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ci e tempestività di intervento: su 150mila persone feÉ L in Italia, in ospedale nove su dieci si salvano | Giambi t < ì A NDREA M.,45 ANNI, MANAGER,ha la pressione alta e prende farmaci. Qualche chilo di troppo c'è, ma di fare esercì- zio fisico non se ne parla: non saprebbe come ritagliarsi un'ora per la palestra. Di buono c'è che non fuma. Il colesterolo? Sopra i livelli ora considerati critici, e anche 1 trigliceridi sono elevati.All'ultimo esame del sangue, due asterischi accompagna- vano entrambi le cifre perché oltre la soglia di sicurezza. La gran- de paura, si sa, è l'infarto: il sintomo è un dolore opprimente e improvviso al torace, dietro lo sterno, che si irradia al dono e al braccio sinistro, ma non di rado il dolore si localizza più in basso, allo stomaco. Talora i sintomi possono essere lievi o assenti, spe- cie se la zona colpita è piccola. A provoca- re l'infarto è in genere l'occlusione di una delle arterie coronarie che riforniscono il muscolo cardiaco di sangue e dunque di ossigeno. Nella maggior parte dei casi l'oc- clusione è causata da un trombo che si for- ma quando si rompe la placca ateromatosa o ateroma, dovuta a un accumulo di grassi, lungo la parete dei vasi. Sono 150mila le persone colpite ogni anno in Italia e coloro che arrivano in ospe- dale hanno il 90% di probabilità di salvar- si. La sopravvivenza è una corsa contro il tempo e può dipendere da quanto si aspetta a chiamare il 118. «Fino agli anni Settan- ta, quando nacquero le prime unità co- ronariche, non c'era un solo intervento farmacologico documentato, capace di ridurre in modo significativo la mortali- tà nella fase acuta dell'infarto. Ad avviare la rivoluzione, silenziosa ma radicale, dei primi anni Ottanta fu l'adozione di una strategia di studio capace di coinvolgere centinaia di centri e scienziati, oltre a mi- gliala di pazienti», dice Gianni Togno- ni, epidemiologo, protagonista di questa svolta paradigmatica. Una svolta realizza- ta dai ricercatori del Gruppo italiano per lo studio della sopravvivenza nell'infarto miocardico, o Gissi, nato dalla collabora- li zione fra l'Istituto Mario Negri di Milano e l'Anmco (Associazione nazionale me- dici cardiologi ospedalieri), che accolse- ro la sfida di applicare questo approccio all'ipotesi di risolvere l'occlusione, e di ri- pristinare la circolazione coronarica, con un farmaco tromboliti- co (che scioglie il trombo) somministrabile per via endovenosa. Risale a trentanni fa, al 1984, il primo di questi megastudi e a quello ne sono seguiti diversi altri. Intanto, indagini epidemio- logiche su grandi popolazioni hanno man mano evidenziato i vari fattori di rischio dell'infarto (riquadro sotto). Progressi nel- le conoscenze che hanno prodotto approcci terapeutici nuovi e sempre più affidabili. Il Gissi-1, il primo studio eseguito dal Gruppo, secondo la numerazione che venne in seguito data •• Che cosa aumenta i rischi, che cosa li riduce Una vasta indagine internazionale, Interheart, ha individuato quali sono i fattori di rischio di infarto miocardico acuto e malattie coronariche. I risultati, pubblicati su Lancet, evidenziano i cinque fattori di rischio che, non solo nei paesi ricchi, permetterebbero di prevenire P80% di infarti: fumo, colesterolo alto, ipertensione, obesità, diabete. Il fumo costituisce i due terzi del rischio globale di infarto. Chi fuma da 1 a 5 sigarette al giorno aumenta il rischio di infarto del 40% rispetto a chi non fuma; per chi ne accende da 6 a 10 questo pericolo raddoppia; per chi ne raggiunge 20 è quadruplo; coloro che ne fumano 40 al giorno moltiplicano il rischio per 9. i^m Tra i fattori di rischio psicosociali: lo stress, l'insicurezza finanziaria, la depressione e la capacità percepita di controllare le circostanze della vita. Dalla ricerca Interheart sono emersi anche i fattori protettivi: dieta con frutta e verdura, alimenti ricchi di fibre, uso moderato di alcol. Che l'eccesso di peso, non solo l'obesità, l'ipertensione e il colesterolo alto si combattano con l'attività fisica è dimostrato. Un recente studio su Circulation stabilisce che dieci minuti di attività fisica due-tre volte la settimana riducono il rischio di infarto del 20%. Attività fisiche sono quelle che fanno sudare e aumentare il battito cardiaco, anche camminare o pedalare.

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Page 1: Che cosa aumenta i rischi, che cosa li riduce - marionegri.it fileprotettivi: dieta con frutta e verdura, alimenti ricchi di fibre, uso moderato di alcol. Che l'eccesso di peso,

ci e tempestività di intervento: su 150mila persone feÉL

in Italia, in ospedale nove su dieci si salvano | Giambi

t <

ì

ANDREA M.,45 ANNI, MANAGER,ha la pressione alta e prende farmaci. Qualche chilo di troppo c'è, ma di fare esercì­zio fisico non se ne parla: non saprebbe come ritagliarsi

un'ora per la palestra. Di buono c'è che non fuma. Il colesterolo? Sopra i livelli ora considerati critici, e anche 1 trigliceridi sono elevati.All'ultimo esame del sangue, due asterischi accompagna­vano entrambi le cifre perché oltre la soglia di sicurezza. La gran­de paura, si sa, è l'infarto: il sintomo è un dolore opprimente e improvviso al torace, dietro lo sterno, che si irradia al dono e al braccio sinistro, ma non di rado il dolore si localizza più in basso, allo stomaco. Talora i sintomi possono essere lievi o assenti, spe­cie se la zona colpita è piccola. A provoca­re l'infarto è in genere l'occlusione di una delle arterie coronarie che riforniscono il muscolo cardiaco di sangue e dunque di ossigeno. Nella maggior parte dei casi l'oc­clusione è causata da un trombo che si for­ma quando si rompe la placca ateromatosa o ateroma, dovuta a un accumulo di grassi, lungo la parete dei vasi.

Sono 150mila le persone colpite ogni anno in Italia e coloro che arrivano in ospe­dale hanno il 90% di probabilità di salvar­si. La sopravvivenza è una corsa contro il tempo e può dipendere da quanto si aspetta a chiamare il 118. «Fino agli anni Settan­

ta, quando nacquero le prime unità co­ronariche, non c'era un solo intervento farmacologico documentato, capace di ridurre in modo significativo la mortali­tà nella fase acuta dell'infarto. Ad avviare la rivoluzione, silenziosa ma radicale, dei primi anni Ottanta fu l'adozione di una strategia di studio capace di coinvolgere centinaia di centri e scienziati, oltre a mi­gliala di pazienti», dice Gianni Togno-ni, epidemiologo, protagonista di questa svolta paradigmatica. Una svolta realizza­ta dai ricercatori del Gruppo italiano per lo studio della sopravvivenza nell'infarto miocardico, o Gissi, nato dalla collabora­

l i zione fra l'Istituto Mario Negri di Milano e l'Anmco (Associazione nazionale me­dici cardiologi ospedalieri), che accolse­ro la sfida di applicare questo approccio all'ipotesi di risolvere l'occlusione, e di ri­

pristinare la circolazione coronarica, con un farmaco tromboliti-co (che scioglie il trombo) somministrabile per via endovenosa.

Risale a trentanni fa, al 1984, il primo di questi megastudi e a quello ne sono seguiti diversi altri. Intanto, indagini epidemio­logiche su grandi popolazioni hanno man mano evidenziato i vari fattori di rischio dell'infarto (riquadro sotto). Progressi nel­le conoscenze che hanno prodotto approcci terapeutici nuovi e sempre più affidabili. Il Gissi-1, il primo studio eseguito dal Gruppo, secondo la numerazione che venne in seguito data ••

Che cosa aumenta i rischi, che cosa li riduce Una vasta indagine internazionale, Interheart, ha individuato quali sono i fattori di rischio di infarto miocardico acuto e malattie coronariche. I risultati, pubblicati su Lancet, evidenziano i cinque fattori di rischio che, non solo nei paesi ricchi, permetterebbero di prevenire P80% di infarti: fumo, colesterolo alto, ipertensione, obesità, diabete. Il fumo costituisce i due terzi del rischio globale di infarto. Chi fuma da 1 a 5 sigarette al giorno aumenta il rischio di infarto del 40% rispetto a chi non fuma; per chi ne accende da 6 a 10 questo pericolo raddoppia; per chi ne raggiunge 20 è quadruplo; coloro che ne fumano 40 al giorno moltiplicano il rischio per 9.

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Tra i fattori di rischio psicosociali: lo stress, l'insicurezza finanziaria, la depressione e la capacità percepita di controllare le circostanze della vita. Dalla ricerca Interheart sono emersi anche i fattori protettivi: dieta con frutta e verdura, alimenti ricchi di fibre, uso moderato di alcol. Che l'eccesso di peso, non solo l'obesità, l'ipertensione e il colesterolo alto si combattano con l'attività fisica è dimostrato. Un recente studio su Circulation stabilisce che dieci minuti di attività fisica due-tre volte la settimana riducono il rischio di infarto del 20%. Attività fisiche sono quelle che fanno sudare e aumentare il battito cardiaco, anche camminare o pedalare.

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Salute BUONA MEDICINA

Eccellenza del Sud di Luca Bernardo*

In tema di eccellenze sanitarie italiane, non possiamo non ci­tare l'Azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio nella zona nord di Catanzaro, uno dei nosocomi di maggiore rilevanza in Calabria. Diretta dal dottor Domenico Pingitore, commissario straordina­rio dell'azienda, insieme al direttore amministrativo, l'avvocato Luigi Le Pera, e al direttore sanitario, dottor Antonio Galìucci, l'azienda ha come mission istituzionale il trattamento delle pa­tologie ad alta complessità e, grazie alla presenza di specifiche e complete competenze, anche di patologie che richiedono un'alta specializzazione. L'azienda è inoltre un punto di riferi­mento provinciale e regionale nella gestione delle emergenze-urgenze e nella relativa continuità diagnostico-assistenziale per adulti e piccoli pazienti. Eroga le prestazioni assistenziali con un approccio multidisciplinare, utilizza linee guida e percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali con dotazioni di tecnologie avanzate e innovative. La struttura accoglie tutt i i tirocinanti che ne fanno richiesta tramite l'università di appartenenza. Il nosocomio comprende anche due reparti universitari. Pedia­tria e Ginecologia e Ostetricia. I reparti sono in totale 77, fra strutture semplici e strutture complesse. Il numero di posti letto a fine 2014 era di 481 unità. L'Azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio è un Dea di II livello, gli accessi al pronto soccorso nel 2014 sono stati 57.755, gli interventi chirurgici 10.527. Il dipartimento onco-ematologico rappresenta una realtà di primaria rilevanza nel panorama sanitario calabrese. Il dipartimento è diretto da Stefano Mollica ed è ca­ratterizzato da un'assoluta integrazione dei percorsi clinico-assistenziali. Il Doe è una struttura dedicata a diagnosi e cura dei pazienti talassemici. L'articolazio­ne aziendale include una struttura dipartimentale di cure palliative, terapia del dolore ed emostasi e trombosi, laboratori di secondo livello di supporto diagnostico per la biologia molecolare e lacitofluorimetria inseriti all'interno delle reti laboratoristiche nazionali. Il dipartimento di Ra­diologia oncologica diretto dal dottor Domenico Pingitore è stato rinnovato nelle attrezzature e negli ambienti, che ora sono più funzionali e confortevoli. Viene utilizzata una plesio-roetgenterapia per i tumori superficiali e in casi selezionati per la patologia non oncologica. La Soc di Pediatria, diretta dal dottor Giuseppe Raiola, è un'importante struttura di ri­ferimento regionale per le problematiche mediche dell'età pediatrico-adolescenziale. Ospita diverse specialità, tra cui Auxoendrocrinologia e Medicina dell'adolescenza.

L'azienda costituisce, altresì, un riferimento per le attività specialistiche dell'Azienda sanitaria provinciale e di quelle provinciali l imitrofe, e si offre alla collaborazione con al­tre aziende sanitarie secondo le indicazioni degli atti della programmazione sanitaria. Svolge anche attività di ricerca orientata a sviluppare procedure diagnostiche e terapeutiche innovative e a favorirne il rapido trasferimento applicativo e la loro diffusione attraverso attività formative programmate e organizzate all'interno dell'azienda.

* Prof. a.c. Luca Bernardo, Direttore del Dipartimento Materno-lntantile Fatebenelratztli e Oftalmica

• per distinguerli, ebbe gran­de impatto. Dimostrò in modo significativo che la frombolisi con streptochinasi, un farmaco

L'installazione di uno stent: la sonda viene fatta

risalire dall'arteria femorale fino alla placca ateromatosa;

un palloncino la schiaccia; a basso costo, riduceva la mor- lo stent mantiene l'arteria perf usa. talità da infarto. Ma le lezioni ricavate dal primo Gissi sono state molte. Gli investigatori ini­ziarono lo studio con un piccolo finanziamento bancario e tutti parteciparono senza ricevere compensi o crediti personali. A di­mostrazione di come alcuni scienziati possano allearsi per ragioni altruistiche, ossia per risolvere i problemi di salute pubblica e poni quesiti importanti, in modo del tutto indipendente dagli interessi dell'industria farmaceutica.

L'innovazione non era solo nelle grandi dimensioni dello stu­dio, ma anche nel fatto che fosse stato condotto esclusivamente dalla rete delle unità coronariche (176 su 200 italiane) di un'unica nazione, l'Italia. Molti colsero già allora l'importanza organizzativa di questo studio clinico che aveva arruolato 11.806 pazienti. La ricanalizzazione più precoce possibile delle coronarie («La prima

ora è oro», dimostrò il Gissi-1) resta il cardine delle strategie di intervento nella fase acuta dell'infarto. Ma i progressi

H della cardiologia sono continuati. La perfusione con ^ ^ ^ angioplastica, stent (grafico sopra) medicati e non, è

diventata di routine. E l'Anmco continua a svolgere un ruolo determinante nel monitoraggio degli studi clini­

ci. Dall'alleanza con i ricercatori del Mario Negri sono emerse nuove conoscenze sulla fisiopatologia dell'infarto

ma anche su prognosi e prevenzione. Le indagini epidemiologi­che del gruppo Gissi (il modello di ricerca è stato adottato da altri paesi) hanno fornito risultati che si sono estesi alla prevenzione secondaria, come la dimostrazione del ruolo protettivo degli acidi grassi polinsaturi, detti Omega-3, nel post infarto.

Si è inoltre arricchito l'arsenale dei principi attivi per con­trastare rinfiammazione a livello della placca aterosclerotica, che ne favorisce la rottura con la conseguente formazione di trombi. «Almeno tre gruppi di farmaci, oltre agli anticolesterolo, le famose statine, hanno dimostrato, oltre a una riduzione di mortalità in fase acuta, la capacità di ridurre il rischio a distanza da un infarto acuto: si tratta dei betabloccanti, degli Ace-inibitori, e dell'Aspirina. Terapie che hanno ridotto il rischio di morire o di un secondo infarto in oltre il 20% dei casi», dice Fabio Turazza, cardiolo­go al Niguarda di Milano. E le aspettative riposte nelle cellule staminali per riparare i danni dopo un infarto esteso? «Fattibili, relativamente sicure, ma gli studi compiuti finora mostrano che non vi è alcuna riduzione di mortalità a distanza deFimpianto di staminali né di eventi cardiovascolari maggiori. Occorre aspettare la conclusione di un grande studio internazionale multicentrico e randomizzato, su oltre 3mila pazienti, attualmente in corso. I risultati sono previsti per il 2018». S