capitani d'imprese - ritratti 2012

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Coordinamento: Dott.ssa Benedetta Ceccarelli | Ufficio Sviluppo e Comunicazione Confapi RavennaConcept e format: ABC Srl | RavennaEditing, progettazione grafica e impaginazione: ABC Srl | RavennaFoto: Giorgio Biserni | Ravenna (e, in alcuni casi, foto tratte dagli archivi delle aziende)Stampa: GE.GRAF Srl | Capocolle di Bertinoro (FC)

Finito di stampare nel mese di dicembre 2012

Provincia di Ravenna

con il contributo di

si ringrazia

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Indice7 Nota introduttiva a cura di Renzo Righini, Presidente CONFAPI Ravenna

9 Nota introduttiva a cura di Fabrizio Matteucci, Sindaco di Ravenna

11 Nota introduttiva a cura di Gianfranco Bessi, Presidente CCIAA di Ravenna

13 Ritratti

14 Una famiglia di precisione | Turchetti Bruno Srl

18 Il miglior lievito? La condivisione | Linea Alimentare Aresu Srl

22 Camminiamo con voi da più di cinquant’anni | Calzaturificio Eiffel Srl

26 Multifamiliare da tre generazioni | CM Manzoni SpA

30 Risorse umane ad hoc | S.C.R. Srl

34 Movimentiamoci! | Tecnoagri Srl

38 Una microimpresa per un mercato di nicchia | Trerè Chimica Sas

42 Entusiasmo plastico | Oremplast Srl

46 La fonderia di qualità | F.A.M. Srl

50 I galantuomini dell’auto | Moreno Holding Group SpA

54 L’ingegno Resta! | Resta Srl

58 Italia, torna ad essere la nostra America | Bondoli & Campese SpA

62 Impresa a colori | CS Colors Srl

66 Informatica mon amour | Spring Italia Srl

70 Il vetro: una fissazione | Termovetro Ravenna Srl

74 Un’azienda a tutto tondo | Sica SpA

78 Grinta d’acciaio | Sbarzaglia Giovanni Snc

82 L’automazione ha radici solide | Acero Srl

86 Maestri in rettifiche | R.T.F. Srl

90 L’evoluzione della Meccanica | F.lli Righini Srl

96 Ringraziamenti

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Renzo RighiniPresidente Confapi Ravenna Dal 2007 ad oggi ho avuto l’onore di essere il Presidente

della Confapi Ravenna e in tutti questi anni, insieme ai nostri

Imprenditori e alle persone che lavorano nell’Associazione e per

l’Associazione, ho condiviso momenti importanti e complicati per

tutto il sistema economico, politico e sociale.

A conclusione di un mandato che ha affrontato anni difficili,

partecipato a scelte strategiche, accettato sfide e fatto sacrifici

quotidiani, è però doveroso ricordare anche le grandi soddisfazioni

che questo periodo ha portato, grazie a un rafforzamento di tutti

i rapporti con le Istituzioni più significative e ad un radicamento

sempre più forte sul nostro territorio.

Ma il ringraziamento più grande va alle nostre Imprese e ai loro

Capitani che, a fronte delle mille difficoltà affrontate, hanno deciso

di proseguire la propria attività con la consueta determinazione

e caparbietà.

Grazie al lavoro e alla dedizione di tante persone, l’Associazione

dal 1970 ad oggi ha saputo resistere agli attacchi del tempo,

al cambiamento degli scenari economici e del modo di fare

impresa, fino a diventare quel soggetto credibile e autorevole che

gode ovunque di profonda stima e rispettabilità.

Perchè in mezzo allo sfacelo di un sistema non solo economico

ma anche etico, dei valori, il nostro modo di operare e la credibilità

che nell’arco di oltre 40 anni ci siamo guadagnati, devono essere

il motivo del nostro massimo appagamento.

In tempi in cui la politica e l’economia troppo spesso non sono

stati espressione di grandi ideali e di spinte filantropiche, l’orgoglio

più grande è il riconoscimento da parte di tante persone della

professionalità e dell’etica che, senza false modestie, posso dire

ci contraddistinguono.

La disponibilità dimostrata da coloro che hanno partecipato al

nostro progetto editoriale ne è la testimonianza più tangibile ed è

ancora più preziosa se solo per un attimo pensiamo al momento

storico nel quale si colloca questa iniziativa.

Imprenditori appartenenti a generazioni diverse, con stili e

specificità proprie, hanno aderito con entusiasmo alla nostra

iniziativa, mettendoci a disposizione il loro tempo, donandoci

parole, ricordi ed esperienze private per raccontarci le loro

storie, stupendoci e rendendoci veramente orgogliosi di poterli

rappresentare.

Il valore aggiunto di questa opera lo hanno dato loro, i nostri

Imprenditori, restando ancora più uniti e partecipi al lavoro

dell’Associazione, dando una forma e una sostanza alle tante

dichiarazioni d’intenti in tema di ‘reti e sinergie’.

Perchè ‘Capitani di Imprese’ rappresenta la nostra sinergia

migliore!

Concludere questo mandato presentando a tutti Voi un’opera

dedicata ad alcune delle nostre eccellenze non può che essere

motivo di grande soddisfazione da parte mia.

E comunque non finisce qui...

Di storie da raccontare ne abbiamo ancora tante!

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Sono tanti gli elementi che concorrono a formare il patrimonio

di storia, cultura e tradizioni della nostra comunità.

Uno di questi elementi, uno dei più importanti, è costituito dalle

aziende che gravitano sul territorio.

Alcune di queste aziende sono il frutto di intuizioni dei padri

raccolte dai figli che le hanno poi fatte loro, affrontando le sfide

della modernità. Tutte raccontano storie di sacrifici e di una

grande passione per il proprio lavoro.

Ecco, di tutto questo parla il libro voluto da Confapi e che

ricostruisce un pezzo importante dell’economia locale attraverso

una serie di interviste ai suoi protagonisti.

Interviste che disegnano personaggi a “tutto tondo”.

Questi “capitani d’impresa” sono prima di tutto capitani coraggiosi

perchè spesso hanno solcato mari in tempesta, ponendosi

sempre il problema di come salvaguardare il proprio equipaggio

(i dipendenti e le loro famiglie).

Ma sono anche persone che hanno i piedi ben piantati per terra,

che hanno ben chiara la consapevolezza che se anche c’è un

uomo solo al comando che si assume tutte le responsabilità, non

è possibile andare da nessuna parte se non si condividono gli

stessi obiettivi.

Condivisione è qualcosa di più di una semplice parola.

È una filosofia di vita e anche un tratto saliente della nostra

comunità che per fortuna, visti i tempi davvero difficili che stiamo

vivendo, conserva ancora fra i suoi valori quello di lavorare

Fabrizio MatteucciSindaco di Ravenna insieme per il bene comune.

Ne sono una testimonianza i vari “tavoli di concertazione” che

vedono insieme istituzioni, associazioni degli imprenditori e

organizzazioni dei lavoratori che abbiamo istituito in tutte quelle

occasioni in cui abbiamo ritenuto necessario intensificare i nostri

sforzi in nome di un obiettivo comune.

Altri dei “capitani d’impresa” intervistati in questo libro sollevano

alcuni nodi fondamentali: come quello dell’importanza della

ricerca e dell’innovazione per fare crescere le aziende. Ricerca e

innovazione sono due capisaldi irrinunciabili se vogliamo davvero

puntare ad uno sviluppo di qualità economico, sociale e culturale

della nostra comunità.

Stretti nelle morse del patto di stabilità, i Comuni hanno dovuto

rinunciare in buona parte ad essere motore dell’economia del

territorio. Nonostante questo, il nostro Comune non ha rinunciato

a rimanere a fianco delle imprese. Abbiamo cercato di intervenire

su temi importanti come quelli della semplificazione (siamo stati

fra i primi in Italia ad aprire lo Sportello Unico alle imprese).

Progetti come quelli del Polo tecnologico possono dare un

contributo concreto al tema dell’innovazione.

Vorrei concludere questo mio intervento con una riflessione:

dobbiamo prima sapere chi siamo se vogliamo sapere dove

andare. Questo libro ci dice che siamo persone che sanno

rimboccarsi le maniche nel momento del bisogno.

Insieme ce la faremo.

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Gianfranco BessiPresidente della

Camera di Commercio di RavennaLa crisi economica internazionale è iniziata nell’autunno del

2008, esattamente quattro anni fa. Periodicamente i ministri

dell’Economia di turno ci hanno assicurato (e ci assicurano) che

la ripresa è prossima. Nel frattempo la burocrazia non arretra, il

credito bancario è sempre più difficile da ottenere, le riforme sul

lavoro sembrano fatte su misura non si sa per quale Paese, non

certo per l’Italia.

L’imprenditore per non essere sopraffatto, dà fondo alla liquidità,

non si piega, combatte la concorrenza di Paesi come Cina o

India e deve anche guardarsi dalla concorrenza interna, non solo

da quella prevista dalle economie di mercato. Ma l’imprenditore

punta sull’innovazione e sull’internazionalizzazione, crede nelle

reti d’imprese, cerca nuovi mercati, migliora la propria gestione

aziendale.

E lo fa per meriti propri e perchè, almeno nel nostro territorio, sa

di poter contare su una rete positiva di supporto.

I consorzi fidi da noi funzionano e sono sostenuti dalle Istituzioni,

lavoriamo sull’internazionalizzazione con un ufficio apposito che

è l’Eurosportello, alimentiamo gli ammortizzatori sociali in deroga

per ridare fiato a chi boccheggia.

Le associazioni di categoria sono il trait d’union con questo

sistema, interpretano le esigenze degli associati e cercano di

tradurle in fatti. Le associazioni di categoria sono anche molto di

più, sono le sentinelle contro la malavita organizzata che proprio

quando c’è crisi e mancanza di liquidità è pronta a farsi strada.

Non è vero che in Italia tutti i territori sono uguali, in alcuni si cerca

ancora di fare le cose seriamente.

Ne è un esempio la riforma istituzionale. C’è chi litiga sul nome

di una nuova Provincia, chi discute i confini, chi baratta la sede

all’Ausl. Da noi cerchiamo solo di snellire la burocrazia, di

assumere una dimensione romagnola per meglio affrontare i

problemi e i costi.

Con questa logica crescono le imprese eccellenti, che si aprono

al mondo, ampliano le relazioni, sposano la ricerca, fanno

innovazione.

Le loro associazioni le accompagnano fuori dai confini familiari,

danno certezze, creano opportunità insieme a Istituzioni come la

Camera di Commercio.

Qui si lavora fianco a fianco.

E se dopo quattro anni di crisi e di rassicurazioni sulla fine del

massacro economico siamo ancora qui a parlare di imprese

eccellenti è perchè questo territorio è coeso, crede in sè stesso,

non si illude sulle previsioni sugli andamenti economici. La crisi,

purtroppo, non è passata, la redditività è in calo e lo sarà anche

il prossimo anno.

Eppure altre 20 aziende, ci dice la Confapi, meritano un titolo in

prima pagina.

È grazie a questi imprenditori che possiamo sperare in un

futuro migliore per figli e nipoti, nei confronti dei quali abbiamo

un’enorme responsabilità.

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Ritratti

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Inizialmente, alle domande di questa intervista, risponde in modo preponderante la signora Anna Rosa Turchetti. Le sue spiegazioni illustrano bene i passaggi e le evoluzioni che l’azienda ha conosciuto dall’anno della sua fondazione. Più avanti, si inserirà anche la figlia Nicoletta, con risposte che rivelano un diverso punto di vista sulla realtà lavorativa e sulle relazioni interpersonali, ma che non mancano di far trasparire, sotto l’ironia che spunta di frequente, un rapporto madre-figlia saldo come l’acciaio.

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata?Nel 1931, fondata da mio babbo, Bruno. Tutto iniziò a Ravenna, in via Ravegnana, in un locale con dentro una piccola macchina, dove lui si dedicava a lavori di torneria, ma la sua prima, vera, attività iniziò in via Mangagnina, con la casa attaccata all’officina, alla vecchia maniera. Ogni volta che aveva bisogno di ampliarsi mio babbo occupava un po’ del terreno che avevamo attorno alla casa solo che, a forza di allargarsi,finì che le cantine sparirono e l’officina andò a confinare a stretto muro con la casa. Mi ricorderò sempre le parole di mia mamma: “Bruno non portare le macchine in cucina che non ci stanno!”. L’espansione non arrivò subito, ma giunse dopo la guerra perchè durante il conflitto mio padre chiuse l’attività e andò nei partigiani.

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta l’inizio del suo percorso in azienda?Amavo fare il lavoro del babbo, mi piaceva lavorare alla rettifica. Lui, alla sua maniera, era un estimatore dei Paesi del Nord. Secondo il suo punto di vista, per quello che era l’ambito sociale, gli inglesi e gli svedesi avevano una marcia in più rispetto a noi italiani e mi aveva fatto capire che anche le donne potevano fare qualunque lavoro. Infatti in quei Paesi i lavori di precisione erano realizzati manualmente proprio dalle donne. Mi ripeteva spesso: “Anna, non è perchè una nasce donna che è destinata a fare solo la mamma punto e basta”. Insomma era un uomo moderno.

Come si declina questa “vocazione” lavorativa prettamente maschile al femminile?(ndr Si inserisce Nicoletta) Io non ho il carattere di mia madre. Mio fratello Luigi segue l’officina, io sto in ufficio e seguo la parte del

Una famigliadi precisione

Turchetti Bruno SrlVia Achille Grandi, 13 - 48123 RavennaTel. 0544.453478 • www.officinaturchettibruno.com

Inizialmente bottega artigiana per la riparazione dei mezzi meccanici,

l’Officina si è evoluta negli anni fino a diventare uno dei punti di riferimento più qualificati ed affidabili per la meccanica del

territorio. Oggi, il reparto produttivo ed il personale sono diretti da Luigi e Nicoletta,

rappresentanti della terza generazione. Ma per calarsi appieno nella storia

di questa azienda e per percepire il carisma del suo fondatore, è prezioso il racconto

della signora Anna Rosa Turchetti.Una donna che continua a tracciare insieme

ai suoi figli le rotte da seguire per raggiungere nuovi traguardi. Senza mai avere paura.

L’Officina Turchetti si occupa di costruzioni meccaniche, in conto terzi ed anche in fornitura piena, con lavorazioni di precisione su disegno o campione e nella manutenzione industriale (tramite macchine utensili a CNC e macchine tradizionali di dimensioni medio-grandi) per i settori siderurgico, petrolchimico, produzione energia e ambiente, portuale.

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personale e delle paghe, l’amministrazione la fa ancora tutta lei. Il pensiero che poteva avere mia madre, ovvero l’incombenza di dover seguire anche l’officina, io non l’ho mai avuto.

(ndr La signora Turchetti commenta la frase di Nicoletta) Però mi ha fatto bene crescere vicino all’officina, perchè ho respirato la polvere e mi sono temprata.

Signora Anna Rosa, quali caratteristiche personali ha dovuto enfatizzare per inserirsi con autorevolezza in questo contesto lavorativo?Cordialità spontanea ad avvicinare chiunque, uomini o donne che fossero. Semplificando, non mi sentivo in soggezione e non mi sentivo inadeguata nei confronti di un uomo solo perchè indossava i pantaloni. Ma la mia cordialità non era mai sfrontata, fin da ragazzina mi sono sempre comportata con grande discrezione. Quando iniziai a lavorare, mio babbo, dal momento che questo era un ambiente di uomini, mi ripeteva: “Ricordati sempre, si scherza e si ride, ma uno di qua e uno di là dalla scrivania. Mai che qualcuno faccia un passo dietro la scrivania e ti metta una mano sulla spalla!” Il rapporto tra uomo e donna doveva rimanere sempre entro certi limiti. Scherzare educatamente, parlare di lavoro cercando di far capire all’interlocutore che, se anche ero una donna, e giovane per giunta, ero capace ed abilitata a parlare di lavoro: ma sempre con le dovute maniere. Non ho mai finto nell’essere cordiale, è una mia disposizione d’animo. Ancora adesso, quando vedo un vecchio cliente gli vado incontro, è normale, sono festosa.Perchè per me è un vecchio amico.

Qual è l’insegnamento più importante che le ha dato suo padre e che le è servito di più per fronteggiare quotidianamente questo periodo che per semplificare chiameremo “crisi”?Quello di non mollare mai, prima di tutto, perchè tanto di periodi magri ne abbiamo già passati. Non lunghi come questo, però di difficili ce ne sono stati ancora. E poi la fortuna di avere e tenersi vicine le persone capaci. Prima o poi questo è riconosciuto. Se prendi della zavorra alla fine non ti rimane niente. Io la vedo così. Tutti dobbiamo lavorare, per carità, ma penso sempre che la professionalità alla fine paghi.

Ci dia tre aggettivi per descrivere l’imprenditore romagnolo.Prima di tutto la voglia di fare. Comunque vadano le cose “tiene botta”. Scusate le mie espressioni, ma a me piace ancora molto il dialetto! E poi non perde mai la fiducia negli altri, anche se questa

caratteristica forse può rivelarsi un po’ una fregatura. Perchè dice: “Dai! Dai! Dagli una mano, chissà che poi...” Anche se arriva una persona che so avere delle grosse difficoltà, cerco di non dire di no. Perchè spero sempre che riesca a venirne fuori e anche gli altri miei colleghi fanno lo stesso. La fiducia negli altri non manca mai… escluse le banche. E poi il rapporto con i concorrenti. Vede, io sono in buoni rapporti, anche se hanno fatto tutta un’altra strada, anche con i fratelli Righini di Ravenna. Ci siamo sempre parlati, allora, più che concorrenti eravamo persone corrette che parlavano di lavoro e insieme cercavano di creare le fondamenta per andare avanti. Cosa vuoi farti la guerra che non ha senso! Anche quando si facevano contratti nelle stesse zone si cercava di parlare e di non darci dei calci negli stinchi. Io credo sia fondamentale e penso che oramai anche il romagnolo, nella sua diffidenza, sia arrivato a capirlo.Almeno spero che sia così perchè mi accorgo che da soli, anche

A destra la signora Anna Rosa Turchetti coi suoi due figli, Luigi e Nicoletta. In basso una foto degli anni ‘70, Anna Rosa Turchetti è in basso a sinistra

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quando si è fatta la guerra al vicino, che cosa si è risolto?

Quindi è cambiato anche l’atteggiamento tra imprenditori?Per me sì e lo riscontro dalle piccole cose. È un periodo che tra colleghi si parla molto: “Come vai? Come non vai? Com’è la tua situazione adesso?” E si risponde con sincerità, non con quel sottofondo di fregatura di chi la vuol dare ad intendere. Una volta non era così. Ai tempi del mio babbo c’era una forma di competizione che si avvicinava molto all’invidia. Oggi, fortunatamente non è più così, manovre e sotterfugi di bassa lega non esistono più.

Una donna serena che ha avuto un padre che le ha dato una sicurezza e una tranquillità che non le hanno fatto temere le meschinerie…(ndr Interviene Nicoletta) Sì, però alla fine siccome oggi le “meschinerie” ci sono ugualmente, la mamma va incontro a forti delusioni perchè fatica a rendersi conto che le persone con cui ha a che fare oggi non sono le stesse persone con le quali aveva a che fare una volta, persone delle quali ti potevi fidare ciecamente, con cui bastava solo una parola o una stretta di mano.

(signora Turchetti) Persone che sono state con noi per una vita lavorativa e che ancora ci seguono. Per fortuna, con loro c’è sempre stato e rimane un ottimo rapporto. Se non fosse così, chi me lo avrebbe fatto fare di rimanere qui cinquantasei anni? Avrei mollato prima. Uno fa questo lavoro perchè fa parte della sua indole. Altrimenti stai a casa tua, allevi i tuoi bambini, i tuoi nipoti e molli questi problemi.

Come quando mi dicevano: “Cara signora Turchetti...”Mi dicevano cara perchè ero cara dal punto di vista economico. Da vecchia ragioniera ho sempre risposto che non potevo scendere sotto certi livelli, perchè se lo avessi fatto sarei andata sott’acqua. Sembra una constatazione semplice, ma per quanto mi riguarda ho sempre cercato di mantenermi su una strada sostenibile: due più due deve sempre fare quattro e mezzo, perchè se fa quattro alla prima difficoltà prendi lo scivolo e non ti fermi più. E purtroppo è vero, se fa quattro e mezzo puoi anche affrontare i periodi difficili, i momenti di lavoro andato male, l’imprevisto, ma se fa solo quattro alla fine la tua stabilità è precaria.

Qual è la prima cosa che fate quando arrivate in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?(signora Turchetti) Prendo il caffè, così posso anche dare un primo sguardo in officina. La sera guardo che siano a posto tutti i pulsanti del centralino, sono sempre qui a verificare che sia tutto in ordine. Poi saluto mio figlio.

(Nicoletta) La mattina accendo il server. La sera dico: “Mamma andiamo!” altrimenti non me la porto più a casa.

Nei momenti in salita, qual è la frase che vi accompagna per ritrovare la carica?(signora Turchetti) Io dico sempre: “Babbo dammi una mano”.

(Nicoletta) Non sono pessimista, perchè oggi è tutto altalenante. Questa settimana non c’è lavoro, la prossima ne può arrivare moltissimo. In un momento brutto mi dico: “Non è detto”.

Qual è il sacrificio personale più grande che avete fatto per il lavoro? (Nicoletta) Il seguire meno i miei due figli. Per forza. Se sei in ufficio non sei a casa.

(signora Turchetti) Anche per me. Nel 1978 sono rimasta senza padre ed ho dovuto mandare avanti la baracca. C’erano trentacinque persone alle mie dipendenze. E i miei figli purtroppo ne hanno pagato lo scotto. Anche se nei fine settimana io e mio marito abbiamo mollato le amicizie per stare tutto il tempo che avevamo a disposizione con loro. Questa per noi era la cosa più importante.Lui per fortuna mi ha dato una grossa mano, li ha sempre seguiti anche nello sport.

Signora Turchetti, ci sono degli insegnamenti ha tratto da questa crisi?No, l’unica cosa che ho pensato è che questa attività iniziò come officina di rettifiche motori, ma pian piano si è evoluta ed ha cambiato indirizzo, perchè come rettifiche motori effettivamente sarebbe morta. Il cambiare e l’adattarsi ai tempi è stato fondamentale per superare altri momenti critici, come negli anni Ottanta con la crisi del Porto quando facevamo i lavori a bordo delle navi come motoristica. E poi l’investimento in macchine più moderne negli anni Novanta che ci ha permesso di evolvere e crescere con i tempi. Oggi, certo, la mancanza di lavoro è generalizzata, ma essendo la nostra attività multisettoriale e noi specializzati, sia in costruzione che in riparazione, questa versatilità ci permette di adattarci ai momenti difficili. Il nostro personale infatti sa lavorare in diversi ruoli.

In azienda si custodiscono gelosamente alcuni documenti appartenuti al fondatore, Bruno Turchetti

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Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

In questi anni di lavoro è riuscito a mantenere una sua coerenza di ideali, di etica? Come è riuscito a conciliare coerenza e mediazione?

?

Qual è la cosa sulla quale non avrebbe mai pensato di poter cambiare idea e sulla quale, invece, si è dovuta ricredere?(signora Turchetti) Non concepisco il computer. Mi spiace di non aver più la mia matita consumata e la carta.

(ndr Interviene Nicoletta) La mamma è ancora lì che aspetta che il computer sbagli i calcoli per poter dire: “Vedete? Avevo ragione!”

Cosa vi irrita di più?(signora Turchetti) La persona bugiarda. Mi dà la pelle d’oca.

(Nicoletta) Anche a me.

Nelle difficoltà conta più il capitano o la squadra?Rispondo dicendo che nel 1978 ho avuto la fortuna sfacciata di avere attorno a me persone coscienti e leali. Se siamo riusciti a passare quel momento, non è stato merito mio, è stato merito loro. Era mio padre che insegnava come si lavorava in officina con le macchine. Io ero una ragioniera. Certo, ho cercato di dar loro tranquillità, di rimanere attaccata ai clienti con le unghie e con i denti, ma l’officina è andata avanti grazie a chi c’era dentro. Non era semplice accettare che ora alla guida dell’azienda ci fosse una donna che stava solo dietro una scrivania e non conosceva neanche il disegno industriale. Non era mica semplice per dei ragazzi giovani con una famiglia sulle spalle decidere di rimanere qui quando avrebbero potuto trovare lavoro ovunque.

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?(signora Turchetti) Per me è grigio chiaro, ma mi vesto di colore.

(Nicoletta) Non lo saprei dare. Direi trasparente perchè sto cercando di capire.

Nell’arco della giornata c’è ancora spazio per sorridere con i suoi collaboratori?Sì. Assolutamente. Penso sempre che questo momento si supererà, anche se è più lungo del normale. Non penso neanche lontanamente che questo sia il futuro. Altrimenti… che tristezza!

Avete un giorno di libertà, come decidete di trascorrerlo?(signora Turchetti) Vado in pineta o, se riesco, scappo in montagna.

(Nicoletta) Vado a fare Nordic Walking.

Signora Turchetti, che cosa la fa ridere?Mi piace ridere. Se uno non si alza la mattina pensando in positivo, pensando a qualcosa di bello, parte già svantaggiato.Senza allegria è tutto più difficile.

La signora Anna Rosa Turchetti. In basso, un ritratto di famiglia

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Il miglior lievito?La condivisione

Linea Alimentare Aresu SrlVia Bagnarolo 12/C, 48024 Massa Lombarda (Ra)Tel. 0545.81590 • [email protected]

Elio Aresu è una di quelle persone che senza grandi clamori hanno reso grande

la piccola e media industria del nostro Paese. Persone serie, oneste e concrete

la cui vita ha coinciso in modo saldo ed indissolubile con il lavoro. Persone limpide

che, con la loro condotta quotidiana hanno guidato la crescita dei loro figli, grandi

anch’essi perchè grande è stata la qualità dell’esempio al quale si sono ispirati.

Giampiero Aresu, suo figlio, è la sintesi di dedizione ed umiltà, determinazione ed

ironia, visione e grande umanità.Con questi ingredienti, i loro grissini

non potevano che essere i più buoni d’Italia.

Prendono parte all’intervista le tre generazioni Aresu, rappresentate da Elio, il capostipite, il figlio Giampiero ed il nipote Michele. Alle domande risponderà principalmente Giampiero e, in alcuni passaggi importanti, prenderà la parola anche Elio, a ratificare una sintonia umana e professionale davvero fuori dal comune. Michele rimane più defilato, saluta e poi torna in produzione. Di lui ricaviamo un ritratto indiretto dalle parole del padre e cogliamo un gesto di cura che compie nel momento della visita al reparto produttivo. Michele osserva tutto con occhio attento, poi individua un pezzetto di plastica sul pavimento e lo raccoglie ripristinando un ordine generale impeccabile. Avevamo visto fare quel gesto qualche minuto prima al signor Elio. Un dettaglio capace di riassumere con grande efficacia le parole che abbiamo ascoltato da Giampiero: “Sono sempre gli esempi, più che le parole quelli che contano veramente”.

In che anno è nata l’azienda? L’arte del grissino nasce con mio padre Elio e suo cognato, il marito di mia zia, intorno al 1962, poi ci fu il passaggio ad impresa nel 1974 ed infine, con la mia entrata, la fondazione della Linea Alimentare Aresu.

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta l’inizio dell’attività? Ce la potrebbe descrivere?Come nella tradizione più classica mio padre iniziò facendo il mestiere del fornaio in via Saffi a Massa Lombarda. In seguito, un signore che portava le macchine per la panificazione disse che aveva iniziato a produrne una che faceva i grissini. Allora, mio padre e mio zio nel pieno del boom dei primi anni Sessanta iniziarono a dire: “Facciamo i grissini!” e io, anche se avevo solo cinque anni, ricordo benissimo quella prima macchina. E poi l’agitazione, il fermento, la novità, i rapporti tra le persone che erano tutta un’altra cosa rispetto a quelli di adesso. Rapporti ed approcci che oggi ritrovo ahimè nelle persone che hanno settant’anni e oltre. Sono momenti e dettagli che rievoco con un piacere particolare.

Com’è nato il grissino che vi ha resi famosi?Noi facevamo un grissino molto meno ricco di quello attuale, lavoravamo per alcune mense che lo chiedevano proprio così. Si lavorava davvero tanto, andavamo avanti fino al primo pomeriggio e quando ci veniva fame ammaccavamo i grissini crudi, ci

L’azienda produce esclusivamente i famosi grissini Fagolosi.

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mettevamo un po’ d’olio e un po’ di sale e li cuocevamo. Ecco è nato di lì. Poi coinvolgemmo un artigiano meccanico che lavorava con noi, gli spiegammo la nostra idea e lui realizzò un rullo che riusciva a dare la caratteristica che volevamo noi. Fu proprio un piccolo polo produttivo. Oggi l’idea di fare qualcosa insieme a realtà del nostro paese continua con Bruno Fusari della Minipan, azienda con la quale collaboriamo tantissimo.

Da piccolo cosa avrebbe voluto fare?Non avevo un sogno particolare. Già il fatto di essere cresciuto in mezzo a questo odore mi permeava della sensazione che un giorno avrei fatto anch’io questi grissini. Senza neanche chiedermelo, per me è sempre stata naturale la prosecuzione.

E per sperimentare, come funziona? Vi trovate insieme?Sì certo. Tutto lo sviluppo nasce attorno ad un’impastatrice che ci accompagna da tanti anni per mettere a punto gli equilibri. Come una delle ultime scelte, quella di produrre i grissini di kamut, scelta importante, che ci ha qualificato ulteriormente.

Una caratteristica senza la quale oggi non si può fare a meno.Sicuramente l’attenzione al mondo ed alla sua evoluzione.Il riuscire a capire prima degli altri l’evoluzione dei gusti e delle tendenze. Anzi, cercare di dare quanto più possibile una linea al mercato. Quando abbiamo iniziato a produrre i nostri grissini abbiamo introdotto qualcosa che non c’era e che però facevamo per noi, perchè erano buona e ci piaceva. E la nostra scommessa è stata proprio questa. Oggi la sfida continua. Abbiamo proposto nuovi gusti, diversificato i formati, siamo attenti agli ingredienti anche in relazione ad aspetti legati a cultura e religione.

Tutto questo per dare noi un’impronta al mercato e non subirla.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?Faccio un giro per controllare che la linea di produzione funzioni con l’efficienza che piace a me e lo stesso prima di andar via, chiedo alle ragazze se è tutto a posto e se è tutto come vogliono. C’è sempre questo scambio perchè a me piace che chi lavora lo possa fare nelle condizioni ottimali.

Che musica ascolta nel tragitto per arrivare in azienda?A casa guardo le notizie e mentre vengo qui ascolto il Ruggito del coniglio su Radio 2 perchè mi mette di buonumore.

Come si rilassa?Vado in bicicletta un paio di volte a settimana. Un modo per stare insieme con i miei amici e per star bene in salute.

Coltiva qualche hobby? Se sì, quale?Come hobby ce n’è uno di famiglia, il calcio, prima con mio padre che ha svolto il ruolo di presidente del Massa Lombarda con grande passione per tantissimi anni. Poi, quando ha lasciato, è arrivata una delegazione a chiedermi di continuare sulla sua strada e io ho accettato per mantenere vivo questo fattore importante per la socialità del paese.

Cosa la fa ridere?Un sacco di cose, anche se molto spesso rido dentro e non rido fuori. Io sono così, forse per una sorta di riservatezza o pudore. Mi piacciono molto le persone che sanno far ridere perchè hanno un gusto particolare per la vita, detesto invece la volgarità o gli eccessi.

(ndr Si inserisce Elio Aresu) Giampiero ride molto, Michele, mio nipote ancora di più. Io assolutamente. Son sempre stato musone,

Elio Aresu tra suo figlio Giampiero (a destra) e suo nipote Michele (a sinistra)

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me l’ha sempre detto anche mia moglie, ma è il mio carattere. Non ci posso fare niente. Mi sarebbe piaciuto tantissimo saper raccontare una barzelletta, ma zero. È una cosa che nella vita ti manca, è bello saper ridere, ma questo viene dalla mia infanzia, la mia mamma era molto severa.

Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro?La costruzione di questo fabbricato è stata per me una bella prova, l’ho seguita passo passo, all’interno, all’esterno, le viti, i bulloni. Non mi ha mai spaventato il pensare che poi avremmo dovuto farlo funzionare. Per me era scontato che ci sarebbero voluti fatica ed impegno, ma era la mia impresa, era il passaggio importante tra attività artigianale e attività industriale. Fu una soddisfazione enorme.

La figura del passato o del presente che con la sua condotta, umana o professionale, ha ispirato il suo lavoro. Sicuramente mio padre. Oggi lui ha ottantun’anni, lo guardo, ha una vitalità straordinaria e a volte penso che più avanti nel tempo vorrei proprio essere in forma come lui. È il mio modello.

Qual è l’insegnamento più importante che le ha dato suo padre?Sono sempre gli esempi, più che le parole quelli che contano. Non c’è stata una mossa vincente nella nostra storia imprenditoriale, ma è sempre stata una costruzione, giorno per giorno. Ho iniziato a lavorare a diciannove anni. Prima, quando tornavo a casa da scuola venivo qui, quindi posso dire di avere sempre vissuto nel lavoro. Tra noi c’è sempre stata collaborazione, interscambio, come quando a sedici anni lo accompagnai in Francia, nella regione dello Champagne, per un viaggio di lavoro dove misi

a frutto le lezioni di francese facendogli da interprete. Per me fu motivo di grande orgoglio. Un bellissimo viaggio on the road.

Parliamo adesso della terza generazione. Qual è la caratteristica che vede in suo figlio e che lei non ha?Sicuramente Michele è al passo con i tempi, ha delle capacità che oggettivamente io non ho. Lui vive il tempo di oggi con una consapevolezza diversa dalla mia. Io devo assimilarla, mentre lui l’ha già insita dentro di sè, sa perfettamente cosa c’è da fare, specie se parliamo di tecnologia o di informatica.Negli ultimi decenni, i cambiamenti sono stati a dir poco epocali. C’è però un dato di fatto che è rimasto immutato: dare continuità ad un’attività avviata da persone che sono venute prima di noi e diverso dal realizzare dal niente un progetto, un sogno, che sentiamo veramente nostro. Credo che mio figlio debba trovare questa dimensione, questa misura. Nel momento in cui riuscirà nella sua ricerca, lui metterà nel suo lavoro ancora più entusiasmo, impegno e progettualità. Sono convinto che questo accadrà.

Una riflessione sugli imprenditori di ieri, di oggi e di domani.(Elio) Io dico, forse con un po’ di presunzione, che noi eravamo migliori dei giovani di adesso, però era più facile per noi vivere. Le problematiche erano inferiori e se tentavi di fare una cosa, se avevi un po’ di testa riuscivi, ci arrivavi. Oggi invece è molto più faticoso perchè il mondo è veramente cambiato.

(Giampiero) Oggi è più difficile riuscire a rompere gli schemi, cercare di fare delle cose importanti. Per noi era più facile, mio padre è partito con tre dipendenti e oggi siamo in trenta. Ma oggi uno che vuol partire da zero come fa? Per metter su quattro muri ci vogliono cinque milioni di euro e non te li dà nessuno.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? (Giampiero) Non ho una frase, ho un mio programma interiore per cui se oggi sento alla radio che siamo in crisi, dopo tre secondi me ne dimentico, resetto immediatamente. Se decidi di fare l’imprenditore sai che ti aspettano delle scelte, devi osservare un’etica, favorire la condivisione, la professionalità. Tutte cose per le quali non devi sforzarti, devi farle e basta, perchè è il tuo dovere.

Quando parlo con le ragazze che lavorano in produzione loro mi guardano negli occhi e cercano in me delle certezze, non che dica loro che fuori c’è il sole. Cercano sicurezza, uno sprazzo di entusiasmo per i loro figli, per il loro futuro, per il mutuo che hanno contratto. Se non fosse così vorrebbe dire che uno dei miei compiti è venuto a mancare. Io cerco sempre di essere realista, ma propositivo. Altrimenti ci ammazziamo con le nostre mani.

(Elio) È bello questo suo pensiero e ci crede. Questa è passione, la riconosco perchè anche io l’ho dentro.

Cos’ha imparato dai suoi dipendenti? E loro da lei?Qui in azienda teniamo sempre le porte degli uffici aperte perchè continuamente c’è un’evoluzione, ciascuno può portare idee innovative o importanti. Sono proprio le persone che lavorano e che svolgono certe mansioni ad accorgersi per prime se qualcosa va o non va. Ecco. La condivisione di quello che stiamo facendo deve essere il faro che ci illumina, specialmente in questo momento di crisi.

Qual è la cosa che ha imparato da questi momenti difficili?Ho vissuto la mia gioventù negli anni Settanta, ho conosciuto i sacrifici, non voglio dire le privazioni, ma conosco sicuramente uno stile di vita più semplice ed essenziale. Ho quindi un margine molto ampio per eliminare le cose belle che ci sono oggi. Perchè per me le cose essenziali sono altre. E poi c’erano persone che indicavano la via e ci davano sicurezze diverse. Oggi manca forse qualche figura rappresentativa, per cui, a maggior ragione, ciascuno nel suo piccolo deve colmare questi vuoti e cercare di fare del suo meglio. La crisi è crisi per tutti e il nostro settore non fa eccezione. Un ragazzino si può privare di un grissino, ma non si priva più della possibilità di spedire un sms. Il mondo cambia e non ci sono settori intoccabili. Bisogna cercare di capire che stare bene vuol dire stare bene tutti, un’unità di misura che tutti dovremmo prendere in carico. Occorre condividere e cercare di stare vicini. Al di là che sia una crisi strutturale, non possiamo continuare a pensare che felicità e ricchezza dipendano esclusivamente da fattori materiali. È il sistema che induce il bisogno, ma è evidente che siamo arrivati alla fine di tutto questo.

Elio Aresu controlla la produzione

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Un po’ il tiro l’abbiamo spostato, speriamo di trovare la condivisione non nella speculazione ma in altre cose.

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?Gli inglesi direbbero blue, io direi mèlange, ma oso e dico rosso.

Ha un giorno di libertà, come decide di trascorrerlo?Organizzo il giorno prima per andare a fare un giro in bici e poi il pomeriggio resto con i miei affetti.

Signor Elio, come definirebbe il rapporto con suo figlio?Sono orgoglioso del rapporto che ho con lui. Siamo padre e figlio, ma non abbiamo mai litigato. Certo, alcuni momenti di muso lungo, ma non è una cosa scontata riuscire ad essere così in sintonia. In tutto questo tempo ci siamo sopportati a vicenda e voluti molto bene.

Che cosa la riempie d’orgoglio?Io mi devo accontentare assolutamente perchè la vita mi ha dato quello che da bambino, ma anche da grande, non mi sarei mai immaginato: avere l’affetto della propria famiglia e della propria gente. Per un bambino povero nato in un paese di cinquecento abitanti nel cuore della Sardegna, poi arrivato in continente… Era impensabile. Alle volte prima di addormentarmi ripenso a queste cose, ma le tengo per me.

Un rimpianto?L’unico rimpianto è non essere riuscito a fare le fette biscottate in casa mia. Ma qualcosa comunque negli anni l’abbiamo fatta ugualmente.

Da imprenditore a imprenditore

In questi anni di lavoro è riuscito a mantenere una sua coerenza di ideali, di etica? Come è riuscito a conciliare coerenza e mediazione?

(Giampiero Aresu) Ho coltivato la coerenza. Non era così in partenza. Quando ero più giovane la condivisione era più sulla carta che dal punto di vista pratico. Poi questa costruzione è stata cruciale, ho imparato realmente a condividere. Mi sento di poter dire che sono un uomo migliore.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

È riuscito a trasferire il suo entusiasmo a qualcun altro e a dargli il proprio aiuto nel fare delle scelte?

?

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Camminiamocon voi da più

di cinquant’anni

Calzaturificio Eiffel SrlVia G. Rossa, 21 - 48010 Fusignano (Ra)Tel. 0545 50115 • www.peperosashoes.com • www.calz-eiffel.it

Fare una scarpa non è cosa semplice.Per realizzarla ci vogliono fino a quaranta

componenti ed una passione enorme. Oggi, al Calzaturificio Eiffel, prima e seconda generazione hanno trovato la giusta sintonia per affrontare un mercato dove l’evoluzione di gusti e tendenze è sempre più incalzante.

Insieme, hanno creato un brand sul quale hanno fatto confluire energie e know-how.

Profondamente concreti e realisti, Luciano e Simone Minguzzi affrontano

le sfide future aggiungendo alla competizione un po’ di Peperosa..

Protagonisti dell’intervista Luciano Minguzzi e suo figlio Simone, da anni perfettamente operativo in azienda.

Signor Minguzzi, in che anno è nata l’azienda? Nel 1956.

Chi l’ha fondata?L’azienda è stata fondata da altre persone, dodici o tredici soci che litigavano continuamente. Poi, pian piano, ci siamo selezionati. Oggi siamo io, mio figlio Simone e un altro socio.

Una sensazione legata agli inizi?La volontà di intraprendere questo mestiere. Poi, e lo dico oggi con tanti anni di esperienza alle spalle, per far le calzature bisogna essere proprio ammalati di “scarpite”! È una cosa terribile, inimmaginabile. In tutti i momenti ci sono dei problemi e guai a lasciar correre. Si deve agire subito, immediatamente, e far sì che il prodotto sia perfetto. Stiamo parlando della comodità dei piedi delle nostre clienti. Mica un obiettivo da poco. La scarpa deve essere bella e calzare perfettamente. Punto e basta.

Scelga tre caratteristiche che sintetizzano l’essenza del suo lavoro quotidiano.La tenacia, intesa come volontà di riuscire ad arrivare in fondo alle cose, non pensando sempre solo agli utili. Qui occorre realizzare un prodotto fatto bene e che piaccia alla gente. Se alla fine dell’anno ci sono degli utili bene, viceversa, deve andare bene lo stesso. Altrimenti ci si pianta e dopo poco si rischia di essere costretti ad abbandonare tutto. Questo settore è molto particolare e diverso dagli altri, per fare una scarpa, ci vogliono fino a quaranta componenti. Altre due caratteristiche? L’umiltà e tanta passione... I più furbi sono scappati. Noi ce la mettiamo tutta per difendere la posizione.

Le aziende in effetti stanno attraversando uno dei periodi più difficili degli ultimi decenni. Quali mosse avete messo in campo per contrastare le tendenze negative?Dopo una serie di vicissitudini davvero severe, abbiamo

Dal 1956 produttori di calzature alla moda che si distinguono per la scelta accurata dei pellami e la creazione originale dei modelli.

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scommesso ancora una volta su ciò che nella nostra vita sappiamo fare meglio: le scarpe. Avendo deciso di andare avanti, per noi è stata vincente la scelta di investire sulla ricerca e sulla creazione di un nuovo brand: Peperosa.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? “Dai Simone ven”. Trovo in mio figlio, e credo lui in me, un grande sostegno. Un alleato con il quale fronteggiare situazioni di una complessità mai conosciuta prima. Occorrono nuove strategie e tanta energia e Simone ha dimostrato con maturità di poter essere all’altezza e di reggere la pressione.

Da questo momento in poi, si inserisce anche Simone, e l’intervista prosegue a tutti gli effetti come un’intervista doppia. Si percepisce inequivocabilmente che quella di Simone è una presenza attiva e solida all’interno dell’azienda. Non è esatto parlare di cambio generazionale. In questo caso è più appropriato parlare di armoniosa integrazione e complementarietà tra generazioni che trovano forza ed ispirazione nel reciproco scambio. Una collaborazione che ha portato in azienda nuovi punti di vista e lanciato, a dispetto dell’andamento generale dell’economia, sfide nuove ed ambiziose.

Da piccolo cosa avrebbe voluto fare?(signor Minguzzi) Mi piaceva solo andare a pescare.

(Simone) Volevo fare il calciatore. Poi durante la scuola, nel periodo estivo, ho iniziato a lavorare qui e, nel 2000, terminati gli studi, sono entrato a tempo pieno in azienda.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?(signor Minguzzi) La mattina mi metto alla scrivania, accendo il computer e con la webcam controllo il lavoro negli stabilimenti dove abbiamo la produzione con trecento persone, mentre a fine giornata faccio un’analisi e evidenzio cosa resta ancora da fare per il giorno successivo.

(Simone) Accendo il computer e smisto una quantità enorme

di corrispondenza e-mail. Per noi, con la delocalizzazione della produzione, il pc è diventato uno strumento di lavoro fondamentale.

Signor Minguzzi, come si rilassa?Fortunatamente uscito dall’azienda, riesco a staccare e a lasciare le cose da risolvere qui dentro. Mi piace stare all’aria aperta e d’estate, soprattutto, mi rilasso molto curando il mio giardino.

Cosa la fa ridere?(signor Minguzzi) Qualche barzelletta buona.

(Simone) Sono abbastanza ottimista. Cerco sempre la positività ed il lato comico delle cose. Anche se qualcosa non va come dovrebbe, cerco di farmi una risata che è un bel modo di sdrammatizzare. Luciano Minguzzi agli inizi della sua attività

Simone a fianco del padre, Luciano Minguzzi

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(signor Minguzzi) Sono d’accordo e aggiungo che si deve sempre riuscire a trovare un modo per alleggerire la tensione delle situazioni. Altrimenti non si riesce ad andare avanti.

Quali sono le vostre soddisfazioni quotidiane?(signor Minguzzi) Abbiamo dei collaboratori molto in gamba e vedere un campionario accolto positivamente mi riempie d’orgoglio.

(Simone) Dal lato pratico direi il riassortimento a metà stagione, perchè vuol dire che abbiamo lavorato bene, dall’ideazione, al campionario, alla produzione.

Qual è l’insegnamento più importante che le hanno dato i suoi genitori e che le è servito di più per fronteggiare la crisi?(signor Minguzzi) Quello che devi fare oggi non farlo domani, perchè sarà troppo tardi.

(Simone) La serietà e l’umiltà. Il non pretendere tutto e subito. Cercare una crescita regolare perchè è quella che ti porta ad un risultato solido.

Ci sono degli insegnamenti che ha tratto da questa crisi?(signor Minguzzi) Noi nonostante tutto, stiamo mantenendo i fatturati. L’anno scorso abbiamo addirittura aumentato del 20%. Anzichè fermarci e battere in ritirata, ci siamo mossi all’attacco. Abbiamo lanciato un nuovo brand, ampliato l’offerta e scelto il dettaglio, un altro sistema di commercializzazione differente da quella che facevamo un tempo. Abbiamo puntato moltissimo sulla qualità, siamo entrati in nuovi mercati, abbiamo investito per cercare di differenziarci e ci siamo allargati con una nuova sede con più spazio per gli uffici ed un nuovo showroom. Alcuni pensano che investire in un periodo come questo significa essere matti. Io rispondo che chi si ferma è perduto.

È condizionato nell’attività quotidiana dalle notizie che rimandano i media?Bisogna essere tenaci. Se diamo retta alla televisione la mettiamo a monte.

Un cambiamento che non avrebbe mai immaginato.Siamo partiti come grossisti all’estero. Un articolo in cinquemila paia. Ora siamo arrivati al punto di andare dal dettagliante e produrre otto paia del modello desiderato. E questa è stata la nostra scelta vincente.

Signor Minguzzi, conta più il capitano o la squadra?Sono convinto che un buon imprenditore debba avere dei collaboratori giusti perchè altrimenti non va avanti. Rispondo con grande realismo, dicendo che ho la fortuna di essere circondato da persone molto capaci.

Intervenite nelle scelte stilistiche dei vostri stilisti?No, lasciamo molta autonomia creativa. Nel nostro settore, il “non mi piace” non può esistere perchè si tratta di un giudizio soggettivo ed il mercato è costituito da acquirenti uno diverso dall’altro e ciascuno con propri gusti e proprie preferenze. La mia valutazione su un campione avviene sempre nell’ambito tecnico, una sorta di screening che si basa su cinquant’anni d’esperienza e su una profonda conoscenza dei materiali. Quindi il mio giudizio viene sempre espresso in termini di validità tecnica.

In questo periodo com’è cambiato il rapporto tra imprenditori. Prevale la competizione o si sta facendo strada il sostegno reciproco?La tendenza di continuare a fare ognuno gli affari propri c’è, specie nello stesso settore. Anche all’estero. Avendo delocalizzato

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Da imprenditore a imprenditore

È riuscito a trasferire il suo entusiasmo a qualcun altro e a dargli il proprio aiuto nel fare delle scelte?

Sì, con la collaborazione ed il coinvolgimento. Ho fatto subito entrare Simone nell’ambiente e gli ho affidato piccole responsabilità. Questo è il segreto che consente alle giovani generazioni di essere contagiate dalla passione e di acquisire un atteggiamento mentale differente, più propositivo.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Qual è il suo segreto per uscire dalla crisi??

la produzione, posso aggiungere che oggi all’estero accade ciò che avveniva in Italia trent’anni fa, quando c’era chi cercava di portarti via gli operai migliori e con loro il know how del quale erano depositari. Detto questo, credo che tra imprenditori che operano in settori differenti ci possa essere un margine maggiore per collaborare. Personalmente, sarei molto predisposto in tale senso e mi spingo a dire che lo sarebbero anche gli altri colleghi dell’Associazione, specie al giorno d’oggi.

E se dovesse dare un consiglio ad un suo collega?Con tanta umiltà gli direi che se è nelle condizioni di poterlo fare deve investire nella ricerca ed evitare prodotti che probabilmente creeranno problemi. Ovviamente anche lo Stato dovrebbe fare la sua parte: investendo! Questa politica recessiva non porta evidentemente a niente.

Tra padre e figlio si percepisce una bella sintonia e un grande rispetto.

Da imprenditore, come giudica l’entrata di Simone in azienda?Mi ha seguito subito e si è interessato immediatamente dell’aspetto fondamentale per un’azienda, il controllo dei costi, comprendendone velocemente il meccanismo. Mi ci è voluto poco tempo per realizzare che avevo trovato una buona spalla sulla quale fare affidamento.

Simone hai avuto un ingresso privilegiato?Sono partito dalla fine, dagli scatoloni del magazzino, poi ho fatto un periodo in manovia per poi passare in amministrazione. Insomma ho toccato con mano, a rotazione, quasi tutti i settori. Questo mi ha permesso di poter conoscere il procedimento dell’azienda e, di conseguenza, di poter riflettere e agire in modo diverso e totalmente consapevole.

Avete un giorno di libertà come decidete di trascorrerlo?A pescare tutti insieme, inclusi i nipoti.

Luciano Minguzzi controlla la qualità di un prototipo

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Multifamiliare da tre generazioni

CM Manzoni SpaVia S. Barbara 164, 48010 Fusignano (Ra)Tel. 0545 955811 • www.cmmanzoni.it

Una storia aziendale unica che inizia nel 1965 con un fondatore carismatico e

prosegue fino ai nostri giorni coinvolgendo un’intera famiglia. Con la sua totale

abnegazione per il lavoro, Costante Manzoni ha lasciato alle nuove generazioni un esempio

limpido da seguire per dare continuità e futuro a questo modello aziendale vincente:

“Insieme si vince”.

L’intervista prende avvio con una serie di domande a Enrico Manzoni, figlio del fondatore, Costante Manzoni. Interverranno in seguito anche Elisa e Fabio Cortesi, figli della signora Rosa, sorella di Enrico.

In che anno è nata l’azienda? Nel 1965.

Di che cosa si occupava inizialmente l’azienda?L’azienda nacque qui, a Fusignano, come costola di un calzaturificio nel quale mio padre Costante era socio insieme ad una delle sue sorelle. La sede del calzaturificio di via Garibaldi divenne a tutti gli effetti anche la prima sede della CM Manzoni.

Lei entra in azienda nel 1981. C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta quell’inizio? È tutto un insieme di ricordi, forse la cosa più bella che io abbia vissuto. Potrei dire un’automobile che non si fermava mai perchè quando tornava mio padre partivo io. Un moto perpetuo. La cosa più bella che io e mia sorella Rosa abbiamo ricevuto da nostro padre è stata la possibilità di confrontarci in modo diretto con il lavoro. Lui ci responsabilizzò fin dagli inizi. Commettemmo certamente degli errori, ma nostro padre ci lasciò la possibilità di forgiarci e di toccare con mano tutte le fasi dell’azienda.

Oggi ci troviamo di fronte all’ingresso in azienda della terza generazione, in procinto di dare continuità ad un lavoro iniziato quasi cinquant’anni fa. Qual è l’insegnamento più forte che vi tramandate di generazione in generazione? Gli Orazi e i Curiazi. Insieme si vince, separati no. Mi piace fare riferimento ad una foto triste, ma felice, che ci ritrae tutti insieme nel settembre 2010 in occasione del funerale di mia madre.

(ndr Interviene Elisa) Un’occasione triste che ci ha fatto sentire ancora più uniti. La nonna ci ha accompagnati in questi ventotto anni senza il nonno, ha finito di crescere sette figli e le altre generazioni, un cammino molto particolare.

Quale caratteristica riassume al meglio la peculiarità della vostra famiglia?L’abnegazione.

La CM Manzoni opera nel campo della produzione specializzata nel settore tecnico delle mescole di gomma dal 1965. La dedizione e la cura di ogni particolare hanno portato l’azienda a raggiungere traguardi ambiziosi,con una clientela consolidata in tutta Europa.Grazie all’ausilio di laboratori e macchinari all’avanguardia sviluppa e testa la mescola ideale per rispondere alle esigenze della clientela. Nel suo costante processo di espansione la società acquisisce la ITG Paltread, entrando così anche nel campo della distribuzione di materiali per la ricostruzione di battistrada di pneumatici. Oggi CM Manzoni è azienda leader nella produzione di semilavorati in gomma per numerosi settori quali automotive, tubi ad alta e bassa pressione, cavi, edilizia, elettrodomestici, farmaceutico e articoli tecnici.

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Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?Vado in reparto, denominatore comune della nostra gestione. Non siamo a compartimenti stagni e viviamo abbastanza in simbiosi con esso.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? Siamo supportati da una contingenza che fortunatamente, per quanto ci riguarda, è positiva. Quindi più che incoraggiamento cerchiamo di non dare per scontato il buon momento aziendale delle nostre attività.

Ci sono degli insegnamenti che ha tratto da questa crisi? Posso aggiungere che viviamo una congiuntura favorevole per la preoccupazione di una crisi annunciata. Scelte fatte tempo addietro ci hanno consentito di arrivare preparati. Ci siamo infilati in un momento di crisi internazionale con mosse aziendali che oggi possiamo definire centrate. Continuiamo ad investire sui nostri siti tradizionali e a porre ancor più fortemente l’accento sull’azienda di punta, la Ever Compounds, una delle realtà più aggiornate del settore dove l’impianto più vecchio ha sette anni e l’ultima linea di produzione è stata allestita nel 2011.

La familiarità può essere un limite?Io non percepisco limiti. Ci sono le multinazionali, noi siamo una multifamiliare. La base è sicuramente la qualità di rapporto che abbiamo ricevuto come insegnamento da nostro padre: stare uniti a prescindere. Quindi si litiga, ci si confronta, ma sempre in modo costruttivo. Per noi domani è sempre un altro giorno e non ci sono rancori reciproci al nostro risveglio. Inoltre la cultura dell’esempio fa sì che le nuove generazioni, che rischierebbero di essere nate troppo bene, in realtà capiscano che per andare avanti bisogna lavorare. Per me non è una stranezza che una famiglia sia unita, la regola dovrebbe essere questa.

C’è una cosa sulla quale con il tempo si è dovuto ricredere?Mi ricredo tutti i giorni.

Ha sviluppato un’abilità particolare a fronte delle difficoltà che ci sono all’esterno?Io sono convinto che tra il personale che costituisce quest’azienda, specialmente dal punto di vista tecnico, ci siano delle forti eccellenze. Poi il mondo, per fortuna, è fatto anche per noi normali e quando noi normali mettiamo in campo tutta l’abnegazione di cui siamo capaci riusciamo a colmare certi gap.Altrimenti il mondo sarebbe solo dei geni!

Cosa la irrita?Lo dice ad un irascibile, quindi… (ndr E lo dice prendendosi in giro).

Come vengono gestiti i conflitti?Parlando in chiave aziendale, si possono avere scontri e punti di vista diversi, ma ritengo che occorra essere sempre aziendalisti e

gestire le situazioni difficili in buona fede. A questo punto le cose crescono e migliorano.

Dalle sue parole si evince in modo cristallino che in CM Manzoni la forza risiede nel gioco di squadra, del quale lei è indubbiamente il capitano. È più mediatore o combattivo?Ci sono delle evoluzioni. Credo che in questo abbia giocato un ruolo importante l’età che mi ha reso capace di intervenire in situazioni particolarmente complesse, anche con l’attività di mediazione.

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?In azienda respiriamo un clima che abbiamo il pudore di capire e riconoscere non essere lo stesso di quello che si respira in altri contesti. Evidentemente perché la CM Manzoni si è posta come obiettivo la solidità e la tranquillità dei suoi dipendenti e dei suoi fornitori.

Da sinistra, Fabio Cortesi e Enrico Manzoni rappresentanti, rispettivamente, della terza e seconda generazione

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Userei quindi il colore della nostra azienda, il blu; non so dire perché mi piace, ma rimane coerente con il nostro marchio di fabbrica.

Nell’arco della giornata c’è ancora spazio per sorridere con i suoi collaboratori?Siamo dei british, da questo punto di vista. Abbiamo rapporti sempre personali e spero non sia una lusinga, ma la verità, spesso costruttivi. Penso specialmente al momento più critico che abbiamo vissuto negli anni passati, si sono consolidati i rapporti perchè anche quella è stata l’occasione per ribadire che non eravamo dei ciarlatani.

Coerenza e centratura sono caratteristiche che la contraddistinguono. In che cosa l’hanno stupita le nuove generazioni?La cultura dell’esempio serve anche per non assomigliare ai lati negativi del riferimento. Quindi, detta in modo schietto e diretto, sono tutti caratterialmente migliori di me. Non è una battuta, è la verità. Poi credo che i miei nipoti abbiano un handicap rispetto a me ed alle mie sorelle. Noi siamo nati bene, loro sono nati ancora meglio e evidentemente questo vantaggio procura, per così dire, meno corazza. Per cui la prova del nove giungerà quando, spero nel momento più lontano possibile, uno di noi verrà a mancare. Quando rimarranno soli spero saranno capaci di tirar fuori quello che abbiamo tirato fuori noi quando è morto nostro padre. È quando si è soli che si fa l’ultimo passo per la crescita e, sicuramente, saranno più preparati di noi. La qualità dei loro rapporti a me piace molto. Mi piace vedere dei cugini che sembrano fratelli.

Mi piace il fatto che la mia famiglia non sia mai stata in par condicio e comunque non ci sono mai state rivalità.

Oltre ad un legame familiare strettissimo, la CM Manzoni è profondamente e tradizionalmente radicata nel suo territorio.Siamo orgogliosi, campanilisti. Teniamo tantissimo al nostro territorio e questo legame è predominante rispetto a tante scelte aziendali che normalmente, specie in periodi come questo, si fanno.

Ha un giorno di libertà, come decide di trascorrerlo?Non è di peso per me venire in questa azienda. Vivo il presente e questo presente non mi pesa. Poi rimaniamo concentrati perchè il futuro sia come il presente.

Enrico Manzoni deve tornare in produzione e l’intervista continua con i suoi nipoti, i fratelli Elisa e Fabio Cortesi.

Riprendendo con una domanda leggera che abbiamo formulato anche ad Enrico, in quale colore si riconosce?(Elisa) Rosso fuoco acceso, che per me è l’attività, la partecipazione, la passione continua che tutti dobbiamo condividere. Poi, come Enrico, viro anche io verso il blu, colore che per me ha sempre rappresentato una stabilità, un riferimento.

(Fabio) Non il blu, nonostante mi piaccia molto. Direi piuttosto un verde o un giallo acceso.

Lavorare con uno zio come Enrico è impegnativo come sembra?(Elisa) È stimolante. Venendo a mancare il nonno, Enrico è

diventato l’uomo di famiglia assumendo molto più che un ruolo aziendale. In sostanza, è diventato il padre di tutti e lo è tutt’ora, a prescindere dalle generazioni che comunque avanzano. Per me è importante tornare alla fonte, è una traccia innata, è nella nostra indole.

(Fabio) È pur sempre il nostro punto di riferimento, al di là della parentela, anche per il ruolo che ricopre in azienda. Fonte di certezza nel lavoro. In una parola: sicurezza.

Questo vale anche per la quarta generazione?(Fabio) L’esempio e la traccia sono buoni. È chiaro che le nuove generazioni sono evolute per altre cose, anche come mentalità e carattere. Chiaramente non essendo ancora parte dell’azienda hanno altre priorità, prima tra tutte lo studio. Si stanno preparando molto meglio per le sfide che verranno, spero in azienda o ovunque loro vorranno.

A tale proposito, nel caso in cui qualcuno prendesse una decisione differente ne sareste delusi?(Fabio) Non credo. C’è già chi in passato ha intrapreso percorsi fuori da qui. E con la stessa logica, anche per le nuove generazioni c’è spazio qui in azienda così come c’è libertà di fare altre scelte di vita altrettanto rispettabili. L’importante è esser consapevoli di ciò che è stata l’azienda, di che cosa ha significato nel percorso familiare e, premesso tutto ciò, aver la possibilità di scegliere.

In questo contesto così particolare, riuscite ad essere voi stessi, a

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Da imprenditore a imprenditore

Qual è il suo segreto per uscire dalla crisi?

(ndr Risponde Enrico Manzoni) Stiamo affrontando la crisi nella piena consapevolezza che la competizione è dura, ma che sia molto meglio trovarsi a fronteggiarla potendo contare su aziende efficienti.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Ha avuto un’esperienza generazionale come la nostra? Il radicamento alla famiglia ed al territorio è vissuto intensamente quanto l’abbiamo e lo stiamo vivendo noi?

?

far emergere ciò che voi siete?(Fabio) Sì. Mi sento molto me stesso nel lavoro.

(Elisa) Assolutamente sì, a volte forse anche troppo.

Questo è un lavoro che si integra fortemente con la vostra vita personale. Qual è il sacrificio più grande che avete fatto per il lavoro? Lo rifareste?(Fabio) Le mie esperienze sono molto più positive dei sacrifici che ho fatto anche perchè essendo il primo della nuova generazione, un po’ l’età, un po’ quella presunta agiatezza alla quale accennava prima Enrico, forse credevo di poter fare la mia esperienza professionale con un ritmo, diciamo, un po’ diverso. Poi mi hanno subito fatto capire che non era così. Ma non si è trattato di sacrificio, bensì del lato piacevole dell’esperienza. Ero giovane, non avevo voluto proseguire gli studi, ma ho avuto la possibilità di entrare in reparto a stretto contatto con l’azienda.

Oggi mi occupo di cose completamente diverse. È stata l’esperienza più bella, la possibilità di crescere fisicamente nell’azienda. Non è un’esagerazione. I momenti più felici della mia vita sono legati al lavoro ed alla famiglia.

(Elisa) Sacrifici scontati ed appagati dalla soddisfazione di seguire comunque un’indole. Il lavoro fa parte non del mio dovere ma del mio essere. Mantenere questi valori all’interno della nostra famiglia, fa onore al fondatore in primis e alla continuità di questo modello, che per noi è vincente e motivo d’orgoglio.

L’inizio della CM Manzoni con il suo fondatore, Costante Manzoni (prima generazione)

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Risorse umanead hoc

S.C.R. SrlVia Le Corbusier, 45 - 48124 RavennaTel. 0544 270701• www.scrselezioni.it

Passione, coerenza e caparbietà. Questi gli ingredienti della ricetta messa

a punto dalle due titolari, Stefania Suzzi e Valentina Risi, prima amiche, poi compagne

di studi ed ora colleghe. Nel 2007, guidate da tanto entusiasmo e voglia di mettersi

in gioco, decidono di fare il salto e lasciano la sicurezza di un impiego dipendente

per dedicarsi ad una sfida più ambiziosa:fondare la loro società di consulenza e

selezione del personale. Oggi S.C.R. è una realtà versatile, flessibile e al passo

con i tempi. Proprio come lo spirito che distingue le sue due fondatrici.

L’intervista viene rivolta alle due socie fondatrici della società S.C.R., Stefania Suzzi e Valentina Risi, le quali si alternano in modo bilanciato nel rispondere alle domande.

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? (Suzzi) Nel 2007, fondata da me, da Valentina Risi e Andrea Capucci: S.C.R. oltre che significare Selezione, Consulenza e Risorse umane è anche l’acronimo dei nostri cognomi.

C’è un’immagine che conservate nella vostra mente e che ha rappresentato l’inizio della vostra attività? (Risi) Io ricordo una partita a beccaccino giocata in spiaggia la sera prima di fondare la società. Litigammo perché non mi ricordavo le carte ed il giorno dopo dal notaio non ci parlavamo!

(Suzzi) Ricordo il momento in cui incontrai Valentina ed Andrea per inventarci questa società senza sapere esattamente da dove partire, come strutturare i servizi, a quali prezzi presentarli, come comporre il listino da proporre. Così, dal niente... Tutti insieme a cercare di capire cosa avrebbe potuto funzionare.

Per quali ragioni avete deciso di lasciare il vostro precedente impiego per iniziare un’attività in proprio? Da dove è partita la scintilla?(Suzzi) È stata la voglia di metterci sempre più in gioco e di infondere nel lavoro il nostro punto di vista, la nostra impronta. L’ambito pubblico, nel quale avevamo operato fino a quel momento, e che comunque aveva contribuito in modo importante alla nostra formazione, inziava a “starci stretto”.

(Valentina) Arriva un momento in cui devi prendere la grande decisione e scegliere se stare di qua o di là.

Da bambine cosa sognavate di fare?(Suzzi) Tante cose... Sognavo di fare la sportiva professionista, la cantante, allevare gli animali, il veterinario.

(Risi) La biologa, sognavo di fare i documentari.

Stefania, lei è diventata mamma da poco. Rispetto al suo modo di lavorare, cosa è cambiato?È cambiata la mia capacità di delegare. Avendo meno tempo a

SCR è una società di consulenza autorizzata dal Ministero del Lavoro, specializzata nella ricerca, selezione e sviluppo del capitale umano. SCR si distingue per l’analisi approfondita delle esigenze del cliente, la progettazione, proposizione e lo sviluppo di soluzioni ad hoc, la conoscenza delle dinamiche del mercato del lavoro, la specializzazione, la correttezza, la riservatezza e la lealtà.

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disposizione e volendo conservare un po’ di spazio anche per mia figlia, ho cercato di rendere autonome le nostre collaboratrici. Abbiamo dato loro più spazio e loro sono cresciute notevolmente, oltretutto in pochissimo tempo. Noi imprenditori siamo sempre molto ansiosi nei confronti dell’azienda. Una cosa positiva, tra le tante legate alla mia maternità, è che ora, quando torno a casa la sera, non ho sempre il pensiero del lavoro. Con un figlio hai la possibilità di scaricare, di rilassarti e ricaricarti.

Tra i tanti incarichi che ricopre, c’è anche quello di Presidente del Gruppo Giovani dell’Associazione. Qual è il valore aggiunto che ha riscontrato nello svolgere questo ruolo?Per il momento mi sembra più di ricevere che di dare, perchè il tempo che posso dedicare a questo incarico è poco. Sì, realisticamente direi che sono più a debito che a credito, ma per quanto mi è stato possibile, ho cercato di dare diversi spunti. Ho potuto constatare che gli altri componenti del Gruppo li hanno accolti favorevolmente e questo per me è stato significativo ed importante. Uno degli elementi più preziosi di questa esperienza è l’aver conosciuto altri giovani imprenditori che vivono le mie stesse problematiche. Con lo scambio, il confronto e la condivisione ti senti meno solo, senti di appartenere a un mondo che è difficile, ma in cui non si naviga in solitudine. Si può essere contemporaneamente colleghi e amici.

E lei Valentina, come sta vivendo l’appartenenza al Gruppo?Mi piace il confronto. C’è un rapporto paritario di conoscenza, di scambio e di condivisione di momenti importanti.

Descriveteci con un flash l’imprenditore romagnolo.(Risi) Gli imprenditori sono sanguigni e creativi.

(Suzzi) In sintesi? One man show.

E voi? Come vi descrivereste? (Suzzi) Professionali. Il nostro lavoro si fonda sulle relazioni e sulla capacità di essere un punto di riferimento affidabile, sia per il cliente che per il candidato. Se non sei una persona seria, rispettosa della privacy e chiara nei mandati, non vai da nessuna parte. Un po’ sartoriali, artigiane e poi…

(Risi) ...flessibili. Si passa dalla piccola azienda alla multinazionale. Dobbiamo essere in grado di relazionarci con figure diverse, dal piccolo proprietario all’ammistratore delegato, al direttore generale.

Cosa vi fa ridere?(Suzzi) La satira pungente e intelligente.

(Risi) I comici come Crozza. Anche Basurto, il Segretario Generale dell’Associazione, mi fa ridere.

Sul lavoro quali sono le vostre soddisfazioni?(Suzzi) Mi dà soddisfazione quando mi accorgo che un’azienda cliente mi ritiene un punto di riferimento importante, capace di fornire un valore aggiunto reale. Quando mi chiedono: “Tu cosa ne pensi?” riferendosi ad una questione inerente la loro organizzazione, beh, questo mi dà una grande soddisfazione.

(Risi) Il vedere che tutti sono contenti, dall’azienda al candidato. Questo mi gratifica molto.

Avete una figura di riferimento, una persona del presente o del passato, che ispira le vostre azioni?(Suzzi) Nella quotidianità penso a mio zio, fratello di mia madre, perchè era una persona che riusciva sempre a farti ridere, era ironico e dissacrante, viveva la vita con leggerezza e con grande amore e partecipazione. Quando perdi il lume della ragione, ti incaponisci nelle cose e ti incupisci. Quando le circostanze alzano la tensione, mi torna in mente lui e mi rassereno.

(Valentina) Non penso di averne.

C’è una frase che vi ripetete per farvi coraggio? (Suzzi) “Tienti stretto il tuo pensiero più felice e potrai volare”. È di Peter Pan.

Da sinistra, Stefania Suzzi e Valentina Risi

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(Risi) “Tin Bòta” tradotto nel “Tieni botta”.

C’è stata una scelta particolarmente difficile che avete dovuto prendere come imprenditrici?(Risi) Dire no al cliente.

(Suzzi) Stavo pensando alla stessa cosa. Per mantenere fede al nostro modo di lavorare, alla qualità che vogliamo garantire, abbiamo rifiutato un mandato che poteva essere anche molto importante. Lottare tutti i giorni per far capire quello che facciamo è altrettanto faticoso. Spesso le aziende rischiano di assimilarci ad altre agenzie, come quelle di somministrazione, che però fanno un lavoro molto distante dal nostro. Probabilmente a volte sarebbe più facile far finta di essere ciò che non siamo e ricavarci uno spazio ulteriore, qualitativamente anche inferiore. Dire di no, non è semplice. Però noi cerchiamo di essere coerenti.

Quali sarebbero le conseguenze di “abbassare il tiro” e scegliere la strada più semplice? (Suzzi) Lavorare a basso costo con servizi minimi e andare nel mare magnum di quelli che fanno presentazione di curricula, ma il nostro mestiere è qualificante per altro. In questo periodo, le aziende ci chiedono anche questo e la tentazione di cedere può essere forte. Tuttavia, preferiamo lottare per fare comprendere la differenza del servizio che possiamo offrire. Rischieremo forse di perdere alcuni clienti, ma così facendo riusciamo a mantenere fede a ciò che per noi ha più valore: realizzare servizi che siano utili alle imprese per scegliere collaboratori che sappiano inserirsi positivamente ed essere efficienti, contribuendo al benessere dell’organizzazione. Non possiamo rinnegare la nostra professionalità e la nostra credibilità Non possiamo entrare in gara con le agenzie di somministrazione, facciamo un altro mestiere.

C’è una consapevolezza che è maturata con questa crisi?(Suzzi) La nostra azienda è nata a fine 2007 e nel 2008 è esplosa la crisi. Siamo nate con la crisi e siamo ancora qua. Nonostante le difficoltà, abbiamo fatto tantissimi passi in avanti. L’insegnamento è questo, nonostante il periodo, si può lavorare, si può crescere, si possono fare tante cose nuove e innovative. Nel momento in cui la crisi finirà noi saremo in una posizione di mercato invidiabile.

Valentina, qual è l’abilità che non aveva mai sviluppato appieno e che invece le è tornata molto utile in questo periodo?La capacità di instaurare relazioni di fiducia stabili.

Quale misura vorreste veder applicata per il rilancio delle PMI?(Suzzi) Una misura di sostegno legata alla qualità degli inserimenti delle risorse umane. Esistono finanziamenti per la formazione, per l’internazionalizzazione, ma non c’è sostegno per le imprese che investono nei processi di analisi della propria organizzazione finalizzati ad inserire le persone giuste. Non ci sono finanziamenti che aiutino le aziende ad utilizzare strumenti professionali come i nostri ricevendone anche uno sgravio in termini di costi. Questo favorirebbe sicuramente la nostra azienda, ma anche le imprese. Il capitale umano è fondamentale. Le aziende che superano la crisi sono le aziende migliori che hanno al loro interno le persone migliori, persone motivate, formate, soddisfatte del lavoro che fanno.

(Risi) Le aziende che riconoscono il valore delle risorse umane e

che credono nelle persone sono quelle che vanno bene.

(Suzzi) Creare questo clima di fiducia tra imprenditore e collaboratori dipende anche da società come la nostra. Se ci fossero dei finanziamenti a supporto di questo, noi saremmo sicuramente soddisfatte.

Un colore per descrivere questi tempi, quale scegliereste?(Risi) L’arancione di S.C.R.

(Suzzi) Il giallo che mi ricorda il colore dei capelli di mia figlia.

Si parla molto di fare reti e sinergie. Inizia a farsi strada una sorta di collaborazione e di sostegno reciproco tra imprenditori?(Stefania) Stiamo partecipando alla costituzione di un’Associazione di Categoria Nazionale delle Società di Ricerca e Selezione. Stiamo lavorando a questa realtà, che raggruppa società di ricerca e selezione come la nostra, assieme ad altri colleghi che fanno il nostro mestiere. Da questo confronto aperto sono emerse

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Da imprenditore a imprenditore

Questa azienda è nata con voi. Il fatto che abbiate costituito voi questa società, che non ci siano stati fondatori influenti prima di voi a tracciare la via da seguire, vi ha portato vantaggi o svantaggi?

(Risi) Vantaggi, sicuramente. Primo tra tutti il non dover dimostrare di saper fare le cose come qualcun altro e poi il non dover essere soggetti al giudizio automatico: “Sei lì perchè sei figlio di, o il nipote di...”. Io e Stefania non dobbiamo stare all’ombra di una personalità carismatica che ha creato tutto. Per tanti figli questo è un peso. Spesso per le seconde generazioni non c’è valorizzazione adeguata o riconoscimento del contributo che potrebbero seriamente portare in azienda se solo fossero libere di potersi esprimere.

(Suzzi) È dal mercato che viene il nostro riconoscimento, possiamo metterci del nostro, inventare, realizzare nuovi servizi e vedere che impatto hanno sulle aziende clienti.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Nel concreto come vi siete attrezzati per fronteggiare la crisi??

cose molto interessanti: la qualità, i servizi offerti, le metodologie utilizzate, gli strumenti, la formazione. Ci siamo ritrovati tutti attorno ad un tavolo perchè è un periodo difficile e questo momento di difficoltà ci ha portato necessariamente a doverci unire. Questo per noi è un segnale positivo, ma se guardi nell’ottica dei rapporti tra cliente/fornitore è una guerra all’ultimo sangue. L’idea di dover sempre tirare nel collo al fornitore, quando tutti siamo una volta clienti e una volta fornitori, non porta da nessuna parte. Quando siamo fornitori ci lamentiamo delle condizioni imposte dai clienti, quando diventiamo clienti facciamo lo stesso. Si abbassa solo il livello qualitativo del lavoro.

Ha un giorno di libertà, come lo trascorre?(Risi) Sogno di fare snorkeling nella barriera corallina.

(Suzzi) Vorrei fare una gita al fiume con mia figlia.

Per chi ha alle spalle un’azienda storica, non sempre è facile far passare le proprie idee perchè spesso si rischia di confluire all’interno di un modello che ha sempre funzionato e proprio per questo non si cambia. Immaginiamo che a volte possa essere difficile sentire propria l’azienda se appartieni alla seconda generazione. Da un certo punto di vista è rassicurante ma, di contro, può nascere la sensazione di essere dentro una gabbia.

Stefania Suzzi e Valentina Risi (al centro) con le loro collaboratrici

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L’intervista raccolta ha come protagonisti Graziano Malpassi, uno dei due soci fondatori dell’azienda, e suo figlio Michael, ventiquattro anni, entrato a tutti gli effetti in Tecnoagri già da cinque. I primi tre anni Michael li ha trascorsi in produzione e questo gli ha consentito di vedere e toccare con mano problematiche tecniche, lavorative e relazionali. La sua presenza accanto al padre è quella di un collaboratore solido al quale il socio fondatore sta dando, per meriti sul campo, grande fiducia e spazio d’azione.

Signor Malpassi, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? La Tecnoagri nasce nel 1984 a Portomaggiore, in provincia di Ferrara, con un socio, Romano Lanzoni, che è stato un tecnico di produzione per tanti anni al nostro fianco in azienda. Io avevo ventiquattro anni, Romano ne aveva tre in più, zero soldi, nessuna tradizione industriale, ma una forte motivazione a realizzare le nostre idee. In quegli anni c’è stata una dura prova delle nostre capacità di resistenza e gestione dello stress. Il motore di tutto era il sogno.

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che ne rappresenta l’inizio? Ce la potrebbe descrivere?In senso positivo la carica, la motivazione, il voler fare, l’energia, la spinta alla realizzazione del sogno. In senso negativo, il poco aiuto dall’esterno, dalle istituzioni, gli ostacoli, la burocrazia che ti toglieva motivazione. Ad ogni modo in quegli anni era ancora possibile fare cose di questo genere, oggi non lo sarebbe più è tutto molto più complicato.

Cosa vi fece scattare la voglia di iniziare da zero e costruire qualcosa di vostro.La spinta all’autorealizzazione e a mettere in campo qualcosa di personale.

Quali sono, secondo il suo modo di vedere, le caratteristiche individuali che non devono mancare ad un l’imprenditore?Deve avere innata la forte spinta a realizzare le proprie idee e padroneggiare con sicurezza competenze specifiche che è possibile acquisire solo sul campo. E poi tanta passione. Fino a poco tempo fa la visione comune dell’imprenditore era molto falsata. Forse questa crisi ha ristabilito un po’ la corretta percezione del ruolo perché qui veramente bisogna dare tutte le energie che

Movimentiamoci!

Tecnoagri SrlVia Marconi 49 - 48017 Conselice (Ra) Tel. 0545 85023 • www.tecnoagri.it

La Tecnoagri progetta e fabbrica dal 1984 macchine per l’agricoltura e l’industria.

Il successo e le posizioni di mercato conquistate negli anni sono una risultante

della grande capacità e volontà dei fondatori di continuare ad innovarsi.

La seconda generazione si è affacciata in azienda cinque anni fa

e le positività derivanti dal reciproco scambio non sono tardate ad arrivare.

La produzione Tecnoagri è incentrata: • nel campo del movimento terra, con retroescavatori portati al trattore, escavatori portati, bracci retroescavatori per macchine movimento terra, benne per miniescavatori, trivelle idrauliche;• nel campo della movimentazione, con elevatori a forche portati al trattore, forklifts, benne idrauliche per spostamento prodotti, contenitori in lamiera ed in acciaio inox con dispositivo di ribaltamento, ribaltatori di contenitori e cassoni applicabili ad elevatori a forche, caricaballe portati ai trattori, pinze e forche per la movimentazione di balle di paglia e fieno, montanti per carrelli elevatori;• nel campo della lavorazione del terreno, con una gamma di coltivatori, scavallatori, interceppi a dischi o con lama sarchiatrice;• nel campo della manutenzione del verde e della trinciatura, con una gamma di trinciatrici polivalenti adatte per il taglio dell’erba, la trinciatura di rovi e arbusti, i residui di potatura, la paglia, stocchi di mais.

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si hanno a disposizione. Inventiva, creatività certamente, ma anche tanto olio di gomito perché è un’utopia pensare che le cose vengano da sole.

Per dirlo con una metafora?Mattoni che si mettono giorno per giorno uno sull’altro. Poi si può avere una certa dose di fortuna, alla quale io peraltro non credo molto, ma occorre costruire ogni giorno e monitorare sempre.

Graziano Malpassi chiama il figlio Michael dalla produzione e lui, con grande pacatezza, si unisce alla chiacchierata.

Da piccoli cosa avreste voluto fare?(signor Malpassi) Le mie passioni erano la medicina e la musica. Se non avessi fatto l’imprenditore avrei voluto fare il musicista. Un sogno che mi è rimasto, prima o poi chissà...

(Michael) Già da bambino venivo in azienda, mi sarebbe sempre piaciuto lavorare qui. Poi sognavo di fare il designer di macchine e motori, sogno che ho potuto realizzare in buona parte qui.

Qual è la prima cosa che fate quando arrivate in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?(signor Malpassi) Vado in produzione e cerco di captare come sarà organizzata la mattinata. Poi rientro nel mio ufficio e mi dedico a tenere tutti i rapporti commerciali con l’estero, quindi pc e telefono.

(Michael) Anche la mia giornata inizia dalla produzione, mi sincero

che tutti possano svolgere il loro lavoro al meglio e verifico che ogni singolo ordine sia ben dettagliato e senza intoppi. Vivo più in produzione che in ufficio. La sera idem, controllo che tutto sia a posto per iniziare la giornata successiva al meglio e se qualcosa non è andata la risolvo per garantire che la produzione possa essere svolta in modo lineare.

C’è musica nella vostra vita?(signor Malpassi) Sempre, mi piace tutta.Mi carica molto e mi toglie lo stress. Nel 1984 anno di fondazione della Tecnoagri, sono nati i Simply Red, e la prima loro canzone fu Come to my head, la PFM uscì con il disco PFM?PFM! la prima traccia si chiamava, neanche a farlo apposta, Capitani coraggiosi. Prince incantò tutti con Purple Rain e gli Alphaville ci regalarono un inno Forever young. (Michael) Anche io ascolto molta musica, mi aiuta ad avere una

spinta durante la giornata, R&B, Rap, Jazz. Mio padre mi ha trasmesso la passione per i Nomadi, io ho iniziato a fargli digerire un po’ di Rap.

Come vi rilassate?(signor Malpassi) Faccio quel che ho definito city trekking, passeggiate in giro per Lugo. Un ottimo rimedio contro tensioni ed arrabbiature.

(Michael) Gli amici e lo sport sono un buonissimo rimedio. Il tennis, ad esempio, mi aiuta a mantenere la concentrazione su altre cose che non siano il lavoro.

Coltivate qualche hobby “estremo”? (signor Malpassi) A cinquant’anni ho fatto un lancio con il paracadute in abbinata. Vinta la paura è una bella sensazione.

Da sinistra, Graziano Malpassi, Romano Lanzoni e Michael Malpassi

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Fondamentalmente devi decidere di salire sull’aereo, in venti minuti sei a quattromila metri e poi… ti butti. Il primo tratto di caduta libera è molto forte. È una sfida che dà anche carica.

(Michael) Per ora ho fatto solo il bungee jumping.

Cosa vi fa ridere?(signor Malpassi) A volte sono stato accusato di non ridere molto. In realtà ci sono delle cose che mi fanno ridere. L’autoironia nelle persone, l’umorismo intelligente.

(Michael) Sono quasi sempre sorridente visto che dicono anche che il sorriso allunga la vita: gli amici, i film e cerco di estrapolare dal quotidiano situazioni per sorridere, specie in un momento come questo.

Qual è la soddisfazione più grande che avete tratto dal vostro lavoro?(signor Malpassi) La soddisfazione è quella di aver fatto crescere qualcosa di personale e l’essere presenti sul mercato.

(Michael) Entrare qui dentro e aver dimostrato che ero nel posto giusto. Organizzare l’officina al meglio, portare il mio personale contributo. Soddisfazione per me è già venire qui tutte le mattine e lavorare, perchè il mio lavoro mi piace e non è scontato.

La figura, del passato o del presente, che con la sua condotta umana o professionale, ha ispirato il vostro lavoro? (signor Malpassi) Ho fatto molto perno su me stesso, forse

sbagliando. Mio padre morì quando avevo diciotto anni. Il mio principale riferimento è stata mia madre, energica e in movimento tutto il giorno. Mi dà gioia osservare queste persone “di uno stampo passato”, ma con dentro un’energia veramente eccezionale, mi carica. Tornando a me, tutto cambia e ora, nei miei cinquant’anni, riesco a confrontarmi di più con gli altri.

(Michael) Mio padre. Per ciò che ha creato ha tante potenzialità per farmi crescere dal punto di vista umano e lavorativo.

Qual è la frase che vi accompagna nei momenti difficili? (signor Malpassi) “Ok, andiamo avanti”. Che vuol dire anche: “Non ci abbattiamo. Non ci sediamo”. Lo dico spesso.

(Michael) “Risolviamo anche questa”, per dire più avanti: “Se ho risolto questa allora posso affrontare anche quest’altra”. Una carica continua che provo a portare avanti durante questo cammino.

Cos’avete imparato l’uno dall’altro?(signor Malpassi) Osservare Michael all’opera mi consente di vedere le cose da un altro punto di vista. Questo aiuta a “sgessare”. Diciamo che Michael ha scongiurato il pericolo della ripetizione e della meccanicità nella modalità di fare le cose.

(Michael) Tante cose, anche se all’inizio ci sono stati più “scontri”, ora cerchiamo più il dialogo.

Graziano, qual è la scelta più difficile che ha dovuto prendere?Nel 2009, per noi periodo severo e difficile, ristrutturazioni

e riduzione d’orario. Specialmente nelle prime fasi, sentivo fortissimo il peso e la responsabilità delle persone che lavoravano per me. Poi, più in generale, potrei rispondere che ogni giorno si prendono in continuazione decisioni.

Ci sono degli insegnamenti che ha tratto da questa crisi?Sì. Essere reattivi ed avere la risposta al cambiamento. Abbiamo cambiato prodotti, modalità di produzione, ridotto costi, cercato nuovi tipi di mercati.

Qual è l’atteggiamento personale con cui affronta i problemi?Non ci si deve abituare a tutto, ma si deve reagire a tutto. In ogni situazione puoi comunque cercare la via d’uscita. Una volta avevo attaccato un cartello qui in ufficio, chissà dove lo avevo trovato, e c’era scritto: “Una volta ho imboccato una strada senza uscita e in fondo alla strada ho trovato un’uscita”. La realtà è questa ed è difficile. Non lo si può negare. Anche nel confronto tra noi imprenditori non dobbiamo piangerci addosso, ma cercare sempre la spinta verso l’alto, quella famosa via d’uscita che probabilmente c’è.

Qual è la misura di sostegno alla piccola e media impresa che vorrebbe fosse immediatamente attuata e che invece è ancora lontana dall’essere applicata? Vorrei che si credesse in ciò che facciamo e che vogliamo fare. Non ci aiutano la burocrazia, il Governo, le banche con la loro gestione spaventosa, ma sono cose alle quali siamo ahimè abituati. Niente di nuovo. Credo che per iniziare con il piede giusto sarebbe sufficiente togliere ostacoli e non partire sempre dal presupposto che l’imprenditore è un mero avido egoista.

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Ecco iniziamo da questo: Istituzioni credete di più nelle aziende.

Non riesce proprio ad accettare che…Nelle persone l’invidia. Anzi, se le cose vanno bene a qualcun altro ne sono felice. Questa apertura ci ha consentito di avere buoni rapporti, collaborazioni e scambi anche con i nostri competitor.

Vi sentire più combattenti o mediatori?(signor Malpassi) Per anni combattente. All’inizio un puro guerriero. Lo sono ancora, ma è venuta fuori anche la mediazione.

(Michael) Sono di spirito combattente, però alle volte a combattere ci si può anche ferire. Mediare permette di trovare una soluzione senza “effetti collaterali” spiacevoli.

Se doveste scegliere un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?(signor Malpassi) Vedo bene un colore forte e vivace. Non mi piace un colore spento. Vedo ancora un bel verde ed un bel rosso energia.

(Michael) Anche io verde e rosso. Che poi sono i nostri colori sociali, i colori delle macchine che produciamo, dai quali attingiamo l’energia per andare avanti.

Da imprenditore a imprenditore

Nel concreto come vi siete attrezzati per fronteggiare la crisi?

La prima cosa è avere voglia di uscirne ed essere ancora dei combattenti. Alle volte guardo ai terremotati dell’Emilia e penso a quali lezioni ci stiano dando. E poi cercare ancora quelle possibilità e innovazioni di mercato e di prodotto che possono consentire di percorrere vie alternative. Differenziare tanto è fondamentale quanto andare fuori a cercare nuovi mercati. Se uno non l’ha mai fatto è sicuramente difficile, ma per noi la ricetta è stata un po’ questa.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Come imprenditore, quanto crede nel nostro Paese Italia? Lo chiedo non perchè mi aspetti una risposta negativa, anzi, mi piacerebbe averla positiva.

?

Michael, nell’arco della giornata c’è ancora spazio per sorridere con i collaboratori?(Michael) Cerco il rapporto lavorativo prima di tutto, anche il sorriso in grado di alleggerire il peso.

Ha un giorno di libertà - anche dalle preoccupazioni - come decide di trascorrerlo?(Michael) D’estate al mare non per camminare, perchè qui tra produzione e ufficio faccio dei chilometri, ma per fare una partita a racchettoni. D’inverno sugli sci.

(signor Malpassi) D’estate vado in spiaggia, cammino, vado sul molo, sugli scogli, faccio foto. D’inverno trascorrerei una giornata classica sugli sci. Poi, se si potesse abbinare anche un concerto memorabile, beh, prenderei su e mi godrei quest’esperienza.

Graziano Malpassi. In basso, Graziano con il figlio Michael

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È Claudio Trerè a dipanare, con ironia e grande sincerità, il filo delle risposte di questa intervista. Insieme a lui ripercorriamo gli inizi, le vicissitudini, la battuta d’arresto ed il coraggio della ripresa. Al suo fianco siede Massimiliano, che sottolineerà in alcuni passaggi fondamentali il suo personale punto di vista.

Signor Trerè, in che anno è nata l’azienda? La Trerè Chimica è una micro azienda nata nel 1997, prima c’era la Chimici Trerè, fondata nel 1976. Ancora prima, dal 1966 al 1976, sono stato socio, tra l’altro cofondatore, della Enochimica Romagnola di Castelbolognese, all’epoca già un centro vitivinicolo interessante. Quella dell’Enochimica fu una bella esperienza, però erano tempi diversi ed il discorso qualitativo non veniva valorizzato appieno. Successivamente, si verificarono condizioni favorevoli che mi portarono, nel 1976, a fondare la Chimici Trerè. Lo scenario cambiò ancora tra gli anni Ottanta e i Novanta quando le aziende si impoverirono drammaticamente. La svalutazione molto alta indusse le imprese ad accelerare gli investimenti per il timore di non riuscire poi a farli gli anni a venire. Questo meccanismo “bruciò” molte realtà imprenditoriali e chi, in quel periodo fece il passo più lungo della gamba, purtroppo rimase a terra. Alla fine degli anni Novanta pensai quindi di creare una microimpresa, l’attuale Trerè Chimica. Avevo già la specializzazione, la mia, ed avrei potuto contare su una forza qualificata al mio fianco, mio figlio Massimiliano che si era da poco laureato in Chimica industriale.

L’inizio di un nuovo ciclo?Assolutamente sì. Siamo riusciti a risalire e a riconquistare una fetta di mercato. Il fratello di Massimiliano, Alessandro è il socio accomandante esterno. Io sono un consulente, sono qui per cercare di trasferire le mie esperienze! Abbiamo creato delle condizioni favorevoli, una microazienda che può resistere anche perchè non è eccessivamente esposta.

Cosa ricorda degli inizi della sua attività?Grandi sacrifici, ma anche grande entusiasmo.L’ingresso dei figli ha accresciuto il mio livello di responsabilità. C’è stata la volontà di andare avanti.

Una microimpresaper un mercato

di nicchia

Trerè Chimica SasVia Emilia Levante, 400/M - 48014 Castel Bolognese (Ra)Tel. 0546 55783 • www.trerechimica.com

Claudio Trerè è un irriducibile combattente, incarnazione pura dell’imprenditore che nel

suo cammino ha fronteggiato ogni tipo di avversità e che si è fermato solo per analizzare

la situazione, per poi sferrare un nuovo attacco.Oggi, al fianco del signor Trerè ci sono

i due figli, Massimiliano ed Alessandro. Insieme hanno scelto di puntare tutto su qualità, innovazione, ricerca e brevetti.

Ed il mercato, a poco a poco, li sta ripagando.

L’attività aziendale è rivolta all’enologia di qualità, con la sistematica collaborazione di Enti di ricerca, Enologi e produttori, per promuovere costantemente l’ideazione e la creazione di specialità ad alta tecnologia. Alcuni brevetti ottenuti e altri depositati dimostrano la vitalità dell’azienda nel campo dell’innovazione. Sono stati progettati, sperimentati e realizzati anche alcuni prodotti per il settore igiene e decalcificazione di vaporizzatori in genere. Il laboratorio interno di analisi chimiche e microbiologiche consente attività di ricerca, sperimentazione, controllo qualità, nonchè consulenze e certificazioni a terzi.

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Da bambino sognava di fare il piccolo chimico? Mi piaceva molto lo sport. Ho fatto il semiprofessionista nel calcio, nel ruolo di portiere. Mi sono divertito, è stato un piacere, ma anche una possibilità per potere conoscere persone e luoghi viaggiando gratis attraverso l’Italia. Psicologicamente, giocare nel ruolo di portiere è stato molto formativo, perchè quando subisci gol devi fartene una ragione!

Qual è la caratteristica che deve avere l’imprenditore?Per fare l’imprenditore a determinati livelli bisogna essere attaccanti. L’imprenditore deve avere un grande equilibrio, grande senso di responsabilità, deve essere formato e aggiornato continuamente. In un’attività come la nostra che investe la chimica, la biologia e tante altre materie, occorre sempre essere al passo con i tempi e con la ricerca. Un convegno per esempio, potrebbe sempre darti un’idea su come tradurre in pratica una determinata situazione. L’imprenditore non deve arrendersi nè fermarsi mai.

Oggi occorre brevettare. Il futuro è anche questo, le aziende, tra cui i contoterzisti, devono brevettare i propri prodotti, per proporre innovazione ai propri clienti.

La vostra azienda realizza esclusivamente prodotti conto terzi?Noi realizziamo sia prodotti a nostro marchio, per parte dei quali abbiamo depositato i marchi e i brevetti, sia ausiliari enologici per altri. Speriamo di poterne metterne in pista ulteriori perchè siamo pieni di idee. Oggi per stare sul mercato occorre differenziarsi.Quello che limita è il non poter affrontare situazioni più grandi delle nostre possibilità, perchè significherebbe dover ampliare le strutture, acquistare altre attrezzature e fare investimenti immediati. E per quanto ci riguarda la crescita dovrà essere graduale.

Questa è la sua visione o è condivisa anche dai suoi figli?Ci mancherebbe, è anche la filosofia di Massimiliano. Per quanto mi riguarda, avrei piacere di lasciare alcune cose...

Nell’esperienza fatta mancano alcuni prodotti di grande impiego, anche a livello internazionale. Mi piacerebbe poter arrivare ad un livello di stabilità e consolidamento del fatturato tale da consentirci di stare sul mercato senza affanni, perchè ad oggi non sono in molti a fare questo tipo di prodotti. Puntiamo comunque su un fatturato di qualità e non di quantità.

(ndr si inserisce Massimiliano) Occorrono investimenti consistenti.

(signor Trerè) È più una preoccupazione, che addirittura può frenare. Bisogna avvicinarsi alle cose e studiarle da vicino, allora puoi valutare l’entità dell’investimento. Dipende da come inizi, se lo fai gradualmente con quantità meno rilevanti poi, piano piano puoi aumentarle e crescere di pari passo come azienda. Io ho un vissuto diverso, i tempi in cui ho iniziato erano tempi in cui le cose si evolvevano a velocità supersonica, eravamo ottimisti

Da sinistra, Massimiliano Trerè, il padre Claudio Trerè ed un collaboratore

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e non avevamo paura di niente. Massimiliano ha vissuto da vicino il periodo difficile che ho attraversato come imprenditore e del quale ho accennato all’inizio, ha ereditato il mio “travaglio” e, di conseguenza, da qui è scaturito il suo atteggiamento prudente.

A posteriori intraprenderebbe comunque questa attività?Ho avuto la fortuna di fare un lavoro che mi piaceva, probabilmente se dovessi rinascere rifarei la stessa attività. Occorre forza caratteriale, pazienza, impegno e costanza per superare i momenti difficili. Anche Massimiliano dovrà sentire profondamente sua questa filosofia.

Massimiliano, è innamorato del suo lavoro come lo è suo padre?Non l’ho creato io il lavoro. Sono subentrato successivamente, mi piace, ma sicuramente non posso essere come lui.

Di queste due generazioni che convivono in azienda, cosa l’una ha trasmesso all’altra?(Massimiliano) Da mio padre ho ricevuto l’esperienza.

(signor Trerè) Ho ricevuto un livello diverso di interpretazione che è un utile compromesso. Ho acquistato equilibrio e maggiore ponderatezza nel muovermi. Mi spiego meglio. Se da una parte sei legato a realizzare determinate cose e dall’altra c’è una persona che ti controlla e ti dice di stare attento, alla fine sei portato a riflettere maggiormente.

Come vi rilassate?(Massimiliano) Quando esco di qua, stacco. A casa non porto niente, anche se ci sono alcune notti in cui mi sveglio perchè ci

sono questioni importanti da risolvere.

(signor Trerè) Se uno vuole fare l’imprenditore deve essere capace di analizzare se le cose sono risolvibili oppure no. Se lo sono, puoi dormire tranquillo, se non lo sono, come dice il cinese, devi dormire tranquillo lo stesso perchè pur pensandoci non le risolvi! Io ho settantadue anni e fino ad ora le magagne sono state sempre risolte. Occorre imporsi di tenere i piedi per terra e non avere nessuna paura. La levatura delle persone si misura anche dal carattere. L’imprenditore vero è capace di agire, perchè se non agisce si porta a casa i problemi. Se non dormo la notte, non vedo l’ora di arrivare al mattino seguente per affrontare il problema.

Cosa vi fa ridere?(Massimiliano) Fuori di qui, rido per qualsiasi cosa.

(signor Trerè) Le barzellette.

Claudio, qual è la soddisfazione più grande che le ha dato il suo lavoro?Essere ancora qua a lavorare a settantadue anni. Essere ancora in pista. Non ho mai avuto il tempo di annoiarmi.

E la scelta più difficile ?Dover scendere e ricominciare da capo.

Qual è la cosa sulla quale non avrebbe mai pensato di poter cambiare idea e sulla quale invece ha dovuto ricredersi?Rispondo per Massimiliano. Forse lui, per forza di cose perchè

l’ha vissuta da vicino, non ha mai creduto fino in fondo che l’azienda riuscisse a proseguire nel suo iter, ingranando come abbiamo iniziato a fare ora.Qualcosa però mi sembra che sia stato realizzato... Nel momento difficile è più facile lasciar perdere, mandare tutto a monte. Invece ti accorgi che se lasciassi perdere dopo diventerebbe tutto vuoto e apatico. Se credi nelle cose già questo ti dà un grande vantaggio, il non crederci ti dà del pessimismo e ti viene meno la voglia di lottare. Le mie coordinate sono queste: se sul fronte della produzione riusciamo a raggiungere i tre obiettivi fondamentali che ci siamo posti, se riusciamo ad assumere un mercato consolidato che ci permetta di condurre l’azienda con una certa tranquillità, io sarò finalmente sicuro di aver realizzato tutto quello che avevo in mente di fare in questa vita.

Che tipo di aggiustamenti avete dovuto adottare per fronteggiare il mercato?(signor Trerè) Nella nostra evoluzione siamo andati bene, però da due o tre anni l’azienda non raccoglie il risultato che merita. Oggi ci sono talmente tante gabelle che le aziende fanno fatica a guadagnare e i margini, oltretutto, sono ristretti. Per cercare di fronteggiare il mercato occorre innovare, ma non è la soluzione di tutti i mali perchè se tu innovi, poco dopo avrai già i concorrenti alle costole, perchè tutti sono alla ricerca di nuove proposte innovative.

(Massimiliano) Devi aumentare i prezzi, ma farlo è pericoloso.

(signor Trerè) Se aumenti i prezzi, allora cala il fatturato. Per Claudio Trerè

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la nostra realtà, il giusto rapporto, ribadisco, è quello di una crescita graduale, di un fatturato con il giusto ricarico in funzione dell’innovazione che ha il prodotto e in funzione della capacità di valorizzazione sul mercato del prodotto stesso. Questo ti arriva da certificazioni esterne e dalla possibilità di avere all’interno una persona che si dedica dalla mattina alla sera al mercato. Oggi ci sono moltissimi strumenti che facilitano questa ricerca, ma occorre anche stare attenti. Si è frenati nella conquista di nuove fette di mercato. Se arriva un nuovo cliente, ti spaventi e ti chiedi: “Perchè arriva da noi? Si vede che non paga più!”. Abbiamo avuto esperienze di clienti che sono spariti quando chiedevamo il pagamento anticipato. Claudio, lei è stato Presidente dell’Associazione Piccole e Medie Industrie, che ricordo ha di quel periodo?Sono stati anni interessanti, mi mancava un’esperienza a livello politico-sociale. Ho capito molto. Necessitavo di una grande concentrazione per decodificare gli incontri in politichese con tutti i rappresentanti istituzionali, mi chiedevo: “Perché non parlano chiaramente?”. Dovevi captare l’oggetto, la finalità. Adesso appena li sento parlare capisco più velocemente. È stata un’esperienza positiva che mi ha dato la possibilità di approfondire conoscenze e relazioni. Io ero l’unico che non doveva fare il Presidente!

Cosa vi irrita di più? (signor Trerè) L’impresa è sempre stata snobbata e sottovalutata come fosse una fonte di sfruttamento, però, se la ricchezza non nasce da lì, non nasce da nessuna parte. Il mondo finanziario ha commesso l’errore di pensare di potersi arricchire senza produrre. Questo è stato il guaio più grosso. Ci vogliono delle regole, non si possono permettere di speculare, di investire e disinvestire dopo due minuti. È il terziario avanzato della finanza che ha rovinato l’economia. La politica non ha voluto capire, era interessata a che le cose andassero in questo modo. Non hanno capito che la ricchezza nasce da chi la produce non dallo speculare!Ripeto: ci vogliono delle regole.

(Massimiliano) In Italia c’è una generale carenza di cultura di base. Sono diffuse maleducazione e stupidità, e questo si ripercuote sul tessuto produttivo e sociale.

Da imprenditore a imprenditore

Come imprenditore, quanto crede nel nostro Paese Italia? Lo chiedo non perchè mi aspetti una risposta negativa, anzi, mi piacerebbe averla positiva.

(Claudio) Non vengono meno la speranza e la fiducia di potercela fare. Siamo ottimisti.La mia esperienza mi ha insegnato che proprio nei momenti di difficoltà si può rinascere.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

C’è un momento nel fare impresa in cui ci vuole un pizzico di fortuna? Puoi essere bravo, ma se non hai quel pizzico...

?

Signor Trerè, in questo periodo c’è collaborazione tra imprenditori?Nel nostro settore è molto difficile, ma con le reti si potrebbero certamente sviluppare cose interessanti.

Massimiliano e Claudio Trerè in laboratorio. In basso, una foto del 1979 che ritrae il signor Trerè mentre stringe la mano all’allora Ministro dell’Agricoltura Senatore Giovanni Marcora

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Sono presenti all’intervista il signor Oreste Pagani e i suoi due figli, Giancarlo e Paolo, che da sempre lo affiancano in azienda.

Signor Pagani, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? Oremplast è nata nel 1968, il giorno dei morti, su iniziativa mia e di mio fratello Emilio, “Orem” è infatti l’acronimo dei nostri nomi.

Che cosa ha fatto scattare la voglia di fondare un’azienda? (signor Pagani) Un mix di cose. Lavoravo come capofficina in un’azienda di Massa Lombarda in cui si facevano condensatori. Da questa esperienza ho imparato un’infinità di cose, prima tra tutte cosa vuol dire assumersi delle responsabilità. Poi arrivò un giorno in cui i miei titolari si stancarono ed iniziarono a cercare acquirenti per vendere la loro attività. In quel momento mi sentii come un uccello che vola libero, costretto a chiedersi: “E se domani comprasse qualcuno che poi mi mette in gabbia?”. Fu lì che, amante e paladino della mia libertà, iniziai a cullare il sogno.

Di cosa si occupava inizialmente la sua attività?Tranciatura di minuterie metalliche, ma durò pochi anni, ci rivolgemmo molto presto alle materie plastiche e, nella fase iniziale, i miei ex titolari mi commissionarono i primi lavori, i primi stampi. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, le materie plastiche erano ancora agli albori. La loro evoluzione si deve alla ricerca e grazie a questa oggi abbiamo dei materiali meravigliosi. La Chimica è in continua evoluzione, così i materiali di oggi domani saranno già obsoleti.

E il passo verso la strutturazione in senso industriale?A quei tempi nel faentino c’erano aziende che costruivano macchine da maglieria che si prestavano molto all’integrazione ed all’implementazione con materie plastiche. Trovai un’azienda con la quale sviluppammo una catena di programmazione per realizzare disegni molto particolari nelle maglie che venivano lavorate in queste macchine. Poi siamo andati sempre più avanti, lavorando nel mondo dei condensatori e affrontando via via nuovi ambiti di applicazione.Per me, uno dei passaggi cardine rimane comunque l’ingresso in azienda dei miei figli, Giancarlo e Paolo entrati rispettivamente nel 1982 e 1986.

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Oremplast SrlVia Martiri della Libertà, 60 - 48024 Massa Lombarda (Ra) Tel. 0545 985711 • www.oremplast.com

C’è una parola preziosa che rappresenta in modo efficace la Oremplast, azienda

divenuta nel corso dei decenni uno dei punti di riferimento più autorevoli del settore dei

componenti in plastica: l’autenticità. Il fondatore, Oreste Pagani e i suoi due

figli, Giancarlo e Paolo, sono generosi ed instancabili generatori di energia positiva.

Oremplast è un’azienda produttrice di componenti in plastica mediante stampaggio a iniezione di tecnopolimeri. La grande capacità produttiva dell’azienda è basata sulla perfetta organizzazione e sull’elevato livello di automazione del reparto stampaggio: venticinque presse di diverso tonnellaggio, corredate da robot ad assi cartesiani, sono impiegate per la produzione di qualsiasi particolare in plastica. Oremplast opera con aziende di primaria importanza nei settori:• meccanica di precisione• edilizia (nel comparto accessori)• packaging (prodotti a larga distribuzione)• elettrodomestici• casalinghi• arredamento e designUn’attenzione particolare viene dedicata alla ricerca e sviluppo dei prodotti.

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C’è un episodio che conserva nella sua mente che le rievoca gli inizi della sua attività?Andai a Forlì a caricare le prime macchine sulla mia Prinz e quando arrivai a casa mi accorsi che il fondo dell’auto si era staccato e dovetti portarla dal carrozziere.I problemi furono tanti durante questo “tragitto” aziendale.Tra il 1974 ed il 1975 ricordo che comprammo un lotto di terra nella zona industriale e i tassi bancari salirono vertiginosamente, fino a toccare il 25%, poi ci fu una fortissima svalutazione.

Paolo, ha sempre saputo che il suo percorso lavorativo sarebbe stato in azienda o aveva altri piani?Da bambino per me c’era l’azienda di famiglia. Pensavo che quello sarebbe stato il mio percorso, il mio destino. Noi figli non abbiamo mai avuto un sogno vero e proprio, come invece ha mio padre. Siamo nati con un’attenzione nei confronti del lavoro, del dovere, del riuscire che era tipico di un uomo che nella sua vita aveva creato, e che stava ancora creando, la sua realtà. Un uomo che riportava gli stessi valori in famiglia. I suoi principi venivano replicati da nostra madre che, in sua assenza, ci ripeteva come nostro padre stesse facendo un’impresa epica per noi tutti e che gli dovevamo essere grati di questo.

(ndr Il signor Pagani interviene con un inciso) Mia moglie ha avuto un ruolo importantissimo.

(Paolo) Diversamente, noi figli non saremmo mai entrati in azienda. Volenti o nolenti, abbiamo fatto lo stesso percorso scolastico di nostro padre, quindi, dopo le medie, l’Istituto Tecnico Industriale di

Imola. Forse a posteriori posso dire che la scuola più adatta a me, in base alla mia attitudine per i numeri, sarebbe stata ragioneria.Sinceramente ho veramente poco di tecnico.

Signor Pagani, come si è svolto il passaggio generazionale? Colui che costruisce, tendenzialmente, è un accentratore di responsabilità, ma se non impara a demandarle, è logico che finito lui, anche l’azienda è destinata a chiudere i battenti o ad andare in mano a qualcuno che non fa parte della sua famiglia. Per quello che riguarda la nostra realtà, è stato importante iniziare a demandare gradualmente ai miei figli le responsabilità aziendali. L’azienda non è un regalo e diventa un impegno, adirittura un dovere, che è pesante. Mio nonno diceva: “Se il tuo purosangue è veramente un purosangue è faticoso domarlo, ma una volta fatto avrai una bomba”.I miei figli hanno avuto l’umiltà di seguirmi e di voler apprendere. Io credo di avere avuto, a mia volta, l’umiltà di capire che era

arrivato il momento di affidare loro delle responsabilità.Dovevano dimostrare, prima di tutto a loro stessi, che erano in grado di portare avanti l’azienda.

Qual è il valore aggiunto che hanno portato i suoi figli?Il rinnovo dell’entusiasmo. Il lavoro deve essere un piacere, anche se pesante.

Paolo, una classifica degli insegnamenti che vi hanno trasmesso i vostri genitori.Il senso del dovere, la responsabilità, il sacrificio, il rispetto per le altre persone, l’onestà, la correttezza, il mantenere sempre la parola data e, primo posto in assoluto, un senso etico molto alto.

Signor Pagani, quindi alle fondamenta del suo modo di fare impresa troviamo l’etica? Certamente. L’etica morale dovrebbe essere la conduttrice alla

Da sinistra Oreste Pagani e i suoi due figli, Paolo e Giancarlo

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quale tutta la società dovrebbe ispirarsi. Oggi purtroppo gli effetti della sua mancanza sono sotto gli occhi di tutti. Se vogliamo ispirarci a dei popoli democratici non dobbiamo andare in America, ma guardare alla nostra Europa. Il successo di un’azienda è direttamente collegato a quanto entusiasmo si semina nei collaboratori.

(Giancarlo) Tutto ruota attorno al business. Bisogna creare un sistema che abbia delle regole condivise da tutti.

Qual è la frase che vi accompagna nei momenti difficili? La spinta positiva da dove arriva?(signor Pagani) Chi spinge il corridore ad arrivare per primo? Lo stimolo, il migliorare sè stesso per migliorare la sua posizione. Per chi fa impresa, è la stessa cosa: senza entusiasmo qualunque cosa tu possa fare perde valore e diventa un obbligo. La malattia di questa società diventerà paradossalmente una fortuna perchè tutti noi dovremo, per forza di cose, modificare il nostro modo di vivere. Vedo che noi imprenditori ci diamo da fare perchè le nostre aziende possano continuare a stare a galla. In questa lotta molto faticosa, il grande valore aggiunto è l’essere riusciti, in tempi passati, a trasmettere l’entusiasmo ai collaboratori. Se si è agito in questo modo, sono sicuro che alla fine riusciremo a trovare la strada per uno spiraglio di luce. Comunque, alla base sta il fatto che la società deve modificarsi.

(Paolo) Io mi concentro sul mio stato di salute, se sto bene, se le persone a me vicine stanno bene, non ho motivo di lamentarmi e di farmi prendere dallo sconforto. La voglia non mi manca e se è vero che l’istinto naturale dell’uomo è la sopravvivenza, prima che molli io se ne devono vedere!

(Giancarlo) Caratterialmente sono positivo. Vedo la positività anche nei momenti negativi. Trovo la gratificazione più autentica nella mia famiglia. Se in famiglia sono sereni e felici, io sono a posto. È uno stimolo fondamentale per tirare fuori unghie e artigli.

Qual è il sacrificio più grande che avete fatto per il lavoro? (Paolo) Non ricordo. Credo di poter dire che abbiamo sempre fatto quello che volevamo fare.

(Giancarlo) Anche io, non saprei indicare un sacrificio. Rifarei tutto quello che ho fatto. Trovo che una delle forme più grandi di gratificazione sia il riconoscimento del tuo valore da parte degli altri, molto più del denaro. La mia chiave di successo è basata sulla capacità di costruire rapporti e relazioni con le persone. Attraverso questo si costruisce un business inteso come tale. Ma si parte da valori di condivisione attraverso il rapporto umano.

Come è il rapporto tra fratelli?(Paolo) Ci completiamo perfettamente. Quando ci scontriamo è dura e per uscire dalla situazione, prima dobbiamo ricordarci entrambi che l’altro la vede diversamente, poi riusciamo a trovare un punto di accordo. Siamo agli antipodi.

Da fratelli come vi percepite? Quali sono le caratteristiche che vi differenziano di più l’uno dall’altro?(Paolo) Io sono sempre uguale, mentre Giancarlo enfatizza: o è buonissimo o passa oltre. È più fiducioso e costruttivo. Io vado alla sostanza, lui è più poetico. Dal punto di vista espressivo poi, Giancarlo è sicuramente più efficace, quando apre bocca sa già esattamente dove vuole arrivare.

(Giancarlo) Diciamo che sono più diplomatico. Sono un passionale sentimentale. Lui è un passionale e un po’ meno sentimentale. Io assomiglio molto a mio padre che nella sua vita ha tratto gratificazione non dai soldi, ma dai fattori di successo che gli altri gli riconoscevano. È un uomo che trova gratificazione nell’aiutare qualcuno ad arrivare al suo successo. Per lui è più importante che i suoi dipendenti gli dicano che è un “fenomeno” piuttosto che avere i soldi in banca. Sono un po’ così anch’io.

(ndr Chiude il signor Pagani) Occorre sapersi accontentare dei successi.

Signor Pagani, qui in azienda lei è un punto di riferimento sempre propositivo. E nella vita privata?Nel lavoro tendo a essere sempre quello che tira le fila, perchè mi muovo sul mio terreno e mi sento sicuro. Fuori dal lavoro, se devo interloquire con qualcuno, prima di atteggiarmi a primadonna cerco di capire con chi ho a che fare. Se è una persona superiore

culturalmente ascolto molto per apprendere. Se mi accorgo che posso dare, dò tutto me stesso senza pretese. Gioisco nel dare, sono fatto così.

Lei dimostra una gran dose di umiltà.Il nonno diceva che: “L’umiltà è la sposa dell’intelligenza”. Quando ti trovi di fronte a dei palloni gonfiati, è quasi un’equazione: normalmente capiscono poco o niente. Mentre ho avuto la fortuna di trovare persone splendide accomunate da una grandissima umiltà e lo stare vicino a loro è una gioia immensa, come lo è anche il poter dare ad altri senza la pretesa di ricevere. Io son fatto così!

(Giancarlo) A volte avere questa disposizione d’animo porta ad essere incompresi. Nel mondo del lavoro essere così è spesso limitante, perchè l’altra parte pensa che tu la voglia fregare. Di fronte ad una persona vera, l’altro non capisce se stai bleffando o se tu sia veramente così perchè, purtroppo, il predominio l’ha il business.

La vostra famiglia è tradizionalmente legata allo sport.(Giancarlo) Lo sport è una palestra di vita straordinaria, ti insegna soprattutto a perdere ed è nella sconfitta che cominci a costruire la persona. Chi perde nello sport, ricomincia e cerca di migliorarsi. Automaticamente sta facendo un allenamento straordinario per tutti gli insucessi della vita. Perchè la vita è fatta soprattutto di insuccessi e di qualche successo. L’insuccesso ti serve per migliorare e arrivare a qualche forma di successo. Il mondo ha molto più bisogno di perdenti che hanno voglia di vincere piuttosto che di campioni che un giorno perderanno. La forza è fatta di tanta gente che perde tutti i giorni ma che lotta per riuscire a vincere. Quelli sono i migliori che fanno la differenza.

Voi avete deciso di sostenere il tennis qui a Massa Lombarda.(Paolo) Sì, erano alla ricerca di uno sponsor affidabile che sposasse la causa, perchè volevano portare avanti un progetto importante. Li abbiamo accompagnati in questo percorso e loro ci hanno riempito di soddisfazioni, oggi ci sono centoventi bambini nel gruppo.

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(Giancarlo) È una sorta di responsabilità che ti senti addosso nei confronti della comunità, del territorio.

Che musica ascoltate?(Giancarlo) Ascolto tutto ciò che riesce ad emozionarmi, da Pavarotti alla musica leggera. Per me l’unico metro di misura della musica è quello che resta nel tempo. Quando si ascolta una canzone che ha quarant’anni, evidentemente è un lavoro ben fatto, perchè trasmette emozioni per generazioni.

(signor Pagani) Glenn Miller. E poi la musica che ascoltavo quando ero studente, per me era splendida, Armstrong in assoluto.

(Paolo) Dipende dagli stati d’animo, ascolto quasi sempre musica italiana, da Jovanotti a Vasco Rossi.

Ci sono degli insegnamenti che avete tratto da questa crisi?(Giancarlo) Abbiamo dovuto azzerare gli sprechi.

(Paolo) Quello che ci auguriamo è che ritornino i principi del lavoro, dell’importanza che ha nella vita delle persone e che va vissuto con professionalità. Il lavoro era una cosa molto importante trent’anni fa, bastava avere un minimo di voglia e c’erano milioni di opportunità. Oggi, non ci sono opportunità e nemmeno la voglia, e il lavoro è considerato come quella parte di giornata che ti porta via la vita. Tutti proiettano la loro esistenza al di fuori del lavoro, agli hobby, ai viaggi. Il lavoro è quella cosa che ti limita. Questo atteggiamento distorto deve essere rivisto dal punto di vista culturale delle persone. Questa crisi deve riportare i principi e i valori veri del lavoro nelle vita dell’uomo.

(Giancarlo) Volenti o nolenti occorre tornare indietro e rivedere i propri principi di vita e i propri modelli educativi. Smettere di pensare al valore delle persone per ciò che hanno e per la posizione che ricoprono, ma per quello che esprimono. La capacità di costruire fattori di successo, uomini di successo è un valore reale perchè dà continuità al sistema. È difficile perchè è un lavoro che dovrebbe partire dalle famiglie, dalla scuola. Il patrimonio del mondo sono le persone. Attraverso di esse si possono costruire cose straordinarie. Importante sarebbe costruire un modello di economia strettamente legato al tessuto sociale in cui si opera.

Da imprenditore a imprenditore

C’è un momento nel fare impresa in cui ci vuole un pizzico di fortuna? Puoi essere bravo, ma se non hai quel pizzico...

(Giancarlo) La fortuna è un fattore che esiste in tutte le situazioni, vita privata e vita professionale, ma non è l’elemento determinante che stabilisce se tu vivrai bene o male, lo sono le azioni che fai e l’approccio che hai nei confronti della vita, che non dipende dagli altri, ma da noi. Tutti nella vita hanno fortuna e sfortuna. È un po’ come la ricerca della felicità, è una forma di equilibrio interno, riuscire a capire e trovare il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto. Più che di fortuna sarebbe giusto parlare di coraggio, ci vorrebbero coraggio e responsabilità partendo da etica, morale. Mi sono scritto una citazione che ricordo spesso con loro: “Ci vuole coraggio per costruire un amore, ci vogliono i sogni per non farlo morire, regalati sempre la ragione migliore, ma non scegliere mai se non viene dal cuore”.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Ci sono due possibilità da intraprendere per il futuro. Consolidare l’attività oppure pensare ad evolvere e a costruire qualcosa per la terza generazione di figli. Lei che direzione ha deciso di seguire?

?

Spesso le ragioni migliori vengono dal cuore, poi c’è una razionalità che aiuta a metterle in fila. Dovrebbe essere il leitmotiv che regolamenta le regole del mondo.

Da sinistra, Paolo, Giancarlo e Oreste Pagani

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L’intervista viene rivolta al fondatore, il signor Ivo Morini e ai suoi figli, Rachele e Adolfo i quali si alternano in modo bilanciato nel rispondere alle domande.

Signor Morini, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? L’ho fondata io nel 1980, ma il mio libretto di lavoro è del 1958, anno in cui iniziai a prestare la mia opera presso un’altra fonderia. Andò in questo modo. Finito l’esame di terza media andai da mia madre e le dissi: “Promosso o meno, io a scuola non ci vado più!”, poi andai da mio fratello, che all’epoca lavorava in una fonderia a Lugo. Volevo lavorare con lui, ma non sapevo nemmeno cosa fosse una fonderia. Ho cominciato piano piano, poi mi sono appassionato, l’attività mi è entrata nel sangue come un’iniezione di energia e adesso la adoro.

La voglia di mettersi in proprio da dove arriva?Dal benessere. Fino a quando sono stato costretto a fare sacrifici per andare avanti non mi è stato possibile pensare ad altro. Invece, nel momento in cui ho raggiunto una situazione di stabilità, non dico di benessere, ho pensato di fare qualcosa per conto mio.

Aveva voglia di autonomia?No, non era una voglia di autonomia, c’è stata una divisione per motivi familiari. Sono stato socio della Fonderia Morini fino al 2 gennaio del 1980 poi, nello stesso anno, ho fondato la F.A.M.

Questo stabilimento è sempre stato una fornace?La storia di questo luogo è particolare e movimentata. Prima della seconda guerra mondiale qui c’era uno Zuccherificio Eridania, ma prima, nel 1907, c’era già una una fornace. Durante la guerra i tedeschi lo adibirono a magazzino delle armi. Poi, con noi, è tornato a rispondere alla sua vocazione d’origine.

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che la riporta ai primi tempi? Ce la potrebbe descrivere?Tre anni fa ero in viaggio con amici tra la Croazia e l’Albania. Ad un certo punto mi sono fermato perchè ho sentito il profumo di una fonderia che era al di là del fiume nella quale, proprio in quel momento, si stava facendo una colata in ghisa. Si tratta di un odore particolare. Per tutti non è un odore piacevole. Per noi è profumo.

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L’odore della fonderia è forte e acre, pungente e si incolla addosso alle persone

come una seconda pelle. Ma per Ivo Morini, il fondatore di questa azienda, è il profumo

più buono che ci sia, carico di ricordi e di significati, perchè ha accompagnato tutta la

sua vita, tra sacrifici e soddisfazioni. I due figli, Rachele e Adolfo,

hanno seguito le orme paterne fino a diventare le colonne portanti dell’azienda, grazie anche ad una grande dose di umiltà

e di passione per il loro lavoro. Quella stessa passione che, a distanza di oltre quarant’anni

dall’inizio del suo percorso lavorativo, continua a riempire gli occhi del padre.

L’azienda trasforma leghe leggere primarie e secondarie in fusioni: comuni, a tenuta, speciali, di qualsiasi serie, peso e/o dimensioni, con processo a verde e in formatura rigida. F.A.M. persegue una costante politica della qualità ed ha raggiunto nel tempo alti livelli di precisione riconosciuti dai numerosi Clienti con i quali da anni opera in ogni settore di attività industriale, dalla meccanica alla nautica, aeronautica e altri.

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Rachele, quando è entrata in azienda?Durante la pausa estiva scolastica. Io e mio fratello Adolfo abbiamo sempre dato una mano a papà in azienda in cambio della paghetta. Personalmente ho iniziato nel 1989, mentre mio fratello è entrato in azienda quattro anni prima, nel 1985.

In qualità di donna come vede il suo lavoro in un ambiente considerato prettamente maschile?La realtà è cambiata, una volta era così, specie in produzione. Adesso è tutto robotizzato e le differenze si sono assottigliate molto. Per quanto riguarda il rapporto con i nuovi clienti posso dire che inizialmente continua a persistere un po’ di diffidenza, perchè d’impatto prevale ancora nelle loro menti l’associazione maschio=competenza tecnica assicurata. Quando però hanno modo di relazionarsi direttamente e riscontrano che non sono poi così inadeguata, si ricredono e possiamo procedere spediti.

Tra voi e vostro padre si percepisce che la collaborazione reciproca è molto forte. Per arrivare a questo, siete passati anche attraverso scontri di vedute?(Rachele) È logico, il passaggio generazionale difficilmente avviene senza scontri, le mentalità sono differenti.

(ndr su questo interviene anche il fratello, Adolfo) Divergenze soprattutto nel modo di vedere le cose. Mio padre mi diceva: “Questo lavoro va fatto in questo modo”, io gli proponevo una soluzione diversa e difficilmente mi diceva: “Prova”, ma mi ribadiva: “Ti dico che questo lavoro va fatto in questo modo”. Tante volte mi trovavo a fare esperimenti di nascosto per fargli

vedere il risultato finale. Ci sono stati tanti scontri tra noi.

Quali insegnamenti avete ricevuto da lui?(Rachele) Non finirò mai di ringraziare mio padre e Bianca, la sua compagna, per tutti gli insegnamenti che mi hanno dato.

(Adolfo) Mio padre mi ha insegnato il lavoro qui in azienda partendo da zero, ero sotto al capo reparto e poi ho maturato esperienza in tutte le diverse tipologie di lavoro. In un’azienda di questo tipo la formazione si fa sul campo, non si trova nulla sui libri. È tutta una questione di esperienza.

Rachele, quali caratteristiche riconosce a suo padre?Mio padre ha una caparbietà incredibile e ha un ottimismo smisurato.

(ndr interviene il signor Morini) Non sarei un imprenditore se non fossi ottimista!

E lei signor Morini cosa ha imparato dai suoi figli?Forse il loro modo di vivere, perchè mi sembra che fuori di qui siano riusciti a creare una barriera che li protegge dal pensiero continuo del lavoro. Io faccio più fatica a staccare e li guardo per cercare di assimilare questa capacità.

(Rachele) Mio padre ha detto appunto “mi sembra” perchè non è così! Anche quando pratico il mio hobby, la bicicletta, la mente non è mai libera dalle questioni lavorative.

(signor Morini) Allora forse lo nascondono meglio di noi!

(Adolfo) Quando ero più giovane e vedevo mio padre passare tantissime ore in azienda mi chiedevo come facesse. Adesso mi

Ivo Morini (al centro) con i figli, Rachele e Adolfo

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ritrovo nella stessa situazione. Quello che è pesante da gestire non è tanto il lavoro fisico, ma quello mentale. È sufficiente che arrivi una telefonata, o che manchi una persona, e sei costretto a riformulare completamente l’organizzazione e stravolgere il lavoro. Ci sono lavorazioni che vengono portate avanti da singole persone e altre che necessitano di un gruppo. È un sistema molto stressante.

Signor Morini mi sembra che lei incarni il tipico imprenditore romagnolo, sanguigno, passionale e concreto, sbaglio?Non mi faccia dei complimenti perchè non ci sono abituato. Comunque, tornando alla risposta, assolutamente sì.

Anche lei Adolfo, rappresentante della seconda generazione, si riconosce in queste caratteristiche?Direi di sì. Amo molto il mio lavoro e sono testardo, se decido di fare un pezzo lo realizzo ad ogni costo.

E lei Rachele, caratterialmente cos’ha di suo padre?Non credo di avere niente di mio padre, Bianca mi ha sicuramente insegnato la precisione e la professionalità nel lavoro.

Qual è la prima cosa che fate quando arrivate in azienda? (signor Morini) Prendiamo il caffè tutti assieme.

(Rachele) E se qualcuno manca all’appello lo si cerca e lo si chiama con noi.

Signor Morini, che musica ascolta?Non ascolto musica, per radio mi piace ascoltare le partite di calcio. Quando ero giovane, i ragazzi più grandi di me prendevano un’auto a noleggio e andavamo insieme in collina ad ascoltare le partite alla radio. Le ho sempre ascoltate anche alla domenica quando mi ritrovavo a lavorare in azienda.

Qual è la frase che vi accompagna nei momenti difficili? (signor Morini) Dal 1980, momenti di crisi, anche se non così duri, ne abbiamo vissuti parecchi. In questi momenti mi chiudo a riccio, stringo la cinghia e cerco di trovare lavoro per i miei ragazzi. Mi ricordo che un anno feci verniciare tutta la fonderia per farli lavorare. In periodi così complicati occorre stare tranquilli senza imbarcarsi nel voler fare nuove cose, perchè nel momento in cui si investe su nuovi progetti e riparte il lavoro, sei costretto a fermarti e a lasciare a metà le cose senza portare a conclusione nè l’uno nè l’altro. Occorre essere calmi ed avere pazienza, del resto il mondo è sempre andato avanti e non si fermerà neanche questa volta.

(Rachele) Io mi ripeto sempre di tenere duro e che ce la si può fare, cerco di caricarmi con queste parole.

Come seconda generazione, sentite molto la responsabilità del futuro di questa azienda?(Rachele) Sì, la sento molto. I problemi di oggi sono differenti da quelli del passato, sono di carattere finanziario, devi cercare di incassare perché i clienti faticano a pagarti e, nello stesso tempo, hai degli obblighi nei confronti dei fornitori e dei dipendenti. Mi chiedo spesso: “Quanto potremo andare avanti a pagare tutti

senza essere pagati?”Per fortuna in questo periodo, almeno per noi, le banche ci propongono delle soluzioni. Un’altra differenza rispetto al passato è nella cultura del lavoro. Una volta le persone lavoravano perchè ne avevano necessità, alla generazione di mio padre era stata insegnata l’importanza del lavoro. Oggi non è più così, le persone vanno a lavorare perchè è strumentale avere lo stipendio.

(Adolfo) Le persone sono cambiate, a volte sembra che non abbiano più la responsabilità del lavoro che stanno facendo.

Rachele, qual è il sacrificio personale più grande che ha fatto per il lavoro? Lo rifarebbe?Quando mio padre ha creato l’azienda era pieno di debiti, ma a noi figli non ha mai fatto mancare nulla. Un altro periodo di grossa restrizione è stato quando abbiamo investito nell’impianto automatico e, per farlo, abbiamo dovuto vendere l’appartamento al mare. Ma rivivrei tutto anche io. Sono state privazioni funzionali alla realizzazione di un sogno condiviso da tutti noi.

Quali sono le azioni forzate che avete dovuto intraprendere in azienda per far fronte alla crisi?Abbiamo dovuto fare una ristrutturazione aziendale che ha comportato la riduzione del numero dei dipendenti e del numero di impianti in funzione, passati da tre a due.

Dopo la ristrutturazione il rapporto con i vostri collaboratori è cambiato? E se sì, come?Si, per me è cambiato. Con la ristrutturazione aziendale abbiamo fatto un taglio solo in produzione, salvaguardando chi lavorava in ufficio. Ora ci troviamo in sovrannumero in ufficio rispetto alla produzione, e purtroppo si presenta la necessità di lasciare a casa qualcuno, ma nessuno riconosce i sacrifici già fatti in precedenza per salvaguardarli. Questa situazione è psicologicamente molto pesante ed è per questo motivo che dico che il rapporto è un po’ cambiato.

Dopo le misure che avete adottato, come si è evoluto il vostro

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approccio al mercato? Ci siamo adattati al mondo del lavoro di oggi, un mondo in cui i tempi di consegna sono immediati ed il livello di qualità richiesto è altissimo. Abbiamo cambiato la tipologia della programmazione, prima si lavorava un tipo di lega per più giorni, oggi, c’è maggior versalità e nell’arco di una giornata se ne possono cambiare fino a quattro o cinque.

Vi sentite più combattenti o mediatori?(Rachele) Io sono a volte combattiva e a volte mediatrice. Mio padre per me è un combattivo ed ha una bellissima dote nel riuscire a chiedere le cose in maniera autorevole.

(signor Morini) Chi mi conosce dice che c’è una grande differenza tra la sfera personale e quella lavorativa. In azienda esigo precisione e chiarezza.

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?(Rachele) Io scelgo il giallo. Credo fermamente al fatto che usciremo da questa situazione.

(Adolfo) Sono più prudente di mia sorella e per questo penso ad un colore scuro, non so se grigio scuro, blu scuro o nero. Purtroppo le aziende italiane non possono uscire dalla crisi da sole. I nostri governanti devono iniziare a fare cose ragionevoli. Noi saremmo pronti per ripartire, ma loro non ce lo consentono. Non solo abbiamo poche tutele, abbiamo anche a che fare con persone che non sono all’altezza del momento.

Avete un giorno di libertà, anche dalle preoccupazioni, come decidete di trascorrerlo?(Adolfo) Un giorno senza lavoro? Mi scoppia la testa! Mi sdraio sul divano e guardo la televisione fino a che non ho male agli occhi, al massimo potrei resistere un giorno solo.

(Rachele) Io esco in bici perchè mi scarica molto.

Da imprenditore a imprenditore

Ci sono due possibilità da intraprendere per il futuro. Consolidare l’attività oppure pensare ad evolvere e a costruire qualcosa per la terza generazione di figli. Lei che direzione ha deciso di seguire?

(Adolfo) In questo momento occorre rafforzarsi. Per quanto ci riguarda, per l’evoluzione occorre attendere. (Rachele) La nostra azienda è attiva da trentadue anni, dal punto di vista tecnologico sono stati fatti grandissimi investimenti, sono poche le aziende in Italia così tecnologicamente avanzate. Occorre consolidare.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Come è cambiato, nel corso degli anni, il rapporto con i suoi collaboratori?

?

Ivo Morini

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I galantuominidell’auto

Moreno Holding Group SpA Via Celle, 1 - 48018 Faenza (Ra) Tel. 0546 620917 • www.moreno.it

L’avventura del Gruppo Moreno inizia sui banchi di scuola quando, appena

quindicenni, Moreno e Giovanni, due degli attuali tre soci, si conoscono.

Nel 1988, dalla passione per il mondo dei motori e delle auto nasce l’azienda, che negli

anni si sviluppa fino a diventare una delle realtà più importanti della nostra regione. La grande amicizia e la stima tra i soci è la

ricetta vincente di questa azienda che riesce a mantenere la propria posizione sul mercato

forte del proprio credo: conta la cultura del fare, le chiacchiere stanno a zero.

L’intervista viene rivolta a due dei quattro soci fondatori della Moreno Holding Group, Domenico Palli, detto “Moreno”, e Giovanni Fiamenghi, i quali si alternano in modo bilanciato nel rispondere alle domande.

Moreno, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? Nel 1988. Tra i soci fondatori figuravano il precedente concessionario Renault di Faenza il signor Ranieri, il responsabile tecnico dell’officina, la responsabile amministrativa, il venditore più anziano ed il sottoscritto.

C’è stata un’evoluzione societaria?Tutto è cambiato. Siamo detenuti da una holding, la Moreno Holding Group che è nostra e che è rappresentata da tre soci: Giovanni Fiamenghi, Luciano Benfenati e me, unico della compagine iniziale.

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta l’inizio di questa realtà imprenditoriale?L’entusiasmo ed il grande senso di responsabilità nel dover affrontare una sfida così grande. Sono partito da solo a ventinove anni, mi sono preso degli impegni in banca, il dover fare fronte ai debiti è stato sempre abbastanza pesante.

Cosa le ha dato la spinta a mettersi in proprio?Da un anno mi ero dimesso dal ruolo di funzionario commerciale di Renault Italia e collaboravo nel settore dell’import-export, ma non avevo intenzione di aprire una concessionaria. Il mio vecchio direttore di Renault mi convinse a rilevare la concessionaria. Non sono partito perchè sentivo di avere questa vocazione, ho semplicemente colto un’opportunità. Mi piaceva il commercio e avrei potuto commerciare qualsiasi genere di merce.

Da piccolo cosa avrebbe voluto fare?(Moreno) Sognavo di fare un mestiere di responsabilità in cui tutti i giorni avrei dovuto indossare una camicia pulita.

(Fiamenghi) Non avevo un’idea particolare per un lavoro, cercavo un ruolo di responsabilità in cui ci fosse da agire.

Il Gruppo Moreno Holding Group opera nel settore del commercio degli autoveicoli e dei servizi ad esso collegati con le seguenti aziende: • Moreno Motor Company Srl: concessionaria Renault dal 1988 e Daimler-Chrysler-Jeep-Dodge per la Romagna; concessionaria Mitsubishi Motors per il territorio della provincia di Ravenna; dal 2010 concessionaria Subaru e service/vendita Toyota; da ottobre 2011 concessionaria Isuzu. • Reno Motor Company Srl: concessionaria Toyota, Renault (dal 1995) e Dacia per il territorio di Bologna. • Afim multiservice Srl: broker per servizi finanziari, assicurativi ed autonoleggio.

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Tre aggettivi per descrivere l’imprenditore romagnolo.(Moreno) Mi soffermerei a parlare di noi perchè degli altri abbiamo delle prove, in alcuni casi, riprovevoli. Mi piacerebbe che un imprenditore fosse leale, concreto e con una responsabilità civica al di sopra di tutto, in grado di sentire il dovere nei confronti dei suoi collaboratori e dell’impresa. Noi cerchiamo di comportarci sempre secondo questi ideali,i diktat che ordinano la nostra vita professionale dalla mattina alla sera.

(Fiamenghi) Le linee guida che Moreno ha espresso sono queste perchè siamo fatti così e ci crediamo. Gli imprenditori si stanno uniformando sempre più, quello romagnolo non è diverso dal marchigiano o dal toscano. All’epoca in cui lavoravo con Renault Italia, l’imprenditore romagnolo era una persona un po’ orgogliosa, un lavoratore leale a cui piaceva anche divertirsi. Noi cerchiamo di essere collaborativi nei confronti dei nostri dipendenti e cerchiamo di creare un ambiente rilassato dal punto di vista emotivo dal momento che dobbiamo lavorare tutti quanti assieme e passare tante ore all’interno dell’azienda.

Qual è la prima cosa che fate quando arrivate in azienda?E l’ultima prima di tornare a casa?(Fiamenghi) Controllo la posta elettronica, pianifico gli impegni della giornata e alla sera, prima di tornare a casa, verifico se ho rispettato tutto quello che mi ero prefissato di fare.

(Moreno) Io faccio un lavoro un po’ diverso e sono spesso fuori sede. Quando sono in ufficio ho già tutta l’agenda pianificata e seguo quello che ho programmato per la giornata. Ad ogni modo, potrei rispondere che controllo la posta elettronica e seguo gli impegni che ho con i miei commerciali che operano nel mondo dell’usato e dell’export.

Moreno, che musica ascolta?Ascolto tutta la musica, lirica, sinfonica. Qualche volta vado al Ravenna Festival oppure, se sono in giro per il mondo a comprare auto, cerco un teatro dove andare alla sera.

Coltiva qualche hobby? Mi aggancio alla risposta di prima. Mi piace la musica, anche se

è un hobby poco coltivato. Da piccolo suonavo la tromba nella banda del paese. L’ho suonata fino ai vent’anni, poi mi sono sposato e le occasioni sono diminuite. Ho ripreso qualche anno fa imparando alcune tecniche nuove. Qualche volta ci ritroviamo ancora a fare le prove con la banda.

Come vi rilassate?(Moreno) Mi aiuto molto con lo yoga e la meditazione tutte le

mattine, in maniera assidua da circa un’anno e mezzo.

(Fiamenghi) Anche io per rilassarmi faccio meditazione in maniera sistematica da circa un anno. E poi mi piace lavorare con le mani, fare del bricolage con il legno o il ferro. Mi libera la mente. Mi piace fare footing una volta alla settimana. Mi piace andare con gli amici a sentire gruppi rock o jazz.

Da sinistra, Giovanni Fiamenghi e Domenico Palli detto “Moreno”

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Moreno, la meditazione ha dei risvolti sull’attività lavorativa?(Moreno) Lo stress praticamente non esiste più. In questi momenti di crisi uno che vende automobili non sarebbe neanche riuscito a respirare (ndr E qui Moreno emette un grande respiro). Per fortuna queste discipline aiutano molto. Io e Giovanni abbiamo iniziato un percorso di crescita personale tanti anni fa. Il tutto è partito per curiosità e necessità di volerlo fare. Ci rendevamo perfettamente conto che il ciclo della vita non poteva ridursi all’andare a lavorare, tornare a casa, mangiare, dormire, svegliarsi e ricominciare l’indomani tutto da capo. Quando ricerchi qualcosa di specifico, di più elevato, hai necessità di cercarlo tutti i giorni. La ricerca prosegue ed è quello che conferisce importanza alle esistenze.

Questo approccio dà un valore aggiunto anche al rapporto con i vostri collaboratori? Ciò che cambia è il modo di relazionarsi, si vedono aspetti diversi nelle persone, ciò che sta dietro a loro. Ed è per questo che riusciamo a selezionare sempre meglio le persone che possono lavorare con noi.

Cosa cercate in una persona?(Moreno e Fiamenghi) Lealtà e disponibilità.

Credete nella formazione?(Moreno) Abbiamo tre formatori interni e formiamo i neo assunti con processi di formazione con moduli di comunicazione che riguardano come rapportarsi alle persone, come sostenere le conversazioni, la vendita di un servizio e così via.

(Fiamenghi) Ultimamente tutti abbiamo fatto un corso basato su tre parole chiave: indagare, sostenere, concludere. Per noi anche le persone che non si relazionano direttamente con il cliente - un meccanico o un’amministrativa ad esempio - sono pur sempre inserite all’interno di un’azienda commerciale e non vogliamo precluderci alcuna possibilità per un approccio maldestro o non in sintonia con il nostro modus operandi.

La soddisfazione più grande che avete tratto dal vostro lavoro?(Fiamenghi) Vedere che quello in cui ti impegni riesci a portarlo a termine.

(Moreno) La stima percepita da parte degli altri.

Avete una persona del passato o del presente che con la sua condotta, umana o professionale, ha ispirato il vostro lavoro? (Moreno) La mia figura di riferimento è mio padre, diceva sempre di essere galantuomini. Diceva che nel momento in cui una persona ne avesse chiesto il significato quello era il segno che non sapeva cosa significasse.

(Fiamenghi) La mia famiglia mi ha sempre detto di mettermi nelle condizioni di camminare a testa alta, di non innamorarmi del denaro, di non abbassare mai lo sguardo di fronte agli altri e di avere la responsabilità delle mie azioni.

Fiamenghi, qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? Ogni tanto mi ripeto: “Il mondo non finirà mica! Quindi cerchiamo nell’ambito di questa certezza di fare ogni giorno le cose per bene”. In un momento in cui si hanno minori affluenze di acquirenti cerco di dare una chiave di lettura positiva ai miei ragazzi dicendo loro di affinare i processi e sfruttare il tempo per controllare meglio ciò che generalmente si fa in fretta.

Moreno, qual è la cosa che ha imparato da questa crisi?Da un certo punto di vista mi auguro che le cose cambino talmente tanto da costringere tutti a cambiare. La routine mi infastidisce. Il cambiamento mi esalta. Questo periodo ci sta insegnando tanto, non si tratta di una crisi, ma di una rivoluzione epocale.Per me l’insegnamento è che non c’è nulla di eterno e che non ci si deve fossilizzare sui pensieri già fatti. C’è tanta gente che ha fatto impresa per il solo fatto che c’era spazio nel mercato. Quelli per me non sono imprenditori, non hanno il seme dentro. Il settore dell’automobile sta vivendo il suo vero momento: il mercato è questo, gli imprenditori sono troppi e non dovevano aprire, le case automobilistiche sono troppe e mal rappresentate e comandate da persone che, nella maggior parte dei casi, capiscono poco o nulla. Questo è il problema.

La differenza nel mercato la fate voi, con l’approccio e l’impronta che date al vostro modo di lavorare?(Moreno) Secondo noi sì. Poi magari tra un anno chiudiamo! (Fiamenghi) A prescindere dalla crisi, nel settore dell’auto erano già dieci, dodici anni che si andava a immatricolare di corsa vetture che non venivano vendute in Italia, così, per tenere gonfio questo pallone! Poi è normale che il pallone scenda. Fatale è stata la concomitanza con questo periodo di crisi. La cosa triste è che in Italia siamo inferociti con i politici e la classe dirigente, ma non ci siamo resi conto che è un problema di speculazione mondiale contro l’Europa. Se non ci coalizziamo a livello europeo rimarremo vittime di questa triste situazione.

Qual è la scelta più difficile che avete dovuto prendere?(Moreno) Scegliamo in continuazione. C’è un confronto molto stretto tra noi soci, classifichiamo gli argomenti per priorità, ma non ci sono mai state priorità tragiche.

(Fiamenghi) Il riadeguamento delle risorse e dei costi, ma direi che è una costante.

(Moreno) Quando abbiamo ristrutturato a Bologna siamo stati due anni senza stipendio, sono situazioni che fanno parte del lavoro.

Qual è l’abilità che vi è tornata molto utile in questo periodo?(Fiamenghi) Io potrei dire qualcosa di Moreno. Moreno ha la capacità di coinvolgere le persone e motivarle.

(Moreno) Giovanni ha la capacità di sintetizzare e capire

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Da imprenditore a imprenditore

Com’è cambiato nel corso degli anni il rapporto con i vostri collaboratori?

(Fiamenghi) Cerchiamo di renderli partecipi della realtà, sia nel bene che nel male. Noi facciamo una formazione continua con i dipendenti. Il dover spiegare e fare in modo che la persona avesse la nostra stessa identità di obiettivi è stata la cosa che abbiamo imparato nel fare impresa, non faceva parte delle nostre attitudini personali.

?Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

(Moreno) Abbiamo bisogno tutti di trovare una matrice comune nazionale che è quella di volere bene alla nostra bandiera, alla nostra fede nella nazione, alla nostra fede nell’imprenditorialità italiana. Come si può fare per ripristinare questo credo?

?

immediatamente il nocciolo della questione. Io tendo a incasinarmi poi vado da lui che inquadra immediatamente la situazione.

Qual è la misura di sostegno alla piccola e media impresa che vorreste fosse attuata immediatamente? (Moreno) La semplificazione della burocrazia che è terribile. Noi lavoriamo con le motorizzazioni, con l’estero, con tutte le realtà europee che hanno agilità per queste cose, mentre noi perdiamo di competitività. A volte non possiamo vendere automobili perchè non siamo in grado di consegnare i documenti in tempo.

(Fiamenghi) Noi ci scontriamo con tutto quello che ci può essere di negativo a livello burocratico. Suscitiamo ilarità e non siamo neanche capiti.

Cosa vi irrita profondamente?(Moreno) L’ingiustizia e la falsità. Penso ci siano tante brave persone che andrebbero enfatizzate e valorizzate. Purtroppo c’è la caccia allo scandalo a tutti i costi.

(Fiamenghi) Io sono convinto che la crisi prima di tutto sia di ordine morale. Quando non hai più un credo o degli esempi positivi da seguire, ti lasci andare a ciò che è immorale. Purtroppo a questi atteggiamenti si è fatta l’abitudine.Penso al politico che ha rubato, ma ha rubato poco, quindi nella percezione comune non è un vero ladro. Uno che ruba per me è un ladro, sia che rubi molto sia che rubi poco. Mi irritano i mass media, sono troppi. Non ha senso che un giornale venga finanziato pubblicamente, se dà le notizie è giusto che venda, in caso contrario deve chiudere.

In questo periodo com’è cambiato il rapporto tra imprenditori? (Moreno) Possiamo parlare del nostro caso. Noi abbiamo attuato diverse sinergie in Italia e all’estero. Quello che possiamo dire è che funzionano nel momento in cui ci si crede.

Avete un giorno di libertà, come decidete di trascorrerlo?(Fiamenghi) Faccio un po’ di esercizi di meditazione, una passeggiata in mezzo alla natura, cucino qualcosa perchè mi

piace mettermi alla prova ai fornelli. Un sonnellino al pomeriggio e poi vado a gironzolare e a trovare gli amici.

(Moreno) Ascolterei un po’ di musica e farei più meditazione in mezzo alla natura.

Da sinistra, Giovanni Fiamenghi e “Moreno”

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L’intervista viene rivolta a Roberto Resta e a suo figlio Paolo, da cinque anni al fianco del padre nella conduzione della storica azienda faentina.

Signor Resta, in che anno è nata l’azienda? L’azienda, con la specializzazione di oggi, è nata nel 1955, ma nell’immediato dopoguerra era già attiva nel campo delle riparazioni di macchine agricole e di attrezzature militari riconvertite all’uso civile. L’azienda non era nella sede attuale, ma in una via del centro di Faenza.

Chi l’ha fondata?Mio padre Mario, partito insieme ad un gruppo di soci. Con il passare del tempo questo drappello di imprenditori in erba si sfoltì sensibilmente fino ad arrivare a quello che poteva considerarsi il nucleo di partenza di questa attività: mio padre, mio zio ed un terzo socio. L’azienda si chiamava “Resta e Liverani” e si era trasferita in un’altra zona del centro, ma sempre all’interno della cinta muraria di Faenza. Si trattava di un ambiente in cui potevano essere ricoverate le macchine agricole, come le trebbiatrici di legno che provenivano dall’Inghilterra e sottoposte a revisione durante il periodo invernale.

Che evoluzione ha avuto l’attività, come si arriva alla Resta di oggi?Non c’erano solo le macchine agricole, c’erano anche camion, autotreni che trasportavano merci, mezzi che si rompevano e venivano portati in azienda per essere riparati. Non si rimaneva fissi in officina, si andava anche in campagna a riparare ruspe, trattori, aratri. Insomma, c’era un gran movimento.All’epoca le dotazioni di parti di ricambio non erano, ovviamente, come quelle alle quali siamo abituati oggi e, tra l’altro, non era neanche facile reperirle. Questi pezzi, primi tra tutti motori di avviamento e frizioni, venivano recuperati da mezzi esistenti o addirittura rifatti, assemblando parti di altri elementi. Ad esempio, avevamo una fresatrice con un apparecchio divisore per fare gli ingranaggi che in realtà era il sistema di puntamento della torretta di un carro armato. E lì si apriva un mondo… Pura creatività italiana del dopoguerra. Poi sono arrivati i primi personaggi dotati di un certo acume che volevano costruire “cose”. Siamo passati attraverso una serie di

L’ingegnoResta!

Resta Srl Via Augusto Righi, 101 - 48018 Faenza (Ra) Tel. 0546 620077 • www.resta.com

L’azienda nasce nell’immediato dopoguerra grazie all’intuito e al carisma del suo

fondatore, Mario Resta. Negli anni, dalla riparazione di macchine

agricole e riconversione di macchine militari per uso civile, la produzione si sposta e si

specializza nella progettazione di macchine automatiche per la realizzazione di materassi.

Oggi, Roberto e Paolo, rispettivamente seconda e terza generazione, portano avanti

con grande orgoglio il sogno del fondatore, ispirati e guidati dal suo insegnamento di vita.

La Resta può vantare, unica al mondo, una gamma completa di macchine per la produzione di materassi e trapunte di produzione propria, dalle moderne e sofisticate trapuntatrici alle bordatrici semi-automatiche, dagli svariati modelli di macchine per bordare la fascia (fasciatrici) ad una vasta gamma di macchine imballatrici e qualsiasi altro tipo di macchinario comprese incollatrici. La lunga esperienza nel settore del “computerized bedding equipment”, ha permesso alla Resta di progettare e realizzare impianti ex novo partendo dai layout forniti dai clienti ed assecondarne le esigenze. Ciò ha portato l’azienda a realizzare moderne linee di produzione di materassi riducendo drasticamente la necessità di manodopera grazie alla movimentazione completamente automatizzata del prodotto.

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attrezzature fatte anche per conto terzi. Ad esempio, una delle prime macchine che realizzò mio padre, il vero creativo, serviva per tagliare gli spaghetti. Inizialmente costruì anche attrezzature per il confezionamento degli sfarinati, ricordo ancora un viaggio che facemmo insieme per consegnarne una allo stabilimento della Pasta Ghigi a Morciano. Poi arrivò un tappezziere di Faenza il cui figlio lavorava in Germania in una grande azienda produttrice di materassi e periodicamente ci inviava schizzi e disegni per sapere se le macchine in essi illustrate fossero riproducibili. E da quel momento in poi, il genio creativo di mio padre fu rivolto intensamente verso questo tipo di realizzazioni.

C’è un’immagine che conserva nella mente e che rappresenta l’inizio della sua attività in azienda?Sono entrato stabilmente al termine del servizio militare nel 1972, ma prima di allora avevo già lavorato in azienda. Viaggiavo per lavoro con il mio “titolare” sin da quando ero un bambino e il ricordo più vivo che ho di quel periodo è proprio la spensieratezza. A quell’epoca si viveva a cuor sereno, si avevano speranze, si vedevano risultati, c’era tanta voglia di fare e tutto era più gradevole.

Come è nata l’idea di suo padre di mettersi in proprio?Il 1946 fu un anno critico. Qualunque cosa si facesse all’epoca era propedeutica al bisogno di portare a casa qualcosa da mangiare. In città la situazione era più pesante rispetto a chi viveva in campagna anche perchè la mia famiglia paterna contava ben cinque figli.

Da questo punto dell’intervista, interviene anche Paolo Resta.

Paolo, da quando è entrato in azienda?Sono qui stabilmente da quando mi sono laureato, ormai sono già passati cinque anni.

Quali sono gli insegnamenti che ha ricevuto da suo padre? (Paolo) Non saprei, è ancora presto per dirlo, dovrei rispondere tra qualche anno.

(signor Resta) Io vedevo mio padre come un faro, ho cercato fin da subito di capire come poterlo aiutare perchè è sempre stato il centro di tutto, colui che portava avanti l’azienda. Era un vero fuoriclasse con delle intuizioni geniali. Nonostante la sua scarsa scolarità, compensava con un Dna superiore alla media. Mi diceva sempre: “Tutti sono capaci di arrivare in alto, la cosa difficile è rimanerci”. Mantenere le posizioni non è facile.

In azienda ero l’unico ad avere frequentato la scuole superiori perciò su di me venivano riversate molte aspettative. Già durante le elementari, e per tutto il periodo delle medie, frequentai un corso di disegno serale della durata di cinque anni e, in virtù di questo, ottenni il gravoso incarico di disegnare i particolari delle macchine che l’azienda aveva iniziato a produrre: mio babbo ne rilevava le misure e io li riportavo su un brogliaccio.Solo durante il periodo trascorso all’Istituto Tecnico mi fu comprato un tecnigrafo e attorno a questo strumento iniziai a costruire quello che è l’attuale ufficio tecnico.

Roberto, a distanza di tanto tempo se ripensa a suo padre qual è il dono più grande che le ha lasciato?Noi siamo stati compagni di giochi, eravamo complici e lo siamo stati fino a poco prima che venisse a mancare. Mi confidava cose che non si dicono normalmente a un figlio e questo è l’atteggiamento che cerco di avere nei confronti di Paolo.

Da sinistra, Paolo Resta e il padre Roberto. In basso, una foto di repertorio che vede il fondatore Mario Resta agli inizi della sua attività

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Siamo continuamente permeati dal suo spirito, facciamo ancora cose che gli sarebbero piaciute e che sicuramente lo divertirebbero moltissimo.

Quale attitudine ha suo figlio Paolo che invece lei ritiene di non possedere? L’accelerazione con la quale avvengono certi cambiamenti, il progresso, l’evoluzione sono rapidissimi, una persona giovane e preparata come lui è in grado di affrontarli al meglio. Io fatico a farlo.

E come giudica i primi cinque anni di attività della “terza generazione”?Vedo in Paolo la volontà di fare qualcosa con competenza ed attaccamento. Questo un po’ mi spaventa, perchè io ho vissuto tanti momenti difficili, ma l’attuale sembra essere davvero uno dei peggiori. Vederlo entrare in azienda in questo momento è un’enorme responsabilità. Sono cresciuto nella consapevolezza che queste sono “eredità di fuoco”, naturalmente sempre a patto che chi raccoglie il testimone voglia impegnarsi seguendo una certa etica morale.

Paolo, all’atto pratico quali sono le competenze che ha acquisito in questo periodo? Il nostro lavoro si compone di due parti, una tecnica e una commerciale, che non si possono dividere. Nella parte tecnica, a parte le nozioni, ciò che fa la differenza è l’esperienza. E su questo fronte, imparo giorno per giorno. La parte commerciale è quella in cui mi sento più carente, perchè non è la mia attitudine più sviluppata, ma ci sto lavorando.

Signor Resta, da piccolo cosa avrebbe voluto fare?Ero indeciso se fare il camionista oppure il prete. Mia madre era sarta e più volte aveva occasione di riparare abiti talari. Ogni tanto ne rubavo uno e lo indossavo correndo a impartire benedizioni lungo tutto il vicolo in cui abitavamo!

Qual è stata l’esperienza più significativa al momento del suo ingresso in azienda?Mi ricordo una delle prime ‘lezioni’: mio padre mi mandò a Padova ad aggiustare una macchina che ero convinto di aver

sistemato bene. Tornai in azienda e lo trovai ad aspettami seduto di fronte all’ingresso per dirmi che la macchina che avevo tentato di riparare non funzionava. Ripartimmo immediatamente per Padova per risolvere il problema. Fu dura!Un’altra volta, a seguito di una nostra vendita, mi mandò a Latina raccomandandomi di non tornare fino a che non avessi riscosso quanto dovuto. Tornai a casa a mani vuote e il giorno dopo venni rispedito nuovamente a Latina per completare l’opera! Questa volta fu ancora più dura perché ero solo!

Quali sono le caratteristiche che sceglierebbe per descrivere l’imprenditore? Rispondo con una frase che Raul Gardini rilasciò nel corso di un’intervista condotta da Gianni Minoli. Mi è piaciuta e l’ho fatta mia: “L’imprenditore è quella persona che riesce a prendere decisioni alla luce di quelle che sono le condizioni esistenti ed è capace di cambiarle senza averne paura ogni qualvolta mutino gli scenari.”Questa è la consapevole umiltà che dovrebbe avere ognuno di noi, in particolare un imprenditore.

Qual è la prima cosa che fate quando arrivate in azienda? (signor Resta) Leggo il giornale e poi controllo la posta elettronica.

(Paolo) Controllo la posta elettronica. Poi vado in produzione a seguire la progettazione e lo stesso faccio alla sera.

Quali sono le letture che preferite? (Paolo) Mi appassiona la narrativa e leggo molti romanzi, oltre alla gran quantità di riviste che acquista mio babbo.

(signor Resta) Adesso leggo riviste che trattano di moto, aerei, arte, viaggi, fotografia e natura. Soffro della “sindrome dello scoiattolo”, colleziono tutti i primi numeri delle riviste che escono. Ho cominciato da bambino con i pacchetti di sigarette e non ho intenzione di fermarmi.

Da dove nasce la vostra passione per le moto? (signor Resta) Ancora una volta parte tutto da mio padre, che purtroppo negli anni della sua gioventù non potè soddisfare questo suo amore per i motori a causa delle scarse disponibilità

economiche.Solo nel 1954 comprò finalmente la Vespa. Era abbonato alla rivista Motociclismo, ma siccome le Poste consegnavano i giornali a domicilio successivamente all’uscita in edicola, lui li acquistava comunque accumulando una gran quantità di numeri doppi! Ha sempre seguito il mondo delle moto delle quali era un gran conoscitore e, aggiungo, molto competente. La mia adolescenza coincise con un periodo in cui tanti giovani purtroppo morirono sulle strade in incidenti con la moto ed è per questo motivo che io non l’ebbi mai. Già all’età di dodici anni scalpitavo pensando di poter coronare il mio sogno e riceverne una al compimento dei quattordici. Ma così non fu! Soffrii parecchio e, per questo motivo, quando potei farlo, l’acquistai di nascosto. Glielo confidai ormai cinquantenne, ma lui non mi credette mai.

(Paolo) Il Dna non perdona e inevitabilmente ho assorbito anch’io la stessa passione. A quattordici anni tra tutti i miei coetanei ero l’unico ad avere la moto con le marce. Uscivo con mio babbo, lui con il Bmw e io col cinquantino. Sembravamo l’oca con l’ocarina dietro!La moto è stata il filo conduttore dei momenti più felici trascorsi insieme al babbo e al nonno, molto più che un semplice mezzo di locomozione. Se ci ripenso... A dieci anni avevo una piccola Honda con cui giravo per gioco attorno alla nostra abitazione o alla bottega. Ricordo che il nonno mi regalò un 125 da cross senza targa che usavo in campagna e mio babbo, prima del mio quattordicesimo compleanno, prese (non ho ancora capito se per me o per lui) un motorino con la carenatura per ‘vendicarsi’ del fatto di non averlo mai posseduto. Per anni il 26 dicembre, giorno del mio compleanno, siamo usciti in sella alle nostre due ruote, il babbo, il nonno e io, incuranti delle intemperie per celebrare l’evento. Il nonno, che non era attrezzato come noi, per proteggersi dal freddo usava un rimedio all’antica, alcune pagine della Gazzetta sotto alla giacca. Durante una di queste uscite con la strada gelata fui l’unico a restare ben saldo in sella mentre il babbo dovette ricorrere all’aiuto di alcuni passanti automuniti per liberare la moto bloccata

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Da imprenditore a imprenditore

Abbiamo bisogno tutti di trovare una matrice comune nazionale che è quella di volere bene alla nostra bandiera, alla nostra fede nella nazione, alla nostra fede nell’imprenditorialità italiana. Come si può fare per ripristinare questo credo?

La crisi è morale. Alcuni Paesi ne risentono maggiormente di altri. Noi pensiamo che la crisi sia legata all’altalenante andamento delle borse, ai declassamenti delle varie società di rating. Ci rivolgiamo a qualcosa che è più grande di noi e che neanche comprendiamo fino in fondo. Continuiamo a illuderci che ci possa essere una ripresa, parliamo di lavoro per le giovani leve, ma bisogna fare qualcosa per rilanciare l’economia. Purtroppo gratifichiamo e glorifichiamo chi riesce ad evadere il fisco e a volte ci difendiamo dicendo “Ma chi sono io, il più cretino?”. Ma questo atteggiamento deriva da una profonda crisi morale “Quanto fatturiamo?” è la domanda che spesso ci rivolgono professionisti e artigiani, questa è la vera immoralità. Non dovremmo poi lamentarci della mancanza di fondi per l’assistenza medica, la sistemazione delle strade, e via dicendo.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Visto che la crisi è morale dobbiamo essere noi i primi a dare l’esempio nel nostro piccolo. Come vi ponete di fronte a questo problema dell’evasione fiscale?

?

e il nonno si infilò mestamente in un fosso.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? (Paolo) “Là nè mai finida”, questo è l’incoraggiamento.

(signor Resta) Io ripeto sempre quello che mi diceva mio padre: “Il diavolo non è brutto come sembra”, bisogna affrontare le problematiche subito e con disinvoltura.

Roberto, quali insegnamenti ha tratto da questa crisi?Nei momenti difficili come questo se si vuole sopravvivere, bisogna reinventarsi e adattarsi ad uno stile di vita a cui non si è abituati. Questa forte difficoltà contingente ci ha portato a vivere in un modo più concreto. Ora è necessario ottimizzare tutte le procedure aziendali e mettere a punto strategie da poter utilizzare anche nel futuro.

Qual è la scelta più difficile che ha dovuto prendere?Il sacrificio più grande che abbiamo fatto, e che stiamo sostenendo anche adesso, riguarda la riorganizzazione aziendale.

Conta più il capitano o la squadra?La squadra è molto importante, è chiaro che ci vuole qualcuno che tenga in mano il timone.

Si sente più combattente o mediatore?Servono entrambe le caratteristiche. Non credo ci siano situazioni che si possono risolvere con le sole imposizioni, con azioni di forza, servono comunque sempre delle mediazioni.

Avete un giorno di libertà dal lavoro, come decidete di trascorrerlo?(Paolo) Sicuramente è un sabato. Vado in ufficio, controllo le cose da fare in un’ora, poi vado a casa facendo un percorso più lungo in auto. Non sento l’esigenza di viaggiare, visto che per lavoro sono sempre in giro, mi basta andare a casa e magari mi diverto a smontare la batteria di un motore.

(signor Resta) Adoro non fare programmi.

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L’intervista viene rivolta inizialmente a Roberto Bondoli e Giuseppe Campese che verranno raggiunti da alcuni dei rappresentanti della nuova generazione, Marzia e Alessandro Bondoli.

Signor Bondoli, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? Nel 1963, fondata da mio padre Augusto, detto Agostino e da Giuseppe Campese al ritorno dal Sudamerica dove, finita la guerra, molti italiani avevano trovato lavoro.

(Campese) Sì, tornammo dall’Argentina perchè avevamo nostalgia dell’Italia e poi perchè era scoppiata la prima, grossa, crisi. I Bondoli erano andati in Argentina nel 1949 impiantando una falegnameria e i Campese arrivarono nel 1954. Negli anni Sessanta in Italia c’era il boom e la causa, o il merito, del ritorno in parte è mia. Venni in Italia a fare un viaggio nel 1961 e mi accorsi che l’America che cercavamo noi era qua! Dentro di me pensavo che, una volta tornati in Italia, io mi sarei occupato di turismo, come già facevo in Argentina, mentre Bondoli senior, il padre di Roberto, avrebbe avviato una falegnameria per continuare il lavoro che faceva oltreoceano. Poi si verificò l’imprevisto: la storica ferramenta dei Gambi, sita in via Mazzini a Ravenna, era in vendita. Noi lo venimmo a sapere dall’amministratrice dell’azienda, che era la zia di Roberto Bondoli, la quale ci spiegò che la vendevano non perchè non fosse avviata, ma perchè era seguita in modo maldestro e, in aggiunta, era anche in atto un cambio generazionale. Per farla breve, la comprammo a forfait senza inventario.

(Bondoli) Sono stato l’ultimo a tornare da Buenos Aires, all’incirca dopo sei mesi dal rientro di Giuseppe e di mio padre. Mi scrissero di questa ferramenta in vendita, a loro sembrava un buon affare e se io fossi stato d’accordo avrebbero concluso l’acquisto. Risposi che andava bene ed è così che la comprammo, dando avvio alla storia della Bondoli & Campese.

Come si è evoluta negli anni la vostra attività?(Bondoli) Quando tornai non ero molto entusiasta di questa ferramenta, c’erano scaffali con molta polvere, terra, ma nel giro di cinque anni la rimettemmo in sesto, anche dal punto di vista logistico, perchè il locale in cui era ospitata era vecchissimo. Rimanemmo in via Mazzini fino al 1969. Vendevamo di tutto,

Italia, torna ad essere

la nostra America

Bondoli & Campese Spa Via G. S. Bondi, 38 - 48123 Ravenna Tel. 0544 452966 • www.bondoli-campese.com

L’avvincente storia di questa azienda si snoda nel racconto di una vita, passando attraverso

continenti diversi, suggestioni italiane e argentine, con due figure emblematiche:

Roberto Bondoli e Giuseppe Campese, protagonisti di questa avventura. Negli anni Sessanta l’azienda inizia la sua attività in un

piccolo locale di Ravenna e oggi, anche grazie all’ingresso delle nuove generazioni,

i figli di Roberto e Giuseppe, è cresciuta fino a diventare un punto di riferimento per il settore viteria e ferramenta. Questo racconto

inizia così: “La nostra America era in Italia...”.

Bondoli & Campese Spa è un’azienda commerciale specializzata in ferramenta, viteria/bulloneria e tiranteria. La viteria è certificata ISO 9001 dal 1998. La forza dell’Azienda è rappresentata dalla gamma e dal servizio che è in grado di offrire al Cliente. L’obiettivo principale è la costumer satisfaction perseguita attraverso prodotti di qualità, soluzioni, servizi e consulenza per la risoluzione delle problematiche.

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dagli elettrodomestici all’utensile per il fabbro, anche le bombole di gas per il camping, i frigoriferi e gli arredamenti da cucina.

(Campese) I primi frigoriferi con il freezer li abbiamo venduti noi a Ravenna.

(Bondoli) Un sabato mattina del 1969 capitò che mio padre fosse in piazza per fare affari e venne a sapere che la Casa del Bullone (Cober) era in vendita, originariamente si trovava in vicolo Padenna e si era trasferita da poco in via Anastagi. Approfondimmo la trattativa e ci accordammo con i proprietari, i Costa, sul prezzo. Questa volta facemmo l’inventario vite per vite. (Campese) Era un po’ di tempo che cercavamo di spostarci da via Mazzini, si presentò questa opportunità e ne approfittammo subito, facendo grandissimi sacrifici.

(Bondoli) Come parte del pagamento avevamo dato loro la nostra casa. Da padroni diventammo affittuari. All’epoca i Costa servivano nomi importanti dell’industria, l’Anic, la Sarom, ci presentarono clienti importanti e ci indirizzarono bene, dandoci quella spinta di cui avevamo bisogno. Da ferramenta generica diventammo specialisti e nel 1978 acquistammo un’area alle Bassette trasferendovi tutto quello che si riferiva alla bulloneria, mentre il settore ferramenta rimase in via Anastagi.

Tornando agli inzi, c’è un’immagine che racchiude quei momenti?(Bondoli) La polvere che c’era dentro il magazzino!(Campese) Possedevamo una Seicento torinese di seconda

mano, un’auto per due famiglie, andavamo al mare e dentro ci dovevano stare tutti i sei bambini.

Bondoli, dal 1963 la Bondoli & Campese è sempre stata impegnata in una febbrile attività. Poi cos’è successo? Siamo stati in pieno boom fino a metà del 2008. Grazie anche ai giovani che sono subentrati in azienda, avevamo acquisito clienti prestigiosi, nazionali e internazionali, come Iveco, CNH, spedivamo e spediamo tutt’ora i materiali in tutto il mondo. Purtoppo nel 2008, con l’inizio della crisi, abbiamo subito una forte battuta d’arresto.

Da piccoli cosa avreste voluto fare? (Campese) Sono nato in un paesino di campagna del vicentino dove il nonno faceva il mugnaio e lo zio il carrettiere. Mia madre mi ha avuto a diciassette anni. Ho studiato con grossi sacrifici pensando di fare il ragioniere.

Avevo una grande volontà, volevo emergere. Quando andai in Argentina, venni ingaggiato dopo quattro mesi da un’agenzia di viaggi. Lo spagnolo lo conoscevo poco, e per impararlo andavo a scuola da un prete, Don Marx. I primi due mesi feci il fattorino successivamente, imparata la lingua, diventai un agente di turismo e non l’avrei mai pensato. Tornai in Italia e diventai ferramentaio.

(Bondoli) Riuscire a diventare importante, a fare qualcosa nella vita. Purtroppo i miei studi finirono a tredici anni perchè andai in Argentina e iniziai subito a lavorare. Gli studi veri e propri li ho fatti sul campo facendo l’imbianchino, l’autista, il falegname, l’elettricista, l’elettrauto, il carrozziere. Poi mio padre aprì un laboratorio di falegnameria e mi convinse ad andare a lavorare con lui. Facevamo arredamenti importanti.

Come vi rilassate?(Campese) Andavo a caccia, andavo a camminare. Adesso

Roberto Bondoli (al centro) con i figli Marzia e Alessandro

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continuo a giocare a golf un paio di volte a settimana. Una volta giocavo bene ora proprio no. Pensi che, nel 1985, siamo stati tra i soci fondatori del Cervia Golf Club.

(Bondoli) Quando vado via tiro giù la saracinesca in ogni senso. Nel weekend mi rilasso con il giardinaggio oppure vado in giro con mia moglie.

Tra poco festeggerete i cinquant’anni di attività. A che età i vostri figli sono entrati in azienda?(Bondoli) Venivano ad avvitare i dadi che erano bambini, avevano sette o otto anni. A volte, le aziende richiedevano tutte le viti con il dadino avvitato e alcune con le rondelle. Chi lo faceva se non i bambini e mia madre? Era la chioccia con i pulcini attorno.

(Alessandro) Io sono l’ultimo dei maschi. Abbiamo iniziato a frequentare l’azienda sin da giovani. A partire dai quattordici anni siamo stati messi in regola. Al termine della scuola avevamo il nostro libretto di lavoro con il titolo di apprendista e durante il periodo estivo venivamo a lavorare. Facevamo lavori di piccola entità, in alcuni casi abbastanza noiosi. Ci sedevamo in due accanto alla nonna in un cassone dove lei rovesciava i pezzi da montare e i dadi. Quando la cassetta si era svuotata, rigettava un altro sacco da lavorare e si ripartiva. Ci si metteva con la sega a disco a lavorare. La scala gerarchica l’abbiamo percorsa da zero.

(Marzia) Io invece ho avuto un percorso diverso e, da piccola, sono partita dalle bolle da mettere in ordine.

Qual è la soddisfazione più grande che avete tratto in tutti questi anni dal vostro lavoro?(Bondoli) Essere rimasti a galla in questi anni tremendi. Voglio pensare che riusciremo a tornare su livelli normali, non abbiamo più purtroppo molti anni davanti. Speriamo di poter vedere la fine di questo periodo.

Qual è l’insegnamento più importante che i vostri genitori vi hanno trasferito con l’esempio?(Bondoli) L’onestà e la perseveranza.

(Campese) Anche io direi l’onestà. Noi abbiamo preso migliaia di fregature, ma non abbiamo mai fregato nessuno.

Due generazioni differenti si devono integrare per lavorare al meglio. Quali sono gli aspetti che riconosce in suo padre?(Marzia) La sua umiltà e la dedizione al lavoro è motivante per tutti. La sua concentrazione è maniacale. A volte gli parlo e lui è talmente concentrato e preso che non mi ascolta. Anche l’ottimismo perchè se non sei ottimista in Italia non puoi fare impresa. Dopo le prime resistenze al cambiamento è uno che il cambiamento lo sposa. Per esempio all’inizio non voleva la certificazione di qualità, adesso ne vede i vantaggi.

(Alessandro) La lungimiranza. Nel 1985 facemmo entrare per la prima volta un computer in azienda, lui si sedette davanti alla tastiera e cominciò ad utilizzarlo. Fino a quel momento lì si lavorava con il regolo. Erano abituati a lavorare con la matita, con la carta e con il righello.

E voi cosa riconoscete alla terza generazione?(Campese) Io ammiro nei giovani questa facilità di dialogare

con “queste macchine qua” e l’attitudine ad insegnare a noi anziani. Mi ricordo quando acquistammo la ferramenta, le bolle di consegna si facevano a mano e per la fatturazione, a fine mese, occorreva dividerle cliente per cliente, mettere i prezzi, gli sconti e poi mettersi a fare le fatture. Era una cosa pazzesca.Come facevamo non lo so!

Qual è la frase che vi accompagna nei momenti difficili?(Bondoli) Tenere duro. In fondo c’è la speranza che questa stretta finisca e si riesca a rimanere a galla.

(Campese) Tenere duro, anche per me.

Signor Bondoli, qual è la scelta più difficile che ha dovuto prendere?Aver dovuto rinunciare al progetto di realizzare un’unica sede. Qual è la misura di sostegno alla piccola e media impresa che vorrebbe fosse immediatamente attuata e che invece è ancora lontana dall’essere applicata? (Bondoli) Per dare un minimo di sollievo: ridurre le tasse. Non so

Marzia e Alessandro Bondoli

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per quale ragione, ma l’imprenditore è visto come un soggetto da punire.

(Alessandro) Gran parte dei pagamenti del debito dello Stato sono sostenuti dalle imprese. Le imprese non possono essere viste come un soggetto da tartassare anche perché generano ricchezza. Tante aziende per pagare l’acconto delle tasse devono andare in banca a indebitarsi.

Cosa vi irrita di più?(Marzia) I furbi e i disonesti, in questo Paese sono troppi.

(Bondoli) In questo Paese si fanno solo chiacchiere senza tradurle in realtà. Non si fa altro che parlare.

(Alessandro) L’eccessiva regolamentazione della materia lavoro in una giungla inestricabile. Basterebbero meno leggi ma più chiare.

Da imprenditore a imprenditore

Visto che la crisi è morale dobbiamo essere noi i primi a dare l’esempio nel nostro piccolo. Come vi ponete di fronte a questo problema?

Nella vita di tutti i giorni cerchiamo l’onestà anche, e soprattutto, fiscale. È giusto che ci sia una tassazione, anche se è semplicemente esagerata. Quello che sconvolge è che i proventi della tassazione vengono impiegati per chiudere dei buchi e non hanno invece ricadute sul territorio. Le tasse vengono impiegate per i soliti furbi e questo cozza molto con il fatto che lo Stato chieda fedeltà fiscale. Quello stesso Stato che ci sta trascurando e che fatica a darci una mano per risalire.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Qual è il vostro rapporto con la burocrazia??

Fare impresa non deve essere un percorso a ostacoli. La nostra classe politica è fuori dalla realtà. Bondoli, Campese, quanto c’è in voi di italiano e quanto di argentino?(Bondoli) Per me l’Argentina è la mia seconda patria, gli anni più belli della mia vita li ho trascorsi là. C’era un divertimento sano, con quattro soldi in tasca si comprava un panino e ci si beveva una Coca Cola. Avevamo costituito un’associazione culturale che si chiamava Stella Alpina, di culturale aveva ben poco ma si faceva una gran baldoria. C’era la pista da ballo, il campo da tennis, un parco con alberi secolari. Sabato e domenica si ballava sempre.

(Campese) Non sarei riuscito a fare il commerciante se non avessi fatto l’esperienza in Argentina. Quell’esperienza mi ha aperto gli occhi, sono diventato più furbo e più esperto perchè bisognava darsi da fare per emergere.

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Signora Pace, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? L’attività originaria inizia negli anni Novanta a Capriolo, in provincia di Brescia, con l’azienda BSP, al tempo, c’erano anche altri soci. Nella compagine societaria figurava già Francesca Calzavarini, che però non lavorava all’interno della società, mentre suo marito, Andrea Signani, lavorava come commerciale.

Che evoluzione ha avuto?A fine 2008 l’azienda fu trasferita a Ravenna e rilevata dalla coppia. Un 50% venne intestato a Francesca e l’altro 50% ad Andrea Signani. Di lì a breve, arrivai io con un ruolo operativo ad affiancare Signani. Purtroppo nell’agosto del 2009, il marito della signora Calzavarini iniziò a star male e appena sei mesi dopo, nel gennaio del 2010, venne a mancare. Fu allora che mi venne chiesto se volevo proseguire e dare continuità all’azienda. Accettai e chiesi a Sara, la nostra attuale collaboratrice, di affiancarmi nella gestione delle attività che avevo svolto fino a quel momento, mentre io iniziai a seguire gli aspetti che erano stati curati in prima persona dal signor Signani. Poi, quando nell’aprile del 2011 il figlio di Francesca ha compiuto i diciotto anni, si è deciso di costituire una società nuova, la CS Colors, dalle iniziali dei cognomi Calzavarini e Signani.

C’è una sensazione che riassume gli inizi della sua attività lavorativa? Ce la potrebbe descrivere?All’inizio ero un po’ sotto pressione perchè questo era un lavoro diametralmente opposto a quello che svolgevo prima. Ora ero chiamata ad occuparmi di ordini, fatture, di consegne e di un’infinità di altre cose mentre prima, nel ruolo di agente immobiliare, ero sempre in giro e in contatto con persone diverse,Questo passaggio non fu quindi indolore. All’inizio accusai un po’, perchè da “super dinamica” quale sono, mi ritrovavo per gran parte del tempo seduta a una scrivania con il mio computer. Poi l’evoluzione delle cose mi ha fatta ricredere. Ora sono più che felice.

Negli anni si deve essere conquistata stima e fiducia della proprietà. La signora Calzavarini le ha anche chiesto di diventare socia.Fino ad oggi ho rifiutato, perché arrivavo da una società che era finita male. Ogni tanto ci penso. Per adesso va bene così.

Impresa a colori

CS Colors SrlVia V.E. Orlando, 6 - 48123 RavennaTel. 0544 495175 • www.cscolors.it

Positività, ecco la parola d’ordine dell’azienda, una realtà giovane,

dinamica e piena di energia che produce e commercializza a livello nazionale ed

internazionale, coloranti per i settori alimentare, farmaceutico,

cosmesi, detergenza e tessile. CS Colors rappresenta la prosecuzione naturale di una precedente esperienza

societaria iniziata a metà degli anni Novanta e si impone grazie alla determinazione e alla

versatilità di Barbara Pace che gestisce e fa crescere la società, coordinando uno staff

quasi interamente al femminile.

CS Colors produce e commercializza coloranti chimici per l’industria. I prodotti hanno una vasta gamma di impiego, dal tessile alla stampa, dalla plastica alla farmaceutica, dalla cosmetica alle industrie alimentari.

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Da piccola cosa avrebbe voluto fare?La ballerina.

La caratteristica che un imprenditore deve assolutamente avere?La positività è sicuramente al primo posto, se non ci credi non ce la fai. Nel settembre 2011 abbiamo deciso di inserire anche la produzione in azienda e, già nel gennaio 2012, risultavamo in controtendenza: eravamo tra le poche imprese che in un periodo così duro riuscivano a crescere. Sempre su questa linea abbiamo scelto di investire in risorse.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda?E l’ultima prima di uscire? Appena arrivo faccio il caffè e controllo la posta elettronica. Prima di andare via controllo nuovamente la posta per verificare se ci sono ordini dell’ultimo minuto in arrivo.

Com’è il rapporto con il magazzino?Il rapporto con il magazzino è buonissimo, in una realtà piccola come questa non c’è assolutamente spazio per i rapporti gerarchici. Il nostro è un ambiente molto familiare.

Che musica ascolta?Adoro, da quando ero piccola, Michael Jackson. Mi piacciono la musica latina, la salsa, la samba, il merengue. Dopo la nascita di mio figlio ho un po’ lasciato perdere, ma prima mi piaceva molto ballare.

Come si rilassa?Torniamo al movimento. Lo scorso inverno andavo in palestra. Adesso mi sono iscritta ad un corso di Zumba.

Cosa la fa ridere?Mio marito e mio figlio mi fanno divertire molto. Dico sempre che

ho sposato mio marito perchè mi faceva ridere. Siamo sempre in festa. Vivo in una famiglia serena e felice e questa certezza mi dà la forza di affrontare qualunque sfida.

Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro?Non avrei mai detto che sarei riuscita a dirigere un’azienda. Tuttora fatico io stessa a crederlo. A chi mi chiede di cosa mi occupo rispondo: “Lavoro per un’azienda che fa coloranti”. Sono molto soddisfatta di quello che ho raggiunto. In passato, quando arrivavo ad un punto oltre al quale non si poteva andare, ho sempre cambiato lavoro. Era destino che dovessi arrivare proprio in cima a questo. Mi sono detta: “Io ci provo!”

Qual è la sua figura di riferimento? La figura del passato o del presente che con la sua condotta, umana o professionale, ha ispirato il suo lavoro? Sinceramente non so cosa rispondere. Non ho figure particolari

Barbara Pace. Sopra, Barbara in riunione con il suo staff

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alle quali faccio riferimento nel momento in cui devo prendere decisioni importanti.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? Dico sempre: “Volere è potere”. Feci un corso di formazione con una psicologa che ripeteva sempre: “Se fai l’operaio, hai uno stipendio basso e desideri una Ferrari, se ci credi, la otterrai”. Quando credi fortemente in qualcosa, la ottieni.

Qual è il sacrificio personale più grande che ha fatto per il lavoro? Lo rifarebbe?Il dover portar via del tempo a mio figlio. Quando sono passata a questo lavoro, l’ho fatto perchè avrei avuto un contratto part-time in modo da potergli dedicare più tempo. Adesso mi capita di stare via anche tre giorni per le fiere. Inoltre, seguo gli agenti in tutta Italia e quindi mi sposto molto. Mi piace andare in giro perchè non amo molto stare ferma davanti ad un computer, ma allo stesso tempo mi dispiace perchè mi separo da lui.

Quali azioni avete intrapreso a livello aziendale per contrastare

i movimenti altalenanti del mercato, così come li abbiamo conosciuti in questi ultimi anni?Abbiamo dovuto abbassare decisamente il listino prezzi.È una lotta al centesimo con i clienti. Chi deve mantenere molti dipendenti nel momento in cui dimezza i listini fa molta fatica a coprire tutti i costi. Per fortuna i nostri costi fissi sono bassi. Abbiamo deciso di portare la produzione all’interno. Alla nostra azienda serve vendere di più per riuscire a ottimizzare i prezzi.

Qual è la cosa sulla quale non avrebbe mai pensato di poter cambiare idea e sulla quale, invece, ha dovuto ricredersi?Quando mi hanno chiesto di portare avanti l’azienda, ho detto: “Ci provo” ma non sapevo bene da che parte farmi. Non avevo esperienza nel mondo dei coloranti. Mi sono ritrovata a dover fronteggiare sia la gestione aziendale che quella di prodotto. Ho fatto tantissimi corsi, ovunque. Abbiamo un consulente che viene ogni due settimane ad aiutarci sulla parte finanziaria e con il quale si è iniziato a pianificare a medio/lungo termine. Pensavo: “Si vivrà di rendita per un po’, poi però come si farà ad andare avanti?”Non credevo che ce l’avrei fatta. Invece...

Cosa la irrita di più?L’idea che l’imprenditore debba per forza essere uomo.

Non sopporto chi crede che le donne non possano raggiungere traguardi ambiziosi.

In questo periodo com’è cambiato il rapporto tra imprenditori? Prevale la competizione o si sta facendo strada il sostegno reciproco?Grazie alle nuove generazioni a capo delle aziende, c’è una maggior tendenza alla collaborazione.

Nelle difficoltà conta più il capitano o la squadra?Il gruppo conta molto. Spesso sono fuori per fiere ed appuntamenti e l’azienda deve poter andare avanti anche senza di me. Lo staff è importante, anzi, fondamentale.

Si sente più combattente o mediatrice?Sono una combattente.

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?In generale, per il mercato il colore è grigio, ma noi, per la nostra

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azienda, cerchiamo di farlo diventare giallo!

È ancora possibile sognare?Credo di sì. Del resto noi al primo trimestre del 2012 abbiamo un fatturato in crescita rispetto allo scorso anno. Non siamo dovuti ricorrere alla cassa integrazione, anzi, abbiamo assunto delle persone.

Ha un giorno di libertà - anche dalle preoccupazioni - come decide di trascorrerlo?Vado al mare con mio figlio per tutta la giornata e lascio il telefonino a casa.

Da imprenditore a imprenditore

Qual è il suo rapporto con la burocrazia?

Amo essere in regola con tutto e proprio per questo mi rendo conto che è eccessivo tutto quello che dobbiamo fare, tutti gli obblighi a cui dobbiamo sottostare. Di recente, abbiamo partecipato ad un corso sulla sicurezza, e per farlo abbiamo dovuto chiudere l’azienda per un giorno e spendere una cifra ragguardevole. Abbiamo assunto un apprendista, e ricevuto sgravi fiscali per cinque anni, però io devo fare il corso perché sono il tutor, lui deve fare un suo corso, poi c’è il piano formativo, e così via...La burocrazia non agevola mai. Si spreca molto tempo.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Il problema che riscontriamo come azienda è che essendo una piccola realtà, non abbiamo potere contrattuale con i nostri fornitori. Vorrei chiederle, come riuscite a gestire la compravendita con loro?

?

Barbara Pace (al centro) con le sue collaboratrici.

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Signor Parrucci, in che anno è nata l’azienda? L’azienda è nata nel 1999, il 3 di dicembre.

Chi l’ha fondata?Io, Andrea Tritapepe e Andrea Bettancini che successivamente se ne sono andati. Attualmente l’Azienda è mia (90%) e di mia sorella (10%).

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta l’inizio della sua attività lavorativa? Ce la potrebbe descrivere?L’immagine più forte e più vivida del mio inizio è rappresentata da una riunione che abbiamo avuto di sera nell’ufficio del dottor Basurto, il Segretario Generale dell’Associazione. Io e i miei due soci di allora eravamo pieni di idee e di buoni propositi e pensavamo che “là fuori” fosse tutto facile. Basurto ci spiegò cosa volesse dire “fare impresa” quali fossero i nostri obblighi e i nostri compiti. Quel discorso è stata la chiave di volta che ci ha reso consapevoli dei sacrifici e degli impegni che da lì innanzi avremmo dovuto sempre tener presenti; prima di allora, per dei trentenni, quali noi eravamo, tutto questo non era molto chiaro. Dopo questo incontro, abbiamo riflettuto per una settimana su quanto ci eravamo detti, indecisi se andare avanti con la nostra idea o fermarci ancora prima di partire e poi, dopo aver riflettuto, ci siamo nuovamente presentati in Associazione, dicendo che ci credevamo e che quindi eravamo pronti ad aprire questa azienda.

Basurto vi ha reso consapevoli di quello a cui sareste andati incontro, ma il vero click, la vera molla che le ha fatto decidere di creare qualcosa di suo, qual è stata?L’azienda nella quale lavoravo prima, sempre nel settore informatico, aveva dei chiari input dirigenziali. Eravamo pressochè dei “box movers”, mi spiego meglio, avevamo il compito di comprare il materiale, consegnarlo e nient’altro. La vendita era la cosa più importante. Io non ho mai creduto in questo. Ho sempre pensato invece che i rapporti che si dovrebbero instaurare tra un’azienda del mio settore e un cliente dovessero essere incentrati sulla consulenza e sulla fiducia, una via da percorre insieme per crescere di pari passo. Dato che questa mia idea non era però percorribile nella società in cui lavoravo, l’unica maniera era quella di creare una mia azienda e questo è quello che è successo.

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L’emozione nel raccontare questa storia passa attraverso gli occhi, prima ancora che

dalle parole, di Michele Parrucci, titolare dell’azienda che da oltre 10 anni presta assistenza e consulenza informatica alle imprese. Il percorso di Spring parte da

lontano quando in Michele si accende la scintilla e la voglia di lanciarsi in una sfida

imprenditoriale con una società dinamica e versatile. A poco a poco il progetto prende corpo e diventa realtà anche grazie ad uno staff giovane e intraprendente che fa suo il

motto di Steve Jobs: Stay hungry, stay foolish.

Spring Italia è una società di consulenza informatica specializzata nella progettazione e realizzazione di soluzioni IT per le aziende.Distributore dei più importanti marchi IT per la sicurezza informatica, è in grado di offrire anche soluzioni di hosting e gestione avanzata dei servizi Web e postali.

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Da piccolo cosa avrebbe voluto fare?Da piccolo, come tutti i bambini, pensavo di fare i lavori più assurdi, ma la cosa più importante era che io fossi al centro delle attenzioni, non per protagonismo, ma per sentirmi utile. Una delle cose che ho sempre pensato è che l’uomo è come un’ape all’interno di un grande alveare, che è la nostra comunità.Ognuno deve trovare la sua collocazione, il suo posto. Io ero alla ricerca di quelle attività, di quei ruoli che potessero essere “riconosciuti” dalla comunità. Poi, crescendo, ho scoperto l’informatica e me ne sono innamorato al tal punto che ho fondato un’azienda che si occupa di questo.

Il suo ruolo?Mi sento un imprenditore tecnico, uno che vuole ancora avere il cacciavite in mano per risolvere il problema e non stare sempre dietro la scrivania. Mi piace lavorare sul campo.

Qui conta tanto la squadra, vero?La squadra è fondamentale per il semplice motivo che noi lavoriamo in un settore sempre in evoluzione e nel quale è impossibile che una singola persona sia a conoscenza di ogni innovazione tecnologica esistente. Il team e il lavorare insieme aiutano ad affrontare al meglio ogni situazione, dal cliente che non riesce ad accendere il Pc al cliente che ha un problema sul server. Ognuno riceve la stessa attenzione e il team deve mediare tra le varie problematiche.

Lei è un buon mediatore?Con il tempo ho imparato ad esserlo o almeno ci provo.

Una cosa che non sopporto sono le persone che pensano che il lavoro sia solamente un modo per mantenersi, non sopporto la mancanza di rispetto, è difficile, ma cerco sempre di dare il meglio di me stesso con i clienti, dedicandomici totalmente per fare in modo che siano soddisfatti.

Continua a formarsi?Cerco sempre di applicarmi al massimo. Ritengo che ci sia sempre da imparare e che l’obiettivo non sia mai raggiunto fino in fondo. Bisogna fare in modo di migliorarsi, costantemente, ogni giorno. Sento dire spesso la frase: “Non sono più abituato a

studiare”. Io, in realtà, non ricordo di avere mai smesso.

Tre caratteristiche che deve avere un imprenditore per svolgere adeguatamente il suo ruolo?Deve essere una persona curiosa e bravo a delegare ai suoi collaboratori lavori e problematiche, in maniera da risolvere al meglio le varie situazioni.

Avere uno staff cosi giovane è stata un scelta? Ha dei limiti, dei vantaggi?Noi siamo uno staff giovane, ma in realtà siamo dei “vecchietti”

Michele Parrucci

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nel nostro settore. Qui c’è una età media di trentacinque anni e perciò apparteniamo ad una generazione non nativa digitalmente. Se penso a mio nipote che ha otto anni ed è un nativo digitale, pensare a mail, chat, smartphone per lui è una cosa naturale. Per noi è un raggiungimento tecnologico, per loro è un dato di fatto. Nel nostro settore, dove quasi ogni sei mesi c’è una rivoluzione digitale, avere in staff persone che sono nell’ambiente da quasi 20 anni significa anche considerarle un po’ “vecchie”.

Quale requisito deve avere una persona per lavorare con lei?La passione per quello che fa. La voglia di imparare e di crescere insieme all’azienda.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?La stessa, leggo le mail. Mi interfaccio al mondo digitale. Quando sono in vacanza dico quasi che sono in astinenza. Per noi essere connessi è quasi come respirare.

Che libro ha sul comodino?Di solito le mie letture sono inerenti al mio lavoro anche se non disdegno testi di self empowerment.

Che musica ascolta?R&B, Jazz e Acid Jazz, Miles Davis, Jamiroquai, Amy Winehouse. Nella musica ho bisogno di raggiungere quella pace interiore che difficilmente ho sul posto di lavoro. Per me la musica è evasione, mi permette di staccare.

Come si rilassa?Oltre alla musica, il mio hobby principale è la montagna. Sciare, andare in snowboard mi rilassa e mi permette di ricaricare le batterie.

Ha un giorno di libertà - anche dalle preoccupazioni - come decide di trascorrerlo?La mia giornata ideale è essere in cima ad una vetta, con il mio amico Alberto, con la neve e la mia tavola da snow.

Cosa la fa ridere?Mi fa ridere molto mia nipote con il suo atteggiamento nei

confronti della vita, vivace e pieno di energia.Anche mia sorella, a volte, riesce a farmi ridere, con una battuta, o con uno sguardo, soprattutto quando capisce che sono un po’ giù di corda e ne ho bisogno

Questa azienda è nata con lei. Nelle altre interviste abbiamo per lo più trovato persone che rappresentano la terza o quarta generazione familiare. Ci sono ovviamente aspetti positivi e negativi da entrambi le parti. Lei come vive questa situazione? Io non ho il peso della responsabilità di un obiettivo per la famiglia. Mi sento in obbligo per le persone che sono con me.Quando ho costituito questa azienda il mio obiettivo era quello di creare una società di consulenza che si interfacciasse in maniera totalmente differente con il cliente.Quello era il mio sogno, io non avevo la responsabilità di dover seguire un cammino sognato da altri. Mi sentivo invece in obbligo, come un buon padre di famiglia, una famiglia lavorativa, di condividere con i miei collaboratori questo mio sogno e renderli partecipi del cammino che volevo intraprendere insieme a loro, come un gruppo, unito e coeso verso un obiettivo comune.

Quali sono la soddisfazione ed il sacrificio più grandi venuti dal suo lavoro?Il riconoscimento del mio lavoro è una soddisfazione che ricevo ogni giorno, è ciò che mi dà lo stimolo per andare avanti. La gratificazione del cliente è la mia gioia più grande.Il sacrificio più importante è il tempo che dedico a questa azienda a discapito della mia famiglia.

Qual è la sua figura di riferimento? La figura del passato o del presente che con la sua condotta, umana o professionale, ha ispirato il suo lavoro? Mio nonno, che è stato anche un po’ il mentore di un imprinting del mio comportamento.Una persona a volte un po’ burbera, schietta, ma totalmente trasparente, con un forte senso della dignità. Per lui la parola data valeva sopra ogni cosa, più di un pezzo di carta.Come a mio nonno anche alla Spring, spesso, basta la parola nei rapporti con un cliente, per un problema o per un ordine.L’onestà e l’umiltà sono due caratteristiche del romagnolo vero e sono due valori che io cerco di trasmettere alla mia azienda.

Questo atteggiamento ripaga?Ripaga con le persone che capiscono e condividono questo modo di lavorare. Noi non facciamo le cose perchè sono scritte su un foglio di carta, le facciamo perchè abbiamo preso degli impegni nei confronti dei nostri clienti e cerchiamo di farlo sino in fondo.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? Eppure c’è una soluzione.A volte mi sento ottimista altre volte pessimista, ma credo che la mia forza stia nel non accontentarsi mai. Forse la frase che mi accompagna, in ogni momento è proprio: “Si può sempre fare meglio”.

Ci sono degli insegnamenti che ha tratto da questa crisi?Ci siamo sforzati maggiormente, verso i nostri clienti, per aiutarli a superare la crisi. Siamo stati più attenti per quanto riguarda i pagamenti, ma questo cambiamento io, in realtà, l’ho sentito, fortunatamente, solo di riflesso attraverso i loro occhi. Il mio modo di fare impresa mi ha preservato da queste problematiche.

Qual è la misura di sostegno alla piccola e media impresa che

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vorrebbe fosse immediatamente attuata e che invece è ancora lontana dall’essere applicata? L’altro giorno stavo tornando da un viaggio in compagnia di un altro imprenditore e stavamo parlando della crisi dell’industria ceramica, iniziata nel 2008. Lui mi diceva che per quelle aziende che si sono dovute conquistare tutto, nate dal nulla, queste crisi sono vissute anche come opportunità. Tutti sono alla ricerca di qualcuno che possa aiutarli o che gli offra una soluzione, ma loro, che si sono sempre dovuti arrangiare fanno meno fatica.Forse l’Italia si può salvare prendendo come esempio quel famoso modo di dire: “Rimbocchiamoci le maniche e andiamo avanti”.Ci sono persone che lo hanno sempre fatto, ma ci sono anche persone che forse non lo hanno mai provato perché hanno ereditato una situazione aziendale stabile e non sanno cosa voglia dire guadagnarsi ogni singola cosa con il proprio lavoro.Lo scorso maggio, poco dopo il terremoto, un’azienda di una delle zone colpite spostò tutti i macchinari al di fuori del capannone dentro il quale lavoravano per poter continuare a produrre, senza mai fermarsi.Questa è la forza che serve all’Italia per uscire dalla crisi.

In questo periodo com’è cambiato il rapporto tra imprenditori. Prevale la competizione o si sta facendo strada il sostegno reciproco?Noi abbiamo un buon rapporto sia con i nostri fornitori sia con i nostri clienti, proprio in questi momenti di crisi infatti Spring ha cercato di aiutare quelli in difficoltà. Questo per noi significa avere un’etica ed un impegno con quelle persone che fino al giorno prima hanno creduto in te.

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?Questo periodo lo vedo come se fossimo dentro un tunnel.La luce in lontananza si vede. C’è chi si arrende e dice che non riuscirà mai a raggiungere la fine e c’è invece chi si arma di forza e impegno e riesce addirittura a vedere oltre. A me piace pensare che dopo una caduta ci sia la possibilità di rialzarsi.

Da imprenditore a imprenditore

Il problema che riscontriamo come azienda è che essendo una piccola realtà, non abbiamo potere contrattuale con i nostri fornitori. Vorrei chiederle, come riuscite a gestire la compravendita con loro?

Noi abbiamo un rapporto con i nostri clienti tale per cui, se posso, gli vado incontro al 100%Il problema è quello nei confronti dei fornitori, il nostro potere contrattuale verso di loro è pari a zero. Loro ci dicono prendere o lasciare.Ho cercato, col tempo, di ridurli e di fidelizzare quelli con cui ho sempre lavorato maggiormente.Sono sempre stato onesto e molto rigoroso nei loro confronti. Proprio questa serietà, mi ha permesso di poter aver dei rapporti che ci permettono di avere dei pagamenti anche a sessanta giorni.

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Per stare al passo coi tempi è fondamentale cercare nicchie di mercato, cercare di diversificare la produzione e rivolgersi ai mercati esteri. Cosa ne pensa?

?

Michele Parrucci e i suoi collaboratori

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L’intervista ha come protagonista Derno Giunchi, fondatore dell’azienda.

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? La Termovetro è nata il 18 luglio1980 per volontà di quattro soci fondatori: Derno Giunchi, l’architetto Massimo Biagiotti, il signor Roberto Amici e il signor Luigi Savini.

Di questi oltre a lei chi è ancora in azienda?Nessuno. Oggi siamo soci io e mio figlio Luca che è entrato cinque anni fa, prima era stato qualche anno in produzione a fare un po’ di gavetta. Poi, in seguito a certe vicissitudini, gli ho detto che era il suo turno e che toccava a lui. È maturato in pochissimo tempo, è cresciuto notevolmente.

Da cosa è partita la spinta a mettersi in proprio?È una molla che uno ha dentro di sè e che spinge a fare certe scelte. Prima lavoravo alle dipendenze di una grossa multinazionale di Roma, la Ericsson, nell’ufficio distaccato di Bologna. Ero un tecnico commerciale di centrali telefoniche e impianti di allarme, antincendio e antifurto. La società mi aveva aperto un ufficio a Ravenna da dove seguivo le zone di Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini e Ferrara.

E poi?Conoscevo il vetraio Roberto Amici, che aveva una vetreria vicino a Porta Serrata a Ravenna, era un mio compaesano e con lui si parlava sempre di vetrate isolanti, di lavorazioni del vetro. Poi si è presentata l’occasione per collaborare, insieme al Savini che vendeva macchine. Si sono intersecate una serie di volontà e da lì siamo partiti. Aggiungo l’ultimo elemento, l’architetto Biagiotti, che conoscevo perché stavo cercando di vendergli le apparecchiature telefoniche per le sue attività di costruttore. Ecco. Ci siamo trovati, quattro amici al bar e siamo partiti.

Che ricordi ha degli inizi?Mi ricordo tutto, siamo partiti con una notevole dose di incoscienza con un investimento importante, non di poche lire. L’incoscienza era tale che se qualcuno, a posteriori, mi avesse chiesto di ripetere un’iniziativa simile, lo avrei preso e portato

Il vetro:una fissazione

Termovetro Ravenna Srl Via Bandoli, 38 - 48012 Villanova di Bagnacavallo (Ra)Tel. 0545 49143 • www.termovetroravenna.com

Da piccola vetreria di provincia a realtà importante a livello nazionale.

Questa l’evoluzione dell’azienda nel corso degli ultimi trent’anni, grazie alla tenacia

e alla concretezza del suo fondatore, Derno Giunchi, instancabile imprenditore per sua

stessa ammissione. Da qualche anno in azienda è diventata pienamente operativa la seconda generazione. Luca e Francesca

si occupano della parte commerciale e amministrativa dell’attività, unendo

all’esperienza del padre, la freschezza e l’entusiasmo tipico delle nuove leve.

La Termovetro Ravenna si occupa della produzione e della posa di vetri per l’edilizia civile e industriale. L’azienda si attesta nel mercato nazionale per qualità produttiva e completezza delle lavorazioni ed è inoltre dotata di impianti di ultima generazione, come un sistema a convezione automatico sul forno di tempra ed un impianto di vetrocamera, ad oggi, il più grande in Europa, con annesso applicatore del distanziatore warm edge SUPER SPACER in grado di assemblare in ciclo completamente automatico lastre “JUMBO” di dimensioni 6000 x 3210 mm.

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a Imola in manicomio. Io dico “Non riescono a farmi impazzire perchè sono già pazzo dall’origine!”

Oggi la sua attività realizza sia per il settore civile che per quello industriale. Quando avete iniziato eravate specializzati in un settore particolare e poi vi siete attrezzzati per allargare la gamma?In linea generale, la nostra filiera tratta un prodotto trasversale che interessa tutti, dall’impresa edile che realizza abitazioni a quella che costruisce grandi stabilimenti. Quando siamo partiti la tecnologia era ancora ai primordi dell’evoluzione che ha conosciuto successivamente negli ultimi venti anni. Per quanto ci riguarda, abbiamo iniziato facendo il vetro residenziale il fatidico “4-12-4”, che significa un vetro da 4mm con intercalare di aria da 12mm e un altro vetro da 4mm, una vetrata isolante. Ne producevamo quantità enormi destinate al residenziale poi, piano piano, ci siamo spostati al terziario con realizzazioni per centri direzionali, commerciali e capannoni industriali.

Ci dica qualcosa dell’ingresso di suo figlio Luca in azienda. Come tutti i giovani lui pensava che la vita si sviluppasse attorno alla sfera del divertimento, dell’hobby, però è rientrato abbastanza velocemente nei ranghi. A me dicono: “La tua amante è la Termovetro” e, in effetti, per me il lavoro in azienda è stato anche un divertimento. Se una persona non si diverte non può dedicare alla sua attività fino a venti ore al giorno, impegnandosi anche al sabato e alla domenica.Penso di essere riuscito a trasferire a Luca quello che è necessario fare in un lavoro di questo tipo.In un’attività, di qualsiasi filiera, non si può stare lontani un solo

giorno. Quando rientri dopo essere stato via due giorni non riesci a renderti conto se le cose sono andate bene o male, sembra sia successo un terremoto. È quasi una simbiosi quella che vivo con la mia azienda. Non potrebbe essere diversamente per via della dimensione.

Ed ora a distanza di tempo, che apporto riceve l’azienda da suo figlio?Essendo di estrazione tecnica, un geometra, mi sembra che abbia appreso bene, prima cercando di conoscere l’aspetto tecnico e poi l’aspetto commerciale e mi sembra lo stia svolgendo meglio di me! Si adatta molto bene alle situazioni, riesce a farsi apprezzare, è affabile e molto più deciso e conclusivo. È più bravo di me!

In che cosa Luca riesce a superarla?Luca è più deciso nelle scelte, io sono molto più riflessivo.

Quando prende una posizione non si discosta più, io sono più disposto a negoziare. Forse alla sua età ero così anch’io, a volte mi dicono: “Tu eri peggio!” Ha una certa apertura, ha una capacità di analisi e sintesi efficace, probabilmente favorita dall’utilizzo delle nuove tecnologie.

Qual è il sacrificio più grande che ha fatto per il suo lavoro?Non c’è un sacrificio, ci sono tanti momenti che vanno presi per mano, vanno accompagnati e risolti quasi quotidianamente. Immagina quando fai la scelta di cambiare sede e fare un nuovo capannone. Se non ci fosse stata la prospettiva dell’ingresso di Luca nell’attività probabilmente sarei rimasto solo anche perchè gli altri soci si erano già dispersi nel corso degli anni. È una scelta venuta da eventi contingenti. Diversamente non l’avrei fatta.

Come si è evoluto negli anni il vostro lavoro? Dipende dalla filiera. Nel nostro settore, nella filiera generale vetro,

Da sinistra, Derno Giunchi con il figlio Luca

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c’è il reparto edilizia in cui negli anni Ottanta producevamo vetrini per le case che pesavano dieci chilogrammi, ora facciamo vetri da 6mx3 che pesano una tonnellata e sono i più grandi realizzati in Europa. Immagina le diversità di operazioni che dobbiamo fare, le molteplici attrezzature esistenti e quanto sono cambiate le applicazioni tecnologiche su questo prodotto. Il Palace Hotel di Milano Marittima ha vetri realizzati da noi che pesano nove quintali e mezzo. Abbiamo cercato di adattarci in funzione dei tempi e delle necessità.

In azienda conta più il capitano o conta più la squadra?La squadra conta tantissimo. La grossa problematica è costruirsi una squadra su misura, se non va bene la devi cambiare in continuazione fino a che non raggiungi l’equilibrio dell’indirizzo che vuoi dare.

L’ha trovata la sua squadra?Ci stiamo ancora lavorando altimenti non faremmo gli imprenditori. Purtroppo spesso (ndr Qui Giunchi sorride ironico) quello che diciamo alla sera non combacia con quello che diciamo alla mattina!

Ha persone che sono con lei da tanti anni?Alcune sono con noi dagli anni Ottanta, il rammarico è quello di aver perso delle persone valide e importanti e di non essere riusciti a trattenerle. Adesso è molto facile dire che se qualcuno è andato via c’è stato un errore, può essere anche una verità. Nelle piccole aziende c’è purtroppo un alto turn over.

Riuscite ad avere uno scambio positivo e continuativo con i dipendenti?Ovviamente se ci fosse lo scambio sarebbe una buona cosa. Noi non ci siamo riusciti appieno, forse perchè non si hanno gli interlocutori giusti al momento giusto. I dipendenti più anziani fanno fatica a caricarsi di certe responsabilità e i giovani di oggi fanno ancora più fatica dei giovani del passato (quelli che abbiamo in azienda da vent’anni erano i giovani di allora). A tutt’oggi, non so se l’azienda debba essere condotta a mano ferma o in modo più morbido dando, quando serve, il giusto correttivo. Il mondo è fatto di equilibri e bisognerebbe trovare quelli ottimali.

Da piccolo cosa avrebbe voluto fare?Non ricordo. Immaginavo di finire gli studi, di andare all’università e di diventare ingegnere. In realtà ho studiato medicina per due anni poi mi sono sposato e ho abbandonato.

Che caratteristiche si riconosce in qualità di imprenditore?Mi sento un maratoneta, non sono un grosso scattista, ma se devo perseguire l’obiettivo lo raggiungo. Ho una certa costanza nel raggiungere i traguardi che mi sono prefissato.

È un ottimista?Non saprei definirmi perchè nei momenti di impatto con una realtà dura mi sembra di sprofondare. Poi reagisco e trovo la soluzione.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? Se non ci sono problemi contingenti, la prima cosa che faccio è controllare tutta la posta cartacea, in entrata e in uscita, ordini,

richieste di preventivi, fatture in entrata. Mi dicono che sono un accentratore e io dico che sono un grandissimo accentratore e delegatore, ma con licenza di verifica.

Ci spiega meglio?Avevo un ufficio prefabbricato in alluminio dentro l’azienda dove si sentiva più rumore che altro, avevo in tempo reale la situazione sotto controllo e seguivo tutto. Se sentivo un rumore strano che poteva far presagire la rottura di un macchinario ero già sul posto, ora, invece, sono chiuso in una stanza e non so cosa succede di là nei 5000 metri di superficie. È qui che entra in gioco il discorso del delegare a qualcuno che parli con la tua voce.

E quando va via alla sera cosa fa?Se c’è Luca che rientra mi confronto con lui per mezz’ora o anche solo dieci minuti, oppure con qualche responsabile, o con mio fratello che fa il manutentore in azienda e mi relaziona sulle problematiche tecniche.

Ci sono altre persone della famiglia Giunchi in azienda?C’è Francesca, sorella di Luca, che si occupa di preventivazione.

Che musica ascolta?Mi piace da morire Ennio Morricone, poi ascolto Fiorella Mannoia e Giorgia.

Cosa la fa ridere? Mi fa ridere una bella barzelletta e mi piace anche raccontarle.

Cosa la manda in bestia?Mi fa andare in bestia quando ci sono persone che raccontano balle. Io difficilmente le racconto, piuttosto resto zitto. E poi ripetere errori banali già commessi negli anni, il ricadere negli stessi errori.

Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro?Quello che sono riuscito a costruire con grande fatica senza soppesarlo più di tanto. A volte qualcuno mi guarda stupito quando riferendomi alla Termovetro dico: “Non sembra neanche mia!”Mi considero un dipendente di questa società, è la società che

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domina su tutto e anche su di noi. Poi puoi avere il 10, il 20, il 50% o il 100% delle quote, ma è la società che viene prima e che merita il rispetto.

Quali insegnamenti le sono arrivati dai suoi genitori? Che cosa si ritrova di loro? Mia madre dice che caratterialmente ho la caratteristica di essere un fulmine a ciel sereno come mio padre, ovvero una persona che sale di giri velocemente ma altrettanto velocemente si placa. Lei era un’artista nel sapere come prendere per il verso giusto mio padre.La passione per il lavoro me l’ha trasmessa lui, un uomo che non è mai stato con le mani in mano. Se non stava lavorando, sicuramente trovava qualcos’altro da fare come hobby. Per dirne una, lui lavorava come dipendente all’Enel e poi tornava a casa e passava ore a seguire l’allevamento di canarini che aveva creato.

Come è cambiato il suo modo di lavorare e di fare impresa alla luce di quello che è successo negli ultimi anni?Il cambiamento in atto negli ultimi tre decenni è stato automatico. Siamo partiti negli anni Ottanta. Pochi anni dopo si è verificata una crisi dell’edilizia. Gli adattamenti che tu devi fare alle varie situazioni contingenti del momento sono in realtà delle messe a punto continue.

Qual è la cosa sulla quale non avrebbe mai pensato di poter cambiare idea e sulla quale, invece, si è dovuto ricredere?Ho avuto un modus vivendi che mi ha permesso di procedere in modo abbastanza lineare e coerente.

Ha un giorno di libertà - anche dalle preoccupazioni - come decide di trascorrerlo?Mi metto a fare il giardiniere. Mi diverto a spostare in continuazione le piante da un posto all’altro facendo arrabbiare tutti!

Da imprenditore a imprenditore

Per stare al passo coi tempi è fondamentale cercare nicchie di mercato, cercare di diversificare la produzione e rivolgersi ai mercati esteri. Cosa ne pensa?

Noi non lavoriamo direttamente con l’estero, abbiamo parecchi fornitori esteri, lavoriamo su commessa.Tutti stanno cercando di diversificare, ormai è diventato un detto comune e quando diventa un detto comune perde di efficacia. Tutti cercano la nicchia, ma quale nicchia? Diventa una nicchia che non è più nicchia! Noi facciamo molta fatica ad individuarla in questa fase di recessione.Lavoriamo su commesse, il progetto lo fa il cliente. La nostra filiera è questa: c’è il produttore primario del vetro che generalmente è una multinazionale che studia le tecnologie e le materie prime, noi siamo i trasformatori. Mi piacerebbe poter proporre sul mercato qualcosa di nostro, ma la natura della filiera non lo consente. Adesso siamo addirittura dominati anche dal cliente stesso che detta le regole, che parla con il

?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Collaborazioni e sinergie tra imprese. Il romagnolo è campanilista, guarda alla sua produzione, senza condividere con altri per mettere a sistema le reciproche eccellenze. Come si può fare per vincere questa diffidenza?

?

progettista e che propone il nostro vetro.Noi diventiamo produttori di accessori, in questo caso si fa molta fatica ad individuare la nicchia.

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In che anno è nata l’azienda? 13 febbraio 1962.

Chi l’ha fondata?Mio padre, Osvaldo Giacomoni insieme ad altri quattro soci. Mio padre purtroppo è venuto a mancare proprio quest’anno. L’azienda è nata come produttrice di infissi, serrande, carpenteria. Un settore molto diverso rispetto a quello dove poi si è spinta ed è diventata grande.

Da dove nasce l’idea di fare macchine per tubi in plastica?Mio padre era un geometra e tutte le idee che gli sono venute erano legate a quello che era il suo settore di appartenenza. Quindi anche l’intuizione di iniziare a produrre macchine per la lavorazione di tubi in plastica è scaturita dal fatto che nei primi anni Sessanta si vedevano i primi esemplari, ma era difficile poterli congiungere. Lui, che frequentava i cantieri e che parlava anche con i produttori, intuì che il primo che avesse inventato una macchina per allargare un’estremità del tubo, formandola in modo da poterne inserire un secondo all’interno e creare una tubazione, avrebbe avuto successo. La prima macchina per formare i tubi, che noi chiamiamo bicchieratrice, è nata nel 1967, esattamente cinque anni dopo la fondazione dell’azienda. Da quel momento in poi i soci cercarono di crescere in questo settore che era nuovo e in espansione, facendo anche macchine per completare la linea di estrusione, quindi macchine per tagliare i tubi o per trainarli.

A quando risale il suo ingresso in azienda?È piuttosto recente. Ho prestato la mia attività per pochi anni negli anni Novanta. In seguito sono tornata per tre anni negli Stati Uniti, a Los Angeles, dove ho anche studiato prendendo un master in Lingua e Letteratura cinese, poi è nata mia figlia. Insomma ho seguito altri percorsi. È nel 2002 che sono tornata in Italia e da allora ad oggi sono trascorsi dieci anni di dedizione.

Un periodo formativo importante.Un’esperienza sicuramente diversa perchè ho avuto l’opportunità di formarmi secondo un’impostazione universitaria meno tradizionale e più improntata all’interazione tra materie diverse.

Un’aziendaa tutto tondo

Sica Spa Via Stroppata, 28 - 48011 Alfonsine (Ra)Tel. 0544 88711 • www.sica-italy.com

Prima ancora di essere un’imprenditrice formidabile, Valeria Giacomoni è una donna

fuori dal comune. Il suo percorso di vita, che lei stessa definisce punteggiato di scelte “rivoluzionarie”, è probabilmente la chiave per comprendere la sua naturale attitudine

nel decodificare le dinamiche di mercato e nel riuscire ad anticiparne le evoluzioni

future. Non è stato semplice per lei riuscire a far accettare che estetica, comunicazione,

marketing e design di prodotto potessero avere una qualche pertinenza con un’azienda

meccanica. Ma questa intuizione è stata vincente. Ed oggi SICA è una realtà conosciuta e stimata che si muove su un mercato globale.

Sica è un’azienda specializzata in macchinari e servizi per l’industria dell’estrusione dei tubi in plastica. L’azienda vende in tutto il mondo macchine per il fine linea di estrusione fra cui traini, taglierine, bicchieratrici e macchine per imballaggio, sia per tubi rigidi che per tubi flessibili.

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C’è un’immagine che conserva di quei tre anni?La più importante è la nascita di mia figlia Celeste. Però gli Stati Uniti sono stati sicuramente il momento in cui mi sono resa conto che è tutto possibile, che fondamentalmente basta volerlo e si può fare.

E dei primi periodi alla SICA?Sì, diciamo che ero un pesce fuor d’acqua. Venivo da Los Angeles, 80 Km di raggio, ad Alfonsine, dove tutto si risolve in un raggio molto più ristretto. Da parte mia, ricordo difficoltà comunicative e di comprensione di quelle che erano le dinamiche e le logiche che governano un settore metalmeccanico di un piccolo paese dove si era portati a pensare che tutto è dovuto e non si raggiunge per meriti.

Negli anni poi questa situazione è cambiata?Sì, certamente. Dalla prima volta negli anni Novanta ad oggi anche questa mentalità è cambiata, ma era la mia prima esperienza in un settore metalmeccanico ed è questo che ricordo: il sentirmi diversa e non accettata perchè ero donna, perchè non avevo un background tecnico. Ricordo la prima volta che dissi che anche estetica ed ergonomia del prodotto avevano un loro significato, perchè l’imprinting rimane comunque nella mente di chi guarda l’oggetto: mi dissero che avevo sbagliato, che non era Grazia che stavo per scrivere ma la storia di un’azienda metalmeccanica.Oggi i miei ingegneri quando disegnano una macchina non guardano esclusivamente alla funzionalità, ma si preoccupano anche dell’aspetto. Ma inizialmente è stata dura. Tant’è vero che se ho voluto sfondare, sono dovuta ricorrere al Politecnico di Milano al Dipartimento di Design Industriale per avere la consulenza del professor Trabucco che è venuto qui, ha studiato il nostro prodotto, è stato con noi ed ha ridisegnato la carrozzeria delle nostre macchine. È servita una persona autorevole per far capire che quella era la direzione da prendere e probabilmente da sola non ce l’avrei fatta.

Molto determinata e testarda.Ero certa di quello che dicevo. Vedevo prodotti estremamente all’avanguardia dal punto di vista tecnologico ma vecchi dal punto di vista estetico. E purtroppo guardando la macchina non si intuiva che era una macchina aggiornata all’ultimo secondo, si

pensava che fosse la stessa macchina di vent’anni prima perchè aveva lo stesso look. Ma al tempo non si pensava a queste cose, si credeva che fossero soldi buttati. Questo è stato il primo grande scoglio, far capire che si potevano guardare le cose con occhi diversi e trovare spunti che ci avrebbero differenziato anche dall’esterno e non solo da un punto di vista prettamente tecnico. Quindi ho cominciato a lavorare sul marketing, sull’immagine, sulla promozione, sull’identità dell’azienda e su come ci potevamo differenziare ed essere immediatamente visibili e riconoscibili. Ho quindi cambiato il nostro marchio, originariamente con la tipica ruota dentata della meccanica e i quattro tubi che uscivano dal centro della ruota, bello ma difficile da riprodurre, e comunque talmente pieno di cose da diventare dispersivo e poco efficace. Abbiamo creato un marchio più dinamico, rotondeggiante, veloce e in movimento e oggi, grazie anche alla scelta dell’arancio fluo, anche le nostre macchine nelle officine sono immediatamente riconoscibili. Un restyling completo di tutta l’immagine aziendale con tutte le difficoltà del caso perchè oggi è diventato parte del modo di lavorare, ma allora era guardato con una certa sufficienza e non solo dai dipendenti, e in particolare dagli ingegneri, ma anche dai soci. Perchè tutte le cose che non si conoscono si guardano con diffidenza, e poi, su tutto: “Chi è lei?”

A tale proposito, entrare in azienda come donna e come seconda generazione, è stato duro?È sempre duro, prima di tutto perché non ci siamo guadagnati niente e giustamente, dobbiamo rispettare ciò che gli altri prima di noi hanno fatto. Dobbiamo diventare credibili e per farlo c’è un pedaggio da pagare che può essere più o meno lungo, nel mio caso lo è stato particolarmente. È dello stesso periodo la mia idea di lavorare con la Cina in modo diverso da quello tradizionale, ma anche lì mi dicevano: “Figurati prima che arrivino i cinesi, noi ci abbiamo messo cinquant’anni chissà loro quanti ce ne metteranno e poi ci copiano”. Ecco, si è persa l’opportunità di entrare in quel mercato come produttori non solo come commercianti. È chiaro che oggi è tardi, però ricordo che mentre sugli aspetti estetici piano piano ce l’ho fatta, sugli aspetti legati al guardare oltre, ai mercati emergenti, c’è stato molto scetticismo e resistenza e non sono riuscita. È chiaro che non sarebbe stato facile, è chiaro che non ci sarebbe stata Valeria Giacomoni

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nessuna certezza di successo, però avendo studiato per due anni a Pechino negli anni Ottanta, quando nessuno parlava della Cina, non mi stupisco se tante persone non mi hanno capita. Ma vivendo lì, avendo visto vari imprenditori di tutto il mondo recarsi in Cina, avendo visto quanto i cinesi erano curiosi di apprendere e quanto dedicavano del loro tempo per diventare qualcuno, ho capito che i tempi non sarebbero stati quelli che immaginavano gli altri, ma molto più brevi. Infatti la Cina in vent’anni è molto cambiata.

Da piccola cosa avrebbe voluto fare?L’acrobata, l’archeologa e il mio gioco era curare gli altri e fare la dottoressa come credo la maggioranza dei bambini.

E da dove è nata la decisione di andare in Cina?Non so perchè mi sia venuta. La maggioranza delle persone pensava che fossi pazza, una ragazzina viziata che non aveva il senso del denaro, che poteva permettersi di buttarlo via e di andare lì a far niente. Invece quando arrivai in Cina e vidi che c’erano ragazzi che venivano da Zanzibar, piuttosto che dall’Australia, dall’Asia, dall’Africa nera e in buona sostanza dal resto del mondo, capii che non ero pazza nè strana, perché attorno a me c’era una marea di pazzi che aveva preso la mia stessa decisione. E lì ripresi fiducia nel mio intuito e capii che era un grande Paese, una grande cultura, che presto ci avrebbe insegnato molte cose. Li insegnai anche italiano per un anno. Fu per me una grande crescita personale e culturale e mi diede una grande capacità di aprirmi a ciò che era sconosciuto, perchè fino a diciott’anni avevo visto solo Alfonsine. Certo, avevo fatto magari un anno a Venezia a Cà Foscari prima di andare la prima volta a Pechino, ero diversa dalla maggior parte delle persone, ero determinata in quello che facevo, ma ero sprovveduta rispetto all’apertura al mondo.Sono arrivata in un Paese dove non c’erano i telefoni, dove per parlare con i nostri parenti dovevamo passare da un centralino e non sempre si riusciva, non c’era l’acqua calda tutti i giorni, avevo una stanzina due metri per tre, un letto di crine, una gettata di cemento, un geco nella lampada come compagno di avventura e una finestra ghiacciata esposta a nord. Per cui questo è stato il mio varo…

I suoi genitori l’hanno lasciata andare molto giovane. Non dev’essere stato facile.No, non lo è stato. Anche perché persi la mamma a sedici anni e rappresentavo per mio padre l’unico punto di riferimento ma non mi ha mai frenato. Si, è stato un grande uomo. Non so se riuscirò ad essere così con mia figlia, forse no, vedo che sono già ansiosa nei suoi confronti come se avessi completamente dimenticato il mio pregresso.

Una donna armoniosa, con una determinazione fuori dal comune. È sempre stata consapevole della sua grande forza?No, me ne sono accorta solo ad un certo punto. Ho dato sempre per scontate cose che solo oggi ho capito che scontate non sono. Non ho mai pensato di essere particolarmente forte, capace di sacrifici, perché mi sembrava che questo fosse la normalità.

Un percorso in solitaria o accompagnato da altri?Mi hanno aiutato tanto le altre persone. Negli Stati Uniti, quando ho avuto mia figlia e sono tornata all’università mi sono fermata per più di un anno, ero preoccupata, mi sentivo inadeguata perchè mi sembrava di aver perso il mio aggiornamento, il mio contatto con il mondo. Poi parlando con la segretaria dell’università lei mi disse: “Ma perché dici così? Tu non sai cosa hai acquisito diventando madre e imparando a conciliare tutte le attività, organizzarle, prendendo in considerazione non solo te stessa ma altre persone”. Ecco mi fecero vedere la questione non come una carenza ma come una positività.

Tre aggettivi per descrivere l’imprenditore.Passione, pazienza e oggi serve anche una buona dose di ottimismo. Perché se ascoltiamo troppo quello che ci raccontano o se ci facciamo coinvolgere troppo da questa realtà negativa rischiamo di non avere più la forza e il coraggio di andare avanti. Quindi ogni tanto evito di leggere i giornali, di guardare la tv, e cerco di continuare pensando che non può finire qui.

Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro?Quando entravo nell’ufficio del presidente lui mi diceva per filo e per segno cosa fare e io l’avevo già fatto.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? Non sono per niente abitudinaria, quindi non so rispondere. Una cosa che non faccio mai è chiudermi nel mio ufficio.

Quali insegnamenti le ha trasmesso suo padre?Principalmente due cose. Aveva la capacità di ritornare sui suoi passi e dopo aver sentenziato, il giorno seguente poteva ricredersi e questo mi ha sempre data molta forza e fiducia perchè ho capito che non si deve perseguire a tutti i costi un’idea se non è quella giusta e che va bene ammettere di aver preso un abbaglio e i propri errori. La seconda è una grande generosità nei confronti di tutti, non solo della sua famiglia. Delle persone, del loro benessere, dello star bene nel loro ambiente di lavoro. La capacità di percepire il benessere solo quando era benessere per tutti. Una persona che alcuni pensavano mettesse soggezione ma nella realtà chi aveva la possibilità di collaborare con lui sapeva che era un uomo normalissimo. Era nato in una famiglia di braccianti e sapeva dare valore al lavoro.

Cos’è che l’aiuta nei momenti difficili? Guardo i bambini. È l’unica cosa.

Qual è la scelta più difficile che ha dovuto prendere?Questa è un’azienda dove c’è molta identità ed appartenenza e la maggioranza delle persone ha un forte interesse a contribuire alla crescita dell’azienda. Quindi non sono mai stata sola nelle scelte, le ho sempre potute condividere con chi era già qui e, di conseguenza, non mi sono sembrate difficili.

Qual è la cosa che ha imparato da questi momenti difficili?Questa azienda si poggiava su alcuni pilastri molto solidi. I soci hanno sempre reinvestito gran parte del loro utile in azienda e quando è arrivata la crisi non siamo dovuti ricorrere alle banche tanto quanto avremmo dovuto nel momento in cui in non ci fosse stata questa liquidità. Inoltre si è sempre voluto investire in ricerca e sviluppo, differenziarsi tecnologicamente dalla concorrenza. Il presidente ha sempre messo il cliente al primo posto ed ha sempre fatto lo sforzo di mettersi nei panni di chi compra. Questa è un’azienda che ha il senso del cliente molto più elevato della media delle aziende italiane che conosco. Questi tre aspetti

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sono la nostra forza e su questi dobbiamo continuare ad investire perché ci aiuteranno a transitare finchè la situazione non sarà migliore. Purtroppo ho constatato che le persone fanno molta fatica ad adattarsi al cambiamento ed è compito degli imprenditori lavorare tutti i giorni senza paura per cambiare questa mentalità altrimenti si rischia di non essere più competitivi e non adeguati al nuovo mondo.

Qual è la misura di sostegno alla piccola e media impresa che vorrebbe fosse immediatamente attuata? Prima di tutto i prestiti bancari a tassi agevolati. Oggi le banche ti erogano denaro solo quando lo hai già e quindi si ferma tutto. Se non te lo concedono nel momento in cui ne hai bisogno, ma solo quando lo possiedi già, è evidente che qualcosa che non funziona. L’altro aspetto è legato allo Stato che deve smettere di ripetere: “Dovete investire in ricerca e sviluppo, dovete creare”, ma bensì imparare a dire: “Ti aiuto ad investire in ricerca e sviluppo, ti aiuto a creare”. Uno Stato che aiuti le piccole aziende che a volte non hanno conoscenze e spirito propenso all’internazionalizzazione, a guardare oltre, guidandole concretamente fuori dai confini nazionali. A mio modo di vedere, lo Stato non deve solo chiedere, ma deve anche dare, mettendo a disposizione le proprie strutture, le ambasciate e ogni possibile sostegno per aiutare gli imprenditori che tanto si impegnano nel cercare di raggiungere gli obiettivi di ricerca, sviluppo ed internazionalizzazione che auspica.E non ultimo, uno Stato che cominci a parlare di meritocrazia e che faccia capire a tutto e a tutti che il merito viene prima di ogni altra cosa.

Ha un giorno di libertà, come decide di trascorrerlo?Penso che andrei a farmi un giro. Non so dove. Potrei anche prendere un aereo…Mi sento a casa in tutti i posti in cui sono andata. Mi sento davvero un po’ cittadina del mondo. Sento questo richiamo. Sono una zingara che lascia un pezzettino e se lo va a rigaurdare. Ho tanti amici e persone che vado a ritrovare di tanto in tanto. Questa è la ricchezza più grande: le persone. E credo che le aziende, essendo fatte di persone, avranno nel futuro questa come ricchezza. Le aziende che riescono a far

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Spesso, quando riceviamo dei complimenti come SICA ci dicono: “Sembrate un’azienda tedesca”, questo mi fa pensare che la percezione comune di noi italiani sia molto bassa. Per me l’imprenditore che non svolge la sua attività in modo corretto, che privilegia il business facile a discapito di qualità ed aspettative del cliente, è deleterio per l’immagine dell’Italia e degli Italiani. A farne le spese è l’industria italiana in generale che, spesso, è di gran lunga più eccellente dell’industria tedesca. Non ci poniamo mai il problema dell’immagine dell’imprenditore, ma tutti noi abbiamo una responsabilità perchè nel momento in cui ci presentiamo all’estero stiamo anche rappresentando il nostro Paese.Come possiamo noi imprenditori far sentire la nostra voce a tal punto da modificare la percezione che gli stranieri hanno di noi e del nostro Paese?

?

Da imprenditore a imprenditore

Collaborazioni e sinergie tra imprese. Il romagnolo è campanilista, guarda alla sua produzione, senza condividere con altri per mettere a sistema le reciproche eccellenze. Come si può fare per vincere questa diffidenza?

Ho sempre pensato che per colmare questa mancanza di comunicazione occorrerebbe favorire occasioni di conoscenza per far sviluppare eventuali sinergie. Un compito prettamente associativo.

?

Il team della SICA

crescere le persone e a mantenerle aggiornate non solo da un punto di vista professionale ma vive dal punto di vista relazionale, saranno le aziende che avranno più possibilità nel futuro.

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L’intervista ha come protagonisti Simona Sbarzaglia ed i suoi genitori, pilastri fondanti dell’azienda, Giovanni Sbarzaglia e Silvana Zani. La signora Zani è presente a tutta l’intervista, la segue con attenzione, ma interviene di rado. Basta il suo sguardo limpido e accogliente a far capire che la sua figura negli anni oltre ad essere stata il riferimento amministrativo dell’azienda, ha rapprensentato per le due personalità vulcaniche di padre e figlia un centro capace di emanare equilibrio, supporto incondizionato e solidità.

Simona, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata?L’azienda è stata fondata da mio padre nel 1961, mia madre ha tardato poco, nel 1965 era già al suo fianco.Partì senza mezzi di alcun tipo se non la sua passione. Aveva solo diciotto anni e un po’ di esperienza fatta come apprendista in un’azienda faentina. Decise di mettersi in proprio e affittò una piccola officina in vicolo Spada. Mi ha raccontato spesso che accettava i più svariati lavori, dalle testate dei letti, ai cancelli delle abitazioni, ma il ricordo più vivo in me sono quelle famose a grandi lettere in ottone appese in corso Baccarini “SIP”. Sono arrivata a vederle anch’io e le ho sempre osservate con orgoglio: “Quelle le ha fatte mio padre!”. Ma ciò che più lo divertiva era ideare soluzioni meccaniche per i problemi dei clienti. Molti dei suoi progetti sono stati brevettati. Con il passare del tempo ha continuato a investire con impegno sempre maggiore, anche rivolgendosi a settori ambiziosi, fino a creare l’azienda di oggi, specializzata in prototipi.

Signor Sbarzaglia, che ricordo ha degli inizi della sua azienda?Ne ho tanti. Erano tempi in cui tutto poteva succedere, tutto poteva essere costruito e inventato. A nessuno si negava di credere, di sperare, di tentare. Ogni slancio veniva anzi applaudito ed incoraggiato.Un piccolo aneddoto. Mia moglie e mia figlia mi dicono che sono sempre in controtendenza, effettivamente non hanno tutti i torti, ricordo che lavoravo la domenica e tenevo chiuso il lunedì.

Che atmosfera si respirava in quegli anni?In vicolo Spada eravamo cinque artigiani. C’era un falegname, un verniciatore, uno che faceva i telai per le

Grinta d’acciaio

Sbarzaglia Giovanni Snc Via Sali, 8 - 48018 Faenza (Ra)Tel. 0546.620047 • www.meccanicasbarzaglia.com

Una giovane donna molto in gamba è oggi a capo dell’azienda di famiglia. Suo padre, Giovanni Sbarzaglia, ribadisce più volte di

essersi ritirato e di non voler più entrare nelle questioni aziendali. Ma ciò che emerge

dalla presenza e dalle parole del fondatore è una passione immensa per il lavoro di una vita, una passione troppo grande per essere

completamente sostituita da altri interessi. E seppur Simona ricopra egregiamente il suo ruolo, quando si entra nel merito della storia

dell’azienda, al signor Sbarzaglia si illuminano gli occhi e con grande coinvolgimento

trasferisce tutta l’energia che ha dedicato alla crescita dell’azienda, facendo sì che la Meccanica Sbarzaglia sia oggi un fiore

all’occhiello nella meccanica di precisione.

Meccanica Sbarzaglia esegue particolari meccanici di precisione conto terzi ed è specializzata da diversi anni nella realizzazione di prototipi, stampi e modelli, pezzi speciali e sperimentali. Oggi è partner preferenziale di aziende di fama internazionale. Certificati ISO 9001 dal 2001 e dal 2008 l’Azienda è fornitore accreditato di Crit Research, Centro di innovazione e brokeraggio tecnologico.

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biciclette, uno che faceva i motori elettrici e poi c’ero io, il fabbro. Portavamo graticole e salsicce, a mezzogiorno pranzavamo tutti assieme, a volte anche coi clienti. A quei tempi l’azienda era una seconda casa, alcune notti ci si rimaneva anche a dormire. Non era solo lavoro, era vita.

Ha iniziato davvero giovanissimo. Dalla mia parte avevo il coraggio di chi sempre in quell’età si sente capace di qualunque cosa. Ma devo molto anche alla curiosità. Mi è sempre piaciuto sperimentarmi, raccogliere nuove sfide, o lanciarle io per primo. Allora era costruire un’azienda. Oggi, ad esempio, imparare a suonare un nuovo strumento.

Un nuovo strumento?A cinquantotto anni mi sono iscritto a scuola di musica. Ho ripreso a esercitarmi con la tromba, che suonavo nei militari e mi sono cimentato nel violino e violoncello. Mi piace la linfa del nuovo, specie se diverso da ciò che si è sempre fatto. È bello aprire nuovi orizzonti. Non smettere di scoprirsi.

Da piccoli cosa sognavate di fare?(signor Sbarzaglia) Non ricordo di aver mai sognato. Forse perchè non c’era tempo. Si era troppo impegnati ad agire. Era questo che ci insegnavano. Lavorare. Muovere le mani, concretizzare. Questo mi hanno insegnato, questo ho fatto.

(Simona) Non ho mai pensato seriamente a un altro tipo di mestiere. L’azienda è cresciuta con me e io con lei, come una

sorella. Fin da piccola l’ho vista funzionare, l’ho respirata a casa in ogni discorso. In un certo senso, mi è stata trasmessa insieme all’educazione. Non che non abbia valutato possibili alternative, ma la passione, l’entusiasmo, l’attaccamento che i miei genitori mostravano ai progressi dell’attività mi hanno sempre contagiata al punto di convincermi che il mio posto era qui.

Simona, a che anno risale il suo ingresso in azienda?Era il 1998. Ho abbracciato il sogno di mio padre, senza nemmeno rendermene conto, mi sono trovata a voler bene a questa azienda come se l’avessi creata io. Non so come spiegarlo, ma anche nei momenti difficili, di mercato e soprattutto nel passaggio generazionale, non mi sono mai concessa di vedere un’altra strada o meglio, dopo aver valutato le alternative mi dicevo: “Ma che vai cercando? Il tuo cuore è qui!”.

Signor Sbarzaglia, nei fatti come si è svolto il vostro passaggio generazionale?Io e Simona abbiamo sempre avuto un rapporto molto stretto, caloroso, di confidenza. A quel tempo lei andava all’università, studiava Scienze Politiche. Un giorno le chiesi: “Vuoi lavorare in azienda con me?” Ha accettato, mettendo però in chiaro che non l’avrebbe fatto da “figlia del padrone”’. Voleva, come si dice, fare gavetta, iniziando dalle mansioni più semplici. Pian piano l’ho vista crescere, frequentare corsi, partecipare a convention e incontri, trattare in prima persona con i committenti, sedere a un CDA. A ventun’anni era in Giappone per visitare gli stabilimenti della Mori Seiki. Mi affiancava in ogni situazione e gradualmente imparava. Dieci anni fa ho ritenuto fosse giunto il momento. Mi sono fatto da parte e le ho passato le redini con fiducia.

Da sinistra, Silvana Zani con la figlia, Simona Sbarzaglia

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E fino a questo momento Simona si è dimostrata essere all’altezza delle sue aspettative?Credo che in questi ultimi anni, in cui la crisi ha colpito duramente, senza Simona l’azienda non sarebbe sopravvissuta. È stata forte nel perseguire quel sogno, non ha mai ceduto nonostante le pressioni, si è dimostrata tenace e combattiva.

In quel momento di passaggio dal lavoro di una vita a una prospettiva nuova di tempo libero completamente da riempire, lei come ha reagito?Ho provato il sollievo di potermi finalmente dedicare ad altro, il gusto di provare a cimentarmi in qualcosa di nuovo. Certo c’è anche un altro aspetto, l’essermi un po’ allontanato dalle persone che costituivano la mia cerchia di relazioni nel quotidiano. Ma ho trovato una bellissima compagnia nella musica e nella lettura.

Che letture le piacciono?Letteratura, filosofia e poesia. In altre parole, emozioni.Anni fa questo genere di letture non mi era consentito. I testi che leggevo trattavano di meccanica, macchine utensili, casi aziendali. Negli anni Novanta ho cercato sinergie con altre aziende per creare un sistema all’interno del quale poter crescere, secondo il detto che l’unione fa la forza, ma non è stato possibile realizzarlo: non c’era ancora una cultura dell’associazionismo e, forse, non c’è nemmeno oggi.

(Simona) È ancora molto difficile fare rete, soprattutto in Italia

dove continua a prevalere la cultura “dell’orticello”. L’incontro fra imprese è vissuto più con timore che con curiosità e arricchimento. Ricordo che circa quindici anni fa mio padre ed io partecipammo a molti incontri serali sul tema; lui credeva nella rete d’impresa ancora prima che si cominciasse a parlarne, ma non trovando i presupposti, abbiamo dovuto rinunciare.

Simona, suo padre è una persona dal carattere forte e dal temperamento vivace, il tutto condito con una massiccia dose di ironia. Nel periodo in cui lei l’ha affiancato per assimilare quanto serviva per poter condurre quest’azienda, quali sono stati gli insegnamenti più importanti che le ha trasmesso?Mio padre è stato un genitore moderno sotto molti aspetti, ma paradossalmente mi ha insegnato valori vecchio stampo. Il rispetto, la gentilezza, la professionalità e la serietà sul lavoro, senza però sacrificare il gusto, il divertimento, la passione; in altre parole, la qualità della vita. Inoltre un aspetto fondamentale per un imprenditore: l’inventiva. Quando qualcuno dice che quella tal cosa non si può fare, ecco che si arrovella finchè non giunge alla soluzione.

Simona, ci descriva, dal punto di vista lavorativo, sè stessa e i suoi genitori.Mio padre è un creativo, un passionale, un perfezionista. Mia madre è la serenità, l’acqua sul fuoco. Io? Forse un mix di entrambi, con tutto il pacchetto però, difetti compresi.

(ndr Interviene il signor Sbarzaglia) Mi definirei un pragmatico.

Uno che fa, che non aspetta. Mai tentennare, mai aver paura di fare quel passo avanti.

Qual è la soddisfazione più grande che avete tratto dal vostro lavoro?(signor Sbarzaglia) La soddisfazione più grande l’ho avuta quando due manager della Ferrari sono venuti a visitare l’azienda. Pensando da dove sono partito cinquantun’anni fa, dal piccolo vicolo Spada a oggi… Beh sì, è una bella soddisfazione!

(Simona) È difficile isolare un momento particolarmente emozionante. Le sfide sono continue e danno emozioni ogni giorno. Non ci si ferma mai, ci si emoziona quando si lotta nei periodi bui e, soprattutto, quando si osservano i frutti dei propri sforzi; dentro si è contenti e si sente di aver fatto la scelta giusta.

(signor Sbarzaglia) Tempo fa venne a trovarci una delegazione imprenditoriale che, sulla porta, si fermò e disse: “Possiamo anche non vedere l’azienda: se dentro è come fuori, siamo già a posto”. Siamo circondati dal verde, un giardino rigoglioso, alberi e fiori, curati da mia moglie. L’inverno le piante vengono trasferite in ufficio e in mezzo alla produzione. Anche da questi dettagli si percepisce l’amore per il proprio lavoro, come sentirsi nel salotto di casa propria.

Signor Sbarzaglia, qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili?“C’è da soffrire, ma la costa in lontananza si vede”. E un’altra,

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sempre in tema: “Siamo in mare. Se nuotiamo e restiamo a galla, prima o poi passa una barca. Se ci lasciamo andare, affoghiamo”.

Simona, qual è la cosa che ha imparato da questi momenti difficili?Da questa crisi ho avuto conferma che il capitale umano è ciò che più conta, la base, lo zoccolo duro, tutto l’insieme è un patrimonio. Bisogna trovare le forze all’interno e unirle, fare gruppo. E oggi, dopo vari momenti difficili, sono contenta e orgogliosa di questa squadra.Ho la bellissima sensazione che i ragazzi sentano l’azienda come la loro, un po’ come è successo a me e lo dimostrano in ogni occasione. La fiducia reciproca, questo è il vero asso nella manica.

Se doveste utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale scegliereste?(signor Sbarzaglia) Il verde, soprattutto per il modo in cui facciamo impresa. Cinque anni fa abbiamo eliminato l’eternit dal tetto dello stabilimento e installato un impianto fotovoltaico pari a 220 KW, oltre a quattro cisterne (capacità 80 m3) per la raccolta dell’acqua piovana.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Il modo di fare impresa, rispetto agli anni scorsi, soprattutto anche a causa dell crisi, si è modificato, è diventato tutto più veloce ed è in realtà cambiata anche l’etica lavorativa.Ne vale ancora la pena?

?

Da imprenditore a imprenditore

Come possiamo noi imprenditori far sentire la nostra voce a tal punto da modificare la percezione che gli stranieri hanno di noi italiani e dell’Italia?

Dobbiamo ripartire da quei valori che non ci sono più come la serietà e la professionalità.

?

Giovanni Sbarzaglia, diciottenne, agli inizi della sua carriera lavorativa

(Simona) Il rispetto dell’ambiente è un valore in cui crediamo e cerchiamo di sostenere .Ma il mio colore sarebbe il rosso, perchè rosso è il colore del fuoco, della grinta, della forza di alzarsi in piedi e reagire.

Avete un giorno di libertà: come decidete di trascorrerlo?(Simona) Non ci sono dubbi: con un libro in mano.

(signor Sbarzaglia) Non posso rispondere: tutti i miei giorni sono liberi.

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Protagonisti dell’intervista sono il signor Italo Bellini e sua moglie Liliana.

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata?L’ho fondata io nel 1964.

Qual è stato il suo percorso formativo e professionale prima di arrivare alla creazione della sua azienda? Durante la frequentazione della Scuola Professionale di Elettrotecnica andai a lavorare in un’azienda faentina specializzata in macchine automatiche. Poi, nel 1958, finita la scuola entrai definitivamente in ditta dove rimasi per quattro anni come capo elettricista. Successivamente, nel 1962 andai a lavorare in un’azienda di Bologna specializzata in impiantistica industriale elettrica ed, infine, nel 1964 tornai a Faenza e decisi di costituire un’attività artigiana per impianti elettrici.

L’embrione dell’attuale Acero.Sì, l’embrione di questa azienda in cui riversai e misi a frutto l’esperienza che avevo maturato come tecnico di macchine automatiche e di impianti elettrici. All’epoca c’erano molte piccole aziende meccaniche che nascevano e partivano per fare le cose più disparate e una specializzazione nell’automazione industriale era molto richiesta. Nel 1964 decisi quindi di iniziare l’attività.

C’erano anche altri soci o era solo?C’ero solo io. Presi con me due ragazzi capaci appena diplomati ed iniziammo l’attività.

Qual è stata la scintilla che l’ha spinta a mettersi in proprio?Quando lavoravo per l’azienda bolognese mi accorsi che l’attività futura mi avrebbe costretto a continue trasferte in giro per l’Italia e per il mondo. Quindi pensai che era meglio mettere radici a Faenza. Puntai molto sulla mia esperienza, perchè in quel periodo c’era un fiorire di aziende che facevano macchine per il confezionamento e per la lavorazione della frutta. Io, che ero specializzato in quel settore, pensai che per me ci fosse possibilità concreta di lavoro. E questo fu l’inizio.

L’azienda di cosa si occupava inizialmente?All’inizio era un’azienda artigianale che si occupava di impiantistica

L’automazione ha radici solide

Acero Srl Via Calzi, 30 - 48018 Faenza (Ra)Tel. 0546 620731 • www.acerosrl.com

Il grande acero che domina l’ingresso dell’azienda racconta molto di questa storia,

ha radici solide, come la famiglia protagonista di questa avventura imprenditoriale.

Italo e Liliana Bellini da quasi cinquant’anni gestiscono l’attività che, da realtà artigiana,

è cresciuta fino a diventare un’azienda leader in equipaggiamenti industriali elettrici

e pneumatici. Dagli anni Ottanta anche i figli Ettore e Silvia sono entrati in azienda

che ultimamente ha inserito come soci alcuni importanti e storici collaboratori.

Nuova energia e innovazione consentono di guardare al futuro con fiducia..

Acero è un’azienda specializzata nel settore del commercio di componenti e apparecchiature elettriche ed elettroniche, strumentazione, equipaggiamenti elettrici e pneumatici per uso industriale. L’azienda opera da diversi decenni nel campo della sub fornitura industriale di materiale per l’automazione, sensoristica e strumentazione.

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elettrica su macchine automatiche e quadri elettrici. C’erano diverse aziende a Faenza che avevano necessità di queste specializzazioni e molte si dovevano rivolgere fuori città.Così portai la mia esperienza ed iniziai a trovare i primi clienti. Nel 1967 mi sono sposato. Fortunatamente per me i rapporti personali con mia moglie sono andati sempre bene, si è appassionata al lavoro e si è subito inserita ed è sempre stata la mia compagna anche nel lavoro, in maniera molto propositiva.

C’è un’immagine particolare che conserva di quel 1964?Mi ricordo l’inizio. Comprai il trapano a colonna, presi in affitto l’ambiente in cui iniziai a lavorare e ci misi dentro un banco da lavoro che avevo progettato e costruito personalmente. Un tavolo al quale sono particolarmente legato e che è tutt’ora qui. Iniziai così, con il mio banco e la borsa degli attrezzi.

E lei signora Liliana che ricordo ha?Ricordo l’entusiasmo e l’orgoglio di intraprendere questa iniziativa con mio marito. Questa positività fece sì che le cose riuscissero

ad avviarsi. Ho imparato la contabilità sul campo, la mia prima esperienza è stata la calcolatrice!

Di lì a poco prendeste in considerazione anche l’aspetto commerciale.Esattamente. Dal 1967 al 1980 vivemmo anni intensi, durante i quali lavorammo sempre in modo continuativo e non tardò molto perchè mi accorgessi che c’era spazio anche per avviare un’attività commerciale. Le aziende richiedevano forniture di prodotti di automazione e noi avemmo la fortuna che due grossi gruppi imprenditoriali, Siemens e OMRON, fossero alla ricerca di persone per curare i loro interessi in Romagna. La Siemens mandò un ingegnere alla scuola professionale che avevo frequentato per ricercare qualche ragazzo che si fosse messo in proprio. E fu così che nel 1965 vidi arrivare a casa mia proprio quell’ingegnere che mi propose di rappresentare la Siemens, un gruppo elettrotecnico di carattere mondiale. Cominciai a lavorare

per loro e, poco dopo, anche per il gruppo giapponese OMRON. Iniziammo così ad abbinare all’attività artigianale un’attività commerciale di distribuzione di prodotti tecnici. Le aziende romagnole si rifornivamo fuori Faenza (Bologna, Milano), solo noi ed un’altra azienda ravennate eravamo in grado di fornire questi prodotti.

Cosa sancì il definitivo lancio dell’azienda?Nel 1980 ci fu un salto di qualità con l’acquisto di un lotto di 2200mq nella zona industriale e la successiva prima costruzione della sede dove siamo attualmente.

(Liliana) Quanto spinsi per fare questo salto. Eravamo giovani ed anche forse un po’ incoscienti. Sicuramente non ci frenava la paura di oggi.

(Italo) Di questo, ringrazio mia moglie perchè se fossimo rimasti

Da sinistra, la signora Liliana, Italo Bellini con i loro due figli, Ettore e Silvia

Il signor Bellini al banco di lavoro agli inizi dell’attività

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nei piccoli locali degli inizi, oggi saremmo spariti perchè il mercato richiede strutture più grandi.

Fu semplice allora richiedere il mutuo e accumulare la liquidità necessaria all’investimento di espansione?Erano altri momenti. Tanto per iniziare tenga presente che la banca non ci chiese niente, il mutuo fu garantito dall’ipoteca, come azienda abbiamo sempre avuto affidamenti bancari in base alla credibilità e serietà del nostro lavoro.Per quel che riguarda la liquidità, quando avemmo bisogno di costruire chiedemmo ai fornitori, che solitamente venivano pagati tutti a trenta giorni, di dilazionare i tempi fino a centoventi o centocinquanta giorni. Accettarono tutti. Potemmo quindi contare su una forte liquidità che, abbinata al mutuo, ci diede la possibilità di fare una prima costruzione.Per quello che riguarda le aree aziendali, l’altro passaggio significativo ci fu nel 2009 con l’ulteriore ampliamento con nuovi uffici. Con questa azione arrivammo a ricoprire una superficie di 3200mq.

I fornitori vi accordarono condizioni di pagamento vantaggiose perchè avevate relazioni ottimali con loro?Ci siamo sempre comportati bene nei loro confronti, c’era fiducia che ci venne ricambiata. A volte sento dire che non si fanno le cose perchè non si hanno i capitali. Il capitale ci avrebbe sicuramente fatto comodo però non deve essere la scusante principe per non fare nulla. Nel nostro caso il capitale fu secondario rispetto alle persone che ci diedero fiducia e ci permisero di metterlo insieme.

Come si arriva all’attuale assetto?Nel 1980 trasformammo l’attività individuale in Bellini Srl e, nel 1986, per una migliore razionalizzazione, costituimmo un’ulteriore azienda, la Acero Srl, che iniziò ad occuparsi esclusivamente della parte commerciale. Oggi le due realtà contano complessivamente quindici addetti.

Quando sono entrati in azienda i vostri figli?Poco dopo il 1980 sono entrati sia Silvia che Ettore.

Qual è la scelta più difficile che ha dovuto prendere?Non c’è mai stata una scelta difficile, perchè siamo sempre stati una famiglia molto compatta e il sostegno di tutti i componenti ha fatto in modo che nessuna scelta sia stata particolarmente complessa.

Qual è la grande attitudine che separa la prima dalla seconda generazione?L’avvento dell’informatica è stato il confine tra noi e i nostri figli, è stato una grandissima rivoluzione che ha reso il lavoro molto più snello e veloce e la seconda generazione entrata in azienda è ovviamente più predisposta e più capace nell’utilizzo del computer. I nostri figli sono più aperti alle cose nuove, più aperti al mondo. Noi siamo, ahimè, molto più chiusi. Questa generazione è molto più veloce e riesce, attraverso l’ausilio informatico, ad ottenere risultati che noi otterremmo solo dopo una lunga ricerca, dispendiosa anche a livello di tempo.

Quali valori e competenze pensate di aver trasferito ai vostri figli?Noi abbiamo cercato di insegnare ai nostri figli il rispetto degli altri

e delle regole che dovrebbero governare il mondo del lavoro e la consapevolezza che i risultati bisogna sudarseli e non aspettare che cadano dal cielo. Non da ultimo, abbiamo cercato di far comprendere che il lavoro è anche un importante aspetto della nostra società, perchè attraverso di esso il nostro territorio cresce, sia a livello economico che sociale.

Il valore di un’azienda per voi sta nelle intuizioni di chi la dirige ogni giorno o nell’apporto complessivo della squadra?Il nostro capitale sono i nostri collaboratori. Loro sono la nostra vera forza.

Quale è il rapporto con loro?È necessario che vedano l’esempio. Quando c’è bisogno, occorre subito rimboccarsi le maniche in prima persona.

Quali sono le caratteristiche che secondo il suo modo di vedere non devono assolutamente mancare ad un imprenditore?Posso parlare per me. Occorre essere dotati di una buona dose di intuito ed utilizzarlo per anticipare e comprendere quali saranno le richieste ed i bisogni del mercato. È poi necessario capire le necessità del momento e avere l’umiltà per riconoscere se si sarà in grado di soddisfarle. Non guasta, come diceva Arrigo Sacchi, un po’ di “fattore c...” e la salute.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?Appena arrivato leggo il giornale, alla sera faccio un giro in azienda per vedere se è tutto a posto e controllo il lavoro della giornata.

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Che tipo di musica ascoltate?A me piace la musica country, mentre a mia moglie piace la musica strumentale, un bel walzer o la musica latino-americana, però non la ascoltiamo mai quando lavoriamo.

Cosa la fa ridere?Non rido moltissimo, sono comunque una persona ironica che apprezza lo scambio di idee con gli altri.

Qual è il sacrificio personale più grande che ha fatto per il lavoro?Il tempo libero.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? Più che una frase, posso dire semplicemente che i momenti difficili sono passati, senza l’appoggio o l’aiuto di nessuno. Fondamentale per me è stato avere al mio fianco la mia famiglia e l’amicizia di alcuni clienti e collaboratori.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Come può un imprenditore frenare questo dominio imperante della finanza che esercita uno strapotere rispetto a coloro che sono i pilastri dell’economia? Per lei vale ancora la pena lottare, crederci?

?

Da imprenditore a imprenditore

Il modo di fare impresa, rispetto agli anni scorsi, soprattutto anche a causa dell crisi, si è modificato, è diventato tutto più veloce ed è in realtà cambiata anche l’etica lavorativa.Ne vale ancora la pena?

Sì, bisogna crederci per forza, perchè quando si arriva alla fine della vita e ci si guarda indietro bisogna avere qualche punto fermo, qualche cosa che si è portato avanti.

?

La famiglia Bellini insieme ad alcuni collaboratori

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe?A me piace il verde che mi riporta alla tranquilllità dei boschi e della natura.

Ha un giorno di libertà, come decide di trascorrerlo?Durante il mio percorso lavorativo ho fatto sempre in modo di avere giorni così. Per me il giorno di libertà è andare a passeggiare nei boschi, fare delle passeggiate nel Casentino.

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Signor Bacchilega, in che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? L’azienda nasce nel 1975 per volontà di due soci, mio padre Giovanni, venuto a mancare due anni fa, ed il signor Giovanni Gentilini. Oggi la compagine sociale è costituita da cinque soci: a rappresentare la famiglia Bacchilega ci siamo io e mio fratello Giammarco, per la famiglia Gentilini ci sono Giovanni e suo figlio Christian, e poi, in ultimo, compare anche un quinto socio di minoranza, nostro dipendente coinvolto nella società.

Quando è entrato in azienda?Nel giugno del 1982, ma potrei dire anche prima, perchè le vacanze estive le passavo già qui dentro.

Da cosa è partita la voglia di suo padre di mettersi in proprio?Penso che molte aziende siano nate dalla buona volontà e dalla capacità, dal “saper fare”, dei loro fondatori. Persone che con molta umiltà si sono messe assieme ed hanno lavorato in modo instancabile, senza timore della fatica e dei sacrifici ai quali andavano incontro. Un ottimo presupposto per creare qualcosa di solido e duraturo. Infatti queste persone sono riuscite non solo a creare qualcosa, ma anche a consolidare nel tempo le loro realtà imprenditoriali.

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta l’inizio della sua attività lavorativa?Da un lato il rimpianto di non avere passato le estati con i miei amici a spasso per la città. Occasioni, momenti che non torneranno più, come ho ricordato prima, a sedici anni passavo le mie calde giornate estive qui in azienda, mentre i miei amici andavano in piscina. Però, se mi guardo bene dentro, capisco che sulla tentazione dello svago prevalevano in me l’istinto, la voglia, la passione di venire qui e di affiancare mio padre nel suo lavoro.

Da piccolo cosa avrebbe voluto fare?Sono sempre cresciuto con l’idea di fare il lavoro di mio padre. Non avevo altre aspettative a quindici anni.

Quali caratteristiche sono fondamentali per ricoprire al meglio il

Maestriin rettifiche

R.T.F. Srl Via degli Olmi, 19/a - 48018 Faenza (Ra)Tel. 0546 26596 • www.rtf.it

L’officina meccanica nasce dalla passione di Giovanni Gentilini e Giovanni Bacchilega,

padre di Gianluca, attuale presidente dell’azienda che nel tempo si è specializzata

nella rettifica di motori e componenti evolvendosi fino a diventare un punto di riferimento nel settore della meccanica.

Dagli anni Ottanta ad oggi l’azienda è cresciuta esponenzialmente, anche grazie

alla seconda generazione, che, attraverso le parole di Gianluca Bacchilega svela la vera

forza di questa realtà.

R.T.F. è un’officina specializzata nella rettifica di motori endotermici e vanta un’esperienza anche nel ripristino di pompe d’iniezione, turbine e alberi di trasmissione.

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ruolo di imprenditore?Cerco sempre di unire l’umiltà alla capacità di analisi. Oggi più che mai il mercato e le sue evoluzioni vanno monitorati quotidianamente. Dopo il decesso di mio padre ho assunto la presidenza di questa società e la responsabilità che sento è grande.

Lei ha affiancato suo padre per diversi anni. Quale contributo pensa di avergli dato e cosa, viceversa, le è stato trasmesso?Fra di noi ci sono state vedute diverse su alcuni aspetti aziendali, come è normale che sia, erano diverse specie sugli aspetti quotidiani del lavoro. La cosa fondamentale è che però ci fosse totale accordo sugli ideali di base e sulla mission dell’azienda. Quando ci confrontavamo, lo abbiamo comunque sempre fatto in modo rispettoso e costruttivo. Credo sia stato proprio questo uno degli elementi che hanno fatto crescere l’azienda. Se avessimo

Gianluca Bacchilega

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avuto le stesse idee, forse saremmo rimasti più circoscritti.

Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro?Quando morì mio padre, che era presidente di questa società, in poco tempo l’assemblea dei soci non ebbe dubbi ad indicare la mia persona come successore.

Qual è la sua figura di riferimento? La figura del passato o del presente che con la sua condotta, umana o professionale, ha ispirato il suo lavoro? Senza ombra di dubbio mio padre. Faccio riferimento ai suoi insegnamenti in modo costante.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? Agisco per ritrovare attraverso situazioni, persone, stimoli ed azioni la giusta carica. Mi confronto sempre con l’esterno. Per me è importante partecipare a fiere e manifestazioni, incontrare e parlare con i colleghi. La mente rimane elastica. Dico sempre che nel rimanere a casa propria non si impara nulla. Faccio sport, beach volley e ogni tanto vado a correre. Il

movimento mi dà la sensazione di liberarmi dalle energie negative, sia mentali che fisiche.

Qual è la scelta più difficile che ha dovuto affrontare?Forse non ho ancora avuto un momento difficile tale da impormi una scelta particolarmente sofferta.

Ci sono degli insegnamenti che ha tratto da questa crisi?Negli ultimi anni ci sono stati degli adeguamenti, ma non abbiamo fatto rivoluzioni. Quello che ho imparato è semplicemente che in questo momento non ti puoi aspettare nulla. Tutto quello che possiamo fare lo facciamo già.

Qual è la misura di sostegno alla piccola e media impresa che vorrebbe fosse immediatamente attuata per dare un po’ di sollievo a voi aziende? Un minimo di incentivo per qualsiasi azione che un’azienda piccola, media o grande voglia intraprendere. Mi riferisco ad incentivi a livello economico, incentivi per la ristrutturazione aziendale, per le assunzioni o per l’adeguamento tecnologico.

Gianluca Bacchilega

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Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

Nel momento in cui si presentano situazioni di insolvenza, quanto è bravo a risolvere questo problema?

?

Da imprenditore a imprenditore

Come può un imprenditore frenare questo dominio imperante della finanza che esercita uno strapotere rispetto a coloro che sono i pilastri dell’economia? Per lei vale ancora la pena lottare, crederci?

Io personalmente so fare questo mestiere, fino a che c’è la volontà e la speranza ci voglio credere e lottare fino in fondo.

?Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?Cerco di portare a termine le mie funzioni, mi confronto con i soci, con la parte amministrativa, tengo i rapporti con i clienti ed è già sera. Alle 19.30 si rientra a casa.

Cosa la irrita di più?L’arroganza e la maleducazione delle persone.

Nelle difficoltà conta più il capitano o la squadra?Di sicuro l’allenatore ha una importanza determinante in una squadra, ma se tu hai delle pedine mediocri non vinci. La squadra deve essere omogenea e per me è formata da tutte le persone che lavorano per quell’obiettivo, capitano compreso.

Si sente più combattente o mediatore?Sicuramente un mediatore, caratterialmente sono un moderato.

Ha un giorno di libertà, anche dalle preoccupazioni, come decide di trascorrerlo?Lo passo con la mia famiglia, con le mie figlie. Se potessi andrei sulle Dolomiti a fare una passeggiata sulle montagne.

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All’intervista prendono parte l’ingegner Renzo Righini e suo fratello, l’ingegner Ernesto Righini.

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata?Siamo negli anni Trenta. L’azienda nasce in via Primo Uccellini nel centro storico di Ravenna come piccola officina.A fondarla è lo zio Vincenzo al quale, nel giro di qualche anno, si unisce anche Davide, nostro padre. Inizialmente, l’attività si focalizza sulla riparazione di macchine agricole.

Qual è stata la molla che ha fatto scattare la voglia, prima a vostro zio e poi a vostro padre, di mettersi in proprio?(Renzo) Vincenzo era un gran appassionato di meccanica e come ogni buon romagnolo aveva la passione per la velocità, per le motociclette e le automobili. A Ravenna lo zio era famoso perchè aveva avuto qualche motocicletta storica del periodo, come la mitica Velocette (ndr Moto inglese molto in voga in quel periodo).Nostro padre aveva invece un’estrazione più artistica, aveva fatto l’Accademia delle Belle Arti ed era un vero appassionato di ceramica. Possedeva una piccola azienda ceramica la “Pizzigatti e Righini”, più comunemente conosciuta come la PR di Mezzano che venne pesantemente bombardata durante la guerra. Terminato il conflitto nostro padre entrò in società con suo fratello, accantonando il suo lato artistico per dedicarsi anche lui a tempo pieno alla meccanica.

(Ernesto) Di quei tempi, ricordo molto bene le gare in bicicletta che io, Renzo e Claudio (ndr il fratello recentemente scomparso) facevamo per raggiungere l’azienda. Pedalate velocissime che dalla casa di Mezzano ci vedevano arrivare in volata fino alla nuova sede di via Faentina, dove nel frattempo, si era trasferita l’attività. Iniziammo a lavorare in azienda già nel 1973 per dare un forte sostegno a nostro padre che in quegli anni ebbe seri problemi di salute. Il nostro ingresso ufficiale è più recente e risale all’inizio degli anni Ottanta.

Avere un padre e uno zio che hanno creato un’azienda importante avrà sicuramente comportato un forte senso di responsabilità. Con il tempo, siete riusciti a far vostro il loro sogno?

L’evoluzione della Meccanica

F.lli Righini Srl Via M. Travaglini, 21 - 48122 RavennaTel. 0544 420129 • www.righiniravenna.it

La prima riga di questa storia si scrive negli anni Trenta in una piccola officina del centro storico di Ravenna grazie all’intraprendenza

di due fratelli, Davide e Vincenzo Righini. Dalla costruzione di macchine agricole

alla progettazione di impianti per il settore dell’off-shore petrolifero il passo è lungo,

ma la passione che ha mosso l’azienda, oggi guidata dalla seconda generazione,

i cui solidi rappresentanti sono Ernesto, Renzo e Monica Righini, è rimasta la stessa.

Le parole d’ordine di oggi, come di allora? Serietà e professionalità.

F.lli Righini progetta e costruisce macchinari per il settore offshore, con ampio portafoglio di prodotti e soluzioni quali: sistemi per movimentazione e posa sealines, clampe ad attrito per posa, sistemi di posa per tubi, argani, chain-jacks, gru per tie-in di condotte, macchine di trinceramento, bear cages e clampe per sollevamento pali, centrali idrauliche di potenza.

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(Renzo) Se c’è una cosa di cui devo essere grato a mio padre è che non mi ha mai detto di fare l’ingegnere, non mi ha mai forzato o spinto ad entrare in azienda. Ho sentito dentro di me la voglia di fare parte di questa realtà fin dalla prima volta che entrai in officina con lui, un’inclinazione che si rinforzò sempre più durante le vacanze estive, quando avevo modo di trascorrere intere settimane in azienda.

(Ermesto) Io, l’aria della meccanica l’avevo già respirata a scuola perchè frequentando l’ITIS ero spesso in officina. A differenza di quanto fece con mio fratello, mio babbo una piccola spinta ad entrare in azienda me la diede. Non lo disse esplicitamente, ma me lo fece capire.

C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta l’inizio del suo percorso all’interno dell’azienda? (Renzo) La memoria come primo input mi rimanda i lavori di riparazione sulle navi ai quali assistevamo mentre ancora stavamo studiando, ma in realtà un vero e proprio ricordo specifico non c’è. Conservo piuttosto la sensazione che in casa nostra l’azienda e il lavoro fossero sempre presenti. Ci bastava ascoltare i discorsi di nostro padre e di nostro fratello Claudio, che era più grande di me di sette anni, per vedere nella nostra mente l’officina ed immaginare le lavorazioni che vi si stavano conducendo all’interno.Ci sono stati nel tempo momenti simbolici molto rappresentativi: l’entrata ufficiale in azienda, il mio primo acquisto di un macchinario utensile, la costruzione di un nuovo capannone, il primo lavoro importante in cui fummo direttamente coinvolti. Sono tutti ricordi

importanti, ma a livello emotivo la sensazione che l’azienda fosse una parte della nostra famiglia è l’immagine che conserviamo nella nostra mente, più nitida e forte di tutte le altre.

Cosa avete imparato da vostro padre e cosa voi, con le vostre competenze ed attitudini, sentite di aver dato a lui? (Renzo): Mio padre è sempre stato un esempio di impegno sul lavoro. Per lui, il bene dell’azienda era la cosa principale.

(Ernesto) Lo ha sempre sostenuto una grande volontà e con la sua voglia di fare è stato un esempio per noi, anche nei momenti di difficoltà.

(Renzo) La volontà e l’impegno sono i due valori positivi che ci ha trasmesso sin da piccoli. Mio padre o era in azienda o era a casa, non aveva altri svaghi. L’azienda veniva prima di avere una bella macchina o una bella casa, doveva avere una sua autonomia e

soprattutto una sua credibilità.Noi abbiamo mitigato il suo lato artistico che ogni tanto veniva fuori, era un entusiasta. Per descrivere mio padre utilizzerei questa espressione, lui era una persona da ”cuore oltre l’ostacolo”, si sarebbe lanciato in mille nuove imprese.Noi figli siamo sempre stati più meditativi e riflessivi, abbiamo cercato di trasmettergli la prudenza e la maggiore attenzione ai “numeri”, intesi come costi.

Tre aggettivi per descrivervi come imprenditori.(Renzo) La concretezza, la caparbietà e la costanza nell’impegno al lavoro sono le caratteristiche che secondo me maggiormente descrivono il mio modo di fare impresa. In quest’azienda, l’importanza della parola data nei confronti dei nostri fornitori e dei nostri clienti è un valore importantissimo e piuttosto che venirne meno, preferiamo sacrificarci fino al punto di rimetterci. Questo è un tassello importante della nostra credibilità aziendale, ed è un

Da sinistra, l’ingegner Ernesto Righini, la nipote Monica Righini e l’ingegner Renzo Righini

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valore che i nostri clienti, nel corso degli anni ci hanno sempre riconosciuto.

(Ernesto) Ci contraddistinguono anche la prudenza e l’importanza che conferiamo all’azienda affinchè tutto funzioni come deve.

Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa?(Renzo) Accendo il computer e guardo le e-mail. Ultimamente, con l’iPad le guardo da casa appena sveglio. Di solito la sera, prima di andare a casa, ripeto la stessa operazione. Controllo sempre le e-mail per vedere se è arrivato qualcosa di importante.

(Ernesto) Io, invece, faccio un giro in officina, perchè rispetto a Renzo ho un rapporto, per così dire, più diretto con la lavorazione meccanica. Verifico i lavori da fare durante la giornata.

Vi piace la musica? Cosa ascoltate?(Renzo e Ernesto) Sicuramente la musica classica.

Cosa vi fa ridere?(Renzo) L’ultima volta che ho riso di più è stata ad una cena con amici, con i rispettivi figli, a ricordare episodi del passato. Una serata di risate continue.

(Ernesto) Qualche comico. Ad esempio ieri sera guardavo un film con Antonio Albanese, e devo dire che lui, mi fa ridere.

Qual è il sacrificio personale più grande che avete fatto per il

lavoro? Lo rifareste? E le soddisfazioni?(Renzo) I sacrifici grandi sono stati quando si facevano le riparazioni navali, perchè voleva dire fare quasi ventiquattro ore lavorative continue, ma non abbiamo nessun rimpianto al riguardo, anzi, sono sicuro che lo rifaremmo. Quelli, comunque, erano tempi in cui non c’erano ferie, non c’erano feste. Mi ricordo notti di Natale passate al lavoro. L’impegno era totale, ma il piacere di vedere una cosa realizzata qui in azienda superava ogni cosa.Come soddisfazione potrei indicare il vedere un impianto costruito in azienda, collaudato e spedito e sapere che il cliente ne è soddisfatto. Questo ci riempie d’orgoglio e sono sicuro che avrebbe fatto piacere anche a nostro padre.

(Ernesto) Anche per me riuscire a vedere qualcosa realizzato qui in azienda è fonte di grandissima soddisfazione, soprattutto quando riusciamo a risolvere difficoltà tecniche che possono sorgere in qualche lavoro.

Renzo, su che cosa fa affidamento per trovare ogni giorno il giusto stimolo per svolgere con entusiasmo il suo lavoro?La passione per la trattativa, per lo studio di un determinato macchinario e per la sua realizzazione sono le cose che mi danno la spinta per andare avanti.

Questa crisi ha fatto sì che molti imprenditori abbiano dovuto cambiare il loro modo di fare impresa o fare delle sostanziali modifiche al loro lavoro. Cosa è cambiato nella vostra attività?Per arrivare ad essere la realtà imprenditoriale che è oggi, nel corso degli anni, la nostra azienda ha subito diversi cambiamenti. Il nostro lavoro è passato da almeno cinque step fondamentali

che hanno in qualche modo rivoluzionato di volta in volta la nostra impresa. Abbiamo iniziato come riparatori di macchinari e rigeneratori di motori, eravamo quindi dei manutentori. Successivamente, all’inizio degli anni Sessanta, siamo diventati costruttori di particolari per la Maraldi, per i tumifici. Passato ancora un po’ di tempo, ci dedicammo alle riparazioni navali che furono successivamente soppiantate da attività più legate alle riparazioni meccaniche in officina per le quali aquistammo anche nuovi macchinari. Più di recente, ci siamo dedicati alla progettazione ed alla realizzazione di macchine che hanno definito in modo preciso il nostro attuale core business.Il cambiamento, perciò è stato una costante nella nostra storia lavorativa, una versatilità che ci ha permesso di adattarci alle esigenze del mercato. Fortunatamente, noi non siamo stati colpiti in modo forte da questa crisi, probabilmente perchè il nostro mercato è prettamente internazionale.In questi ultimi anni, abbiamo investito moltissimo sui nostri reparti tecnici e di controllo qualità.Quindi ad un momento difficile noi abbiamo risposto con un’ulteriore spinta per migliorarci. Questa crisi non ha modificato il nostro modo di fare impresa.

Avete un giorno di libertà come decidete di trascorrerlo?(Renzo) Mi rilasso facendo delle lunghe camminate in montagna. Mi piace la pace dei boschi e sciare in compagnia delle persone che mi sono più care.(Ernesto) Le mie grandi passioni sono la bicicletta e la motocicletta.

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Da imprenditore a imprenditore

Nel momento in cui si presentano situazioni di insolvenza, quanto è bravo a risolvere questo problema?

Noi non siamo banche, dobbiamo fare il nostro dovere al meglio, ma i clienti non possono non essere altrettanto seri.

?

Cosa vi irrita di più?(Renzo) L’arroganza e la mancanza di rispetto sono cose che mi danno molto fastidio.

(Ernesto) Il menefreghismo, soprattutto in ambito lavorativo.

Vi sentite più combattenti o mediatori? (Renzo) Io un combattente, per prendere un lavoro, per andare dietro ad un cliente, per stimolare i miei collaboratori nello sviluppo di un progetto. Il mio compito è anche di cercare di fare lavorare le persone nel modo migliore affinchè siano contente di fare quello che fanno e vengano al lavoro serene e motivate.

(Ernesto) Forse nessuno dei due.

Renzo, secondo lei quanto conta la squadra?La squadra è fondamentale, avere delle persone che abbiano

l’entusiasmo di fare questo tipo di lavoro è la cosa più importante per la nostra azienda.Il primo requisito per poter lavorare qui non è il curriculum, ma la voglia di fare. Ed è quello che paga.

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Questaè la vera essenza

dei Capitanid’Imprese.

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CONFAPI Ravenna ringrazia le aziende

Acero Srl Bondoli & Campese SpA

Calzaturificio Eiffel Srl CM Manzoni SpA

CS Colors Srl F.A.M. Srl

F.lli Righini Srl Linea Alimentare Aresu Srl

Moreno Holding Group SpA Oremplast Srl

Resta Srl R.T.F. Srl S.C.R. Srl

Sbarzaglia Giovanni Snc Sica SpA

Spring Italia Srl Tecnoagri Srl

Termovetro Ravenna Srl Trerè Chimica Sas Turchetti Bruno Srl

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