coworking ed economia collaborativa n°3

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Ciclo di incontri e seminari, ad ingresso libero, presso “Millepiani”, via Nicolò Odero 13, Roma Mario Sironi sectio COMUNICAZIONE VISIVA COWORKING ED ECONOMIA COLLABORATIVA dalla competizione alla condivisione con il contributo Il riuso degli spazi pubblici urbani inutilizzati come sfida per le Pubbliche Amministrazioni in tema di lavoro, di sviluppo, di coesione civile. [ Newsletter 3 del 9 giugno 2014 ] Coworking e spazi pubblici: la rigenerazione urbana

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Coworking e spazi pubblici: la rigenerazione urbana. Il riuso degli spazi pubblici urbaniinutilizzati come sfida per le Pubbliche Amministrazioni in tema di lavoro, di sviluppo, di coesione civile.

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Ciclo di incontri e seminari, ad ingressolibero, presso “Millepiani”, via NicolòOdero 13, Roma

Mar

io S

iron

i

sectioCOMUNICAZIONE VISIVA

COWORKING ED ECONOMIA COLLABORATIVA

dalla competizione alla condivisione

con il contributo

Il riuso degli spazi pubblici urbaniinutilizzati come sfida per le Pubbliche Amministrazioni in tema di lavoro, di sviluppo, di coesione civile.

[ Newsletter 3 del 9 giugno 2014 ]

Coworking e spazi pubblici: la rigenerazione urbana

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2 I Coworking ed economia collaborativa

L’attuale fase di profonda crisi economico-strutturale che stanno vivendo in particolare i grandi centriurbani dovrebbe liberare inedite energie progettuali e nuove elaborazioni principalmente sul temadegli spazi urbani, cuore del tessuto sociale e relazionale. Alle minacce di frantumazione per il be-

nessere individuale di larghi strati della popolazione dovrebbe contrapporsi, in un’ottica di preservazione edi sostegno solidale, il rafforzamento della sfera e dei servizi sociali, strettamente connesso alla qualità dellavita.Viceversa, la grave recessione in atto, con pochi segnali di uscita, sembra non affievolire le vecchie logichespeculative che sin dal dopoguerra hanno caratterizzato l’intervento edilizio soprattutto in una città comeRoma, per decenni in forte espansione demografica. Anzi, l’indebolimento (e l’imbarbarimento) della politicafinisce con il favorire l’assoluto controllo e l’abbrutimento dei luoghi-non luoghi da parte di coloro che con leproprie “discriminazioni spaziali” mirano ai facili e cinici profitti.Roma sembra ormai segnata – e lo è da decenni – dalle politiche urbanistiche dissennate, che hanno posto alcentro della pianificazione territoriale gli interessi dei costruttori e della finanza. Se ciò ha prodotto effimerosviluppo, a caro prezzo per l’ambiente, oggi tali politiche residuali risultano più che mai anacronistiche, so-prattutto incapaci di coniugare crescita e sostenibilità.Il tema degli spazi urbani e delle sei “r” (recupero, riuso, riqualificazione, rigenerazione, ricucitura, riequili-brio dell’edilizia esistente, senza ulteriore spreco di suolo da urbanizzare), è diventato quindi quanto maicentrale e strategico per le amministrazioni locali.Il “pubblico” si trova di fronte ad una scelta: o destinare questo patrimonio alla rendita speculativa, ripia-nando magari bilanci in sofferenza, o ragionare in termini strategici e di sviluppo sostenibile, guardando larealtà di chi vive la città nel quotidiano. Vecchi edifici pubblici ormai vuoti, caserme inutilizzate, fabbricheabbandonate possono oggi offrire una risposta alla crisi attraverso percorsi partecipati in grado di rispondereai bisogni concreti dei cittadini.Meritori progetti di recupero organico, sul modello di quelli attuati in molte realtà urbane soprattutto delNord Europa, possono non solo liberare le potenzialità creative delle comunità locali, ma soprattutto restituiredignità a termini quali economia (incentrata sulle persone), lavoro, diritti, ambiente, socialità, cultura, sport,integrazione.La crisi, in tal senso, può rappresentare un’occasione per restituire qualità al sistema sociale degli spazi urbani,caratterizzandolo in modo sostenibile, armonico e a mobilità lenta.

Coworking e spazi pubblici: la rigenerazione urbana

[Andrea Catarci] pres. VIII Municipio[Carlo Infante] Stati Generali dell’innovazione[Marta Leonori] assessore alle Attività Produttive Roma Capitale[Paolo Masini] assessore alle Periferie Roma Capitale[Enrico Parisio] Millepiani[Andrea Santoro] pres. IX Municipio[Tommaso Spagnoli] SPQRWork[Carmelo Ursino] commissario straordinario LazioAdisu

venerdì 13 giugno 2014

ore 17,00 Millepiani,

via Nicolò Odero 13 Roma

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dalla competizione alla condivisione I 3

N ella mia attività di designer freelance sono spesso chiamato perappuntamenti di lavoro presso strutture associative a livellonazionale. Ricordo che dieci, quindici anni fa questi uffici

erano un via vai di persone chiassose, volontari, dirigenti, funzionariche passavano da una riunione all’altra, da un treno all’altro. Stanzepiene di poster, volantini, pacchi in cartone ed io, freelance come oggi,che giocavo in proprio, un po’ con l’orgoglio dell’indipendenza del“saper fare”, un po’ con l’incertezza precaria nell’anima.Riandando oggi negli stessi posti, trovi un gran silenzio, veneziane ab-bassate e computer spenti. Pochi dirigenti, che non capiscono più quelloche devono dirigere, visto che non c’è nessuno da dirigere. I giovani non ci sono perché nessuno li ha mai assunti, e dopo un po’anche quelli a progetto sono andati via, per-ché esaurito “il progetto”. Uno di questi diri-genti sopravvissuti con il quale avevoappuntamento, mi diceva che si stava guar-dano intorno per trovare qualche alternativa,ma da una rapida indagine si era subito resoconto – diceva – che per conservare il redditoattuale avrebbe dovuto lavorare almeno in treprogetti diversi, cioè in tre luoghi diversi, contre strutture diverse. Io sono stato un freelance per scelta trent’annifa, poi c’è stata la generazione che aveva soloquesta scelta per cominciare, ora ci sono quelliche da freelance devono ri-cominciare senzaalcuna vocazione. Ho sempre lavorato perstrutture, all’inizio piccole, poi sempre piùgrandi. Ora quelli che erano i miei referenti inqueste strutture sono come me, freelance, e lestrutture si liquefanno: ora forse ho tante per-sone con cui condividere una condizione esi-stenziale, ma nessun interlocutore “solido” a livello lavorativo, “solido”in quanto rappresentante di qualcuno o qualcosa di altro da sé...I miei trent’anni di attività freelance in questa situazione ora non ser-vono a granché, nella stessa misura per cui l’esperienza del mio amicodirigente di qualcuno/qualcosa non serve a granché senza dei qual-cuno/qualcosa…L’unica cosa che rimane ad entrambi è il fatto che ci conosciamo.Le città di oggi sono abitate da lavoratori senza il lavoro. Viviamo deglispazi che erano stati progettati per altri cittadini che non siamo più noi,che avevano altre esigenze, altri bisogni, altre prospettive, altri ideali.Ci sono le strade asfaltate per auto che non possiamo/vogliamo più

Referenti reali

usare, ci sono grandi scuole perbambini che non nascono più, cisono fabbriche che non produ-cono merci perché le acquistiamodall’estero, ci sono grandi ca-serme ma non c’è più la leva ob-bligatoria… Ci sono tanti vuotinello spazio urbano, non sonosolo fisici.I grandi assenti sono le imprese eil welfare. Le prime ci sono sempre (meno),

ma non assolvono più quella fun-zione sociale di redistribuzionedelle risorse attraverso il salario:i profitti, laddove ci sono, remu-nerano i capitali finanziari, non ilavoratori. La retorica delle star-tup innovative, delle eccellenzedigitali ci racconta di pochi “vin-centi” con “idee vincenti”, che

[Enrico Parisio]

segue a pag. 4

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4 I Coworking ed economia collaborativa

I l voto delle elezioni europee in Italia ha confermato la sua “valenza”politica prevalentemente nazionale. Del resto le non proprio esal-tanti tematiche di casa nostra – un bel po’ usurate dalla permanenza

nel limbo delle idilliache intenzioni e degli eterni propositi - hanno lun-gamente sovrastato quelle comunitarie nel corso della stessa campagnaelettorale. La polarizzazione quasi esclusiva degli analisti sui tre principali prota-gonisti dello scontro in atto è andata in questa direzione. Perpetuando,pure qui, una tendenza degli ultimi anni. Dopo un’epoca di referendumpro o contro Berlusconi, le ultime competizioni elettorali hanno confer-mato l’esasperata personalizzazione (e americanizzazione) della politicache finisce, spesso, con l’imporre analoghi cliché ai principali candidati.Fenomeno, del resto, ormai globalizzato. La Rete, il telemarketing, ilmerchandising con magliette e spillette vettori di slogan, la semplifica-zione (e banalizzazione) dei programmi, il ritorno dei comizi nellepiazze come fattori di spettacolarizzazione, ma soprattutto la “arcaica”televisione, che si prende però puntualmente il suo riscatto, induconoad analoghe strategie, seppur con maschere talvolta contrapposte ed ar-gomenti di ostracismo reciproco.La tecnicizzazione della politica, del resto, rappresenta una conditio sine

Le sostanziali sfide per l’Europa:quando la filosofia batte la politicaLa disgregazione dei sistemi politici, confermata dall’ultima tornata elettorale eu-ropea, affida ai soli pensatori la lettura e le indicazioni per affrontare con un minimodi strategia la quotidianità sociale ed economica.

qua non per gestire il consenso, aldi là dei contenuti e della risolu-zione di problemi. Citando il so-ciologo inglese Colin Crouch nelsuo celebre “Postdemocrazia”:“Anche se le elezioni continuanoa svolgersi e a condizionare i go-verni, il dibattito elettorale è unospettacolo saldamente control-lato, condotto da gruppi rivali diprofessionisti esperti nelle tecni-che di persuasione e si esercita suun numero ristretto di questioniselezionate da questi gruppi. Lamassa dei cittadini svolge unruolo passivo, acquiescente, per-sino apatico, limitandosi a reagireai segnali che riceve”.Persino il previsto e “bonario”

[Giampiero Castellotti]

sviluppano prodotti e servizi utilie funzionali, ma a favore di chi, sel’accesso ad essi è comunque me-diato dal reddito?Allora strumenti come il redditodi cittadinanza si affacciano timi-damente nelle aule parlamentari,nuovi diritti universali, sganciatidai contratti di lavoro.Il “sistema pubblico” è così da unaparte incalzato dal basso, poichéincapace di concepire forme diwelfare che diano risposte ai citta-dini liquidi, ma anche e soprat-tutto dall’alto, dai flussi di merci,

di informazioni, di capitali, di im-prese immateriali transnazionali,che si fanno beffe delle gabelle lo-cali, ridefinendo completamente ilconcetto di sovranità e il suo le-game storico con il territorio.Ha ragione Aldo Bonomi: dopo lafabbrica fordista, dopo il capitali-smo molecolare, oggi viviamo unasorta di “non ancora”, di sospen-sione tra un sistema economicosociale che non c’è più e i segni diun sistema che verrà, ma sonosegni per ora senza referenti.Ci sono le “parole”, le “cose” e le

“affezioni dell’anima”, pensavaAristotele definendo il “triangoloermeneutico”, cioè la struttura at-traverso cui l’umanità comunicatramite il linguaggio. Noi oggi ab-biamo tante “parole” e innumere-voli “affezioni dell’anima”, mamanca una gamba a questo trian-golo zoppo: “le cose”, i referentireali a cui i segni fanno riferimento.Le case sono vuote, le fabbrichesono vuote, le caserme sonovuote, ma che i segni rimandinosolo ad altri segni è ben più preoc-cupante.

segue “Referenti reali”

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dalla competizione alla condivisione I 5

dreu fu costretto a ritirare un re-ferendum che aveva appena an-nunciato.Scrive Streeck: “Il consolida-mento della finanza pubblica eu-ropea avviato come risposta allacrisi fiscale va a parare in un rias-setto del sistema degli Stati euro-pei coordinato dagli investitorifinanziari e dall’Unione europea,in una nuova forma della demo-crazia capitalistica europea checementa i risultati di tre decennidi liberalizzazione economica”.L’autore ammonisce che “il po-tere degli investitori [si basa]

pr inc ipa l -mente sullaloro forte in-tegrazioneinternazio-nale e sul-l’esistenzadi efficientimercati glo-b a l i ” .Quindi laglobalizza-zione e l’al-lentamentodei confini

giocherebbero a favore propriodel neoliberismo.Quale potrebbe essere l’alterna-tiva, secondo il filosofo tedesco?“Creare istituzioni che possanoriportare i mercati sotto un con-trollo sociale: mercati del lavoroche lascino spazio per la vita so-ciale, mercati dei beni che non di-struggano la natura, mercati delcredito che non diventino sol-tanto luoghi di produzione ingrande stile di promesse irrealiz-zabili”.Da parte sua Jurgen Habermas,

astensionismo e la qualità delle candidature per Bruxelles, spesso pe-scate, per debiti di gratitudine, tra vecchi e discussi amministratori dienti locali, vanno in tale direzione.Se la politica, quindi, ha di fatto abbandonato il suo ruolo storico, suc-cube soprattutto di poteri finanziari che hanno scalzato persino il capi-talismo industriale-produttivo (è lo stesso personale degli istitutifinanziari a sostituire i funzionari politici alla guida degli Stati), per fo-calizzare le sfide e gli snodi che attendono l’Europa è necessario ricorrereall’interessante dibattito tra due tra i più importanti filosofi del nostrotempo: Wolfgang Streeck (l’ultimo suo libro è “Tempo guadagnato”edito da Feltrinelli) e Jurgen Habermas (il suo testo è intitolato “Nellaspirale tecnocratica”, edito in questi giorni da Laterza).I due, pur provenendo dalla stessa scuola di Francoforte e auspicandola disgiunzione tra capitalismo e democrazia, hanno una posizione dia-metralmente opposta su quello che è il nodo centrale della crisi europea:il ruolo della sovranità nazionale degli Stati e del rapporto tra politica emercato.Streeck, ovviamente, rinnova le fe-roci critiche ad un neoliberalismoglobale, che con le sue spallate haallentato tutti i vincoli di prote-zione sociale, accentuando le disu-guaglianze nella distribuzione delreddito e trasformando gli Stati de-mocratici in Stati debitori e fiscali(con il circolo vizioso tra il salva-taggio di banche dissestate daparte degli Stati, i quali a loro voltasono spinti alla rovina dallo stessopotere bancario). Ma il filosofo te-desco arriva ad una conclusioneabbastanza originale per un fine intellettuale di sinistra: smontare la co-struzione europea, pilotata dagli interessi finanziari sopranazionali, etornare nelle “fortezze nazionali” per “difendere e riparare per quantopossibile i resti di quelle istituzioni politiche grazie alle quali forse si po-trebbe modificare e sostituire la giustizia del mercato con la giustizia so-ciale”. Il filosofo va oltre nella sua singolare posizione.Per il 68enne intellettuale tedesco, direttore dell’Istituto Max Planck diColonia (prima di lui lo stesso Habermas e Offe) e membro dell’Acca-demia delle Scienze di Berlino, l’Europa autoreferenziale, epicentro delradicalismo neoliberale, dei poteri della liberalizzazione economica edelle ingerenze nell’iniziativa politica degli Stati, va infatti smontata.Streeck se la prende soprattutto con gli euro-idealisti di sinistra, cadutivittime di un abbaglio avendo dato via libera alla costruzione di un edi-ficio mostruoso. Auspica, viceversa, il ritorno ai mercati territoriali, piùcontrollabili ed etici, all’immediato rafforzamento di ciò che rimane delleprerogative statali e alla riconquista della sovranità nazionale. Tra le in-tromissioni ricorda il vertice di Cannes, quando il premier greco Papan-

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6 I Coworking ed economia collaborativa

pur inseguendo lo stesso obiettivo di difendere gli spazi della democra-zia, dei diritti e della solidarietà rispetto a quelli dei nuovi mercati tec-nocratici, giunge ad un conclusione opposta rispetto a quella delcollega-allievo e connazionale: occorre più Europa. E assolutamente so-lidale, termine che deriva dalla “secolarizzazione umanistica di un con-cetto religioso”.Secondo il filosofo 85enne, erede di Adorno e Marcuse, gli Stati dovreb-bero cedere all’Unione ulteriori quote di sovranità, restando però piùautonomi di quanto non accada ai partner di uno Stato federale, che luinon valuta positivamente per l’Europa. Inoltre l’unione monetaria si do-vrebbe trasformare al più presto in una vera e propria unione politica,con una comune azione fiscale (tra le priorità indica la lotta all’evasione,fattore antisolidale per eccellenza), di bilancio ed economica. Auspicaquindi la ridefinizione dei poteri del Parlamento europeo, i trasferimentifinanziari da uno Stato all’altro e una comune gestione del debito. Senzaciò, “si acuiscono le notevoli differenze di sviluppo e di competitivitàtra le varie economie nazionali”, stremando ulteriormente le economiedei paesi deboli e portando al fallimento lo stesso progetto dell’euro ele residue garanzie del welfare.Il filosofo, però, riconosce l’assoggettamento della politica europea aimercati finanziari. Scrive: “Non era mai successo che governi eletti delpopolo venissero sostituiti senza esitazione da persone direttamenteportavoce dei mercati: si pensi a Mario Monti o a Loukas Papademos.Mentre la politica si assoggetta agli imperativi del mercato, dando perscontato l’aumento della disuguaglianza sociale, i meccanismi sistemicisi sottraggono progressivamente alle strategie giuridiche stabilite pervia democratica. Questo trend non potrà essere rovesciato se non nel-l’ipotesi – tutt’altro che garantita – che la politica riconquisti un suo po-tere di azione sul piano europeo”.Rinunciare all’Unione europea, per Habermas, equivarrebbe a prenderecongedo dalla storia mondiale.La stimolante contrapposizione tra i due pensatori, richiamata recente-mente dallo stesso Habermas anche sulle colonne del quotidiano “LaRepubblica”, investe altre tematiche che dovrebbero essere al centrodella politica, di quella che dovrebbe essere impegnata anche ad accom-pagnare le esigenze del mondo produttivo e alla riqualificazione deglispazi comuni, specie di quelli dimessi, se avessimo una classe politicaall’altezza di tali voli meditativi.Streeck, ad esempio, pone la questione dell’eterogeneità storica dei paesieuropei, sulla quale hanno inciso le differenti culture economiche (tragli esempi cita il nostro Mezzogiorno), richiama la fragile integrazionesociale di “Stati nazionali incompiuti” (cita il Belgio degli eterni conflittitra Valloni e Fiamminghi, o la Spagna dei Catalani), mette in guardia daltentativo di assimilazione politica dall’alto delle culture economiche delSud a quelle del Nord, che comporterebbe anche il livellamento delle ri-spettive forme di vita (omogeneizzazione forzata dei contesti di vita),teme la marginalizzazione delle culture minoritarie se la sostanza ega-litaria dello Stato di diritto democratico venga realizzata al di fuori del-

l’appartenenza nazionale.Anche qui Habermas oppone lesue ragioni: secondo il filosofo te-desco, gli Stati nazionali si basanosu una forma altamente artificialedi solidarietà tra estranei generatadal costrutto giuridico dello statusdi cittadino. Cioè siamo in pre-senza di convenzioni. Viceversa, lediversità socio-culturali delle re-gioni e delle nazioni rappresente-rebbero una ricchezza chedistingue l’Europa da altri conti-nenti, non una barriera che le im-pone un’integrazione politicabasata su piccoli Stati. Le presunteidentità “naturali”, basate sustirpe, regione, linguaggio o na-zione, riemergono in situazioni dicrisi economica o di rivolgimentostorico, cioè in condizioni di insi-curezza.Le contraddizioni e le contrappo-sizioni della nostra quotidianità,di cui vorremmo sentire parlaredalla politica con riflessioni arti-colate e di spessore (e non ridottea slogan urlati) sono tutte qui,nelle valutazioni di questi due fi-losofi.Nel “Manifesto del Partito comu-nista” del 1848, Karl Marx e Frie-drich Engels scrivevanopro feticamente che i filosofi si li-mitano ad interpretare in modidiversi il mondo. E aggiunge-vano: “Si tratta ora di trasfor-marlo”. Il problema, per l’Europa, è ca-pire chi lo farà.

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U rban Experience sta operando da anni per promuovere innova-zione territoriale e una creatività sociale attraverso originali for-mat di comunicazione pubblica interattiva nell'interazione tra

web e territorio, con geoblog (mappe attraverso cui scrivere storie nellegeografie) e walk show (esplorazioni urbane econversazioni nomadi). Iniziative che tendonoad “accendere la partecipazione”, orientando lacreatività digitale in contesti che amiamo defi-nire “palestre dell'attenzione e dell'empatia”per attivare processi di cittadinanza attiva co-niugati alle potenzialità di auto-narrazionedelle comunità territoriali, cercando di solleci-tare una staffetta intergenerazionale, tra le espe-rienze dei più anziani e le nuove competenzemultimediali dei più giovani. Indicazioni pre-cise che rivolgiamo verso l'idea potenziale di spazi pubblici di cowor-king urbano che possa rivelarsi come poli produttivi di una culturadell'innovazione che possa contribuire ai piani di rigenerazione urbanacon particolari competenze digitali e di co-progettazione culturale.Rilancio l'incipit elaborato in occasione dell'open talk promosso da StatiGenerali dell'Innovazione, nell'ambito del progetto Roma Smart City,svolto a Millepiani il 7 marzo scorso, dal titolo Smart Working: la crea-tività connettiva del coworking urbano.Associare l’idea di Smart City alla creatività delle nuove forme d’im-presa è centrato sul fatto di ripensare gli spazi pubblici, con particolareattenzione a quelli rivolti all’aggregazione giovanile, perché diventinoluoghi di vera e propria produzione di innovazione urbana, associandole opportunità della connettività internet a quelle dell’auto-organizza-zione e dell’innovazione sociale e della sperimentazione di nuovi mo-delli produttivi. In quest’ottica si tratta d’incentivare la realizzazione di centri di telela-voro, coworking e piazze telematiche in ogni quartiere e comune dellacittà metropolitana, definendo accordi con aziende e amministrazionipubbliche per favorire la mobilità intelligente, promuovere showroomdell’innovazione, per sollecitare una relazione prossima tra cittadinanzae giovani imprese creative caratterizzate per i modelli sostenibili ed in-novativi, atti a stimolare la nascita di “smart communities”. Si tratta diaffermare il valore della creatività come leva di cambiamento costruendo

Smart Working: la creatività connettivadel coworking urbano Intervengo in relazione all'incontro Coworking e spazi pubblici: la rigenerazioneurbana sia come Urban Experience di cui sono presidente sia come Stati Generalidell'Innovazione, come co-fondatore e membro del Direttivo.

dei luoghi di emer-sione dei fenomeni dicreatività sommerse,per attivare connes-sioni tra le diverse retisociali. In questosenso si tratta di isti-tuire progetti di socialnetworking territo-riale che possano pro-muovere, nell’ambito

dei diversi Municipi, le modalitàdi creatività sociale espresse nonsolo dalle associazioni culturalima dalle agenzie formative ededucative, rivolgendo particolareattenzione alla dispersione scola-stica da parte dei più giovaninelle periferie. Piattaforme fun-zionali alla connettività logisticae centri per l’Innovazione che fa-voriscano sia giovani start up siareti d’impresa locali, innescandoprocessi virtuosi nei quali le Pic-cole medie imprese possano sti-molare nuova ricerca di base,favorendo il trasferimento dicompetenze tecnico - scientifichemultidisciplinari.

[Carlo Infante] Urban Experience e Stati Generali dell'Innovazione

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S timolare lo spirito imprenditoriale tra i giovani attraverso attivitàeducative nelle scuole e campagne di sensibilizzazione, offrire ma-teriali specifici e moduli di formazione per gli insegnanti e assicu-

rare agli studenti – coinvolgendo anche gli imprenditori nei programmidi insegnamento – l’esperienza concreta di un progetto imprenditorialeprima di concludere il percorso formativo: questo, in sintesi, quanto sol-lecita la Commissione europea nella Comunicazione “Entrepreneurship2020 Action Plan”, che dedica la prima linea d’azione del piano al miglio-ramento dell’istruzione e della formazione all’imprenditorialità, conside-rata fattore chiave per la competitività e la crescita.La cipriota Androulla Vassiliou,commissaria europea per l’istru-zione, la cultura, il multilinguismoe la gioventù, sostiene che “l’educa-zione all’imprenditorialità è un mo-tore di crescita e l’Europa, percontinuare ad essere competitiva,deve investire sui suoi cittadini,sulle loro abilità e sulle loro capacitàdi adattamento e innovazione. Ciò significa incoraggiare l’adozione diuna nuova mentalità europea incentrata sull’attitudine all’imprenditoria-lità fin dalle tappe iniziali del sistema scolastico”.Ancora la Commissione, nella relazione “Entrepreneurship Education atSchool in Europe”, evidenzia come in Italia non esistano specifiche stra-tegie nazionali per l’educazione all’imprenditorialità. In questo contesto s’è inserita, dal 2012, la ricerca Isfol sull’educazioneall’imprenditorialità, finanziata dal Fse 2007-2013 nell’ambito del pro-getto “Formazione ed impresa formativa” della struttura Sistemi e ser-vizi formativi.Conclusa l’indagine di campo, che ha approfondito alcune significativeesperienze sull’educazione all’imprenditorialità e ha analizzato la docu-mentazione in materia, negli scorsi mesi è stato organizzato un workshopa Roma, per elaborare indicazioni utili allo sviluppo di politiche condivisesull’educazione all’imprenditorialità nei giovani. I partecipanti hanno con-venuto sulla necessità di creare una rete in Italia e di mettere a sistema lediverse esperienze maturate sul territorio nazionale, attualmente pocodialoganti tra loro. È stata istituita una task-force sull’imprenditorialità di

cui faranno parte, oltre all’Isfolquale punto di riferimento, anchei partecipanti al workshop e altristakeholder attivi sul territorionazionale. La rete avrà il compitodi aggiornare e portare le proprieesperienze nel quadro dei pro-cessi di riforma che investono i si-stemi dell’educazione, dellaformazione e del lavoro, al fine disviluppare indicazioni di policyche potranno adattarsi ai continuicambiamenti del mondo impren-ditoriale e formativo.Il termine “educazione all’im-prenditorialità” è inteso secondoi principi dell’Agenda di Oslo,come formazione di una menta-lità e di un comportamento proat-tivo. La "Raccomandazione delParlamento europeo e del Consi-glio del 18 dicembre 2006" relativaalle competenze chiave per l'ap-prendimento permanente indivi-dua lo "spirito di iniziativa eimprenditorialità" come una delleotto competenze chiave da tenerpresente in ogni fase di istruzionee formazione.

Per ulteriori informazioni:

www.isfol.it/temi/Formazione_apprendimento/educazione-allim-prenditorialita-1/educazione-allimprenditorialita

Stimolare allo spirito imprenditoriale:le sollecitazioni della Commissione europeaLa Comunicazione “Entrepreneurship 2020 Action Plan” dedica la prima linead’azione del piano al miglioramento dell’istruzione e della formazione all’impren-ditorialità, considerata fattore chiave per la competitività e la crescita.

[Maria Di Saverio]

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dalla competizione alla condivisione I 9

Un lettore del “Corriere della Sera”, in una lettera al quotidiano divia Solferino, concentra in poche righe una sacrosanta verità sultema dell’innovazione. Scrive: “Siamo all’inizio di una nuova ri-

voluzione tecnologica basata sulla maggiore integrazione di mondo digi-tale e mondo reale (il cosiddetto “Internet of things”), dove piccole dittepossono essere vincenti se forniscono prodotti innovativi al momento giu-sto. Questo è solo uno dei tanti settori dove ditte italiane possono vincereoltre a quei campi dove l’Italia è an-cora forte (settore aerospaziale, na-vale). Inoltre l’industria ad altatecnologia fornisce anche altri bene-fici: stipendi più alti, meno inquina-mento, impatto su settori industrialitradizionali. In queste cose, il go-verno può fare molto: reti di lavorotra industria ed accademia, armo-nizzazione ed integrazione tra i variprogetti regionali e nazionali, pu-blic-private partnerships. Gli stru-menti ci sono e hanno già avutosuccesso in altre parti del mondo(vedete come è cresciuta Cam-bridge, Massachusetts negli ultimi dieci anni nel settore biomedico). Bastaapplicarli”.Il problema è che quasi sempre la politica di casa nostra è altrove ed il di-battito sulla crisi si sofferma, ad esempio, sugli 80 euro “utili ad una pro-fessoressa per comprarsi un libro”, o sugli alti stipendi dei managerpubblici o, peggio ancora (dalle opposizioni), sul referendum sull’euro osull’immigrazione.Eppure, soprattutto all’estero, vengono prodotte interessanti analisi sulnostro Paese dove spesso emergono elementi comuni. Ad esempio, pro-prio di fronte ad un’economia italiana definita a livello internazionale “ilcaso disperato d’Europa”, ci si domanda come sia possibile che il Paeseinventore del “made in Italy” possa essere piombato negli abissi. Si cercaquindi, con molta concretezza, di individuare punti di forza e possibilistrade per la ripartenza.

Nell’autunno scorso, ad esempio,il settimanale inglese “The Econo-mist” ha dedicato un’ampia in-chiesta alla produttività italiana.Pur nel quadro generale di males-sere economico, che viviamo sullanostra pelle, il giornale evidenzia

l’ottima per-f o r m a n c edelle espor-tazioni, chedurante lacrisi hannoretto sor-prendente-mente beneper unPaese vistocon seri pro-blemi dicompetiti-vità. Positivi

soprattutto il tessile, l’abbiglia-mento e la pelletteria, ma anche lemacchine non elettroniche, per lequali l’Italia conserva il secondoposto al mondo per export dietrosolo alla Germania. Ciò è colle-gato proprio alla capacità di fareinnovazione. Qual è il problema,allora? I nodi sono altrove e ingran parte li conosciamo. Riba-dendo indicazioni del Fondo mo-netario internazionale, ilsettimanale inglese cita in partico-

Integrazione dei mondi reale e digitale.È questa la strada dell’innovazioneDall’estero si moltiplicano le analisi sul nostro Paese. Non c’è solo l’elenco dei primati negativi. Anzi, si cerca, con molta concretezza,d’individuare punti di forza e possibili strade per la ripartenza...

[Pierino Vago]

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10 I Coworking ed economia collaborativa

lare la burocrazia, il sistema bancario disfunzionale, l’apparato giudiziariolumaca e i ritardi della politica. “Un aumento di innovazione tecnologicao design – sottolinea The Economist - potrebbe aumentare i salari graziealla creazione di posti di lavoro altamente qualificati che garantirebberobenefici ad un’economia più innovativa e competitiva”.Il settimanale nota, inoltre, come tutto ciò s’inserirebbe in un quadro dicompetitività di fondo non proprio malvagio grazie all’attuale avanzo dibilancio primario dello Stato: al di là del debito pubblico, l’attuale deficitfiscale al di sotto del 3% del suo Pil rappresenta una rarità in gran partedell'Europa.L’articolo della prestigiosarivista inglese ricalca (e cita)lo studio dell'economistaAndrew Tiffin, intitolato"European productivity, in-novation and competitive-ness: the case of Italy". Iltesto insiste proprio sullanecessità di imboccare pie-namente la strada dell’inno-vazione, soprattutto sulfronte ricerca e tecnologia,per garantire una ripresa alPaese. La bassa innova-zione, conferma lo studio,influisce negativamente inparticolare sull’export, chepure ha trainato l’economiadurante la grande crisi. Il documento offre una valu-tazione completa della com-petitività italiana, concentrandosi proprio sul ruolo dell'innovazione erapportandola all'evoluzione della quota di mercato delle esportazioni.Nel complesso, l'Italia mantiene un mix di esportazione di alta qualità, el'adattabilità dei piccoli ditte specializzate è ancora un punto di forza. Male ridotte dimensioni d'impresa costituiscono però un freno nel confrontointernazionale, nel dover fronteggiare una concorrenza tecnologica ormaia livello mondiale. Inoltre i settori più innovativi sono appesantiti dallebarriere strutturali che hanno depresso la produttività in senso più ampio.Insomma la competitività delle imprese italiane si può preservare soltantopuntando su capacità innovativa e crescita dimensionale legate all'export.In effetti, analizzando i dati sull'andamento dell'export italiano degli ul-timi anni, emerge uno scenario emblematico: superata la fase più acutadella crisi economico-finanziaria (export -20,9% nel 2009), il 2013 ha vistoil recupero delle nostre esportazioni rispetto ai valori pre-crisi ed ora sicominciano ad intravedere confortanti segnali per il futuro.L’Istat a marzo 2014 ha registrato una crescita tendenziale dell'export na-zionale dell'1,2%, trainato dalla forte espansione delle vendite verso l'area

Ue pari a 5,2%. Tale risultato po-sitivo, secondo il Fondo moneta-rio, è in buona parte il risultatodell'inventiva dei cosiddetti “for-nitori specializzati” italiani. Cioèaziende, per quanto di dimen-sioni ridotte – ma spesso organiz-zate intorno a una reteimprenditoriale o a distretti indu-striali - "con una marcata capacitàdi progettare, sviluppare e pro-durre innovazioni incrementali econ un range diversificato di pro-dotti di alta qualità, ad alto valoreaggiunto".L'innovazione è quindi alla basedelle "storie di successo" delleaziende italiane, che sono riuscitea collocarsi in contesti internazio-nali caratterizzati dal forte dina-mismo. Queste eccellenze stannorafforzando la reputazione glo-bale del “made in Italy”, indi-cando strategie e soluzioni erafforzando le speranze di ri-presa.“E’ questa la sfida su cui il go-verno deve lavorare e questa sfidanon si risolve solo con la flessibi-lità del lavoro ma soprattutto conun maggiore supporto per la ri-cerca applicata basato su sinergietra università ed industria – scriveancora il lettore del “Corrieredella Sera”. Come dargli torto?