizzare il nome di Dio per giustificare le loro idee, le posizioni, i propri atteggiamenti o i propri interessi. O possiamo dire di più, utilizzare il nome di Dio per nascondere la verità. Come un cumulo, per nascondere la verità. Diciamo subito, che dire il nome di Dio in mentalità semitica. Il nome di Dio è Dio perché il nome in mentalità semitica è la persona. Il nome configura la persona che porta. Per ciò nella Bibbia sono tanto importanti i nomi dei personaggi, i nomi degli uomini, PV si dice in latino quella bella massima: "nomen est omen"= Sarebbe il nome è l'orgoglio della persona. Non è che a caso un si chiama Giuseppe o Giobbe. Il nome che uno porta è come un augurio, una destinazione, però è come la proiezione della propria persona. Questa è la mentalità semitica di tutta la Bibbia. Quindi, quando qui si dice: Utilizzare il nome di Dio, vuol dire, utilizzare Dio. Non soltanto dire parole cattive contro Dio, questo è il primo approccio, ma è molto di più.

Allora, io traduco: Non possiamo utilizzare Dio per soddisfare i nostri desideri e per qualsiasi motivo, specialmente se questo motivo non entra nel ambito dell'alleanza. Non si può fare del male in nome di Dio. Non si può difendere la menzogna, il inganno, la falsità in nome di Dio. Credo che questo sia più complesso, più umano che capire soltanto questo comandamento come il fatto di pronunciare delle parole cattive contro Dio. Questo è molto superficiale. Questo sarebbe il nome di Dio.

Andiamo al quarto comandamento: Il sabato. Che sarebbe questo che riguarda il sabato.

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Prima cosa: non è soltanto il più lungo, di tutti i comandamenti ma è collocato al centro del decalogo. E costituisce il fondamento di tutto il decalogo. Già l'ultimo giorno lo abbiamo detto.

Il "saba" è la parola che sta al centro di tutta la composizione. Da tutti i comandamenti questo, il quarto è il più citato nell'Antico Testamento. In tal modo che conferma la sua importanza. Vi posso darà alcuni testi per illustrare. andiamo ai più antichi, per esempio:Es 16,25, Lev 16,31,Is 58,13, Ger 17,21,Ez 20,12, Nem 9,14,1Mac 1,39.

Non solo il più citato ma il più studiato tra gli esegeti. Se noi compariamo gli studi che ci sono sui diversi comandamenti, la parte più grande della bibliografia dell'Antico e di tutti gli studi sono i riguardanti ai quattro comandamenti. La questione del sabato.

Come si dice in ebraico sabato= shabat. Questa è la parola che è anche molto discussa, perché non si sa esattamente da dove venga. Alcuni dicono che shabat, viene dell'accadico e significa "il giorno di luna piena". E la parola accadica che è al di sotto dell'ebraico si è sviluppata e ha dato il verbo "cessare", o "ripassare" in ebraico. Ripeto, su questa etimologia sono tantissimi studi, perché si vede che non è tanto chiaro. Il fatto è che c'è questa idea di qualcosa che si ferma, che cessa. E questa è la sfumatura, l'eccezione più importante per noi.

Allora io vi propongo leggere il testo: "Osserva il giorno di sabato per santificarlo come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio. Non fare lavoro alcuno, ne tu, ne tuo figlio, ne tua figli, ne tuo schiavo, nella tua schiava, ne il tuo bue, ne il tuo asino, ne alcuna delle tue bestie, ne il forestiero che sta entro le tue porte". Motivazione: "perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio tesso". Conseguenza: Per ciò, il Signore tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno di sabato".

Senza fare grandi studi, un vede subito l'inclusione.versetto 12: "Osserva il giorno di sabato".

Andiamo al versetto 15: "Ti ordino di osservare il giorno di sabato". E anche in mezzo a questa piccola narrazione c'è anche la parola sabato che ricorre di nuovo.

Come si apre il testo? con un comando in positivo: "osserva il giorno di sabato per santificarlo" come si chiude? della stessa maniera: "Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato". Quindi, il comando è positivo. All'inizio e alla fine. E dentro a questi versetti troviamo una contrapposizione. É l'elemento più importante. Da una parte abbiamo 6 giorni feriali, e poi abbiamo il giorno 7 che viene definito come il sabato per Yahveh tuo Dio. Primo elemento, è questa contrapposizione.

Secondo elemento: quale è la nota caratteristica di questo shabat? Secondo il testo, "non fare lavoro alcuno". Smettere di lavorare.

Terzo elemento: come viene giustificato questo? PV si deve smettere di lavorare il sabato, deve essere un motivo. Il testo dice: "ricordiamo la liberazione della schiavitù di Egitto". Faccio un parentesi: (Ricordate l'inizio, quando abbiamo paragonato il testo di Esodo e Deuteronomio? La motivazione nel testo di Esodo si dava per un precetto di sabato, non era la motivazione dell'Egitto, ma la creazione. Perché Dio si era riposato. Qui,

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siamo in Deuteronomio e questo non centra). La motivazione è il ricordo della liberazione della schiavitù dell'Egitto. Allora, quale è la nota caratteristica del sabato? Smettere di lavorare, però io aggiungo la libertà, la liberazione di Israele. Dio ha liberato Israele della schiavitù.

Allora, secondo il Deuteronomio il sabato è un giorno in qui si ricorda il dono di Dio. Il dono della liberazione. E allora voi potete chiedervi: PV questa lista, questo elenco di il figlio, la figlia, lo schiavo, la schiavo, l'asino le bestie e tutto l'elenco. PV? Questo elenco è un elenco che va diretto alla famiglia, sono tutti gli elementi della famiglia e l'idea è questa:

Tutta la famiglia deve partecipare di questo ricordo. Non il capo famiglia soltanto, tutti devono ricordare la liberazione dell'Egitto. E questo è molto bello perché significa che tutti sono uguali a gli occhi di Dio. Anche gli animali, anche i forestieri, anche gli schiavi, tutti hanno il diritto di riposare il giorno di sabato perché tutti sono stati liberati dal Dio di Israele dal Egitto. Quindi, sabato vale per tutti. E il capo di famiglia, non deve far nessun segno di oppressione, di dominio sugli altri. A me mi piace dirlo citando la Bibbia. Dico che il capo di famiglia non deve trasformare la propria casa in una casa di schiavitù. E diciamo che quello che era l'Egitto per Israele. La casa no può esser una casa di schiavitù, nel giorno di sabato.

Torniamo al testo v. 14: "perché tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te". Insiste, la famiglia, tutti a lo stesso livello e anche gli schiavi che erano sottomessi al padrone. Tutti hanno diritto.

Allora diciamo il sabato non esige semplicemente il riposo, ma cessare nella attività quotidiana, astenersi di essa in favore del Creatore. Il sabato è dedicato a contemplare, a celebrare ciò che Dio ha fatto. Questa è la teologia. L'uomo smette di lavorare per glorificare le opere di Dio. Possiamo dirlo in una forma più bella: L'attività dell'uomo sottolinea l'attività di Dio. L'inattività dell'uomo sottolinea l'attività di Dio.

Dopo la contemplazione del creato l'uomo può rincominciare di nuovo il lavoro. Per gli ebrei la domenica, perché soltanto fanno festa il sabato. E allora faccio una piccola parentesi per parlarvi di un autore che si non ricordo male c'è nella bibliografia. Un filosofo ebreo molto conosciuto e si chiama: Abram J. HESCHEL (1907-1972). E lui ha scritto una frase che va molto bene con questo che stiamo dicendo riguardo al sabato: "dal mondo della creazione alla creazione del mondo". Perché lui si bassa nel racconto dell'Esodo dove il giorno shabat è il giorno in qui Dio si riposò.

Io volevo dire qualche cosa riguardo a questo autore HESCHEL: E ricordo un symposium del anno 1995, e qui a Sant'Anselmo il professore SIEVERS Joseph, che è uno che insegna qui al biblico letteratura rabbinica, o veterotestamentaria, organizzò questo symposium con questo titolo: "Celebrazione del sabato ebraico". Fu un symposium molto interessante, io partecipai ad ascoltare le conferenze e la prima conferenza si intitolò così: "cattedrale nel tempo", sempre del sabato. Il sabato come una cattedrale del tempo. E il contenuto della conferenza era: la concezione del sabato secondo Abram Joseph HESCHEL. Ripeto, uno dei grandi pensatori ebraici del nostro tempo. E questo HESCHEL ha un libro che si intitola: "il sabato" ed è un classico, della filosofia del pensiero ebraico. E in un momento di quest'opera, lui tratta la relazione dei giorni feriali e il sabato. E dice una frase che penso che vi può illustrare su questo che stiamo dicendo e quale è la mentalità ebrea, che deriva proprio di questo testo di Deuteronomio. E dice

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HESCHEL: "il Sabato non è soltanto un ricaricarsi per tornare a lavorare con più forza e energia ma rappresenta il culmine della vita dell'uomo. Che è consapevole dell'esistenza di Dio". Mi piace questa parte, perché non è un giorno di riposo è un giorno in qui l'uomo trascende proprio questa quotidianità del lavoro. Continua: "tutta la vita come un pellegrinaggio verso il settimo giorno". La persona che faceva questa conferenza, e spiegava, dicendo che come se noi camminassimo tutta la settimana aspettando il giorno di arrivo, che è proprio il shabat, il settimo giorno. Quindi dice HESCHEL, "bisogna desiderare ardentemente il sabato. Per un ebreo ortodosso ci spiegava il conferenziere, il sabato è la metta che uno ha durante la settimana. La massima felicità è arrivare al giorno di sabato per poter celebrare e poter contemplare le opere di Dio. Dal mondo della creazione alla creazione del mondo.

Quindi, per li ebrei il sabato è due cose:1.- Il memoriale della creazione. Il testo di Esodo.2.- E la liberazione della schiavitù dell'Egitto. Il testo di Deuteronomio.

Ricordare la creazione di Dio è ricordare l'evento salvifico di Dio in Egitto. E noi facciamo un salto come cristiani. PV va molto bene con quello che stiamo dicendo. Per noi cristiani la domenica diventa anche memoriale della nuova creazione, usando lo stesso termine. E diventa anche memoriale della liberazione definitiva in Cristo. Quindi, anche noi, ricordiamo un fatto di creazione, già che noi ricordiamo un fatto di liberazione. Possiamo dirlo così per noi passa di un memoriale in onore di Yahveh a un memoriale in onore di Gesù Cristo. Questo è il passo che noi cristiani facciamo. E dico anche un altro elemento che non sviluppiamo qui pensate all'importanza che Gesù da sull'insegnamento sul sabato. Quante pericope del Nuovo Testamento sono dedicate nel vangelo all'insegnamento che Gesù fa riguardo il giorno di sabato. Non è una, sono parecchie. Quindi, questo sottolinea l'importanza del sabato nella mentalità, nella cultura ebraica e Gesù ne era conscio e per ciò sottolineò questo. Qui ci sarebbe da dire molte altre cose ma, credo che gli spunti parlano già abbastanza.

Lasciamo il sabato e andiamo a vedere il v.16, "il quinto comandamento". Che è quello riferito "ai genitori": Dice il testo: "onora tuo padre e tua madre come il Signore Dio tuo ti ha comandato perche la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tu Dio ti da". Così finisce la seconda parte del nostro decalogo.

Ripeto, il quinto comandamento occupa un posto strategico nel decalogo, perché fa di cerniera, di ponte, tra i comandamenti riferiti a Dio e ai comandamenti riferiti al prossimo.

Il quinto comandamento ha: un orientamento sociale e un orientamento religioso.

PV un orientamento sociale? PV riguarda le persone che ci hanno dato la vita. E PV un orientamento religioso? PV in ultimo termine il datore della vita e sempre Dio.

Possiamo chiederci questa domanda: A chi si rivolge il quinto comandamento? Ci sono tre possibilità: ai figli minor anni, che devono ubbidire e rispettare ai genitori o va ridotto ai genitori come rappresentanti dell'autorità che viene da Dio e come responsabile dai figli o va riferito ai figli adulti che devono aver cura dei genitori in età avanzata. A chi va ridotto il quinto comandamento? Vedremo.

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Qui non è lo tesso ordine dei comandamenti secondo gli abbiamo imparato. Allora la professoressa ha detto che lei soltanto fa questo e funziona: nel primo giorno abbiamo visto il primo comandamento, il secondo comandamento che abbiamo visto oggi e poi abbiamo visto il terzo comandamento il nome, il quarto comandamento il sabato, e il quinto comandamento i genitori. (E poi dice la professoressa: a me funziona, ma seguendo il testo ebraico. E poi la nostra chiesa, quello che abbiamo imparato nel catechismo è un'altra cosa. Ricordate che abbiamo visto il primo giorno. Di solito si fa, due tavole, quindi, cinque d'una parte e cinque di un'altra. Ma se uno è attento vediamo che le cose non funzionano. Esteticamente non funziona bene seguendo il testo. Ricordate bene, che noi seguiamo il testo ebraico con la nostra interpretazione della CEI che lo rispetta perfettamente.

Quindi, due riguardo a Dio, che già abbiamo fatto, tre riguardo a Dio e ai genitori che è il quinto. E poi passiamo a 6,7,8,9,10 riguardo il prossimo. Non c'è confusione. Vediamo il testo: "onora tuo padre e tua madre" e come al solito c'è una parola in ebraico. Ed è "kabot"= "gloria". La kabot di Dio che è la gloria di Dio. E da questa radice viene il verbo onorare. Il verbo "Kabet" = "onorare". La radice kabet, significa un qualcosa che pesa, che è pesante. Capirete subito. Una persona che ha gloria, è una persona che ha peso. Peso specifico. Anche noi, nel linguaggio colloquiali parliamo così, di pezzi grossi e tutti capiamo quello che vuol dire. I pezzi grossi sono quelli che pesano che hanno un peso specifico. La parola in ebraico significa questo, gloria è qualcosa che pesa e fa una pressione. Una persona con gloria, ha un peso metaforicamente parlando.

Quindi, il verbo onorare, dare gloria, e onorare i genitori il padre e la madre, significa dare gloria al padre e alla madre, dando importanza che loro meritano. PV sono quelli che hanno dato la vita. L'importanza è questa: che l'onore dovuto ai genitori va intesso come ubbidienza dei figli verso i genitori. PV? PV i genitori rappresentano Dio nell'esercizio dell'autorità. E questo è chiaro, nessuno di noi fa problema su questo comandamento. Non c'è nessuna difficoltà per capire. Però il resto del versetto, forze non è tanto chiaro. "onora tuo padre e tua madre come il Signore tuo Dio ti ha comandato," "perché la tua vita sia lunga e tu sii felici nel paese che il Signore Dio ti da". Qui, se siamo sinceri, non c'è un collegamento diretto, dal fatto di onorare ai genitori, e il fatto che la nostra vita sia lunga e che uno sia felici nella terra che il Signore da. Quindi, si deve spiegare PV il collegamento tra le tre idee non è chiaro. Prima di tutto, il comando è un ordine che viene da Dio. I genitori sono quelli incaricati da trasmettere la torah ai figli. Sappiamo che la scuola cominciava nella famiglia. Sopra tutto il padre era colui che doveva trasmettere ai figli tutta la dottrina, tutte le sue conoscenze sulla torah prima di andare a scuola. Però, prima di dare ai figli il dono della torah i genitori hanno dato ai figli il dono fondamentale che è la vita. Prima danno la vita e poi danno la torah. E terzo, cosa danno ai figli? prima la vita, secondo la legge e terzo la terra. Perche i figli ereditano la terra dai genitori. Di fatto, quando il padre muore, i figli prendono in eredità tutte le posizioni del padre. Ricordiamo le tre: vita, legge e terra. Diciamole in un altro modo: Con la vita e la terra i genitori trasmettono la legge ai figli. PV? perche la legge è il modo, è la maniera per poter vivere gli altri due doni. Quindi, grazie alla legge all'osservanza della legge i figli potranno godere della vita e potranno godere della terra. Quindi, il dono essenziale, che non è esplicitamente specificato qui è la torah. Non è esplicitato, ma guardate il testo di nuovo: "onora tuo padre e tua madre come il Signore tuo Dio ti ha comandato". Qui sta la torah. Il comando di Dio è la torah. "Perche la tua vita (primo

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dono) sia lunga e tu sia felci nella terra che il Signore Dio ti da". Quindi, i genitori, sono come i datori di questi tre doni per i figli. Sempre sottolineando che il dono più importante è sempre la torah. E la torah ti permette di vivere e di essere felice nella terra che tu avrai. Il fatto è questo: che onorare i genitori va al di là del rispetto verso le persone concrete. Quindi, non si tratta soltanto di avere rispetto per il padre e per la madre è molto di più, PV i genitori sono importanti non solo perché ci hanno dato la vita, ma PV mi hanno dato la legge, la torah e mi hanno dato la terra. E in questo senso i genitori, diventano un dono di Dio. Un dono di Dio del quale si deve far sempre memoria. Quindi, uno deve ricordarsi sempre di questo dono ricevuto. E la memoria è fondamentale. Quindi, ricordare i genitori, significa averli presente, far memoriale. E questa è un'altra delle idee basiche della religiosità ebraica. Quindi, quando uno ricorda, quando si ricorda a qualcuno vuol dire ringraziare qualcuno. Il ricordo è far presente al fatto, all'avvenimento o alla persona. Quindi, c'è una frase che dice così: "la gratitud es la memoria del corazón" = (la gratitudine è la memoria del cuore). L'idea è questa: che far memoriale di qualcuno è ringraziare questo qualcuno. Quindi, far memoriale dei genitori, vuol dire ringraziare ai genitori per il dono che ci hanno dato. Quale è i contrario di ricordare è dimenticare. Dimenticare i genitori è la radice del peccato. E qui non mi allungo, PV si prendessimo il testo di Bensirà cap. 3, lì c'è un commento a questo comandamento. Con tanti anno di riferimento Bensirà prende questo comandamento e lo commenta. Colui che dimentica il padre o la madre li aspetta la rovina totale. PV è la più grande maledizione che l'uomo può avere sulla terra, dimenticare o disprezzare il padre o la madre. Per questo è importante. Tutto i capitolo 3 è dedicato ai genitori.

Adesso vediamo vv.17-21: Il tuo prossimo: distinguiamo un primo blocco centrato nell'omicidio, l'adulterio, e il furto. Non uccidere, non commettere adulterio non rubare. Sono i tre primi di questo blocco. E questi comandamenti esistevano già nelle leggi dell'antico oriente. Per esempio, nel codice di amurabi, nelle leggi asirie, nelle leggi ittite, venivano così regolati in questo ordine: omicidio, adulterio e furto. Quindi la legge ebraica segue questa tradizione. Questi tre comandi sono molto brevi. Sono verbi, non fare, non uccidere, non commettere adulterio, non rubare. E non hanno spiegazione, ne edificazione, ne motivazione. E a questi tre verbi, seguono altri due, dove si concentrano tutte le occorrenze del termine "tuo prossimo". Dice: "Non testimoniare testimonianza falsa contro il tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, non desiderare la casa del tuo prossimo, ne il suo campo, ne il suo schiavo, ne la sua schiava, ne il suo bue, ne il suo asino ne alcune delle cose che sono del tuo prossimo". Ecco, tre e due.

Il contenuto di questi comandamenti è così evidente che io non mi tratterrò direttamente a spiegare i dettagli che avevamo visto negli altri. Soltanto voglio dare uno sguardo d'insieme, solo una idea che mi pare che sia la più importante.

Ritorniamo per un momento al quinto comandamento. Questo dei genitori. Lì abbiamo detto che c'erano tre doni importanti: la vita, la legge e la terra. Adesso si tratta anche di rispettare questi doni, però in rapporto con il prossimo. Si tratta di rispettare la vita del prossimo. Si tratta di rispettare la legge che regola la vita del prossimo e si tratta di rispettare le posizioni, i beni del prossimo. É la stessa dinamica però applicata al prossimo. Quindi, quello che noi vogliamo per noi non dobbiamo toglierlo a gli altri. I comandamenti sono chiari: non dobbiamo prendere la vita altrui, non dobbiamo prendere i partner altrui che può essere la mogli, può essere il marito. Non possiamo prendere i beni altrui. Sono i

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tre elementi che indicano la possessione. Quindi, il prossimo è da rispettare in tutto: vita, rapporto e ossessione. Però, qui andiamo al "quit" della questione. Non basta rispettare il prossimo a livello di fatti, lo si deve rispettare anche a livello di intenzione. E questo è molto più difficile. Faccio una parentesi. (Non basta con non fare il male. Il male non si deve ne anche desiderare. Perché se uno incomincia a desiderare il male intraprende un cammino che non ha ritorno. E questo è molto più problematico che il fatto stesso di compiere una azione malvagia).

E qui entriamo nei due ultimi comandamenti: non uccidere che è molto chiaro. E non commettere adulterio. Non rubare è molto chiaro è un altro fatto. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. É chiaro, sono fatti concreti.

Però alla fine nel v.21 si finisce con un comandamento molto estraneo: "Non desiderare la moglie del tuo prossimo, non desiderare la casa, il campo, la schiava, ecc. Non desiderare dice il testo ebraico. E questo è per me il concetto chiave: "il desiderio". A dire la verità, a me non mi pare che questo sia un vero comandamento. Mi spiego: perché di solito, le leggi regolano i fatti: non rubare, non uccidere, non fare adulterio, i fatti consumati. Le leggi soltanto possono regolare i fatti. Da quando le leggi possono regolare le intenzioni, i desideri che noi abbiamo nei nostri cuori? Chi può conoscere le intenzioni che noi abbiamo dentro? Come sì può penalizzare i desideri che noi abbiamo dentro? Se qualcuno lo sa mi lo può dire. Quindi, come si può regolare l'interiore del cuore umano? Quindi, è impossibile. Ricordiamo li altri codici legali dell'Antico Testamento. Per esempio Levitico che tutti conoscete. Il codice della santità, dei sacerdoti, dei sacrifici e della purezza. Ché si regola lì? I fatti. Se uno fa questo, allora lei fa questo. Se fa questo, fa questo con questa condizione e così. E tutto Sono regolamenti su fatti che si possono fare. Qui in vece si sta parlando del desiderio. E il comandamento dice che non dobbiamo desiderare quello che è di un'altra persona. Quindi, qui si sta parlando del cuore, dei sentimenti, dei desideri della persona umana. Ripeto, la legge valuta e giudica i fatti consumati. Come si possono conoscere le intenzioni d'una persona? Come si possono comprovare e come si possono penalizzare, castigare? Possiamo spiegare così: che questo comandamento supera gli altri tre. I primi comandamenti proibiscono gli atti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare. Qui invece siamo a livello di sentimento. Che sono la basse degli altri. Quindi, prima di uccidere, si deve desiderare la morte della persona. Prima di commettere adulterio deve desiderare la persona. Prima di rubare deve desiderare l'oggetto che si vuole rubare. Senza il desiderio gli atti non accadono. Quindi, per arrivare a questi fatti, bisogna prima arrivare a questo desiderio. Prima di arrivare all'azione concreta. Per ciò il decimo comandamento va all'origine di questi peccati.

Prendiamo il fatto dell'adulterio: Mt 5,27. Ché dice Gesù riguardo a tutta la storia dell'adulterio: "Avete sentito dire: non commetterai adulterio con la moglie del tuo prossimo... però Io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore". Quindi vedete, Gesù si mette in questa ottica. L'ottica del desiderio. L'atto consumato e quello che meno importa. Il desiderio e il dinamismo che fa scaturire questi atti.

Allora, io direi che il decimo comandamento non è un comandamento tra gli altri, ma è un comandamento che capovolge tutti gli altri comandamenti e ci da il vero senso della legge. Ci da il vero senso di vivere il vero senso della legge. Non basta con non fare questo, non fare l'altro. Il problema è non desiderare questo, non desiderare l'altro.

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PV questo desiderio sbagliato nel cuore dell'uomo? Ritorniamo a quella storia di sempre. É la fragilità dell'uomo che si lascia dominare da desideri che non sono secondo la legge. La fragilità. Io vorrei citarvi qui una frase del talmud (una opera della letteratura rabbinica) che dice così e che va benissimo per chiudere questo discorso: "L'ultimo dei comandamenti che proibisce il desiderare i beni altrui vale di per se tutti gli altri comandamenti del decalogo". Quindi, non si tratta soltanto di controllare le azioni dell'uomo, regolare le azioni dell'uomo. PV la radice del peccato va sempre nel cuore, nel desiderio. Quindi, il decalogo è molto di più di dieci leggi che regolano i peccati più importanti dell'uomo. Tocca la radice propria del peccato.

Allora, io vorrei fare tre riflessioni conclusive riguardo il decalogo e cossi finiamo il nostro discorso per oggi.1.- I comandamenti come proibizioni: se accettiamo una parte del precetto sul sabato e il comando sui genitori, tutti gli altri comandamenti Sono formulati in negativo: non fare questo, non fare l'altro. Tutti in negativo. E in fatti, questo conferisce al decalogo una totalità evidentemente negativa. Pare che sia ostili non fare, non fare, divieti, divieti e più divieti. Pero paradossalmente, dopo lo studio, l'approfondimento di questo decalogo, ci rendiamo conto che il decalogo non rende schiavo all'uomo, ma che apre davanti a lui un cammino di libertà. Non sono 10 regole che limitano l'uomo ma al contrario.

A me piacerebbe dirlo cossi: che Israele con questo decalogo ha davanti a sé uno spazio creativo dove esprimersi in collegamento con la alleanza. Con lo spirito di libertà delle dieci parole. Quindi, non è una costrizione, una riduzione, una limitazione. L'ottica del decalogo è lo spazio creativo. Dove l'uomo si può muovere vivendo secondo la luce. E forze sarebbe anche bello illustrarlo con le parole di Kongo Shan, uno dei grandi studiosi dell'Antico Testamento in quel famoso libro: "L'uno e l'altro Testamento" pp.66 dice: "La formulazione negativa ha una funzione a sai importanti nei comandi etici. Impedisce la legge di essere mercenaria. No si riceve una ricompensa per il fatto di non avere commesso qualcosa. Dopo tutto, non uccidere non è ne una prestazione, ne un merito. La sublimità divina del decalogo è di non dire in che cosa consiste il bene. Compressa cossi la legge, non essendo una prestazione non può cedere compenso. I divieti lasciano vuoto e libero il posto delle azioni da compiersi all'interno dell'alleanza. E nomina solo quelle che ne fanno uccidere". Quindi, i divieti sono una strategia, non si dice in che cosa consiste il bene, ma si dice quello che non si deve fare. É uno spazio che lascia posto alla creatività in positivo. É una dinamica molto interessante.

2.- Seconda idea è "la legge un cammino di vita e libertà": Io appena avevo detto che si può capire questo decalogo con uno spazio creativo, però non soltanto uno spazio. La legge è anzi tutto un cammino. Anche etimologicamente parlando, Torah viene da un verbo "iarà" che vuol dire "insegnare", "istruire". Vuol dire che l'istruzione, l'educazione è sempre un cammino da percorrere. La legge viene intessa secondo il decalogo come un cammino che porta ad una libertà. Non solo con libertà, ma anche la legge conduce alla vita e a godere del dono di Dio. Possiamo dire che la legge è un cammino iniziale di all'alleanza. Ricordiamo il testo che abbiamo appena letto: "Che il tuo schiavo, la tua schiava si riposino come te", quindi libertà. "Perché la tua vita sia lunga e tu sia felice nel paese che il Signore tuo Dio ti da". Quindi, la legge non è da considerare come una somma di precetti. La legge è una istruzione sul rapporto tra Dio e l'uomo. La legge indica un

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atteggiamento, una linea di comportamento. La legge indica una ruta, un cammino, che conduce alla vita e alla felicità.

Cosa sta nel cuore del decalogo? Io direi che c'è il concetto di libertà.La prima sezione parlava subito di libertà: il Dio che ha liberato dal Egitto a

Israele. Altri comandamenti insistono sul dono della vita, abbiamo visto per esempio come

i genitori. La vita sarebbe il secondo elemento più d'accordo con la libertà. Io direi che vita e

libertà sono i doni che Israele riceve al uscire dall'Egitto.Così le dieci parole aprono un cammino perché Israele possa assumere liberamente

i doni ricevuti e godere in pienezza della nuova situazione. Per ultimo, le dieci parole hanno anche una dimensione teofanica molto

importante. Do accenno a questo. Le dieci parole non sono soltanto la rivelazione di un Dio che ama il suo popolo apertamente. Ma la rivelazione di Dio che si nasconde dietro di una serie di comandamenti che sono negativi e che a prima vista risultano poco attraenti come abbiamo visto.

Perché Dio sceglie questa maniera di rivelarsi? PV si nasconde Dio dietro questi comandamenti formulati in negativo? Perché è la sua maniera di manifestarsi a gli uomini. Ricordate cosa faceva nel deserto. Dove si nascondeva Dio? nella nube, nella colonna di fuoco. La sua presenza era sempre velata, era sempre nascosta. PV? Io spiego C: perché questa è la strategia della logica di Dio. Dio è un buon pedagogo che sa come manifestarsi all'uomo. E tante volte preferisce nascondersi ed apparire nel momento giusto. Ed è lo stesso che farà la Sapienza nei libri successivi.

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IL PROFETA ELIA

Vorrei incominciare questo tema, mostrandovi un articolo in spagnolo. L'articolo si chiama "Argelia, interpretados por la violencia", articolo scritto dal vescovo di Constantina e Hipona (Argentina) Mons. Gabriel Piroird.

Comincia commentando la nostra pericope. Prima fa una lettura biblica esegetica e poi passa alla seconda parte al dramma che stanno vivendo in questo paese. Quindi, evidentemente non è un articolo strettamente esegetico ma è importante come la parola di Dio può illuminare e può dare risposta a una situazione attuale. Anche perché tratta i punti che noi faremmo oggi. Elia nel Oreb, la vigna di Nabot, il destino del profeta. Quindi la prima parte è un approccio biblico sulla violenza su questo tema e poi nella seconda parte le strutture di violenze in genere.

I PROFETI DIFENSORI DELL'ALLEANZA

E comincerei dicendo che nella storia d'Israele i profeti sempre hanno lottato per difendere l'alleanza e tutte le esigenze che la alleanza comporta. I profeti sono stati difensori della legge intessa come espressione del patto d'amore di Dio con il suo popolo. Questo è per tutti i profeti. Direi che i profeti non sono stati dei contestatari o dei riveli che hanno voluto controllare la situazione d'Israele. Se i profeti hanno protestato contro le situazioni di Israele avevano buone ragioni per farlo. Perché le istituzioni sociali, politiche, religiose di per sé sappiamo che hanno un buon fine, buon scopo. Sono diventate contro il popolo. Però tante volte li uomini li utilizzano per fini perversi che non hanno niente da vedere con la libertà di diritti, la alleanza, la giustizia fra i popoli. Allora, per ciò i profeti hanno gridato, hanno alzato la voce per smascherare gli inganni, per denunciare le ingiustizie. Per portare al popolo alla correzione del cuore. Per proteggere i poveri e i più indefessi della società. Per garantire i valori autentici, quei valori che portano alla vita e non alla morte. Io creo che questo può essere un breve riassunto per lo scopo della missione profetica in genere.

Voglio illustrare queste idee con la storia di un profeta che appartiene a quel gruppo di profeti che noi chiamiamo anteriori, che sono quei profeti che si trovano nei libri storici della Bibbia o quelli che si chiamano oggi la storia deuteronomista.

Quindi, dal periodo che va della conquista della terra di Canna, con Giosuè, fino alla vita di Gerusalemme con il libro dei Re. Tutto questo periodo si chiama la storia deuteronomista.

E tutti i profeti che li appaiono, sonno profeti che non hanno scritto nulla, non abbiamo nessun libro di questi profeti, niente. Soltanto appaiono inseriti in questi racconti dei libri cossi detti storici. Ricordiamo alcuni come: Samuele, GATT, Nata, Eliseo. Tutti questi non hanno scritto perché sono profeti anteriori.

Allora, io scelgo il profeta ELIA:

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Perché Elia fu un uomo di grande personalità e fu molto apprezzato dal popolo che salvò Israele da un pericolo abbastanza importante. Elia difese il Yahvismo in un momento critico della storia d'Israele.

Possiamo situarlo tra il 874- 853 a.C.Questo Elia sviluppa la sua attività durante il regno del re:ACAB (874-853)ACAZIA (853-852) Nel regno del nord, quindi d'Israele.

Elia era un tipo di profeti itineranti, quindi senza vincolazioni con santuario e senza una vincolazione diretta con la corte del re. Il profeta Elia appare quando uno meno lo aspetta. Come vediamo nel libro dei Re, le sue apparizioni sono incredibile. Quando lo cercano nono si trova, quando vogliono trovarlo non appare. Sempre di una presenza un tanto misteriosa. E questo Elia è stato paragonato con il grande Mosè. Si vede in lui un nuovo MC.

PV Elia fugge al deserto come ha fatto MC. Poi Elia anche si rifugia in un paesi straniero come fecce anche MC. Poi Elia compi dei segni e dei prodigi come anche fecce MC. Poi anche Elia fecce un viaggio al Orbe, al Sinai, come fecce anche MC. Elia sparisce della Transgiordania come fecce anche MC. Quindi ci sonno tanti punti di aggancio tra le due storie tra i due profeti. Senz'altro questa somiglianza che io accenno è stata voluta dai narratori. Lo sapeva che stava facendo questo paragone.

Se MC fu il fondatore della religione Yahvista, Elia sarà il suo grande difensore nei momenti di pericolo. Abbiamo detto che Elia non ha vincolazioni con alcun santuario ed è vero ma ne anche con la corte del re. Elia si stacca dalla corte per avvicinarsi al popolo. E questo è un punto molto significativo della sua azione profetica. PV in questo movimento di profeti anteriori, c'erano alcuni, i primi, che venivano attaccati dalla corte, dipendevano direttamente dal re. Poi è stato come uno sviluppo ed è stato come un'altra corrente, diciamo così in un'altra maniera, ed è stato Elia ed Eliseo che si sono staccati della corte proprio per stare vicini al popolo. Quindi questo è Elia e i suoi rappresentanti. Sappiamo che Elia no ha mai entrato nel palazzo del re ACAB e quanto riguarda l'altro re ACAZIA possiamo dire lo stesso. Elia si presenterà davanti al re per propria iniziativa per annunziarli la morte (2Re 1,).

Il re ACAZIA, dice che era caduto della finestra del piano superiore ed è rimasto colpito, ferito, e allora il re ACAZIA, invoca gli altri dei e Dio invia il profeta Elia, per dirli che perché invocare altri dei se qui in Israele tu hai già il tuo Dio. E allora per questo morirai.

Però il profeta Elia va a trovare il re per propria iniziativa quando lui vuole, quando sta alla fine della sua vita. Prima, non lo ha mai fatto. Ricordiamo anche che ci troviamo nel regno del nord, in Israele. Separato del regno del sud, per tanti motivi, politici, religiosi, sociali. Accenniamo alcuni dei punti principali di questa divisione, la politica del re ACAB e quella del suo predecessore che era stato come re, OMRI.

Quale è il punto criticabile da parte da Elia? La alleanza che questi re fecero con Tiro e Sidone. Popoli stranieri, la Fenicia. Allora questa alleanza con Tiro e Sidone, la Fenicia, con gli stranieri, provocò una grandissima diffusione della religione cananea. Questo fu un grande problema per il regno del nord, perché sempre è stato segnato con questo peccato.

Allora gli Israeliti si abituarono ad adorare Yahveh Dio di Israele e Baal che era il grande dio dei cananei. Però si abituarono ad adorare i due contemporaneamente e questo

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fu il grande problema, che ha dato origine a questo che noi chiamiamo SINCRETISMO RELIGIOSO che non è prendere in affitto in favore di un Dio o di un altro e intrecciare ambe e due. Sia Baal sia Yahveh. Diciamo che il sincretismo religioso era già nato prima di questa epoca. E si volete comprovarlo, potete prendere il libro dei Giudici 6,25ss con la storia di Gedeone. Lì si vedono già tracce di questo sincretismo però nell'epoca di Elia, quindi, secolo IX prima di Cristo, fu l'epoca in qui questo sincretismo religioso ha questo livello pericoloso per li Israeliti.

Allora Elia apre una missino importante ed è proprio questa: difendere il Yahvismo da questo influsso del baalismo che era entrato in Israele.

Allora, i successori di Elia, che era senz'altro il leader di questo movimento profetico, vivevano insieme sempre in tipo di comunità itineranti e non avevano un posto fisso.

Allora i discepoli hanno raccontato la storia di Elia dopo che Elia fu salito al cielo. Questa è la tradizione del profeta Elia che fu rapito. Allora, li studiosi che si dedicano a questi libri parlano del ciclo di Elia o anche dei cicli di Elia. Questa è la terminologia scientifica. E possiamo segnare i testi:

1.- 1Re 17-18 L'annunzio e la fine della cecità2.- 1Re 19 Elia sull'Oreb3.- 1Re 21 La vigna di Nabot4.- 2Re 1 La morte del re ACAZIA.

Qui si narra tutta la storia, tutte le avventure di questo profeta. Queste sono le pericope, cicli che raccontano la vita di Elia.

All'epoca di Elia, il problema più grave da combattere, era senza dubbio il problema del baalismo. Una religione che aveva sedotto il cuore di Israele. Ma possiamo domandarci:Cosa era il baalismo? Perché era così attraenti per il popolo d'Israele, perché il popolo di Israele si sentisse così attratto da essa? Sappiamo che il baalismo è una variate cananea delle così dette religioni della fecondità. Le religioni della fecondità sono caratteristiche del bacino del mediterraneo. Il nostro sitz in leben.

E cosa è una religione della fecondità? É una religione la qui funzione essenziale è quella di raggiungere la fecondità della terra e dal bestiame. E si capisce molto bene che questa religione abbia avuto tanto successo in Palestina. PV in Palestina, la cecità era il problema numero uno per il popolo. Per ciò anche Elia toccherà questo punto. Sappiamo, che lo state è molto dura. Da aprile ad ottobre non piove, e sono molti messi in qui la cecità è terribile. Si deve prevedere per la agricoltura. Senza le piogge di autunno, se non arrivano ad ottobre, allora è drammatica la situazione, perché si rovina tutto il ciclo vitale. Quindi è chiaro che la pioggia è necessaria è indispensabile in Palestina. E questa situazione si capisce perfettamente PV i cananei abbiano adorato a Baal. PV Baal era il dio della pioggia, il dio della tempesta, era il dio che rendeva la terra fertile e fruttifera. Allora è molto comprensibile che gli Israeliti, che erano agricoltori e pastori si siano sentiti molto attirati da questa religione baalista. Ricordiamo, solo per fare accenno quanto fecce il re ACAB, sappiamo nel 1Re 16,31-32 che si era si era spossato con Gesabet che era figlia del re di Tiro, della Fenicia, e sappiamo che lui era sacerdote di Baal. E che aveva fatto costruire in Samaria capitale del regno del nord un tempio dedicato a Baal. Quindi, l'influsso veniva dall'autorità.

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Chi era questo Baal? Baal in ebraico significa signore, padrone, proprietario e anche sposso. Con lo stesso nome del dio.

E i fedeli cananei lo invocavano per ottenere la fecondità della terra e il cibo necessario per vivere. Sappiamo che a Baal, venivano offerte grandi quantità di cibo affinché lui fosse contento e continuasse a fertilizzare la terra con molto frutto.

La religione consisteva in una specie di commercio tra i fedeli e il dio come abbiamo anche altri dei in altre religioni. Quindi, io ti do affinché tu mi dia. E non solo, perche la religione di Baal era la religione del bisogno. Il fedele si avvicina a Baal PV ha bisogno di mangiare. Ha bisogno de sopravvivere. E pensa ed è convinto che Baal possa soddisfare questo desiderio. Forze c'è qualche autore che dice che si può parlare anche della religione della paura, non soltanto del bisogno, ma anche della paura. Perche il fedele ha paura di non avere il cibo necessario per vivere. Ha paura della morte e ora pensa che la potenza di Baal al meno può tranquillizzarla e può permetterli una certa pace. Quindi, il fedele si confida al dio Baal PV è il dio più potente, più terribile e il dio più efficace. Per lui è il dio della pioggia e della tempesta. Quindi, era un dio onnipotente senza limiti un dio affascinante, un dio rassicurante. Il fatto è che il baalismo trionfa in Israele di una maniera totale. Ed Elia vuole crollare la religione d'Israele. Questo è il problema. Una religione completamente diversa, PV nello Yahvismo il fedele Israelita, si accosta a Dio non per soddisfare i bisogni o per colmare mancanze o per distruggere le paure. Il motivo per cui il Israelita si avvicina a Dio è per rendere grazie a Dio per la liberazione dell'Egitto, per la redenzione, per essere un popolo eletto, ecc. La motivazione dell'Israelita è rendere grazie a dio per tutto quello che Dio ha fatto per noi. Ci possono essere sempre altri motivi secondari, però il Yahvismo è tra le religioni del Dio onnipotente che ama il popolo e il popolo in contro cambio ringrazia Dio. Allora, tutta la potenza del Dio di Yahveh è indirizzata al suo popolo. Dio sempre, sappiamo, ha agito in favore del Dio di Yahveh.

Facciamo un altro passo. Acanto al Dio di Yahveh c'è in questo momento in Israele un'altra persona, un'altra figura che gode un'altra o una certa onnipotenza. E quello è il re. Prima no avevano re, ma adesso siamo nella monarchia. Quindi in Israele era l'astuto. Non sostituiva mai a Dio, però il re era la persona più rispettata, più potente, con più autorità in Israele. Il re è tenuto a rispettare il Yahvismo, è tenuto a rispettare la tradizione d'Israele, i valore che ha il popolo e il re è tenuto a rispettare tutte le persone che sono sotto il suo potere. Secondo la tradizione d'Israele il re non può credersi onnipotente come Dio, con diritto su tutti e su tutto. Questo si poteva dare in altre nazioni come per esempio l'Egitto, dove il faraone era dio. Qui no.

Allora, Elia, si propone il seguente:difendere la religione di Yahveh contro questo influsso del baalismo e difendere il

popolo vittima del potere assoluto di un re, (in questo caso ACAB e ACAZIA) di un re che sotto l'influsso del baalismo pensa di essere onnipotente.

Diciamo che Elia vuole smascherare questa falsa onnipotenza del re ACAB che ha peccato con il baalismo. Un esempio è questo che abbiamo appena accennato ed è la storia della vigna di NABOT.

La storia della vigna di NABOT una storia che tutti conosciamo ed è stupenda 1Re 21: sappiamo che questo Nabot aveva una vigna a canto al palazzo del re ACAB. Questo era il problema, che la vigna era a canto alla casa del re ACAB. Il re ACAB si innamora di quella vigna, la vuole avere nel suo territorio e gli e la chiede. E Nabot cosa dice? che non si la può dare, non lo può fare niente, perché secondo la legge d'Israele questa vigna deve

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passare ai suoi figli, ai suoi discendenti. Il re ACAB si arrabbia e la sua moglie GESABELE decide di risolvere la questione in favore del suo marito. E sappiamo tutta la storia, tutta travagliata. E questa regina invia lettere ai cappi d'Israele, ingannandoli, dicendo che devono sentenziare a NABOT, perché ha maledetto il re e ha maledetto Dio. Loro credono queste parole e ammazzano a NABOT. E così finisce la storia, il re può raggiungere questa vigna. E lì entra immediatamente il profeta Elia per denunciare questa punizione.

Allora, questa difesa che farà Elia, illustra perfettamente questo che abbiamo detto. Che Elia, vuole difendere il popolo non soltanto dell'influsso diretto della religione baalista ma anche dal potere del re che sotto di questo influsso del baalismo agisce contro la giustizia del popolo. Quindi un abuso di potere. E questa è una nota caratteristica di tutto il movimento profetico d'Israele, che è la difesa dei poveri, la difesa degli oppressi, la difesa di tutti quelli che soffrono sotto il potere ingiusto.

Andiamo all'ultimo punto prima di incominciare con il nostro testo.

Vedette più da vicino questa lotta contro il baalismo. Sappiamo che Elia aveva una forte personalità e davanti a questo atteggiamento del re ACAB a favore del dio Baal alzò la voce per propria iniziativa. E questo è un dato di prendere in considerazione. PV se noi vediamo questi testi in nessuna parte viene detto che Dio abbia chiesto il profeta Elia di enunciare ad ACAB la sua morte. In nessuna parte troverete una missione affidata al profeta Elia da parte di Dio. Una cosa molto estranea. I testi ci mostrano che Elia ha agito per propria volontà, per propria iniziativa. Quale è la prima cosa che fa il profeta? É alzare la voce e decretare un terribile castigo per Israele, la famosa siccità che durerà tre anni.1Re 17,1: Quindi proprio all'inizio del ciclo di Elia. Come incomincia? dice così il testo: "per la vita del Signore Dio d'Israele alla qui presenza io sto, in questi anni non ci sarà ne rugiada, ne pioggia se non quando lo dirò io". Questo lo dice lui, ma non sappiamo se Dio glielo ha detto, o se lo ha inventato. Non si sa. Quindi, decretare la siccità vuol dire decretare la fame e la morte per il popolo. Ripeto, il problema morale del popolo di Palestina.

Allora, con questa decisione, il profeta Elia fa una strategia. PV mette a confronto a Baal d'una parte e a Yahveh dall'altra. Che sono i due dei che lottano in questo sincretismo religioso. Lui li mette faccia a faccia. Guardate come è molto fina la strategia. PV Baal è il dio che fa piovere, e adesso Yahveh è il Dio che ferma la pioggia. Adesso la situazione è già stabilita. Si vede subito che ci sarà un confronto terribile. Però Yahveh è il Dio di Israele, non Baal. Quindi la situazione è tutta preparata. Ed è stata l'iniziativa di Elia a fornire questa situazione.

Io direi così: che ci troviamo davanti a una lotta di poteri: prima fra due dei, due divinità, Baal e Yahveh. Però dietro a queste due figure, ci sono gli stranieri, i pagani, Fenicia e c'è Israele. Quindi questi dei rappresentano qualcosa di dio.

C'è una lotta di potere di altri due personaggi, Elia il profeta e il re ACAB. Che poi ci sarà una lotta a morire fra i due e poi con Gesabele anche. Quindi Elia d'una parte che difende Yahveh e dall'altra ACAB che difende Baal. Chi pagherà le conseguenze di questa lotta di potere? Guardate come capita pure oggi. Chi pagherà? Il popolo. Il semplice popolo che dovrà soffrire una carestia che sappiamo sarà di tre anni. 1Re 18,1. Viene detto proprio questo, tre anni di carestia.

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Quindi, la narrazione salta questi tre anni. Se voi seguite bene questi tre capitoli. Dice che il popolo soffrirà tre anni di carestia e questi tre anni in un attimo svaniscono. E poi vediamo cosa è fronteggiato dopo questi tre anni. Passati questi tre anni allora si interviene Dio per prima volta. Dio ordina a Elia di andare a trovare il re ACAB. Dio si stanca della situazione e adesso si dice a Elia di andare a parlare con lui. Così lo fa il profeta, però il profeta di nuovo prende anche una iniziativa personale di quello che Dio non li ha detto. Dio li dice di andare a trovare il re ACAB, però Dio non li dice niente di organizzare tutta la storia che lui organizza sul monte Carmelo. Quella sfida con tutti quelli profeti che poi vedremo. Dio non lo fa fare questo. Quindi, Elia interpreta il messaggio di Dio e prende questa iniziativa.

Cosa li ha detto Dio soltanto? di andare a trovare il re per dirli che la pioggia stava per venire, che la cecità era finita. Elia, okay va a travagliata ma il messaggio si complica molto di più.

Allora facciamoci questa domanda: PV questa reazione di Elia? PV questo protagonismo di Elia? che obbedisce il Signore, ma obbedisce a modo suo. Ho trovato una espressione che mi è piaciuto di Andrè Wénin. Che tratta su questo testo e si fa proprio questa domanda: che PV Elia non ha fatto quello che Dio li aveva ordinato? PV ha fatto di più, PV ha avuto questa strana e originale iniziativa di organizzare sfida con i 150 profeti e lui. Allora dice testualmente: "PV Elia vuole dimostrare che Yahveh è il super Baal." Quindi, se Baal è potente, lui dice si, ma adesso vedrai, io ti dimostrerò un altro che ancora è più potente di Baal. D come si lascia intravedere questa lotta di poteri. Quindi suscitare sempre questi confronti per dimostrare chi è il più grandi di chi. Quindi, non sappiamo PV l ha fatto Elia, però di fatto la reazione che adesso vedremo nel testo conferma abbastanza questa intuizione che si può comprovare.

Adesso prendiamo il testo e facciamo uno schema e poi già lo studiamo. É uno schema molto semplice è soltanto per avere una linea e potere seguire bene il testo:

1Re 18,20-46 (4 parti)1.- vv 20-24: la sfida (che il profeta Elia lancia al popolo). Quindi i due personaggi principali sono Elia e il popolo.2.- vv. 25-29: l'azione profetica dei sacerdoti di (Baal).3.-vv. 30-40: l'azione profetica di (Elia).4.- vv. 41-46: Conclusione (del racconto con la pioggia).

Sonno le 4 scene. E al centro del racconto, ci sono le due azioni profetiche che si oppongono. E tutto il racconto va in funzione di questa lotta fra quello che fanno i profeti di Baal e quello che fa Elia. Il dio Baal e Yahveh. I popoli stranieri, cananei, fenici e Israele. E poi la narrazione, il racconto finisce in positivo. Perché la sfida che Elia ha fatto all'inizio si compie positivamente, riesce a far cadere la pioggia. É un tipico racconto.

Allora, riprendiamo questo schema e incominciamo con:vv. 20-24: Acab convocò tutti gli Israeliti e radunò i profeti nel monte carmelo. Elia si accosto a tutto il popolo e disse: "fino a quando zoppicherete con i due

piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!".Il popolo non rispose nulla e Elia disse al popolo: <<Sono rimasto solo come

profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Dateci due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi

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il fuoco. Io preparerò l'altro giovenco e lo porro sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Voi invocherete il nome del vostro dio e io invocherò quello del Signore. La divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio!>>. Tutto il popolo rispose: << La proposta è buona!>>.

La prima ironia è questa, che il re ACAB ubbidisce il comando di Elia. Questa è la prima ironia. Elia li disse: tu raduna tutti i profeti di Baal, i quattrocentocinquanta profeti e tutto il popolo di Israele. Questo è il primo dato: l'ubbidienza del re al profeta di Yahveh.

Immediatamente vediamo che Elia rivolge la parola al popolo. E qui c'è anche un gioco che dobbiamo vedere. Con chi parla Elia? Il primo destinatario è il popolo. E il messaggio è di accusa, di condanna. Denuncia la condotta del popolo. Però vediamo che Elia non critica il fatto di sostituire Dio con Baal. Questo non lo critica, ma denuncia il fatto di combaciare i due culti. Quindi, quando conviene si rende culto a Yahveh e quando conviene si rende culto a Baal. E questa è la frase che ha fatto tante polemiche per sostituire il verbo che si utilizza. Ma lui dice: fino a quando zoppicherete con i due piedi? Così traduce la CEI, ma normalmente non si zoppica con i due piedi. Se si zoppica si fa con uno, perché è questo il fatto di zoppicare. O si cammina o si zoppica ma non con i due. Anche qui i filologi mettono dietro un significato.

Il senso della frase è molto chiaro. E non si può camminare con un piedi qui e uno là, non si può camminare su due sentieri allo stesso tempo. E qui io ci vedo questa allusione, questo riferimento a un testo che vedremo prossimamente su Siracide 2,12: in un contesto completamente differente che non ha niente a che vedere dice al saggio: guai al peccatore che cammina su due sentieri". Ripeto, il contesto è diverso, perché lì i due sentieri possono essere l'ellenismo e il giudaismo. Ricordate che è l'epoca ellenistica. Però guardate che è molto curioso il fatto che si rassomiglia molto la frase: "guai al peccatore che cammina su due strade" il senso è lo stesso. Non si può camminare con un piede a destra e l'altro a sinistra.

Allora, qui, il senso è chiaro non si possono unire due realtà che di per sé non sono conciliabili. Baal è Baal e Yahveh è Yahveh. Non si possono prendere ambi e due allo stesso tempo. Quindi, Elia vuole che il popolo scelga, prenda posizione. Ci sono due alternative ed Elia vuole che il popolo si decida. Una o l'altra. Guardate il testo: "se il Signore è Dio seguitelo! Se invece è Baal, seguite Baal." O uno o l'altro. Questo è importante.

Un altro elemento di questa denuncia di Elia. É chiaro che i due non possono essere Dio allo stesso tempo. Secondo la mentalità di Israele. Perché di Dio soltanto c'è n'è uno. Questo non lo dice il testo però noi lo sappiamo. Quindi, scegliete o Yahveh o Baal. Però pensate che c'è n'è uno che è Dio, l'altro non lo è. Perché? perché se ci sono due dei, allora, vuol dire che nessuno dei due è Dio. Perché non possono essere due divinità allo stesso tempo. Dio è assoluto e questo deve essere sottolineato che Elia vuole anche dare. É il messaggio subliminale. Quindi, non si può condividere la divinità, essere Dio è qualcosa di discorsivo. E Dio non vuole dei sostituti secondo le circostanze. Adesso ci va bene che ci sia Baal, allora invochiamo Baal, poi ci sarà un altro. Quindi, il messaggio di Elia, è molto più profondo va molto più in là, di quello che il testo evidentemente ci sta dicendo. La denuncia di Elia, credo che sia chiara.

Come risponde il popolo, cosa risponde il popolo? Alla prima domanda, guardate il versetto 21: "il popolo non li risponde nulla". La

grande accusa e il popolo non dice nulla. Allora, quale è la reazione di Elia? davanti a

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questo silenzio? Okay, voi non prendete posizione allora facciamo una sfida. Allora, Elia fa questa proposta, li propone questa sfida, giocare con questi quattrocentocinquanta profeti di Baal. E la sfida gira attorno a un elemento molto importante per la letteratura biblica, il fuoco. La sfida è proclamata sul fuoco. PV le due divinità si confrontano però sempre attorno a questo fuoco che se devono accendere. Di solito il fuoco è collegato a Yahveh. Di solito, nella Bibbia il fuoco spreme una teofania di Dio. Ricordiamo Mosè con il roveto ardente, ricordiamo per esempio il fuoco quando parlano i salmi. Di solito nella Bibbia il fuoco rappresenta la presenza di Dio. Ci sono altri significati, per esempio nella letteratura sapienziale che appaiono tante metafore sul fuoco e non si riferiscono a Dio ma si riferiscono alle passioni dell'uomo. Il fuoco che robbia il cuore dell'uomo, che mangia, che brucia, ecc. Però diciamo che nella Torah il fuoco rappresenta la presenza di Dio. Il fuoco però non si può prendere, non si può toccare, è cambiante e non permette di fare delle figure precise, perche il fuoco non ha forma. Per ciò è la manifestazione privilegiata di Dio. Perche sappiamo che la verità non si può ne anche nominare, ne anche scrivere ne anche rappresentare. Quindi il fuoco è la miglior immagine per rappresentare Yahveh. Però d'altra parte il fuoco anche ha queste connotazioni di distruzione di divorare, di rovinare tutto quello che tocca.

Allora è interessante che il profeta Elia abbia pensato fare questa sfida, giocando come un elemento che in principio è già in favore di Yahveh.

Che fa il popolo davanti alla proposta di Elia? Allora si, il popolo risponde: "la proposta è buona". Quindi una minimità totale. Ora è interessante notare il movimento che c'è tra i personaggi. C'è un movimento di avvicinamento. Avvicinamento di Elia verso il popolo, dal popolo verso Elia e da Elia verso il popolo.

Guardate in ebraico il verbo ladash= che è il verbo avvicinarsi.Allora v. 21. v.30 e v. 36. PV è importante questo verbo avvicinarsi? PV indica la

funzione mediatrice del profeta e avvicinarsi indica non essere il punto di riferimento. Uno si avvicina verso qualcuno, verso qualcosa. Avvicinarsi, indica che è un altro il punto di riferimento. Allora, questa funzione mediatrice del profeta è chiara. Mediatrice tra il popolo e Dio. E questo Dio solo viene rappresentato nell'altare. Il popolo si avvicina al profeta, il profeta si avvicina al popolo e il profeta si avvicina all'altare di Dio.

E questo ci ricorda anche a MC. Che faceva MC sul Sinai? Lo stesso. Avvicinarsi al popolo, però poi si avvicinava a Yahveh e saliva e scendeva dal monte Sinai continuamente. C'era questo movimento. Anche MC è presentato come il mediatore per eccellenza.

Allora, vediamo come si svolge la sfida di Elia:É chiaro, abbiamo detto prima che questa sfida non è un gioco, perché pensano alcuni che è un gioco. Ma questa sfida è una lotta di potere fra Baal e Yahveh, tra Elia e Acab.

Allora passiamo al vv. 25-29 per vedere l'azione profetica di questi sacerdoti di Baal. Questi fanno come Elia ha detto. Tutti ubbidiscono Elia. A cominciare dal re Acab, fino all'ultimo della scena per adesso. Allora, lui dice fate questo e li ci vanno, invocano dice il testo a Baal dal mattino a mezzo giorno senza ricevere risposta dal loro dio. Quindi, se voi fatte un elenco dei personaggi e analizzante quali parlano e quali non parlano? Potete vedere che è già determinato, Baal non parla, non dice nulla, silenzio totale, non si esprime ne anche per dire, sono con voi, niente, silenzio totale.

Come era la preghiera di questi profeti? Sappiamo dal testo che saltano, gridano, danzano e poi si fanno incisioni sul corpo e sanguinano. C'è il rito del sangue. Quindi,

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invocano il loro dio attraverso l'estasi. Questo significa che possono entrare in contatto con Baal attraverso i loro volti. cosa significa? attraverso loro stessi. Quindi, il contatto, il rapporto lo voglio stabilire a partire di loro. Queste manifestazioni corporali, gestioni, dovrebbero provocare per forza una risposta di Baal. Però Baal, pare che non sente, non vede nulla di quello che hanno.

Allora, questo è importante, molti dettagli del testo, e tutti i dettagli vedete che fanno riferimento alla gestualità. Questo che abbiamo detto tante volte: saltare, danzare, far queste incisioni sul corpo. Quindi, questo anche visto dai psicanalisti dal loro punto di vista del testo e veramente presentano uno stato di pressione, di paranoia totale. Questo stato di agitazione è un silenzio totale da parte del dio Baal. Quindi, gestualità, risposta, silenzio, niente altro.

Subito nel v.30: vediamo C cosa fa Elia. La seconda parte di questa sfida. Allora, Elia dice il testo: "costruì un altare con dodici pietre" che rappresentano i dodici figli di Giacobbe, quindi la tradizione. "Scavò intorno un canaletto, dispose la legna, squartò il giovenco, lo posse sulla legna e per tre volte fecce versare quattro brocche di acqua sull'olocausto e sulla legna". Cossi da rendere più evidente l'azione di Dio. Che doveva accendere il fuoco sul bagnato. Paragonate quello che hanno fatto i profeti di Baal e quello che ha fatto Elia. Loro soltanto si sono mossi. Hanno fatto delle espressioni. Cosa fa Elia? Realizza delle azioni con le loro mani. Cose concrete, costruire, scavare, disporre la legna, poi squartare il giovenco, quindi fa tutti i passi tipici di un sacrificio per offrire a Dio.

Allora, il narratore, qui ci racconta tutti i dettagli e i movimenti di Elia. Però quello che è più importante è quello che segue. Questa preparazione. Ed Egli fa una cosa che non hanno fatto gli altri. Fa una lunga preghiera. Invocando Dio attraverso la storia d'Israele. Possiamo leggere perché è il punto chiave del testo vv. 36-37: "Al momento dell'offerta si avvicinò il profeta Elia e disse: <<Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi, Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!>>." Questa è la preghiera del nostro profeta.

Allora, Elia a differenza dei profeti di Baal non fa riferimento a se stesso, non parla di lui, non fa nessun gesto in favore di lui e tutte le sue azioni non hanno a che vedere con lui. Lui fa, mette questo sull'altare, mette l'altro, ma non hanno niente a che vedere al suo conto.

C fa Elia? si riferisce, si rivolge al Dio che li da la vita a lui e al suo popolo. Quindi, invoca questo Dio mediante una preghiera che è piena di riferimento alla storia del popolo d'Israele. Avete ascoltato la preghiera.

Le tribù d'Israele, i patriarchi, Abramo, Isacco, Giacobbe. Quindi, il punto da sottolineare un questa preghiera quale è? l'aggancio di questo Dio, di Yahveh con la storia del popolo d'Israele. É chiara l'intenzionalità di Elia. Vuole ricordare al popolo la alleanza che ha con questo Dio. Come può cambiarlo subito con Baal che non ha niente da vedere con il popolo. Come può identificare il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe? Questa è l'intenzionalità pedagogica di Elia. Quindi, ripeto, nessun riferimento a se stesso, come uomo di Dio, come profeta, come mediatore. Qui non entra nella preghiera. Elia non fa appello a meriti personali ma al Dio d'Israele e alle grande figure del passato. L'unica cosa che dice è che "Io sono il tuo servo e ho fatto tutte queste cose per tuo comando". Questa è

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un'altra ironia del testo. Quando sappiamo che tutte le iniziative che lui prende sono in certa maniera dagli ordini di Dio.

Ecco, allora, Elia è l'unica persona che parla. I profeti gridano, danzano, ecc. Baal, niente, tace. Il popolo, niente di niente, soltanto ha accettato quella sfida, dopo non dice nulla e dopo soltanto parlerà alla fine. Quando tutto sarà risolto in positivo. Allora si. Siamo con te, con Dio, con tutto quanto. Guardate il gioco, soltanto alla fine. Il popolo deve vedere prima di confessare, prima di dire, io sono con Yahveh. Però, prima deve vedere.

v. 39: cosa dice il popolo? Il Signore è Dio. Alla fine riconoscono chi è il loro Dio. Ho detto che Elia è l'unico che parla. Con chi parla Elia? Prima di tutto ha parlato

con il re Acab. Poi ha parlato con il popolo, poi ha parlato con i profeti di Baal, dicendo cosa dovevano fare, poi ha parlato con Dio, ha invocato una preghiera. Poi, parla di nuovo al popolo, con il re Acab un'altra volta e l'ultima persona è il suo ragazzo, quello che lo aiuta. Molto importante è che Elia è colui che parla con tutti i personaggi del nostro racconto. É certo, perché lui è il profeta e il profeta è la persona della parola, è il suo mestiere. Il suo mestiere è parlare, fare d'intercessore.

Un'altra nota melodica che possiamo aggiungere al nostro elenco è la maniera con cui Elia si rivolge ai profeti di Baal, mentre essi saltano li a torno all'altare, disse Elia: "gridate con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue". Elia si beffa di Baal, e lo descrive come un Dio che non si preoccupa dei suoi fedeli. Non li ascolta, è chiaro, ma li abbandona.

Cosa c'è dietro questa ironia? Un dio che agisce cossi non può essere un Dio. É un'altra cosa però non è un Dio. Elia tenta con tutti i mezzi di smascherare Baal, ci prova con tutti li elementi che può. Smascherare questo inganno. Baal, sarà un idolo, quello che volete, però non può essere un vero Dio, perché nono ha cura del popolo.

Diciamo che se prima Elia prova di smascherare Baal mediante l'ironia, il problema viene alla fine del racconto. Ed è u problema che non possiamo risolvere, perché alla fine del racconto Elia prova di smascherare Baal riesce attraverso un'azione violenta. E questo è u peccato d'interrogativi nel nostro mondo di oggi, e nella nostra maniera di trattare di spiegare la Bibbia. Elia risolve la questione attraverso l'assassinato, attraverso la morte e una morte violenta. Questo è un grande problema.

vv. 40: PV cossi finisce l'azione di Elia: "Elia fecce scendere i profeti di Baal, nel torrente Kison, ove li scannò". Uccise tutti.

Allora la domanda esiste. E la gente fa questa domanda: PV uccidere questi profeti? non si poteva trovare un'altra soluzione? PV la morte violenta contro questi profeti di Baal?

E ora noi dobbiamo spiegare che la Parola di Dio è un'opera letteraria e che tutto quello che è scritto li ha anche uno scopo, una intenzione che viene da parte dell'intenzione dell'autore. Perché non possiamo mai difendere la violenza. Ne anche Dio la difende, ma invece qui appare parecchie volte favorevole a questa violenza. Allora dovremo spiegare così, che forse la morte di questi profeti di Baal è un modo di visualizzare che non c'è vita ne inganno. Quindi vivere secondo questi idoli, conduce alla morte. E seguire Baal è un destino de morte che ha assicurato all'inizio. Quindi è una illustrazione, una visualizzazione. Ai nostri occhi, esagerata, terribile, desumana. Però a quel tempo si capiva

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benissimo ed Elia vuol fare splendere il trionfo della verità, della vita di Yahveh sul male degli uomini che hanno fatto un dio alla loro misura. Ripeto, Elia vuole smascherare l'inganno, questa è la sua preoccupazione. Vuole che il popolo capisca che Baal non è un Dio. É un idolo, è un'altra cosa ma un Dio no.

Quale è il risultato secondo il nostro testo? Il popolo dice, si converte e i profeti sono assassinati. Diciamo che Elia è riuscito ad ottenere quello che egli voleva. Questo è vero, in una maniera forze dubbiosa ma è riuscito.

E alla fine cosa capita? Alla fine, saltiamo la conclusione. Sappiamo che annuncia al re Acab, che la pioggia sta per venire. Quindi, successo totale, Elia è riuscito. Ha vinto la sfida, e ha vinto quella lotta di poteri che avevamo segnalato all'inizio.

Questo è il nostro testo con i suoi problemi, ecc. Si segue. Adesso io vorrei riflettere un po’ su tutta la vicenda, tutto l'insieme, senza andare ai dettagli, ma al contenuto che c'è dietro questo testo. É come sempre discutibile. Sono riflessioni dell'insieme del testo, riflessioni che si possono condividere o no, ma che sono punti che fanno pensare. In tutta questa vicenda Elia ha collocato Yahveh allo stesso livello di Baal. Non PV lui creda che Yahveh è uguale a Baal, no, però il gioco, la sfida che lui ha programmato erano i due bersagli, uno era Yahveh e l'altro era Baal. Quindi, ha collocato Yahveh anche su quel detto che è un Dio che non soddisfà i desideri dell'uomo, che placa la paura che l'uomo può avere, che placa il desiderio di sopravvivere con il cibo che l'uomo ha bisogno per vivere. Quindi, un Dio che deve riempire quelli vuoti che l'uomo può avere, siano materiali, siano spirituali. Però Elia sa e noi sappiamo che Yahveh è più potente di Baal. E con questo gioca il profeta. Però ripeto, in questa lotta di potere, ambe e due sono collocati l'uno a destra e l'altro a sinistra. E dall'altra parte Elia fa lo stesso gioco con il re ACAB. Abbiamo detto prima, Elia si colloca sullo stesso piano del re. Però anche egli è più potente dal re. Quindi, anche qui c'è un gioco di potere. Chi ha vinto in questo gioco? Ha vinto Yahveh e ha vinto Elia. Però, ripeto, ha vinto in maniera poco dignitosa. PV per vincere ha dovuto uccidere i contrincanti, gli avversari, i quattrocentocinquanta profeti. Quale è stato il trionfo che Elia ha acquistato? Questa vittoria, sappiamo che ha provocato l'ira e la morte del re ACAB. La regina Gesabele, quando lei ha saputo che il profeta Elia aveva ucciso i quattrocentocinquanta profeti, ché ha fatto automaticamente Gesabele? ha deciso di perseguitare Elia per ucciderlo. E non è stato strano qui. Perché la violenza genera violenza. Quindi, tu hai ucciso i miei profeti, adesso io voglio uccidere te. Quindi, la catena è sempre la stessa. Ricordiamo la storia di Davide per esempio. Gli assassinati generano anche nuovi assassinati. E penso che questo sia stato il momento più difficile per Elia. Una volta capita la sfida, il popolo si è convertito, ecc. Però subito dopo, quando lui ha sofferto in carne propria la persecuzione di Gesabele, sicuramente si è resoconto che la sua guarigione, il suo agire non era un gran C, ma che era stato un qualcosa di non adatto. Qualcosa erronea. Invece lui si è reso conto che la sua azione si ha basato sulla logica del potere. Quindi il più forte alza quello che è il potere.

Quale è la situazione che vediamo riunire? Lui desidera un altro, PV la paura di essere assassinato da Gesabele li fa desiderare la morte. Signore, fammi morire e cossi finiamo.

Sappiamo che torna al torrente, al monte Oreb, la montagna dell'alleanza e lì entra in una crisi tremenda ed è proprio lì dove s'incontra con il Signore Dio. Ricordiamo un poco della scena di MC. Questo è bellissimo. Dice: "il Signore non era nel vento, ne

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nell’uragano, ne nel terremoto, non era nel fuoco, questa è un'altra ironia, che il Signore non era nel fuoco. E prima, dove ha trovato il Signore? nel fuoco. Quindi, un'altra ironia nel testo. Il fuoco che ha manifestato la provvidenza di Dio nella sfida, adesso risulta che il fuoco non porta presenza di Dio.

Come si fa sentire Yahveh? Diversamente, perché Yahveh non si trova nell’uragano che porta la pioggia, non si trova nel terremoto che scuote la terra, non si trova nel fuoco che consuma tutto. In nessuna di queste maniere. Yahveh si fa sentire diversamente. PV? Perché non è un Dio che porti alla morte. Non è un Dio di morte. Quindi, niente uragano, niente fuoco. Perché questi elementi possono portare la distruzione e la morte.

Come dice il testo? Il testo dice una questione molto famosa. "Dio si fa sentire in un "delicato" "visviglio", in ebraico dice che in "una voce molto tenera", una voce che appena si sente. Dio si fa sentire in una voce che mi parla all'intimo del cuore e questa voce costruisce su da fare. Quello che deve fare lui. Dio ha lasciato che il profeta sentisse la paura, però in questo momento è Dio stesso che li suggerisce che non si deve arrendere. Non desiderare la morte.

Non cercare rifugio nel deserto. Quale è i consiglio che Dio da al profeta Elia durante tutta questa ventura? Lo incoraggia a riprendere affidarsi all'azione. E sappiamo che dopo questa tragica storia, egli vieta un'azione che perpetuerà la sua missione profetica.

Prima, nel 19,15: Elia consacrerà Eliseo che sarà il suo successore. E questa è una maniera di dire la missione profetica che ha iniziato Elia, mal grado tutte queste circostanze colloquiale di lotta per il potere di violenza, ecc., ha il suo successore. Malgrado tutto la missione profetica continua. Elia voleva difendere lo Yahvismo, voleva difendere il popolo, però forse lui stesso, si ha lasciato sedurre della logica di Baal. Si ha lasciato sedurre da questa lotta di poteri, di rivalità, questa logica che lo ha fatto uccidere i quattrocentocinquanta profeti.

Finiamo così, cosa ha contemplato Elia dopo aver fatto questa sfida? Ha dovuto contemplare:

Per primo: le conseguenze della fame, hanno passato tre anni di carestia.Secondo: ha voluto contemplare reazione del suo popolo. Terzo: ha voluto contemplare il massacro dei profeti che lui stesso ha fatto

uccidere. Ha dovuto contemplare anche la adesione del popolo al dio di Baal.Quindi Elia ha dovuto contemplare che le situazioni drammatiche, negative che va

presentato sottilmente. Però la cosa più importante attraverso questa vicenda ha imparato il mestiere di

profeta. E quindi io sottolineerai un'idea. Se uno vuole essere vero profeta non può fare quello che sta denunciando. Quindi, se uno vuole lottare contro la violenza non può agire contro di essa, benché lo scopo sia buono. Che lo scopo sia lottare contro questa violenza. quindi si deve agire e vivere secondo i valori che uno vuole difendere, non si potrà abdicare il contrario. Se è così, l'azione profetica diventa un'altra cosa. La missione di Elia è finita nell'assassinato degli avversari, che non dovevano morire. Si deve rispettare la vita e la libertà di quelli che non seguono Dio e i suoi valori. Elia doveva rispettare gli avversari, non accettare le idee del Dio di Yahveh, però non ucciderli. PV il profeta rischi

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di fare un'autodifesa e di promuovere soltanto la propria libertà di potere. E il popolo è stanco di esso. Questo Elia che in nome di Dio lo può dimostrare.

Elia nel Cap. 21, difende NABOT contro le ingiustizie del re ACAB. Subito questa lezione si vede a canto al povero, all'oppresso e lo difende apertamente. E lì, c'è un altro piccolo dettaglio, non agisce per propria iniziativa, ma agisce sotto il comando di Dio.

Può darsi che Elia abbia presso questa iniziativa. Lui ha voluto agire in favore di Dio e in favore del popolo, però non si è limitato ad ubbidire Dio, si è lasciato andare dall'iniziativa che lo ha portato a quello che poteva fare.

Finiamo dicendo che era necessario lottare contro il baalismo, era necessario, però nono usando la logica e i mezzi propri della religione di Baal. Quindi, era necessario lottare contro il baalismo non opponendosi ad esso con un altro rivale più forte, ma con la logica del Dio dell'alleanza. Al meno questa è la lezione che noi troviamo in tanti campi dei profeti. Quindi lottare contro l'ingiustizia, contro l'oppressione, contro la violenza, però per la loggia del Dio di Yahveh che non ha niente a C veder con la giustizia, con la violenza e l'oppressione.

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UMANESSIMO DEI SAGGI Sr 2,1-18

É la parte proprio dei sapienti. I sapienti si muovono a un livello antropologico. Quello che vi offro è soltanto un mio libro, che è la tesi ma è in spagnolo. E pure ci sono delle parti un po’ pesanti. E so che alcuni dei miei studenti in teologia hanno presso soltanto la prima parte PV ti da una panoramica e PV ci sono delle parte che sono molto dettagliate. Però ci sono delle parte che forse vi può essere utile. Utile nel senso che presenta una panoramica sapienziale che presenta questo libro di Bensira che di solito sempre si lascia da portare degli autori, perché sempre si prendono i salmi, Giobbe, e anche Cohelet. Però pi la Sapienza non è che attira molto e il libro di Bensira direi che attira di meno.

I capitoli del libro sono:1-2: Dopo questi capitoli, il saggio incomincia a insegnare ai suoi discepoli su questioni molto pratiche, della vita quotidiana.3-22: A partire di questo capitolo va avanti con delle tematiche che toccano il lavoro, la relazione famigliare, sociali, ecc. E questo va avanti fino al capitolo seguente.2324: Dopo il capitolo 23 viene un punto importante nel capitolo 24 che è l'elogio della sapienza. Quando la sapienza si presenta al popolo d'Israele. E questo è il capitolo centrale. Poi dal:25-43: va avanti con gli insegnamenti. Dopo:44-50: Che è l'elogio dei padri. Poi finisce con il cap.:51: che è un tipo di un'appendice. (Nuria li chiama una conclusione e non un.) Questo capitolo conclude il libro. A me interessa illuminare oggi il prologo, il preludio del libro. Perché? É molto semplice: perché in questi due capitoli Bensira presenta, diciamo un concentrato. Tutti i temi teologici che poi svilupperà in tutto il libro. Uno, ha un alto livello teologico. E questo fa una grande differenza con il resto del libro che in genere è molto più pratico. E sonno consigli, ha un tono più parenetico, più esortativo.

Invece 1-2 sono molto particolari. Allora, invece di prendere 1-2 io soltanto prendo 2, se non è impossibile. Però sapete che vanno insieme.

Come incomincia il nostro testo? "Figlio mio, se tu vuoi avvicinarti al Signore, prepara la tua anima alla prova."

E questo sarà quello che io chiamo il filo conduttore di tutto il libro. A livello antropologico. Mi spiego, non parlo ad altri livelli, a me interessa adesso l'antropologia.

Questa prova che in greco è "peirasmos"= questa parola non significa tentazione, come noi stiamo ad interpretare dal Nuovo Testamento. Ricordate per esempio quando Gesù viene tentato nel deserto. Non è il concetto di tentazione, è un concetto molto più ampio che può dire semplicemente tutte le difficoltà, tutti i momenti difficili della vita dell'uomo. Quindi, "peirasmos", acquista un senso molto più antropologico, non tanto religioso. Quindi, la prova è una realtà che mete in evidenza la difficoltà della vita. E da un'altra parte la prova fa parte della grandezza umana. Questi sono gli insegnamenti che il saggio vuole lasciare. Quindi possiamo interpretare così: che l'uomo si fa uomo, cresce, matura, sempre attraverso la prova, attraverso questo "peirasmos" che è diverso secondo le circostanze. Quindi, il discepolo che vuole orientare la sua vita verso il Signore che vuol

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dire verso la sapienza, che è quello che dice il testo, in anticipo sa che dovrà superare certo tipo di prova. E sa anche in anticipo che le sue forze non basteranno. Che dovrà chiedere aiuto ad un'altra istanza superiore, perché da solo non potrà vincere queste difficoltà. Questo è il messaggio che c'è sotto, sotto.

Detto questo andremo a vedere il testo un po’ più da vicino. Prima di ritornare al messaggio teologico. E sul testo, dirò subito la proposta che io ho fatto e che si mantiene perché nessun altro si è interessato per adesso su questo testo. E non si interessano perché abbiamo sul testo soltanto la versione greca e del testo di Bensira abbiamo tre o quattro parti che sono in ebraico. É stato rinnovato. Quando questi testi sono stati scoperti, immaginate la rivoluzione che scoppio nel mondo esegetico. Però ci sono alcuni testi che soltanto li abbiamo in greco e questi testi non si sono trovati in nessun scritto ebraico. E sono cap. 1,2, è uno di questi testi.Il cap. 24.

(Io ho fatto una ricostruzione ipotetica del possibile manoscritto ebraico e si adesso viene fuori l'autentico...) Per ciò su questi testi non è che si siano tanti, tanti studi ancora, si riservano. E io vi posso offrire la mia tesi.

Quindi, la mia proposta è di vedere questo testo in quattro parti e sarebbero dal:1-6: Qui, il protagonista è "tu". sei "tu". La seconda persona singolare. E questo tu è il discepolo. Il Bensira parla al discepolo: "Figlio mio se tu vuoi, non fare questo, non fare l'altro." Però dopo nel versetto:7-14: Parla e cambia a la seconda persona plurale. Cambia. Allora i destinatari sono "voi", siete "voi", i discepoli. E dal:15-17: cambia di nuovo. E adesso sono "essi", e sono coloro che temono il Signore. E nel versetto:18: cambia di nuovo e adesso siamo "noi". E chi siamo noi nel testo? noi siamo, il saggio e i discepoli.

Allora, per me, questo alternarsi di protagonisti, dei destinatari è uno dei punti più importanti per spiegare il testo così.

Secondo momento che si dovrebbe sviluppare: il 1-6: la tematica è la realtà della prova. Quindi, cosa si deve fare quando arriva

questa prova. La realtà è la prova. Nel 7-14: Il tema è la misericordia di Dio. Quindi si passa d'una parte più

esistenziale, (la prova la realtà dell'uomo) si passa all'atteggiamento di Dio. La misericordia divina.

Dal 15-17: la tematica è la fedeltà dei discepoli verso Dio. La fedeltà.E l'ultima parte v. 18: É la conclusione del poema. E questo sarebbe cadere nelle

mani del Signore. Ricordate che è miglior cadere nelle mani del Signore che cadere nelle mani degli uomini. Questa è la massima finale del nostro saggio.

Quindi, avete quattro blocchi che vi danno subito il filo del testo: La prova,la misericordia di Dio,la fedeltà ela conclusione finale con questo atteggiamento.Allora io con voi faccio un altro percorso, senza andare tropo al dettaglio delle

questioni, ma andiamo a vedere il nocciolo di questa parte: dal 1-6.

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vv. 1-6: "Figlio mio, se tu ti avvicini a servire il Signore, prepara la tua anima per la prova. Raddrizza il tuo cuore e sii forte, e non agitarti in tempo di disgrazia, unisciti a lui e non ti allontanare, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Tutto quello che ti capiterà accettalo, e nei cambiamenti della tua umiliazione sii paziente, perché con il fuoco si prova l'oro, e gli uomini ben accetti a Dio sono provati nel crogiolo dell'umiliazione, credi in lui e egli ti aiuterà; raddrizza i tuoi sentieri i tuoi cammini e confida in lui."

Questa è, diciamo, la prima parte del nostro testo. E ora abbiamo la sezione interiore, PV è una parte che ci introduce nell'anima del discepolo. Quindi, da una parte contempliamo la sua esperienza psicologica, la sua situazione interiore e dall'altra parte abbiamo il suo rapporto con Dio. Quindi a livello umano psicologico e poi a livello religioso. Vediamo un po’ come si sviluppa quest'idea.

Vedete come il brano incomincia con questa frase ipotetica: "figlio mio, se tu vuoi... se ti avvicini a seguire il Signore..." (pensate che Bensira sta parlando a un pubblico giovane, giovanissimo, a uno dei gruppetti di giovani di Gerusalemme delle famiglie che si preparano per portare dopo i posti principali della società. Che dovevano essere giudici, i capi della società. E questo gruppo andava a scuola, allora Bensira era incaricato a casa sua di insegnare sapienza. Allora, pensate che il saggio utilizza delle strategie pedagogiche, PV sa che deve attirare l'attenzione a quel gruppo di ragazzi).

Allora comincia con questo periodo ipotetico che indica un clima di libertà e le applicazione le fate voi per conto vostro, PV pensate lo importante che è quando uno ha un pubblico giovane e devi trasmettere il messaggio, devi rispettare questa libertà, disposizione di scelta. Non si deve mai imporre. Al meno da la esperienza che ho avuto. Ho lavorato molti anni con gente giovane, e si tu incominci imponendoti sei finito. E si il tuo atteggiamento iniziale davanti a questo pubblico giovane è di mostrarti superiore, e di importi, di comandare, non riesce a sintonizzare, si deve creare questo vincolo di un'altra maniera, però non via imposizione. Il saggio incomincia sempre con questa apertura: "se tu vuoi, se la tua volontà è fare questa scelta, allora ci sono delle condizioni". Però se tu vuoi, è una tua scelta. Quindi questo è molto importante, PV poi Bensira nel libro lo ripete. Non è che soltanto lo dice qui, non è soltanto una libertà nel momento iniziale. La libertà appare in tutte le scelte. Il saggio mai costringe nessuno, mai. E questo mi pare molto importante nella linea pedagogica.

Servire il Signore può essere o può avere una connotazione cultuale, PV il verbo "douléin"= servire, di solito ha questa connotazione cultuale di servire Dio nel santuario. Noi non lo sappiamo se sia cultuale o no, io creo che qui non sia cultuale, diciamo che può avere la connotazione cultuale ma non esclude qualsiasi altro servizio. Nel nostro testo come avete visto non si parla esplicitamente di servizio di culto nel tempio, è un discorso più tosto aperto, di seguire il Signore però non in una linea di sacerdozio cultuale, però la connotazione ci consta. Io penso che, servire il Signore, qui, esprime l'opzione di vita, la scelta di vita dei discepoli. Quindi una scelta fondamentale che orienterà tutta la sua vita verso il Signore.

Allora, se il discepolo fa questa scelta, cosa dice il testo? Allora, vengono una serie d'imperativi. Tutti i verbi sono imperativi in questo brano: " preparati, raddrizza, si costante, non agitarti, sta unito, non separarti".

Imperativi affermativi e imperativi negativi. E come incomincia Bensira? con i consigli affermativi, positivi. PV è pedagogo. Se tu cominci a insegnare e incominci con i divieti..."non devi fare questo, non devi fare l'altro, questo è proibito, questo è vietato".

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Non è una buona tattica e Bensira incomincia come abbiamo visto, e lungo il libro si vede. Sempre comincia con la parte positiva, poi viene la parte negativa. Sono piccoli dettagli.

Allora, Bensira insegna tutte quelle cose che il discepolo dovrà fare se vuole servire il Signore.

"Prepararsi per la prova", poi dice "raddrizzare il cuore", che vuol dire orientare i cuore in linea retta verso il Signore. Orientare il cuore, non vuol dire che abbia presso una strada sbagliata. Dice orientare. Il verbo "elfino" vuol dire in greco mettere in linea retta. Quindi orientare verso il Signore.

E poi dice "si costanti", cioè non smettere di andare avanti malgrado le difficoltà. Essere costante.

E poi un consiglio negativo: dice non puoi avere, non agitarti in tempo di avversità". E questo è molto saggio. Non agitarsi quando vedono le difficoltà. A cosa si riferisce questa difficoltà? Qui anche gli autori fanno tante fantasie. La difficoltà non viene concretizzata, qui siamo a livello generale teologico, non possiamo dire, sia questo sia l'altro. Alcuni dicono l’infermità, la malattia, la povertà. Quindi il testo non concretizza, la difficoltà è qualsiasi situazione che mette l'uomo alla prova. Poi il testo continua e dice:

"unisciti al Signore" e questo si lo voglio sottolineare. Il verbo greco che abbiamo nel testo è questo: "kolaoo"= "attaccati al Signore". In spagnolo abbiamo una espressione molto ricca: "pégate a El". Si può dire, aderisciti a lui.

E questo "kolaoo" si traduce in testo ebraico come "dabar", perché dabar indica in ebraico l'unione intima tra due persone. Quindi "malgrado tutto quello che capiti tu aderisciti al Signore", è il consiglio più importante. PV, con quale oggettivo deve fare tutto questo? Dice il testo: " affinché tu possa crescere alla fine, affinché tu sia esaltato alla fine". Quindi, qui si può discutere cosa si intende con il termine "alla fine". Il giorno della morte, quando tu sarai vecchio. Io penso che anche si possa capire "fai tutto questo, affinché tu possa crescere in saggezza".

C'è anche la versione siriaca di questo Bensira che traduce così: " non soltanto crescere alla fine o essere esaltato dagli uomini, ma se tu prendi questo atteggiamento, alla fine tu diventerai saggio". E in definitiva è quello che il discepolo vuole, diventare saggio.

Andiamo un po’ più avanti, perche dice anche il testo: "tutto quello che ti capiti, accettalo e nei cambiamenti dell'umiliazione, (quando le cose non ti vanno bene) sii paziente e non perdere la pazienza quando ci sono questi movimenti". Allora qui c'è un concetto che creo sia interessante, che è questo della "pazienza". Che non ha niente da vedere con un altro concetto molto caratteristico della letteratura, della filosofia greca. Che proprio sa che il libro di Bensira è sorto con il giudaismo, il secolo II prima di Cristo ed il ellenismo sta li.

Ed è quello che noi chiamiamo la rassegnazione passiva. Facendo un discorso molto breve, la teoria greca al riguardo è quella che l'uomo deve rassegnarsi al destino degli dei. Se gli dei ti mandano benedizioni, ricchezze e salute tu devi accettare. Se ti mandano il contrario anche, PV il destino degli dei è quello che ci arriva.

Allora questa rassegnazione passiva è totalmente compartita da Bensira. PV lui non difende la rassegnazione passiva ma la pazienza attiva, che è un atteggiamento religioso, molto più positivo nella quale l'uomo ha una partecipazione, non soltanto rassegnarsi a quello degli Dei. E vi faccio un esempio da un autore greco che si chiama:

Menandro: e una delle sue frasi più conosciute è questa: "uomo come tu sei non domandare mai a gli dei la assenza del dolore, ma la rassegnazione".

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Non si deve domandare a gli dei questa capacità di sopportare passivamente. Un'altra di:

Teoclide: " Dobbiamo accettare con coraggio quello che gli dei danno ai mortali" Acetare e basta.

Sofocle: "Bisogna A sempre il destino degli dei". Euripide: Bisogna sopportare sia quello che sia, questo è lo importante, quello che

Dio ti da".Quindi, ci sono tantissimi esempi di sopportazione, di rassegnazione al destino

degli dei. E Bensira è a un altro livello completamente diverso.Tutto questo che dice poi di fare, viene triplicato con un proverbio sapienziale.

Dice: "come l'oro viene provato col fuoco, così gli uomini vengono provati attraverso questa umiliazione".

E qui ci sono tantissime allusioni alla prova che appare nei profeti: Geremia, Isaia, la prova del popolo di Dio nel deserto, o la prova del giusto. Quindi, ci sono tantissime allusioni a questa situazione nella quale l'uomo viene provato.

Però una differenza, solo una dico: i profeti applicano questa prova a Israele, sempre Israele viene provato, invece Bensira lo applica personalizzato. Sempre è il discepolo. Non parla mai del popolo provato. Bensira sempre va a una persona.

Vi dico ora, che questa parte del testo finisce con un orizzonte di speranza per il discepolo. Dice il testo: "crede in lui, affidate a lui ed egli ti aiuterà, segue la via retta e spera in lui". Malgrado tutto, il discepolo sa in anticipo che Dio è disposto ad aiutarlo. Quindi, vedete che il saggio incomincia la sua lezione con una lezione di speranza, positiva, entusiasta.

Diamo uno sguardo alla seconda parte che sarebbe dai:vv. 7-14: --- 7-9

--- 10-11--- 12-14.

Vediamo 7-9: "Quanti temete il Signore aspettate la sua misericordia non deviate per non cadere, voi che temete il Signore confidate in lui, il vostro salario non verrà meno. Voi che temete il Signore, sperate i suoi benefici, la felicità eterna e la misericordia".

Prendiamo solo questa prima parte: I due concetti sono la fede e la fiducia nel Signore.

Quindi è una prima parte anche positiva, fede e fiducia nel Signore. E guardate che i tre consigli sono in positivo. Confidate, credete, sperate, sono tutti consigli positivi. E questa fiducia nel Signore, comporta, implica dei beni. Ci sono delle ricompense. Quale sono le ricompense? la misericordia, la felicità eterna e i suoi benefici. Quindi, noi no ci fermiamo, ma subito si capisce che con atteggiamento difende e fiducia verso il Signore viene ricompensato.

E detto questo il saggio fa un salto che è uno dei salti che me mi piace di più, perche fa un salto alla tradizione antica. Cosi dice: "considerate alle generazioni passate e riflettete. Chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso? O chi ha perseverato ne suo timore e fu abbandonato? O chi lo ha invocato ed è stato da lui trascurato? Perché il Signore è clemente e misericordioso rimette i peccati e salva al momento della tribolazione".

Quindi, vedete che stava dando dei consigli in positivo e salta al passato, appella alla tradizione. Per ciò io chiamo a questa parte, un appello alla tradizione antica. Come fa

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questo appello? Avete visto che sono delle domande, domande retoriche, senz'altro, perché sono delle domande che non hanno bisogno di risposta. La risposta è chiara. Chi mai è stato condannato dal Signore? nessuno. Chi mai? nessuno. La risposta c'è la abbiamo.

Allora perché Bensira fa questo appello al passato? Io penso che la risposta è molto facile, Bensira appella al passato della sua tradizione perche vuole dare autorità al suo insegnamento. Quindi sta con questi giovani e vuole dirli: non pensate che questo è frutto della mia esperienza, guardate le tradizioni antiche e vedrete come il Signore mai ha abbandonato nessuno che lo ha invocato.

Quindi, l'insegnamento del saggio si bassa sulla esperienza personale, senz'altro, questo è una colonna del suo insegnamento, però si va avanti sulla forza della tradizione. E voi sapete che questo per Israele era sacrosanto. Le generazioni antiche, padri e gli antenati, questo è una fonte, una ricchezza d'insegnamento. E se i padri hanno vissuto questa esperienza, vuol dire che questa esperienza è oggettica. Quindi esperienza personale d'una parte e il testo della tradizione dell'altra.

E dopo le domande retoriche vedete come continua il testo: vv.10-11: "Perché il Signore è clemente e misericordioso, rimette i peccati, e salva..." questo non è una frase nuova. "Perché il Signore è clemente e misericordioso" è una frase che Bensira prende della Torah, dei libri anteriori. Per esempio tante citazioni: Es 34,6: Dice esattamente questa definizione del Bensira.

L'unico dettaglio è che Bensira coppia la frase di Es 34,6 però la coppia tralasciando l'ultima parte. Bensira sempre utilizza l'AT a modo suo. Tralascia l'ultima parte, quella che sottolinea l'ira di Dio, questo Dio tremendus del AT che fa che il cuore abbia paura. Perché Bensira tralascia questa parte? Perché vuole dare l'immagine di un Dio compassivo e misericordioso per eccellenza e tralasciando (diciamo così tra virgolette), la parte negativa di Dio, sottolinea questo aspetto misericordioso. Quindi, lui gioca con i testi dell'AT, (l vedremo anche alla fine) perché ha una intenzione pedagogica e teologica molto particolare.

Finiamo questa parte con vv. 12-14:ed è molto interessante perche sono qui i guai. Il genero letterario dei guai, le

lamentazioni. Questo è anche profetico. Le lamentazioni. Dice: "Guai ai cuori pavidi e alle mani indolenti, guai al peccatore che cammina su due strade, (ricordate a Elia, è lo stesso in un altro contesto) guai al cuore indolente, perche non ha fede per questo non sarà protetto, gai a voi che avete perduto la pazienza, (io non traduco così, io traduco: guai a voi che avete perduto la speranza, ed è molto più forte che la pazienza) che farete quando il Signore verrà a visitarvi?"

Questa è la sezione dei guai con la quale finisce la parte centrale del nostro testo. Da dove vengono questi guai? vengono della tradizione profetica, senz'altro, della

tradizione profetica dove si trovano spesso. E lui utilizza questi guai, Bensira, per essere un po’ più realista. Perché in questo cammino del discepolo non tutto sarà vittoria, trionfo, aiuto del Signore. Quindi, ci saranno anche dei pericoli e delle difficoltà. E ora Bensira dopo aver appellato alla tradizione d'Israele, avverte al discepolo che si da un passo in falso, se sbaglia, si no fa questo atteggiamento anche qui può ricevere il castigo del Signore. Quindi, c'è anche una avvertenza del castigo, non è che tutto è un cammino chiaro fatto e riuscito.

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Quale sono le avvertenze? Io le riassumo così: CodardiaInerziaAmbiguità.

Credo che siano i tre peccati, le tre azioni negative che Bensira denuncia in questo testo.

Cosa è la C? La mancanza di coraggio. Se volete posso citare una frase di: Teocrasto: un autore greco che ha scritto su tutti i libri di carattere umani: quindi il

pigro, il malvagio, bugiardo, il codardo, ecc. E lui definisce tutti gli atteggiamenti umani e dice cosi sulla C: "la C è una debolezza dell'anima causata dalla paura". Quindi, la C è originata dalla paura secondo lui. E produce fragilità di spirito e innestabilità.

Quindi, nel nostro testo è il primo guai. "Guai ai cuori pavidi", (questo è problema di traduzione, qui dice pavidi in italiano, il testo non dice pavidi, il testo greco dice: guai ai cuori codardi. Però mi pare che si dovrebbe sottolineare questo carattere di mancanza di coraggio. Comunque, non discuto sul termine italiano.).

Poi dice: "guai ai cuori codardi e alle mani indolenti", (quelle mani che nono fanno niente, che non sonno attive) Queste mani indolente e inerti esprimo una situazione di debolezza e anche di apatia. Le mani indolenti rappresentano la persona che non si muove per niente, che non ha conoscenza di lavoro, di fare.

Poi c'è questa ambiguità che io capisco del "guai al peccatore che cammina per due sentieri". Camminare su due vie allo stesso tempo che è impossibile, significa che uno non ha il coraggio di sceglierne una. E non soltanto che non ha il coraggio ma che non li conviene scegliere una. Ricordiamo il sincretismo religioso al tempo di Elia, qui non è il sincretismo religioso, ma è la lotta tra giudaismo e Ellenismo, senz'altro. Sotto, dietro a questo testo c'è tutta quella situazione molto polemica, conflittuale da quei giudei che si sentivano attratti dall'ellenismo che incominciava a infiltrarsi nella società. Allora Bensira, non è che si fide davanti all'ellenismo. Bensira è molto aperto, e si vede in molti brani del libro, però è molto aperto con una condizione che questo gruppo ellenista non danneggi il patrimonio tradizionale d'Israele. Aperto si, però la tradizione è la tradizione. Quindi, questi peccatori, che cammina su due vie, vuol dire quei giudei che vogliono essere giudei, però sono un po’ di abbagliati da tutte queste novità che vengono dal di fuori. Quindi, questa lotta c'è senz'altro, perché è frutto dell'epoca. E ripeto, il libro di Bensira è stato scritto nel II secolo prima di Cristo in ebraico e poi il nipote tradusse il libro del suo nono in greco. Perché tutti i giudei della diaspora potessero leggerlo. Perché nella diaspora si parlava greco, non ebraico. Quindi, è una generazione in più, calcolate gli anni che vanno di un nipote al nonno più o meno. Allora il nipote tradusse il libro il 130 prima di Cristo. Comunque, la lotta era quella del giudaismo e l'ellenismo.

Ecco l'ambiguità. Abbiamo detto, C, inerzia e ambiguità. Tutti e tre guai di Bensira. E continua con quel cuore inerte che non ha fede, che ha tradito lo Yahvismo, che non ha fede e non riceverà la protezione di Dio.

E v.14 "guai a voi che avete perso la speranza". "Xipopoté", un termine greco che può essere tradotto come resistenza, pazienza, speranza, e io preferisco speranza perche mi pare che sia più adatto al contesto.

Allora, cosa farete quando verrà il Signore a visitarvi? Nella Bibbia la visita del Signore è quasi sempre collegata con il tema del giudizio. La visita è quasi sempre un

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momento di crisi nella quale il Signore giudica la persona. Il Bensira con questo guai vuole svegliare il discepolo e avvertirlo di possibile pericoli. Ripeto, secondo me, Bensira non ha attacca l'ellenismo di fronte. Non lo attacca, però e cosciente della minaccia che rappresenta per i giovani Israeliti. Ci sono degli autori che pensano che Bensira è un attacco frontale contro l'ellenismo. E sono tesi che si difendono così. Io veramente non la vedo così chiaro, penso che Bensira sia un uomo abbastanza aperto. Parliamo del II secolo prima di Cristo. Per esempio nel libro ci sono brani che impedivano dei banchetti, del vino, delle feste e tutto questo nella mentalità giudea non entrava per niente. In vece lui lo prende. Se tutto questo giova al bene del discepolo lui lo accetta. Sono degli studi che indicano più tosto una mentalità aperta. Però, ripeto, che nessuno, che questo ellenismo non tocchi la fede d'Israele. Quindi, qui c'è una grande discussione e io vi dico la mia che non è unica.

Poi abbiamo a questa parte vv. 15-17: che è molto più semplice, dove i protagonisti sono "coloro che temono il Signore", ed è anche una maniera di insegnare.

Vedete, questo gioco, per me è pedagogico. Prima tu, poi voi, e questo è discorso diretto. Poi salta di una maniera molto generale, parla in terza persona, e poi fa il punto finale includendosi se stesso. É tutto un gioco di destinatari che interessano dal punto di vista pedagogico. Li interpella, poi smette, poi torna, e così via questo gioco.

Allora questa parte 15-17, l’elemento più importante è notare la bina, temere il Signore, amare il Signore "coloro che temono il Signore, coloro che amano il Signore". E questa bina non è una intenzione difensiva ma è caratteristica della dottrina deuteronomista, è una frase tipica del Deuteronomio. "temere il Signore, amare il Signore", vanno sempre insieme. Diciamo che questa bina in Dt si legge in chiave di alleanza. Nel Deuteronomio la chiave è la alleanza. Ed esprime l'atteggiamento e la posizione fondamentale dell'Israelita riguardo Dio. Amare o temere il Signore è questo il atteggiamento della persona.

Qui avrò il piacere di citare due autori che studiano questo tema di Bensira: un Francese, Venso, dice: "temere, amare il Signore, vuol dire aderirsi fedelmente a

Yahveh come il Dio della Alleanza". Aderirsi fedelmente a Yahveh come il Dio della alleanza. Quindi, in chiave deuteronomistica.

Poi c'è un altro francese, de è Spik: che è un'autorità soprattutto del NT, però lui ha fatto anche uno studio anche su questa tematica del timore del Signore. E mi piace la frase, è molto semplice, però mi pare che sia molto chiara e dice: "temere e amare il Signore indica una completa appartenenza dell'uomo a Dio". Completa appartenenza dell'uomo a Dio. Quindi, così si deve capire questo gioco di Bensira, coloro che temono il Signore, coloro che lo amano. Allora non si discute il quit della questione.

É lo stesso temere il Signore e amare il Signore o sono due cose diverse? Cosa è lo importante, temere il Signore o amare il Signore o sono due cose che vanno insieme? O c'è una prima zia nel temere e amare il Signore? Questo è stato molto dibattito. Questa è stata una polemica perché ci sono autori che pensano c'è come dei gradini in questo rapporto con Dio.

Io direi che anche io percepisco una certa progressione, non la primazia. Io non creo che temere il Signore sia confortante e amare il Signore o al rovescio. Non vedo questo gioco di superiorità, però una progressione la vedo, in questo senso. Vedete che si passa dal non disobbedire all'osservanza della legge. Questo si chiama progressione è la

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stessa cosa di vedere di si. Però una cosa è vedere un piano negativo e l'altro è vederlo in piano positivo.

Poi anche c'è un'altra progressione nel fatto che l'ubbidienza al Signore non si riduce ad un atto formale di sottomissione. Ma si traduce in un desiderio di compiacerli. Quindi, ubbidire il Signore non è compiere questo punto della legge. É fare quello che è gradito agli occhi di Dio.

Guardate un'altra progressione: "l'osservanza dei suoi precetti non è solo una non trasgressione, ma è camminare verso la sazietà della legge", così dice il nostro testo: "coloro che temono il Signore, non disobbediscono alle sue parole, e coloro che lo amano seguono il suo Dio. Coloro che lo temono cercano di piacerli e coloro che lo amano si saziano della legge. Coloro che temono il Signore tengono pronto il loro cuore e umiliano l'anima loro davanti a lui".

Quindi c'è un gioco, vedete tra conoscere la legge e tra coloro che amano, coloro che temono.

Io direi, lasciando a parte queste polemiche su questo binomio che il discepolo, il vero discepolo va al di là dell'osservanza della legge, va al di là dell'ubbidienza come tale. Io credo che il discepolo cerca il Signore costantemente attraverso una dedizione amorosa della legge. Quindi, qui non si tratta di compiere la legge così: un punto, un altro. Si tratta di assumere la legge come una norma di vita, di amare la legge che uno compie. Il senso è diverso. Quindi, io penso che amare e temere il Signore non sono concetti identici. No, io non lo credo questo, però sono strettamente collegati. Vi posso dire quello che penso soltanto su questo testo.

In poche parole. Penso che temere e amare il Signore sono due frasi della stessa moneta. Sono due atteggiamenti religiosi della persona verso il Signore. Allora, dove sta la differenza se non sono identici? Penso che temere il Signore è un concetto che punta più tosto sulla differenza tra Dio e l'uomo e voglio sottolineare la trascendenza di Dio e la limitatezza umana.

Quindi, temere il Signore indica un rispetto, una distanza, una riverenza. Temiamo il Signore PV il Signore è li e noi siamo qui. C'è una distanza che si esprime in una certa maniera.

Invece amare il Signore sottolinea il rapporto più personale, più di relazione, più umano, più di rapporto che noi abbiamo con il Signore. Il Signore è trascendente, questo lo sappiamo, è distante da noi, molto più grande e onnipotente, però ha un rapporto con l'uomo.

Quindi era il mio modo di capire questi concetti che sfuggono un po’. Quindi, rispetto e amore, rispetto e relazione, come voi volete, però sempre è l umano verso il Signore. Andiamo avanti.

Conclusione: v.18: "Nelle mani del Signore". Dice: "gettiamoci nelle braccia del Signore e non nelle braccia degli uomini, poiché quale è la sua grandezza tale è anche la sua misericordia." Gettiamoci.

Allora, il v.18 funge di conclusione. Perché? prima perche cambia la persona grammaticale e l'autore, il saggio si coinvolge. Quindi, già non sta dicendo, voi dovete fare questo, tu devi fare quell'altro, ma "noi". E utilizza un verbo che noi chiamiamo "coortativo". E quando si utilizza un verbo coortativo vuol dire che c'è un invito dietro. Credo che in italiano la traduzione migliore sarebbe questa: "vogliamo cadere". Indica

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questo invito o anche "cadiamo nelle mani del Signore". Però soprattutto c'è un invito da parte di colui che lo dice. Questa è la prima nota caratteristica.

La seconda nota caratteristica, forze qualcuno l'ha già percepito ed è che "cadiamo nelle mani di Dio e non nelle mani degli uomini", è una frase che già sta cadendo nell'AT.2Sam 24,14: è un altro esempio di come Bensira utilizza la tradizione già veterotestamentaria. Davide che parla al profeta Gad e dice: "Davide rispose a Gad: Sono in grande angoscia! Ebbene cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma che io non cada nelle mani degli uomini!". E il testo continua e dice: "Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; da Dan a Bersabea morirono settantamila persone del popolo". Questa è la storia di quello che il Signore manda. Quindi, vedete che la frase è tratta da 2Sam.

Perché fa Bensira questa frase. La adatta al suo testo? Però due punti sono in comune: la opposizione, cadere nelle mani di Dio, e cadere nelle mani degli uomini sono due cose che si oppongono e secondo l'insistenza sulla misericordia di Dio. Sia Davide sia Bensira, sono d'accordo in queste due cose.

Io la vedo così. Non è che Bensira vuole esaltare la figura emblematica del re Davide. Penso che Bensira in questo testo non ha questo interesse, ma vuole collocare in primo piano l'agire di Dio. E vuole sottolineare che Dio è capace di castigare con giustizia e perdonare con misericordia. Vedete è un gioco, giustizia e misericordia, castigo e perdono. Io penso che il Bensira e anche per Davide, la misericordia del Signore supera la sua giustizia. E vero che Dio è giusto e castiga, però la misericordia del Signore di solito è molto più grande di questo fare giustizia. Quindi, così finisce Bensira il nostro testo. Come finisce? finisce in positivo. Quindi, ci sarà questa prova, dà tutti questi consigli e cosa si deve fare, però lui stesso dice avanti. Se uno cade nelle mani di Dio, può continuare il cammino. Quindi è un discorso che apre un'orizzonte di speranza per il discepolo.

Adesso io vorrei fare un ultimo passo. Lasciare un po’ il testo, non dimenticarlo, lasciarlo e vedere la teologia nell'insieme del testo. Che tante volte non è facile. Forze è più facile per analizzare punto per punto, ma poi per concentrare, centrare il messaggio è più difficile. Ma facciamo l'intento e vediamo quale è la teologia del capitolo secondo di Bensira.

Teologia del cap. 2º di Bensira:Prima di tutto io direi che stiamo davanti ad un testo programmatico. Come si dice

oggi. In nessun momento Bensira scende ai particolari, alle situazioni concrete, pratiche della vita cotidiana. Avete visto, mai. Questo lo farà dopo, dal cap. 3 in poi.

Nel cap. 2, Bensira, completa l'esposizione che ha fatto nel cap. 1. Che pur troppo non possiamo studiare noi. E lo completa con un poema profondamente religioso. Che illustra il rapporto tra Dio e l'uomo, tra Dio e il discepolo. In questo rapporto abbiamo visto tre punti modali, tre punti importanti da sottolineare, e sarebbero:

la realtà della prova nel cammino verso la sapienza,la fedeltà di coloro che temono il Signore,e la misericordia di Dio che mai li abbandonerà.Questo è il nocciolo della questione. Il testo punta su questi tre elementi. E tre sono anche i suoi personaggi principali:

Il Signore,

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coloro che lo temono o lo amanoe i peccatori, voglio dire, tutti quelli che non hanno questi atteggiamenti. Ad esempio quelli che hanno le mani volenti, ecc.

Ed è da notare che questi personaggi compiono la loro funzione dentro di una cornice. E questa cornice per me è la chiave di lettura del libro. E questo vi posso dire che è una idea mia personale. Io penso che il libro di Bensira si deva leggere su questo orientamento. Ci sono altre letture. Io vi dico la mia.

Questa cornice sarebbe un programma pedagogico determinato da due principali figure da la scuola sapienziale che sempre sono le stesse. Il saggio e il discepolo. Non so se riesco a spiegarmi. Il nostro testo, ho detto: c'è Dio, ci sono coloro che lo temono e coloro che prendono un'altra via. Però dietro a questi tre personaggi c'è anche un altro livello. C'è il saggio che sta insegnando e i discepoli che stanno imparando. Quindi, sono due livelli nel testo. Quindi, il saggio e il discepolo entrano in rapporto attraverso questo poema in qui appaiono Dio, coloro che lo temono e gli altri.

E questa è una trama, una cornice dal tutto sapienziale e pedagogica e se uno perde secondo me, questo orizzonte allora non capisce il libro, può capire pezzetini, però non capisce il filo che c'è nell'opera di Bensira.

Vediamo il primo elemento:1.- La prova: rivela la pedagogia del Signore e anche la pedagogia della sapienza. Questo è interessantissimo, studiare questo binomio, perché ambe e due sono maestri. Sia il Signore sia la sapienza e ambe e due usano gli stessi metodi per raggiungere li stessi oggettivi. Ci appare la sapienza, diventa per Bensira, non per tutti i saggi, un compito religioso. Quindi il discepolo che frequenta questa scuola, la scuola della sapienza e osserva fino alla fine i suoi precetti, riesce a scoprire la presenza del Signore nella sua vita. Dico lo stesso di un'altra maniera. Nella mentalità del saggio, cercare la sapienza è cercare Dio e trovare la sapienza è trovare Dio. Per me questo è la chiave di lettura. Il discepolo incomincia con questo interesse per la sapienza e risulta che quello che trova è Dio. Però è normale, perché Dio è la sapienza.

2.- La fedeltà: la fedeltà dei discepoli sarebbe un atteggiamento di tipo religioso, però che a sua volta è un mezzo necessario per ottenere la sapienza. Quindi, la fedeltà non è soltanto religiosa ne anche pratica, nel senso che la convinzione segue buona per ottenere la sapienza. E questa fedeltà va intimamente collegata col timore del Signore.

3.- Il timore: timore del Signore, ripeto, è un atteggiamento di rispetto, riverenza e allo stesso tempo un atteggiamento di dialogo personale con il Signore. Il discepolo che teme e ama il Signore vive nella fede. Con fiducia ed speranza, sono le parole che dice il testo. Il timore del Signore, questo atteggiamento è anche caratterizzato dalla fermezza e la pazienza nella prova. Una prova che segna l'inizio del cammino e che accompagnerà al discepolo fino al traguardo. Questo è uno dei punti anche importanti. Non è che la prova è soltanto all'inizio, ma è una presenza continua.

4.- La misericordia: la misericordia di Dio è la risposta divina alla disposizione fedele, fiduciosa del discepolo. Quindi il discepolo che confida nel Signore riceve come ricompensa la sua infinita misericordia. E questa misericordia si traduce, si concretizza in parecchie cose:

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1.- perdono dei peccati,2.- liberazione della disgrazia,3.- aiuto nel bisogno,4.- ascolto delle suppliche,5.- ricompensa eterna.

Qui non faccio altro che tirare fuori dal testo questi benefici che vengono da Dio.Allora tutti questi doni rivelano un Dio vicino all'uomo. Aperto al dialogo (questo è

una novità che un po’ sconvolge quella visione del Deus tremendus) un Dio che desidera accompagnare l'uomo nel suo cammino. Sono passi in vanti, però i libri sapienziali fanno questo ponte di avvicinamento tra Dio e l'uomo. E qui non entriamo, però la figura della sapienza che va avanti, avanti fin che arriverà alla figura di Gesù. Quindi, si fa strada.

La misericordia è il vincolo tra Dio e il discepolo fedele. Il Dio misericordioso ha questa maniera di avere rapporto con l'uomo.

All'inizio abbiamo notato la presenza di tre personaggi nella scena. Senza dubbio il protagonista principale è il Signore. Perché tutto il discorso è pieno di allusioni dirette e indirette al Signore. Però è importante vedere come nel versetto uno: "figlio mio, se tu vuoi avvicinarti..." il Signore emerge come punto di riferimento della vita del discepolo. E questo è più che importante. Il saggio non dice se tu vuoi avere successo nella vita. Se tu vuoi essere più saggio di tutti. Se tu vuoi avere fama tra i tuoi concittadini. No, se tu vuoi avvicinanti o servire il Signore. Quindi, il punto di riferimento: il discepolo si avvicina al Signore, così come il peccatore si allontana ogni volta di più del Signore. Quindi, davanti al Signore che sempre è il punto di riferimento il saggio presenta due alternative e questo è tipicamente sapienziale. Il cammino, il buon cammino sarebbe il discepolo fedele e il cammino sbagliato sarebbe quel peccatore che non segue la via giusta. Quindi, questo confronto c'è sempre. Ne libro è proprio della letteratura sapienziale. Poi questo saggio per difende il suo insegnamento si appoggia su due colonne: la tradizione del passato e il testimonio dell'esperienza personale.

Il saggio fa in modo che l'esempio emblematico del passato si attualizzi nella esperienza del presente. E questo è un arte del saggio. Quindi non prendere il passato come un blocco chiuso ma vedere come il passato può illuminare il presente. Per ciò nel libro di Bensira, ricordate che all'inizio ho detto 44-50 è l dei padri. E l dei padri sono gli antenati. Tutti quelli che hanno preceduto Bensira. I personaggi sono di Abramo fino gli ultimi.

Allora, chiudiamo il nostro discorso. La fedeltà al Dio di Israele non significa avere una mentalità stretta, paurosa, di fronte alle nuove idee ellenistiche. Che piano, piano stavano entrando nell'istituzione giudaica. Ripeto, eravamo nel sec. IIº prima di Cristo. La crisi macabea, tutto l'episodio di Antioco IV, tutto questo non si vede nel libro di Bensira. Però siamo negli anni previ di tutti questi eventi. Non si vedono nel libro di Bensira, perché lui sicuramente aveva già finito il libro quando tutto questo accade.

Quindi, le nuove corrente si infiltrano lentamente e il discepolo deve imparare a valutare queste novità e incorporarle nel suo bagaglio personale se sono buone, se non si oppongono alla presenza della dottrina Yahvista. Se tutte queste corrente ellenistiche non si oppongono alle religioni dei padri, degli antenati di Israele allora si possono incorporare alla dottrina, all'insegnamento y al ascolto.

Se è così cercare la sapienza è attaccarsi al Signore però con una mentalità aperta, con una mentalità di grandi orizzonti. Quindi, non con una mentalità chiusa, che non permette nessuna novità, nessun confronto. Perché insisto su questo? perche ho tantissimi

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elementi del libro che mi aiutano a difendere questa posizione. Pensate che Bensira viaggiò, conobbe dei paesi stranieri. Non sappiamo molti dettagli, però lui racconta la sua esperienza dei viaggi e questo nella mentalità giudaica non si poteva. Non era mentalità giudaica, era proprio dell'ellenismo, questo di aprirsi, viaggiare, conoscere altri continenti. Quindi ci sono molti elementi che ci fanno pensare in questi atteggiamento di Bensira. Io direi che questo è il programma di vita che Bensira ha sviluppato personalmente come saggio, come scriba. Con cuore fisso nel Signore (quello senz'altro perché sempre c'è riferimento di Bensira) il discepolo impara dal passato e dal presente preparando così il terreno per le generazioni future. Quindi, credo che il cap. 2 sia un esempio del modo di insegnare che aveva Bensira. Quindi, un modo da una parte molto umano, perché parte delle premesse antropologiche però dall'altra parte molto religioso. Perché il punto di riferimento sempre è questo rapporto del discepolo con il Signore.

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