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f 1.4 Approfondire lo sguardo - Notiziario dei Corsi di Fotografia - N° 1 Ottobre 2018 f 1.4 approfondire lo sguardo

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f 1.4 Approfondire lo sguardo - Notiziario dei Corsi di Fotografia - N° 1 Ottobre 2018

f 1.4approfondire lo sguardo

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Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati...

Cari corsisti, da questo mese, con cadenza mensile, avrò il piacere di inviarvi il Notiziario dei corsi di fotografia. “f1.4 approfondire lo sguardo” vuole essere, per chi frequenta i miei corsi, uno strumento per poter reperire informazioni utili e notizie su alcune tematiche che, anche se trattate in aula, meritano un’analisi più dettagliata. Il notiziario ci aiuterà a

condividere informazioni, analisi tecniche ma soprattutto le fotografie che verranno realizzate durante il nostro percorso formativo.

Da molti anni insegno fotografia, parlo di fotografia e ho raccolto testimonianze e ri-chieste da parte di corsisti; fra le tante la voglia di vedere non solo le immagini rea-lizzate dai compagni del corso di appartenenza ma anche da discenti di corsi diversi. Spero che questo strumento possa essere d’aiuto per aprire la nostra visione alla fotografia, per essere partecipi di ciò che succede attorno a noi, per invogliarci a fare del nostro meglio in modo da essere presenti in queste pagine.

Nelle pagine dedicate al corso avanzato verrà proposto mensilmente un progetto personale, fulcro portante dell’intero corso che come di consueto i corsisti realiz-zano durante l’anno; in attesa dei primi lavori è mia intenzione pubblicare alcuni elaborati dello scorso anno.

La copertina è dedicata al vincitore del concorso “Lo specchio”, perché con quella serata abbiamo concluso il nostro percorso dell’anno passato, ed ora siamo pronti a riprendere esattamente da dove ci eravamo lasciati. Per scelta daremo molto spazio alle fotografie, per imparare a vedere, a confrontarsi e ad aprirsi alla fotografia.

f1.4 vuole essere sinonimo di apertura non solo ottica ma anche verso tutte le for-me visive e di collaborazione.

Michele Gregolindocente di fotografia

N O T I Z I A R I ON° 1 - Ottobre 2018

Ben arrivate Mirroless - Testo di Matteo Girardi 06

La prima fotografia della storia 14

L'arte di scattare senza obiettivo 08

Andrea Coccato, vincitore concorso Lo specchio

Silvia Tisi, un progetto per crescere

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Andrè Kertèsz

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La fotografia naturalistica di Giovanni Contessa

C o r s o s e c o n d o l i v e l l o

C o r s o g r a n d i m a e s t r i

M o s t r e e a p p u n t a m e n t i

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C o r s o p r i m o l i v e l l o

Mostre e appuntamenti 46

U n a f i n e s t r a s u l m o n d o

Sottopelle, mostra di Silvia Pasquetto

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Alcuni produttori infatti hanno immesso sul mer-cato degli innovativi anelli che permettono di adattare le lenti Canon su macchine Sony e Fuji mantenendo gli automatismi di regolazione del diaframma e la possibilità di usare sia lo stabiliz-zatore d’immagine che l’autofocus, sebbene con qualche limitazione.

Vantaggi e svantaggiPreso atto degli svantaggi citati in precedenza, che peraltro stanno risolvendosi con il progredi-re dei modelli, il principale pregio di una fotoca-mera mirrorless riguarda senz’altro le dimensioni contenute dell’intero corredo: a fronte di comandi manuali e lenti intercambiabili si può avere una fotocamera che non supera eccessivamente le di-mensioni di una compatta, ma al tempo stesso promette delle foto qualitativamente superiori.

Sono quindi superiori alle fotocamere reflex? A questa domanda si sarebbe risposto no fino

a qualche mese fa, ma con le ultime novità del mercato è stata infranta la fantomatica barriera delle dimensioni del sensore, rendendo di fatto confrontabili il dettaglio della foto e l’assenza del rumore digitale.Tra i pregi non si possono non citare il fatto che si tratta di fotocamere assolutamente velocissi-me con tempi di scatto che rivaleggiano con quelli delle DSLR, rendendo possibili foto in movimento sportive o di difficile realizzazione.

Considerazioni finaliUna mirrorless, conosciuta anche MILC, mirror-less interchangeable-lens camera, è sicuramente una fotocamera adatta a più palati, capace di sod-disfare molti professionisti nonché neofiti bramosi di crescere fotograficamente. Nate con l’indubbio scopo di ridurre drasticamen-te le dimensioni a fronte di prestazioni interessan-ti, sono arrivate a sfatare il detto secondo cui “le dimensioni contano”.

Le fotocamere mirrorless: queste sconosciuteLe fotocamere mirrorless sono senza dubbio i dispositivi del mo-mento nel settore fotografico. La loro potenza si concretizza nell’es-sere più piccole e leggere, pur mantenendo gli obiettivi intercam-biabili, proprio come le reflex.A cosa è dovuta la rivoluzione di tali macchine? Molto semplicemen-

te, dal fatto che è stato loro tolto un elemento che esisteva con e per il mezzo fotografico ben prima dell’invenzione stessa della fotografia: lo specchio.Sostanzialmente, a partire da un modello reflex si è voluto costruire un corpo macchina più piccolo, e per poter arrivare a tale risultato si è proceduto ad un’operazione nuova e molto semplice, da cui il nome: il termine “mirrorless” (in inglese letteralmente “senza specchio”) deriva infatti dall’assenza dello specchio interno, che caratterizza invece le reflex. Tale mancanza consente alla macchina fotografica di guadagnare notevolmente in termini di leggerez-za e compattezza ma, a differenza delle camere compatte, restano inalterate le potenzialità che offre una reflex, e cioè una vasta gamma di impostazioni manuali, uno scatto fotografico rapido ed istantaneo e, soprattutto, la possi-bilità di montare obiettivi intercambiabili.

Ampiamente maggiore rispetto a quella delle fotocamere compatte, la qua-lità delle immagini scattate dalle mirrorless si avvicina oramai notevolmente al livello delle reflex e, grazie al progresso tecnologico sempre più avanzato e agli ultimi modelli con sensori a pieno formato (full frame), attualmente è in grado pressoché di eguagliarla.Sono già molti i produttori che costruiscono fotocamere mirrorless, tra tutti Olympus, Fuji, Sony, Panasonic, ma la recente prepotente entrata nel merca-to delle mirrorless di marchi come Canon e Nikon, che hanno creato per l’oc-casione un nuovo rivoluzionario formato di innesto per i suoi obiettivi, vedrà sicuramente una riduzione del problema maggiore che finora differenziava una mirrorless da una reflex, vale a dire la gamma di obiettivi disponibili.Non avendo infatti lo specchio, le mirrorless necessitano di appositi obiettivi particolari, ancora un po’ limitati numericamente rispetto a quelli disponibili per il mercato delle reflex.

Altri produttori si sono consorziati per garantire la compatibilità dei propri obiettivi con tutte le macchine da loro prodotte, garantendo così una ampia scelta per tutti i gusti (e tasche).Una soluzione ulteriore, se pure non totalmente risolutiva, è data dalla possi-bilità di utilizzare anelli adattatori per mirrorless, che consentono di montare su queste ultime gli obiettivi costruiti per le reflex.

Benvenute Mirrolessdi Matteo Girardi

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O b i e t t i v i N i k o n S e r i e Z

O b i e t t i v i C a n o n S e r i e R

corso base primo livello

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corso base primo livello

Èabbastanza difficile riunire in poche righe un concetto fotografico come il pinhole.Iniziamo innanzitutto col ricordare che da oltre mezzo secolo i laboratori di ricerca delle grandi marche di case produttrici di macchine fotografi-che hanno sempre cercato di produrre strumenti in grado di migliorare la qualità della fotografia, lavorando sia da un punto di vista di sensori o pel-

licole, per ridurre la grana, sia ottico per ridurre le varie aberrazzioni degli obiettivi.Tuta questa ricerca, in teoria, dovrebbe portarci a riprodurre cio che ci sta davanti nella maniera piu fedele possibile...

Ma ne abbiamo parlato ampiamente durante il nostro primo incontro- la fotografia non è solo “riproduzione della realtà che abbiamo davanti”: essa può essere anche intesa come “riproduzione della realtà attraverso il nostro modo di vedere quella realtà” .

Nel corso dei secoli si sono alternate situazioni in cui la riproduzione della realtà poteva essere reinterpretata, sia in modo consapevole che a causa dell’approssima-zione dello strumento utilizzato.All’inizio dell’ottocento i primi tentativi fotografici restituivano immagini incerte e approssimative della realtà non volute dell’autore, ma appunto dall’approssimazione degli strumenti.Ancora oggi esiste un genere fotografico, che possiamo definire in modo vago come “ricerca”, dove non sempre il fine dell’autore è quello di fotografare la realtà con il massimo dettaglio possibile.Da qui la necessità di uno strumento di ripresa di qualità volutamente non eccellen-te, a cui non chiedere il massimo del dettaglio, ma la restituzione spesso approssi-mativa della scena, nella quale la realtà sia riprodotta in modo più o meno accenna-to, lasciando all’occhio di chi guarda la possibilità di interpretarla.

Ecco quindi l’andare alla ricerca di qualcosa di diverso, ad esempio un certo tipo di mosso, piuttosto che di volontarie sovra o sottoesposizioni, oppure l’utilizzo di pel-licole scadute, o la modifica dei tempi di sviluppo, o ancora la manipolazione fisica dell’emulsione durante lo sviluppo, come si usava spesso fare con le Polaroid.Ed ecco infine la fotocamera di bassissimo costo e conseguente bassissima qualità nel risultato tecnico finale.

L’arte di scattare senza obiettivoistruzioni per l’uso

Oggi, con la fotografia analogica relegata in un ango-lo, diventa difficile parlare di pellicole scadenti/scadu-te inserite in fotocamere ancor più scadenti, e quasi impossibile trovare in giro sensori di bassa qualità: al massimo sensori con relativamente pochi megapixel, ma difficilmente scadenti.

Con il digitale nasce infatti l’era della post-produzione, fatta di elaborazioni al limite della grafica, che parten-do da un’immagine di ottima qualità cerca di eliminare la qualità superflua per arrivare ad una interpretazio-ne della realtà.Utilizzando il digitale si possono ottenere risultati par-ticolari nell’impiego di ottiche di qualità non eccelsa, magari vecchie ottiche ammuffite, addirittura ottiche giocattolo; prodotti però non sempre facili da reperire in commercio. In particolare, un sistema nato già alla fine dell’ot-tocento, il foro stenopeico, permette di ottenere una ricerca fotografica con un risultato qualitativamente indeterminato e irripetibile, e grazie al digitale può ri-nascere a nuova e migliorata vita.

Il primo grande vantaggio del pinhole (letteralmente foro di spillo), ovvero della fotocamera a foro steno-peico, è la possibilità di realizzarlo facilmente da sé; inoltre si può contare su pinhole più o meno ricercati, fabbricati con grande perizia da diversi artigiani.E’ stato il nostro primo esercizio, utile non solo per av-vicinarci alla fotografia, ma per capire il percorso della luce: come entra nella nostra fotocamera e cosa av-viene all’interno dello spazio che intercorre tra il foro di entrata e il sensore (o la pellicola): abbiamo toccato con mano la luce, la magia della luce.

La camera obscura altro non è che un locale buio con un “foro” praticato in una delle pareti, attraverso il quale l’immagine della realtà si crea, con una certa nitidezza, andando a proiettarsi capovolta sulla parete opposta del locale oscurato. Molti personaggi illustri del nostro passato si posero molte domande riguardo alla creazione dell’immagine capovolta: lo stesso Le-onardo Da Vinci descrive la formazione dell’immagine attraverso il foro stenopeico nel suo Codice Atlantico.La storia racconta che successivamente il “foro” ven-

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ne sostituito con un obiettivo, mentre sulla parete opposta prima fu posto un opalino sul quale i pittori ricalcavano manualmente sopra un foglio l’immagine formatasi, e successivamente un sistema sensibile alla luce, in grado di memorizzare automaticamente e in un unico momento.

Il foro stenopeico è ancora materia di insegnamento a vari livelli scolastici per spiegare dal vivo il funzio-namento della macchina fotografica: certo la magia di creare la scatola, inserire il materiale sensibile (carta fotografica) e successivamente (dopo averla esposta alla luce) svilupparla è venuta meno, ma questo non ci impedisce di rivivere la magia della luce. Come ab-biamo visto nei nostri esperimenti, la camera obscura non ha un sistema di messa a fuoco: la “nitidezza” su tutte le distanze si basa proprio sulle dimensio-ni microscopiche del foro stenopeico, dimensioni che oscillano su corrispondenti diaframmi tra f/45 e f/360.

Questi diaframmi molto chiusi, uniti spesso alla richie-sta di bassa sensibilità, portano ad esposizioni piut-tosto lunghe anche in giornate di sole. La fotocamera deve essere rigorosamente alloggiata su treppiedi: solo gli edifici o gli oggetti fermi saranno abbastan-za visibili, mentre tutto ciò che si muove o sempli-cemente oscilla andrà a confondersi, talvolta fino a non risultare in alcun modo nell’immagine finale. Una ricerca fotografica, quella stenopeica, ancora attuale, estremamente interessante e difficilmente contenibile sotto precisi schemi tecnici.

Nato oltre 500 anni fa insieme alla camera obscura da un’idea di Leonardo da Vinci, il primo foro stenopei-co era impiegato dai pittori per eseguire velocemente l’abbozzo del quadro, ricalcando l’immagine proiettata dal foro stenopeico all’interno della camera obscura.Nel film “La ragazza con l’orecchino di perla” ambien-tato in Olanda alla fine del 600, il pittore Jan Vermeer mostra a una giovane serva, che diventerà poi il sog-getto di uno dei suoi quadri più famosi, il funziona-mento di una camera obscura, sottolineando il fatto che la sua era dotata di un obiettivo per migliorare la definizione dell’immagine.

Ci sono decine di sistemi per costruirsi un pinhole: anche voi durante l’esercizio ne avete sperimentati alcuni: procurarsi una sottile lastrina di metallo o un ritaglio di una lattina di alluminio e poi forarla con uno

spillo. Il foro deve essere il più circolare possibile, es-sere completamente privo di sbavature di lavorazione ed avere un preciso diametro che si calcola in base alla focale. Un diametro superiore porta a immagini sfuocate perché troppo poco rettificate dal diametro del foro stesso, un diametro inferiore porta a immagi-ni confuse perché il foro troppo piccolo crea una dif-frazione eccessiva nell’immagine ottenuta.

Esistono naturalmente decine di modelli di pinhole, molti dei quali acquistabili su Internet. Noi abbiamo iniziato la nostra sperimentazione partendo da un comune cartoncino nero che abbiamo forato con un ago, cercando di creare il foro il più rotondo possibile; abbiamo ottenuto il nostro primo pinhole facendo del-le scoperte molto interessanti, come ad esempio che non riusciamo a vedere nulla o quasi nulla dal mirino, quindi l’inquadratura deve essere presa “ad occhio”, ripercorrendo la strada fatta da Niépce all’inizio del 800 (vedi articolo che segue).

Abbiamo notato che, quando passa poca luce per via di un foro molto piccolo, i tempi di posa (tempo di esposizione) devono essere molto lenti, affinché la luce possa impressionare la pellicola o il sensore. Ed infine abbiamo visto che, per quanta buona volontà abbiamo messo nella costruzione del nostro foro ste-nopeico, i risultati non sono eccellenti…

Se ritornassimo all’inizio del nostro articolo, se rive-dessimo la motivazione per la quale ci siamo cimen-tati in questo percorso, forse capiremmo che la cosa più importante non è il risultato (altrimenti avremmo usato uno degli obiettivi che possediamo) ma la possi-bilità di assaporare la bellezza della materia della luce. Di seguito inserisco alcune immagini dei corsisti dei corsi base che si sono distinte dalle altre.

F o t o g r a f i a r e a l i z z a t a d a M a r c o D i B a r t o l o m e o

F o t o g r a f i a r e a l i z z a t a d a C h i a r a C o m p a g n o

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La prima fotografia della storiaNicéphore Niépce

“Vista dalla finestra a Le Gras” 1827

La notizia del procedimento messo a punto da Louis Jacques Daguerre nell’agosto del 1839 é consideralo l’inizio dell’era della fotografia. Ma più di dieci anni prima Nicéphore Niépce, suo con-nazionale, era riuscito a fissare le immagini prodotte dalla came-ra oscura.Lo studio di Niépce si trovava in Borgogna, non è dato sapere quante

volte Niépce si sia fermato a guardare fuori da quella finestra, ma per fortuna oggi soppiamo con sufficiente precisione che cosa vedeva il grande maestro. Probabilmente la veduta dallo finestra dello studio, che oggi risulta essere la prima fotografia nella storia del mezzo espressivo, fu realizzata nel giugno o luglio del 1827Dal 1801 Nicéphore Niépce tornò a vivere in Borgogna dopo over trascorso molti anni in Italia, in particolore in Sardegna. Di famiglia benestante, studioso indipendente, Niépce aveva sviluppato, insieme al fratello Cloude, un motore a combustione che avevano battezzato Pyréolopnore, destinato a rivoluzionare la locomozione, che allo fine però sarebbe sfociato in un disastro economico. Ci si è sempre chiesto per quale motivo Niépce avesse scelto quella veduta: la risposta più plausibile è che proprio dalla finestra del suo studio poteva con estrema tranquillità esporre la sua camera obscura sul davanzale senza dover soddisfare la curiosità di persone o attirare l’attenzione di eventuali concorrenti.Sapeva, da buon inventore, che non doveva fornire troppe informazioni.In tutta Europa infatti, in particolare in Inghilterra e Francia, erano in corso ri-cerche ed esperimenti più o meno sistematici per poter realizzare una fotografia permanente: bisognava solo combinare i due principi, quello fisico e quello tec-nico, tutti i tentativi di conservare le immagini positive dirette su lastre impres-sionate si erano rivelati degli insuccessi.Solo nel luglio del 1822 Niépce concluse che il bitume era la sostanza più adatta ai suoi scopi: sapeva infatti che il bitume sbiadisce e, cosa ancora più importan-te, indurisce sotto l’effetto della luce, mentre le zone in ombra restano solubili e possono essere lavate via. Egli dovette attendere ancora cinque anni per poter realizzare la lastra fotografica in rame del formato 16,5 x 20,5 raffigurante la “Vista dalla finestra di Le Gras”, è infatti ben riconoscibile, a sinistra dell’imma-gine, una parte dell’imposta aperta. Alcuni esperti hanno calcolato, in base alle conoscenze tecniche di quel periodo, che il tempo di posa fu probabilmente di circa otto ore, ed è forse per questo che entrambe le porzioni dell’edificio collocate una di fronte all’altra sono rischiarate dalla luce del sole.Altrettanto visibili sono le linee verticali ricurve e sfuocate lungo il margine, do-vute alle lenti dell’obiettivo.Nel settembre dello stesso anno, il 1827, Niépce si recò a Kiew, nei pressi di Londra, a far visita al fratello Cloude gravemente ammalato. In quella occasione

conobbe Francis Bauer, che si dimostrò talmente interessato dei suoi esperimenti da proporgli di redigere in merito una relazione per la Royal Society. Niépce si fece inviare in fretta alcune prove, tra cui la “Vista dalla finestra a Le Gras”, e redasse un memorandum nel quale si presentava senza giri di parole come l’inventore di un procedimento chiamato eliografia.La tecnica consisteva nel “fissare le immagini che compaiono nella camera oscura con il solo ausilio della luce”. Tuttavia Niépce anche in questo caso evitò di fornire informazioni precise sul procedimento, tanto che il rappor-to venne respinto. Deluso, nel febbraio del 1828 l’inventore fece ritorno in Francia, dopo aver regalato tutti gli appunti e le prove a Francis Bauer, l’unico che ne aveva saputo apprezzare l’importanza: “ll primo valido ten-tativo di Monsieur Niepce di fissare in modo permanente l’immagine della natura”. scrisse Bauer nel raccontare “Vista dalla finestra a Le Gras”, immagine che ormai nessuna storia della fotografia manca di citare e riprodurre. Dopo la morte di Bauer avvenuta nel 1841, le immagini e la documentazione furono inizialmente acquistate

per 14 sterline e 4 scellini dal dottor Robert Brown, per poi finire nella mani di J. J. Bennett, entrambi membri dell’Accademia delle scienze britannica. Nel 1884 Bennett vendette una parte del lascito al fotografo Henry Peach Robinson, (fotografo che verrà trattato nel corso dei Grandi Maestri della Fotografia) e un’altra a Henry Baden Pritchard, all’epoca editore del Photographic News. Le immagini ricomparvero nel 1898 in occasione di una mostra fotografica allestita nel Crystal Palace di Londra, per poi perdersi nel meandri della storia.Oggi non sapremmo dove si trova e che aspetto avesse la veduta dallo studio di Le Gras se all’indomani del-la guerra Alison e Helmut Gernsheim non si fossero messi in cerca degli esperimenti di Niépce, un’impresa che all’inizio pareva disperata. Nell’aprile del 1948, i due studiosi pubblicarono sul Times un breve resoconto delle informazioni in loro possesso, senza tuttavia produrre effetti di sorta. Due anni dopo fecero un secondo tentativo: l’Observer pubblicò un articolo al quale rispose il figlio di Henry Baden Pritchard, ormai anziano; questi tuttavia non potè dare informazioni sulla sorte dell’immagine che aveva visto per l’ultima volta prima del 1900. Passarono altri mesi prima che, verso la fine del 1951, Mr. Pritchard jr. si facesse vivo una seconda volta. L’immagine di Niépce, nel frattempo incorniciata, era ricomparsa in soffitta dentro una valigia, tra i libri e ll vestiario della madre morta nel 1917. La gioia del ritrovamento fu tuttavia guastata dal fatto che il soggetto era quasi invisibile a occhio nudo, e dunque impossibile da riprodurre. Dopo gli interminabili tentativi condotti nella sezione sperimentale della Kodak, un tecnico P. B. Watt riuscì finalmente a riprodurre l’immagine, oggi in possesso dell’Università di Austin in Texas; ed ecco che il profilo degli edifici di Le Gras emerse fino a rendersi conoscibile a partire da una superficie inizialmente solo riflettente: “La vista dalla finestra a Le Gras” di Niépce era venuta alla luce per la seconda volta.

Fonte: Wikipedia - l’enciclopedia libera

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Andrea Coccato. Motivazione della Giuria:

1° classificato: fotografia giudicata vincitrice del concorso

“Lo specchio” anno accademico2017/2018 per la capacità di

emozionare e donare molteplici chiavi interpretative, con un importante ri-

chiamo alla sensualità nell’arte.

corso avanzato secondo livello

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Silvia Tisi, un progetto per crescere...

Succede che fai un viaggio - il viaggio di nozze, ad esempio - e quando torni guardi le foto ed inorridisci. Ecco, io mi sono iscritta al corso base di fotografia proprio per questo motivo! Mai mi sarei aspettata di fare un percorso tanto entusiasmante e coinvolgente… Mai avrei pensato di creare un progetto tutto mio… E tantomeno che questo progetto sareb-be stato scelto dal docente.

È la prima lezione del corso avanzato 2017/2018 quando mi viene assegnato un tema casuale: i sassi. I sassi! Ma che tema è?! Ho provato anche a barattarlo, ma nessuno si è voluto prendere questo fardello… Allora, come il nostro insegnante spesso ci diceva, comincio a mettere in moto la testa. Stavo attraversando un momento molto difficile, un momento di crescita forzata… E questa situazione mi pesava tanto, come un macigno. Ma forse un macigno non è un sasso? Allora ho cominciato a pensare a come avrei potuto raccontare il mio brutto periodo con una decina di scatti e così è nato il mio progetto. L’inizio è decisamente buio e “pesante” - come, d’altra parte, il periodo che stavo attraversando - e la scelta del low key è quasi d’obbligo. Man mano che scatto, però, vedo che i miei problemi si stanno len-tamente allontanando, vuoi per il tempo che sta passando, vuoi per il lavoro che sto facendo su me stessa (“A volte la fotografia può essere usata come una terapia”, cit. M. Gregolin)… Così le foto cominciano ad essere gradualmente più luminose, si inizia ad intravvedere la luce che prende il sopravvento nell’ultima immagine, un’immagi-ne di leggerezza sia nella scelta del soggetto che nella scelta dei toni.Non è stato facile… Soprattutto per me, che mi imbarazzavo anche nel condividere una banale foto fatta come esercizio per casa. E in questo progetto mi sarei decisa-mente messa a nudo (in tutti i sensi, vedi foto numero 3).

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corso grandi maestri

André Kertész è senza dubbio considerato uno dei maggiori fotografi del XX secolo. Nacque a Budapest il 2 luglio del 1894 in una famiglia della media borghesia ebraica. Dopo essersi diplomato all’Accademia commerciale di Budapest nel 1912, acquistò la sua prima fotocamera, una ICA 4.5 x 6, un apparecchio maneggevole che utilizzava a mano libera. Arruolatosi

nel 1915 nell’esercito austro-ungarico, partì volontario per il fronte russo-polacco, portando con sé una piccola fotocamera Goerz Tenax con obiettivo fotografico da 75mm, con la quale documentò la vita di trincea e le lunghe marce, evitando però di documentare gli aspetti più crudi della guerra.

Nel settembre del 1925, a causa della crisi post-bellica dell’Ungheria si trasferì a Pa-rigi, dove si iniziavano ad incontrare altri importanti personaggi del mondo artistico e fotografico come Robert Capa, Man Ray e Berenice Abbott. Intrecciò una profonda amicizia con il fotografo Gyula Halász, conosciuto come Brassaï.

Nel 1928 acquistò una Leica, con la quale scattò una delle sue più famose fotografie, “Meudon 1928” -foto pubblicata nella pagina accanto- (che è stato argomento di discussione durante la lezione in aula del 13 ottobre ) iniziando una collaborazione con la rivista “Vu”.

Nel 1933 la rivista “Le sourire” gli offrì un servizio di cinque pagine in piena libertà. Per l’occasione il fotografo ungherese affittò uno specchio deformante da un circo, e nel suo studio realizzò una serie di fotografie di due modelle: Hajinskaya Verackhatz e Nadia Kasine. La serie, conosciuta con il nome di “Distorsioni”, nasce da una ricer-ca sulle possibili alterazioni delle forme corporee e da una elaborazione di una sua precedente foto scattata al fratello nel 1917 (anche questa oggetto di discussione in aula).

Interessato alle nuove correnti artistiche americane, decise di accettare l’offerta di dell’agenzia Keystone, trasferendosi a New York, nell’ottobre del 1936. Il lavoro alla Keystone durò solo un anno. Le sue immagini non erano ben accette nel panorama

Grandi Maestri della fotografiaAndré Kertész

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fotogiornalistico statunitense, che richiedeva uno stile rigoroso e più didascalico. Lavorò come freelan-ce collaborando per molte riviste, tra cui Harper’s Bazaar e Vogue.Verso la fine della sua carriera, anche se gravemente ammalato, continuò a fotografare dalla finestra della sua casa affacciata sullo Washington Square Park. Raccolse le foto nel libro “From my Window” (1981), dedicandolo alla moglie Elisabeth morta di cancro nel 1977, evento che lascio in lui una pro-fonda depressione.

Kertész trascorse tutta la sua vita alla ricerca del consenso da parte della critica e del pubblico. Tuttavia i suoi lavori la maggior parte delle volte furono poco apprezzati. La sua fotografia fu sempre legata ai lati più semplici della vita quotidiana, con toni molto intimi. Soltanto gli ultimi anni della sua vita e i successivi alla morte portarono un rinnovato interesse verso i suoi scatti, che riescono ad essere senza tempo.Fu considerato da Henry Cartier-Bresson il padre della fotografia contemporanea, al punto di dire: ”Tutto quello che abbiamo fatto, Kertesz l’ha fatto prima”, mentre Brassai, il suo maestro, affermò: “Kertész ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato”.

“Sono un dilettante, ed intendo rimanere tale per sempre” Andrè Kerèsz

“Fotografo il quotidiano della vita, quello che poteva sembrare banale prima di aver-gli donato nuova vita, grazie ad uno sguardo nuovo. Amo scattare quel che merita di essere fotografato, il mondo quindi, anche nei suoi squarci di umile monotonia. Sono nato chiuso, ma un chiuso aperto alla strada, ed ho cercato la felicità nel silenzio di un istante”

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w.how

ardgreenberg.com/artists/andr-kertsz

mostre e appuntamenti

SottopelleMostra fotografica di Silvia Pasquetto

Sottopelle è un progetto artistico che raccoglie e riunisce in maniera corale il mondo femminile.Il lavoro fotografico riguarda l'espressione visiva di uno spazio di intimità particolare, a cui l'autrice ha avuto un accesso privilegiato entrando nelle case di 30 donne normali e fotografandole con il linguaggio del nudo artistico. Le protagoniste delle immagini sono state trovate attraverso una call di partecipazione in Facebook, a cui hanno risposto nel giro di pochi giorni, più di 50 persone. Le donne erano perfette sconosciute le une alle altre e in molti casi anche all'autrice stessa. Esse non si sono mai incontrate di persona, ma ognuna di loro ha vissuto una esperienza di connessione e empatia profonda con se stessa e con tutte le altre. Ogni incontro fotografico, infatti, è sempre iniziato, con la consegna inaspettata di una lettera da parte della donna ritratta nella sessione precedente. Le protagoniste del progetto non erano a conoscenza di questa corrispondenza epistolare che le coinvolgeva, vivendolo con grande intensità emotiva e sorpresa. All'interno del libro, oltre alle immagini, sono state inserite alcune parti di queste lettere, la cui interezza rimane celata all’osservatore, e che costituiscono il fil rouge della narrazione visiva e uno speciale telefono senza fili di segreti sussurrati all'orecchio tra donne: amiche, sorelle, madri e figlie.

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Inaugurazione: 2 Novembre 2018, ore 18.30, presso lo spazio Biosfera

via San Martino e Solferino 5/7 Padova

Contestualmente al vernissage, verrà inoltre presentato un libro d’artista in tiratura limitata, contente le immagini

della mostra, prodotto dall’autrice Silvia Pasquetto.

La mostra sarà visitabile anche nei giorni 3 e 4 Novembre 2018 con orario

continuato dalle 10 alle 19.

Consigliato dal

Docente

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Biografia: Silvia Pasquetto nasce nel 1977 a Verona. Si definisce un essere umano che fotografa esseri umani.Nel 2010, dopo un master in fotografia allo IED di Venezia, inizia la sua attività come fotografa professionista. Centra la sua attività lavorativa e di ricerca artistica sulle persone, che sono il suo focus d'interesse. Quello della fotografia di ritratto diviene da subito un campo di ricerca estensivo che trascende la fotografia e la tecnica fotografica, per esplorare nuove modalità di con-nessione e relazione con l'altro.Sin dall'inizio, inoltre, mostra interesse per il ge-nere del nudo come strumento di conoscenza del sé prima in autoritratto e poi iniziando anche a fotografare altri. Affianca al lavoro professionale e di ricerca arti-stica quello di insegnante appassionata di foto-grafia in varie associazioni culturali tra Padova, Venezia, Vicenza e Verona.

Dal 6 settembre 2018 al 6 gennaio 2019, la Casa dei Tre Oci di Venezia rende omaggio al grande fotografo francese Willy Ronis (1910-2009).La mostra, la più completa retrospettiva del grande fotografo francese in Italia, presenta 120 immagini vintage, tra cui una decina inedite dedicate a Venezia, e documenti, libri e lettere mai esposti prima d’ora.L’esposizione, curata da Matthieu Rivallin, coprodotta dal Jeu de Paume di Parigi e dalla Médiathèque de l’architecture et du patrimoine, Ministry of culture – France, con la partecipazione della Fondazione di Venezia, organizzata da Civita Tre Vene-zie, presenta 120 immagini vintage, tra cui una decina inedite dedicate a Venezia, in grado di ripercorre l’intera carriera di uno dei maggiori interpreti della fotografia del Novecento e protagonista della corrente umanista francese.

Willy RonisFotografie 1934-1998 Venezia

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Eliott Erwitt: i cani sono come gli umani, solo con più capelli

Dal 22 settembre al 3 febbraio 2019La lezione di un maestro della fotografiaSuazes, in collaborazione con Fondazione Cassamarca di Tre-viso e Magnum Photos, organizza, presso gli spazi di Casa dei Carraresi, una grande mostra dedicata ad uno dei più impor-tanti fotografi contemporanei, Elliott Erwitt.Qui interpretato da un percorso espositivo originale, che esplora una delle parti più curiose ed interessanti, nonché note, della produzione del fotografo franco-americano, ovvero quella dedicata ai cani.Una selezione che viene, con tali dimensioni, per la prima volta esposta in Italia, raggruppando oltre ottanta fotografie accompagnate da video, documenti e altro materiale dedicato al tema.

Mostra Paparazzi. Fotografi e divi dalla Dolce Vita aoggi.

Dal 6 ottobre 2018 al 3 febbraio 2019, Palzzo Leoni Montinari di Vicenza. Una mostra esplora il fenomeno - nato autonoma-mente a Roma negli anni '50 - del fotografo d'assalto ai divi del grande cinema italiano, il cosiddetto paparazzo, un termi-ne che è stato esportato in tutto il mondo finendo per essere incluso in molti dizionari stranieri. La storia parte negli anni del Dopoguerra in una capitale italiana che è mecca del cine-ma Neorealista che stava per dare al mondo capolavori da cineteca che avrebbero decretato il protagonismo dell'Italia cinematografica a livello mondiale per un decennio; Cinecittà divenne il centro del cinema mondiale insieme a Hollywood e attori di fama mondiale apparivano ogni notte in Via Veneto per "mettere in scena" quella che i posteri chiamarono giusta-mente la Dolce Vita.

Dal 15 Settembre 2018 al 15 Dicembre 2018 S.Marco 1995 Venezia Victoria Miro è lieta di annunciare una mostra di opere rea-lizzate in Italia dalla celebre fotografa Francesca Woodman (1958-1981), tra cui esempi della serie Eel, creata a Venezia nel 1978.Nata e cresciuta negli Stati Uniti, Francesca Woodman con-siderava l'Italia la sua seconda casa. Visse a Firenze per un anno da bambina, frequentando la seconda elementare in una scuola pubblica in città, e trascorse le sue estati adole-scenziali ad Antella, in Toscana, dove i suoi genitori avevano acquistato una casa colonica quando l'artista aveva 11 anni. Poco dopo, all'età di 13 anni, la Woodman creò il suo primo autoritratto, e la genesi del suo lavoro fino alla sua morte nel 1981, a soli 22 anni, fu intrinsecamente legata all'arte e alla cultura italiane.

Francesca Woodman. Italian WorksVictoria Miro Venice - Il Capricorno

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una finestra sul mondo

Giovanni Contessa fotografa ormai da più di un decennio, specializzato nella fotografia sportiva d’azione, ha fatto il fotografo per la Lega Ita-liana Pallacanestro. Da alcuni anni pratica la fotografia naturalistica. Cerchiamo di capi-re cosa significa questo genere fotografico; immergersi nella natura, avere la possibilità di incontrare animali selvatici, e documentarne per

sempre l’incontro. La definizione di fotografia naturalistica sottolinea la “libertà”, la condizione di natu-rale libertà dei nostri soggetti: infatti solo così il comportamento dell’animale sarà naturale e non condizionato da fattori esterni. Non è fotografia naturalistica scattare una foto ad un animale rinchiuso in una gabbia.Il rispetto della natura è fondamentale, bisogna imparare a rispettare l’ambiente e gli animali, il che significa che anche la presenza del fotografo deve avere un impatto minimo sull’ambiente e sui suoi abitanti. Tradotto in pratica: se si incontra un nido bisogna allontanarsi da esso ed evitare di disturbare gli adulti, che potrebbero ab-bandonare la prole. Ottenere una foto a questo altissimo prezzo non farebbe onore!La conoscenza del luogo e dell’habitat dei nostri soggetti è fondamentale ed è uno dei fattori che permettono ad un fotografo esperto di ottenere quegli scatti unici e di grande effetto. L’appostamento e l’uso di piccoli capanni mimetici in grado di camuffarsi bene, per non far notare la tua presenza agli animali, è fondamentale. L’appostamento richie-de tantissima pazienza, dobbiamo dare il tempo al nostro soggetto di avvicinarsi, solo così potremmo ottenere una buona foto. Naturalmente ci si dovrà dotare di obiettivi adatti allo scopo: un buon 300mm F 2,8 per ungulati, orsi e mammiferi di grandi dimensioni, un 500mm F4 o 600mm F5,6 per piccoli passeracei le cui dimen-sioni a volte sono veramente ridotte. La conoscenza delle abitudini e delle caratteristiche dei soggetti che andremo a ri-cercare rende indispensabile approfondire e documentarsi continuamente. Cercate di ottenere consigli da guardie forestali, persone che conoscono bene il territorio, magari cercatori di funghi e fotografi esperti di indubbia capacità. In un epoca nella quale la salvaguardia dell’ambiente diviene sempre più importante per la vita del nostro pianeta, la divulgazione di foto che rappresentano il meraviglio-so mondo animale naturale è molto importante. Anche grazie a questo particolare tipo di fotografia ci si augura di sensibilizzare la coscienza delle persone per raggiun-gere il vero rispetto del nostro pianeta.

la fotografia naturalistica di Giovanni Contessa

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N o t i z i a r i o a c u r a d i M i c h e l e G r e g o l i n