cultura della vita fondamenti e dimensioni (1)

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1 LA CULTURA DELLA VITA: FONDAMENTI E DIMENSIONI ATTI DELLA SETTIMA ASSEMBLEA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA Città del Vaticano, 1-4 Marzo 2001 A cura di : JUAN DE DJOS VIAL CORREA ELIO SGRECCIA LIBRERIA EDITRICE VATICANA 2002 Presentazione (Prof. JUAN DE DIOS VIAL CORREA E ELIO SGRECCIA) DOCUMENTI CORRELATI Discorso del Santo Padre GIOVANNI PAOLO II Comunicato Finale CONTRIBUTI DELLA TASK-FORCE S.E.R. Mons. JAVIER LOZANO BARRAGÁN, L'uomo "immagine di Dio". Vita umana e salute alla luce della teologia. Rev. Mons. BRUNO MAGGIONI, Dio parla della vita. Rev. Mons. GIUSEPPE LORIZIO, «Credo nella resurrezione della carne». Dr. LUKE GORMALLY, La dignità umana: il punto di vista cristiano e quello laicista. Rev. Prof. MAURIZIO FAGGIONI, La vita e le forme di vita. Rapporto fra biologia e antropologia. Rev. Mons. FIORENZO FACCHINI, Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo. S.E.R. Mons. ELIO SGRECCIA - Prof. MARIA LUISA DI PIETRO, La vita dello spirito nella corporeità: persona e personalità.

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    LA CULTURA DELLA VITA: FONDAMENTI E DIMENSIONI ATTI DELLA SETTIMA ASSEMBLEA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA Citt del Vaticano, 1-4 Marzo 2001 A cura di : JUAN DE DJOS VIAL CORREA ELIO SGRECCIA LIBRERIA EDITRICE VATICANA 2002 Presentazione (Prof. JUAN DE DIOS VIAL CORREA E ELIO SGRECCIA) DOCUMENTI CORRELATI Discorso del Santo Padre GIOVANNI PAOLO II Comunicato Finale CONTRIBUTI DELLA TASK-FORCE S.E.R. Mons. JAVIER LOZANO BARRAGN, L'uomo "immagine di Dio". Vita umana e salute alla luce della teologia. Rev. Mons. BRUNO MAGGIONI, Dio parla della vita. Rev. Mons. GIUSEPPE LORIZIO, Credo nella resurrezione della carne. Dr. LUKE GORMALLY, La dignit umana: il punto di vista cristiano e quello laicista. Rev. Prof. MAURIZIO FAGGIONI, La vita e le forme di vita. Rapporto fra biologia e antropologia. Rev. Mons. FIORENZO FACCHINI, Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo. S.E.R. Mons. ELIO SGRECCIA - Prof. MARIA LUISA DI PIETRO, La vita dello spirito nella corporeit: persona e personalit.

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    S.E.R. Mons. ANDREAS LAUN, La legge naturale. Dr. VINCENZA MELE, Per un'ecologia personalista tra antropocentrismo ed ecocentrismo. Rev. Mons. MAURO COZZOLI, La legge naturale a difesa della vita. Le ragioni e i limiti della difesa della vita fisica. Prof. FRANCESCO D'AGOSTINO, Il rispetto della vita e il dirito. Prof. GONZALO HERRANZ, La cultura della vita: un impegno affermativo. Rev. Prof. TADEUSZ STYCZEN, Vivere significa ringraziare: gratias ago, ergo sum. S.E.R. Mons. FRANCISCO GIL HELLN, Missione della famiglia nella cultura della vita. Dr. CARLO CASINI, Ambiti e forme nuove di sostegno alla vita nascente. Prof. GIAMPIERO GAMALERI, I media e la cultura della vita. Prof. ADRIANO PESSINA, Cultura della vita e mentalit tecnologica. Prof. JUAN DE DIOS VIAL CORREA, Giovanni Paolo II: Il Pontefice della vita.

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    JUAN DE DIOS VIAL CORREA, ELIO SGRECCIA PRESENTAZIONE Le annuali sessioni di studio della Pontificia Accademia per la Vita hanno sviluppato in questi primi sette anni d'attivit una riflessione approfondita su punti precisi del dibattito etico-giuridico, concernente sempre la difesa della vita umana: l'Identit e lo Statuto dell'Embrione Umano, il Genoma Umano, la Dignit del Morente. A questi temi cruciali del dibattito bioetico attuale fa da premessa il Commento scientifico e dottrinale sull'Enciclica "Evangelium Vitae", e lo studio del rapporto tra l'E.V. e la Legge che funge da esame retrospettivo della situazione giuridica nei vari continenti e nei paesi del mondo, per quanto riguarda la protezione legale della vita umana a cinque anni dalla pubblicazione della Enciclica "Evangelium Vitae". I volumi (n.6) che testimoniano questa ampia e approfondita riflessione costituiscono un patrimonio apprezzato dagli studiosi, date anche le numerose traduzioni realizzate per la maggior parte dei volumi. Il discorso sulla cultura della vita stato continuamente richiamato durante questo percorso esplorativo, ma si avvertiva la necessit di porre esplicitamente a tema tale concetto e vederne le implicazioni culturali e le prospettive future, in senso positivo. Infatti, le testimonianze della cultura della morte sono sotto gli occhi di tutti, hanno di per s una visibilit massiccia, ma i pressuposti per una cultura della vita, nei suoi fondamenti filosofici e teologi non ci risultava che fossero stati sottoposti ad un esame approfondito ed esplicito. La domanda era ed rilevante, se si vuol passare ad una fase operativa quella di costruire cio una cultura della vita, come superamento della fase di semplice condanna del male dilagante, che pur esiste ed minaccioso, "Vince in bonum malum": il monito della Scrittura (Rm 12, 21). In questa percezione storica e culturale si colloca la scelta del tema della VI Assemblea Generale, La cultura della vita: fondamenti e dimensioni. Con il metodo collaudato della Task-Force, che ha impegnato un numero elevato di specialisti (19) nello studio personale e in un confronto reciproco, ampio, condotto nella fase preparatoria della Assemblea stessa, si giunti ad un panorama che ha toccato -crediamo- i nodi essenziali del tema posto allo studio. I diversi sottotemi, quali: il concetto di "dignit dell'uomo", il fondamento teoretico e teologico della "creazione", la concezione della corporeit, la definizione della vita e delle forme di vita, la legge naturale... sono stati approfonditi da specialisti e discussi nell'Assemblea Generale. Il volume comprende anche i contributi della teologia e della prospettiva di fede e comprende altres relazioni che toccano temi di confronto critico con la cultura attuale come quelli dell'ecologia e della concezione dell'evoluzione delle varie forme di vita; si voluto portare la riflessione sulle ricadute della cultura della vita negli ambiti della famiglia e di mass-media e sui temi dibattuti della difesa della vita nascente, delle conseguenti legislazioni. Il risultato di questo esame nel volume che presentiamo, un volume scritto da pi autori, ognuno specialista nel tema, ma unificato, quasi monografico, attorno al tema di fondo che quello della cultura della vita. Questo volume sar subito pubblicato in due lingue: l'inglese e l'italiana, con la previsione che esso possa costituire un serio supporto per chi nell'insegnamento, nel dibattito culturale e nell'azione pastorale vorr trarre ispirazione e contenuti.

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    GIOVANNI PAOLO II DISCORSO E' sempre con vivo piacere che vi incontro, illustri membri della Pontificia Accademia per la Vita. Quest'oggi il motivo che me ne offre l'occasione l'annuale vostra Assemblea Generale, che vi ha visti convenire a Roma da diversi Paesi. Il mio pi cordiale saluto va a ciascuno di voi, benemeriti amici che formate la famiglia di quest'Accademia a me molto cara. Un particolare e deferente pensiero rivolgo al vostro Presidente, il Professor Juan de Dios Vial Correa, che ringrazio per le amabili parole con cui ha interpretato i vostri sentimenti. Estendo il mio saluto al Vice-Presidente Mons. Elio Sgreccia, ai componenti del Consiglio Direttivo, ai collaboratori e benefattori. Avete scelto come tema per la vostra riflessione assembleare un argomento di grande interesse: "La cultura della vita: fondamenti e dimensioni". Gi nella stessa sua formulazione il tema manifesta il proposito di portare l'attenzione sull'aspetto positivo e costruttivo della difesa della vita umana. In questi giorni vi siete domandati da quali fondamenti occorra partire per promuovere o riattivare una cultura della vita e con quali contenuti proporla ad una societ contrassegnata - come ricordavo nell'Enciclica "Evangelium vitae" - da una sempre pi diffusa ed allarmante cultura della morte (cfr nn. 7, 17). Il miglior modo per superare e vincere la pericolosa cultura della morte consiste proprio nel dare solidi fondamenti e luminosi contenuti ad una cultura della vita che ad essa si contrapponga con vigore. Non sufficiente, anche se necessario e doveroso, limitarsi a esporre e denunciare gli effetti letali della cultura della morte. Occorre piuttosto rigenerare di continuo il tessuto interiore della cultura contemporanea, intesa come mentalit vissuta, come convinzioni e comportamenti, come strutture sociali che la sostengono. Tanto pi preziosa appare questa riflessione, se si tiene conto che dalla cultura non viene influenzata soltanto la condotta individuale, ma anche le scelte legislative e politiche, le quali, a loro volta, veicolano spinte culturali che non di rado ostacolano, purtroppo, l'autentico rinnovamento della societ. La cultura orienta, inoltre, le strategie della ricerca scientifica, che oggi, come non mai, in grado di offrire mezzi potenti, non sempre impiegati purtroppo per il vero bene dell'uomo. Anzi, talora la ricerca sembra muoversi, in molti campi, addirittura contro l'uomo. Opportunamente, pertanto, voi avete voluto precisare i fondamenti e le dimensioni della cultura della vita. In questa prospettiva, avete posto l'accento sui grandi temi della creazione, evidenziando come la vita umana debba essere percepita quale dono di Dio. L'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, chiamato ad essere suo collaboratore libero e, ad un tempo, responsabile nella gestione del creato. Avete voluto, altres, ribadire il valore inalienabile della dignit di persona, che connota ogni individuo, dal concepimento alla morte naturale; avete rivisitato il tema della corporeit e del suo significato personalistico; avete portato l'attenzione sulla famiglia come comunit d'amore e di vita. Vi siete soffermati a considerare l'importanza dei mezzi di comunicazione per una capillare diffusione della cultura della vita, e la necessit di impegnarsi nella testimonianza personale a suo favore. Avete inoltre ricordato come vada perseguita, in questo ambito, ogni via che favorisca il dialogo, nella convinzione che la verit piena sull'uomo a sostegno della vita. Il credente sorretto, in questo, dall'entusiasmo radicato nella fede. La vita vincer: questa per noi una sicura speranza. S, vincer la vita, perch dalla parte della vita stanno la verit, il bene, la gioia, il vero progresso. Dalla parte della vita Dio, che ama la vita e la dona con larghezza. Come sempre avviene nel rapporto tra riflessione filosofica e meditazione teologica, anche in questo caso sono di imprescindibile aiuto la parola e l'esempio di Ges, che ha dato la sua vita per

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    vincere la nostra morte e per associare l'uomo alla sua risurrezione. Cristo la resurrezione e la vita (Gv 11,25). Ragionando in quest'ottica, nell'Enciclica "Evangelium vitae" ho scritto: "Il Vangelo della vita non una semplice riflessione, anche se originale e profonda, sulla vita umana; neppure soltanto un comandamento destinato a sensibilizzare la coscienza e a provocare significativi cambiamenti nella societ; tanto meno un'illusoria promessa di un futuro migliore. Il Vangelo della vita una realt concreta e personale, perch consiste nell'annuncio della persona stessa di Ges. All'apostolo Tommaso e ad ogni uomo, Ges si presenta con queste parole: Io sono la Via, la Verit e la Vita (Gv 14,6)" (n. 29). Si tratta di una fondamentale verit che la comunit dei credenti, oggi pi che mai, chiamata a difendere e propagare. Il messaggio cristiano sulla vita "scritto in qualche modo nel cuore stesso di ogni uomo e di ogni donna, risuona in ogni coscienza dal principio, ossia dalla creazione stessa, cos che, nonostante i condizionamenti negativi del peccato, pu essere conosciuto nei suoi tratti essenziali anche dalla ragione umana" (Evangelium vitae, 29). Il concetto di creazione non soltanto un annuncio splendido della Rivelazione, ma anche una sorta di presentimento profondo dello spirito umano. Ugualmente, la dignit della persona non nozione derivabile soltanto dall'affermazione biblica secondo cui l'uomo creato "ad immagine e somiglianza" del Creatore, ma concetto radicato nel suo essere spirituale, grazie al quale egli si manifesta come essere trascendente rispetto al mondo che lo circonda. La rivendicazione della dignit del corpo come soggetto, e non semplice oggetto materiale, costituisce la logica conseguenza della concezione biblica della persona. Si tratta di una concezione unitaria dell'essere umano, che molte correnti di pensiero, dalla filosofia medioevale fino ai nostri tempi, hanno insegnato. L'impegno per il dialogo tra fede e ragione non pu che rafforzare la cultura della vita, congiungendo insieme dignit e sacralit, libert e responsabilit di ogni persona, quali componenti imprescindibili della sua stessa esistenza. Verr, altres, garantita, insieme con la difesa della vita personale, la tutela dell'ambiente, entrambi creati e ordinati da Dio, come comprovato dalla stessa struttura naturale dell'universo visibile. Le grandi istanze relative al diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte, l'impegno per la promozione della famiglia secondo il disegno originario di Dio, e l'urgente bisogno, ormai da tutti sentito, di tutelare l'ambiente nel quale viviamo rappresentano per l'etica e per il diritto un terreno di comune interesse. Soprattutto in questo campo, in cui sono coinvolti i diritti fondamentali dell'umana convivenza, vale quanto ho scritto nell'Enciclica Fides et ratio: "La Chiesa permane nella pi profonda convinzione che fede e ragione si recano un aiuto scambievole, esercitando l'una per l'altra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di stimolo a progredire nella ricerca e nell'approfondimento" (n. 100). La radicalit delle sfide che oggi vengono poste all'umanit, da una parte, dai progressi della scienza e della tecnologia, dall'altra dai processi di laicizzazione della societ, esige uno sforzo appassionato di approfondimento della riflessione sull'uomo e sul suo essere nel mondo e nella storia. E' necessario dar prova di una grande capacit di dialogo, di ascolto e di proposta, in vista della formazione delle coscienze. Solo cos si potr dar vita ad una cultura fondata sulla speranza e aperta al progresso integrale di ogni individuo nei vari Paesi, in modo giusto e solidale. Senza una cultura che mantenga saldo il diritto alla vita e promuova i valori fondamentali di ogni persona, non si pu avere una societ sana n la garanzia della pace e della giustizia. Prego Dio perch illumini le coscienze e guidi quanti sono coinvolti, a vari livelli, nell'edificazione della societ di domani. Sappiano sempre proporsi come obiettivo primario la tutela e la difesa della vita.

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    A voi, illustri membri della Pontificia Accademia per la Vita, che spendete le vostre energie a servizio di uno scopo tanto nobile ed esigente, esprimo il mio pi vivo e grato apprezzamento. Il Signore vi sostenga nel lavoro che state svolgendo e vi aiuti a portare a compimento la missione che vi affidata. La Vergine Santissima vi conforti con la sua materna protezione. La Chiesa vi riconoscente per l'alto servizio che rendete alla vita. Quanto a me, desidero accompagnarvi con il mio costante incoraggiamento, avvalorato da una speciale Benedizione. ( Da L'Osservatore Romano, domenica 4 marzo 2001)

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    COMUNICATO FINALE Si svolta, dall'1 al 4 Marzo, presso l'Aula vecchia del Sinodo in Vaticano, la VII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, sul tema La cultura della vita: fondamenti e dimensioni. Anche quest'anno, il convenire della quasi totalit dei Membri dell'Accademia, ha permesso lo sviluppo di una riflessione approfondita e compiuta intorno alla tematica proposta, secondo il metodo della interdisciplinarit. Durante le sessioni di lavoro, ogni impegno stato messo dai partecipanti nel cercare di individuare gli elementi fondanti ed imprescindibili per un'autentica cultura della vita, che possa essere promossa nel contesto culturale odierno, spesso contrassegnato da crescenti ed inquietanti scenari di una cultura di morte che sembra avanzare sempre pi. Un impegno, dunque, quello dell'Accademia per la Vita in questa sua Assemblea annuale, tutto volto al positivo, con il deliberato scopo di non fermarsi tanto a focalizzare gli eventuali limiti etici di specifiche problematiche di pertinenza della bioetica, quanto piuttosto a ripresentare i punti cardine da assumere come riferimento nella ricostruzione di una nuova civilt della vita. Ampio stato l'orizzonte d'indagine. Nell'ambito biblico-teologico, si trattato dei fondamenti biblici del senso e del valore della vita umana, di ogni vita umana, qualunque sia la sua condizione contingente; ugualmente, anche la riflessione sulla fede nella risurrezione della carne ha rappresentato un importante presupposto per ogni ulteriore sviluppo antropologico. Ecco perch, entrando in questo campo, si scelto di porre a fondamento proprio un'attenta considerazione della dignit umana, cos come questa si andata manifestando nello sviluppo del pensiero cristiano e secolare; allo scopo di approfondire ulteriormente la questione antropologica, un'intera sessione dei lavori stata dedicata alla considerazione della singolarit dell'uomo rispetto all'universo dei viventi, singolarit espressa massimamente dall'unitariet del suo essere corpore et anima unus (Gaudium et Spes 14), che vede la vita dello spirito vivificare ed informare la sua corporeit. Il riconoscimento della vita come dono creato da Dio, poi, orienta l'uomo stesso a vivere la sua esistenza come un bene da donare a sua volta con gratitudine, al suo Creatore, eterna sorgente del suo essere, e ai fratelli, in un impegno di solidariet e condivisione. Soltanto cos l'uomo pu realizzare in pienezza se stesso. La ripresentazione di un tale quadro antropologico ha consentito anche di affrontare fondatamente la questione ecologica, rifuggendo dalla semplicistica alternativa tra tutela indifferenziata di ogni forma di vita e protezione esclusiva della vita umana, mediante l'adozione del concetto di custodia : la natura un dono di Dio che l'uomo non deve soltanto utilizzare ma anche custodire, cio proteggere ed, insieme, far fruttificare. Si voluto anche sottolineare, dal punto di vista della teologia morale, che la vita fisica umana un bene morale primario e fondamentale, che reclama di essere promosso, difeso e rispettato, pur attendendo il compimento della sua perfezione che si realizzer soltanto nella condizione soprannaturale ed eterna. Non sono mancati riferimenti al rapporto tra la tutela e il sostegno della vita umana, soprattutto se debole ed indifesa, e l'impegno per un rinnovato quadro legislativo, secondo le esperienze dei vari Paesi. Tra gli strumenti da impiegare per una efficace diffusione del Vangelo della vita, nell'orizzonte socio-culturale odierno, massima importanza rivestono i mass-media la cui forza d'impatto risulta impressionante; per questo, appare decisivo affrontare la problematica etica circa la comunicazione, riproponendo con coerenza la strada del servizio alla verit della vita.

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    Il cammino di riflessione di questa Assemblea ha poi trovato un importante momento di arricchimento e di incoraggiamento dalla presentazione di alcune testimonianze di dedizione piena al servizio della vita in difficolt. Anche quest'anno, il Santo Padre ha voluto ricevere in udienza speciale i partecipanti all'Assemblea Generale, rivolgendo loro la sua preziosa parola a sostegno delle attivit dell'Accademia ed indicando la direzione per continuare il cammino gi intrapreso. Vi l'urgenza - ha detto il Papa - di rigenerare di continuo il tessuto interiore della cultura contemporanea, cos come vi pure la necessit di dare prova di una grande capacit di dialogo, di ascolto e di proposta, in vista della formazione delle coscienze, nella costruzione di un'autentica cultura della vita, poich senza una cultura che mantenga saldo il diritto alla vita e promuova i valori fondamentali di ogni persona, non si pu avere una societ sana n la garanzia della pace e della giustizia . L'Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita si conclusa facendo proprio il grido che il Papa ha pronunciato con entusiasmo: La vita vincer: questa per noi una sicura speranza. S, vincer la vita, perch dalla parte della vita stanno la verit, il bene, la gioia, il vero progresso. Dalla parte della vita Dio, che ama la vita e la dona con larghezza. (pubblicato su "L'Osservatore Romano" di Domenica 18 Marzo 2001, p. 7)

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    JAVIER LOZANO BARRAGN L'UOMO IMMAGINE DI DIO. VITA UMANA E SALUTE ALLA LUCE DELLA TEOLOGIA Il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute ringrazia vivamente l'Accademia per la Vita per il suo interesse ad approfondire il tema della vita stessa, visto che salute e vita si intrecciano, e quando si svolge uno studio con la profondit con cui lo fa l'Accademia per la Vita, si offre al Pontificio Consiglio un aiuto meraviglioso in linea con le sue grandi preoccupazioni ed interessi. Il tema che mi stato assegnato probabilmente pu essere preso come una piccola introduzione a quello che sar esposto in modo autorevole nel corso del Congresso. Tenter di unire alcune poche idee sulla vita concludendo con il suo rapporto con la pastorale della salute attraverso i concetti di opposizione, di contraddizione e di opposizione come contrariet relativa. La riflessione in questo modo sar centrata sul concetto di vita e di vita umana alla luce della Teologia. LA VITA A prima vista sembrerebbe che la vita una verit di per s stessa cos evidente che non abbia bisogno di nessuna ulteriore riflessione e che di per s stessa appaia come una specie di primo principio che risulti a tutti chiaro e venga percepita senza alcuna confusione, comunque, se ci chiediamo pi profondamente, che cosa la vita, in cosa consiste veramente il vivere, e concretamente, il vivere umano, le cose si complicano un poco. Antica definizione della vita Ricordo una vecchia definizione della vita: la vita muovere se stesso. Questo la vita, ci dicevano gli antichi, l'essere o agire della sostanza che secondo la sua natura si mette in relazione con il movimento o con qualche altra operazione.Si tratta di un essere costituito nelle sue parti essenziali che ora si avvia alla vita, questo un movimento interno. Ma, cosa questo movimento?, ci viene risposto: quello che in capacit e potenza in quanto tale. Perci la vita sarebbe la capacit primordiale di essere e di agire. Relazioni e organicit Essere agendo e agendo si . Ma in qualunque movimento ci sono due termini, uno dal quale si procede e un altro verso il quale si tende e quello verso il quale si tende la sua finalit, quello che specifica e definisce tutto il movimento. La finalit per essere tale deve essere l'esempio, e pertanto, inizio ed efficacia. Quindi, in quale direzione tende la vita? Penso che la risposta sia che la vita tende verso l'unit. L'unit quello che specifica la vita, c' un'unit che organizza l'essere vivente dall'interno e c' un'altra unit che l'organizza dall'esterno, cio in rapporto con gli altri esseri. Sono due le classi di unit: l'unit interna d il rapporto interno delle parti e cos costituisce l'esclusione di altri esseri dentro di s e d l'individualit, l'individualit costituisce, per dirlo in un certo modo, la prima meta della vita che diventa cos concreta e la realizza costituendo l'individuo. L'unit esterna sorge dalla comparazione di questo individuo concreto con gli altri individui. Prendendo l'individuo come punto di partenza, grazie alla sua comparazione scaturiscono rapporti speciali tra questo individuo gi costituito e gli altri.

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    I rapporti I rapporti sorgono nel costatare la meravigliosa unit dell'Universo e del suo ordine imperante; senza rapporti non ci sarebbe ordine, tutto quello che diverso per la sua partecipazione creata si unifica attraverso i rapporti. I rapporti costituiscono il condursi l'uno all'altro, l'aversi di un ente rispetto l'altro. In qualunque rapporto abbiamo un soggetto, un termine ed il fondamento del rapporto. Ci sono rapporti mutui e rapporti unilaterali, rapporti che coinvolgono due elementi o diversi elementi, sono diversi per la loro profondit e durata, alcuni scaturiscono dall'indigenza di uno dei soggetti che si relaziona e altri dalla sua ricchezza. La distinzione pi importante dei rapporti tra quelli trascendentali e quelli predicamentali, quelli trascendentali superano i limiti della categoria e si riferiscono alla costituzione essenziale del soggetto, come i principi dell'essere e i rapporti della creatura con il suo Creatore, quelli predicamentali sono accidentali e trasmettono una determinazione ulteriore al soggetto gi costituito. Di solito si parla anche di rapporti reali e logici a seconda che il loro fondamento si trovi nell'ordine oggettivo o soggettivo. L'insieme di effetti realizzati per i rapporti trascendentali e predicamentali esprime l'organicit. La organicit Per costituire l'organicit, necessaria la distinzione delle parti, l'interna e l'esterna; altrimenti, non ci pu essere unit. L'unit interna, l'organicit dell'essere vivente genera la propria vita. Comunque, questa organicit non si esaurisce nell'interno, ma mira all'organicit esterna, mira verso l'unit con gli altri essere viventi. L'unit interna conferisce l'individualit, comunque quest'unit interna non vitale se non intimamente trasformata dall'unit esterna, cio, se non si mette in rapporto con gli altri esseri viventi. L'organicit esterna influisce in tale maniera sull'individualit in modo che l'individuo non pu chiudersi in s stesso per diventare vita individuale ma ottiene la sua ricchezza quando si apre agli altri e si realizza l'unit, l'armonia, la convergenza tra i diversi. Si potrebbe quindi dire che la vita in genere la convergenza tra i diversi. Cos l'organicit esterna diventa in un certo modo un rapporto trascendentale, influisce sull'organicit interna senza danneggiare la distinzione degli esseri viventi; cio, senza scendere in un monismo panteista di segno organologico. Esseri diversi Di fatto, ogni individuo essenzialmente diverso dagli altri, in effetti, chiunque si pu considerare diverso in quanto ha quello che l'altro non possiede e non possiede quello che l'altro ha. C'e un aspetto della vita nel quale compresa una negazione, e su questa negazione si genera la vita, perch in questa inclusa un'affermazione che esige l'organicit, la convergenza stessa verso l'unit degli esseri diversi, la vita. Questa convergenza tra i diversi, che in un ultimo termine costituisce la vita nella sua totalit, stata pensata o negata in diversi modi attraverso la storia del pensiero. Una corrente che ha seguito questa linea stata il Panteismo in tutte le sue forme, del quale abbiamo gi fatto menzione; un'altra corrente stata rappresentata dalla Partecipazione. Infine c'e stata un'altra linea di pensiero che strutturava molte correnti contemporanee che stata la negazione basica dell'organicit esterna dell'uomo nella cosiddetta cultura o anticultura della morte. Negazione della distinzione: panteismo

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    Nel Panteismo veramente non esiste organicit distinta in quanto le barriere vengono soppresse, nel profondo non c' pluralit perch l'uno il tutto e il tutto l'uno. Quindi il Panteismo non spiega la vita, perch in esso non c' una vera coincidenza tra i diversi ma un tutto amorfo e pertanto senza vita. Veramente nel Panteismo non esiste un'autentica opposizione tra rinuncia e propriet o un vero rapporto che riconosca l'organicit, perche tutto confuso. VITA COME OPPOSIZIONE Nelle concezioni lontane dal Panteismo, invece, esiste l'obiezione; ma mettiamo in chiaro quale tipo di obiezione si intende: la vita opposizione, l'opposizione pu essere come contrariet o come contraddizione. Se come contrariet, ci troviamo nell'ambito della vita. Se come contraddizione, ci porta alla morte. L'opposizione come contrariet unisce i contrari con un disgiungimento, "questo e quest'altro"; l'opposizione come contraddizione elimina uno degli opposti per affermare l'altro. Nell'eliminare uno degli opposti non c' pi organicit e quindi non si pu pi parlare di vita. Aggiungendo qualcosa a quanto gi detto possiamo dire che c' opposizione tra due contenuti quando la posizione di uno elimina in qualche modo quella dell'altro. A seconda di quale sia lo spirito di questa eliminazione si hanno le diverse classi di opposizione. L'opposizione come contraddizione irriducibile, si svolge tra l'essere e il non essere, non tollera un termine medio. L'opposizione come contrariet o opposizione contraria fa s che i due contenuti si respingano in un aspetto limitato e per tanto accetta i termini medi. L'opposizione contraria pu essere privativa oppure relativa a seconda che siano in opposizione i due contenuti per rinuncia - propriet, oppure per semplice relazione. Opposizione di contraddizione nel concetto della vita C' una mentalit nel mondo moderno che si basa fortemente sull'opposizione come contraddizione. Questa la mentalit evoluzionistica applicata all'uomo in modo diretto e interamente. In effetti, nella mentalit evoluzionistica la sopravvivenza delle specie si ha nella lotta fino alla morte che un'opposizione come contraddizione, che porta alla sopravvivenza del pi forte. Probabilmente molti passi dell'evoluzione degli esseri inferiori all'uomo si possono spiegare in questa lotta per la vita, la famosa "struggle for life". Ma non risulta possibile applicarla nella sua totalit perch, sebbene vero che esiste una gradualit nell'esistenza attuale delle specie nel mondo vivente subumano, cio esiste una gradualit attuale delle stesse, non sono scomparse le specie inferiori. Queste nel suo insieme formano la sfera subumana organica. Il problema sorge pi fortemente quando questa spiegazione della vita attraverso l'opposizione contraddittoria si applica alla sfera umana della vita stessa. Quindi si arriva al punto che la prevalenza e la sopravvivenza del pi forte diventano una norma e da l si originano tutte le opinioni maltusiane e di razze superiori nelle quali alcuni si affermano tentando di uccidere gli altri, in modo pi selvaggio negli stadi primitivi, in modi pi sofisticati nel mondo attuale. Questa la cultura della contraddizione, o per dire lo stesso, la cultura della morte che viene chiamata l'anticultura propriamente detta. In questa posizione non c' praticamente organicit, la vita come organicit scompare perch non c' termine contro il quale opporsi, poich stato distrutto. Il problema che siccome questo termine assolutamente indispensabile per la vita, dal momento che non esiste pi, la vita marcisce e quindi si arriva alla cultura della morte. Non c' il termine contro il quale affermarsi dal momento che questo appartiene internamente alla propria organicit del soggetto che vuole

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    affermarsi, la stessa vita individuale muore. Nuovamente, con la stessa logica, affrontiamo l'assurdo della cultura della morte. Opposizione di contrariet nel concetto della vita L'autentica opposizione che pu garantire la vita l'opposizione di contrariet. Questa, come dicevamo prima, si esprime mediante un disgiungimento: "questo e quest'altro". In parole povere, la vita complementariet organica, si vivi in quanto si in opposizione ad un altro essere vivente perch non si ha quello che l'altro possiede ma si vuole partecipare della sua ricchezza. A sua volta, l'altro essere vivente vivo in quanto partecipa della ricchezza del primo. L'ideale che questa mutua partecipazione sia senza menomazione, cio, senza sottrarre alla partecipazione comune niente di quello che gli esseri viventi possiedono di per s. In questo caso ci troviamo con l'opposizione per mero rapporto. LA VITA NELLA SANTISSIMA TRINITA' E NELL'INCARNAZIONE precisamente questo l'ideale che si realizza nella fonte della vita di tutta la creazione che la Santissima Trinit. La Santissima Trinit, secondo la rivelazione dello stesso Dio, si costituisce in una opposizione relativa e una coincidenza assoluta. per questo che Dio uno in tre persone diverse (cfr. Jo 16,15). In Dio l'opposizione tra le persone divine l'opposizione di rapporto di completezza, non di indigenza; dove, vero, si trova la rinuncia e la propriet nelle diverse persone, ma senza che questa rinuncia significhi una menomazione di una delle persone divine, e senza che la propriet di una delle persone possa produrre qualche sottrazione a un'altra. L'opposizione tra le persone divine un rapporto di completezza che consiste in una mera opposizione di contrariet relativa. In definitiva, quello che una persona non possiede si mette in rapporto con quello che un'altra ha in modo che la rinuncia resta in una possessione non relativa ma assoluta e infinita. Quest'apparente contraddizione viene chiarita osservando le tre persone concretamente: il Padre non ha la filiazione, ma padre per la filiazione. Il Figlio non ha la paternit ma Figlio per la paternit. Lo Spirito non ha l'ispirazione, ma Spirito per l'ispirazione del Padre e del Figlio. Infine tutti e tre sono infiniti nella perfezione di una sola natura divina perch il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio. La vita infinita delle tre persone divine si realizza per una donazione assoluta del Padre al Figlio, del Figlio al Padre, del Padre e del Figlio allo Spirito e dello Spirito al Padre e al Figlio. La distinzione si ha per rapporto di completezza, cio, per opposizione di mera contrariet relativa e, a sua volta, per la sua opposizione di sola contrariet sono la vita in s, che vuol dire, sono un solo Dio (Cfr. Jo 16, 13-15;17, 22). Da questo modello divino possiamo intuire che la vita nella sua fonte, e quindi nella sua massima espressione, muovere se stesso in un insieme di rapporti verso la piena donazione. Viene donato quello che si possiede e si riceve quello che non si ha in un processo incessante che arricchisce e che , precisamente, il processo vitale. (Cfr. Jo 17, 22-23.26). I punti fondamentali sono i rapporti che fondano l'opposizione contraria, non per rinchiudersi nella propria propriet o nella propria rinuncia, ma per aprirsi in una totale donazione. Cos la vita diventa rapporto di completezza feconda in una donazione amorosa. Questa la vita in s, e quando Dio la partecipa nella sua creazione, in particolare quando partecipa l'uomo, la dona, analogamente, in questo modo. Dio iscrive questa donazione all'interno della libert umana. E precisamente quando l'uomo non vuole pi accettare questa donazione, allora si rinchiude in s stesso, si oppone agli altri in contraddizione. Questo il peccato, vale a dire, la morte.

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    La storia della salvezza All'interno di queste coordinate si scrive la Storia della Salvezza, come una storia della libert (Gn 2, 16-17). E siccome l'uomo aveva scelto l'opposizione di contraddizione (Gn 3,6), il peccato e la morte e nonostante Dio non gli aveva sottratto il fatto che nel suo interno sia ancora fatto a sua immagine, la storia dell'umanit una storia che si svolge all'interno di due capi vincolati nel pi profondo dell'uomo: contraddizione-contrariet, morte-vita, odio-amore, egoismo-donazione. In questo ambito, l'Incarnazione Pasquale viene a compiere la frattura della contraddizione in una costruzione amorosa di contrariet di rapporto. Cio, la morte viene vinta dalla risurrezione. Cristo prende su di s la contraddizione dell'uomo che significa il suo peccato e la sua morte, e porta questa contraddizione fino a patirla su s stesso nella sofferenza della morte (Cfr. Ro 5-6, passim). Ma questa morte, per l'amore dello Spirito Santo diventa fonte di vita, una donazione amorosa di vita, una risurrezione per Cristo medesimo e per tutta l'umanit (Cfr. Ro 8; Ef 1). La contraddizione in quest'unico caso diventa feconda, viene distrutta la sua negazione della vita e si trasforma in opposizione di contrariet amorosa, fondata nel rapporto di amore che lo Spirito Santo: la morte diviene la maggiore prova di amore, la maggiore prova di donazione. E cos Cristo, divenuto colpevole, prendendo su di s la contraddizione assoluta dell'uomo che la morte, crea nuovamente un uomo nuovo nel rapporto di giustizia e santit che la risurrezione. La contraddizione compresa nella contrariet Per arricchire quello gi detto possiamo aggiungere che Cristo prende su di s la contraddizione e la fa diventare contrariet in rapporto di massimo amore e quindi di massima vita, contrariet nella quale si oppone relativamente all'uomo come soggetto al quale gli dona quello che gli manca totalmente: la vita. La vita trinitaria di opposizione contraria di pura donazione ora passa attraverso la contraddizione della morte per vincere la stessa morte e trasformarla in una pura donazione nello Spirito. La fa diventare donazione di puro amore. Si supera la contraddizione della morte nell'opposizione relativa di contrariet che un rapporto di amore. Avevamo descritto come l'opposizione di contraddizione genera la cultura della morte; in Cristo, questa opposizione lo condusse alla massima morte, cos chiamata perch la sua morte prende su di s tutte le morti del mondo, tutte e ciascuna delle contraddizioni; la Redenzione quindi si fond nel trasformare questa massima morte nella massima vita, riformare la contraddizione attraverso lo spirito in un puro rapporto di amore, come donazione totale. Se, come dicevamo, la vita capacit di essere e di agire, possiamo quindi concludere che la vita capacit di essere e di agire attraverso un'opposizione contraddittoria, come la morte, una opposizione contraria come rapporto di donazione amorosa assoluta nella quale si riceve la partecipazione alla vita della Santissima Trinit (Jo. 17,23.26). In questo consiste l'obbedienza di Cristo che, sentendo la voce del Padre e condotto dallo Spirito Santo, rinuncia a s stesso, come dice San Paolo: "Pur essendo di natura divina, non ha insistito nell'essere uguale a Dio, ma abbandonando quello che gli era proprio e prendendo la natura di un servo nato come uomo e presentandosi come uomo si sottopose all'umiliazione e per obbedienza, andato incontro alla morte, vergognosa morte, sulla croce. Per questo Dio gli ha offerto il pi alto onore e il pi eccellente di tutti i nomi, cos sentendo il nome di Ges pieghino le ginocchia tutti quelli che sono nei celi e nella terra, e sotto la terra, e tutti possano riconoscere che Ges Cristo il Signore, per lode a Dio Padre" (Fil 2, 6-11).

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    Opposizione, tensione e salute All'interno di questa riflessione sul contesto salvifico di Cristo ora necessario considerare molto brevemente cosa la salute. Lo faccio soltanto a modo di conclusione. Trattare in modo esauriente la salute comporterebbe un discorso molto lungo per il quale non abbiamo tempo in questa occasione. Qui possiamo enunciare il concetto di salute che Papa Giovanni Paolo II ci ha offerto nel Messaggio Giubilare della Giornata Mondiale del Malato dell'anno 2000. Diceva il Papa: "La salute non si identifica soltanto con l'assenza di malattia, ma si pone come un'inclinazione verso la pi piena armonia e sano equilibrio a livello fisico, psichico spirituale e sociale. In questa stessa prospettiva la persona chiamata a mobilitare tutte le sue energie disponibili per realizzare la propria vocazione e il bene degli altri" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la VII Giornata Mondiale del Malato, 6.VIII.1999) Ora tenteremo di commentare brevemente questo concetto di salute utilizzando i termini della riflessione che abbiamo svolto finora: Abbiamo parlato di un rapporto di opposizione. Anche la salute un'opposizione perche una tendenza verso l'armonia totale dell'uomo, verso l'armonia fisica, psichica, sociale e spirituale dell'uomo. Quest'armonia , in ultimo termine, la partecipazione della vita divina della Santissima Trinit nell'uomo ed quindi un'opposizione di contrariet relativa di completezza, come abbiamo gi detto, e la tendenza partecipa di questa stessa natura della vita armonica trinitaria. Infine, la salute la tendenza generata dalla chiamata di Dio in Cristo a partecipare a questa armonia, la risposta che l'uomo offre a Dio lungo le diverse tappe della sua vita. A volte comporter l'assenza di malattia, a volte No. L'essenziale non l'assenza di malattia ma la tendenza all'armonia. Questa tendenza un'opposizione di rapporto di completezza. muoversi in completezza. Cos la salute si avvia verso la vera vita, che pu trovarsi anche nella malattia e nella stessa morte, quando questa ha una natura come quella di Cristo. Una cosa , quindi, la carenza di malattia e un'altra l'autentica salute. In questo senso, la vera salute si identifica con la vera vita in quanto la vita si trova, in un certo senso, nel cammino verso la salute. Si fa notare, inoltre, il vincolo essenziale che c' tra salute e Chiesa, dal momento che la Chiesa la chiamata concreta a quest'armonia. La vita e la salute sono, quindi, un dono dello Spirito Santo, sono i doni sperati dall'armonia nel contesto delle contraddizioni pi grandi che siano mai esistite. Dicevamo che la vita consiste nel muovere se stesso, possiamo quindi dire che la vita e la salute sono i doni che fanno s che l'uomo metta in moto s stesso nella forza dello Spirito Santo e grazie allo stesso (Cfr. 1 Cor 2, 6-16; 12-13; 2 Cor 5, 1-5). Cos, salute e vita si identificano con il regalo della vita divina affidata, partecipata all'uomo. La vita e la salute sono il rimedio alle tensioni quotidiane che ricevono un cammino di risoluzione nella Parola di Dio che Cristo e che ora ci arriva nella forma sacramentale, in particolare, nell'Eucaristia. Per questo motivo l'Eucaristia si chiama il pane della vita ed la medicina dell'immortalit (Cfr. Jo 6, 25-29). CONCLUSIONE: L'UOMO COME IMMAGINE DI DIO Tutto questo che stato detto stato un balbettare alcune idee partendo dall'analogia per descrivere la vita e la salute e, in questo modo, l'uomo come immagine di Dio. Quindi, in sintesi, potremmo concludere la nostra riflessione dicendo che l'uomo come immagine di Dio (Gn 1, 27; Cfr. Ro 5, 12-19) l'uomo che tende verso l'armonia, una tendenza che consiste nella contraddizione morte-vita (Ro 6, 1-11), che si risolve nel rapporto amoroso e di completa donazione con lo Spirito stesso (Ro 8, 1-17) e che permette all'uomo di vivere in quanto si apra a Dio e agli altri in un'essenziale integrazione umana (Cfr. Ef 4, 17-32).

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    Cos la vita convergenza dei diversi, diversi che sono opposti ma non per un'opposizione di contraddizione ma per una mera opposizione di contrariet che consiste in un rapporto di completezza dove quello che si possiede si dona agli altri, e invece di scomparire si diventa pi forte per lo stesso atto di donazione. Questa la meraviglia della vita e la salute come immagine di Dio. Come immagine di Dio, l'uomo si costituisce nella vita grazie alla donazione amorosa verso Dio e verso gli altri. Come immagine di Dio, la tendenza che lo spinge a donarsi sempre a Dio ed agli altri costituisce la salute. una tendenza che punta verso la completa armonia della resurrezione, ma una tendenza molto dolorosa, perch passa attraverso la contraddizione che la morte di Cristo. La vita donazione amorosa sempre crescente che si spinge verso orizzonti infiniti. La salute la tendenza che orienta la vita verso quest'armonia sempre perfezionabile. E questa vita e questa salute cristiane fanno s che l'uomo sia, nel suo rapporto con Dio e con gli altri, una vera immagine di Dio.

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    BRUNO MAGGIONI DIO PARLA DELLA VITA Sono convinto che Dio parli della vita in diversi modi. Nel mio discorso, per, mi soffermo sulla Parola di Dio "scritta", Antico e Nuovo Testamento. Mi interessa soprattutto una domanda: qual la radice che nel discorso biblico costituisce il fondamento ultimo che d senso e dignit alla vita di ogni uomo? Non soltanto senso e dignit alla vita riuscita e promettente, ma anche alla vita "ferita"? Come si sa, il cammino biblico pu apparire frammentario, lungo, persino tortuoso. La verit non sta nella somma si tutti i particolari che emergono, ma nella logica che guida l'intero cammino, che rimane ferma anche nel variare delle situazioni, che via via si chiarisce e trova il suo compimento nell'evento di Ges Cristo. La prospettiva scelta- indubbiamente limitata e tuttavia essenziale- mi libera da alcune preoccupazioni, come l'analisi dei singoli testi, delle situazioni storiche in cui si collocano, della loro genesi. Nulla di questo, non faccio esegesi, ma teologia biblica. Mi interessa la sintesi. LE COORDINATE Ritengo utile iniziare la conversazione elencando alcune coordinate che costituiscono la griglia entro la quale il discorso biblico si svolto, sia pure non sempre con la stessa chiarezza. Sono notissime e basta elencarle. Fin dall'inizio la Bibbia convinta che la vita sia molto di pi della semplice esistenza. Paradossalmente il vangelo dir che per avere la vita occorre anche saper perdere l'esistenza (Mc 8, 34)! La Bibbia poi particolarmente colpita da quelle manifestazioni della vita che possiamo descrivere come movimento e vivacit. La vita qualcosa che cresce e si sviluppa, dic4e pienezza e intensit. Per questo il vocabolo ebraico al plurale, appunto per sottolineare la pienezza e la intensit. La Bibbia convinta che occorre allargare la vita, non solo allungarla. In proposito si pu leggere Prov. 3, 16-18. La concezione biblica della vita si costruisce entro una concezione unitaria dell'uomo. Nessun dualismo, n fra spirito e corpo, n fra individuo e societ. Per la Bibbia non possibile alcun dualismo, perch vede sempre l'uomo nella sua inscindibile unit. Il tratto biblico pi tipico e pi ricco certamente il legame tra Dio e la vita. Dio il Vivente, e la vita il dono pi prezioso che sgorga dal suo amore gratuito e fedele. In mille modi si sottolinea che la vita dono, e come tale da vivere in gratitudine e letizia. La parola vita sempre unita ai verbi che indicano l'azione salvifica di Dio: donare, redimere, custodire, disporre, fare. Il racconto di Genesi 2 narra che "Il Signore modell l'uomo con la polvere del terreno e soffinelle sue narici un alito di vita, e cos l'uomo divenne un essere vivente. Il racconto sacerdotale (Genesi 1) narra invece che il sesto giorno Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Genesi 1, 26); e per assicurare all'uomo la sua benedizione. Non soltanto la creazione dell'umanit nel suo insieme, ma anche l'apparire di ogni singola persona e di ogni singola vita viene ricondotta dalla Bibbia all'attivit creatrice e operosa di Dio. Per la Bibbia l'uomo non comprende a fondo se stesso se non ha questa consapevolezza: egli trae la propria origine da una decisione nella quale egli non ha preso parte. All'origine di ogni uomo c' la gratuit dell'amore di Dio, la libert di un gesto di amore. In proposito si possono leggere testi bellissimi, come il salmo 139 e Giobbe 10, 8-12. E' in questa gratuit originaria che sta la ragione vera che d senso e dignit a ogni uomo vivente. E in questa

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    gratuit racchiusa la "promessa" della fedelt di Dio all'uomo, a ogni singolo uomo, una fedelt che non pu venir meno iin nessuna circostanza. Nella concezione dell'uomo immagine di Dio sono contenute alcune affermazioni di grande rilievo. La prima che la vita discende da Dio ed suo dono, sua immagine e sua impronta. Dio l'unico padrone della vita, e perci questa una realt intoccabile, sottratta al potere di qualsiasi uomo. Benedicendo No alla fine del diluvio, Dio disse: "Della vita dell'uomo domander conto alla mano dell'uomo, alla mano d'ogni suo fratello... perch quale immagine di Dio Egli ha fatto l'uomo (Gen 9, 6-6)". Una seconda affermazione che l'uomo si colloca al vertice della creazione. L'uomo qualcosa di unico. E' certo imparentato con la creazione ed solidale con tutte le creature, ma in lui c' un di pi: appunto l'essere immagine di Dio. E questo vale per qualsiasi uomo, al di l di ogni possibile differenza (si veda il salmo 8). Immagine di Dio non qualcosa che si aggiunge alla creaturalit, ma esprime piuttosto il significato profondo di tale creatura di Dio. E si riferisce all'uomo nella sua totalit, non a una parte di essa o a una sua qualit. Una terza affermazione che la vita da vivere nell'obbedienza. Immagine dicerelazione, realt riflessa, obbedienza appunto. Dono di Dio, la vita si sviluppa rimanendo in comunione con la sua sorgente, si mortifica allontanandosene. Pi semplicemente, molti passi biblici legano la promessa della vita all'osservanza dei comandamenti: per esempio Deut. 31, 15-16. In altri termini meno immediatamente religiosi, diremmo che lo sviluppo della vita legato a una corretta impostazione della vita stessa. Con grande acutezza i profeti hanno sempre tentato di strappare Israele da progetti autonomi, e di distoglierlo da sicurezze troppo umane, ferme, fosero pure religiose. Bisogna invece abbandonarsi fiduciosamente nelle mani di Dio: "Cercate me e vivrete", dice il profeta Amos (5, 4ss). Per vivere pienamente occorre il coraggio di abbandonarsi in avanti, alla vita che ci viene incontro. E per questo non soltanto nella prospettiva di un mondo futuro (un dato che nell'Antico Testamento nebuloso) ma anche nello svolgersi della vita mondana. Ma dove scorge- di fatto- l'uomo biblico la sua grandezza e la sua consistenza? Con grande chiarezza risponde a questa domanda cruciale il salmo 8, che si presenta come il frutto maturo di una lunga meditazione sulla creazione e sul rapporto Dio e uomo. Il salmista trova la grandezza e la solidit dell'uomo nel fatto che Dio si ricorda di lui. Non nella bellezza dell'uomo, o nella forza, o nell'intelligenza. E' l'amore di Dio che d dignit all'uomo. L'esperienza pi profonda dell'uomo biblico lo stupore di essere ricordato da Dio. L'ultima coordinata a cui voglio accennare, tanto importante da costituire in qualche modo la spina dorsale dei discorso (e perci gi ripetutamente accennata), il rapporto di fiducia fra l'uomo e Dio: una fiducia nella sua promessa tanto solida che le molte smentite la purificano, ma non la fanno crollare. Nelle pagine bibliche, anche nelle pi angosciate, quelle che sembrano esprimere l'abbandono di Dio, la fiducia nella sua fedelt resta sempre, magari sotterranea. Questa fiducia persino presente nel racconto di Abramo che obbedisce a Dio sino ad essere disponibile al sacrificio del figlio. Certamente non mancano nel percorso biblico comportamenti divergenti da quanto sin qui detto: violenza contro il nemico, sterminio di citt straniere, uccisioni, anche qualche episodio di suicidio. Questi comportamenti non compromettono, per, il discorso essenziale. Dicono invece la difficolt della sua maturazione e la fatica di superare le molte remore culturali. In ogni caso, non alla luce di questi comportamenti che va inteso il discorso centrale, ma viceversa.

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    TIPOLOGIE Dopo le coordinate (alle quali ho forse dato uno spazio eccessivo) utile riguardare il percorso anticotestamentario attraverso le varie situazioni che l'uomo biblico ha incontrato. Ne elenco alcune brevemente: - l'uomo che vive una vita riuscita che giunge al suo termine naturale; - la vita interrotta che si conclude con una morte prematura, a volte violenta; - una vita colpita: la sofferenza innocente (Giobbe); - una vita insoddisfacente e tuttavia umanamente riuscita, priva di senso in se stessa, quasi una promessa delusa (Qohelet); - il martirio. Certamente queste varie situazioni suscitano modi differenti di affidarsi alla vita. Ma la cosa interessante -e per noi essenziale- che l'uomo biblico, in tutte le situazioni, ha sempre cercato rifugio nella fedelt di Dio. L'EVENTO DI GES CRISTO E LA VITA Il Nuovo Testamento non pone al centro della sua rivelazione l'uomo, ma come Dio guarda l'uomo: il suo amore per l'uomo, la sua alleanza con l'uomo, il suo condividere l'esistenza dell'uomo. Ovviamente questa rivelazione -che riguarda anzitutto Dio- getta una luce impensabile, nuova, sull'uomo. Elenco alcuni aspetti che direttamente ci possono interessare. Il Figlio di Dio si fatto "carne" (1, 14), si legge nel prologo di Giovanni. Carne non certo la condizione di peccato, ma neppure semplicemente la natura umana: la natura umana nella sua caducit, nella sua storicit, nella sua corporeit e nella sua mondanit. Il Figlio di Dio ha assunto la vita dell'uomo nella sua piena realt. E cos viene posto di nuovo il fondamento della dignit della vita dell'uomo nella sua totalit. Dopo l'incarnazione dei Figlio di Dio al cristiano preclusa ogni fuga lontano dal mondo. Neppure il peccato pu servire come alibi per la denigrazione della vita dell'uomo nel mondo. Per il Nuovo Testamento non ci sono due esistenze parallele (spirituale e materiale), tanto meno un'esistenza spirituale imprigionata nel corpo e da esso impedita, e neppure due esistenze concepite semplicemente come un prima e un poi, ma un'esistenza unitaria, quella che gi ora si vive, destinata per a sfociare nell'eternit e nella piena comunione con Dio. S. Giovanni, con la sua ripetuta espressione di vita eterna -da intendere come partecipazione gi ora della vita divina, qualitativamente tale da vincere la morte- indica che la ragione (o il senso) della vita non solo da cercare al di fuori di essa, nel suo destino futuro, ma gi dentro di essa: certo un senso ricevuto, ma gi presente. Se poi osserviamo le precise modalit storiche dell'esistenza vissuta dal Figlio di Dio, allora comprendiamo anche che Egli ha assunto il volto dell'uomo deriso, del sofferente, del perseguitato, del nemico, persino dell'uomo considerato peccatore e malfattore. Tutto questo mostra che nessun uomo, chiunque sia e qualsiasi cosa abbia fatto, pu essere privato della sua dignit di amato da Dio. Proprio perch radicata nel gratuito amore di Dio, la dignit dell'uomo inalienabile e incondizionata. Ges esige, poi, esplicitamente il massimo rispetto per l'uomo e considera come diretti a se stesso tanto l'amore quanto l'offesa (Mt 25, 21 ss). Un Dio pensato come lontano pu permettere di manipolare l'uomo, ma un Dio che si fa uomo non lo permette. Il Nuovo Testamento apre la vita dell'uomo su orizzonti vastissimi, sconfinanti nello stesso mistero di Dio, il mistero trinitario. E' sempre il gratuito amore di Dio che apre all'uomo questi

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    ulteriori impensati orizzonti. E cos la vita tutta segnata dalla gratuit: dono gratuito nel suo primo sorgere e dono gratuito nella sua elevazione. In qualche modo anche nell'Antico Testamento si pensava la vita -nel suo nocciolo pi profondo- come comunione con Dio. Ma ora si parla dipartecipazione alla stessa vita divina. E tutto questo molto importante per comprendere la vita. Se si limita lo sguardo al solo tempo presente, o anche se si chiude lo sguardo dentro lo spessore naturale dell'uomo, trovare un senso alla vita resta obiettivamente pi difficile. Bisogna alzare lo sguardo verso Dio, della cui vita l'uomo partecipa. E siccome la vita di Dio un dialogo di comunione e di amore (Trinit), ne consegue che anche la vita dell'uomo -inserita nel dialogo trinitario- si manifesta e si sviluppa nell'amore e nella comunione. Ha ragione S. Giovanni di scrivere nella sua lettera (3, 14): "Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita, poich amiamo i fratelli". Vita la novit dell'amore di Dio che in Cristo afferra la persona in tutta la sua interezza, rinnovandola, aprendola verso una impensata dignit. LA CROCE/RISURREZIONE DI GES Ma per capire la vita bisogna capire la Croce e, ovviamente, la risurrezione. Senza la Croce mancherebbe la chiave per comprendere le contraddizioni dell'esistenza, troppe cose dell'uomo resterebbero senza senso. La Croce non sopprime le realt negative della vita, ma ne suggerisce una diversa lettura. Accettando la via della Croce, Ges ha condiviso della vita dell'uomo il peso e la tentazione, il fallimento e la sofferenza, lo sconcerto di fronte a una vita interrotta, l'abbandono. Cos la Croce di Ges il luogo in cui il mistero dell'esistenza si rispecchia, in un certo senso si ingigantisce, e poi si risolve. Morendo in Croce, Ges si veramente posto al centro del mistero dell'uomo e di Dio, l dove la vita sembra smentita e Dio contraddire la sua promessa. Ma la Croce/risurrezione trasforma tutte le contraddizioni in rivelazione. Le tre grandi alienazioni dell'uomo, che sembrano sconfiggere la vita privandola di senso e dignit (il peccato, la sofferenza e la morte) trovano una diversa comprensione: il peccato perdonato, la morte vinta dalla risurrezione, la sofferenza si tramuta in solidariet e riscatto. Cos il vangelo persuaso che per trovare un senso positivo della vita, non solo nonostante le sue alienazioni, ma addirittura dentro le sue alienazioni, necessario confrontarsi con la Croce di Ges.

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    GIUSEPPE LORIZIO "CREDO NELLA RISURREZIONE DELLA CARNE" Premesse: il fondamento cristologico della fede nella risurrezione della carne Per questa riflessione a carattere teologico-fondamentale sul tema che mi stato assegnato prenderei spunto da una constatazione molto semplice, ma non per questo ovvia ed acquisita. Si tratta del fatto che la formula "risurrezione della carne" non di origine biblica, bens protocristiana. Uno dei testi pi antichi e significativi a riguardo un passaggio dell'omelia, impropriamente denominata "Seconda lettera di San Clemente ai Corinti" (ca 140): Ka m leg'tw tij mn, ti ath srx o krnetai od nstatai. Gnte: 'n tni 'sqhte, 'n tni nebl'yate, e m 'n t sark tath ntej; De? on mj j nan qeo fulssein tn srka. ?On trpon gr 'n t sark 'klqhte, ka 'n t sark 'lesesqe. E Cristj Krioj ssaj mj, n mn t prton pnema, 'gneto srx ka otwj mj 'klesen, otwj ka me?j 'n tatV t sark polhymeqa tn misqn[1].

    Nessuno di voi venga a dire che questa nostra carne non subir il giudizio e non risusciter. Ricordatelo: non foste salvati, non otteneste la vita interiore, se non in questa carne, vivendo in essa? Perci doveroso custodire la carne come un tempio di Dio. Nella carne foste chiamati e nella carne raggiungerete [Dio o la salvezza]. Se Cristo, il Signore, nostro Salvatore, che prima era solo spirito, si fece carne e solo cos ci chiam, anche noi solo in questa carne raggiungeremo il premio eterno[2]. Oltre che sul testo stesso e sulla ricorrenza in esso del termine srx mi preme concentrare l'attenzione su due elementi contestuali, a mio avviso particolarmente significativi, anche per un'attualizzazione del tema e una sua riproposta nell'attuale areopago culturale e religioso: Il contesto di martura-testimonianza in cui si esprime la fede nella "risurrezione della carne", qui attestata, per cui la carne destinata alla risurrezione anzitutto la carne dei martiri, che hanno testimoniato col dono supremo della propria vita-carne la fede della comunit (basterebbe ricordare il linguaggio forte e a tratti eccessivamente cruento di Ignazio d'Antiochia). Il contesto di polemica antignostica che costituisce lo sfondo di queste affermazioni intorno al carattere sarxico della salvezza cristiana. A questo proposito ricorder soltanto come, nel quadro della sistematica gnostica emerga con distinta chiarezza una concezione ispirata al pi radicale dualismo ontologico, cosmico ed antropologico, il che in rapporto alla soteriologia, viene designato con la formula della "restituzione del corpo": "La deposizione del corpo non rappresenta per la gnosi soltanto una liberazione dell'Anima, bens anche un giudizio sulle potenze che hanno creato il corpo. una vittoria del regno della Luce che precede la distruzione definitiva della Tenebra"[3]. Una seconda indicazione preliminare riguarda il fatto che la pi antica cristallizzazione in una formula di fede dell'attestazione che conosciamo nel Papiro liturgico Dr Balyzeh, rinvenuto nell'alto Egitto e riproducente una liturgia che si fa risalire alla met del sec. IV:

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    Pistew ej Qen pat'ra pantokrtora ka ej tn monogen ato u\n tn krion mn 'Ieson Cristn ka ej t pnema t gion ka ej sarkj nstasi[n 'n t] gv kaqolik 'kklhsv.[4]. Tre brevi considerazioni a questo proposito: La prima concerne la collocazione della formula sarkj nstasij subito dopo quella concernente lo Spirito Santo, il che evidentemente comporta un'attenzione alla dimensione pneumatologica della fede nella risurrezione della carne, infatti lo Spirito che ha il potere di ridare vita alle ossa aride e alle carni putrefatte. La seconda annotazione riguarda l'apertura all'ultima formula che concerne la gv kaqolik 'kklhsv. Siamo cos condotti a riflettere sulla dimensione ecclesiale della nostra fede escatologica, per cui la carne non va intesa soltanto in senso individuale bens anche comunitario. Infine va notato che il termine nstasij nel suo significato originario di "mettere in piedi, rizzare, far alzare (qualcuno che disteso o dorme)". A un'attenta analisi del termine scelto in rapporto ad 'gerw, si fa notare come la radice di quest'ultimo designi, specialmente nel passivo, l'evento pasquale, cio la risurrezione del crocifisso, mentre i termini con la radice anhist- vengano utilizzati, oltre che naturalmente nel contesto dell'evento fondatore, anche in riferimento alle risurrezioni di morti compiute durante la vita di Ges e alla risurrezione escatologica di tutti i morti. Un testo particolarmente significativo al riguardo 1Cor 15,13: e d nstasij nekrn ok ?stin, od Cristj 'ggertai["Ebbene se non c' risurrezione dei morti, neppure Cristo stato risuscitato"]. Sarebbe interessante a questo punto introdurre ed articolare la tematica, che ci limitiamop ad accennare, della nostra formula di fede in rapporto a 1Cor 15,50: Toto d' fhmi, delfo, ti srx ka a?ma basilean qeo klhronomsai o dnatai, od fqor tn fqarsan klhronome? ["Ora questo dico, fratelli: la carne e il sangue non pu ereditare il regno di Dio n la corruttibilit pu entrare nell'incorruttibilit"], dove l'espressione "carne" e "sangue" sta ad indicare "l'uomo nella sua creaturale impotenza di fronte alla sfera del soprannaturale"[5]. Siamo cos rimandati al fondamento cristologico della fede nella "risurrezione della carne" e alle sue implicazioni teologiche. Una riflessione teologico-fondamentale sulla corporeit non potr ignorare da un lato l'evento fondatore e le sue tracce costitutive, in rapporto alla corporeit del Risorto: - tomba vuota e sua storicit; - il corpo di Cristo nei racconti delle apparizioni[6], dall'altro il realismo dell'incarnazione e la logica paradossale (Discorso a Diogneto[7]) del lgoj srx, cos come richiamata e impostata da Ireneo, in direzione antignostica[8]. La valenza antropologica della fede nella risurrezione della carne Il cuore della problematica che la fede nella "risurrezione della carne" solleva comunque di tipo antropologico. Sebbene il sintagma sarkj nstasij non sia immediatamente rinvenibile nelle Scritture, bisogna tuttavia a mio avviso interpretarlo alla luce del dato biblico sull'uomo, senza dimenticare il configurarsi dell'antropologia cristiana e i suoi possibili sviluppi in rapporto al pensiero contemporaneo. Propongo quindi una riflessione in tre momenti: il primo dei quali si rivolger alla concezione antropologica che la Scrittura suggerisce, il secondo ai grandi maestri del pensiero medievale, rilevando in particolare la tematica dell'unit dell'uomo nel pensiero di Tommaso, il terzo alla fenomenologia contemporanea, di cui si esporranno i risultati in ordine alla nozione di "corpo soggettivo".

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    La dimensione carnale dell'uomo nelle Scritture Tentiamo qui un approccio all'antropologia biblica attraverso l'analisi dei termini pi significativi attraverso cui si designa l'essere umano, limitando la nostra attenzione al termine "carne". Nel testo ebraico dell'Antico Testamento il termine basar ricorre ben duecentosessantasei volte con svariati significati, raggruppabili come segue: - indica la parte muscolosa del corpo umano, che l'uomo ha in comune con gli animali; - l'intero corpo umano per sineddoche; - tutto l'uomo concreto; - l'insieme degli esseri viventi; la parentela del sangue e la comunione creata nel matrimonio ecc. A noi mi sembra possano interessare soprattutto i tre seguenti significati: - basar = il cadavere umano e il corpo morto degli animali, come nel testo del Genesi, dove Dio proibisce a No di mangiare il cadavere (basar) degli animali con la loro vita, cio con il loro sangue (Gen 9, 4); - basar = l'uomo nella sua condizione terrena, fragile, debole, mortale, lontano da Dio ovvero distinto da Lui, che, invece, forza e potenza (Cf. Gen. 6, 3; Ger.17,5; Sal. 56, 5; Is. 40, 6; Giob. 34, 14-15; Deut.5, 26 ecc.). - basar = l'uomo in una certa opposizione a Dio (cf. Giob. 10, 4; Is. 31, 3; Ger. 17, 5). Generalmente si tratta della relazione dell'uomo alla terra, che lo rende mortale, cio radicalmente lontano dal Creatore (estraneit rispetto a Dio). Notiamo che si tratta di tutto l'uomo rivolto alla terra, quindi che la prospettiva esclude ogni dualit. Questo significato getta luce sul testo di Paolo sopra riportato 1Cor 15,50. Sebbene gli autori biblici considerino l'uomo prevalentemente come un'unit, tuttavia colgono tre aspetti fondamentali (dimensioni strutturali), che sono espressi con le parole ebraiche: basar, nefesh e ruah, che i LXX e il Nuovo Testamento greco traducono con: srx, yuc, pnema e la Vulgata con: caro, anima e spiritus. L'articolazione dei significati di srx nel NT in rapporto al giudaismo ellenistico risulta estremamente variegata con oscillazioni non indifferenti per es. nei testi di Paolo sopra richiamati e nel versetto del prologo giovanneo. Particolarmente significativo il brano di 1Cor 15, 36-45, con la risposta di Paolo alla domanda con quale corpo risuscitano i morti?: 15:39 Non ogni carne la medesima carne; altra la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci. 15:40 Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri. 15:41 Altro lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. 15:42 Cos anche la risurrezione dei morti: si

    15:39 o psa srx at srx, ll llh mn nqrpwn, llh d srx kthnn, llh d srx pthnn, llh d cqwn. 15:40 ka smata 'pournia, ka smata 'pgeia: ll \t'ra mn tn 'pouranwn dxa, \t'ra d tn 'pigewn. 15:41 llh dxa lou, ka llh dxa selnhj, ka llh dxa st'rwn: str gr st'roj diaf'rei 'n dxV. 15:42 Otwj ka nstasij tn nekrn. speretai 'n fqor, 'geretai 'n fqarsv:

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    semina corruttibile e risorge incorruttibile; 15:43 si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; 15:44 si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c' un corpo animale, vi anche un corpo spirituale, poich sta scritto che 15:45 il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.

    15:43 speretai 'n timv, 'geretai 'n dxV: speretai 'n sqenev, 'geretai 'n dunmei: 15:44 speretai sma yucikn, 'geretai sma pneumatikn. e ?stin sma yucikn, stin ka pneumatikn. 15:45 otwj ka g'graptai, 'Eg'neto prtoj nqrwpoj 'Adm ej yucn zsan: scatoj 'Adm ej pnema zJopoion. Lo slittamento semantico srx sma risulta coerente con quanto verr categoricamente affermato al v. 50, dove tuttavia si lascia una apertura alla risurrezione corporea introdotta dalla sintomatica espressione: do mustrion m?n l'gw = "ecco vi annunzio un mistero". L'affermazione paolina "non ogni carne la medesima carne" ci far da guida nei passaggi successivi, in particolare nel terzo momento, allorch introdurremo nella nostra riflessione la nozione di "corpo soggettivo"[9]. L'elaborazione teoretica dell'antropologia cristiana in et medievale Referente privilegiato del pensiero credente in et patristica certamente la filosofia platonica. Baster qui richiamare la famosa formula agostiniana, con cui il dottore della grazia definiva l'anima: come substantia rationis particeps regendo corpori accomodata[10]. Un'antropologia di questo tipo venne seguita nel Medioevo finch non si venne a conoscenza del De anima di Aristotele, che aveva percorso un'evoluzione dall'adesione al dualismo antropologico della teoria ilemorfica. La caratteristica fondamentale dell'aristotelismo maturo (che per Tommaso l'aristotelismo tout court) la rivelazione e la netta affermazione dell'unit del vivente concreto animato. Il filosofo di Stagira parte da un'analisi "fenomenologica" dell'esperienza, indagante il comportamento concreto del vivente e la coimplicanza delle sue manifestazioni operative. Il vivente uno: le sue attivit sono operazioni varie fenomenicamente, unificate, per, su uno sfondo che resta unitario, quale fonte prima e radicale di esse. La concezione ilemorfica, estesa ed applicata al vivente, la chiave ermeneutica dei dati fenomenici. Il primo libro del De anima,impostato il problema dell'oggetto e del metodo ed individuato il primo in ogni vivente animato e il secondo nell'indagine del suo comportamento si conclude con la netta affermazione dell'unit dell'anima[11]. Poco pi avanti entriamo nel punto centrale dell'opera aristotelica, dove viene data la definizione di "anima" come l'entelecha prima di un corpo naturale che ha la vita in potenza[12]. Conclusione logica di questo discorso: la non separabilit dell'anima dal corpo e il dubbio di fronte alla analogia del nocchiero[13]. Il procedimento di Aristotele ha seguito una linea di coerenza notevole, allorch si trattato di applicare l'ilemorfismo agli esseri viventi inferiori, ma quando passato a considerare l'uomo, sono sorte notevoli difficolt, derivate dalla presenza dell'intelletto, non riducibile alle forme di vita presenti negli altri viventi. Il riconoscimento di questa presenza sembr in qualche maniera arrestare e bloccare il processo di unificazione del vivente umano, cos lo Stagirita venne a trovarsi in un groviglio di aporie, che sembra non sia riuscito a superare. Il processo di unificazione rimase, inconcluso, tuttavia troviamo qui le premesse perch l'anima venga definita

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    "unica forma sostanziale del composto umano". La conclusione che la teoria aristotelica sembra suggerire apparve, per, incompatibile con l'immortalit dell'anima, che una prospettiva dualistica riesce meglio a fondare. Nonostante questa incompatibilit il Medioevo credente non oppose un netto rifiuto all'antropologia aristotelica, probabilmente anche perch lasciava spazio ad interpretazioni differenziate. Del resto, storicamente, prima di conoscere la traduzione del De anima di Aristotele, l'Occidente medievale[14] conobbe quella del De anima di Avicenna, che si presentava come una parafrasi della trattazione dello Stagirita e ne avvicinava l'antropologia a quella di Agostino, non gi perch Avicenna conoscesse Agostino, piuttosto perch attingeva anch'egli elementi neo-platonici. Analogamente Bonaventura[15] (ed altri con lui), pur adottando la terminologia aristotelica, rimase tuttavia fermo alla posizione agostiniana, affermando che l'anima non una forma come le altre, cio che non semplicemente atto di una materia, ma un essere in s, una sostanza con una propria indipendente attivit, composta a sua volta anche essa di materia e forma. Il Medioevo conosceva anche un altro commento al De anima di Aristotele, dovuto alla penna di un altro filosofo arabo: Averro, che intendeva presentare l'antropologia aristotelica con maggiore fedelt di Avicenna. Nel farlo, per, la interpretava, sviluppando le parti oscure circa l'intelletto separato, per cercare di conciliare l'unit dell'uomo col fatto che certe forme di conoscenza si presentano come trascendenti il mondo corporeo. Il filosofo arabo credette di risolvere il problema, pur avvertendone tutta la difficolt, ammettendo che solo l'attivit intellettiva dell'indivduo umano partecipasse alla vita dello spirito. Concep l'intelletto come rigorosamente spirituale, ma pens che fosse separato ed unico per tutta l'umanit. La conoscenza intellettiva sarebbe una partecipazione dell'individuo umano all'attivit dell'unico intelletto possibile, mentre l'anima sensitiva rimaneva, essendo il principio delle funzioni vitali, forma del corpo. Le conseguenze a livello escatologco della concezione aristotelico-avverroista saranno tratte da Pietro Pomponazzi (1464-1525), che insegner a Padova che lo spirito, per la sua capacit di comprendere l'universale, non una natura singola individuale, pertanto come tale non pu perdurare oltre la morte. Ecco un dato per ermeneutizzare correttamente le affermazioni del Concilio Lateranense V, che, condanner Pomponazzi, affermando la immortalit dell'anima[16]. Il problema dell'unit dell'anima: il motivo ispiratore di tutto il commento di Tommaso al De anima di Aristotele, nel quale non esita a dissentire dal filosofo prediletto nell'intento di prevenire qualsiasi attentato all'unit dell'anima umana[17]. Le parti dell'anima vengono qui intese e concepite quali potenze (facolt) radicate in una unit fondante e fontale e per giustificare la sua tesi l'Aquinate fa appello e mette in particolare evidenza i testi favorevoliall'unit. Con la lezione settima del commento al libro terzo entra nella spinosa questione dell'intelletto aristotelico, che Averro aveva separato e superindividualizzato, ed afferma che una simile concezione non risulta dai testi di Aristotele, che suggeriscono la lapidaria espressione dell'hic homo intelligit, fulcro dell'argomentazione tomista nella polemica anti-averroista. Nel secondo libro della Summa contra Gentiles, tra l'altro, Tommaso osserva che l'averroismo preoccupato di salvare la spiritualit dell'uomo e, in particolare, della conoscenza intellettiva, ma, staccando l'intelletto dall'individuo concreto (che poi l'unico uomo reale) finisce col farne un animale uguale a tutti gli altri: pone fra l'uomo individuo e il bruto una differenza solo di grado. Tommaso, diversamente da Averro, prosegue l'itinerario di unificazione intrapreso da Aristotele e cerca di superarne le aporie. Egli aveva a sua disposizione una maturazione plurisecolare di indagini sull'anima umana, ma soprattutto disponeva storicamente e psicologicamente della tradizione cristiana, che gli offriva tutta la potenzialit dei suoi dati sulla creazione, la spiritualit e

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    l'immortalit dell'anima umana. Nel portare a compimento l'itinerario aristotelico Tommaso approda a formulazioni rivoluzionarie, se comparate letteralmente con quelle dello Stagirita. L'anima umana caratterizzata dall'attivit intellettuale: ci che Aristotele vide e riconobbe, ma poi esit nel precisare i rapporti fra l'intelletto e la forma del corpo. La rivoluzione tomista fa capo alla scoperta chiara e consapevole che l'uomo radicalmente uno. E questo viene espresso nella formulazione dell'anima intellettiva come forma del corpo. Se l'anima intellettiva cos pensata cadono tutti quegli pseudoproblemi del come essa possa unirsi al corpo (si pensi alle trovate del razionalismo cartesiano), poich per sua natura atto del corpo. Il vero problema piuttosto sar del come l'anima possa separarsi dal corpo nell'escatologia intermedia, che da Tommaso considerata come stato delle anime separate. E per rispondere a questo problema l'Aqunate, prima di definire l'anima forma del corpo, le riconosce le caratteristiche di sussistenza e di incorruttibilit, e questo gli consente di considerare la sopravvivenza dopo la morte come momento di esilio dell'anima dal suo corpo, in tensione verso il ricongiungimento. Tommaso, a differenza di Bonaventura e di altri teologi della scuola francescana, prende sul serio la terminologia aristotelica e non ne assume solo il rivestimento esterno, per riproporre sostanzialmente un'antropologia dualistica. Quindi, a differenza di Bonaventura, egli nega che l'anima sia composta di materia e forma. Inoltre, in polemica con il filosofo giudaico Avicebron, che nella sua opera Fons vitae aveva ipotizzato l'esistenza di una materia prima, chiamandola materia universale ed appropriandola sia alle sostanze spirituali che a quelle materiali, ricevendo in queste solo in parte la forma della corporeit, Tommaso oppone tutto il realismo della filosofia aristotelica, che, portata alle estreme conseguenze, lo induce all'affermazione ancora pi rivoluzionaria secondo cui la forma sostanziale dell'uomo una ed unica. Nella Summa theologiae Tommaso addurr le ragioni che lo inducono all'affermazione dell'unicit della forma sostanziale nell'uomo. Questa tesi, infatti, esprime per l'Aquinate l'unico modo d'intendere e di salvare l'unit dell'essere umano, che si fonda appunto sull'unit ontologica data dalla forma. La molteplicit delle forme, invece, moltiplica l'essere e scinde le strutture del vivente. Concludendo e schematizzando, possiamo dire che, mentre per gli agostiniani e la scuola francescana, l'anima substantia sui generis; per Tommaso d'Aquino, preoccupato piuttosto di salvare l'unit dell'uomo, l'anima forma sui generis, dove il sui generis dice per entrambi i sistemi la difficolt di imprigionare in una formula il mistero dell'uomo cos come si rivela e si nasconde nell'evento della morte e il travaglio che comporta la fedelt alla dottrina rivelata. Il primo, adottando un certo dualismo antropologico, lo purifica, ammettendo che l'anima destinata all'unione con il corpo. L'Aquinate, invece, servendosi della filosofia aristotelica, deve tuttavia mitigare questa prospettiva, perch il suo pensiero non sia in contrasto con il dogma dell'escatologia intermedia. L'unit dell'uomo - secondo Tommaso - non assolutamente in contrasto con la fede cristiana, anzi risulta esigita dal dogma della resurrezione, che segna per l'uomo il ricostituirsi in unit, ovvero la realizzazione in pienezza nei suoi due aspetti: quello spirituale e quello corporeo. Se l'escatologia successiva stata sviluppata soprattutto sottintendendo uno schema dualistico, dovrebbe essere a questo punto chiaro che ci avvenuto in maniera autonoma (anzi opposta) rispetto al pensiero tomista pi autentico. La nozione di "corpo soggettivo nella fenomenologia contemporanea Una elucidazione della nozione moderna e contemporanea di "corpo soggettivo" mi sembra possa offrirci una possibile chiave interpretativa e teoretica della fede nella risurrezione della carne. L'originalit della proposta cristiana rispetto alle acquisizioni della filosofia greca stata messa in luce dal filosofo-fenomenologo di Montpellier Michel Henry[18] nella sua analisi della

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    corporeit in rapporto alla soggettivit, nel suo saggio di ontologia biraniana[19]. Alla nozione di "anima" lo stesso autore ha dedicato, oltre che un paragrafo dello stesso scritto, un lavoro autonomo, che riproduce il testo di due lezioni tenute a Bruxelles nel novembre del 1965 e pubblicate sulla Revue philosophique de Louvain l'anno seguente[20]. L'intenzione di questa riflessione presto dichiarata: si tratta di riflettere sul vecchio concetto metafisico di "anima" per rispondere alla domanda relativa al suo senso per noi che filosofiamo oggi, dove per "avere un senso" si intende "riferirsi ad una realt" che a tale nozione corrisponde[21]. La domanda del tutto legittima in quanto tra la metafisica tradizionale, la quale insegna che abbiamo un'anima distinta dal corpo, spirituale, semplice, identica a se stessa attraverso il tempo, non caduca ecc., tra questa metafisica che Henry definisce "rassicurante" e noi che filosofiamo oggi si situa la critica kantiana, considerata a sua volta radicale e definitiva[22]. Anche se pu sembrare un'impresa presuntuosa e sproporzionata, se si vuole ancora oggi continuare a parlare di "anima", bisogna effettuare una rigorosa critica della critica kantiana del paralogismo della psicologia razionale, una operazione che il Nostro denomina di "distruzione ontologica", nel senso di "mettere a nudo le strutture dell'essere" implicate nel paralogismo stesso e nella critica kantiana. Henry, dopo una dettagliata esposizione del pensiero di Kant riguardo all'anima, propone il proprio argomento "distruttivo": "L'argomento di questa critica sar il seguente: la struttura dell'essere, come lo comprende Kant, incompatibile con la struttura dell'essere del nostro io. Questa struttura dell'essere dell'io possiamo chiamarla l'essenza dell'ipseit. Se il nostro ragionamento vero, allora dovr essere possibile dimostrare due cose: da una parte che l'esperienza interna descritta da Kant, di fatto incapace di consegnarci il nostro io; d'altra parte che ogni volta che Kant parla dell'io, o di un io in generale, non fa che presupporlo, meramente e semplicemente, come non fa che presupporre l'essenza dell'ipseit, di cui non rende mai conto, e che non eleva mai allo stato di problema"[23]. L'analisi serrata della critica kantiana mostra l'indigenza della rappresentazione dell'io penso in ordine al problema dell'anima, in quanto, trattandosi appunto di una rappresentazione, resta situata nella sfera dell'esteriorit, ma - aggiunge Henry - "l'essere dell'io non pu sorgere, n mostrarsi, nel cuore dell'esteriorit"[24]. Per poter cogliere l'essenza dell'ipseit si dovr far ricorso alla dimensione dell'interiorit radicale, nella quale solo possibile la manifestazione dell'essenza. Nonostante il divieto husserliano rivolto verso l'interiorit e nonostante i pregiudizi filosofici presenti nell'areopago contemporaneo, Henry non si stanca di rimandare a questa dimensione fondamentale, che costituisce peraltro l'originalit e lo specifico della sua filosofia. Cos alla critica della critica kantiana, il Nostro affianca la discussione con le tesi fondamentali della fenomenologia del corpo di Merleau-Ponty. Sebbene risulti paradossale legittimare la nozione di interiorit radicale e, attraverso questa, la nozione di anima, far appello al corpo, Henry intraprende senza esitazione la via del "corpo soggettivo" e ad essa rigorosamente si attiene: "Questo paradosso si attenua allorch si fa strada l'idea di un corpo soggettivo. Allorch il corpo interpretato, in effetti, non pi nel modo ingenuo ed unilaterale di un oggetto, ma anche come un soggetto, e pu essere come il soggetto autentico, come la fonte della nostra conoscenza sensibile, e allorch questa conoscenza sensibile, a sua volta, al posto di essere trattata come un modo inferiore della conoscenza, compresa come la sola e il fondamento di ogni conoscenza possibile, allora l'analisi del corpo cos compreso nella sua soggettivit originaria sembra poterci condurre a quell'interiorit che noi cerchiamo"[25]. La strada rimane tuttavia preclusa, qualora con Merleau-Ponty, la soggettivit venga intesa nei termini dell'essere-nel-mondo e quindi della trascendenza. Le arcinote descrizioni dell'esistenza

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    corporea contenute nella Fenomenologia della percezione[26] in termini di trascendenza risultano agli occhi di M. Henry per un verso evidenti e sostanzialmente fedeli a ci che descrivono, mentre lasciano in ombra il problema essenziale del come questo corpo, che ci apre al mondo ( il "veicolo della nostra presenza al mondo") e che costituisce la base del nostro sapere del mondo, conosce se stesso? Come presente a se stesso? A queste domande fondamentali non si pu rispondere se si nega l'interiorit, come avviene nella filosofia moderna globalmente considerata. Di qui l'interesse di Henry verso il pensiero di Maine de Biran, il quale (in polemica con il sensismo di Condillac), pur senza misconoscere affatto la dimensione trascendente dell'esperienza corporea come capacit del corpo di porci in rapporto al mondo e agli altri, ha posto il problema previo a quello di questo rapporto, ossia il problema della conoscenza del corpo stesso. Se si parte dalla considerazione della conoscenza originaria che noi abbiamo della mano che tocca qualcosa e ci soffermiamo sulla stessa capacit del toccare, dobbiamo concludere che una tale conoscenza non consiste in un'estasi, in quanto non si svolge di fronte all'essere, compreso, esterno. Dunque una conoscenza originaria di questo genere non n pu essere in alcun modo intenzionale, per il fatto che ogni intenzionalit fondata sulla trascendenza, sviluppando un orizzonte come luogo dell'alterit. Se il potere di toccare con mano ci venisse consegnato tramite la mediazione dell'intenzionalit, allora esso sarebbe un potere esterno a noi, ma se vero che ad ogni vero potere dato un primo potere, assoluto ed immanente, allora il potere di toccare in quanto ha di esteriore si fonda sul potere autentico ed interiore che il mio corpo: "Esiste [...] una forza assoluta, una causalit efficiente (questa autentica causalit di cui la metafisica tradizionale ha negato la nozione o l'ha riservata a Dio solo), esiste un potere autentico un "io posso" nell'effettivit del suo esercizio? S: il mio corpo. Poich il mio corpo questo potere assoluto, irrefutabile, per il quale dilato o contraggo i miei polmoni, per il quale chiudo o apro le mie dita, per il quale io mi alzo e cammino. Il mio corpo il movimento che si prova camminando, cio che si attesta lui stesso interiormente, la mia azione tale quale la vivo in una esperienza immediata che sfida ogni commento e a maggior ragione ogni contestazione, l'essenza su cui scivolano le chiacchiere, la libert che deride i paralogismi, le rappresentazioni, la conoscenza e le sue tesi, che si fa beffe della scienza"[27]. Traendo le estreme conseguenze da questa esclusione radicale della trascendenza della soggettivit e della corporeit, Henry giunge a concludere che la relazione soggettiva dell'io al proprio corpo non nient'altro che la relazione fondamentale del corpo a se stesso, l'autoaffezione (per riprendere la tematica dell'affettivit) del movimento e del senso per se stessi e questa autoaffezione immanente ed interiore l'ipseit. La coerenza interna primaria di questo "abitacolo che noi siamo, in cui siamo e in cui siamo dei viventi" riceve a questo punto il nome di "anima". In chiusura del suo saggio e prima di indicare il senso della nozione di anima nella struttura "monadica" dell'essere come "interiorit", Henry riporta un passaggio di un autore, cui spesso ricorre anche nella sua opera principali: Kafka, che nel romanzo America narra di Karl, in quale nella sua ricerca di un lavoro, viene colpito da un cartello con la scritta : "Qui c' un posto per ciascuno". L'espressione esprime agli occhi di Henry la condizione metafisica dell'essere. "L'ontologia contemporanea rende conto facilmente in apparenza dei primi termini di questa proposizione: "qui" "c'" "un posto". Ma che significa il sorgere alla fine della frase di quel "ciascuno"? L'ipseit un'aggiunta contingente all'avvenimento instancabile, anonimo, impersonale dell'essere nell'esteriorit, una limitazione accidentale, una particolarizzazione infondata della sua universalit? O non designa piuttosto la condizione dell'essere, la sua stretta originaria in una luce che non pi quella del mondo, la donazione prima che giustamente la stessa ipseit?"[28]. In tale prospettiva l'anima non sar dunque altra cosa che l'ego, ma l'ego ha un essere che appunto l'anima, ma non l'anima intesa in termini di trascendenza, che in questo

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    senso non che un'ombra, una larva vagante nell'Ade della metafisica classica. La realt del "corpo soggettivo" consente all'anima di uscire da questa esistenza vaga ed umbratile per comprendersi come autenticamente reale. La dottrina cristiana del corpo, non considerato soltanto come un modo determinato e contingente della nostra esperienza storica, ma come una realt ontologica costitutiva della natura umana, comporta una serie di affermazioni sorprendenti, che secondo Henry hanno un senso solo se comprese alla luce della nozione di "corpo soggettivo": "Solo se il nostro corpo , nel suo essere originario, qualcosa di soggettivo, le brevi allusioni della dogmatica a proposito del suo destino metafisico possono essere altra cosa che delle concezioni stravaganti. Stravaganti, in effetti, dovevano necessariamente sembrare, agli occhi dei Greci, delle affermazioni come quella che sostiene la resurrezione del corpo. Ecco perch i Corinzi sghignazzavano allorch Paolo pretendeva di non riservare all'anima il privilegio di questa resurrezione. chiaro al contrario che se l'essere originario del nostro corpo qualcosa di soggettivo, esso cade, allo stesso titolo della nozione di "anima", sotto la categoria di ci che suscettibile di essere ripreso e di essere giudicato. manifestamente al contenuto della teologia cristiana che Rimbaud ha improntato l'affermazione: les corps seront jugs"[29], citazione che riecheggia il testo dell'omelia protocristiana citato all'inizio. Mi preme ancora ricordare come la distinzione fra "corpo oggettivo" e "corpo soggettivo" svolga un ruolo importante nella elaborazione di una antropologia ispirata all'ontologia trinitaria nell'opera pi ponderosa di Edith Stein. La ripresa dell'antropologia trinitaria di stampo patristico, che considera l'essere umano finito come immagine dell'Essere eterno trinitario, se da un lato si inquadra nella tradizione origeniana e agostiniana, nonch bonaventuriana pi autentica, d'altra parte include dei riferimenti fecondi alla tematica ad esempio del corpo soggettivo, che la Stein chiama "corpo vitale", distinguendo fra Krper e Leib ed introducendo cos una categoria tipica dell'ontologia fenomenologica, di cui certamente debitrice, ma che, per tanti versi, richiama il senso cristiano della corporeit e la sua valenza personale e spirituale. Il quadro gnoseologico qui dato dalla concezione della verit, anch'essa trinitariamente strutturata, secondo le dimensioni logica, ontologica e trascendentale. La dottrina dell'anima rimanda alla mistica del castello interiore e ad essa di fatto si ispira, in maniera fin troppo esplicita: L'anima lo "spazio" al centro di quella totalit composta dal corpo, dalla psiche e dallo spirito; in quanto anima sensibile (Sinnenseele) abita nel corpo, in tutte le sue menti e parti, fecondata da esso, agisce dando ad esso forma e conservandolo; in quanto anima spirituale (Geistseele) si eleva al di sopra di s, guarda al mondo posto al di fuori del proprio io - un mondo di cose, persone, avvenimenti -, entra in contatto intelligentemente con questo, ed da esso fecondata; in quanto anima, nel senso pi proprio, per, abita in s, in essa l'io persona di casa. Qui si raccoglie tutto ci