cassa di risparmio di san miniato 1830-2005

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Volume 175 anni della Cassa di Risparmio di San Miniato

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CASSA DI RISPARMIO di San Miniato 1830 - 2005

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Cassa di Risparmio di San Miniato

1830-2005

testi di

Silvio Bianchi MartiniAntonella Cappiello

Erik LongoPaolo Nanni

Giulia RomanoAndrea Simoncini

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© copyright 2005 by Pacini Editore SpA

ISBN 88-7781-734-8

Realizzazione editorialePacini Editore SpAVia A. Gherardesca, 56121 Ospedaletto (Pisa)

Responsabile tecnicoMauro Pucciani

Responsabile editorialeElena Tangheroni Amatori

Responsabile di redazioneFrancesca Petrucci

Progetto graficoChiara Vanni

Fotolito e stampaIndustrie Grafiche Pacini

Referenze fotograficheArchivio fotografico dell’Accademia dei Georgofili: pp. 48-52, 54.Le restanti immagini sono il frutto della campagna fotografica originale realizzata da Stefano e David Casadio.Si ringrazia la Fondazione CRSM per la collaborazione, indispensabile per il reperimento delle immagini, e per aver messo a disposizione l’archivio fotografico della Cassa di Risparmio di San Miniato.

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.Le riproduzioni per uso differente da quello personale sopracitato potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’Editore.

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Indice

Una dedicaGiacomo Conti e Sandro Ciulli ........................................................................................ pag. 9

Prefazione Renato Raffaele Card. Martino ........................................................................................ » 11

Introduzione Gli Autori ......................................................................................................................... » 15

Parte ILa Cassa di Risparmio di San Miniato ....................................................................... » 19

Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato .............................................................. » 23Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. ....................................................................... » 27Cassa di Risparmio di San Miniato - Gruppo CARISMI ................................................ » 29Presidenti della Cassa di Risparmio di San Miniato ........................................................ » 31Direttori della Cassa di Risparmio di San Miniato .......................................................... » 33Stemma ............................................................................................................................ » 34Opere d’Arte .................................................................................................................... » 35Sede .................................................................................................................................. » 37

Parte IIProfilo storico della Cassa di Risparmio di San MiniatoPaolo Nanni ................................................................................................................... » 41

1. San Miniato: una terra tra due città ........................................................................... » 462. La nascita della Cassa di Risparmio di San Miniato ................................................. » 55 2.1 Note sulle origini delle casse di risparmio in Toscana .......................................... » 55

2.2 Dalla nascita all’autonomia .................................................................................. » 623. Crescita e radicamento ............................................................................................... » 71

3.1 L’espansione dell’attività ...................................................................................... » 733.2 La propaganda al risparmio .................................................................................. » 84

4. Dalla ricostruzione allo sviluppo del territorio .......................................................... » 89

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Parte IIIIl “sistema CRSM”: le scelte istituzionali della Fondazionee della Banca nel quadro normativo italianoErik Longo, Andrea Simoncini .................................................................................... » 99

1. L’origine delle casse di risparmio .............................................................................. » 1031.1 Il modello delle casse di risparmio nell’esperienza europea e il caso italiano ..... » 1031.2 La “pubblicizzazione” delle casse di risparmio nella legislazione dello Stato unitario » 1051.3 La Costituzione repubblicana e la conferma della socialità del credito ............... » 110

2. Dalle casse di risparmio alle fondazioni bancarie ..................................................... » 1122.1 La “privatizzazione” delle casse di risparmio ....................................................... » 1122.2 Dall’“Ente” alla “Fondazione” ............................................................................. » 1172.3 La riforma del Titolo V della Costituzione e le complesse vicende della XIV Legislatura .................................................................................................... » 1242.4 La riforma “Tremonti” al vaglio della Corte costituzionale: le sentenze 300 e 301 del 2003 ............................................................................. » 131

3. L’evoluzione dell’assetto istituzionale della Cassa di Risparmio di San Miniato ...... » 1393.1 La trasformazione: da Cassa di Risparmio in Ente e Cassa S.p.A. ....................... » 1393.2 Il progetto “Casse Toscane S.p.A.” ....................................................................... » 1423.3 La difficile ricerca di un socio: le ipotesi “Cariverona S.p.A.” e “Casse del Tirreno S.p.A.” ................................................................................. » 1483.4 La partnership con il Monte dei Paschi ................................................................ » 1503.5 Dal Monte dei Paschi alla Società Cattolica di Assicurazione ............................. » 1533.6 Da banca a gruppo bancario: l’autonomia da tattica difensiva a strategia espansiva » 1563.7 Da gruppo bancario a public company? L’offerta pubblica di vendita ................. » 161

4. Conclusioni ................................................................................................................. » 1644.1 Il fil rouge della complessa evoluzione istituzionale e societaria: la conservazione e la valorizzazione della propria autonomia ............................. » 1644.2 Autonomia come fine o come mezzo? Legame con le origini e logiche di mercato nel “caso” di San Miniato ................................................................... » 1654.3 La vicenda istituzionale del “sistema bancario” San Miniato: un attore in controtendenza o un precursore degli assetti futuri? ......................... » 167

Parte IVIl sistema dei valori e delle idee guida della Cassa di Risparmio di San Miniato nello scenario della competizione bancariaSilvio Bianchi Martini, Antonella Cappiello, Giulia Romano ................................ » 171

1. Lo scenario della competizione bancaria ................................................................... » 1751.1 Le determinanti del cambiamento ......................................................................... » 1751.2 L’innovazione tecnologica come leva competitiva e stimolo di efficienza aziendale » 1771.3 Profili reddituali del sistema bancario nel rinnovato quadro operativo ................ » 181

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1.4 I processi di crescita dimensionale per via esterna ............................................... » 1871.5 La dimensione delle banche italiane ..................................................................... » 1911.6 I vantaggi competitivi della piccola dimensione .................................................. » 197

2. Il sistema dei valori e delle idee guida della Cassa di Risparmio di San Miniato ..... » 2052.1 L’autonomia gestionale come valore guida strumentale al perseguimento della efficacia strategica e dell’efficienza gestionale ............................................ » 2132.2 Banca e Fondazione insieme nel territorio e per il territorio: il “sistema CRSM” .. » 2172.3 Una banca multi-locale di dimensione regionale in un gruppo con proiezioni nazionali ............................................................................................... » 2212.4 Il “patrimonio della banca” è tutto nel “valore” dei suoi uomini ......................... » 2252.5 Qualità e stabilità del top management come presupposto per attuare pienamente gli ambiziosi disegni imprenditoriali ................................................ » 2322.6 L’attività bancaria tradizionale come contesto principale in cui perseguire un solido vantaggio competitivo ................................................................................ » 2332.7 Preservare e proteggere il risparmio dei clienti: il risparmio per la serenità dell’uomo » 238

3. La logica alla base delle principali iniziative strategiche .......................................... » 2423.1 La crescita nel numero di sportelli: una banca tradizionale vicina al cliente ....... » 2423.2 La nascita del “gruppo bancario”: dare consistenza e continuità allo sviluppo .... » 2483.3 L’ingresso nel “Banco di Lucca”: far crescere realtà bancarie locali nelle province toscane .......................................................................................... » 2513.4 La partecipazione nella Cassa di Risparmio di Volterra: collaborare con le affini

istituzioni bancarie toscane nel sostegno dell’economia regionale ...................... » 2533.5 Banca Sintesi: una banca “di nicchia” nel private e nel corporate banking ......... » 2563.6 La collaborazione con Vegagest SGR: presidiare la “fabbrica prodotti” del risparmio gestito ............................................................................................. » 2573.7 La partnership con Cattolica e la nascita di San Miniato Previdenza: divenire un punto di riferimento nella previdenza integrativa in Toscana ........... » 2593.8 Il progetto azionariato diffuso: la banca è del territorio, dei dipendenti e dei clienti » 261

Parte VL’attività istituzionale della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato alla luce dei suoi più importanti interventiErik Longo ..................................................................................................................... » 265

1. Quadro sintetico .......................................................................................................... » 2692. L’attività della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato ............................... » 2733. Gli obiettivi strategici ................................................................................................. » 2774. Analisi dei settori di intervento ................................................................................... » 2865. La localizzazione delle iniziative ................................................................................ » 292

Bibliografia generale ..................................................................................................... » 295

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UNA dedica

Molto spesso, e a buona ragione, si usa aprire un libro, un volume, uno stu-dio, con l’introduzione di qualche prestigiosa firma che indubbiamente dà lustro, arreca valore aggiunto all’opera che viene presentata e quindi divulgata.

In questo caso – la storia della Cassa di Risparmio di San Miniato e dei suoi 175 anni di vita – abbiamo ritenuto opportuno aprire questo libro anche at-traverso una dedica, seppur semplice ma altrettanto sentita, estesa a tutti coloro che hanno contribuito a fare la storia di questa Cassa: le centinaia di migliaia di clienti che hanno avuto fiducia nella San Miniato; le migliaia di Dipendenti, che vi hanno lavorato, che hanno messo il loro impegno, la loro opera quotidiana al servizio di questa Istituzione; le centinaia di membri degli Organi Direttivi e Dirigenziali e Istituzionali della Cassa di Risparmio di San Miniato a partire da coloro che l’hanno fondata e che vi hanno svolto la loro opera di saggi am-ministratori e tutti gli altri che hanno saputo trasmettere fino a noi non soltanto una Fondazione e, un’Azienda solida, patrimonializzata e parte viva e vitale del nostro territorio, ma soprattutto i principi, le idee fondanti di questa pluriseco-lare Istituzione che ha attraversato, sempre al servizio della sua gente e del suo territorio, momenti storici quali l’Unità d’Italia, la prima e la seconda guerra mondiale, il ventennio fascista, la ricostruzione del nostro paese nel dopoguerra, il boom economico, il terrorismo e oggi la globalizzazione dei mercati.

Questa dedica, non può non essere accomunata ad un forte sentimento di gratitudine per tutte queste persone, per questa lunga linea di volti per lo più sconosciuti di uomini e di donne che ci hanno insegnato che sono i valori morali, non solo i prodotti bancari, non solo gli immobili, non solo le belle sedi aziendali che rappresentano il vero fondamento della Fondazione oppure della Banca.

Ci hanno insegnato – e dobbiamo sempre più ricordarlo – che le persone, la gente e soprattutto i valori fondanti e consolidatisi in questi 175 anni sono il nostro vero e inossidabile patrimonio.

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Non solo quote di mercato – pure indispensabili – sono quindi quelle che dobbiamo raggiungere, ma quote di pensiero, di risorse morali, di cuore quelle che dobbiamo mantenere e alle quali dobbiamo tendere.

Questo è il vero reddito culturale e morale che tutte queste persone ci hanno trasmesso ed è per tutto ciò che questo volume inizia con una dedica a tutti loro all’insegna del ricordo e di una profonda gratitudine.

Sandro Ciulli Giacomo Conti Presidente CRSM S.p.A. Presidente Fondazione CRSM

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Prefazione

175 anni fa, per opera di Monsignor Torello Pierazzi, si fondò la Cassa filiale di Risparmio di San Miniato perché, come si legge nella sua “Carta” costitutiva, si potesse «stabilire fra noi un salutare Istituto che prepari all’indigente il pane del suo riposo nella stanca vecchiezza, al padre affettuoso il mezzo di non difficile collocamento per una tenera figlia, al defaticato artigiano il facile insegnamento di restarne nell’albergo tranquillo; a tutta la classe dei bisognosi un utile impulso …».

Il volume “Cassa di Risparmio di San Miniato 1830-2005” bene si colloca e celebra questo 175° anniversario che vuole essere grata memoria alla volontà del-le origini di questa Fondazione e progetto per un programma futuro che coniughi l’Economia e la Solidarietà quali fondamenti della Pace.

Le mie riflessioni sull’argomento proprio riguardo all’Economia, Solidarie-tà e Pace, si soffermano a cogliere alcuni aspetti del magistero della Chiesa sul tema della globalizzazione, che deve essere sempre considerata uno strumento di solidarietà e, in tal modo, un veicolo di pace e di giustizia nel mondo.

Nella dottrina sociale, con il termine “globalizzazione” si fa riferimento al-l’interdipendenza di tutte le società del mondo, alla fitta rete di relazioni sociali, politiche, economiche e culturali che attraversa le frontiere di tutti i Paesi del mondo, provocando un processo di condizionamento, in virtù del quale il mondo si configurerebbe come un unico sistema sociale.

Il Venerato Papa Giovanni Paolo II, nel corso del Suo lungo Pontificato, ha ampiamente affrontato l’argomento in numerosi interventi, per indurre a guardare il processo di globalizzazione da una prospettiva che non inducesse ad adattarsi passivamente al fenomeno, ma ne desse una valutazione etica e morale.

Con riferimento alla globalizzazione, la Dottrina Sociale della Chiesa sotto-linea la centralità della persona umana, rispetto ai processi sociali ed economici, la cui capacità di creare relazioni entro i confini di un Paese e fra Paesi diversi, soprattutto con i Paesi più poveri del mondo, deve puntare alla solidarietà econo-mica e sociale.

Parallelamente, un altro punto tipico della Dottrina Sociale della Chiesa nella considerazione della globalizzazione è l’affermazione della fondamentale unità del genere umano. Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace

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del 2000, Giovanni Paolo II ha sottolineato il principio che deve guidare la rifles-sione della Chiesa Cattolica anche in tema di globalizzazione, ossia che l’umanità è chiamata da Dio a formare un’unica famiglia: «in tali processi, pur non privi di rischi, sono presenti straordinarie e promettenti opportunità, proprio in vista di fare dell’umanità una sola famiglia, fondata sui valori della giustizia, dell’equità, della solidarietà».

Negli anni passati è stato sostenuto, anche da voci autorevoli, che lo svilup-po dipendesse dall’isolamento dei paesi più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze. L’esperienza recente ha, però, dimostrato che i Paesi che si sono esclusi, o che sono stati esclusi, hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entra-re nel circuito dell’attività economica a livello internazionale. Sembra, dunque, che il problema maggiore sia quello di ottenere un equo accesso al mercato inter-nazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane.

Giovanni Paolo II sollecitava il “governo” della globalizzazione, preoccu-pato della sproporzione fra i cambiamenti intervenuti e la capacità a livello inter-nazionale di indirizzarli verso il bene comune. Egli ha affrontato, a più riprese, la questione della global governance proponendo una serie di necessarie riforme delle istituzioni internazionali esistenti: la riforma del sistema internazionale del commercio, ipotecato dal protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale; la questione degli scambi delle tecnologie e del loro uso appropriato; la necessità di una revisione della struttura delle organizzazioni internazionali esistenti, nella cornice di un ordine giuridico internazionale. In tal modo, Egli metteva chiaramente in luce i più evidenti carat-teri d’inadeguatezza dell’attuale sistema istituzionale internazionale.

Il Magistero di Papa Giovanni Paolo II, ripreso dal Santo Padre Benedetto XVI, afferma che il progresso sociale non può essere raggiunto senza una crescita economica sostenuta, ma oggi diventa sempre più evidente che una crescita econo-mica sostenuta da sola non basta a produrre progresso sociale, vale a dire crescita connotata da equità e inclusione. Un’architettura economica e finanziaria globale richiede una nuova architettura per lo sviluppo. Gli obiettivi sociali della comu-nità internazionale non possono essere determinati solo da decisioni economiche di stampo tecnocratico di istituzioni internazionali, né tantomeno da decisioni in-fluenzate dagli interessi nazionali di un gruppo di economie forti e potenti.

L’insegnamento sociale della Chiesa sulla globalizzazione e sugli effetti che essa produce si fa guidare da una prospettiva etica della solidarietà. La Chiesa è preoccupata soprattutto delle ineguaglianze e dell’esclusione di singole persone come di interi popoli dal progresso economico e sociale. La prospettiva della Dot-trina Sociale veniva indicata da Giovanni Paolo II anche in relazione ai problemi del monopolio e della concorrenza sleale, che non vengono posti in termini di man-cato funzionamento del mercato, ma in termini di esclusione sociale dei più poveri.

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«Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti – individui e Nazioni – le condizioni di base che consen-tano di partecipare allo sviluppo» (Enciclica Centesimus Annus, n. 35).

In questa prospettiva, mentre sosteneva un modello di sviluppo più centrato sulle persone e orientato a valorizzare le loro capacità, Papa Giovanni Paolo II non abbandonava il suo appello perché nuove risorse finanziarie di assistenza allo sviluppo fossero dedicate ad affrontare alcuni bisogni che i Paesi poveri non sono in grado di affrontare con le loro sole risorse: la lotta contro la povertà, la malnu-trizione, le malattie come l’AIDS, la malaria e la tubercolosi, l’analfabetismo e la distruzione dell’ambiente naturale.

La Chiesa cattolica è molto attiva nell’affrontare la questione di un’econo-mia globalizzata, che sia veicolo autentico di solidarietà e di pace tra i popoli e le Nazioni. Essa è una Chiesa universale. Il criterio che la Chiesa propone per valu-tare i risultati della globalizzazione è la valutazione di quanto la globalizzazione contribuisca a promuovere la dignità della persona umana. In questa prospettiva, è indispensabile elaborare un codice etico comune. Con ciò non s’intende un unico sistema socio-economico dominante o un’unica cultura che imporrebbero i propri valori e criteri all’etica. È nell’uomo in sé, fatto a immagine e somiglianza di Dio, che bisogna ricercare le norme di vita sociale. Questa ricerca è indispensa-bile affinché la globalizzazione non sia solo un altro nome della relativizzazione assoluta dei valori e dell’omogeneizzazione degli stili di vita e delle culture, ma sia anche, e soprattutto, un veicolo di solidarietà e di pace.

Renato Raffaele Card. MartinoPresidente del Pontificium Consilium de Iustitia et Pace

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Introduzione

La Cassa di Risparmio di San Miniato compie 175 anni. È certamente una tappa importante a coronamento di una lunga storia nella quale la Cassa di Ri-sparmio di San Miniato emerge tra le più antiche e significative casse della Tosca-na. Ogni anniversario offre naturalmente l’occasione per un bilancio su quanto è stato fatto e si continua a fare. Ma è anche l’opportunità per capire la propria storia, per mettere a fuoco i fattori decisivi, rintracciare le risorse principali e le peculiarità su cui fondare le prospettive future. Con questo spirito abbiamo intra-preso il compito affidatoci.

Ripercorrendo l’articolata storia della banca di San Miniato, corredata anche da numerose immagini e documenti d’archivio, si è inteso ricercare gli elementi che fin dalla fondazione ne caratterizzano l’attività. Proprio la fedeltà a questa tra-dizione e il radicamento nel territorio sanminiatese hanno costituito negli anni più recenti la risorsa fondamentale per affrontare periodi di grande cambiamento.

Il panorama bancario italiano, nel più vasto contesto internazionale, ha vis-suto in questi anni trasformazioni profonde che hanno posto sfide radicali ad istituti quali le casse di risparmio. Costretta a muoversi in questo nuovo scenario, la Cassa di San Miniato ha saputo intraprendere un percorso di grande originalità e autonomia che, alla prova dei fatti, sta dimostrando la sua fondatezza.

Per questo motivo il volume che qui si presenta non si limita alla sola cele-brazione di una pur significativa ricorrenza. L’intento perseguito è stato quello di elaborare una riflessione più generale – in chiave storica, giuridica ed economica – al fine di documentare tale evoluzione, evidenziandone i caratteri peculiari e le principali risorse che connotano l’attività e le reciproche relazioni tra la Fonda-zione e la Banca Cassa di Risparmio di San Miniato. Ciò che emerge è natural-mente la fisionomia di una banca particolare. Ma l’insegnamento e il valore di questa storia ci pare che eccedano il caso, suggerendo un’ipotesi, una speranza. Soprattutto in un periodo come quello attuale in cui, nuovamente, il mondo del credito è in trasformazione e la sfida tra globalizzazione e territorio, tra “standar-dizzazione” e “personalizzazione”, è ancora del tutto aperta.

I saggi presentati seguono pertanto questa direttrice. Nel primo profilo sto-rico sono evidenziati alcuni momenti salienti che hanno caratterizzato l’originale percorso fin dalle origini della Cassa di Risparmio di San Miniato. Seguono quin-di la ricostruzione dello scenario giuridico-normativo in cui la Cassa ha dovuto muovere i suoi passi e le concrete scelte istituzionali che la banca ha operato sino a giungere al suo assetto attuale. Alla luce dei profondi mutamenti del contesto competitivo di riferimento, un altro contributo è dedicato a individuare quale sia

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il sistema dei valori e delle idee guida intorno a cui ruota la “ragion d’essere” del-la Cassa di Risparmio di San Miniato, connotandone la core identity. Valori e idee che, salvaguardati tenacemente nel tempo, imprimono ad oggi carattere distintivo alle logiche imprenditoriali di questa banca rispetto a gran parte delle aziende di credito italiane di eguale dimensione ed origine storica.

Infine proponiamo uno studio sugli interventi della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, cercando di coglierne gli aspetti particolari, il valore e soprattutto la capacità che ognuno di essi ha di concorrere allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio.

Ma non potremmo concludere questa breve introduzione senza ringraziare tutti quelli che hanno offerto un aiuto fondamentale nel lavoro di documentazione, di stu-dio e di elaborazione dei contributi che proponiamo. Innanzi tutto il Presidente della Fondazione Giacomo Conti, il Segretario generale Enrico Provvedi e il Direttore generale della Banca Luigi Minischetti, che hanno seguito costantemente il nostro lavoro. Ringraziamo altresì il Presidente della S.p.A. Sandro Ciulli e il personale delle strutture della Banca e della Fondazione che hanno coadiuvato con pazienza il nostro lavoro e inoltre Mario Caponi, autentica memoria storica della Cassa. Un ringraziamento anche ai Direttori generali delle Società bancarie controllate Lorenzo Remotti e Gianluca Paoli, che con grande cordialità hanno messo il loro tempo a nostra disposizione per colloqui e interviste.

Gli Autori

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Parte I

La Cassa di Risparmio

di San Miniato

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La Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato è la continuazione ideale dell’Ente Cassa di Risparmio di San Miniato e della Cassa di Risparmio di San Miniato istituita da un’associazione di persone private ed autorizzata con sovrano rescritto del Granduca di Toscana del 23 gennaio 1830, dalla quale, con atto in data 12 maggio 1992, n. rep. 303436 del notaio Galeazzo Martini, è stata scorpo-rata l’attività creditizia e conferita alla società per azioni denominata “Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.”.

Presidenti

1 CatastInI cav. lav. Lanfranco 1 giu. 1992 - 28 gen. 19932 MostardInI ing. Foresto 25 feb. 1993 - 2 apr. 19983 ContI comm. Giacomo dal 3 apr. 1998

segretari generali

1 sbardella dott. Carlo 1 giu. 1992 - 29 mar. 19962 leo rag. Pier Giuseppe 26 mar. 1997 - 15 lug. 19983 ProVVedI rag. Enrico dal 29 lug. 1998

Fondazione Cassa di risParmio di san miniato

ConsIglIo dI IndIrIzzo

PresidenteConti comm. Giacomo

ConsiglieriArisi dott. CarloAugello prof. MassimoBanti prof. OttavioBeconcini sig. EdoCaponi cav. MarioCeccanti avv. AlessioColombai dott. RenatoDel Guerra dott. PaoloLazzeri mons. IdilioMarrucci sig. AntonioMattaliano dott. VincenzoMazzei sig. Valerio

Paoli geom. MichelePetralli dott. LucianoRemorini prof. MarinaRossi dott. MarioRossi sig. MirianoSpagli ing. BrunoSpalletti prof. GiulianaTaddei on. MariaTobia sig. RiccardoVallini dott. SilviaVivaldi dott. Pier Giovanni Palazzo Grifoni sede della Fondazione Cassa di

Risparmio di San Miniato

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

CoMItato dI gestIone

PresidenteConti comm. Giacomo

Vice PresidenteUrti dott. Donatantonio

ComponentiBacchereti rag. MassimoGabbanini dott. MarzioGronchi ing. SergioGuerrini sig. Stefano

Guicciardini Salini sig. AntonioLapi dott. RenzoPanchetti sig. Fabio

CollegIo deI reVIsorI

PresidenteNacci rag. Alessandro

RevisoriGiannarelli prof. Aldo Matteucci dott. Adolfo

segreterIa generale

Segretario generaleProvvedi rag. Enrico

Vice Segretari generaliAlderighi sig.ra Francesca Monti dott. Stefano

soCI onorarI

Alessi sig. AlessioBertelli prof. FoscoBerti geom. RomoloCalvetti sig. ValentinoFalaschi cav. ing. NelloGiani ing. AngioloGuidi sig. LorisLotti prof. DilvoMartini not. dott. Galeazzo

Martini dott. MarioMesserini cav. uff. Pier GiovanniPetralli dott. LucianoPiccioli avv. Mario GuidoSantini sig. FerruccioSignorini sig. SabatinoTozzi dott. RobertoTurri N.H. dott. Alfredo

soCI ordInarI

Amorosa not. dott. AlfonsoArisi dott. CarloArisi dott. MassimoAugello prof. MassimoBacchereti rag. MassimoBaldini prof. LauraBandini dott. AlessandroBanti sig. MassimoBanti prof. OttavioBartalini sig. FernandoBeconcini sig. EdoBenelli dott. RobertoBianchi Martini prof. SilvioBicocchi avv. on. GiuseppeBoldrini dott. MarcoBonciolini sig. FrancoBonechi prof. Igino

Bonistalli sig. TizianoBorgioli rag. CarloBozzetti dott. FiordalisaBrotini rag. PaoloCaponi cav. MarioCarli Maltinti rag. CarloCatastini cav. lav. LanfrancoCheli dott. AmerigoCiari avv. Pier LuigiCiattini mons. dott. CarloCirri sig. Carlo AlbertoCiulli dott. SandroColombai comm. DamascoColombai dott. RenatoConti comm. GiacomoDel Guerra dott. PaoloDi Gianni geom. MicheleFarnesi cav. lav. Flaminio

Giacomo Conti, Presidente

Enrico Provvedi, Segretario generale

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Fiaschi sig. LittorioFranci avv. CrescenzioFrosini prof. AngeloGalardi dott. PaoloGalli dott. RiccardoGamucci prof. RenzoGemignani dott. CristianoGhizzani cav. GiuseppeGiannarelli prof. AldoGrassi prof. WalterGronchi dott. DivoGronchi ing. SergioGuicciardini Salini sig. AntonioLapi dott. RenzoLotti sig. AlbertoMaccanti rag. PieroMaffei avv. GiulianoMarinella not. dott. MarioMartini dott. FrancescoMasini sig. AldoMatteucci dott. AdolfoMatteucci prof. GiulianoMazzantini avv. AlfonsoMerusi prof. FabioNassi sig. AldoNiccoli sig. StefanoNuti sig. Ivo

Pancanti dott. ValentinoPanchetti sig. FabioPoli sig. AlfieroRicci prof. SilviaRizzi dott. StefanoRomboli sig. LucianoRossi prof. GianfrancoRossi dott. MarioRossi Locci dott. MarioSalvadori rag. GianniSimoncini prof. AndreaSladojevich prof. MarioSpagli ing. BrunoSpalletti prof. GiulianaTaddei on. MariaTardelli S.E. mons. FaustoTinghi dott. arch. AndreaTobia sig. RiccardoToschi prof. MassimoUrti dott. DonatantonioVallini ing. PaoloVallini dott. SilviaVitagliano prof. ClaudioVivaldi dott. Pier GiovanniVolpi sig. RomanoZalum ing. Piero Antonio

Sala del Consiglio

Presidenza

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

Veduta dalla Sede della Cassa di Risparmio, Palazzo Formichini

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Presidenti

1 CatastInI cav. lav. Lanfranco 1 giu. 1992 - 10 nov. 19952 FranCI avv. Crescenzio 10 nov. 1995 - 28 apr. 20033 CIullI dott. Sandro dal 28 apr. 2003

direttori

1 sbardella dott. Carlo 1 giu. 1992 - 29 mar. 19962 MarradI rag. Giancarlo 1 apr. 1996 - 30 giu. 19993 MInIsChettI dott. Luigi dal 19 ago. 1999

Cassa di risParmio di san miniato s.P.a.

ConsIglIo dI aMMInIstrazIone

PresidenteCiulli dott. Sandro

Vice PresidenteCarli Maltinti rag. Carlo

ConsiglieriVallini ing. PaoloBorgioli rag. CarloCasini on. CarloDi Gianni geom. MicheleDini prof. Francesco

Merusi prof. FabioNuti dott. AndreaPivato prof. SergioSartor prof. Nicola

CollegIo sIndaCale

PresidenteBandini dott. Alessandro

Sindaci effettiviManzoni dott. FedericoQuagliotti dott. Sandro

Sindaci supplentiPescari dott. AlessandroRegoli dott. Alessandro

dIrezIone generale

Direttore generale Vice Direttore generaleMinischetti dott. Luigi Provvedi rag. Enrico

sede Centrale

San Miniato, palazzo Formichini Palazzo Formichini sede della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

FIlIalI

RomaRoma (2)

MilanoMilano

ArezzoArezzo (2)Monte San Savino

FirenzeAmbrogianaBarberino del MugelloBorgo San LorenzoCalenzanoCampi BisenzioCastelfiorentinoCerreto GuidiCertaldoEmpoli (2)Firenze (7)FucecchioGambassi TermeLastra a SignaLimite S/ArnoPontassievePonte a CappianoPonte a ElsaPozzaleScandicciSesto FiorentinoSignaSpicchio / SoviglianaStabbiaVinci

GrossetoGrosseto

LivornoCecinaDonoraticoLivorno (2)PiombinoRosignano Solvay

LuccaLucca Picciorana

MassaAullaCarraraMassa

PisaCapanneCapannoliCasciana TermeCastelfranco di SottoFaugliaLa RottaLa ScalaMontopoli ValdarnoOrentanoPalaiaPisa (4)PonsaccoPonte a EgolaPontedera (2)San Frediano a SettimoSan MiniatoSan Miniato BassoSan RomanoSanta Croce sull’Arno (2)Santa Maria a MonteStaffoli

PistoiaAglianaPesciaPistoiaQuarrataUzzano

PratoPrato (3)

SienaMontepulcianoPoggibonsiSiena

Sandro Ciulli, Presidente

Luigi Minischetti, Direttore

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

gruPPo Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato - CarIsMI

Gruppo CARISMI:Cassa di Risparmio San Miniato S.p.A. Banco di Lucca S.p.A.Fiducia S.p.A.La Rocca Immobiliare S.p.A.San Genesio Immobiliare S.p.A.Banca Sintesi S.p.A.

Partecipazioni strategiche:Cassa di Risparmio Volterra S.p.A.Fidi Toscana S.p.A.Mediat S.r.l.San Miniato Previdenza S.p.A.Sici SGR S.p.A.Vegagest S.p.A.

Sala del consiglio Presidenza

Sala piano terra del palazzo Formichini

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

Mons. Torello Pierazzi in un dipinto di Antonio Luigi Gajoni

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

PresIdentI della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

PIerazzI mons. can. dott. Torello 27 apr. 1830 - 31 dic. 1832

MerCatI nob. Dario 1 gen. 1833 - 31 dic. 1835

ansaldI nob. Baldassarre 1 gen. 1836 - 31 dic. 1839

bertaCChI nob. cav. Leopoldo 1 gen. 1840 - 24 feb. 1843

bernI dott. Guseppe Maria 25 feb. 1843 - 27 feb. 1846

della FanterIa dott. Camillo 28 feb. 1846 - 26 mar. 1852

bonFantI dott. Enrico 27 mar. 1852 - 19 dic. 1854

bernI dott. Giuseppe Maria 20 dic. 1854 - 13 mar. 1855

orabuona avv. Carlo 14 mar. 1855 - 22 dic. 1870

taddeI ing. Carlo 23 dic. 1870 - 28 dic. 1880

MatteI can. cav. Matteo 29 dic. 1880 - 21 mag. 1886

MIglIoratI marchese dott. Genesio 22 mag. 1886 - 17 feb. 1891

MarruCCI cav. avv. Lorenzo 18 feb. 1891 - 30 mar. 1891

guICCIardInI conte on. comm. avv. Francesco 11 ott. 1892 - 18 dic. 1893

rondonI cav. avv. Cosimo 19 dic. 1893 - 29 gen. 1894

MIglIoratI marchese comm. dott. Persio 30 gen. 1894 - 23 lug. 1894

MarruCCI cav. avv. Lorenzo 24 lug. 1894 - 17 dic. 1894

MIglIoratI marchese dott. Genesio 18 dic. 1894 - 17 mar. 1895

PaCChIanI mons. can. Geremia 18 mar. 1895 - 16 dic. 1907

CantInI cav. ing. Italo 17 dic. 1907 - 27 giu. 1910

bernardI cav. uff. dott. Francesco 28 giu. 1910 - 29 nov. 1926

CantInI cav. ing. Italo 30 dic. 1926 - 22 set. 1933

PellesChI cav. uff. col. Gino 30 apr. 1936 - 9 gen. 1945

Carranza barone dott. ing. Francesco 29 lug. 1946 - 26 apr. 1957

rousseau ColzI rag. Giuseppe 27 apr. 1957 - 20 ago. 1962

VallInI comm. Silvano 21 ago. 1962 - 29 set. 1977

regInI ing. Enzo 30 nov. 1977 - 12 feb. 1987

CatastInI cav. lav. Lanfranco 13 feb. 1987 - 10 nov. 1995

FranCI avv. Crescenzio 10 nov. 1995 - 28 apr. 2003

CIullI dott. Sandro dal 28 apr. 2003

31 mar. 1891 - 10 ott. 1892: il posto di presidente rimane vacante. L’amministra-zione è diretta dal vice presidente Focardi ing. Nicola.

22 set. 1933 - 30 apr. 1936: amministra-zione del commissario ministeriale, Mar-sigli comm. dott. Alberto.

10 gen. 1945 - 28 lug. 1946: amministra-zione del commissario prefettizio, Piccio-li avv. Mario Guido.

Dal 29 mag. 1992 Cassa di Risparmio San Miniato S.p.A.

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

foto2,46manifesto

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

dIrettorI della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

bertaCChI nob. cav. Leopoldo 21 mar. 1843 - 27 dic. 1855

nerI dott. Giuseppe 28 dic. 1855 - 28 dic. 1859

taddeI ing. Carlo 29 dic. 1859 - 20 gen. 1862

bertaCChI nob. cav. Leopoldo 21 gen. 1862 - 20 mar. 1874

MaIolI avv. Francesco 21 mar. 1874 - 1 apr. 1879

noVellI mons. can. cav. Domenico 2 apr. 1879 - 14 feb. 1881

MIglIoratI marchese dott. Genesio 15 feb. 1881 - 6 feb. 1882

donatI cav. prof. Fedele 7 feb. 1882 - 22 mag. 1886

FoCardI ing. Nicola (Reggente) 23 mag. 1886 - 4 gen. 1887

MarruCCI can. prof. Emilio 5 gen. 1887 - 30 gen. 1893

baChI cav. ing. Agostino 31 gen. 1893 - 16 dic. 1895

elMI Fausto 17 dic. 1895 - 17 dic. 1906

PontanarI Silvio 18 dic. 1906 - 26 giu. 1908

baChI comm. ing. Agostino 27 lug. 1908 - 23 mag. 1915

baChI Enrico (Reggente) 24 mag. 1915 - 22 giu. 1915

barnInI cav. Augusto 23 giu. 1915 - 22 ott. 1916

PontanarI Silvio (Reggente) 23 ott. 1916 - 20 nov. 1916

CantInI cav. ing. Italo 21 nov. 1916 - 29 dic. 1926

laMI comm. dott. Francesco 30 dic. 1926 - 26 dic. 1933

ballardInI dott. Achille 20 nov. 1934 - 30 set. 1938

gIannarellI cav. uff. dott. Battista 1 gen. 1939 - 30 set. 1960

grossI dott. Leopoldo 1 mag. 1961 - 15 apr. 1967

susInI cav. dott. Enzo 16 apr. 1967 - 20 lug. 1976

lensI dott. Lino 1 ott. 1976 - 10 ott. 1989

sbardella dott. Carlo 16 ott. 1989 - 31 mar. 1996

MarradI rag. Giancarlo 1 apr. 1996 - 30 giu. 1999

MInIsChettI dott. Luigi dal 19 ago. 1999

26 dic. 1933 - 20 nov. 1934: la direzione è stata tenuta dal vice direttore Giannarelli cav. uff. dott. Battista.

1 ott. 1938 - 31 dic. 1938: la direzione è stata tenuta dal vice direttore Giannarelli cav. uff. dott. Battista.

1 ott. 1960 - 30 apr. 1961: la direzione è stata tenuta dal vice direttore Grossi dott. Leopoldo.

21 lug. 1976 - 30 set. 1976: la direzione è stata tenuta dal vice direttore Lensi dott. Lino.

Dal 29 maggio 1992 Cassa di Risparmio San Miniato S.p.A.

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

steMMa

Il marchio della Cassa di Risparmio di San Miniato è un restyling del prece-dente, realizzato da Mario Caponi nel 1955. Nelle due parti simmetriche sono raffigurati i simboli di San Miniato (leone incoronato, rampante) e del risparmio (monte illuminato da un sole splendente).

Rimodernato nella grafica e nello stile, è stato poi inserito l’uso della sfumatu-ra e della tridimensionalità, per dare maggiore plasticità allo stemma.

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

oPere d’arte

La Cassa di Risparmio di San Miniato, nata nel 1830 in un’epoca di grande sviluppo economico della Toscana, per iniziativa di alcune illustri personalità legate all’Accademia degli Euteleti, possiede una preziosa collezione d’arte che comprende opere di Lorenzo di Bicci, Ventura Salimbeni, Jacopo Chimenti detto “l’Empoli”, Cigoli, Guercino.

La raccolta è custodita in gran parte nella sede di palazzo Formichini, dal 1953 sede principale della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A., e si è formata nel corso dei vari decenni attraverso acquisizioni dell’ente per l’allestimento dei propri ambienti di rappresentanza.

Le opere sono tutte di proprietà della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A., anche se alcune sono state concesse in comodato alla Fondazione per allestire la propria sede posta in palazzo Grifoni.

Anonimo, Fanciullo che riposa in un bosco, olio su tela (XVII secolo) Anonimo, Vescovo seduto con campanello, olio su tavola (XIX secolo)

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

Vecchia sede centrale della Cassa di Risparmio (Arch. Giovanni Paciarelli) inaugurata il 7 maggio 1922

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

sede

Le residenze della Cassa di Risparmio di San Miniato hanno avuto una storia complessa. Agli inizi della propria attività il consiglio della Cassa si riuniva nelle stanze dell’ufficio del gonfaloniere, allora Baldassarre Ansaldi, che rivestiva an-che la carica di cassiere. La sede fu poi spostata nel palazzo già di proprietà dei fratelli Canonici Taddei, in fondo alla Scesa di Santo Stefano, nell’attuale piaz-za Buonaparte. Fu quindi trasferita nell’antico palazzo Buonaparte-Franchini, di proprietà della famiglia Conti di Castelvecchio, in angolo con l’oratorio di San Rocco nella stessa piazza. Nel 1909 fu poi trasferita in via Ser Ridolfo nell’antico palazzo della famiglia De’ Pazzi, nell’odierna via IV Novembre.

In seguito, per dotare la Cassa di una sede più agevole per le operazioni al pubblico e anche per ragioni di maggior prestigio, la Cassa fece demolire la parte del palazzo che faceva angolo su piazza Grifoni e, affidato l’incarico all’ing. arch. Giovanni Paciarelli, fece costruire la nuova sede in uno stile gotico senese.

Oggi la Cassa di Risparmio di San Miniato è uno degli istituti di credito più importanti; con oltre ottanta filiali, ha le proprie sedi nei più prestigiosi edifici di San Miniato, tra cui il palazzo Buonaparte-Formichini ed il palazzo Grifoni.

Ingresso alla Sala delle operazioni, al piano terra della vecchia sede centrale La sede distrutta dalle mine tedesche nel 1944

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

Palazzo Formichinisede della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.

Dopo la totale distruzione della sede avvenuta per le mine tedesche nel 1944, la Cassa acquistò da Filippo Formichini il palazzo Formichini sul lato antistante della stessa via IV Novembre, dove oggi ha sede la Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.

La costruzione di palazzo Formichini, ove è custodita la maggior parte della raccolta di opere d’arte della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A., fu com-missionata verso la metà del Cinquecento da Vittorio di Battista Buonaparte a Filippo di Baccio d’Agnolo, che certamente utilizzò le aree di vecchie case medievali, le cui tracce riaffiorano sia nell’irregolare planimetria, sia in certi tratti della facciata verso valle.

Passato in mano ai Morali nel secolo successivo, costoro vi fecero costruire un loggiato e un giardino pensile sul retro, verso sud, affidando l’esecuzione dei lavori ad Antonio Maria Ferri, già attivo in città nella costruzione del Santissimo Crocifisso.

Nel 1800 il palazzo passò alla famiglia Formichini e da questa, nel 1953, alla Cassa di Risparmio di San Miniato, che ne fece la sua sede principale.

Palazzo Grifonisede della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato

Il palazzo Grifoni è situato nella omonima piazza dove, nel 1999, ha trovato sede la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato.

Il palazzo Grifoni di San Miniato è considerato uno degli edifici più rappresen-tativi dell’intera opera di Giuliano di Baccio d’Agnolo e dell’architettura toscana

Facciata del palazzo Formichini pri-ma del restauro

Palazzo Grifoni prima dei danni subiti durante la guerra

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la Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

tardorinascimentale. Edificato ex-novo sull’area di due costruzioni trecentesche e di un tratto di mura del fortilizio Ser Ridolfo, l’edificio si presentava con pareti di mattoni a vista incorniciati nella facciata da bozze di bugnato in pietra serena.

L’ampio portone sormontato dallo stemma della famiglia Grifoni è affiancato da due grandi finestre inginocchiate, ai lati delle quali se ne aprono altre due più picco-le. Il piano nobile è scandito da grandi finestre ad arcotondo, ed infine al piano più elevato un elegante loggiato, costituito da colonne di ordine tuscanico, tipologia ti-pica dei palazzi signorili fiorentini, si estende per tutta la lunghezza della facciata.

Convento dei Cappuccinisede del Centro Studi “I Cappuccini”

Il complesso de “I Cappuccini”, centro studi della Cassa di Risparmio di San Miniato, è un’accogliente struttura congressuale ideale per conferenze, convegni, meeting.

Ospitato in un ex-convento seicentesco, il centro offre sale accessoriate se-condo le più attuali esigenze, tra le quali spicca una sala che può ospitare oltre 100 persone, dotata di impianto di registrazione e traduzione simultanea e di un auditorium di oltre 80 posti; inoltre, grazie all’utilizzo di pareti mobili, si possono allestire piccoli ambienti per gruppi di studio differenziati.

Completano le capacità ricettive del centro un adeguato parcheggio, un ampio bar e un’accogliente sala da pranzo che si affaccia sullo splendido parco.

Inoltre, sono disponibili ben 50 camere per 80 posti letto con servizi e impian-to di climatizzazione.

Le comunicazioni interne sono garantite da un impianto interfonico e quelle esterne da collegamenti telefonici, con controllo computerizzato del traffico, fax e collegamento internet.

Sede del Centro Studi “I Cappuccini”

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Parte II

Paolo Nanni

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Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato 1830-2005

Labaro offerto dalla popolazione del Comune di San Miniato in occasio-ne del primo centenario della Cassa di Risparmio di San Miniato. Drappo in tela d’argento, finemente ricamato in seta e oro dalle Reverende Suore di San Paolo in San Miniato; lavoro in bronzo (alabarda e finali) esegui-to dalla Ditta Petralli di San Miniato; disegno del Cav. Dott. Galli Angelini Conte Francesco Maria (1930)

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Profilo storico della Cassa di Risparmio di San Miniato

Nei 175 anni di vita della Cassa di Risparmio di San Miniato (CRSM) 1 tanti e tali sono stati i cambiamenti del contesto culturale, sociale ed economico che la Cassa stessa ne è stata profondamente segnata. Risaltano immediatamente le trasfor-mazioni avvenute nel passaggio da istituto filantropico a vero e proprio istituto di credito. Dilatando l’angolo di osservazione alla storia del territorio di San Miniato e al radicamento della Cassa, avvenuto soprattutto dopo l’autonomia dalla “sorella” maggiore fiorentina approvata dai soci nel 1881 2, l’attenzione si riversa sull’impor-tanza che essa ha avuto nel sostegno allo sviluppo dell’agricoltura e dell’artigianato. L’evoluzione più recente, fino alla separazione tra Fondazione e Banca S.p.A., ha portato quindi la Cassa di Risparmio di San Miniato a meritare tanti riconoscimenti di valore fino a rivestire un ruolo originale nel panorama bancario italiano.

Eppure, sebbene tali cambiamenti siano chiaramente avvertibili e documenta-bili, la San Miniato ha sempre mantenuto, e ancora oggi mantiene, un vivo legame col «patrimonio culturale e ideale» che fin dall’origine ne ha segnato i tratti carat-teristici 3. È questo un aspetto di centrale importanza che ancora oggi costituisce un elemento di forza e di orientamento delle stesse strategie della Fondazione e della Banca. Sono da collocarsi in questo quadro il forte nesso con lo sviluppo del territorio e al tempo stesso il rapporto con la propria clientela, con particolare atten-zione alla tutela dei “correntisti” privati e alle forme di investimento. Precise scelte di sostegno all’imprenditoria 4 sono state realizzate nei principali settori – concerie, mobilifici e confezionisti – dei comprensori del medio Valdarno inferiore, Ponsac-co ed Empoli 5. Oltre naturalmente alle opere di intervento nel settore della tutela e della salvaguardia del patrimonio artistico e architettonico. Non va dimenticato, infatti, che direttamente o indirettamente la Cassa ha partecipato alla ricostruzione e restauro dei palazzi storici sanminiatesi danneggiati nel luglio del 1944.

Ripercorrendo in questo profilo storico le vicende della Cassa di Risparmio di San Miniato abbiamo voluto innanzitutto segnalare l’inscindibile legame e le numerose intersezioni che fin dalle origini l’istituto presenta in riferimento alla storia e al contesto culturale entro cui nacquero e si svilupparono le casse di risparmio nella Toscana lorenese e georgofila 6. In questo contesto, tuttavia, la Cassa sanminiatese ha avuto un’originale evoluzione nel tempo anche in rela-zione alle attività economiche e produttive – agricoltura, artigianato, e solo più di recente l’industria – che caratterizzano quest’area aperta, così ricca di storia, del Valdarno inferiore tra Firenze e Pisa. Il tessuto sociale e culturale che ne ha accompagnato lo sviluppo costituisce inoltre un fattore determinante per la com-prensione delle caratteristiche peculiari di questo istituto fin dalla sua nascita.

1 Con il manifesto pubblico del 14 giu-gno 1830 si apriva l’attività della Cassa di Risparmio di San Miniato, affiliata alla Cassa centrale di Firenze.

2 Alla delibera dell’assemblea dei soci del 17 settembre 1881 fece seguito l’approvazione dello statuto il 14 mar-zo 1882, poi approvato con regio decre-to del 14 gennaio 1886.

3 «Noi siamo eredi di una storia impor-tante. È certo che, perlomeno la zona storica su cui operiamo da sempre, non sarebbe così cresciuta e sviluppata se non ci fosse stata la nostra Istituzio-ne. Che, d’altra parte, ha pure ricevuto linfa vitale dal proprio territorio, dalle persone, siamo andati avanti in una sorta di simbiosi» (Al servizio della società. Intervista al Presidente della Fondazione CRSM Giacomo Conti, a cura di E. Viviano, in «Fondazione e Territorio», maggio 2002, Fondazione CRSM, pp. 3-5.

4 «La nascita e lo sviluppo di tanti im-portanti distretti industriali è stato pos-sibile grazie anche alla storica presenza delle “banche di nicchia” che nel corso degli anni, grazie alla conoscenza dei loro territori (sia dal lato economico, sociale fino al personale) ed alla ela-sticità del loro operare hanno permesso il verificarsi di veri e propri “miracoli economici”» (Una sfida quasi vinta. Il bilancio del Direttore Generale della CRSM S.p.A., Luigi Minischetti, a cura di E. Viviano, in «Fondazione e Terri-torio», aprile 2003, Fondazione CRSM, pp. 3-6.

5 Lo sviluppo imprenditoriale delle eco-nomie locali. I comprensori del Medio Valdarno inferiore, di Ponsacco, di Empoli, a cura di G. Airoldi - A. Zatto-ni, Milano, Franco Angeli, 2002.

6 R.P. Coppini, Banca e finanza, in Sto-ria della civiltà toscana, Firenze, Le Monnier, 1998: V, L’Ottocento, pp. 257-279.

ProFIlo storICo della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

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Paolo nannI

Una precisazione doverosa occorre in apertura di queste note relative alla storia della Cassa di Risparmio sanminiatese. Innanzitutto va segnalato che molti aspetti sono già stati oggetto di ricerche 7 e trattazioni anche a carattere divulga-tivo 8. Occorre inoltre tener presente la difficoltà nel reperire fonti documentarie, poiché l’archivio storico della Cassa è stato gravemente mutilato con la distru-zione della sede ad opera delle mine tedesche nel 1944 9. L’archivio storico oggi disponibile, ordinato secondo un recente inventario 10, presenta dunque molte la-cune che non consentono un’analisi di dati di lunga durata. Ciononostante, alcuni documenti conservano ancora il fascino e l’interesse non solo per gli addetti ai la-vori. Un contributo impareggiabile, inoltre, è ancora offerto da testimoni che con il loro senso di attaccamento alla Cassa nei lunghi anni trascorsi tra i suoi sportelli e uffici mantengono ancora oggi viva una memoria di più di mezzo secolo.

Considerando i molteplici filoni di indagine anzidetti e le fonti scritte e orali disponibili, si è preferito privilegiare alcuni momenti particolarmente significa-tivi nella ricostruzione delle vicende storiche dalla fondazione fino alla seconda metà del Novecento. Il filo conduttore di questo profilo storico è pertanto centrato sugli elementi e sui tratti distintivi che, dalle origini fino ad epoca più recente, costituiscono i punti di forza della Cassa di Risparmio di San Miniato.

1. san MInIato: una terra tra due CIttà

La storia di San Miniato è inevitabilmente segnata dalla sua posizione stra-tegica, dominante una vasta area caratterizzata da colline e zone pianeggianti 11.

7 S. Frediani, La Cassa di risparmio di San Miniato da “Provvido istituto” a banca più importante della provincia di Pisa, Pisa, ETS, 1987.

8 La celebrazione del primo centena-rio della fondazione della cassa di risparmio e depositi di San Miniato, 1830-1930, Empoli, Lito Tipografia Noccioli, 1930; Cassa di Risparmio di San Miniato. 1830-1955, San Miniato, Palagini, 1955; Cassa di Risparmio di San Miniato. 1830-1970, San Miniato, Palagini, 1970.

9 Esiste ancora un inventario precedente all’evento bellico che illustra i nume-rosi documenti conservati fino ad al-lora: Archivio Cassa di Risparmio San Miniato (ACSM), Atti vari, s. XXIII, Inventario dell’archivio della Cassa di Risparmio di San Miniato, 1940, p. 415.

10 ACSM, Inventario dell’Archivio Sto-rico della Cassa di Risparmio di San Miniato 1830-1950, a cura di G. Nanni - I. Regoli, 1992.

11 G. Rondoni, Memorie storiche di San Miniato al Tedesco, San Miniato, 1876 (rist. anast. Bologna, Atesa, 1980); M.L. Cristiani Testi, San Miniato al Te-desco. Saggio di una storia urbanistica e architettonica, Firenze, Marchi e Ber-tolli, 1967.

Pianta della città di San Miniato nel 1865 (Archivio storico Accademia degli Euteleti, Mate-riali raccolti per la storia di San Miniato da A. Vensi, Fondo varie, 91)

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Segnato dalla confluenza dell’Elsa e dell’Evola nel Valdarno inferiore, il territo-rio di San Miniato ha tratto la sua importanza fin dal Medioevo dalla sua stessa collocazione lungo la direttrice stradale e fluviale posta tra Firenze e Pisa, in pros-simità dell’intersezione con la via Francigena 12. Sebbene centro minore in quella regione costellata di numerose e popolate città 13, San Miniato godeva all’epoca di una certa importanza come snodo commerciale grazie soprattutto al diritto di riscossione di gabelle da parte del Comune ottenuto con privilegio imperiale concesso da Federico II, oltre alle numerose attività economiche, artigianali e agricole 14. Già nel tardo Medioevo, infatti, settori importanti erano il commercio dei prodotti agricoli e del sale, la concia delle pelli, la gestione di mulini, frantoi e fornaci. Sottomessa a Firenze nel 1396, grazie alla granduchessa Maddalena d’Austria la città di San Miniato ricevette nel 1624 un importante riconoscimento con l’ottenimento della sede vescovile concessa da papa Urbano VIII.

La vita e le attività economiche del territorio di San Miniato hanno attraver-sato i secoli con una certa costanza. Le stesse campagne erano ricordate nell’Ot-tocento dal Repetti come caratterizzate da una discreta prosperità. I dintorni del «dorso angusto di una lunga collina» ove si situa la città, benché privi di fonti d’acqua potabile, erano «ben vestiti di oliveti, di vigneti e di frutti squisiti» 15. Le fonti documentarie della prima metà dell’Ottocento, costruite sulla base della rilevazione del catasto lorenese (1817-34) 16, confermano questa immagine degli ordinamenti colturali delle campagne. Dai dati relativi alle comunità sottoposte, in parte o del tutto, alla diocesi di San Miniato, si osserva la quasi costante preva-lenza dei campi destinati alle colture cerealicole con attorno viti, olivi e alberi da

12 P. Morelli, La via francigena nel ter-ritorio di San Miniato, in “Passent la terre Toscane et Montbardon”. I per-corsi della via francigena in Toscana, Atti del convegno internazionale di stu-di (Montalcino, 23-24 maggio 1997), a cura di R. Stopani - F. Vanni, in «Pub-blicazioni del Centro Studi Romei», VI, 1 (1998), pp. 179-185.

13 M. Ginatempo - L. Sandri, L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento (secoli XIII-XVI), Firenze, Le Lettere, 1990. Su questo argomento si veda anche G. Cherubini, Le città italiane dell’età di Dante, Pisa, Pacini, 1991.

14 F. Salvestrini, San Miniato al Tedesco. Le risorse economiche di una città mi-nore della Toscana tra XIV e XV secolo, in «Rivista di storia dell’agricoltura», XXXII, 2 (1992), pp. 95-141.

15 E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, voce San Minia-to al Tedesco, Firenze, 1843, vol. V, pp. 79-105.

16 Si veda su questo C. Pazzagli, L’agri-coltura toscana nella prima metà dell’800. Tecniche di produzione e rapporti mezzadrili, Firenze, Olschki, 1973.Veduta storica di San Miniato

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A. Zuccagni Orlandini, Piccolo Atlante del Granducato di Toscana, Firenze, 1832. Carta geometrica del Granducato di Toscana

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frutto. Si trattava della caratteristica coltivazione promiscua delle aree mezzadrili e dei piccoli proprietari coltivatori, i quali dal campo dovevano ottenere tutti i prodotti necessari per il proprio sostentamento. Seguivano poi i boschi, i pascoli e le terre seminative senza altra coltivazione. La cerealicoltura prevaleva sulle altre coltivazioni, mentre le fave, osservava lo Zuccagni Orlandini nel suo Atlante 17, erano scarse nella Valdelsa perché colpita dal flagello del cosiddetto «oroban-che». La Valdelsa era altresì caratterizzata da una significativa coltivazione dei gelsi, sotto la cura di attenti proprietari. Una «considerabile raccolta» di lino e di canapa era poi presente nelle zone di pianura.

La zona di confluenza in Arno della Valdelsa e della Val di Nievole era segnata poi da numerose attività artigianali e manifatturiere. Nello stesso Atlante figurano lanifici e gualchiere (Castiglion Fiorentino, Empoli), tintorie (Castiglion Fiorenti-no, Empoli, Ponte a Elsa, Montopoli, Santa Croce, Fucecchio, Castelfranco, Santa Maria a Monte), conce di pelli (Castiglion Fiorentino, Empoli «buonissime», Santa Croce). Sempre nel settore tessile si trovavano ottime maestranze per la pettinatu-ra del lino (Fucecchio), mentre a Castelfranco c’erano tessitrici «di buone e belle tele». Fabbriche di cappelli «di pelo» erano anch’esse molto diffuse: San Miniato, Castiglion Fiorentino, Empoli, Fucecchio. Un altro settore molto importante era poi quello delle fornaci di terraglie (Empoli, Montelupo, Fucecchio). A Samminiatello si trovavano addirittura sei fornaci per orci o coppi e vasi da fiori; mentre a Monte Calvoli, celebre per le sue fornaci, se ne trovava allora una «di ottimi crogioli». Vetrerie erano invece situate a Empoli, Montelupo e Montaione (fin dal 1404); una

17 A. Zuccagni Orlandini, Atlante, geo-grafico, fisico, storico del Granducato, Firenze, 1852, tav. xIII.

Istituto Agrario di Meleto, la Villa

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fabbrica di sapone a Castiglion Fiorentino; una cereria a Santa Croce, dove si co-struivano anche navicelli per la navigazione in Arno.

E proprio l’agricoltura costituiva il settore di maggior attenzione del go-verno lorenese 18, per quella riforma dall’alto del Granducato toscano 19. La stessa stagione di studi finalizzati ad un generale miglioramento dell’agricol-tura, che ebbe un momento di particolare importanza proprio fin dalla metà del Settecento, trovò in San Miniato un importante protagonista della bonifica collinare 20. Fu il parroco agronomo sanminiatese Giovan Battista Landeschi che, nei suoi Saggi di agricoltura, si occupò in special modo dei più corretti sistemi di coltivazione e regimazione delle acque su pendici collinari 21. Nel-lo stesso elogio tenuto da Marco Lastri all’Accademia Georgofili l’opera del Landeschi era così presentata:

Quindi avendo trovato terreni della povera sua Chiesa in piagge scoscese, in broti e campi spogliati, di più senza vestigio alcuno di casa colonica, si diede subito a coltivarli, ed in pochi anni gli ridusse pianeggianti per via di ciglioni, pioppati, vitati e pomati, non a forza del suo patrimonio, che non avea, ma per mezzo della sua diligenza ed industria. Fece la casa del contadino per via di grossi masselli formati di ghiaie, di cui abbonda quel luogo, mancante di pietre, ed inventò un ordigno per alzargli al posto con prontezza e facilità 22.

Proprio nella scia di questi studi Agostino Testaferrata, fattore di Cosimo Ridolfi nella villa di Meleto, sperimentò nuovi sistemi di «rigare le pendici» («cavalcapoggio», «tagliapoggio» ecc.). Ridolfi informava sulle pagine del

18 I. Imberciadori, Economia toscana nel primo ’800, Firenze, Accademia dei Georgofili, 1961; Id., Agricoltura al tempo dei Lorena, in I Lorena in To-scana, a cura di C. Rotondi, Atti del Convegno internazionale di studi (Fi-renze, 20-22 novembre 1987), Firenze, Olschki, 1989.

19 R.P. Coppini, Il dibattito sulla riforma dell’agricoltura fra Sette e Ottocento, in «I Georgofili. Atti dell’Accademia dei Georgofili», s. VII (1998), pp. 57-78.

20 I. Imberciadori, “Scoperta e invenzio-ne” della collina. Giovan Battista Lan-deschi, in «Rivista di storia dell’agri-coltura», XXV, 1 (1985), pp. 151-155; R. Landi, Giovan Battista Landeschi e l’origine delle sistemazioni idraulico agrarie delle terre declivi, in «Rivi-sta di storia dell’agricoltura», XLI, 2 (2001), pp. 19-30.

21 G.B. Landeschi, Saggi di agricoltura di un parroco sanminiatese, Firenze, 1775 (rist. anast. Pisa, Edizioni ETS, 1998).

22 M.A. Lastri, Elogio del parroco Sanmi-niatese Giovan Battista Landeschi, in «Atti dell’Accademia dei Georgofili», 3 (1784), p. xVII.

Riunioni agrarie di Meleto

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«Giornale agrario toscano» su tali progressi: i campi e i filari, invece di scen-dere lungo la massima pendenza, andavano disposti orizzontalmente secondo linee parallele a cingere la collina con una leggera inclinazione per permettere alle acque di scorrere nei solchi e nelle fosse 23. È qui che si venne ad inserire la soluzione Testaferrata-Ridolfi con le colmate di poggio per modellare le pen-dici e con la sistemazione «a spina», che rappresentavano uno degli esempi più interessanti di bonifica collinare 24. Tali soluzioni, che attestano l’alta evoluzio-ne raggiunta dalla scienza agraria in Toscana, non ebbero tuttavia un’adeguata diffusione, sia per la complessità di realizzazione, sia per i costi di impianto 25. Allo stesso Cosimo Ridolfi si deve anche la trasformazione della sua villa di Meleto in una sorta di antesignano istituto agrario 26. A Empoli, inoltre, egli ten-ne alla metà del secolo una serie di lezioni agrarie su iniziativa della locale Ac-cademia di Scienze economiche, esempio precursore di cattedre ambulanti 27.

San Miniato, dunque, si inscriveva appieno in quello spirito rinnovatore che animò la Toscana lorenese e georgofila, dedicando particolare attenzione agli stu-di economici, tecnici e alle sperimentazioni volte al miglioramento dell’agricol-tura. Valga come sintesi l’immagine offerta da Zuccagni Orlandini:

Il suolo delle due valli e delle adiacenze è in molti luoghi sterile e ingrato, a cagione dei vastissimi strati di sabbia e ghiaja, dei molti banchi di tufo a grani ruspi e grossolani, e degli orridi mattajoni che lo ingombrano. Ma le fatiche dell’agricoltore e l’azione delle acque promiscuando le diverse qualità di questo terreno, ne formano una specie del tutto nuova, molto

I Saggi di agricolutra di Giovan Battista Landeschi

Le Lezioni orali di agraria di Cosimo Ridolfi

23 C. Ridolfi, Delle colmate di monte, in «Giornale agrario toscano», 1828, 1829, 1830.

24 Tale sistemazione era realizzata con una serie di fosse parallele ad andamento trasversale che seguivano con tratti ret-tilinei le irregolarità della pendice. Esse erano poi collegate fra loro con brevi raccordi obliqui detti «regolatori» che variavano la loro inclinazione al variare della morfologia superficiale, riuscen-do così ad “accompagnare” l’acqua a valle seguendo un sistema di fossi che assumeva nell’insieme un andamento a spina di pesce. Nella fattoria di Meleto le classiche sistemazioni ottocentesche «a spina» sono state recentemente ri-pristinate a cura dell’Accademia dei Georgofili, come contributo alla storia e richiamo all’importanza delle siste-mazioni idraulico agrarie.

25 Cfr. F. Scaramuzzi - P. Nanni, Agri-coltura, in Storia della civiltà toscana, cit.: V, L’Ottocento, pp. 173-215.

26 Cfr. A. Benvenuti - R.P. Coppini - R. Favilli - A. Volpi, La facoltà di agra-ria dell’Università di Pisa. Dall’Istitu-to agrario di Cosimo Ridolfi ai nostri giorni, Pisa, Pacini, 1991.

27 C. Ridolfi, Lezioni orali di agraria, Fi-renze, 1858, 2 voll. (rist. anast. Prato, Giunti, 1980).

Ritratto di Cosimo Ridolfi

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pingue, che ridotta a coltivazione rendesi fertilissima. Fu già detto esser qui il contado assai laborioso; or si aggiunga che da soggetti sommamente benemeriti fu impiegata la sua attività all’introduzione della buona agricol-tura, e viene ora provvidamente diretta al perfezionamento di essa. Il cele-bre paroco Samminiatese G. Battista Landeschi di grata memoria scrisse il primo contro il vergognoso metodo di coltivare a ritto-china, non sordi al saggio avviso gli industriosissimi fattori Baccetti e Testaferrata corressero con gran sollecitudine le vecchie coltivazioni, e molte altre ne formarono di nuovo mirabilmente condotte. Ma il Testaferrata non si limitò alle sole orizzontali arginature, tenendo dietro con somma sagacità alla direzione delle acque pervenne a conseguire l’inapprezzabile intento di sottoporle al servigio dell’agricoltura come il più facile veicolo al trasporto delle terre nella formazione delle colmate, e come apportatrici di vigorosa vegetazione per le irrigazioni; diè poi loro un pronto sgorgo con dolce artifiziosissima pendenza, sì che fossero sempre util cagione di fecondità, giammai di rovi-na o d’infrigidimento. Con tale raffinata industria la vasta tenuta di Meleto divenne per esso un suolo di delizie. L’utile esempio fu energico sprone a migliorare l’agricoltura in molte altre parti di questo territorio. Bello è ora il vedere le moderne coltivazioni di Val di Pesa, le modernissime di Val d’Elsa e quelle pure di Val d’Evola. Ma nei campi di Meleto è il prezioso modello della coltivazione toscana perfezionata. L’attual proprietario di essi march.

Podere Modello sperimentale di Meleto

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C. Ridolfi, cav. coltissimo e benefico promotore di utili istituzioni di ogni maniera, onorò il Testaferrata compiacendosi chiamarlo maestro ed amico, e tenne viva la memoria del suo ingegno aprendo vaste coltivazioni secondo il suo metodo e più perfezionato. Già nei campi di Cusona fu saggiamente imitato il suo esempio; che se da ogni altro proprietario verrà seguitato, gli orridi dirupi argillosi della Val d’Elsa diverranno ben presto ridenti colline, e converrà che ivi si rechi ogni possidente sollecito dell’util proprio, onde apprendervi il vero metodo della coltivazione di monte 28.

Le stesse fonti ci informano poi della presenza di numerosi mestieri tipici della distribuzione in città di prodotti agricoli (speziali, macellai, vinattieri) e di un certo numero di vetturali e mercanti, a conferma dell’attività commerciale. Già nella prima metà dell’Ottocento erano degni di nota il mercato del martedì «di discreto concorso», in cui si trovavano soprattutto cereali, mercerie, bestiame porcino in inverno. A San Miniato si svolgevano poi due fiere particolarmente importanti per il bestiame: la piccola il secondo lunedì di giugno; la grande «di gran concorso» il secondo mercoledì di novembre.

E anche San Miniato partecipò di quel fervore accademico così caratteristico dell’età moderna. Già nel 1644 esisteva un’Accademia cosiddetta degli “Affida-ti”, fondata da mons. Alessandro Strozzi, a cui fece seguito, per opera della fami-glia sanminiatese Buonaparte, quella dei “Rinati” nel 1748. Ma solo dopo gli anni francesi, nel 1822, prendeva forma l’Accademia degli “Euteleti” che vive ancora oggi 29. Tra i soci fondatori figuravano: Damiano Morali, Enrico Bonfanti, Mau-rizio Alli Maccarani, Giovacchino Taddei, Averardo Genovesi, Torello Pierazzi, Pietro Bagnoli. Gli studi accademici riguardavano il diritto, le lettere, la medi-cina. Presso l’Accademia si costituì nel tempo anche un’importante biblioteca, grazie alle donazioni di alcuni dei suoi soci più illustri: Damiano Morali, Giusep-pe Conti, il vescovo Pio Alberto del Corona, Vincenzo Risi. Con l’allargamento dei soci, gli interessi degli accademici si allargarono, toccando i temi ritenuti più importanti all’epoca: agricoltura, statistica agraria, economia, salute pubblica. Questo fervore di studiosi sanminiatesi si concretizzò anche nella realizzazione della Società tipografica dell’Accademia degli Euteleti come strumento per la di-vulgazione delle adunanze e degli scambi accademici e, inoltre, per «incoraggiare e promuovere l’arte tipografica in questa città» 30. La collaborazione tecnica fu offerta dal tipografo Antonio Carresi. Si inaugurò così un’importante tradizione tipografica che vide poi protagonisti anche la famiglia Ristori, Vittorio Bongi e i suoi eredi, i Taviani e i Palagini.

Le peculiari caratteristiche di questa area della Toscana e la sua collocazione strategica tra due città come Firenze e Pisa non bastano ovviamente a spiegare alcune originali iniziative che qui ebbero luogo. Eppure non c’è dubbio che at-traverso i secoli la città di San Miniato e i suoi più illustri cittadini nelle scienze e nelle lettere abbiano saputo far parlare di sé anche grazie alle attività, alle re-lazioni commerciali, alle risorse del proprio territorio e alla stessa vita cittadina, contraddistinta da elementi caratterizzanti centri urbani di maggior dimensione. Nel suo Dizionario, il Repetti annoverava tra gli stabilimenti pubblici di pietà e d’istruzione gli Ospedali riuniti, la Compagnia della Misericordia, il Liceo,

28 Zuccagni Orlandini, Atlante, geografi-co, fisico, storico del Granducato, cit., tav. xIII.

29 Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, in «Bollettino», 51 (1984, suppl.); Inventario dell’archivio storico dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, a cura di S. Nannipieri - A. Orlandi, San Minia-to, 1992; Le letture degli accademici: della produzione e della diffusione del libro e delle biblioteche nella città di San Miniato, Mostra di materiale do-cumentario e librario dell’Accademia, San Miniato, 1994.

30 Le letture degli accademici, cit., p. 49.

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oltre naturalmente alle numerose chiese e monasteri. La diocesi di San Miniato, che copriva un discreto numero di parrocchie e propositure ben oltre il territorio amministrativo della comunità, aveva anche un seminario, dotato di un’antica biblioteca. L’ambiente culturale cittadino, animato da nobili famiglie, portò an-che alla costituzione di altre accademie. Quella dei “Volontari di San Miniato” (1817) 31 si occupò dell’acquisto e della gestione del teatro di via Fagognana di Sotto, inaugurando così una specifica attività che ha trovato più di recente un’ideale continuazione nel 1947 con l’Istituto del Dramma Popolare, ancora per iniziativa dell’Accademia degli Euteleti. Altre benemerite società ed inizia-tive nate nel corso dell’Ottocento furono la “Società Ginnastica e Pubblica Assi-

31 Archivio storico del Comune di San Miniato (ASSM), Accademia dei Vo-lontari di San Miniato (1814-1865), nn. 751-781.

C. Ridolfi, Delle colmate di monte, in «Giornale agrario toscano», 1828

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stenza”, la “Società del Buon Umore” 32, e poi la biblioteca comunale aperta nel 1894 33. Già nel 1803 l’allora vescovo Bruno Fazzi aveva ricostituito l’“Opera del Santissimo Crocifisso”, custode dell’oratorio del santuario e animatrice di attività di pubblica utilità 34.

2. la nasCIta della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

La nascita della Cassa di Risparmio di San Miniato si colloca nel contesto di questa fervente attività filantropica cittadina. Fu infatti dall’interno delle tornate dell’Accademia degli Euteleti che venne concepito il progetto di dare vita anche qui ad una Cassa di Risparmio affiliata a quella di Firenze 35. Con l’inaugurazione della Cassa fiorentina, annunciata col Manifesto del 23 aprile 1829 e aperta al pubblico il 5 luglio dello stesso anno nei locali assegnati dal Granduca al piano terra di palazzo Riccardi, anche in Toscana aveva infatti preso avvio questa nuova istituzione che in pochi anni avrebbe raggiunto le principali città del Granducato 36.

2.1 Note sulle origini delle casse di risparmio in Toscana

Le origini e lo sviluppo delle casse di risparmio in Toscana rappresentano un tema di notevole interesse nella storia granducale ottocentesca 37. Benché inscritte in una lunga tradizione di banchieri, che fin dal Medioevo avevano segnato la vita economica delle principali città toscane 38, esse costituirono una novità della prima metà del XIX secolo insieme alle cosiddette casse di scon-to 39. Se queste ultime nascevano all’interno di una precisa prospettiva com-merciale, ben diverse erano le finalità entro cui furono elaborate le casse di risparmio. Nate infatti con una precisa finalità filantropica, esse perseguivano tale intento mediante la creazione di un reddito derivante dal risparmio, anziché tramite opere di assistenza. Sia nel caso della Cassa di Firenze, sia di quella di San Miniato, il progetto fu sostanzialmente portato a compimento all’interno di quel mondo dei «moderati» toscani che facevano riferimento all’Accademia dei Georgofili 40, che aveva a sua volta relazioni con quella sanminiatese degli Euteleti. La nascita delle cosiddette casse «affigliate» alla sede centrale fioren-tina rifletteva naturalmente condizioni e caratteristiche specifiche dei fondatori e dei luoghi dove esse si situavano. Nel caso della Cassa di San Miniato non va dimenticato lo stesso Cosimo Ridolfi, animatore dell’Accademia dei Georgofili e fondatore del «Giornale agrario toscano» 41. Con la sua villa-istituto a Meleto, egli rappresentava un importantissimo legame tra Firenze e il Valdarno inferio-re, e fu certamente grazie anche alla sua presenza che San Miniato fu la seconda città a seguire l’esempio fiorentino, preceduta solo da Figline, che aveva come segretario un altro “georgofilo”, Raffaello Lambruschini 42.

Non è facile far percepire cosa sia stato l’ambiente georgofilo della Toscana della prima metà dell’Ottocento 43. Certo immediatamente si fa riferimento ad alcuni aspetti caratterizzanti nei settori specifici dell’economia, dell’agricoltura, della politica, della letteratura e delle arti. Ma ciò che desta maggiore interesse è la presenza di determinati personaggi in ognuno di questi campi. Si è parlato così

32 ASSM, Associazioni diverse sanminia-tesi (1883-1955), nn. 813-814.

33 ASSM, Atti relativi alla biblioteca (1894-1944), nn. 1964-1965.

34 ASSM, Opera del SS. Crocifisso (1399-1786), nn. 263-338; Archivio storico dell’Accademia degli Euteleti (AAE), Opera del SS. Crocifisso (1710-1929), nn. 86-89.

35 I fondatori della Cassa sanminiatese erano infatti in gran parte membri del-l’Accademia degli Euteleti.

36 Cfr. g. Martini-Bernardi, La Cassa Centrale di Risparmi e Depositi di Fi-renze e sue affigliate. Notizie e Docu-menti, Firenze, Tip. di Savadore Landi, 1890, 2 voll.

37 L. De Rosa, Storia delle Casse di Ri-sparmio e della loro associazione (1822-1950), Bari, Laterza, 2003.

38 La Cassa di Risparmio di Firenze. Breve compendio di una lunga storia, a cura di M. Magini, Firenze, Olschki, 1992.

39 Cfr. Coppini, Banca e finanza, cit.40 L’Accademia dei Georgofili fu fondata

a Firenze nel 1753 dall’abate Ubaldo Montelatici.

41 Edito da Gian Pietro Vieusseux, il «Giornale agrario toscano» fu pubbli-cato a Firenze dal 1827 al 1865. I com-pilatori erano Cosimo Ridolfi, Raffael-lo Lambruschini, Lapo de’ Ricci.

42 I. Imberciadori, Raffaello Lambruschini il “romantico della mezzeria”, in «Ri-vista di storia dell’agricoltura», XIV, 3 (1974), pp. 89-110; Centenario di Raf-faello Lambruschini (1873-1973), in «Il Centro» XXI-XXII (1973, suppl.).

43 z. Ciuffoletti, L’Accademia economi-co-agraria dei Georgofili, in «Quader-ni storici», settembre 1977.

Diploma di ammissione dell’Accade-mia degli Euteleti

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in più occasioni della Firenze del Capponi e di Vieusseux 44, e a ragione, poiché la cultura fiorentina e toscana trovò in questi protagonisti una risorsa determinante. Accanto a questi nomi figuravano poi altri georgofili, quali appunto il Ridolfi o il Lambruschini. Alla spinta per un reale miglioramento dell’agricoltura, elemento principale dell’economia del Granducato, si legavano anche interventi concreti nel campo dell’istruzione, così come in quello della salute pubblica. Sebbene fin dal Settecento i georgofili si fossero occupati di istruzione, segnatamente in cam-po tecnico agrario 45, è negli anni immediatamente successivi alla dominazione francese che si aprirono a Firenze le scuole di “Reciproco insegnamento” 46. Si trattava di un metodo pedagogico ben preciso, in cui gli stessi alunni erano coin-

44 Cfr. E. Sestan, La Firenze di Vieusseux e di Capponi, Firenze, Olschki, 1986; C. Pazzagli, Gino Capponi e le letture di economia Toscana all’Accademia dei Georgofili, in Gino Capponi. Storia e progresso nell’Italia dell’Ottocento, a cura di P. Bagnoli, Convegno di studio (Firenze, 21-23 gennaio 1993), Firen-ze, Olschki, 1994.

45 I. Imberciadori, Sulle origini dell’istru-zione agraria in Toscana, in «Econo-mia e Storia», fasc. I (1961).

46 Lucia Bigliazzi - Luciana Bigliazzi, “Reciproco insegnamento”, il contri-buto dei Georgofili, Firenze, Accade-mia dei Georgofili, 1996.

La Rocca di Federico II, San Miniato

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volti nell’attività formativa. Gli stessi dibattiti intorno alla mezzadria, inoltre, non vertevano soltanto intorno ad aspetti tecnici o economici, ma anche morali 47.

Fin dal 1819 i georgofili avevano affrontato la questione relativa alla creazio-ne di una Cassa di Risparmio a Firenze, e a tal fine avevano nominato una com-missione per esaminare un’analoga esperienza già in atto in Francia. La relazione presentata da Ferdinando Tartini 48 a nome di tale commissione – formata inoltre dal marchese Incontri, dai cavv. Bonaccorsi e Baillou, e dal Buonarroti – giudica-va ampiamente positiva l’esperienza esaminata, e auspicava l’ipotesi di ripetere a Firenze una simile iniziativa. Gli obbiettivi con cui tali auspici erano sostenuti riguardavano innanzitutto la «morale pubblica»:

Non vi ha sicuramente dubbio che la moralità possa aumentarsi nelle classi in-feriori in grazia della nuova istituzione. Colui che vede la maniera d’assicurarsi un’esistenza comoda nel tempo più infelice della vita, è nel tempo istesso persuaso che l’unica strada per giungervi è l’applicazione al lavoro. Il proprio interesse lo spinge dunque al lavoro, il lavoro necessariamente alla moralità. Un uomo che si affatica a lavorare quanto gli è possibile, e impiega il suo guadagno in una maniera utile non può essere immorale, dee anzi correggersi se lo era avanti, sicuro di la-sciare una fortuna a suoi figli; un uomo sarà buon padre, buon marito, e contento raddoppierà ogni giorno i suoi sforzi, si servirà di una porzione del frutto di questi per provvedere ai bisogni attuali, rilasciando il rimanente per quel tempo nel quale egli separato da’ suoi figli non potrebbe più soccorrerli, tempo che ben a ragione fa tremar molti dei padri scarsi di mezzi i quali talvolta scoraggiati da una idea sì trista abbandonano l’educazione dei loro figli ai quali lasciano per tristo retaggio la miseria, l’ignoranza, l’immoralità 49.

E al tempo stesso anche la «ricchezza pubblica»:

47 G. Capponi, Sui vantaggi e svantaggi sì morali che economici del sistema mezzeria, in «Continuazione degli Atti dei Georgofili», XI-XII (1833-1834); C. Ridolfi, Della mezzeria in Toscana nelle condizioni attuali della possiden-za rurale, in «Continuazione degli Atti dei Georgofili», n.s. 2 (1855), (memo-ria letta il 4 marzo 1855); P. Cuppari, Considerazioni sulla mezzeria toscana, in «Giornale agrario toscano», 1858.

48 F. Tartini, Rapporto riguardante la nuova Cassa di Risparmio eretta in Francia, in «Atti dell’Accademia dei Georgofili. Continuazione», II (1819), pp. 367-378.

49 Ibid., pp. 375-376.

Giornale delle Entrate e delle Uscite (1830) Libretto di Credito (1870 )

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Né piccol vantaggio alla ricchezza pubblica può recare la nuova cassa. Quelle piccole somme che inattive resterebbero rinchiuse presso i contadini, e gli operai, depositate una volta, ritornano in circolo, né mancar possono all’oggetto di chi l’aveva ammassato, che anzi aumentansi con vantaggio del particolare che le pos-sedeva, mentre circolando arrecano un vantaggio non minore al pubblico 50.

Il Tartini, infine, si soffermava anche a sostenere la maggiore capillarità nei con-fronti di «tutte le classi di persone» di tale iniziativa rispetto ad altre forme di mutuo soccorso, poiché offriva anche all’«infima classe degli operai» una «via per utilizzare quei risparmi che l’attività e l’applicazione al lavoro potrebbero loro permettere» 51.

Alcuni anni passarono per studiare meglio i dettagli. I problemi maggiori da affrontare erano da un lato la diffidenza che un simile istituto avrebbe potuto in-contrare se il terreno non fosse stato ben preparato; dall’altro il fatto che non esi-steva un giudizio univoco su quale fosse l’impiego più sicuro e remunerativo per le somme di denaro depositate 52. A tale proposito, e anche successivamente nella fase operativa del progetto, fu di notevole importanza la collaborazione di Jean Gabriel Eynard, amico del Vieusseux e consigliere finanziario del Granduca 53.

Nell’ottobre del 1828, i compilatori del «Giornale agrario toscano», Lapo de’ Ricci, Cosimo Ridolfi, e Raffaello Lambruschini, si risolvevano a scrivere una lettera al Vieusseux da pubblicarsi sulle pagine dell’«Antologia», dove ren-devano pubblici i loro propositi. L’aspetto economico era inscindibilmente legato a quello morale e sociale: il problema della povertà e dell’indigenza, infatti, era considerato in relazione al degrado morale 54. Per questo, affrontare il problema del pauperismo e individuarne delle soluzioni comportava anche un contributo

50 Ibid., p. 37651 Ibid., p. 377.52 R.P. Coppini, Timore del nuovo: Gino

Capponi, i moderati toscani e le casse di risparmio, in Gino Capponi. Storia e progresso nell’Italia dell’Ottocento, a cura di Bagnoli, cit., pp. 197-207.

53 Su tutto questo argomento si veda l’am-pio studio di g. Pavanelli, Dalla carità al credito. La Cassa di Risparmio di Firenze dalle origini alla Prima Guerra Mondiale, Torino, Giappichelli, 1991. Sempre sulla storia della Cassa di Rispar-mio di Firenze occorre ricordare i vecchi volumi, nel 1984 in ristampa anastatica, sui primi sessant’anni di vita, contenenti inoltre molti documenti editi e inediti: Martini-Bernardi, La Cassa Centrale di Risparmi e Depositi di Firenze, cit. Di recente, La cassa di Risparmio di Firen-ze, a cura di Magini, cit.

54 Su questo argomento si rimanda a: b. Geremek, La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Euro-pa, Bari, Laterza, 1986. Si veda anche G. Gozzini, Il segreto dell’elemosina. Poveri e carità legale a Firenze (1800-1870), Firenze, Olschki, 1993.

Manifesto della Cassa di Risparmio di Firenze, 1829

Libretto di Deposito al Portatore (1920)

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al progresso morale e civile. In quest’ottica si inserirono le argomentazioni dei georgofili nella loro lettera all’«Antologia»:

Il popolo vive del frutto dei suoi sudori, ed è bastantemente provveduto, è tran-quillo e felice, finché la salute e le forze, che sono il suo capitale, non lo abban-donano, finché non gli manca il lavoro, e finché il suo lavoro è dovutamente retribuito. Ma una morte impensata rapisca ad un tratto il capo ed il sostegno della famiglia; anche solamente una malattia che lo renda inoperoso, ed accre-sca i bisogni nel mentre che distrugge i guadagni; l’incaglio improvviso d’una manifattura, d’un ramo qualunque di commercio arresti le ricerche d’un dato lavoro, o lo renda troppo poco fruttuoso, ecco i lavoranti ridotti alla miseria, ecco mogli e figliuoli mal nutriti, mal coperti, sbandati. I giorni della prosperità sono scomparsi, e non hanno lasciato al povero nessun aiuto pei giorni della sciagura. Egli non ha allora altro scampo che la pubblica e privata carità. Ed è ben giusto che questo scampo vi sia, e meritano certamente la stima e la rico-noscenza di tutti i buoni le persone che versano il superfluo della ricchezza nel seno della indigenza. Ma questi soccorsi gratuiti, sempre lodevoli per l’inten-zione di chi li porge, spesso utilissimi, e molte volte indispensabili, sono anche non di rado occasione e motivo di gravissimi inconvenienti. Destinati al vero bisognoso, cadono ben sovente nelle mani del pigro e dello sfacciato, e inco-raggiscono l’ozio, il vagabondare e i vizi che ne sono la conseguenza. Offerti anche con discernimento ai soli meritevoli, addormentano l’ingegno e l’attività del miserabile, che non sente più il pericolo della sua situazione, e non si forza, o si sforza debolmente d’uscirne; spengono in lui lo spirito di previsione; sfron-tano a poco a poco il suo nativo pudore, e di un artista industrioso, costumato, indipendente, lo riducono adagio adagio uno stupido e abietto accattone 55.

55 Dalla Lettera de’ compilatori del Gior-nale Agrario Toscano al Direttore del-l’Antologia, in «Antologia», 32 (1829), p. 149. Poi in Martini-Bernardi, La Cassa Centrale di Risparmi e Depositi di Firenze, cit., pp. 42-54.Libretto di Conto Corrente (1919)

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Pur riconoscendo i meriti della «pubblica e privata carità» di fronte ai bisogni dei poveri, si denunciava il fatto che talvolta questi «soccorsi gratuiti» erano mo-tivo di gravi inconvenienti. Diversa l’ipotesi di uno strumento che stimolava la responsabilità individuale dei lavoratori, consentendo di investire anche piccole somme di «soprappiù», altrimenti insignificanti:

Questa nascente ricchezza deve servire ai bisogni futuri; si dee dunque custo-dirla perché non manchi nel giorno della necessità, si deve accrescerla perché sia meno sproporzionata al suo fine, e perché alletti chi la risparmiò, a rispar-miarne altre e maggiori 56.

Alcuni illustri cittadini accolsero questo appello, e il 12 marzo del 1829 ri-volgevano al Granduca la domanda di apertura di un cassa di risparmio, ottenen-do in pochi giorni la necessaria approvazione 57. Con i “manifesti” pubblici del 23 aprile e del 25 giugno veniva resa pubblica la notizia con tutti i particolari dell’operazione, fra cui la somma minima per ogni deposito, un decimo di fiorino, e la massima, venti fiorini. L’interesse era pari al 4% annuo, e veniva calcolato trimestralmente. Gli investimenti che furono adottati, secondo gli indirizzi dettati dai fondatori, riguardavano prestiti a Comuni o istituzioni, a privati con garanzia ipotecaria, finalizzati anche alla realizzazione di opere pubbliche.

L’evoluzione che le casse di risparmio ebbero in Toscana, naturalmente, fu ben più complessa. Nella sede fiorentina, dopo il primo decennio dalla fondazio-ne, i singoli depositi di valore inferiore a quattro fiorini, più facilmente attribuibili a ceti popolari, ammontavano solo al 10% del totale 58. La Cassa di Risparmio di Firenze risultava così un’importante forma di investimento anche per «possessori di capitali inoperosi», allontanandosi così dai principi istitutori e inducendo gli amministratori a prevedere un abbassamento degli interessi sui depositi al fine di arginare gli speculatori:

Gli Amministratori della Cassa di Risparmio non potevano pertanto restare indifferenti, tostoché avevan ragione di temere che uno stabilimento da essi creato ad esclusivo benefizio delle meno agiate ma econome e previdenti per-sone fosse invaso, o anche in pericolo di essere invaso dagli speculatori: i quali assorbirebbero a loro vantaggio una gran parte dei mezzi di cui la Cassa può disporre per l’impiego di capitali propri, e sarebbero poi di moltissimo danno alla Cassa medesima, forse esponendo a pericolo la sua esistenza, e sicuramen-te imbarazzondone l’andamento in modo da diminuire assai gli aiuti che ella porge a coloro per i quali fu istituita 59.

Nella Cassa fiorentina si verificava così, fin dai primi decenni di attività, una forte spinta verso l’allargamento dell’attività ad un ben più vasto pubblico «alquanto di-verso da quello per cui gl’inventori le avevano ordinate» 60. Nata come istituto filan-tropico, essa si indirizzava così, fin dall’Ottocento, verso una gestione più articolata con caratteristiche peculiari di un istituto di credito 61. Tale orientamento si sarebbe poi concretizzato con la legge del 15 luglio del 1888, che provvedeva a dare un nuovo assetto e una ridefinizione all’attività delle casse di risparmio, eliminando i vincoli che ponevano limiti all’ingresso di capitali e alle forme di investimento 62.

56 Loc. cit.57 Successivamente venne stilato un pro-

getto di regolamento della «Società», approvato da Pietro Leopoldo II il 4 giugno 1829.

58 G. Ginori - G. Baldasseroni, Rapporto alla Società della Cassa di Risparmio sull’amministrazione dell’anno 1937, in «Giornale agrario toscano», 1838, p. 164.

59 Relazione della commissione per la riforma dei primi regolamenti della Cassa pubblicati per le stampe contem-poraneamente al relativo Manifesto (12 ottobre 1835), in Martini-Bernardi, La Cassa Centrale di Risparmi e Depositi di Firenze, cit., pp. 177-178.

60 E. Poggi, Rapporto sull’amministra-zione della Cassa Centrale di Risparmi e Depositi di Firenze, in Discorsi eco-nomici, storici e giuridici, Firenze, Le Monnier, 1861, p. 154.

61 Su questo si veda Pavanelli, Dalla cari-tà al credito, cit.

62 Atti del primo Congresso nazionale tenuto in Firenze nei giorni 22-24 no-vembre 1886, Roma, Tip. Delle Terme, 1960.

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63 Soci fondatori: Pierazzi can. Torello; Pini nob. Cosimo; Ansaldi nob. Bal-dassarre; Mantovani Giovacchino; Alli Maccarani nob. avv. Maurizio; Gaz-zarrini dott. Nicola; Mercati nob. Da-rio; Vallini can. Giuseppe; Lottini can. Cesare; Berni dott. Giuseppe; Toscani dott. Iacopo; Piccardi can. Giuseppe; Morali nob. cav. Giuseppe; Migliorati nob. Vincenzo; Paroli Pietro; Giunti can. Vincenzo; Morali nob. Damiano; Bagnoli can. prof. Pietro; Pazzini Giu-seppe; Mannini Michele; Mannini An-drea; Gelati Giuliano.

64 Manifesto, 14 giugno 1830.

2.2 Dalla nascita all’autonomia

Sulla scia delle stesse istanze che avevano portato alla fondazione della Cas-sa di Risparmio di Firenze si indirizzarono anche i membri dell’Accademia san-miniatese degli Euteleti. Fin dal 1829 era stata presentata una richiesta al Gran-duca di poter istituire una cassa di risparmio affiliata a quella fiorentina. Firmatari dell’iniziativa erano l’allora segretario dell’Accademia degli Euteleti, il canonico Torello Pierazzi, che poi sarebbe divenuto vescovo di San Miniato, ed altri acca-demici: il gonfaloniere nobile Baldassarre Ansaldi, il nobile Dario Mercati, l’avv. Maurizio Alli Maccarani. I tempi furono relativamente brevi. Con il sovrano re-scritto del 23 gennaio 1830 e con l’assenso del consiglio della Cassa di Risparmio di Firenze del 25 febbraio 1830 si poté avviare la raccolta dei soci fondatori. Ven-tidue cittadini di San Miniato sborsarono in parti uguali quattrocento fiorini come capitale infruttifero per dotare l’istituto della sede e per le spesse correnti. Il 27 aprile nel Palazzo comunale si adunarono in assemblea i fondatori della società anonima 63. Venne nominato il primo consiglio di amministrazione presieduto dal Pierazzi, e con Alli Maccarani vice presidente, l’Ansaldi cassiere, Pietro Paroli computista, Damiano Morali, Dario Mercati e Vincenzo Migliorati consiglieri. Il 14 giugno 1830 venne così presentato al pubblico il Manifesto della Cassa filiale di Risparmio di San Miniato, e il 6 luglio fu aperta l’attività.

Nell’incipit dello stesso Manifesto, con cui veniva data notizia dell’apertura della Cassa a San Miniato, si faceva esplicito riferimento alla volontà di svolgere, modificare, applicare i vantaggi delle più provvide istituzioni toscane anche per i sanminiatesi. Il Manifesto enucleava gli intenti del nuovo istituto:

Comunicare alla Patria tutti i vantaggi delle più provvide istituzioni toscane, chiamarla partecipe alle utili industrie de più filantropi abitatori della Atene novella. A profitto del patrio suolo, svolgerle, modificarle applicarle così, che si rendano più d’appresso proficue ai Sanminiatesi, ed insieme agli abitanti delle illustri terre, che ne circondano, e delle opime campagne, che ne coronano, è sacro dovere, ed è pur’anco fervido voto dei più distinti concittadini, che solo a se stessi conoscono di non vivere, ma della illustre diligenza, e dello zelo sollecito ai loro simili si conoscono debitori.Il perché formata appena in Firenze una nobile società, che offriva al fortunato toscano popolo una cassa di risparmio nella metropoli, non restammo indif-ferenti all’esempio di tanta virtù, e desiderosi di comunicare più diretti, e di rendere più facili a conseguire nella nostra città, e ne’ suoi feraci dintorni tutti quei beni, e morali, ed economici che ridondano dalla benefica istituzione, dopo molte premure ed operose ricerche ci avvenne pure finalmente di stabilire in fra noi un salutare istituto 64.

I principali destinatari del nuovo istituto filantropico erano indigenti, padri di famiglia, artigiani, bisognosi:

All’indigente il pane del suo riposo nella stanca vecchiezza, al padre affettuoso il mezzo di non difficile collocamento per una tenera figlia, al defaticato arti-giano il facile insegnamento di restarne nell’albergo tranquillo. A tutta la classe

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dei bisognosi un utile impulso, che gli allontani dalle inutili spese (e spesse volte nocevoli) o del periglioso dissipamento, o dell’uso predominante, e colla speranza di un onesto guadagno, la impegni dai giorni primi della tenera adole-scenza alle regole, ed alle leggi di una provida economia 65.

Con l’espressione di questi intenti si avviava così l’attività della Cassa filiale di San Miniato che, fino alla data del suo distacco e autonomia, ebbe il titolo di «cassa affigliata di prima classe».

L’organizzazione dell’attività rispecchiava naturalmente gli ordinamenti previsti dalla casa madre, tanto che all’inizio dell’attività la nuova istituzione filantropica non ebbe bisogno di dotarsi di particolari regolamenti. Solo a di-stanza di anni si avvertì la necessità di alcuni provvedimenti. Il 3 gennaio 1839 fu nominata una commissione formata dal vescovo Pierazzi (sostituito poi dal canonico Giuseppe Conti), da Baldassarre Ansaldi (sostituito, dopo la sua morte, da Pietro Franchini), Damiano Morali e Leopoldo Bertacchi. Gli obiettivi che la commissione si prefisse erano quelli di ampliare il numero dei componenti del consiglio di amministrazione, affidandogli «estese facoltà»; quindi di disgiungere le funzioni di «vigilanza primaria della società» affidate al presidente e ai con-siglieri «da tutto ciò che coll’esecuzione delle misure da loro ordinate si riferis-se» 66. Veniva così istituita una nuova carica di direttore al quale erano conferite le funzioni di esecuzione e di sorveglianza dell’attività della Cassa, in modo tale che «tolto il vizio che presenta l’odierno sistema, riunendo nel Presidente queste due qualità, nel nuovo progetto ambedue queste cariche vengono ad esser messe in una corrispondenza tale che una serve all’altra d’impulso al retto e pronto eser-cizio dei respettivi uffizi» 67. Si provvedeva poi a definire i ruoli degli impiegati, i quali potevano essere assunti anche al di fuori degli azionisti. Fin dalla costi-tuzione, infatti, il carattere di istituto filantropico era confermato anche dal fatto che gli stessi fondatori si erano accollati i compiti di svolgimento delle operazioni al pubblico. Il cassiere doveva quindi presentare garanzie con «idonea ipoteca o mallevadoria». Il regolamento, approvato nel 1842, non faceva altro che confer-mare i motivi originari che avevano portato alla fondazione della Cassa, «i veri progressi del moderno incivilimento»:

Dodici anni già son trascorsi dappoiché alcuni benemeriti cittadini Sanminiatesi lieti all’idea di poter diffondere nella lor patria i vantaggi di una delle più prov-vide istituzioni sociali, e di offrire ai laboriosi abitanti di questa fertil provincia i mezzi di utilizzare anche l’obolo delle piccole industrie sulle norme già un tempo ispirate al filantropico genio di Francklin, emulando solleciti l’esempio della metropoli fondavano fra noi sotto gli auspici del sovrano veneratissimo rescritto del 23 gennaio 1830 una Cassa di Risparmio, addimostrando così che questa stessa città non era delle ultime ad apprezzare i veri progressi del mo-derno incivilimento 68.

Erano poi ribadite le finalità dell’istituzione:

È certo infatti che l’industrioso operaio il quale nel giorno o nella settimana ri-sparmia piccole somme che non troverebbe come collocare ad imprestito assue-

65 Loc. cit.66 ACSM, Statuti e regolamenti, s. I, 3,

Regolamento per l’anonima Società della Cassa di Risparmio di San Minia-to, 26 set. 1842.

67 Loc. cit.68 Ibid., c. 8.

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facendosi all’ordine, all’economia, al trionfo di voglie transitorie e meschine, e profittando invece dei vantaggi che queste istituzioni gli offrono trova a suo tempo un deposito che gli fornisce il mezzo di sostenersi nell’infortunio e di menare più agiata e più tranquilla la vita negli estremi giorni della vecchiezza. Il povero per quanto laborioso ed onesto più di ogni altro però, travagliato dalle malattie e dalla miseria o per la scarsità dei lavori o per l’abbassamento della mano d’opera vi ritrova esso pure a così tristi e sconfortati vicende un utile riparo ed un rassicurante compenso. Il padre che deve collocare la figlia ed ali-mentare una famiglia che non lavora e consuma, trova egualmente nelle casse di risparmio la più sicura guarantigia della continuazione di quell’agiatezza che la saggia sua economia gli ha preparato, raggiungendo, senza privazioni ulteriori e tanto maggiormente penose quanto più l’età si accosta ai confini della vita quello scopo a cui le paterne sue sollecitudini gli hanno così agevolmente aperta la via.Quante speranze di guadagno non si sono in tal modo aperte di più al povero con i mezzi medesimi della sua stessa economia! Il vizio, la scostumatezza, la crapula, l’ozio, il giuoco, il lusso, non ricevono forse dalle casse di risparmio un freno salutare? L’industria infine e le pubbliche intraprese con gli assegni delle casse raccolti quale maggiore sviluppo non hanno risentito nei mezzi che facili e pronte offrono per assumere con lo sconto di crediti realizzabili solo a lungo tempo ed in rate, delle nuove e più vaste speculazioni? 69.69 Ibid., cc. 5 r/v.

Numero speciale per l’inaugurazione della Sede della Cassa di Risparmio e Depositi di San Miniato (7 maggio 1922)

La nuova sede del 1922

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A distanza di pochi anni, nel 1847, Bertacchi e Morali presentarono alcu-ni rilievi in merito alle disposizioni che regolavano gli obblighi e i doveri dei deputati che dovevano garantire la presenza alle sedute settimanali e ai siste-mi di elezione delle cariche di direttore e dei sindaci. In particolare, si pro-poneva di istituire una nuova figura di impiegato, il provveditore, che doveva «risiedere personalmente alla Cassa in occasione delle ordinarie tornate» 70. Gli ordinamenti, tuttavia, rimasero invariati e furono adottati i regolamenti della Cassa centrale di Firenze per le «Casse affigliate» 71.

L’andamento delle casse di risparmio in Toscana fu in qualche modo influenzato dalle complesse vicende politiche che interessarono un po’ tutti gli stati preunitari. Dalle fonti del ministero per l’Agricoltura, Industria e Commercio risultano alcuni dati riepilogativi circa le casse di risparmio in Italia dalla loro fondazione. Per la Toscana i dati evidenziano un aumento del numero dei libretti e dei crediti dei depositanti concentrato soprattutto nel decennio 1850-60. Nella regione, la Cassa di Firenze copriva da sola oltre la metà del totale. Per quanto riguarda i dati di San Miniato, il numero dei libret-ti passò da 447 nel 1840, a 454 nel 1850, e a 1.222 nel 1860, per un credito dei depositanti complessivo nello stesso periodo di 44.909, 42.428 e 195.393 lire italiane 72. L’attività dei primi decenni si svolse con investimenti in settori protetti: prestiti chirografari a corpi morali, mutui alla città di San Miniato, versamenti alla Cassa di Risparmio di Firenze che ne curava l’impiego.

Alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento la Cassa di San Miniato fu investita da due diversi ordini di problemi, il primo concernente di nuovo l’organizzazione interna, il secondo i rapporti con la sede centrale fiorentina. Nel 1878 il consiglio di amministrazione fu incaricato di provvedere ad un nuovo progetto di riforma del regolamento. Gli aspetti che furono affrontati riguardavano l’amministrazione dei soci e, in particolare, l’abolizione del-l’obbligo di acquistare azioni; la compatibilità o incompatibilità della qualità di socio con quella di impiegato; le competenze del consiglio di ammini-strazione soprattutto in materia di assunzione, regolazione degli stipendi e licenziamento degli impiegati. La Cassa sanminiatese avvertì infatti la neces-sità di dare un nuovo assetto alla propria attività, che rispecchiava ancora le caratteristiche di istituto filantropico. Se gli inizi erano stati caratterizzati da una forma di impegno diretto da parte dei soci fondatori, sia finanziario per assicurare un fondo necessario per l’avvio dell’attività, sia per l’espletamento delle funzioni al pubblico, a distanza di circa cinquant’anni occorreva preve-dere una nuova organizzazione. L’ampliamento dell’attività e l’espletamento delle operazioni al pubblico rendeva necessaria, di conseguenza, l’assunzione di impiegati per ricoprire i singoli “uffici”. Al consiglio di amministrazione rimaneva il compito di organizzazione del personale, delle specifiche man-sioni. Si trattava di un passaggio importante nella storia della Cassa, poiché i tempi richiedevano la realizzazione di una nuova organizzazione interna, più adeguata all’evoluzione dell’attività.

L’evento che maggiormente caratterizzò la vita della Cassa sanminiatese negli anni 1878-80 fu poi il coinvolgimento nella crisi della sorella maggiore, travolta dai debiti causati dal trasferimento della capitale a Roma. Dai libri

70 ACSM, Statuti e regolamenti, s. I, 5, Rapporto della Commissione incarica-ta della modifica del regolamento della Cassa di Risparmio di San Miniato, 29 apr. 1847, cc. 8

71 Cfr. Martini-Bernardi, La Cassa Cen-trale di Risparmi e Depositi di Firenze, cit., pp. 264-270.

72 ACSM, A. Bachi, Relazione del diretto-re al Consiglio di Amministrazione, in Conto generale della gestione del 1910, San Miniato, 1911, p. 12. Cfr. anche i dati rielaborati da De Rosa, in Storia delle Casse di Risparmio, cit., p. 38.

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di amministrazione la situazione patrimoniale della Cassa in questo periodo risulta passata da un avanzo di 116 mila lire ad un disavanzo di 23 mila. I titoli pubblici e i prestiti “fiorentini”, infatti, vennero bruscamente dimezzati del loro valore. Con un duro lavoro svolto in quegli anni, la Cassa sanminiatese riuscì a superare questa grave emergenza, ponendo le basi per il definitivo distacco.

La decisione che portò alla rinascita della Cassa di Risparmio e Depositi di San Miniato fu approvata dall’assemblea generale dei soci il 4 maggio 1879. Una commissione speciale venne costituita per lo studio del futuro ordinamento 73. Il 17 settembre del 1881 fu quindi deliberata l’autonomia della Cassa e il 14 marzo del 1882 fu approvato lo statuto. Con il decreto reale del 14 gennaio 1886, su pro-posta del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, la Cassa di Risparmio di San Miniato fu riconosciuta quale ente autonomo 74.

L’articolo 1 del nuovo statuto riproponeva la caratteristiche “storiche” del nuovo istituto:

Esiste nella città di San Miniato una società anonima costituita fino dal 1830, la quale ha per scopo di dirigere e mantenere nella città suddetta in vantaggio delle classi meno agiate, una Cassa di Risparmio destinata a ricevere anche i Depositi ed avente la propria sede nella città medesima, nello stabile di sua proprietà 75.

Il numero dei soci era fissato in cinquanta, i quali nominavano al pro-prio interno un consiglio di amministrazione, il direttore i sindaci revisori. I ri-sparmi erano raccolti mediante appositi libretti, a fronte di interessi su base annua che si aggiravano intorno al 3,5% 76. Erano previsti versamenti da un minino di dieci centesimi a un massimo di duemila lire. Versamenti e interessi cumulati ol-

73 ACSM, Statuti e regolamenti, s. I, 8, Regolamento per la Società della Cas-sa di Risparmi e Depositi di San Minia-to, 1880, cc. 50.

74 «La Cassa di Risparmio di San Minia-to, già filiale di prima classe della Cassa Centrale di Risparmio di Firenze è rico-nosciuta come Istituto autonomo e ne è approvato il nuovo statuto organico, composto di ottanta articoli, visto d’or-dine nostro dal Ministero proponente» (Statuto della Cassa di Risparmio e Depositi di San Miniato, San Miniato, 1886, p. 4).

75 Ibid., p. 5.76 «Fino al 1850 l’interesse corrisposto fu

del 3,60 e anche del 3,50; col 1850 il saggio dell’interesse si elevò fino al 5; decrebbe poi sempre, salvo un brevis-simo rialzo nel tempo della crisi della Cassa Centrale; nel 1880, scese al 3,50, ove anche oggi [1910] si è conservato» (Bachi, Relazione del direttore al Con-siglio di Amministrazione, cit., p. 9). La sede di Empoli (1930), nell’attuale via del Giglio, distrutta nel 1944.

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La sede della filiale di Santa Croce (1930)

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Calendari storici della Cassa di Risparmio di San Miniato (anni Venti)

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tre la cifra di settemila lire divenivano infruttiferi. I depositi erano ricevuti sopra libretti speciali o «cartelle nominative» intestate anche a terzi. I depositi su libret-ti speciali si facevano per i «Minori, gli Interdetti, Corpi Morali e altre persone privilegiate e per chiunque ne faccia domanda scritta, indicando una condizione o vincolo, cui vuole sottoporre il deposito» 77, e prevedevano un limite minimo di cinquanta lire e un massimo di cinquemila. Le «cartelle nominative» arrivavano a depositi massimi di ventimila lire, e potevano essere intestati solo a persone e non ad enti morali. Gli «impieghi dei fondi» previsti dallo statuto del 1886 prevede-vano: mutui ipotecari dimissibili; titoli del debito pubblico dello Stato o garantiti dallo Stato, o di istituti che esercitano per legge il credito fondiario; sub ingres-so di crediti ipotecari; anticipazioni su pegno di titoli pubblici; anticipazioni su pegno di valuta di oro, argento o pietre preziose; sconti di crediti d’impresari di opere pubbliche verso lo Stato, Province, Comuni, opere pie od altri corpi mo-rali; sconti di cambiali; depositi in conto corrente presso istituti di riconosciuta solidità o in acquisto di titoli non contemplati superiormente (titoli comunali e provinciali o di altri solidi enti morali) 78.

L’attività e il ruolo assunto dalla rinata istituzione portò la San Miniato a partecipare ad importanti attività: il primo congresso nazionale di Firenze del 1886, dal quale uscirono le direttive per la legge organica di governo di questi istituti del 1888; la costituzione dell’Associazione delle Casse di Risparmio e la fondazione del loro istituto di credito; il Consorzio Nazionale per il Cre-dito Agrario; l’Istituto Federale di Credito Agrario; la Federazione Regionale delle Casse di Risparmio.

Nel 1892 un nuovo statuto venne approvato 79, sulla base della legge sul-l’ordinamento delle casse di risparmio del 15 luglio 1888 e del successivo

77 Art. 51 (Statuto della Cassa di Rispar-mio e Depositi di San Miniato, cit., p. 21).

78 Art. 56 (Ibid., pp. 22-23).79 Cassa di Risparmi e Depositi di San

Miniato. Statuto organico, San Minia-to, 1892. Approvato con regio decreto il 16 luglio 1892.

Targa offerta dal personale della Cas-sa al Consiglio di Amministrazione. Lavoro del prof. Giulio Cipriani; fu-sione della officine Picchiani (1930)

Pergamena offerta dal personale al Consigliere Direttore dott. Francesco Lami. Opera del prof. Luigi De Rose (1930)

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Manifesto del Primo Centenario della Cassa di Risparmio di San Miniato (1930)

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regolamento approvato con regio decreto del 4 aprile 1889. L’organizzazione dell’attività prevedeva alcune modifiche, come l’introduzione del cassiere e la diversificazione della cassa a mano di sua spettanza e della cassa forte munita di tre chiavi affidate al presidente, al direttore e al cassiere. I libretti a risparmio si articolavano in nominativi, al portatore, e nominativi pagabili al portatore. I depositi invece erano condizionati vincolati o nominativi senza vincolo. Tra gli impieghi erano inseriti anche i conti correnti ipotecari.

3. CresCIta e radICaMento

Agli inizi del Novecento la Toscana nel suo complesso fu caratterizzata da un certo sviluppo che, sebbene all’interno di una sostanziale stazionarietà delle strut-ture economiche e sociali, fece registrare qualche elemento di novità. Si registrò inoltre una progressiva introduzione di alcune di quelle tecniche volte al migliora-mento dell’agricoltura che avevano animato governanti e agronomi nel corso del-l’Ottocento 80. In particolare, gli anni immediatamente successivi al primo conflit-to mondiale fecero registrare anche importanti fenomeni, poiché in concomitanza con una «spirale inflazionistica senza precedenti» si realizzò in tutta la penisola un «considerevolissimo fenomeno di spostamento» della proprietà fondiaria 81.

Già a partire dalla fine del XIX secolo l’evoluzione delle casse di risparmio fu caratterizzata dal definitivo passaggio da enti di beneficenza, «salvadanaro del-la gente minuta», a istituti di credito 82. A Firenze tale passaggio fu sancito dalla revisione statutaria del 1906, nella quale si esprimeva questa volontà di rinnova-mento e potenziamento nei settori commerciali e imprenditoriali, anche sotto la spinta del riassetto degli istituti di credito dopo la scomparsa dei banchi privati coinvolti nel fallimento del Banco Fenzi e la sempre maggiore concorrenza dei grandi istituti bancari italiani 83. Anche sul fronte degli impieghi venivano svolte operazioni di credito industriale, a testimoniare il processo di «parziale indu-strializzazione» del tessuto sociale 84. Le casse di risparmio delle principali città – come ad esempio Firenze, Pisa, Lucca – avviavano un processo di espansione territoriale e delle forme di reperimento dei risparmi. A Siena il Monte dei Paschi, dopo la riforma dello statuto del 1872 con il coinvolgimento del Comune, aveva centralizzato l’articolazione delle varie forme di risparmio e credito.

In questi anni, anche la Cassa di San Miniato avviò un processo di amplia-mento della propria attività. Un nuovo statuto veniva approvato nel 1908 85, in re-lazione a nuove disposizioni legislative 86, nel quale risultavano nuove categorie di impieghi dei fondi della Cassa. In particolare, si trattava di mutui ammortizza-bili, mutui a enti morali, mutui per la costruzione di case popolari in conformità alla legge 31 marzo 1903, acquisto di beni immobili per il recupero crediti sui medesimi, ammissione allo sconto di cambiali fino a tremila lire subordinatamen-te ad una delibera della commissione di sconto nominata dal consiglio di ammi-nistrazione. Con questi provvedimenti la Cassa allargava le operazioni consentite per la propria attività, inserendosi appieno nei nuovi indirizzi che caratterizzaro-no la progressiva evoluzione delle consorelle nel panorama toscano e nazionale, soprattutto a partire dai primi anni del Novecento.

80 G. Mori, La Toscana e le Toscane (1900-1914), in La Toscana, Torino, Einaudi, 1986, pp. 247-342.

81 P.P. D’Attorre - A. De Bernardi, Il “lungo addio”. Una proposta interpre-tativa, in Studi sull’agricoltura italia-na. Società rurale e modernizzazione, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. xI-lVI. I dati rielaborati dal Vitali, che in parte correggono le stime del Serpieri sul-la base dei censimenti del 1911 e del 1921, evidenziano per la Toscana un incremento degli agricoltori proprietari dal 13 (12) al 20 (18)%, a fronte di una diminuzione dei coloni dal 60 (55) al 58 (55)% e dei giornalieri dal 20 (26) al 16 (21)% (loc. cit.).

82 D. Preti, Il Novecento, in Le opere e i giorni. Vicende storiche, lavoro, vita quotidiana di una banca nel suo terri-torio, Firenze, Cassa di Risparmio di Firenze, 1999, p. 55.

83 A Firenze aprirono l’attività la Banca d’Italia, la Banca Steinhauslin, il Ban-co di Napoli, la Banca Commerciale, il Credito Italiano.

84 A. Volpi, Banca e Finanza, in Storia della civiltà toscana, cit.: VI, Il Nove-cento, in corso di stampa.

85 Cassa di Risparmi e Depositi di San Miniato. Statuto organico, San Minia-to, 1908. Approvato con regio decreto del 23 aprile 1908.

86 Regolamento per l’esecuzione della legge sul riordinamento delle casse di risparmio (15 luglio 1888) approvato con regio decreto 21 gennaio 1897 n. 43; legge del 17 luglio 1898 n. 311 e regolamento del 13 novembre 1898.

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Conferimento del Diploma di Medaglia d’Oro del Ministero per l’Agricoltura e le Foreste

Medaglia d’Oro per il primo Centenario (1930)

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Negli anni successivi al primo conflitto mondiale, e poi in concomitanza con le politiche economiche adottate nel Ventennio, le casse di risparmio si trovarono impegnate ad elaborare nuove forme di libretti di risparmio, conti correnti cam-biari, cassette di sicurezza e custodia di valori, oltre ad assumere nuovi servizi di tesoreria offerti a pubbliche amministrazioni e opere pie. In relazione alla strate-gia deflazionistica di “Quota 90”, si venne inoltre a determinare una sorta di po-larizzazione negli istituti di maggiore dimensione, riuniti nel 1928 nella Federa-zione delle Casse di Risparmio della Toscana. Inoltre, i vari interventi di politica agricola – come la battaglia del grano, la legge sul credito agrario e poi la bonifica integrale – portarono a nuove attività per le casse di risparmio che aderivano al Consorzio Nazionale di Credito Agrario. Su queste basi, nei primi decenni del Novecento, la Cassa di San Miniato avviò il suo processo di espansione in tutto il territorio circostante, fungendo in qualche modo da catalizzatore per lo sviluppo di attività del settore agricolo e manifatturiero.

3.1 L’espansione dell’attività

Nel corso degli anni Venti, fino alla celebrazione del primo centenario dalla fondazione, la Cassa di San Miniato avviò un forte sviluppo della propria attività che portò all’apertura di nuove filiali, ad un ampliamento delle forme di rispar-mio, deposito, impieghi dei fondi ed anche alla realizzazione di alcune iniziative specifiche: interventi nei settori dell’agricoltura e dell’artigianato, forme di ri-sparmio per i privati, opere di beneficenza, comunicazione.

Innanzitutto si realizzò una significativa espansione nel territorio lungo il medio Valdarno inferiore e le vicine vallate dell’Elsa, dell’Egola e dell’Era. Il 18 febbraio 1917 si apriva la prima filiale a Ponte a Egola, e negli anni della

Amministratori e personale della Cassa di Risparmio di San Miniato (1930)

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presidenza di Francesco Bernardi e sotto la direzione di Italo Cantini fu portato avanti questo orientamento grazie soprattutto all’opera di due funzionari, Giu-seppe Marconcini e Francesco Lami, poi direttore negli anni della presidenza Cantini. In circa dieci anni la presenza sul territorio della Cassa risultava abba-stanza radicata. Oltre alla sede centrale di San Miniato e alle cinque succursali di Castelfiorentino, Certaldo, Empoli, Poggibonsi, Pontedera, nel 1928 erano già in funzione ventitré agenzie: Biagioni, Casastrada, Castelfranco di Sotto, Cerreto Guidi, Fucecchio, La Rotta, Montaione, Montelupo fiorentino, Montopoli Val-darno, Orentano, Palaia, Ponsacco, Ponte a Egola, Ponte a Elsa, Santa Croce sul-l’Arno, Santa Maria a Monte, San Miniato Basso, San Romano Stazione, Stabbia, Staffoli, Tavarnelle Val di Pesa, Vico d’Elsa, Vinci. Alcune di queste sedi erano di proprietà, come il palazzo Buonaparte di San Miniato, e quelle di Empoli, Poggi-bonsi, Pontedera, Fucecchio, Ponsacco.

Gli statuti approvati nel 1920 87 e nel 1928 88 costituiscono una documen-tazione della rapida articolazione dell’attività. Il limite massimo dei versamenti raggiungeva la somma di centomila lire, ed il credito di ciascun libretto poteva raggiungere il limite massimo di duecentomila lire per «effetto del cumulo de-gli interessi, rimanendo fruttifera tutta la somma»; inoltre, sui libretti nominativi si potevano «ricevere depositi senza limitazione di somma» 89. La Cassa poteva emettere «buoni fruttiferi a scadenza fissa al saggio di interesse», poteva «rice-vere anche depositi in conto corrente rimborsabili mediante assegni», e formare «categorie speciali di libretti» a favore di enti o persone 90. Per quanto riguarda gli impieghi dei fondi, oltre alle voci già esistenti comparivano inoltre: azioni di isti-tuti di emissione e obbligazioni ferroviarie o consorziali per le quali fosse fissato per legge il concorso dello Stato, delle Province e dei Comuni; aperture di credito in conto corrente garantite con depositi di titoli; acquisto di obbligazioni; opera-zioni di credito agrario; anticipazioni garantite da cessioni di stipendio; acquisto di azioni e obbligazioni di società relative ad industrie operanti nel Comune di San Miniato o in quelli ove esisteva una “dipendenza” della Cassa; conti correnti a ditte e nominativi «di nota solidità garantiti con cambiali o da fidejussione di fir-ma di primo ordine» 91. La Cassa, inoltre, iniziò a svolgere le funzioni di esattoria e tesoreria per i Comuni di San Miniato, Castelfiorentino, Gambassi, Montaione, Palaia; per l’ospedale di Pontedera e per altri enti morali.

In questo periodo la Cassa presentava alcune iniziative specificamente de-dicate all’agricoltura e all’artigianato. La partecipazione al Consorzio Nazionale per il Credito Agrario e all’Istituto Federale di Credito Agrario per la Toscana, dei quali svolgeva funzione di rappresentanza, permetteva alla Cassa di San Miniato di offrire, nel 1929, mutui ventennali per la costruzione, riparazione ed amplia-mento di fabbricati rurali. La somma elargibile per ciascun nucleo di fabbricati era di centomila lire, e l’interesse fissato era del 6,5%, il 4% a carico del mutuata-rio e il rimanente 2,5% a carico dello Stato 92. Mutui e prestiti di «miglioramento col concorso dello Stato» e il «Credito agrario di esercizio» erano altresì concessi dalla San Miniato. Sempre alla fine degli anni Venti, la Cassa metteva in palio premi a favore dei coloni mezzadri e dei coltivatori diretti che dimostrassero «col fatto di saper condurre razionalmente il podere secondo i dettami dell’agricoltura moderna». Gli elementi di giudizio erano in particolare:

Pergamena offerta dalla Federazione fra le Casse di Risparmio della To-scana in occasione del Centenario (1930)

87 Cassa di Risparmi e Depositi di San Miniato. Statuto, San Miniato, 1920. Approvato con regio decreto del 19 febbraio 1920.

88 Cassa di Risparmi e Depositi di San Miniato. Statuto, San Miniato, 1928. Approvato con regio decreto del 26 aprile 1928.

89 Ibid., p. 18.90 Ibid., p. 21.91 Ibid., pp. 24-27.92 Mutui per la costruzione, riparazione

ed ampliamento di fabbricati rurali nella Toscana, in «L’Amico della Fa-miglia» («AF»), II, 1 (1929), p. 1.

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L’allevamento abile e accurato del bestiame, sia per il maggior numero medio dei capi allevati nella stalla, sia per il loro rendimento in rapporto alle risorse forag-gere; la buona preparazione, manipolazione e conservazione del letame, secondo il sistema in uso, come capo morto dell’industria bovina ed elemento primo di fertilità; la diligenza nei lavori culturali, sia per le piante erbacee come per le le-gnose (vite, olivo) e la buona conservazione delle scorte morte; la produzione per il corrente anno del grano, del prato e delle sarchiate messa a raffronto a quella dei poderi con termini in eguali condizioni agrarie. Il loro carattere di organicità e tradizione, continuità per la parte tecnica, lo spirito pacifico contrattuale, amante di progresso, specialmente nel mezzadro, come fatto morale, sono il necessario completamento integrante per una valutazione di merito 93.

Sempre nel 1929, al fine di «incoraggiare la rinascita e il progresso dell’Arti-gianato, elemento caratteristico della nostra civiltà», la Cassa di San Miniato de-cise di concedere a «condizioni di favore speciali prestiti» a quegli artigiani che davano «affidamento di produrre buoni lavori» ed intendevano «impiantare od ampliare una piccola industria e specialmente acquistare le macchine e gli attrez-

93 Premi a favore dei coloni mezzadri e coltivatori diretti, in «AF», II, 4 (1929), p. 1.

Pergamena e album contenente oltre 7000 firme di abitanti del Comune di San Miniato per accompagnare l’offerta del labaro (1930)

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zi necessari». Anche in questo caso veniva confermata la caratteristica di «Ente di pubblica utilità» a sostegno dell’artigianato locale al fine di «rafforzare la pro-duzione in questo ramo di lavoro che è tra i più importanti dell’attività nazionale e tradizione antichissima di queste laboriose popolazioni rurali» 94. Il credito con-cesso ammontava a cinquemila lire su rilascio di effetto cambiario garantito dal richiedente, o mediante ammissione allo sconto di effetti commerciali.

I risparmi e i depositi fiduciari del primo secolo di attività, derivati da quote di reddito sottratto al consumo a scopi previdenziali ed investiti in operazioni ipotecarie a privati e enti morali e titoli pubblici, avevano subito una significativa evoluzione negli anni tra le due guerre. I depositi erano saliti da 2 a 98 milioni di lire. Gli investimenti furono indirizzati ad un maggiore sostegno alle attività produttive commerciali e artigianali, comprese nuove aree ancora fortemente se-gnate dall’agricoltura. Proprio in questi anni la Cassa compì anche un grande pas-so avanti in termini di modernizzazione, iniziando ad effettuare ordinariamente ogni tipo di operazione ammessa dalla legge ed entrata nella prassi degli analoghi istituti. Gli impieghi si articolavano in titoli, mutui, sconto di portafoglio cambia-rio, aperture di credito in conto corrente. La Cassa era poi impegnata sul fronte

94 Credito di favore agli artigiani, in «AF», II, 12 (1929), p. 1.

Case tipo operaio realizzate dalla Cassa di Risparmio a San Miniato Basso su progetto dell’ing. Mario Lotti (1930)

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del risparmio e della previdenza destinata ai privati. Costante sulle pagine de «L’Amico della Famiglia», periodico pubblicato dalla Cassa di San Miniato tra il 1928 e il 1932, era l’invito ad usare le forme di deposito di denaro:

Non nascondete il denaro.Tenere in casa il denaro è un errore. Il denaro nascosto non produce ed è soggetto ai rischi: del furto; dell’incendio; della scarsa custodia; della distruzione da parte degli animali. Potrete evitare questi rischi e senza far conoscere i Vostri interessi depositando il vostro danaro presso la Cassa di Risparmio e Depositi di San Mi-niato, sopra un libretto al portatore che garantisce il segreto dell’operazione.

Orfanotrofio maschile “Principe di Piemonte”. Progetto dell’arch. Arturo Buccioni (1930)

Officina dell’orfanotrofio maschile “Principe di Piemonte”

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Il primo numero de «L’Amico della Famiglia» (novembre 1928)

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Il denaro affidato alla Cassa di Risparmio di San Miniato rimane sempre a Vo-stra disposizione, perché potrete ritirarlo in qualunque momento, ricavando il frutto dal 31/4 al 41/2% all’anno; al netto di ogni tassa ed imposta.

È molto facile ottenere il duplicato di un libretto della Cassa di Risparmio di San Miniato, che fosse disperso, ma il denaro distrutto non è possibile più ria-verlo 95.

Venivano anche riportati episodi di cronaca finalizzati a motivare l’importanza del risparmio e i vantaggi offerti dalle casse:

La “Tribuna Illustrata” pubblica nel suo ultimo numero che a Cignoli (Mace-rata) un contadino aveva riposto tutte le sue economie ammontanti a circa Lire 60.000 in cantina sotto un mattone e che avendone occorrenza ebbe l’amara sorpresa di trovare tutti i biglietti rosicchiati dai topi, il che gli produsse per lo stupore ed il dolore, grave ed improvviso malore.La notizia che sopra non è la prima del genere ed in queste stesse colonne giorni addietro abbiamo segnalato come anche ai nostri sportelli si fosse presentato un

«L’Amico della Famiglia»

95 Non nascondete il denaro, in «AF», I, 2 (1928), p. 3.

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colono dei nostri dintorni, con un pacchetto di biglietti di Stato, nuovi nuovi, ma fuori corso.Questi episodi, fortunatamente rari, sono l’indice della cieca incomprensione dell’utilità che apporta il risparmio all’economia privata e collettiva e giova quindi ricordare per i pochi imprevidenti quali sono le ragioni per le quali, chi può, deve utilmente e doverosamente risparmiare 96.

Oltre ai libretti al portatore ordinari erano pubblicizzati anche «Libretti di piccolo risparmio a premio» che, rilasciati presso le filiali della Cassa, con un risparmio di dieci lire al mese permettevano di partecipare all’estrazione di premi alla fine di ogni anno. Ai bambini erano riservate «Cassette Salvadanaro», che davano diritto ancora a premi in occasione delle festività natalizie. Forme di pre-videnza erano finalizzate alla «dote per le proprie figlie», al «capitale per avviare alla professione o al mestiere i propri figli» e a «garantirsi la tranquillità contro le avversità e i bisogni della vecchiaia». Il versamento di 400 lire semestrali per-metteva dopo dieci anni di acquisire la somma di diecimila lire, comprendente gli «interessi composti» e un premio di 647,41 lire; nel caso di versamenti di 236 lire semestrali per quindici anni la stessa somma di diecimila lire beneficiava di un premio di 986,17 lire.

Altro settore significativo di intervento era la beneficenza. Nel periodo 1924-29 la Cassa aveva devoluto oltre 492 mila lire in contributi per tali attività. In oc-casione del primo centenario, due opere furono realizzate direttamente dall’isti-tuto. Innanzitutto fu costruita a San Miniato Basso una palazzina di cosiddette «case tipo operaio», realizzate su progetto dell’ing. Mario Lotti:

Tutte le iniziative che elevano economicamente e moralmente le nostre popola-zioni trovano la Cassa di Risparmio e Depositi di San Miniato sempre presente, perché il suo fine non si sofferma al solo esercizio del Credito, ma quale Istituto di previdenza si propone di sovvenire e aiutare il risorgimento economico, agri-

96 Perché si deve risparmiare, in «AF», II, 3 (1929), p. 3.

«L’Amico della Famiglia» «L’Amico della Famiglia». Nuova grafica, maggio 1930

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colo, industriale della zona da essa servita, svolgendo la sua benefica azione nel campo della pubblica utilità e beneficenza 97.

Si trattava di dodici quartieri presso la stazione di San Miniato-Fucecchio, sei dei quali con tre stanze, i restanti con quattro, oltre alla cucina e al ripostiglio. Tutte le unità abitative erano corredate da un appezzamento di terra per l’orto, da un sottosuolo per la cantina e l’impianto per l’acqua. La Cassa metteva in vendita i quartieri con pagamenti rateali in venticinque anni.

Ancora in occasione delle celebrazioni svolte il 25 maggio 1930, veniva inaugurato l’orfanotrofio maschile “Principe di Piemonte”. Si trattava di un nuovo stabile fatto appositamente costruire su progetto dell’architetto fioren-tino Arturo Buccioni. L’edificio aveva annessi alcuni poderi ed era dotato di officine di fabbro ferraio e falegname per la formazione professionale nel set-tore dell’agricoltura e dell’artigianato: «gli orfani ricoverati saranno avviati a un’arte o mestiere e con particolare preferenza all’arte dei campi, arte madre del nostro popolo, fonte di benessere economico» 98. L’opera di assistenza si proponeva di «essere asilo ai figli del popolo, sostituirsi ai perduti genitori, ed educarli all’amore dell’Agricoltura e dell’Artigianato per renderli ottimi e industriosi Cittadini» 99, ed era guidata da una commissione amministratrice. L’avvio dell’attività era stato garantito dalla consegna di un fondo pari alla somma di duecentomila lire in consolidato al 5%. L’orfanotrofio beneficiava quindi di fondi elargiti da soci perpetui (300 lire in unica rata) o benemeriti (20 lire annue). Tra i primi figuravano il ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, i componenti del consiglio di amministrazione della Cassa (Italo Cantini, Alfon-so Lorenzelli, Michele Badalassi, Vittorio Gillio, Angiolo Lupi, Umberto Se-rafini, Leopoldo Conti, Pellegrino Taddei, Eugenio Anfossi, Francesco Lami), numerosi altri dipendenti della Cassa e altri cittadini sanminiatesi. Altre istitu-zioni parteciparono poi in qualità di soci: le Casse di Risparmio di Pistoia, Pisa, Livorno, Cortona; i Comuni di San Miniato, Santa Croce sull’Arno, Cerreto Guidi, Montopoli, Valdarno, Vinci, Certaldo; l’“Opera Nazionale Maternità, Infanzia, Patronato” di San Miniato.

Proprio all’indomani delle suddette celebrazioni iniziava un periodo di cri-si della Cassa, che determinò un riassetto della propria presenza territoriale. È vero che la zona sanminiatese risentì della «depressione dei valori immobi-liari», come notava il direttore Francesco Lami nella relazione al bilancio del 1932, oltre che di una caduta dei prezzi soprattutto di prodotti determinati per l’economia agricola della zona, in special modo bestiame e vino 100. Tuttavia, le cause che portarono al commissariamento della Cassa furono da attribui-re piuttosto a «malversazioni dovute a impiegati infedeli» 101. Il 21 settembre 1933, il ministero Agricoltura e Foreste nominava infatti il dott. comm. Alberto Marsigli come commissario straordinario 102. Al fine di ripianare la situazione, furono cedute alla Cassa di Risparmio di Firenze le succursali di Castelfioren-tino, Poggibonsi e Certaldo, e le agenzie di Montaione, Tavarnelle, Montelupo fiorentino e Vico d’Elsa. In cambio, la Cassa di San Miniato ricevette le filiali di Castelfranco di Sotto e di Capannoli. Si realizzò così una maggiore concen-trazione delle attività della Cassa. Alcuni eventi eccezionali, legati alla vicenda

Calendario Artistico per la propagan-da al Risparmio (1931)

97 In «AF», III, 4-5 (1930), p. 4. 98 In «AF», II, 12 (1929), p. 2.99 La celebrazione del primo centenario

della fondazione della cassa di rispar-mio e depositi di San Miniato, 1830-1930, cit., p. 64.

100 F. Lami, Relazione al bilancio del 1932, in Frediani, La Cassa di risparmio di San Miniato da “Provvido istituto” a banca più importante della provincia di Pisa, cit., p. 70.

101 Ibid., p. 71.102 ACSM, Carteggio, s. VII, Atti e cor-

rispondenza del commissario Alberto Marsigli, 1933-36, cc. 100.

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politica e sociale del paese, intervennero poi ad interferire con l’ordinaria atti-vità della Cassa. Il governo, infatti, iniziò a fare incetta di risparmio per soste-nere le spese belliche con buoni del tesoro e prestiti nazionali. Nonostante ciò, dopo una prima flessione, i depositi presso la Cassa di San Miniato ripresero a crescere già tra gli esercizi del 1934-35.

Nel 1938, poi, in conseguenza del riordinamento degli sportelli bancari, furo-no portati a termine nuovi scambi di filiali: dalla Cassa di Firenze, la San Minato ottenne la filiale di Pontedera in cambio di quella di Fucecchio; dal Monte dei Pa-schi ottenne la filiale di Ponsacco e cedette a quella di Lucca la filiale di Biagioni. La Cassa sanminiatese incorporò inoltre la Banca Mutua Popolare Cooperativa di San Miniato 103, fondata nel 1883, in applicazione della nuova legge 104 che vietava «le operazioni di credito trascendenti i limiti della competenza territoriale assegnata ad ogni istituto». Nel caso della detta Banca Mutua Popolare il divieto colpiva le numerose operazioni fuori zona che rappresentavano buona parte della sua attività finanziaria e che l’istituto non era in grado, «per la sua modesta strut-tura economica», di poter sostituire «vantaggiosamente» 105.

3.2 La propaganda al risparmio

Fin dall’Ottocento, le specifiche finalità di istituti benefici indirizzati princi-palmente ai ceti popolari avevano portato ad una significativa produzione lette-raria tesa ad illustrare le virtù del risparmio. Un significativo esempio era stato il volume di Enrico Mayer, stampato dal Vieusseux nel 1837, intitolato Il Salvada-naro. Si trattava di sei racconti incentrati su altrettante figure tipiche a cui si rivol-geva l’attenzione delle casse di risparmio: il facchino, il contadino, la massaia, il garzone di bottega, i servitori, gli operai.

Tra il 1928 e il 1932, su iniziativa proposta dall’allora direttore Francesco Lami, la San Miniato pubblicò un mensile, divenuto poi bimestrale, dal titolo «L’Amico della Famiglia». Si trattava di un periodico finalizzato alla comunica-zione, alla propaganda del risparmio e all’informazione sulle attività, le offerte e i servizi della Cassa sanminiatese. In apertura al primo numero si leggeva:

Indubbiamente, a raggiungere così brillante risultato, ha contribuito efficace-mente oltreché l’uso prudente, ma veramente vantaggioso allo sviluppo dell’at-tività di questa zona dei capitali affidati a questa cassa, la paziente propaganda svolta fra le classi più umili per infondere e risvegliare la grande virtù della previdenza e del risparmio, fonte di benessere e di tranquillità sociale 106.

Il nuovo periodico nasceva dunque pienamente inscritto in questa tradizione let-teraria:

Con ciò è si risposto quindi pienamente allo scopo per cui sorsero queste isti-tuzioni meravigliose che, a cento anni di distanza, appariscono ancor più belle per il disinteresse su cui si impernia la loro attività. Ma ora che l’Istituto si è così meravigliosamente sviluppato, ritengo sarebbe suo compito allargare quel-la bella opera di propaganda e di educazione che esso svolge 107.

103 La Società Cooperativa Anonima Ban-ca Mutua Popolare di San Miniato ave-va lo scopo di «procacciare il credito agli azionisti col mezzo della mutuali-tà e del risparmio» (art. 2) e svolgeva numerose operazioni di banca, attive e passive. Cfr. Banca Mutua Popolare di San Miniato (Società Cooperativa). Statuto organico, San Miniato, 1910.

104 Regio decreto 13 novembre 1936.105 ACSM, Carteggio, s. VII, Carteg-

gio relativo alla incorporazione della Banca Mutua popolare cooperativa di San Miniato, 1930-53, cc. 400, 29 apr. 1937.

106 F. Lami, Perché è sorto e come è sorto “L’Amico della famiglia”, in «AF», I, 1 (1928), p. 1.

107 Loc. cit.

Inno al risparmio. Spartiti e dischi della Cassa di Risparmio delle Pro-vincie Lombarde, distribuiti anche dalla San Miniato

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108 Educhiamo al risparmio, in «AF», II, 5 (1929), p. 1.

Calendario Artistico per la propaganda al risparmio (1931)

In ogni numero figuravano varie rubriche fisse: La pagina dell’agricoltore, La pagi-na della massaia, La pagina dei commercianti, La pagina dei bambini, La novella mensile de “L’amico della Famiglia”. La situazione della Cassa (attivo, passivo, pa-trimonio) era aggiornata mensilmente, e uno spazio era poi riservato alla «presenta-zione delle Ditte della zona»: “Rigatti Antonio rabdomante”, la “Società Anonima Industrie Alimentari Toscane - SAIAT”, le “Officine meccaniche e Fonderie Antonio Mazzoni”, la “Fabbrica concimi chimici Ulivieri & Dani”, il “Consorzio Agrario per la Provincia di Pisa”, l’“Officina meccanica di Cambi Lelio” di Montaione.

Il tema ricorrente era tuttavia rappresentato dalle notizie e gli annunci che invitavano ai benefici dei depositi e all’educazione al risparmio:

Il problema della raccolta del risparmio è considerato uno dei più importanti in quanto il risparmio è un elemento indispensabile per lo sviluppo dell’attività economica della Nazione. Studiosi, Enti, Governi di tutti i Paesi dedicano ad esso costanti premure e mentre si discute per regolare ed agevolarne la for-mazione, ovunque si è concordi nel ritenere che il problema del risparmio, sia eminentemente un problema di educazione 108.

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Timbro a punzone per impronta a secco su carte valori

Bilancia per oro e oggetti preziosi. Smontabile nell’apposito astuccio in legno, era in dotazione agli sportelli della Cassa per stimare i depositi in valori

L’immagine della Cassa cominciava agli sportelli davanti al pubblico. Il vecchio economo della San Miniato, Mario Presenti, aveva sempre nella sua scrivania una scatolina con il necessario per riattaccare i bot-toni ai commessi: “Ora vai , sei presentabile!”. Gli oggetti riportati in questa pagina sono stati accuratamente conservati da Bruno Giotti

Scheda perforata delle prime macchine per elaborazione dati

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Numerosi erano gli esempi tratti dalla cronaca per confermare la convenienza del deposito di denaro presso la Cassa, assieme a vari articoli finalizzati ad assicurare la segretezza delle operazioni e a rispondere alle singole domande della clientela. Accanto al richiamo economico, destano un certo interesse due temi ricorren-ti nella propaganda del risparmio. Innanzitutto l’aspetto virtuoso, evocato con grande sapienza retorica grazie alla poesia del De Amicis pubblicata nel secondo numero 109 a cui faceva seguito un’esortazione alla previdenza nella rubrica de-dicata ai bambini:

Noi auguriamo a tutti felicità e ricchezza, ma purtroppo la vita ha delle dif-ficoltà, delle lotte, delle disgrazie. Fate quindi che tutti voi non vi troviate a dover negare un dono ai vostri figli di domani e soprattutto fate che questo non avvenga per imprevidenza. Abituatevi fino da ora alla grande virtù del rispar-mio. Essa vi eleverà, vi farà più buoni e migliori e vi creerà per l’avvenire una indipendenza ed una felicità 110.

Naturalmente assunsero particolare rilevo in questi anni i richiami alla «funzione eminentemente sociale e patriottica» 111, elementi caratteristici della propaganda al risparmio:

Non basta accendere lo spirito del risparmio, conviene curarne continuamen-te i due fattori essenziali: il morale e l’economico, educando il nostro popolo

109 «Il babbo è triste, non cantar bambina, – / Dicea la madre con pietoso affetto: / – Vedi che è là soletto, / Con gli oc-chi rossi e con la testa china / – Triste? Perché povero babbo? Ha male? / Chie-se la bimba con sommesso accento: / – Digli che sia contento: / È così bello il giorno di Natale! / – È la festa dei bimbi, o mia fanciulla, – / La madre so-spirò: – questo l’accora! / È povero e t’adora: / Bimba … quest’anno … non ti compra nulla. – / Ella ristette; rimi-rò suo padre / Premendo le leggiadre / Labbra ed ansando nelle scarse vesti. / Poi d’un balzo volò nelle sue braccia / E gli s’avvinse al collo: egli comprese, / Ruppe in lacrime accese, / E celò ne’ suoi riccioli la faccia. / Allor l’angio-lo biondo alzò la testa, / E fissandogli il guardo umido in viso, / Col suo più bel riso, / – Grazie, – gli disse, – la mia strenna è questa». E. De Amicis, “Nata-le”, in «AF», I, 2 (1928), p. 3.

110 Siate previdenti, in «AF», II, 1 (1929), p. 3.

111 Un comune dovere: risparmiare!, in «AF», III, 3 (1930), p. 1.

Attuale veduta delle colline intorno a San Miniato

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La principale attività della piazza era costituita dalla fabbricazione di calzature, destinate in gran parte all’esportazione. Interno di un calzaturificio (1970)

Sede della filiale di Castelfranco di Sotto (1970)

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contro i gaudi malsani, contro le spensierate dissipazioni che sacrificano l’av-venire. Ora l’avvenire è la nostra vecchiaia, la nostra famiglia, i nostri figli rappresentano il rinascente fiore della patria 112.

Tale forte richiamo continuò tuttavia anche negli anni della ricostruzione, come documentano ancora tanti strumenti pubblicitari diretti al vasto pubblico per re-clamizzare l’attività delle casse di risparmio. In molti casi si trattava di materiale che le singole casse si scambiavano incrementandone la diffusione. È un esempio l’“Inno al Risparmio”, realizzato dalle casse di risparmio lombarde, munito degli spartiti musicali e del disco in vinile, che veniva distribuito anche a San Minia-to 113. I richiami alla famiglia, alla casa, alla difesa del reddito costituivano le nuo-ve parole chiave del paese. Uscita dalle macerie del secondo conflitto mondiale, tutta la penisola era impegnata nella gravosa opera di ricostruzione e, al tempo stesso, si trovava a vivere un passaggio epocale, segnato dal definitivo processo di modernizzazione e industrializzazione.

4. dalla rICostruzIone allo sVIluPPo del terrItorIo

Le mine tedesche dislocate in tutta San Miniato e i bombardamenti delle truppe alleate dell’agosto 1944 ridussero in macerie gran parte della città, com-preso il bel palazzo dove aveva sede la Cassa di Risparmio. Enormi furono i dan-ni riportati anche nelle sedi delle varie filiali. Reiterati tentativi erano stati effet-

Importante centro della Val d’Era nella produzione del mobile di serie a carattere industriale (1970)

Sede della filiale di Ponsacco (1970)

112 Da una lettera diretta alla Cassa di Risparmio di San Miniato di Luigi Luz-zatti, in «AF», III, 3 (1930), p. 1.

113 ACSM, Appendice di volumi a stampa, s. XXIV, Album e periodici.

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tuati per forzare il tesoro della Cassa, dove erano situate anche le giacenze della Cassa di Pisa. Oltre alla sede centrale, numerosi edifici della Cassa riportarono ingenti danni: il palazzo Ruffoli, l’orfanotrofio “Principe di Piemonte” e la palaz-zina a San Minato Basso. Erano andate distrutte poi le succursali di Pontedera ed Empoli, dove la stessa sorte era toccata al vecchio e al nuovo edificio appena ac-quistato. A San Romano era stata distrutta la sede dell’agenzia e un altro palazzo di proprietà, così come danni di diversa entità erano stati riportati nelle filiali di Castelfranco, Santa Croce, Capannoli, Ponsacco. Anche casseforti, attrezzature, mobili erano stati sottratti o distrutti 114.

L’allora consiglio di amministrazione, il presidente Gino Pelleschi, il direttore Battista Giannarelli insieme a tutto il personale, si impegnarono nel gravoso com-pito di ricostruzione. La sede centrale fu posta sotto i Loggiati di San Domenico, mentre in locali appositamente reperiti l’attività cominciò la sua difficile rinascita a partire dall’ottobre dello stesso 1944. Tra il gennaio 1945 e il luglio del 1946 l’isti-tuto fu retto dal commissario prefettizio Mario Guido Piccioli. Dal 29 luglio 1946,

114 Cfr. Cassa di Risparmio di San Minia-to. 1830-1955, cit.

Sede della filiale di Capannoli. Importante centro agricolo della Val d’Era, nel quale si è sviluppata una fiorente industria del mobile (1970)

Sede della filiale di Cerreto Guidi. La zona eminentemente agri-cola, con prevalente produzione di vino pregiato (Chianti Mon-talbano) e olio. Nel dopoguerra vi sono sorti stabilimenti di cal-zature e borsettifici (1970)

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sotto la presidenza di Francesco Carranza e la direzione di Battista Giannarelli, fu costituito un nuovo consiglio di amministrazione, al quale si deve la guida dell’ope-ra sia di ricostruzione, sia di rilancio definitivo della Cassa di San Miniato.

Gli stabili di Pontedera e di Empoli furono ricostruiti in tempi diversi. Ven-nero riparati i danni alle filiali di Castelfranco di Sotto, Santa Croce e ricostruita quella di Capannoli. Una nuova sede fu realizzata a Ponte a Egola ed adeguati immobili furono acquistati per le sedi di Ponte a Elsa e Cerreto Guidi e per la filiale de La Scala. Furono poi risistemati i locali delle filiali di Montopoli, San Romano, Palaia, Vinci e Cassastrada. Nel 1955 fu quindi inaugurata la nuova sede centrale nel palazzo Buonaparte, acquistato dalla famiglia Formichini nel febbraio 1953.

Contestualmente all’opera di ricostruzione, che nel caso della San Miniato ebbe aspetti di particolare gravità, l’attività delle casse di risparmio fu inte-ressata da un drammatico processo inflazionistico, iniziato già nel 1938, che si protrasse almeno fino alla «stretta einaudiana» del 1947 115. All’interno del più vasto sistema bancario le casse di risparmio beneficiarono di alcuni inter-venti che ebbero particolare influenza nella vita dei singoli istituti. L’organo di vigilanza eliminava nel 1945 il precedente blocco delle autorizzazioni del ’38, offrendo di nuovo alle casse di risparmio la possibilità di incrementare il numero degli sportelli. Nel 1947 il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) prevedeva per questi istituti l’esenzione dal nuovo «sistema di riserva». Il ministero del Tesoro nel 1953 abbassava i tassi di rendimento dei buoni fruttiferi delle casse di risparmio postali, e varava nel 1954 l’accordo interbancario per le condizioni. Inoltre, con l’istituzione nel 1958 della «riserva speciale di liquidità» amministrata dall’Istituto di Credito delle Casse di Ri-sparmio (ICCRI), le casse di risparmio ebbero un significativo ruolo nell’attivi-tà di compravendita di obbligazioni. 115 Preti, Il Novecento, cit., p. 55.

Sede della Succursale di Empoli (1970). Nuovo edificio costruito nel dopoguerra nello stesso luogo della sede distrutta, riprodotta a p. 66

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La Cassa di Risparmio di San Miniato si trovava profondamente inscritta nelle dinamiche che caratterizzarono le profonde trasformazioni economiche e sociali dell’Italia del dopoguerra e nei processi che caratterizzarono la vita delle stesse consorelle, con l’aggravio di lavoro dovuto all’opera di ricostruzione dei propri immobili ed uffici. Ma fu soprattutto nel corso degli anni Sessanta che si realizzarono eventi di portata epocale, segnati innanzitutto dal fenomeno di spopolamento delle campagne con il conseguente rovesciamento di una notevole quantità di manodopera e di risorse imprenditoriali nei settori manifatturieri e della piccola e media industria, oltre che naturalmente da un radicale mutamento dello stile di vita degli italiani. I settori che subirono maggiore sviluppo furono quelli che storicamente avevano profonde radici in queste zone della regione: le aziende conciarie a Santa Croce e Ponte a Egola, l’industria calzaturiera a Castel-franco di Sotto, incrementata da un aumento del consumo e sostenuta anche dalla domanda estera, l’industria delle confezioni a Empoli, i mobilifici a Ponsacco. Gli impieghi erano rappresentati da portafogli, anticipazioni attive, conti correnti, prestiti, crediti chirografari, mutui e conti correnti ipotecari. Si aggiungevano agli inizi degli anni Sessanta i cosiddetti «finanziamenti in valuta» con apertura di crediti in valuta estera per favorire l’attività di import-export e ridurre il rischio di cambio. Nel 1969 la San Miniato ottenne inoltre il riconoscimento di «Banca Agente per il commercio in cambi».

Anche l’organizzazione interna e le procedure contabili subirono, fin dagli anni della ricostruzione, profondi cambiamenti. Le macchine contabili “Natio-

Lavorazione del vetro e produzione di confezioni. La zona empolese, ricca di industrie, si è affermata anche in campo internazionale (1970)

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nal”, di cui la Cassa di San Miniato era dotata dal 1948, furono sostituite a partire dal 1963 dalle schede perforate IBM, per giungere poi all’elaboratore elettroni-co a nastro magnetico. Tali innovazioni nel campo della meccanizzazione delle procedure bancarie portarono non soltanto alla creazione di nuovi uffici destinati all’elaborazione dati, ma anche a nuove problematiche di istruzione e aggiorna-mento per i dipendenti.

La ripresa economica in tutte le zone del medio Valdarno inferiore, che af-fondava le proprie radici in storici settori di attività agricola e artigianale, fu dun-que accompagnata dalla stessa rinascita della Cassa di Risparmio di San Miniato. Negli anni Cinquanta e Sessanta la Cassa di San Miniato si rese protagonista di una profonda trasformazione, perfettamente integrata nel sistema economico e nel processo di sviluppo che caratterizzò l’evoluzione e le dinamiche di questa area del territorio toscano. In questi anni la San Miniato si è distinta nelle prin-cipali finalità di espansione economica del territorio, incremento del reddito pro-capite, e nell’aumento dei volumi di risparmio.

Ancora per tutti gli anni Sessanta l’assorbimento del risparmio era conside-rato come mezzo da impiegare per favorire lo sviluppo economico della nazione. Il presidente Vallini, nel 1970, in occasione del 140° anniversario della Cassa, sottolineava questa funzione fondamentale sempre assolta dall’istituto di promo-zione del risparmio, favorendo l’«azione educativa presso i nuclei familiari e scolastici con i più svariati metodi di propaganda e informazione» 116, cercando di conservare un «clima di fiducia nel pubblico» per la raccolta di capitali e l’offerta

116 S. Vallini, Cerimonia nel Chiostro di Santa Chiara in San Miniato, in Cas-sa di Risparmio di San Miniato. 1830-1970, cit., p. 88.

La filiale di Ponte a Egola, ultimata nel 1970, si trovava in un’area importante per l’industria conciaria, in particolare per il cuoio da suola

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di servizi, favorendo altresì lo sviluppo economico attraverso investimenti pub-blici e privati. Le linee guida dell’istituto erano così enucleate:

Ogni iniziativa produttiva ed economicamente valida ha trovato presso la Cassa di Risparmio il più solerte e necessario sostegno, ed il risparmio raccolto è stato utilizzato prevalentemente a favore delle imprese medie e piccole della zona con-tribuendo allo sviluppo delle medesime. Le caratteristiche economico produttive della zona si erano frattanto ulteriormente modificate e, mentre il settore agricolo col progressivo spopolamento delle campagne aveva perduto l’importanza di un tempo, i settori industriali e commerciali ancor più potenziati avevano assorbito completamente le disponibili forze lavoro, conseguendo il pieno impiego. In que-sti ultimi anni nella zona sono state consolidate le attività produttive tradizionali, sono sorte e si sono affermate nuove aziende e iniziative determinando uno svi-luppo economico che può considerarsi veramente notevole 117.

Nel solo periodo 1961-66 i depositi erano aumentati del 188,85% e gli impieghi del 199,82%, mentre il trend positivo si protrasse fino alla fine del decennio. Il radicamento nel territorio era avvenuto anche con l’attività delle ventitré filiali, sia in provincia di Pisa – Pontedera, Capannoli, Casastrada, Ca-stelfranco di Sotto, La Rotta, La Scala, Montopoli Valdarno, Orentano, Palaia, Ponsacco, Ponte a Egola, Santa Croce sull’Arno, Santa Maria a Monte, San Miniato Basso, San Romano, Staffoli, Santo Pietro Belvedere – sia di Firenze – Empoli, Cerreto Guidi, Ponte a Elsa, Stabbia, Vinci, Vitolini. In particolare, alcune di queste filiali erano legate allo sviluppo di determinate attività econo-miche alla fine degli anni Sessanta. Si trattava innanzitutto del polo industriale della Piaggio a Pontedera, unito alle oltre duecento officine meccaniche. L’in-dustria conciaria, con la produzione di cuoio per suola e pellami a Santa Croce 117 Ibid., pp. 93-94.

Sede della Succursale di Pontedera (1970)

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sull’Arno e a Ponte a Egola, copriva circa i due terzi del conciato in Italia e interessava circa settecento aziende impegnate nel comparto. A Castelfranco di Sotto, San Romano, Montopoli Valdarno e Santa Maria a Monte operavano circa quattrocento calzaturifici e aziende complementari; altrettante aziende nel settore delle confezioni si trovavano a Empoli, Ponte a Elsa, Cerreto Guidi e Stabbia, e analoga entità avevano i mobilifici di Ponsacco e Capannoli. Inoltre, particolare significato aveva l’area vitivinicola e olivicola di Montalbano, e ancora i calzaturifici e borsettifici a Cerreto Guidi.

È con gli anni Settanta, tuttavia, che si apre un nuovo scenario. Una profonda crisi delle strutture economiche e produttive, cresciute con grande rapidità negli anni del boom economico, fu aggravata dall’acuirsi delle tensioni sociali e an-che dalla pressione di nuovi contesti internazionali che decretarono la fine della cosiddetta Golden Age 118. La nuova spirale inflazionistica, la svalutazione della moneta, l’aumento dei costi delle materie prime e della manodopera, furono ag-gravate anche dal vertiginoso incremento del prezzo del petrolio. I provvedimenti che furono adottati in sede nazionale per far fronte alle nuove emergenze ebbero naturalmente significative ricadute sull’attività delle casse di risparmio. Nel 1975 il CICR aboliva il regime privilegiato delle casse di risparmio nei confronti della «riserva speciale di liquidità». Nuovi limiti erano fissati all’incremento dei crediti erogati, e venivano quindi aumentate le ritenute sugli interessi. Alla concorrenza del risparmio postale si aggiungeva poi l’introduzione di nuove forme di investi-mento da parte del Tesoro come i BOT e i BTP. Lo stesso ricorso al risparmio fu così progressivamente affiancato da nuove forme di investimento e gestione delle risorse finanziare da parte delle imprese come dei privati. A partire dagli anni Settanta, e poi nel decennio successivo, le casse di risparmio sono state così inte-ressate da profonde sollecitazioni e processi di ridefinizione delle proprie offerte di prodotti e servizi. 118 Preti, Il Novecento, cit., p. 64.

Interno dello stabilimento Piaggio per la produzione di moto scooters (1970)

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Sono questi gli anni in cui la Cassa di Risparmio di San Miniato ha optato per un mantenimento delle dimensioni della banca al fine di non squilibrarne l’assetto e mantenendo il forte legame con l’economia locale. Contestualmente, il sempre maggior processo di meccanizzazione delle operazioni contabili, legato all’evo-luzione tecnologica, ha generato non soltanto nuove necessità di aggiornamento interno, ma ha aperto anche la strada all’erogazione di nuovi servizi. Tuttavia, in questo contesto la Cassa di San Minato si è mantenuta fedele ad alcuni aspetti che ne hanno caratterizzato la storia, conservando e incrementando la propria imma-gine all’interno della propria clientela e dell’economia locale. Lo stesso impegno nei settori della cultura e della tutela del patrimonio artistico e architettonico, così come della beneficenza, ha costituito un elemento fondamentale della fiducia e del legame col territorio che la San Miniato ha saputo conservare.

Sebbene l’evoluzione più recente sia stata interessata da nuovi scenari e da radicali cambiamenti col volgere del XX secolo, che solo adesso iniziano ad essere opportunamente valutati, non sarà forse inutile sottolineare che l’originalità della Cassa di San Miniato risiede anche in una profonda integrazione con lo sviluppo del territorio in cui si è trovata ad operare da 175 anni, considerando questo legame, insieme al proprio patrimonio storico e ideale, come una risorsa positiva.

A Santa Croce sull’Arno, importante centro per l’industria conciaria, si producevano circa i due terzi del totale conciato in Italia (1970). Interno di una conceria

Sede della filiale di Santa Croce sul-l’Arno (1970)

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Calendari storici della Cassa di Risparmio di San Miniato

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Parte III

Erik Longo Andrea Simoncini

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Propaganda al risparmio

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

1. l’orIgIne delle Casse dI rIsParMIo

1.1 Il modello delle casse di risparmio nell’esperienza europea e il caso italiano

Pur rappresentando un fenomeno economico di rilevante importanza, le cas-se di risparmio non furono del tutto “figlie” del contesto economico in cui nac-quero.

Il loro sviluppo fu semmai un prodotto “inverso” del sistema economico, il risultato sociale e culturale di un’inefficienza del mercato e principalmente del-l’ideologia del laissez faire ottocentesca 1. Nella versione originaria, in quasi tutti i paesi europei, le casse raccoglievano piccole somme di denaro – di cui le grandi banche non si interessavano – per formare modesti capitali di cui i depositanti avrebbero fatto uso nel futuro 2.

Erano essenzialmente istituzioni libere, create dall’iniziativa individuale e collettiva per rispondere ad un bisogno di sicurezza “sociale” e di solidarietà, che si legava – ma non dipendeva – all’evoluzione del contesto economico di riferi-mento. Ciò è evidente se si tiene in conto che le casse sorsero allo stesso tempo (fine XVIII e inizio XIX secolo) in paesi – come l’Inghilterra – in cui era già com-parsa un’organizzazione industriale del lavoro, e paesi – come gli stati preunitari italiani – con una struttura economica quasi totalmente agricola.

Ma non solo. La forma giuridica assunta non fu unica. Anzi, la varietà tipologi-ca è un dato dominante originario di tutto il fenomeno. Ad istituire le casse furono – per fare degli esempi – benemerite associazioni, privati cittadini, religiosi, pie istituzioni, pubbliche autorità a livello centrale (Stato) o periferico (Comuni).

L’obiettivo dei fondatori era sempre di natura “morale”, solo in alcuni casi mutualistico 3. L’istituzione delle casse aveva l’obiettivo di «educare al rispar-mio» 4 e alla previdenza, secondo l’ideologia dell’assolutismo illuminato del-l’epoca.

Fu così che agli inizi del XIX secolo il fenomeno delle casse di risparmio si diffuse in tutta l’Europa continentale, arrivando attraverso le Alpi anche in Italia, dapprima nel lombardo-veneto e poi nel resto della penisola.

Nelle casse “lombarde” (per lo più istituite per fondazione) 5 il consiglio di amministrazione veniva nominato dall’ente fondatore, mentre in quelle del centro Italia (per lo più istituite per associazione) 6 quest’organo era diretta espressione dell’assemblea dei soci.

Il “sistema CRSM”: le scelte istituzionali della Fondazione e della Banca

nel quadro normativo italiano *

* Pur essendo il lavoro frutto di una ela-borazione comune, i par. 1 e 2 sono da attribuire a Erik Longo, mentre i par. 3 e 4 ad Andrea Simoncini.

1 Cfr. M. Clarich, Le Casse di Risparmio, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 14, secon-do cui il risparmio popolare nasce per colmare il vuoto lasciato dalle istituzio-ni intermedie tra Stato e cittadino spaz-zate dall’ideologia dello stato liberale. Contra L. De Rosa, Storia delle Casse di risparmio e della loro associazione. 1822-1950, Bari, Laterza, 2003, p. 3.

2 Sul carattere non speculativo nella pri-ma fase dell’avvio delle casse si vedano M. Clarich - A. Pisaneschi, Le fonda-zioni bancarie: dalla holding creditizia all’ente non-profit, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 21.

3 Si pensi alle friendly societies inglesi.4 Il fine educativo del risparmio, come

soluzione concreta, anche se parziale, per alleviare dalle penose condizioni in cui versava una larga parte della po-polazione, era previsto specificamente negli statuti. Affinché i versamenti por-tassero frutto erano previsti limiti quan-titativi e tempi di giacenza minimi.

5 La futura Cassa di Risparmio delle Province Lombarde venne fondata nel 1823 dalla “Commissione centrale di beneficenza” (denominazione tutt’ora presente nello statuto della Fondazio-ne Cassa di Risparmio delle Province Lombarde), a sua volta emanazione della congregazione centrale istituita durante la crisi del 1815-18. Cfr. M. Colusich, Le casse di risparmio e le fondazioni bancarie tra pubblico e pri-vato: due questioni di fine secolo, Mi-lano, Giuffrè, 2002, p. 22.

6 Si pensi alla Cassa di Risparmio di Fi-renze, fondata nel 1829 da una società di cento azionisti, o alla Cassa di Ri-sparmio di San Miniato stessa, fondata l’anno successivo, nel 1830. Così come a quelle di Roma (nel 1836) e Spoleto. Sulla nascita delle casse di risparmio in Toscana v. supra, parte II, cap. 2, pp. 55 sgg., lo scritto di P. Nanni. Per la geogra-fia delle casse di risparmio in quel perio-do si veda De Rosa, Storia delle Casse di risparmio e della loro associazione, cit., pp. 10 sgg.

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Propaganda al risparmio

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

Sul piano legislativo le casse godevano di ampia autonomia. Dal punto di vista operativo, avevano una connotazione molto vicina alle opere pie e non eser-citavano funzioni bancarie. Chi versava le somme aveva come obiettivo quello di mantenere un capitale da utilizzare in particolari situazioni. Di certo non intende-va realizzare una speculazione 7.

In questo clima di libertà – grazie anche al buon esito della maggior parte delle iniziative intraprese – le casse iniziarono ad ammettere nei propri statuti nuovi impieghi di tipo commerciale delle somme raccolte, tra cui gli «sconti e i risconti di effetti cambiari emessi da privati, le sovvenzioni contro depositi di merci, le anticipazioni bancarie» 8; contemporaneamente si evolse anche la rac-colta, estesa anche ai ceti medi. Fu così, anche grazie al sorgere della parallela iniziativa delle banche popolari, che le casse di risparmio, a pochi anni dalla loro nascita, iniziarono ad assumere l’aspetto prevalente di enti deputati alla raccolta ed all’impiego commerciale del denaro.

La trasformazione, ovviamente, si mantenne entro l’originalità ed eteroge-neità tipiche del fenomeno.

Non tutte le casse, infatti, si svilupparono secondo un modello unico. Alcune mantennero per molto tempo la connotazione originaria di opera pia, come con-ferma la disputa di quegli anni circa il loro controllo 9.

Nel dibattito, che andrà avanti per anni, emerge un dato dominante. Le casse non hanno perso la loro autonomia. La fonte primaria della loro disciplina rimane ancora lo statuto, seppur soggetto a vincoli e controlli statali.

1.2 La “pubblicizzazione” delle casse di risparmio nella legislazione dello Stato unitario

Nonostante l’estensione della disciplina sabauda conseguente all’Unità d’Ita-lia, l’entrata in vigore nel 1883 del codice di commercio e soprattutto il grande numero di pronunce del Consiglio di Stato e delle Corti di cassazione, che si erano avvicendate nell’obiettivo di dare una definizione giuridica certa a questi soggetti, nell’ultimo ventennio del XIX secolo ancora non vi era una certezza giuridica circa la distinzione delle casse dalle opere pie. La questione, come si è cercato di spiegare, non era di poco conto. Le casse avevano subito nel tempo una mutazione radicale, e soprattutto si erano trasformate, da strumento sussidiario di aiuto per le classi meno abbienti, nei maggiori collettori di risparmio italiani 10.

L’incertezza su tale punto, tuttavia, era destinata a passare in secondo piano. Nel luglio 1888, con la legge n. 5546 venne approvato il primo grande provvedi-mento sulle casse di risparmio.

Pur lasciando impregiudicata la questione circa la natura pubblica o privata delle casse – semmai accettando l’orientamento che le definiva corpi morali sui generis 11 – la legge emancipò queste ultime dalla categoria affine delle opere pie.

Il provvedimento arrivò dopo un tormentato periodo in cui le casse, riuscen-do a coordinarsi in una sorta di patto di categoria, poterono influire fortemente nella redazione del progetto di loro «Riordino» 12.

I capisaldi della legge furono due. Da un lato le norme a garanzia dell’au-tonomia: menzione espressa della personalità giuridica (art. 1); configurazione

7 Le casse garantivano credibilità e sicu-rezza ai depositi anzitutto attraverso il fondo di dotazione e l’impiego pruden-te delle somme versate. Ma era soprat-tutto l’attività degli amministratori che prestavano la loro opera in modo disin-teressato, senza distrarsi dalla ragione “pubblica” per la quale le casse erano state create, a giustificare la grande fi-ducia popolare. Sull’ordinamento inter-no delle casse cfr. G. Ingrosso, Casse di risparmio (ad vocem), in «Novissimo Digesto Italiano», II (1958), p. 1023.

8 Cfr. Clarich, Le Casse di Risparmio, cit., p. 25.

9 Di spettanza del ministero degli Interni se era prevalente l’attività assistenziale; del ministero d’Agricoltura e Commer-cio, se strutturati come istituti di credi-to. Cfr. Colusich, Le casse di risparmio e le fondazioni bancarie tra pubblico e privato, cit., p. 33, anche per l’aspetto dell’estensione della disciplina sabauda alle casse dei regni annessi.

10 Per le rilevazioni dei bilanci aggregati degli istituti di credito tra il 1870 ed il 1894 si veda A. Confalonieri, Banca e industria in Italia (1894-1906), Bolo-gna, Il Mulino, 1974, vol. I, p. 415.

11 Cfr. G.M. Saracco, L’evoluzione stori-ca della natura giuridica delle casse di risparmio e l’acquisizione del carattere di enti pubblici, in «Il foro amministra-tivo» (1986), p. 2620.

12 Cfr. De Rosa, Storia delle Casse di ri-sparmio e della loro associazione, cit., sulle vicende legate al congresso di Firenze da cui uscì il progetto di legge sulle casse di risparmio.

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delle casse come un categoria a sé stante di soggetti “non imitabile” (art. 28); pos-sibilità di impiegare i capitali nel modo stabilito dallo statuto (art. 16); possibilità di ammettere oltre ai depositi a risparmio anche i depositi in conto corrente (art. 14). Dall’altro, le norme dirette a sottrarre l’influenza delle casse dagli interessi privati e a farne soggetti “pubblici”, cioè appartenenti alla collettività di riferi-mento: intrasmissibilità della qualità di socio nelle casse a struttura associativa (art. 5); distinzione, per quelle create sul modello della fondazione, tra il patrimo-nio delle casse e quello degli enti istitutori (art. 4); divieto per gli amministratori di partecipare agli utili o di percepire compensi (art. 6); mantenimento di consi-stenze patrimoniali soprattutto nella fase di avvio al fine di accrescere la solidità finanziaria degli istituti (artt. 3 e 17).

La legge del 1888 aveva chiarito la natura particolare delle casse, distinguen-dole sia dalle istituzioni di pubblica beneficenza sia dalle società commerciali. Rimaneva aperta la questione circa la loro natura pubblica o privata, solo parzial-mente definita nella legge crispina del 1888 13.

I provvedimenti normativi che seguirono continuarono a muoversi nella

Calendari della Cassa di Risparmio di San Miniato

13 La questione non è di poco conto e si inserisce all’interno dell’annosa que-stione circa l’individuazione stessa di cosa sia un ente pubblico. Sul punto si vedano V. Cerulli Irelli - G. Morbidelli, Ente pubblico ed enti pubblici, Torino, Giappichelli, 1994, e G. Rossi, Gli enti pubblici, Bologna, Il Mulino, 1991.

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medesima direzione. Ciò nonostante aumentarono i controlli e gli obblighi cui venivano assoggettate le casse, tutti indici ormai di una pubblicizzazione del fe-nomeno. Tra il 1926 ed il 1927 vennero approvati tre regi decreti legge, i nn. 1512 e 1830 del 1926 ed il n. 269 del 1927. I primi due provvedimenti imposero alle casse l’obbligo di iscrizione all’albo istituito presso il ministero delle Finanze, vietarono di aprire sedi e filiali, di operare fusioni senza la preventiva autoriz-zazione ministeriale; imposero un limite massimo al fido concedibile al singolo obbligato; conferirono il potere di vigilanza dell’istituto di emissione ed obbliga-rono gli istituti bancari a inviarvi i bilanci periodici.

Con il successivo provvedimento del 1927 il controllo statale sulle casse divenne sempre più forte. Il decreto dispose fusioni obbligatorie delle casse e dei monti più piccoli in prospettiva di una loro drastica riduzione e attribuì al mini-stero dell’Economia nazionale il potere di sospendere il consiglio di amministra-zione dall’esercizio delle funzioni e di nominare un commissario ad acta.

L’insieme dei provvedimenti raggiunse l’obiettivo di attrarre le casse entro la sfera del controllo pubblico. Il successivo regio decreto 25 aprile 1929, n. 967, che recava il «Testo Unico delle leggi sulle Casse di risparmio e sui Monti di

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Pietà di prima categoria» ed il coevo regolamento di attuazione rafforzarono la natura pubblica di tali enti. In particolare il Testo Unico rafforzava i controlli e l’ingerenza ministeriale sullo statuto. L’atto che aveva segnato la libertà delle casse e che aveva anche consentito uno sviluppo del fenomeno che privilegiasse le necessità delle comunità che le avevano istituite, veniva così assorbito quasi totalmente nella sfera pubblica attraverso una fitta rete di controlli preventivi.

La strada era segnata. La legge bancaria approvata alcuni anni più tardi collocò le casse di risparmio, pur con alcune eccezioni, all’interno della categoria

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delle aziende di credito, assoggettandole così alla disciplina generale da essa det-tata 14. Scomparve così quasi del tutto l’intera legislazione speciale sulle casse di risparmio. Le casse, ormai da tempo enti bancari pubblici, furono assoggettate ad un forte controllo amministrativo centrale 15.

1.3 La Costituzione repubblicana e la conferma della socialità del credito

Una tappa decisiva nell’evoluzione legislativa che riguarda le casse di rispar-mio è l’avvento della Costituzione repubblicana.

La Carta costituzionale afferma all’art. 47 che uno dei compiti della Repub-blica è quello di «incoraggia(re) e tutela(re) il risparmio in tutte le sue forme» e di «disciplina(re), coordina(re) e controlla(re) l’esercizio del credito». Come è

14 Sulle vicende che portarono alla leg-ge bancaria cfr. lo studio di S. Casse-se, Come è nata la legge bancaria del 1936, Roma, Pubblicazione della Ban-ca Nazionale del Lavoro, 1988.

15 Occorre tener presente che nell’ideolo-gia fascista l’esercizio dell’attività ban-caria verrà considerato come un’attività di interesse pubblico. Una tale consi-derazione e la creazione del modello dominante della banca pubblica si affer-marono anche a seguito della grave crisi mondiale degli anni Trenta, che aveva spinto a recedere le interferenze esisten-ti tra allocazione del credito e grande impresa. Cfr. Clarich - Pisaneschi, Le fondazioni bancarie, cit., p. 31.

Palazzo Grifoni, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato

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stato autorevolmente rilevato, la disposizione costituzionale «esprime con più evidenza di altre proposizioni costituzionali la difficoltà incontrata dai Costituen-ti a tradurre in termini normativi istituti che caratterizzano la struttura dello Stato sotto il profilo economico» 16.

Una difficoltà sicuramente accentuata dal fatto che sono inseriti in un unico articolo, oltre ai due aspetti menzionati (credito e risparmio), anche la coopera-zione e la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.

Da questo punto di vista la norma costituzionale sembra aver tenuto conto della disciplina esistente ponendosi in continuità con la legge bancaria del 1929, non solo per una certa «costituzionalizzazione del principio del controllo pubblico del credi-to», ma soprattutto per l’aver recepito un certo tipo di organizzazione e struttura del “mercato” del credito 17, che privilegia l’impiego latu sensu sociale del risparmio 18.

Oltre agli aspetti riguardanti più specificamente il credito, l’altro dato di

16 F. Merusi, Art. 47 (commento a), in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, Za-nichelli, 1980, p. 153.

17 Si pensi alla complessa differenziazio-ne territoriale e funzionale delle attività creditizie (soggetti raccoglitori del ri-sparmio a breve termine e erogatori di credito a breve termine, raccoglitori di risparmio a medio termine e erogatori del credito dello stesso genere). Su tali punti cfr. M. Nigro, Profili pubblicistici del credito, Milano, Giuffrè, 1972, pp. 17 sgg.

18 In tal senso la previsione del secondo comma dell’art. 47 risulta assai esem-plificativa di un modo di utilizzo socia-le del risparmio.

Via IV Novembre con veduta di palazzo Formichini, sede della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.

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grande interesse desumibile dall’entrata in vigore della Costituzione per le cas-se di risparmio è il riconoscimento del pluralismo istituzionale e del successivo «pluralismo nelle istituzioni», cioè l’applicazione delle garanzie costituzionali di libertà alle attività anche privatistiche svolte da enti pubblici o da soggetti privati che operano secondo regole pubbliche 19.

2. dalle Casse dI rIsParMIo alle FondazIonI banCarIe

2.1 La “privatizzazione” delle casse di risparmio

Qual è dunque lo scenario delle banche pubbliche in generale, ed in partico-lare delle casse di risparmio, alla fine degli anni Ottanta?

19 Cfr. su tale punto Corte costituzionale, sentenza 173 del 1981 ed il filone inter-pretativo che è sorto a partire da queste sentenze, che possiamo ritrovare anche nella sentenza n. 396 del 1988 e nella sentenza 500 del 1993, fino ad arrivare alle sentenze 300 e 301 del 2003 che, pur non riprendendo esplicitamente le sentenze citate, fanno proprio questo orientamento. Su tale punto per l’orien-tamento della Consulta precedente alle ultime due pronuncie citate si veda A. Baldassarre, Le Casse di risparmio come “formazioni sociali” e società di credito private, in Le fondazioni casse di risparmio, a cura di F. Roversi Monaco, Bologna, Maggioli, 1998, pp. 76 sgg.

Palazzo Formichini, particolare degli affreschi presenti nella sala antistante l’ufficio del Presidente della Cassa di Risparmio S.p.A.

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Il modello elastico e duttile della legge bancaria aveva tenuto per anni, di-mostrando di riuscire a sopravvivere in circostanze tra loro totalmente differenti, quali il regime fascista e l’ordinamento repubblicano.

Da un punto di vista strutturale, il mercato del credito appariva fortemente segmentato per effetto delle specializzazioni previste nella legge bancaria, del forte radicamento territoriale – soprattutto delle casse di risparmio – e per la previsione di tutta quella serie di controlli preventivi che rendevano il “credito” estraneo alle logiche della concorrenza.

Il modello della legge bancaria entrò in crisi alla fine degli anni Settanta, quando il nostro sistema creditizio iniziò a misurarsi con la disciplina e le po-litiche comunitarie in tema di liberalizzazione dei servizi, che in poco tempo portarono alla perdita sostanziale da parte delle nostre banche del monopolio del-l’intermediazione creditizia.

Palazzo Formichini, ufficio del Presidente della Cassa di Risparmio S.p.A.

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Al mutare della situazione mutò anche l’atteggiamento dell’autorità preposta dalla legge bancaria alla vigilanza del settore. In una famosa memoria del 1981, infatti, la Banca d’Italia tracciò un bilancio che indicava le prospettive dell’ordi-namento degli enti pubblici e creditizi italiani 20. Occorreva, secondo la Memoria, lo sviluppo di una logica della redditività e della concorrenza. Per sviluppare questa, l’unico modo era quello di conformare la struttura sulla falsa riga delle società per azioni 21.

Della necessità di una profonda rivoluzione era consapevole anche il Gover-no, che nel frattempo aveva presentato al Parlamento un disegno di legge per il riordino complessivo del sistema bancario 22.

Ne uscì un primo segnale di una complessiva riforma del settore, diretto per il momento solo ad «armonizzare e rendere più razionali gli statuti dei banchi meridionali» attraverso modifiche statutarie che inserissero chiare distinzioni tra le funzioni di indirizzo, di controllo e quella di gestione 23.

A questi primi interventi se ne aggiunsero due di eguale rilievo sul versante dell’apertura del mercato bancario. Nel 1982 la Banca d’Italia con il «piano spor-telli» autorizzava l’apertura di nuove filiali anche al di fuori delle aree originarie delle banche. Nel 1985 un decreto del Presidente della Repubblica di ricezione

20 Cfr. Banca d’Italia, Ordinamento degli enti pubblici creditizi. Analisi e pro-spettive, Estratto dal Bollettino, Roma, gennaio-giugno 1981, pp. 427 sgg.

21 Cfr. M. Rispoli Farina, Dall’ente pub-blico creditizio alla società per azioni, Napoli, Jovene Editore, 1993, p. 15.

22 Cfr. S. Cassese, La riforma delle ban-che pubbliche. Le banche pubbliche diventano imprese, in «L’Industria» (1983), p. 179.

23 Legge 10 febbraio 1981, n. 23, e decre-to ministeriale 27 luglio 1981, attuativo di questa.

Palazzo Formichini, sala antistante l’ufficio del Presidente della Cassa di Risparmio S.p.A.

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della prima direttiva CEE in materia bancaria (n. 77/780) affermava a chiare let-tere che «l’attività di raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e di esercizio del credito ha carattere d’impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano».

Diventava sempre più chiara l’inadeguatezza della situazione italiana in cui le banche “pubbliche” potevano essere considerate tali solo «“per l’esserci”, non potendosi individuare un nesso di strumentalità delle operazioni bancarie con specifiche e contingenti finalità pubbliche perseguite dall’ente» 24.

Al primo fece seguito sette anni dopo un secondo rapporto con il quale la Banca d’Italia ribadì l’esigenza di ricapitalizzare le banche pubbliche e scegliere tout court la forma della società per azioni al fine di rendere il mercato creditizio italiano conforme al sistema concorrenziale europeo 25.

Nel documento si prospettano due possibili strade per far assumere la veste di società per azioni agli enti pubblici bancari: trasformarli direttamente in s.p.a. o scorporare l’azienda bancaria e conferirla ad una nuova s.p.a. La prima soluzione poteva essere utilizzata solo per gli enti a struttura associativa, l’altra si adattava agli enti a struttura di fondazione, ma di fatto era estendibile anche ai primi 26.

Tra le due opzioni venne scelta la seconda 27. Attraverso la legge-delega 30

24 Cfr. Banca d’Italia, Ordinamento degli enti pubblici creditizi. Analisi e pro-spettive, cit., p. 431.

25 Cfr. Banca d’Italia, Ordinamento de-gli enti pubblici creditizi. L’adozione del modello della società per azioni, Estratto dal Bollettino, Roma, febbraio 1988.

26 Per una esplicazione esaustiva delle due ipotesi si veda F. Merusi, Dalla banca pubblica alla fondazione privata, Tori-no, Giappichelli, 2000, pp. 23 sgg.

27 Per una ricostruzione dell’iter di appro-vazione del d.d.l. 3124/C (disegno di legge «Amato») presentato alla Came-ra il 26 agosto 1988 si veda C. Pisanti - A.M. Carriero, La legge Amato e i de-creti delegati, in Banca d’Italia, Quader-ni di ricerca giuridica, pp. 61 sgg.

Palazzo Grifoni, sala “Torello Pierazzi”

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luglio 1990, n. 218 (la cd. “legge Amato-Carli”) ed il seguente decreto legisla-tivo 20 novembre 1990, n. 356, venne realizzato il primo atto di privatizzazione formale di tutti gli enti pubblici creditizi in società per azioni 28. «Nelle sue linee generali», come ha avuto modo di affermare anche la Corte costituzionale in una recente sentenza, «il procedimento giuridico previsto si è basato sul cosiddetto “scorporo” dell’azienda bancaria dagli originari enti creditizi; sulla scissione di questi ultimi in due soggetti: gli “enti conferenti” e le “società per azioni conferi-tarie” e sul “conferimento” dell’azienda bancaria alla società per azioni conferi-taria da parte dell’ente conferente» 29.

Scelto il modello, si poneva l’ulteriore problema di individuare quale fosse il “ruolo” di questi enti: semplici proprietari delle azioni che non esercitavano alcun controllo sull’attività bancaria oppure soggetti attivi del mercato credi-tizio che, pur non potendo esercitare attività bancaria direttamente, avevano il controllo del settore.

In questa alternativa si giocava una grossa partita. Da un lato chi riteneva la scelta dello scorporo solo un primo passo verso la privatizzazione totale del mercato creditizio italiano e dall’altro chi, in difesa della struttura particolare di questo, riteneva che l’influenza degli enti attraverso la partecipazione azionaria maggioritaria dovesse mantenersi a lungo, almeno in un periodo transitorio 30.

In realtà, almeno per la prima fase, l’autonomia dell’ente conferente e della società conferitaria venne sacrificata. Al di là delle mere distinzioni linguistiche tra “gestire” e “amministrare” partecipazioni azionarie, il dato rilevante fu che tra i due enti, pur distinti giuridicamente, venne assicurata una continuità operati-va 31, che portava gli enti pubblici conferenti ad essere ancora uno degli elementi costituivi fondamentali del sistema creditizio 32.

Nonostante ciò, tanto la legge quanto il decreto non chiarirono quale fosse la natura del soggetto (conferente) che deteneva le partecipazioni azionarie della società bancaria. Quest’ultimo, pur prevedendo che l’ente avrebbe avuto «piena capacità di diritto pubblico e privato» e fosse stato soggetto alla vigilanza del ministero del Tesoro, non definiva con chiarezza se l’ente appartenesse alle cate-gorie dei soggetti di diritto pubblico o di diritto privato 33.

2.2 Dall’“Ente” alla “Fondazione”

Il processo era ormai avviato. La scelta per una privatizzazione solo for-male era solo il primo passo di una metamorfosi lunga che avrebbe ridisegnato i confini del mercato del credito in Italia, ancora dominato da soggetti troppo sottodimensionati rispetto agli standard europei. Non occorre ribadire in questa sede le vicende politiche ed economiche dei primi anni Novanta, che impressero una forte spinta verso le “privatizzazioni” delle imprese controllate dallo Stato. È evidente però che in un clima anche politico e sociale mutato, parlare di priva-tizzazioni “sostanziali” fosse ormai non oggetto di una scelta ma (forse) la strada da percorrere.

Così come era avvenuto all’inizio degli anni Ottanta, l’occasione venne con il recepimento della seconda direttiva CEE in materia di banche (n. 89/646). Nel-l’occasione, il decreto legislativo n. 481 del 1992 modificò l’art. 21 del decreto

28 Per quanto riguarda l’analisi degli ef-fetti della riforma del 1990 sull’intero ordinamento bancario si veda G. Cam-marano, La riforma bancaria del 1990: un’analisi della sua preparazione, in Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giu-ridica, n. 26, gennaio 1992, pp. 44 sgg.

29 Cfr. considerato in diritto (di seguito c.i.d.) della sentenza n. 300 del 2003.

30 Su tale punto vedi M. Sanino, Le fon-dazioni bancarie: ultimo atto?, Torino, Giappichelli, 2004, p. 36.

31 Nel decreto legislativo la continuità è pure assicurata dalle norme che preve-dono la nomina di membri del comitato di gestione od organo equivalente del-l’ente nel consiglio di amministrazione e di componenti l’organo di controllo nel collegio sindacale della società.

32 Cfr. Corte costituzionale, sentenza 163 del 1995.

33 Ciò nonostante la dottrina era concor-de nel definirli ancora enti pubblici (G. Morbidelli, Sulla natura degli enti conferenti a struttura associativa e sul grado di autonomia costituzionalmente garantita agli stessi, in Le fondazioni casse di risparmio, cit., p. 137).

Nella pagina precedenteCattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio martire (San Miniato). Navata centrale

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legislativo n. 356 del 1990, introducendo il potere del ministero del Tesoro, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e delle competenti Commissioni parla-mentari, di impartire direttive verso la generalità o particolari enti conferenti per il trasferimento di azioni con il diritto di voto nell’assemblea ordinaria o di altri diritti di opzione sulle medesime che comportino la perdita della partecipazione maggioritaria diretta o indiretta di enti pubblici nelle società bancarie.

Tale norma, tuttavia, conteneva in sé una contraddizione: il ministero era allo stesso tempo organo di controllo e proprietario “di fatto” del potere di dismettere le partecipazioni nell’azienda di credito.

La legge del 1992, anche per la sua contraddizione in nuce, non ebbe il se-guito sperato 34. Il processo di separazione tra ente conferente e società conferi-taria tuttavia non si arrestò. Il decreto legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito in legge 30 luglio 1994, n. 474, che aveva ad oggetto proprio «l’accelerazione delle procedure di dismissione delle partecipazioni dello Stato e degli enti pub-blici in società per azioni», abrogò la modifica dell’art. 21 del decreto legisla-tivo del 1990 e conferì al ministro del Tesoro il potere di stabilire con proprio decreto criteri e procedure per la dismissione delle partecipazioni deliberate dagli enti conferenti 35.

34 Anche se venne salvata nel Testo Unico Bancario del 1993.

35 Cfr. art. 1, comma 7, del decreto legi-slativo.

Affresco della cupola della chiesa del SS. Crocifisso, San Miniato

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La norma così strutturata lasciava intendere che fosse stata salvaguardata l’autonomia dell’ente conferente, ancora nella piena facoltà di decidere se e quan-do disfarsi del controllo dell’azienda di credito.

Esercitando i poteri previsti nella legge, il ministro del Tesoro emanò la di-rettiva 18 novembre 1994 (la cd. “direttiva Dini”) in materia criteri e procedure per le dismissioni delle partecipazioni deliberate dagli enti conferenti, nonché per la diversificazione del rischio degli investimenti.

La direttiva – in un modo che oggi definiremmo “ambiguo” – da un lato lasciava intendere che la dismissione fosse una facoltà e non un obbligo (art. 2, comma 1), e dall’altro imponeva agli enti conferenti di procedere ad una diver-sificazione degli attivi in modo tale che la copertura delle finalità cd. “sociali” avvenisse in una misura non superiore al 50% con proventi realizzati dalle parte-cipazioni di controllo, salvo che gli enti non arrivassero ad investire più del 50% del loro patrimonio in azioni della società conferitaria 36.

Le “ingerenze” nell’attività degli enti conferenti, tuttavia, non si limitavano a questo, ma investivano aspetti relativi all’attività e all’organizzazione dell’en-te. Sotto il primo profilo, al fine di garantire prospettive di continuità dell’ente, venivano imposte in modo rigido e puntuale le forme di impiego dei proventi

36 Per ambedue le operazioni il tempo concesso era 5 anni.

Interno del convento di Santa Chiara, San Miniato

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derivanti dalle dismissioni 37. Per quanto riguarda il secondo, oltre a prevedere che le modifiche degli statuti dovessero essere approvate dal Tesoro, si imponeva una «maggiore rappresentatività degli interessi connessi ai settori di intervento prescelti» 38.

Pur non avendo realizzato tutti gli obiettivi posti, quindi, il legislatore dei primi anni Novanta era riuscito a sradicare i vecchi enti conferenti dall’esercizio attivo dell’attività bancaria e, cosa di ben maggiore importanza, li aveva posti in una sorta di “limbo”, confinati in una condizione di «non essere» 39. Proprietari di una banca ma non banche, enti con funzioni sociali importanti ma non istituti di pubblica assistenza 40.

Nonostante non fosse ancora chiaro quale era la vera vocazione degli enti conferenti, vi erano segni chiari che il processo verso la creazione di soggetti privati che svolgessero attività di interesse pubblico e di utilità sociale era ormai a buon punto. Tutto questo, inoltre, mentre maturava nel nostro paese la scelta radicale di un taglio al welfare e della conseguente promozione del terzo settore o non profit, che dir si voglia 41.

Fu così che dopo un lungo confronto con le associazioni di categoria si per-venne all’approvazione della legge 23 dicembre 1998, n. 461 (cd. “legge Ciam-pi”), «Delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 no-vembre 1990, n. 356, e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria», a cui hanno fatto seguito il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, «Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle ope-razioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 dicem-bre 1998, n. 461» e l’atto di indirizzo del ministero del Tesoro 5 agosto 1999.

L’obiettivo dichiarato della legge fu quello di «dare a fondazioni e società fisionomia pienamente autonoma, non solo sul piano formale ma anche sostan-

37 In misura non inferiore al 30% in titoli di stato italiani o esteri e in obbligazio-ni; in misura non inferiore al 30% in azioni quotate nei mercati regolamen-tati italiani o esteri.

38 Art. 6, comma 1, lett. a).39 Cfr. F. Belli - F. Mazzini, Fondazioni

bancarie (ad vocem), in «Digesto disci-pline privatistiche», Aggiornamento, 2000, p. 318.

40 In controtendenza rispetto all’orienta-mento legislativo la Corte costituziona-le, che in una sentenza di quegli anni, la n. 163 del 1995, affermò che agli enti conferenti si continuava ad applicare la disciplina degli enti creditizi.

41 In quegli anni la legge quadro sul vo-lontariato (n. 226 del 1991) obbligò le “fondazioni bancarie” a devolvere una parte dei propri utili ai fondi regionali; la manovra finanziaria aggiuntiva del 1995 introdusse una norma che affida-va alle fondazioni il rilancio dei servi-zi mussali (art. 47 quater del decreto legge 451 del 1885, convertito nella legge n. 85 del 1995); il Documento di programmazione economica e finanzia-ria per il biennio 1996-98 sollecitò le fondazioni a giocare un ruolo di rilievo nelle privatizzazioni in corso.

Particolare della facciata della chiesa di Sant’Andrea a Palaia

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Teatro Verdi, Santa Croce sull’Arno

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ziale». Occorreva perciò trovare una forma giuridica che evitasse di «appesantire strutture che […] avrebbero dovuto mantenersi agili», facendo salvi i poteri di vigilanza in capo al ministero del Tesoro 42. Come è stato già affermato da al-tri autori, l’impianto legislativo «doveva essere adattato a garantire un’esigenza contingente (la trasformazione controllata) e a governare l’evoluzione dell’ente in senso realmente privatistico» 43.

A questo fine, la legge di delega fissava quattro direttrici che garantivano e in-centivavano il riassetto: una nuova definizione del regime tributario degli enti con-ferenti; un riassetto del regime fiscale dei trasferimenti delle partecipazioni detenute dagli stessi enti; una nuova definizione del regime civile degli enti; infine, un nuovo regime fiscale volto ad una più completa ristrutturazione del sistema bancario.

Per divenire «persone giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale», secondo l’art. 2, comma 1, lett. l) della legge, gli enti dovevano ap-provare le modifiche statutarie rese necessarie dall’emanando decreto legislativo entro 180 giorni dalla sua approvazione 44.

La legge si occupava principalmente della trasformazione dell’ente conferente in fondazione privata, senza però porre come contropartita immediata la vendita del pacchetto di controllo della banca, per la quale c’era un tempo di sei anni 45.

Alla definizione degli obiettivi e dei criteri definiti nella legge delega die-de gambe il successivo decreto legislativo. Quanto alla definizione funzionale

42 Cfr. C.A. Ciampi, Banche, privatizza-zioni e fondazioni. Gli orientamenti del governo, Estratto dal Bollettino, Roma, luglio 1996, pp. 2 sgg.

43 Cfr. Clarich - Pisaneschi, Le fondazioni bancarie, cit., p. 60.

44 Le modifiche riguardavano l’istituzione di distinti organi di indirizzo, gestione e controllo. Cfr. art. 2, comma 1, lett. g).

45 Oggetto però di una serie di incentivi fiscali e tributari.

46 Anche se un primo accenno alla deno-minazione “fondazioni”, non in termini così chiari, si ritrova pure nella legge delega.

47 Che hanno anche il compito di definire i settori entro cui indirizzare la propria attività scegliendone almeno uno dalla rosa dei cd. settori rilevanti … art. 2, comma 2. I settori rilevanti sono defi-niti nell’art. 1, comma 1, lett. d), e sono «i settori della ricerca scientifica, del-l’istruzione, dell’arte, della conserva-zione e valorizzazione dei beni e delle

Chiesa di Santa Maria Novella a Marti

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

dei nuovi soggetti privati, nel decreto si parla espressamente per prima volta di «fondazioni» 46: «persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale», che «perseguono esclusivamente scopi di uti-lità sociale e di promozione dello sviluppo economico, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti» 47.

Per perseguire gli scopi statutari la legge proibì alle fondazioni di esercitare funzioni creditizie; di finanziare, erogare o sovvenzionare, in modo diretto o in-diretto, enti con fini di lucro o imprese di qualsiasi natura, con l’eccezione delle imprese direttamente strumentali ai propri fini statutari 48. In tutte le altre ipotesi, comprendenti dunque anche le società bancarie conferitarie, fu vietato di acquisi-re o di conservare partecipazioni di controllo 49.

Cosa non dissimile avveniva per la partecipazione di controllo detenuta nella società bancaria frutto dell’originario scorporo. Con una norma derogatoria posta all’interno della «disciplina transitoria» le fondazioni vennero obbligate, per la prima volta, a dismettere le partecipazioni di controllo detenute nelle società nel termine di quattro anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo 50.

Il dado, quindi, sembrava tratto. In un solo colpo si era realizzata la tra-sformazione giuridica della natura dell’ente, la destinazione delle sue attività a scopi esclusivi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, e, cosa più importante, la totale separazione funzionale dell’attività creditizia con

attività culturali e dei beni ambientali, della sanità e dell’assistenza alle cate-gorie sociali deboli, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), della Legge-de-lega». Per una disamina approfondita cfr. Sanino, Le fondazioni bancarie: ultimo atto?, cit., p. 47.

48 Cfr. art. 3, comma 2.49 Cfr. art. 6, comma 1 e 4.50 Prorogabile di ulteriori due anni pena

la perdita dei benefici fiscali previsti nell’art. 12. Cfr. l’art. 25, che prevede anche l’ipotesi limite della dismissione coattiva per quelle fondazioni che nel termine di 6 anni non avesse proceduto a vendere il controllo delle banche. Cri-tico nei confronti del metodo utilizza-to e soprattutto con la situazione poco chiara che si era venuta a creare per la non menzione nella legge di delega del-l’obbligo per la fondazione di perdere il controllo della banca è Merusi (Dalla banca pubblica alla fondazione priva-ta, cit., pp. 119 sgg.).

Piazza della Repubblica e facciata del seminario vescovile di San Miniato

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il divieto di partecipazioni di controllo nel capitale di società esercenti l’attività bancaria 51.

Il nuovo soggetto privato assumeva una fisionomia più chiara, una missione dai contorni più precisi ed una struttura di governance che dava maggiore spazio alle istanze locali nel caso di ex associazioni o agli altri soggetti privati se ex fondazioni 52.

2.3 La riforma del Titolo V della Costituzione e le complesse vicende della XIV Legislatura

Il trend evolutivo della disciplina sulle fondazioni non era destinato ad arre-starsi. Nel momento, forse, di maggiore difficoltà applicativa delle disposizioni contenute nel decreto delegato del 1999, veniva approvata una riforma costitu-

Cassa di Risparmio di San Miniato, Agenzia 1 di Pisa

51 A completare il quadro vi era la previ-sione di un rigoroso regime di incom-patibilità tra cariche, rispettivamente, nella fondazione e nella società banca-ria conferitaria contenuto nello stesso decreto (art. 4, comma 1, lettera g), e comma 3) e, soprattutto, all’interno dell’atto di indirizzo ministeriale del 5 agosto 1999.

52 Cfr. art. 4, comma 1, lett. d).

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zionale che ridisegnava profondamente il quadro delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali.

La riforma, introducendo modifiche ordinamentali al rapporto tra Stato, Re-gione ed enti locali invadeva tutto l’ordinamento, arrivando a toccare anche il tema del credito e delle fondazioni, come si vedrà soprattutto dall’analisi delle sentenze della Corte costituzionale del novembre 2003.

Per la decisività del tema occorre un breve richiamo ai cambiamenti più impor-tanti e alle loro implicazioni con il tema del credito e delle fondazioni bancarie.

La novità di portata più immediata contenuta nella riforma del Titolo V della Costituzione è sicuramente l’inversione del criterio di attribuzione delle competenze legislative. L’art. 117 Cost., infatti, importando una clausola tipica degli stati federali, prevede che lo Stato possa esercitare il potere legislativo esclusivamente in alcune materie tassativamente indicate nel secondo comma (potestà legislativa esclusiva statale) e, solo con riguardo ai principi fonda-mentali, nelle materie del terzo comma (potestà concorrente Stato-Regioni), spettando, poi, alle regioni, sulla base del quarto comma, l’esercizio della po-testà legislativa per ogni altra materia non espressamente indicata nei commi precedenti (potestà residuale regionale).

Se si legge il nuovo riparto di materie appare subito evidente che nel cata-logo delle materie di potestà esclusiva statale rimangono le tradizionali funzioni statali, per le quali l’esigenza di uniformità nazionale è maggiormente sentita. Nei termini che interessano alla trattazione occorre fare attenzione alle competen-ze esclusive statali su «moneta», «concorrenza», «ordinamento civile e penale», «politica estera», ma anche alla «determinazione dei livelli essenziali delle pre-stazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», e alla «previdenza sociale».

Rimane la competenza concorrente, ed anzi attraverso un ampliamento de-gli ambiti le Regioni sembrano ora avere un potere di legiferare su molte più materie rispetto a prima. Si pensi, infatti, alle materie «rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni», al «commercio con l’estero», alla «tutela e sicurezza del lavoro», alla disciplina delle «professioni e della ricerca scien-tifica e tecnologica», alla «tutela della salute», le «grandi reti di trasporto e di navigazione», l’«ordinamento della comunicazione», l’«energia», la «previdenza complementare e integrativa», ma soprattutto alle materie «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale» e «enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale» che fanno dubitare della consapevolezza del le-gislatore costituzionale immemore dei profondi cambiamenti che qui abbiamo cercato di tratteggiare 53.

Chiave di volta dell’intero sistema, oltre che la trasformazione suscettibile di generare le novità più interessanti, è rappresentata dalla formula del quarto comma dell’art. 117 Cost., in base alla quale «spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legi-slazione dello Stato» 54.

Alle rilevanti modifiche riscontrate nella potestà legislativa fa eco un altro notevole mutamento, ovvero l’introduzione in Costituzione del principio di sussi-diarietà, tanto nella sua veste di regola distributiva delle competenze amministra-

53 La menzione di questi tipi di banche sembrerebbe, ad una prima ricognizio-ne, il frutto di una svista del legislato-re costituzionale che non aveva tenuto conto dell’abrogazione di queste cate-gorie giuridiche attraverso le riforme degli anni Novanta. Cfr. su tale punto E. Montanaro, I sistemi creditizi re-gionali nel contesto del mercato unico europeo, in La potestà legislativa tra stato e regioni, a cura di L. Ammannati - T. Groppi, Milano, Giuffré, 2003, pp. 173 sgg.

54 Come è noto «con tale disposizione trova accoglimento nel nostro sistema costituzionale una regola tipica degli Stati federali, in virtù della quale lo stato membro è competente ad adottare leggi in tutte le materie non riservate alla federazione dalla Costituzione fe-derale». Su tale punto cfr. funditus gli scritti di L. Torchia, La potestà legi-slativa residuale delle regioni, in «Le Regioni» (2002), pp. 343 sgg.; B. Ca-ravita, Prime osservazioni di contenuto e di metodo sulla riforma del Titolo V della Costituzione, in Osservatorio sul federalismo (www.federalismi.it), p. 5; M. Olivetti, Le funzioni legislative regionali, in La Repubblica delle Auto-nomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, a cura di T. Groppi - M. Oli-vetti, Torino, Giappichelli, 2003, p. 93.

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Roma

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Ingresso del Centro Studi “I Cappuccini”

Centro Studi “I Cappuccini”. Sala riunioni

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tive tra centro e periferia (cd. “sussidiarietà verticale”) 55, quanto nella sua veste di principio che, favorendo l’azione della società civile, contribuisce alla creazio-ne di ordinamento veramente democratico (cd. “sussidiarietà orizzontale”) 56.

La XIII Legislatura termina – oltre che con la riforma costituzionale che abbiamo richiamato – con una profonda trasformazione delle fondazioni e soprat-tutto con un complessivo riassetto, ancora in fieri, dell’intero sistema bancario italiano. La partita del controllo pubblico sui vecchi “enti conferenti”, tuttavia, non era terminata.

Il provvedimento legislativo che dà il via a quello che potremmo chiamare il terzo periodo della vicenda delle fondazioni di origine bancaria è la legge finan-ziaria per il 2002, la n. 448 del 28 dicembre 2001 che all’art. 11 detta disposizioni concernenti l’attività e l’organizzazione delle fondazioni.

La riforma, che ancora una volta prende il nome dall’allora ministro del-l’Economia Tremonti, tenta l’ultimo affondo per riportare entro la sfera pubblica le fondazioni intervenendo anche sul rapporto tra questa e la banca conferitaria.

A differenza delle precedenti, però, non si mira a fare delle fondazioni un mezzo a disposizione dello Stato per intervenire nel mercato del credito, ma a tra-sformarle in una sorta di “cassaforte” alla quale attingere per finanziare interventi infrastrutturali pubblici.

Quanto al rapporto fondazione-banca la riforma Tremonti introduce due no-vità di notevole interesse sulla nozione di controllo e sul periodo entro cui le fon-dazioni devono continuare a detenere partecipazioni di controllo delle banche.

Sotto il primo profilo, la legge aggiunge all’art. 6 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, il comma 5-bis in base al quale «Una società bancaria o capogruppo bancario si considera controllata da una fondazione anche quando il controllo è riconducibile, direttamente o indirettamente, a più fondazioni, in qualunque modo o comunque sia esso determinato».

Anche riguardo al termine per la dismissione delle partecipazioni di control-lo nelle banche conferitarie, la legge finanziaria apporta delle modifiche. Rimane la scadenza dei quattro anni, ma si consente di allungare il periodo di ulteriori tre anni ove la partecipazione nella società bancaria conferitaria venisse affidata ad una società di gestione del risparmio «scelta nel rispetto di procedure competi-tive» che la amministra «in nome proprio secondo criteri di professionalità e in-dipendenza» 57. Una scelta, tra l’altro, di compensazione dell’eliminazione della possibilità prevista originariamente dal decreto di mantenere il controllo per altri due anni oltre la scadenza.

Sul piano dell’attività viene previsto per le fondazioni l’obbligo di esercitare la propria opera esclusivamente all’interno di una serie di settori (definiti settori “am-messi”) 58, suddivisi in quattro categorie 59, a cui viene aggiunto successivamente un altro, quello della «realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità» 60.

Tra questi settori ogni fondazione deve obbligatoriamente sceglierne tre (che vengono appellati “settori rilevanti”), impegnandosi – con dichiarazione vinco-lante per un periodo triennale – ad operare prevalentemente in essi 61.

Con l’obiettivo, poi, di rendere flessibili i settori a tutto vantaggio dell’Era-rio, nella legge si prevede la possibilità per l’autorità proposta alla vigilanza sulle fondazioni di modificare con proprio decreto l’elenco dei “settori ammessi” 62.

55 Per i più importanti problemi che gene-ra l’intreccio tra sussidiarietà e nuovo sistema delle fonti si veda A. Moscarini, Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti. Contributo allo studio dei criteri ordinatori del sistema delle fon-ti, Padova, Cedam, 2003. Da ultimo cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 303, 1 ottobre 2003.

56 Art. 118, comma 1 e 3.57 Cfr. comma 1-bis dell’art. 25 del decre-

to legislativo n. 153 del 1999.58 Art. 1, comma 1, lett. c-bis), del decreto

legislativo n. 153 del 1999.59 Sono: 1) famiglia e valori connessi;

crescita e formazione giovanile; educa-zione, istruzione e formazione, incluso l’acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e bene-ficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili; 2) prevenzione della criminalità e sicu-rezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezio-ne dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; preven-zione e recupero delle tossicodipenden-ze; patologie e disturbi psichici e men-tali; 3) ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale; 4) arte attività e beni culturali.

60 Legge n. 166/02 (art. 7).61 Il testo contiene grandi differenze ri-

spetto alla versione precedente.62 Al comma 15 si prevedeva anche che

nell’allegato alla relazione previsionale e programmatica il ministro dell’Eco-nomia e delle Finanze esponesse l’am-montare delle risorse complessivamen-te attivate nei settori di attività delle fondazioni e che di queste risorse si tenesse «conto nella rideterminazione degli stanziamenti da iscrivere nei fon-di di cui all’articolo 46», ovvero nella determinazione a livello statale dei fi-nanziamenti.

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La modifica del versante organizzativo coinvolge più ambiti.La composizione dell’organo di indirizzo deve prevedere una prevalente e

qualificata rappresentanza degli enti pubblici territoriali diversi dallo Stato «ido-nea a rifletterne le competenze nei settori ammessi in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione».

Si inseriscono norme dirette ad evitare i potenziali conflitti d’interessi tra la qualifica di membro degli organi direttivi delle fondazioni e di amministratore in aziende del settore bancario, finanziario o assicurativo, ridefinendo – a tal fine – anche la nozione di partecipazione di controllo da parte dell’ente conferente.

Non viene risparmiato neanche l’aspetto relativo al termine entro cui vendere la partecipazione di controllo nelle società bancarie. Viene eliminata la facoltà di proroga biennale e si introduce la possibilità di affidare le partecipazioni bancarie ad una società di gestione del risparmio.

Interno del conservatorio di Santa Chiara, San Miniato

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Gli indirizzi così espressi vengono confermati anche in sede di regolamen-to attuativo, sul quale ha pesato (non poco) un importante parere del Consiglio di Stato 63.

Le novità, tuttavia, non sono terminate. Con due provvedimenti a distanza di 6 mesi si pongono due importanti deroghe a favore delle cd. “piccole fondazioni”, quelle cioè che hanno un patrimonio non superiore a 200 milioni di euro e a quelle che operano prevalentemente nelle regioni a statuto speciale. Con il primo, conte-nuto nella legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289), si prevede che le fondazioni di questo tipo possano godere di un prolungamento di tre anni (in totale sette) del periodo transitorio entro cui abbandonare la quota di controllo della banca. Il successivo decreto legge n. 143 del 2003, convertito nella legge n. 212 dello stesso anno, elimina per le piccole fondazioni e quelle che operano nelle regioni a statuto speciale l’obbligo di perdere il controllo della conferitaria 64.

63 Cfr. regolamento del ministero del-l’Economia n. 217 del 2002. Parere Consiglio di Stato, adunanza 1 luglio 2002, n. 1354/2002.

64 Per un approfondimento si veda infra, par. 3.6, pp. 156 sgg.

Navata centrale della chiesa del SS. Crocifisso, San Miniato

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Il provvedimento mira principalmente a riconoscere il ruolo delle fondazioni di minori dimensioni, al fine di preservarne la funzione di sostegno dell’appara-to produttivo costituito da piccole imprese, artigianali, commerciali ed agricole. Con il senno di poi esso segna un vero e proprio punto di svolta della considera-zione che il legislatore ha nei confronti delle fondazioni, accogliendo finalmente alcune delle istanze che da tempo erano state oggetto di proposta da parte delle fondazioni 65.

Nel contesto così delineato e mentre è in atto uno scontro su molte delle nor-me contenute nella riforma Tremonti, il governo inserisce, in un atto legislativo “anticipatore” delle misure della legge finanziaria 66, una norma che trasforma la Cassa Depositi in società per azioni, al fine di favorire il potenziamento del sistema di finanziamento degli investimenti pubblici in infrastrutture 67. Il decreto nel fissare le caratteristiche dell’assetto azionario della nuova Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. menziona in modo espresso che «le fondazioni di cui al d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153 […] possono detenere quote di minoranza» di questa 68.

Il perfezionamento della vicenda è avvenuto con il decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 5 dicembre 2003. Al decreto il legislatore ha affidato il compito di definire le funzioni, le attività e le passività della Cassa; i beni e le partecipazioni societarie dello Stato, anche indirette trasferite alla Cas-sa 69; il capitale sociale 70 della Cassa.

65 Cfr. Ottavo rapporto sulle Fondazioni bancarie, in «Il Risparmio», 3 (2003, suppl.), pp. 27-28.

66 Si tratta dell’art. 5 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003, che trasforma la Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni con la denominazione di “Cassa Depositi e Prestiti società per azioni” (CDP S.p.A.).

67 A tal fine la società viene divisa in due anime. La prima, quella originaria della Cassa che viene organizzata come “ge-stione separata”, è preposta alla conces-sione di prestiti allo Stato, alle Regioni, agli enti locali e agli organismi di diritto pubblico. La seconda, denominata an-che “gestione normale”, ha come mis-sione specifica il finanziamento delle imprese di servizio pubblico.

68 La scelta della preferenza come socio delle fondazioni è espressa anche nello statuto della CDP, che all’art. 8 preve-de che le azioni detenute da soggetti diversi dal ministero dell’Economia sono trasferibili esclusivamente a delle fondazioni di origine bancaria ovvero di banche ed altri intermediari finanzia-ri vigilati secondo le norme del Testo Unico Bancario.

69 Dal decreto viene ceduto il 10,35% di ENEL, il 10% di ENI ed il 35% di Po-ste Italiane S.p.A., per un controvalore complessivo di 11 miliardi di euro.

70 Pari a 3,5 miliardi di euro.

Veduta aerea della chiesa del SS. Crocifisso

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Da parte loro, le fondazioni hanno aderito all’invito del ministero dell’Eco-nomia e delle Finanze ad entrare nella Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., e in 65 hanno firmato il 23 dicembre 2003 il contratto d’acquisto delle azioni privilegiate per una quota complessiva pari al 30% del capitale totale, corrispondente a un valore di 1 miliardo e 50 milioni di euro 71.

Le fondazioni hanno diritto di recedere dalla CDP S.p.A. nel periodo com-preso fra il primo gennaio 2005 e il 31 dicembre 2009 nel caso in cui il divi-dendo sia inferiore, anche per un solo esercizio, a quello minimo spettante, in base allo statuto della CDP S.p.A., alle azioni privilegiate.

Quanto ai diritti spettanti dalla partecipazione, un decreto del Presidente del Consiglio del 5 dicembre 2003 ha stabilito che le fondazioni hanno diritto alla desi-gnazione di 3 dei 9 membri del consiglio di amministrazione della Cassa S.p.A. 72.

2.4 La riforma “Tremonti” al vaglio della Corte costituzionale:le sentenze 300 e 301 del 2003

Attraverso il ricorso in via principale di alcune Regioni e di numerose ordi-nanze di rimessione in via incidentale del Tar Lazio 73, la Corte costituzionale è stata investita della definizione di una serie di questioni di legittimità costituzio-nale delle norme contenute nell’art. 11 della legge finanziaria per il 2002.

Le sentenze 29 settembre 2003, nn. 300 e 301, che risolvono le questioni sol-levate, rappresentano uno dei momenti più importanti della vicenda attuale legata alla sorte delle fondazioni bancarie.

Volendo sintetizzare il contenuto del giudizio dinanzi alla Corte, si può rilevare che sono due i motivi fatti valere dalle difese delle Regioni per chiede-re la dichiarazione di incostituzionalità della riforma Tremonti. Primo, le norme

71 La garanzia dell’acquisto e della ri-spondenza alla disciplina stessa delle fondazioni è pure garantita dal fatto che la titolarità di azioni privilegiate dà alle fondazioni il diritto di prelazione sia nell’assegnazione degli utili sia nella ripartizione del patrimonio sociale in caso di scioglimento della società.

72 La norma vale a partire dal secondo periodo di durata in carica, dato che per questo in corso valgono le nomine compiute direttamente dal decreto del Presidente del Consiglio del 5 dicem-bre 2003.

73 Sulla base di una serie di ricorsi fatti da alcune fondazioni bancarie e della stessa ACRI.

Veduta panoramica della città di San Miniato

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della legge finanziaria violano il potere delle Regioni di approvare disposizioni di dettaglio nella materia «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carat-tere regionale» (art. 117, comma III, Cost.). Secondo, le fondazioni si muovono in settori (sociali, culturali, sviluppo economico) che sono di competenza esclusi-va o concorrente delle Regioni. Sono queste ultime, dunque, a dover disciplinare una parte consistente della loro vita.

Il ricorso delle Regioni viene dichiarato infondato. Per arrivare alla solu-zione la Corte si fa carico prima di tutto di ricostruire il faticoso percorso della disciplina sulle fondazioni di origine bancaria dell’ultimo decennio per arrivar a chiarire la natura giuridica di questi soggetti.

La sentenza qualifica le fondazioni come «persone giuridiche private, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale», precisando pure che le norme della legge n. 448 del 2001 non «sono tali da ricondurre le fondazioni all’ordinamento al quale appartenevano gli enti pubblici conferenti». Pur perseguendo scopi di utilità generale, esse non sono assimilabili ad amministrazioni pubbliche e ad enti strumentali. Sono, invece, veri e propri «soggetti dell’organizzazione delle “libertà sociali”, non delle funzioni pubbliche, ancorché entro i limiti e controlli compatibili con tale loro carattere».

In un ulteriore passaggio, poi, i giudici costituzionali si preoccupano anche di chiarire oltremodo il senso del loro cambiamento di indirizzo. La qualifica di ente creditizio (che la stessa Corte aveva riconosciuto nelle sue precedenti senten-ze 341 e 342 del 2001) era giustificata nella fase transitoria «in base al mancato venir meno, in concreto, del vincolo genetico e funzionale tra enti conferenti e società bancarie conferitarie» 74. Ma ora che tale fase si è definitivamente com-piuta esse debbono essere considerate persone giuridiche private a tutti gli effetti. Ciò che conta, infatti, è la definizione data dall’art. 2 del decreto legislativo 153 del 1999, appunto «persone giuridiche private».

Da ciò deriva, ai fini della pronuncia, che la materia delle fondazioni (erro-neamente definite bancarie) non è «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale», bensì «ordinamento civile» comprendente la disci-plina delle persone giuridiche di diritto privato che l’art. 117, comma 2, assegna alla legislazione esclusiva dello Stato.

È dunque legittimo – da questo punto di vista – l’esercizio del potere legi-slativo e regolamentare da parte dello Stato, e va respinta la pretesa delle Regioni che tale potestà dovesse ritenersi limitata ai principi fondamentali, escludendo altresì le competenze regolamentari.

Le fondazioni, pur agendo in settori di rilevanza regionale, non sono organi-smi dell’amministrazione pubblica e, dunque, non sono disciplinate dalla legge regionale.

Nella sentenza n. 301 del 2003 la Corte deve risolvere tutte le censure sol-levate nell’ordinanza del Tar Lazio, che attengono ai problemi dell’autonomia sociale delle fondazioni, del conflitto di interessi, delle partecipazioni incrociate e del controllo, e sui poteri normativi dell’autorità di vigilanza, oltre ovviamente alla possibilità di un eccesso di delega del decreto legislativo n. 153 del 1999 per quanto riguarda i poteri di indirizzo dell’autorità stessa.

Quali sono le risposte che dà la Corte? Quanto al primo problema, che so- 74 Punto n. 6.3 del c.i.d.

Nella pagina precedenteChiesa del SS. Crocifisso. Statua del-l’evangelista San Marco

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stanzialmente tocca l’aspetto dei settori ammessi e rilevanti, la Consulta ritiene che non vi sia una limitazione dell’autonomia delle fondazioni solo quando si conferisce all’autorità di vigilanza il potere di modificare i settori rilevanti in deroga alla legge.

Si salva, infatti, la previsione che introduce i cd. “settori ammessi”, dicendo che sostanzialmente «sono riproduttivi di tutti i possibili settori» in cui operano le fondazioni 75, ma viene dichiarata l’incostituzionalità del potere ministeriale di modificare questi con regolamento 76.

È dichiarata infondata, invece, la censura riguardante i settori rilevanti, dato che la loro determinazione non incide in modo autoritativo nella libertà di scelta della fondazione 77.

Affresco della cupola della chiesa del SS. Crocifisso

75 Punto n. 4 del c.i.d.76 Punto n. 5 del c.i.d.77 Punto n. 7 del c.i.d.

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Con una tecnica interpretativa vengono salvate anche le norme sui conflitti di interessi per i componenti del comitato d’indirizzo estesa a tutte le società ope-ranti nel settore bancario 78.

Viene infine annullata la norma che prevede per l’autorità di vigilanza il potere di dare indirizzi alle fondazioni sui requisiti di onorabilità dei membri del comitato di indirizzo 79.

Se guardiamo all’effetto pratico delle sentenze è evidente che le decisioni hanno assecondato il cammino delle fondazioni bancarie: apparentemente sono più numerosi i punti in cui la Corte respinge le richieste di incostituzionalità ri-spetto a quelli in cui vengono effettivamente dichiarate fondate, ma nella sostan-za i punti “qualificanti” delle fondazioni vengono tutti accolti 80.

78 «S’intende, allora, come il riferimento alle “altre società operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo” debba essere inteso nel senso, restritti-vo, di società in (necessario) rapporto di partecipazione azionaria o di con-trollo con la banca conferitaria». Cfr. punto n. 10 del c.i.d.

79 Punto n. 13 del c.i.d.80 Tra tutti: prevalenza degli enti locali

nella composizione degli organi; potere di delegificazione del ministro del Te-soro sui settori ammessi; estensione del concetto di controllo e dunque l’esten-sione del conflitto d’interessi; poteri d’indirizzo del ministro sulla compo-sizione degli organi d’indirizzo. Viene poi respinto “l’assalto alla diligenza” da parte delle Regioni, che volevano sostituirsi all’autorità centrale nella re-golazione delle fondazioni.

Affreschi raffiguranti i profeti all’interno della cupola della chiesa del SS. Crocifisso

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Affreschi raffiguranti i profeti all’interno della cupola della chiesa del SS. Crocifisso

In realtà, se guardiamo all’effetto “sistematico” o “culturale” delle sentenze, c’è un risultato molto più rilevante da segnalare. Le due decisioni del 2003, infat-ti, rappresentano una grande affermazione del principio della «libertà sociale».

La Corte costituzionale, nella sentenza 300 (redattore Zagrebelsky), dinanzi alla pretesa delle Regioni di disciplinare le fondazioni afferma che «questo modo di ragionare presuppone che le fondazioni di origine bancaria e le loro attività rientrino in una nozione, per quanto lata sia, di pubblica amministrazione in sen-so soggettivo e oggettivo». Questo continua la Corte: «dopo il d.lgs. n. 153 […] non è più sostenibile. La loro definizione quali persone giuridiche private, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale; il riconoscimento del carattere dell’uti-lità sociale agli scopi da esse perseguiti […] collocano – anche in considerazione

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di quanto dispone ora l’art. 118, quarto comma, della Costituzione – le fonda-zioni di origine bancaria tra i soggetti dell’organizzazione delle “libertà sociali” (sentenza n. 50 del 1998), non delle funzioni pubbliche, ancorché entro limiti e controlli compatibili con tale loro carattere».

Al di là delle considerazioni sui singoli aspetti, il cardine logico di que-ste sentenze (soprattutto della 301) è il principio di ragionevolezza, secondo il quale il legislatore può fare leggi, ma esse non possono essere irragionevoli, ovverosia non può trattare la stessa fattispecie in modo “irragionevolmente” differenziato. Nel caso in esame, la norma centrale – per entrambe le sentenze – è l’art. 2 del decreto legislativo n. 153 del 1999 nel quale si afferma che «le fondazioni sono persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena

Affreschi raffiguranti i profeti all’interno della cupola della chiesa del SS. Crocifisso

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autonomia statutaria e gestionale. Perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti».

Se in tale norma di legge le fondazioni cd. “bancarie” sono definite come persone giuridiche private, è irragionevole porre delle norme come quelle della legge finanziaria 2002 in cui – nei fatti – le si considera enti pubblici attraverso i poteri del ministro e degli enti locali.

Proprio in relazione a tale punto, la prevalenza degli enti locali non è di-chiarata incostituzionale perché contrasta con la natura intrinsecamente privata di questi soggetti, ma perché se negli organi direttivi delle fondazioni si deve rappresentare il territorio, è irragionevole limitare tale rappresentanza ai soli enti territoriali, occorre aprire anche agli altri.

La Corte, quindi, non afferma qual è la natura – sul piano costituzionale – delle fondazioni cd. “bancarie”, ma si limita a recepire la definizione legale esistente e a chiedere allo stesso legislatore di essere coerente con la propria identificazione.

Volta centrale della chiesa del SS. Crocifisso. Particolare degli affreschi

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

3. l’eVoluzIone dell’assetto IstItuzIonale della Cassa dI rI-sParMIo dI san MInIato

3.1 La trasformazione: da Cassa di Risparmio in Ente e Cassa S.p.A.

L’evoluzione normativa che abbiamo descritto nei capitoli precedenti, ovvia-mente, non poteva non coinvolgere anche la Cassa di Risparmio di San Miniato che, proprio in conseguenza della riforma, avvia un processo di trasformazione destinato a coprire oltre un decennio.

L’istituto Cassa di Risparmio, in base alla nuova legislazione, scorpo-ra l’azienda bancaria e la conferisce alla “Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.” 81; nasce così il 12 maggio 1992 (con rogito notaio Martini) una distinta azienda bancaria nella forma della società per azioni.

Nello stesso tempo l’istituto, in virtù del decreto del ministero del Tesoro del 13 aprile 1992 n. 435505 82, diviene “Ente Cassa di Risparmio di San Mi-niato”, ente “conferente” che, sempre secondo quanto previsto dalla riforma,

Chiesa della Scala, San Pietro alle Fonti

81 Il consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di San Miniato, nel dicembre del 1992, con due delibere, una del 12 ed una del 19, procede al-l’approvazione degli statuti della socie-tà conferitaria e dell’ente conferente. L’assemblea straordinaria dei soci della Cassa procede contestualmente alla de-libera di ristrutturazione ai sensi della nuova disciplina il 12 dicembre 1992.

82 Nell’autorizzazione si dà atto del confe-rimento, previo scorporo, dell’azienda bancaria alla costituenda Cassa S.p.A., della costituzione della S.p.A. (e ado-zione del relativo statuto) e dell’ado-zione del nuovo statuto della Cassa che diventa “Ente Cassa di Risparmio di San Miniato”. Nell’atto ministeriale v’è anche la menzione dell’adegua-mento dello statuto alle previsioni della legge sul volontariato.

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inizialmente detiene il 100% delle azioni della banca “conferitaria”.Come abbiamo spiegato nella prima parte, questo assetto previsto dalla legge

n. 218 del 1990 e dai suoi decreti attuativi non era pensato per durare; in verità, era stato progettato come un assetto transitorio: il primo passo era la privatizza-zione “formale” per poi passare ad una privatizzazione “sostanziale” cedendo le azioni a soggetti diversi dall’ente (come noto, lo stesso destino, in quegli stessi anni, tocca in sorte a molte importanti aziende di Stato).

L’intero capitale sociale dell’azienda bancaria – oramai pienamente assog-gettata in quanto s.p.a. creditizia alle regole del Testo Unico Bancario – era posse-duto dall’ente, e se questa condizione, sul piano sostanziale, non sembrava cam-biare nulla rispetto all’assetto precedente, in realtà consentiva (come poi accadrà) alle azioni delle “casse di risparmio s.p.a.” di iniziare a circolare.

È proprio in virtù di questa circolazione che, in pochi anni, si renderanno possibili quelle rilevantissime operazioni di acquisizione, fusione, incorporazio-ne destinate a cambiare completamente il volto del mondo bancario italiano: le “nuove” casse di risparmio s.p.a., a differenza dei “vecchi” istituti, divengono finalmente acquistabili e, per questo, gli uffici legali dei grandi gruppi bancari o delle casse più importanti cominciano a studiare le strategie più opportune per acquisire o vendere queste nuove banche.

È evidente che in questo momento storico, dietro l’apparenza di una riforma sul piano tecnico-legislativo, si gioca una partita molto più ampia e decisiva: l’assetto futuro del sistema bancario italiano e, per il legame che questo ha con

Veduta esterna della chiesa della Scala, San Pietro alle Fonti

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i principali fattori produttivi dell’economia in Italia, lo stesso futuro del nostro sistema economico.

Le casse di risparmio si trovano esposte, per la prima volta, a strategie di trasformazione che la loro peculiarissima natura aveva sino ad allora reso impensabili.

Soggetti abituati ad una stabilità quasi secolare, il cui governo era frutto di equilibri sedimentati in lassi di tempo lunghissimi, si trovano coinvolti in rapidis-simi cambi di scena e contesto.

Le casse sono quindi dinanzi ad un bivio: restare istituti bancari legati al soggetto, al territorio ed alle particolari finalità che le avevano generate oppure entrare in “gruppi bancari” più ampi?

E nel primo caso – laddove scegliessero l’autonomia – questa scelta sarebbe in grado di resistere e di confermarsi economicamente competitiva dinanzi alla prospettiva – ritenuta al momento a brevissimo termine – di una completa libera-lizzazione del mercato della raccolta del risparmio, con conseguente drastica di-minuzione dei costi dei prodotti bancari dovuta all’ingresso nel territorio italiano di grandi istituti anche stranieri capaci di poderosi abbattimenti dei costi rispetto alla dimensione localistica delle casse?

Nel secondo caso – entrando, cioè, in un gruppo più grande – questo vorreb-be dire semplicemente trasformarsi in una mera “catena di sportelli” del gruppo bancario incorporante, perdendo così qualsiasi specificità, ovvero potrebbe rap-presentare una forma di sinergia virtuosa?

Veduta esterna della chiesa della Scala, San Pietro alle Fonti

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3.2 Il progetto “Casse Toscane S.p.A.”

Nel momento in cui l’Ente CRSM inizia a porsi questi problemi, in Toscana prende corpo un’ipotesi che potremmo definire come una sorta di “terza via”.

Gli enti nati dalle casse di risparmio toscane, infatti, si trovano a dover sce-gliere tra le alternative che abbiamo descritto: rimanere legati alle proprie origini ed al proprio territorio, rischiando però di essere dimensionalmente non compe-titivi, ovvero confluire in gruppi più grandi, perdendo così la propria storia; in questa condizione nasce il tentativo “Casse Toscane S.p.A.”.

Gli enti conferenti toscani, scegliendo un’ipotesi che, in verità, era stata ven-tilata proprio nel dibattito legislativo sulla legge Carli 83, decidono di costituire una società holding regionale cui conferiscono le quote di controllo di tutte le rispettive s.p.a. bancarie 84.

La scelta è chiara: aumentare la soglia dimensionale e le efficienze di scala

83 Come ricorda Cammarano, nell’analisi effettuata da Banca d’Italia per la reda-zione della legge di modifica del set-tore, il gruppo bancario si preparava a «divenire la struttura idonea a permet-tere agli enti creditizi, anche pubblici, lo sviluppo e l’arricchimento dei servi-zi creditizi e finanziari complementari a quello bancario tradizionale nel quadro di una strategia globale e accentrata, senza perdere i vantaggi della specia-lizzazione acquisita e dell’affinamento della capacità concorrenziale» (La ri-forma bancaria del 1990: un’analisi della sua preparazione, cit., p. 45).

84 Le quote di conferimento sono diver-sificate (CR Firenze 51%, CR Lucca 51%, CR Pistoia 51%, CR San Miniato 63%, CR Pisa 62%, CR Livorno 52%, BM Lucca 56%).

Interno della chiesa della Scala, San Pietro alle Fonti

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

attraverso la creazione di una “supercassa” toscana, ma, nello stesso tempo, con-servare le specificità ed il legame con il territorio di tutti gli attori del gioco.

L’Ente Cassa di Risparmio di San Miniato aderisce a questo progetto, e il 12 maggio 1992 conferisce il 63% – quindi ben oltre la maggioranza – del capitale sociale della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. alla holding Casse Tosca-ne S.p.A.; altrettanto fanno la Cassa di Risparmio di Firenze, la Cassa di Rispar-mio di Pisa, la Cassa di Risparmio di Lucca, la Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, la Cassa di Risparmio di Livorno e la Banca del Monte di Lucca.

Il progetto Casse Toscane S.p.A. ha un suo indubbio fascino e, data l’evo-luzione subita negli anni successivi dal nostro sistema bancario, v’è da chiedersi se non avrebbe potuto rappresentare una reale ipotesi alternativa a quella che il settore delle casse di risparmio ha invece intrapreso.

In altri termini, c’è da chiedersi se il destino delle casse di risparmio italia-ne doveva essere necessariamente quello dell’inevitabile integrazione in alcuni

Un bello scorcio della città di San Miniato

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Chiesa di Santa Maria a Monte. “Salita al Calvario”

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grandi gruppi bancari italiani 85 (o stranieri), ovvero se non si sarebbe potuto ra-gionevolmente percorrere anche la strada della creazione di «banche regionali» o «gruppi creditizi regionali» 86, sul modello delle landesbanken tedesche, capaci di coniugare efficienza e prossimità al territorio, valorizzando – e non azzerando, com’è successo nella maggior parte dei casi – il patrimonio di conoscenza e tra-dizione posseduto dalle “vecchie” casse.

In ogni caso, già dal primo passo immediatamente seguente la trasformazio-ne in ente e lo scorporo dell’azienda bancaria, appare chiara quale sarà la “stella polare” che la Cassa di San Miniato intenderà seguire nella sua navigazione: la difesa dell’autonomia coniugata con il miglioramento dell’efficienza e dei risul-tati; l’adesione al progetto “Casse Toscane” rappresenta indubbiamente un passo in questa direzione.

Com’è noto, il progetto “Casse Toscane” fallisce.In parte per la difficoltà ad assicurare un’efficace governance del sistema

delle banche controllate, in parte per le pressioni crescenti da parte di potenziali acquirenti, in parte, infine, perché – e di questo bisogna essere consapevoli – le vecchie casse erano spesso dominate da un forte e miope “localismo” nei criteri di gestione, in poco tempo la holding avvia un processo di scissione.

In un primo momento, la Cassa di San Miniato resta nella Casse Toscane S.p.A. assieme alla Cassa di Firenze e a quella di Pistoia e Pescia, mentre le re-stanti casse escono costituendo il Gruppo Casse del Tirreno S.p.A. 87.

Si avvia così un periodo, lungo e burrascoso, destinato a chiudersi solo nel 1998, quando Casse Toscane S.p.A. 88, attraverso la scissione proporzionale del-la Finanziaria CRSM S.p.A. 89, consentirà all’Ente di rientrare in possesso della quota di azioni della banca conferita a Casse Toscane.

Alla fine di questa operazione l’Ente, in pratica, torna al punto di partenza: al 31 dicembre 1998, infatti, i soci della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. sono formalmente due – la Finanziaria CRSM (62,83%) e l’Ente Cassa di Rispar-mio di San Miniato (37,17%) – ma sostanzialmente la proprietà è nuovamente tutta nelle mani dell’Ente.

Ma cosa succede in quei tre anni?Due erano i fattori che spingevano ormai prepotentemente perché la Cassa

di San Miniato, una volta uscita da Casse Toscane, trovasse comunque un altro partner bancario.

Da un lato, in generale, il contesto normativo, come abbiamo già ricordato (vedi infra, par. 2.1, pp. 112 sgg.), aveva imposto il modello della società per azioni alle banche che derivavano dalle ex-casse di risparmio proprio per favorire la circolazione delle loro azioni e per consentire operazioni di concentrazione e ristrutturazione volte a migliorarne le strutture.

Dall’altro, nei confronti della Cassa di San Miniato in particolare, l’autorità di vigilanza del sistema bancario – Banca d’Italia – non nascondeva il suo chiaro au-spicio affinché la banca sanminiatese potesse trovare un solido partner tra le aziende bancarie 90. D’altronde questo era proprio uno degli scopi dichiarati della riforma delle casse di risparmio: favorire l’aggiornamento e l’adeguamento delle aziende di credito delle ex-casse alle nuove esigenze del mercato e della competizione.

Gli anni che vanno dal 1995 al 1998, quindi, sono gli anni della difficile

85 Ovviamente i giudizi di grandezza sono sempre relativi; si consideri che quelli che chiamiamo “grandi” gruppi bancari italiani sono sempre assolutamente in-comparabili, quanto a dimensioni, con i grandi gruppi bancari europei, per non parlare di quelli di oltreoceano; dunque, la prospettiva era quella di integrarsi in cosiddetti “grandi” gruppi, nessuno dei quali – a seguito di queste acquisizio-ni – avrebbe comunque raggiunto la soglia dimensionale di un competitor europeo.

86 Questa è la definizione che si evince dal parere dell’autorità antitrust a Banca d’Italia sulla proposta “Casse Toscane S.p.A.”; cfr. provvedimento n. 443 in data 1 aprile 1992, pubblicato su Au-torità Garante della Concorrenza e del Mercato, «Bollettino», 7 (1992).

87 L’assemblea straordinaria della Casse Toscane S.p.A. delibera la scissione il 15 giugno 1995 (così da comunicato stampa).

88 Con delibera dell’assemblea dei soci del 16 aprile 1998.

89 La soluzione che viene adottata per uscire da Casse Toscane S.p.A. è quella di suddividere la stessa in tre entità, ad ognuna delle quali faccia capo la pro-prietà della maggioranza del capitale sociale di una delle tre singole aziende bancarie. I pacchetti di controllo delle s.p.a. bancarie CRSM e CRPT sareb-bero stati così assegnati a due nuove holding finanziarie denominate “Fi-nanziaria CRPT S.p.A.” e “Finanziaria CRSM S.p.A.”, partecipate per il 100% dai rispettivi enti conferenti.

90 Banca d’Italia, in qualità di autorità di vigilanza del sistema bancario, più volte aveva evidenziato l’opportunità di una radicale ristrutturazione organizzativa della banca sanminiatese. Di tale ne-cessità era sicuramente cosciente anche l’Ente CRSM, attento alle indicazioni che venivano da Palazzo Koch, che pur non essendo l’autorità di vigilanza sulle fondazioni – come è noto – aveva un forte potere di moral suasion sugli enti conferenti.

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Chiesa di Santa Maria a Monte. “Le donne al Sepolcro”

Chiesa di Santa Maria a Monte. Particolare degli affreschi interni

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

Chiesa di Santa Maria a Monte. “Assunzione”

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ricerca di un socio, anni in cui si percorrono diverse ipotesi che, come vedremo, non giungeranno ad esito positivo; ciononostante, è estremamente utile ripercor-rerne la vicenda, poiché essa consente di cogliere con maggior chiarezza come l’Ente, anche in una fase, come vedremo, di trasformazione assai turbolenta, non muti la propria linea di condotta, ma anzi ne rafforzi la direzione.

3.3 La difficile ricerca di un socio: le ipotesi “Cariverona S.p.A.” e “Casse del Tirreno S.p.A.”

La prima strada che viene percorsa è quella di una cessione della maggioran-za delle azioni della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. alla Cariverona S.p.A., banca nata dalla trasformazione della Cassa di Risparmio di Verona.

L’ipotesi sembra essere molto più che una mera eventualità; si giunge infatti alla firma di una lettera di intenti 91 ed è evidente, dalla lettura di questo documen-to, quale sia stata la base sostanziale dell’accordo: da un lato, l’integrazione con la dimensione decisamente superiore della Cariverona facente capo al Gruppo

91 Firmata il 21 ottobre 1996 tra l’ing. Fo-resto Mostardini (per l’Ente CRSM) e l’ing. Paolo Biasi (per Cariverona).

Cristiano Banti, Interno di Chiesa, olio su tela, 1860 circa

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

Unicredito 92, ma nel contempo una chiara garanzia di ampi spazi di autonomia per la Cassa di San Miniato.

Nella lettera di intenti si legge infatti che «contestualmente alla sottoscrizio-ne del contratto di compravendita, l’Ente, Cariverona ed Unicredito sottoscrive-ranno un patto di sindacato che impegnerà le parti, nella loro posizione di azioni-sti della Cassa, in funzione di un indirizzo unitario nella gestione strategica della Cassa stessa, finalizzato a preservarne l’autonomia a rafforzarne la sua presenza nel territorio di competenza, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo».

Agli intenti però, non seguono le azioni.Nel corso delle trattative, infatti, si evidenzia con sempre maggior chiarezza

che la strategia della banca veneta, che nel frattempo è diventata una delle grandi attrici della nascita del Gruppo Unicredito, è nei fatti ben più divergente rispetto a quella del partner toscano.

Ovviamente, essa continua a promettere un’ampia garanzia per l’autonomia della banca toscana, ma, evidentemente, con argomenti non sufficienti a convin-cere del tutto i dirigenti della banca di San Miniato.

Per queste ragioni l’ipotesi fallisce.A seguito della rottura delle trattative con Cariverona, l’ipotesi che imme-

diatamente prende quota è quella della integrazione della CRSM con alcuni “ex-compagni di viaggio” del progetto “Casse Toscane”: il Gruppo Casse del Tirreno S.p.A. Come abbiamo visto, questa holding raggruppava le Casse di Pisa, Lucca, Livorno e la Banca del Monte di Lucca.

L’ipotesi questa volta sembra avere basi più solide, ed il progetto di tutela dell’autonomia e valorizzazione delle risorse da mettere in comune sembra con-diviso senza dubbi 93.

A conferma di ciò sta il fatto che nella trattativa con Casse del Tirreno S.p.A. si va ben oltre la definizione comune di intenti, ma si avvia una vera e propria collaborazione operativa: rappresentanti del gruppo del Tirreno entrano negli or-gani di direzione della banca sanminiatese e viceversa, si istituisce un comitato di coordinamento tecnico in cui entra il direttore generale della CRSM, si avvia l’integrazione dei sistemi informativi delle diverse banche e si dà inizio, infine, alla redazione di un nuovo piano industriale comune.

Anche in questo caso, però, la trattativa che, come abbiamo detto, nel frat-tempo era divenuta una vera e propria collaborazione organizzativa ed aziendale, si interrompe.

Il punctum dolens è sempre lo stesso: la richiesta di una chiara garanzia che la partecipazione della Cassa di San Miniato a questo gruppo non avrebbe signifi-cato, prima o poi, la rinuncia alla propria reale autonomia come banca.

È inutile, al fine di questa nostra ricostruzione, documentare analiticamente i singoli episodi dai quali i dirigenti della Cassa di San Miniato hanno potuto inferire questa differente valutazione di prospettiva 94; basti solo ricordare che i fatti in breve tempo hanno dato palesemente ragione all’Ente di San Miniato, se è vero che il Gruppo Casse del Tirreno S.p.A., di lì a poco, è stato acquisito dalla Banca Popolare di Lodi (ora Popolare Italiana) e sulla base di condizioni diverse – non intendiamo qui valutare se migliori o peggiori, ma certamente diverse – da quelle richieste dalla banca di San Miniato.

92 Non a caso Banca d’Italia, nel valutare l’ipotesi di concentrazione (cfr. Banca d’Italia, provvedimento n. 44/1996), considera la parte acquirente il “Grup-po Unicredito”.

93 Nella lettera di intenti sottoscritta dal-l’Ente CRSM e la Casse del Tirreno S.p.A. il 7 luglio 1997, il primo punto degli obiettivi comuni è la «costituzio-ne di un gruppo bancario integrato in modo da mantenere la propria autono-mia […]», ed il secondo è il «consolida-mento e sviluppo delle singole Banche nell’area di tradizionale insediamento e sviluppo»; nel punto successivo si sta-tuisce che «l’ingresso della Cassa nel Gruppo, pur mantenendo intatta l’iden-tità aziendale della stessa, migliorereb-be le potenzialità di sviluppo operativo della Cassa e permetterebbe una più in-cisiva politica di riduzione dei costi».

94 Si consideri che in data 21 settembre 1998 la Cassa chiede formalmente, con una propria comunicazione, la garanzia di una serie di punti (la lettera dei “10 punti”); dinanzi all’indisponibilità a fronte di tali richieste, la rottura formale della collaborazione diviene inevitabile.

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3.4 La partnership con il Monte dei Paschi

Al termine della vicenda “Casse del Tirreno”, l’Ente (rientrato in possesso del con-trollo della s.p.a.) si trova a dover cominciare nuovamente la ricerca di un partner.

Il tempo ormai stringe, dal momento che le ragioni che abbiamo ricordato e per le quali occorreva necessariamente trovare un accordo, restano tutte, ed anzi si aggravano.

L’esperienza di questi due tentativi falliti, però, non è stata priva di un suo valore.

La lezione appresa da queste due vicende è che la cessione del pacchetto di controllo della banca – a meno che non vi siano interlocutori particolarmente affidabili – inevitabilmente la espone al rischio di una “capture”.

Nonostante, quindi, il contesto normativo in quel momento imponesse anco-ra la cessione da parte degli enti conferenti delle quote di controllo delle banche, l’Ente San Miniato, con una scelta che anticiperà l’evoluzione successiva dello stesso quadro legislativo, decide che, quantomeno in una prima fase, è preferibile cercare un partner di minoranza. Da un lato, il fatto che l’Ente possa mantenere la guida della banca – quantomeno sul piano della maggioranza azionaria – resta, in questa fase, la garanzia migliore dell’autonomia. Dall’altro, attraverso l’in-serimento graduale nella compagine azionaria di un socio bancario “affidabile” assicurerà quella maggiore garanzia richiesta dalla Banca d’Italia.

Particolare dell’opera di Giulio Greco “La Luna” presso lo stadio di Fucecchio

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L’Ente di San Miniato trova nel Monte dei Paschi di Siena un socio che ri-sponde a queste caratteristiche.

Le trattative questa volta sono rapidissime e giungono a conclusione in tempi molto brevi.

Il 22 settembre 1999 l’Ente cede il 25% del capitale sociale della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. alla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., che in tal modo diviene azionista di minoranza della banca.

A questo punto, però, occorre chiedersi perché l’ipotesi MPS risulta vincen-te, mentre le altre ipotesi sono fallite.

Si potrebbe dire, seguendo il ragionamento che abbiamo sin qui proposto, che la differenza sta nella quota di minoranza, e non di maggioranza, del nuovo socio; la questione, in realtà, è più complessa e richiede un approfondimento.

In primo luogo, occorre muovere dalla strategia del Monte dei Paschi che, quan-tomeno in quel periodo, era quella di un allargamento di tipo “federativo”; la banca senese cercava essenzialmente alleati per estendere il volume dei potenziali clienti dei propri prodotti finanziari, piuttosto che veri e propri «territori di conquista» 95.

Ma, a dire il vero, il contenuto testuale dei contratti o la solenne affermazio-ne delle strategie aziendali delle due banche avrebbero potuto costituire un ben debole argine dinanzi ad un socio di tali dimensioni 96; non è certo difficile per un partner di quel genere far valere nella sostanza il proprio peso in un consiglio di amministrazione al di là della propria quota, senza poi considerare che dagli accordi parasociali il Monte dei Paschi acquisiva un potere di co-decisione asso-

95 Come si evince dalle dichiarazioni del direttore generale – Divo Gronchi – ri-ferite al consiglio di amministrazione dell’Ente CRSM, in occasione dell’au-dizione in Banca d’Italia, preventiva rispetto all’acquisto da parte di MPS delle azioni di CRSM (cfr. Ente CRSM, Verbale CdA del 17 marzo 1999).

96 Come risulta dal provvedimento del-la Banca d’Italia sulla concentrazione MPS-CRSM (n. 26/1999), al momen-to della compravendita MPS aveva un fatturato pari a circa 16.000 miliardi di lire a fronte dei 360 miliardi di lire di CRSM; la banca senese aveva sul terri-torio nazionale 1.162 sportelli a fronte dei 50 sportelli della CRSM in territo-rio esclusivamente toscano.

Pieve di San Giovanni Battista, Cigoli. Particolari del Baldacchino

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lutamente rilevante 97; si tenga conto, infine, che trasformare il 25% in 51% non sarebbe stato poi così difficile 98.

Per comprendere la vera natura di questa operazione, occorre prendere in considerazione un altro elemento tecnico che, in un certo senso, “garantiva” la banca di San Miniato rispetto a possibili “scalate” dell’istituto bancario senese.

Ci riferiamo al già citato provvedimento n. 26 del 17 maggio 1999 della Banca d’Italia 99; l’autorità di vigilanza di Palazzo Koch, in questo caso in veste di autorità antitrust del settore bancario 100, era stata chiamata ad esaminare se la proposta partecipazione del Monte dei Paschi alla CRSM avrebbe costituito o meno una concentrazione illecitamente restrittiva della concorrenza.

L’esito di questa istruttoria è comunicato in questo provvedimento, dal quale si evince che il parere favorevole alla concentrazione era, in realtà, subordinato al fatto che MPS non acquisisse il controllo completo della CRSM S.p.A., dal momento che in alcuni mercati (in particolare la provincia di Pisa 101), l’acquisi-zione da parte di MPS S.p.A. del controllo esclusivo su CRSM S.p.A. avrebbe costituito una posizione dominante del Gruppo MPS.

Come chiaramente afferma Banca d’Italia, «questi elementi inducono a rite-nere che l’operazione di concentrazione non sia suscettibile di creare una posizio-

Pieve di San Giovanni Battista, Cigoli. Particolare della facciata e, nella pagina a fronte, dei rilievi interni.

97 La nomina o la revoca di un nuovo di-rettore generale doveva avvenire d’inte-sa con MPS, così come l’approvazione dei piani strategici, ovvero dei budget annuali, richiedeva il voto favorevole di almeno un consigliere d’amministra-zione espresso da MPS.

98 Si pensi, ad esempio, ad operazioni di aumento di capitale.

99 Pubblicato sul Bollettino n. 22 del 1999 Banca d’Italia.

100 Cfr. art. 20, comma 2, della legge n. 287 del 1990.

101 Dove i due istituti assieme rappresen-tavano il 46,3% della raccolta di rispar-mio ed il 35% degli sportelli bancari.

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ne dominante del Gruppo MPS tale da ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza nel mercato della raccolta pisano. A diversa conclusione si potrebbe giungere qualora il MPS acquisisse il controllo esclusivo della CRSM» 102.

È dunque singolare, ma allo stesso tempo significativo, che in questa vicenda, proprio in nome della tutela della concorrenza – principio in base al quale si era so-stenuta la necessità delle incorporazioni delle piccole casse di risparmio nei grandi gruppi bancari – si è realizzata la difesa dell’autonomia di una piccola banca.

3.5 Dal Monte dei Paschi alla Società Cattolica di Assicurazione

Giungiamo così al 2002, anno decisivo nella storia dell’assetto istituzionale della banca sanminiatese.

Intanto – come abbiamo già messo in rilievo – sta mutando il quadro norma-tivo generale.

Nel maggio 2000 l’Ente Cassa di Risparmio di San Miniato è diventato Fon-dazione di diritto privato a seguito del decreto legislativo n. 153 del 1999.

Quello stesso intervento legislativo aveva però ribadito per le fondazioni (neo-proprietarie delle ex-casse) l’obbligo di vendere le quote di controllo delle banche possedute.

102 Banca d’Italia, provvedimento n. 26 del 17 maggio 1999, punto 58 (corsivo no-stro).

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A fronte di questo quadro normativo, nel complesso “puzzle” istituziona-le della banca di San Miniato si aggiunge una tessera ancora più decisamente in “controtendenza”. Infatti, invece che assistere all’ingresso di un nuovo socio bancario (ovviamente, diverso da MPS per quanto abbiamo sopra osservato 103), in modo da far scendere la quota di proprietà della Fondazione sotto la maggio-ranza, alla fine del 2002 il socio bancario esistente, MPS S.p.A., decide di uscire, vendendo la sua quota del 25% alla Società Cattolica di Assicurazione S.c.a r.l.

Questo passaggio è destinato ad avere un impatto sicuramente decisivo nello sviluppo successivo della Cassa di Risparmio di San Miniato, e riveste molteplici significati. Innanzitutto, il nuovo socio nella proprietà della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A., a fianco alla Fondazione (erede dell’Ente) non è più una banca. Questo dato, in primo luogo, sta a significare che la Banca d’Italia ormai riteneva chiusa la fase di “quasi-interdizione” per la banca di San Miniato. Non era più necessario l’inserimento in un gruppo creditizio “affidabile” che l’autorità di vigilanza aveva chiaramente auspicato a metà degli anni Novanta 104. I dati e gli indicatori di efficienza della banca sono ormai tali da far cessare la necessi-tà di questa “supervisione e garanzia”; indirettamente, quindi, la possibilità di

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103 Divieto di assumere il controllo di cui al provvedimento citato alla nota pre-cedente.

104 Cfr. infra, nota 90.

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sostituire un socio bancario con un socio assicurativo costituisce la conferma del riconoscimento delle ottime performance realizzate dalla CRSM a partire dal 2000. In secondo luogo, un partner non bancario rappresenta senza dubbio una garanzia reale per l’autonomia della banca, autonomia che – come abbiamo più volte sottolineato – costituisce il comun denominatore strategico delle scelte ef-fettuate dall’Ente di San Miniato dalla riforma Amato in poi 105. Il Gruppo Cat-tolica è una grande società che opera in tutti i rami dell’attività di assicurazione e da tempo intrattiene rapporti con il mondo bancario, ma non è una banca. Così si comprende la terza fondamentale valenza positiva dell’accordo con la società veronese: la scelta di entrare nella banca di San Miniato non risponde ad un inte-resse “espansionistico” nei confronti dell’attività bancaria, bensì risponde ad un preciso interesse industriale.

L’ingresso della Società Cattolica di Assicurazione indica palesemente l’obiettivo comune dei due soci a potenziare quel nuovo e promettente settore di servizi e prodotti finanziari che normalmente va sotto il nome di “bancassicura-zione”. Non a caso, poco tempo dopo l’ingresso della Cattolica nella compagine sociale, viene costituita una nuova s.p.a. (la San Miniato Previdenza S.p.A. 106) in

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105 Non è nascosto, infatti, il forte gra-dimento da parte della Fondazione a riguardo del subentro di Cattolica Assicurazioni rispetto a MPS (cfr. let-tera a Cattolica Assicurazioni S.p.A. in data 10 ottobre 2002, da parte della Fondazione CRSM della Finanziaria CRSM).

106 Detenuta al 66% dalla Cattolica e al 34% da CRSM.

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cui la Società Cattolica di Assicurazione e la banca avviano la produzione di nuo-vi prodotti finanziari ed assicurativi direttamente progettati e “tagliati su misura” per le esigenze del territorio servito dalla banca.

3.6 Da banca a gruppo bancario: l’autonomia da tattica difensiva a strategia espansiva

Ma sempre nel 2002 accade un ulteriore fatto, estremamente significativo.A decorrere dal 1° giugno 2002, Banca d’Italia iscrive la Cassa di Risparmio

di San Miniato nell’albo dei gruppi bancari previsto dall’art. 64 del decreto legi-slativo 385/93 con la denominazione di “Gruppo Bancario Cassa di Risparmio di San Miniato”.

Con questo riconoscimento, oltre che confermare ulteriormente quanto ab-biamo già detto nel paragrafo precedente sulla piena “riabilitazione” della CRSM agli occhi di Banca d’Italia, l’autorità di vigilanza compie un ulteriore passo in avanti consentendo alla banca di San Miniato di iniziare a sua volta l’acquisizio-ne di altre aziende di credito. Da principio le altre società comprese nel gruppo non sono vere e proprie banche, ma alcune società strumentali nate dalla riorga-nizzazione del settore immobiliare della banca 107. Ma già dall’anno successivo,

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107 Dalla scissione parziale e proporzionale della San Genesio Immobiliare S.p.A., vengono create due società controllate, la Federigo Immobiliare S.p.A. e la La Rocca Immobiliare S.p.A.

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inizia questa nuova stagione della CRSM non più banca ma gruppo bancario.La prima operazione avviene nel luglio 2003.La Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. incorpora la Banca di Lucca di

Credito Cooperativo. A seguito della fusione, nasce il Banco di Lucca, società per azioni in cui la CRSM possiede il 43% del capitale sociale.

Nel maggio 2004 avviene un’ulteriore acquisizione.La CRSM acquista il 20% del capitale della Cassa di Risparmio di Volterra

S.p.A. La vicenda della Cassa di Volterra, però, presenta un risvolto particolare sul quale ci soffermeremo più avanti, soprattutto sul piano degli assetti istituzio-nali e normativi che stiamo ripercorrendo; l’acquisto del 20% della Cassa di Vol-terra, infatti, è affiancato da un parallelo e contemporaneo acquisto di un ulteriore 5% da parte della Fondazione CRSM.

Infine, ultima in ordine di tempo, è l’entrata nel capitale della Banca Advan-tage di Investimenti e Gestioni S.p.A. (con una quota del 16,5%); un istituto ban-cario di diritto italiano con sede a Milano, specializzato nei servizi del private e dell’investment banking, offerti principalmente a clientela privata, piccole-medie imprese e controparti istituzionali 108.

Come abbiamo detto la trasformazione della banca in gruppo bancario non è il solo mutamento istituzionale rilevante; per essere correttamente intesa, la condotta della Cassa S.p.A. va coordinata con l’azione della Fondazione, ed il caso dell’acquisizione di una quota della Cassa di Volterra S.p.A. è un esempio estremamente interessante di tale interazione.

Anche in questa occasione occorrerà muovere dal quadro normativo; infatti, con il decreto legge n. 143 del 2003, convertito nella legge n. 212 del 2003, era stato sancito a livello nazionale quello che la Fondazione di San Miniato aveva in qualche modo anticipato a livello locale; ovverosia che alcune fondazioni – quel-le cosiddette “piccole”, e quelle operanti nelle regioni a statuto speciale 109 – non avevano più l’obbligo di dismettere la quota di controllo della propria azienda bancaria.

Il significato di questa importante correzione della riforma, in realtà, non era riducibile soltanto alla “concessione” in favore di alcune fondazioni volta a con-sentire loro di conservare il proprio controllo sulle aziende bancarie; essa stava ad indicare non solo un’eccezione, bensì il ripensamento e la correzione del principio ispiratore della riforma: alle fondazioni nate dalla trasformazione delle casse di risparmio non è più necessariamente precluso di essere proprietarie della banca.

L’eccezione, infatti, non era solo quantitativa (le “piccole” fondazioni), ma anche territoriale (le fondazioni operanti nelle regioni a statuto speciale) e, dun-que, indipendente dalla dimensione.

Di lì a poco un’altra eccezione incrinerà ulteriormente il principio per cui le fondazioni bancarie non possono rivestire ruoli rilevanti negli assetti azionari delle banche: ci riferiamo alla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti di cui abbiamo già parlato nella prima parte 110 ed in cui, ancora una volta, è la stessa legislazione – che le aveva estromesse – a richiedere alle fondazioni di rientrare nel capitale di una nuova banca pubblica nata per finanziare le infrastrutture delle public utilities.

Dunque, più che una semplice eccezione è l’iniziale riconoscimento che di

108 Sulla trasformazione della Banca Advantage in “Sintesi” si veda parte IV, par. 3.5, pp. 256-257.

109 Le «fondazioni con patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato non superiore a 200 milioni di euro, nonché a quelle con sedi ope-rative prevalentemente in regioni a sta-tuto speciale» (così l’art. 4, comma 4, del decreto legislativo n. 143 del 2003 convertito dalla legge n. 212 del 2003 che modifica l’art. 25, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 153 del 1999).

110 Cfr. infra, par. 2.3, pp. 124 sgg.

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soggetti come le fondazioni bancarie – ovviamente a certe condizioni – c’è an-cora bisogno negli assetti proprietari delle aziende di credito, aziende altrimenti esposte alle rischiose strategie di soci miranti esclusivamente a massimizzare i profitti a breve.

Proprio in quest’ottica si spiega l’operazione di compravendita delle azioni della Cassa di Volterra S.p.A., che nel suo complesso riguarda il 25% delle azioni della banca volterrana, ma che per il 20% è acquistato dalla Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. e per il 5% dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato.

L’operazione realizzata è dunque pensata in sinergia congiunta tra Cassa e Fondazione.

Questo dato induce due rapide riflessioni.

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Innanzitutto, l’entrata nel capitale della Cassa di Volterra sancisce quello che sino a quel momento era stato un fattore implicito nelle politiche perseguite dal gruppo di San Miniato; ovverosia che banca e fondazione tendono a concepirsi in maniera “sistemica”. Unica resta la strategia ed il “cuore”, per così dire, sebbene le strutture e gli organismi siano diversi. In questo, a nostro avviso, si realizza positivamente – e non si smentisce, come qualcuno ha sostenuto – lo scopo ori-ginario della riforma Amato. Abbiamo, infatti, due strutture diverse: da un lato la banca, una società per azioni del tutto assimilabile, quanto a garanzie ed efficien-za, ad una qualsiasi azienda di credito tenuta al rispetto del Testo Unico Banca-rio. Dall’altra, la fondazione di diritto privato, senza scopo di lucro, un soggetto che gestisce la proprietà della banca chiedendole certamente ed in primo luogo efficienza e redditività (altrimenti non avrebbe utili – cioè risorse – da erogare), ma capace anche di intervenire nelle scelte di sviluppo e di lungo periodo della banca, assicurando il rispetto degli obblighi verso il proprio territorio e verso la propria finalità originaria che altrimenti andrebbero perduti. La fondazione ed il gruppo bancario tendono quindi a costituire un vero e proprio “sistema bancario”, separato nelle attività, ma coordinato nelle scelte di fondo qualificanti.

La seconda riflessione che l’operazione Cassa di Volterra suggerisce è che in questo modo, non solo la Fondazione CRSM resta proprietaria della “sua” Cassa, ma acquisisce una quota di capitale (ancorché minoritaria) di una nuova banca.

Indubbiamente, il fatto che il ministero del Tesoro, autorità di vigilanza sul-le fondazioni bancarie, abbia autorizzato questa operazione, sebbene di limitata entità (riguarda solo il 5% delle azioni della Cassa di Volterra), sta a significare una significativa inversione di politica che, se confermata in altri casi, potrebbe costituire una rilevante apertura ed una riconsiderazione del ruolo che soggetti come le fondazioni possono giocare anche in un settore come quello degli assetti azionari delle banche 111.

111 I segnali su questo punto continua-no ad essere contrastanti, visto che la tentazione di “nazionalizzare” il patri-monio delle fondazioni, nonostante le sentenze della Corte costituzionale che abbiamo richiamato, è sempre molto forte (da ultimo, si veda De Michelis, la “provocazione”: il patrimonio delle Fondazioni? Torni sotto il controllo del Tesoro, in «Corriere della Sera», lune-dì 24 maggio 2005; oppure il dibattito parlamentare sul disegno di legge AS 3328, «Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati fi-nanziari», in cui è di questi giorni [23 giugno 2005] la notizia dell’approva-zione in Commissione al Senato di un emendamento diretto a introdurre un limite per le fondazioni con patrimo-nio superiore a 200 milioni di euro di esercitare i diritti di voto nelle assem-blee ordinarie e straordinarie per quelle azioni che eccedono il 30% del capitale che conferisce il diritto di voto nelle medesime assemblee).

Convento di Santa Chiara

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Refettorio del conservatorio di Santa Chiara, San Miniato

Interno del conservatorio di Santa Chiara, San Miniato

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3.7 Da gruppo bancario a public company?L’offerta pubblica di vendita

Giungiamo così all’ultima svolta – almeno per ora – negli assetti istituzionali e di governance riguardante il “sistema bancario San Miniato”.

Il consiglio di amministrazione della Finanziaria Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. – società, come sappiamo, di totale proprietà della Fondazione CRSM 112 – ha deciso il 24 settembre 2003 di collocare sul mercato una quota non superiore al 15% del capitale sociale della Cassa di Risparmio di San Minia-to S.p.A. in suo possesso 113. Tale collocamento è stato suddiviso in tre tranche e la prima, riguardante il 4,94% del capitale sociale 114, è stata autorizzata dal ministero del Tesoro – autorità di vigilanza della Fondazione e delle sue società controllate – con provvedimento del 18 ottobre 2004. Ancora una volta al mini-stero del Tesoro, nella sua veste di autorità di vigilanza sulle fondazioni bancarie, la Fondazione CRSM presenta un nuovo progetto, estremamente innovativo per

Convento di Santa Chiara

112 Che, come sappiamo, deteneva il 62,13% delle azioni della Cassa S.p.A.

113 Corrispondente ad un totale di 2.340.000 azioni.

114 Corrispondente ad un totale di 780.000 azioni.

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obiettivo e mezzi. La Fondazione, infatti, per il tramite della Finanziaria, intende vendere le azioni della banca, ma utilizzando lo strumento dell’“offerta pubblica di vendita”.

Non si tratta, quindi, del passaggio di un pacchetto azionario (cospicuo, vi-sto che rappresenta il 15%) ad un investitore scelto attraverso una negoziazione diretta – sia esso una banca o altra società – bensì si intende realizzare la “diffu-sione” di una quota rilevante del capitale sociale.

Come abbiamo sintetizzato nel quesito che intitola il paragrafo: si prefigura così un assetto da public company?

Ovviamente, come nel caso della costruzione del Gruppo CARISMI, le scelte della banca, realizzate tutte nell’arco di tempo brevissimo degli ultimi tre o quat-tro anni, indicano, piuttosto che assetti definiti, linee di tendenza ed obiettivi.

Certo, non si può dire che con la realizzazione di questa prima tranche si sia trasformata la Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. in una public company; vero è che, nel momento in cui la banca si avvia a realizzare un forte ampliamento di funzioni, si è inteso assicurare un ancor più saldo radicamento dell’istituto nei confronti del proprio soggetto originante e delle propria finalità.

Questo intento risulta evidente dalla scelta dei destinatari di questa prima

La facciata del seminario vescovile di San Miniato in piazza della Repubblica

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

tranche di vendita che – suddivisa a sua volta in tre parti – era riservata, per un terzo, ai dipendenti del gruppo bancario e della Fondazione 115, per un terzo ai soggetti di diritto pubblico e privato che designano i membri del consiglio d’in-dirizzo della Fondazione – e, dunque, gli enti locali territoriali e le altre espres-sioni della società civile, religiosa ed economica che storicamente caratterizzano il territorio del comprensorio di San Miniato 116 –, per un terzo infine al pubblico indistinto 117.

Quando i rami e le fronde dell’albero tendono a crescere ed allargarsi, allora occorre che le radici siano più profonde e sicure: questo ci sembra lo scopo della prima parte dell’offerta pubblica di vendita. Scopo perfettamente riuscito, se si tiene conto del fatto che la collocazione delle azioni – effettuata dal 25 novembre 2005 al 14 gennaio 2005 – è stata, sia in termini economici, sia di comunicazio-ne pubblica, un notevole successo: a fronte dei 780 mila titoli azionari posti in vendita, le richieste hanno superato i 3 milioni di azioni. I soggetti che hanno sot-toscritto le azioni CARISMI sono stati complessivamente 3.598 e più di duemila sono residenti fuori del comprensorio di San Miniato 118, a dimostrazione che or-mai l’area di azione e il giudizio positivo sulla banca di San Miniato chiaramente travalicano il territorio d’origine.

Facciata del seminario vescovile di San Miniato

115 Nonché ai componenti dei rispettivi or-gani sociali.

116 L’art. 6 dello statuto della Fondazione afferma che: «Il Consiglio di Indiriz-zo è composto dal Presidente e da 24 membri nominati dal Consiglio di Indi-rizzo in carica su designazione: A) Dal-l’Assemblea dei Soci n. 12. B) Dagli enti locali territoriali del comprensorio di San Miniato nel seguente modo: n. 1 dal Comune di San Miniato; n. 1 dal Comune di Santa Croce sull’Arno; n. 4 designati, alternativamente e nell’or-dine, come segue: a) n. 1 dal Comune di Castelfranco di Sotto o dal Comune di San Miniato; b) n. 1 dal Comune di Fucecchio o dal Comune di Empoli; c) n. 1 dal Comune di Pontedera o dal Co-mune di Ponsacco; d) n. 1 dal Comune di Montopoli Valdarno o dal Comune di Santa Maria a Monte. C) Da enti e organizzazioni rappresentativi della so-cietà civile, religiosa ed economica nel seguente modo: n. 1 dal Vescovo della Diocesi di San Miniato; n. 1 dalla Fon-dazione Istituto del Dramma Popolare di San Miniato; n. 2 dalla Camera di Commercio Industria ed Agricoltura di Pisa, scelti: a) n. 1 fra gli imprendito-ri conciari della zona della pelle e del cuoio; b) n. 1 alternativamente, fra gli imprenditori del mobile e gli impren-ditori agricoli della zona di cui all’art. 3, comma 4; n. 1 dalla Misericordia di San Miniato Basso; n. 1 dalla Pubblica Assistenza di Capanne. I componenti di cui alle lett. B) e C) devono essere resi-denti nel comprensorio di San Miniato di cui all’art. 3 e sono scelti nell’ambito di una terna, individuata dai designanti, dal Consiglio di Indirizzo in carica».

117 Purché residente in Italia.118 Cfr. Le nostre azioni sempre più po-

polari, in «Fondazione e Territorio», 1 (2005), pp. 4 sgg.

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Qui e nella pagina a fronte particolari della facciata del seminario vescovile di San Miniato

4. ConClusIonI

4.1 Il fil rouge della complessa evoluzione istituzionale e societaria: la conservazione e la valorizzazione della propria autonomia

Volendo rapidamente tracciare qualche considerazione conclusiva sulla com-plessa vicenda che ha riguardato gli assetti istituzionali e societari della Cassa di Risparmio di San Miniato dalla sua trasformazione in poi, c’è un primo dato che risulta oltremodo evidente.

L’elemento che, pur nelle diverse tattiche prescelte, è rimasto costantemente l’unico determinante strategico in questi ultimi quindici anni della storia della banca di San Miniato è stata la conservazione e la valorizzazione della propria au-tonomia. Dalla trasformazione dell’istituto in ente, prima, ed in fondazione, poi, così come parallelamente dalla trasformazione in società per azioni dell’azienda bancaria, quello che si è sempre cercato nei diversi assetti istituzionali o societari è la garanzia del fatto che la banca di San Miniato, sia nell’azione strettamente intesa come azienda di credito, sia nell’azione di sostegno ed erogazione svolta dalla Fondazione, restasse legata al proprio territorio ed alle finalità ispiratrici.

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L’ultimo tratto in ordine di tempo in questa lunga linea è la recentissima modifica dello statuto della Fondazione attraverso la quale si è voluto, da un lato, mantenere e rafforzare il legame con i territori ed i soggetti che sono i principali destinatari dell’azione della Fondazione stessa, e dall’altro, prendere atto di come tali territori e tali soggetti nel tempo si siano modificati, in modo da non “cri-stallizzarne” la rappresentanza, ma da aggiornarla dinamicamente al variare del soggetto rappresentato 119 e da ampliare il legame con la società civile 120.

Il valore perseguito nelle scelte degli ultimi quindici anni della banca è, quin-di, sorprendentemente lo stesso che ne ha costituito il volto specifico sin dagli inizi della sua storia.

Come sintetizza Nanni nel suo «profilo storico» 121, questo valore è il legame «vivo» con il patrimonio culturale ed ideale che fin dall’origine ne ha segnato i tratti caratteristici.

4.2 Autonomia come fine o come mezzo? Legame con le origini e logiche di mercato nel “caso” di San Miniato

Ma se è consentita un’ulteriore riflessione, dalla vicenda istituzionale della banca che abbiamo ripercorso si può desumere anche che tra i caratteri sopra evi-denziati vi è un preciso nesso strumentale: se lo scopo principale, infatti, è quello di mantenere sia la banca sia la fondazione nel solco delle finalità originarie, lo strumento necessario per continuare a realizzare queste finalità originarie è l’autonomia.

In altri termini, il non trasformarsi in una mera rete operativa di un gruppo bancario più grande non è un valore di per sé, ma solo in quanto consente di restare fedeli a quel patrimonio “culturale e ideale” per cui l’istituto è nato 175 anni fa.

A dimostrazione di questo sta il fatto che nella serie di vicende giuridico-isti-tuzionali che abbiamo ripercorso, il termine “autonomia” è stato sempre coniu-gato alla ricerca di una maggior efficienza in termini strettamente aziendalistici del gruppo bancario.

Non dimentichiamo che all’inizio del periodo di trasformazione che abbiamo preso in esame, la condizione finanziaria ed amministrativa della banca era tale da richiedere una forte e decisa azione di revisione, tanto da essere posta sotto stretta “osservazione” da parte della vigilanza di Banca d’Italia.

A conclusione della parabola evolutiva, è stata la stessa Banca d’Italia ad inserire San Miniato nell’albo dei gruppi bancari, a dimostrazione di quanto l’obiettivo prefissato – quello dell’autonomia – sia stato perseguito in modo tale da congiungere ad esso un rilevante miglioramento delle performance aziendali.

In questo senso, la vicenda “San Miniato” rappresenta un importante caso di studio: poiché essa chiarisce che tra “autonomia” – ovverosia legame con il pro-prio territorio e le proprie finalità originarie – e “mercato” – inteso come maggior efficienza prodotta dal libero gioco di domanda ed offerta – non c’è inevitabile contraddizione.

Tanto l’“autonomia” che il “mercato”, infatti, sono “mezzi” e non “fini”; sono strumenti necessari per realizzare obiettivi, ma non obiettivi di per sé.

119 Modifica dello statuto approvata da ministero dell’Economia e Finanze con provvedimento prot. 106970 del 15 ot-tobre 2004; in tale modifica, oltre ad al-cuni adempimenti tecnici, si è prevista l’alternatività tra comuni vicini ed ana-loghi nella designazione di un proprio rappresentante nel consiglio d’indiriz-zo e si è articolata la presenza delle rap-presentanze espresse dalla Camera di commercio, aggiungendo al rappresen-tante degli imprenditori conciari, anche quello degli imprenditori del mobile e degli imprenditori agricoli.

120 Sempre nella medesima modifica di statuto (cfr. nota precedente) si elimina la rotazione tra le istituzioni del volon-tariato e si amplia il numero dei soci della Fondazione – per aumentarne la rappresentatività – da 80 a 90.

121 Cfr. supra, parte II, pp. 45 sgg..

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Il rischio, in realtà, si ha quando questi elementi, invece, si sganciano dagli scopi che dovrebbero servire e divengono scopi essi stessi. Allora l’autonomia diviene “localismo” ed il mercato diviene “speculazione”; ed in entrambi i casi, chi ne soffre le conseguenze sono proprio quei soggetti territoriali per la cui pro-mozione banche come quella di San Miniato sono nate.

L’esperienza del sistema bancario di San Miniato, al contrario, dimostra che “autonomia” e “mercato” sono correttamente intesi laddove non li si ponga in con-traddizione, quando, cioè, sono strumenti per la crescita dell’efficienza della banca e della sua capacità di essere un interlocutore reale dei bisogni del proprio territorio.

E ci par di poter concludere su questo punto, che questa “sfida” intrapresa dalla Cassa di Risparmio di San Miniato è stata – ed è tuttora – decisiva per le sorti stesse della banca, nel senso che se il management e gli organi direttivi di banca e fondazione non avessero saputo dimostrare in questi ultimi anni che la difesa dell’autonomia è realizzabile attraverso il miglioramento delle prestazioni della banca nel mercato del credito e del risparmio, molto probabilmente l’insuc-cesso economico avrebbe portato con sé la fine di ogni reale aspirazione ideale di autonomia o originalità.

Viceversa, il fatto che l’ispirazione originale abbia saputo dimostrarsi al-

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Milano

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l’altezza delle sfide presenti, dimostra quanto quell’ispirazione originaria sia un patrimonio ancora “vivo” e non un “relitto” di due secoli fa.

4.3 La vicenda istituzionale del “sistema bancario” San Miniato: un attore in controtendenza o un precursore degli assetti futuri?

Solo partendo da queste premesse si spiega correttamente la “battaglia” con-dotta dalla Fondazione per rimanere proprietaria della banca: tale posizione, in-fatti, rappresenta la garanzia massima per quell’autonomia della banca necessaria a realizzare oggi le proprie finalità originali.

Veniamo, così, all’ultimo punto da evidenziare conclusivamente.In questa costante ricerca della difesa della propria autonomia, la banca di

San Miniato si è venuta a trovare spesso in una condizione di forte “spiazzamen-to” rispetto all’evoluzione del contesto normativo. Soprattutto fino a quando è resistito nel nostro ordinamento giuridico l’obbligo generalizzato di dismissione della partecipazione di controllo, la linea di condotta della banca di San Minia-to è stata, come abbiamo più volte osservato, decisamente in “controtendenza”. Quando sembrava ormai fuori discussione che tutte le fondazioni dovessero cede-re ad altri il controllo delle proprie banche, la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato ha continuato a mantenere il proprio ruolo e con non poco coraggio. Nel 2003 – e cioè “solo” due anni fa – la CRSM, come sempre succede a chi in qualche modo “profetizza”, da attrice isolata e “fuori dal coro”, è divenuta “anticipatrice” degli assetti futuri. C’è, dunque, un valore dell’esperienza “San Miniato” che mi pare ecceda la portata del caso singolo e che vorremmo illumi-nare, in sintesi.

Inaugurazione della filiale della Cassa di Risparmio di San Miniato a Milano (novembre 2004)

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erIk longo, andrea sIMonCInI

Cattedrale di San Miniato. Statua di Evangelista

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Il “sIsteMa CrsM”: le sCelte IstItuzIonalI

Abbiamo voluto ripercorrere le fasi evolutive che hanno condotto l’origina-rio istituto Cassa di Risparmio di San Miniato, nato 175 anni fa, a diventare oggi un moderno “sistema bancario”, composto da una fondazione e da un gruppo bancario comprendente molteplici aziende. Questo straordinario risultato è stato possibile perché si è voluto rimanere fermamente “legati” al vincolo fondativo, quello di sostenere economicamente e culturalmente i soggetti sociali attivi del proprio territorio. Il dato, estremamente interessante, è che questa fedeltà all’ori-gine non è stata realizzata “fuori del tempo”, ma si è calata nel contesto socio-giuridico attuale, accettandone tutte le sfide. La ricerca dell’autonomia è stata la tattica e lo strumento fondamentale, perseguito anche a costo di realizzare scelte decisamente “controcorrente”. Ma la verifica positiva è giunta; sia sul piano della correttezza giuridica, sia sul piano dei risultati economici, confermando che re-stare creativamente legati alle proprie origini, in queste epoche di globalizzazioni omologanti, resta la strategia più innovativa e di “avanguardia” che oggi si possa ragionevolmente realizzare.

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Parte IV

Silvio Bianchi MartiniAntonella Cappiello

Giulia Romano

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sIlVIo bIanChI MartInI, antonella CaPPIello, gIulIa roMano

La facciata della cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire, San Miniato

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Il sistema dei valori e delle idee guida della Cassa di Risparmio di San Miniato

nello scenario della competizione bancaria *

* Il presente lavoro, pur scaturendo dalla collaborazione tra gli autori, è da attri-buire ad Antonella Cappiello per il cap. 1 e per i par. 2.6 e 3.1; a Silvio Bian-chi Martini per la parte introduttiva del cap. 2 e per i par. 2.1, 2.5, 3.2, 3.3; a Giulia Romano per i par. 2.2, 2.3, 2.4, 2.7, 3.4, 3.5, 3.6, 3.7, 3.8.

1 Cfr. G. Forestieri, La ristrutturazione del sistema finanziario italiano: di-mensioni aziendali, diversificazione produttiva e modelli organizzativi, in «Banca Impresa e Società», 1 (2000), pp. 29 sgg.

1. lo sCenarIo della CoMPetIzIone banCarIa

1.1 Le determinanti del cambiamento

Negli ultimi decenni, l’evoluzione dei modelli competitivi, dovuta alla ra-pida ed intensa trasformazione dello scenario macroeconomico e delle variabili di contesto, ha indotto una profonda ristrutturazione del sistema bancario, giunto alle soglie degli anni Novanta con caratteristiche di proprietà prevalentemente pubblica, bassa concentrazione, scarsa internazionalizzazione, inadeguata patri-monializzazione e ristretta capacità reddituale.

Le mutate condizioni hanno portato le aziende di credito alla ricerca di nuovi posizionamenti di mercato e alla ridefinizione dei modelli istituzionali, organiz-zativi e funzionali atti a competere su un mercato sempre più internazionalizzato e globale.

In particolare, i processi evolutivi cui si fa cenno scaturiscono dalla com-plessa interazione di svariati fattori di cambiamento, taluni di natura esogena – e dunque di origine ambientale – altri di natura endogena – e pertanto specifici dei singoli mercati e delle differenti imprese – come quelli di ordine strategico ed economico 1.

I prIncIpalI fattorI esogenI dI cambIamento

1. ridefinizione dei confini geografici tra i diversi mercati finanziari

2. creazione di un’area monetaria unica in ambito europeo

3. deregolamentazione

4. mutamenti nelle dinamiche della domanda di prodotti finanziari

5. Innovazione tecnologica

6. privatizzazioni

Tra i più importanti fattori di cambiamento di natura esterna si annovera, an-zitutto, la deregolamentazione del settore finanziario e creditizio, nel cui ambito si inquadrano, a livello nazionale, l’emanazione del Testo Unico Bancario (TUB) nel 1993 e del Testo Unico della Finanza (TUF) nel 1998, artefici di una radicale ridefinizione dei contenuti stessi delle diverse forme di attività finanziaria e dei mercati di riferimento. Rispetto all’industria del credito, troppo a lungo rimasta

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sIlVIo bIanChI MartInI, antonella CaPPIello, gIulIa roMano

ad operare in un ambiente sostanzialmente “protetto” e caratterizzato da ridotti livelli di concorrenzialità 2, il passaggio da forme di vigilanza strutturale a forme di vigilanza prudenziale – quest’ultima imperniata, a livello micro, sul capitale delle banche e, a livello macro, sullo sviluppo e sull’efficienza – e la rinuncia al criterio della specializzazione, mediante l’eliminazione delle precedenti segmen-tazioni di tipo operativo o temporale 3, hanno contribuito a disegnare un ordina-mento fondato sull’imprenditorialità e sul libero mercato. Si sono accresciute, per tal via, le occasioni di confronto competitivo nei diversi comparti del mercato bancario, e finanziario più in generale, grazie al marcato incremento del numero di intermediari rivolti agli stessi clienti/fabbisogni.

Alla ridefinizione del quadro regolamentare del sistema ha concorso, non-dimeno, il complesso e talora tortuoso iter legislativo destinato a rimodellare la struttura ed il funzionamento di un importante comparto del sistema bancario che, per più di un secolo, ne ha costituito elemento di “tipicità”: quello delle istituzioni creditizie pubbliche, in generale, e delle casse di risparmio in particolare 4.

La trasformazione della forma giuridica delle casse di risparmio in società per azioni, più consona a consentire la necessaria ricapitalizzazione e crescita dimensionale di tali intermediari, ha verosimilmente alterato in modo signi-ficativo i caratteri morfologici del sistema bancario, inducendo le banche ad orientare i propri stili gestionali – non sempre incentrati, in passato, su obiettivi

2 G. Gandolfi, La concorrenza nel settore bancario italiano. Le banche tra com-petizione, concentrazione e norme an-titrust, Roma, Bancaria Editrice, 2002, pp. 19 sgg.

3 Cfr. F. Panetta, Struttura e operatività del sistema bancario italiano a dieci anni dal Testo Unico, Milano, Asso-ciazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Quaderno n. 208, 2004.

4 Cfr. supra, parte III, cap. 2, pp. 113 sgg.

Cattedrale, soffitto della navata centrale, San Miniato

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

di efficienza operativa e di efficacia competitiva – verso la produzione di valore per gli azionisti.

1.2 L’innovazione tecnologica come leva competitiva e stimolo di efficienza aziendale

Tra i più significativi fattori di cambiamento non deve essere trascurata l’evo-luzione tecnologica che, negli anni più recenti, ha trasformato profondamente le funzioni di produzione, soprattutto nel settore bancario e finanziario, dove il pro-cesso produttivo riguarda, in larga misura, il trattamento dell’informazione. In-tense innovazioni di processo si sono perciò registrate in campo amministrativo, contabile, operativo e decisionale, con evidenti vantaggi in termini di economie di scala ogniqualvolta si riesca a conseguire un adeguato dimensionamento dei volumi operativi 5.

Di sicuro rilievo è la spinta tecnologica nel campo delle telecomunicazioni, dove la telematica sta consentendo, in modo virtuale, di “azzerare” le distanze fi-siche, permettendo al cliente di colloquiare a distanza con la banca e di effettuare operazioni dispositive grazie all’uso di canali remoti quali il phone banking, il PC banking e l’internet banking.

Poiché grazie al progresso tecnologico vengono a modificarsi, a volte anche sensibilmente, le relazioni che intercorrono tra i diversi elementi del sistema di

5 Cfr. A. Cappiello, Evoluzione dei cana-li distributivi bancari. Profili gestionali e di marketing, Milano, Giuffrè, 1994, p. 98.Le schede perforate dei primi elaboratori IBM (anni Settanta)

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sIlVIo bIanChI MartInI, antonella CaPPIello, gIulIa roMano

erogazione tradizionale del servizio bancario, l’adozione di tecnologie avanzate non può intendersi solo quale strumento di razionalizzazione delle procedure e di risparmio dei costi a queste connessi, ma anche, e soprattutto, quale fattore di dif-ferenziazione e di innovazione del prodotto/servizio e del suo processo erogativo, per il conseguimento di stabili vantaggi competitivi.

È facile constatare come l’apporto delle tecnologie telematiche alle politi-che multicanale di offerta sarà determinante per ampliare e modificare, anche in chiave internazionale, i rapporti di clientela, soprattutto nell’ambito del retail e dei rapporti di massa 6.

Evidentemente, l’utilizzo dei nuovi canali distributivi di natura telematica rimodula la capacità esplicativa dei modelli di concorrenza spaziale già utilizzati per le scelte in tema di localizzazione e dimensione degli sportelli tradizionali: vengono infatti a ridursi le barriere geografiche alla concorrenza, in una logica di accesso al mercato profondamente innovata dalla spersonalizzazione del rappor-to banca-cliente che ridimensiona l’importanza del presidio fisico del territorio. Abbandonato il concetto di prossimità territoriale secondo logiche di segmenta-

6 Dal primo «Monitoraggio delle attività on line delle banche» emerge che in-ternet è ormai al centro della strategia multicanale delle banche italiane: i pri-vati abilitati ai servizi offerti dalle ban-che su internet sono oltre 4,3 milioni – con più di due milioni di utilizzatori attivi – e rappresentano l’11,7% dei cir-ca 37 milioni di clienti bancari, avendo ormai superato in termini di diffusione il phone banking, disponibile oggi per 3,6 milioni di utenti. I servizi di mo-bile banking hanno una diffusione più contenuta, interessando poco più di 1,4 milioni di consumatori, ma mostra-no un ampio potenziale di diffusione. La mappa dei servizi bancari offerti sulla rete mette in luce come ormai si stia consolidando una base di internet banking che comprende tutti i servi-zi informativi e dispositivi essenziali. Tutte le banche hanno infatti un’offerta che comprende le informazioni sul pro-prio conto corrente (saldo, disponibilità e movimenti) e la possibilità di effet-tuare bonifici e giroconti. Oltre a questo pacchetto base, emerge un’offerta di servizi bancari estremamente articolata, soprattutto per quanto riguarda i servizi di tipo dispositivo. Attualmente l’82% dei clienti di internet banking può ef-fettuare ricariche telefoniche tramite il sito della propria banca e mediamente il 60% può accedere a vari servizi di pa-gamento (F24, ICI, Mav, Rav, utenze e bollettini postali). Un discorso analogo si può fare per il trading on line, dove tutti i clienti hanno accesso al proprio dossier titoli e ad una serie di servizi informativi e dispositivi. Per maggiori approfondimenti si legga ABI - Os-servatorio e-Committee, Monitorag-gio delle attività on line delle banche, Roma, ottobre 2004.

La Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire, San Miniato

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zione della clientela per “appartenenza geografica” a favore di segmentazioni per “tipologia di bisogni”, viene attribuito al brand il ruolo che già ricopre negli altri settori del largo consumo.

All’allargamento delle dimensioni del mercato reale e potenziale consegue un incremento della concorrenza proveniente non solo da operatori dello stesso settore, ma anche da soggetti esterni all’industria bancaria, capaci di sfruttare i risparmi di costo derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie 7. Si consideri, al riguardo, che l’inasprimento della concorrenza di prezzo, indotta altresì dalla compressione dei costi di informazione e di accesso ai prodotti/servizi da parte della clientela, tende ad erodere significativamente i margini unitari, annullando di fatto, con una riduzione dei ricavi, i vantaggi economici conseguiti sul fronte dei costi. Ciò evidentemente modifica profondamente il contesto competitivo in cui le banche si trovano ad operare.

Vero è, inoltre, che la riduzione delle occasioni di contatto con la clien-tela e il necessario ricorso, in alcune fasi del processo erogativo, ad operatori esterni accrescono i rischi operativi, legali e di reputazione, dal momento

7 Cfr. F. Masala - M. Roccia, Modelli di organizzazione e di coordinamento dei diversi business bancari, in Le stra-tegie delle grandi banche in Europa, a cura di F. Cesarini, Roma, Bancaria Editrice, 2003, p. 24.

Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire, statua dell’evangelista Marco, San Miniato

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che non tutte le fasi della produzione si svolgono all’interno dell’azienda. D’altra parte, anche i rischi connessi a violazioni della sicurezza dei sistemi e delle operazioni non paiono di scarso rilievo. Ciò richiede, in un quadro ca-ratterizzato da una forte discontinuità con il passato, risposte strategiche che impongono, da un lato, investimenti addizionali per migliorare e differenziare l’offerta e, dall’altro, un’attenta revisione della struttura delle fonti di costo e di ricavo e la predisposizione di sistemi integrati di controllo della rischiosità aziendale.

8 In effetti, nel periodo 1993-99 il margi-ne di interesse, rapportato ai fondi in-termediati, scende dal 2,9% all’1,95%. Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari, passim.

9 Nell’arco di dieci anni lo spread tra i tassi attivi e passivi si è ridotto consi-derevolmente, passando da valori intor-no al 6% all’inizio del periodo a valori intorno al 4%. Anche il Mezzogiorno non è rimasto escluso dai benefici della concorrenza, ma, anzi, ha tratto vantag-gi superiori a quelli del Centro-Nord, tanto che il costo del credito e la remu-nerazione dei depositi hanno mostrato una chiara tendenza alla convergenza tra le due aree. Cfr. Banca d’Italia, Re-lazione annuale, anni vari, passim.

10 Cfr. A. Cappiello - P. Ferretti, I ricavi da servizi nel rinnovato quadro opera-tivo dell’equilibrio bancario, in «Ban-che e Banchieri», 6 (1999), pp. 5 sgg.

11 La decisa contrazione del costo del la-voro (-5,5% complessivo nel periodo 1996-99), scaturisce dalla riduzione del numero di addetti (oltre venticinquemi-la unità in meno tra il 1999 ed il 1995) e del costo unitario del lavoro (passato da 119,2 milioni per addetto nel 1997 a 117,3 milioni nel 1999). Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari, passim.

12 La componente residua di costo, che include le spese per ammortamento re-

Cupola della Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire, San Miniato. Affresco dell’Assunzione di Maria

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

1.3 Profili reddituali del sistema bancario nel rinnovato quadro operativo

I profondi cambiamenti intervenuti nel contesto istituzionale e tecnologico degli ultimi anni hanno progressivamente modificato l’entità e la composizione dei ricavi bancari, condizionati dalla riduzione del margine di interesse unitario durante quasi tutto l’arco degli anni Novanta 8. Tale riduzione risulta scaturire dalla combinazione di alcuni fattori causativi riconducibili, in primo luogo, alla contrazione dei margini unitari sull’intermediazione creditizia – dovuta princi-palmente all’incremento dei livelli di concorrenza ed all’allineamento dei tassi italiani a quelli medi europei 9 – cui si è accompagnata la dinamica sfavorevole dei volumi intermediati 10.

A partire dalla fine degli anni Novanta, un deciso recupero di redditività, così da consentire un allineamento della redditività media del nostro sistema banca-rio a quello europeo, è stato ottenuto, da un lato, mediante l’ampliamento della gamma di servizi offerti, dall’altro con interventi di riduzione dei costi operativi, nell’ambito dei quali rilevava la forte incidenza di quelli per il personale.

Adottando via via politiche correttive in funzione dell’evoluzione tecnolo-gica, nonché in funzione del processo di aggregazione tra intermediari e delle modifiche normative e di mercato, sono state affrontate le inefficienze legate alla sovracapacità produttiva ed al maggiore costo del lavoro ereditate dagli anni pre-cedenti; si è provveduto altresì alla riqualificazione professionale del personale, tanto da ottenere contemporaneamente il contenimento dei relativi oneri ed ap-prezzabili incrementi dell’efficienza e della produttività aziendale.

Grazie al rallentamento della dinamica retributiva ed al crescente ricorso a incentivi per pensionamenti anticipati 11, è stato possibile ridurre il costo com-plessivo ed unitario per il personale 12: si consideri, al riguardo, che se a metà del decennio scorso il costo del personale si commisurava al 45% del margine di in-termediazione 13, valore significativamente più elevato rispetto a quelli osservati nei principali sistemi esteri, l’azione di contenimento intrapresa dalle banche ha portato, nel 2000, la riduzione del rapporto al 36% 14.

Progressi sono stati conseguiti anche nella produttività del lavoro e nella sua efficienza, tant’è che, sempre nel periodo considerato, la prima è aumentata di circa il 19%, sia se riferita al margine di intermediazione per unità lavorativa, sia in termini di volumi intermediati per addetto 15.

Tali risultati non sono stati comunque sufficienti ad eguagliare i livelli di efficienza dei principali competitor comunitari, i cui sistemi bancari hanno la possibilità di scaricare i costi su un volume di prodotti e di servizi ben maggiore di quello italiano.

D’altra parte, come dianzi tratteggiato, il minor contributo reddituale dei margini unitari dell’attività di intermediazione tradizionale è stato compensato dalle nostre banche mediante l’apporto di ricavi non finanziari – sinteticamente indicati nelle statistiche di vigilanza come «altri ricavi netti» – che derivano es-senzialmente dall’attività di negoziazione in titoli e valute e dall’offerta di una variegata gamma di servizi alla clientela, come quelli di intermediazione mobilia-re, di incasso e pagamento, dei crediti di firma e via elencando. Rispetto alla so-

lative all’acquisto e alla manutenzione del capitale fisso, è invece aumentata in misura costante, soprattutto a causa dei forti investimenti in tecnologie infor-matiche. All’aumento del numero degli sportelli ha fatto seguito infatti, nell’ul-timo decennio, una crescita notevole della spesa per investimenti tecnologi-ci, con un’incidenza sempre maggiore sul totale dei costi. Cfr. L. Casolaro - G. Gobbi, Information Technology and Productivity Changes in the Italian Banking Industry, Temi di discussione n. 489, Roma, Banca d’Italia, 2004.

13 Il margine di intermediazione viene comunemente inteso come frutto del-l’amministrazione delle tre principali aree di affari della gestione bancaria, e cioè: 1) gestione creditizia; 2) gestione delle negoziazioni intitoli, in cambi ed in valori da essi derivati; 3) gestione dei servizi. Cfr. L. Nadotti, Il bilancio delle banche, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 141.

14 Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari, passim.

15 Sul fronte dell’efficienza, il margine di intermediazione per lira di lavoro im-piegato è passato dal 2,4 del 1992 al 2,8 del 1999; il rapporto cost/income a sua volta è sceso dal 65,6% al 60,2%. Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari, passim.

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stanziale stabilità dei ricavi da negoziazione ed alla moderata crescita delle altre componenti legate ai servizi di varia natura, i ricavi derivanti da servizi di inter-mediazione mobiliare – servizi di gestione del risparmio e servizi di investimento in genere – hanno fatto registrare alla fine degli anni Novanta una consistente crescita che ha trainato il totale degli altri ricavi. Per tal via, la componente dei proventi che non rientrano nel margine di interesse ha assunto nel tempo rilevan-za crescente nella composizione dei margini reddituali 16.

Occorre rilevare, al riguardo, che i ricavi dei servizi di gestione del risparmio e di

Conservatorio di Santa Marta, Madonna con il bambino, tavola attribuita a Lorenzo Monaco, Montopoli Valdarno

16 Questi arrivano a rappresentare, nel 2002, il 35% del margine di intermedia-zione, contro il 22% riferibile al 1995. Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari, passim.

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investimento, se pure presentano minori costi di produzione rispetto all’attività di in-termediazione creditizia tradizionale e richiedono allo stesso tempo un minor impie-go di capitale bancario, risultano tuttavia maggiormente dipendenti, nella loro entità, dall’andamento della congiuntura economica e, soprattutto, dei mercati finanziari 17, tanto da imprimere carattere di maggiore volatilità al risultato di gestione 18.

Quanto affermato trova conferma nella circostanza che, in linea con la ten-denza europea, all’alba del nuovo millennio il sistema bancario italiano ha spe-rimentato un calo della redditività, pur in presenza di una certa crescita dei fondi intermediati; ciò risulta ascrivibile alla sostanziale stabilità del margine di inte-resse – rapportato ai fondi intermediati – cui si contrappone la contrazione dei ricavi accessori e dunque del margine di intermediazione. Anche il rapporto tra margine di intermediazione e costi operativi tende ad una riduzione, in linea con l’andamento discendente della redditività (Tab. 1).

tab. 1 - prIncIpalI vocI dI costo e dI rIcavo delle banche ItalIane (In percentuale deI fondI IntermedIatI)

1999 2000 2001 2002 2003 2004

fondi intermediati (ml euro) 1.632.225 1.785.475 1.889.724 1.998.624 2.170.483 2.327.988

In percentuale dei fondi intermediati

margine di interesse 1,95 1,93 1,93 1,91 1,77 1,67

altri ricavi netti 1,60 1,76 1,75 1,47 1,42 1,32

margine di intermediazione 3,55 3,69 3,68 3,37 3,19 2,99

costi operativi 2,15 2,06 2,03 2,02 1,95 1,81

di cui: per il personale bancario 1,26 1,16 1,11 1,10 1,07 0,98

utile netto 0,61 0,79 0,59 0,50 0,51 0,65

Roe 9,6 11,5 8,8 6,2 7,2 9,5

fonte: banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari.

È evidente che i risultati economici hanno risentito dell’evoluzione sfavore-vole dei mercati finanziari, della quale hanno sofferto anche i risparmiatori. Il ral-lentamento segnato dal comparto del risparmio gestito, unitamente alla maggiore concorrenza esistente in tale ambito, ha così frenato il contributo degli altri ricavi netti al margine di intermediazione.

Giova sottolineare che a livello europeo l’attività di intermediazione tipica resta ancora preponderante rispetto ad altre aree di attività più innovative, e i dati confermano, per gli ultimi due anni, un generalizzato ritorno al core business tra-dizionale, anche se in proporzioni assai variabili da Paese a Paese; specialmente per le banche di maggiori dimensioni, si è quindi osservata una più ampia discesa dei ricavi legati alle attività di asset management, investment banking e trading.

Riguardo al nostro mercato, si può affermare che l’attività di intermediazio-ne creditizia tradizionale rimane comunque il «nocciolo duro» della capacità di reddito del sistema bancario 19.

L’espansione dei ricavi non finanziari, diversi da quelli relativi all’interme-diazione mobiliare generalmente intesa, trova limiti oggettivi nella scarsa presen-za di operazioni di investment banking ascrivibile sia alla struttura finanziaria del

17 Cfr. A. Enria - D. Focarelli - A. Landi, Il ruolo delle banche nell’offerta di ser-vizi di gestione del risparmio, in Nuo-vi orizzonti per il sistema bancario, a cura di I. Angeloni, Bologna, Il Mulino, 1999.

18 R. Locatelli - P.D. Gallo, I riflessi del ciclo economico sull’attività delle ban-che: i ricavi da servizi, Associazione per lo Sviluppo degli studi di Banca e Borsa, Quaderno n. 205, Milano, p. 15.

19 Cfr. S. Carletti, La redditività dell’in-termediazione creditizia tradizionale delle banche italiane: una valutazione comparata, in G. Bracchi - D. Mascian-daro, La competitività dell’industria bancaria. Intermediari e regole nel mercato italiano ed europeo, IX Rap-porto sul Sistema Finanziario Italiano, Fondazione Rosselli, Milano, Edibank, 2004, p. 22.

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sistema produttivo italiano, prevalentemente orientato al credito bancario, sia allo scarso numero di aziende dotate di adeguato standing per operare sul mercato dei titoli di debito e delle azioni, data la forte prevalenza della medio-piccola dimen-sione aziendale. Ne deriva un oggettivo freno allo sviluppo dei servizi di accom-pagnamento delle aziende al mercato, mentre i servizi a contenuto consulenziale possono tuttora reperire spazi di potenziale espansione.

L’obiettivo di stabilizzazione e di accrescimento del margine di intermedia-zione può pertanto essere perseguito mediante adozione di strategie che, anche alla luce di una seppure incerta tenuta del margine di interesse unitario 20, tengano conto della struttura del mercato domestico ancora incentrato sull’intermediazio-ne creditizia tradizionale e dunque sull’importanza del suo apporto reddituale, in una logica di complementarietà, e di sinergia, con l’offerta di servizi non crediti-

20 Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale 2004, Roma, 2005, p. 296.

Interno della pieve di Santa Maria Novella a Marti

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zi, possibilmente massimizzanti il rapporto globale di clientela secondo logiche di customer satisfation e di customer retention sia nel segmento privati, sia in quello delle imprese. A ben vedere, tali servizi dovrebbero essere opportunamen-te scelti in relazione alla naturale erraticità dei risultati rispetto all’andamento del margine di interesse e alla loro maggiore capacità compensativa in periodi di elevata instabilità e incertezza dei mercati (Tab. 2).

tab. 2 - margIne dI Interesse In percentuale del margIne dI IntermedIazIone

1999 2000 2001 2002 2003 2004

banche maggiori 48,90 44,94 42,12 51,84 49,65 48,92

banche grandi 54,61 56,77 56,90 54,89 50,91 51,33

banche medie 56,27 52,20 56,70 58,92 61,04 61,38

banche piccole 59,29 57,43 56,08 58,71 58,61 60,17

banche minori 67,39 62,48 68,00 69,61 69,75 69,46

fonte: nostre elaborazioni su dati banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari, passim. Il raggruppamento delle banche per categoria dimensionale segue l’impostazione metodologica di banca d’Italia. cfr. banca d’Italia, Relazione annuale 2004, appendice, pp. 59 sgg.

Cappella della Madonna nella pieve di San Giovanni Battista, Cigoli. Particolare della volta

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Quanto alla propensione a svolgere attività esulanti dal core business tra-dizionale, è interessante osservare che dall’analisi del rapporto tra margine di interesse e totale attivo emerge, come era prevedibile, che le banche di elevata scala dimensionale risultano maggiormente impegnate nei settori non tradiziona-li, mentre la redditività delle banche di piccole dimensioni dipende in prevalenza dall’attività creditizia tradizionale 21. A prescindere da scelte strategiche operate in tal senso, nella maggior parte dei casi ciò discende dal fatto che la ridotta scala operativa non consente, normalmente, di dotarsi delle risorse necessarie alla di-versificazione produttiva, né di sfruttarne appieno le opportunità connesse 22.

Chiesa di San Giovanni Evangelista, Santa Maria a Monte

21 F. Masala - M. Roccia, Piccola e media banca in Europa. Scenario strategico e trend nel mercato bancario europeo: vincoli, opportunità e minacce per le piccole e medie banche, in «Evoluzio-ne», 4 (2002), p. 14.

22 Cfr. Cappiello - Ferretti, I ricavi da servizi nel rinnovato quadro operativo dell’equilibrio bancario, cit., p. 15.

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1.4 I processi di crescita dimensionale per via esterna

Le mutate condizioni strutturali ed operative del mercato bancario hanno indotto le aziende di credito a ricercare un adattamento quali-quantitativo alle rin-novate dinamiche competitive anche mediante scelte di crescita dimensionale.

Come è noto, il consolidamento dimensionale può raggiungersi con for-me di crescita interna, per esempio mediante l’espansione della rete sportel-lare, ovvero con forme di crescita esterna, tramite fusioni, incorporazioni o partecipazioni al capitale sociale; tali opzioni possono portare a modelli or-

Chiesa di San Giovanni Evangelista, Santa Maria a Monte. Particolare del pulpito

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ganizzativi diversi: dalla grande banca multidivisionale, al gruppo bancario, al sistema federativo.

Le motivazioni che spingono all’integrazione tra banche sono svariate e talo-ra concomitanti. A prescindere dalle ipotizzabili economie di scala e di diversifi-cazione 23, peraltro non sempre rilevate nei diversi studi empirici sui processi ag-gregativi sperimentati negli anni recenti dall’industria del credito 24, e fortemente dipendenti dagli assetti organizzativi adottati o, più in particolare, dall’efficacia dei meccanismi di coordinamento, altri fattori paiono giustificare la ricerca di una scala dimensionale più elevata 25. Tra questi possono menzionarsi: fattori strategi-ci o difensivi, tramite i quali le banche tendono a migliorare il controllo dei rischi mediante il raggiungimento di obiettivi di diversificazione settoriale, geografica e di prodotto; fattori di consolidamento e/o di ampliamento della quota di mercato anche oltre i confini nazionali mediante l’offerta di strumenti e tecniche sempre più innovativi e a elevato valore aggiunto; fattori di risanamento, nel caso in cui l’aggregazione riesca ad evitare il dissesto aziendale; fattori esogeni, tra i quali si annoverano le modifiche legislative, la deregolamentazione, l’introduzione del-l’euro, l’integrazione monetaria e così via 26.

Per raggiungere la dimensione “ottimale” – comunque individuata – o per imprimere in ogni caso un significativo upscaling dimensionale, sono state finora seguite con maggiore frequenza e rapidità di risultati soluzioni di crescita esterna che hanno fatto registrare negli ultimi anni un consistente numero di fusioni e di aggregazioni di varia natura tra istituti creditizi.

Alla fase iniziale di privatizzazione, risalente alla prima metà degli anni Novanta 27, è seguito infatti un intenso processo di concentrazione dell’industria

Cassa di Risparmio di San Miniato, Agenzia 1 di Firenze (sala riunioni)

23 Verifiche empiriche tese a riscontrare la presenza di economie di scala nel-l’industria del credito ne dimostrano la presenza nell’ipotesi di crescita dei volumi di attività a parità di numero di sportelli (economie di impianto), men-tre non sembra sussistere uniformità di giudizio circa il fatto che l’aumento dei costi medi prodotto da un aumento del numero di sportelli possa arrivare a compensare le economie connesse con l’aumento delle quantità prodotte. Cfr. D. Cossutta - M.L. Di Battista - C. Giannini - G. Urga, Processo produt-tivo e struttura dei costi nell’industria bancaria italiana, in F. Cesarini - M. Grillo - M. Monti - M. Onado, Banca e mercato, Bologna, Il Mulino, 1988; G. Lanciotti - T. Raganelli, Funzioni di costo e obiettivi di efficienza nella pro-duzione bancaria, Temi di discussione n. 99, Roma, Banca d’Italia, 1988; C. Conigliani, La concentrazione banca-ria in Italia, Bologna, Il Mulino, 1990; C. Conigliani - R. De Bonis - G. Mot-ta - G. Parigi, Economie di scala e di diversificazione nel sistema bancario italiano, Temi di discussione n. 150, Roma, Banca d’Italia, 1991.

24 Group of Ten, Report on Consolidation in the Financial Sector, Basel, BIS, Ja-nuary 2001; J.P. Morgan, Global Mer-gers & Acquisitions Review, New York - London, January 31, 2002. Diversi studi sull’argomento evidenziano che l’effetto diretto di fusioni e acquisizioni sui risultati delle banche, anche nel no-stro sistema bancario, appare alquanto controverso, non potendosi riscontrare, a fronte di un certo miglioramento dal

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bancaria che, ben lungi dall’essere concluso, ha assunto in Italia, rispetto agli altri mercati europei, dimensioni rilevanti per numero e valore complessivo delle operazioni (Tab. 3) 28.

tab. 3 - numero dI IstItutI dI credIto

Paese 1998 1999 2000 2001 2002

austria 898 875 848 836 823

belgio 120 119 119 113 111

danimarca 212 210 210 203 178

finlandia 348 346 341 369 369

francia 1.223 1.159 1.099 1.050 1.011

germania 3.238 2.992 2.742 2.526 2.363

grecia 59 57 57 61 61

Irlanda 78 81 81 88 85

Italia 934 890 861 843 822

lussemburgo 212 211 202 189 177

paesi bassi 634 616 586 561 539

portogallo 227 224 218 212 202

spagna 402 387 368 367 359

svezia 148 148 146 149 216

uK 521 486 491 452 440

fonte: ecb, Eu Banking Sector Stability, february 2003.

In Italia sono state realizzate operazioni di fusione e di acquisizione per un valore complessivo che risulta al quarto posto tra i paesi industriali, dopo Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, ma che si colloca in prima posizione se rappor-tato alle dimensioni dei sistemi bancari 29.

Conseguentemente, dalla seconda metà degli anni Novanta si è potuto assi-stere ad una progressiva diminuzione del numero di banche operanti nel sistema bancario italiano – passate da oltre mille a 778. Tale processo, che ha interessato quasi la metà del sistema bancario, non solo ha ridotto drasticamente il numero di banche sul mercato italiano, ma ne ha modificato sensibilmente anche il panora-ma degli assetti proprietari (Tab. 4).

tab. 4 - numero dI banche e dI sportellI bancarI: centro-nord, mezzogIorno e totale ItalIa

1990 1996 2003

Banche Sportelli Banche Sportelli Banche Sportelli

totale Italia 1.104 15.842 937 24.404 788 30.502

centro-nord 790 12.201 1.119 18.797 855 23.812

mezzogiorno 314 3.641 413 5.607 243 6.690

fonte: banca d’Italia, Relazione annuale, anni vari.

lato dei ricavi dovuto all’ampliamento della gamma dei servizi, significative riduzioni di costo e incrementi red-dituali imputabili direttamente alla crescita dimensionale attuata per via esterna. Al contrario, «… nella crescita per fusione o acquisizione il rischio di pagare prezzi elevati e di sottostimare gli oneri di integrazione è considerevo-le, soprattutto quando si tratta di opera-zioni fra banche di grande dimensione» (M. Onado [a cura di], La banca come impresa, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 483).

25 D. Focarelli - F. Panetta - C. Salleo, Why Do Banks Merge?, Temi di di-scussione n. 361, Roma, Banca d’Italia, 1999.

26 Cfr. R. Caparvi, Profili della banca ita-liana nel secolo attuale, in La nuova at-tività bancaria. Economia e tecniche di gestione, Milano, Franco Angeli, 2000, p. 68.

27 Cfr. supra, parte III, cap. 2, pp. 113 sgg.

28 Cfr. M. Saraceno, Il settore bancario in Europa e in Italia: evoluzione e tenden-ze, in Bracchi - Masciandaro, La com-petitività dell’industria bancaria, cit., p. 313.

29 Secondo le rilevazioni di «Thomson Financial», le operazioni di fusione ed acquisizione riguardanti banche italia-ne hanno raggiunto nel periodo 1997-2001 un valore di oltre 70 miliardi di euro, il più elevato rispetto agli altri sistemi bancari europei e pari al 22% circa del volume totale delle operazio-ni che hanno coinvolto le banche del-l’Unione europea (UE).

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Il processo di consolidamento ha comportato una generalizzata crescita dimensionale degli intermediari bancari mediante la formazione di strutture di gruppo caratterizzate, sotto il profilo organizzativo, da assetti complessi e diver-sificati ed ha, per contro, ridotto il numero di banche che operano autonomamen-te 30. Nonostante i processi aggregativi appena menzionati abbiano innalzato il livello di concentrazione del mercato creditizio, i primi cinque gruppi nazionali detenevano, a fine 2003, una quota del 51% del totale dei fondi intermediati, in forte incremento rispetto al 33% riferibile al quinquennio precedente, ma ancora contenuta, per altro verso, se rapportata alle medie internazionali.

Si deve rilevare come la diminuzione del numero di banche e di gruppi ban-cari non si sia accompagnata, a differenza di quanto si potrebbe ipotizzare, ad una riduzione del grado di concorrenza, dal momento che elevati livelli di competiti-vità sono stati garantiti dall’entrata di nuovi intermediari 31 e dall’uscita di quelli meno efficienti, dalla ristrutturazione dei principali gruppi, dall’accresciuta tra-sparenza delle condizioni dei servizi offerti e, soprattutto, dall’ampliamento dei canali di distribuzione di tipo tradizionale e dallo sviluppo di soluzioni erogative di tipo innovativo.

Contestualmente alla riduzione del numero di banche, si è potuta osservare una crescita assai marcata degli sportelli nei primi anni Novanta, ascrivibile alla normativa di liberalizzazione dell’articolazione territoriale delle aziende crediti-zie, cui è seguita, nella seconda parte del decennio, una fase di razionalizzazione complessiva della rete distributiva, con un tasso di sviluppo della rete sportellare

30 Escludendo quelle di credito coopera-tivo e le succursali di banche estere, su 279 banche ben 227 rientrano in gruppi creditizi e a queste ultime fa capo cir-ca l’85% degli sportelli complessivi. Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale 2004, cit., p. 360.

31 È stato stimato che l’ingresso di un nuovo concorrente in un mercato pro-vinciale (attraverso l’apertura di un numero di nuovi sportelli pari all’1% del numero degli sportelli preesisten-ti) provoca un calo del costo del cre-dito stimato in circa 10 centesimi di punto percentuale e un aumento della remunerazione dei depositi stimabile in 5 centesimi di punto. Moltiplican-do questi effetti unitari per la quota di sportelli provinciali che nel periodo 1993-99 sono stati aperti da banche in precedenza non operanti nella provin-cia, si ottiene che negli anni esaminati l’espansione territoriale delle banche ha determinato un calo di 80-90 cen-tesimi di punto del costo del credito e un aumento di 40-50 centesimi della remunerazione dei depositi bancari. Cfr. Panetta, Struttura e operatività del sistema bancario italiano a dieci anni dal Testo Unico, cit., p. 35.

Santuario del Santissimo Crocifisso, San Miniato. Particolare della volta

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

che porta le banche italiane ad essere presenti sul territorio con livelli di capilla-rità (abitanti/sportello) allineati alle medie europee (Tab. 5) 32.

tab. 5 - numero dI IstItutI dI credIto e dI fIlIalI

1997 2003

Istituti Filiali Istituti Filiali

germania 3.420 6.3186 2.225 47.351

francia 1.258 2.5464 939 25.789

Italia 909 25.601 801 30.502

spagna 416 38.039 348 39.762

gran bretagna 537 16.344 426 14.186

zona euro 8.637 180.944 6.593 167.644

fonte: bce, Rapporto sulla struttura del sistema bancario europeo, novembre 2004.

Nel decennio scorso il numero di sportelli è infatti quasi raddoppiato su tutto il territorio nazionale dando addirittura origine, per talune aree geografiche che tradizionalmente lamentavano una scarsa copertura bancaria, al fenomeno oppo-sto di sovracapacità produttiva del sistema bancario, qualora la presenza sportel-lare venga rapportata non tanto alle dimensioni geografiche, quanto piuttosto alla densità di popolazione o ancor meglio alla ricchezza economica 33.

Non si può trascurare, infatti, che l’alta densità bancaria rappresenta un indice potenzialmente interessante di vicinanza all’utenza solo se si correla ad un’offerta di prodotti alle imprese e alle famiglie che per quantità, qualità ed economicità risulti adeguata alle diversificate esigenze del contesto economico di riferimento.

1.5 La dimensione delle banche italiane

Gli sforzi volti al riposizionamento sul mercato, condotti in prevalenza me-diante processi di crescita esterna, hanno di fatto segnato, nell’ultimo decennio, significativi progressi nella dimensione media degli intermediari e nella gamma dei servizi offerti.

Occorre rilevare, al riguardo, che le scelte di politica industriale del sistema bancario italiano si sono mosse per lo più secondo una logica aggregativa “ver-ticalizzata”, ossia mediante l’integrazione di unità di dimensioni elevate con uni-tà di piccole dimensioni con la conseguente perdita, nella maggior parte dei casi, dell’identità e della vocazione locale di queste ultime; al contrario, non sono state quasi condotte, come forse sarebbe stato auspicabile, aggregazioni tra istituti appar-tenenti a categorie dimensionali omogenee (aggregazioni in linea orizzontale), che avrebbero potuto favorire, per tal via, l’accrescimento e/o il consolidamento della dimensione media di tali realtà aziendali. Questo anche in linea con l’orientamento dell’organo di vigilanza nel periodo considerato, la cui attenzione alla salvaguardia di obiettivi di contendibilità e di efficienza del mercato ha di fatto indebolito la pie-na comprensione della portata strategica dei processi aggregativi.

32 Cfr. G. Gandolfi - P. Schwizer, La con-correnza bancaria in Italia: un’analisi del grado di concentrazione del merca-to, in Bracchi - Masciandaro, La com-petitività dell’industria bancaria, cit., p. 348.

33 Nel corso del 2004 la rete territoriale delle banche si è accresciuta di 464 unità; l’incremento è ascrivibile alle banche incluse nei gruppi, mentre, al contrario, le banche non facenti parte di una struttura di gruppo hanno fatto re-gistrare, nel complesso, una riduzione del numero degli sportelli. Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale 2004, cit., Appendice, p. 365.

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Ne consegue che, pur essendosi attenuato il divario fra le banche italiane e quelle estere rispetto ai volumi operativi, i processi di ristrutturazione appena considerati hanno portato alla configurazione di gruppi bancari che, accresciutisi nella dimensione media e nella gamma di servizi offerti, possono considerarsi importanti local player sul mercato nazionale ma che, sia in termini di masse intermediate sia in termini di capitalizzazione di borsa, ancora risultano decisa-mente subordinati ai grandi competitori esteri 34.

È facilmente deducibile che mentre solo qualcuna delle nostre aziende di credito può ambire ad un ruolo di regional player nel contesto europeo, nessuna può competere, allo stato attuale, quale global palyer a livello mondiale.

Si aggiunga, al riguardo, che la posizione di forza delle principali banche nazionali risiede nella specializzazione produttiva nelle aree di attività tradizio-nali di intermediazione creditizia – che mal si presta ad essere perseguita con successo fuori dai confini nazionali – e nella gestione del risparmio, con scarsa o nessuna presenza nei settori dell’investment banking e del corporate finance; tali debolezze privano il sistema bancario dei benefici della diversificazione e preco-stituiscono le condizioni per una crescita della presenza di competitori esteri in segmenti di mercato particolarmente interessanti.

34 Ciò è suffragato dall’osservazione che nel confronto internazionale il primo gruppo bancario italiano – classificato per il totale attivo – si colloca al venti-seiesimo posto nelle graduatorie euro-pee, e intorno al quarantesimo posto in quelle internazionali. Cfr. R & S, Dati cumulativi delle principali banche eu-ropee, edizione 2003, www.mbres.it.

Interno della chiesa della Scala, San Pietro alle Fonti. Particolare

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In proposito va sottolineato che mentre banche straniere hanno assunto par-tecipazioni, talora anche consistenti, in quelle italiane, queste ultime non hanno dimostrato analogo atteggiamento; l’attività internazionale del sistema banca-rio italiano, ad eccezione di qualche raro caso, resta contenuta rispetto agli altri principali paesi dell’area dell’euro, eccetto quanto attiene ai mercati dell’Europa centro-orientale (Tab. 6) 35.

tab. 6 - presenza dI fIlIalI e sussIdIarIe dI banche stranIere neI sIngolI paesI

1997 1998 1999 2000 2001 2002

austria 2,6% 2,2% 2,5% 2,8% 3,3% 3,4%

belgio 30,6% 35,0% 42,9% 46,2% 50,4% 51,4%

danimarca 9,0% 5,7% 6,7% 6,7% 7,9% 8,4%

finlandia 1,6% 1,7% 2,0% 1,5% 4,9% 5,1%

francia 7,9% 8,7% 9,5% 11,4% 11,9% 11,4%

germania 2,2% 2,6% 2,7% 3,1% 3,2% 3,6%

grecia 28,3% 25,4% 24,6% 26,3% 24,6% 26,2%

Irlanda 55,7% 56,4% 64,2% 66,7% 67,0% 68,2%

Italia 7,1% 7,5% 8,5% 10,3% 12,0% 12,3%

lussemburgo 73,5% 74,1% 75,4% 74,8% 75,7% 75,7%

paesi bassi 18,0% 3,0% 4,1% 5,1% 5,9% 6,1%

portogallo 8,9% 10,1% 11,2% 15,1% 15,1% 14,9%

spagna 19,7% 18,9% 19,9% 21,7% 25,3% 25,3%

svezia 13,7% 12,8% 12,2% 14,4% 14,1% 8,8%

uK 25,2% 22,1% 23,0% 22,6% 23,0% 23,2%

Media 20,3% 19,1% 20,6% 21,9% 23,0% 22,9%

Varianza 0,0394 0,0425 0,0487 0,0494 0,0499 0,0516

fonte: ecb, Structural Analysis of the EU Banking Sector, 2002.

A ben vedere, l’ottica strettamente nazionale mortifica livelli di concorrenza adeguati ed i correlati benefici anche in termini di efficienza, penalizzando l’irri-nunciabile penetrazione nei mercati internazionali – dove pare possibile trovare più ampi spazi di crescita rispetto all’esiguo mercato interno – e al tempo stesso l’opportuno sostegno all’operatività delle nostre imprese in tali contesti 36.

Anche se fino ad oggi vi è scarsa esperienza di operazioni aggregative cross-border intraeuropee, poiché le strategie delle banche europee sono state condotte essenzialmente fuori «area euro» 37, è facile constatare che taluni fattori propulsivi, tra cui la volontà di contrastare i grandi competitori statunitensi, i recenti orienta-menti della Commissione europea verso un’effettiva liberalizzazione dei mercati dei servizi finanziari, nonché le maggiori risorse rese disponibili per le grandi ban-che europee dalla riallocazione del capitale in funzione antirischio conseguente a «Basilea 2» tendono ad accelerare il processo di fusioni ed acquisizioni cross bor-der in Europa, al fine di creare grandi poli in un mercato finanziario unico 38.

35 Cfr. Banca d’Italia, Relazione an-nuale 2004, cit., p. 296 e inoltre BIS, The banking industry in the emerging market economies: competition, conso-lidation and system stability - an over-view, BIS Paper, n. 4, agosto 2001.

36 R. De Bonis - F. Farabullini - M. Piaz-za, L’attività internazionale delle ban-che italiane: una sintesi degli ultimi dieci anni, in «Moneta e Credito», 212 (2000).

37 Cfr. BCE, Mergers and acquisitions in-volving the EU banking industry - Facts and implications, dicembre 2000.

38 Cfr. F. Cesarini, L’internazionalizzazio-ne delle banche italiane: alcuni spunti di riflessione, in F. Cesarini - G. Gobbi - R. Lupi, L’internazionalizzazione del-le banche, Milano, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Quaderno n. 211, 2004.

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Pieve di San Giovanni Battista, Cigoli

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È fuori dubbio che, in ogni caso, le nuove spinte al cambiamento finiranno per incrinare l’attuale status quo, con la probabile nascita di una nuova stagione di processi aggregativi e di consolidamento atti a contrastare il probabile “assedio” degli istituti bancari stranieri. Pare auspicabile, al riguardo, che per scongiurare il pericolo di ricoprire un ruolo marginale o, ancor peggio, passivo nell’avvio del processo di concentrazione europeo, le banche che possono aspirare ad assumere un peso di rilievo sui mercati mondiali procedano ai necessari ulteriori program-mi di riassetto e di aggregazioni sul mercato interno 39, per sviluppare e ridefinire la propria specializzazione in funzione di obiettivi di internazionalizzazione e meglio beneficiare, rispetto al passato, delle economie di costo e dei correlati recuperi di efficienza relativi alla più elevata scala dimensionale 40. Se le moti-vazioni del permanere di gap competitivi in un confronto internazionale, pur in presenza delle numerose fusioni e acquisizioni degli ultimi anni, possono essere ricondotte, in primo luogo, al fatto che il processo di concentrazione sperimentato fino ad oggi dal sistema bancario italiano si è manifestato parallelamente ad ana-loghi processi intervenuti a livello europeo e non solo, non paiono trascurabili, d’altra parte, gli effetti riduttivi di una gestione sub-ottimale delle operazioni di natura aggregativa sia da un punto di vista strategico sia da un punto di vista strettamente economico 41.

Problemi di inefficienza riconducibili a diseconomie gestionali sono imputa-bili alle difficoltà di riorganizzazione dei processi aziendali sulle quali pesano, tra gli altri, il fattore umano, la variabile organizzativa e quella tecnologica; rispetto a quest’ultima, i vantaggi in termini di economie di scala, indubbiamente impor-tanti in presenza di prodotti standardizzati e/o di ingenti costi fissi dell’informa-tion technology, possono trovare un limite nel manifestarsi, oltre determinati li-velli produttivi, di diseconomie manageriali ed organizzative connesse all’elevata complessità aziendale, tali da non permettere di produrre la quantità potenziale di servizi con le risorse date.

Il paradigma dell’efficienza bancaria può poi non essere proporzionale al-l’aumento di dimensione, soprattutto quando quest’ultimo deve assorbire ingenti costi di riadeguamento al mercato: si fa riferimento, nello specifico, ai costi – in-tangibili – collegati all’inserimento dei nuovi marchi bancari in luogo di brand storici e fortemente radicati sulla clientela e sul territorio.

Tali rilievi suggeriscono un profondo ripensamento – sul piano strategico come su quello organizzativo – del portafoglio di business, dei processi produt-tivi, distributivi nonché decisionali affinché la crescita sia accompagnata, soprat-tutto all’interno dei gruppi di nuova formazione, da un’appropriata integrazione delle strutture operative e da efficaci sistemi di gestione delle combinazioni ri-schio/rendimento, in linea con gli obiettivi generali di espansione e di performan-ce assegnati.

È facile constatare come il crescente processo di aggregazioni bancarie abbia portato i principali operatori ad orientarsi verso modelli di tipo divisionale, carat-terizzati da una netta separazione tra le responsabilità di indirizzo e di governo, accentrate presso la capogruppo, e le funzioni operative, assegnate a strutture or-ganizzative interne alla casa-madre o a entità giuridiche separate. Si è realizzata così una specializzazione tra centri di produzione, che forniscono prodotti sia

39 Non si trascuri, al riguardo, che per le banche italiane il consolidamento sul mercato interno si scontra con il pro-blema della concentrazione dei rischi creditizi, problema meno avvertito dalle banche estere perché più inter-nazionalizzate e per la presenza di un numero maggiore di grandi gruppi sui rispettivi mercati nazionali. Cfr. R. Ma-sera, Fusioni bancarie, Europa al bivio, in «Il Sole 24 Ore», 12 settembre 2004 e inoltre M. Sarcinelli, Aspetti funzio-nali e di gestione degli intermediari, in AA.VV., Struttura e operatività del sistema bancario italiano a dieci anni dal Testo Unico, Milano, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Quaderno n. 120, 2004, p. 32.

40 Benché il livello di concentrazione non possa essere di per sé utilizzato come indicatore di efficienza, esso è, nel caso delle banche, per lo più correlato po-sitivamente con l’efficienza. Cfr. J.A. Bikker, Competition and Efficiency in an Unified European Banking Market, Cheltenham UK - Northapton MA, Ed-ward Elgar, 2004, pp. 10 sgg.

41 Cfr. P. Schwizer, Concorrenza, concen-trazioni e ristrutturazioni nel sistema finanziario, in L. Anderloni - I. Basile - P. Schwizer, Nuove frontiere delle con-centrazioni e ristrutturazioni. Concor-renza, crescita dimensionale e impatto strategico, gestionale e organizzativo nelle banche e assicurazioni, Roma, Bancaria Editrice, 2001, p. 42.

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alle altre componenti del gruppo sia all’esterno, e unità di distribuzione, diffe-renziate per segmenti di clientela. Tali scelte organizzative, idonee in molti casi a conseguire recuperi di produttività, hanno di fatto generato uno scollamento decisionale tra centro e periferia territoriale della rete, in molti casi relegando la funzione dello sportello a semplice strumento di vendita di servizi «pre-confe-zionati», secondo un approccio al mercato scarsamente personalizzato 42. Se ciò pare plausibile, ed anzi può ritenersi auspicabile per le economie di scala che derivano dalla produzione di massa di servizi a basso valore aggiunto, facilmente

Chiesa del Santissimo Crocifisso, San Miniato. Particolare dell’interno

42 «… Le grandi banche e i gruppi ban-cari più responsabili debbono attribui-re importanza strategica alla necessità di investire nei sistemi periferici per ottenere un bilanciamento ottimale di integrazione ed autonomia delle strut-ture locali, decentrando imprenditoria-lità bancaria e personale qualificato per svolgere un ruolo attivo di agente loca-le di sviluppo. In questa ottica, l’acqui-

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standardizzabili grazie all’impiego della tecnologia 43, non pare altrettanto conve-niente per l’erogazione di servizi che si basano sul rapporto fiduciario, fortemente interpersonale, tra la banca e il cliente, in un contesto economico-sociale pecu-liarmente individuato 44.

1.6 I vantaggi competitivi della piccola dimensione

Da quanto sin qui detto discende che nell’industria bancaria la grande dimen-sione, se pure rappresenta un requisito indispensabile per competere, soprattutto a livello internazionale, nell’offerta alle grandi imprese di una gamma diversificata di servizi specialistici, non costituisce comunque un vantaggio competitivo in tutte le combinazioni prodotto/segmento di clientela; rispetto alla più ampia scala operativa, risaltano taluni punti di forza della banca a vocazione locale, tra i quali il principale è rappresentato dai vantaggi di carattere informativo, riconducibili essenzialmente alla conoscenza approfondita del tessuto produttivo e dei singoli operatori, resa possibile dal radicamento sul territorio e dal legame stretto con la propria clientela, imperniato su relazioni di affari di lungo periodo e caratterizza-te da un elevato grado di personalizzazione. La prossimità, anche “culturale”, tra la banca locale ed il suo mercato di riferimento tende ad imprimere un carattere del tutto peculiare alla relazione banca-cliente, dove la più spontanea ed appro-fondita conoscenza di quest’ultimo, sia esso prenditore di fondi o risparmiatore, facilita la produzione e l’offerta di servizi con un ottimo livello di attenzione alla customer sastisfaction ed alla conseguente fidelizzazione dell’utente bancario.

È evidente che tali condizioni possono dar luogo a vere e proprie leadership in determinati segmenti di mercato rispetto ai concorrenti di maggiori dimensioni.

Il ruolo cruciale della banca locale nel finanziamento della crescita dell’eco-nomia italiana, contraddistinta tradizionalmente dalla prevalenza di piccole e me-die imprese, affonda le radici nella storia della politica creditizia italiana, volta a sviluppare il “localismo” – anche bancario – allo scopo di aumentare il credito disponibile in tutte le aree del paese; in tale prospettiva, un ruolo essenziale fu assegnato all’espansione delle banche di territorio, alle quali veniva riconosciuta una maggiore efficienza allocativa, derivante dalla profonda conoscenza del tes-suto produttivo, e una migliore capacità nella raccolta e nella tutela del risparmio, sempre in ragione della loro contiguità con il mercato. Il punto di forza delle ban-che locali era quindi individuato nel binomio informazione-reputazione.

In effetti, le banche locali hanno fornito nel tempo un apporto considerevole alla raccolta del risparmio ed al finanziamento delle attività produttive, rappre-sentando gli interlocutori principali delle piccole imprese, delle aziende familiari e di quelle artigiane, costituendo altresì un significativo freno all’espansione di fenomeni usurari.

A cinquant’anni di distanza dalle parole del governatore Menichella 45, e in uno scenario totalmente cambiato, il modello economico di banca locale ha sì mostrato i suoi pregi, ma ha anche evidenziato i suoi possibili difetti e, in deter-minati contesti, la tendenza ad essere in media più vulnerabile alle patologie. Le buone performance delle banche locali, infatti, sono risultate spesso collegate alle barriere all’entrata, di cui tali banche hanno potuto godere nei segmentati mer-

sizione di banche locali va vista non in termini di economie di scala (difficili da realizzare e da dimostrare), ma soprat-tutto come occasione importante per acquisire esperienze e competenze ban-carie locali, che bisogna saper valoriz-zare e coordinare per evitare il rischio di disperderle all’interno delle grandi strutture di intermediazione standardiz-zata…» (Il sistema finanziario italiano tra globalizzazione e localismo, a cura di P. Alessandrini, Bologna, Il Mulino, 2001).

43 Cfr. Cappiello, Evoluzione dei canali distributivi bancari. Profili gestionali e di marketing, cit., pp. 109 sgg.

44 L’altro aspetto che va considerato, in riferimento alle prospettive del sistema bancario italiano, è quello del Mezzo-giorno. Il recupero di efficienza fatto segnare dalle banche meridionali in questi ultimi anni e i forti investimenti operati dalle banche del Centro-Nord al Sud, dove ormai solo il 17% degli sportelli fa capo ad entità autonome, dovrebbe portare ad un notevole svi-luppo del mercato del credito e del ri-sparmio nel Mezzogiorno, con sensibili riflessi in termini di redditività per tutto il sistema. Le probabilità che ciò av-venga dipendono anche dall’equilibrio con cui nel Mezzogiorno si procederà alla ricerca di obiettivi di efficienza e di reddito da parte dei nuovi soggetti, equilibrio che può venire solo dal giu-sto peso che è necessario conferire ai valori del radicamento nel territorio detenuto dalle banche acquisite o con-trollate e da un più efficiente ed efficace funzionamento del circuito rispamio-credito. Cfr. F. Pepe, La redditività del-le banche e dei gruppi bancari italiani, Milano, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Quaderno n. 184, 2001.

45 Secondo il governatore Menichella, le iniziative locali andavano preferibil-mente finanziate «… da istituzioni pic-cole, periferiche, che vivono accanto ad ogni piccolo proprietario, che vivano della sua stessa vita, che abbiano le sue stesse ansie, che abbiano la sua stessa fiducia e le sue stesse certezze, giacché chi sta lontano non riesce ad apprez-zare la natura del bisogno e la serietà del bisogno» (intervento al Convegno nazionale delle casse rurali e artigiane, ottobre 1950). Questi orientamenti si tradussero in provvedimenti che limita-vano l’espansione delle grandi banche nei centri minori, nonché in regola-mentazioni sulla competenza territoria-le che favorivano la valorizzazione dei rapporti tra banche e imprese locali.

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cati di insediamento, piuttosto che all’efficienza ed all’efficacia dei loro sistemi gestionali.

La maggiore problematicità nella gestione del binomio costi/ricavi attribui-bile alle banche di limitate dimensioni non è stata comunque riscontrata a livello di “banche locali” più dinamiche, che riescono ad impostare strategie concorren-ziali non solo sul prezzo – costo del credito – ma anche sulla qualità del servizio offerto, sulla snellezza delle procedure, sulla stabilità nel tempo e sulla marcata personalizzazione del rapporto con la clientela.

Ciò risulta particolarmente significativo con riferimento alla frammentazione del tessuto produttivo del nostro Paese, caratterizzato dalla pur sempre diffusa pre-senza di imprese medio/piccole gravate dalle ben note carenze strutturali riguardo alla dimensione ed alle modalità di copertura del fabbisogno finanziario 46.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, vale appena ricordare l’eccessivo peso del rapporto di indebitamento (debiti finanziari/capitali propri) ascrivibile princi-palmente alla forte dipendenza della piccola/media impresa (PMI) dal sistema bancario 47 nella forma prevalente del finanziamento a breve termine 48, senza una netta distinzione tra quest’ultimo e il capitale di rischio, il cui contributo al sostegno della crescita aziendale appare modesto.

Il chiostro interno dell’ex convento di Santa Croce in Fossabanda a Pisa, sede del master in “Auditing e controllo interno” dell’Università di Pisa

46 Sul nostro mercato più di tre milioni di imprese contano meno di 10 addetti; rappresentano il 95% del totale e danno lavoro a poco meno del 50% del totale degli occupati. Queste sono il 70% più numerose rispetto alla Spagna e al Re-gno Unito, e il doppio della Germania e della Francia. Cfr. ISTAT, VIII Censi-mento dell’industria e dei servizi, otto-bre 2001, p. 131.

47 Il nostro sistema economico si colloca al vertice della graduatoria col 51% delle PMI in rapporto con due o più banche, seguito da quelli di Austria e Portogallo, anch’essi paesi bancocen-trici, col 45%. La media dell’UE si at-testa al 35. Cfr. ISTAT, VIII Censimen-to dell’industria e dei servizi, ottobre 2001, p. 124.

48 Cfr. R. Caparvi, Profilo finanziario del-le imprese minori, in A.A.V.V., Studi in onore di F. Parrillo, vol. I, Problemi di Economia e Tecnica bancaria, Milano,

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Se infatti, in passato, il favorevole “effetto leva” aveva posto in secondo piano le limitazioni derivanti da esigue dotazioni patrimoniali, attualmente la struttura finanziaria delle imprese minori italiane si presenta inadeguata per so-stenerne lo sviluppo o, in alcuni casi, quantomeno la sopravvivenza, in mercati viepiù competitivi.

Si noti inoltre che le debolezze della struttura finanziaria delle piccole/medie imprese potrebbero acuirsi con l’introduzione dei nuovi parametri di valutazione del merito creditizio codificati dal Nuovo Accordo sul Capitale (Basilea 2) che prevedendo l’applicazione di criteri basati su algoritmi automatizzati potrebbe creare, almeno nella fase iniziale, problemi di finanziamento alle PMI 49.

Studi riguardo agli effetti delle concentrazioni bancarie sui prestiti eviden-ziano una riduzione del credito alle PMI da parte delle banche divenute più grandi grazie a fusioni/acquisizioni 50, con tendenza alla sostituzione nell’affidamento da parte di banche non coinvolte in operazioni di consolidamento o da parte di istituti di nuova costituzione.

È stato altresì evidenziato come le fusioni all’interno della stessa area (intra-mercato) danneggino meno le PMI di quelle tra aree diverse, dal momento che la banca incorporante sottoporrà a revisione non solo i fidi in essere, ma soprattutto le procedure della banca acquisita, il che è tanto più probabile se la banca acqui-rente è estranea alla zona operativa di quest’ultima 51.

Ciò è verosimilmente riconducibile al processo di revisione dei fidi e al-l’adozione di criteri più stringenti e formalizzati per la gestione dei rischi da parte della banca di maggiori dimensioni che acquisti un’azienda di credito locale, ed è confermato dall’aumento registrato negli ultimi anni delle quote di mercato delle banche medie e piccole rimaste autonome, dovuto presumibilmente alla capacità di meglio corrispondere alle esigenze di clienti operanti in prevalenza sui mercati di riferimento.

Si noti infatti che nelle dimensioni più piccole, e per alcune aree geografiche, domina ancora un relationship banking che si esprime con metodologie non stan-dardizzate e non formalizzate per la valutazione e la gestione del fido e che può vantare una conoscenza capillare della zona, rapporti personalizzati che coprono più di una generazione, capacità informativa di un ambiente economico che può assumere anche caratteristiche di distretto 52.

L’analisi per dimensione degli affidamenti mostra che nel 2004, così come per gli anni precedenti, la crescita dei finanziamenti bancari ha riguardato in mag-gior misura le imprese di piccola e media dimensione rispetto a quelle più grandi. D’altra parte, in tutte le aree geografiche e nei principali settori di attività eco-nomica le banche di minore scala dimensionale hanno contribuito in misura rile-vante all’aumento complessivo del credito alle imprese, facendo registrare tassi di crescita dei prestiti significativamente maggiori di quelli degli intermediari di più elevata scala dimensionale 53, con la conseguente espansione delle quote di mercato di loro competenza in tutte le aree geografiche e nei principali settori di attività economica.

È dato ipotizzare che la banca locale, grazie alla capillare conoscenza del territorio e all’elasticità del suo operare, potrà rivestire anche in futuro un ruolo cruciale nello sviluppo imprenditoriale di determinate aree territoriali a forte

Giuffrè, 1985; S. Costa, I rapporti ban-ca-impresa e i vincoli finanziari alla crescita delle piccole e medie imprese, in Rapporto ISAE, Priorità nazionali: Dimensioni aziendali, Competitivi-tà, Regolamentazione, Roma, giugno 2003.

49 Sarcinelli, Aspetti funzionali e di ge-stione degli intermediari, cit., p. 32.

50 E. Bonaccorsi di Patti - G. Gobbi, The Changing Structure of Local Credit Markets: Are small business special?, Temi di discussione n. 404, Roma, Banca d’Italia, 2001; P. Sapienza, The Effects of Banking Mergers on Loan Contract, in «Journal of Finance», 1 (2002); E. Bonaccorsi di Patti - G. Gobbi, Bank Competition and Firm Creation, Temi di discussione n. 481, Roma, Banca d’Italia, 2003.

51 Cfr. Group of Ten, Report on Consoli-dation in the Financial Sector, cit.

52 La banca locale, soprattutto se autono-ma, ha l’enorme vantaggio di stabilire un rapporto più immediato con i distin-ti imprenditori, non necessariamente classificati e trattati in serie all’interno di fasce quantitative di affidamento. Ne consegue una maggiore rapidità delle decisioni, una migliore formazione sul campo delle risorse che lavorano nelle filiali. G. Manghetti, La piccola banca e il territorio, Atti del Convegno «Ri-partire dalle piccole banche», Cassa di Risparmio di Volterra (Volterra, 11 giu-gno 2004).

53 Nel 2004 l’insieme delle banche “pic-cole” e “minori” ha contribuito per cir-ca tre quarti all’aumento complessivo del credito alle imprese; la loro quota sulla consistenza totale dei prestiti è au-mentata sia nel segmento delle piccole imprese (dal 43 al 44%) sia in quello delle aziende medie e grandi (dal 28 al 30%). Cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale 2004, cit., p. 283.

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“vocazione distrettuale” e contraddistinte dall’elevata presenza di aziende di medio-piccola dimensione. Il patrimonio informativo del tessuto produttivo e dei singoli operatori, derivante dalla vocazione/specializzazione territoriale o di servizio in termini di radicamento sul territorio e di segmentazione di prodot-to continuerà infatti a rappresentare un vantaggio competitivo di fondamentale importanza.

In tale ottica il sostegno alle piccole e medie imprese dovrebbe opportuna-mente essere volto ad assecondare ed a guidare il cambiamento nelle strategie finanziarie di tali aziende, così da svolgere una positiva azione di consolidamento e di riequilibrio delle fonti di finanziamento rispetto agli investimenti; dovrebbe prevedere inoltre l’ampliamento della gamma di servizi nel campo della consu-lenza e della finanza aziendale, anche per favorire l’avvicinamento delle imprese più dinamiche al mercato mobiliare.

Poiché in una logica globalizzata la scala dimensionale è fondamentale per raggiungere i necessari equilibri economici, le piccole aziende di credito sono comunque indotte a ricercare dimensioni e governance adatte per traslare la posi-tività storica della banca di nicchia in un più ampio contesto territoriale.

La più grande dimensione può raggiungersi con l’inserimento in un gruppo bancario di scala più o meno elevata, oppure mediante scelte autonome di crescita

Chiesa di San Giovanni Evangelista, Santa Maria a Monte. “Le donne al Sepolcro”, particolare

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endogena. Nell’attuale fase di forte dinamismo e repentini cambiamenti, la secon-da opzione strategica richiede una notevole capacità e volontà di governo attivo del cambiamento che possono avere soltanto le banche dotate di un management realmente orientato allo sviluppo aziendale e di risorse umane professionalmente in grado di conseguirlo.

Contrariamente agli istituti creditizi di grandi dimensioni che in genere tendono a privilegiare l’efficienza gestionale rispetto a quella territoriale, le banche locali risultano essere maggiormente coinvolte nello sviluppo delle aree economico-geografiche di appartenenza in virtù del più consolidato rap-porto con quest’ultimo; affinché, tuttavia, la presenza di tali banche non costi-tuisca fonte di inefficienza, e dunque rappresenti un freno più che uno stimolo alla creazione di valore e al benessere sociale, si impone un nuovo processo di aziendalizzazione che spinge a compiere scelte strategiche in ordine alla dimensione – anche patrimoniale –, alla localizzazione, alla produzione/di-stribuzione di servizi, ai sistemi di risk management, alla valorizzazione delle risorse umane e alla condivisione della cultura aziendale e dei valori, anche di natura etica.

È dato riscontrare tali condizioni favorevoli in talune banche delle regioni più dinamiche del Nord-Est e del Centro Italia 54: un esempio nella regione Tosca-

54 Cfr. T. Padoa Schioppa, Profili di diver-sità nel sistema bancario italiano, in «Bollettino Economico», Banca d’Ita-lia, 22 (1994).

Chiesa di San Giovanni Evangelista, Santa Maria a Monte. “La Pentecoste”

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na è dato dalla Cassa di Risparmio di San Miniato che, in seguito ad una scelta di autonomia – scelta fortemente sostenuta e tenacemente perseguita nel corso del tempo – rispetto ai grandi gruppi bancari, è riuscita ad intraprendere negli ultimi anni solidi ed equilibrati percorsi di sviluppo economico-finanziario e di penetra-zione commerciale traendo la propria dinamicità competitiva dallo stretto legame e radicamento nel territorio di origine.

In tale contesto si deve discutere il rapporto tra fondazioni e banche dove, nella chiarezza dei ruoli e nella distinzione dei compiti istituzionali, riteniamo che le prime possano rappresentare un valido fattore di stabilità e di crescita per le seconde.

Dal 1990 ad oggi le partecipazioni delle fondazioni nelle banche conferitarie sono progressivamente diminuite, anche a causa del travagliato e spesso contrad-

Pieve di Santa Maria Novella, Marti

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dittorio iter normativo che infine, con il decreto legge 24 giugno 2003 n. 143, ha consentito alle piccole fondazioni – con patrimonio inferiore ai 200 milioni di euro – di non procedere alla dismissione delle partecipazioni di controllo, am-pliandone, per tal via, le opportunità strategiche.

Nella maggioranza dei casi, le partecipazioni delle fondazioni si attestano al di sotto del 50% del patrimonio aziendale; solo 16 fondazioni, delle circa 60 che rientrerebbero nei limiti della citata normativa, risultano possedere, al momento attuale, una quota di controllo nella banca conferitaria, per un patrimonio che rappresenta il 4,9% del totale del patrimonio del sistema delle fondazioni, mentre le banche da esse possedute costituiscono poco più del 2% dell’attivo dell’intero sistema bancario (Tab. 7, Fig. 1) 55.

tab. 7 - assettI partecIpatIvI delle fondazIonI bancarIe

1990 1995 1996 1998 1999 2000 2001 09/2002 09/2003 09/2004

fondazioni con partecipazione nella conferitaria > del 50% 88 62 56 47 44 23 22 20 15 16

fondazioni con partecipazione nella conferitaria < del 50% 0 26 30 36 36 57 57 59 63 58

fondazioni che non detengono partecipazioni nella conferitaria 0 1 3 6 9 9 10 10 11 14

Totale 88 89 89 89 89 89 89 89 89 88

fonte: acrI, Nono Rapporto sulle Fondazioni bancarie, novembre 2004.

Pur di fronte a percentuali così esigue, non sfugge l’importanza del fenome-no, per le positive e molteplici ripercussioni che il legame tra fondazioni e banche da queste controllate può avere sulle aree territoriali di riferimento.

Le fondazioni di origine bancaria rappresentano infatti stakeholder con mar-cata connotazione territoriale e spiccata attenzione alle ricadute di natura econo-mica, sociale nonché etica che vengono a prodursi sulla propria area di riferimen-to. Laddove il concetto di localismo possa far riferimento a relazioni economiche, prossimità spaziali e culturali, vincoli funzionali difficilmente misurabili, che si concretizzano in un sostegno vitale per la media e piccola impresa, il legame tra fondazione e banca aiuta quest’ultima a mantenere una forte radice domestica e a

55 Cfr. ACRI, Nono Rapporto sulle Fon-dazioni bancarie, in «Il Risparmio», 4 (2004, suppl.).

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1990 1995 sett. 02 sett. 03 sett. 041996 1998 1999 2000 2001

= 0< al 50%> del 50%

Perc

entu

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Fon

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Fig. 1 - Distribuzione percentuale delle fondazioni in relazione alla quota di partecipazione nella conferitaria.

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La facciata della pieve di Santa Maria Novella, Marti

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garantire la salvaguardia della sua entità “locale”. Ciò evidentemente è verificato anche, e soprattutto, dal punto di vista meramente strategico, qualora la presenza sul territorio anche dei centri decisionali, sancendo la sostanziale autonomia da altre banche o gruppi bancari di più elevate dimensioni, costituisce un positivo elemento di qualificazione del rapporto tra l’azienda di credito ed il suo territorio di riferimento.

La letteratura sui distretti industriali non ha mancato di sottolineare l’impor-tanza del ruolo svolto dagli intermediari bancari residenti nell’area. Le piccole fondazioni e le piccole banche possono, e devono, rimanere ancora legate tra loro, per assicurare quel ruolo di sostegno positivo, non clientelare, all’econo-mia locale ed evitare, così, lo scollamento tra un sistema bancario di dimensione esclusivamente nazionale, od internazionale, e la struttura produttiva italiana rap-presentata in buona misura da imprese di piccola dimensione con caratteristiche, come si è detto, del tutto peculiari rispetto alla media europea.

2. Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Ogni generazione ama pensare di essere protagonista di un periodo di grandi e complessi cambiamenti. A ciò non sfuggono le generazioni dell’uomo di oggi. A ben vedere, però, il mondo contemporaneo non si caratterizza tanto per la pre-senza o l’ampiezza dei “cambiamenti”, né per la complessità degli stessi, quanto piuttosto per la maggiore frequenza e velocità con cui i “grandi cambiamenti” si attivano e si realizzano.

In tal senso, gli studi manageriali negli ultimi due decenni hanno enfatizzato la fondamentale importanza delle “competenze dinamiche” dell’azienda, della sua attitudine, cioè, a modificare i processi, le procedure, le prassi, le conoscenze e le capacità che strutturalmente la caratterizzano 56. Potremmo dire, al riguardo, che la flessibilità, la mutevolezza strutturale, la capacità di “rompere le regole del gioco”, la re-ingegnerizzazione, perfino la gestione del “disapprendimento”, sono divenuti (o stanno divenendo), in un numero crescente di settori economici, questioni centrali dell’attività manageriale. In altre parole, il fulcro principale della problematica manageriale si è via via spostato dalla “gestione dei singoli cambiamenti” – siano essi generati o subiti dall’azienda – al “governo della di-namica del cambiamento”.

Anche nel settore bancario, un tempo caratterizzato da un’elevata stabilità strutturale, lo scenario della competizione negli ultimi anni è radicalmente mu-tato ed i processi di cambiamento sono sempre più frequenti e veloci 57. Basti pensare agli effetti dell’evoluzione della legislazione finanziaria nazionale ed internazionale, all’impatto delle innovazioni nel settore informatico ed in quel-lo delle telecomunicazioni, agli incalzanti processi di innovazione finanziaria, alla sempre maggiore integrazione tra i mercati, agli effetti della crescita per via esterna di molte aziende bancarie, al manifestarsi, con cadenze assai brevi, di bolle speculative nei mercati finanziari, alle rinnovate esigenze di trasparenza e di accountability ed ai processi di avvicinamento dei modelli di governance

56 Sul tema delle “competenze dinami-che” si vedano, tra gli altri: D.J. Teece - G. Pisano - A. Shuen, Dynamic capa-bilities and strategic management, in «Strategic Management Journal», 8, 7 (1997); R. Sanchez, Building Blocks for Strategy Theory: Resource, Dyna-mic Capabilities and Competencies, in Rethinking Strategy, edited by T. Elfring - H. Volberda, London, Sage Publications, 2001.

57 Si leggano per tutti Bracchi - Mascian-daro, La competitività dell’industria bancaria, cit.

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Pieve di San Giovanni Battista, Cigoli. Affreschi interni

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delle società quotate, alle nuove esigenze di finanziamento delle aziende per asse-condare i processi di internazionalizzazione, al crescente peso della componente immateriale nel valore delle aziende da finanziare e così via.

A nostro parere, è proprio di fronte all’“imperativo del cambiamento” ed alla frequenza, numerosità e velocità dei “cambiamenti rilevanti” che assume una particolare importanza meditare sui valori fondanti e specifici dell’azienda – e, nel caso di specie, della banca –, sulla sua “ragion d’essere” che travalica le questioni meramente economiche, sulla sua “identità profonda”, sui valori e le idee che devono essere preservati al fine di non disperdere la “ricchezza” della propria storia 58.

Con tutto ciò non intendiamo affermare che l’azienda debba opporsi ai cam-biamenti, anzi, è del tutto evidente che l’innovazione imprenditoriale a tutto ton-do è oggi un elemento imprescindibile del governo di ogni azienda; allo stesso tempo è però necessario identificare i valori e le idee che, anche in un ambiente mutevole, devono rimanere alla base del “fare azienda”.

È utile preventivamente osservare che esistono alcuni valori che atten-gono strettamente l’etica dell’uomo come tale e che si possono considerare, in ogni azienda – sia essa bancaria, industriale, commerciale ecc. –, come

Chiesa parrocchiale di Santo Stefano Protomartire, Ponte a Elsa

58 Per approfondimenti sul sistema delle idee si rinvia a U. Bertini, Il sistema aziendale delle idee, in Scritti di politica aziendale, Torino, Giappichelli, 1995.

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dei “metavalori”, dei valori in buona parte “sovraordinati”. Ci riferiamo, in particolare, a valori come il rispetto della vita e del benessere dell’uomo, l’onestà, la lealtà, la giustizia 59. Si tratta di valori etici generali che, seppur con diverse letture individuali ed aziendali, evocano imprescindibili doveri morali. L’interiorizzazione di questi “metavalori” è in un certo qual modo una «precondizione per l’affermarsi dei valori d’impresa funzionali al successo duraturo della stessa» 60.

Esistono inoltre alcuni valori, o meglio alcuni “principi generali”, che connotano ogni organizzazione che possa definirsi aziendale, qualunque sia la sua attività tecnica ed il settore ed il tempo in cui essa opera, la sua colloca-zione territoriale, la sua dimensione e così via e che possono pertanto essere considerati dei veri e propri “requisiti di aziendalità”, cioè dei requisiti in assenza dei quali l’organizzazione si dissolve o, quanto meno, cessa di essere qualificabile come “azienda”. L’economicità 61 (orientamento all’equilibrio economico durevole o, in altre parole, alla creazione di valore), la sistemati-cità (le singole parti, elementi, componenti, operazioni aziendali sono parte di un tutt’uno funzionale ed unitariamente orientato all’equilibrio economico

59 Cfr. V. Coda, Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, in «Finan-za, Marketing e Produzione», giugno 1985. Si veda anche G. Catturi, Etica e obiettivi dell’impresa, Padova, Cedam, 1994.

60 Coda, Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, cit.

61 La funzione fondamentale dell’azienda nel sistema economico consiste, come ha messo in luce la dottrina aziendale, nella «creazione di ricchezza». Tale funzione è riconducibile all’attitudine dell’azienda a raggiungere, conservare e migliorare le «posizioni di equilibrio economico durevole ed evolutivo». Com’è noto, l’equilibrio economico assume pieno significato nel lungo ter-mine, divenendo anche «condizione di esistenza» dell’azienda. Esso espri-me pertanto, nel lungo termine, anche

Veduta aerea del distretto conciario

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durevole) 62, e l’autonomia istituzionale sono, com’è noto, i fondamentali re-quisiti, tra loro inscindibilmente interrelati, che la scienza economico-azien-dale riconosce all’azienda 63.

La singola azienda si connota inoltre per un complesso di valori e di idee che, pur attenendo la ragion d’essere della stessa come istituzione e facendo parte a pieno titolo del nucleo centrale della sua core identity, non costituiscono “meta-valori” etici o principi economico-aziendali universali, anche se, com’è ovvio, da essi largamente dipendono. Tali valori e idee sono diversi da azienda ad azienda. A titolo di esempio si pensi alle aziende che pongono come idea guida “centrale” del loro operare nel lungo termine la qualità superiore del prodotto, il servizio superiore al cliente, l’orientamento innovativo continuo della gamma, la filosofia gestionale ed organizzativa improntata ai massimi livelli di egualitarismo e di compartecipazione e così via.

Si può pertanto ritenere che ciascuna azienda abbia un diverso modo di leg-gere la propria vocazione profonda, pur nel rispetto dei “metavalori” etici e nella piena coscienza del significato dei principi economico aziendali universali di cui si è appena parlato.

lo «scopo più ampio e generale della combinazione», in quanto è presuppo-sto della sopravvivenza e dello svilup-po durevole della stessa. Da ciò si può desumere che l’economicità è un crite-rio guida fondamentale al quale devono necessariamente ispirarsi i soggetti che operano in azienda, e tra essi prima di tutto il soggetto economico. Si veda-no al riguardo: E. Giannessi, Appunti di Economia aziendale, Pisa, Pacini, 1979; Bertini, Il sistema aziendale del-le idee, cit.

62 Cfr. Bertini, Il sistema aziendale delle idee, cit., p. 16.

63 Si veda R. Ferraris Franceschi, L’azien-da: Forme, aspetti, caratteri e criteri discriminanti, in E. Cavalieri - R. Fran-ceschi - F. Ranalli, Appunti di Econo-mia aziendale, Roma, Edizioni Kappa, 1995.

Una fase della filiera conciaria

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Chiesa del Santissimo Crocifisso, San Miniato. Statua dell’Evangelista San Giovanni

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Ciò vale, ovviamente, anche per la CRSM. Nel corso delle interviste con gli esponenti della Banca e della Fondazione abbiamo cercato di far emergere i valori e le idee intorno ai quali essi ritengono che ruoti la “ragion d’essere” della banca. La condizione originaria dalla quale scaturiscono i principali elementi distintivi dei disegni imprenditoriali della CRSM rispetto alla gran parte delle altre banche italiane (soprattutto se ci riferiamo alle banche locali che sono state dismesse dalle fondazioni) è da ricercarsi nella precisa e concreta volontà di conservare saldamente alcuni fondamentali valori ed idee che storicamente si sono affermati (core identity) e, parallelamente, nella consapevole volontà dell’azionista di con-trollo e del top management di elevare gli stessi al ruolo di esplicito riferimento per i comportamenti manageriali ed operativi (valori ed idee guida).

I valori e le idee guida, nell’orientare l’attività degli uomini che lavorano nella banca sanminiatese, assumono pertanto il ruolo di “bussola” del sistema di decisioni e di coerente “tensionatore” dell’azione manageriale.

Antonio Terreni, San Miniato, da F. Fontani, Viaggio pittorico della Toscana, Firenze 1818

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Nei seguenti paragrafi ci soffermeremo, senza pretesa di completezza, sui valori e sulle idee che, in base a quanto è stato messo in risalto dai vertici della Banca e della Fondazione nel corso delle interviste da noi effettuate, declinano gli elementi centrali della core identity della CRSM. La nostra illustrazione si concentrerà in particolare sugli aspetti di seguito elencati:– autonomia gestionale come valore guida strumentale al perseguimento del-

l’efficacia strategica e dell’efficienza gestionale;– Banca e Fondazione insieme nel territorio e per il territorio: il “sistema

CRSM”;– la CRSM come banca locale di dimensione regionale in un gruppo con proie-

zioni nazionali;– il capitale umano come ricchezza della banca;

Palazzo Formichini, sala antistante l’ufficio del Presidente

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– qualità e stabilità del top management come presupposto per attuare piena-mente gli ambiziosi disegni imprenditoriali;

– l’attività bancaria tradizionale come contesto principale in cui perseguire un solido vantaggio competitivo;

– preservare e proteggere il risparmio dei clienti.

La mission della CRSM

«Cassa di Risparmio di San Miniato: oltre 170 anni di storia vissuti con pas-sione nel cuore della Toscana, dedicati alla soddisfazione dei bisogni e dei desideri della gente e delle imprese della regione.Una banca proiettata, con la forza delle proprie radici, verso nuove sfide in un mondo dinamico e globale.Una banca determinata ad offrire soluzioni adeguate allo stile ed alle aspetta-tive della clientela presente e futura in ogni momento della vita».

La mission trova declinazione, nell’ambito dei piani strategici della banca, in alcuni obiettivi di lungo termine tra i quali ricordiamo:– il consolidamento del ruolo di banca regionale e la coerente definizione

dell’immagine;– l’ottimizzazione della governance e dell’efficacia del “sistema dei control-

li” del gruppo;– l’affinamento delle politiche commerciali in ottica cliente;– il mantenimento dei livelli qualitativi dell’area finanza;– il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza operativa;– l’ottimizzazione della gestione delle risorse umane disponibili.La mission formalizzata e gli obiettivi strategici di medio termine definiti dalla CRSM esplicitano sinteticamente alcuni aspetti centrali del sistema di idee gui-da della banca sui quali ci soffermeremo brevemente nei seguenti paragrafi: il valore della tradizione, il radicamento locale, l’orientamento regionale, l’aper-tura al cambiamento e la volontà di crescere, la centralità del cliente, la volontà di porsi come interlocutore “a tutto tondo” per le diverse esigenze del cliente, il ruolo prioritario del sistema umano, l’orientamento all’efficienza ecc.

2.1 L’autonomia gestionale come valore guida strumentale al perseguimento dell’efficacia strategica e della efficienza gestionale

La lunga storia della CRSM è contraddistinta, seppure in modo non sempre lineare, da un orientamento decisionale di fondo: preservare l’autonomia gestio-nale. E ciò ha determinato, specie negli ultimi anni, comportamenti “contro cor-rente” rispetto alle altre casse di risparmio toscane 64.

Nella logica che ha ispirato la Banca e la Fondazione azionista negli ultimi anni, autonomia gestionale significa, innanzitutto, «libertà» di decisione strategi-ca ed operativa rispetto ai «centri di potere esterni» e, principalmente, alle altre banche italiane ed estere. In questo senso l’autonomia gestionale viene conside-rata principalmente:

64 Si veda al riguardo cfr. supra, parte III, par. 4.3, pp. 167-169.

Una suggestiva veduta della Torre di Federico II, San Miniato

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Sede della filiale di Santa Croce sull’Arno (1930)

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1. come «condizione originaria» per preservare saldamente nel lungo periodo il legame con il territorio di riferimento e, pertanto, per favorire lo sviluppo duraturo, sotto il profilo sociale, culturale ed imprenditoriale, di siffatto ter-ritorio;

2. come «pilastro fondamentale» dell’efficacia strategica e dell’efficienza ope-rativa nel contesto competitivo di riferimento.Si può dire che una volta stabilita la necessità di preservare il legame della

banca con il territorio (punto sub 1, su cui torneremo nel par. 2.2), la scelta dell’in-dipendenza da «gruppi bancari terzi» diviene del tutto naturale. È necessario capire, però, se oltre che naturale tale scelta possa essere considerata anche giuridicamente possibile e, soprattutto, giustificata sotto il profilo economico aziendale.

Sulla «possibilità giuridica della scelta» orientata all’autonomia ci siamo già soffermati nella parte III. È importante però ribadire che le decisioni della Fondazione CRSM negli ultimi anni in tema di assetto proprietario della banca (adesione e fuoriuscita dai vari progetti di aggregazione bancaria in Toscana), seppure apparentemente non lineari, sembrano sempre finalizzate a lasciare aperta la possibilità di “mantenere” o “riconquistare” l’indipendenza. Ciò an-che nei momenti in cui siffatta indipendenza poteva sembrare irrimediabilmen-te compromessa, in prospettiva, dalle previsioni normative 65. Il decreto legge n. 143 del 2003, convertito nella legge n. 202 dello stesso anno, ha di fatto reso possibile il mantenimento del controllo della Banca da parte della Fondazione e dunque ha sancito la possibilità di preservare pienamente l’autonomia da sog-getti bancari terzi.

È interessante, in questa sede, soffermarci in particolare sulle motivazioni economico-aziendali alla base della «scelta di autonomia» della CRSM. Non è possibile ovviamente stabilire se la Banca sarà in grado di creare valore per i suoi azionisti più di quanto non avrebbe fatto se fosse stata parte di un gruppo bancario nazionale od internazionale. È certo, però, che in quest’ultimo caso la creazione di valore sarebbe stata necessariamente funzionale alle esigenze di una

Libretto di risparmio degli anni Venti

65 Si veda al riguardo cfr. supra, parte III, par. 3.3, pp. 148 sgg.

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realtà “esterna” al territorio di origine. In altre parole, la perdita del controllo da parte della Fondazione a vantaggio di un gruppo bancario “esterno” avrebbe reso, per forza di cose, la strategia della CRSM strumentale rispetto a quella della “banca controllante”.

La questione di fondo è se una banca radicata nel territorio, di dimensione re-gionale e fortemente vocata al sostegno delle piccole e medie aziende (collocate in buona parte in aree ad alta specializzazione distrettuale) abbia oggi uno spazio competitivo adeguato e se la piena autonomia gestionale possa essere, in tale contesto, un elemento che concorre positivamente al perseguimento della dure-vole economicità. Il tema sollevato si inserisce nel dibattito sulla «inadeguatezza dimensionale delle banche italiane» che negli anni passati si è sviluppato nella pubblicistica economica e che ha spinto in molti casi ad affermare che le banche italiane sono troppo piccole 66.

Pur condividendo la tesi di chi ritiene che il sistema bancario del nostro pae-se sia viziato dall’assenza di grandi gruppi italiani di adeguata dimensione in-ternazionale 67, siamo convinti che esista uno spazio competitivo importante che può essere meglio colmato da una banca locale indipendente gerarchicamente da soggetti esterni al territorio. Certo, si tratta di uno spazio competitivo limitato, ma si tratta pur sempre di una quota del mercato tale da consentire ad una banca efficiente di medie dimensioni di perseguire un’adeguata redditività. Del resto,

Libretti di risparmio della Cassa di Risparmio di San Miniato, prima metà del Novecento

66 Per una analisi della problematica si veda infra, par. 1.5, pp. 191 sgg.

67 In questo senso un indicativo passo avanti deriva dal recente accordo tra Unicredit e HypoVereins Bank (HVB).

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alcune recenti analisi evidenziano che, nell’attuale fase congiunturale, gli indica-tori di performance delle piccole banche hanno in media andamenti tendenziali migliori rispetto a quelli delle banche di dimensioni nazionali 68.

La scelta della CRSM di riconquistare prima e di preservare poi la piena autonomia è fondata pertanto sul convincimento che la natura locale non costi-tuisce, rispetto al target di clienti definito, un ostacolo alla redditività. Anzi, è fermo convincimento dei vertici della Banca e della Fondazione, da noi piena-mente condiviso, che la presenza locale dei soggetti che formulano le strategie e che le realizzano rende più agevole e veloce il rapporto con il sistema econo-mico locale e, pertanto, consente la realizzazione di un servizio maggiormente coerente con gli effettivi bisogni di una quota di piccole e medie aziende e di famiglie del territorio.

2.2 Banca e Fondazione insieme nel territorio e per il territorio: il “sistema CRSM”

Il legame con il territorio e la profonda conoscenza delle sue risorse sono, come abbiamo avuto modo di precisare in precedenza, elementi distintivi delle piccole banche locali rispetto ai più grandi gruppi nazionali. Questi ultimi hanno indubbiamente a disposizione maggiori mezzi e sono in grado di produrre inter-namente una più ampia varietà di prodotti e servizi, ma vivono sovente le realtà territoriali in modo “distaccato”: non ne conoscono fino in fondo le tradizioni, non ne hanno assimilato i valori fondanti, non si sentono parte della comunità e delle vicende socio-economiche che le caratterizzano.

Le casse di risparmio hanno dato vita, sin dalla loro origine, ad uno stretto legame fra funzioni creditizie, attività filantropiche e territorio contribuendo in modo determinante a perseguire la crescita parallela dell’istituzione e del tessuto socio-economico delle aree di insediamento 69.

La fondazione di origine bancaria nasce, come è noto, come conseguenza di un’iniziativa legislativa che aveva come scopo principale quello di dare avvio ad un processo di ristrutturazione e modernizzazione del sistema bancario nazio-nale; dando vita alla fondazione bancaria si è cercato di realizzare una più netta separazione fra “proprietà” e “gestione” dell’azienda di credito e soprattutto una più chiara distinzione fra attività di impresa, finalizzata al raggiungimento del-l’equilibrio economico a valere nel tempo e attività di erogazione della ricchezza a favore della società civile, per realizzare iniziative di tipo socio-assistenziale e dare risposte “reali” ai bisogni della comunità locale 70.

Nel contesto territoriale di riferimento, la Fondazione CRSM continua in tal senso a soddisfare alcuni bisogni della collettività locale (assistenza agli anzia-ni non autosufficienti, salvaguardia del patrimonio artistico e culturale, ricerca scientifica, conservazione e valorizzazione dei beni ambientali e paesaggistici e così via); il suo contributo si concretizza pertanto in numerosi interventi per sostenere attività d’interesse collettivo.

La CRSM S.p.A. ha raccolto invece l’eredità dell’esperienza propriamente bancaria proponendosi, in qualità di istituto di credito “di riferimento” del com-

68 Cfr. Carletti, La redditività dell’inter-mediazione creditizia tradizionale delle banche italiane, cit., pp. 21 sgg.

69 Il presidente dell’ACRI Giuseppe Guz-zetti ha dichiarato «Solo una banca che sa operare in modo efficiente può aiuta-re lo sviluppo della realtà in cui opera e solo in un rapporto con un’economia in sviluppo si pongono le condizioni per la crescita di una banca locale efficien-te. Senza un’efficiente intermediazione creditizia il territorio sopporta un onere rilevante con un’inevitabile perdita di competitività rispetto ad altre aree me-glio servite sotto il profilo finanziario. Deve essere però altrettanto chiaro che non serve avere banche efficienti se non contribuiscono allo sviluppo dei territori nei quali operano. C’è chi ha sostenuto che i due obiettivi – fare utili e fare sviluppo – è difficile conseguirli assieme. Sono assolutamente d’accor-do. Ma sono anche convinto che se tra intermediario bancario e territorio non si crea un’interazione virtuosa alla fine ne risulta un arretramento sostan-ziale per entrambi. Non solo la storia ma anche le prospettive delle Casse di Risparmio sono costruite sulla consa-pevolezza dell’importanza del rapporto con il territorio. Oggi, come nel passato, esse rappresentano nel territorio l’anel-lo di congiunzione tra globale e locale, tra centro e periferia, tra risparmiatori e investitori, tra finanza tradizionale e finanza innovativa» (intervento alla 79ª edizione della Giornata Mondiale del Risparmio, 31 ottobre 2003).

70 Si veda al riguardo la parte V.

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prensorio sanminiatese, di offrire sostegno alle iniziative che in esso nascono e di assecondare le esigenze del vitale tessuto sociale ed economico. Essa ha mo-strato da subito la volontà di mantenere intatto il patrimonio di tradizioni e valori accumulato nella lunga storia dell’istituzione sanminiatese, senza però trascurare il processo di innovazione e l’adeguamento continuo alle esigenze della clientela. La CRSM S.p.A. non ha mai dimenticato di essere un’istituzione che dal territo-rio e dal sociale trae la sua forza ed ha prosperato, sinora, forse proprio perché ha saputo valorizzare le proprie competenze distintive ed è riuscita ad evolvere sen-za travolgere gli ideali che sino al momento dello “scorporo” l’avevano guidata.

Alla valenza culturale e sociale dell’attività della Fondazione, si affianca

Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire, San Miniato. Particolare dell’interno

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pertanto il ruolo essenziale della CRSM S.p.A. e, in senso più ampio, dell’intero gruppo bancario.

La buona gestione ed i buoni risultati dell’attività bancaria permettono, tra-mite il legame azionario con la Fondazione, di generare un virtuoso ritorno di risorse nel territorio di riferimento: la CRSM S.p.A. distribuisce i dividendi alla Fondazione; la Fondazione utilizza le risorse ricevute, integrate con quelle deri-vanti dal rendimento degli altri investimenti, per finanziare e sostenere opportune iniziative socio-culturali che sorgono nell’ambiente locale, ed in tal modo con-tribuisce a creare un ambiente propizio oltre che le premesse per lo sviluppo di nuovi progetti imprenditoriali, artistici, sociali e culturali. La comunità locale,

Pieve di San Giovanni Battista, Cigoli. Affreschi interni

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nel realizzare tali progetti, troverà poi il sostegno della Banca che, a sua volta, beneficerà dell’impulso derivante dallo sviluppo locale.

L’azione congiunta della Banca e della Fondazione di San Miniato delinea, quindi, un percorso sinergico che consente la crescita non solo economica, ma so-ciale e culturale dell’intera collettività. Tutto ciò, ovviamente, tenendo ben distin-ti i ruoli di ciascuna, in piena coerenza con la normativa vigente e con la necessità di massima chiarezza istituzionale.

Appare perciò evidente che, nonostante la creazione di due istituzioni indi-pendenti, il legame odierno fra Banca e Fondazione si è mantenuto simbiotico e virtuoso. Ciò consente, a nostro giudizio, di identificare un unico “sistema”, un insieme unitario in cui le due parti si compongono in un’unica entità funzionale allo sviluppo economico, culturale e sociale locale: il “sistema CRSM”. Questo concetto è stato efficacemente rappresentato dal presidente Conti nel corso del-l’intervista da noi condotta: «La Banca e la Fondazione – ha precisato – sono come due rami robusti di uno stesso albero che ha radici profonde, come le due braccia dello stesso corpo».

Chiesa parrocchiale dei Santi Giuseppe e Anna, San Donato di Santa Maria a Monte

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2.3 Una banca multi-locale di dimensione regionale in un gruppo con proiezioni nazionali

La CRSM opera tradizionalmente in un’area economica “ad alta specializzazione industriale” caratterizzata dalla presenza di un elevato numero di “imprese distrettua-li” 71. In tale area coesistono le aziende della filiera pelli-cuoio-calzature, i mobilifici dell’area di Ponsacco, le produzioni di abbigliamento e le lavorazioni della pelle del comprensorio empolese, oltre ad aziende di molti altri settori di attività 72.

L’impresa distrettuale si qualifica per avere interiorizzato le componenti so-ciali, culturali, storiche e produttive dell’“atmosfera industriale” che si respira nel contesto locale; le idee ed i valori condivisi nel “distretto” agiscono in profondità nelle aziende e ne condizionano i caratteri di base: si formano consuetudini, abi-tudini e paradigmi interpretativi simili. Il distretto, prima che un’area territoriale ad alta intensità di specializzazione industriale, è pertanto una comunità di uomi-ni (d’azienda e delle istituzioni), una tradizione di usi, costumi, arti, mestieri, un insieme di convincimenti e vocazioni imprenditoriali. L’impresa distrettuale non è quindi solo un’impresa che ha sede nel territorio di un distretto; è un’impresa che “respira” l’atmosfera della comunità anche se la sua strategia e le condizioni competitive la portano ad operare in tutto il mondo.

Chi vive ed opera professionalmente nel distretto del cuoio di Santa Cro-ce sa bene che la presenza storica della Cassa di Risparmio di San Miniato ha accompagnato la crescita economica, ma anche sociale e culturale, del terri-torio. Ha affermato al riguardo il presidente della Fondazione CRSM Conti: «Ci sono istituzioni che segnano i caratteri del territorio, che costituiscono un centro fondamentale intorno al quale ruotano le iniziative e le aspettative degli uomini. Istituzioni senza le quali lo sviluppo socio-culturale di un terri-torio sarebbe stato certamente molto diverso. Nella sua lunga storia la Cassa di Risparmio di San Miniato nel suo territorio è stata, a mio parere, prima di tutto questo».

La presenza di una banca fortemente vocata allo sviluppo del territorio ha permesso allo spirito di emulazione imprenditoriale, che è stato alla base della nascita del distretto del cuoio, di tradursi in concrete ed ambiziose iniziative; allo stesso tempo, la crescita del distretto ha consentito alla banca di consolidarsi nel tempo grazie all’esistenza di un tessuto imprenditoriale vitale e fecondo. In altre parole, la banca ed il tessuto industriale del distretto vivono da sempre uno sviluppo simbiotico ed un connubio virtuoso.

Questo connubio ha permesso e permette, innanzitutto, di mantenere sal-do il legame fra istituzione bancaria e mondo imprenditoriale anche in periodi, come quello attuale, di difficoltà del comparto conciario. Inoltre, per la CRSM la componente relazionale e soggettiva nel rapporto con la clientela ha continuato a mantenere, nell’era dei rating e delle “razionalizzazioni” dei rapporti banca-im-presa, un ruolo prevalente nella valutazione del merito creditizio. Al riguardo, è utile evidenziare che la CRSM si è rivelata, in base ai dati di una recente indagi-ne, la banca più rapida a rispondere alle richieste di finanziamento delle piccole e medie aziende in Toscana. Sia per quanto riguarda le richieste di credito fino a venticinquemila euro, sia per quelle tra venticinquemila e centomila, la CRSM

71 Sul tema dei distretti italiani e delle aziende distrettuali si vedano: F. Vi-sconti, Le condizioni di sviluppo delle imprese operanti nei distretti industria-li, Milano, Egea, 1996; R. Varaldo - L. Ferrucci, La natura e la dinamica del-l’impresa distrettuale, in Il distretto in-dustriale tra logiche di impresa e logi-che di sistema, Milano, Franco Angeli, 1997, pp. 26 sgg.; S. Bianchi Martini, Distretto, azienda ed economia territo-riale, in L’azienda calzaturiera, Mila-no, Franco Angeli, 2005, pp. 60 sgg.

72 Per approfondimenti si veda: Lo svilup-po imprenditoriale delle economie lo-cali. I comprensori del Medio Valdarno inferiore, di Ponsacco, di Empoli, a cura di G. Airoldi - A. Zattoni, Milano, Franco Angeli, 2002.

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riesce infatti a concludere entro 5 giorni dalla richiesta il 90% delle pratiche di affidamento 73. La conoscenza del territorio permette di rispondere con maggior prontezza alle richieste delle imprese, anche sviluppando la capacità di definire alcuni strumenti ad hoc per il sistema di imprese conciarie 74.

Le «competenze distrettuali», la «capacità di valorizzare le relazioni», la «conoscenza approfondita della realtà locale» acquisite dalla CRSM nel corso della sua lunga storia costituiscono quindi per essa un «valore distintivo».

Possiamo dire pertanto che la CRSM ha maturato un know-how del tutto particolare rispetto alle esigenze di sviluppo delle «imprese distrettuali» e, più in generale, delle «imprese con forte radicamento locale». Tale know-how, a nostro parere, è in gran parte replicabile nelle molte altre aree toscane ad alta specia-lizzazione industriale e diviene, in quelle province dove le scelte di dismissione delle casse di risparmio hanno privato il territorio di una banca a «controllo pie-namente locale», una vera e propria fonte del vantaggio competitivo.

La CRSM ha pertanto scelto di adattare alle realtà provinciali della Toscana il modello collaudato con successo nel territorio di insediamento storico.

L’impegno della CRSM a supportare le imprese delle diverse aree territoriali toscane e ad attivare un rapporto di piena collaborazione è comprovato anche dal fatto che essa, ad oggi, detiene una partecipazione minoritaria, ma comunque significativa, in oltre 60 aziende con sede nella regione (a titolo meramente esem-plificativo, ricordiamo Eutelia, recentemente quotata al Nuovo mercato, Citypost, Società aeroporto toscano e così via).

73 Si veda in merito N. Borzi, Credito e imprese. I dati di PattiChiari. Vince CariAlessandria, maglia nera ad Ar-diti, in «Il Sole 24 ore» del 12 marzo 2005.

74 Ad esempio la CRSM è l’unica banca che offre un anticipo finanziario sul de-posito della pelle.

Cassa di Risparmio di San Miniato, Agenzia 6 di Firenze

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La CRSM ha dunque intrapreso negli ultimi anni un’importante sfida stra-tegica: trasformarsi da banca locale caratterizzata da un’elevata specializzazione nei comparti produttivi del territorio di origine (principalmente i comparti della filiera pelli-cuoio-calzature) in banca “multi-locale” a vocazione plurisettoriale di dimensione regionale.

Questa strategia è realizzata, al contempo, mediante la crescita del numero di sportelli nelle diverse province toscane (crescita diretta) e mediante interventi a supporto delle preesistenti o di nuove banche locali (crescita indiretta). La costi-tuzione del Banco di Lucca e la partecipazione al capitale della Cassa di Rispar-mio di Volterra costituiscono, al riguardo, i primi due esempi concreti di crescita indiretta. In entrambi i casi la CRSM, pur essendo impegnata nel capitale e nella gestione, non detiene il pieno controllo e dunque condivide la governance con altri soggetti. Ciò conferma la natura collaborativa dell’approccio che la CRSM ha scelto di instaurare nelle aree toscane in cui opera.

L’aspetto che più conta nella strategia brevemente descritta non è tanto la crescita dimensionale in sé, quanto la filosofia gestionale che è alla base della stessa: divenire la banca locale di riferimento dei singoli territori della Toscana.

Si tratta, a tutta evidenza, di una strategia che sottende una sfida molto am-biziosa. Ma è una sfida per certi versi “necessaria”. Solo con un’adeguata dimen-sione e con un progetto imprenditoriale innovativo e stimolante è infatti possi-bile attrarre e trattenere risorse umane di superiore qualità. Solo con un disegno originale si può pensare di conquistare un durevole vantaggio competitivo. Solo

Veduta aerea del distretto conciario

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guardando alle esigenze dei singoli territori, comparti e distretti, ed intessendo una fitta rete di relazioni a livello locale è possibile replicare nella regione il know-how maturato nell’area sanminiatese, riuscendo al contempo a colmare il vuoto lasciato dai processi di dismissione bancaria degli ultimi anni e a limitare la concentrazione dei rischi dovuti ad una ridotta diversificazione economico-geografica degli impieghi.

Per tutti questi motivi la CRSM è, e rimarrà, una banca presente in modo pre-valente nel territorio toscano. L’apertura degli sportelli a Roma e Milano, ed in pro-spettiva in altre aree strategiche, è funzionale all’esigenza di supportare le proiezio-ni nazionali ed internazionali, sempre più intense nel mondo di oggi, della propria clientela; l’obiettivo ambizioso alla base dell’apertura delle filiali di Roma e Milano è dunque quello di essere presenti dove gli imprenditori hanno bisogno.

La scelta di fondo è pertanto, ripetiamo, quella di crescere e soddisfare tutte le esigenze della propria clientela senza scardinare i valori tradizionali e le com-petenze distintive. Per questo la CRSM è anche il perno centrale di un gruppo, il Gruppo CARISMI, che nel complesso ha deciso di ampliare il suo orizzonte ben

I macchinari della filiera conciaria

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oltre l’attività bancaria tradizionale ed i confini regionali. Si tratta di un gruppo che va specializzandosi nelle sue componenti. Basti pensare, a questo riguardo, all’acquisizione della Banca Advantage (poi Banca Sintesi), alla partnership con Vegagest SGR, ed infine al progetto di bancassicurazione, realizzato con la Cat-tolica Assicurazioni, che ha dato origine a San Miniato Previdenza. Per questo la CRSM S.p.A. può già oggi considerarsi una banca multi-locale di dimensione regionale intorno alla quale ruota un gruppo con proiezioni a livello nazionale nei business che caratterizzano il sistema finanziario (dai servizi bancari tradizionali alle attività assicurative, dalla consulenza aziendale e finanziaria all’asset mana-gement e via elencando).

2.4 Il “patrimonio della banca” è tutto nel “valore” dei suoi uomini

Come abbiamo in precedenza evidenziato, il processo di concentrazione che ha interessato il sistema bancario italiano negli ultimi 12 anni si è sviluppato pre-valentemente secondo una logica di tipo “verticale”, ossia mediante l’aggregazio-ne tra unità di dimensioni elevate e unità di dimensioni assai minori (spesso si è trattato di casse di risparmio), per lo più caratterizzate da una filosofia gestionale e da un sistema di valori radicalmente diversi, con la conseguente perdita, nella maggior parte dei casi, dell’identità e della vocazione locale delle banche acqui-site. Non sono state realizzate – se non raramente – significative aggregazioni tra istituti appartenenti a categorie omogenee e con logiche di governo similari (potremmo parlare di aggregazioni in linea “orizzontale”).

Il tavolo della presidenza del Convegno Lo sviluppo imprenditoriale delle economie locali

La locandina del Convegno Lo svi-luppo imprenditoriale delle economie locali

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Anche per questo motivo, in molti casi, gli uomini d’azienda operanti nelle banche oggetto di acquisizione si sono sentiti “corpi estranei” rispetto ai valori, alle idee ed ai disegni strategici dominanti del gruppo aggregante e ciò ha genera-to non poche tensioni a livello personale oltre che istituzionale 75.

È interessante evidenziare che alla richiesta di individuare quali siano gli elementi che rendono la CRSM “diversa” dalle altre banche, il direttore gene-rale Minischetti, nel corso di una delle interviste da noi condotte, ha risposto: «Noi in banca guardiamo alle “persone”, sono gli uomini che danno valore alla nostra azienda e non le strutture materiali. È fondamentale che gli uomini

Cassa di Risparmio di San Miniato, Agenzia 1 di Firenze

75 Il presidente dell’ACRI Giuseppe Guz-zetti ha dichiarato che «Malgrado una loro profonda evoluzione, è confortante constatare che la specificità delle cas-se rimane. La loro storia è descrivibile come un continuo tentativo di con-temperare gli obiettivi del profitto con quelli di garantire la sicurezza dell’in-vestimento ai risparmi raccolti e una

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condividano i valori di fondo ed il progetto imprenditoriale che da tali valori discende. Del resto gli uomini che lavorano alla San Miniato sono (e sentono di essere) essi stessi l’azienda. È questo il “vantaggio” che noi abbiamo rispetto alle altre banche (o meglio, a molte altre banche)». Ed ha aggiunto: «preferisco parlare di persone che di risorse umane per evitare fraintendimenti: le persone non sono sullo stesso piano delle risorse (materiali, finanziarie ecc.). Del resto lo stile manageriale della San Miniato è aperto, ispirato all’equità, colloquiale. La mia porta è sempre aperta per gli uomini che, in qualunque ruolo operino, lavorano in azienda».

Cassa di Risparmio di San Miniato, interni della filiale di Firenze

presenza di servizio nel territorio. Le originarie finalità filantropiche e socia-li, sono ancora parte integrante del loro profilo, anche per il ruolo di azionista di riferimento in diversi casi mantenuto dalle fondazioni» (intervento alla 79ª edizione della Giornata Mondiale del Risparmio, 31 ottobre 2003).

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Il progetto imprenditoriale della CRSM ha dimostrato negli ultimi anni non solo di saper valorizzare le “professionalità interne”, ma anche di assumere un elevato valore attrattivo per le “professionalità esterne”: «In rapporto alla nostra dimensione – ha precisato ancora il direttore generale – siamo la banca italiana che ha avuto maggiori innesti manageriali dall’esterno». In molti casi si è trattato di persone di elevata professionalità che lavoravano in altre aziende bancarie oggetto di acquisizione da parte di altri gruppi bancari. Per contro, «negli ultimi due o tre anni, tante banche hanno cercato di “portarci via” i no-stri manager, ma non ci sono mai riuscite, anche se da noi i livelli retributivi del management sono spesso inferiori rispetto alle altre banche … Questo vuol dire che lavorare nel “sistema CRSM” ha un valore; se delle persone di elevata professionalità che vengono pagate meno continuano a lavorare in un’azienda

Un suggestivo scorcio della città dalla filiale fiorentina della Cassa di Risparmio di San Miniato

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vuol dire che all’interno c’è qualcosa che “si respira” e si riflette nel compor-tamento, nella logica di far le cose … vuol dire che essi vedono prospettive professionali e personali significative che vanno oltre la retribuzione ricevuta nel breve termine … La nostra forza deriva dal fatto che abbiamo dato un valore alle persone nella logica di “fare gruppo”, noi siamo un “gruppo di persone” … I processi di individuazione e selezione del personale, compreso quello di tipo manageriale e le regole alla base dei percorsi di carriera – ha concluso il diret-tore generale nel corso dell’intervista – sono tesi anch’essi a favorire la piena condivisione del progetto imprenditoriale» 76.

È importante evidenziare, inoltre, che un obiettivo prioritario della Banca e della Fondazione è quello di evitare l’esodo dei “giovani di talento” dal territorio del comprensorio. La Banca è infatti sempre alla ricerca, talora con il supporto della Fondazione (si veda al riguardo il riquadro sul “Progetto borse di studio”), di giovani residenti nel territorio di riferimento con elevate potenzialità e voglia di dedicare la propria vita professionale al “progetto” della CRSM. Ciò va certa-mente a vantaggio del sistema socio-economico locale, la cui “ricchezza di intel-ligenze” non viene depauperata, ma anche della Banca, agevolandola nel difficile compito di costruire una valida classe dirigente per “il domani”.

Il progetto borse di studioNel 2004 la Fondazione e la Banca sanminiatesi hanno deciso di realizzare un “progetto comune”, in collaborazione con il Dipartimento di Economia azien-dale dell’Università di Pisa, che ha come finalità principale l’individuazione, la selezione e la formazione avanzata di giovani talenti nati o residenti nel territo-rio di riferimento della Fondazione.L’idea di fondo è quella di premiare neolaureati che abbiano dimostrato ca-pacità ed impegno nel loro percorso di studi universitari al fine di creare le condizioni per farli svolgere una proficua attività professionale nel territorio del Medio Valdarno Inferiore.L’accordo prevede che ogni anno un certo numero di giovani neolaureati nati o residenti nel territorio in cui opera la Fondazione ottenga una borsa di studio a copertura totale delle spese di un corso di Master del Dipartimento.Il progetto è un concreto esempio in cui si rendono evidenti le sinergie tra la Fondazione e la Banca controllata. La Fondazione, nel rendere disponibili le risorse finanziarie per le borse, offre al territorio un contributo a valenza sociale e culturale ma crea anche le condizioni per un possibile beneficio per la banca di cui è azionista. Agli allievi che hanno ottenuto le borse di studio viene offerta la possibilità di effettuare lo stage ed il project work, cioè il lavoro sul campo necessario per il conseguimento del titolo di Master, presso la Banca. La Banca per contro potrà, con priorità rispetto ad altre aziende, utilizzare il Master come percorso di preselezione del personale.L’accordo con il Dipartimento di Economia aziendale dell’Università di Pisa costituisce una conferma dell’elevata attenzione della Fondazione CRSM e del Gruppo CARISMI rispetto alle esigenze della formazione e della ricerca uni-versitaria avanzata. Tale attenzione è testimoniata anche dalla solida relazione, che ha assunto ormai caratteri strutturali, tra la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e l’Area Strategia della SDA Bocconi di Milano per attività di ricerca nel campo dell’Economia aziendale.

76 Il forte valore riconosciuto al coinvolgi-mento degli uomini e donne della banca nel progetto della CRSM si riflette an-che nella scelta di riservare ai dipendenti del gruppo una quota delle azioni offerte con la prima tranche dell’OPV avvenuta fra la fine del 2004 e l’inizio del 2005; per aderire all’offerta ai dipendenti sono stati rivolti anche alcuni incentivi al-l’acquisto: la possibilità di ottenere un anticipo del proprio trattamento di fine rapporto oppure, in alternativa, di rice-vere un finanziamento a tasso agevolato (si veda infra, par. 3.8, pp. 261 sgg.).

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Milano

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Qui e nella pagina a fronte lavorazioni conciarie

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Un esplicito segnale del “senso di gruppo” che si respira nella CRSM si è per-cepito in occasione dell’inaugurazione delle due nuove filiali di Roma e Milano tra il 2002 ed il 2004. Oltre a rappresentare i primi esempi della volontà della banca di offrire una continuità di servizi alla propria clientela su tutto il territorio nazionale, i due eventi si sono rivelati importanti “momenti di aggregazione” per tutto il personale. Alle suddette inaugurazioni hanno infatti partecipato, insieme al top management delle aziende del gruppo ed agli esponenti della Fondazione, rispettivamente circa 280 (Roma) e circa 250 (Milano) tra dipendenti, familiari dei dipendenti e membri degli organi delle istituzioni sanminiatesi. Altrettanto significativa è stata la partecipazione del personale alla “mini-cro-ciera” a Palermo organizzata dalla banca nella primavera del 2005 (circa 600 persone tra dipendenti e familiari). La “crociera” ha permesso di ridurre le di-stanze “fisiche” fra colleghi e di sottolineare ulteriormente la “vicinanza” dei vertici aziendali e della Fondazione alle persone che lavorano nella Cassa.

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2.5 Qualità e stabilità del top management come presupposto per attuare pienamente gli ambiziosi disegni imprenditoriali

L’azienda è un fenomeno non transeunte. Essa non ha, e non può in nessun modo avere, natura contingente, né può essere guidata da un finalismo meramente speculativo 77. Ciò deve valere per tutte le aziende, ma assume una portata ancor più rilevante per le aziende di credito, considerato il ruolo che la banca assume nello sviluppo del sistema economico e nella tutela del risparmio.

Anche la banca, come ogni azienda, ha una propria “idea imprenditoriale” da realizzare, una “formula” che deve consentirle di perseguire l’equilibrio econo-mico durevole ed evolutivo (e, dunque, la creazione di valore nel lungo termine). Ad esempio, la CRSM è oggi orientata a perseguire il vantaggio competitivo nel-le diverse aree territoriali della Toscana secondo l’approccio tipico della banca locale, con un mix di prodotti che ruota intorno all’attività bancaria tradizionale, rivolgendosi prevalentemente alle medie, medio-piccole e piccole aziende, con un modello organizzativo “aperto” e così via.

Se si guarda al complesso di interessi che coinvolge la banca (azionisti, di-pendenti, fornitori, mercato finanziario, risparmiatori, soggetti finanziati, mana-gement, comunità locale, organismi di vigilanza ecc.) e, inoltre, si riflette sul “tempo occorrente” per portare a condizioni di funzionamento e di efficienza un’“idea imprenditoriale” e per avviare ed accompagnare la banca sul sentiero della durevole creazione di valore, appare del tutto evidente la necessità di un preciso, univoco e duraturo indirizzo strategico. La stabilità del top management – purché, si tratti, ovviamente, anche di un management di qualità – diviene per-tanto elemento fondamentale per il successo della CRSM. La ripetuta sostituzio-ne del management attenua, infatti, la forza persuasiva del disegno strategico sia

Immagini della mini-crociera a Palermo

77 Si vedano: Giannessi, Appunti di Eco-nomia aziendale, cit.; U. Bertini, Il si-stema d’azienda. Uno schema di anali-si, Torino, Giappichelli, 1993.

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all’interno dell’azienda – verso i dipendenti – sia all’esterno – nei confronti degli interlocutori del sistema economico-sociale – e, normalmente, riduce il commit-ment rispetto agli obiettivi prefissati.

Del resto, la storia recente di alcune banche italiane dimostra che la qualità e la stabilità del management sono condizioni fondamentali per la creazione di valore nel lungo termine; si pensi al riguardo al caso 78.

Oggi si può affermare che la stabilità, la qualità e la coesione del ma-nagement e del sistema umano complessivamente considerato costituiscono valori fondamentali ed irrinunciabili per il “sistema CRSM”. L’attuale squa-dra manageriale della CRSM, in effetti, è operativa da circa cinque anni e si compone di uomini di diversa provenienza e di comprovate competenze professionali.

2.6 L’attività bancaria tradizionale come contesto principale in cui perseguire un solido vantaggio competitivo

La CRSM opera in tutte le aree di business tipiche dei gruppi bancari. Essa è presente nell’intermediazione creditizia tradizionale, svolgendo attività di rac-colta da clientela retail e private, erogazione del credito alla clientela, impiego e raccolta sul mercato mobiliare; offre i servizi bancari e finanziari mediante i canali bancari ordinari e per mezzo di canali alternativi quali internet banking, contact center, trading on line; presta tutti i servizi di investimento previsti nel Testo Unico della Finanza, come la negoziazione per conto proprio e di terzi, il collocamento e l’assunzione di garanzia nei confronti degli emittenti, la gestio-ne su base individuale di portafogli di investimento per conto di terzi, ricezione e trasmissione di ordini e mediazione; offre servizi di leasing e di factoring; è

78 Si veda G. Ferri - D. Masciandaro - M. Messori, Governo societario ed efficienza delle banche local di fronte all’unificazione dei mercati finanziari, in Il sistema finanziario italiano tra globalizzazione e localismo, a cura di P. Alessandrini, cit.

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Carrara

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presente altresì nella bancassurance, opera nella “produzione” di servizi di asset management, nonché nell’intestazione patrimoniale fiduciaria, e così via.

Sebbene si possa quindi affermare che la CRSM è una banca multibusiness, è necessario evidenziare che, al contrario di quanto è avvenuto in molti altri gruppi bancari, essa pone al centro della sua attività l’intermediazione bancaria tradizio-nale. In altre parole, la CRSM vuole essere principalmente una “banca tradizio-nale”: è questo il suo core business.

In effetti, da un’attenta analisi della composizione dei ricavi operativi emer-ge come la componente riferibile alla macro attività “Intermediazione creditizia” sia decisamente prevalente, con oltre il 90% dei ricavi. Il restante 10% è ripartito pressoché equamente fra le voci ascrivibili all’intermediazione mobiliare ed al-l’attività di asset management, mentre l’attività di bancassicurazione rappresenta ancora una componente marginale. Si veda al riguardo la Tabella 8.

tab. 8 - contrIbuto apportato dalle tIpologIe dI rIcavI operatIvI (bIlancIo IndIvIduale crsm)

Tipologia di ricavi operativi 2003 2002 2001

Intermediazione creditizia 90,5% 90,0% 89,6%

Intermediazione mobiliare 5,0% 4,2% 3,4%

asset management 4,1% 5,2% 5,6%

bancassurance 0,4% 0,6% 1,4%

Tot. ricavi operativi 100,0% 100,0% 100,0%

fonte: prospetto informativo opv 2004/2005.

La crescente incidenza dell’attività di intermediazione creditizia di tipo tradi-zionale rispetto al totale dei volumi intermediati è dimostrata pure da taluni indi-catori di bilancio riferiti agli ultimi cinque anni giacché, nel periodo considerato, è dato osservare il costante incremento dei crediti verso la clientela e della raccolta da clientela in rapporto al totale attivo (cfr. Tab. 9), a conferma della volontà di conso-lidare – nel solco della tradizione – il legame con le economie locali.

E ancora, il rapporto Prestiti/Raccolta 79, rappresentativo, seppure grosso-lanamente, della capacità della banca ad assolvere la funzione creditizia, indica, con il suo valore in ascesa dal 2000 in poi, il sempre più marcato orientamento della Cassa di Risparmio di San Miniato all’utilizzo dei fondi ottenuti a titolo di deposito dalla clientela per la concessione di prestiti.

L’ampliamento dell’attività tradizionale è stato concepito dalla CRSM in un’ottica di customer satisfaction mediante lo sviluppo di una gamma di servizi completa, di valore ed integrata nel processo di vendita e di gestione, finalizzata alla soddisfazione dei bisogni e della più elevata fidelizzazione del cliente nel rispetto degli obiettivi quantitativi prefissati. Ciò consente di assicurare, mediante la raccolta del risparmio locale e il reimpiego del medesimo nella stessa area di influenza, l’attivazione ed il consolidamento nel tempo di un circolo virtuoso di reciproco sostegno, talora di natura anticiclica, tra la banca e le economie locali, laddove la storia e la crescita della prima si intersecano e tendono a coincidere con quelle della collettività del territorio di precipuo riferimento.

79 Tale indicatore, che può certamente essere annoverato tra quelli più fre-quentemente utilizzati per descrivere la capacità delle banche di assolvere alla funzione creditizia, vede al numeratore l’ammontare complessivo dei prestiti per cassa erogati alla clientela, com-prensivi delle sofferenze, e al deno-minatore la somma complessiva della raccolta da clientela, con qualsiasi stru-mento tecnico essa sia stata effettuata.

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tab. 9 - alcunI IndIcatorI della struttura patrImonIale

Crediti vs. clientela /Tot. attivo

Raccolta da clientela /Tot. attivo

Prestiti /Raccolta

2004 68,92 76,90 89,62

2003 68,83 79,18 86,92

2002 62,29 78,05 79,81

2001 56,21 68,52 82,02

2000 57,73 71,95 80,24

L’importanza dell’area di attività appena ricordata può dedursi, riguardo alla formazione dei risultati economici, dal miglioramento del rapporto tra margine di interesse e margine di intermediazione 80, che palesa il progressivo consolidamento del contributo reddituale dell’intermediazione creditizia tradizionale, e dalla paral-lela riduzione dei ricavi da servizi generalmente intesi, anche a motivo della ben nota volatilità e problematicità dei mercati finanziari negli anni considerati.

tab. 10 - la composIzIone del margIne dI IntermedIazIone

Anni Mg. interesse /Mg. intermediazione

Media delcampione*

Ricavi netti servizi / Mg. intermediazione

Media delcampione*

2003 62,38 63,45 21,61 23,04

2002 61,58 63,98 23,97 22,61

2001 61,12 64,74 26,45 21,84

2000 59,76 65,21 28,53 21,23

* Il campione esaminato comprende le casse di risparmio toscane che operano nello stesso territorio di riferimento e, come la cassa di risparmio di san miniato, appartenenti al gruppo dimensionale delle “banche piccole”, secondo la classificazione di banca d’Italia. le casse del campione fanno inoltre parte di gruppi bancari di dimensione nazionale. fonte: nostre elaborazioni su dati bankscope.

Il crescente peso economico dell’area creditizia tradizionale, valorizzato dal contributo della gestione denaro 81 – margine di interesse – ascrivibile alle recenti politiche di mercato della CRSM, non è peraltro riscontrabile per nessuna delle casse di risparmio che operano nella medesima area geografica per le quali, al contrario, come si desume dalla Tabella 10, è dato osservare la costante perdita di importanza del contributo reddituale proveniente dall’attività di funding e di lending alla formazione del margine di intermediazione. Ciò rispecchia, ad evi-denza, le diverse politiche gestionali delle banche considerate, improntate, nel caso della CRSM, precipuamente all’intensificazione, in sintonia con la mission aziendale, dei rapporti di clientela – attivi e passivi – cui si contrappongono le scelte gestionali del campione di riferimento, volte a contare maggiormente sul contributo economico di altre aree di attività non peculiarmente connesse con il business di tipo tradizionale.

Si osservi al riguardo come, nonostante sia possibile individuare un rappor-to di sostituzione, seppure parziale, tra i ricavi da servizi genericamente intesi e quelli di intermediazione, non sembra che il rafforzamento dell’area di affari relativa ai servizi riesca, da solo, a garantire soddisfacenti condizioni di equili-

80 Come è noto, il margine di interesse de-riva dalla somma algebrica degli inte-ressi attivi e passivi e dei dividendi per-cepiti; il margine di intermediazione, che può essere assunto come variabile che approssima con sufficiente esattez-za il valore aggiunto della produzione bancaria, viene comunemente inteso come frutto dell’amministrazione delle tre principali aree di affari della gestio-ne bancaria, e cioè: 1) gestione credi-tizia; 2) gestione delle negoziazioni in titoli, in cambi ed in valori da essi deri-vati; 3) gestione dei servizi. Cfr. Nadot-ti, Il bilancio delle banche, cit., p. 141.

81 La composizione del margine di in-teresse della Cassa di Risparmio di San Miniato è stato caratterizzato, nel periodo in esame, dalla flessione dei tassi controbilanciata dalla dinamica positiva dei volumi intermediati con la clientela, dalla ricomposizione dei vo-lumi di impiego su fasce di clientela più remunerative e dalla posizione, sempre attiva, sul mercato interbancario.

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brio economico; la minor dipendenza di quest’ultimo dai risultati della gestione denaro può infatti innalzare i livelli di erraticità nel tempo dei risultati economici allorché, a parità di condizioni, la composizione quali-quantitativa dell’aggregato “altri ricavi netti” risulti caratterizzata in via prevalente da componenti di ricavo contraddistinte da naturale volatilità 82. È questo il caso degli utili da negoziazione titoli, influenzati da fattori congiunturali quali l’andamento dei tassi di interesse, l’intensità della domanda, nonché le dimensioni dei portafogli di negoziazione delle stesse banche.

Al contrario, la formula vincente, anche in termini reddituali, della CRSM sembra risiedere proprio nella capacità di potenziare l’ormai tradizionale rapporto fiduciario con il mercato di riferimento mediante l’attività di intermediazione tra-dizionale; nella capacità di esportare il modello “sanminiatese” anche in altre aree geografiche limitrofe; nella forza di rinnovare e di innovare l’offerta di prodotti tradizionali mediante il ricorso a soluzioni in linea con il progresso in atto quali, tra gli altri, i servizi di phone banking, internet banking e così via, particolarmente gra-dite a talune fasce di pubblico; nella lungimiranza dello sviluppo, anche mediante appropriate azioni di cross-selling, delle necessarie sinergie tra l’intermediazione tipica e l’offerta di un’ampia gamma di servizi – risparmio gestito, asset manage-ment, bancassurance, ecc. – grazie alla ricerca di forme di complementarietà tra le due aree di affari, generatrici di vantaggi reciproci, senza con ciò snaturare il ruolo istituzionale della banca quale intermediario del credito.

Nel percorso logico sin qui seguito, si inserisce pure il particolare impegno della CRSM nella valorizzazione delle economie locali anche mediante forme al-ternative al circuito di intermediazione creditizia tradizionale, ma a questo stretta-

82 Cfr. F. Cesarini, La ciclicità del reddito delle banche italiane: alcune osserva-zioni, in «Bancaria», 1 (1994), pp. 8 sgg.

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Fucecchio

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mente correlate, e anch’esse valide a sottolineare il ruolo assunto dalla Cassa quale intermediario di riferimento nei confronti delle imprese assistite, quale «banca del territorio e per il territorio». Il ricorso a più complesse forme di sostegno finanzia-rio si desume dalla voce di bilancio relativa alle partecipazioni, tra le quali merita attenzione il portafoglio di quelle cosiddette “non strumentali”, la cui composi-zione quali-quantitativa viene via via determinata, secondo obiettivi strategici e reddituali, nell’ottica dell’acquisto o dell’ampliamento di partecipazioni in società esistenti o di nuova costituzione operanti soprattutto sul territorio toscano nel cam-po di servizi innovativi alle imprese e al tessuto economico-regionale. L’entità di tali investimenti, decisamente più elevata se raffrontata con i dati delle altre casse di risparmio operanti nelle medesime aree economico-geografiche della Cassa di Risparmio di San Miniato – tanto da raggiungere, in alcuni casi, il decuplo del corrispondente valore di bilancio, che per alcune di esse tende altresì a diminuire negli anni più recenti – sottolinea ancora una volta la scelta strategica della Cassa, volta a consolidare il forte legame con il territorio, assumendo un peculiare ruolo nel sostegno economico-finanziario delle imprese regionali svolto, oltre che per mezzo dell’attività tipica di impiego, anche con interventi nel capitale delle aziende secondo un’accorta attività di investment banking.2.7 Preservare e proteggere il risparmio dei clienti:

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Pontedera

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il risparmio per la serenità dell’uomo

Il risparmio ha un ruolo fondamentale nello sviluppo socio-economico di ciascun paese. La propensione ad accantonare parte del reddito per poterlo “con-sumare” in momenti successivi costituisce una garanzia per un futuro economica-mente sereno e risulta spesso una premessa indispensabile per la realizzazione dei progetti individuali, familiari e professionali. L’accumulazione di risparmio ed una sua efficiente allocazione permette inoltre uno sviluppo virtuoso del circuito degli investimenti, capace di valorizzare l’intero sistema economico ed accre-scerne le potenzialità di sviluppo.

Il ruolo fondamentale del sistema bancario va ricercato nella sua capacità di valorizzare il risparmio ad esso affidato per soddisfare le esigenze del settore produttivo, sostenendolo nelle sue naturali evoluzioni. Il legame fra risparmio, sistema bancario ed investimenti deve perciò essere sempre orientato a sviluppare sinergie e a dare vita ad un circuito che si autoalimenta in modo virtuoso.

Negli ultimi anni, le famiglie italiane hanno profondamente modificato le modalità di investimento dei propri risparmi, spinte dalla volontà di ricercare forme di impiego più remunerative. Di conseguenza, è aumentato notevolmente il “peso” all’interno dei “portafogli familiari” delle obbligazioni, dei prodotti del risparmio gestito e di altre attività “rischiose”, accentuando la rilevanza e la cri-

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Santa Croce sull’Arno

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ticità del rapporto fiduciario che si deve instaurare fra intermediario finanziario e cliente. La tutela degli investitori e del loro risparmio è difatti affidata, in primo luogo, alla correttezza dei comportamenti delle banche ed alla loro scelta di porre il cliente “al centro” dei propri progetti strategici.

La “centralità del cliente”, per essere efficacemente perseguita, deve essere però innanzitutto fatta propria dal sistema umano della banca, che deve condivi-dere i valori della lealtà, della trasparenza, della professionalità e l’importanza della “fidelizzazione” del cliente e della sua “soddisfazione”.

È innegabile però che i casi di crisi finanziaria verificatisi negli ultimi anni (ci riferiamo ad esempio ai default di Giacomelli, Cirio, Parmalat e di stati sovra-ni) abbiano intaccato l’immagine di molte istituzioni bancarie nazionali ed inter-nazionali, lasciando molti risparmiatori disorientati per la difficoltà di individuare con chiarezza interlocutori che siano in grado di assicurare al proprio risparmio un investimento “stabile e sicuro” e basato su scelte “consapevoli”.

La CRSM è rimasta esente dal coinvolgimento nei citati “scandali finanzia-ri”. Essa ha da sempre posto il cliente ed il suo risparmio al centro delle proprie strategie, riconoscendo al rapporto instaurato con ciascuno un “valore” da preser-vare ed accrescere nel tempo. I suoi progetti strategici si sono sempre caratteriz-zati per la volontà di mantenere elevata l’attenzione alle esigenze delle famiglie e per la responsabilizzazione verso il dovere di proteggerne e preservarne il ri-sparmio. L’offerta di prodotti e servizi si è dunque tradizionalmente proiettata a fornire, utilizzando un linguaggio chiaro e comprensibile, qualificate risposte alle esigenze dei clienti, sviluppando un’offerta completa ed integrata ma pur sempre nell’ambito di un processo finalizzato alla massimizzazione della “soddisfazio-ne” dei risparmiatori.

Numerose iniziative della CRSM testimoniano quanto sin qui affermato: sono stati istituzionalizzati, ad esempio, alcuni limiti alla vendita di “prodotti ri-schiosi”, con l’impegno di non negoziare nelle proprie filiali titoli obbligazionari che non presentino adeguati giudizi di affidabilità. Si è scelto così di prevenire completamente l’insoddisfazione ex post della clientela, convinti che solo in que-sto modo si possa preservare la “tradizione nell’innovazione”: essere quindi una banca che vuol seguire i cambiamenti del mercato finanziario e delle esigenze di investimento dei clienti ma che non abbandona il suo ruolo di istituzione che, con comportamenti chiari, semplici e trasparenti, deve in primo luogo contribuire al benessere socio-economico dell’intera collettività.

Un altro esempio di come sia radicata la convinzione dell’importanza di pre-servare e proteggere il risparmio è la scelta di aderire prontamente all’iniziativa dell’ABI chiamata “PattiChiari”. Il progetto “PattiChiari” è nato con l’ambizioso obiettivo di comunicare ai clienti delle banche italiane una “voglia di cambia-mento” e l’inizio di un “nuovo capitolo” nella lunga storia del sistema bancario nazionale. Il progetto è finalizzato quindi a garantire maggiore chiarezza e tra-sparenza, ad implementare nel sistema dei valori ed a far assimilare al sistema umano delle banche il concetto di customer care e, di conseguenza, l’importanza della chiarezza, della comprensibilità e della comparabilità delle offerte di pro-dotti e servizi.

Il raggiungimento degli obiettivi dell’iniziativa appare dunque particolar-

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Una bella veduta dell’Agenzia 1 di Pisa della Cassa di Risparmio di San Miniato

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mente importante per un’azienda come la CRSM che, «considerate le proprie dimensioni, la propria vocazione localistica e l’intensità dei rapporti con l’eco-nomia e le comunità del territorio, ha da sempre nella relazione con la clientela uno degli elementi del proprio vantaggio competitivo su aziende di maggiori di-mensioni» 83.

Nella CRSM l’adesione a tale progetto è avvenuta infatti sin dal suo avvio, nell’ottobre del 2003; il sistema dei valori e delle idee e, di conseguenza, la strut-tura, l’organizzazione, le procedure e l’operatività della banca erano infatti già adeguati agli standard richiesti da “PattiChiari”, e sono risultati necessari solo interventi limitati ed agilmente realizzabili.

In definitiva, iniziative come “PattiChiari” rappresentano per la CRSM una valida opportunità per mettere in evidenza i valori diffusi all’interno dell’intera struttura aziendale e la professionalità dei suoi uomini.

83 Tratto dal documento «PROGETTO “PattiChiari”. Un’opportunità per il Si-stema, un progetto strategico per Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.».

Cassa di Risparmio di San Miniato, Agenzia 1 di Pisa

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3. la logICa alla base delle PrInCIPalI InIzIatIVe strategIChe

3.1 La crescita nel numero di sportelli: una banca tradizionale vicina al cliente

Le scelte strategiche dell’ultimo quinquennio condotte dalla CRSM, in sin-tonia con il contesto di trasformazione del settore, secondo un duplice ordine di obiettivi tra loro inscindibili volti, da un lato, al mantenimento dell’autonomia della banca e, dall’altro, al raggiungimento di dimensioni di portata regionale, hanno delineato politiche gestionali da cui derivano lineamenti operativi ed evi-denze quantitative del tutto peculiari rispetto ai competitor presenti nella mede-sima area geografica.

Ne consegue che, nell’ambito del processo di riposizionamento sul mercato che ha caratterizzato le politiche aziendali della CRSM negli anni più recenti, particolare significatività rivestono, tra l’altro:– la crescita dimensionale per linee interne, condotta mediante l’espansione ed

il radicamento della presenza territoriale di nuove strutture sportellari anche in province fuori dal tradizionale insediamento;

– l’importanza attribuita al consolidamento e all’ulteriore sviluppo del soste-gno alle economie locali nelle forme dell’intermediazione creditizia di tipo tradizionale e non;

– la costante attenzione alla razionalizzazione degli assetti organizzativi, di-stributivi e commerciali, con particolare riguardo al contenimento dei costi operativi – segnatamente di quelli per il personale – nell’ottica del recupero di efficienza e di produttività;

– il potenziamento del contatto con il territorio di riferimento mediante l’espan-sione dell’attività anche per linee esterne, secondo la logica del gruppo ban-cario e rapporti collaborativi con partner strategici.L’obiettivo del forte presidio del territorio di riferimento, e dell’ambito re-

gionale più in generale, ha caratterizzato le scelte di crescita interna, interessate dalla notevole espansione della presenza sportellare anche in province prima non insediate – in ambito toscano e non solo – che hanno consentito alla Cassa di Risparmio di San Miniato di connotarsi come banca multi-locale e plurisettoriale a carattere regionale 84, senza peraltro mai trascurare gli stretti legami con il terri-torio dal quale la storia della CRSM ha avuto origine.

La strategia distributiva, fondata sulla centralità del punto di contatto fisico con la clientela, sia privata sia corporate, risulta perciò tesa a consolidare e/o ad esportare in altre province il modello relazionale già sviluppato con successo nei comprensori storici della Cassa (Fig. 2).

Ne deriva che la crescita dimensionale è stata attuata mantenendo in ogni caso un’articolazione sportellare di tipo tradizionale con caratteristiche di legge-rezza, flessibilità ed efficienza, organizzata secondo un modello gestionale che prevede la strutturazione della rete di vendita per aree territoriali e la segmen-tazione della clientela in funzione di target omogenei di esigenze, così da poter intervenire proficuamente nel sostegno delle famiglie e delle piccole e medie im-prese, fortemente presenti nel tessuto economico toscano.84 Cfr. infra, par. 2.3, p. 221.

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

0102030405060708090

660670680690700710720730740750760770

Sportelli 49 53 59 64 71 77 84Dipendenti 756 746 753 750 696 702 711

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

In poco più di un quinquennio, la rete degli sportelli è quasi raddoppiata, pas-sando da 49 unità operative nel 1998 a 84 filiali nel 2004. Per la prima volta, nel 2002, le politiche territoriali hanno interessato una provincia esterna ai confini regionali – segnatamente Roma –, per poi ripetersi nel 2004 con l’apertura di un nuovo sportello con sede a Milano (cfr. Tab. 11).

A ben vedere, i numerosi insediamenti hanno trovato localizzazione sia in zone residenziali, sia in zone ad elevata potenzialità in alcuni settori industriali, soprattutto in quelli ad alto valore aggiunto, nonché per la particolare collocazio-ne strategica, nella logistica commerciale e nei servizi innovativi alle imprese.

tab. 11 - l’espansIone terrItorIale

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

filiali 49 53 59 64 71 77 84

province 5 6 6 8 10 + 1* 10 + 1* 10 + 2**

* di cui una filiale fuori regione. ** di cui due filiali fuori regione.

Dall’osservazione dei dati riportati nella Tabella 12 è agevole desumere che la marcata diffusione territoriale della Cassa di Risparmio di San Miniato nel-l’ultimo lustro ha determinato l’incremento della quota di mercato degli sportelli rispetto alle altre aziende bancarie presenti sul territorio toscano – con sede in regione e non – tant’è che nel periodo considerato la Cassa ha guadagnato circa un punto percentuale rispetto ai competitori regionali.

L’accentuata espansione sportellare, volta da un lato a radicare, e dall’altro ad espandere la presenza territoriale della CRSM, ha pure influito positivamente sul profilo evolutivo dei volumi intermediati determinando talora dinamiche di crescita più sostenute rispetto a quelle del sistema, con significativi incrementi della quota di mercato. L’analisi quantitativa dei dati riferiti all’attività tipica di intermediazione creditizia, e dunque alle grandezze rappresentative dei rapporti attivi e passivi con la clientela, dimostra infatti come nel periodo considerato i

Fig. 2 - Numero degli sportelli e dei dipendenti della Cassa di Risparmio di San Miniato

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Cassa di Risparmio di San Miniato, la filiale di Milano durante l’inaugurazione

Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Milano

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prestiti ed i depositi, nonché la relativa quota di mercato a livello regionale, siano andati progressivamente aumentando rispetto ai competitor presenti sul territorio (Tab. 12). Si assume, in tale contesto, l’ipotesi – peraltro non lontana dalla realtà operativa – che l’attività di intermediazione creditizia svolta dalla Cassa di Ri-sparmio di San Miniato si svolga prevalentemente in ambito regionale

tab. 12 - Quota dI mercato crsm a lIvello regIonale

Anni Sportelli* Sportelli** Raccolta Impieghi

2004 3,72 4,87 2,86 2,12

2003 3,47 4,54 3,00 2,27

2002 3,27 4,25 2,80 2,09

2001 3,02 3,91 2,66 1,94

2000 2,88 3,72 2,58 2,02

* Quota rispetto alle banche presenti nella regione toscana. ** Quota rispetto alle banche con sede in regione. fonte: nostre elaborazioni su dati bankscope e banca d’Italia, Note sull’andamento dell’economia della Toscana, anni vari.

Tali evidenze empiriche confermano la capacità della CRSM di superare le barriere all’entrata in nuovi mercati geografici e sottolineano altresì la capacità di attrazione dei nuovi insediamenti sportellari e le relative potenzialità espansi-ve anche nel più lungo termine; ciò quale chiara conseguenza dell’ampliamento del sistema di offerta che, consentendo l’incremento della dimensione azienda-le e la diversificazione economica e geografica dell’attività di intermediazione creditizia, è in grado di produrre effetti espansivi sui volumi operativi influen-zandone, al tempo stesso, le caratteristiche qualitative. Tali opportunità non solo contribuiscono al miglioramento delle coordinazioni finanziarie, ma hanno pure riflessi sull’equilibrio economico e patrimoniale dell’azienda bancaria, laddove quest’ultima sia in grado di ottenere, grazie alla nuova dimensione territoriale, la “chiusura” dei circuiti finanziari precedentemente attivati 85.

A ben vedere, la crescita multi-localistica sperimentata dalla CRSM in questi anni, oltre ad aumentare le opportunità di business, ha agevolato pure la diversificazione del portafoglio creditizio, diminuendo per tal via la dipenden-za dagli effetti congiunturali del comprensorio tipico di insediamento. A ciò è conseguita una più consona composizione dei volumi operativi attivi e passivi, dove per i primi è dato osservare nel tempo una progressiva ricomposizione improntata ad un’equilibrata ripartizione degli impieghi tra i diversi settori economico-sociali ed i comparti merceologici che caratterizzano il territorio di insediamento della banca, così da agevolare la politica di frazionamento dei rischi. Parallelamente all’incremento dei volumi operativi e della relativa quota di mercato attinente agli impieghi, si rileva infatti, negli ultimi cinque anni, un sostanziale miglioramento della qualità del credito – così come è faci-le desumere dalla Tabella 13 – frutto della politica di particolare attenzione al costante monitoraggio condotto sulla rischiosità degli impieghi.

Nell’arco temporale considerato, l’incidenza delle sofferenze sul totale de-gli impieghi, espressa al netto delle svalutazioni effettuate, diminuisce infatti di oltre un punto percentuale, risultando negli ultimi due anni inferiore alla media

85 Cfr. T. Bianchi, Le banche di deposito, Torino, UTET, 1975; A. Pin, Entro qua-li limiti la singola banca possa creare credito, in «Il Risparmio», 2 (1966).

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regionale; anche il rapporto di incidenza delle sofferenze “nette” sulle sofferenze “lorde”, indicatore di un importante profilo qualitativo del contenzioso, decresce in maniera costante.

tab. 13 - sofferenze/prestItI

Anno Soff. nette / prestiti Media regionale Soff. nette / soff. lorde

2004 3,14 3,40 37,82

2003 3,27 3,40 39,58

2002 3,45 3,20 37,81

2001 4,23 3,30 42,14

2000 4,89 4,70 46,94

fonte: nostre elaborazioni su dati di bilancio crsm e banca d’Italia, Note sull’andamento dell’economia della Toscana nel 2004, firenze, 2005, p. 38.

Tali dati, a dispetto della tesi talora sostenuta che le banche di più grandi dimensioni avrebbero maggiore capacità di selezione dei clienti marginali per-ché dotate di sistemi di screening del credito più avanzati, confermano il ruolo strategico della conoscenza più approfondita e capillare del contesto economi-co e finanziario di cui può beneficiare una banca a vocazione locale qual è il caso della Cassa di Risparmio di San Miniato, allorché il passaggio da relazio-

Il numeroso pubblico intervenuto alla tavola rotonda “Banca e impresa per lo sviluppo dei distretti industriali” tenuta presso l’Università L. Bocconi in occasione dell’inaugurazione della filiale di Milano

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ni basate sulle transazioni a quelle fondate sul consolidamento dei rapporti di clientela, oltre a produrre vantaggi in termini di velocità, efficienza e competi-tività nell’adeguamento delle caratteristiche e della composizione dell’offerta alle esigenze del mercato di riferimento, può altresì contribuire, come nel caso specifico, a migliorare gli standard quali-quantitativi del portafoglio creditizio. Ciò grazie al forte radicamento nell’ambiente socio-economico locale che, por-tando a configurare talvolta un “quasi monopolio dell’informazione”, dà la pos-sibilità di adottare politiche di prezzo nel credito alla piccola e media impresa che, seppure competitive, non risultano inefficienti in termini di rischio.

L’obiettivo, per il prossimo futuro, è quello dell’ulteriore potenziamento della rete sportellare sul territorio toscano, per consolidare ancora meglio la dimensione multi-locale della CRSM e per rispondere, in tal modo, alle esigenze di una clientela sempre più evoluta finanziariamente e orientata a ricercare un rapporto personalizzato con la propria banca. Ciò può essere interpretato, in sintonia con la natura dell’indirizzo di fondo che ha guidato coerentemente sino ad oggi le scelte strategiche della CRSM, come il mezzo per raggiungere la massa critica necessaria a conservare l’autonomia e a tute-lare nel tempo anche il territorio originario e la sua collettività, privilegiando la responsabilità sociale nel “fare banca”; può nondimeno essere interpretato come il mezzo per continuare, soprattutto, a creare valore indistintamente per tutti gli stakeholder.

Cassa di Risparmio di San Miniato, l’inaugurazione della filiale di Milano

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3.2 La nascita del “gruppo bancario”: dare consistenza e continuità allo sviluppo

Come in precedenza abbiamo evidenziato, a decorrere dal 1° giugno 2002 la Banca d’Italia ha iscritto la Cassa di Risparmio di San Miniato nell’albo dei gruppi bancari. È nato così il Gruppo CARISMI 86.

Questo fatto sembra da un lato confermare la “riabilitazione” della banca sanminiatese agli occhi dell’organismo di vigilanza, e dall’altro crea le condi-zioni tecnico-giuridiche ed istituzionali per lo sviluppo “a tutto tondo” della CRSM nello scenario competitivo bancario. Il rango di gruppo bancario con-ferisce certamente un’immagine nuova alla storica banca toscana agli occhi degli operatori finanziari italiani ed internazionali e, al tempo stesso, rafforza negli uomini che in essa lavorano la consapevolezza di partecipare ad un pro-getto di sviluppo ambizioso 87. È evidente, infatti, che l’inserimento nell’albo

86 La denominazione formale è “Gruppo Bancario Cassa di Risparmio di San Miniato”.

87 Nell’albo di cui all’art. 64 del decreto legislativo 385/93 al 31 dicembre 2004 risultano 84 gruppi bancari italiani.

Cassa di Risparmio di San Miniato, Agenzia 1 di Roma

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dei gruppi bancari prelude ad una crescita “per vie esterne” nel settore banca-rio-finanziario.

Il disegno strategico nell’ambito del quale si inserisce la nascita del Gruppo CARISMI è ormai chiaro. La CRSM S.p.A. è, e deve rimanere, una banca auto-noma saldamente fondata nel territorio toscano, a spiccata vocazione locale ed orientata in prevalenza al business bancario tradizionale. In quanto capogruppo, inoltre, essa è, e deve rimanere, il centro strategico del gruppo, il garante della piena coerenza delle nuove iniziative con il nucleo centrale dei tradizionali valori guida, la sede istituzionale degli organi di governo a capo del gruppo.

La creazione di nuove società e l’acquisizione di società bancarie preesi-stenti da collocare nell’ambito del perimetro del Gruppo CARISMI costituiscono condizioni necessarie per inserirsi e per crescere in contesti ulteriori, purché sia-no coerenti con i valori di fondo e con il disegno strategico della CRSM S.p.A. In altre parole, la natura di gruppo bancario consente, pur mantenendo salda la strategia bancaria della CRSM S.p.A. (banca multi-locale con vocazione regio-nale), di attivare altri disegni imprenditoriali nello scenario bancario e finanziario regionale e, per certi versi, nazionale. Consente inoltre, sempre in tale scenario, di cogliere valide opportunità di investimento strategico. Disegni ed opportunità di investimento che devono essere, ripetiamo, non configgenti con il sistema dei valori e delle idee guida della CRSM S.p.A. oltre che orientati alla creazione di valore per gli azionisti del gruppo.

Così ad esempio, come vedremo più avanti, la creazione del Banco di Luc-ca si inserisce nell’ambito dell’obiettivo di favorire la nascita e lo sviluppo di banche locali in Toscana collegate al Gruppo CARISMI, l’acquisizione di Banca Advantage (poi Banca Sintesi) è prospetticamente orientata a favorire l’affer-mazione del gruppo nel settore private e corporate in Italia con un sistema di prodotto di qualità e così via.

La creazione del gruppo è pertanto un passaggio fondamentale per dare con-sistenza e continuità allo sviluppo, consentendo al contempo la focalizzazione sui singoli business da parte delle diverse società ed il coordinamento delle stesse a livello complessivo.

Nella Figura 3 si riporta la struttura del Gruppo CARISMI.

la roccaImmobiliare

san genesioImmobiliare

banco di luccabanca sintesi

(milano)fiducia

cassa di risparmio di san miniato s.p.a.(capogruppo)

finanziaria crsmsoc. cattolica

di assicurazionefondazione crsm soci privati

(dipendenti, clienti, territorio)

Fig. 3 - La struttura del Gruppo CARISMI

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Le società appartenenti al Gruppo CARISMI operano prevalentemente nel settore immobiliare e in quello finanziario e creditizio 88. In particolare:– “La Rocca Immobiliare S.p.A.”, controllata all’87,04%, svolge attività im-

mobiliare e di gestione e amministrazione di beni immobili di natura stru-mentale per conto del gruppo e detiene fra l’altro l’intero patrimonio immo-biliare di natura strumentale che era di proprietà della capogruppo CARISMI precedentemente all’operazione di spin-off avvenuta nell’esercizio 2002.

– “San Genesio Immobiliare S.p.A.”, controllata al 93,07%, opera nel settore immobiliare esercitando in via prioritaria l’attività di acquisto, locazione e vendita di immobili di natura non strumentale.

– “Fiducia S.p.A”, controllata al 100%, svolge attività di intestazione fiducia-ria di rapporti per conto della clientela private nell’ambito del mercato di riferimento della capogruppo.

88 LA CRSM S.p.A. detiene inoltre, diret-tamente o indirettamente, alcune parte-cipazioni fondamentali per l’attuazione della strategia. Ricordiamo le principa-li partecipazioni rilevanti della CRSM S.p.A. non rientranti nel gruppo banca-rio: San Minato Previdenza S.p.A.; Ve-gagest SGR S.p.A.; Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A.

Qui e nella pagina a fronte l’Agenzia 1 di Roma della Cassa di Risparmio di San Miniato

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

– “Banco di Lucca S.p.A.”, costituita dalla CRSM e da un gruppo di impren-ditori privati, esercita dalla fine del 2003 l’attività bancaria nel mercato della provincia di Lucca.

– “Banca Sintesi”, controllata dalla CRSM con il 65% del capitale a partire dall’aprile 2005, ha tra gli altri soci Banca Monte dei Paschi di Siena e As-sicurazioni Generali.

3.3 L’ingresso nel “Banco di Lucca”: far crescere realtà bancarie locali nelle province toscane

La cessione da parte delle fondazioni locali del controllo delle due storiche banche lucchesi, la Cassa di Risparmio di Lucca e la Banca del Monte di Luc-ca, a gruppi extraregionali – rispettivamente Banca Popolare di Lodi e Cassa di

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La sede del Banco di Lucca

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Risparmio di Genova – ha di fatto privato la lucchesia di una banca a controllo locale di dimensioni significative.

Dopo una prima fase, fino al 2003, nella quale la CRSM ha aperto nella provincia di Lucca alcuni sportelli, la banca sanminiatese, insieme ad alcuni im-prenditori che operano nella provincia di Lucca, ha deciso di costituire un nuo-vo istituto di credito: il Banco di Lucca S.p.A. Parallelamente, è stato deciso di procedere alla fusione per incorporazione nella CRSM di una piccolissima banca locale, la Banca di Lucca di Credito Cooperativo (con un solo sportello) nella Cassa di Risparmio S.p.A.

La Banca di Lucca di Credito Cooperativo era ormai consapevole che le sue caratteristiche strutturali non erano tali da consentire un equilibrato e redditizio sviluppo. La fusione nella CRSM è apparsa quindi ai suoi organi sociali come un’opportunità.

La Banca d’Italia, con provvedimento del 14 luglio 2003, ha autorizzato al-l’esercizio dell’attività bancaria il Banco di Lucca S.p.A., iscrivendo lo stesso nel “Gruppo Cassa di Risparmio di San Miniato”. In data 1 dicembre 2003 ha avuto inizio l’operatività del Banco di Lucca, previo acquisto di un ramo d’azienda della Cassa di Risparmio di San Miniato, composto da parte degli asset della preesistente Banca di Lucca di Credito Cooperativo e da altri asset conferiti dalla Cassa di Risparmio di San Miniato.

Inizialmente la nuova banca ha operato con un solo sportello (presso la sede della “vecchia” Banca di Lucca di Credito Cooperativo in viale Marti a Lucca), ma in seguito all’acquisto dalla CRSM di un ramo d’azienda comprendente sei sportelli nella provincia di Lucca (con decorrenza 1 gennaio 2005), ha assunto una dimensione “provinciale”. I sei sportelli acquisiti sono ubicati a Castelvec-chio Pascoli, Marlia, Castelnuovo Garfagnana, Lucca centro, Piazza al Serchio, Viareggio.

Si può dire che oggi la lucchesia ha una sua nuova banca locale di dimensioni significative. Il capitale è detenuto dalla CRSM (dopo alcuni passaggi la quota di partecipazione è destinata ad assestarsi, in base agli accordi iniziali tra i promoto-ri, intorno al 30%) e da alcuni imprenditori che operano in lucchesia (a regime la quota è prevista al 70%). Il legame con la CRSM, per effetto del quale il Banco è componente del Gruppo CARISMI, consente evidenti sinergie di costo e trasferi-menti di competenze e costituisce un’importante “garanzia” per i clienti.

3.4 La partecipazione nella Cassa di Risparmio di Volterra: collaborare con le affini istituzioni bancarie toscane nel sostegno dell’economia regionale

Per una banca, inserirsi in un territorio non vuol dire soltanto creare un pre-sidio in loco, ma implica soprattutto il doverne conoscere le caratteristiche del tessuto socio-economico, l’operatività, le tradizioni, al fine di potersi proporre come un partner capace di incontrarne le esigenze e conquistare un durevole vantaggio competitivo.

L’apertura dell’orizzonte competitivo alla dimensione “regionale” ha spinto rapidamente la CRSM a creare una struttura di uomini che conoscessero le eco-

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Cassa di Risparmio di San Miniato, filiale di Piombino

Un momento della cerimonia inaugurale della filiale di Piombino

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nomie produttive tipiche della Toscana. Oltre a far crescere il numero di sportelli nelle diverse province della regione (crescita diretta) e ad inserire nella propria struttura organizzativa persone dotate di significative esperienze maturate nei di-versi contesti territoriali e distrettuali regionali (nel settore tessile a Prato, nel set-tore del floro-vivaismo a Pistoia, nel settore cartario a Lucca e così via), la banca sanminiatese ha anche scelto di cogliere le eventuali opportunità via via emer-genti di collaborare e supportare nuove o preesistenti “banche locali”. Seguendo quest’ultima modalità, essa può infatti assecondare le sue proiezioni di crescita “regionali”, senza privare le diverse aree socio-economiche toscane dell’identità e delle tradizioni delle piccole ma radicate realtà bancarie esistenti.

Il percorso strategico di “crescita indiretta”, già avviato dalla CRSM con la costituzione del Banco di Lucca, è proseguito quindi con la partecipazione al capitale della Cassa di Risparmio di Volterra (CRV). Il progetto di collaborazione con l’“affine” istituzione bancaria volterrana ha preso avvio nel 2003, quando la CRSM ha deciso di partecipare alla procedura di offerta di vendita, promossa dal-la Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra, di una partecipazione significativa della Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A. Le motivazioni alla base del progetto strategico vanno ricercate non solo e non tanto nella valutazione di “puri para-metri economici”. È stata presa in considerazione invece, oltre alla comunanza dell’origine storica nella provincia di Pisa delle due casse di risparmio, la con-vinzione che fosse possibile originare nuove sinergie fra le stesse nell’interesse generale dell’economia regionale. La rete sportellare delle due casse di risparmio, solo marginalmente sovrapposta, le rende di fatto in Toscana due “aziende com-plementari”, creando i presupposti per sviluppare una proficua collaborazione nell’interesse dell’imprenditoria toscana e dell’intero tessuto socio-economico.

Nel maggio dell’anno successivo la Fondazione Cassa di Risparmio di Vol-terra, valutate le offerte di diversi “concorrenti”, ha ritenuto migliore l’offerta proveniente da San Miniato ed ha acconsentito, dunque, all’acquisizione da parte della CRSM di una quota corrispondente al 20% del capitale della CRV e da parte della Fondazione CRSM di una quota corrispondente ad un ulteriore 5% del sud-detto capitale. La Fondazione è stata quindi autorizzata dalla competente autorità amministrativa ad entrare nel capitale di un’altra banca, diversa da quella oggetto dello “scorporo”, per sostenere un “progetto strategico” che si è configurato per-tanto non più solo della banca, bensì del “sistema CRSM” 89.

Per la CRSM dunque la partecipazione nella CRV, benché di minoranza, ha un rilevante valore strategico; essa infatti consente di realizzare un’adeguata “copertura” dello spazio competitivo prescelto, il territorio toscano, sfruttando le sinergie che dalla partnership possono derivare sia dal punto di vista dell’incre-mento della conoscenza delle altre aree toscane in cui l’influenza della CRSM è più limitata (i territori costieri, ad esempio), sia dal punto di vista dell’abbatti-mento dei costi, con particolare riferimento a quelli connessi all’attività di “fab-brica prodotti”, all’utilizzo di canali innovativi di contatto con la clientela (phone banking, internet banking e così via) ed alla formazione del personale. È possibi-le infatti generare, mediante un “intervento congiunto” in alcuni settori di opera-tività, economie di scala che rendono prodotti e servizi di entrambe le istituzioni bancarie maggiormente competitivi. 89 Si veda infra, par. 2.2., p. 217.

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Si tratta però, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, di un’ope-razione in cui la CRSM non ha acquisito una quota di controllo, ma partecipa con altri soggetti alla governance aziendale; ciò sottolinea la volontà della ban-ca sanminiatese di crescere in Toscana ma senza “aggredire” e “disperdere” il patrimonio di valori e tradizioni creato dalle altre “banche locali” radicate nei diversi territori regionali.

3.5 Banca Sintesi: una banca “di nicchia” nel private e nel corporate banking

La CRSM, come abbiamo avuto più volte modo di ricordare, ha deciso di rimanere fedele alla sua vocazione di “banca tradizionale” e di valorizzare le competenze distintive acquisite nella sua esperienza nelle aree di origina-rio insediamento (conoscenza del territorio, cultura “distrettuale”, tutela del risparmio e così via). Tuttavia, non ha sottovalutato l’importanza di riuscire a soddisfare tutte le richieste provenienti dalla sua clientela, anche quella più sofisticata ed esigente.

Con l’iscrizione nell’albo dei gruppi bancari, per la CRSM si sono create le condizioni tecnico-giuridiche ed istituzionali per lo sviluppo dei suoi dise-gni strategici, ampliando le proprie competenze e l’offerta di prodotti e servi-zi. Si può dire infatti che in questi primi anni successivi all’iscrizione nell’al-bo dei gruppi bancari le strategie di crescita per vie esterne della CRSM sono state guidate dalla precisa volontà non solo di replicare nei diversi territori della Toscana il modello della banca locale sperimentato con successo a San Miniato, ma anche di acquisire “competenze” e professionalità già consolida-te in settori importanti del business bancario in senso lato.

Nell’ambito di quest’ultimo percorso strategico, e con riferimento in particolare all’esigenza di ottenere competenze avanzate nel private e nel corporate banking, si inquadra l’acquisizione della partecipazione in Banca Advantage.

Per operare efficacemente nel private e nel corporate banking è necessario infatti un indirizzo gestionale ed un profilo di competenze del tutto particolare, fondato su logiche non pienamente sovrapponibili a quelle tipiche della banca retail. Banca Advantage, che pure non era in grado di perseguire autonoma-mente le condizioni di equilibrio tali da poter intraprendere un solido percorso di sviluppo, possedeva in tali ambiti competenze piuttosto significative.

L’ingresso della CRSM nel 20% del capitale di Banca Advantage è avvenuto nell’ottobre del 2004. La Cassa di Risparmio si è affiancata inizialmente ad altri soci, tra i quali la Banca Monte dei Paschi di Siena e le Assicurazioni Generali. A fine aprile 2005 la CRSM è divenuta azionista di controllo di Advantage con il 65% del capitale.

Per dare un chiaro segnale di novità 90 è stato deciso di dare un nuovo nome all’azienda: SINTeSI (Servizi alle Imprese, Negoziazione di Titoli E Soluzioni Individuali di alta qualità).

Nel Gruppo CARISMI, Banca Sintesi rappresenta oggi l’avanguardia degli aspetti legati all’“innovazione”, con riferimento:

90 Banca Advantage è stata fondata a Mi-lano nel 2000.

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

1. al target di clientela individuato;2. ai servizi ed alle soluzioni offerte;3. all’area territoriale di operatività.

Per quanto riguarda il primo aspetto (target di clientela individuato), la banca si rivolge a segmenti specifici di clienti: le piccole e medie imprese italiane, la clientela private, cioè le persone fisiche o le famiglie che appartengono a ca-tegorie di reddito e di ricchezza superiori alla media, oltre che alle controparti istituzionali.

Banca Sintesi ricerca il suo vantaggio competitivo, oltre che nel settore della negoziazione di titoli, nell’offerta di servizi e soluzioni costruiti “su misura” per soddisfare le esigenze del suo target di clienti (punto sub 2).

Ai piccoli e medi imprenditori Banca Sintesi si propone come un partner in grado di offrire numerosi servizi a supporto dell’imprenditorialità, ad esempio per risolvere i problemi derivanti dai cambiamenti degli assetti istituzionali dei mercati finanziari (si pensi a tal proposito all’introduzione dei nuovi parametri di Basilea 2 ed all’esigenza di implementare tecniche di autovalutazione delle proprie potenzialità di credito), individuando soluzioni ad hoc per migliorare lo standing creditizio delle piccole e medie imprese e proponendo servizi di corpo-rate finance 91.

Nei confronti della clientela private, Banca Sintesi ha l’obiettivo di rappre-sentare il “banchiere personale”, in grado di offrire in modo flessibile soluzioni personalizzate e studiate appositamente guardando alle esigenze complessive del cliente.

Alle controparti istituzionali, infine, la Banca si presenta come un interlocutore che conosce ampiamente i bisogni e le necessità operative e che è capace di rispon-dere con esperienza e praticità con soluzioni ad hoc alle mutevoli richieste.

Per quanto riguarda, infine, l’area territoriale di operatività (punto sub 3) si può osservare che Banca Sintesi ha sede a Milano e la sua “rete” di promotori si estende a molte grandi città italiane, da Bologna a Napoli. L’ambito competitivo di Banca Sintesi varca, pertanto, i limiti territoriali in cui opera la capogruppo.

In conclusione, possiamo pertanto affermare che con l’inserimento di Banca Sintesi nel Gruppo CARISMI, la CRSM ha rafforzato nel proprio territorio di insediamento l’offerta di prodotti evoluti (nei settori del private e del corporate banking) ed ha al contempo attivato un “braccio flessibile” del gruppo sull’intero territorio nazionale.

3.6 La collaborazione con Vegagest SGR: presidiare la “fabbrica prodotti” del risparmio gestito

Nella logica di creare valore a livello di gruppo e di offrire alla propria clien-tela prodotti e servizi specializzati anche in settori “non tradizionali”, nei primi mesi del 2003 la CRSM ha perfezionato un accordo di reciproca collaborazione con una società di gestione del risparmio (SGR), la Vegagest SGR S.p.A.

L’accordo, giunto a coronamento di trattative avviate nel 2002, ha previsto anche l’acquisizione da parte della CRSM del 24% del capitale sociale di Vega-gest SGR, con possibilità nel triennio successivo di raggiungere il 30%.

91 Il presidente della Consob Lamberto Cardia, in un intervento presso l’Uni-versità “Bocconi”, ha recentemente affermato che «Il tessuto delle medie e piccole imprese italiane ha (...) biso-gno di un sistema bancario “geografi-camente” e “culturalmente” vicino, in grado di fornire i servizi tradizionali di banca commerciale e, all’occorrenza, i servizi più sofisticati tipici della “ban-ca d’affari”» (Tutela del risparmio e competitività della piazza finanziaria, Milano, 14 marzo 2005).

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Vegagest ha sede a Ferrara ed annovera tra i suoi soci anche la Cassa di Ri-sparmio di Ferrara, la Cassa di Risparmio di Cento, la Cattolica Assicurazioni e la Cedacri.

Come è noto, le SGR sono società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzate a prestare il servizio di gestione collettiva del rispar-mio; esse possono cioè promuovere, istituire ed organizzare fondi comuni d’in-vestimento, gestire il patrimonio di altri organismi di investimento collettivo del risparmio (fondi comuni e Sicav), di propria o altrui istituzione, prestare il servi-zio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, istituire e gestire fondi pensione nonché svolgere attività connesse o strumentali stabilite dalla Banca d’Italia e prestare alcuni servizi accessori 92.

Vegagest, nell’ambito delle strategie del Gruppo CARISMI, rappresenta la “fabbrica dei prodotti” del risparmio gestito, cioè la componente del gruppo alla quale è demandato il ruolo strategico di “progettare” i fondi comuni nei quali i clienti possono investire il proprio risparmio. L’offerta di Vegagest mira a soddi-sfare, in forma dedicata, le specifiche esigenze della clientela privata ed istituzio-nale. Vegagest, infatti, oltre a gestire una vasta gamma di fondi, si occupa anche di gestire ed amministrare patrimoni di investitori istituzionali ed è stata, inoltre, una delle prime SGR ad ottenere dalla Banca d’Italia l’autorizzazione alla costi-tuzione di un fondo immobiliare chiuso ad apporto.

Il rispetto e la condivisione da parte della “fabbrica prodotti” dei valori e delle idee della capogruppo (in primo luogo la tutela del risparmio ed il dovere di preservarlo il più possibile al riparo da situazioni altamente “rischiose”) è pertan-to fondamentale per consentire alla banca di mantenere nei confronti dei clienti e del territorio un’immagine di interlocutore serio ed affidabile.

L’accordo fra CRSM e Vegagest ha perciò comportato l’apertura di una sede operativa a San Miniato, che si è aggiunta a quelle già presenti a Milano e Ferrara. Presso la struttura sanminiatese, la CRSM ha distaccato alcuni dei suoi uomini più

Fig. 4 - Evoluzione del patrimonio in gestione tramite fondi comuni d’investimento (grafico a barre in milioni di euro) e della quota di mercato di Vegagest SGR (linea continua in %).

nov 01 feb 02 mag 02 feb 03nov 02ago 02 mag 03 feb 04nov 03ago 03 mag 04 ago 04 nov 04

0,04%

0,10% 0,10%0,18%0,13%

0,10%

0,26%

0,35%

0,31%0,30%

0,36% 0,36%

0,44%

92 G. Forestieri - P. Mottura, Il sistema fi-nanziario, Milano, Egea, 2000, p. 107; P. Bongini - M.L. Di Battista - L. Nieri - A. Paternello, Il sistema finanziario. Funzioni, strumenti e servizi, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 181 sgg.

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qualificati, a suggello del suo intento collaborativo duraturo, perché offrissero a Vegagest le proprie competenze e garantissero la “continuità” delle idee e dei valori della CRSM (la sua autonomia, la sua presenza sul territorio, la tutela del risparmio, l’innovazione e così via) anche nel settore dell’asset management (Fig. 4).

In virtù del potenziale di espansione del risparmio gestito nell’ambito delle scelte di investimento delle famiglie italiane 93, la collaborazione con Vegagest permette senza dubbio di aumentare le opportunità di raccolta del Gruppo CA-RISMI e di generare notevoli sinergie ed economie di costo. Lo scopo principale della collaborazione con la Vegagest va ricercato però proprio nella volontà di offrire alla propria clientela prodotti del risparmio gestito per i quali, grazie al legame con la “fabbrica prodotti”, sia possibile garantire la “qualità” delle scelte di investimento ed il rispetto “dei valori e delle idee guida” della CRSM.

3.7 La partnership con Cattolica e la nascita di San Miniato Previdenza: divenire un punto di riferimento nella previdenza integrativa in Toscana

Con il termine “bancassicurazione” si traduce ormai comunemente in Italia l’espressione francese bancassurance. Essa indica in Francia, sin dagli anni Ot-tanta, l’attività di distribuzione di prodotti assicurativi (in prevalenza del “ramo vita”) tramite sportelli bancari, anziché per il tramite degli operatori assicurativi tradizionali 94.

Sicuramente la bancassicurazione in Italia è un fenomeno “giovane” ma di-namico, che ha acquistato un certo rilievo in un lasso temporale pur relativamente breve. In molti paesi europei la quota di mercato della bancassicurazione nel “ramo vita” ha raggiunto infatti livelli elevati (il 60% circa in Francia e Spagna, oltre l’80% in Portogallo, il 20% in Germania) 95. Nel nostro Paese il settore della bancassicurazione si è sviluppato quasi esclusivamente nel comparto della distri-buzione di prodotti a prevalente contenuto finanziario (index e unit linked) 96.

La buona immagine delle banche, la relazione privilegiata che hanno con la clientela e la diffusione degli sportelli, soprattutto nei contesti in cui il rapporto diretto e personale dei clienti con le banche ha mantenuto nel tempo un ruolo rilevante, hanno consentito la grande crescita che il fenomeno ha avuto negli ultimi anni.

Lo sviluppo della bancassicurazione in Italia si ricollega alla scelta di unire, in un comune progetto strategico, realtà che erano state tradizionalmente disin-teressate l’una all’altra e che, solo negli ultimi anni e comunque in modo limi-tato, erano diventate concorrenti tra loro. L’integrazione fra attività bancarie ed assicurative può avvenire seguendo differenti modalità: la banca può decidere ad esempio di procedere alla creazione di una propria “società-prodotto”, cimentan-dosi autonomamente in tutto il processo di offerta dei prodotti e servizi di tipo assicurativo, necessitando però a tal fine di risorse e competenze specialistiche; altrimenti può instaurare un accordo di commercializzazione con una compagnia di assicurazione autonoma in modo tale che quest’ultima “fabbrica” i prodotti, talvolta ad hoc, e la banca fornisce invece il canale distributivo per il colloca-mento degli stessi.

93 «Nel 1993, la quota della ricchezza finanziaria delle famiglie investita in titoli di Stato italiani era pari al 23,1%; a fine 2003 era scesa al 6,7%. Nello stesso periodo, la quota investita in […] fondi comuni di investimento è cresciuta dal 3,3 all’11,2%; sensibile è stato anche l’aumento del peso de-gli investimenti assicurativi e in fondi pensione (dall’8,2 al 16,0%)» (E. Cer-vone, L’evoluzione delle regole e della vigilanza nel contesto internazionale, intervento all’Assemblea Ordinaria dell’Assiom, Desenzano del Garda, 23 ottobre 2004).

94 R. Guida, La Bancassicurazione, Bari, Cacucci Editore, 2004.

95 Centro Studi e Ricerche Assicuraeco-nomia, Dalla Bancassicurazione al-l’Assurbanca. Come cambia la distri-buzione in Italia, relazione del primo osservatorio nazionale sull’assurbanca, 2003.

96 Si leggano al riguardo: A. Di Mascio, Le imprese di assicurazione. Il nuovo modello di gestione, Milano, Egea, 2001, pp. 27 sgg.; G. Turchetti, Innova-zione e reti distributive nel settore assi-curativo, Milano, Franco Angeli, 2002.

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La collaborazione fra CRSM e Cattolica Assicurazioni è nata invece sulla base di un progetto strategico volto a dar vita ad una nuova compagnia assicu-rativa, la San Miniato Previdenza, che avesse per oggetto l’esercizio dell’attività assicurativa nei rami vita e la gestione di fondi pensione. A fine 2002 la Società Cattolica Assicurazione ha rilevato dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. il 25% del capitale della CRSM 97. La scelta della Cattolica di entrare nel capitale della CRSM non è stata quindi guidata da una logica di tipo finanziario, ma è il frutto del preciso e comune intento di entrambe le istituzioni volto a realizzare il progetto di bancassicurazione.

San Miniato Previdenza è stata creata nel dicembre del 2002 con sede a San Miniato; in tale società la CRSM possiede una partecipazione al 34% del capitale.

L’aspetto sinergico derivante dalla partnership strategica fra Cattolica e CRSM consiste nella possibilità per la San Miniato Previdenza di sfruttare da un lato le conoscenze industriali del partner assicurativo e dall’altro il know-how distributivo del gruppo bancario. In tal modo, inoltre, la clientela bancaria può beneficiare direttamente, sotto forma di premi assicurativi più convenienti, della riduzione dei costi distributivi che si ottiene con l’utilizzo della rete sportellare del gruppo bancario.

La mission della San Miniato Previdenza

«Miriamo alla soddisfazione della clientela attraverso un servizio assicurativo personalizzato, molto prossimo e accessibile al cliente, migliorando costante-mente, attraverso un’elevata competenza tecnica, la qualità dei nostri prodotti».

In particolare, per la CRSM il progetto di bancassicurazione è finalizzato poi ad aumentare il grado di fidelizzazione della propria clientela attraverso l’offerta di una più ampia gamma di servizi e prodotti di tipo previdenziale ed assicurati-vo, da quelli più tradizionali a quelli più innovativi quali gli unit e index linked. La CRSM è in grado così di ottenere un flusso di ricavi supplementare e maggior-mente “stabile”, accedendo a “disponibilità” della clientela altrimenti “trattenu-te” dalle società di assicurazione.

La partnership stretta con il Gruppo Cattolica Assicurazioni per il comparto di bancassicurazione è generatrice, in prospettiva, di ulteriori sinergie fra i canali distributivi dei due partner. Infatti, se con la nascita di San Miniato Previdenza la Cattolica ha beneficiato, per la vendita di prodotti assicurativi, della possibilità di utilizzare la rete bancaria della CRSM, ben radicata nel tessuto economico tosca-no, in prospettiva il Gruppo CARISMI potrebbe usufruire della possibilità di col-locare i propri prodotti e servizi bancari anche attraverso i canali della compagnia assicurativa partner, nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia.

Un partner come la Cattolica, una compagnia assicurativa con una grande esperienza ed una forte tradizione di valori che concordano con quelli del “siste-ma CRSM”, può accrescere il valore della banca non solo per le sinergie operati-ve che ne possono derivare, ma anche per le opportunità di condivisione di idee e di progetti di crescita futuri (ad esempio, entrambe hanno sottoscritto una quota del capitale di Vegagest SGR).

97 Si veda al riguardo supra, parte III, par. 3.5, pp. 153-156.

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

I valori guida della Cattolica Assicurazioni

– Considerare non il prodotto-polizza, ma la persona – con le sue aspettative e i suoi bisogni – il centro dell’attività assicurativa, ponendo particolare attenzione alla relazione con il cliente, alla qualità e alla personalizzazione del servizio assicurativo offerto.

– Adottare la correttezza quale principio portante dell’attività aziendale e perseguire la trasparenza informativa e l’omogeneità di trattamento nel rapporto con tutti gli interlocutori.

– Privilegiare la tutela assicurativa della persona e della famiglia;– Offrire ai soci servizi esclusivi e favorire la loro partecipazione alla vita

societaria.– Valorizzare i collaboratori, promuovendone la cultura d’impresa e la pro-

fessionalità.– Privilegiare la continuità nel mandato agenziale.– Garantire la sicurezza delle componenti e degli interlocutori societari, at-

traverso il costante perseguimento della solidità aziendale.– Considerare gli effetti sociali prodotti dalla propria attività, mirando a con-

correre allo sviluppo economico e civile della comunità in cui si agisce.Bilancio sociale del Gruppo Cattolica Assicurazioni, Esercizio 2004.

3.8 Il progetto azionariato diffuso: la banca è del territorio, dei dipendenti e dei clienti

Il progetto di azionariato diffuso della CRSM rappresenta un momento cen-trale nel percorso di sviluppo della banca sanminiatese. Si tratta inoltre di un’ini-ziativa rara nel panorama delle casse di risparmio italiane.

L’idea originaria che ha condotto alla realizzazione del progetto è nata negli anni Novanta, quando ancora sussisteva per le fondazioni bancarie l’obbligo di legge di cedere il controllo sulla s.p.a. bancaria. Quando siffatto obbligo è venuto meno, per effetto del decreto legge n. 143 del 2003, convertito nella legge 212 dello stesso anno, la Fondazione ha deciso comunque di rendere operativo il pro-getto con il lancio di un’offerta pubblica di vendita (OPV) 98.

L’obiettivo di fondo dell’OPV è quello di rafforzare ulteriormente il legame con i propri dipendenti, con le istituzioni locali, con soggetti residenti nei comuni previsti nello statuto della Fondazione e, in senso più ampio, con i territori di in-sediamento della banca. Tale obiettivo ha spinto a “riservare” le azioni da cedere mediante offerta pubblica di vendita, come ha ricordato il vicedirettore generale della CRSM, Enrico Provvedi, a «chi è più interessato alla banca, alle sue esigen-ze e al suo futuro» 99.

Seguendo la logica di graduale dismissione di una quota della partecipazione della Fondazione nella banca, nel settembre 2003 è stato deciso di collocare sul mercato una quota non superiore al 15% del capitale sociale della CRSM. La prima tranche dell’offerta ha riguardato 780 mila azioni, pari a circa il 5% del capitale (Tab. 14).

98 Si veda in merito supra, parte III, par. 2.2, pp. 120 sgg.

99 Intervista a Enrico Provvedi, vice diret-tore generale della CRSM, in «Fonda-zione e Territorio», aprile 2005.

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tab. 14 - prIncIpalI caratterIstIche della pRimA TRANchE dell’offerta pubblIca dI vendIta

prezzo dell’offerta 22,2/21,7 euro

controvalore dell’offerta 17.316.000

numero di azioni offerte 780.000

ammontare del capitale post offerta 126.194.648

numero di azioni post offerta 15.774.331

azioni complessivamente offerte 4,49%

Un terzo dell’offerta è stato destinato a dipendenti, soci ed amministratori del gruppo; un ulteriore terzo delle azioni è stato invece riservato alle istituzioni citate nello statuto della Fondazione, ai privati residenti ed alle persone giuridiche che abbiano sede nei comuni indicati nello statuto stesso; la restante parte è stata infine destinata al pubblico indistinto e dunque, di fatto, alla clientela della CRSM.

Il progetto di azionariato diffuso muove dunque dalla volontà di realizzare un’iniziativa di “democrazia economica” e di porre le basi per un azionariato popolare che coinvolga maggiormente chi da sempre ha collaborato e collabora con dedizione ai successi della Cassa.

Diventare soci significa poter partecipare alla vita della banca tramite l’in-tervento agli eventi societari quali le assemblee, dove è possibile esprimere le proprie opinioni sulla gestione della banca, ma anche condividere i risultati delle scelte gestionali tramite la partecipazione agli utili. Il fenomeno dell’azionariato diffuso è infatti riconducibile anche alla volontà della CRSM di coinvolgere e motivare i propri stakeholder nel perseguimento di risultati gestionali positivi.

Un’ulteriore funzione ricollegabile all’attribuzione di una partecipazione azionaria a queste categorie di soggetti è la “stabilizzazione” del capitale aziona-rio, detenuto “saldamente” da soggetti che sono legati in duplice modo all’azien-da: come azionisti ma anche come residenti nei territori di attività della Fondazio-ne, come dipendenti delle società del gruppo, come clienti.

L’iniziativa ha riscosso un grande successo: la domanda ha superato di quasi cinque volte l’offerta di titoli; anche dove la banca ha aperto solo di recente uno sportello le adesioni sono state numerose, segnando una forte capacità di genera-re consenso e di diffondere i propri valori in nuove aree.

Per effetto della prima tranche dell’offerta pubblica di vendita il capitale della CRSM è ripartito come mostrato nella Tabella 15.

tab. 15 - rIpartIzIone del capItale della crsm datI In %

finanziaria cassa di risparmio di san miniato* 57,19%

società cattolica assicurazione s.c.a r.l. 24,72%

fondazione cassa di risparmio di san miniato 12,04%

aderenti all’opv 4,94%

altri 1,105%

totale 100,00%

* Il capitale della finanziaria cassa di risparmio di san miniato è interamente posseduto dalla fondazione.

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Il sIsteMa deI ValorI e delle Idee guIda della Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

La Fondazione CRSM, direttamente e tramite la controllata Finanziaria CRSM, continua pertanto ad esercitare il controllo della banca.

Il ricavato della vendita delle azioni verrà utilizzato dalla Fondazione per dar vita ad un centro culturale d’eccellenza, una struttura polivalente destinata ad ospitare e valorizzare le iniziative che nascono nel territorio e a fungere da centro di aggregazione di idee, progetti e persone. Si tratta dunque di un’ulteriore inizia-tiva che va in direzione di un sempre più stretto connubio fra il “sistema CRSM” ed il suo territorio di originario insediamento.

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Parte V

Erik Longo

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San Nicola da Tolentino (Lorenzo di Bicci)

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l’attIVItà IstItuzIonale della FondazIone Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

L’attività istituzionale della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato alla luce dei suoi più

importanti interventi

1. Quadro sIntetICo

In base all’art. 2 del decreto legislativo n. 153 del 17 maggio 1999, nel testo modificato dall’art. 11 della legge finanziaria per il 2002, n. 448 del 28 dicembre 2001, gli scopi delle fondazioni di origine bancaria devono essere determinati tra quelli di «utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico» ed essere perseguiti all’interno delle attività comprese nei cd. “settori ammessi”.

A differenza della precedente formulazione, con la norma contenuta nella finanziaria 2002 il legislatore ha scelto la strada dell’elencazione tassativa delle attività ammesse, operando così una sorta di interpretazione autentica della for-mula dell’«utilità sociale e dello sviluppo economico» 1.

Le fondazioni, infatti, sono tenute a indirizzare «la propria attività esclusiva-mente nei settori ammessi» e ad operare «in via prevalente nei settori rilevanti, assicurando, singolarmente e nel loro insieme, l’equilibrata destinazione delle risorse e dando preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale» 2.

Proprio su questa norma, com’è noto, è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 301 del 2003. Secondo la Corte «la disposizione deve essere interpretata nei termini di una mera indicazione di carattere generale, priva, in quanto tale, di valore vincolante, rivolta alle fondazioni senza comportare alcu-na impropria ed illegittima eterodeterminazione riguardo all’uso delle risorse di cui dispongono tali enti», essendo ammissibili soltanto forme di «coordinamen-to compatibili con la natura di persone private delle fondazioni».

A correggere l’intendimento del legislatore e a chiarire la portata della distinzione tra settori ammessi e settori rilevanti – anche recependo alcuni dei dubbi e delle indicazioni espressi nelle sentenze della Corte costituzionale del 2003 – è stato emanato il decreto del ministero del Tesoro n. 150 del 18 maggio 2004 3. Il decreto, oltre a ribadire che le fondazioni esprimono un legame stabile con il proprio territorio di origine, stabilisce all’art. 2 che «le fondazioni scelgono, nell’ambito dei settori ammessi, un massimo di cinque settori (i cd. settori rilevanti), anche appartenenti a più di una delle categorie di settori ammessi».

I settori ammessi sono distinti in quattro categorie. Alla prima appartengo-no: «famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione, incluso l’acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assisten-za agli anziani; diritti civili». Nella seconda rientrano: «prevenzione della cri-

1 Su tale punto si veda P. De Carli, Le fondazioni bancarie e la prospettiva della sussidiarietà, in Le fondazioni bancarie, a cura di G. Ponzanelli, To-rino, Giappichelli, 2004, p. 158.

2 Cfr. art. 2, comma 2, del decreto legi-slativo n. 153 del 1999 nel testo vigen-te.

3 Il decreto abroga e sostituisce il prece-dente emanato con il decreto ministe-riale n. 217 del 2002.

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erIk longo

4 Inserito dall’art. 7 della legge n. 166 del 2002.

minalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; svi-luppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezio-ne civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze; patologie e disturbi psichici e mentali». La terza comprende: «ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale». La quarta include: «arte, attività e beni culturali» oltre che la «realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità» 4.

Facciata della cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio Martire, San Miniato

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l’attIVItà IstItuzIonale della FondazIone Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Dalla scelta liberamente effettuata dalle fondazioni deriva che all’attività dei settori rilevanti le fondazioni destinano quanto residua dopo aver accantonato le spese di funzionamento, gli oneri fiscali e la riserva obbligatoria nella misura determinata dal ministero del Tesoro. Ciò che residua potrà poi essere destinato ad uno o più settori ammessi 5.

Le forme di attività che possono essere svolte dalle fondazioni con il loro patrimonio sono essenzialmente di due tipi: nei settori in cui l’attività non si caratterizza come economico-imprenditoriale l’intervento si svolgerà in via nor-male sotto forma di contribuzione (modello della fondazione grant-making); dif-ferentemente, nei settori a maggiore connotazione economico-imprenditoriale in cui è prevalente lo scambio di beni e servizi, gli interventi potranno essere meglio realizzati attraverso la costituzione di imprese strumentali controllate o partecipa-te (modello operating foundation) 6.

5 Cfr. art. 2, commi 2, 3 e 4 del decreto ministeriale n. 150 del 2004.

6 Per quanto concerne i modelli gestiona-li adottabili dalle fondazioni bancarie si rimanda a M. Tieghi, Le fondazioni bancarie. Riforma o controriforma?, Milano, Egea, 2002, pp. 113 sgg. Sul-la possibilità di affiancare a questi due modelli anche un terzo, denominato “misto”, si veda oltre all’autore citato anche A. Zoppini, Grant making vs. Operating, in Le fondazioni bancarie. Un patrimonio alla ricerca di uno sco-po, a cura di C. Borzaga - F. Cafaggi, Bologna, Meridiana libri, 1999.

Museo diocesano di San Miniato. “La Crocifissione” (Jacopo di Michele detto il Ghera)

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erIk longo

Scalinata del SS. Crocifisso, San Miniato

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l’attIVItà IstItuzIonale della FondazIone Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

2. l’attIVItà della FondazIone Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Come tutte le fondazioni bancarie, anche la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato (di seguito CRSM) opera secondo il modello delle fondazioni grant making, destinando alle erogazioni contributive una quota dell’avanzo del-l’esercizio dopo aver assicurato la conservazione del patrimonio e l’assolvimento degli obblighi previsti dalla legge n. 266/91 sul volontariato 7.

Ai sensi dell’art. 3 dello statuto sono settori rilevanti di attività della Fon-dazione l’«arte e la cultura», l’«istruzione», la «sanità», la «ricerca scientifica e la tutela dell’ambiente», l’«assistenza e la tutela delle categorie sociali più deboli». Tra questi sarà compito del consiglio di indirizzo individuare quelli su cui investire maggiormente al fine di rendere l’azione della Fondazione più efficace, ovviamente prevedendo anno per anno nel piano annuale le varie fasce di erogazione a favore dei singoli settori.

Per quanto riguarda l’entità finanziaria delle erogazioni, dall’esame del-l’ultimo bilancio consuntivo si scopre che nel 2004 la Fondazione ha stanziato complessivamente 3.875.000 euro 8, superando di circa 3 punti percentuali la cifra dell’anno precedente. Un dato che tra l’altro conferma il trend crescente oramai costante da circa 6 anni (Fig. 1) 9.

Appare con evidenza, infatti, la crescita dell’avanzo dell’esercizio e dell’atti-vità istituzionale in rapporto al patrimonio, cui si accompagna anche un potenzia-mento crescente del fondo di stabilizzazione delle erogazioni 10. Dati, tra l’altro, quasi pressoché in linea con la media nazionale 11.

Quanto poi alle tipologie di intervento, la Fondazione CRSM può scegliere tra una serie ampia.

984.669

3.432.971

2.375.381

3.108.398 3.205.158

3.718.500 3.875.000

1.000.000

2.000.000

3.000.000

4.000.000

6ϒEsercizio(01/10/97-30/09/98)

7ϒEsercizio(01/10/98-31/12/99)

8ϒEsercizio(01/01/00-31/12/00)

9ϒEsercizio(01/01/01-31/12/01)

10ϒEsercizio(01/01/02-31/12/02)

11ϒEsercizio(01/01/03-31/12/03)

12ϒEsercizio(01/01/04-31/12/04)

EROGAZIONI STANZIATE DALL'ESERCIZIO 1998 AL 2004

Fig. 1 - Erogazioni stanziate dall’esercizio 1998 al 2004.N.B. Il 7° esercizio ha avuto una durata di 15 mesi in seguito alla modifica statutaria necessaria per allineare la chiusura dell’esercizio con l’anno solare.

7 L’avanzo dell’esercizio costituisce l’ammontare delle risorse da utilizzare secondo le previsioni normative e degli statuti, ed è determinato sottraendo dai proventi i costi di funzionamento e gli oneri fiscali, secondo le indicazioni e gli schemi dell’atto di indirizzo del mi-nistero del Tesoro del 2001.

8 Mentre le somme effettivamente asse-gnate corrispondono a 4.792.000 euro.

9 Senza considerare che la crescita espo-nenziale degli stanziamenti ha caratte-rizzato anche i primi 6 esercizi.

10 Si veda la Figura 3 a p. 289.11 Cfr. dati dal Nono Rapporto sulle Fon-

dazioni bancarie (ACRI - 2004).

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l’attIVItà IstItuzIonale della FondazIone Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Istituto del Dramma popolare (archivio storico)Nella pagina precedenteInterno del Teatro “Giuseppe Verdi”, Santa Croce sull’Arno

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Il regolamento per le erogazioni all’art. 4 ne prevede ben otto: 1) erogazioni dirette agli enti richiedenti per lo svolgimento della loro attività istituzionale; 2) esecuzione di progetti propri della Fondazione; 3) erogazioni su progetti degli EE.LL. territoriali; 4) erogazioni su progetti di terzi; 5) manifestazioni organizza-te dalla Fondazione; 6) pubblicazioni; 7) interventi a sostegno di iniziative mino-ri; 8) erogazioni dirette di fondi assegnati al presidente.

Rivista periodica dell’Accademia degli Euteleti

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l’attIVItà IstItuzIonale della FondazIone Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

Tra questi sono individuabili tre macro categorie fondamentali: i progetti di origine interna della Fondazione; le erogazioni conseguenti a bando; i progetti e le domande presentati da terzi.

3. glI obIettIVI strategICI

Secondo quanto prevede l’art. 5 del decreto legislativo n. 153 del 17 maggio 1999 il patrimonio delle fondazioni «è totalmente vincolato al perseguimento degli scopi statutari ed è gestito in modo coerente con la natura delle Fondazioni […] secondo principi di trasparenza e moralità. Le Fondazioni, nell’amministrare il patrimonio, osservano criteri prudenziali di rischio, in modo da conservarne il valore ed ottenerne una redditività adeguata».

Principi richiamati e fatti propri anche dallo statuto della Fondazione CRSM all’art. 4, dove si legge che «il patrimonio della Fondazione è totalmente vin-colato al perseguimento degli scopi statutari», e viene amministrato «secondo criteri prudenziali di rischio e di economicità, in modo da conservare il valore ed ottenerne un’adeguata redditività».

In ordine alla gestione del processo erogativo, la Fondazione CRSM opera secondo tre criteri fondamentali: 1) la motivazione delle scelte effettuate; 2) la più ampia possibilità di tutela degli interessi contemplati nello statuto; 3) la mi-gliore utilizzazione delle risorse e l’efficacia degli interventi, che dovranno avere una relazione stretta con il territorio del cd. “comprensorio di San Miniato”.

Seguendo queste linee la Fondazione, come risulta dai dati di bilancio, da un lato evita di erogare interventi “a pioggia”, dall’altro opera per salvaguardare

Logo dell’Accademia degli Euteleti

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quelle associazioni, enti e istituzioni che per la loro attività rappresentano un punto di riferimento per il territorio del comprensorio.

A tal fine la Fondazione, sulla base della previsione contenuta negli artt. 13 e seguenti del regolamento delle erogazioni, si dota annualmente di un “bando” finalizzato alla divulgazione delle modalità di accesso alle erogazioni. Dato che conferma la volontà di rendere sempre più omogenei i criteri stabiliti per l’as-segnazione dei contributi, ma anche di perseguire una maggiore efficacia degli interventi.

L’emanazione del bando costituisce lo strumento attraverso cui la Fonda-zione cerca di realizzare, tra l’altro, un modello erogativo che possa coniugare il sovvenzionamento dei progetti di terzi e la realizzazione delle proprie iniziative.

Manifesto della Mostra su Pietro Parigi

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l’attIVItà IstItuzIonale della FondazIone Cassa dI rIsParMIo dI san MInIato

In tal modo la Fondazione riesce a svolgere un ruolo di “regia” complessiva di molti interventi, pur non essendo direttamente coinvolta nella fase realizzativa degli stessi. Con l’ulteriore vantaggio di contenere notevolmente gli oneri orga-nizzativi ricadenti sulle proprie strutture, e di stimolare e valorizzare le compe-tenze progettuali “esterne” presenti sul territorio e di accrescere la conoscenza esterna della Fondazione.

A ciò si aggiunga che dall’analisi di alcuni dei dati presenti nel bando stesso emerge in modo chiaro che la Fondazione opera sulla base di un’ana-

Manifesto della mostra sui dipinti di A. L. Gajoni

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Cattedrale di San Miniato. Battesimo di Gesù

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lisi preventiva dei bisogni del territorio e imposta l’erogazione in modo da riuscire ad identificare con precisione i settori di intervento e i requisiti di ammissibilità 12.

Nel complesso, perciò, il processo erogativo diviene sempre più efficace ma anche trasparente.

Gli obiettivi strategici della Fondazione per il triennio in corso sono delineati nel Programma pluriennale di attività 2004-06, che si pone in continuità con il Programma deliberato per il triennio precedente.

I principali settori di intervento individuati dal consiglio di indirizzo sono «arte e cultura», «assistenza agli anziani» e «sviluppo locale», cui la Fondazione intende destinare non meno del 70% della propria disponibilità, riservando poi il restante 30% agli altri due settori rilevanti: «scuola, istruzione e formazione» e «volontariato e beneficenza».

Cattedrale di San Miniato. Il Battistero

12 In questo senso si legga ad esempio il fatto che il bando in alcuni settori pre-vede un intervento della Fondazione a sostenere dei settori attraverso il metodo della sussidiarietà orizzontale; oppure la preventiva individuazione di tipi di in-tervento esclusi dalla contribuzione.

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Interno del Santuario del Santissimo Crocifisso, San Miniato. Cappella di San Giuseppe

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La chiesa di San Giovanni a Ponsacco durante uno dei concerti della manifestazione “Voci e suoni nei luoghi di culto”

Cristiano Banti, Interno di Chiesa, olio su tela, 1860 circa. Un particolare

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Volendo tentare di individuare una serie di indicatori per delineare l’attivi-tà strategica della Fondazione che possano valere tanto per il periodo trascorso quanto per il futuro si possono indicare cinque punti sintetici:

1. L’impegno attraverso la propria attività a valorizzare il territorio, in un’ottica di apertura e di costante riferimento alle dinamiche del più ampio contesto regionale, stabilendo un collegamento costante con soggetti istituzionali che operano sul territorio (regione e enti locali).

2. Agevolare la crescita qualitativa dei soggetti – soprattutto economici – lo-cali, in particolare: a) favorire quelli che possono valorizzare e potenziare le relazioni con l’esterno; b) promuovere il confronto tra i diversi soggetti che operano nel medesimo ambito; c) sostenere il più possibile iniziative di carattere innovativo; d) evitare di sovrapporsi all’attività di altri soggetti, semmai stimolati a sviluppare autonome capacità progettuali.

3. Favorire il finanziamento di quegli interventi realizzati all’interno di progetti in cui la Fondazione è già intervenuta, o che hanno preso avvio nei preceden-ti esercizi.

4. Assumere un ruolo propositivo, non limitandosi al ruolo di grant maker pas-sivo, ma fornendo indirizzi autorevoli nei principali settori di interesse statu-tario.

5. Strutturare i finanziamenti per progetti che prevedano sempre un percorso che consenta di verificare, nelle varie fasi, la qualità delle azioni intraprese e di valutarne i “benefici sociali”.

Veduta di Gerusalemme dal Dominus Flevit

Cristiano Banti, Interno di Chiesa, olio su tela, 1860 circa. Un particolare

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4. analIsI deI settorI dI InterVento

L’analisi dei settori di intervento sarà condotta per linee generali, attraverso un approfondimento più dettagliato dei settori principali e apposite sezioni nello stesso paragrafo dedicate ad una descrizione degli interventi più significativi che la Fondazione CRSM ha realizzato in questo periodo.

La Fondazione CRSM, fin dalla sua nascita, ha posto tra gli obiettivi prin-cipali della sua azione la promozione e la divulgazione della cultura e dell’arte in quanto patrimonio del territorio e della sua popolazione. Come per la media complessiva delle distribuzioni, anche per questo settore le erogazioni deliberate hanno avuto un andamento tendenzialmente crescente (Fig. 2).

Tra i diversi interventi rivestono un ruolo principale le tre attività cui è ri-conosciuta, a norma dell’art. 5 del regolamento per le erogazioni, una valenza “storica e tradizionale”, ovvero l’Accademia degli Euteleti di San Miniato, la Fondazione sulla Civiltà del Tardo Medio Evo di San Miniato, la Fondazione Istituto del Dramma popolare di San Miniato.

In questo settore si inscrivono in modo prevalente alcuni significativi inter-venti della Fondazione, come i progetti di conservazione e valorizzazione di beni architettonici, soprattutto artistico-religiosi.

Tra gli i più importanti si può segnalare l’intervento alla chiesa Cattedrale di San Miniato terminato nel maggio del 2004 e celebrato il successivo 4 novembre (fonte «Fondazione e Territorio», dicembre 2004). Come pure la prosecuzione dei lavori di recupero della secentesca chiesa di San Pietro alle Fonti; quelli rivol-ti alla chiesa di Santa Maria Novella a Marti. Ed ancora i contributi assegnati alla

Manifesti pubblicitari di “Solidarietà e sorrisi”

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parrocchia santuario “La Madonna” di San Romano per il restauro del tetto della chiesa, e quelli per il conservatorio di Santa Chiara di San Miniato per il restauro della facciata del convento.

Grande rilevanza nel settore della cultura hanno pure tutti quei progetti de-nominati “multimediali” che hanno l’obiettivo di rendere conoscibile ad un pub-blico sempre più vasto il proprio territorio e di farne oggetto di promozione non solo culturale ma anche turistica. Tra questi si ricorda in particolare il cd-rom intitolato Fucecchio “Castello intra la Gusciana e l’Arno” realizzato sul Comu-

436

1.575

2.017 2.1282.359

1.769

2.598

0500

10001500200025003000

VI VII VIII IX X XI XII

Esercizi

ATTIVITÀ CULTURALI E ARTISTICHE

valori espressi in Euro

Fig. 2 - Attività culturali e artistiche.

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ne di Fucecchio e presentato nel 2005, sul Comune di Santa Maria a Monte nel 2004, ma anche il precedente intitolato Sui percorsi di una terra antica, dedicato alle città di Montopoli, Marti e San Romano (fonte «Fondazione e Territorio», luglio 2003).

Non meno importanti le iniziative dirette ad educare all’ascolto della musica classica, come la rassegna di concerti “Voci e suoni nei luoghi di culto”, ormai arrivata quasi alla decima edizione, così come l’organizzazione annuale di messa in scena di un’opera lirica nei teatri della zona.

Lo sviluppo di attività cultura negli ultimi anni sta diventando per la Fon-dazione un utile volano per la realizzazione di interventi che possano aiutare persone in stato di bisogno. Si pensi, in questo filone, all’iniziativa partita da un progetto della Fondazione stessa riguardante l’installazione di un laboratorio di restauro e della relativa realizzazione di un corso di formazione a Gerusalemme avviato nel 2003.

Accomunato a quest’ultimo, non solo per l’ubicazione territoriale (la Terra Santa), è l’altro importante progetto della Fondazione a favore dei bambini orfani collegato all’iniziativa “Solidarietà e sorrisi”. La particolarità dell’iniziativa in questione risiede anche nel fatto che per il sostegno di essa la Fondazione ha atti-vato una vera e propria raccolta di fondi destinata per il 2003 e il 2004 al sostegno de “Il nido d’infanzia della Sacra Famiglia di Betlemme”, gestito e diretto dalle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli.

Tra le iniziative per la solidarietà, una menzione particolare merita pure l’an-nuale “Festa della fondazione”, giunta ormai alla sua dodicesima edizione, che si svolge presso il Centro Studi “I Cappuccini” ed ha come suo scopo la raccolta di

Centro Studi “I Cappuccini”

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fondi a favore di associazioni di volontariato di anno in anno determinate, oltre all’assegnazione di un contributo all’Istituto di riabilitazione “Casa Verde”.

Tutti i progetti menzionati hanno un indubbio valore aggiunto per il territorio ma, allo stesso tempo, rappresentano un prodotto della ricchezza non solo cultu-rale di questo. Si pensi alle iniziative di conservazione e di restauro, ma anche alle più moderne divulgazioni culturali attraverso supporti multimediali.

Nel settore dell’assistenza agli anziani la Fondazione CRSM ha intrapreso un importante progetto che la vede protagonista del sostegno all’attività assisten-ziale svolta dalle famiglie in favore degli anziani non autosufficienti.

Il progetto, denominato “Itaca”, parte da una ricerca commissionata dalla Fondazione CRSM all’associazione Intesa di Pisa diretta a conoscere la situa-zione dell’assistenza agli anziani nei comuni di Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d’Arno, Santa Croce sull’Arno, Santa Maria a Monte, San Miniato e Fu-cecchio. In margine al convegno organizzato nel 2003 per la presentazione della ricerca, la Fondazione ha assunto l’impegno di avviare un progetto che incoraggi le famiglie a scegliere la via della permanenza nell’ambiente domestico degli anziani non sufficienti.

L’iniziativa “intende attivare un progetto di solidarietà finalizzato al soste-gno dell’assistenza familiare per gli anziani non autosufficienti”.

Per conseguire lo scopo, il progetto individua tre azioni: integrare l’offerta assistenziale per gli anziani, stimolare le reti sociali informali come quelle del vici-nato e del volontariato, formare gli operatori qualificati per l’assistenza familiare.

In termini operativi il servizio – partito in via sperimentale nel Comune di San Miniato – offre un “aiuto familiare” garantito dal personale qualificato della Fraternita di Misericordia di San Miniato Basso.

Secondo le esigenze individuali degli anziani non autosufficienti assistiti, le famiglie interessate saranno affiancate da “cooperatori familiari” che cerche-ranno di rendere più sostenibile la loro scelta di non istituzionalizzare gli anziani stessi (Fig. 3).

0

100

200

300

400

500

VII VIII IX XI XII

ASSISTENZA AGLI ANZIANI

Esercizi

158

357419

227

492

Fig. 3 - Assistenza agli anziani.N.B. Per i primi tre esercizi analizzati la voce rientrava nell’ambito del settore «Assistenza a favore delle categorie socialmente deboli».

Manifesto della XII Festa della Fon-dazione

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Al fine di selezionare le richieste di assistenza, la Fondazione ha predisposto per il 2004 un bando annuale. Gli anziani che hanno usufruito del servizio sono stati 15 (fonte «Fondazione e Territorio», ottobre 2004). Nel 2005 il servizio si estende anche ai residenti del Comune di Montopoli e sarà garantito da personale qualificato della Pubblica Assistenza di Capanne.

Il settore dello “sviluppo locale” rappresenta uno dei tre macrosettori di in-tervento individuati dalla CRSM. In questo si registra la partecipazione attiva della Fondazione ai consorzi dell’area cuoio-pelle (Vero Cuoio di Ponte a Egola e Vera Pelle Conciata al Vegetale di Ponte a Egola) e del polo tecnologico conciario di Santa Croce.

Insieme a questi interventi la Fondazione ha partecipato, dopo essere stata autorizzata dal ministero dell’Economia in data 12 giugno 2003, alla costituzione di una società consortile a responsabilità limitata denominata “Esprit”, che ha l’obiettivo di sviluppare l’economia sociale valorizzandone la funzione di pro-mozione dell’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate 13.

Il progetto si inserisce all’interno di quegli interventi che vengono denomi-nati “in pool”, che hanno la duplice caratteristica di avere dimensioni maggiori del normale e di essere il frutto della sinergia tra fondazioni o tra fondazioni e altri soggetti erogatori.

Il progetto Esprit, infatti, si inserisce all’interno di una opportunità di fi-nanziamento denominata Sovvenzione Globale Piccoli Sussidi, che la Regione Toscana eroga utilizzando risorse del Fondo Sociale Europeo allo scopo di con-centrare un finanziamento cospicuo su di un obiettivo definito.

Interno della sede di Esprit, Firenze

13 La società è operativa dal gennaio 2004.

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Obiettivo che ha per finalità l’incentivazione alla creazione di imprese fa-vorendo di conseguenza l’inserimento lavorativo ed il reinserimento di soggetti svantaggiati, la promozione della partecipazione femminile al mercato del lavoro e lo sviluppo e il coordinamento dell’imprenditorialità con priorità ai nuovi ba-cini di impiego.

Il gruppo partecipa a Esprit è costituito da: Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato (capofila), USR CISL Toscana, Confcooperative Toscana, UIL Toscana, A.G.C.I., Progetto Toscana.

La durata del progetto è di cinque anni e si realizza attraverso un finanzia-mento complessivo di 6.634.485 euro finalizzati al raggiungimento dello scopo descritto. Di questi, circa 4.800.000 euro sono messi a bando da Esprit in un pe-riodo che va dal 2003 al 2006 (fonte “Fondazione e Territorio”, ottobre 2003) 14.

L’investimento nell’istruzione e nell’educazione rappresenta un altro settore in cui la Fondazione ha investito e sta investendo molto.

Tra le iniziative in corso è sicuramente da evidenziare la predisposizione, du-rante il 2004, di due borse di studio per il Master in Auditing e Controllo Interno organizzato dal Dipartimento di Economia aziendale dell’Università di Pisa e ri-

14 Per una maggiore specificazione del-l’iniziativa si veda anche il sito www.esprit.toscana.it

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volte a candidati residenti nei comuni del comprensorio samminiatese. Il progetto rappresenta, oltretutto, un esempio significativo di sinergia tra la Fondazione e la Banca, sia in termini di condivisione di progetti, sia in termini di investimento “umano” della prima nella seconda 15.

Nel settore dell’istruzione e dell’educazione occorre segnalare pure che la Fondazione ha predisposto un progetto per la realizzazione di un polo culturale da ubicare in uno dei comuni della zona, in grado di ospitare le attività di alcune delle numerose associazioni operanti nella zona (fonte “Documento programma-tico previsionale 2004-2006”).

5. la loCalIzzazIone delle InIzIatIVe

Secondo l’art. 2 del decreto ministeriale n. 150 del 2004, lo “statuto, in ra-gione del luogo di insediamento, delle tradizioni storiche e delle dimensioni della 15 Cfr. su tale punto supra, parte IV.

Macchinari della produzione conciaria

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fondazione, può definire specifici ambiti territoriali cui si indirizza l’attività della fondazione”.

L’investimento sul territorio rappresenta dunque il proprium dell’attività del-la Fondazione, emerso in tutti i progetti analizzati ed in quelli di cui si è cercato di compiere una descrizione sintetica in queste pagine.

Nel caso della Fondazione CRSM questo rapporto assume dei contorni ad-dirittura meglio definiti, per il fatto che la Fondazione per le sue dimensioni è autorizzata a detenere ancora la partecipazione maggioritaria dell’azienda banca-ria. Un rapporto particolare che da un lato rende la Fondazione maggiormente re-sponsabile nei confronti del territorio originario, in termini di aiuto allo sviluppo economico e di sviluppo culturale, dall’altro le richiede di essere partecipe delle scelte territoriali del Gruppo bancario CSRM 16 e perciò di allargare il raggio della propria azione comprendendo ambiti e ammettendo destinatari prima non toccati dalla sua attività 17.

16 Sul passaggio dalla banca al gruppo bancario cfr. supra, parte III.

17 Per le prospettive dell’allargamento dell’attività delle fondazioni oltre il ter-ritorio di origine si veda anche F. Belli - F. Mazzini, Recenti sviluppi in materia di fondazioni bancarie, in “Il Ponte”, LIX, 5 (2003), pp. 39 sgg.

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Bibliografia generale

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Finito di stampare nel mese di Ottobre 2005presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A.

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