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Vincenzo Gioberti Del primato morale e civile degli italiani Volume secondo www.liberliber.it Vincenzo Gioberti Del primato morale e civile degli italiani Volume secondo www.liberliber.it

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Vincenzo GiobertiDel primato morale e civile degli

italianiVolume secondo

www.liberliber.it

Vincenzo GiobertiDel primato morale e civile degli

italianiVolume secondo

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Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Del primato morale e civile degli italianivol.2AUTORE: Gioberti, VincenzoTRADUTTORE: CURATORE: Balsamo-Crivelli, GustavoNOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D’AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: {Del primato morale e civile degli ita-liani} 2 ; Vincenzo Gioberti ; Torino ; UTET, 1925,275 p. : ill. ; 18 cm. - (Collezione di classiciitaliani con note ; 24).Fa parte di: Del primato morale e civile degli ita-liani / Vincenzo Gioberti ; introduzione e note diGustavo Balsamo-Crivelli.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 16 novembre 2017

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TITOLO: Del primato morale e civile degli italianivol.2AUTORE: Gioberti, VincenzoTRADUTTORE: CURATORE: Balsamo-Crivelli, GustavoNOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

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TRATTO DA: {Del primato morale e civile degli ita-liani} 2 ; Vincenzo Gioberti ; Torino ; UTET, 1925,275 p. : ill. ; 18 cm. - (Collezione di classiciitaliani con note ; 24).Fa parte di: Del primato morale e civile degli ita-liani / Vincenzo Gioberti ; introduzione e note diGustavo Balsamo-Crivelli.

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI019000 FILOSOFIA / Politica

DIGITALIZZAZIONE:Mario Sciubba Caniglia

REVISIONE:Carlo Liva

IMPAGINAZIONE:Mario Sciubba Caniglia

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

Informazioni sul "progetto Manuzio"Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell’associa-zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo-glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio-ne e la diffusione gratuita di opere letterarie informato elettronico. Ulteriori informazioni sono di-sponibili sul sito Internet:http://www.liberliber.it/

Aiuta anche tu il "progetto Manuzio"Se questo "libro elettronico" è stato di tuo gradi-mento, o se condividi le finalità del "progetto Ma-nuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuosostegno ci aiuterà a far crescere ulteriormente lanostra biblioteca. Qui le istruzioni:http://www.liberliber.it/online/aiuta/

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COLLEZIONE

DI

CLASSICI ITALIANI

CON NOTE

FONDATA DA PIETRO TOMMASINI-MATTIUCCI

diretta da

GUSTAVO BALSAMO-CRIVELLI

————

Volume XXV

————

TORINOUNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

(già Ditta Pomba)

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COLLEZIONE

DI

CLASSICI ITALIANI

CON NOTE

FONDATA DA PIETRO TOMMASINI-MATTIUCCI

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GUSTAVO BALSAMO-CRIVELLI

————

Volume XXV

————

TORINOUNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

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VINCENZO GIOBERTI

DEL

PRIMATO MORALE E CIVILEDEGLI ITALIANI

———

INTRODUZIONE E NOTE

di

GUSTAVO BALSAMO-CRIVELLI

———

Volume SecondoCon tre tavole

TORINOUNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

(già Ditta Pomba)

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VINCENZO GIOBERTI

DEL

PRIMATO MORALE E CIVILEDEGLI ITALIANI

———

INTRODUZIONE E NOTE

di

GUSTAVO BALSAMO-CRIVELLI

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Volume SecondoCon tre tavole

TORINOUNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

(già Ditta Pomba)

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CLASSICI ITALIANI Vol. XXV, Tav I.

(Dal “Mondo illustrato„ del 27 dicembre 1847).

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CLASSICI ITALIANI Vol. XXV, Tav I.

(Dal “Mondo illustrato„ del 27 dicembre 1847).

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Indice generale

[PARTE PRIMA]......................................................16IV. – DEI DOVERI CIVILI..................................17

Dei doveri delle varie classi di cittadini, in ordi-ne all’unione d’Italia.Danni che nascono dalle dottrine esagerate di libertà.Esortazione agli esuli Italiani..........................17

Del debito che hanno gli italiani di amare e di osservare i loro rettori.....................................23

Quanto siano pestiferi gli adulatori dei principi.........................................................................28

Dei nobili.Il patriziato è difficilmente evitabile nelle so-cietà civili.Due specie di patriziato: feudale e civile. Il pri-mo è irragionevole, funesto e vituperoso. Il se-condo può esser lodevole e utile, quando venga accompagnato da certe condizioni.I cattivi nobili sono le rovine delle monarchie.........................................................................33

Dei chierici secolari.In che modo essi possono partecipare alle cose politiche..........................................................59

Lodi del chiericato italiano.Perchè l’episcopato di alcune province cattoli-

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Indice generale

[PARTE PRIMA]......................................................16IV. – DEI DOVERI CIVILI..................................17

Dei doveri delle varie classi di cittadini, in ordi-ne all’unione d’Italia.Danni che nascono dalle dottrine esagerate di libertà.Esortazione agli esuli Italiani..........................17

Del debito che hanno gli italiani di amare e di osservare i loro rettori.....................................23

Quanto siano pestiferi gli adulatori dei principi.........................................................................28

Dei nobili.Il patriziato è difficilmente evitabile nelle so-cietà civili.Due specie di patriziato: feudale e civile. Il pri-mo è irragionevole, funesto e vituperoso. Il se-condo può esser lodevole e utile, quando venga accompagnato da certe condizioni.I cattivi nobili sono le rovine delle monarchie.........................................................................33

Dei chierici secolari.In che modo essi possono partecipare alle cose politiche..........................................................59

Lodi del chiericato italiano.Perchè l’episcopato di alcune province cattoli-

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che sia stato talvolta men ragguardevole degli altri ordini clericali..........................................65

Dei frati. – Apologia del monachismo.Suoi beneficii rispetto alla civiltà europea......69

Quando (il monachismo) traligna si vuol rifor-mare, non abolire............................................77

Del monachismo orientale e dell’occidentale.Come questo si possa rendere fruttuoso al no-stro incivilimento............................................81

Danni che nascono dai chiostri degeneri..........91In che modo i frati possano influire salutarmentenella politica e cooperare al progressi civili.. .95

I frati debbono mettere nell’opinione il precipuo fondamento della loro vita............................100

Il culto delle scienze e delle lettere in generale, ma specialmente della filosofia, della politica e dell’istoria si addice al loro ministerio.........104

La scienza ideale è monastica per eccellenza.109Esortazione ai venerandi alunni del chiostro ita-liano...............................................................116

Della dignità clericale.....................................122Gli ecclesiastici debbono guardarsi cautamente dall’impicciolire o avvilire le cose della religio-ne.Si obbietta che i popoli moderni son men gran-di degli antichi.Risposta.........................................................125

Della tolleranza cristiana.Perchè nei tempi addietro violata in alcuni pae-

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che sia stato talvolta men ragguardevole degli altri ordini clericali..........................................65

Dei frati. – Apologia del monachismo.Suoi beneficii rispetto alla civiltà europea......69

Quando (il monachismo) traligna si vuol rifor-mare, non abolire............................................77

Del monachismo orientale e dell’occidentale.Come questo si possa rendere fruttuoso al no-stro incivilimento............................................81

Danni che nascono dai chiostri degeneri..........91In che modo i frati possano influire salutarmentenella politica e cooperare al progressi civili.. .95

I frati debbono mettere nell’opinione il precipuo fondamento della loro vita............................100

Il culto delle scienze e delle lettere in generale, ma specialmente della filosofia, della politica e dell’istoria si addice al loro ministerio.........104

La scienza ideale è monastica per eccellenza.109Esortazione ai venerandi alunni del chiostro ita-liano...............................................................116

Della dignità clericale.....................................122Gli ecclesiastici debbono guardarsi cautamente dall’impicciolire o avvilire le cose della religio-ne.Si obbietta che i popoli moderni son men gran-di degli antichi.Risposta.........................................................125

Della tolleranza cristiana.Perchè nei tempi addietro violata in alcuni pae-

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si.Tali violazioni non si possono imputare alla Chiesa cattolica.............................................135

Della dolcezza, prudenza e riserva clericale nel disputare e nel conversare.............................148

V. – CONCLUSIONE DELLA PRIMA PARTE 152Si mostra che il risorgimento d’Italia non può aver luogo, se non si rimettono in onore gli in-gegni privilegiati, e non si sottrae l’indirizzo delle cose al volgo degli uomini mediocri....152

PARTE SECONDA................................................163DEL PRIMATO ITALIANO, RISPETTO AL PEN-SIERO.................................................................163

Il primato dell’azione arguisce quello del pensie-ro.La maggioranza del pensiero è la sola che possainteramente rivivere. La preminenza scientifica e letteraria d’Italia non è assoluta.................163

I. – L’ITALIA È PRINCIPE NEGLI ORDINI UNI-VERSALI DELLA SCIENZA TEORICA DEI PRIMI.................................................................168

Due cagioni di tal principato, l’una obbiettiva e l’altra subbiettiva. Quella consiste nei due prin-cipii supremi di creazione e redenzione, rispon-denti ai due cicli della formula ideale.Fatto interposto tra l’uno e l’altro, cioè l’altera-zion del creato...............................................168

In che modo i due principii e il fatto che tramez-za si conoscano naturalmente.......................171

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si.Tali violazioni non si possono imputare alla Chiesa cattolica.............................................135

Della dolcezza, prudenza e riserva clericale nel disputare e nel conversare.............................148

V. – CONCLUSIONE DELLA PRIMA PARTE 152Si mostra che il risorgimento d’Italia non può aver luogo, se non si rimettono in onore gli in-gegni privilegiati, e non si sottrae l’indirizzo delle cose al volgo degli uomini mediocri....152

PARTE SECONDA................................................163DEL PRIMATO ITALIANO, RISPETTO AL PEN-SIERO.................................................................163

Il primato dell’azione arguisce quello del pensie-ro.La maggioranza del pensiero è la sola che possainteramente rivivere. La preminenza scientifica e letteraria d’Italia non è assoluta.................163

I. – L’ITALIA È PRINCIPE NEGLI ORDINI UNI-VERSALI DELLA SCIENZA TEORICA DEI PRIMI.................................................................168

Due cagioni di tal principato, l’una obbiettiva e l’altra subbiettiva. Quella consiste nei due prin-cipii supremi di creazione e redenzione, rispon-denti ai due cicli della formula ideale.Fatto interposto tra l’uno e l’altro, cioè l’altera-zion del creato...............................................168

In che modo i due principii e il fatto che tramez-za si conoscano naturalmente.......................171

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Che cosa sia il Primo in generale...................182Del primo riflessivo e scientifico, ossia della pa-rola................................................................186

Del Primo biblico...........................................190Del Primo tradizionale....................................192Del Primo ieratico: non si trova fuori del cattoli-cismo.............................................................198

Universalità intellettiva e operativa del cattolici-smo, quando sia beno inteso: inchiude e non esclude il lume razionale...............................200

L’enciclopedia perfetta non è possibile fuori del-la fede cattolica.............................................205

Il cattolicismo è il sistema unico ed universale.È il solo sistema veramente dogmatico.Perchè i migliori antichi non amassero lo scri-vere................................................................210

Unità della religione e della scienza nella formo-la ideale.Necessità dell’ontologismo per ristorarle e in-sieme accordarle...........................................216

Il Primo ieratico ci riconduce all’Italia e agl’Ita-liani, come a Primo geografico ed etnografico.......................................................................222

La storia conferma a evidenza questo privilegio della Penisola e de’ suoi abitatori..................224

L’Italia s’immedesima colla formola ideale.Due cicli etnografici......................................231

Della cagion subbiettiva del primato scientifico italiano.

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Che cosa sia il Primo in generale...................182Del primo riflessivo e scientifico, ossia della pa-rola................................................................186

Del Primo biblico...........................................190Del Primo tradizionale....................................192Del Primo ieratico: non si trova fuori del cattoli-cismo.............................................................198

Universalità intellettiva e operativa del cattolici-smo, quando sia beno inteso: inchiude e non esclude il lume razionale...............................200

L’enciclopedia perfetta non è possibile fuori del-la fede cattolica.............................................205

Il cattolicismo è il sistema unico ed universale.È il solo sistema veramente dogmatico.Perchè i migliori antichi non amassero lo scri-vere................................................................210

Unità della religione e della scienza nella formo-la ideale.Necessità dell’ontologismo per ristorarle e in-sieme accordarle...........................................216

Il Primo ieratico ci riconduce all’Italia e agl’Ita-liani, come a Primo geografico ed etnografico.......................................................................222

La storia conferma a evidenza questo privilegio della Penisola e de’ suoi abitatori..................224

L’Italia s’immedesima colla formola ideale.Due cicli etnografici......................................231

Della cagion subbiettiva del primato scientifico italiano.

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Dell’ingegno pelasgico, il quale spicca sovra-tutto in Italia.Eccellenza e vastità di esso.È il tipo più perfetto dell’ingegno caucasico e quindi umano in universale.La stirpe germanica, benchè nobilissima, non possiede quella maggioranza morale e fisiologi-ca che alcuni le attribuiscono........................235

II. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE FILOSOFICHE...................................................243

Il principio protologico del sapere domina nelle sue speculazioni............................................243

Il panteismo schietto e assoluto fu sempre ignotoall’Italia.Delle varie epoche o forme della filosofia italia-na.Prima forma; il Pitagorismo: sue lodi...........246

Seconda forma; la filosofia latina.Terza forma; la filosofia de’ Padri.Quarta forma; il realismo dei bassi tempi, il quale fu un sistema sovrattutto italiano........250

Quinta forma; il rinnovamento di alcuni sistemi antichi; imitazione del gentilesimo.Del Vico unico a’ suoi tempi; non ebbe scuola, perchè egli solo val più di una scuola.Sesta forma; imitazione francese.Settima e ultima forma; imitazione scozzese e tedesca.Necessità di una riforma italiana della filosofia.

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Dell’ingegno pelasgico, il quale spicca sovra-tutto in Italia.Eccellenza e vastità di esso.È il tipo più perfetto dell’ingegno caucasico e quindi umano in universale.La stirpe germanica, benchè nobilissima, non possiede quella maggioranza morale e fisiologi-ca che alcuni le attribuiscono........................235

II. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE FILOSOFICHE...................................................243

Il principio protologico del sapere domina nelle sue speculazioni............................................243

Il panteismo schietto e assoluto fu sempre ignotoall’Italia.Delle varie epoche o forme della filosofia italia-na.Prima forma; il Pitagorismo: sue lodi...........246

Seconda forma; la filosofia latina.Terza forma; la filosofia de’ Padri.Quarta forma; il realismo dei bassi tempi, il quale fu un sistema sovrattutto italiano........250

Quinta forma; il rinnovamento di alcuni sistemi antichi; imitazione del gentilesimo.Del Vico unico a’ suoi tempi; non ebbe scuola, perchè egli solo val più di una scuola.Sesta forma; imitazione francese.Settima e ultima forma; imitazione scozzese e tedesca.Necessità di una riforma italiana della filosofia.

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......................................................................254Di Terenzio Mamiani......................................260La filosofia italiana si dee fondare sul principio di creazione.Il non aver piantata la filosofia su questo princi-pio fu causa della sua declinazione...............263

III. L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE RELIGIOSE.......................................................269

La teologia sottostà e sovrasta alla filosofia per diversi rispetti. La teologia cattolica è la sola che meriti il nome di scienza.Sue doti.La declinazione di essa nacque principalmente dai Francesi...................................................269

Della immutabilità, perfettibilità e libertà della teologia cattolica. Cenno sulla storia e sulle vi-cende di essa.................................................277

Riforma, di cui abbisogna [la teologia cattolica].Dee fondarsi sulla formola ideale.................284

[La teologia cattolica] dee combattere gli errori vivi, non gli errori morti; dee volgere tutte le sue forze alla difesa del dogma, esser parca e temperatissima nelle opinioni.......................287

IV. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE CALCOLATRICI, OSSERVATIVE E SPERIMEN-TALI...................................................................294

Esse abbisognano della filosofia per acquistar l’abito perfetto di scienza.La matematica sublime è fondata specialmente

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......................................................................254Di Terenzio Mamiani......................................260La filosofia italiana si dee fondare sul principio di creazione.Il non aver piantata la filosofia su questo princi-pio fu causa della sua declinazione...............263

III. L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE RELIGIOSE.......................................................269

La teologia sottostà e sovrasta alla filosofia per diversi rispetti. La teologia cattolica è la sola che meriti il nome di scienza.Sue doti.La declinazione di essa nacque principalmente dai Francesi...................................................269

Della immutabilità, perfettibilità e libertà della teologia cattolica. Cenno sulla storia e sulle vi-cende di essa.................................................277

Riforma, di cui abbisogna [la teologia cattolica].Dee fondarsi sulla formola ideale.................284

[La teologia cattolica] dee combattere gli errori vivi, non gli errori morti; dee volgere tutte le sue forze alla difesa del dogma, esser parca e temperatissima nelle opinioni.......................287

IV. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE CALCOLATRICI, OSSERVATIVE E SPERIMEN-TALI...................................................................294

Esse abbisognano della filosofia per acquistar l’abito perfetto di scienza.La matematica sublime è fondata specialmente

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sul dogma di creazione.Primato dell’Italia in amendue queste discipli-ne.Di Archimede, che spianò la via al calcolo infi-nitesimale, ed è il primo matematico e meccani-co degli antichi tempi.Di Galileo, inventore degli strumenti, introdut-tore dei metodi appropriati alle scienze speri-mentali, e creatore della fisica moderna.......294

Del calcolo e delle ipotesi in ordine alle discipli-ne naturali.....................................................300

La maggioranza dei moderni sugli antichi in questo genere di conoscenze nasce dal principiodi creazione...................................................305

Attinenze del principio di creazione e del princi-pio di redenzione collo studio speculativo e pratico della natura........................................308

V – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE CIVILI................................................................314

La loro perfezione consiste nell’accoppiamento della speculazione colla pratica.Il tipo ideale del buon governo è connaturale all’Italia.Descrizione di questo tipo.............................314

Dei due cicli politici. – Della monarchia cristia-na.Sua differenza dalla paganica.......................323

Note principali del principato ideale e cattolico: è legittimo, paterno, civile, temperato, aristo-

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sul dogma di creazione.Primato dell’Italia in amendue queste discipli-ne.Di Archimede, che spianò la via al calcolo infi-nitesimale, ed è il primo matematico e meccani-co degli antichi tempi.Di Galileo, inventore degli strumenti, introdut-tore dei metodi appropriati alle scienze speri-mentali, e creatore della fisica moderna.......294

Del calcolo e delle ipotesi in ordine alle discipli-ne naturali.....................................................300

La maggioranza dei moderni sugli antichi in questo genere di conoscenze nasce dal principiodi creazione...................................................305

Attinenze del principio di creazione e del princi-pio di redenzione collo studio speculativo e pratico della natura........................................308

V – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE CIVILI................................................................314

La loro perfezione consiste nell’accoppiamento della speculazione colla pratica.Il tipo ideale del buon governo è connaturale all’Italia.Descrizione di questo tipo.............................314

Dei due cicli politici. – Della monarchia cristia-na.Sua differenza dalla paganica.......................323

Note principali del principato ideale e cattolico: è legittimo, paterno, civile, temperato, aristo-

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Page 14: Del primato morale e civile degli italiani · Fa parte di: Del primato morale e civile degli ita-liani / Vincenzo Gioberti ; ... mentali, e creatore della fisica moderna.....294 Del

cratico, popolano, stabile, progressivo, inviola-bile, modesto, giusto, clemente, amatore della verità e della religione...................................333

Cenno sulla storia della monarchia cristiana e sulle sue vicissitudini....................................361

Dei varii rami della scienza civile, e in ispecie dell’economia pubblica.................................366

VI. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLA MOLTIPLI-CE ERUDIZIONE E NELLA STORIA.............372

Nel culto di esse la stirpe pelasgica è superiore atutte le altre schiatte.Dell’orientalità e suoi vantaggi.....................372

Vizi opposti della erudizione ipotetica e della erudizione empirica.Per cansarli, la storia si dee fondare sopra una scienza ideale................................................376

Definizione della scienza ideale.Due cicli storici. – L’uno precedette il moltipli-ce nella storia, come in ogni altro ordine del creato.............................................................381

Della filosofia storica: varie specie di essa.....387Dei Primi storici in generale.Attinenze dei Primi storici col Primo biblico.......................................................................392

Della Genesi; suo processo.............................399Dell’Evangelo e dei Primi storici, che vi si rac-chiuggono......................................................414

Necessità della sintesi negli studii storiali.Canonica della storia.....................................417

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cratico, popolano, stabile, progressivo, inviola-bile, modesto, giusto, clemente, amatore della verità e della religione...................................333

Cenno sulla storia della monarchia cristiana e sulle sue vicissitudini....................................361

Dei varii rami della scienza civile, e in ispecie dell’economia pubblica.................................366

VI. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLA MOLTIPLI-CE ERUDIZIONE E NELLA STORIA.............372

Nel culto di esse la stirpe pelasgica è superiore atutte le altre schiatte.Dell’orientalità e suoi vantaggi.....................372

Vizi opposti della erudizione ipotetica e della erudizione empirica.Per cansarli, la storia si dee fondare sopra una scienza ideale................................................376

Definizione della scienza ideale.Due cicli storici. – L’uno precedette il moltipli-ce nella storia, come in ogni altro ordine del creato.............................................................381

Della filosofia storica: varie specie di essa.....387Dei Primi storici in generale.Attinenze dei Primi storici col Primo biblico.......................................................................392

Della Genesi; suo processo.............................399Dell’Evangelo e dei Primi storici, che vi si rac-chiuggono......................................................414

Necessità della sintesi negli studii storiali.Canonica della storia.....................................417

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Universalità della storia d’Italia e italianità della storia in generale...........................................422

L’Italia è il Primo e l’Ultimo della storia.Maggioranza della storia presso i popoli cristia-ni su quella delle nazioni gentilesche.Dell’uso erudito degli archivii......................425

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Universalità della storia d’Italia e italianità della storia in generale...........................................422

L’Italia è il Primo e l’Ultimo della storia.Maggioranza della storia presso i popoli cristia-ni su quella delle nazioni gentilesche.Dell’uso erudito degli archivii......................425

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[PARTE PRIMA]

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[PARTE PRIMA]

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IV. – DEI DOVERI CIVILI

Dei doveri delle varie classi di cittadini, in ordineall’unione d’Italia.

Danni che nascono dalle dottrine esagerate di libertà.Esortazione agli esuli Italiani.

Quantunque le riforme civili onde abbisogna l’Italiadebbano esser fatte dai governanti, che sono la sorgentenaturale e sincera di ogni miglioramento, esse voglionovenire aiutate e promosse dall’opinione pubblica; il chem’invita a passare dal debito dei principi a quello deipopoli. Perchè, siccome i primi debbono conciliarsil’amor del secondi, non ripugnando ai ragionevoli pro-gressi, i secondi hanno l’obbligo di amicarsi i primi,rendendosi meritevoli dei beni che ne ricevono e se nepromettono. Due cose concorrono a far degna una na-zione degli incrementi civili: l’una è lo zelo animoso,necessario per cavarne profitto; l’altra è la moderazioneassennata, richiesta per non abusarne; perchè chi abusadel bene lo rende malefico, e chi non sa prevalersene,nè, maneggiandolo a proposito qual capitale vivo, farlofruttare, lo rende inutile. Per evitare questi due inconve-nienti, la via più semplice è appunto quella che dee es-sere seguita altresì dai governi, e sta nel consigliarsi colsenno patrio, nell’erudirsi ed accendersi cogli antichiesempi, nel dismettere al tutto le tratte esotiche e le imi-tazioni peregrine. Io non mi stancherò mai di ripeterlo,

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IV. – DEI DOVERI CIVILI

Dei doveri delle varie classi di cittadini, in ordineall’unione d’Italia.

Danni che nascono dalle dottrine esagerate di libertà.Esortazione agli esuli Italiani.

Quantunque le riforme civili onde abbisogna l’Italiadebbano esser fatte dai governanti, che sono la sorgentenaturale e sincera di ogni miglioramento, esse voglionovenire aiutate e promosse dall’opinione pubblica; il chem’invita a passare dal debito dei principi a quello deipopoli. Perchè, siccome i primi debbono conciliarsil’amor del secondi, non ripugnando ai ragionevoli pro-gressi, i secondi hanno l’obbligo di amicarsi i primi,rendendosi meritevoli dei beni che ne ricevono e se nepromettono. Due cose concorrono a far degna una na-zione degli incrementi civili: l’una è lo zelo animoso,necessario per cavarne profitto; l’altra è la moderazioneassennata, richiesta per non abusarne; perchè chi abusadel bene lo rende malefico, e chi non sa prevalersene,nè, maneggiandolo a proposito qual capitale vivo, farlofruttare, lo rende inutile. Per evitare questi due inconve-nienti, la via più semplice è appunto quella che dee es-sere seguita altresì dai governi, e sta nel consigliarsi colsenno patrio, nell’erudirsi ed accendersi cogli antichiesempi, nel dismettere al tutto le tratte esotiche e le imi-tazioni peregrine. Io non mi stancherò mai di ripeterlo,

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giacchè questa massima così triviale è l’epilogo dellaitaliana sapienza in ogni genere di cose e di cognizioni,e l’unica via che ci soccorra, per riacquistare nei pensie-ri e nelle opere l’antica grandezza. Corrono per l’Europacerte dottrine frivole di civiltà chimerica e di libertà ec-cessiva, divulgate massimamente dalla Francia, ma natedalla Gran Bretagna; giacchè l’ingegno francese, abilis-simo a diffondere e rendere volgari i pensamenti deglialtri, non è ugualmente atto a trovarne dei proprii, edanco nel trasviarsi suoi premere le altrui pedate1, Talidottrine, che dove sorsero o traposte allignarono, furonoartefici d’incendio e di rovina, hanno oggi perduto assaidel loro credito; tuttavia esse vengono ancora accarezza-te dai giovani, i quali per la fervida età e la generosa in-dole, disgiunta dalla esperienza degli uomini e delle fac-cende, sono inclinati ad abbellire le cose, sostituisconoalla trista realtà una perfezione ideale che non si trova, esi governano colla immaginativa, che essendo quasi unareminiscenza o un presentimento di un’altra vita, rap-presenta gli oggetti come dovrebbero, ma non possono,essere negli ordini della presente. V’ha inoltre una clas-se d’uomini, che facilmente trasmoda nei voti e nelle

1 A pag, 939 del Ms. 24 della Biblioteca Civica di Torino il Gioberti proferi-sce un identico giudizio dell’ingegno francese nel seguente passo: «LaGermania è la vera casa della eterodossia europea perchè ivi nacque la Ri-forma; i suoi abitatori sono per profondità e idealità di ingegno i primi diEuropa. Ma la Francia è l’officina che tira fuori, fonde, lavora quelle molimassiccie di greggio metallo e ridottole a filo o lastre sottilissime ne fa dellavorietti gentili ma senza consistenza e delle barricature appariscenti cheottengono uno spaccio universale».

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giacchè questa massima così triviale è l’epilogo dellaitaliana sapienza in ogni genere di cose e di cognizioni,e l’unica via che ci soccorra, per riacquistare nei pensie-ri e nelle opere l’antica grandezza. Corrono per l’Europacerte dottrine frivole di civiltà chimerica e di libertà ec-cessiva, divulgate massimamente dalla Francia, ma natedalla Gran Bretagna; giacchè l’ingegno francese, abilis-simo a diffondere e rendere volgari i pensamenti deglialtri, non è ugualmente atto a trovarne dei proprii, edanco nel trasviarsi suoi premere le altrui pedate1, Talidottrine, che dove sorsero o traposte allignarono, furonoartefici d’incendio e di rovina, hanno oggi perduto assaidel loro credito; tuttavia esse vengono ancora accarezza-te dai giovani, i quali per la fervida età e la generosa in-dole, disgiunta dalla esperienza degli uomini e delle fac-cende, sono inclinati ad abbellire le cose, sostituisconoalla trista realtà una perfezione ideale che non si trova, esi governano colla immaginativa, che essendo quasi unareminiscenza o un presentimento di un’altra vita, rap-presenta gli oggetti come dovrebbero, ma non possono,essere negli ordini della presente. V’ha inoltre una clas-se d’uomini, che facilmente trasmoda nei voti e nelle

1 A pag, 939 del Ms. 24 della Biblioteca Civica di Torino il Gioberti proferi-sce un identico giudizio dell’ingegno francese nel seguente passo: «LaGermania è la vera casa della eterodossia europea perchè ivi nacque la Ri-forma; i suoi abitatori sono per profondità e idealità di ingegno i primi diEuropa. Ma la Francia è l’officina che tira fuori, fonde, lavora quelle molimassiccie di greggio metallo e ridottole a filo o lastre sottilissime ne fa dellavorietti gentili ma senza consistenza e delle barricature appariscenti cheottengono uno spaccio universale».

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speranze di tal sorte, ed è quella dei fuorusciti; molti deiquali, bramosi del maggior bene della patria loro, ina-cerbiti dalla sventura e dall’esilio, stralciati dalla fami-glia e dalle più care e dilette consuetudini, e spesso co-stretti a vivere solitari e raminghi fra gente sconosciuta,scambiano facilmente il possibile col probabile, misura-no la fiducia col desiderio, disconoscono l’indole delpaese e del secolo, s’ingannano degli uomini, esageran-done il bene ed il male, torcono i loro difetti reali controla bontà delle instituzioni presenti, e appoggiano allevirtù putative dei medesimi quello stato di cose, che so-gnano per l’avvenire. Siccome anch’io fui schiantatodalla mia patria1, e oggi vivo in un esilio volontario, chesarà perpetuo, e in cui conobbi fra i miei compagnid’infortunio molti uomini onorandi, ad alcuni dei qualimi pregio di essere amico, non solo sarei ingiusto, mamostrerei un animo ignobile e vile se non rendessi pub-blico omaggio alla rettitudine delle intenzioni, alla gene-rosità dell’animo, alla bontà dell’ingegno, alla illibatez-za dei costumi e della vita di non pochi, eziandio fra co-loro che per le loro opinioni politiche mi paiono più lon-tani dall’opportuna moderanza. Ma l’amore ch’io portoall’Italia, e il vivo desiderio che tengo d’ogni suo bene,mi obbligano ad aggiungere che nulla più osta, secondoil parere mio, al risorgimento della comune patria, che ledottrine intemperate, e l’opera di quelli che le spargono

1 Il Gioberti fu esiliato nell’ottobre del 1833 dopo una prigionia di quattromesi nella Cittadella di Torino. Sul processo del G. cfr. E. SOLMI, Il costitu-to di V.G. in «Il Risorgimento Italiano», vol, IV, 1911.

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speranze di tal sorte, ed è quella dei fuorusciti; molti deiquali, bramosi del maggior bene della patria loro, ina-cerbiti dalla sventura e dall’esilio, stralciati dalla fami-glia e dalle più care e dilette consuetudini, e spesso co-stretti a vivere solitari e raminghi fra gente sconosciuta,scambiano facilmente il possibile col probabile, misura-no la fiducia col desiderio, disconoscono l’indole delpaese e del secolo, s’ingannano degli uomini, esageran-done il bene ed il male, torcono i loro difetti reali controla bontà delle instituzioni presenti, e appoggiano allevirtù putative dei medesimi quello stato di cose, che so-gnano per l’avvenire. Siccome anch’io fui schiantatodalla mia patria1, e oggi vivo in un esilio volontario, chesarà perpetuo, e in cui conobbi fra i miei compagnid’infortunio molti uomini onorandi, ad alcuni dei qualimi pregio di essere amico, non solo sarei ingiusto, mamostrerei un animo ignobile e vile se non rendessi pub-blico omaggio alla rettitudine delle intenzioni, alla gene-rosità dell’animo, alla bontà dell’ingegno, alla illibatez-za dei costumi e della vita di non pochi, eziandio fra co-loro che per le loro opinioni politiche mi paiono più lon-tani dall’opportuna moderanza. Ma l’amore ch’io portoall’Italia, e il vivo desiderio che tengo d’ogni suo bene,mi obbligano ad aggiungere che nulla più osta, secondoil parere mio, al risorgimento della comune patria, che ledottrine intemperate, e l’opera di quelli che le spargono

1 Il Gioberti fu esiliato nell’ottobre del 1833 dopo una prigionia di quattromesi nella Cittadella di Torino. Sul processo del G. cfr. E. SOLMI, Il costitu-to di V.G. in «Il Risorgimento Italiano», vol, IV, 1911.

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e promulgano dentro e fuori della Penisola1. Imperoc-chè, oltre all’eccitare il timore e la diffidenza dei princi-pi, allontanandoli dalle mutazioni savie e opportune,esse alienano dalla buona causa anche gli uomini pru-denti e assegnati o timidi e rimessi; i quali, vedendo glispiriti propensi alle improntitudini, e lo stato sull’orlodel precipizio, temono che il minimo cambiamento glidia la pinta, e antepongono i vecchi abusi alle novità pe-ricolose. E mentre i buoni si sconfortano dal desideraree consigliare il bene, i cattivi ne pigliano argomento ecoraggio per mantenere ed accrescere il male; onde sipuò dire che a niuno tanto giova l’immoderanza civiledelle opinioni, quanto alla feccia degl’ipocriti e dei ri-baldi. E siccome le dottrine infiammative e perturbatricia lungo andare prorompono, ne nascono que’ conati dirivoluzioni abortive, che inducono i governi a ristringereil freno invece di allargarlo, e talvolta ad incrudelire conorribili giustizie, con lunghe e implacabili vendette. Cia-scuno di questi sconvolgimenti, invece di avanzare la ci-viltà, la fa indietrare di molti lustri: rompe ogni vincolodi amore e di fiducia tra i principi ed i sudditi: scemal’autorità e il credito dei buoni cittadini, accrescendo perristoro l’ardire e la possanza degli sciagurati: seminaodii e rancori occulti, che spesso scoppiano e fruttano

1 Anche nell’Avvertenza del «Buono» il G. avverte che «il morbo principaled’Italia consiste nel ripudiare i farmachi applicabili e giovaturi e certi mez-zi violenti i quali non servono ad altro che ad accrescere il male e ad avac-ciare la morte. Tali sono i conati rivoltosi che quasi ogni anno funestano lenostre terre, ciascuno dei quali fa dietreggiare la civiltà di più lustri o pre-para il dominio straniero».

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e promulgano dentro e fuori della Penisola1. Imperoc-chè, oltre all’eccitare il timore e la diffidenza dei princi-pi, allontanandoli dalle mutazioni savie e opportune,esse alienano dalla buona causa anche gli uomini pru-denti e assegnati o timidi e rimessi; i quali, vedendo glispiriti propensi alle improntitudini, e lo stato sull’orlodel precipizio, temono che il minimo cambiamento glidia la pinta, e antepongono i vecchi abusi alle novità pe-ricolose. E mentre i buoni si sconfortano dal desideraree consigliare il bene, i cattivi ne pigliano argomento ecoraggio per mantenere ed accrescere il male; onde sipuò dire che a niuno tanto giova l’immoderanza civiledelle opinioni, quanto alla feccia degl’ipocriti e dei ri-baldi. E siccome le dottrine infiammative e perturbatricia lungo andare prorompono, ne nascono que’ conati dirivoluzioni abortive, che inducono i governi a ristringereil freno invece di allargarlo, e talvolta ad incrudelire conorribili giustizie, con lunghe e implacabili vendette. Cia-scuno di questi sconvolgimenti, invece di avanzare la ci-viltà, la fa indietrare di molti lustri: rompe ogni vincolodi amore e di fiducia tra i principi ed i sudditi: scemal’autorità e il credito dei buoni cittadini, accrescendo perristoro l’ardire e la possanza degli sciagurati: seminaodii e rancori occulti, che spesso scoppiano e fruttano

1 Anche nell’Avvertenza del «Buono» il G. avverte che «il morbo principaled’Italia consiste nel ripudiare i farmachi applicabili e giovaturi e certi mez-zi violenti i quali non servono ad altro che ad accrescere il male e ad avac-ciare la morte. Tali sono i conati rivoltosi che quasi ogni anno funestano lenostre terre, ciascuno dei quali fa dietreggiare la civiltà di più lustri o pre-para il dominio straniero».

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nuovo sangue dopo il volgere di molte generazioni; e in-fine priva la patria di molti figli, che avrebbero potutocolla mano o col senno giovarle. Ecco quali sono i fruttidelle rivoluzioni che non riescono; e quelle che riesconosogliono essere ancor più tremende, perchè, secondoun’equa legge del cielo, la quiete, la felicità e la giusti-zia non possono nascere dai corrucci e dalla violenza, sela macchia dell’origine non è lavata col sangue dei pro-fanatori. Ma, certo, questi eccessi non si sarebbero maiveduti in Italia, se tutti i suoi figliuoli si fossero sempreguardati dal pensare e sentire alla francese; perchè ledottrine democratiche, tumultuarie e licenziose sonocontrarie al nostro genio nazionale. Ciò non vuol direche gl’Italiani, essendo uomini e avendo le passioni pro-prie della comune natura, la rea zizzania non sia potutatalvolta pullulare spontaneamente nel loro seno; ma daCilone e dai Gracchi sino ai Ciompi, i demagoghi e leloro opere non furono mai approvate dal corpo della na-zione. Non troverai fra i nostri grandi scrittori chi le ab-bia commendate e ridotte in arte, come si è fatto in altripaesi; anzi tutti le abbominarono e le combatterono, daiPitagorici a Vittorio Alfieri, il quale fulminò in modosolenne quella libertà che aveva adorata, come prima di-venne bieca e sanguinosa. Questa pietosa sapienza deeessere la guida di tutti i buoni figliuoli d’Italia, in qual-sivoglia stato di fortuna si trovino. Esuli italiani, ricor-datevi che l’esilio è santo, e che, usandolo assennata-mente e consacrandolo con nobili studi, potete renderlo

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nuovo sangue dopo il volgere di molte generazioni; e in-fine priva la patria di molti figli, che avrebbero potutocolla mano o col senno giovarle. Ecco quali sono i fruttidelle rivoluzioni che non riescono; e quelle che riesconosogliono essere ancor più tremende, perchè, secondoun’equa legge del cielo, la quiete, la felicità e la giusti-zia non possono nascere dai corrucci e dalla violenza, sela macchia dell’origine non è lavata col sangue dei pro-fanatori. Ma, certo, questi eccessi non si sarebbero maiveduti in Italia, se tutti i suoi figliuoli si fossero sempreguardati dal pensare e sentire alla francese; perchè ledottrine democratiche, tumultuarie e licenziose sonocontrarie al nostro genio nazionale. Ciò non vuol direche gl’Italiani, essendo uomini e avendo le passioni pro-prie della comune natura, la rea zizzania non sia potutatalvolta pullulare spontaneamente nel loro seno; ma daCilone e dai Gracchi sino ai Ciompi, i demagoghi e leloro opere non furono mai approvate dal corpo della na-zione. Non troverai fra i nostri grandi scrittori chi le ab-bia commendate e ridotte in arte, come si è fatto in altripaesi; anzi tutti le abbominarono e le combatterono, daiPitagorici a Vittorio Alfieri, il quale fulminò in modosolenne quella libertà che aveva adorata, come prima di-venne bieca e sanguinosa. Questa pietosa sapienza deeessere la guida di tutti i buoni figliuoli d’Italia, in qual-sivoglia stato di fortuna si trovino. Esuli italiani, ricor-datevi che l’esilio è santo, e che, usandolo assennata-mente e consacrandolo con nobili studi, potete renderlo

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onorevole e fruttuoso alla patria1. Quanto più è difficileil serbare fra gl’infortunii la moderazione dell’animo, ela pacatezza dei giudizi e dei sentimenti, tanto più il far-lo è bello e glorioso. Qualunque sia il cielo sotto cui lasorte vi ha balestrati, e le angustie a cui siete ridotti, nondovete consigliarvi colla vostra sventura per giudicaredegli uomini e dei tempi. Guardatevi dal pigliare i co-stumi e gli errori della contrada in cui vivete: studiatebensì gli uomini e le cose loro; ma custodite intatto ilgenio patrio, e serbatevi immacolati dalle opinioni edusanze forestiere. Sappiate essere ingenui e liberi Italia-ni, pensando e sentendo italianamente anco fra i barbari;chè il resistere alle lusinghe straniere è la miglior provache dar possiate di grande animo e affettuoso verso ilpaese natìo. Pigliate a modelli per questo rispetto Ca-millo e Dante; i quali non imitarono i costumi, nons’intinsero, per quanto io mi sappia, delle dottrine e cre-denze galliche. Conservate fra i tristi esempi del secolola fede di Cristo, come la più gloriosa insegna italiana.Siate buoni cattolici, senza rossore e senza ostentazione:pensate che la religione, da cui venne benedetto il primovostro sorriso, spargerà pure di dolcezza la vostra ago-nia, e che essa è l’unica speranza di chi travaglia in esi-lio; perchè chi crede ha, morendo, il regresso alla patria.Guardatevi dall’empio voto di turbar la quiete del vostronido nativo, per agevolarvi il modo di riacquistarlo; im-perocchè in nessun caso e per nessun fine vi è lecito1 Cfr. quanto il Gioberti scrive intorno alla triste condizione dell’esule e ai

benefici dell’esiglio in Prolegomeni (Losanna, 1846), pag. 362 e segg.

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onorevole e fruttuoso alla patria1. Quanto più è difficileil serbare fra gl’infortunii la moderazione dell’animo, ela pacatezza dei giudizi e dei sentimenti, tanto più il far-lo è bello e glorioso. Qualunque sia il cielo sotto cui lasorte vi ha balestrati, e le angustie a cui siete ridotti, nondovete consigliarvi colla vostra sventura per giudicaredegli uomini e dei tempi. Guardatevi dal pigliare i co-stumi e gli errori della contrada in cui vivete: studiatebensì gli uomini e le cose loro; ma custodite intatto ilgenio patrio, e serbatevi immacolati dalle opinioni edusanze forestiere. Sappiate essere ingenui e liberi Italia-ni, pensando e sentendo italianamente anco fra i barbari;chè il resistere alle lusinghe straniere è la miglior provache dar possiate di grande animo e affettuoso verso ilpaese natìo. Pigliate a modelli per questo rispetto Ca-millo e Dante; i quali non imitarono i costumi, nons’intinsero, per quanto io mi sappia, delle dottrine e cre-denze galliche. Conservate fra i tristi esempi del secolola fede di Cristo, come la più gloriosa insegna italiana.Siate buoni cattolici, senza rossore e senza ostentazione:pensate che la religione, da cui venne benedetto il primovostro sorriso, spargerà pure di dolcezza la vostra ago-nia, e che essa è l’unica speranza di chi travaglia in esi-lio; perchè chi crede ha, morendo, il regresso alla patria.Guardatevi dall’empio voto di turbar la quiete del vostronido nativo, per agevolarvi il modo di riacquistarlo; im-perocchè in nessun caso e per nessun fine vi è lecito1 Cfr. quanto il Gioberti scrive intorno alla triste condizione dell’esule e ai

benefici dell’esiglio in Prolegomeni (Losanna, 1846), pag. 362 e segg.

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l’impugnare e provocare le armi contro la terra che vi hadato la vita. Il rinnegare la patria, benchè ingrata, è cosadetestabile; il vendicarsene, ancor più immane ed orren-do: e se il serbar fede alla Grecia levò al cielo la fama diTernistocle, il rendersi volsco e marciar contro Romafruttò infamia indelebile al nome di Coriolano.

Del debito che hanno gli italiani di amare e di osservare i lororettori.

Un altro debito dei buoni Italiani, che concorre al me-desimo effetto di conciliarsi la benevolenza di chi co-manda, è l’amore e la riverenza verso le persone dei loroprincipi. L’amore per ordinario genera amore1; ed è as-sai difficile che un monarca, il quale si conosca amatoda’ suoi soggetti, non li riami e non si senta inclinato abeneficarli. Gli acerbi portamenti di chi regge sono tal-volta causati dalla durezza restia di chi è retto, e dal di-spetto che provano i potenti a vedere mal ricambiate osinistramente interpretate le loro intenzioni. Spesso ac-cade che un principe vuole il bene e non riesce a operar-lo, o per errore involontario, o per cattiva fortuna, o perostacoli insuperabili: se in tal caso si vede rimeritato aritroso del suo buon volere e punito di uno sbaglio o diun sinistro incolpevole coll’odio e col disprezzo, eglidovrebbe essere più che uomo a non mostrarne risenti-mento. Non mancano nella storia luttuosi esempi di ti-rannidi nate da questa cagione; per cui tali principi, che1 Cfr. DANTE, Purgatorio, XXII, 10-12: «amore | acceso da virtù sempre altro

accese, | pur che la fiamma sua paresse fuore».

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l’impugnare e provocare le armi contro la terra che vi hadato la vita. Il rinnegare la patria, benchè ingrata, è cosadetestabile; il vendicarsene, ancor più immane ed orren-do: e se il serbar fede alla Grecia levò al cielo la fama diTernistocle, il rendersi volsco e marciar contro Romafruttò infamia indelebile al nome di Coriolano.

Del debito che hanno gli italiani di amare e di osservare i lororettori.

Un altro debito dei buoni Italiani, che concorre al me-desimo effetto di conciliarsi la benevolenza di chi co-manda, è l’amore e la riverenza verso le persone dei loroprincipi. L’amore per ordinario genera amore1; ed è as-sai difficile che un monarca, il quale si conosca amatoda’ suoi soggetti, non li riami e non si senta inclinato abeneficarli. Gli acerbi portamenti di chi regge sono tal-volta causati dalla durezza restia di chi è retto, e dal di-spetto che provano i potenti a vedere mal ricambiate osinistramente interpretate le loro intenzioni. Spesso ac-cade che un principe vuole il bene e non riesce a operar-lo, o per errore involontario, o per cattiva fortuna, o perostacoli insuperabili: se in tal caso si vede rimeritato aritroso del suo buon volere e punito di uno sbaglio o diun sinistro incolpevole coll’odio e col disprezzo, eglidovrebbe essere più che uomo a non mostrarne risenti-mento. Non mancano nella storia luttuosi esempi di ti-rannidi nate da questa cagione; per cui tali principi, che1 Cfr. DANTE, Purgatorio, XXII, 10-12: «amore | acceso da virtù sempre altro

accese, | pur che la fiamma sua paresse fuore».

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bene incominciarono e avrebbero tenuta sempre la stes-sa via, scorati e sdegnati, diventarono cattivi, e infineriuscirono pessimi. All’incontro niente più incuora altria ben fare, niente è più dolce che l’amor del popolo achi possiede la somma potenza; perchè fra tutti gli onorich’egli riceve, la benevolenza è il solo omaggio che siaspontaneo e possa essergli dinegato. Sforzate adunque iprincipi a bene operare colla fiducia e coll’affetto; equando essi cominciano a retribuir l’amor vostro conqualche benefizio, mostratevene grati: così gli animeretea proseguire e a vincere di mano in mano sè stessi inquesto nobile aringo. Qual è il sovrano che non si stu-dierebbe di segnalare ciascun giorno del suo regno conqualche atto di virtù pubblica, se vedesse che ogni suosforzo è riconosciuto e benedetto, che gli accrescel’amore e la riverenza dell’universale? Perchè chi regnacarica di favori i suoi cortigiani, spesso indegnissimi?Perchè crede di esserne amato, e il talento di beneficareè naturalmente eccitato dalla benevolenza. E se i domi-nanti talvolta errano, ricordatevi che sono uomini e sog-getti alle comuni miserie. Ricordatevi che sonoanch’essi i nostri fratelli di natura e di redenzione, e chela loro grandezza non ci dispensa dal debito che abbia-mo di usar verso tutti un benevolo compatimento, pen-sando nel giudicarli, che, quali siamo duri o benigni ver-so gli altri, tal proveremo un giorno a nostro riguardo ilsupremo diffinitore. Imperocchè grandi e tremendi sonogli obblighi del principe, ma grandi pure e non men for-midabili le tentazioni e i pericoli del principato. L’uomo

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bene incominciarono e avrebbero tenuta sempre la stes-sa via, scorati e sdegnati, diventarono cattivi, e infineriuscirono pessimi. All’incontro niente più incuora altria ben fare, niente è più dolce che l’amor del popolo achi possiede la somma potenza; perchè fra tutti gli onorich’egli riceve, la benevolenza è il solo omaggio che siaspontaneo e possa essergli dinegato. Sforzate adunque iprincipi a bene operare colla fiducia e coll’affetto; equando essi cominciano a retribuir l’amor vostro conqualche benefizio, mostratevene grati: così gli animeretea proseguire e a vincere di mano in mano sè stessi inquesto nobile aringo. Qual è il sovrano che non si stu-dierebbe di segnalare ciascun giorno del suo regno conqualche atto di virtù pubblica, se vedesse che ogni suosforzo è riconosciuto e benedetto, che gli accrescel’amore e la riverenza dell’universale? Perchè chi regnacarica di favori i suoi cortigiani, spesso indegnissimi?Perchè crede di esserne amato, e il talento di beneficareè naturalmente eccitato dalla benevolenza. E se i domi-nanti talvolta errano, ricordatevi che sono uomini e sog-getti alle comuni miserie. Ricordatevi che sonoanch’essi i nostri fratelli di natura e di redenzione, e chela loro grandezza non ci dispensa dal debito che abbia-mo di usar verso tutti un benevolo compatimento, pen-sando nel giudicarli, che, quali siamo duri o benigni ver-so gli altri, tal proveremo un giorno a nostro riguardo ilsupremo diffinitore. Imperocchè grandi e tremendi sonogli obblighi del principe, ma grandi pure e non men for-midabili le tentazioni e i pericoli del principato. L’uomo

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privato, nato e vissuto fra una moltitudine di eguali e disuperiori, soggetto alle leggi, frenato dalle pene, vinco-lato dall’esempio e dalla consuetudine, non ha gran me-rito a vedere il bene e schivare il male, quando il com-metterlo gli è spesso impossibile, o almen difficile e pe-ricoloso. Ma chi regna è collocato in condizione moltodiversa. Solo in mezzo alla turba, e levato smisurata-mente sugli altri uomini, egli è avvezzo sin dagli anniteneri a vedersi intorniato da una folla di adoratori ga-reggianti con sommo studio a prevenire, non che soddi-sfare, ogni sua brama. Niuno si appresenta al suo co-spetto, se non atteggiato ad arte, e composto il volto, igesti, le parole a dimostrazione di profondo ossequio.Come potrà egli discernere il vero fra le menzogne, epenetrar collo sguardo oltre la siepe degli adulanti chelo circonda? Come potrà guardarsi dai perfidi consiglie-ri che cospirano a impadronirsi dell’animo suo, e a tra-volgerne il nativo senno? Quanti felloni ed ipocriti chesi mostrano teneri del suo onore, sviscerati della suapersona, suoi leali servitori ed amici! Quanti corruttoriche specolano il suo cuore e studiano ogni suo moto, percogliere l’istante propizio di sviarlo e sedurlo! E chetentazione gagliarda non è il poter cavarsi ogni voglia,senza il menomo ostacolo? Ubbidire a ogni colpevoleistinto, non solo senza il biasimo, ma col plauso dei cir-costanti? Abbandonarsi ai piaceri illeciti e alle delizieeccessive, quando ad un minimo cenno ne abbondano imezzi più a dovizia, che non si desidera? Quanti sonogl’impedimenti che per ordinario si attraversano

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privato, nato e vissuto fra una moltitudine di eguali e disuperiori, soggetto alle leggi, frenato dalle pene, vinco-lato dall’esempio e dalla consuetudine, non ha gran me-rito a vedere il bene e schivare il male, quando il com-metterlo gli è spesso impossibile, o almen difficile e pe-ricoloso. Ma chi regna è collocato in condizione moltodiversa. Solo in mezzo alla turba, e levato smisurata-mente sugli altri uomini, egli è avvezzo sin dagli anniteneri a vedersi intorniato da una folla di adoratori ga-reggianti con sommo studio a prevenire, non che soddi-sfare, ogni sua brama. Niuno si appresenta al suo co-spetto, se non atteggiato ad arte, e composto il volto, igesti, le parole a dimostrazione di profondo ossequio.Come potrà egli discernere il vero fra le menzogne, epenetrar collo sguardo oltre la siepe degli adulanti chelo circonda? Come potrà guardarsi dai perfidi consiglie-ri che cospirano a impadronirsi dell’animo suo, e a tra-volgerne il nativo senno? Quanti felloni ed ipocriti chesi mostrano teneri del suo onore, sviscerati della suapersona, suoi leali servitori ed amici! Quanti corruttoriche specolano il suo cuore e studiano ogni suo moto, percogliere l’istante propizio di sviarlo e sedurlo! E chetentazione gagliarda non è il poter cavarsi ogni voglia,senza il menomo ostacolo? Ubbidire a ogni colpevoleistinto, non solo senza il biasimo, ma col plauso dei cir-costanti? Abbandonarsi ai piaceri illeciti e alle delizieeccessive, quando ad un minimo cenno ne abbondano imezzi più a dovizia, che non si desidera? Quanti sonogl’impedimenti che per ordinario si attraversano

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all’uomo di bassa o mediocre fortuna nello sfogo dellesue cupidigie, tanti ha da superarne il principe per noncedere ad esse e non abusare la sua potenza. Se nel giu-dicare le azioni dei regnanti noi facessimo più stima del-le circostanze che le accompagnano, e considerassimoch’essi non hanno nulla a comune cogli altri uomini,salvo le passioni e l’ingenita debolezza dell’umana na-tura, andremmo più a rilento nel condannarli con sopra-ciglio fariseo. Saremmo più pronti a saper loro grado delbene che operano; e quando sdrucciolano in qualche fal-lo, ciascuno di noi direbbe: che cosa avrei fatto, trovan-domi in sua vece, io suddito? Ho ragion di credere chesarei più savio e più virtuoso, se, nato principe, fossivissuto sinora fra le pompe e le lusinghe di una reggia?E se chi comanda fosse in mio luogo e avesse i vantaggidella mia umile sorte per conoscere il vero bene, non sa-rebbe forse migliore di me? Certo, le difficoltà del re-gnare non iscusano i cattivi principi dinanzi a Dio, che,dando a chi è sul trono i diletti e gli onori della sommapotenza, e la facoltà veramente invidiabile dì poter be-neficare le generazioni presenti e avvenire di tutto unpopolo, richiede tanto più strettamente che bene si ado-peri un privilegio così segnalato. Non gli scusano nèanco al cospetto dei sudditi; i quali hanno il diritto dipretendere che chi possiede la prerogativa del comando,ne adempia fedelmente i carichi, e non soprusi il potereche gli è conferito. Onde erra gravemente chi crede chesia interdetto ai sudditi il giudicare le azioni pubblichedel rettori, purchè lo facciano con cognizione di causa,

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all’uomo di bassa o mediocre fortuna nello sfogo dellesue cupidigie, tanti ha da superarne il principe per noncedere ad esse e non abusare la sua potenza. Se nel giu-dicare le azioni dei regnanti noi facessimo più stima del-le circostanze che le accompagnano, e considerassimoch’essi non hanno nulla a comune cogli altri uomini,salvo le passioni e l’ingenita debolezza dell’umana na-tura, andremmo più a rilento nel condannarli con sopra-ciglio fariseo. Saremmo più pronti a saper loro grado delbene che operano; e quando sdrucciolano in qualche fal-lo, ciascuno di noi direbbe: che cosa avrei fatto, trovan-domi in sua vece, io suddito? Ho ragion di credere chesarei più savio e più virtuoso, se, nato principe, fossivissuto sinora fra le pompe e le lusinghe di una reggia?E se chi comanda fosse in mio luogo e avesse i vantaggidella mia umile sorte per conoscere il vero bene, non sa-rebbe forse migliore di me? Certo, le difficoltà del re-gnare non iscusano i cattivi principi dinanzi a Dio, che,dando a chi è sul trono i diletti e gli onori della sommapotenza, e la facoltà veramente invidiabile dì poter be-neficare le generazioni presenti e avvenire di tutto unpopolo, richiede tanto più strettamente che bene si ado-peri un privilegio così segnalato. Non gli scusano nèanco al cospetto dei sudditi; i quali hanno il diritto dipretendere che chi possiede la prerogativa del comando,ne adempia fedelmente i carichi, e non soprusi il potereche gli è conferito. Onde erra gravemente chi crede chesia interdetto ai sudditi il giudicare le azioni pubblichedel rettori, purchè lo facciano con cognizione di causa,

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equità e moderanza; conciossiachè questo giudizio è uti-le ai principi stessi, come un freno salutare, e quasi unmorale sindacato, una censura nazionale, che è la guar-dia più efficace delle buone leggi e il ritegno più forteper impedire gli eccessi dei dominanti. Ma i sudditi nondebbono mai dimenticare eziandio in questo casol’obbligo universale della indulgenza e carità cristiana, eil debito speciale della riverenza verso chi è investito delprimo grado civile. Il Cristianesimo abbellì, nobilitò,santificò la monarchia, ritornandola a’ suoi principii,rappresentandola come una paternità sociale, e restituen-dole quel carattere soave ed augusto del patriarcato pri-mitivo di cui i Cinesi soli serbarono un’ombra fra tutti ipopoli pagani. Questa idea tenera e sublime tempera lamaestà del sommo magistrato, e l’addolcisce col piùcaro e naturale degli umani affetti, scemando per talmodo lo spaventoso intervallo che divide il sovrano dalsuddito, e stringendoli insieme con quel nodo che gliestremi avvicina e le disparità agguaglia, qual si èl’amore reciproco del padre e dei figliuoli. Or, chi è cosìdisumano che possa essere troppo rigido e inesorabilescrutatore verso l’autore de’ suoi giorni? Amate dunque,o italiani, i principi che Dio vi ha dati; amateli e osser-vateli come padri vostri, passate loro con sopportazionei falli leggeri, e siate riconoscenti dei servigi che ne rice-vete. Ringraziate il cielo se sono buoni, e se la furia in-fernale della tirannide, la quale in altri tempi spaventòanche l’Italia, oggi più non osa mostrarsi e imperversare

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equità e moderanza; conciossiachè questo giudizio è uti-le ai principi stessi, come un freno salutare, e quasi unmorale sindacato, una censura nazionale, che è la guar-dia più efficace delle buone leggi e il ritegno più forteper impedire gli eccessi dei dominanti. Ma i sudditi nondebbono mai dimenticare eziandio in questo casol’obbligo universale della indulgenza e carità cristiana, eil debito speciale della riverenza verso chi è investito delprimo grado civile. Il Cristianesimo abbellì, nobilitò,santificò la monarchia, ritornandola a’ suoi principii,rappresentandola come una paternità sociale, e restituen-dole quel carattere soave ed augusto del patriarcato pri-mitivo di cui i Cinesi soli serbarono un’ombra fra tutti ipopoli pagani. Questa idea tenera e sublime tempera lamaestà del sommo magistrato, e l’addolcisce col piùcaro e naturale degli umani affetti, scemando per talmodo lo spaventoso intervallo che divide il sovrano dalsuddito, e stringendoli insieme con quel nodo che gliestremi avvicina e le disparità agguaglia, qual si èl’amore reciproco del padre e dei figliuoli. Or, chi è cosìdisumano che possa essere troppo rigido e inesorabilescrutatore verso l’autore de’ suoi giorni? Amate dunque,o italiani, i principi che Dio vi ha dati; amateli e osser-vateli come padri vostri, passate loro con sopportazionei falli leggeri, e siate riconoscenti dei servigi che ne rice-vete. Ringraziate il cielo se sono buoni, e se la furia in-fernale della tirannide, la quale in altri tempi spaventòanche l’Italia, oggi più non osa mostrarsi e imperversare

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che verso l’Orsa1; e studiatevi a renderli anco migliori,sforzandoli coll’amore e colla riverenza a superar sèmedesimi nel nobile impegno di beneficarvi.

Quanto siano pestiferi gli adulatori dei principi.

Questi doveri riguardano in universale tutti i cittadini,ma specialmente quelli che sono più lontani dal trono;perchè coloro che gli si accostano e possono aver forzasull’animo del principe, debbono essergli riverentemen-te schietti e severi. Indulgente censura nei piccoli, fran-ca e coraggiosa rigidità nei grandi, ossequio non servileed amor non finto nell’universale, sono il debito deisudditi verso chi regna. Ma guai a chi tace o travisa laverità al suo cospetto! guai a chi lo adula! guai a chi locorrompe! guai a chi ne stuzzica ed accende gli appetitilaidi e crudeli, invece di attutarli!2 guai, guai a chi po-spone la virtù, la fama, la salute temporale ed eterna delsuo principe ai favori che ne riceve, all’oro, alla poten-za! Meglio sarebbe a costui l’essere gittato con unamola al collo nel profondo del mare; perchè fra tutti imostri che contristano la terra, l’adulator dei potenti èforse il più orrendo. Egli è certo il più schifoso e nocivo;conciossiachè, se si misura la grandezza del male daglieffetti che ne derivano, non vi ha uomo più detestabile1 Cioè nella Russia.2 Osserva il VARCHI nell’Ercolano, Firenze, Giunti, 1574, pag. 127: «Attuta-

re, quando è della prima coniugazione,..... è propriissimo e bellissimo ver-bo, il cui significato non può esprimersi con un verbo solo, perchè è quelloche i Latini dicono or sedare, or comprimere, or retundere e talvolta extin-guere».

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che verso l’Orsa1; e studiatevi a renderli anco migliori,sforzandoli coll’amore e colla riverenza a superar sèmedesimi nel nobile impegno di beneficarvi.

Quanto siano pestiferi gli adulatori dei principi.

Questi doveri riguardano in universale tutti i cittadini,ma specialmente quelli che sono più lontani dal trono;perchè coloro che gli si accostano e possono aver forzasull’animo del principe, debbono essergli riverentemen-te schietti e severi. Indulgente censura nei piccoli, fran-ca e coraggiosa rigidità nei grandi, ossequio non servileed amor non finto nell’universale, sono il debito deisudditi verso chi regna. Ma guai a chi tace o travisa laverità al suo cospetto! guai a chi lo adula! guai a chi locorrompe! guai a chi ne stuzzica ed accende gli appetitilaidi e crudeli, invece di attutarli!2 guai, guai a chi po-spone la virtù, la fama, la salute temporale ed eterna delsuo principe ai favori che ne riceve, all’oro, alla poten-za! Meglio sarebbe a costui l’essere gittato con unamola al collo nel profondo del mare; perchè fra tutti imostri che contristano la terra, l’adulator dei potenti èforse il più orrendo. Egli è certo il più schifoso e nocivo;conciossiachè, se si misura la grandezza del male daglieffetti che ne derivano, non vi ha uomo più detestabile1 Cioè nella Russia.2 Osserva il VARCHI nell’Ercolano, Firenze, Giunti, 1574, pag. 127: «Attuta-

re, quando è della prima coniugazione,..... è propriissimo e bellissimo ver-bo, il cui significato non può esprimersi con un verbo solo, perchè è quelloche i Latini dicono or sedare, or comprimere, or retundere e talvolta extin-guere».

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di chi, parlando, e talvolta con un semplice motto, uncenno, un sorriso, può esser cagione di scandali e di ca-lamità a tutto un popolo, e incominciare una vicenda dicolpe e di lacrime infinita. E come chi mette il piè inuna reggia dee accoppiare alla riverenza verso la maestàdel principe la più austera franchezza, per quanto hacara l’anima propria, e non desidera che la corte gli siapreludio d’inferno; così chiunque entra nel campo dellelettere come scrittore, e quasi in pubblico parlamenta,dee esser giusto e severo verso le opere notorie dei re-gnanti, come quelle che di lor natura appartengonoall’istoria. E quando tali opere sono evidentemente ini-que e scellerate, il rispetto verso il primo grado dee sot-tostare all’amore della giustizia; perchè un principe chediventa tiranno, cancella quasi colle proprie mani il fre-gio divino impresso sulla sua fronte, e riesce più conten-nendo dell’ultimo de’ suoi sudditi. Si rallegrino gl’Ita-liani se i loro principi sono tali da poter esser riveriti ecelebrati, senza offesa della verità e della giustizia; marammentino che tutti i popoli non hanno la stessa fortu-na, e che brutta, vile, infame connivenza è l’applaudireai martorianti di vittime illibate. Grande è la forza dellaopinione, che nasce principalmente dal consenso degliscrittori; i quali, se facessero il loro debito e pubblicas-sero, potendo, arditamente il vero, senza guardare inviso a nessuno, rendendosi interpreti dello universalenel giudicare e maledire le azioni colpevoli dei grandi,questi andrebbero più a rilento nel commetterle: perchènon vi ha uomo così perverso, che non abbia qualche

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di chi, parlando, e talvolta con un semplice motto, uncenno, un sorriso, può esser cagione di scandali e di ca-lamità a tutto un popolo, e incominciare una vicenda dicolpe e di lacrime infinita. E come chi mette il piè inuna reggia dee accoppiare alla riverenza verso la maestàdel principe la più austera franchezza, per quanto hacara l’anima propria, e non desidera che la corte gli siapreludio d’inferno; così chiunque entra nel campo dellelettere come scrittore, e quasi in pubblico parlamenta,dee esser giusto e severo verso le opere notorie dei re-gnanti, come quelle che di lor natura appartengonoall’istoria. E quando tali opere sono evidentemente ini-que e scellerate, il rispetto verso il primo grado dee sot-tostare all’amore della giustizia; perchè un principe chediventa tiranno, cancella quasi colle proprie mani il fre-gio divino impresso sulla sua fronte, e riesce più conten-nendo dell’ultimo de’ suoi sudditi. Si rallegrino gl’Ita-liani se i loro principi sono tali da poter esser riveriti ecelebrati, senza offesa della verità e della giustizia; marammentino che tutti i popoli non hanno la stessa fortu-na, e che brutta, vile, infame connivenza è l’applaudireai martorianti di vittime illibate. Grande è la forza dellaopinione, che nasce principalmente dal consenso degliscrittori; i quali, se facessero il loro debito e pubblicas-sero, potendo, arditamente il vero, senza guardare inviso a nessuno, rendendosi interpreti dello universalenel giudicare e maledire le azioni colpevoli dei grandi,questi andrebbero più a rilento nel commetterle: perchènon vi ha uomo così perverso, che non abbia qualche

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cura e ansietà della propria fama. Tiberio antiponevaalla grazia dei presenti la gloria degli avvenire, ed eracosì accecato dalle adulazioni che se la prometteva1;onde si può calcolare che, essendo ambiziosissimo, sa-rebbe stato meno cattivo, se avesse preveduto il tristonome, che Svetonio e Tacito gli procacciarono. Tantoimporta alla società in universale che gli scrittori sianoveridici ed incorrotti ! Procedano col calzare del piomboprima di sentenziare; ma quando si tratta di quelle enor-mezze che gridano vendetta, ed essi vivono in paesedove si può dire e scrivere liberamente il vero, imprima-no in fronte agli autori della iniquità trionfante un mar-chio d’infamia indelebile. La loro sentenza sarà ratifica-ta in cielo, e avrà anche in terra l’approvazione dellaparte buona dei loro coetanei e della equa posterità. Siguardino sovratutto dall’aver paura di certi politici chenon fanno alcun caso della virtù, della umanità, dellagiustizia, e solo apprezzano la potenza; e non appagan-dosi di calcar essi questa via onorata, vorrebbero chetutti gl’imitassero. Cattolici in Roma, Turchi in Costan-tinopoli, eretici o razionalisti in Berlino, scismatici inLondra e in Pietroborgo, increduli a Parigi, essi tengonola religione per un affare di buona creanza, e la moraleper un aggiustamento che obbliga solo i piccoli e i tapi-ni. Chi regna è sciolto da queste pastoie; e può commet-tere, non solo con impunità, ma con gloria, quelle mede-sime azioni che procaccerebbero a’ suoi sudditi la gogna1 TACITO, Ann., VI, 46: «ed egli stimava più la fama negli avvenire, che la

grazia de’ presenti» (trad. del Davanzati).

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cura e ansietà della propria fama. Tiberio antiponevaalla grazia dei presenti la gloria degli avvenire, ed eracosì accecato dalle adulazioni che se la prometteva1;onde si può calcolare che, essendo ambiziosissimo, sa-rebbe stato meno cattivo, se avesse preveduto il tristonome, che Svetonio e Tacito gli procacciarono. Tantoimporta alla società in universale che gli scrittori sianoveridici ed incorrotti ! Procedano col calzare del piomboprima di sentenziare; ma quando si tratta di quelle enor-mezze che gridano vendetta, ed essi vivono in paesedove si può dire e scrivere liberamente il vero, imprima-no in fronte agli autori della iniquità trionfante un mar-chio d’infamia indelebile. La loro sentenza sarà ratifica-ta in cielo, e avrà anche in terra l’approvazione dellaparte buona dei loro coetanei e della equa posterità. Siguardino sovratutto dall’aver paura di certi politici chenon fanno alcun caso della virtù, della umanità, dellagiustizia, e solo apprezzano la potenza; e non appagan-dosi di calcar essi questa via onorata, vorrebbero chetutti gl’imitassero. Cattolici in Roma, Turchi in Costan-tinopoli, eretici o razionalisti in Berlino, scismatici inLondra e in Pietroborgo, increduli a Parigi, essi tengonola religione per un affare di buona creanza, e la moraleper un aggiustamento che obbliga solo i piccoli e i tapi-ni. Chi regna è sciolto da queste pastoie; e può commet-tere, non solo con impunità, ma con gloria, quelle mede-sime azioni che procaccerebbero a’ suoi sudditi la gogna1 TACITO, Ann., VI, 46: «ed egli stimava più la fama negli avvenire, che la

grazia de’ presenti» (trad. del Davanzati).

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e il patibolo. Che dico le medesime azioni? Un uomoprivato che non attenga le sue promesse e sparga iniqua-mente il sangue del suo fratello, è un misleale e un as-sassino; laddove, se un autocrato rompe le leggi giurate,e uccide, non uno o pochi uomini, ma tutto un popolo;se, non contento di martoriare i corpi, condannandoli auna vita peggior della morte, ammazza le anime, allet-tandole colle lusinghe o costringendole colla forza aspergiurare Iddio e vendere la coscienza; se oltraggia lareligione, perseguita i suoi ministri, sbandeggia, incar-cera, opprime i suoi confessori e unisce il sacrilegio alsangue, le bestemmie alle carneficine; egli è tuttavia de-gno di essere levato a cielo e celebrato come un magna-nimo eroe. Così voi la discorrete, signori politici, e niu-no potrà dubitare che voi non mettiate in pratica i vostriinsegnamenti. Ma non vogliate obbligare gli altri ascambiare la prudenza di Cristo con quella del mondo;la quale è così lontana dall’altra, come l’abisso dal cielo.Permettete che gli scrittori antepongano al vostro esem-pio quello dei maestri della cristiana sapienza; i qualinon risparmiavano le colpe illustri in grazia dei colpevo-li, e sfolgoravano con eroica eloquenza le scelleratezzedei dominatori. Leggete ciò che fu scritto da quei ma-gnanimi contro i tristi Cesari dei loro tempi; leggete i di-scorsi con cui il divino Crisostomo1 fulminava una stolta

1 Giovanni Crisostomo, il più grande oratore apostolico della cristianità gre-ca, n. ad Antiochia fra il 334 e 347, m. nel 407 a Comana in Cappodocia.

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e il patibolo. Che dico le medesime azioni? Un uomoprivato che non attenga le sue promesse e sparga iniqua-mente il sangue del suo fratello, è un misleale e un as-sassino; laddove, se un autocrato rompe le leggi giurate,e uccide, non uno o pochi uomini, ma tutto un popolo;se, non contento di martoriare i corpi, condannandoli auna vita peggior della morte, ammazza le anime, allet-tandole colle lusinghe o costringendole colla forza aspergiurare Iddio e vendere la coscienza; se oltraggia lareligione, perseguita i suoi ministri, sbandeggia, incar-cera, opprime i suoi confessori e unisce il sacrilegio alsangue, le bestemmie alle carneficine; egli è tuttavia de-gno di essere levato a cielo e celebrato come un magna-nimo eroe. Così voi la discorrete, signori politici, e niu-no potrà dubitare che voi non mettiate in pratica i vostriinsegnamenti. Ma non vogliate obbligare gli altri ascambiare la prudenza di Cristo con quella del mondo;la quale è così lontana dall’altra, come l’abisso dal cielo.Permettete che gli scrittori antepongano al vostro esem-pio quello dei maestri della cristiana sapienza; i qualinon risparmiavano le colpe illustri in grazia dei colpevo-li, e sfolgoravano con eroica eloquenza le scelleratezzedei dominatori. Leggete ciò che fu scritto da quei ma-gnanimi contro i tristi Cesari dei loro tempi; leggete i di-scorsi con cui il divino Crisostomo1 fulminava una stolta

1 Giovanni Crisostomo, il più grande oratore apostolico della cristianità gre-ca, n. ad Antiochia fra il 334 e 347, m. nel 407 a Comana in Cappodocia.

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e profana imperatrice1, e quelli del grande Ilario2 controun imperatore eretico e persecutore dei Cristiani; e dite-mi se Tacito abbia più svergognati i turpi e feroci regna-tori del paganesimo. Nè vogliate pretendere che quantoera lecito a quei sommi sia interdetto a un moderno au-tore; perchè chi scrive dee in ogni tempo, dimenticata lasua piccolezza e dismesso ogni privato rispetto, essersollecito del solo vero, e farsi intrepido banditore dellacoscienza del genere umano. E mentre a colui che siedein cima a tutte le umane grandezze, s’addice per l’unicamaestà del suo grado il serbare in ogni parola la tran-quilla dignità di giudice; egli è lecito ai minori il perora-re con facondia e libertà di avvocati contro gli scandaliinsigni, acciò i ribaldi imparino a far equa stimadell’adulazion presente, pregustando l’infamia dei secolifuturi. Imperocchè Iddio non ha dato invano agli uominiun animo capace di commozioni gagliarde, e quel fremi-to d’indegnazione che sorge alla vista delle opere per-verse e spietate; non ha provveduto a caso che quando ilforte immerge il pugnale nella gola del fiacco, un mor-morìo unanime di orrore e di maledizione si levi fra glispettatori. Concedete dunque a chi scrive, che, comeuno del popolo, non chiuda il cuore alle miserie de’ suoifratelli, e tenti di esprimere colla penna ciò che è sentitodall’universale. Tanto più che egli non aspira con questo1 L’Imperatrice Eudossia. Cfr. A. THIERRY, S. Jean Chrysostome et l’impéra-

trice Eudoxie, Paris, 1874.2 S. Ilario, vescovo di Poitiers, n. nel 320. Si oppose agli sforzi dell’impera-

tore Costanzo di riconoscere l’Arianesimo in Gallia. Morì nel 366. Cfr.LARGENT, Saint Hilaire, Paris, 1902.

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e profana imperatrice1, e quelli del grande Ilario2 controun imperatore eretico e persecutore dei Cristiani; e dite-mi se Tacito abbia più svergognati i turpi e feroci regna-tori del paganesimo. Nè vogliate pretendere che quantoera lecito a quei sommi sia interdetto a un moderno au-tore; perchè chi scrive dee in ogni tempo, dimenticata lasua piccolezza e dismesso ogni privato rispetto, essersollecito del solo vero, e farsi intrepido banditore dellacoscienza del genere umano. E mentre a colui che siedein cima a tutte le umane grandezze, s’addice per l’unicamaestà del suo grado il serbare in ogni parola la tran-quilla dignità di giudice; egli è lecito ai minori il perora-re con facondia e libertà di avvocati contro gli scandaliinsigni, acciò i ribaldi imparino a far equa stimadell’adulazion presente, pregustando l’infamia dei secolifuturi. Imperocchè Iddio non ha dato invano agli uominiun animo capace di commozioni gagliarde, e quel fremi-to d’indegnazione che sorge alla vista delle opere per-verse e spietate; non ha provveduto a caso che quando ilforte immerge il pugnale nella gola del fiacco, un mor-morìo unanime di orrore e di maledizione si levi fra glispettatori. Concedete dunque a chi scrive, che, comeuno del popolo, non chiuda il cuore alle miserie de’ suoifratelli, e tenti di esprimere colla penna ciò che è sentitodall’universale. Tanto più che egli non aspira con questo1 L’Imperatrice Eudossia. Cfr. A. THIERRY, S. Jean Chrysostome et l’impéra-

trice Eudoxie, Paris, 1874.2 S. Ilario, vescovo di Poitiers, n. nel 320. Si oppose agli sforzi dell’impera-

tore Costanzo di riconoscere l’Arianesimo in Gallia. Morì nel 366. Cfr.LARGENT, Saint Hilaire, Paris, 1902.

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alla vostra approvazione; perchè i vostri biasimi e i vo-stri sarcasmi lo onorano assai più delle vostre lodi. Noninvidia nè anco la vostra fortuna; sebbene voi, ricchi,onorati, corteggiati, abbiate in pugno le sorti pubbliche.Ma chi conosce il suo vero bene? Voi che celebrate i mi-sfatti, quando vanno impuniti, o chi onora tanto più levittime quanto più sono deboli e meschine, e condannail carnefice, ancorchè nobile e scettrato? Lo saprete ungiorno, quando verserete la trista e dolorosa anima nellemani del sommo giudice. E benchè quel giorno debbaessere formidabile a ciascuno, avrà qualche cagione diconfortarsi e sperare chi sarà conscio di non aver calpe-stati i miseri, nè fatto infame plauso all’opera dei calpe-statori.

Dei nobili.Il patriziato è difficilmente evitabile nelle società civili.

Due specie di patriziato: feudale e civile. Il primo èirragionevole, funesto e vituperoso. Il secondo può esserlodevole e utile, quando venga accompagnato da certe

condizioni.I cattivi nobili sono le rovine delle monarchie.

La concordia del popolo e del principato dee esserepromossa specialmente dalle classi più ragguardevolidella nazione, secondo il genio e l’attitudine propria diciascuna. Fra le quali primeggia civilmente il ceto deinobili, che, interposti quasi mediatori fra il sovrano e lamoltitudine, partecipano della natura dei due estremi, esono il vincolo naturale e quasi l’armonia conciliatrice

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alla vostra approvazione; perchè i vostri biasimi e i vo-stri sarcasmi lo onorano assai più delle vostre lodi. Noninvidia nè anco la vostra fortuna; sebbene voi, ricchi,onorati, corteggiati, abbiate in pugno le sorti pubbliche.Ma chi conosce il suo vero bene? Voi che celebrate i mi-sfatti, quando vanno impuniti, o chi onora tanto più levittime quanto più sono deboli e meschine, e condannail carnefice, ancorchè nobile e scettrato? Lo saprete ungiorno, quando verserete la trista e dolorosa anima nellemani del sommo giudice. E benchè quel giorno debbaessere formidabile a ciascuno, avrà qualche cagione diconfortarsi e sperare chi sarà conscio di non aver calpe-stati i miseri, nè fatto infame plauso all’opera dei calpe-statori.

Dei nobili.Il patriziato è difficilmente evitabile nelle società civili.

Due specie di patriziato: feudale e civile. Il primo èirragionevole, funesto e vituperoso. Il secondo può esserlodevole e utile, quando venga accompagnato da certe

condizioni.I cattivi nobili sono le rovine delle monarchie.

La concordia del popolo e del principato dee esserepromossa specialmente dalle classi più ragguardevolidella nazione, secondo il genio e l’attitudine propria diciascuna. Fra le quali primeggia civilmente il ceto deinobili, che, interposti quasi mediatori fra il sovrano e lamoltitudine, partecipano della natura dei due estremi, esono il vincolo naturale e quasi l’armonia conciliatrice

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di entrambi. Il patriziato, residuo dei feudi e della con-quista germanica, è uno di quei fatti reali che sono piùagevoli a biasimarsi, che a distruggersi; perché, quan-tunque in tutti i buoni governi i patrizi abbiano perduti iprivilegi civili, e in molti di essi anco i politici, essi con-servano tuttavia una certa prerogativa nell’opinione euna preminenza negli onori, che vengono dispensati dalprincipe1. Che la nobiltà importi una maggioranza nelparere comune degli uomini, e non sia tenuta dai più peruna chimera, si raccoglie dal vedere che coloro i qualine ridono e ne dicono ogni male, vorrebbono averla, eimitano la volpe della favola, che sfatava i grappolidell’uva come troppo acerbi, solo perchè non poteva ab-boccarli. Il che non è meraviglia, perchè intorno allecose che sollucherano l’amor proprio, l’uomo non usaragione, e il suo modo di connettere è spesso più me-schino ed insulso che quello dei ragazzi; onde egli suol

1 Cfr. in Manoscritti, vol. 24, pag. 1213: «I nostri patrizi sono meno italianidel resto della nazione; pochi discendono dai barbari, e sono di sanguegermanico non pelasgico. Una prova di che valga il patriziato si è che essoè una di quelle istituzioni che per esser buone debbono scostarsi dai loroprincipii e non ritirarsi verso di essi giacchè l’origine del patriziato fu labarbarie unita alla prepotenza. I patrizi ignoranti, viziosi e soverchiatorisono quelli che ritornano agli usi dei loro avoli. Accenno queste cose nonper torre ai patrizi il loro grado civile, ma per mostrare loro ad essere umi-li, e modesti, e a fondare i loro titoli non sui meriti degli avoli ma sui pro-prii; poichè se si fa ragione degli avoli e della prima origine i patrizi sonoil vero volgo d’Italia e la plebe ne è il legittimo patriziato. Il volgo dei bar-bari conquistatori, divennero patrizi per virtù dell’invasione che è una ri-voluzione esterna come la plebe fiorentina del.… e la plebe francese del1793 divennero moralmente patrizie per opera della rivolta che è una rivo-luzione interna».

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di entrambi. Il patriziato, residuo dei feudi e della con-quista germanica, è uno di quei fatti reali che sono piùagevoli a biasimarsi, che a distruggersi; perché, quan-tunque in tutti i buoni governi i patrizi abbiano perduti iprivilegi civili, e in molti di essi anco i politici, essi con-servano tuttavia una certa prerogativa nell’opinione euna preminenza negli onori, che vengono dispensati dalprincipe1. Che la nobiltà importi una maggioranza nelparere comune degli uomini, e non sia tenuta dai più peruna chimera, si raccoglie dal vedere che coloro i qualine ridono e ne dicono ogni male, vorrebbono averla, eimitano la volpe della favola, che sfatava i grappolidell’uva come troppo acerbi, solo perchè non poteva ab-boccarli. Il che non è meraviglia, perchè intorno allecose che sollucherano l’amor proprio, l’uomo non usaragione, e il suo modo di connettere è spesso più me-schino ed insulso che quello dei ragazzi; onde egli suol

1 Cfr. in Manoscritti, vol. 24, pag. 1213: «I nostri patrizi sono meno italianidel resto della nazione; pochi discendono dai barbari, e sono di sanguegermanico non pelasgico. Una prova di che valga il patriziato si è che essoè una di quelle istituzioni che per esser buone debbono scostarsi dai loroprincipii e non ritirarsi verso di essi giacchè l’origine del patriziato fu labarbarie unita alla prepotenza. I patrizi ignoranti, viziosi e soverchiatorisono quelli che ritornano agli usi dei loro avoli. Accenno queste cose nonper torre ai patrizi il loro grado civile, ma per mostrare loro ad essere umi-li, e modesti, e a fondare i loro titoli non sui meriti degli avoli ma sui pro-prii; poichè se si fa ragione degli avoli e della prima origine i patrizi sonoil vero volgo d’Italia e la plebe ne è il legittimo patriziato. Il volgo dei bar-bari conquistatori, divennero patrizi per virtù dell’invasione che è una ri-voluzione esterna come la plebe fiorentina del.… e la plebe francese del1793 divennero moralmente patrizie per opera della rivolta che è una rivo-luzione interna».

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dare grandissimo peso anche a un nonnulla, ogni qual-volta ciò gli porga occasione di sovrastare altrui e disoddisfare all’istinto orgoglioso del proprio cuore. Or,siccome da una parte i fatti vivi non si possono annulla-re, e dall’altra chi ordina uno stato dee volgere, perquanto è possibile, a comun profitto, eziandio le frivo-lezze degli uomini, il patriziato può esser utile anche neipaesi liberi, come molla politica, e in ogni sorta di go-verno, come fonte di civil virtù e di fatti magnanimi. Emi par conducente sovratutto alle monarchie, dove le fa-miglie sovrastanti per privilegi di onore giovano ad af-forzare la potestà del principe, e temperarla insieme,conferendo all’assetto di quella gerarchia armonizzantedi gradi e di carichi, onde la forza e la prosperità di unostato si assodano e si avvalorano. È anche difficile difarne senza, non pure nelle monarchie, ma nelle repub-bliche; perchè in tutti i reggimenti popolari antichi emoderni, e persino negli Stati Uniti di America, vantatida certuni come un modello di libertà impareggiabile, ilricco sovrasta al povero, e il potente al debole: l’ignobi-le aristocrazia dell’oro vi signoreggia, e quella del san-gue, benchè esclusa dalle leggi, vi è pregiata e invidiataalle nazioni che la posseggono. Ora io confesso che,quanto a me, se si debbono aver dei signori, preferiscodi gran lunga i ricchi e nobili per nascita al plebei titola-ti e arricchiti; perchè questi, generalmente parlando,hanno tutte le male parti di quelli a più gran dovizia,senza possedere pur una delle buone. Nel gentiluomo ilnome e il decoro della famiglia, l’esempio de’ suoi con-

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dare grandissimo peso anche a un nonnulla, ogni qual-volta ciò gli porga occasione di sovrastare altrui e disoddisfare all’istinto orgoglioso del proprio cuore. Or,siccome da una parte i fatti vivi non si possono annulla-re, e dall’altra chi ordina uno stato dee volgere, perquanto è possibile, a comun profitto, eziandio le frivo-lezze degli uomini, il patriziato può esser utile anche neipaesi liberi, come molla politica, e in ogni sorta di go-verno, come fonte di civil virtù e di fatti magnanimi. Emi par conducente sovratutto alle monarchie, dove le fa-miglie sovrastanti per privilegi di onore giovano ad af-forzare la potestà del principe, e temperarla insieme,conferendo all’assetto di quella gerarchia armonizzantedi gradi e di carichi, onde la forza e la prosperità di unostato si assodano e si avvalorano. È anche difficile difarne senza, non pure nelle monarchie, ma nelle repub-bliche; perchè in tutti i reggimenti popolari antichi emoderni, e persino negli Stati Uniti di America, vantatida certuni come un modello di libertà impareggiabile, ilricco sovrasta al povero, e il potente al debole: l’ignobi-le aristocrazia dell’oro vi signoreggia, e quella del san-gue, benchè esclusa dalle leggi, vi è pregiata e invidiataalle nazioni che la posseggono. Ora io confesso che,quanto a me, se si debbono aver dei signori, preferiscodi gran lunga i ricchi e nobili per nascita al plebei titola-ti e arricchiti; perchè questi, generalmente parlando,hanno tutte le male parti di quelli a più gran dovizia,senza possedere pur una delle buone. Nel gentiluomo ilnome e il decoro della famiglia, l’esempio de’ suoi con-

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sorti, la squisitezza dell’educazione, e la stessa consue-tudine della grandezza, a cui fin dagli anni teneri è quasiconnaturato, contribuiscono per ordinario a ingentilir leapparenze e a mitigare gli effetti del grado privilegiatoed eccelso; laddove nei nuovi ricchi l’ebbrezza dellafortuna non è corretta da alcuno di questi temperamenti.Il patriziato può dunque essere di sua natura profittevolealla monarchia, come legame fra chi regge e chi è retto,come veicolo ai voti pubblici per salir sino al trono, ecome virtuoso stimolo ai minori cittadini ed esempio divalore, di rettitudine, di generosità, di costumatezza, direligione, di carità patria, di amore e di culto verso learti leggiadre e le buone dottrine. Ma acciò possa parto-rir questi effetti, uopo è che abbia parecchie condizioni;senza le quali, in vece di essere uno strumento e un pre-sidio di civiltà, ne diverrebbe il flagello. Prima di tutto,il patriziato vuol essere civile, e non feudale; cioè fon-dato sui meriti reali dei maggiori e sull’elezione delprincipe, non sulla forza e sulla violenza. Ora sarebbe diquesta seconda fatta, se si considerasse come un legitti-mo effetto della antica conquista; secondo che usanocerti eruditi, che, per adulare alla fortuna di un grande,rovistano gli archivi, e si credono di aggiungergli unnuovo lustro quando possono provare ch’egli discendeda un Vandalo o da un Ostrogoto. Il che incontrando, sidee dire che costui è nobile, non in virtù della sua origi-ne, ma a malgrado di essa; e che i meriti susseguentidella famiglia debbono far dimenticare la colpa e l’igno-bilità della sua origine. Il sentimento contrario è assur-

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sorti, la squisitezza dell’educazione, e la stessa consue-tudine della grandezza, a cui fin dagli anni teneri è quasiconnaturato, contribuiscono per ordinario a ingentilir leapparenze e a mitigare gli effetti del grado privilegiatoed eccelso; laddove nei nuovi ricchi l’ebbrezza dellafortuna non è corretta da alcuno di questi temperamenti.Il patriziato può dunque essere di sua natura profittevolealla monarchia, come legame fra chi regge e chi è retto,come veicolo ai voti pubblici per salir sino al trono, ecome virtuoso stimolo ai minori cittadini ed esempio divalore, di rettitudine, di generosità, di costumatezza, direligione, di carità patria, di amore e di culto verso learti leggiadre e le buone dottrine. Ma acciò possa parto-rir questi effetti, uopo è che abbia parecchie condizioni;senza le quali, in vece di essere uno strumento e un pre-sidio di civiltà, ne diverrebbe il flagello. Prima di tutto,il patriziato vuol essere civile, e non feudale; cioè fon-dato sui meriti reali dei maggiori e sull’elezione delprincipe, non sulla forza e sulla violenza. Ora sarebbe diquesta seconda fatta, se si considerasse come un legitti-mo effetto della antica conquista; secondo che usanocerti eruditi, che, per adulare alla fortuna di un grande,rovistano gli archivi, e si credono di aggiungergli unnuovo lustro quando possono provare ch’egli discendeda un Vandalo o da un Ostrogoto. Il che incontrando, sidee dire che costui è nobile, non in virtù della sua origi-ne, ma a malgrado di essa; e che i meriti susseguentidella famiglia debbono far dimenticare la colpa e l’igno-bilità della sua origine. Il sentimento contrario è assur-

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do, poichè dà alla barbarie il vanto sulla civiltà; è sacri-lego ed empio, poichè fa prevalere la forza al diritto. Sesi vuol ripetere la nobiltà dalla prima origine delle fami-glie, i men nobili degl’Italiani sono appunto i più de’ pa-trizi, come quelli che non furono di ceppo italico, di-scendendo dai barbari della Germania. E per contro iveri nobili d’Italia a questo ragguaglio sarebbero i popo-lani, nelle cui vene corre il sangue pelasgico fino e puro,o al certo meno commisto; giacchè il volgo del medioevo uscì dal patriziato antico, laddove i patrizi d’allorafurono prole del volgo barbarico. Dal che si deduce cheil patriziato è una di quelle instituzioni che sono tantomigliori, quanto più si scostano dalla loro origine; laquale in questo caso fu la barbarie congiunta alla prepo-tenza. Il che è utile a ricordarsi, non per tòrre al patrizi ilrispetto che loro si debbe, ma per indurli ad essere umilie modesti, e a fondare la nobiltà loro, non già sulle col-pe dei loro maggiori, ma sulle virtù proprie e sul merita-to favore del principe; che sono le sole basi legittime delpatriziato moderno e civile. So che questo non piace adalcuni, e che non manca chi parlando e scrivendo tentidi rinnovare a questo proposito le dottrine brutali delgentilesimo. Citerò fra gli scrittori Giuseppe di Maistre,le cui opinioni sull’ essenza del patriziato non solo con-tradicono ai primi principii dell’Evangelio, ma sono tali,che i migliori pagani avrebbero arrossito di professarle1.

1 Giuseppe di Maistre è scrittore non volgare, talvolta vero e profondo, spes-so arguto e pellegrino. Si può chiedere perchè le sue opere abbiano fruttatocosì poco, e non che riuscire a creare una scuola d’instaurazione cattolica,

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do, poichè dà alla barbarie il vanto sulla civiltà; è sacri-lego ed empio, poichè fa prevalere la forza al diritto. Sesi vuol ripetere la nobiltà dalla prima origine delle fami-glie, i men nobili degl’Italiani sono appunto i più de’ pa-trizi, come quelli che non furono di ceppo italico, di-scendendo dai barbari della Germania. E per contro iveri nobili d’Italia a questo ragguaglio sarebbero i popo-lani, nelle cui vene corre il sangue pelasgico fino e puro,o al certo meno commisto; giacchè il volgo del medioevo uscì dal patriziato antico, laddove i patrizi d’allorafurono prole del volgo barbarico. Dal che si deduce cheil patriziato è una di quelle instituzioni che sono tantomigliori, quanto più si scostano dalla loro origine; laquale in questo caso fu la barbarie congiunta alla prepo-tenza. Il che è utile a ricordarsi, non per tòrre al patrizi ilrispetto che loro si debbe, ma per indurli ad essere umilie modesti, e a fondare la nobiltà loro, non già sulle col-pe dei loro maggiori, ma sulle virtù proprie e sul merita-to favore del principe; che sono le sole basi legittime delpatriziato moderno e civile. So che questo non piace adalcuni, e che non manca chi parlando e scrivendo tentidi rinnovare a questo proposito le dottrine brutali delgentilesimo. Citerò fra gli scrittori Giuseppe di Maistre,le cui opinioni sull’ essenza del patriziato non solo con-tradicono ai primi principii dell’Evangelio, ma sono tali,che i migliori pagani avrebbero arrossito di professarle1.

1 Giuseppe di Maistre è scrittore non volgare, talvolta vero e profondo, spes-so arguto e pellegrino. Si può chiedere perchè le sue opere abbiano fruttatocosì poco, e non che riuscire a creare una scuola d’instaurazione cattolica,

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Schifoso e non tollerabile è il vezzo di questo autore,per altri titoli benemerito, allorchè egli tira a una leggedi natura e di Providenza l’istinto perverso e snaturatodell’orgoglio umano. Imperocchè l’orgoglio è la solaorigine di quel sentimento per cui il nobile si crede su-perior di natura agli uomini, contro il dogma espresso e

abbian forse più nociuto che giovato, generalmente parlando, alla causadella religione. E dei due suoi illustri ausiliari, l’uno, cioè il Lamennais,generoso spirito, ma immoderato, fu condotto dalle esorbitanze religioseall’eccesso contrario; all’altro, che è il Bonald, si possono fare sottosoprale stesse imputazioni che al Maistre, salvo che il porgere di lui è più grave,ma meno splendido, e il pensiero ha più continuità, più saldezza, e tieneassai meno del paradossastico e dell’avventato. Molte sono le cagioni, chenocquero all’ impresa del Maistre; ma tre, credo, le principali. L’una, chesi trovano ne’ suoi libri pensieri divelti, non un corpo di dottrina; perchènon risalendo ai primi principii, non coordinando i suoi concetti in un si-stema unico, mancando sovratutto di filosofia e di una profonda cognizio-ne delle materie, in cui si travaglia, il suo dire non ha un valore scientifico,e rende più tosto imagine di una conversazione erudita e spiritosa, che diun lavoro meditato, di un grave e regolare insegnamento. E nelle discus-sioni teologiche, che son pur quelle di cui egli principalmente si diletta,non poche sono le inesattezze e gli errori che si trovano; il che riesce assaisingolare in un uomo così ardito e sicuro nel sentenziare, che quantunquelaico parla excatedra, come fosse il papa od un Concilio ecumenico in pet-to e in persona, e dà a chi gli contradice dell’eretico per lo capo, senza unadiscrezione al mondo. La seconda causa si è l’esagerazione con cui spessotravisa e guasta le più sante dottrine; alla quale fu condotto parte dallatempra del suo ingegno, parte dalle preoccupazioni e dalle passioni del suoceto, parte ancora dalla vaghezza di stimolare la curiosità e di eccitare lameraviglia degli uomini col nuovo e coll’immoderato. Imperocchè essen-do egli patrizio, e vivendo in tempi poco propizi alle pretensioni delle clas-si privilegiate, i contrasti ch’ebbe a soffrire, e le vicende straordinarie espesso orribili dei tempi, che fu costretto a valicare, gli diedero una febbrearistocratica così ardente, che non ne occorre per avventura un altro esem-pio nell’istoria. E siccome il patriziato feudale s’intreccia con un ordine dicose e con un vivere sociale, che ora è mancato in gran parte, e che ebbe lasua perfezione nel medio evo, perciò il Maistre fu condotto di mano in

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Schifoso e non tollerabile è il vezzo di questo autore,per altri titoli benemerito, allorchè egli tira a una leggedi natura e di Providenza l’istinto perverso e snaturatodell’orgoglio umano. Imperocchè l’orgoglio è la solaorigine di quel sentimento per cui il nobile si crede su-perior di natura agli uomini, contro il dogma espresso e

abbian forse più nociuto che giovato, generalmente parlando, alla causadella religione. E dei due suoi illustri ausiliari, l’uno, cioè il Lamennais,generoso spirito, ma immoderato, fu condotto dalle esorbitanze religioseall’eccesso contrario; all’altro, che è il Bonald, si possono fare sottosoprale stesse imputazioni che al Maistre, salvo che il porgere di lui è più grave,ma meno splendido, e il pensiero ha più continuità, più saldezza, e tieneassai meno del paradossastico e dell’avventato. Molte sono le cagioni, chenocquero all’ impresa del Maistre; ma tre, credo, le principali. L’una, chesi trovano ne’ suoi libri pensieri divelti, non un corpo di dottrina; perchènon risalendo ai primi principii, non coordinando i suoi concetti in un si-stema unico, mancando sovratutto di filosofia e di una profonda cognizio-ne delle materie, in cui si travaglia, il suo dire non ha un valore scientifico,e rende più tosto imagine di una conversazione erudita e spiritosa, che diun lavoro meditato, di un grave e regolare insegnamento. E nelle discus-sioni teologiche, che son pur quelle di cui egli principalmente si diletta,non poche sono le inesattezze e gli errori che si trovano; il che riesce assaisingolare in un uomo così ardito e sicuro nel sentenziare, che quantunquelaico parla excatedra, come fosse il papa od un Concilio ecumenico in pet-to e in persona, e dà a chi gli contradice dell’eretico per lo capo, senza unadiscrezione al mondo. La seconda causa si è l’esagerazione con cui spessotravisa e guasta le più sante dottrine; alla quale fu condotto parte dallatempra del suo ingegno, parte dalle preoccupazioni e dalle passioni del suoceto, parte ancora dalla vaghezza di stimolare la curiosità e di eccitare lameraviglia degli uomini col nuovo e coll’immoderato. Imperocchè essen-do egli patrizio, e vivendo in tempi poco propizi alle pretensioni delle clas-si privilegiate, i contrasti ch’ebbe a soffrire, e le vicende straordinarie espesso orribili dei tempi, che fu costretto a valicare, gli diedero una febbrearistocratica così ardente, che non ne occorre per avventura un altro esem-pio nell’istoria. E siccome il patriziato feudale s’intreccia con un ordine dicose e con un vivere sociale, che ora è mancato in gran parte, e che ebbe lasua perfezione nel medio evo, perciò il Maistre fu condotto di mano in

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supremo dell’unità di origine, e della comune fratellanzadi natura e di redenzione. E se i complici dell’albagiafeudale non professano la dottrina contraria colla specu-lazione, essi l’approvano coll’affetto, e la mettono inpratica, il che è assai peggio; perchè il lor modo di senti-re e di ragionare sulle gentilizie prerogative, presuppone

mano a difendere e commendare gli usi e le opinioni di quei tempi; senzadistinguere il buono dal reo, il vero dal falso, ripudiando il nuovo, soloperchè nuovo, e facendo buon viso al vecchio, al vieto ed al rancido, soloperchè simile all’antico. Così, andando a ritroso del secolo, e sostenendoquasi su ogni articolo la contradittoria di ciò che si fa e si pensa al dìd’oggi, egli ha ragione, ogni qual volta i moderni hanno il torto, e s’ingan-na quando l’età presente è più savia della passata; onde non di rado egli simostra nemico acerrimo alla civiltà e tenero della barbarie. Nè si vuol giàcredere che egli abbia una notizia esatta e profonda di quello stesso medioevo che pur vorrebbe rinnovellare; poichè al parer suo è medio evo tuttociò che non è odierno: questo è il supremo giudicatorio che governa i suoipareri, e il filo che indirizza i suoi raziocini e le sue conclusioni. Regola,come ognun vede, facile e capacissima; perchè a senno del conte la perfe-zione ideale del medio evo consiste semplicemente nel rovescio di ciò cheoggi si fa e si pensa; per modo che non è malagevole il trovarla. Il valenteuomo non s’avvide, da una parte, che il medio evo conteneva molti ele-menti barbarici, i quali ne guastavano i beni, e che dobbiam saper gradoalla civiltà moderna, che ce ne abbia liberati; e dall’altra parte, che questaciviltà su molti articoli è il ristauro di quei vecchi ordini, purgatone l’orodalla scoria che l’alterava. Così la monarchia dispotica introdotta da CarloV, da Filippo II e da Ludovico XIV è una vera modernità rispetto alla mo-narchia temperata che fioriva nei bassi tempi, e i cui ordini si rinnovellanoall’età in cui viviamo. Ond’è piacevole il vedere questo scrittore bandire lacroce addosso a tutti gli statuti moderni, senz’accorgersi ch’egli combattequello stato di cui altrove si fa difensore; quasi che i papi, da lui levati acielo, non abbiano pugnato per più di tre secoli in favore di quanto ei vor-rebbe distruggere, e quasi che egli medesimo, tirato dalla forza del vero, inaltri luoghi non lo confessi. Tanto è cieco il discorso quando è governatosolamente dall’affetto! Niuno il prova meglio del Maistre, che, per vaghez-za di contraddire all’età sua in ogni cosa, ripugna non di rado a sè stesso, edistrugge con una mano ciò che edifica coll’altra. Da ciò anche nasce il

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supremo dell’unità di origine, e della comune fratellanzadi natura e di redenzione. E se i complici dell’albagiafeudale non professano la dottrina contraria colla specu-lazione, essi l’approvano coll’affetto, e la mettono inpratica, il che è assai peggio; perchè il lor modo di senti-re e di ragionare sulle gentilizie prerogative, presuppone

mano a difendere e commendare gli usi e le opinioni di quei tempi; senzadistinguere il buono dal reo, il vero dal falso, ripudiando il nuovo, soloperchè nuovo, e facendo buon viso al vecchio, al vieto ed al rancido, soloperchè simile all’antico. Così, andando a ritroso del secolo, e sostenendoquasi su ogni articolo la contradittoria di ciò che si fa e si pensa al dìd’oggi, egli ha ragione, ogni qual volta i moderni hanno il torto, e s’ingan-na quando l’età presente è più savia della passata; onde non di rado egli simostra nemico acerrimo alla civiltà e tenero della barbarie. Nè si vuol giàcredere che egli abbia una notizia esatta e profonda di quello stesso medioevo che pur vorrebbe rinnovellare; poichè al parer suo è medio evo tuttociò che non è odierno: questo è il supremo giudicatorio che governa i suoipareri, e il filo che indirizza i suoi raziocini e le sue conclusioni. Regola,come ognun vede, facile e capacissima; perchè a senno del conte la perfe-zione ideale del medio evo consiste semplicemente nel rovescio di ciò cheoggi si fa e si pensa; per modo che non è malagevole il trovarla. Il valenteuomo non s’avvide, da una parte, che il medio evo conteneva molti ele-menti barbarici, i quali ne guastavano i beni, e che dobbiam saper gradoalla civiltà moderna, che ce ne abbia liberati; e dall’altra parte, che questaciviltà su molti articoli è il ristauro di quei vecchi ordini, purgatone l’orodalla scoria che l’alterava. Così la monarchia dispotica introdotta da CarloV, da Filippo II e da Ludovico XIV è una vera modernità rispetto alla mo-narchia temperata che fioriva nei bassi tempi, e i cui ordini si rinnovellanoall’età in cui viviamo. Ond’è piacevole il vedere questo scrittore bandire lacroce addosso a tutti gli statuti moderni, senz’accorgersi ch’egli combattequello stato di cui altrove si fa difensore; quasi che i papi, da lui levati acielo, non abbiano pugnato per più di tre secoli in favore di quanto ei vor-rebbe distruggere, e quasi che egli medesimo, tirato dalla forza del vero, inaltri luoghi non lo confessi. Tanto è cieco il discorso quando è governatosolamente dall’affetto! Niuno il prova meglio del Maistre, che, per vaghez-za di contraddire all’età sua in ogni cosa, ripugna non di rado a sè stesso, edistrugge con una mano ciò che edifica coll’altra. Da ciò anche nasce il

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logicamente la dottrina funesta e paganica della pluralitàoriginale del legnaggio umano. Ond’è che i loro sofismisi riducono appunto a quelle misere arguzie con cui ibianchi oligarchi degli Stati Uniti sogliono difendere laloro maggioranza e tirannide sui poveri Negri e sui nati-vi abitanti del paese usurpato da loro. Chiunque con-

suo amore pei paradossi, e quel suo fare vaporoso, saltellante, sofistico,che può piacere a prima vista, ma a lungo andare stanca ed infastidisce;perchè non ci trovi quella semplicità e gravità e concatenazione di pensie-ri, le quali per ordinario dal vero non si scompagnano. Chi ha una cattivacausa per le mani, e vuol rinfrescare dei rancidumi, è costretto ad aiutarsicollo spirito e colle esorbitanze; come fa appunto il Maistre; il quale miradel continuo a colpire e abbarbagliare i lettori col nuovo, coll’inaspettato,col meraviglioso, e tenta di sollevare con un tuono misterioso e una proso-popea da oracolo sentenze false, o almeno volgarissime. Quindi è che,all’opposto dei sommi maestri, i quali appianano e addimesticano al possi-bile anco le cose più alte e difficili, egli dà un sembiante di squisitezza e diaffettatura alle più comunali; e dove i falsi filosofi si studiano d’indurrealla menzogna l’aspetto e la veste della verità, egli s’adopera, all’incontro,a mettere il vero in apparenza di falso, e ad imbellettarlo coi colori propridelle opinioni cavillose e paradossastiche. Scrittore facile ed elegante, ilsuo stile è di vena e scorre senza fatica; ma sotto l’elocuzione disinvolta ecavalleresca trovi spesso un discorso oscuro, manco, leggero, sofistico,manierato, che va sui trampoli, non vede chiaro e non si affida di sè mede-simo.

Non può giudicare equamente l’ingegno e le opere del Maistre chi nondistingue in esso due uomini differentissimi, cioè il cattolico umile, assen-nato, fervente, amator del vero e del giusto, e il patrizio tumido e indispet-tito, che tiene il broncio e fa guerra al suo secolo. Quando parla il primo, lecose che ascolti son quasi sempre vere e belle ed egregiamente dette; tal-volta ancora hanno il pregio di quella novità ideale che consiste nel rinno-vare maestrevolmente l’antico. Tal è in gran parte l’opera ingegnosa edeloquente in cui l’allobrogo scrittore difende la pienezza del potere pontifi-cale, e ribatte con nobile ardimento le esagerazioni dei gallicani; tali pursono alcune di quelle pagine in cui discolpa la Providenza contro i ciechirimproveri e le ingiuste querele dei mortali. Ma per mala ventura questipregi sono appannati da molti difetti, e la collera del gentiluomo nuoce

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logicamente la dottrina funesta e paganica della pluralitàoriginale del legnaggio umano. Ond’è che i loro sofismisi riducono appunto a quelle misere arguzie con cui ibianchi oligarchi degli Stati Uniti sogliono difendere laloro maggioranza e tirannide sui poveri Negri e sui nati-vi abitanti del paese usurpato da loro. Chiunque con-

suo amore pei paradossi, e quel suo fare vaporoso, saltellante, sofistico,che può piacere a prima vista, ma a lungo andare stanca ed infastidisce;perchè non ci trovi quella semplicità e gravità e concatenazione di pensie-ri, le quali per ordinario dal vero non si scompagnano. Chi ha una cattivacausa per le mani, e vuol rinfrescare dei rancidumi, è costretto ad aiutarsicollo spirito e colle esorbitanze; come fa appunto il Maistre; il quale miradel continuo a colpire e abbarbagliare i lettori col nuovo, coll’inaspettato,col meraviglioso, e tenta di sollevare con un tuono misterioso e una proso-popea da oracolo sentenze false, o almeno volgarissime. Quindi è che,all’opposto dei sommi maestri, i quali appianano e addimesticano al possi-bile anco le cose più alte e difficili, egli dà un sembiante di squisitezza e diaffettatura alle più comunali; e dove i falsi filosofi si studiano d’indurrealla menzogna l’aspetto e la veste della verità, egli s’adopera, all’incontro,a mettere il vero in apparenza di falso, e ad imbellettarlo coi colori propridelle opinioni cavillose e paradossastiche. Scrittore facile ed elegante, ilsuo stile è di vena e scorre senza fatica; ma sotto l’elocuzione disinvolta ecavalleresca trovi spesso un discorso oscuro, manco, leggero, sofistico,manierato, che va sui trampoli, non vede chiaro e non si affida di sè mede-simo.

Non può giudicare equamente l’ingegno e le opere del Maistre chi nondistingue in esso due uomini differentissimi, cioè il cattolico umile, assen-nato, fervente, amator del vero e del giusto, e il patrizio tumido e indispet-tito, che tiene il broncio e fa guerra al suo secolo. Quando parla il primo, lecose che ascolti son quasi sempre vere e belle ed egregiamente dette; tal-volta ancora hanno il pregio di quella novità ideale che consiste nel rinno-vare maestrevolmente l’antico. Tal è in gran parte l’opera ingegnosa edeloquente in cui l’allobrogo scrittore difende la pienezza del potere pontifi-cale, e ribatte con nobile ardimento le esagerazioni dei gallicani; tali pursono alcune di quelle pagine in cui discolpa la Providenza contro i ciechirimproveri e le ingiuste querele dei mortali. Ma per mala ventura questipregi sono appannati da molti difetti, e la collera del gentiluomo nuoce

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tradlce per diretto o per indiretto, colle parole o colleopere, colle dottrine o coi sentimenti, al gran dogmaevangelico dell’unità e medesimezza di origine e di na-tura in tutti gli uomini, non pretenda al titolo di cristia-no, nè si prometta quando che sia di appartenere a quellapatria dove non regna ineguaglianza di sorte, fuor che

non di rado alla sapienza del cristiano filosofo. Certo è doloroso il vedereche il patrocinatore della Providenza la renda complice, per giustificarla,degli errori e delle colpe degli uomini; e che il lodatore del papa sia purel’apologista dei feudi, del dispotismo, della guerra [Parlando della guerra,il Maistre non teme persino di giustificare e lodare ciò che chiamal’enthousiasme du carnage. (Soir. de S.-Petersb., Entret. 7). Che mansue-tudine cristiana!], dei roghi e del carnefice. Quando si trova la stessa pennavôlta ad usi così diversi, si vorrebbe per onor dello scrittore, ch’egli avesseunicamente avvocata la buona causa, o per onor del vero, si fosse solo ap-plicato al patrocinio della cattiva. L’ebbrezza dell’orgoglio patrizio si me-sce quasi del continuo alle credenze e agli affetti del valentuomo; e comenulla è più contrario agli spiriti evangelici che la superbia fondata nei pri-vilegi del sangue, la filosofia del Maistre ha spesso un sembiante pagano,ed è alienissima dal genio mite, umile e magnanimo del Cristianesimo. Etalvolta riesce anche al puerile e all’inetto; perchè lo spirito più prelibatonon salva dalle fanciullaggini chi è lungi dal vero. Certo mi penso che lastessa superbia appiana non avrebbe osato scrivere a sangue raffreddo leseguenti parole, pronunziate iteratamente dal Maistre con quel suo tuonodi oracolo: «Il n’a jamais existé de famille souveraine, dont on puisse assi-gner l’origine plébéienne: si ce phénomène paraissait, ce serait une époquedu monde». (Consid. sur la France, cap. X, t. 3. Essai sur le princ. génér.des const. polit. Preface). Gli Appii, benchè certo non fossero dottissimi,se conoscevano un poco l’istoria dei loro tempi, doveano pur sapere che ilcontrario è vero; e che l’origine delle famiglie celebri è quasi sempre ple-bea, quando non è colpevole ed ingiusta. Imperocchè il patriziato feudale èl’effetto della conquista, cioè di un delitto; e colla conquista incomincia lanobiltà storica delle stirpi dominatrici. Se si può risalir più alto e mostrarelo stipite plebeo di tali schiatte, questo non nasce già da una legge arcanadella Providenza, ma da un fatto semplicissimo e poco onorevole a coloroche concerne; cioè dalla barbarie e dall’ignoranza dei conquistatori, chenon hanno storia prima di domare i popoli più civili. Perciò il non potere

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tradlce per diretto o per indiretto, colle parole o colleopere, colle dottrine o coi sentimenti, al gran dogmaevangelico dell’unità e medesimezza di origine e di na-tura in tutti gli uomini, non pretenda al titolo di cristia-no, nè si prometta quando che sia di appartenere a quellapatria dove non regna ineguaglianza di sorte, fuor che

non di rado alla sapienza del cristiano filosofo. Certo è doloroso il vedereche il patrocinatore della Providenza la renda complice, per giustificarla,degli errori e delle colpe degli uomini; e che il lodatore del papa sia purel’apologista dei feudi, del dispotismo, della guerra [Parlando della guerra,il Maistre non teme persino di giustificare e lodare ciò che chiamal’enthousiasme du carnage. (Soir. de S.-Petersb., Entret. 7). Che mansue-tudine cristiana!], dei roghi e del carnefice. Quando si trova la stessa pennavôlta ad usi così diversi, si vorrebbe per onor dello scrittore, ch’egli avesseunicamente avvocata la buona causa, o per onor del vero, si fosse solo ap-plicato al patrocinio della cattiva. L’ebbrezza dell’orgoglio patrizio si me-sce quasi del continuo alle credenze e agli affetti del valentuomo; e comenulla è più contrario agli spiriti evangelici che la superbia fondata nei pri-vilegi del sangue, la filosofia del Maistre ha spesso un sembiante pagano,ed è alienissima dal genio mite, umile e magnanimo del Cristianesimo. Etalvolta riesce anche al puerile e all’inetto; perchè lo spirito più prelibatonon salva dalle fanciullaggini chi è lungi dal vero. Certo mi penso che lastessa superbia appiana non avrebbe osato scrivere a sangue raffreddo leseguenti parole, pronunziate iteratamente dal Maistre con quel suo tuonodi oracolo: «Il n’a jamais existé de famille souveraine, dont on puisse assi-gner l’origine plébéienne: si ce phénomène paraissait, ce serait une époquedu monde». (Consid. sur la France, cap. X, t. 3. Essai sur le princ. génér.des const. polit. Preface). Gli Appii, benchè certo non fossero dottissimi,se conoscevano un poco l’istoria dei loro tempi, doveano pur sapere che ilcontrario è vero; e che l’origine delle famiglie celebri è quasi sempre ple-bea, quando non è colpevole ed ingiusta. Imperocchè il patriziato feudale èl’effetto della conquista, cioè di un delitto; e colla conquista incomincia lanobiltà storica delle stirpi dominatrici. Se si può risalir più alto e mostrarelo stipite plebeo di tali schiatte, questo non nasce già da una legge arcanadella Providenza, ma da un fatto semplicissimo e poco onorevole a coloroche concerne; cioè dalla barbarie e dall’ignoranza dei conquistatori, chenon hanno storia prima di domare i popoli più civili. Perciò il non potere

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quella dei meriti e delle azioni. E che diremo di coloroche si recano espressamente a gloria il discendere daitruci invasori e devastatori d’Italia, e si vantano che lanobiltà loro sia prezzo di sangue e di rapine? che siascrivono a lode ed a merito le scellerate prodezze deiloro avi? che celebrano i feudi e i martóri della gleba;

assegnare l’origine plebea delle famiglie sovrane proviene in parte dallatristizia, in parte dalla selvatichezza di coloro che le fondarono. Vegga ilMaistre quanto questa doppia cagione sia onorevole per la causa che eglidifende. Io credo che onora assai più le famiglie sovrane chi fonda la legit-timità loro sopra l’investitura di un diritto anteriore, fatta dalla Chiesa edalle nazioni, e sopra i loro meriti verso queste, invece di risalire alla oscu-ra loro origine. Anche nei paesi civili non si ha per lo più memoria dei pri-mi principii delle famiglie illustri; ma un ragazzo di dodici anni, purchè unpo’ svegliato, avrebbe saputo insegnare al conte che ciò succede, perchè iprimi principii delle famiglie illustri non sono illustri, e la storia per ordi-nario conserva i fatti illustri solamente. Oltre che, io non intendo bene checosa si voglia significare per origine plebea delle famiglie; imperocchè,s’egli è certo che tutte le famiglie provengono da un solo uomo, la quistio-ne si riduce a sapere se Adamo sia stato nobile o plebeo. Ma queste consi-derazioni, che pur sono così semplici, ch’io mi vergogno quasi ad esporle,non bastavano al Maistre; il quale aveva d’uopo dello straordinario percorroborare quella sua sentenza, bellissima in bocca di un Cristiano, checerte famiglie sono naturalmente nobili e sovrane (Consid. sur la Franceloco citato), e stabilire ciò che egli chiama piacevolmente il dogma dellanobiltà (Soir. de S.·Pétersb., Entret. 10). Fuori dei popoli soggiogati dallaconquista, l’origine delle famiglie principesche non è mai patrizia, per unaragione eziandio trivialissima; la quale si è che presso tali popoli tutto ilmondo è popolano. Qual è la nobiltà degli Stati Uniti? Quel mondo im-menso della Cina non ha patriziato; perchè il mandarinatico non è eredita-rio, ma elettivo, e l’impero cinese è l’unico paese del globo che serbi anco-ra, almeno in parte, il genio e le forme del patriarcato de’ primi tempi. Epure venti e più dinastie uscirono da tal nazione, che supera in ampiezza dipaese e in frequenza di popolo la culta Europa; fra le quali quella deiMing, che fu una delle più famose, e liberò la patria dalla oppressione deiTartari mongoli, fu fondata da un misero guattero. Un guattero fondare unafamiglia imperiale che regnò gloriosamente per lo spazio di due secoli e

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quella dei meriti e delle azioni. E che diremo di coloroche si recano espressamente a gloria il discendere daitruci invasori e devastatori d’Italia, e si vantano che lanobiltà loro sia prezzo di sangue e di rapine? che siascrivono a lode ed a merito le scellerate prodezze deiloro avi? che celebrano i feudi e i martóri della gleba;

assegnare l’origine plebea delle famiglie sovrane proviene in parte dallatristizia, in parte dalla selvatichezza di coloro che le fondarono. Vegga ilMaistre quanto questa doppia cagione sia onorevole per la causa che eglidifende. Io credo che onora assai più le famiglie sovrane chi fonda la legit-timità loro sopra l’investitura di un diritto anteriore, fatta dalla Chiesa edalle nazioni, e sopra i loro meriti verso queste, invece di risalire alla oscu-ra loro origine. Anche nei paesi civili non si ha per lo più memoria dei pri-mi principii delle famiglie illustri; ma un ragazzo di dodici anni, purchè unpo’ svegliato, avrebbe saputo insegnare al conte che ciò succede, perchè iprimi principii delle famiglie illustri non sono illustri, e la storia per ordi-nario conserva i fatti illustri solamente. Oltre che, io non intendo bene checosa si voglia significare per origine plebea delle famiglie; imperocchè,s’egli è certo che tutte le famiglie provengono da un solo uomo, la quistio-ne si riduce a sapere se Adamo sia stato nobile o plebeo. Ma queste consi-derazioni, che pur sono così semplici, ch’io mi vergogno quasi ad esporle,non bastavano al Maistre; il quale aveva d’uopo dello straordinario percorroborare quella sua sentenza, bellissima in bocca di un Cristiano, checerte famiglie sono naturalmente nobili e sovrane (Consid. sur la Franceloco citato), e stabilire ciò che egli chiama piacevolmente il dogma dellanobiltà (Soir. de S.·Pétersb., Entret. 10). Fuori dei popoli soggiogati dallaconquista, l’origine delle famiglie principesche non è mai patrizia, per unaragione eziandio trivialissima; la quale si è che presso tali popoli tutto ilmondo è popolano. Qual è la nobiltà degli Stati Uniti? Quel mondo im-menso della Cina non ha patriziato; perchè il mandarinatico non è eredita-rio, ma elettivo, e l’impero cinese è l’unico paese del globo che serbi anco-ra, almeno in parte, il genio e le forme del patriarcato de’ primi tempi. Epure venti e più dinastie uscirono da tal nazione, che supera in ampiezza dipaese e in frequenza di popolo la culta Europa; fra le quali quella deiMing, che fu una delle più famose, e liberò la patria dalla oppressione deiTartari mongoli, fu fondata da un misero guattero. Un guattero fondare unafamiglia imperiale che regnò gloriosamente per lo spazio di due secoli e

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che commendano la conquista, ed esaltano il più esecra-bile misfatto che gridi vendetta al cielo? Che cos’eranoquei baroni, leudi, gasindi, che piombarono sulla bellaItalia e dissiparono ogni suo bene, se non masnadieri eladroni? Superbi patrizi, vantatevi pure, se vi aggrada,di avere avuti per padri i Barbari, i conquistatori e i di-

mezzo! Se il povero conte avesse saputo questo orribile scandalo dato dal-la Providenza nell’Asia orientale, avrebbe, credo, perduto il cervello; o al-meno si sarebbe astenuto dal dire che se questo fenomeno avesse luogo,comincerebbe una nuova epoca nel mondo. Ma egli non poteva ignorare,anche senza squadernare gli annali cinesi, che il fenomeno era molto anti-co, ed era stato suggellato più volte con modi ordinari e straordinari dalcielo. Imperocchè, incominciando da Abramo e da Melchisedech, egli èdifficile il provare che nelle vene di quegli antichissimi monarchi scorressesangue patrizio; e ogni monarchia primitiva, che non sia stata infetta dalsistema eterodosso delle caste, fu indivisa dal patriarcato e plebea. La fa-miglia reale più insigne che sia stata al mondo, cioè quella da cui Cristodiscese, ebbe un’origine popolanissima; quando non si voglia credere chegl’Israeliti avessero dei baroni, e Isai, padre di David, fosse conte o mar-chese. Mi duole di dover intrattenere il lettore con tali avvertenze; ma egliè pur necessario per mostrare quanto sia serio il connettere del Maistre aquesto proposito. Si potrebbero passar le inezie; ma come mai un cattolicopuò tacere e dissimulare, quando legge le parole seguenti? «Il appartientaux prélats, aux nobles, aux grands officiers de l’État d’etre les dépositai-res et les gardiens des vérités conservatrices; d’apprendre aux nations cequi est mal et ce qui est bien; ce qui est vrai et ce qui est faux dans l’ordremoral et spirituel: les autres n’ont pas droit de la raisonner sur ces sortesde matières» (Soir. de S.·Pétersb., Entret. 8). I nobili e i grandi uffizialidello Stato accoppiati ai vescovi nell’ufficio di dover conservare e inse-gnare il vero morale e religioso! I nobili soli fra i laici hanno il diritto diragionare sulla filosofia e sulla religione! In verità che il Maistre non pote-va eleggere una scena ideale più acconcia di Pietroburgo all’insegnamentodi tali dottrine; nè provare meglio la bontà della sua sentenza, e l’attitudinepatrizia a filosofare e a teologizzare dirittamente, che discorrendo in talmodo, egli nobile, di morale e di Cristianesimo. Io non so indurmi a crede-re che un uomo pio come il Maistre avvertisse l’assurdità e la reità di taliparole; ma mi meraviglio bensì che le opere in cui esse si contengono, sia-

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che commendano la conquista, ed esaltano il più esecra-bile misfatto che gridi vendetta al cielo? Che cos’eranoquei baroni, leudi, gasindi, che piombarono sulla bellaItalia e dissiparono ogni suo bene, se non masnadieri eladroni? Superbi patrizi, vantatevi pure, se vi aggrada,di avere avuti per padri i Barbari, i conquistatori e i di-

mezzo! Se il povero conte avesse saputo questo orribile scandalo dato dal-la Providenza nell’Asia orientale, avrebbe, credo, perduto il cervello; o al-meno si sarebbe astenuto dal dire che se questo fenomeno avesse luogo,comincerebbe una nuova epoca nel mondo. Ma egli non poteva ignorare,anche senza squadernare gli annali cinesi, che il fenomeno era molto anti-co, ed era stato suggellato più volte con modi ordinari e straordinari dalcielo. Imperocchè, incominciando da Abramo e da Melchisedech, egli èdifficile il provare che nelle vene di quegli antichissimi monarchi scorressesangue patrizio; e ogni monarchia primitiva, che non sia stata infetta dalsistema eterodosso delle caste, fu indivisa dal patriarcato e plebea. La fa-miglia reale più insigne che sia stata al mondo, cioè quella da cui Cristodiscese, ebbe un’origine popolanissima; quando non si voglia credere chegl’Israeliti avessero dei baroni, e Isai, padre di David, fosse conte o mar-chese. Mi duole di dover intrattenere il lettore con tali avvertenze; ma egliè pur necessario per mostrare quanto sia serio il connettere del Maistre aquesto proposito. Si potrebbero passar le inezie; ma come mai un cattolicopuò tacere e dissimulare, quando legge le parole seguenti? «Il appartientaux prélats, aux nobles, aux grands officiers de l’État d’etre les dépositai-res et les gardiens des vérités conservatrices; d’apprendre aux nations cequi est mal et ce qui est bien; ce qui est vrai et ce qui est faux dans l’ordremoral et spirituel: les autres n’ont pas droit de la raisonner sur ces sortesde matières» (Soir. de S.·Pétersb., Entret. 8). I nobili e i grandi uffizialidello Stato accoppiati ai vescovi nell’ufficio di dover conservare e inse-gnare il vero morale e religioso! I nobili soli fra i laici hanno il diritto diragionare sulla filosofia e sulla religione! In verità che il Maistre non pote-va eleggere una scena ideale più acconcia di Pietroburgo all’insegnamentodi tali dottrine; nè provare meglio la bontà della sua sentenza, e l’attitudinepatrizia a filosofare e a teologizzare dirittamente, che discorrendo in talmodo, egli nobile, di morale e di Cristianesimo. Io non so indurmi a crede-re che un uomo pio come il Maistre avvertisse l’assurdità e la reità di taliparole; ma mi meraviglio bensì che le opere in cui esse si contengono, sia-

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struttori della vostra patria. Noi non v’invidiamo questaorigine privilegiata. Se ne fossimo partecipi, ci copri-remmo il viso per la vergogna, e cercheremmo di lavareal meglio la macchia del nostro legnaggio, invece di ral-legrarcene e di ostentarla fra i popoli cristiani. Noi rin-graziamo Iddio di averci fatti nascere plebei, se il patri-

no date fuori dalle società dei buoni libri senza correzione di sorta, e si citida certuni come autorità teologica, uno scrittore pieno di esorbitanze sìgravi, e ignorante sino a tal segno i dogmi e la indole della nostra fede.

La terza e ultima cagione della poca utilità degli sforzi e delle fatiche diquesto scrittore, e in parte eziandio de’ suoi traviamenti, è il genio franceseche domina in tutte le sue opere. Ora egli è scritto in cielo che l’instaura-zione della vera scienza e della religione non possa uscire da quella stirpeche ha principalmente cooperato alla loro ruina, e che per nessun versopuò vendicarsi il primo seggio nel concilio dei popoli europei. Il Maistrefu nativo della Savoia; e se avesse risposto fedelmente all’istinto patrioavrebbe dovuto sentire e pensare italianamente, perchè gli abitatori di talcontrada sono in parte italiani di spiriti, benchè francesi di lingua. Ma lalingua appunto sviollo; perchè essendosi avvezzo a pensare come gli uo-mini di cui usa la favella, e nutrendosi delle loro lettere, divenne a poco apoco un de’ loro, se non in tutto, almeno su molti punti, e specialmente neldiscorso e nell’affetto; le quali due cose del Maistre sono galliche, ezian-dio quando le adopera ad esprimere opinioni di un’altra natura. Certo quelsuo fare e porgere arrogante e millantatore, quel suo andare a balzi ed a ca-priole, quel suo tuono che tiene dell’oracolo insieme col saltimbanco, quelsuo procedere sofistico anche quando difende il vero, e sovratutto quellafuria di esagerazione che lo possiede, sono qualità squisitamente francesi(parlo del Francesi moderni), e alienissime dalla gravità e dalla riserva de-gli Italiani. I quali recano anche negli errori e nelle improntitudini una viri-lità e saldezza loro propria, e non si scordano mai affatto il senno pratico,nè perdono il sentimento del loro paese e del secolo, eziandio quando siabbandonano agl’impeti dell’immaginazione. Perciò si può dire che purdove l’opinione del Maistre fu inspirata dalle salutari influenze della pros-sima Italia, gli accessorii che l’accompagnano sono di conio gallico; comesi può vedere nella sua opera sul papa; la quale, dettata da un vivo senti-mento della cattolicità italiana, è pur piena di digressioni e d’aggiunti, cheal tema principale ripugnano. Egli è infatti in tal libro che si trova questa

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struttori della vostra patria. Noi non v’invidiamo questaorigine privilegiata. Se ne fossimo partecipi, ci copri-remmo il viso per la vergogna, e cercheremmo di lavareal meglio la macchia del nostro legnaggio, invece di ral-legrarcene e di ostentarla fra i popoli cristiani. Noi rin-graziamo Iddio di averci fatti nascere plebei, se il patri-

no date fuori dalle società dei buoni libri senza correzione di sorta, e si citida certuni come autorità teologica, uno scrittore pieno di esorbitanze sìgravi, e ignorante sino a tal segno i dogmi e la indole della nostra fede.

La terza e ultima cagione della poca utilità degli sforzi e delle fatiche diquesto scrittore, e in parte eziandio de’ suoi traviamenti, è il genio franceseche domina in tutte le sue opere. Ora egli è scritto in cielo che l’instaura-zione della vera scienza e della religione non possa uscire da quella stirpeche ha principalmente cooperato alla loro ruina, e che per nessun versopuò vendicarsi il primo seggio nel concilio dei popoli europei. Il Maistrefu nativo della Savoia; e se avesse risposto fedelmente all’istinto patrioavrebbe dovuto sentire e pensare italianamente, perchè gli abitatori di talcontrada sono in parte italiani di spiriti, benchè francesi di lingua. Ma lalingua appunto sviollo; perchè essendosi avvezzo a pensare come gli uo-mini di cui usa la favella, e nutrendosi delle loro lettere, divenne a poco apoco un de’ loro, se non in tutto, almeno su molti punti, e specialmente neldiscorso e nell’affetto; le quali due cose del Maistre sono galliche, ezian-dio quando le adopera ad esprimere opinioni di un’altra natura. Certo quelsuo fare e porgere arrogante e millantatore, quel suo andare a balzi ed a ca-priole, quel suo tuono che tiene dell’oracolo insieme col saltimbanco, quelsuo procedere sofistico anche quando difende il vero, e sovratutto quellafuria di esagerazione che lo possiede, sono qualità squisitamente francesi(parlo del Francesi moderni), e alienissime dalla gravità e dalla riserva de-gli Italiani. I quali recano anche negli errori e nelle improntitudini una viri-lità e saldezza loro propria, e non si scordano mai affatto il senno pratico,nè perdono il sentimento del loro paese e del secolo, eziandio quando siabbandonano agl’impeti dell’immaginazione. Perciò si può dire che purdove l’opinione del Maistre fu inspirata dalle salutari influenze della pros-sima Italia, gli accessorii che l’accompagnano sono di conio gallico; comesi può vedere nella sua opera sul papa; la quale, dettata da un vivo senti-mento della cattolicità italiana, è pur piena di digressioni e d’aggiunti, cheal tema principale ripugnano. Egli è infatti in tal libro che si trova questa

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ziato consiste nell’avere i marrani per antenati, o peristipite un ribaldo. I nostri padri furono poveri ed oscuri,non calpestarono i deboli, non vennero in fama colle in-solenze, non cercarono di farsi grandi coll’ammazzare erapire. Oh! gloriatevi che i vostri maggiori abbiano di-serto il mondo e popolato l’inferno, dove, se imitate la

singolar sentenza: spettare agli scrittori francesi l’eminente prerogativa dinominare le cose in Europa (Du Pape, lib. 4, cap. 4); la qual sentenza con-suona a ciò che egli spesso ripete sulla maggioranza della lingua francese.Ma come mai un uomo che considerò il papa come il perno della civiltàeuropea, potè dare il primato ad un idioma diverso de quello d’Italia?Troppo ripugna il separare due cose indivise e indivisibili, quali sono ilpensiero e la favella, e porre il cervello di Europa in Roma, e la lingua inParigi. Chi non vede l’Idea e la parola esser cose inseparabili, e del paro ri-chieste a costituire l’essenza dell’oracolo che risiede nel loro accoppia-mento? E qual è l’oracolo legittimo del mondo se non Roma? Per qual ra-gione la lingua toscana, che fu per qualche secolo l’eloquio civile e gentiledi una parte dell’Europa colta, divenne eziandio la favella parlata del La-zio, dove che il resto d’Italia serbò i suoi dialetti per l’uso volgare, se nonperchè il pensiero romano non poteva esser segregato dalla lingua princi-pe? E da quanto tempo, per Dio, i Francesi hanno l’eminente prerogativadi nominar le cose in Europa? Appunto da che l’Europa smarrì l’unità re-ligiosa, e venne meno l’universale balìa del pontefice. Quando questi re-gnava spiritualmente sul mondo e ne moderava civilmente i destini, l’emi-nente prerogativa di nominar le cose in Europa era affidata ai concittadinidel papa e ai successori di quel popolo che aveva posseduto in antico ilmedesimo privilegio. Imperocchè i Romani, e non i Galli, imposero ragio-ne e lingua all’antico Occidente, come i Toscani, e non i Francesi, diederolettere e sermone aulico ed illustre alle nazioni moderne, quando rinacque-ro a umanità e pulitezza di vita. L’universalità civile e erudita della lingualatina e dell’italiana cominciò a scadere nei tempi della Riforma per operadi Lutero e di Calvino, che furono i primi a introdurre l’uso dei vernacolibarbari nelle cose di religione; poi per industria di Cartesio, che fece altret-tanto nella filosofia e nelle altre scienze; poi di Ludovico XIV, che stesequesta usanza alle faccende politiche, e intruse il gergo imbelle di Versa-glia nelle varie corti di Europa; e finalmente del Voltaire e di Napoleone,che compierono l’opera. A questi sei uomini di infelice memoria debbono i

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ziato consiste nell’avere i marrani per antenati, o peristipite un ribaldo. I nostri padri furono poveri ed oscuri,non calpestarono i deboli, non vennero in fama colle in-solenze, non cercarono di farsi grandi coll’ammazzare erapire. Oh! gloriatevi che i vostri maggiori abbiano di-serto il mondo e popolato l’inferno, dove, se imitate la

singolar sentenza: spettare agli scrittori francesi l’eminente prerogativa dinominare le cose in Europa (Du Pape, lib. 4, cap. 4); la qual sentenza con-suona a ciò che egli spesso ripete sulla maggioranza della lingua francese.Ma come mai un uomo che considerò il papa come il perno della civiltàeuropea, potè dare il primato ad un idioma diverso de quello d’Italia?Troppo ripugna il separare due cose indivise e indivisibili, quali sono ilpensiero e la favella, e porre il cervello di Europa in Roma, e la lingua inParigi. Chi non vede l’Idea e la parola esser cose inseparabili, e del paro ri-chieste a costituire l’essenza dell’oracolo che risiede nel loro accoppia-mento? E qual è l’oracolo legittimo del mondo se non Roma? Per qual ra-gione la lingua toscana, che fu per qualche secolo l’eloquio civile e gentiledi una parte dell’Europa colta, divenne eziandio la favella parlata del La-zio, dove che il resto d’Italia serbò i suoi dialetti per l’uso volgare, se nonperchè il pensiero romano non poteva esser segregato dalla lingua princi-pe? E da quanto tempo, per Dio, i Francesi hanno l’eminente prerogativadi nominar le cose in Europa? Appunto da che l’Europa smarrì l’unità re-ligiosa, e venne meno l’universale balìa del pontefice. Quando questi re-gnava spiritualmente sul mondo e ne moderava civilmente i destini, l’emi-nente prerogativa di nominar le cose in Europa era affidata ai concittadinidel papa e ai successori di quel popolo che aveva posseduto in antico ilmedesimo privilegio. Imperocchè i Romani, e non i Galli, imposero ragio-ne e lingua all’antico Occidente, come i Toscani, e non i Francesi, diederolettere e sermone aulico ed illustre alle nazioni moderne, quando rinacque-ro a umanità e pulitezza di vita. L’universalità civile e erudita della lingualatina e dell’italiana cominciò a scadere nei tempi della Riforma per operadi Lutero e di Calvino, che furono i primi a introdurre l’uso dei vernacolibarbari nelle cose di religione; poi per industria di Cartesio, che fece altret-tanto nella filosofia e nelle altre scienze; poi di Ludovico XIV, che stesequesta usanza alle faccende politiche, e intruse il gergo imbelle di Versa-glia nelle varie corti di Europa; e finalmente del Voltaire e di Napoleone,che compierono l’opera. A questi sei uomini di infelice memoria debbono i

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superbia dei loro spiriti, morendo, li troverete. A noi di-letta il poterci confidare che i nostri, i quali soffersero insilenzio, vissero senza gloria e morirono senza compian-to, siano scritti nel libro di Dio e abbiano parte al suoceleste regno. Questi sono i titoli gentilizi di cui ci ono-riamo; queste le nostre domestiche glorie; imperocchè

Francesi di oggidì l’eminente prerogativa di nominar le cose in Europa;sei uomini primeggianti fra i più insigni nemici del papa e d’Italia. Nonvoglio già pareggiare per ogni verso in questa orribile preminenza il De-scartes, Luigi e il Buonaparte ai tre altri menzionati; ma se le intenzionidei primi furono diverse e le colpe minori, calamitosi del pari, o pocomeno, tornarono gli effetti. Io non so abbastanza meravigliarmi come ilMaistre, nemico così fiero del gallicanismo e della filosofia regnante nelpassato secolo, non siasi accorto che il predominio della lingua francese inEuropa è dovuto principalmente al signoreggiare di quelle due dottrine.Vedesi che lo scrittore allobrogo, invasato e aggirato dagli influssi gallici,ignorò la prima condizione del risorgimento cattolico ed europeo; la qualconsiste nel ritogliere alla Francia la signoria intellettuale e morale da leiusurpata. Il che non può succedere, finchè le si permette il primato dellalingua, e il cinguettìo della Senna contamina le caste orecchie degli altripopoli, specialmente di noi Italiani, e ciò che si stampa in Parigi di più fri-volo e mediocre ingombra i nostri studi e le nostre biblioteche. Il predomi-nio del parlare importa il prevalere legittimo del pensare; e il popolo pos-seditore di questo, perchè unico custode dei principii ortodossi, è l’unicoche abbia l’eminente prerogativa di nominar le cose in Europa. I Francesinon possono attribuirsela, sia perchè han perduti i veri principii, e perchèsono destituiti naturalmente della vena inventiva e immaginativa; di cuison gl’italiani forniti sopra ogni altra nazione. I Francesi col loro idiomafacile e leggiero possono esser traduttori, ma non autori, possono diffon-derne gli altrui concetti e ripeterne i nomi, ma non essere trovatori degliuni, nè degli altri. Se la lingua gallica, di comun consenso, è la più poveradi tutte, come potrà ella possedere l’eminente prerogativa di nominar lecose in Europa? Non è egli ridicolo il voler che il mendico faccia la limo-sina ai ricchi o ai meno indigenti di lui? pur troppo che l’Europa fece perdue secoli questo bel calcolo, e ora può levare il conto di ciò che ci ha gua-dagnato. Ma la Providenza per salvarci nostro malgrado, o almeno toglier-ci ogni scusa o pretesto d’errore, ha percosso ai dì nostri le lettere francesi

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superbia dei loro spiriti, morendo, li troverete. A noi di-letta il poterci confidare che i nostri, i quali soffersero insilenzio, vissero senza gloria e morirono senza compian-to, siano scritti nel libro di Dio e abbiano parte al suoceleste regno. Questi sono i titoli gentilizi di cui ci ono-riamo; queste le nostre domestiche glorie; imperocchè

Francesi di oggidì l’eminente prerogativa di nominar le cose in Europa;sei uomini primeggianti fra i più insigni nemici del papa e d’Italia. Nonvoglio già pareggiare per ogni verso in questa orribile preminenza il De-scartes, Luigi e il Buonaparte ai tre altri menzionati; ma se le intenzionidei primi furono diverse e le colpe minori, calamitosi del pari, o pocomeno, tornarono gli effetti. Io non so abbastanza meravigliarmi come ilMaistre, nemico così fiero del gallicanismo e della filosofia regnante nelpassato secolo, non siasi accorto che il predominio della lingua francese inEuropa è dovuto principalmente al signoreggiare di quelle due dottrine.Vedesi che lo scrittore allobrogo, invasato e aggirato dagli influssi gallici,ignorò la prima condizione del risorgimento cattolico ed europeo; la qualconsiste nel ritogliere alla Francia la signoria intellettuale e morale da leiusurpata. Il che non può succedere, finchè le si permette il primato dellalingua, e il cinguettìo della Senna contamina le caste orecchie degli altripopoli, specialmente di noi Italiani, e ciò che si stampa in Parigi di più fri-volo e mediocre ingombra i nostri studi e le nostre biblioteche. Il predomi-nio del parlare importa il prevalere legittimo del pensare; e il popolo pos-seditore di questo, perchè unico custode dei principii ortodossi, è l’unicoche abbia l’eminente prerogativa di nominar le cose in Europa. I Francesinon possono attribuirsela, sia perchè han perduti i veri principii, e perchèsono destituiti naturalmente della vena inventiva e immaginativa; di cuison gl’italiani forniti sopra ogni altra nazione. I Francesi col loro idiomafacile e leggiero possono esser traduttori, ma non autori, possono diffon-derne gli altrui concetti e ripeterne i nomi, ma non essere trovatori degliuni, nè degli altri. Se la lingua gallica, di comun consenso, è la più poveradi tutte, come potrà ella possedere l’eminente prerogativa di nominar lecose in Europa? Non è egli ridicolo il voler che il mendico faccia la limo-sina ai ricchi o ai meno indigenti di lui? pur troppo che l’Europa fece perdue secoli questo bel calcolo, e ora può levare il conto di ciò che ci ha gua-dagnato. Ma la Providenza per salvarci nostro malgrado, o almeno toglier-ci ogni scusa o pretesto d’errore, ha percosso ai dì nostri le lettere francesi

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chi ama l’Italia e adora la fede di Cristo, non può invi-diarvi o contendervi quelle che millantate.

Queste censure non riguardano certamente il patrizia-to civile d’Italia, come quello che si fonda nei meriti dicoloro che ne acquistarono il lustro alle loro famiglie, enel savio disponimento dei principi, che, comunicandoun raggio del loro splendore ai benemeriti della comunepatria, vollero che tal privilegio nella loro prole, come iltrono nella linea reale, si propagasse. Ma affinchè per ladebolezza e la malizia degli uomini la nobiltà civile nonsi corrompa, nè pei costumi e gl’influssi, se non ancopel potere, traligni in feudale, egli è d’uopo che vengasolo apprezzata e onorata, in quanto si serba congiuntaal senno e alla virtù che la partorirono. Essa si dee per-ciò considerare come un estrinseco contrassegno di que-sti beni, che, rendendoli più cospicui, li rende eziandiopiù giovaturi, piuttosto che come un merito intrinsecoche possa supplire alla loro mancanza. E tornerebbe cer-to a gran danno, quando l’opinione contraria si radicas-se, e gli uomini si, avvezzassero a credere che un citta-dino ignorante e vizioso sovrasti pur di un carato ai po-polani, solo perchè egli è nobile, e non sottostia anzi acoloro che lo vincono di moralità e di coltura. A quelliche allegano la purezza e lo splendore del sangue, ionon oserei disdire il piacere di usar queste innocenti me-

di una sterilità tale, che i loro amatori più fervidi non possono dissimular-sela. Ai quali è da sperare che succederà come al bambino, il quale si di-vezza dalla poppa vendereccia della nutrice, quando, provandosi e ripro-vandosi a succiarla, la trova vizza e affatto vuota del nutritivo liquore. [G.]

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chi ama l’Italia e adora la fede di Cristo, non può invi-diarvi o contendervi quelle che millantate.

Queste censure non riguardano certamente il patrizia-to civile d’Italia, come quello che si fonda nei meriti dicoloro che ne acquistarono il lustro alle loro famiglie, enel savio disponimento dei principi, che, comunicandoun raggio del loro splendore ai benemeriti della comunepatria, vollero che tal privilegio nella loro prole, come iltrono nella linea reale, si propagasse. Ma affinchè per ladebolezza e la malizia degli uomini la nobiltà civile nonsi corrompa, nè pei costumi e gl’influssi, se non ancopel potere, traligni in feudale, egli è d’uopo che vengasolo apprezzata e onorata, in quanto si serba congiuntaal senno e alla virtù che la partorirono. Essa si dee per-ciò considerare come un estrinseco contrassegno di que-sti beni, che, rendendoli più cospicui, li rende eziandiopiù giovaturi, piuttosto che come un merito intrinsecoche possa supplire alla loro mancanza. E tornerebbe cer-to a gran danno, quando l’opinione contraria si radicas-se, e gli uomini si, avvezzassero a credere che un citta-dino ignorante e vizioso sovrasti pur di un carato ai po-polani, solo perchè egli è nobile, e non sottostia anzi acoloro che lo vincono di moralità e di coltura. A quelliche allegano la purezza e lo splendore del sangue, ionon oserei disdire il piacere di usar queste innocenti me-

di una sterilità tale, che i loro amatori più fervidi non possono dissimular-sela. Ai quali è da sperare che succederà come al bambino, il quale si di-vezza dalla poppa vendereccia della nutrice, quando, provandosi e ripro-vandosi a succiarla, la trova vizza e affatto vuota del nutritivo liquore. [G.]

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tafore, purchè non si piglino in senso feudale, ma serva-no a rendere più virtuoso, più dotto, più magnanimo chile adopera e se ne fa bello. Ma se invece di produr que-sto effetto, esse lo inducessero al vizio e alla trascurag-gine, dico che non v’ha purezza, nè splendore di sangueche abbia il menomo valore dinanzi a Dio o dinanzi agliuomini che pensano rettamente, se non è accoppiata aiveri pregi dell’animo e ai meriti che ne derivano. E ag-giungo che il patrizio ignorante e corrotto perde ogni ti-tolo verso la stima altrui, ed è assai più biasimevole dicoloro che, locati in minor condizione, sono incolti e vi-ziosi; imperocchè, avendo per la qualità del suo gradopiù copiosi e più efficaci sussidi onde ingentilirsi e daropera alle virtù, se egli non usa o se abusa di tali mezzi,si fa reo di maggior colpa e più degno di vituperio. Co-loro adunque che vantano la purezza e lo splendore delsangue senza il sapere e la virtù, vadano a predicare laloro dottrina fra i barbari e gli infedeli; e non osino levarla fronte, nè aprir la bocca fra gli uomini religiosi e civi-li. Oggi chiunque non è stupido o tristo è persuaso chela vera nobiltà dell’uomo è riposta nella virtù; e chequesta sola può dar qualche pregio agli stemmi ed ai ti-toli estrinseci di maggioranza e di onore. Passato è iltempo in cui Pietro Micca, martire e salvatore della pa-tria, e sovrastante per la grandezza eroica dell’animo edel fatto ad ogni altro nome degli annali piemontesi, eraricompensato con un vil tozzo di pane, gittato per mise-

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tafore, purchè non si piglino in senso feudale, ma serva-no a rendere più virtuoso, più dotto, più magnanimo chile adopera e se ne fa bello. Ma se invece di produr que-sto effetto, esse lo inducessero al vizio e alla trascurag-gine, dico che non v’ha purezza, nè splendore di sangueche abbia il menomo valore dinanzi a Dio o dinanzi agliuomini che pensano rettamente, se non è accoppiata aiveri pregi dell’animo e ai meriti che ne derivano. E ag-giungo che il patrizio ignorante e corrotto perde ogni ti-tolo verso la stima altrui, ed è assai più biasimevole dicoloro che, locati in minor condizione, sono incolti e vi-ziosi; imperocchè, avendo per la qualità del suo gradopiù copiosi e più efficaci sussidi onde ingentilirsi e daropera alle virtù, se egli non usa o se abusa di tali mezzi,si fa reo di maggior colpa e più degno di vituperio. Co-loro adunque che vantano la purezza e lo splendore delsangue senza il sapere e la virtù, vadano a predicare laloro dottrina fra i barbari e gli infedeli; e non osino levarla fronte, nè aprir la bocca fra gli uomini religiosi e civi-li. Oggi chiunque non è stupido o tristo è persuaso chela vera nobiltà dell’uomo è riposta nella virtù; e chequesta sola può dar qualche pregio agli stemmi ed ai ti-toli estrinseci di maggioranza e di onore. Passato è iltempo in cui Pietro Micca, martire e salvatore della pa-tria, e sovrastante per la grandezza eroica dell’animo edel fatto ad ogni altro nome degli annali piemontesi, eraricompensato con un vil tozzo di pane, gittato per mise-

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ricordia alla derelitta moglie e agli orfani figliuoli1.Quel tozzo di pane, signori patrizi, dato per guiderdo-

ne alla prole di un uomo a cui la Cina pagana e l’anticagentilità avrebbero creduto di far poco innalzando untempio o una statua, ma che per essere plebeo fu giudi-cato indegno di maggior mercede da quella patria che

1 Il Botta, raccontato il fatto dell’illustre minatore, così prosiegue: «Torinofu salvo quel giorno; perché, se non era pel generoso Biellese, nissun Eu-genio, nè nissun Vittorio Amedeo il salvavano, e l’opera loro veniva indar-no. Da lui la corona ducale fu conservata, e la regia posta in capo ai princi-pi di Savoia. A questo passo esito, ed ho vergogna al dire come la famigliadell’eroico preservatore sia stata ricompensata: le furono statuite due ratedi pane militare in perpetuo, come se il nobilissimo fatto una nobilissimaricompensa non avesse meritato, e qui si trattasse solamente di saziar lafame di chi portava il nome di un eroe. Un autore già da me altrove citato,che scrisse recentemente in lingua francese memorie storiche della casa diSavoia, riprende alcuni apprezzatori moderni, come gli chiama, i quali cre-dendo, come continua a dire, che tutto possa e debba pagarsi al pesodell’oro, hanno stimata assai meschina quella ricompensa all’antica. Poi sene va loro rammentando che un ramo d’ulivo particolarmente consecrato aMinerva, era in Atene la più bella delle ricompense, e che la facoltà di po-tersi sedere alle mense pubbliche di Sparta era il più onorevol premio dellefatiche sparse in pro della patria. Ciò stà molto bene, ma non so che il Pie-monte fosse Atene o Sparta. La monarchia doveva premiare i discendentidi Micca con gli onori, ch’essa dà, come le repubbliche antiche premiava-no cogli onori, ch’esse davano. Il pane si dà ai poveri, non ai gloriosi. Chepane, che pane! Ripeto, che ho vergogna. Ma Micca era plebeo: la ricom-pensa data, o piuttosto l’oltraggio fatto a chi il suo nome portava, denota ilcaso, che si faceva in Piemonte a quei tempi dei popolani. A’ giorni nostrisi conobbe l’indecenza. Cercossi, (miserabil caso, che cercare si dovesse),l’ultimo rampollo della famiglia del Micca, un vecchio assai di tempo, chese ne viveva a sè medesimo ed agli altri sconosciuto nelle sue montagne. Ilfecero venire a Torino, e d’un abito di sergente artigliere il vestirono. Pococapiva quel che si volessero; il suo idiotismo provava l’antica ingratitudi-ne. Il corpo degl’ingegneri fece coniare una medaglia in onore di PietroMicca tardo testimonio di una virtù che ha poche pari. La data della meda-glia onora chi la procurò, disonora chi tardò. Ahi! pur troppo freddi furono

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ricordia alla derelitta moglie e agli orfani figliuoli1.Quel tozzo di pane, signori patrizi, dato per guiderdo-

ne alla prole di un uomo a cui la Cina pagana e l’anticagentilità avrebbero creduto di far poco innalzando untempio o una statua, ma che per essere plebeo fu giudi-cato indegno di maggior mercede da quella patria che

1 Il Botta, raccontato il fatto dell’illustre minatore, così prosiegue: «Torinofu salvo quel giorno; perché, se non era pel generoso Biellese, nissun Eu-genio, nè nissun Vittorio Amedeo il salvavano, e l’opera loro veniva indar-no. Da lui la corona ducale fu conservata, e la regia posta in capo ai princi-pi di Savoia. A questo passo esito, ed ho vergogna al dire come la famigliadell’eroico preservatore sia stata ricompensata: le furono statuite due ratedi pane militare in perpetuo, come se il nobilissimo fatto una nobilissimaricompensa non avesse meritato, e qui si trattasse solamente di saziar lafame di chi portava il nome di un eroe. Un autore già da me altrove citato,che scrisse recentemente in lingua francese memorie storiche della casa diSavoia, riprende alcuni apprezzatori moderni, come gli chiama, i quali cre-dendo, come continua a dire, che tutto possa e debba pagarsi al pesodell’oro, hanno stimata assai meschina quella ricompensa all’antica. Poi sene va loro rammentando che un ramo d’ulivo particolarmente consecrato aMinerva, era in Atene la più bella delle ricompense, e che la facoltà di po-tersi sedere alle mense pubbliche di Sparta era il più onorevol premio dellefatiche sparse in pro della patria. Ciò stà molto bene, ma non so che il Pie-monte fosse Atene o Sparta. La monarchia doveva premiare i discendentidi Micca con gli onori, ch’essa dà, come le repubbliche antiche premiava-no cogli onori, ch’esse davano. Il pane si dà ai poveri, non ai gloriosi. Chepane, che pane! Ripeto, che ho vergogna. Ma Micca era plebeo: la ricom-pensa data, o piuttosto l’oltraggio fatto a chi il suo nome portava, denota ilcaso, che si faceva in Piemonte a quei tempi dei popolani. A’ giorni nostrisi conobbe l’indecenza. Cercossi, (miserabil caso, che cercare si dovesse),l’ultimo rampollo della famiglia del Micca, un vecchio assai di tempo, chese ne viveva a sè medesimo ed agli altri sconosciuto nelle sue montagne. Ilfecero venire a Torino, e d’un abito di sergente artigliere il vestirono. Pococapiva quel che si volessero; il suo idiotismo provava l’antica ingratitudi-ne. Il corpo degl’ingegneri fece coniare una medaglia in onore di PietroMicca tardo testimonio di una virtù che ha poche pari. La data della meda-glia onora chi la procurò, disonora chi tardò. Ahi! pur troppo freddi furono

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aveva salvata, basta a provare quanto fosse sapiente lareligione, delicata la cortesia, e magnifica la liberalitàdegli avi vostri. Richiedendo nei nobili il sapere, sareb-be ridicolo il volere che tutti siano dotti e letterati diprofessione: ma assai saputo e benemerito è chiunqueusa l’ingegno ricevuto da Dio, per abilitarsi a servire

gli scrittori contemporanei ed i moderni, che di cotesto fatto parlarono!Ahi! troppo restî sono gli uomini alla gratitudine». (Stor. d’Ital. contin. daquella del Guicc., lib. 35). Una medaglia è poca cosa per onorar la memo-ria dell’unico Piemontese, che salvò colla sua vita la patria; ma ho intesodire che il busto di lui si vede oggi nel palagio magnifico dell’Arsenale.Speriamo che sotto la famiglia regnante, giusta estimatrice del bello e delgrande, la riconoscenza pubblica verso un atto di virtù impareggiabile avràil suo compimento, e la statua colossale di Pietro Micca sorgerà in un luo-go pubblico come quella di Emanuele Filiberto, per insegnare ai posteriche la virtù eroica congiunge gli estremi della catena sociale, e pareggiadopo morte ogni fortuna.

Un minatore, secondo l’estimazione autorevole del mondo, è più che unoste. Or veggasi come la Cina monarchica, ma pagana, ricompensò un osteper un atto di virtù privata assai minore di quello del Micca, poichè nonebbe a costar la salute nè la vita dell’operatore. «Intorno a ciò dell’onorar lavirtù, serbando memoria, quanto far si può, immortale de’ virtuosi, ne ve-drem pruove tali, che beato il mondo s’egli non isdegnasse di farsi in ciòdiscepolo della Cina; e perch’è d’altro luogo il dirne, siane qui per saggio ilmagnifico tempio, che nella Provincia di Sciansi fu eretto a spese del pub-blico, e consagrato al nome e al merito di un’oste, che mortogli nell’alber-go un ricchissimo passeggere, ne serbò il tesoro che aveva seco in denari.avvegnachè non commesso alla sua fede, e poscìa a non so quanto, avvenu-tosi a viaggiar per colà il figliuolo del morto, che del tesoro del padre nonsapeva nulla e perciò di nulla il richiedeva, tutto a lui fedelmente il rendet-te: più contento di rimanersi povero e innocente, che diventar ricco e colpe-vole. Or perciocchè nella Cina la virtù in cui che si trovi è pregiata, nè laviltà del suggetto può nulla a renderla vile, anzi essa può tutto a render luiglorioso; non nocque al valent’uomo l’essere della condizione che un’oste,sì che non gli si edificasse per comune assenso un sontuoso tempio, perquivi eternamente avere in memoria il suo nome, e in riverenza il meritodella sua fedeltà: anzi tante se ne pregiò la sua patria, che per lui prese

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aveva salvata, basta a provare quanto fosse sapiente lareligione, delicata la cortesia, e magnifica la liberalitàdegli avi vostri. Richiedendo nei nobili il sapere, sareb-be ridicolo il volere che tutti siano dotti e letterati diprofessione: ma assai saputo e benemerito è chiunqueusa l’ingegno ricevuto da Dio, per abilitarsi a servire

gli scrittori contemporanei ed i moderni, che di cotesto fatto parlarono!Ahi! troppo restî sono gli uomini alla gratitudine». (Stor. d’Ital. contin. daquella del Guicc., lib. 35). Una medaglia è poca cosa per onorar la memo-ria dell’unico Piemontese, che salvò colla sua vita la patria; ma ho intesodire che il busto di lui si vede oggi nel palagio magnifico dell’Arsenale.Speriamo che sotto la famiglia regnante, giusta estimatrice del bello e delgrande, la riconoscenza pubblica verso un atto di virtù impareggiabile avràil suo compimento, e la statua colossale di Pietro Micca sorgerà in un luo-go pubblico come quella di Emanuele Filiberto, per insegnare ai posteriche la virtù eroica congiunge gli estremi della catena sociale, e pareggiadopo morte ogni fortuna.

Un minatore, secondo l’estimazione autorevole del mondo, è più che unoste. Or veggasi come la Cina monarchica, ma pagana, ricompensò un osteper un atto di virtù privata assai minore di quello del Micca, poichè nonebbe a costar la salute nè la vita dell’operatore. «Intorno a ciò dell’onorar lavirtù, serbando memoria, quanto far si può, immortale de’ virtuosi, ne ve-drem pruove tali, che beato il mondo s’egli non isdegnasse di farsi in ciòdiscepolo della Cina; e perch’è d’altro luogo il dirne, siane qui per saggio ilmagnifico tempio, che nella Provincia di Sciansi fu eretto a spese del pub-blico, e consagrato al nome e al merito di un’oste, che mortogli nell’alber-go un ricchissimo passeggere, ne serbò il tesoro che aveva seco in denari.avvegnachè non commesso alla sua fede, e poscìa a non so quanto, avvenu-tosi a viaggiar per colà il figliuolo del morto, che del tesoro del padre nonsapeva nulla e perciò di nulla il richiedeva, tutto a lui fedelmente il rendet-te: più contento di rimanersi povero e innocente, che diventar ricco e colpe-vole. Or perciocchè nella Cina la virtù in cui che si trovi è pregiata, nè laviltà del suggetto può nulla a renderla vile, anzi essa può tutto a render luiglorioso; non nocque al valent’uomo l’essere della condizione che un’oste,sì che non gli si edificasse per comune assenso un sontuoso tempio, perquivi eternamente avere in memoria il suo nome, e in riverenza il meritodella sua fedeltà: anzi tante se ne pregiò la sua patria, che per lui prese

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utilmente il principe e la patria. Se però il dar opera lar-gamente agli studi non conviene a tutti, v’ha una certacoltura di spirito che profitta in ogni condizione, e dacui un uomo civile non può dispensarsi, quando abbiaquegli agi e mezzi estrinseci che a niuno tanto abbonda-no quanto ai nobili cittadini. E per la stessa cagione ilculto più speciale delle scienze e delle lettere amene do-vrebbe trovare molti amatori e seguaci fra i gentiluominiitaliani; i quali renderebbero per tal modo un servigioimmortale alla patria coll’opera e coll’esempio. Lode siaa quegli egregi patrizi che onorano le varie province del-la Penisola, non solo proteggendo le buone lettere, macoltivandole con ardore e con gloria, e sono tanto piùbenemeriti, quanto che vivono fra molti avvezzi a con-sumare oziando e lascivendo la vita. La qual lode un se-colo fa non si sarebbe potuta dare al patriziato piemon-tese, che solo dei civili negozi e del ferro si compiaceva.Ma da che, l’Alfieri e il Caluso lo invitarono e invoglia-rono col loro grande esempio a entrar nell’aringo dellasapienza, svegliando in lui i sensi della gentilezza itali-ca, egli si mostrò degno e capace di seguir le vestigie ditali duci. Non vi ha quasi alcuna parte dell’austerascienza, delle arti belle e della varia erudizione che nonsia stata da un secolo in qua felicemente culta e illustra-ta dai nobili del Piemonte; e i soli nomi coetanei del Sa-luzzo, del Balbo, del Provana, dell’Azeglio, dello Sclo-pis, del Petitti, del San Quintino, del Santarosa, e di altri

nome, che suona quanto amante o seguace della pietà». (BARTOLI, Cina, I,25). [G.]

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utilmente il principe e la patria. Se però il dar opera lar-gamente agli studi non conviene a tutti, v’ha una certacoltura di spirito che profitta in ogni condizione, e dacui un uomo civile non può dispensarsi, quando abbiaquegli agi e mezzi estrinseci che a niuno tanto abbonda-no quanto ai nobili cittadini. E per la stessa cagione ilculto più speciale delle scienze e delle lettere amene do-vrebbe trovare molti amatori e seguaci fra i gentiluominiitaliani; i quali renderebbero per tal modo un servigioimmortale alla patria coll’opera e coll’esempio. Lode siaa quegli egregi patrizi che onorano le varie province del-la Penisola, non solo proteggendo le buone lettere, macoltivandole con ardore e con gloria, e sono tanto piùbenemeriti, quanto che vivono fra molti avvezzi a con-sumare oziando e lascivendo la vita. La qual lode un se-colo fa non si sarebbe potuta dare al patriziato piemon-tese, che solo dei civili negozi e del ferro si compiaceva.Ma da che, l’Alfieri e il Caluso lo invitarono e invoglia-rono col loro grande esempio a entrar nell’aringo dellasapienza, svegliando in lui i sensi della gentilezza itali-ca, egli si mostrò degno e capace di seguir le vestigie ditali duci. Non vi ha quasi alcuna parte dell’austerascienza, delle arti belle e della varia erudizione che nonsia stata da un secolo in qua felicemente culta e illustra-ta dai nobili del Piemonte; e i soli nomi coetanei del Sa-luzzo, del Balbo, del Provana, dell’Azeglio, dello Sclo-pis, del Petitti, del San Quintino, del Santarosa, e di altri

nome, che suona quanto amante o seguace della pietà». (BARTOLI, Cina, I,25). [G.]

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non pochi, son bastevoli a mostrarlo. Ben si desiderache il patriziato subalpino dismetta affatto ogni reliquiadi quegli usi gallici che nei tempi addietro invalseropresso di esso, e vennero radicati da una lunga consue-tudine; imperocchè ad uomini in cui vive e risplende pu-rissimo il sentimento della dignità italiana, come sono inostri ottimati, mal si addice il parlare e lo scrivere fran-cescamente.

Un’altra condizione del patriziato civile consiste nellasua perfetta soggezione alle leggi, la quale dee essertale, che non corra per questa parte il menomo divariofra il primo dei cittadini nobili, e l’ultimo de’ plebei.L’uso contrario sarebbe iniquo, tirannico, incomportabi-le in un paese cristiano, e mal frutterebbe al governo chese ne rendesse complice col tollerarlo e non metterviostacolo. Nè alcuno creda che l’egualità civile offenda ildecoro de’ nobili; chè anzi vi conferisce; perchè non puòessere riverito chi è odioso e detestato; e le prepotenzeimpunite dei gentiluomini eccitano l’odio del pubblicocon danno tanto maggiore, quanto che il torto di pochiridonda in pregiudizio di tutti, e rende esoso il ceto inuniversale. Si vuol dire dei patrizi quel medesimo chedei preti; ai quali certi privilegi, che li partono dal co-mune dei cittadini, non fanno buon pro, e tornano spes-so a grave scandalo di molti e a disdoro della religione.Ma certo l’eguaglianza legale non basterebbe a partorirquegli effetti di utilità pubblica, che si aspettano dai pa-trizi, se non penetrasse nei loro costumi, affratellandolicogli ordini della nazione. Imperocchè, se invece essi

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non pochi, son bastevoli a mostrarlo. Ben si desiderache il patriziato subalpino dismetta affatto ogni reliquiadi quegli usi gallici che nei tempi addietro invalseropresso di esso, e vennero radicati da una lunga consue-tudine; imperocchè ad uomini in cui vive e risplende pu-rissimo il sentimento della dignità italiana, come sono inostri ottimati, mal si addice il parlare e lo scrivere fran-cescamente.

Un’altra condizione del patriziato civile consiste nellasua perfetta soggezione alle leggi, la quale dee essertale, che non corra per questa parte il menomo divariofra il primo dei cittadini nobili, e l’ultimo de’ plebei.L’uso contrario sarebbe iniquo, tirannico, incomportabi-le in un paese cristiano, e mal frutterebbe al governo chese ne rendesse complice col tollerarlo e non metterviostacolo. Nè alcuno creda che l’egualità civile offenda ildecoro de’ nobili; chè anzi vi conferisce; perchè non puòessere riverito chi è odioso e detestato; e le prepotenzeimpunite dei gentiluomini eccitano l’odio del pubblicocon danno tanto maggiore, quanto che il torto di pochiridonda in pregiudizio di tutti, e rende esoso il ceto inuniversale. Si vuol dire dei patrizi quel medesimo chedei preti; ai quali certi privilegi, che li partono dal co-mune dei cittadini, non fanno buon pro, e tornano spes-so a grave scandalo di molti e a disdoro della religione.Ma certo l’eguaglianza legale non basterebbe a partorirquegli effetti di utilità pubblica, che si aspettano dai pa-trizi, se non penetrasse nei loro costumi, affratellandolicogli ordini della nazione. Imperocchè, se invece essi

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considerano le classi minori dei cittadini come caste im-monde, e schivano i popolani, quasi temano di mac-chiarsi e di avvilirsi conversando con essi, e usano sol-tanto fra loro od in corte, non potranno mai cooperare aquella civil concordia dal cui difetto nacquero la disu-nione d’Italia e il dietreggiare dei nostri miglioramenti.Nè giova giustificare la schifiltà dei nobili quella diffe-renza di educazione che corre fra loro e i popolanieziandio colti; perchè anche nei modi dei nobili non tut-to è oro di coppella, e certe movenze, certi vezzi, certiattucci, certi lezi, certe delicature, certe smancerie che siusano da certi uomini per segnalarsi dagli altri, stareb-bero forse meglio alle gentildonne. Se le maniere deipopolani sono più rozze, per compenso riescono anchepiù semplici; e senza semplicità non vi ha grazia virile,nè bellezza, le quali mancano ogni qual volta la natura èsoprafatta dall’arte. Ond’è che le affettature e le squisi-tezze delle parole e dei portamenti solite ad usarsi nellecorti e presso alcune nazioni, come, verbigrazia, i Fran-cesi, sarebbero intollerabili nel giro ideale della imita-zione poetica, pittorica, scultoria (salvo che si introdu-cano per muovere a riso), anche a coloro cui piacciononella vita reale in virtù della consuetudine. Ma lo conce-derò volentieri che i modi dei popolani tengano spessodel rustico e del plebeio, e possano offendere la delicataleggiadria e la sopraffina eleganza dei nobili; se nonche, ciò nasce appunto dal vivere segregato, onde i bor-ghesi non possono ricevere le influenze della classe su-periore. Anche i gentiluomini erano ruvidi e foresti,

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considerano le classi minori dei cittadini come caste im-monde, e schivano i popolani, quasi temano di mac-chiarsi e di avvilirsi conversando con essi, e usano sol-tanto fra loro od in corte, non potranno mai cooperare aquella civil concordia dal cui difetto nacquero la disu-nione d’Italia e il dietreggiare dei nostri miglioramenti.Nè giova giustificare la schifiltà dei nobili quella diffe-renza di educazione che corre fra loro e i popolanieziandio colti; perchè anche nei modi dei nobili non tut-to è oro di coppella, e certe movenze, certi vezzi, certiattucci, certi lezi, certe delicature, certe smancerie che siusano da certi uomini per segnalarsi dagli altri, stareb-bero forse meglio alle gentildonne. Se le maniere deipopolani sono più rozze, per compenso riescono anchepiù semplici; e senza semplicità non vi ha grazia virile,nè bellezza, le quali mancano ogni qual volta la natura èsoprafatta dall’arte. Ond’è che le affettature e le squisi-tezze delle parole e dei portamenti solite ad usarsi nellecorti e presso alcune nazioni, come, verbigrazia, i Fran-cesi, sarebbero intollerabili nel giro ideale della imita-zione poetica, pittorica, scultoria (salvo che si introdu-cano per muovere a riso), anche a coloro cui piacciononella vita reale in virtù della consuetudine. Ma lo conce-derò volentieri che i modi dei popolani tengano spessodel rustico e del plebeio, e possano offendere la delicataleggiadria e la sopraffina eleganza dei nobili; se nonche, ciò nasce appunto dal vivere segregato, onde i bor-ghesi non possono ricevere le influenze della classe su-periore. Anche i gentiluomini erano ruvidi e foresti,

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quando vivevano selvaggiamente intanati nelle loro ca-stella, e non ne uscivano che per correre alla guerra oalla caccia. Che se essi si ripulirono praticando coi citta-dini, coi chierici e coi principi, giusto è che rendano lostesso servigio a chi arricchisce la patria, versando peifondachi, pei banchi e per le nobili officine, purchè nonsia estrano a quella soda cultura che rende profittevolela comune usanza, e in cui consiste l’aristocrazia natura-le, che è la sola reale dei popoli civili. Così i nobili e iborghesi, trattando insieme, si gioveranno reciproca-mente, rimettendo gli uni della loro affettazione e alteri-gia, e gli altri della loro meschinità e grettezza che spes-so è loro giustamente imputata; e potranno insieme riu-niti volger l’opera loro a pro di quella povera plebe, cheè la parte più sacra, perchè la più misera, la più vilipesa,la più faticante, la più numerosa, e sovente la più pia,proba e costumata dell’umana famiglia. Così anche igentiluomini consolideranno il potere del principe; acui, vivendo isolati, tornano inutili, e insolentendo, ap-parecchiano la rovina. Errano coloro che credono la no-biltà feudale o fondata sul mero privilegio della nascita,senza i meriti delle opere, giovare alla monarchia, costi-tuendo intorno al trono una gerarchia ereditaria come iltrono medesimo. Io credo anzi il contrario; perchè l’abu-so del reditaggio inutile e gravoso dei nobili tende ascreditarlo e renderlo odioso eziandio nel principe, dovepure è necessario e sacro, facendo nascere quei desidèridemocratici ed immoderati che partoriscono le rivolu-zioni. Ond’io penso che il miglior partito per rovinare

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quando vivevano selvaggiamente intanati nelle loro ca-stella, e non ne uscivano che per correre alla guerra oalla caccia. Che se essi si ripulirono praticando coi citta-dini, coi chierici e coi principi, giusto è che rendano lostesso servigio a chi arricchisce la patria, versando peifondachi, pei banchi e per le nobili officine, purchè nonsia estrano a quella soda cultura che rende profittevolela comune usanza, e in cui consiste l’aristocrazia natura-le, che è la sola reale dei popoli civili. Così i nobili e iborghesi, trattando insieme, si gioveranno reciproca-mente, rimettendo gli uni della loro affettazione e alteri-gia, e gli altri della loro meschinità e grettezza che spes-so è loro giustamente imputata; e potranno insieme riu-niti volger l’opera loro a pro di quella povera plebe, cheè la parte più sacra, perchè la più misera, la più vilipesa,la più faticante, la più numerosa, e sovente la più pia,proba e costumata dell’umana famiglia. Così anche igentiluomini consolideranno il potere del principe; acui, vivendo isolati, tornano inutili, e insolentendo, ap-parecchiano la rovina. Errano coloro che credono la no-biltà feudale o fondata sul mero privilegio della nascita,senza i meriti delle opere, giovare alla monarchia, costi-tuendo intorno al trono una gerarchia ereditaria come iltrono medesimo. Io credo anzi il contrario; perchè l’abu-so del reditaggio inutile e gravoso dei nobili tende ascreditarlo e renderlo odioso eziandio nel principe, dovepure è necessario e sacro, facendo nascere quei desidèridemocratici ed immoderati che partoriscono le rivolu-zioni. Ond’io penso che il miglior partito per rovinare

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una monarchia sia l’instituire a côsta di essa un ceto ari-stocratico prepotente e vizioso, in cui il privilegio deinatali supplisca alla virtù, al sapere, all’ingegno, e aglialtri pregi e meriti reali dell’animo e della vita. E la sto-ria si accorda col mio parere; imperocchè fra tutti i prin-cipati antichi e moderni che caddero per violenza, nonse ne trova forse un solo a cui non abbiano contribuito isoprusi e le avanie delle classi privilegiate. Citerò, perun esempio illustre e casalingo, la monarchia piemonte-se: la quale sul finire del secolo scorso non sarebbe pro-babilmente caduta, senza la boria e l’arroganza incom-portabile di alcuni patrizi, che, facendo odiare chi go-vernava, cagionarono la disunione, poi le congiure, i tra-dimenti, le sommosse, le sanguinose giustizie e tuttoquel successo di cose che dêtte finalmente in preda aiFrancesi una sì bella parte d’Italia. Il Botta, scrittoreprudente e assegnato, tenero della monarchia piemonte-se, e non solo amico, ma parziale dei nobili, confermaespressamente la mia avvertenza in più luoghi della suastoria. E, certo, quell’unione che sola può salvare il Pie-monte contro un impeto straniero, è indarno il promet-tersela, se i plebei e i borghesi astiano i nobili; il che av-verrà quando ne siano avviliti e bistrattati, se già non simutano radicalmente le condizioni della natura umana.

Quando in un altro mio discorso io confortai i nobilipiemontesi ad essere modesti, stimai facendolo di adem-piere il debito di un pio cittadino verso la patria. E nonche il mio dire sia stato mosso da alcuna cagion perso-nale o da privato risentimento, godo di poter dichiarare

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una monarchia sia l’instituire a côsta di essa un ceto ari-stocratico prepotente e vizioso, in cui il privilegio deinatali supplisca alla virtù, al sapere, all’ingegno, e aglialtri pregi e meriti reali dell’animo e della vita. E la sto-ria si accorda col mio parere; imperocchè fra tutti i prin-cipati antichi e moderni che caddero per violenza, nonse ne trova forse un solo a cui non abbiano contribuito isoprusi e le avanie delle classi privilegiate. Citerò, perun esempio illustre e casalingo, la monarchia piemonte-se: la quale sul finire del secolo scorso non sarebbe pro-babilmente caduta, senza la boria e l’arroganza incom-portabile di alcuni patrizi, che, facendo odiare chi go-vernava, cagionarono la disunione, poi le congiure, i tra-dimenti, le sommosse, le sanguinose giustizie e tuttoquel successo di cose che dêtte finalmente in preda aiFrancesi una sì bella parte d’Italia. Il Botta, scrittoreprudente e assegnato, tenero della monarchia piemonte-se, e non solo amico, ma parziale dei nobili, confermaespressamente la mia avvertenza in più luoghi della suastoria. E, certo, quell’unione che sola può salvare il Pie-monte contro un impeto straniero, è indarno il promet-tersela, se i plebei e i borghesi astiano i nobili; il che av-verrà quando ne siano avviliti e bistrattati, se già non simutano radicalmente le condizioni della natura umana.

Quando in un altro mio discorso io confortai i nobilipiemontesi ad essere modesti, stimai facendolo di adem-piere il debito di un pio cittadino verso la patria. E nonche il mio dire sia stato mosso da alcuna cagion perso-nale o da privato risentimento, godo di poter dichiarare

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che nei nobili italiani da me praticati ho sempre trovataquella affabile dignità di maniere che si addice al verogentiluomo, e talvolta un fiore di virtù e di cortesia fi-nissimo, atto a destare eziandio nei più schivi affetto eriverenza. Tal è, senza dubbio, il maggior numero deinobili subalpini; nei quali perciò non invano il Piemontee l’Italia tutta collocano gran parte delle loro speranze.Ma io non ho potuto e non posso dissimulare che se netrovano alcuni pochissimi, i quali, usando modi affattocontrari, fanno un grave torto alla riputazionc dell’uni-versale. Se costoro hanno per male che io gli ammoni-sca francamente dei loro difetti, secondo il debito delloscrittore, io ho per più male assai che essi non se neemendino, e non imparino l’utile loro, non dico già dallemie parole, ma dai fatti. Imperocchè vent’anni di tumul-ti, di rivoluzioni, di guerre, di esilii, di umiliazioni e per-fino di estrema miseria, che costrinse alcuni di essi adandar raminghi pel mondo e a chiedere la vita per Dio,dovrebbero farli rinsavire, e persuaderli che mal proveg-gono all’onore e alla sicurezza loro, tornando alle anti-che usanze, e cercando di rinnovare le insolenze e le tri-stizie baronali del medio evo. Non manca pur troppo aidì nostri chi in secreto sospira il fodero1 e la gleba, e ri-

1 È tradizione volgare che in Francia, in Allemagna, in Italia ed in altri paesifosse in vigore un diritto, in virtù del quale avessero i feudatari ferma ra-gione sulle primizie delle spose e che questo diritto si chiamasse del fode-ro. Da quest’uso trae argomento un poema satirico giocondo in ottava rimadi «Veridico Sincer» (COLOMBO GIULIO), intitolato Il Fodero o sia il Ius sul-le spose degli antichi signori, Parigi, 1788. (Cfr. Giornale Scientifico eLetterario e delle arti di una società filosofica di Torino ecc., tomo I, parte

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che nei nobili italiani da me praticati ho sempre trovataquella affabile dignità di maniere che si addice al verogentiluomo, e talvolta un fiore di virtù e di cortesia fi-nissimo, atto a destare eziandio nei più schivi affetto eriverenza. Tal è, senza dubbio, il maggior numero deinobili subalpini; nei quali perciò non invano il Piemontee l’Italia tutta collocano gran parte delle loro speranze.Ma io non ho potuto e non posso dissimulare che se netrovano alcuni pochissimi, i quali, usando modi affattocontrari, fanno un grave torto alla riputazionc dell’uni-versale. Se costoro hanno per male che io gli ammoni-sca francamente dei loro difetti, secondo il debito delloscrittore, io ho per più male assai che essi non se neemendino, e non imparino l’utile loro, non dico già dallemie parole, ma dai fatti. Imperocchè vent’anni di tumul-ti, di rivoluzioni, di guerre, di esilii, di umiliazioni e per-fino di estrema miseria, che costrinse alcuni di essi adandar raminghi pel mondo e a chiedere la vita per Dio,dovrebbero farli rinsavire, e persuaderli che mal proveg-gono all’onore e alla sicurezza loro, tornando alle anti-che usanze, e cercando di rinnovare le insolenze e le tri-stizie baronali del medio evo. Non manca pur troppo aidì nostri chi in secreto sospira il fodero1 e la gleba, e ri-

1 È tradizione volgare che in Francia, in Allemagna, in Italia ed in altri paesifosse in vigore un diritto, in virtù del quale avessero i feudatari ferma ra-gione sulle primizie delle spose e che questo diritto si chiamasse del fode-ro. Da quest’uso trae argomento un poema satirico giocondo in ottava rimadi «Veridico Sincer» (COLOMBO GIULIO), intitolato Il Fodero o sia il Ius sul-le spose degli antichi signori, Parigi, 1788. (Cfr. Giornale Scientifico eLetterario e delle arti di una società filosofica di Torino ecc., tomo I, parte

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corda con desiderio quei tempi beatissimi in cui ne an-dava assai più al popolano per avere ucciso il cane o ilcerbio di un nobile, che ad un nobile per avere ammaz-zato un plebeo. Ma questi voti e questi sospiri sono inu-tili; conciossiachè le iniquità legali dei tempi andati nonpossono rivivere sotto l’imperio giusto del cielo; e sa-rebbe tanto impossibile agli odierni patrizi il rinnovare ifeudi, quanto era agli antichi feudatari il ritornare antro-pofagi come i popoli selvaggi. E quanto è impresa santae pietosa il ritirare le instituzioni buone verso i loroprincipii, tanto sarebbe empia e scellerata opera (quandonon fosse ancor più vana e ridicola) il voler ripristinargli abusi sterpati dallo zelo dei savi e dal tempo col sa-crificio di molte generazioni. E chi lo tentasse in Italiasarebbe reo, non solo di civiltà offesa, ma di maestà,quando i nostri principi con mirabile accordo sudaronoper molti anni a svellere dalle radici gli ordini feudali, eil Re di Sardegna ne ha testè stralciate sapientemente leultime reliquie nell’isola feconda e monumentale da cuisi denomina la sua corona1. Chiunque ama la monarchia,chiunque detesta le discordie interne e le invasioni fore-stiere, deve desiderare che i nobili si comportino civil-

I, Torino, Stamperia Reale, 1789).1 Nel 1832 Carlo Alberto ne fece rilevare lo stato delle ragioni feudali; e ne-

gli anni successivi richiamò dai baroni la giurisdizione civile e criminale eil diritto di riscuotere servigi forzosi; riscattò varii feudi; sciolse quelli del-la corona e quelli che per devoluzione o riscatto si venivano aggregando alregio demanio. Cfr. RAFFAELE DI TUCCI, Manuale di storia della Sardegna,Cagliari, s. d., pagg. 166-167, nonchè G. OTTOLENGHI nella «Introduzione»alle Reminescenze della propria vita del conte L. Sauli d’Igliano, Roma,1908, pagg. l34-l46.

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corda con desiderio quei tempi beatissimi in cui ne an-dava assai più al popolano per avere ucciso il cane o ilcerbio di un nobile, che ad un nobile per avere ammaz-zato un plebeo. Ma questi voti e questi sospiri sono inu-tili; conciossiachè le iniquità legali dei tempi andati nonpossono rivivere sotto l’imperio giusto del cielo; e sa-rebbe tanto impossibile agli odierni patrizi il rinnovare ifeudi, quanto era agli antichi feudatari il ritornare antro-pofagi come i popoli selvaggi. E quanto è impresa santae pietosa il ritirare le instituzioni buone verso i loroprincipii, tanto sarebbe empia e scellerata opera (quandonon fosse ancor più vana e ridicola) il voler ripristinargli abusi sterpati dallo zelo dei savi e dal tempo col sa-crificio di molte generazioni. E chi lo tentasse in Italiasarebbe reo, non solo di civiltà offesa, ma di maestà,quando i nostri principi con mirabile accordo sudaronoper molti anni a svellere dalle radici gli ordini feudali, eil Re di Sardegna ne ha testè stralciate sapientemente leultime reliquie nell’isola feconda e monumentale da cuisi denomina la sua corona1. Chiunque ama la monarchia,chiunque detesta le discordie interne e le invasioni fore-stiere, deve desiderare che i nobili si comportino civil-

I, Torino, Stamperia Reale, 1789).1 Nel 1832 Carlo Alberto ne fece rilevare lo stato delle ragioni feudali; e ne-

gli anni successivi richiamò dai baroni la giurisdizione civile e criminale eil diritto di riscuotere servigi forzosi; riscattò varii feudi; sciolse quelli del-la corona e quelli che per devoluzione o riscatto si venivano aggregando alregio demanio. Cfr. RAFFAELE DI TUCCI, Manuale di storia della Sardegna,Cagliari, s. d., pagg. 166-167, nonchè G. OTTOLENGHI nella «Introduzione»alle Reminescenze della propria vita del conte L. Sauli d’Igliano, Roma,1908, pagg. l34-l46.

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mente e modestamente, e se qualcuno di essi trascorre,sia pronta e vigorosamente rintuzzato colle pene debite,acciò non talenti a’ suoi consorti d’imitarne gli esempi.E io, che amo e venero l’illustre casa di Savoia, e nonpotendo nella mia mente separare la sua felicità da quel-la del Piemonte e di tutta Italia, desidero che col tempo,secondo l’augurio di virile ingegno,

Quanto il corso del Po proceda e imperi,

non posso essere accusato, se guardando ai mali presentie temendo i futuri, bramo che il patriziato piemontese sigoverni in modo da poter essere il sostegno di quella, loscudo e il propugnacolo. Quando taluno mi opponesseche per aver buon garbo a fare queste avvertenze e cen-surare i nobili, dovrei esser nobile io stesso, mi trovereidavvero alquanto impacciato a rispondere. Tuttavia,pensandoci un poco, potrei forse dire, che sebbene io siauno del popolo, mi è lecito il ricordare, non già il gala-teo (il cielo mi guardi da tanta temerità), ma il catechi-smo anche ai più nobili, se occorre; e che quando ioesorto i patrizi ad essere manierosi, cortesi e dignitosa-mente umili verso tutti, non fo altro che ripetere gl’inse-gnamenti di quel codice elementare e sopra tutti autore-vole. Vorranno dire che il Cristianesimo legittimi l’alte-rigia e le ingiurie, eziandio verso coloro che sono infimie debolissimi? Ovvero che non si abbia il diritto di ri-cordare in pubblico i precetti dell’Evangelio a chi li cal-pesta solennemente, confidandosi di andare impunito?Grazie a Dio, il Piemonte è un paese cattolico, retto da

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mente e modestamente, e se qualcuno di essi trascorre,sia pronta e vigorosamente rintuzzato colle pene debite,acciò non talenti a’ suoi consorti d’imitarne gli esempi.E io, che amo e venero l’illustre casa di Savoia, e nonpotendo nella mia mente separare la sua felicità da quel-la del Piemonte e di tutta Italia, desidero che col tempo,secondo l’augurio di virile ingegno,

Quanto il corso del Po proceda e imperi,

non posso essere accusato, se guardando ai mali presentie temendo i futuri, bramo che il patriziato piemontese sigoverni in modo da poter essere il sostegno di quella, loscudo e il propugnacolo. Quando taluno mi opponesseche per aver buon garbo a fare queste avvertenze e cen-surare i nobili, dovrei esser nobile io stesso, mi trovereidavvero alquanto impacciato a rispondere. Tuttavia,pensandoci un poco, potrei forse dire, che sebbene io siauno del popolo, mi è lecito il ricordare, non già il gala-teo (il cielo mi guardi da tanta temerità), ma il catechi-smo anche ai più nobili, se occorre; e che quando ioesorto i patrizi ad essere manierosi, cortesi e dignitosa-mente umili verso tutti, non fo altro che ripetere gl’inse-gnamenti di quel codice elementare e sopra tutti autore-vole. Vorranno dire che il Cristianesimo legittimi l’alte-rigia e le ingiurie, eziandio verso coloro che sono infimie debolissimi? Ovvero che non si abbia il diritto di ri-cordare in pubblico i precetti dell’Evangelio a chi li cal-pesta solennemente, confidandosi di andare impunito?Grazie a Dio, il Piemonte è un paese cattolico, retto da

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un pio e giusto principe; onde non può essere interdettoil pubblicarvi quelle verità cui niuno osa al presente im-pugnare anco fra i Turchi. Se qualche sconsigliato patri-zio credesse tuttavia di poter prevalere contro la vocedella religione e della civiltà insieme congiunte, si disin-ganni; imperocchè egli e tutti i suoi fautori saranno ine-sorabilmente schiacciati sotto il peso dell’opinione pub-blica. E si guardino dal misurare l’opinione pubblicacoll’aura che gli circonda; imperocchè il Piemonte non èl’Italia, e l’Italia non è l’Europa; e il nome dei sover-chianti può esser dannato al dì d’oggi da un libero scrit-tore a perpetua infamia. Si specchino piuttosto nel patri-ziato delle altre province italiane; il quale, per quanto miè noto, può essere per l’umanità del costumi e l’affabiledecoro dei portamenti, un modello per ciascuno. Ma peravere ottimi esempi, non hanno anco bisogno di uscir dicasa; giacchè, lo ripeto, la maggior parte dei patrizi pie-montesi biasima e detesta gli eccessi, di cui ragiono, eduolsi che per opera di qualche forsennato si contaminila fama di tutto il ceto loro.

Dei chierici secolari.In che modo essi possono partecipare alle cose politiche.

Non meno efficace dell’ordine patrizio, anzi per unverso ancor più potente, è quello dei chierici, parte cosìeletta e importante delle nazioni cristiane. Uffizio civiledel sacerdozio cattolico è il far penetrare nelle cittadi-nanze cristiane gli spiriti evangelici, temperando l’uso e

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un pio e giusto principe; onde non può essere interdettoil pubblicarvi quelle verità cui niuno osa al presente im-pugnare anco fra i Turchi. Se qualche sconsigliato patri-zio credesse tuttavia di poter prevalere contro la vocedella religione e della civiltà insieme congiunte, si disin-ganni; imperocchè egli e tutti i suoi fautori saranno ine-sorabilmente schiacciati sotto il peso dell’opinione pub-blica. E si guardino dal misurare l’opinione pubblicacoll’aura che gli circonda; imperocchè il Piemonte non èl’Italia, e l’Italia non è l’Europa; e il nome dei sover-chianti può esser dannato al dì d’oggi da un libero scrit-tore a perpetua infamia. Si specchino piuttosto nel patri-ziato delle altre province italiane; il quale, per quanto miè noto, può essere per l’umanità del costumi e l’affabiledecoro dei portamenti, un modello per ciascuno. Ma peravere ottimi esempi, non hanno anco bisogno di uscir dicasa; giacchè, lo ripeto, la maggior parte dei patrizi pie-montesi biasima e detesta gli eccessi, di cui ragiono, eduolsi che per opera di qualche forsennato si contaminila fama di tutto il ceto loro.

Dei chierici secolari.In che modo essi possono partecipare alle cose politiche.

Non meno efficace dell’ordine patrizio, anzi per unverso ancor più potente, è quello dei chierici, parte cosìeletta e importante delle nazioni cristiane. Uffizio civiledel sacerdozio cattolico è il far penetrare nelle cittadi-nanze cristiane gli spiriti evangelici, temperando l’uso e

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frenando l’abuso della forza (rispetto alla quale il chieri-cato è come il senno ideale verso il senso nell’animodell’individuo) coi pacifici influssi delle verità razionalie divine, di cui egli è custode e promulgatore. Il che puòfare, senza intromettersi negli affari del secolo; perchètal è la virtù di quelle sublimi dottrine onde ogni bene eaugumento procede, che se fossero sempre presenti allospirito di chi ubbidisce e di chi signoreggia, tornerebbel’età dell’oro, e la terra imparadisata renderebbe imma-gine del cielo. I traviamenti dell’arbitrio provengono ingran parte dall’ignoranza o dal falso sapere, che èun’inscienza raddoppiata; e pochi sono i mortali così tri-sti che osino ripugnare al vero, quando non è offuscatodai pravi affetti, e alla mente nitido risplende. Ma laluce della verità non può sfolgorare nella sua purezza, sechi ha per ufficio di propagarla s’intrica nelle tresche se-colari, le quali scemano od annullano l’autorità del sa-cerdozio, e quindi della religione medesima, che per lapiù parte degli uomini tanto vale quanto coloro chel’insegnano e l’amministrano. Affermando interdetto aichierici le cure profane, egli è chiaro che parlo di prati-ca, non di dottrina, di maneggi clandestini o mondani, enon di opportuni e dicevoli consigli. La scienza, ancheuniversale, è condecente al sacerdozio, onde renderlovenerabile a’ laici; ed è assolutamente necessaria a colo-ro che coltivano exprofesso gli studi sacri, per poter vol-gere a suo profitto i progressi sinceri del secolo e com-batterne gli errori o le preoccupazioni. E nulla v’ha nelculto del sapere, eziandio profano, che offenda il decoro

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frenando l’abuso della forza (rispetto alla quale il chieri-cato è come il senno ideale verso il senso nell’animodell’individuo) coi pacifici influssi delle verità razionalie divine, di cui egli è custode e promulgatore. Il che puòfare, senza intromettersi negli affari del secolo; perchètal è la virtù di quelle sublimi dottrine onde ogni bene eaugumento procede, che se fossero sempre presenti allospirito di chi ubbidisce e di chi signoreggia, tornerebbel’età dell’oro, e la terra imparadisata renderebbe imma-gine del cielo. I traviamenti dell’arbitrio provengono ingran parte dall’ignoranza o dal falso sapere, che èun’inscienza raddoppiata; e pochi sono i mortali così tri-sti che osino ripugnare al vero, quando non è offuscatodai pravi affetti, e alla mente nitido risplende. Ma laluce della verità non può sfolgorare nella sua purezza, sechi ha per ufficio di propagarla s’intrica nelle tresche se-colari, le quali scemano od annullano l’autorità del sa-cerdozio, e quindi della religione medesima, che per lapiù parte degli uomini tanto vale quanto coloro chel’insegnano e l’amministrano. Affermando interdetto aichierici le cure profane, egli è chiaro che parlo di prati-ca, non di dottrina, di maneggi clandestini o mondani, enon di opportuni e dicevoli consigli. La scienza, ancheuniversale, è condecente al sacerdozio, onde renderlovenerabile a’ laici; ed è assolutamente necessaria a colo-ro che coltivano exprofesso gli studi sacri, per poter vol-gere a suo profitto i progressi sinceri del secolo e com-batterne gli errori o le preoccupazioni. E nulla v’ha nelculto del sapere, eziandio profano, che offenda il decoro

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clericale; anzi lo studio del vero, qualunque sia la naturadi esso, vi conferisce, togliendo a chi vi dà opera l’agioe il desiderio di essere inframmettente e procacciante, eavvezzandelo a vivere ritirato dagli uomini, senza bron-cio misantropico, o cinica selvatichezza. L’influire nellacosa pubblica con prudenti e salutevoli consigli s’addiceanco agli ecclesiastici, quando le circostanze lo rendonoopportuno; tanto più che la politica, in virtù de’ suoiprincipii e delle sue attinenze, s’intreccia strettamentecolla morale e colla religione, ed è loro subordinata. Maacciò i pareri politici dei chierici non portino pregiudi-zio al loro ministero, uopo è che riguardino le cose piùche le persone, i generali più che i particolari, e il benemorale della società più che gl’interessi materiali dellamedesima. Questa parte è assai delicata e pericolosa;imperocchè, quanto rileva che i chierici non s’impacci-no delle brighe mondane con iscapito del loro propriouffizio e decoro, tanto importa che adempiano, occor-rendo, l’obbligo del buon cittadino, e sovvengano la pa-tria del loro senno, specialmente quando le cose civili siattengono a quelle di un ordine più sublime. Essi debbo-no dunque tenere fra i due estremi un savio tempera-mento, e schivare insieme di essere faccendieri ed ana-coreti. E benchè sia impossibile il circoscrivere mag-giormente questa clericale prudenza, senza uscire deigenerali, credo che si può dare una regola capacissima,che mai non falla; la quale si è, che i chierici debbonoastenersi affatto, parlando e operando, da tutto ciò chepuò farli creder mossi da ambizione, da cupidigia, da in-

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clericale; anzi lo studio del vero, qualunque sia la naturadi esso, vi conferisce, togliendo a chi vi dà opera l’agioe il desiderio di essere inframmettente e procacciante, eavvezzandelo a vivere ritirato dagli uomini, senza bron-cio misantropico, o cinica selvatichezza. L’influire nellacosa pubblica con prudenti e salutevoli consigli s’addiceanco agli ecclesiastici, quando le circostanze lo rendonoopportuno; tanto più che la politica, in virtù de’ suoiprincipii e delle sue attinenze, s’intreccia strettamentecolla morale e colla religione, ed è loro subordinata. Maacciò i pareri politici dei chierici non portino pregiudi-zio al loro ministero, uopo è che riguardino le cose piùche le persone, i generali più che i particolari, e il benemorale della società più che gl’interessi materiali dellamedesima. Questa parte è assai delicata e pericolosa;imperocchè, quanto rileva che i chierici non s’impacci-no delle brighe mondane con iscapito del loro propriouffizio e decoro, tanto importa che adempiano, occor-rendo, l’obbligo del buon cittadino, e sovvengano la pa-tria del loro senno, specialmente quando le cose civili siattengono a quelle di un ordine più sublime. Essi debbo-no dunque tenere fra i due estremi un savio tempera-mento, e schivare insieme di essere faccendieri ed ana-coreti. E benchè sia impossibile il circoscrivere mag-giormente questa clericale prudenza, senza uscire deigenerali, credo che si può dare una regola capacissima,che mai non falla; la quale si è, che i chierici debbonoastenersi affatto, parlando e operando, da tutto ciò chepuò farli creder mossi da ambizione, da cupidigia, da in-

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tolleranza o da altro fine mondano e privato, e nondall’obbligo della coscienza e del pubblico bene. Uopoè dunque che siano netti eziandio dalla sola apparenza dimirare al proprio utile; e l’otterranno facilmente ogniqual volta non aspirino, anche per buon fine alle ric-chezze, agli onori, alla potenza, si guardino dal raggiri,dai maneggi occulti e da quanto può avere il sembiantedi astuzia e di frode, si mostrino solleciti di ciò che con-cerne direttamente la religione, anzichè di quello, che siriferisce alla persona de’ suoi ministri, e finalmente iconsigli che porgono siano tali, che non lusinghino lepassioni di chi li riceve. Quest’ultimo articolo è in ispe-cie di grandissimo momento, acciò il sacerdozio possaesercitare con frutto quella spezie di censura pubblica,che gli è conferita dal suo grado. Imperocchè le ammo-nizioni anco severe sono quasi sempre udite e ricevuteriverentemente eziandio da coloro che scottano, quandoè chiaro che chi le porge non è mosso dal proprio utile oda altro umano rispetto, ma dal vero bene di quelli a cuisono rivolte. Così, verbigrazia, i preti invece di predica-re al principe i suoi diritti, che non gli sono probabil-mente ignoti, dovrebbero piuttosto inculcarne i doveri; ilche facendo, eviterebbero l’odiosa imputazione di esserecortigiani; perchè gli obblighi del principato non sono iltema più ordinario di chi bazzica in corte. Esortinoadunque i popoli ad essere ossequienti verso i loro retto-ri, e a guardarsi dagli spiriti torbidi, dai seminatori discandali, dai predicatori di una libertà falsa e chimerica,dai cattivi filosofi, dai demagoghi; ma acciò la loro voce

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tolleranza o da altro fine mondano e privato, e nondall’obbligo della coscienza e del pubblico bene. Uopoè dunque che siano netti eziandio dalla sola apparenza dimirare al proprio utile; e l’otterranno facilmente ogniqual volta non aspirino, anche per buon fine alle ric-chezze, agli onori, alla potenza, si guardino dal raggiri,dai maneggi occulti e da quanto può avere il sembiantedi astuzia e di frode, si mostrino solleciti di ciò che con-cerne direttamente la religione, anzichè di quello, che siriferisce alla persona de’ suoi ministri, e finalmente iconsigli che porgono siano tali, che non lusinghino lepassioni di chi li riceve. Quest’ultimo articolo è in ispe-cie di grandissimo momento, acciò il sacerdozio possaesercitare con frutto quella spezie di censura pubblica,che gli è conferita dal suo grado. Imperocchè le ammo-nizioni anco severe sono quasi sempre udite e ricevuteriverentemente eziandio da coloro che scottano, quandoè chiaro che chi le porge non è mosso dal proprio utile oda altro umano rispetto, ma dal vero bene di quelli a cuisono rivolte. Così, verbigrazia, i preti invece di predica-re al principe i suoi diritti, che non gli sono probabil-mente ignoti, dovrebbero piuttosto inculcarne i doveri; ilche facendo, eviterebbero l’odiosa imputazione di esserecortigiani; perchè gli obblighi del principato non sono iltema più ordinario di chi bazzica in corte. Esortinoadunque i popoli ad essere ossequienti verso i loro retto-ri, e a guardarsi dagli spiriti torbidi, dai seminatori discandali, dai predicatori di una libertà falsa e chimerica,dai cattivi filosofi, dai demagoghi; ma acciò la loro voce

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sia udita e riverita, usino la stessa franchezza e intrepidi-tà verso i regnanti, confortandoli ad essere umani, pii,indulgenti, benigni verso i piccoli, clementi verso i col-pevoli, giusti e magnanimi verso tutti, e a cautelarsi dal-la peste dei crudeli consigli e degli assentatori. E acciòsia chiaro a tutti che non dimenticano queste esortazioniin privato, le facciano opportunamente ancora in pubbli-co colla parola e colla penna, senza temere che un’apo-stolica e riverente schiettezza possa offendere la maestàdi chi regna; perchè brutta cosa è il fulminare contro ipoveri popoli in nome di Cristo, quando si adulano i re.Condannino adunque i tumulti e le ribellioni con tuttigl’ingegni della logica e dell’eloquenza; ma lodino conpari efficacia, e promuovano e benedicano le salutevoliriforme, quando torna a proposito, mostrando quantoelle importino non meno alla sicurezza e longevità deigoverni, che alla felicità del popoli. Se i chierici si go-vernassero altrimenti non sarebbero attesi dai più, el’opera loro, non che fruttare a chi regge e cooperare almantenimento della quiete pubblica, screditerebbe la re-ligione e il ministerio loro. Non si vuol già con questo,lo ripeto, che si intromettano di politica; ma siccomenon incorre in questa nota chi dice ai popoli: ubbiditealla potestà legittima, così non merita tal biasimo chianima il principe a secondare i prudenti e ragionevolidesidèri de’ suoi soggetti, amandoli come sè stesso, eprocacciando loro quei beni ch’egli bramerebbe per pro-prio conto se fosse suddito. Coloro i quali vorrebbonoche il prete bandisse solo il primo precetto e non il se-

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sia udita e riverita, usino la stessa franchezza e intrepidi-tà verso i regnanti, confortandoli ad essere umani, pii,indulgenti, benigni verso i piccoli, clementi verso i col-pevoli, giusti e magnanimi verso tutti, e a cautelarsi dal-la peste dei crudeli consigli e degli assentatori. E acciòsia chiaro a tutti che non dimenticano queste esortazioniin privato, le facciano opportunamente ancora in pubbli-co colla parola e colla penna, senza temere che un’apo-stolica e riverente schiettezza possa offendere la maestàdi chi regna; perchè brutta cosa è il fulminare contro ipoveri popoli in nome di Cristo, quando si adulano i re.Condannino adunque i tumulti e le ribellioni con tuttigl’ingegni della logica e dell’eloquenza; ma lodino conpari efficacia, e promuovano e benedicano le salutevoliriforme, quando torna a proposito, mostrando quantoelle importino non meno alla sicurezza e longevità deigoverni, che alla felicità del popoli. Se i chierici si go-vernassero altrimenti non sarebbero attesi dai più, el’opera loro, non che fruttare a chi regge e cooperare almantenimento della quiete pubblica, screditerebbe la re-ligione e il ministerio loro. Non si vuol già con questo,lo ripeto, che si intromettano di politica; ma siccomenon incorre in questa nota chi dice ai popoli: ubbiditealla potestà legittima, così non merita tal biasimo chianima il principe a secondare i prudenti e ragionevolidesidèri de’ suoi soggetti, amandoli come sè stesso, eprocacciando loro quei beni ch’egli bramerebbe per pro-prio conto se fosse suddito. Coloro i quali vorrebbonoche il prete bandisse solo il primo precetto e non il se-

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condo, debbono provare che il secondo sia meno moraleed evangelico del primo: che se non esce dai terminidell’Evangelio chi predica con riserva i diritti del princi-pato, non li trapassa tampoco chi ricorda moderatamentei diritti delle nazioni. E come quando bollono le ire civi-li e periclita colla quiete dello Stato la vita degl’inno-centi, il mostrarsi al popolo infuriato per fermarne ilbraccio e placarne la rabbia coll’autorità del sacerdozioe colla efficacia della facondia, è ufficio pietoso e degnodei ministri della religione; così consuona al genio pla-cido e mite del grado sacerdotale il ravviare cogli stessimezzi e mitigar chi governa, quando per subita ira, falseinformazioni e pessimi consigli, trascorre ingiustamentenel sangue. Ben si dee avvertire che quando il prete in-terpone il suo parere nelle cose di stato, ancorchè lo fac-cia in modo dicevole al decoro del ceto a cui appartiene,non dee però mai prevalersi a tal effetto della sua spiri-tuale giurisdizione sulle coscienze, e delle vie assegnateall’esercizio di essa; perché in questo il male, o almenoil rischio, che ne risulterebbe, sarebbero assai più gravidel bene possibile ad ottenere. Egli dee pertanto adem-piere opportunamente i suoi doveri come cittadino, sen-za mai confonderli con quelli del chierico, e con tal cau-tela, che, accadendogli di errare intorno ai primi, lo sba-glio non torni pregiudiziale ai secondi. Perciò la politi-ca, anche savia e moderata, quale talvolta si affà ai mi-nistri del santuario dee essere affatto sbandita dalla cat-tedra della verità cristiana, e da quel tribunale angusto dipenitenza dove non si può dar luogo alla considerazione

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condo, debbono provare che il secondo sia meno moraleed evangelico del primo: che se non esce dai terminidell’Evangelio chi predica con riserva i diritti del princi-pato, non li trapassa tampoco chi ricorda moderatamentei diritti delle nazioni. E come quando bollono le ire civi-li e periclita colla quiete dello Stato la vita degl’inno-centi, il mostrarsi al popolo infuriato per fermarne ilbraccio e placarne la rabbia coll’autorità del sacerdozioe colla efficacia della facondia, è ufficio pietoso e degnodei ministri della religione; così consuona al genio pla-cido e mite del grado sacerdotale il ravviare cogli stessimezzi e mitigar chi governa, quando per subita ira, falseinformazioni e pessimi consigli, trascorre ingiustamentenel sangue. Ben si dee avvertire che quando il prete in-terpone il suo parere nelle cose di stato, ancorchè lo fac-cia in modo dicevole al decoro del ceto a cui appartiene,non dee però mai prevalersi a tal effetto della sua spiri-tuale giurisdizione sulle coscienze, e delle vie assegnateall’esercizio di essa; perché in questo il male, o almenoil rischio, che ne risulterebbe, sarebbero assai più gravidel bene possibile ad ottenere. Egli dee pertanto adem-piere opportunamente i suoi doveri come cittadino, sen-za mai confonderli con quelli del chierico, e con tal cau-tela, che, accadendogli di errare intorno ai primi, lo sba-glio non torni pregiudiziale ai secondi. Perciò la politi-ca, anche savia e moderata, quale talvolta si affà ai mi-nistri del santuario dee essere affatto sbandita dalla cat-tedra della verità cristiana, e da quel tribunale angusto dipenitenza dove non si può dar luogo alla considerazione

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dei temporali interessi, senza gravissima colpa e unaspezie di sacrilegio1.

Lodi del chiericato italiano.Perchè l’episcopato di alcune province cattoliche sia stato

talvolta men ragguardevole degli altri ordini clericali.

Io espongo così francamente queste avvertenze, per-chè so di essere, facendole, un semplice storico, e diesprimere la consuetudine del clero italiano; il quale(generalmente parlando) si governò sempre nelle traver-sie politiche con prudente moderazione, mostrandosi,non che avverso, propenso ai miglioramenti civili, eporgendovi talvolta efficacemente la mano conquell’assennata riservatezza che conviene a chi fa spe-cial professione di cristiana sapienza. E non solo meritòlode di moderato e di savio, ma eziandio di dotto e inge-gnoso; giacchè le lettere più esquisite furono sempreculte con ardore e buon successo nel suo seno, e noncredo che da questo lato alcun altro chiericato gli vadainnanzi. Al che tutti i suoi ordini concorsero dal piùumile al supremo sacerdozio; e il primato della scienza èin ispecie una gloria di Roma e de’ suoi pontefici.L’uomo più mirabile e straordinario negli ordini dellecognizioni umane che sia sorto nel medio evo, appartie-ne a quell’inclito seggio. Conciossiachè, se la grandezza

1 Il Gioberti riferisce a questo punto in nota (n. 33 della 2a ed.) alcune consi-derazioni del sig. de Tocqueville (De la democr. en Amér.,. tomo III, pag.54, Bruxelles,1848) sui preti cattolici degli Stati Uniti, ritenendo che pos-sano essere non discare nè inutili al clero degli altri paesi.

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dei temporali interessi, senza gravissima colpa e unaspezie di sacrilegio1.

Lodi del chiericato italiano.Perchè l’episcopato di alcune province cattoliche sia stato

talvolta men ragguardevole degli altri ordini clericali.

Io espongo così francamente queste avvertenze, per-chè so di essere, facendole, un semplice storico, e diesprimere la consuetudine del clero italiano; il quale(generalmente parlando) si governò sempre nelle traver-sie politiche con prudente moderazione, mostrandosi,non che avverso, propenso ai miglioramenti civili, eporgendovi talvolta efficacemente la mano conquell’assennata riservatezza che conviene a chi fa spe-cial professione di cristiana sapienza. E non solo meritòlode di moderato e di savio, ma eziandio di dotto e inge-gnoso; giacchè le lettere più esquisite furono sempreculte con ardore e buon successo nel suo seno, e noncredo che da questo lato alcun altro chiericato gli vadainnanzi. Al che tutti i suoi ordini concorsero dal piùumile al supremo sacerdozio; e il primato della scienza èin ispecie una gloria di Roma e de’ suoi pontefici.L’uomo più mirabile e straordinario negli ordini dellecognizioni umane che sia sorto nel medio evo, appartie-ne a quell’inclito seggio. Conciossiachè, se la grandezza

1 Il Gioberti riferisce a questo punto in nota (n. 33 della 2a ed.) alcune consi-derazioni del sig. de Tocqueville (De la democr. en Amér.,. tomo III, pag.54, Bruxelles,1848) sui preti cattolici degli Stati Uniti, ritenendo che pos-sano essere non discare nè inutili al clero degli altri paesi.

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di un mortale si dee misurare dalla disproporzione checorre fra esso e il suo secolo, io non conosco alcun saviopiù stupendo di Silvestro II1; il quale, vissuto nel colmodell’ignoranza, travalicò talmente i limiti del sapere cre-duto possibile da’ suoi coetanei, che, benchè papa vir-tuoso e piissimo, fu in voce di mago e di negromante.Vero è che per l’addietro in alcune regioni della penisolala classe del semplici vescovi non fu talvolta così emi-nente, come quella dei due estremi della gerarchia eccle-siastica; il che nacque da un gravissimo abuso introdottoper opera de’ laici. Imperocchè per effetto degli ordinifeudali l’episcopato consideravasi in alcuni luoghi comeun privilegio dei nobili; onde, in vece di alzare aquell’alto seggio i più eccellenti, chi poteva solea inve-stirne i soli patrizi, benchè fossero talvolta poco degni dipossederlo. C’era allora tal provincia in cu’ i rampollidegeneri ed inetti delle illustri famiglie, esclusi per la lordappocaggine dai carichi militari e civili, eran fregiatidella chierica e levati alla cima del sacerdozio; quandomolti ecclesiastici, in cui l’ingegno e la dottrina collavirtù gareggiavano, eran lasciati ne’ più umili uffici,solo perchè nelle loro vene (così discorrevano i fisiologidi quel tempo) scorreva sangue plebeo. Certo, i più umi-li uffici del chiericato sono così nobili e grandi, che ogniSilvia ambizione può contentarsene; ma egli importa al

1 Silvestro II, chiamato in prima Gerberto, n. nel 930, m. nel 1003. Fu uomodi cognizioni meravigliose per l’età sua. I suoi scritti matematici furonoediti da BUBNOW. Gerberti postea Silvestri II papae opera mathematica,Berlino, 1899.

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di un mortale si dee misurare dalla disproporzione checorre fra esso e il suo secolo, io non conosco alcun saviopiù stupendo di Silvestro II1; il quale, vissuto nel colmodell’ignoranza, travalicò talmente i limiti del sapere cre-duto possibile da’ suoi coetanei, che, benchè papa vir-tuoso e piissimo, fu in voce di mago e di negromante.Vero è che per l’addietro in alcune regioni della penisolala classe del semplici vescovi non fu talvolta così emi-nente, come quella dei due estremi della gerarchia eccle-siastica; il che nacque da un gravissimo abuso introdottoper opera de’ laici. Imperocchè per effetto degli ordinifeudali l’episcopato consideravasi in alcuni luoghi comeun privilegio dei nobili; onde, in vece di alzare aquell’alto seggio i più eccellenti, chi poteva solea inve-stirne i soli patrizi, benchè fossero talvolta poco degni dipossederlo. C’era allora tal provincia in cu’ i rampollidegeneri ed inetti delle illustri famiglie, esclusi per la lordappocaggine dai carichi militari e civili, eran fregiatidella chierica e levati alla cima del sacerdozio; quandomolti ecclesiastici, in cui l’ingegno e la dottrina collavirtù gareggiavano, eran lasciati ne’ più umili uffici,solo perchè nelle loro vene (così discorrevano i fisiologidi quel tempo) scorreva sangue plebeo. Certo, i più umi-li uffici del chiericato sono così nobili e grandi, che ogniSilvia ambizione può contentarsene; ma egli importa al

1 Silvestro II, chiamato in prima Gerberto, n. nel 930, m. nel 1003. Fu uomodi cognizioni meravigliose per l’età sua. I suoi scritti matematici furonoediti da BUBNOW. Gerberti postea Silvestri II papae opera mathematica,Berlino, 1899.

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bene della Chiesa che i più sufficienti de’ suoi ministrisiano preposti ai primi gradi del reggimento. Dall’usocontrario nacque in alcuni luoghi la debolezza dell’epi-scopato e la mediocrità dei minori chierici; perchè da unlato succede alla dignità vescovile quel medesimo che atutti i carichi, i quali tanto valgono e provano umana-mente, quanto coloro che ne sono investiti; dall’altrolato tali riescono i preti, generalmente parlando, qualisono i prelati che ne indirizzano il tirocinio e la coltura.L’episcopato richiede in chi ne è insignito, oltre una vir-tù grande, e una pietà soda e ben radicata, ampiezza dimente, forza di animo, dirittura di giudicio, gravità dicostumi, varietà e profondità di dottrina con molta espe-rienza delle cose umane, e un ingegno speculativo e pra-tico, atto egualmente ad erudire e a governare gli uomi-ni; qualità difficili in ogni caso a trovarsi insieme accop-piate, ma per poco impossibili, se l’elezione si ristringenel giro dei chierici per nascita illustri. La virtù medesi-ma, benché necessaria sopra ogni altra parte, non bastameglio a governar le diocesi che gli stati, se è disgiuntadalle altre doti; nè sola può conferire a chi siede in luo-go eminente quel benevolo imperio che non ingelosiscenessuno, ed è la più bella prerogativa dell’apostolico sa-cerdozio. Per qual cagione la Chiesa fu così grande,eziandio umanamente, nei primi secoli e nella secondaparte del medio evo? Perchè i sommi ingegni concorre-vano da ogni parte a ingrossar le sue schiere, e i gradi siconferivano secondo i meriti, non secondo il sangue e ilfavore. Ma da che i privilegi mondani e l’ambiziosa me-

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bene della Chiesa che i più sufficienti de’ suoi ministrisiano preposti ai primi gradi del reggimento. Dall’usocontrario nacque in alcuni luoghi la debolezza dell’epi-scopato e la mediocrità dei minori chierici; perchè da unlato succede alla dignità vescovile quel medesimo che atutti i carichi, i quali tanto valgono e provano umana-mente, quanto coloro che ne sono investiti; dall’altrolato tali riescono i preti, generalmente parlando, qualisono i prelati che ne indirizzano il tirocinio e la coltura.L’episcopato richiede in chi ne è insignito, oltre una vir-tù grande, e una pietà soda e ben radicata, ampiezza dimente, forza di animo, dirittura di giudicio, gravità dicostumi, varietà e profondità di dottrina con molta espe-rienza delle cose umane, e un ingegno speculativo e pra-tico, atto egualmente ad erudire e a governare gli uomi-ni; qualità difficili in ogni caso a trovarsi insieme accop-piate, ma per poco impossibili, se l’elezione si ristringenel giro dei chierici per nascita illustri. La virtù medesi-ma, benché necessaria sopra ogni altra parte, non bastameglio a governar le diocesi che gli stati, se è disgiuntadalle altre doti; nè sola può conferire a chi siede in luo-go eminente quel benevolo imperio che non ingelosiscenessuno, ed è la più bella prerogativa dell’apostolico sa-cerdozio. Per qual cagione la Chiesa fu così grande,eziandio umanamente, nei primi secoli e nella secondaparte del medio evo? Perchè i sommi ingegni concorre-vano da ogni parte a ingrossar le sue schiere, e i gradi siconferivano secondo i meriti, non secondo il sangue e ilfavore. Ma da che i privilegi mondani e l’ambiziosa me-

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diocrità han messo piede nel santuario, a che stato sia ri-dotta la potenza della Chiesa in alcune contrade, ciascunsel vede. Il recare nella costituzione di essa quei titoliereditari di onore che si usano fra i laici, e il far quasidella dignità episcopale un feudo patrizio, troncò i nervidel sacerdozio, e quindi nocque a tutta la società civile.Oltre che questo è un abuso enorme, contrario all’Evan-gelio, alla tradizione, ai sacri canoni e a tutte le normelegittime della disciplina ecclesiastica, prescriventi inmodo assoluto e con unanime consenso di pârtire gli uf-fici e le dignità sacre secondo i meriti personali di chi liriceve, e non riconoscenti altri meriti che la pietà e ladottrina opportuna al proposito. L’episcopato è un gradoelettivo, non ereditarlo; onde ne vizia la natura chi lorende col fatto quasi un fidecommisso1 dei gentiluomini.Se il prete patrizio sovrasta per bontà e per coltura al po-polano, si innalzi a quel sublime grado come più degnodi esso, non come patrizio. Ma se il popolano è miglioredi lui, e tuttavia la potestà laicale, abusando della facoltàelettiva o propositiva concedutale dalla Santa Sede, glipreferisce il nobile, ella si rende espressamente violatri-ce di quella giustizia distributiva e rimuneratrice, chetanto più obbliga in questo proposito, quanto più la reli-gione sovrasta a ogni altro rispetto. Io desidero quantoaltri che il patriziato sia in grado di fornire alla Chiesa

1 In stretto senso giuridico indica disposizione di ultima volontà per la qualesi obbliga l’erede istituito a conservare e consegnare tutta l’eredità o partedi essa, alla persona sostituita, sia per solo atto di fiducia, sia per regolarein perpetuo la trasmissione di quei beni.

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diocrità han messo piede nel santuario, a che stato sia ri-dotta la potenza della Chiesa in alcune contrade, ciascunsel vede. Il recare nella costituzione di essa quei titoliereditari di onore che si usano fra i laici, e il far quasidella dignità episcopale un feudo patrizio, troncò i nervidel sacerdozio, e quindi nocque a tutta la società civile.Oltre che questo è un abuso enorme, contrario all’Evan-gelio, alla tradizione, ai sacri canoni e a tutte le normelegittime della disciplina ecclesiastica, prescriventi inmodo assoluto e con unanime consenso di pârtire gli uf-fici e le dignità sacre secondo i meriti personali di chi liriceve, e non riconoscenti altri meriti che la pietà e ladottrina opportuna al proposito. L’episcopato è un gradoelettivo, non ereditarlo; onde ne vizia la natura chi lorende col fatto quasi un fidecommisso1 dei gentiluomini.Se il prete patrizio sovrasta per bontà e per coltura al po-polano, si innalzi a quel sublime grado come più degnodi esso, non come patrizio. Ma se il popolano è miglioredi lui, e tuttavia la potestà laicale, abusando della facoltàelettiva o propositiva concedutale dalla Santa Sede, glipreferisce il nobile, ella si rende espressamente violatri-ce di quella giustizia distributiva e rimuneratrice, chetanto più obbliga in questo proposito, quanto più la reli-gione sovrasta a ogni altro rispetto. Io desidero quantoaltri che il patriziato sia in grado di fornire alla Chiesa

1 In stretto senso giuridico indica disposizione di ultima volontà per la qualesi obbliga l’erede istituito a conservare e consegnare tutta l’eredità o partedi essa, alla persona sostituita, sia per solo atto di fiducia, sia per regolarein perpetuo la trasmissione di quei beni.

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ottimi pastori, e godo di vederne in Italia e altrove alcu-ni splendidi esempi; ma dico che la qualità della nascitae i vantaggi civili non possono essere nella società ec-clesiastica se non un semplice accessorio, e che l’usocontrario è una violazion manifesta dei canonici statuti.Dico di più che quest’uso è una grave ingiuria alla reli-gione, e al minor sacerdozio; poichè esso suppone chegli ordini sacri non bastino a nobilitare coloro che li ri-cevono. Il senno del governi italiani ha tolto in gran par-te ai dì nostri questo grave disordine; ma siccome nonmanca chi vorrebbe risuscitarlo o almeno conservarnequalche reliquia, ho creduto non inopportuno questopiccolo cenno. E spero che il savio lettore me ne sapràqualche grado; perchè quando altri scrive qualcosa checontrasta a certe opinioni delle classi privilegiate, ancor-chè egli sia mosso dall’amore del pubblico bene, e nonda privato rispetto, v’ha quasi sempre chi attribuisce ilsuo dire a invidia o ad altri fini, che non son certamentenobili, ma plebei. La qual disgrazia se a me incontrasse,non vorrei affliggermene più che tanto; perchè, oltrel’approvazione della coscienza e quella dei buoni e degliassennati, la quale mi affido che non sia per mancarmi,vi sono certe vili e calunniose imputazioni che non arri-vano a chi ha collocato altamente il suo animo, e pospo-ne, scrivendo, ogni riguardo all’obbligo che gli corre.

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ottimi pastori, e godo di vederne in Italia e altrove alcu-ni splendidi esempi; ma dico che la qualità della nascitae i vantaggi civili non possono essere nella società ec-clesiastica se non un semplice accessorio, e che l’usocontrario è una violazion manifesta dei canonici statuti.Dico di più che quest’uso è una grave ingiuria alla reli-gione, e al minor sacerdozio; poichè esso suppone chegli ordini sacri non bastino a nobilitare coloro che li ri-cevono. Il senno del governi italiani ha tolto in gran par-te ai dì nostri questo grave disordine; ma siccome nonmanca chi vorrebbe risuscitarlo o almeno conservarnequalche reliquia, ho creduto non inopportuno questopiccolo cenno. E spero che il savio lettore me ne sapràqualche grado; perchè quando altri scrive qualcosa checontrasta a certe opinioni delle classi privilegiate, ancor-chè egli sia mosso dall’amore del pubblico bene, e nonda privato rispetto, v’ha quasi sempre chi attribuisce ilsuo dire a invidia o ad altri fini, che non son certamentenobili, ma plebei. La qual disgrazia se a me incontrasse,non vorrei affliggermene più che tanto; perchè, oltrel’approvazione della coscienza e quella dei buoni e degliassennati, la quale mi affido che non sia per mancarmi,vi sono certe vili e calunniose imputazioni che non arri-vano a chi ha collocato altamente il suo animo, e pospo-ne, scrivendo, ogni riguardo all’obbligo che gli corre.

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Dei frati. – Apologia del monachismo.Suoi beneficii rispetto alla civiltà europea.

Se i chierici secolari per la qualità del loro stato co-municano maggiormente co’ laici, e operano sulla civilerepubblica in modo più immediato e continuo che i vi-venti a regola di chiostro, questi hanno sui primi la mag-gioranza che nasce da una disciplina più stretta, dal te-nor comune di vita, e dalla forza incredibile che acqui-stano le moltitudini quando son governate da una solamente, animate da un solo spirito, e indirizzate a unoscopo unico. Io credo pertanto che l’Italia potrebbe ca-var molto frutto dagli instituti claustrali, non solo in or-dine agli studi, ma eziandio riguardo a molti altri capidella vita estrinseca, quando si riaccendessero gli spiritiardenti e generosi che li procrearono. Il che certo nonpuò avvenire finchè non sono ben veduti ed accoltidall’universale; perchè i più volonterosi non possonogiovare se l’opinione non fa loro buon viso, e se nontornano accetti a coloro che debbono ricevere il giova-mento. L’uggia che molti hanno del chiostro, e l’afa1 chelor muovono i suoi abitatori, ci son venute, come tantialtri usi e vezzi, da oltremonte; e noi le abbiamo cieca-mente e servilmente accolte, senza esaminare se avesse-ro buon fondamento, e non anzi peccassero di errore oalmeno di esagerazione. Tempo è dunque che gl’italianipongano mano ad esaminare pacatamente anche l’arti-colo dei frati, senza spaventarsi, come i fanciulli, al

1 Nel senso di tedio, fastidio, noia.

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Dei frati. – Apologia del monachismo.Suoi beneficii rispetto alla civiltà europea.

Se i chierici secolari per la qualità del loro stato co-municano maggiormente co’ laici, e operano sulla civilerepubblica in modo più immediato e continuo che i vi-venti a regola di chiostro, questi hanno sui primi la mag-gioranza che nasce da una disciplina più stretta, dal te-nor comune di vita, e dalla forza incredibile che acqui-stano le moltitudini quando son governate da una solamente, animate da un solo spirito, e indirizzate a unoscopo unico. Io credo pertanto che l’Italia potrebbe ca-var molto frutto dagli instituti claustrali, non solo in or-dine agli studi, ma eziandio riguardo a molti altri capidella vita estrinseca, quando si riaccendessero gli spiritiardenti e generosi che li procrearono. Il che certo nonpuò avvenire finchè non sono ben veduti ed accoltidall’universale; perchè i più volonterosi non possonogiovare se l’opinione non fa loro buon viso, e se nontornano accetti a coloro che debbono ricevere il giova-mento. L’uggia che molti hanno del chiostro, e l’afa1 chelor muovono i suoi abitatori, ci son venute, come tantialtri usi e vezzi, da oltremonte; e noi le abbiamo cieca-mente e servilmente accolte, senza esaminare se avesse-ro buon fondamento, e non anzi peccassero di errore oalmeno di esagerazione. Tempo è dunque che gl’italianipongano mano ad esaminare pacatamente anche l’arti-colo dei frati, senza spaventarsi, come i fanciulli, al

1 Nel senso di tedio, fastidio, noia.

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nome ed all’abito, e piglino per norma il senno proprio,non le declamazioni o le invettive degli oltramontani edei loro pedissequi. Avvertano prima di tutto che il mo-nachismo europeo, così antico come moderno, nacquein Italia, ed ebbe per fondatori due sommi italiani, cioèBenedetto di Norcia 1e Francesco d’Assisi2; giacchè daquesti due uomini insigni mosse in tempi diversi l’ideaoccidentale del monacato attivo, e non prettamente con-templativo, come quello di Oriente. All’incontro estra-nei furono i demolitori dei chiostri; tanto che si vuol de-finire, se l’Italia abbia avuto il torto a fondarli, ad intro-durne l’uso e l’amore nel resto d’Europa, e debba sapergrado ai Barbari, che non ha guari disertavano e diroc-cavano i nostri conventi con quelle stesse mani che dis-sipavano ogni altra gentilezza, e ci riducevano in servi-tù. Non allego già questo come argomento in favore deifrati, ma come una semplice presunzione, parendomipoco ragionevole il biasimar gl’Italiani, perchè edifica-no, e il lodare gli strani, che spiantano l’edifizio. Ionoto, inoltre, che, sebbene i nemici dei frati si appones-sero, non avrebbero a gloriarsi gran fatto della scoperta,nè dell’impresa, come quella che è al tutto negativa e si

1 S. Benedetto, nato nel 480 a Norcia nell’Umbria. Fondò nel 528 il Mona-stero di Monte Cassino, che divenne la culla dell’ordine. Quivi morì nel543. Cfr. L. TOSTI, Storia di Monte Cassino 2 vol., Napoli 1842.

2 S. Francesco d’Assisi, n. nel 1182, m. nel 1226. Vedi SABATIER PAUL, Vita diS. Francesco d’Assisi, trad. it., Roma, 1896; TAMASSIA, S. Francescod’Assisi, Padova, 1906, e IOERGENSEN I., Saint François d’Assise, Paris,1910. Cfr. anche quanto ne scrive il GIOBERTI in Protologia vol. I, pag. 70,Torino 1857.

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nome ed all’abito, e piglino per norma il senno proprio,non le declamazioni o le invettive degli oltramontani edei loro pedissequi. Avvertano prima di tutto che il mo-nachismo europeo, così antico come moderno, nacquein Italia, ed ebbe per fondatori due sommi italiani, cioèBenedetto di Norcia 1e Francesco d’Assisi2; giacchè daquesti due uomini insigni mosse in tempi diversi l’ideaoccidentale del monacato attivo, e non prettamente con-templativo, come quello di Oriente. All’incontro estra-nei furono i demolitori dei chiostri; tanto che si vuol de-finire, se l’Italia abbia avuto il torto a fondarli, ad intro-durne l’uso e l’amore nel resto d’Europa, e debba sapergrado ai Barbari, che non ha guari disertavano e diroc-cavano i nostri conventi con quelle stesse mani che dis-sipavano ogni altra gentilezza, e ci riducevano in servi-tù. Non allego già questo come argomento in favore deifrati, ma come una semplice presunzione, parendomipoco ragionevole il biasimar gl’Italiani, perchè edifica-no, e il lodare gli strani, che spiantano l’edifizio. Ionoto, inoltre, che, sebbene i nemici dei frati si appones-sero, non avrebbero a gloriarsi gran fatto della scoperta,nè dell’impresa, come quella che è al tutto negativa e si

1 S. Benedetto, nato nel 480 a Norcia nell’Umbria. Fondò nel 528 il Mona-stero di Monte Cassino, che divenne la culla dell’ordine. Quivi morì nel543. Cfr. L. TOSTI, Storia di Monte Cassino 2 vol., Napoli 1842.

2 S. Francesco d’Assisi, n. nel 1182, m. nel 1226. Vedi SABATIER PAUL, Vita diS. Francesco d’Assisi, trad. it., Roma, 1896; TAMASSIA, S. Francescod’Assisi, Padova, 1906, e IOERGENSEN I., Saint François d’Assise, Paris,1910. Cfr. anche quanto ne scrive il GIOBERTI in Protologia vol. I, pag. 70,Torino 1857.

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riduce a distruggere. Ora la civiltà non si pasce, nè sirifà di distruzioni, ma d’instituti positivi, proficui e du-revoli; e lo sperperare le opere di una precedente cultu-ra, ancorchè divenute inutili, non basta per conferire al-trui la gloria d’incivilitore, come non merita il nome diarchitetto chi atterra le mura di una vecchia fabbrica, senon ha formato in mente il disegno di un novello edifi-zio miglior dell’antico, e non è atto a innalzarlo. Impe-rocchè si può affermare universalmente che, quandoun’instituzione qualunque si sparse per ogni dove e duròmolti secoli, non già per opera della violenza, ma peruno spontaneo concorso degli uomini, essa risponde aun bisogno, non accidentale, ma essenziale della societàumana; e che quindi non si può abolire, senza sopperirvicon qualche nuovo ordinamento che le sia conformenella sostanza, benchè ne differisca nel sembiante e ne-gli accessorii per le mutate condizioni dei tempi. I nemi-ci dei frati ci dicano adunque ciò che vogliono porre inluogo loro, e se il pensiero è buono, potranno vantarsidel proprio trovato; o almeno ci provino che la fratería èdivenuta un fuordopera per ogni verso, e che si dee levardal mondo, senza onorarla di supplemento, come certisfasciumi di vecchie case disutili e senza pregio, che siatterrano e spiantano per far del sito occupato da esseuna bella piazza. Ma finchè non mostrano o l’una ol’altra di queste due cose, e si contentano di bandir lacroce addosso ai cappuccini e alle cocolle, non possonoa sì buon mercato meritarsi il titolo di statisti e filosofi.Egli è però difficile che riescano in quel doppio assunto,

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riduce a distruggere. Ora la civiltà non si pasce, nè sirifà di distruzioni, ma d’instituti positivi, proficui e du-revoli; e lo sperperare le opere di una precedente cultu-ra, ancorchè divenute inutili, non basta per conferire al-trui la gloria d’incivilitore, come non merita il nome diarchitetto chi atterra le mura di una vecchia fabbrica, senon ha formato in mente il disegno di un novello edifi-zio miglior dell’antico, e non è atto a innalzarlo. Impe-rocchè si può affermare universalmente che, quandoun’instituzione qualunque si sparse per ogni dove e duròmolti secoli, non già per opera della violenza, ma peruno spontaneo concorso degli uomini, essa risponde aun bisogno, non accidentale, ma essenziale della societàumana; e che quindi non si può abolire, senza sopperirvicon qualche nuovo ordinamento che le sia conformenella sostanza, benchè ne differisca nel sembiante e ne-gli accessorii per le mutate condizioni dei tempi. I nemi-ci dei frati ci dicano adunque ciò che vogliono porre inluogo loro, e se il pensiero è buono, potranno vantarsidel proprio trovato; o almeno ci provino che la fratería èdivenuta un fuordopera per ogni verso, e che si dee levardal mondo, senza onorarla di supplemento, come certisfasciumi di vecchie case disutili e senza pregio, che siatterrano e spiantano per far del sito occupato da esseuna bella piazza. Ma finchè non mostrano o l’una ol’altra di queste due cose, e si contentano di bandir lacroce addosso ai cappuccini e alle cocolle, non possonoa sì buon mercato meritarsi il titolo di statisti e filosofi.Egli è però difficile che riescano in quel doppio assunto,

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poichè da una parte si vede che stare affatto senza fratinon possono e son costretti di cercare l’equivalente; edall’altra parte, per colmare la lacuna, non sanno che ri-produrre il concetto di ciò che han distrutto, svisandoloe imprimendo in esso il marchio del proprio accorgi-mento. Egli è uno stupore che in un secolo vago di pre-dicare sino alla nausea ciò che chiamasi elegantementeprincipio di associazione, e avvezzo a gridar controquello che con pari eleganza si specifica col nomed’individualismo, si dia all’armi contro ogni genered’instituzioni monastiche. Quasi che i chiostri non sianoaltrettante associazioni; quasi che i loro statuti non sianomodelli di prudenza civile, e non mostrino in chi seppeidearli una sagacità per conoscere gli uomini, e un sennoper educarli e governarli, sovrastante di gran lunga allaperizia del moderni legislatori. Quelle che oggi con fa-stoso vocabolo si chiamano associazioni, destituite diuna fede comune, senza autorità, senza buoni ordini,senza previo tirocinio, senza spirito di sacrificio, sonoaccozzamenti puerili a petto di quelle stupende fratellan-ze cattoliche che tanto fecero pel bene dell’universale. Evedete che divario dalle une alle altre nella loro vita! Leprime oggi si fanno, e domani si sciolgono; vanno evengono, come i flutti del mare e le folate del vento:laddove le seconde vincono i secoli, resistono combattu-te, rigermogliano succise, e col tenace rigoglio stancanole folli speranze e la rabbia impotente de’ lor nemici. Lafratería che oggi si deride e si vilipende, incivilì l’Euro-pa e mutò le sorti del mondo. Domenico e Francesco,

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poichè da una parte si vede che stare affatto senza fratinon possono e son costretti di cercare l’equivalente; edall’altra parte, per colmare la lacuna, non sanno che ri-produrre il concetto di ciò che han distrutto, svisandoloe imprimendo in esso il marchio del proprio accorgi-mento. Egli è uno stupore che in un secolo vago di pre-dicare sino alla nausea ciò che chiamasi elegantementeprincipio di associazione, e avvezzo a gridar controquello che con pari eleganza si specifica col nomed’individualismo, si dia all’armi contro ogni genered’instituzioni monastiche. Quasi che i chiostri non sianoaltrettante associazioni; quasi che i loro statuti non sianomodelli di prudenza civile, e non mostrino in chi seppeidearli una sagacità per conoscere gli uomini, e un sennoper educarli e governarli, sovrastante di gran lunga allaperizia del moderni legislatori. Quelle che oggi con fa-stoso vocabolo si chiamano associazioni, destituite diuna fede comune, senza autorità, senza buoni ordini,senza previo tirocinio, senza spirito di sacrificio, sonoaccozzamenti puerili a petto di quelle stupende fratellan-ze cattoliche che tanto fecero pel bene dell’universale. Evedete che divario dalle une alle altre nella loro vita! Leprime oggi si fanno, e domani si sciolgono; vanno evengono, come i flutti del mare e le folate del vento:laddove le seconde vincono i secoli, resistono combattu-te, rigermogliano succise, e col tenace rigoglio stancanole folli speranze e la rabbia impotente de’ lor nemici. Lafratería che oggi si deride e si vilipende, incivilì l’Euro-pa e mutò le sorti del mondo. Domenico e Francesco,

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due poveri e umili fraticelli, ristorarono, ripulirono, ri-misero in fiore la disciplina cristiana, trascorsa e arrug-ginita dalla barbarie delle età precedenti, richiamando icristiani instituti alla santità dei loro principii. Non sonoio che lo dico, signori sapienti, ma il Machiavelli1; ilquale altro non fece che ridurre a formola filosofica ladottrina di Dante nelle sue cantiche2. Il Machiavelli eDante celebrarono la gloria dei Benedettini, dei Dome-nicani e dei Francescani; i quali con questo omaggio disublime poesia e di eloquenza civile reso loro da queisommi, possono ben consolarsi dei vostri dispetti. Senzal’opera di questi frati, voi non potreste neanche filosofa-re a sproposito, secondo l’usanza, poichè la speculazio-ne moderna nacque da quella del medio evo, e fu frate-sca di origine. Fratesca fu l’agricoltura, che diboscò unagran parte di Europa e mutò in campi fecondi e in popo-lose villate le inospite selve, i pestilenti marosi3 e le lan-de selvagge4; fratesco il traffico, poichè l’idea tutta ita-

1 Discorsi, III, 1.2 Paradiso, XI, XII, XXII.3 Nel senso di paludi o acque stagnanti, pantani. Cfr. PUCCI, Centiloquio,

14,6: «Dall’una parte sonvi alte montagne. E poi d’intorno paduli e maro-si».

4 Il genio edificativo della religione si verifica eziandio materialmente aogni pagina della storia. Si può affermare generalmente che la fondazionedi quasi tutte le principali città fu opera delle credenze; imperocchè anchenel gentilesimo esse incominciarono con un tempio e un oracolo, e le pri-me campagne accasate ebbero per centro un ritrovo di responsi divini e disacrifici. Allegherò un solo esempio moderno, che mi par singolare; ed èche il primo porto del Giappone e l’unico che sia tuttora aperto ad alcunipopoli stranieri, cioè quello di Nangasaghi, fu fondato per opera dei mis-sionari nel secolo sedicesimo. Il che dee parere veramente meraviglioso

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due poveri e umili fraticelli, ristorarono, ripulirono, ri-misero in fiore la disciplina cristiana, trascorsa e arrug-ginita dalla barbarie delle età precedenti, richiamando icristiani instituti alla santità dei loro principii. Non sonoio che lo dico, signori sapienti, ma il Machiavelli1; ilquale altro non fece che ridurre a formola filosofica ladottrina di Dante nelle sue cantiche2. Il Machiavelli eDante celebrarono la gloria dei Benedettini, dei Dome-nicani e dei Francescani; i quali con questo omaggio disublime poesia e di eloquenza civile reso loro da queisommi, possono ben consolarsi dei vostri dispetti. Senzal’opera di questi frati, voi non potreste neanche filosofa-re a sproposito, secondo l’usanza, poichè la speculazio-ne moderna nacque da quella del medio evo, e fu frate-sca di origine. Fratesca fu l’agricoltura, che diboscò unagran parte di Europa e mutò in campi fecondi e in popo-lose villate le inospite selve, i pestilenti marosi3 e le lan-de selvagge4; fratesco il traffico, poichè l’idea tutta ita-

1 Discorsi, III, 1.2 Paradiso, XI, XII, XXII.3 Nel senso di paludi o acque stagnanti, pantani. Cfr. PUCCI, Centiloquio,

14,6: «Dall’una parte sonvi alte montagne. E poi d’intorno paduli e maro-si».

4 Il genio edificativo della religione si verifica eziandio materialmente aogni pagina della storia. Si può affermare generalmente che la fondazionedi quasi tutte le principali città fu opera delle credenze; imperocchè anchenel gentilesimo esse incominciarono con un tempio e un oracolo, e le pri-me campagne accasate ebbero per centro un ritrovo di responsi divini e disacrifici. Allegherò un solo esempio moderno, che mi par singolare; ed èche il primo porto del Giappone e l’unico che sia tuttora aperto ad alcunipopoli stranieri, cioè quello di Nangasaghi, fu fondato per opera dei mis-sionari nel secolo sedicesimo. Il che dee parere veramente meraviglioso

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liana e cattolica del banco, culta e perfezionata in Vene-zia ed in Genova, nacque probabilmente in Montecassi-no, face splendida d’incivilimento in mezzo a tenebrefoltissime1; fratesche la geografia, l’etnografia, la filolo-gia, i cui primi lumi, quanto all’Oriente, ci vennero daimonaci che un pio zelo sospinse in quelle lontane con-trade; fratesche le lettere classiche ed antiche, i cui mo-numenti ci furono conservati ne’ chiostri; fratesche learti belle, le scienze dilettevoli e severe, sperimentali ecalcolatrici, i cui semi vennero custoditi, educati e di-schiusi nel ritiro inviolabile dei conventi, soli nidi dipace, di pietà e di dottrina fra i borghi sucidi e informidi quei tempi, e le bicocche rozze e bellicose. Che più?Quell’alfabeto medesimo che adoperate a scrivere con-tro i frati, è pure, per un certo rispetto, cosa fratesca: siaperchè gli abbicì moderni di mezza Europa furono operadei chierici, specialmente claustrali, e perchè gli uominidi chiesa erano allora quasi i soli che sapessero leggeree dettar nei paesi che oggi più risplendono di cultura edi gentilezza. E che rileva se a questi vantaggi incompa-rabili s’intramischiò qualche male? Forse il bene nellecose umane può andar netto dalla compagnia del suocontrario? Che importa, se mentre alcuni frati custodiva-no e moltiplicavano i manoscritti, altri li raschiavano e lidistruggevano? Che importa se Gerberto, Alberto2, Rug-

agli utopisti filosofi e ai Poliorceti vandalici dell’età moderna. [G.].1 LEO, Hist. d’Ital. trad., Paris, 1837, t. I, pag. 196 not.2 Alberto Magno, n. nel 1193, in Laningen (Svevia), m. nel 1280 in Colonia,

domenicano, sopranominato dai suoi contemporanei per la moltiplicitàdelle sue cognizioni, Doctor universalis.

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liana e cattolica del banco, culta e perfezionata in Vene-zia ed in Genova, nacque probabilmente in Montecassi-no, face splendida d’incivilimento in mezzo a tenebrefoltissime1; fratesche la geografia, l’etnografia, la filolo-gia, i cui primi lumi, quanto all’Oriente, ci vennero daimonaci che un pio zelo sospinse in quelle lontane con-trade; fratesche le lettere classiche ed antiche, i cui mo-numenti ci furono conservati ne’ chiostri; fratesche learti belle, le scienze dilettevoli e severe, sperimentali ecalcolatrici, i cui semi vennero custoditi, educati e di-schiusi nel ritiro inviolabile dei conventi, soli nidi dipace, di pietà e di dottrina fra i borghi sucidi e informidi quei tempi, e le bicocche rozze e bellicose. Che più?Quell’alfabeto medesimo che adoperate a scrivere con-tro i frati, è pure, per un certo rispetto, cosa fratesca: siaperchè gli abbicì moderni di mezza Europa furono operadei chierici, specialmente claustrali, e perchè gli uominidi chiesa erano allora quasi i soli che sapessero leggeree dettar nei paesi che oggi più risplendono di cultura edi gentilezza. E che rileva se a questi vantaggi incompa-rabili s’intramischiò qualche male? Forse il bene nellecose umane può andar netto dalla compagnia del suocontrario? Che importa, se mentre alcuni frati custodiva-no e moltiplicavano i manoscritti, altri li raschiavano e lidistruggevano? Che importa se Gerberto, Alberto2, Rug-

agli utopisti filosofi e ai Poliorceti vandalici dell’età moderna. [G.].1 LEO, Hist. d’Ital. trad., Paris, 1837, t. I, pag. 196 not.2 Alberto Magno, n. nel 1193, in Laningen (Svevia), m. nel 1280 in Colonia,

domenicano, sopranominato dai suoi contemporanei per la moltiplicitàdelle sue cognizioni, Doctor universalis.

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giero Bacone1 e altri, che coltivavano con ardore e feli-cità le scienze osservative sperimentative, e preparavanla fisica, la chimica, la storia naturale dei moderni, era-no tenuti per fattucchieri e stregoni da parecchi dei lorconfratelli? Che importa se i frati furono talvolta stru-mento di odio civile, d’ignoranza, di cupidità, di vendet-ta, da che l’osservanza dei loro statuti trascorse a colpe-vole rilassamento, e se alcuni di essi macchiarono la re-ligione mansueta che professavano e il sacro abito cheportavano, colle persecuzioni e col sangue? Questi ec-cessi provano soltanto che ogni assembramento d’uomi-ni ha il suo volgo, e che le migliori instituzioni declina-no, e, corrotte, nocciano invece di giovare, se non ven-gono savia e vigorosamente ai lor principi ritratte. Ma,certo, il male non prevalse al bene; poichè quello fu disua natura transitorio e ristretto a certi luoghi, dove glieffetti di questo furono universali e durano ancor oggi.Ditemi in che modo l’Evangelio potea abolire da pertutto i riti pagani, domare spiritualmente i barbari e in-gentilire l’Europa, senza l’aiuto dei frati, e io abbando-nerò volentieri il loro patrocinio. Ma a tal fine vi con-verrà dare allo fiamme gli annali cristiani; i quali, rac-contandovi l’opera mirabile dei monaci in que’ tempi ditenebre e di scompiglio, per rinvigorire le schiatte mollie degeneri, mansuefar le feroci, e sterpare le erbe selva-tiche, onde tutto il mondo infoltiva, vi mostrano altresìche sarebbe stato indarno lo sperare per altre mani e con1 Ruggero Bacone, francescano inglese (1214-1294) detto il dottore ammi-

rabile. Gli si attribuì l’invenzione della polvere.

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giero Bacone1 e altri, che coltivavano con ardore e feli-cità le scienze osservative sperimentative, e preparavanla fisica, la chimica, la storia naturale dei moderni, era-no tenuti per fattucchieri e stregoni da parecchi dei lorconfratelli? Che importa se i frati furono talvolta stru-mento di odio civile, d’ignoranza, di cupidità, di vendet-ta, da che l’osservanza dei loro statuti trascorse a colpe-vole rilassamento, e se alcuni di essi macchiarono la re-ligione mansueta che professavano e il sacro abito cheportavano, colle persecuzioni e col sangue? Questi ec-cessi provano soltanto che ogni assembramento d’uomi-ni ha il suo volgo, e che le migliori instituzioni declina-no, e, corrotte, nocciano invece di giovare, se non ven-gono savia e vigorosamente ai lor principi ritratte. Ma,certo, il male non prevalse al bene; poichè quello fu disua natura transitorio e ristretto a certi luoghi, dove glieffetti di questo furono universali e durano ancor oggi.Ditemi in che modo l’Evangelio potea abolire da pertutto i riti pagani, domare spiritualmente i barbari e in-gentilire l’Europa, senza l’aiuto dei frati, e io abbando-nerò volentieri il loro patrocinio. Ma a tal fine vi con-verrà dare allo fiamme gli annali cristiani; i quali, rac-contandovi l’opera mirabile dei monaci in que’ tempi ditenebre e di scompiglio, per rinvigorire le schiatte mollie degeneri, mansuefar le feroci, e sterpare le erbe selva-tiche, onde tutto il mondo infoltiva, vi mostrano altresìche sarebbe stato indarno lo sperare per altre mani e con1 Ruggero Bacone, francescano inglese (1214-1294) detto il dottore ammi-

rabile. Gli si attribuì l’invenzione della polvere.

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altri mezzi i medesimi effetti. Imperocchè fuori del sa-cerdozio cattolico, erede del senno e del patriziato roma-no, non c’era autorità capace di educare e d’instituiregl’individui ed i popoli. Ora il sacerdozio nei tempi fortinon può ottener questo intento, se non ristringendo isuoi ordini, e riducendo una parte di sè stesso a formamonastica. I monaci sono spiritualmente, rispettoall’altro chiericato, quel medesimo che i soldati, riguar-do ai magistrati civili, cioè il braccio più efficace delsenno loro; tanto che ogni ordine religioso si può consi-derare come una vera milizia clericale, fortemente disci-plinata e affratellata con nodo indissolubile sotto il sa-piente indirizzo dell’episcopato e del pontificato cristia-no. Questa è la ragione per cui gli ordini regolari, chepiù operarono e più vivi e potenti si dimostrarono, furo-no composti a monarchia di assoluto comando; il qualeè necessario in ogni corpo indirizzato alla difesa o allaconquista negli ordini spirituali o temporali della societàumana. Perciò il governo misto e temperato della gerar-chia cattolica sarebbe tanto inopportuno in una societàdi missionari, quanto in un esercito. I grandi ordinatoridel chiostro ebbero dunque ragione di non lasciarsi ag-girare all’eterno sofisma dei cattivi politici, che creden-do con una forma di unità astratta e chimerica, poterdare assetto a un vivere comune, sarebbero inetti a reg-gere ed incivilire una piccola borgata, non che le stirpi ele nazioni.

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altri mezzi i medesimi effetti. Imperocchè fuori del sa-cerdozio cattolico, erede del senno e del patriziato roma-no, non c’era autorità capace di educare e d’instituiregl’individui ed i popoli. Ora il sacerdozio nei tempi fortinon può ottener questo intento, se non ristringendo isuoi ordini, e riducendo una parte di sè stesso a formamonastica. I monaci sono spiritualmente, rispettoall’altro chiericato, quel medesimo che i soldati, riguar-do ai magistrati civili, cioè il braccio più efficace delsenno loro; tanto che ogni ordine religioso si può consi-derare come una vera milizia clericale, fortemente disci-plinata e affratellata con nodo indissolubile sotto il sa-piente indirizzo dell’episcopato e del pontificato cristia-no. Questa è la ragione per cui gli ordini regolari, chepiù operarono e più vivi e potenti si dimostrarono, furo-no composti a monarchia di assoluto comando; il qualeè necessario in ogni corpo indirizzato alla difesa o allaconquista negli ordini spirituali o temporali della societàumana. Perciò il governo misto e temperato della gerar-chia cattolica sarebbe tanto inopportuno in una societàdi missionari, quanto in un esercito. I grandi ordinatoridel chiostro ebbero dunque ragione di non lasciarsi ag-girare all’eterno sofisma dei cattivi politici, che creden-do con una forma di unità astratta e chimerica, poterdare assetto a un vivere comune, sarebbero inetti a reg-gere ed incivilire una piccola borgata, non che le stirpi ele nazioni.

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Quando (il monachismo) traligna si vuol riformare,non abolire.

Le instituzioni monachili, quando tralignano, riesco-no veramente inutili e dannose; onde si vogliono abolireo riformare, secondo i gradi della corruzione. Ma primadi venire al doloroso taglio, la Chiesa suol tentare ognimezzo riformativo; e ragionevolmente; dovendosi anda-re a rilento prima di annullare gli instituti benemeritidella religione e della civiltà umana. Imperocchè il cau-to agricoltore non mette la scure alle radici di un prezio-so albero, senza assicurarsi che sia ben morto e inetto arigerminare, e stima follìa il reciderlo, quando si puòravvivare con providi innesti, e col purgarlo dal vec-chiume che lo ingombra.

Il distruggere è facile a ciascuno, ma il fondare el’edificare riesce assai malagevole a tutti, e vien conce-duto a pochissimi. L’instituzione di ordini proficui e du-raturi in qualunque genere, non è cosa da ogni uomo,poichè è un raggio della potenza creatrice; essa richiedegrande ingegno, gran senno, opportunità di tempo e diluogo, e un benigno riguardo di quella Providenza, che ipagani chiamavano fortuna. Anche la storia delle comu-nità religiose porge molti esempi di parti abortivi, digretti e vincidi germogli, che non attecchirono, e dopoun corto e stentato vegetare appassirono. I gran fondato-ri che abbracciarono col loro vasto spirito una lunga se-guenza di secoli e un’ ampia tratta di paesi, sono rari an-che in questo genere, quanto gli ordinatori delle nazioni.

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Quando (il monachismo) traligna si vuol riformare,non abolire.

Le instituzioni monachili, quando tralignano, riesco-no veramente inutili e dannose; onde si vogliono abolireo riformare, secondo i gradi della corruzione. Ma primadi venire al doloroso taglio, la Chiesa suol tentare ognimezzo riformativo; e ragionevolmente; dovendosi anda-re a rilento prima di annullare gli instituti benemeritidella religione e della civiltà umana. Imperocchè il cau-to agricoltore non mette la scure alle radici di un prezio-so albero, senza assicurarsi che sia ben morto e inetto arigerminare, e stima follìa il reciderlo, quando si puòravvivare con providi innesti, e col purgarlo dal vec-chiume che lo ingombra.

Il distruggere è facile a ciascuno, ma il fondare el’edificare riesce assai malagevole a tutti, e vien conce-duto a pochissimi. L’instituzione di ordini proficui e du-raturi in qualunque genere, non è cosa da ogni uomo,poichè è un raggio della potenza creatrice; essa richiedegrande ingegno, gran senno, opportunità di tempo e diluogo, e un benigno riguardo di quella Providenza, che ipagani chiamavano fortuna. Anche la storia delle comu-nità religiose porge molti esempi di parti abortivi, digretti e vincidi germogli, che non attecchirono, e dopoun corto e stentato vegetare appassirono. I gran fondato-ri che abbracciarono col loro vasto spirito una lunga se-guenza di secoli e un’ ampia tratta di paesi, sono rari an-che in questo genere, quanto gli ordinatori delle nazioni.

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Chè certo non furono più frequenti nè meno ammirabilii Benedetti, i Franceschi, i Domenichi, gl’Ignazi, che iNumi, i Pitagori, i Carondi, i Licurghi. Come dunquepotrebbe la Chiesa comportare tranquillamente che certigoverni, procedendo all’avventata, e senza cernere ilbuono dal reo, mettano il ferro alle barbe di quel tronchiannosi, invece di rimondarne i rami dal seccume che gliattrista, e ristorarli con incalmi1 opportuni? Conciossia-chè, governandovi con questo impeto, quando il suolosarà netto e spianato, che pro ne avrete? Donde cogliere-te gli ubertosi frutti, che rallegrarono e nutrirono i vostriavi? Dove troverete le fronde benefiche alla cui molle ericreante opacità riparavano le stanche generazioni? Mai politici moderni non si curano di questo: immemori deibeni passati, improvidi dei bisogni futuri, e solo intenti aliberarsi dai mali presenti, somigliano il coltivatore, cheschianta il buon grano col loglio che lo corrompe. Essireputano beato un paese, purchè non abbia frati. Nonimporta che l’egoismo trionfi, che l’amor patrio si estin-gua, che gli atei, gli epicurei, le donne di perduto costu-me moltiplichino ogni anno a due tanti, che i suicidii, gliinfanticidii e le altre enormezze siano ciascun giorno piùfrequenti, purchè non vi siano frati. Povera gente! Quan-do non avrete frati nè monache, farete forse meglio i fat-ti vostri? Sarete più giusti, più sobrii, più amatori dellapatria, più timorati di Dio, insomma più virtuosi e piùfelici? Avrete un maggior numero di uomini sviscerati e

1 Innestatura, innesto. Vive in qualche dialetto.

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Chè certo non furono più frequenti nè meno ammirabilii Benedetti, i Franceschi, i Domenichi, gl’Ignazi, che iNumi, i Pitagori, i Carondi, i Licurghi. Come dunquepotrebbe la Chiesa comportare tranquillamente che certigoverni, procedendo all’avventata, e senza cernere ilbuono dal reo, mettano il ferro alle barbe di quel tronchiannosi, invece di rimondarne i rami dal seccume che gliattrista, e ristorarli con incalmi1 opportuni? Conciossia-chè, governandovi con questo impeto, quando il suolosarà netto e spianato, che pro ne avrete? Donde cogliere-te gli ubertosi frutti, che rallegrarono e nutrirono i vostriavi? Dove troverete le fronde benefiche alla cui molle ericreante opacità riparavano le stanche generazioni? Mai politici moderni non si curano di questo: immemori deibeni passati, improvidi dei bisogni futuri, e solo intenti aliberarsi dai mali presenti, somigliano il coltivatore, cheschianta il buon grano col loglio che lo corrompe. Essireputano beato un paese, purchè non abbia frati. Nonimporta che l’egoismo trionfi, che l’amor patrio si estin-gua, che gli atei, gli epicurei, le donne di perduto costu-me moltiplichino ogni anno a due tanti, che i suicidii, gliinfanticidii e le altre enormezze siano ciascun giorno piùfrequenti, purchè non vi siano frati. Povera gente! Quan-do non avrete frati nè monache, farete forse meglio i fat-ti vostri? Sarete più giusti, più sobrii, più amatori dellapatria, più timorati di Dio, insomma più virtuosi e piùfelici? Avrete un maggior numero di uomini sviscerati e

1 Innestatura, innesto. Vive in qualche dialetto.

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zelanti per sovvenire nelle necessità e consolare nellemiserie i loro fratelli? Chi assisterà, gli infermi derelitti?Chi avrà cura dei pargoli abbandonati? chi aprirà un asi-lo di ammenda e di sicurezza alle donne sviate e perico-lanti? chi si farà rozzo coi rozzi, povero coi poveri, fan-ciullo coi fanciulli, per educare, migliorare, ingentilirela spregiata ed infelice plebe? Chi recherà i rimedi e iconforti della religione ai miseri delinquenti nel chiusodegli ergastoli, nel fondo delle carceri e fra l’orror delpatibolo? chi porgerà soccorso, guida e ricetto ospitaleai viandanti sulle cime nevose e nei passi difficili dellemontagne? chi porterà i beni della civiltà e della fede, eannunzierà la buona novella ai popoli barbari e selvag-gi? Leggete le storie, consultate l’esperienza, e trovereteche oggi e per l’addietro la maggior parte di questi be-nefizi si dee ai frati, e che niuno è atto quanto essi a gra-tificarne eziandio coloro che gli scherniscono e gli dete-stano. Ingrati! Andate in oriente, quando la peste, perpe-tua inquilina dei Turchi, esce de’ suoi luridi covili, e sisparge devastatrice per le amene spiagge della Soria edell’Asia Minore, mutando le città gaie e popolose inmeste e dolenti solitudini. Al primo gittare del fieromorbo, i poveri frati di quei contorni abbandonano vo-lonterosi i loro eremi e le loro celle, e accorrono l’undopo l’altro a soccorso degl’infetti con quella premurache voi avreste, andando a una festa nuziale: e quandol’uno è morto, a un tocco di campanello l’altro sottentra,finchè il flagello cessi o sia diserto il convento. Questiesempi si rinnovano così spesso, come l’orribile calami-

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zelanti per sovvenire nelle necessità e consolare nellemiserie i loro fratelli? Chi assisterà, gli infermi derelitti?Chi avrà cura dei pargoli abbandonati? chi aprirà un asi-lo di ammenda e di sicurezza alle donne sviate e perico-lanti? chi si farà rozzo coi rozzi, povero coi poveri, fan-ciullo coi fanciulli, per educare, migliorare, ingentilirela spregiata ed infelice plebe? Chi recherà i rimedi e iconforti della religione ai miseri delinquenti nel chiusodegli ergastoli, nel fondo delle carceri e fra l’orror delpatibolo? chi porgerà soccorso, guida e ricetto ospitaleai viandanti sulle cime nevose e nei passi difficili dellemontagne? chi porterà i beni della civiltà e della fede, eannunzierà la buona novella ai popoli barbari e selvag-gi? Leggete le storie, consultate l’esperienza, e trovereteche oggi e per l’addietro la maggior parte di questi be-nefizi si dee ai frati, e che niuno è atto quanto essi a gra-tificarne eziandio coloro che gli scherniscono e gli dete-stano. Ingrati! Andate in oriente, quando la peste, perpe-tua inquilina dei Turchi, esce de’ suoi luridi covili, e sisparge devastatrice per le amene spiagge della Soria edell’Asia Minore, mutando le città gaie e popolose inmeste e dolenti solitudini. Al primo gittare del fieromorbo, i poveri frati di quei contorni abbandonano vo-lonterosi i loro eremi e le loro celle, e accorrono l’undopo l’altro a soccorso degl’infetti con quella premurache voi avreste, andando a una festa nuziale: e quandol’uno è morto, a un tocco di campanello l’altro sottentra,finchè il flagello cessi o sia diserto il convento. Questiesempi si rinnovano così spesso, come l’orribile calami-

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tà che dà loro occasione; e, ciò non ostante, vi basta ilcuore di gridar contro i frati! Gridate pur contro i fratioziosi, ignoranti, cupidi, inframmettenti, torbidi, invere-condi, fanatici, e la Chiesa, non che biasimarvene, faràeco alle vostre querele; ma rispettate i frati eroi, i fratimartiri, i frati benefattori e consolatori del genere uma-no. Studiate a provvedervi di buoni frati, se volete libe-rarvi dai cattivi; riformate, e non distruggete. Chi negache il monachismo degenere sia di un peso intollerabilee di grave danno agli stati? e che ogni buon governo nonsia obbligato a riscattarsene, usando i mezzi opportuni elegittimi? Ma l’abuso non prova contro la bontà delleinstituzioni; giacchè non se ne trova alcuna così giove-vole e santa, che non possa per colpa degli uomini tra-sandare a segno da produrre pessimi effetti. Anzi, gene-ralmente parlando, si può dir che gli abusi nocevoli ar-guiscono l’eccellenza nativa delle cose onde nascono;imperocchè l’abuso, essendo un dilungarsi dall’indolegenuina e sincera dell’oggetto abusato, argomenta inesso una qualità opposta alla propria. Laonde i trascorsidannosi presuppongono che gli ordini da cui si scostano,siano buoni in sè medesimi, come i falli profittevoli ac-cusano di reità e di stoltezza, o almeno chiariscono in-tempestiva la legge, di cui sono la violazione.

Del monachismo orientale e dell’occidentale.Come questo si possa rendere fruttuoso al nostro

incivilimento.

Niuno creda che, perorando la causa degli ordini

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tà che dà loro occasione; e, ciò non ostante, vi basta ilcuore di gridar contro i frati! Gridate pur contro i fratioziosi, ignoranti, cupidi, inframmettenti, torbidi, invere-condi, fanatici, e la Chiesa, non che biasimarvene, faràeco alle vostre querele; ma rispettate i frati eroi, i fratimartiri, i frati benefattori e consolatori del genere uma-no. Studiate a provvedervi di buoni frati, se volete libe-rarvi dai cattivi; riformate, e non distruggete. Chi negache il monachismo degenere sia di un peso intollerabilee di grave danno agli stati? e che ogni buon governo nonsia obbligato a riscattarsene, usando i mezzi opportuni elegittimi? Ma l’abuso non prova contro la bontà delleinstituzioni; giacchè non se ne trova alcuna così giove-vole e santa, che non possa per colpa degli uomini tra-sandare a segno da produrre pessimi effetti. Anzi, gene-ralmente parlando, si può dir che gli abusi nocevoli ar-guiscono l’eccellenza nativa delle cose onde nascono;imperocchè l’abuso, essendo un dilungarsi dall’indolegenuina e sincera dell’oggetto abusato, argomenta inesso una qualità opposta alla propria. Laonde i trascorsidannosi presuppongono che gli ordini da cui si scostano,siano buoni in sè medesimi, come i falli profittevoli ac-cusano di reità e di stoltezza, o almeno chiariscono in-tempestiva la legge, di cui sono la violazione.

Del monachismo orientale e dell’occidentale.Come questo si possa rendere fruttuoso al nostro

incivilimento.

Niuno creda che, perorando la causa degli ordini

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claustrali, io ignori di non aver oggi molti compagni, ovoglia andar a ritrose dell’opinione per istudio di parte oper vaghezza di paradossi. Il contrapporsi al parere deipiù, ancorchè falso, non è sempre opportuno, quando sitratta di cose, che poco montano; perchè chi lo fa correrischio di giocarsi l’autorità che gli porge lo scrivere,scioperandola a sproposito per una vana libertà di con-traddire, invece di riservarla contro gli errori di maggiormomento, che occorrono alla giornata. D’altra parte, ioso che gli statuti monastici non appartengono all’essen-za della religione, e che non solo i precetti, ma i consiglisublimi della perfezione evangelica, possono essere pra-ticati anche da chi non è stretto a regola di chiostro.Considerando la cosa per questo verso, io mi sarei taciu-to volentieri sull’articolo dei frati; anzi avrei creduto didover passarmene, essendo gran senno in ogni contro-versia il pretermettere gli accessorii, quando il patroci-nio di essi può nuocere al principale. Se ciò non ostanteio m’induco a dirne questo poco, lo fa per una ragioneassai diversa; la quale si è che, mentre io veggo benissi-mo come la Chiesa possa star senza frati, non mi pareche si possa affermare altrettanto della società civile.Imperocchè io trovo che i frati vivono da molti secoli adispetto di coloro che gli vogliono morti, e che, spenti,risuscitano, e son talvolta richiamati da que’ medesimiche gli avevano espulsi, come si può vedere in Francia,nel Belgio, nell’Inghilterra e in altri paesi; onde invecedi dar loro addosso inutilmente, mi par più utile il ricer-care qual costrutto se ne possa ritrarre, e da che proven-

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claustrali, io ignori di non aver oggi molti compagni, ovoglia andar a ritrose dell’opinione per istudio di parte oper vaghezza di paradossi. Il contrapporsi al parere deipiù, ancorchè falso, non è sempre opportuno, quando sitratta di cose, che poco montano; perchè chi lo fa correrischio di giocarsi l’autorità che gli porge lo scrivere,scioperandola a sproposito per una vana libertà di con-traddire, invece di riservarla contro gli errori di maggiormomento, che occorrono alla giornata. D’altra parte, ioso che gli statuti monastici non appartengono all’essen-za della religione, e che non solo i precetti, ma i consiglisublimi della perfezione evangelica, possono essere pra-ticati anche da chi non è stretto a regola di chiostro.Considerando la cosa per questo verso, io mi sarei taciu-to volentieri sull’articolo dei frati; anzi avrei creduto didover passarmene, essendo gran senno in ogni contro-versia il pretermettere gli accessorii, quando il patroci-nio di essi può nuocere al principale. Se ciò non ostanteio m’induco a dirne questo poco, lo fa per una ragioneassai diversa; la quale si è che, mentre io veggo benissi-mo come la Chiesa possa star senza frati, non mi pareche si possa affermare altrettanto della società civile.Imperocchè io trovo che i frati vivono da molti secoli adispetto di coloro che gli vogliono morti, e che, spenti,risuscitano, e son talvolta richiamati da que’ medesimiche gli avevano espulsi, come si può vedere in Francia,nel Belgio, nell’Inghilterra e in altri paesi; onde invecedi dar loro addosso inutilmente, mi par più utile il ricer-care qual costrutto se ne possa ritrarre, e da che proven-

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ga la tenacità della loro vita. Chi crede più opportuno ildire che bisogna distruggere i frati, dee credere all’onni-potenza de’ suoi voti e delle sue parole; la quale perònon risulta dalla esperienza e dalla storia. Io considerodunque i frati come un bisogno della civiltà, e, per par-lare colla leggiadria moderna, come una necessità socia-le; la quale non dee far meraviglia, perchè nasce dallanatura di ogni consorzio, e in ispecie da quella del vive-re cristiano. Imperocchè in ogni comunanza v’ha unamoltitudine di vizi che i governi e i privati non possonocorreggere, e una folla di dolori che quelli non hanno ilmodo di consolare e di alleggerire. Ora nel cuordell’uomo vive un istinto benefico, che lo muove a cer-care i rimedi opportuni per riparare a quelle due schieredi mali, e che umanità si appella; la quale avvalorata,sublimata, santificata dalla religione, chiamasi carità, eriesce tanto più efficace, quanto più forte ed operativo èl’affetto morale, ogni qual volta sia condito e fecondatodalla religione. La carità cristiana, bene organata, ridottaa vivere ed a legge comune, applicata a un ufficio spe-ciale, e sollevata a grado eroico di perfezione, è il mona-chismo cattolico, pigliando questa voce nel suo più lar-go significato; il quale ha tante specie, quante sono leapplicazioni di quel divino amore che esercita nel mon-do spirituale un ufficio simile a quello del fluido poten-tissimo che anima tutta la natura, e uno in sè medesimo,secondo l’opinion verosimile di alcuni moderni fisici,nel varii ambienti imponderabili si trasforma. Così ilmonachismo, uno e molteplice, come la carità che lo in-

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ga la tenacità della loro vita. Chi crede più opportuno ildire che bisogna distruggere i frati, dee credere all’onni-potenza de’ suoi voti e delle sue parole; la quale perònon risulta dalla esperienza e dalla storia. Io considerodunque i frati come un bisogno della civiltà, e, per par-lare colla leggiadria moderna, come una necessità socia-le; la quale non dee far meraviglia, perchè nasce dallanatura di ogni consorzio, e in ispecie da quella del vive-re cristiano. Imperocchè in ogni comunanza v’ha unamoltitudine di vizi che i governi e i privati non possonocorreggere, e una folla di dolori che quelli non hanno ilmodo di consolare e di alleggerire. Ora nel cuordell’uomo vive un istinto benefico, che lo muove a cer-care i rimedi opportuni per riparare a quelle due schieredi mali, e che umanità si appella; la quale avvalorata,sublimata, santificata dalla religione, chiamasi carità, eriesce tanto più efficace, quanto più forte ed operativo èl’affetto morale, ogni qual volta sia condito e fecondatodalla religione. La carità cristiana, bene organata, ridottaa vivere ed a legge comune, applicata a un ufficio spe-ciale, e sollevata a grado eroico di perfezione, è il mona-chismo cattolico, pigliando questa voce nel suo più lar-go significato; il quale ha tante specie, quante sono leapplicazioni di quel divino amore che esercita nel mon-do spirituale un ufficio simile a quello del fluido poten-tissimo che anima tutta la natura, e uno in sè medesimo,secondo l’opinion verosimile di alcuni moderni fisici,nel varii ambienti imponderabili si trasforma. Così ilmonachismo, uno e molteplice, come la carità che lo in-

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spira, è sovratutto sociale ed operativo presso i modernipopoli d’Occidente; laddove nei tempi più antichi e nel-la Chiesa orientale fu vôlto specialmente alla vita con-templativa e solitaria. La quale disformità risponde alladiversa condizione dei tempi e del paesi; imperocchè idivini influssi, movendo soavemente certe anime privi-legiate ad opere di straordinaria eccellenza, non solo sipiegano alla varia indole del luogo e del secolo, ma an-che alla tempra degl’individui e delle stirpi, e ai bisognicorrenti si conformano.

Nè il vivere appartato, i fervori anco eccessivi, e iportamenti straordinari dei foresti anacoreti di levantegli resero perciò inutili alla società, presso cui viveano;poichè anzi per tal via operarono que’ salutevoli effettiche non si sarebbero potuti altrimenti ottenere; e chi nonsa apprezzare la benefica influenza del monachismoorientale nell’epoca del suo fiore, non conosce la storiadi Oriente. Ma non appartiene al mio proposito di giusti-ficare un’instituzione che ebbe per fondatore e patriarcaquell’Antonio1 alla cui lode basterebbe l’ammirazionedel grande Atanasio; il quale per forza e sublimitàd’ingegno, altezza di facondia, copia e profondità didottrina, grandezza e costanza d’animo, e austera sa-pienza di vita, è il principe dei Padri greci, e si mostra aniuno secondo, fra gli uomini più insigni degli annali

1 Sant’Antonio, sopranominato Abate perchè credesi sia stato il fondatoredella vita monastica fra i cristiani primitivi. (N. nel 251 a Roma in Eraclea,m. nel 356, di 110 anni). Cfr. VERGER, Vie de S. Antoine le Grand, Paris,1890.

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spira, è sovratutto sociale ed operativo presso i modernipopoli d’Occidente; laddove nei tempi più antichi e nel-la Chiesa orientale fu vôlto specialmente alla vita con-templativa e solitaria. La quale disformità risponde alladiversa condizione dei tempi e del paesi; imperocchè idivini influssi, movendo soavemente certe anime privi-legiate ad opere di straordinaria eccellenza, non solo sipiegano alla varia indole del luogo e del secolo, ma an-che alla tempra degl’individui e delle stirpi, e ai bisognicorrenti si conformano.

Nè il vivere appartato, i fervori anco eccessivi, e iportamenti straordinari dei foresti anacoreti di levantegli resero perciò inutili alla società, presso cui viveano;poichè anzi per tal via operarono que’ salutevoli effettiche non si sarebbero potuti altrimenti ottenere; e chi nonsa apprezzare la benefica influenza del monachismoorientale nell’epoca del suo fiore, non conosce la storiadi Oriente. Ma non appartiene al mio proposito di giusti-ficare un’instituzione che ebbe per fondatore e patriarcaquell’Antonio1 alla cui lode basterebbe l’ammirazionedel grande Atanasio; il quale per forza e sublimitàd’ingegno, altezza di facondia, copia e profondità didottrina, grandezza e costanza d’animo, e austera sa-pienza di vita, è il principe dei Padri greci, e si mostra aniuno secondo, fra gli uomini più insigni degli annali

1 Sant’Antonio, sopranominato Abate perchè credesi sia stato il fondatoredella vita monastica fra i cristiani primitivi. (N. nel 251 a Roma in Eraclea,m. nel 356, di 110 anni). Cfr. VERGER, Vie de S. Antoine le Grand, Paris,1890.

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cristiani.Il monachismo occidentale, che è per essenza trava-

gliativo e vôlto a promuovere direttamente la cultura de-gli uomini, nacque in Italia per opera di Benedetto,quando, ito in fascio l’imperio romano e accasati i primibarbari nella penisola, giunta era l’ora opportuna di or-dire un nuovo incivilimento. Dal secolo sesto sino al se-dicesimo l’idea generativa del monacato operoso e apo-stolico si svolse, crebbe e fruttò sotto ogni forma; edove col primo suo fondatore avea mirato a dirozzare ilmondo imbarberito e cascante, col suo ultimo rinnovato-re intese a dissipare, mediante la luce evangelica già dif-fusa in Europa, le folte tenebre sparse nel resto dell’orbeabitato. Per tal modo il ciclo millenare del monachismodi ponente fu un tirocinio civile, che, nato in Roma,comprese successivamente tutta quanta la terra; e quelconcetto, che nel pio tesmoforo di Norcia fu special-mente italiano, in quelli di Chiaravalle, di Assisi e diCallaroga divenne europeo, e in quel di Loiola cosmo-politico. Con Ignazio1 finì l’opera creatrice del chiostro,avendo conseguìto il massimo grado di velocità nel suomoto e di estensione nel suo giro, per la struttura magi-strale de’ suoi ordini interni, e per l’ampiezza del campoassegnato alle sue operazioni. Ora, per supplire a questolavoro di dieci secoli, non bastano i desidèri e le paroledei filosofi, ma ci vogliono fatti di grandezza proporzio-nata. Finora la Chiesa sola ha saputo incarnare l’idea di1 Ignazio da Loiola (1490-1556) fondatore dell’ordine dei Chierici regolari

della Compagnia di Gesù.

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cristiani.Il monachismo occidentale, che è per essenza trava-

gliativo e vôlto a promuovere direttamente la cultura de-gli uomini, nacque in Italia per opera di Benedetto,quando, ito in fascio l’imperio romano e accasati i primibarbari nella penisola, giunta era l’ora opportuna di or-dire un nuovo incivilimento. Dal secolo sesto sino al se-dicesimo l’idea generativa del monacato operoso e apo-stolico si svolse, crebbe e fruttò sotto ogni forma; edove col primo suo fondatore avea mirato a dirozzare ilmondo imbarberito e cascante, col suo ultimo rinnovato-re intese a dissipare, mediante la luce evangelica già dif-fusa in Europa, le folte tenebre sparse nel resto dell’orbeabitato. Per tal modo il ciclo millenare del monachismodi ponente fu un tirocinio civile, che, nato in Roma,comprese successivamente tutta quanta la terra; e quelconcetto, che nel pio tesmoforo di Norcia fu special-mente italiano, in quelli di Chiaravalle, di Assisi e diCallaroga divenne europeo, e in quel di Loiola cosmo-politico. Con Ignazio1 finì l’opera creatrice del chiostro,avendo conseguìto il massimo grado di velocità nel suomoto e di estensione nel suo giro, per la struttura magi-strale de’ suoi ordini interni, e per l’ampiezza del campoassegnato alle sue operazioni. Ora, per supplire a questolavoro di dieci secoli, non bastano i desidèri e le paroledei filosofi, ma ci vogliono fatti di grandezza proporzio-nata. Finora la Chiesa sola ha saputo incarnare l’idea di1 Ignazio da Loiola (1490-1556) fondatore dell’ordine dei Chierici regolari

della Compagnia di Gesù.

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molte aggregazioni d’uomini strettamente collegati fraloro, e ordinati ad esercitare universalmente quegli uffi-ci di moltiforme beneficenza, che non possono accon-ciamente confidarsi agli sforzi individuali, nè all’azionedi chi governa. E il fece non solo nel giro della sua spi-rituale giurisdizione, ma rispetto a tutto il nostro genere,coll’instituire, oltre alla milizia urbana e stanziale, spiri-tuali eserciti, per cui il monachismo, divenuto esterno,pellegrinante e conquistatore, esce dai confini del mon-do civile, ed entra nel mondo barbaro, come in una colo-nia, a fine di domesticarlo ed affratellarselo. Il conventoe la missione sono i due componenti di questa impresadi carità e disciplina universale: la cui bontà ed efficaciafu comprovata da uno sperimento di tanti secoli, nonostante gli errori e i disordini, che sempre accompagna-no il bene, quando è operato dagli uomini. Eccovi, si-gnori filosofi, ciò che ha fatto la Chiesa; ora tocca a voi,che non volete apostoli nè monasteri, il dirci che cosa sidebba mettere in loro scambio. Badate bene che io nonvi chieggo utopie in aria, ma instituzioni, di cui la storiaci porga almen qualche saggio; perchè, senza negarviassolutamente che molte cose intentate finora si possonoeffettuare nell’avvenire, mi permetterete che io differi-sca a parlarne quando se ne vedrà qualche esempio. Ri-spetto alle cose fatte, non so quante possiate menzionar-ne a questo proposito, oltre le associazioni benefiche de’laici, e le compagnie trafficanti. Ma quelle sono una ste-rile e fiacca imitazione dei chiostri, e non producono auno per cento i loro frutti, quando essi chiostri siano

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molte aggregazioni d’uomini strettamente collegati fraloro, e ordinati ad esercitare universalmente quegli uffi-ci di moltiforme beneficenza, che non possono accon-ciamente confidarsi agli sforzi individuali, nè all’azionedi chi governa. E il fece non solo nel giro della sua spi-rituale giurisdizione, ma rispetto a tutto il nostro genere,coll’instituire, oltre alla milizia urbana e stanziale, spiri-tuali eserciti, per cui il monachismo, divenuto esterno,pellegrinante e conquistatore, esce dai confini del mon-do civile, ed entra nel mondo barbaro, come in una colo-nia, a fine di domesticarlo ed affratellarselo. Il conventoe la missione sono i due componenti di questa impresadi carità e disciplina universale: la cui bontà ed efficaciafu comprovata da uno sperimento di tanti secoli, nonostante gli errori e i disordini, che sempre accompagna-no il bene, quando è operato dagli uomini. Eccovi, si-gnori filosofi, ciò che ha fatto la Chiesa; ora tocca a voi,che non volete apostoli nè monasteri, il dirci che cosa sidebba mettere in loro scambio. Badate bene che io nonvi chieggo utopie in aria, ma instituzioni, di cui la storiaci porga almen qualche saggio; perchè, senza negarviassolutamente che molte cose intentate finora si possonoeffettuare nell’avvenire, mi permetterete che io differi-sca a parlarne quando se ne vedrà qualche esempio. Ri-spetto alle cose fatte, non so quante possiate menzionar-ne a questo proposito, oltre le associazioni benefiche de’laici, e le compagnie trafficanti. Ma quelle sono una ste-rile e fiacca imitazione dei chiostri, e non producono auno per cento i loro frutti, quando essi chiostri siano

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bene ordinati; queste sono una parodia delle missioni.Non che riprovare tali instituzioni laicali, io le lodo, inquanto le prime possono giovare talvolta e mostrano, senon altro, il buon volere dei cooperatori, e le secondeprofittano ai privati e ai governi che le compongono. Madico che nel primo caso l’umanità guadagna poco, e nelsecondo nulla, se non anco ci perde: perchè le consorte-rie mercantili (quando non siano corrette e temperatedalla religione), invece di promuovere la civiltà dei pae-si da loro occupati, non di rado la spiantano, o alla mentrista non ne accrescono i semi e i proventi. E ragione-volmente; conciossiachè le une sono fondate sulla sem-plice filantropia, e le altre sull’egoismo, ch’è il capitalenemico della vera cultura. La filantropia è ottima in sèstessa, ma non può supplire alla carità, come moventeefficace di beneficenza. Imperocchè lo trovo che i filan-tropi discorrono a meraviglia di questa virtù, noverano eclassificano i dolori, contano quasi i sospiri e le lacrimedei poveri uomini con molta esattezza, e ne propongonoi rimedi; ma quando questi non siano di quelli che di-pendono da chi regge, non veggo che i filosofi filantro-pici abbiano sinora saputo applicarli. Il che non dee farmeraviglia; perchè la filantropia messa in pratica, nonessendo più una faccenda che si possa spedire coi di-scorsi e coi libri, ma un continuo e penoso olocaustodella propria persona ad altrui beneficio, è umanamenteimpossibile senza quegli stimoli efficacissimi, cui la re-ligione sola può dare. Se volete effettuare i vostri bene-voli concetti, scemando al possibile e alleviando le uma-

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bene ordinati; queste sono una parodia delle missioni.Non che riprovare tali instituzioni laicali, io le lodo, inquanto le prime possono giovare talvolta e mostrano, senon altro, il buon volere dei cooperatori, e le secondeprofittano ai privati e ai governi che le compongono. Madico che nel primo caso l’umanità guadagna poco, e nelsecondo nulla, se non anco ci perde: perchè le consorte-rie mercantili (quando non siano corrette e temperatedalla religione), invece di promuovere la civiltà dei pae-si da loro occupati, non di rado la spiantano, o alla mentrista non ne accrescono i semi e i proventi. E ragione-volmente; conciossiachè le une sono fondate sulla sem-plice filantropia, e le altre sull’egoismo, ch’è il capitalenemico della vera cultura. La filantropia è ottima in sèstessa, ma non può supplire alla carità, come moventeefficace di beneficenza. Imperocchè lo trovo che i filan-tropi discorrono a meraviglia di questa virtù, noverano eclassificano i dolori, contano quasi i sospiri e le lacrimedei poveri uomini con molta esattezza, e ne propongonoi rimedi; ma quando questi non siano di quelli che di-pendono da chi regge, non veggo che i filosofi filantro-pici abbiano sinora saputo applicarli. Il che non dee farmeraviglia; perchè la filantropia messa in pratica, nonessendo più una faccenda che si possa spedire coi di-scorsi e coi libri, ma un continuo e penoso olocaustodella propria persona ad altrui beneficio, è umanamenteimpossibile senza quegli stimoli efficacissimi, cui la re-ligione sola può dare. Se volete effettuare i vostri bene-voli concetti, scemando al possibile e alleviando le uma-

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ne miserie, valetevi dei frati. Commettete e partite aifrati quelle opere di beneficenza, che i Cristiani ch dimisericordia1, ed essi vi mostreranno qual divario corrafra il commendare la carità negli scritti e il metterla inpratica. Imperocchè niuno è più in grado di possederequesta virtù che gli uomini di chiostro e di chiesa; niunol’ha esercitata meglio per lo spazio di molti secoli. Per-suadetevi che i buoni frati sono più atti di voi a patire ea morire, più connaturati dallo stile della vita che mena-no all’eroismo e al martirio. Consultate anche qui la sto-ria; paragonate i giornali filantropici cogli annali frate-schi, e vedrete la differenza, Rassegnate dunque altruiun peso di virtù, che è soverchio per gli omeri vostri; ecosì facendo, seconderete le sante intenzioni di coloro,che fondarono i religiosi instituti, richiamerete questi ailoro principii, e avrete una pietra di paragone per cono-scere i buoni dai cattivi frati; poichè quelli che rifiutas-sero di rispondere al vostro appello e di accollarsi quelleopere di umanità cristiana a cui gl’ invitereste, ripudian-dole come un carico, invece di accettarle come un onoree un guadagno, si chiarirebbero indegni dell’abito cheportano, e meritevoli di essere cacciati dai loro santi re-cessi, come sacrileghi profanatori.

1 Opere di misericordia o della misericordia dicesi, conforme al catechismo,a ciascuno di quelli atti caritativi, il cui esercizio è raccomandato dallaChiesa per sollevare le miserie del prossimo e distinguonsi in corporali espirituali, secondochè rivolti a sollevare il corpo o lo spirito.

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ne miserie, valetevi dei frati. Commettete e partite aifrati quelle opere di beneficenza, che i Cristiani ch dimisericordia1, ed essi vi mostreranno qual divario corrafra il commendare la carità negli scritti e il metterla inpratica. Imperocchè niuno è più in grado di possederequesta virtù che gli uomini di chiostro e di chiesa; niunol’ha esercitata meglio per lo spazio di molti secoli. Per-suadetevi che i buoni frati sono più atti di voi a patire ea morire, più connaturati dallo stile della vita che mena-no all’eroismo e al martirio. Consultate anche qui la sto-ria; paragonate i giornali filantropici cogli annali frate-schi, e vedrete la differenza, Rassegnate dunque altruiun peso di virtù, che è soverchio per gli omeri vostri; ecosì facendo, seconderete le sante intenzioni di coloro,che fondarono i religiosi instituti, richiamerete questi ailoro principii, e avrete una pietra di paragone per cono-scere i buoni dai cattivi frati; poichè quelli che rifiutas-sero di rispondere al vostro appello e di accollarsi quelleopere di umanità cristiana a cui gl’ invitereste, ripudian-dole come un carico, invece di accettarle come un onoree un guadagno, si chiarirebbero indegni dell’abito cheportano, e meritevoli di essere cacciati dai loro santi re-cessi, come sacrileghi profanatori.

1 Opere di misericordia o della misericordia dicesi, conforme al catechismo,a ciascuno di quelli atti caritativi, il cui esercizio è raccomandato dallaChiesa per sollevare le miserie del prossimo e distinguonsi in corporali espirituali, secondochè rivolti a sollevare il corpo o lo spirito.

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Maschera di VINCENZO GIOBERTI(Museo del Risorgimento di Torino).

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Maschera di VINCENZO GIOBERTI(Museo del Risorgimento di Torino).

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Danni che nascono dai chiostri degeneri.

Quanto è opera pietosa e civile il commendare i sacriordini, quando sono fedeli allo spirito de’ loro autori,tanto sarebbe dannoso e colpevole l’approvarne e difen-derne i traviamenti e gli abusi. Non vi ha cosa o institu-zione tanto infesta alla pietà, alla virtù, al buon costume,alla prosperità degli stati e al credito della religione,quanto i claustrali degeneri. E chiamo degeneri non soloi cattivi, ma anco gli oziosi ed inutili; perchè se i primicorrompono lo stato coi mali esempi e cogli scandali, isecondi lo spolpano, mangiandosi a ufo le entrate pub-bliche, e pascendo coi sudori della plebe la loro sciope-ratezza. Laonde gli uni sono un verme che infetta e di-vora la società, e gli altri un peso che l’opprime; duemali non tollerabili. Egli accade universalmente chequanto più un uomo e un instituto debbono per l’ufficioloro esser buoni e giovare, tanto più, tralignando, diven-gano esiziali. Per questa ragione un cattivo prete, rag-guagliata ogni cosa, è mille volte più pernicioso di uncattivo laico; e come la perfezione monastica, che èl’eroismo della virtù cristiana, sovrasta ad ogni altra ec-cellenza, così il cattivo monaco è pessimo fra tutti gliuomini. Perciò non dee far meraviglia, se i chiostri, don-de uscirono spesso quelle virtù sublimi, che abbellisco-no e consolano l’umana vita, siano stati talvolta nido distrumento di eresie, di fraudi, di scelleratezze e di ognisorta brutture. Donde è nato lo scisma protestante? da

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Danni che nascono dai chiostri degeneri.

Quanto è opera pietosa e civile il commendare i sacriordini, quando sono fedeli allo spirito de’ loro autori,tanto sarebbe dannoso e colpevole l’approvarne e difen-derne i traviamenti e gli abusi. Non vi ha cosa o institu-zione tanto infesta alla pietà, alla virtù, al buon costume,alla prosperità degli stati e al credito della religione,quanto i claustrali degeneri. E chiamo degeneri non soloi cattivi, ma anco gli oziosi ed inutili; perchè se i primicorrompono lo stato coi mali esempi e cogli scandali, isecondi lo spolpano, mangiandosi a ufo le entrate pub-bliche, e pascendo coi sudori della plebe la loro sciope-ratezza. Laonde gli uni sono un verme che infetta e di-vora la società, e gli altri un peso che l’opprime; duemali non tollerabili. Egli accade universalmente chequanto più un uomo e un instituto debbono per l’ufficioloro esser buoni e giovare, tanto più, tralignando, diven-gano esiziali. Per questa ragione un cattivo prete, rag-guagliata ogni cosa, è mille volte più pernicioso di uncattivo laico; e come la perfezione monastica, che èl’eroismo della virtù cristiana, sovrasta ad ogni altra ec-cellenza, così il cattivo monaco è pessimo fra tutti gliuomini. Perciò non dee far meraviglia, se i chiostri, don-de uscirono spesso quelle virtù sublimi, che abbellisco-no e consolano l’umana vita, siano stati talvolta nido distrumento di eresie, di fraudi, di scelleratezze e di ognisorta brutture. Donde è nato lo scisma protestante? da

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un cattivo frate1. Donde provenne la declinazione dellamonarchia spagnuola, e quella prostrazione di spiriti na-zionali per cui la penisola iberica è al dì d’oggi caduta inpreda a una fazione ignobile, empia, crudele, che diso-nora il vivere libero coll’irreligione e col sangue? Certo,molte furono le cagioni di ciò; ma non ultima la corru-zione e la soverchia abbondanza dei frati. Tutte le insti-tuzioni tendono a corrompersi, atteso l’innata fragilitàdella nostra natura; onde vogliono essere di tempo intempo ritirate saviamente verso i loro principii. Ma niu-na di esse ha tanto bisogno di questo ritiramento, quantoil monachismo; il quale, obbligando chi lo professa aduna virtù difficile e straordinaria, a una continua abne-gazione dei propri desidèri, a una rinuncia assoluta diquegli agi e diletti che son conceduti agli altri uomini, sitrova più in sullo sdrucciolo degli abusi e del rilassa-mento, e richiede un occhio vigilante e una mano ga-gliarda che lo impediscano di scostarsi dalla severitàprimitiva, o, dilungato, ve lo richiamino. Oltre che, va-riando i luoghi ed i tempi, e mutandosi col cresceredell’incivilimento le condizioni della società umana,gl’instituti monastici hanno talvolta d’uopo, non menoche gli altri, di essere modificati nelle loro accidentaliappartenenze; il che è tanto più necessario, quanto l’ori-gine loro è più antica, e si riferisce a uno stato di cosedal presente differentissimo. La ripugnanza a queste sa-vie mutazioni, che suol trovarsi ne’ corpi numerosi e te-

1 Lutero, monaco agostiniano.

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un cattivo frate1. Donde provenne la declinazione dellamonarchia spagnuola, e quella prostrazione di spiriti na-zionali per cui la penisola iberica è al dì d’oggi caduta inpreda a una fazione ignobile, empia, crudele, che diso-nora il vivere libero coll’irreligione e col sangue? Certo,molte furono le cagioni di ciò; ma non ultima la corru-zione e la soverchia abbondanza dei frati. Tutte le insti-tuzioni tendono a corrompersi, atteso l’innata fragilitàdella nostra natura; onde vogliono essere di tempo intempo ritirate saviamente verso i loro principii. Ma niu-na di esse ha tanto bisogno di questo ritiramento, quantoil monachismo; il quale, obbligando chi lo professa aduna virtù difficile e straordinaria, a una continua abne-gazione dei propri desidèri, a una rinuncia assoluta diquegli agi e diletti che son conceduti agli altri uomini, sitrova più in sullo sdrucciolo degli abusi e del rilassa-mento, e richiede un occhio vigilante e una mano ga-gliarda che lo impediscano di scostarsi dalla severitàprimitiva, o, dilungato, ve lo richiamino. Oltre che, va-riando i luoghi ed i tempi, e mutandosi col cresceredell’incivilimento le condizioni della società umana,gl’instituti monastici hanno talvolta d’uopo, non menoche gli altri, di essere modificati nelle loro accidentaliappartenenze; il che è tanto più necessario, quanto l’ori-gine loro è più antica, e si riferisce a uno stato di cosedal presente differentissimo. La ripugnanza a queste sa-vie mutazioni, che suol trovarsi ne’ corpi numerosi e te-

1 Lutero, monaco agostiniano.

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naci della consuetudine, è causa della loro ruina; perchèegli è impossibile che un’instituzione duri, quando nonsa attemperarsi opportunamente alle varie esigenze deipaesi e delle età. La qual durezza è tanto più da biasima-re, che quando gli ordini di cui si tratta, sono buoni, levariazioni acconce a introdursi non ne toccano l’essen-za, e sono consentanee alla mente dei fondatori, benchèin sembiante se ne disformino. Per qual cagione l’autoredell’universo, che diede alla società spirituale una costi-tuzione immutabile, volle pure permettere al suo arbitriotutto ciò che concerne la disciplina, se non perchè que-sta dee variare sapientemente, secondo le occorrenze?La pieghevolezza disciplinare è tanto necessaria, quantol’immutabilità del dogma e della tela gerarchica, perfare della Chiesa una comunità perpetua ed universale,che si assesta mirabilmente ad ogni condizione di luoghie di tempi. Non abbiano dunque i frati alcun ribrezzo diseguire, anche per tal rispetto, l’autorevole esempio del-la gran repubblica a cui appartengono, facendo, in ordi-ne ai loro statuti particolari, ciò che i Concili e la SantaSede spesso operarono verso la disciplina ecclesiastica;imperocchè, se vogliono partecipare alla perpetua giovi-nezza del consorzio cattolico, debbono anche imitarne laprudenza. L’autorità suprema, onde procede ogni partedell’ecclesiastico reggimento, non si opporrà mai alleconvenevoli riforme del chiostro, sia che mirino a riti-rarlo verso l’essenza de’ suoi principii, o a contemperar-lo in modo conforme ai bisogni del secolo. E i savi go-verni, che sono i migliori interpreti di questi bisogni,

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naci della consuetudine, è causa della loro ruina; perchèegli è impossibile che un’instituzione duri, quando nonsa attemperarsi opportunamente alle varie esigenze deipaesi e delle età. La qual durezza è tanto più da biasima-re, che quando gli ordini di cui si tratta, sono buoni, levariazioni acconce a introdursi non ne toccano l’essen-za, e sono consentanee alla mente dei fondatori, benchèin sembiante se ne disformino. Per qual cagione l’autoredell’universo, che diede alla società spirituale una costi-tuzione immutabile, volle pure permettere al suo arbitriotutto ciò che concerne la disciplina, se non perchè que-sta dee variare sapientemente, secondo le occorrenze?La pieghevolezza disciplinare è tanto necessaria, quantol’immutabilità del dogma e della tela gerarchica, perfare della Chiesa una comunità perpetua ed universale,che si assesta mirabilmente ad ogni condizione di luoghie di tempi. Non abbiano dunque i frati alcun ribrezzo diseguire, anche per tal rispetto, l’autorevole esempio del-la gran repubblica a cui appartengono, facendo, in ordi-ne ai loro statuti particolari, ciò che i Concili e la SantaSede spesso operarono verso la disciplina ecclesiastica;imperocchè, se vogliono partecipare alla perpetua giovi-nezza del consorzio cattolico, debbono anche imitarne laprudenza. L’autorità suprema, onde procede ogni partedell’ecclesiastico reggimento, non si opporrà mai alleconvenevoli riforme del chiostro, sia che mirino a riti-rarlo verso l’essenza de’ suoi principii, o a contemperar-lo in modo conforme ai bisogni del secolo. E i savi go-verni, che sono i migliori interpreti di questi bisogni,

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debbono, d’accordo col magisterio ecclesiastico, atten-dere a quest’opera, e possono farlo, senza uscire dellapropria giurisdizione e impacciarsi delle altrui apparte-nenze. Imperocchè, se importa che essi non s’intromet-tano nelle faccende spirituali, rileva pure assai che ab-biano un’ingerenza convenevole in quelle cose che, es-sendo di natura mista, toccano il bene dello Stato e aisuoi diritti si attengono; qual si è il monachismo, che,quando è traligno, ammorba e smugne lo stato, come,bene ordinato, alla sua felicità conferisce. Tal è la via le-gittima per cui i principi e le repubbliche possono libe-rarsi dal tarlo della fratería corrotta, e vantaggiarsi diquella che esprime la vera forma della perfezione evan-gelica. Al che si ricerca non solo il buon assetto di taliinstituzioni, ma anche il numero discreto di coloro chele abbracciano; perchè i frati, come pure i preti, non rie-scono mai buoni quando son troppi. Se si allarga lamano da questo canto, ogni altro rimedio torna vanissi-mo; giacchè una virtù straordinaria ed eroica, qual si ri-chiede nell’uomo di chiostro, non può mai essere privi-legio di molti. Perciò i governi mal provvederebbono albene dello stato e della religione, se attendessero piutto-sto a moltiplicare i conventi, che a migliorarli, compar-tendo a una turba di frati oziosi o godenti il modo di vi-vere senza far nulla, e di nutrir lautamente i vizi e lascioperatezza loro, mentre si veggono le lettere e le buo-ne arti scadere, le utili industrie languire, la povera e af-famata plebe invano chieder del pane.

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debbono, d’accordo col magisterio ecclesiastico, atten-dere a quest’opera, e possono farlo, senza uscire dellapropria giurisdizione e impacciarsi delle altrui apparte-nenze. Imperocchè, se importa che essi non s’intromet-tano nelle faccende spirituali, rileva pure assai che ab-biano un’ingerenza convenevole in quelle cose che, es-sendo di natura mista, toccano il bene dello Stato e aisuoi diritti si attengono; qual si è il monachismo, che,quando è traligno, ammorba e smugne lo stato, come,bene ordinato, alla sua felicità conferisce. Tal è la via le-gittima per cui i principi e le repubbliche possono libe-rarsi dal tarlo della fratería corrotta, e vantaggiarsi diquella che esprime la vera forma della perfezione evan-gelica. Al che si ricerca non solo il buon assetto di taliinstituzioni, ma anche il numero discreto di coloro chele abbracciano; perchè i frati, come pure i preti, non rie-scono mai buoni quando son troppi. Se si allarga lamano da questo canto, ogni altro rimedio torna vanissi-mo; giacchè una virtù straordinaria ed eroica, qual si ri-chiede nell’uomo di chiostro, non può mai essere privi-legio di molti. Perciò i governi mal provvederebbono albene dello stato e della religione, se attendessero piutto-sto a moltiplicare i conventi, che a migliorarli, compar-tendo a una turba di frati oziosi o godenti il modo di vi-vere senza far nulla, e di nutrir lautamente i vizi e lascioperatezza loro, mentre si veggono le lettere e le buo-ne arti scadere, le utili industrie languire, la povera e af-famata plebe invano chieder del pane.

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In che modo i frati possano influire salutarmente nella politicae cooperare al progressi civili.

L’azione civile dei chierici regolari non si dee sempreristringere alle opere di beneficenza, giacchè la profes-sione religiosa, congiunta al sacerdozio, trae seco il de-bito dell’insegnamento cristiano e del governo spiritualedelle coscienze. Perciò, come nei tempi addietro essavalse a conglutinare insieme gl’individui e le nazioni, efu quasi il cemento che dai rottami dispersi della feuda-lità e della barbarie fece sorgere, come per incanto,l’edifizio massiccio e stupendo della modera Europa,così oggi ella può iterare lo stesso servigio, e spegnerequel doloroso scisma che di nuovo travaglia civilmentee religiosamente la Cristianità tutta quanta. Al qual ef-fetto si vuol rinnovare quella forma di monarchia idealeche l’Evangelio cattolico avea foggiata nel medio evo,attuando la sublime utopia italica dei Pitagorici, e rial-zando l’edifizio distrutto, parte dall’ambizione e aviditàde’ principi, parte dalle esorbitanze e rivoluzioni del po-poli. Or, qual opera più condegna della milizia ecclesia-stica, che richiamare la civiltà odierna a’ suoi primordii,e cristianeggiarne i trovati, infetti e guasti dagl’influssidel risorto paganesimo? Coloro che vorrebbono obbliga-re i religiosi a non uscir mai del sacrario, non se ne in-tendono. Anche quanto all’azione, è lecito talvolta e de-bito ai frati l’entrar nel foro, e il salire sui rostri a prodella patria; e senza parlar del Bussolari1, del Savonaro-1 Frate Iacopo de’ Bussolari, agostiniano, predicando nella quaresima del

1356 in Pavia, sua patria, eccitò il popolo a riacquistare la libertà toltagli

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In che modo i frati possano influire salutarmente nella politicae cooperare al progressi civili.

L’azione civile dei chierici regolari non si dee sempreristringere alle opere di beneficenza, giacchè la profes-sione religiosa, congiunta al sacerdozio, trae seco il de-bito dell’insegnamento cristiano e del governo spiritualedelle coscienze. Perciò, come nei tempi addietro essavalse a conglutinare insieme gl’individui e le nazioni, efu quasi il cemento che dai rottami dispersi della feuda-lità e della barbarie fece sorgere, come per incanto,l’edifizio massiccio e stupendo della modera Europa,così oggi ella può iterare lo stesso servigio, e spegnerequel doloroso scisma che di nuovo travaglia civilmentee religiosamente la Cristianità tutta quanta. Al qual ef-fetto si vuol rinnovare quella forma di monarchia idealeche l’Evangelio cattolico avea foggiata nel medio evo,attuando la sublime utopia italica dei Pitagorici, e rial-zando l’edifizio distrutto, parte dall’ambizione e aviditàde’ principi, parte dalle esorbitanze e rivoluzioni del po-poli. Or, qual opera più condegna della milizia ecclesia-stica, che richiamare la civiltà odierna a’ suoi primordii,e cristianeggiarne i trovati, infetti e guasti dagl’influssidel risorto paganesimo? Coloro che vorrebbono obbliga-re i religiosi a non uscir mai del sacrario, non se ne in-tendono. Anche quanto all’azione, è lecito talvolta e de-bito ai frati l’entrar nel foro, e il salire sui rostri a prodella patria; e senza parlar del Bussolari1, del Savonaro-1 Frate Iacopo de’ Bussolari, agostiniano, predicando nella quaresima del

1356 in Pavia, sua patria, eccitò il popolo a riacquistare la libertà toltagli

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la1 e del Colloredo2, esempi illustri e italianissimi, netoccammo già un altro ancora più insigne, benchè stra-niero, in quel monaco di Chiaravalle, che fu ad un tem-po sovrano specchio di perfezione claustrale e modera-tore civile della Cristianità europea. Ma benchè questeprofane ingerenze possono solo convenire ai chierici incerte occorrenze straordinarie, essi possono timoneggia-re gli eventi colle dottrine ideali, senza uscire dal lor mi-nisterio; perchè le idee girano il mondo. La vita umana èuna simultaneità e una successione di fatti, come la mu-sica una simultaneità e una successione di suoni; manella stessa guisa che i suoni non sono musicali nel loroaccompagnarsi o succedersi, se non vengono accordatidalle idee armoniose e melodiche, così i fatti sociali vo-gliono essere consertati insieme dalle idee religiose emorali, che sono le vere, anzi uniche, dominatrici dellavita umana. Non si trova nella storia un solo fatto lode-vole ed illustre, un’impresa generosa e magnanima, au-

dai Beccaria e la indipendenza insidiatagli dai Visconti di Milano.1 Fra Girolamo Savonarola, n. a Ferrara nel 1452, m. a Firenze nel 1498;

dell’ordine dei domenicani. Cfr. P. VILLARI, La storia di G. S., nuova edi-zione, Firenze, 1887, 2 vol., e G. GALLETTI, G. S., Genova, 1912

2 Leandro Colloredo, n. nel 1639, a Castel Colloredo di Gorizia, m. a Romanel 1709. Fu Cardinal prete di S. Pietro in Montorio, membro della Con-gregazione di propaganda. Con intrepido zelo parlò ad Alessandro VIIIquando propose pel cardinalato Tussano di Fourbin, che aveva sottoscrittoalle proposizioni del clero Gallicano. Cfr. la sua vita scritta dal p. PIER

MARIA PUCCETTI (Roma, 1738). Potrebbe darsi tuttavia che il G. accennassequi anzichè a Leandro, al cardinale Antonio Teodoro Colloredo, nato aVienna nel 1729 e m. in Olmütz, di cui fu arcivescovo nel 1811. Cfr.GAETANO BERSELLI, Memorie della vita di Carlo Ottavo di Colloredo (fratel-lo di Ant. Teodoro), Venezia, 1797.

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la1 e del Colloredo2, esempi illustri e italianissimi, netoccammo già un altro ancora più insigne, benchè stra-niero, in quel monaco di Chiaravalle, che fu ad un tem-po sovrano specchio di perfezione claustrale e modera-tore civile della Cristianità europea. Ma benchè questeprofane ingerenze possono solo convenire ai chierici incerte occorrenze straordinarie, essi possono timoneggia-re gli eventi colle dottrine ideali, senza uscire dal lor mi-nisterio; perchè le idee girano il mondo. La vita umana èuna simultaneità e una successione di fatti, come la mu-sica una simultaneità e una successione di suoni; manella stessa guisa che i suoni non sono musicali nel loroaccompagnarsi o succedersi, se non vengono accordatidalle idee armoniose e melodiche, così i fatti sociali vo-gliono essere consertati insieme dalle idee religiose emorali, che sono le vere, anzi uniche, dominatrici dellavita umana. Non si trova nella storia un solo fatto lode-vole ed illustre, un’impresa generosa e magnanima, au-

dai Beccaria e la indipendenza insidiatagli dai Visconti di Milano.1 Fra Girolamo Savonarola, n. a Ferrara nel 1452, m. a Firenze nel 1498;

dell’ordine dei domenicani. Cfr. P. VILLARI, La storia di G. S., nuova edi-zione, Firenze, 1887, 2 vol., e G. GALLETTI, G. S., Genova, 1912

2 Leandro Colloredo, n. nel 1639, a Castel Colloredo di Gorizia, m. a Romanel 1709. Fu Cardinal prete di S. Pietro in Montorio, membro della Con-gregazione di propaganda. Con intrepido zelo parlò ad Alessandro VIIIquando propose pel cardinalato Tussano di Fourbin, che aveva sottoscrittoalle proposizioni del clero Gallicano. Cfr. la sua vita scritta dal p. PIER

MARIA PUCCETTI (Roma, 1738). Potrebbe darsi tuttavia che il G. accennassequi anzichè a Leandro, al cardinale Antonio Teodoro Colloredo, nato aVienna nel 1729 e m. in Olmütz, di cui fu arcivescovo nel 1811. Cfr.GAETANO BERSELLI, Memorie della vita di Carlo Ottavo di Colloredo (fratel-lo di Ant. Teodoro), Venezia, 1797.

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trice di utili e durevoli effetti, che non sia stata mossa,avvalorata e condotta a compimento da qualche ideagrandiosa e signoreggiante. I fatti, non che essere il tut-to, come pare al volgo letterato, non son pure la parteprincipale degli eventi, ma una cosa debole per sè mede-sima, meschina, passeggera, capace di volgersi al benecome al male, non avendo in sè la propria legge che de-riva dalle idee sole, in cui consiste l’importanza loro.Anche nelle scienze sperimentali ed osservative che ver-sano intorno ai fenomeni, la cognizione di questi non èapprezzata dai dotti, se non in quanto s’intreccia conun’idea, cioè con una legge già nota, o possono guidareal suo discoprimento. Nel giro delle azioni umane i fattisequestrati dalle idee sono opera dell’arte o della forza,strumenti volgari ed ignobili; dei quali il primo partori-sce solo piccoli effetti, e il secondo non ne produce chedurino, perchè l’uno vien facilmente eluso, l’altro è vin-to dal tempo e dall’industria, o da maggiore violenzache gli contrasti. Alle idee, per contro, non si possonoopporre altre idee contrarie, ma solo certi simulacri ne-gativi e vanissimi, che al tocco delle verità ideali si dile-guano come sogni ed ombre. Onde a vincere l’errore èbastevole ch’esse discendano dai penetrali delle mentiprivilegiate, e si mostrino in pubblico coll’aiuto della fa-vella; a cui un nitido decoro e la schietta autorità delvero valgono per eloquenza. Ora, a chi meglio si addiceil predicare le idee, che a quegli uomini pacifici, austeri,illibati, dediti agli studi, avvezzi alle meditazioni, doma-ti dalle austerità e dalle astinenze, e tali per instituto che

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trice di utili e durevoli effetti, che non sia stata mossa,avvalorata e condotta a compimento da qualche ideagrandiosa e signoreggiante. I fatti, non che essere il tut-to, come pare al volgo letterato, non son pure la parteprincipale degli eventi, ma una cosa debole per sè mede-sima, meschina, passeggera, capace di volgersi al benecome al male, non avendo in sè la propria legge che de-riva dalle idee sole, in cui consiste l’importanza loro.Anche nelle scienze sperimentali ed osservative che ver-sano intorno ai fenomeni, la cognizione di questi non èapprezzata dai dotti, se non in quanto s’intreccia conun’idea, cioè con una legge già nota, o possono guidareal suo discoprimento. Nel giro delle azioni umane i fattisequestrati dalle idee sono opera dell’arte o della forza,strumenti volgari ed ignobili; dei quali il primo partori-sce solo piccoli effetti, e il secondo non ne produce chedurino, perchè l’uno vien facilmente eluso, l’altro è vin-to dal tempo e dall’industria, o da maggiore violenzache gli contrasti. Alle idee, per contro, non si possonoopporre altre idee contrarie, ma solo certi simulacri ne-gativi e vanissimi, che al tocco delle verità ideali si dile-guano come sogni ed ombre. Onde a vincere l’errore èbastevole ch’esse discendano dai penetrali delle mentiprivilegiate, e si mostrino in pubblico coll’aiuto della fa-vella; a cui un nitido decoro e la schietta autorità delvero valgono per eloquenza. Ora, a chi meglio si addiceil predicare le idee, che a quegli uomini pacifici, austeri,illibati, dediti agli studi, avvezzi alle meditazioni, doma-ti dalle austerità e dalle astinenze, e tali per instituto che

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non possono frammescolarsi al figli del secolo se nonper instruirli, correggerli, beneficarli? Gli ordini religio-si furono quasi tutti indirizzati dai loro autori a propaga-re o rinfrescare le verità ideali; onde, allorchè non trali-gnano, sono quasi altrettante scuole e accademie d’idea-lità e di sapienza fra i popoli cristiani. Dalle idee mosseil disegno dei loro fondatori, e la forza vitale per cui essiordini gittarono radice, crebbero, fiorirono, fruttarono, elargamente si propagginarono, conquistando gli animi,vincendo gli ostacoli, ammutendo i nemici, operandocose belle, utili e grandi, ed empiendo il mondo del loronome. E, per citare un solo esempio, che cos’è, se non ildogma cristiano dell’unità, della fratellanza, della reden-zione che spirò ai missionari moderni il magnanimoconcetto di conquistare spiritualmente il mondo orienta-le? Vero è che le idee, benchè ottengano sempre l’effettoloro, non possono operare che col benefizio del tempo, emediante quel lento travaglio dinamico da cui erumponogli eventi e germogliano tutte le cose. Laonde chi semi-na le idee non vuol essere impaziente di coglierne i frut-ti, ne perdersi d’animo, se questi indugiano a spuntare oa maturarsi; ma con longanime sapienza dee aspettarel’ora propizia della vendemmia e del ricolto, e darsipace della dimora, pensando che, se egli non potrà fruir-ne presenzialmente, ne verran consolate le prossime ge-nerazioni. Anzi accade alle idee quel medesimo che alleopere naturali ed artificiali, la cui durata e stabilità corri-spondono alla lentezza dei principii e dell’apparecchio;onde si vede che gli alberi annosi penano a crescere; e le

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non possono frammescolarsi al figli del secolo se nonper instruirli, correggerli, beneficarli? Gli ordini religio-si furono quasi tutti indirizzati dai loro autori a propaga-re o rinfrescare le verità ideali; onde, allorchè non trali-gnano, sono quasi altrettante scuole e accademie d’idea-lità e di sapienza fra i popoli cristiani. Dalle idee mosseil disegno dei loro fondatori, e la forza vitale per cui essiordini gittarono radice, crebbero, fiorirono, fruttarono, elargamente si propagginarono, conquistando gli animi,vincendo gli ostacoli, ammutendo i nemici, operandocose belle, utili e grandi, ed empiendo il mondo del loronome. E, per citare un solo esempio, che cos’è, se non ildogma cristiano dell’unità, della fratellanza, della reden-zione che spirò ai missionari moderni il magnanimoconcetto di conquistare spiritualmente il mondo orienta-le? Vero è che le idee, benchè ottengano sempre l’effettoloro, non possono operare che col benefizio del tempo, emediante quel lento travaglio dinamico da cui erumponogli eventi e germogliano tutte le cose. Laonde chi semi-na le idee non vuol essere impaziente di coglierne i frut-ti, ne perdersi d’animo, se questi indugiano a spuntare oa maturarsi; ma con longanime sapienza dee aspettarel’ora propizia della vendemmia e del ricolto, e darsipace della dimora, pensando che, se egli non potrà fruir-ne presenzialmente, ne verran consolate le prossime ge-nerazioni. Anzi accade alle idee quel medesimo che alleopere naturali ed artificiali, la cui durata e stabilità corri-spondono alla lentezza dei principii e dell’apparecchio;onde si vede che gli alberi annosi penano a crescere; e le

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frutta primaticce sono men gustose e nutritive delle se-rotine. E quelle stupende moli ciclopiche, faraoniche,peruviane, messicane, iraniche, samanee, che di ampiez-za, di longevità e di saldezza gareggiano cogli scavi ecoi massi naturali dei monti, e paiono eterne, quanto vo-gliam credere che costassero di fatica e di tempo agliedificatori? Chi vuol fare cose grandi in questo mondodee imitare l’agricoltore e l’architetto, che non miranoalla prestezza del lavoro, ma alla solidità, alla perfezio-ne e alla vita delle loro opere. Se il creatore, che pur po-teva ordinare l’universo in un punto con quel cennoistantaneo che ne creò la materia informe, e fece dalletenebre immense sprizzare la luce, volle consumare mi-gliaia di anni e forse di secoli nel preparare e quasi ad-domesticare le forze telluriche e cosmiche, e spese quin-di sei giorni a dar loro l’ultima mano e a farne emergerele meraviglie che veggiamo, l’uomo crederà egli di po-ter improvvisare i lavori dell’arte? Un sommo ingegnodei nostri tempi il credette, e volle rifare in un attimo ilmondo politico; ma il suo edifizio scrosciò e svanì inistanti, come una meteora1. Ora nel mondo morale nonlavora sul sodo chi non fonda sulle idee; le quali, essen-do immortali di lor natura, eternano i monumenti a cuiservono di base e di puntello. Laddove chi si appoggiasolo agli eventi, e affida le cose sue ai capricci e ai favo-ri degli uomini, dà loro per fondamento la mobile arena.

1 Allude a Napoleone Bonaparte.

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frutta primaticce sono men gustose e nutritive delle se-rotine. E quelle stupende moli ciclopiche, faraoniche,peruviane, messicane, iraniche, samanee, che di ampiez-za, di longevità e di saldezza gareggiano cogli scavi ecoi massi naturali dei monti, e paiono eterne, quanto vo-gliam credere che costassero di fatica e di tempo agliedificatori? Chi vuol fare cose grandi in questo mondodee imitare l’agricoltore e l’architetto, che non miranoalla prestezza del lavoro, ma alla solidità, alla perfezio-ne e alla vita delle loro opere. Se il creatore, che pur po-teva ordinare l’universo in un punto con quel cennoistantaneo che ne creò la materia informe, e fece dalletenebre immense sprizzare la luce, volle consumare mi-gliaia di anni e forse di secoli nel preparare e quasi ad-domesticare le forze telluriche e cosmiche, e spese quin-di sei giorni a dar loro l’ultima mano e a farne emergerele meraviglie che veggiamo, l’uomo crederà egli di po-ter improvvisare i lavori dell’arte? Un sommo ingegnodei nostri tempi il credette, e volle rifare in un attimo ilmondo politico; ma il suo edifizio scrosciò e svanì inistanti, come una meteora1. Ora nel mondo morale nonlavora sul sodo chi non fonda sulle idee; le quali, essen-do immortali di lor natura, eternano i monumenti a cuiservono di base e di puntello. Laddove chi si appoggiasolo agli eventi, e affida le cose sue ai capricci e ai favo-ri degli uomini, dà loro per fondamento la mobile arena.

1 Allude a Napoleone Bonaparte.

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I frati debbono mettere nell’opinione ilprecipuo fondamento della loro vita.

Coll’efficacia onnipotente delle idee gli ordini reli-giosi possono procacciarsi il favore della pubblica opi-nione, senza la quale gl’instituti umani di qualsivogliasorte non possono crescere, nè durare. Sarebbe un graveerrore il credere che la grazia dei potenti prevalga allaforza del sentimento universale, e possa sostenere a lun-go contro di essa coloro cui piglia a proteggere. Anzi laprima, quando contrasta alla seconda, diventa artefice dirovina a’ suoi clienti; laddove chi ha dal suo canto il pa-rere dei più è sicuro di vincere la prova, perchè tal pare-re si trae dietro il favore del piccol numero, e perchè ipochi, come i molti, all’opinione ubbidiscono. Spec-chinsi i claustrali nella Chiesa anche per questo lato; laquale nacque, crebbe e si dilatò per le persecuzioni, nonpel patrocinio e per la grazia degl’imperatori e degli altriprincipi. E se non vogliono andare tanto lontano, risal-gano soltanto alle origini dei loro ordini, e vedranno chegli autori di essi trassero quella virtù mirabile con cuiprocrearono e mutarono i loro parti, dall’opinione pub-blica; la quale è il mezzo ordinario onde si vale la Provi-denza per fecondare i concetti e incarnare i disegnich’ella inspira alle menti privilegiate. Imperocchè nonsolo nel corso consueto degli eventi, ma spesso ancoranelle opere straordinarie, ella volge e piega a’ suoi finile forze e molle di natura; fra le quali l’opinione è sovra-na e potentissima. Abbiano dunque cura i frati di pro-

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I frati debbono mettere nell’opinione ilprecipuo fondamento della loro vita.

Coll’efficacia onnipotente delle idee gli ordini reli-giosi possono procacciarsi il favore della pubblica opi-nione, senza la quale gl’instituti umani di qualsivogliasorte non possono crescere, nè durare. Sarebbe un graveerrore il credere che la grazia dei potenti prevalga allaforza del sentimento universale, e possa sostenere a lun-go contro di essa coloro cui piglia a proteggere. Anzi laprima, quando contrasta alla seconda, diventa artefice dirovina a’ suoi clienti; laddove chi ha dal suo canto il pa-rere dei più è sicuro di vincere la prova, perchè tal pare-re si trae dietro il favore del piccol numero, e perchè ipochi, come i molti, all’opinione ubbidiscono. Spec-chinsi i claustrali nella Chiesa anche per questo lato; laquale nacque, crebbe e si dilatò per le persecuzioni, nonpel patrocinio e per la grazia degl’imperatori e degli altriprincipi. E se non vogliono andare tanto lontano, risal-gano soltanto alle origini dei loro ordini, e vedranno chegli autori di essi trassero quella virtù mirabile con cuiprocrearono e mutarono i loro parti, dall’opinione pub-blica; la quale è il mezzo ordinario onde si vale la Provi-denza per fecondare i concetti e incarnare i disegnich’ella inspira alle menti privilegiate. Imperocchè nonsolo nel corso consueto degli eventi, ma spesso ancoranelle opere straordinarie, ella volge e piega a’ suoi finile forze e molle di natura; fra le quali l’opinione è sovra-na e potentissima. Abbiano dunque cura i frati di pro-

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cacciarsi il favore dei buoni principi, il quale è certa-mente prezioso; ma nol tengano per sufficiente; e pon-gano il fondamento della vita loro nella grazia dei popo-li, perchè chi vive in corte è sullo sdrucciolo, e sta percadere, ma chi è favorito dall’universale non può perire.E così dee essere ragionevolmente; poichè i principimuoiono, ma i popoli sono immortali. Ben s’intende chequando parlo dell’opinione universale, non discorro deicapricci del volgo, nè della connivenza delle fazioni, madell’assenso dei buoni e savi, il cui parere signoreggiapiù o meno eziandio coloro che per ignoranza o cupiditàvi ripugnano. Vero è che anche la persuasione dei buonipuò essere talvolta sviata e corrotta; ma in tal caso essanon può durare, e chi vuol vincerla dee studiarsi diemendarla, accelerandone la mutazione. Il che è tantopiù facile, che poca è la forza e fugace la voga dell’erro-re a fronte del vero, e sicuro il trionfo delle idee controle false preoccupazioni. Ma il voler vivere e far cosegrandi e durevoli, senz’avere per sè il patrociniodell’opinione, nè procacciare di conquistarlo, è impresafolle e chimerica. La storia insegna che la grazia el’appoggio de’ principi sono cose labili ed incerte; e chealcuni ordini religiosi perirono per aver posta in essi unasoverchia fiducia. Imperocchè mille cagioni possonomutare il parere di un uomo solo o di pochi, come quel-lo che spesso procede dal capriccio o dal caso; e quandodiventa avverso, manca ogni scampo e rimedio a coloroche non hanno altrove ricorso. Laddove il favore deimolti e dei migliori difficilmente si muta, e non dipende

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cacciarsi il favore dei buoni principi, il quale è certa-mente prezioso; ma nol tengano per sufficiente; e pon-gano il fondamento della vita loro nella grazia dei popo-li, perchè chi vive in corte è sullo sdrucciolo, e sta percadere, ma chi è favorito dall’universale non può perire.E così dee essere ragionevolmente; poichè i principimuoiono, ma i popoli sono immortali. Ben s’intende chequando parlo dell’opinione universale, non discorro deicapricci del volgo, nè della connivenza delle fazioni, madell’assenso dei buoni e savi, il cui parere signoreggiapiù o meno eziandio coloro che per ignoranza o cupiditàvi ripugnano. Vero è che anche la persuasione dei buonipuò essere talvolta sviata e corrotta; ma in tal caso essanon può durare, e chi vuol vincerla dee studiarsi diemendarla, accelerandone la mutazione. Il che è tantopiù facile, che poca è la forza e fugace la voga dell’erro-re a fronte del vero, e sicuro il trionfo delle idee controle false preoccupazioni. Ma il voler vivere e far cosegrandi e durevoli, senz’avere per sè il patrociniodell’opinione, nè procacciare di conquistarlo, è impresafolle e chimerica. La storia insegna che la grazia el’appoggio de’ principi sono cose labili ed incerte; e chealcuni ordini religiosi perirono per aver posta in essi unasoverchia fiducia. Imperocchè mille cagioni possonomutare il parere di un uomo solo o di pochi, come quel-lo che spesso procede dal capriccio o dal caso; e quandodiventa avverso, manca ogni scampo e rimedio a coloroche non hanno altrove ricorso. Laddove il favore deimolti e dei migliori difficilmente si muta, e non dipende

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dalla sorte, poichè la verità sola ha un imperio durevolesull’universale. Il Cristianesimo fu spiantato dal Giap-pone nel secolo decimosettimo1, e non ve ne rimase ilmenomo vestigio, come prima quell’infelice popolocadde in mano di un solo principe; tanto che l’odio di unuomo bastò a rendere infruttifero il sudore ed il sanguedi non pochi apostoli infaticabili, e di molte centinaia dimártiri, per grandezza e costanza d’animo meravigliosi.Il che avvenne, perchè nei paesi di Oriente non vi haquel freno morale del senno pubblico, che resiste e con-trasta all’arbitrio dei dominanti. Simile fino ad un certosegno è la Russia, ancor mezzo barbara; onde la guerramortale che il suo capo muove alla fede cattolica, nespegnerà ogni reliquia nelle contrade soggette al durogiogo dell’autocrate, se i cieli pietosi non vi riparano.Ma, certo, questo caso riuscirebbe impossibilenell’Europa culta; perchè ivi l’opinione è regina, e piùforte della tirannide. Nel secolo sestodecimo il cattolici-smo fu sbandito da molti luoghi in cui la corruzione delclero e il rilassamento della disciplina ecclesiasticaaveano alienati gli animi dalla fede ortodossa, rendendo-gli accessibili alle insidie e alle lusinghe dei novatori.Più tardi alcuni ordini illustri caddero col concorso deiprincipi e dei popoli per opera delle dottrine che allora

1 Il Cristianesimo importato per la prima volta in Giappone dal Saverio nel1519 e che dopo un centinaio d’anni contava più di un milione di aderentivi fu proibito nel 1638 dopo sanguinose persecuzioni. Per la diffusione delcattolicismo in quell’estremo lembo d’Oriente vedi i cinque libri Dellamissione de’ padri della compagnia di Giesù nelle provincie del Giapponedel p. GIO. FILIPPO DE MARINI. In Roma 1663.

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dalla sorte, poichè la verità sola ha un imperio durevolesull’universale. Il Cristianesimo fu spiantato dal Giap-pone nel secolo decimosettimo1, e non ve ne rimase ilmenomo vestigio, come prima quell’infelice popolocadde in mano di un solo principe; tanto che l’odio di unuomo bastò a rendere infruttifero il sudore ed il sanguedi non pochi apostoli infaticabili, e di molte centinaia dimártiri, per grandezza e costanza d’animo meravigliosi.Il che avvenne, perchè nei paesi di Oriente non vi haquel freno morale del senno pubblico, che resiste e con-trasta all’arbitrio dei dominanti. Simile fino ad un certosegno è la Russia, ancor mezzo barbara; onde la guerramortale che il suo capo muove alla fede cattolica, nespegnerà ogni reliquia nelle contrade soggette al durogiogo dell’autocrate, se i cieli pietosi non vi riparano.Ma, certo, questo caso riuscirebbe impossibilenell’Europa culta; perchè ivi l’opinione è regina, e piùforte della tirannide. Nel secolo sestodecimo il cattolici-smo fu sbandito da molti luoghi in cui la corruzione delclero e il rilassamento della disciplina ecclesiasticaaveano alienati gli animi dalla fede ortodossa, rendendo-gli accessibili alle insidie e alle lusinghe dei novatori.Più tardi alcuni ordini illustri caddero col concorso deiprincipi e dei popoli per opera delle dottrine che allora

1 Il Cristianesimo importato per la prima volta in Giappone dal Saverio nel1519 e che dopo un centinaio d’anni contava più di un milione di aderentivi fu proibito nel 1638 dopo sanguinose persecuzioni. Per la diffusione delcattolicismo in quell’estremo lembo d’Oriente vedi i cinque libri Dellamissione de’ padri della compagnia di Giesù nelle provincie del Giapponedel p. GIO. FILIPPO DE MARINI. In Roma 1663.

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correvano; il che non sarebbe accaduto, se la cattiva fi-losofia fosse stata combattuta dalla buona, e gli assalitiavessero usata contro gli assalitori la forza delle idee edell’eloquenza. Io insisto su questo punto, perchè ilmaggior pericolo in cui possano incorrere le instituzioni,si è il non fare abbastanza caso del favore universale,credendo di poter supplirvi coll’oro, coll’industria, collaforza, col patrocinio dei potenti, colla prescrizionedell’uso e con altri argomenti alieni dalla persuasione,che al solo imperio del vero ideale si arrende. Onde sivede che gl’instituti periscono, quando cadono in questograve errore, e che accorgendosene troppo tardi, non èpiù a tempo il rimedio; perchè le altre cose in cui spera-no, nonché salvarli, ne affrettano la ruina. Il che si avve-ra ai dì nostri ancor più che in antico, perchè i progressidella civiltà hanno dato all’opinione pubblica un poteremolto maggiore di quello che per l’addietro le compete-va. Tanto che si può tenere per fermo che, se il mondo èsempre stato di chi se lo piglia, il solo modo che orasoccorra per pigliarlo e assicurarsene il possesso, non èla moneta, nè il ferro, nè il credito cortigiano, ma quellamorale potenza, la quale oggimai è signora e moderatri-ce di tutte le cose umane. Il che si conforma al geniodella Providenza e al corso progressivo della vita cosmi-ca; perchè la maggioranza dell’opinione dei migliorisull’arbitrio dei pochi e sulla forza di tutti, importa ilpredominio dell’anima sul corpo, della ragione sul sen-so, delle idee sui fatti e sui fenomeni, della civiltà sullabarbarie, e del vero divino sull’universo.

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correvano; il che non sarebbe accaduto, se la cattiva fi-losofia fosse stata combattuta dalla buona, e gli assalitiavessero usata contro gli assalitori la forza delle idee edell’eloquenza. Io insisto su questo punto, perchè ilmaggior pericolo in cui possano incorrere le instituzioni,si è il non fare abbastanza caso del favore universale,credendo di poter supplirvi coll’oro, coll’industria, collaforza, col patrocinio dei potenti, colla prescrizionedell’uso e con altri argomenti alieni dalla persuasione,che al solo imperio del vero ideale si arrende. Onde sivede che gl’instituti periscono, quando cadono in questograve errore, e che accorgendosene troppo tardi, non èpiù a tempo il rimedio; perchè le altre cose in cui spera-no, nonché salvarli, ne affrettano la ruina. Il che si avve-ra ai dì nostri ancor più che in antico, perchè i progressidella civiltà hanno dato all’opinione pubblica un poteremolto maggiore di quello che per l’addietro le compete-va. Tanto che si può tenere per fermo che, se il mondo èsempre stato di chi se lo piglia, il solo modo che orasoccorra per pigliarlo e assicurarsene il possesso, non èla moneta, nè il ferro, nè il credito cortigiano, ma quellamorale potenza, la quale oggimai è signora e moderatri-ce di tutte le cose umane. Il che si conforma al geniodella Providenza e al corso progressivo della vita cosmi-ca; perchè la maggioranza dell’opinione dei migliorisull’arbitrio dei pochi e sulla forza di tutti, importa ilpredominio dell’anima sul corpo, della ragione sul sen-so, delle idee sui fatti e sui fenomeni, della civiltà sullabarbarie, e del vero divino sull’universo.

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Il culto delle scienze e delle lettere in generale, maspecialmente della filosofia, della politica e dell’istoria si

addice al loro ministerio.

Il mezzo più efficace al di d’oggi per acquistar creditonell’universale e mantenerselo, è il culto dclle lettere edelle dottrine, indirizzato al bene comune per mezzodella parola e della stampa. Imperocchè i grandi scrittorisono naturalmente i banditori delle idee, i dominatoridegl’intelletti e gli árbitri della pubblica opinione1. Equal è la specie di comunità a cui la gloria scientifica eletteraria sia più propria e quasi direi casalinga, che ilchiostro? I più illustri Padri della Chiesa non vissero neiloro vescovadi a regola monastica, instituita spesso daloro, e quindi non furono frati? I conservatori dei libriantichi e di ogni dottrina proficua ed elegante nell’etàbarbara, non furono frati? I primi autori di libri moderni,non furono frati? I più illustri speculatori, e i primi natu-ralisti e fisici del medio evo, non furono frati? I più vastie profondi eruditi francesi del secolo decimosettimo,non furono frati? I dotti che ruppero il suggello del mi-sterioso Oriente e ce ne rivelarono le lingue, le religioni,la filosofia e la storia, non furono frati? Chi fu, se nonun frate, che recò in Occidente la prima notizia del san-scrito?2 Chi fu, se non un frate, che colse le novellizie

1 Cfr. quanto scrive sullo «scrittore ideale», – il re degli intelletti, –nell’Avvertenza per la seconda edizione del Primato, Bruxelles 1845, apag. CCCVII e segg.

2 Il Sanscrito è un ramo della famiglia delle lingue indo-germaniche. Scor-gesi nella sua forma più antica nei Vedi, i libri sacri dell’India (XV sec. a.C.).

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Il culto delle scienze e delle lettere in generale, maspecialmente della filosofia, della politica e dell’istoria si

addice al loro ministerio.

Il mezzo più efficace al di d’oggi per acquistar creditonell’universale e mantenerselo, è il culto dclle lettere edelle dottrine, indirizzato al bene comune per mezzodella parola e della stampa. Imperocchè i grandi scrittorisono naturalmente i banditori delle idee, i dominatoridegl’intelletti e gli árbitri della pubblica opinione1. Equal è la specie di comunità a cui la gloria scientifica eletteraria sia più propria e quasi direi casalinga, che ilchiostro? I più illustri Padri della Chiesa non vissero neiloro vescovadi a regola monastica, instituita spesso daloro, e quindi non furono frati? I conservatori dei libriantichi e di ogni dottrina proficua ed elegante nell’etàbarbara, non furono frati? I primi autori di libri moderni,non furono frati? I più illustri speculatori, e i primi natu-ralisti e fisici del medio evo, non furono frati? I più vastie profondi eruditi francesi del secolo decimosettimo,non furono frati? I dotti che ruppero il suggello del mi-sterioso Oriente e ce ne rivelarono le lingue, le religioni,la filosofia e la storia, non furono frati? Chi fu, se nonun frate, che recò in Occidente la prima notizia del san-scrito?2 Chi fu, se non un frate, che colse le novellizie

1 Cfr. quanto scrive sullo «scrittore ideale», – il re degli intelletti, –nell’Avvertenza per la seconda edizione del Primato, Bruxelles 1845, apag. CCCVII e segg.

2 Il Sanscrito è un ramo della famiglia delle lingue indo-germaniche. Scor-gesi nella sua forma più antica nei Vedi, i libri sacri dell’India (XV sec. a.C.).

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dell’idioma, dei riti, dei filosofemi e dell’immensa lette-ratura del popoli buddisti? Chi fu, se non un frate, chefondò la sinologia1 europea? Chi fu, se non un frate, cheottenne il primo grado fra i cultori della medesima, e loconserva ancor oggi, non ostante i progressi dei tempiche seguirono? Non è al chiostro che la Francia dee ilprincipe de’ suoi filosofi? Non è al chiostro che la stessanazione è obbligata del suo primo oratore nel medioevo, e di quello che per la forza dialettica vola sugli altridell’età moderna? Non è al chiostro che l’Italia è altresìdebitrice del suo più inclito predicatore, e di quello sto-rico che a tutti sovrasta per la copia, l’eleganza e il vigo-re della facondia? Non è al chiostro, infine, che la Spa-gna dee il più perfetto de’ suoi poeti drammatici, benchèsì ricca ne sia la schiera, unica al mondo per la lautezzadelle opere e la copia degli autori? Perchè adunque ilmonachismo non potrà rinnovare nel secolo diciannove-simo i miracoli delle età precedute? Perchè non rinfre-scherà le antiche glorie, cumulando con nuovi allori ivecchi trionfi? Perchè trascurerà i copiosi sussidi che laquiete, il ritiro, la vita celibe e frugale, e il comune con-corso di molti porgono a chi studia? Ogni convento nonpotrebbe essere una scuola, un ateneo, un concilio di sa-pienti e di letterati? E ciò senza dilungarsi dallo scoposanto ed austero dei monastici instituti; poichè ogniramo di dottrina, eziandio profana, converge alla religio-ne, che da un canto è la scienza sovrana e si può dir uni-

1 Lo studio della lingua e della letteratura cinese.

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dell’idioma, dei riti, dei filosofemi e dell’immensa lette-ratura del popoli buddisti? Chi fu, se non un frate, chefondò la sinologia1 europea? Chi fu, se non un frate, cheottenne il primo grado fra i cultori della medesima, e loconserva ancor oggi, non ostante i progressi dei tempiche seguirono? Non è al chiostro che la Francia dee ilprincipe de’ suoi filosofi? Non è al chiostro che la stessanazione è obbligata del suo primo oratore nel medioevo, e di quello che per la forza dialettica vola sugli altridell’età moderna? Non è al chiostro che l’Italia è altresìdebitrice del suo più inclito predicatore, e di quello sto-rico che a tutti sovrasta per la copia, l’eleganza e il vigo-re della facondia? Non è al chiostro, infine, che la Spa-gna dee il più perfetto de’ suoi poeti drammatici, benchèsì ricca ne sia la schiera, unica al mondo per la lautezzadelle opere e la copia degli autori? Perchè adunque ilmonachismo non potrà rinnovare nel secolo diciannove-simo i miracoli delle età precedute? Perchè non rinfre-scherà le antiche glorie, cumulando con nuovi allori ivecchi trionfi? Perchè trascurerà i copiosi sussidi che laquiete, il ritiro, la vita celibe e frugale, e il comune con-corso di molti porgono a chi studia? Ogni convento nonpotrebbe essere una scuola, un ateneo, un concilio di sa-pienti e di letterati? E ciò senza dilungarsi dallo scoposanto ed austero dei monastici instituti; poichè ogniramo di dottrina, eziandio profana, converge alla religio-ne, che da un canto è la scienza sovrana e si può dir uni-

1 Lo studio della lingua e della letteratura cinese.

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ca, perchè abbraccia tutto lo scibile, e dall’altro è lascienza chiericale per eccellenza. Ma tra le varie facoltàscientifiche la filosofia vorrebbe esser culta con singola-re predilezione, come quella che più intimamente si at-tiene alle credenze; ond’è che nel medio evo, come neitempi antichissimi, fu quasi un privilegio ieratico. Epure, singolar cosa! quando cominciò nel secolo quarto-decimo a entrare con Dante nel ceto laicale, essa abban-donò i chiostri, o piuttosto ne fu scacciata da molti dicoloro che gli abitavano. E benchè quel tre lumi del Sar-pi, del Bruno e del Campanella facessero segno due se-coli appresso che la sacra fiamma non era spenta nel suonido, tuttavia i loro trascorsi e le lagrimevoli sventuredei due ultimi chiarirono che una dogliosa e inquietafebbre era succeduta all’antica vita. Il che nacque ingran parte dal tralignare della filosofia scolastica nellemani dei nominali e degli Scotisti1; i quali ridussero laspeculazione a un vuoto sensismo, o ad un tessuto disottigliumi verbali, senza tipore2 nè costrutto di sorta.Nè ai filosofi potean supplire di gran lunga i casisti3;perchè il casismo, anche buono e ragionevole, non di-lungandosi dalla pratica, ed essendo un’arte piuttosto

1 Così denominati da Giovanni Duns Scoto, detto il dottor Sottile (nato nel1275, m. nel 1308). Fu in teologia e in filosofia l’avversario di S. Tomma-so. La sua scuola peccò di troppa sottigliezza.

2 Tipore per vigore, efficacia nel dire. Cfr. TACITO, Perduta eloquenza, nellaversione del Davanzati: «Avete letto lettere di Calvo e di Bruto a Ciceroneal quale si vede che parve Calvo di poco sangue e tipore».

3 La casistica è lo studio del problemi etici speciali che risultano dall’appli-cazione delle regole morali a ogni circostanza della vita.

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ca, perchè abbraccia tutto lo scibile, e dall’altro è lascienza chiericale per eccellenza. Ma tra le varie facoltàscientifiche la filosofia vorrebbe esser culta con singola-re predilezione, come quella che più intimamente si at-tiene alle credenze; ond’è che nel medio evo, come neitempi antichissimi, fu quasi un privilegio ieratico. Epure, singolar cosa! quando cominciò nel secolo quarto-decimo a entrare con Dante nel ceto laicale, essa abban-donò i chiostri, o piuttosto ne fu scacciata da molti dicoloro che gli abitavano. E benchè quel tre lumi del Sar-pi, del Bruno e del Campanella facessero segno due se-coli appresso che la sacra fiamma non era spenta nel suonido, tuttavia i loro trascorsi e le lagrimevoli sventuredei due ultimi chiarirono che una dogliosa e inquietafebbre era succeduta all’antica vita. Il che nacque ingran parte dal tralignare della filosofia scolastica nellemani dei nominali e degli Scotisti1; i quali ridussero laspeculazione a un vuoto sensismo, o ad un tessuto disottigliumi verbali, senza tipore2 nè costrutto di sorta.Nè ai filosofi potean supplire di gran lunga i casisti3;perchè il casismo, anche buono e ragionevole, non di-lungandosi dalla pratica, ed essendo un’arte piuttosto

1 Così denominati da Giovanni Duns Scoto, detto il dottor Sottile (nato nel1275, m. nel 1308). Fu in teologia e in filosofia l’avversario di S. Tomma-so. La sua scuola peccò di troppa sottigliezza.

2 Tipore per vigore, efficacia nel dire. Cfr. TACITO, Perduta eloquenza, nellaversione del Davanzati: «Avete letto lettere di Calvo e di Bruto a Ciceroneal quale si vede che parve Calvo di poco sangue e tipore».

3 La casistica è lo studio del problemi etici speciali che risultano dall’appli-cazione delle regole morali a ogni circostanza della vita.

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che una scienza (nel senso rigoroso di questi vocaboli),non può innalzarsi nè supplire alle dottrine ideali. Ondepuò essere al più considerato come un accessorio scien-tifico, e occupar quel grado secondario ch’egli ebbe nelPortico greco, nella Sinagoga, fra i giuristi di Roma, erecentemente nella scuola critica di Germania. Al dìd’oggi non mancano nei monasteri uomini versatissimiin ogni genere di speculazione e di dottrina; e l’Italia,anche in questo privilegiata, ne ha non pochi: ma essiper ordinario non iscrivono, o solo di rado e scarsamen-te, e quindi non esercitano quel dominio che si vorrebbesul pensiero dell’universale. Mi perdonino le sante reli-gioni, se io esprimo francamente un desiderio che miviene inspirato dalla osservanza che loro porto; il qualesi è che i loro ingegni più eletti siano consacrati expro-fesso agli studi, ciascuno secondo il genio speciale cheha da natura ricevuto. Nè temano perciò di nuocere alfine principale del loro ministero; imperocchè il cultodelle lettere, che è naturalmente l’apparecchio e il corre-do ausiliare della religione, non fu mai così necessarioal bene di questa, come al dì d’oggi. Il sacerdozio, chein origine fu depositario e dispensiere universale di sa-pienza, dee ora rinvertire verso la sua condizion primiti-va, secondo quella legge cosmica per cui il fine di ognisecondo ciclo consiste nel regresso al principio del pri-mo, vantaggiato e perfezionato. La fede cattolica nonpotrà mai vincere appieno i suoi formidabili nemici,cioè il razionalismo, l’eresia, lo scisma e l’indifferenza,nè ricuperare l’antico regno e ricomporre l’Europa, fin-

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che una scienza (nel senso rigoroso di questi vocaboli),non può innalzarsi nè supplire alle dottrine ideali. Ondepuò essere al più considerato come un accessorio scien-tifico, e occupar quel grado secondario ch’egli ebbe nelPortico greco, nella Sinagoga, fra i giuristi di Roma, erecentemente nella scuola critica di Germania. Al dìd’oggi non mancano nei monasteri uomini versatissimiin ogni genere di speculazione e di dottrina; e l’Italia,anche in questo privilegiata, ne ha non pochi: ma essiper ordinario non iscrivono, o solo di rado e scarsamen-te, e quindi non esercitano quel dominio che si vorrebbesul pensiero dell’universale. Mi perdonino le sante reli-gioni, se io esprimo francamente un desiderio che miviene inspirato dalla osservanza che loro porto; il qualesi è che i loro ingegni più eletti siano consacrati expro-fesso agli studi, ciascuno secondo il genio speciale cheha da natura ricevuto. Nè temano perciò di nuocere alfine principale del loro ministero; imperocchè il cultodelle lettere, che è naturalmente l’apparecchio e il corre-do ausiliare della religione, non fu mai così necessarioal bene di questa, come al dì d’oggi. Il sacerdozio, chein origine fu depositario e dispensiere universale di sa-pienza, dee ora rinvertire verso la sua condizion primiti-va, secondo quella legge cosmica per cui il fine di ognisecondo ciclo consiste nel regresso al principio del pri-mo, vantaggiato e perfezionato. La fede cattolica nonpotrà mai vincere appieno i suoi formidabili nemici,cioè il razionalismo, l’eresia, lo scisma e l’indifferenza,nè ricuperare l’antico regno e ricomporre l’Europa, fin-

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chè il sacerdozio non racquista l’avita sua maggioranzain ogni scienza umana e divina. L’aver perduto questasignoria, e l’esser discesi i chierici dall’alto seggio intel-lettivo che dianzi occupavano, è la cagion principale percui le credenze religiose s’indebolirono quasi universal-mente, e in molti si spensero. Ora i cenobii son tantaparte del cattolico chiericato, ch’essi debbono arrolarsinella prima schiera, quando si tratta di ristorarlo. A taleffetto sarebbe opportuno il riformare prima di tutto gliordini interni dell’insegnamento, onde preparare una ge-nerazione novella di sapienti e di scrittori; i quali ordinihanno molto del buono, ed erano ottimi quando furonointrodotti: ma non essendo più proporzionati per alcunirispetti al secolo in cui siamo, non possono fruttare, senon si correggono; perchè accade loro come a tutte lecose stazionarie e bisognose di ammenda, che il vecchiovi soffoca l’antico. Conservino adunque del procederescolastico quelle parti che giovano ad acuire e rinvigora-re gl’intelletti, avvezzandoli al ragionare stringato e di-ritto, ma ne rimuovano ciò che li dissecca, gli appicco-la1, gl’inceppa, gli aggrava, gl’impruna, gl’insalvitichi-sce, e toglie loro ardire e forza di aggirarsi alla libera nelvasti campi della scienza e dell’eloquenza. Non temanoche la libertà possa nuocere, quando è savia e governatadalla norma cattolica, che, infesta solamente agli abusi,ha risoluto nella speculazione come nella pratica l’anti-co problema, conciliando l’indipendenza moderata col1 Osserva l’UGOLINI in op. cit., pag. 326: «Di appiccolare non abbiamo

esempi che ne’ trecentisti: or si usa piu comunemente rimpiccolire».

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chè il sacerdozio non racquista l’avita sua maggioranzain ogni scienza umana e divina. L’aver perduto questasignoria, e l’esser discesi i chierici dall’alto seggio intel-lettivo che dianzi occupavano, è la cagion principale percui le credenze religiose s’indebolirono quasi universal-mente, e in molti si spensero. Ora i cenobii son tantaparte del cattolico chiericato, ch’essi debbono arrolarsinella prima schiera, quando si tratta di ristorarlo. A taleffetto sarebbe opportuno il riformare prima di tutto gliordini interni dell’insegnamento, onde preparare una ge-nerazione novella di sapienti e di scrittori; i quali ordinihanno molto del buono, ed erano ottimi quando furonointrodotti: ma non essendo più proporzionati per alcunirispetti al secolo in cui siamo, non possono fruttare, senon si correggono; perchè accade loro come a tutte lecose stazionarie e bisognose di ammenda, che il vecchiovi soffoca l’antico. Conservino adunque del procederescolastico quelle parti che giovano ad acuire e rinvigora-re gl’intelletti, avvezzandoli al ragionare stringato e di-ritto, ma ne rimuovano ciò che li dissecca, gli appicco-la1, gl’inceppa, gli aggrava, gl’impruna, gl’insalvitichi-sce, e toglie loro ardire e forza di aggirarsi alla libera nelvasti campi della scienza e dell’eloquenza. Non temanoche la libertà possa nuocere, quando è savia e governatadalla norma cattolica, che, infesta solamente agli abusi,ha risoluto nella speculazione come nella pratica l’anti-co problema, conciliando l’indipendenza moderata col1 Osserva l’UGOLINI in op. cit., pag. 326: «Di appiccolare non abbiamo

esempi che ne’ trecentisti: or si usa piu comunemente rimpiccolire».

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freno legittimo. Lascino adunque spaziar le menti deigiovani a ben pensare e a ben fare volenterosi nell’arenadel sapere, acciò possano, quali robuste e generose aqui-le, sciolte dai geti e dalle pastoie, innalzarsi sulle ali del-le idee cattoliche e poggiare alle sfere. Così nel brevespazio di una generazione, i chiostri ricovreranno l’anti-co splendore, e diverranno un’altra volta i domicili pri-vilegiati della sapienza; il che è tanto più agevole a veri-ficarsi, che il sodo sapere, essendo già trapassato daichierici nei secolari, ma ora negletto da una buona partedi questi, invita i primi a ripigliarselo, e a concedergli dinuovo un ricetta ospitale.

La scienza ideale è monastica per eccellenza.

La scienza consta di fatti e d’idee, di sensibili ed’intelligibili. Fra i primi sono di grande importanza tut-ti quelli che s’attengono alla natura morale e compagne-vole dell’uomo, e, accozzati colle idee, costituiscono lapolitica e la storia. Oggi questi due studi sono in onore;e se spesso vi si cammina a tentoni, ovvero anche vi sivaneggia e farnetica e lavora a punta d’immaginazione,per difetto di principii ideali, che soli possono illustrarlie debbono governarli, egli è fuor di dubbio che vi si èacquistato assai nella notizia minuta e precisa dei mate-riali più pellegrini e reconditi, che sono quasi l’orditodella scientifica e storica tessitura. La critica ha pur fattimolti progressi per ciò che spetta all’analisi e alla truti-na ponderativa dei documenti; benchè intorno alla sinte-

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freno legittimo. Lascino adunque spaziar le menti deigiovani a ben pensare e a ben fare volenterosi nell’arenadel sapere, acciò possano, quali robuste e generose aqui-le, sciolte dai geti e dalle pastoie, innalzarsi sulle ali del-le idee cattoliche e poggiare alle sfere. Così nel brevespazio di una generazione, i chiostri ricovreranno l’anti-co splendore, e diverranno un’altra volta i domicili pri-vilegiati della sapienza; il che è tanto più agevole a veri-ficarsi, che il sodo sapere, essendo già trapassato daichierici nei secolari, ma ora negletto da una buona partedi questi, invita i primi a ripigliarselo, e a concedergli dinuovo un ricetta ospitale.

La scienza ideale è monastica per eccellenza.

La scienza consta di fatti e d’idee, di sensibili ed’intelligibili. Fra i primi sono di grande importanza tut-ti quelli che s’attengono alla natura morale e compagne-vole dell’uomo, e, accozzati colle idee, costituiscono lapolitica e la storia. Oggi questi due studi sono in onore;e se spesso vi si cammina a tentoni, ovvero anche vi sivaneggia e farnetica e lavora a punta d’immaginazione,per difetto di principii ideali, che soli possono illustrarlie debbono governarli, egli è fuor di dubbio che vi si èacquistato assai nella notizia minuta e precisa dei mate-riali più pellegrini e reconditi, che sono quasi l’orditodella scientifica e storica tessitura. La critica ha pur fattimolti progressi per ciò che spetta all’analisi e alla truti-na ponderativa dei documenti; benchè intorno alla sinte-

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si, senza la quale l’analisi è più atta a distruggere che adedificare, sia rimasa addietro. Ora, per qual ragione ilclero regolare non caverebbe profitto dalla ricca suppel-lettile erudita, che si è raccolta e si sta raccogliendo,quando egli è più di altri in grado di farlo, possedendo leidee che la rischiarano e fecondano? Perchè fra il miseropoliticare dei giornali e dei libercoletti ch’è oggi invoga, non potrebbe sorgere una scuola chiericale di civilsapienza, aliena dalle leggerezze ed esorbitanze del se-colo, e degna della gravità italiana? Non sarebbe questaun’impresa degnissima di quegli ordini illustri da cuiuscirono i Bernardi, i Tommasi, i Bellarmini, che furonogli unici o rifulsero fra i primi scrittori politici del lorotempo? E se certi governi pusillanimi, in cambio di sa-perne grado, attraversassero loro qualche ostacolo,senz’avvedersi che l’impedire i buoni ed i savi di ragio-nar di politica è un darla vinta ai tristi e agl’ignoranti, sirivolgano all’istoria. Per coltivare la quale, troverannoampia materia nei loro medesimi instituti, le cui origini,le vicende, i successi, le sventure, le glorie, hanno avutoraccoglitori diligentissimi di materiali, ma nessun gran-de scrittore che abbia tutte le parti a perfetto storico ri-chieste. Eppure la storia del monachismo è in gran partela storia della civiltà di Europa e del mondo; onde pochiargomenti tornerebbero così nuovi e belli come questo,quando fosse trattato con imparzialità di giudizio, am-piezza di erudizione, eleganza di dettato, profondità difilosofia e sagacità di critica. Io conosco un solo narra-

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si, senza la quale l’analisi è più atta a distruggere che adedificare, sia rimasa addietro. Ora, per qual ragione ilclero regolare non caverebbe profitto dalla ricca suppel-lettile erudita, che si è raccolta e si sta raccogliendo,quando egli è più di altri in grado di farlo, possedendo leidee che la rischiarano e fecondano? Perchè fra il miseropoliticare dei giornali e dei libercoletti ch’è oggi invoga, non potrebbe sorgere una scuola chiericale di civilsapienza, aliena dalle leggerezze ed esorbitanze del se-colo, e degna della gravità italiana? Non sarebbe questaun’impresa degnissima di quegli ordini illustri da cuiuscirono i Bernardi, i Tommasi, i Bellarmini, che furonogli unici o rifulsero fra i primi scrittori politici del lorotempo? E se certi governi pusillanimi, in cambio di sa-perne grado, attraversassero loro qualche ostacolo,senz’avvedersi che l’impedire i buoni ed i savi di ragio-nar di politica è un darla vinta ai tristi e agl’ignoranti, sirivolgano all’istoria. Per coltivare la quale, troverannoampia materia nei loro medesimi instituti, le cui origini,le vicende, i successi, le sventure, le glorie, hanno avutoraccoglitori diligentissimi di materiali, ma nessun gran-de scrittore che abbia tutte le parti a perfetto storico ri-chieste. Eppure la storia del monachismo è in gran partela storia della civiltà di Europa e del mondo; onde pochiargomenti tornerebbero così nuovi e belli come questo,quando fosse trattato con imparzialità di giudizio, am-piezza di erudizione, eleganza di dettato, profondità difilosofia e sagacità di critica. Io conosco un solo narra-

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tore illustre di annali monachili, cioè il Bartoli1; mal’erudito e il filosofo e il critico non corrispondono inlui di gran lunga al prosatore impareggiabile. Perchèadunque i varii ordini religiosi non si proporrebbero didarci una storia compita e eccellente dei loro fasti? Dicouna storia, non un panegirico: perchè la bontà di tali in-stituzioni e i loro salutiferi effetti soverchiano talmentegli abusi ed il male, che la sincerità scrupolosa del rac-contatore, non che detrarre al credito di quelle, sarebbenecessaria a raffermarlo nello spirito di chi legge. E qualtema può immaginarsi più apparentato di questo conquella disciplina che oggi chiamasi filosofia della sto-ria? La quale, proponendosi di afferrare l’idea specificadi ciascun popolo, e di descrivere l’esplicazione dinami-ca dei germi civili in cui è riposta la vita degli stati edelle stirpi, è del pari applicabile a quelle vaste aggrega-zioni d’uomini, ciascuna delle quali esprime un tipoideale, ed è come una nazione elettiva e artifiziosa, ap-partenente, non altrimenti che le nazioni naturali, al cor-so della civiltà umana e al governo divino dell’universo.Ma la scienza in cui le idee ed i fatti s’intrecciano e sicompenetrano maggiormente, è quella che versa sullareligione. E quali, infatti, sono i pronunziati più atti a in-spirare e aggrandire l’umano intelletto, delle verità cri-stiane? Qual è la scienza che per ampiezza e sublimitàdi concetti possa gareggiare col cattolicismo? Tutto ciòche è vasto, universale, cosmopolitico, non è cattolico?1 Cfr. per altri giudizi sul Bartoli del Gioberti il volume Pensieri e giudizi di

V. G. di F. UGOLINI, Barbèra, 1856, pagg. 21, 138, 173; 355.

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tore illustre di annali monachili, cioè il Bartoli1; mal’erudito e il filosofo e il critico non corrispondono inlui di gran lunga al prosatore impareggiabile. Perchèadunque i varii ordini religiosi non si proporrebbero didarci una storia compita e eccellente dei loro fasti? Dicouna storia, non un panegirico: perchè la bontà di tali in-stituzioni e i loro salutiferi effetti soverchiano talmentegli abusi ed il male, che la sincerità scrupolosa del rac-contatore, non che detrarre al credito di quelle, sarebbenecessaria a raffermarlo nello spirito di chi legge. E qualtema può immaginarsi più apparentato di questo conquella disciplina che oggi chiamasi filosofia della sto-ria? La quale, proponendosi di afferrare l’idea specificadi ciascun popolo, e di descrivere l’esplicazione dinami-ca dei germi civili in cui è riposta la vita degli stati edelle stirpi, è del pari applicabile a quelle vaste aggrega-zioni d’uomini, ciascuna delle quali esprime un tipoideale, ed è come una nazione elettiva e artifiziosa, ap-partenente, non altrimenti che le nazioni naturali, al cor-so della civiltà umana e al governo divino dell’universo.Ma la scienza in cui le idee ed i fatti s’intrecciano e sicompenetrano maggiormente, è quella che versa sullareligione. E quali, infatti, sono i pronunziati più atti a in-spirare e aggrandire l’umano intelletto, delle verità cri-stiane? Qual è la scienza che per ampiezza e sublimitàdi concetti possa gareggiare col cattolicismo? Tutto ciòche è vasto, universale, cosmopolitico, non è cattolico?1 Cfr. per altri giudizi sul Bartoli del Gioberti il volume Pensieri e giudizi di

V. G. di F. UGOLINI, Barbèra, 1856, pagg. 21, 138, 173; 355.

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Qual è il vero più complessivo, più enciclopedico, piùatto a generare e accordare tutto lo scibile, che la primaparola della Genesi e del Catechismo?1 Si può immagi-nare una sintesi ideale più comprensiva e magnifica diquella che si fonda nella nozione di Dio creatore, reden-tore e rimuneratore, e dichiara le ragioni e le leggi delcreato col principio supremo da cui procedono? Dovepuò trovarsi una dualità e un’antitesi più grandiosa, cheil contraposto della grazia e della natura, della Providen-za divina e della libertà umana, della ortodossia e delgentilesimo? Qual disegno più armonico e sapiente, chela successione delle due alleanze, e quel lento esplicarsidel lume rivelato che dagli albòri patriarcali va crescen-do sino a Cristo, in cui si ferma, come nel suo meriggio,per inondare la terra, sottentrando il progresso dello spa-zio a quello del tempo? Quale storia più universale diquella che comprende e spiega le origini, i traviamenti,l’instaurazione e il fine ultimo delle cose, stendendosidal principio all’esito del secoli, e per via dei lembiestremi intrecciandosi coll’eterno? Qual cosmogonia piùmagistrale e pitagorica di quella che ci rappresental’universo, dalla sublime aristocrazia degli spiriti sino aigradi infimi della materia, come un conserto di forzecontemperate a legge di geometria e di musica, e model-late sull’archetipo dell’Idea increata dalla parola creatri-1 «In principio creavit Deus caelum et terram». Il Gioberti dice di aver rica-

vato la sua formola ideale «dalla parola della religione (consegnata in mol-ti luoghi delle sacre letture e specialmente nel tetragramma) e di alcuni il-lustri filosofi cristiani». (Degli errori filosofici di Antonio Rosmini, Bru-xelles, 1843, t. I, pag. 129).

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Qual è il vero più complessivo, più enciclopedico, piùatto a generare e accordare tutto lo scibile, che la primaparola della Genesi e del Catechismo?1 Si può immagi-nare una sintesi ideale più comprensiva e magnifica diquella che si fonda nella nozione di Dio creatore, reden-tore e rimuneratore, e dichiara le ragioni e le leggi delcreato col principio supremo da cui procedono? Dovepuò trovarsi una dualità e un’antitesi più grandiosa, cheil contraposto della grazia e della natura, della Providen-za divina e della libertà umana, della ortodossia e delgentilesimo? Qual disegno più armonico e sapiente, chela successione delle due alleanze, e quel lento esplicarsidel lume rivelato che dagli albòri patriarcali va crescen-do sino a Cristo, in cui si ferma, come nel suo meriggio,per inondare la terra, sottentrando il progresso dello spa-zio a quello del tempo? Quale storia più universale diquella che comprende e spiega le origini, i traviamenti,l’instaurazione e il fine ultimo delle cose, stendendosidal principio all’esito del secoli, e per via dei lembiestremi intrecciandosi coll’eterno? Qual cosmogonia piùmagistrale e pitagorica di quella che ci rappresental’universo, dalla sublime aristocrazia degli spiriti sino aigradi infimi della materia, come un conserto di forzecontemperate a legge di geometria e di musica, e model-late sull’archetipo dell’Idea increata dalla parola creatri-1 «In principio creavit Deus caelum et terram». Il Gioberti dice di aver rica-

vato la sua formola ideale «dalla parola della religione (consegnata in mol-ti luoghi delle sacre letture e specialmente nel tetragramma) e di alcuni il-lustri filosofi cristiani». (Degli errori filosofici di Antonio Rosmini, Bru-xelles, 1843, t. I, pag. 129).

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ce? E qual mirabile accordo nella geogonia mosaica col-le scoperte dei moderni! Quanta filosofia nei misteri ri-velati, e quanta evidenza in quello spiraglio di luce chene accompagna le tenebre profonde! Più luminoso digran lunga è il mistero cristiano, che molti assiomi dellascienza eterodossa. L’unità più rigorosa, congiunta collapiù ampia varietà possibile, e la concretezza più salda eviva, accoppiata colla più alta generalità di cui la menteumana sia capace, sono i due contrasegni delle dottrinecattoliche: fuori delle quali l’idealità vien meno, ed èsoffocata dai particolari, o sfuma in astrattezze senzacorpo, e in fantasmi senza costrutto. Il che è vero nonsolo del cattolicismo come scienza e come storia, maeziandio come instituzione esterna e sociale. Quale è,infatti, il capo del mondo, se non il papa? Qual è la so-cietà del mondo, se non la Chiesa? Si può forse ideareuna repubblica più vasta di quella che per metropoli haRoma, e per confini i poli inaccessibili? che aspira a in-staurare l’unità primitiva, mediante l’unità finale del ge-nere umano, e può promettersi anche umanamente di ot-tenere il suo scopo, dai fati preteriti argomentando i fu-turi? La poesia, in questo caso, non può pareggiare larealtà, e il fatto vince la stessa immaginazione. L’epopeapiù sublime riesce angusta e ristretta verso l’istoria e idestinati della fede cattolica, come la Bibbia nella suaaugusta semplicità si lascia dietro le fizioni più ardimen-tose. E perchè mai la Divina Commedia, che do-vrebb’essere la Bibbia umana degl’ingegni italici, so-vrasta ad ogni altro poema, e Dante, che val molti Ome-

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ce? E qual mirabile accordo nella geogonia mosaica col-le scoperte dei moderni! Quanta filosofia nei misteri ri-velati, e quanta evidenza in quello spiraglio di luce chene accompagna le tenebre profonde! Più luminoso digran lunga è il mistero cristiano, che molti assiomi dellascienza eterodossa. L’unità più rigorosa, congiunta collapiù ampia varietà possibile, e la concretezza più salda eviva, accoppiata colla più alta generalità di cui la menteumana sia capace, sono i due contrasegni delle dottrinecattoliche: fuori delle quali l’idealità vien meno, ed èsoffocata dai particolari, o sfuma in astrattezze senzacorpo, e in fantasmi senza costrutto. Il che è vero nonsolo del cattolicismo come scienza e come storia, maeziandio come instituzione esterna e sociale. Quale è,infatti, il capo del mondo, se non il papa? Qual è la so-cietà del mondo, se non la Chiesa? Si può forse ideareuna repubblica più vasta di quella che per metropoli haRoma, e per confini i poli inaccessibili? che aspira a in-staurare l’unità primitiva, mediante l’unità finale del ge-nere umano, e può promettersi anche umanamente di ot-tenere il suo scopo, dai fati preteriti argomentando i fu-turi? La poesia, in questo caso, non può pareggiare larealtà, e il fatto vince la stessa immaginazione. L’epopeapiù sublime riesce angusta e ristretta verso l’istoria e idestinati della fede cattolica, come la Bibbia nella suaaugusta semplicità si lascia dietro le fizioni più ardimen-tose. E perchè mai la Divina Commedia, che do-vrebb’essere la Bibbia umana degl’ingegni italici, so-vrasta ad ogni altro poema, e Dante, che val molti Ome-

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ri, vince tutti i poeti del mondo, se non a causa dell’Ideaincreata, la quale vi è meglio e più largamente espressa,che nelle fantasie degli altri epici? In cui si ravvisa unsemplice sprazzo di quella cattolicità dantesca, quasibarbe che spiccano dalla maestra1, e vermene germinantidal tronco, o rivoli propagginati da regia fiumara. Io tro-vo nel giro della realtà una sola cosa che mi paia para-gonabile all’idea cattolica: cioè la costituzione dell’uni-verso, qual venne lavorata da Dio, concetta e delineatada Isacco Newton2, che fu per questo verso l’Alighieridelle scienze astronomiche. Ma il sistema dell’attrazioneuniversale, il quale, se così posso esprimermi, è il catto-licismo della natura, sottostà di tanto alla religione,quanto i fatti alle idee, la materia allo spirito e l’univer-so al suo fattore. E se dopo aver misurata colla mente lacirconferenza della società cristiana, se ne considera ilcentro, ivi anco si vede risplendere proporzionatamenteil contrasegno cattolico, che è l’infinito nell’unità. Im-perocchè l’Italia, in virtù della fede che vi alberga comenel primo suo seggio, è quel punto da cui rampollano iraggi della forza attrattiva, destinata a conglutinare e ar-monizzare spiritualmente le varie parti del globo; ondeper questo rispetto essa può considerarsi come l’archeodella vita universale e l’anima cosmica. Roma è civil-mente, riguardo all’Italia, ciò che è religiosamente in or-

1 La barba principale delle piante. Il vocabolario della Crusca ne offre esem-pi del Davanzati e del Tedaldi.

2 Isacco Newton, n. nel 1642, m. nel 1727. «L’Anglo che tanta ala disteseper le vie del firmamento».

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ri, vince tutti i poeti del mondo, se non a causa dell’Ideaincreata, la quale vi è meglio e più largamente espressa,che nelle fantasie degli altri epici? In cui si ravvisa unsemplice sprazzo di quella cattolicità dantesca, quasibarbe che spiccano dalla maestra1, e vermene germinantidal tronco, o rivoli propagginati da regia fiumara. Io tro-vo nel giro della realtà una sola cosa che mi paia para-gonabile all’idea cattolica: cioè la costituzione dell’uni-verso, qual venne lavorata da Dio, concetta e delineatada Isacco Newton2, che fu per questo verso l’Alighieridelle scienze astronomiche. Ma il sistema dell’attrazioneuniversale, il quale, se così posso esprimermi, è il catto-licismo della natura, sottostà di tanto alla religione,quanto i fatti alle idee, la materia allo spirito e l’univer-so al suo fattore. E se dopo aver misurata colla mente lacirconferenza della società cristiana, se ne considera ilcentro, ivi anco si vede risplendere proporzionatamenteil contrasegno cattolico, che è l’infinito nell’unità. Im-perocchè l’Italia, in virtù della fede che vi alberga comenel primo suo seggio, è quel punto da cui rampollano iraggi della forza attrattiva, destinata a conglutinare e ar-monizzare spiritualmente le varie parti del globo; ondeper questo rispetto essa può considerarsi come l’archeodella vita universale e l’anima cosmica. Roma è civil-mente, riguardo all’Italia, ciò che è religiosamente in or-

1 La barba principale delle piante. Il vocabolario della Crusca ne offre esem-pi del Davanzati e del Tedaldi.

2 Isacco Newton, n. nel 1642, m. nel 1727. «L’Anglo che tanta ala disteseper le vie del firmamento».

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dine al mondo; e il concetto di essa è l’anello che con-giunge il cattolicismo coi tempi primitivi, e ne divisa leattinenze coi fatti del paganesimo. Imperocchè ella ci ri-porta all’imperio più vasto e più cosmopolitico dellagentilità, all’antica fratellanza dei Pelasghi e degli Etru-schi, e a quel piccolo Oriente che le colonie piantaronosui lidi mediterranei, quasi per riprodurvi il grandeOriente dell’Egitto e dell’Asia, insertando nella piantapelasgica un vivace calmo prezioso, divelto dal cepponatìo dell’incivilimento. Or che v’ha di più sublime e dipiù ideale, che questi riscontri? Eziandio, come nazionseparata, l’Italia grandeggia nella scienza paragonativadei popoli, e per le doti eminenti del genio italogreco,che vi ottenne il colmo dello splendore, e pel concettoguelfo del papa, come presidente naturale e perpetuodella confederazione dei principi e dei popoli italiani.Questa idea, che, risultando naturalmente dalle condi-zioni reali della Penisola, si fonda nella sua storia, e ac-corda le memorie colle speranze, e il nostro passato ri-sorgimento coll’instaurazione futura, è il principio vitaledi tutta la civiltà italica, e il solo concetto capace di fe-condare novellamente quel genio nazionale che Iddio ciha dato.

Esortazione ai venerandi alunni del chiostro italiano.

Venerabili abitatori dei chiostri, ecco il campo glorio-so che è aperto alle vostre prove, ecco gli argomentiproporzionati alla pietà dell’animo e all’altezza

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dine al mondo; e il concetto di essa è l’anello che con-giunge il cattolicismo coi tempi primitivi, e ne divisa leattinenze coi fatti del paganesimo. Imperocchè ella ci ri-porta all’imperio più vasto e più cosmopolitico dellagentilità, all’antica fratellanza dei Pelasghi e degli Etru-schi, e a quel piccolo Oriente che le colonie piantaronosui lidi mediterranei, quasi per riprodurvi il grandeOriente dell’Egitto e dell’Asia, insertando nella piantapelasgica un vivace calmo prezioso, divelto dal cepponatìo dell’incivilimento. Or che v’ha di più sublime e dipiù ideale, che questi riscontri? Eziandio, come nazionseparata, l’Italia grandeggia nella scienza paragonativadei popoli, e per le doti eminenti del genio italogreco,che vi ottenne il colmo dello splendore, e pel concettoguelfo del papa, come presidente naturale e perpetuodella confederazione dei principi e dei popoli italiani.Questa idea, che, risultando naturalmente dalle condi-zioni reali della Penisola, si fonda nella sua storia, e ac-corda le memorie colle speranze, e il nostro passato ri-sorgimento coll’instaurazione futura, è il principio vitaledi tutta la civiltà italica, e il solo concetto capace di fe-condare novellamente quel genio nazionale che Iddio ciha dato.

Esortazione ai venerandi alunni del chiostro italiano.

Venerabili abitatori dei chiostri, ecco il campo glorio-so che è aperto alle vostre prove, ecco gli argomentiproporzionati alla pietà dell’animo e all’altezza

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dell’ingegno vostro. Lasciate la polvere e lo squalloredei casisti, lasciate l’ombra e le tenzoni delle vecchiescuole: questa misera arena non è degna di voi. Non èdegna dei vostri santi fondatori; i quali col loro vastospirito e coll’eroico zelo abbracciarono il mondo: e voi,lor degni eredi e figliuoli, consumerete il tempo e lecure in piati scolastici, in brighe ristrette e municipali?Non siete voi i soldati di un generale che in Roma risie-de, sotto le ali auguste del pontefice? non avete commi-litoni sparsi in quasi tutte le parti del globo? non ambitesantamente il dominio spirituale della terra? E la terranon è pronta a darvelo, quando sia persuasa che siete ca-paci di possederlo? Non è anzi disposta ad offrirvelo,quando mostriate quella magnanimità di spiriti che ani-mava i vostri institutori, e nutriate pensieri condegni allaromana grandezza? E chi dubita che questi sensi in voituttavia non alberghino? chi dubita che non possiate rin-novare i miracoli antichi? chi ha appreso a conoscerviun po’ da vicino, e può ignorare quanto di virtù, d’inge-gno e di senno si trovi ancora ne’ chiostri? Uscite, perDio, al sole, parlamentate in pubblico colla voce e collapenna, combattete colle armi della logica e della elo-quenza, le quali sono tanto più valide in mano vostra,quanto più vengono avvalorate da una vita austera edesemplare, congiunta alla dignità del sacerdozio. Incul-cate le grandi idee cattoliche nei teneri animi dei giovanie nei robusti cervelli della plebe: servitevi di questa for-te molla per metter fine al doloroso scisma del secolo,amicando la civiltà e la religione, e riconciliando i popo-

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dell’ingegno vostro. Lasciate la polvere e lo squalloredei casisti, lasciate l’ombra e le tenzoni delle vecchiescuole: questa misera arena non è degna di voi. Non èdegna dei vostri santi fondatori; i quali col loro vastospirito e coll’eroico zelo abbracciarono il mondo: e voi,lor degni eredi e figliuoli, consumerete il tempo e lecure in piati scolastici, in brighe ristrette e municipali?Non siete voi i soldati di un generale che in Roma risie-de, sotto le ali auguste del pontefice? non avete commi-litoni sparsi in quasi tutte le parti del globo? non ambitesantamente il dominio spirituale della terra? E la terranon è pronta a darvelo, quando sia persuasa che siete ca-paci di possederlo? Non è anzi disposta ad offrirvelo,quando mostriate quella magnanimità di spiriti che ani-mava i vostri institutori, e nutriate pensieri condegni allaromana grandezza? E chi dubita che questi sensi in voituttavia non alberghino? chi dubita che non possiate rin-novare i miracoli antichi? chi ha appreso a conoscerviun po’ da vicino, e può ignorare quanto di virtù, d’inge-gno e di senno si trovi ancora ne’ chiostri? Uscite, perDio, al sole, parlamentate in pubblico colla voce e collapenna, combattete colle armi della logica e della elo-quenza, le quali sono tanto più valide in mano vostra,quanto più vengono avvalorate da una vita austera edesemplare, congiunta alla dignità del sacerdozio. Incul-cate le grandi idee cattoliche nei teneri animi dei giovanie nei robusti cervelli della plebe: servitevi di questa for-te molla per metter fine al doloroso scisma del secolo,amicando la civiltà e la religione, e riconciliando i popo-

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li coi principi. Chi più di voi, uomini umili e popolani,può essere udito con amore e riverenza dal volgo, che vivenera come padri, e vi ama come fratelli, quando glipredicate l’ossequio verso chi regna? Chi più di voi, uo-mini liberi e indipendenti, avvalorati da quella fiduciache nasce da una stretta e numerosa fratellanza e dalgrado sacerdotale, può ricordare con franchezza ai po-tenti i sacrosanti diritti dei popoli, e fulminare con vee-menza i trasgressori di essi, scotendo la polvere dei vo-stri sandali, secondo il precetto di Cristo1, contro chisprezza o travolge l’evangelica parola? Chi più di voi,uomini dotti e santi, pacifici cultori della scienza e ar-denti zelatori della carità cristiana, può rendere accettele credenze e le pratiche cattoliche agli spiriti gentili, e ilculto della civiltà alle anime pie e religiose? Non fostevoi creati per insegnare e difendere le dottrine di pace,di miglioramento, di amore, e per propagarle? Non sietevoi l’esercito spirituale della Chiesa militante, e quasi laguardia pretoriana del supremo suo capo? A chi spetta,meglio che a voi, il perorare la causa del Pontefice, e ri-storare nell’opinione contro l’orgoglio regio e la licenzaplebea quei sacri diritti che non possono essere annulla-ti, nè debilitati dalla forza e dal tempo? Chi dee, più divoi, abbracciare con fervido amore la causa d’Italia, poi-chè siete suoi figliuoli, e in lei nacquero pure i padri vo-

1 Frase biblica che significa non fare il menomo conto di persone o cose.Vang.: «Chiunque non vi accoglierà nè ascolterà le vostre parole; e voiuscendone scuotete la polvere da’ vostri piedi». MATTEO, X, 14, MARCO, VI,11; LUCA, IX, 5.

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li coi principi. Chi più di voi, uomini umili e popolani,può essere udito con amore e riverenza dal volgo, che vivenera come padri, e vi ama come fratelli, quando glipredicate l’ossequio verso chi regna? Chi più di voi, uo-mini liberi e indipendenti, avvalorati da quella fiduciache nasce da una stretta e numerosa fratellanza e dalgrado sacerdotale, può ricordare con franchezza ai po-tenti i sacrosanti diritti dei popoli, e fulminare con vee-menza i trasgressori di essi, scotendo la polvere dei vo-stri sandali, secondo il precetto di Cristo1, contro chisprezza o travolge l’evangelica parola? Chi più di voi,uomini dotti e santi, pacifici cultori della scienza e ar-denti zelatori della carità cristiana, può rendere accettele credenze e le pratiche cattoliche agli spiriti gentili, e ilculto della civiltà alle anime pie e religiose? Non fostevoi creati per insegnare e difendere le dottrine di pace,di miglioramento, di amore, e per propagarle? Non sietevoi l’esercito spirituale della Chiesa militante, e quasi laguardia pretoriana del supremo suo capo? A chi spetta,meglio che a voi, il perorare la causa del Pontefice, e ri-storare nell’opinione contro l’orgoglio regio e la licenzaplebea quei sacri diritti che non possono essere annulla-ti, nè debilitati dalla forza e dal tempo? Chi dee, più divoi, abbracciare con fervido amore la causa d’Italia, poi-chè siete suoi figliuoli, e in lei nacquero pure i padri vo-

1 Frase biblica che significa non fare il menomo conto di persone o cose.Vang.: «Chiunque non vi accoglierà nè ascolterà le vostre parole; e voiuscendone scuotete la polvere da’ vostri piedi». MATTEO, X, 14, MARCO, VI,11; LUCA, IX, 5.

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stri, o se furono estrani, ivi collocarono il loro nido, ivieducarono l’implume e tenera prole, ivi la nutrirono el’addestrarono studiosamente, finchè, mutati i gracilibordoni1 in capaci e robuste penne, potesse tentare le ar-due regioni dell’aria, e con franco e libero volo pellegri-nare pel mondo? Impadronitevi gagliardamente di quel-la pubblica opinione, che si mostra quasi sempre arren-devole a chi se la procaccia colla ragione avvalorata dal-la facondia, e studiatevi di vincere le preoccupazioni in-giuste, l’odio e le calunnie dei nemici e degli avversaricollo splendore delle vostre opere. L’opinione sorrisegià alla vostra culla, fece plauso ai primi vostri passi, ebenedisse i frutti lieti e novelli delle vostre fatiche: poivi divenne contraria, e sognando una civiltà empia e pa-gana, vi mosse aspra guerra, come a strenui difensori diquanto ella abborriva. Ora vi è d’uopo riconquistarla, eil farlo vi è agevole, pigliando con ardita prudenza la di-fesa del progressi civili, e consacrando i vostri sudori,parte a quelle opere di carità sovrumana che consolanogli uomini, e parte a quegli studi, a quelle dottrine che lidilettano e gli ammaestrano2. Combattete sovratuttoquella genia cieca o perversa che si attraversa a ogni mi-glioramento, odia il vapore, il telegrafo, la bussola,

1 Bordoni si dicono le penne degli uccelli quando appena cominciano aspuntare.

2 Cfr. pag. 1119 del Ms. n. 24 (Biblioteca Civica di Torino) ove nell’abboz-zo Del Progresso si legge questo appunto: «Rinnovare lo zelo, il fervore,l’importanza dell’elemento religioso e cattolico del medioevo nettandolodalla barbarie che lo guastava e accoppiandolo a tutti i progressi della ci-viltà moderna. Discesa dalla religione alla civiltà».

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stri, o se furono estrani, ivi collocarono il loro nido, ivieducarono l’implume e tenera prole, ivi la nutrirono el’addestrarono studiosamente, finchè, mutati i gracilibordoni1 in capaci e robuste penne, potesse tentare le ar-due regioni dell’aria, e con franco e libero volo pellegri-nare pel mondo? Impadronitevi gagliardamente di quel-la pubblica opinione, che si mostra quasi sempre arren-devole a chi se la procaccia colla ragione avvalorata dal-la facondia, e studiatevi di vincere le preoccupazioni in-giuste, l’odio e le calunnie dei nemici e degli avversaricollo splendore delle vostre opere. L’opinione sorrisegià alla vostra culla, fece plauso ai primi vostri passi, ebenedisse i frutti lieti e novelli delle vostre fatiche: poivi divenne contraria, e sognando una civiltà empia e pa-gana, vi mosse aspra guerra, come a strenui difensori diquanto ella abborriva. Ora vi è d’uopo riconquistarla, eil farlo vi è agevole, pigliando con ardita prudenza la di-fesa del progressi civili, e consacrando i vostri sudori,parte a quelle opere di carità sovrumana che consolanogli uomini, e parte a quegli studi, a quelle dottrine che lidilettano e gli ammaestrano2. Combattete sovratuttoquella genia cieca o perversa che si attraversa a ogni mi-glioramento, odia il vapore, il telegrafo, la bussola,

1 Bordoni si dicono le penne degli uccelli quando appena cominciano aspuntare.

2 Cfr. pag. 1119 del Ms. n. 24 (Biblioteca Civica di Torino) ove nell’abboz-zo Del Progresso si legge questo appunto: «Rinnovare lo zelo, il fervore,l’importanza dell’elemento religioso e cattolico del medioevo nettandolodalla barbarie che lo guastava e accoppiandolo a tutti i progressi della ci-viltà moderna. Discesa dalla religione alla civiltà».

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l’alfabeto e la stampa, sospira la tortura, i roghi, i feudi,il vaiuolo ed i Turchi, maledice e bestemmia Dante, Ga-lileo e il Colombo, e vorrebbe sterminare dal mondo ladivina filosofia. Oh gli sconsigliati! Quanto son degni dicommiserazione e di compianto! Imperocchè, qual sa-rebbe il loro dolore (parlo di quelli le cui intenzionisono diritte, e il farneticare è effetto dell’ignoranza) sesi avvedessero che un solo di essi pregiudica alla reli-gione più che un esercito di miscredenti? Il nemico piùgrave della fede al dì d’oggi non è l’empietà, l’eresia elo scisma, come molti credono, non risiede in Pietrobor-go, in Berlino, in Parigi, non si serve dei giornali, dei li-bri e delle cattedre, ma si occulta nel seno della Chiesastessa, e ne rode lentamente e secretamente le viscere,con danno tanto più irrimediablie, che si chiama e si re-puta suo difensore. Parlo di una setta vivace, che perbuona ventura non ha alcun nome particolare, e che siraccozza e si rinnovella, mediante il concorso degli uo-mini squisitamente nulli o mediocri che nei varii ceti sitrovano; giacchè ogni ceto, anche illustre, ha la sua ple-be, tanto più presontuosa, quanto più stupida ed inetta acapire il secolo, e ad avvocare con senno la causa piùnobile e sacra. Credono costoro nella lor albagia di esse-re chiamati dalla Providenza a salvar la fede combattutae pericolante; e stimano che la via più acconcia e spedi-tiva per riuscirvi consista nel conservare e perpetuare gliabusi di ogni sorta, nell’impedire o distruggere i ragio-nevoli progressi, nello spegnere o almen rallentare alpossibile la scienza e l’incivilimento. Nel che si trava-

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l’alfabeto e la stampa, sospira la tortura, i roghi, i feudi,il vaiuolo ed i Turchi, maledice e bestemmia Dante, Ga-lileo e il Colombo, e vorrebbe sterminare dal mondo ladivina filosofia. Oh gli sconsigliati! Quanto son degni dicommiserazione e di compianto! Imperocchè, qual sa-rebbe il loro dolore (parlo di quelli le cui intenzionisono diritte, e il farneticare è effetto dell’ignoranza) sesi avvedessero che un solo di essi pregiudica alla reli-gione più che un esercito di miscredenti? Il nemico piùgrave della fede al dì d’oggi non è l’empietà, l’eresia elo scisma, come molti credono, non risiede in Pietrobor-go, in Berlino, in Parigi, non si serve dei giornali, dei li-bri e delle cattedre, ma si occulta nel seno della Chiesastessa, e ne rode lentamente e secretamente le viscere,con danno tanto più irrimediablie, che si chiama e si re-puta suo difensore. Parlo di una setta vivace, che perbuona ventura non ha alcun nome particolare, e che siraccozza e si rinnovella, mediante il concorso degli uo-mini squisitamente nulli o mediocri che nei varii ceti sitrovano; giacchè ogni ceto, anche illustre, ha la sua ple-be, tanto più presontuosa, quanto più stupida ed inetta acapire il secolo, e ad avvocare con senno la causa piùnobile e sacra. Credono costoro nella lor albagia di esse-re chiamati dalla Providenza a salvar la fede combattutae pericolante; e stimano che la via più acconcia e spedi-tiva per riuscirvi consista nel conservare e perpetuare gliabusi di ogni sorta, nell’impedire o distruggere i ragio-nevoli progressi, nello spegnere o almen rallentare alpossibile la scienza e l’incivilimento. Nel che si trava-

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gliano indefessamente con uno zelo ostinato e fanatico,usando l’oro, la frode, la forza, il patrocinio dei potenti,e tutti i mezzi che sono in loro mano a far rivivere labarbarie. Non si accorgono questi ciechi e guidatori diciechi che, predicando le tenebre e l’ignoranza per gui-dare al cielo i loro fratelli, gli sospingono all’inferno;imperocchè il credere la fede e la civiltà ripugnanti, è aldi d’oggi la pietra d’inciampo che mena gli uomini aperdizione, e il sofisma che svelle dal grembo maternodella Chiesa tanti teneri figli o impedisce agli sviati il ri-torno. La dolorosa peste imperversa anco in alcuni luo-ghi d’Italia; e se i pastori della Chiesa e i governi non viriparano, non passeranno molte generazioni che, doveella domina, la fede sarà affatto spenta nella classe colta,e mutata la nostra Penisola in seggio di miscredenza, lacattedra di Pietro vi sorgerà solitaria, come una sublimepiramide in mezzo al deserto. Ma lo sterpare questa ma-ledizione tocca in modo speciale agli uomini del chio-stro, perchè coloro che la favoriscono abusano del loronome. A voi spetta, venerandi discepoli di Benedetto, diFrancesco, di Domenico, d’Ignazio e degli altri creatoridi claustrali meraviglie; imperocchè gli sconsigliati siravvedranno o meno assai noceranno, quando si tocche-rà con mano che gli asili della perfezione cristiana pos-sono anche essere alberghi di sapienza, e si vedrà rinno-vata e aggrandita per opera vostra la gloria letteraria escientifica del vostri antecessori. Provate coll’esempio,che la religione ha paura del buio, non della luce; inse-gnate a quei dementi che non si può combattere con

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gliano indefessamente con uno zelo ostinato e fanatico,usando l’oro, la frode, la forza, il patrocinio dei potenti,e tutti i mezzi che sono in loro mano a far rivivere labarbarie. Non si accorgono questi ciechi e guidatori diciechi che, predicando le tenebre e l’ignoranza per gui-dare al cielo i loro fratelli, gli sospingono all’inferno;imperocchè il credere la fede e la civiltà ripugnanti, è aldi d’oggi la pietra d’inciampo che mena gli uomini aperdizione, e il sofisma che svelle dal grembo maternodella Chiesa tanti teneri figli o impedisce agli sviati il ri-torno. La dolorosa peste imperversa anco in alcuni luo-ghi d’Italia; e se i pastori della Chiesa e i governi non viriparano, non passeranno molte generazioni che, doveella domina, la fede sarà affatto spenta nella classe colta,e mutata la nostra Penisola in seggio di miscredenza, lacattedra di Pietro vi sorgerà solitaria, come una sublimepiramide in mezzo al deserto. Ma lo sterpare questa ma-ledizione tocca in modo speciale agli uomini del chio-stro, perchè coloro che la favoriscono abusano del loronome. A voi spetta, venerandi discepoli di Benedetto, diFrancesco, di Domenico, d’Ignazio e degli altri creatoridi claustrali meraviglie; imperocchè gli sconsigliati siravvedranno o meno assai noceranno, quando si tocche-rà con mano che gli asili della perfezione cristiana pos-sono anche essere alberghi di sapienza, e si vedrà rinno-vata e aggrandita per opera vostra la gloria letteraria escientifica del vostri antecessori. Provate coll’esempio,che la religione ha paura del buio, non della luce; inse-gnate a quei dementi che non si può combattere con

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buon successo la falsa scienza regnante ai dì nostri, sen-za diffondere la vera, perchè il secolo è avido di dottri-na, e quando l’oro della verità non gli è mostro, egli pi-glia in suo scambio l’orpello della menzogna. Soccorre-te con forti studi alla povertà manifesta e deplorabiledelle lettere italiane, per cancellare sulla fronte dellaChiesa e della patria nostra quella svergognata calunniache fu loro impressa da perfidi nemici e avvalorata daimprovidi difensori. Non udite le millanterie insolentidegl’increduti e degli eretici, che gridano il nome di cat-tolico esser sinonimo di barbaro e d’ignorante? che sivantano di essere i soli cultori e conservatori della civil-tà e di ogni buona dottrina? che non solo disdicono (sco-noscenti!) all’Italia ogni sorta di moral maggioranza, mal’escludono quasi dal novero dei paesi eruditi e gentili?che la chiamano per istrazio la patria dei preti e dei fra-ti? Mostrate, per Dio, che si può esser prete e frate senzatemere la burbanza laicale, o straniera, e che i chiostriitaliani, onde uscì la luce dissipatrice della notte barbari-ca in tutta Europa, possono di nuovo illustrarla fra le ca-ligini di un falso incivilimento, e disingannare coloroche pigliano pel sole australe nel suo meriggio le aurorenotturne e ingannevoli che spuntano da settentrione1.

Della dignità clericale.

Ho parlato sinora partitamente delle due classi, in cui

1 Cfr. a questo riguardo le «Lodi del chiericato italiano» nel Proemio dellaIntroduz. allo studio della filos., vol. I, pag. 71 (Firenze, 1847).

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buon successo la falsa scienza regnante ai dì nostri, sen-za diffondere la vera, perchè il secolo è avido di dottri-na, e quando l’oro della verità non gli è mostro, egli pi-glia in suo scambio l’orpello della menzogna. Soccorre-te con forti studi alla povertà manifesta e deplorabiledelle lettere italiane, per cancellare sulla fronte dellaChiesa e della patria nostra quella svergognata calunniache fu loro impressa da perfidi nemici e avvalorata daimprovidi difensori. Non udite le millanterie insolentidegl’increduti e degli eretici, che gridano il nome di cat-tolico esser sinonimo di barbaro e d’ignorante? che sivantano di essere i soli cultori e conservatori della civil-tà e di ogni buona dottrina? che non solo disdicono (sco-noscenti!) all’Italia ogni sorta di moral maggioranza, mal’escludono quasi dal novero dei paesi eruditi e gentili?che la chiamano per istrazio la patria dei preti e dei fra-ti? Mostrate, per Dio, che si può esser prete e frate senzatemere la burbanza laicale, o straniera, e che i chiostriitaliani, onde uscì la luce dissipatrice della notte barbari-ca in tutta Europa, possono di nuovo illustrarla fra le ca-ligini di un falso incivilimento, e disingannare coloroche pigliano pel sole australe nel suo meriggio le aurorenotturne e ingannevoli che spuntano da settentrione1.

Della dignità clericale.

Ho parlato sinora partitamente delle due classi, in cui

1 Cfr. a questo riguardo le «Lodi del chiericato italiano» nel Proemio dellaIntroduz. allo studio della filos., vol. I, pag. 71 (Firenze, 1847).

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si dividono gli uomini di chiesa; ma vi sono alcune av-vertenze, che riguardano egualmente tutto il chiericato,sia che partecipi al secolo, sia che meni la vita appartatadel chiostro. Imperocchè la pietà, lo zelo e la stessa dot-trina non giovano, o poco, se non vengono accompagna-te dalla moderazione e dalla prudenza, che sono quasi ilcondimento delle altre virtù, necessario per renderle gu-stevoli e confacenti, e la misura che insieme le unisce edaccorda con armonico temperamento. Mediante questedue parti, gli ecclesiastici eviteranno persino l’ombra diciò che può renderli spregevoli e ridicoli, ovvero odiosie formidabili. Il dispregio nasce per ordinario dalla viltàe dalla grettezza, che non possono mai cadere in chimantiene il decoro del proprio grado, qualunque siasi, esa distinguere l’umiltà e la modestia dalla rimessionedell’animo e dalla bassezza. Quanto il chierico dee sen-tire umilmente di sè medesimo, tanto è in obbligo di sti-mare altamente quei titoli divini ond’è investito, di met-terli altrui in riverenza e di non permettere che sianogiammai profanati; i quali son di tal sorta, ch’egli nonha da arrossir di sè stesso in presenza dei nobili e deigrandi, e può tenere la fronte alta, anche al cospetto deire. Niuno, certo, è più obbligato degli ecclesiastici a ri-verire chi regna, sia per non dare altrui occasione di ca-lunniarli, sia perchè spetta a loro il precedere e avanzarei laici in ogni buon esempio, sia, infine, perchè niuno èpiù in caso di conoscere e apprezzare quel raggio divinoche splende sulla fronte dell’uomo investito da Dio dellasomma potenza. Ma niuno è altresì più in debito di esser

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si dividono gli uomini di chiesa; ma vi sono alcune av-vertenze, che riguardano egualmente tutto il chiericato,sia che partecipi al secolo, sia che meni la vita appartatadel chiostro. Imperocchè la pietà, lo zelo e la stessa dot-trina non giovano, o poco, se non vengono accompagna-te dalla moderazione e dalla prudenza, che sono quasi ilcondimento delle altre virtù, necessario per renderle gu-stevoli e confacenti, e la misura che insieme le unisce edaccorda con armonico temperamento. Mediante questedue parti, gli ecclesiastici eviteranno persino l’ombra diciò che può renderli spregevoli e ridicoli, ovvero odiosie formidabili. Il dispregio nasce per ordinario dalla viltàe dalla grettezza, che non possono mai cadere in chimantiene il decoro del proprio grado, qualunque siasi, esa distinguere l’umiltà e la modestia dalla rimessionedell’animo e dalla bassezza. Quanto il chierico dee sen-tire umilmente di sè medesimo, tanto è in obbligo di sti-mare altamente quei titoli divini ond’è investito, di met-terli altrui in riverenza e di non permettere che sianogiammai profanati; i quali son di tal sorta, ch’egli nonha da arrossir di sè stesso in presenza dei nobili e deigrandi, e può tenere la fronte alta, anche al cospetto deire. Niuno, certo, è più obbligato degli ecclesiastici a ri-verire chi regna, sia per non dare altrui occasione di ca-lunniarli, sia perchè spetta a loro il precedere e avanzarei laici in ogni buon esempio, sia, infine, perchè niuno èpiù in caso di conoscere e apprezzare quel raggio divinoche splende sulla fronte dell’uomo investito da Dio dellasomma potenza. Ma niuno è altresì più in debito di esser

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franco e veritiero al cospetto di esso, e di rimuoveredall’ossequio che gli rende, ogni sembiante di timore, diviltà, di adulazione. Nei tempi addietro v’era tal paese incui il prete di umile nazione era spesso zimbello degliuomini privilegiati, e veniva agevolmente calpestato dacoloro che tutto potevano, benchè essi pretendesseroalle loro opere un gran rispetto verso la Chiesa e la reli-gione1. Non so quanto questo procedere fosse dignitosoe conforme alla qualità di gentiluomo, e ai principii chesi ostentavano; ma, certo, se ne dovevano incolpare, nontanto gli autori, quanto quelli a cui riguardava; imperoc-chè egli sta in mano di ciascuno, salvo che sia schiavo oaddetto alla gleba, il non essere bistrattato, o almeno iltogliere a chi trascorre in questa parte l’occasione dellarecidiva. Quanto i privilegi civili, per cui in alcune con-trade il chierico si distingue dagli altri cittadini, riesconoodiosi e nocciono alla religione in cambio di giovarle,tanto importa ch’egli ottenga dai privati e dal pubblicoquella riverenza che è dovuta al suo grado, e che a que-sto non si alzino gl’inetti a procacciarsela. E una dellecose che più contribuiscono al decoro ecclesiastico, èappunto la rispettosa, ma austera franchezza nel parlareai potenti; la quale essendo ita oggi in disuso, non è me-raviglia se mancò con essa quella dignità che ne tornainseparabile. Imperocchè, se si guarda al modo con cui

1 Chi voglia sapere in che pregio si tenessero i preti dagli antichi nobili delPiemonte, e come quei poveri preti fossero intelligenti e teneri del propriodecoro, legga la satira alfieriana, che incomincia con questo verso:

«Signor maestro, siete voi da messa?» [G.].

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franco e veritiero al cospetto di esso, e di rimuoveredall’ossequio che gli rende, ogni sembiante di timore, diviltà, di adulazione. Nei tempi addietro v’era tal paese incui il prete di umile nazione era spesso zimbello degliuomini privilegiati, e veniva agevolmente calpestato dacoloro che tutto potevano, benchè essi pretendesseroalle loro opere un gran rispetto verso la Chiesa e la reli-gione1. Non so quanto questo procedere fosse dignitosoe conforme alla qualità di gentiluomo, e ai principii chesi ostentavano; ma, certo, se ne dovevano incolpare, nontanto gli autori, quanto quelli a cui riguardava; imperoc-chè egli sta in mano di ciascuno, salvo che sia schiavo oaddetto alla gleba, il non essere bistrattato, o almeno iltogliere a chi trascorre in questa parte l’occasione dellarecidiva. Quanto i privilegi civili, per cui in alcune con-trade il chierico si distingue dagli altri cittadini, riesconoodiosi e nocciono alla religione in cambio di giovarle,tanto importa ch’egli ottenga dai privati e dal pubblicoquella riverenza che è dovuta al suo grado, e che a que-sto non si alzino gl’inetti a procacciarsela. E una dellecose che più contribuiscono al decoro ecclesiastico, èappunto la rispettosa, ma austera franchezza nel parlareai potenti; la quale essendo ita oggi in disuso, non è me-raviglia se mancò con essa quella dignità che ne tornainseparabile. Imperocchè, se si guarda al modo con cui

1 Chi voglia sapere in che pregio si tenessero i preti dagli antichi nobili delPiemonte, e come quei poveri preti fossero intelligenti e teneri del propriodecoro, legga la satira alfieriana, che incomincia con questo verso:

«Signor maestro, siete voi da messa?» [G.].

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predicano e compliscono e corteggiano alcuni di alto edi basso affare, si potrebbe credere che il decalogo e lepene minacciate a’ suoi trasgressori siano roba solamen-te pei sudditi. Diresti oggimai che la divina giustizia nonriguardi i grandi, nè i principi, e che loro all’incontro siainfeudato il paradiso; dal che s’inferisce ragionevolmen-te che in qualunque modo si portino, sono irreprensibili,o almeno più scusabili dei privati e dei popoli. Ma talnon è la dottrina del divino Spirito; la quale anzi insegnaespressamente il contrario, e lo corrobora con tremendeminacce1. E se chi è lungi dal trono dee interpretare be-nignamcnte le intenzioni e giudicare rimessamente leazioni illodevoli dei governanti, come toccammo di so-pra, questo non è già il caso di chi vive in corte, e tam-poco dei chierici, a cui una rigida severità verso chi co-manda è strettamente ingiunta. Così almeno si usava difare in quel secoli che oggi sogliono essere più lodati,che imitati.

Gli ecclesiastici debbono guardarsi cautamentedall’impicciolire o avvilire le cose della religione.

Si obbietta che i popoli moderni son men grandi degli antichi.Risposta.

Queste considerazioni riguardano il contegno e i por-tamenti del clero in universale; ma ve ne sono alcune

1 Il capitolo sesto nel Savio dovrebbe essere il manuale dei principi e di chipratica in corte. Che terribili minacce a chi regna! E che autorevole disin-ganno a coloro che citano le parole: per me reges regnant, senza ricordarsidi quelle che vengono appresso! [G.].

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predicano e compliscono e corteggiano alcuni di alto edi basso affare, si potrebbe credere che il decalogo e lepene minacciate a’ suoi trasgressori siano roba solamen-te pei sudditi. Diresti oggimai che la divina giustizia nonriguardi i grandi, nè i principi, e che loro all’incontro siainfeudato il paradiso; dal che s’inferisce ragionevolmen-te che in qualunque modo si portino, sono irreprensibili,o almeno più scusabili dei privati e dei popoli. Ma talnon è la dottrina del divino Spirito; la quale anzi insegnaespressamente il contrario, e lo corrobora con tremendeminacce1. E se chi è lungi dal trono dee interpretare be-nignamcnte le intenzioni e giudicare rimessamente leazioni illodevoli dei governanti, come toccammo di so-pra, questo non è già il caso di chi vive in corte, e tam-poco dei chierici, a cui una rigida severità verso chi co-manda è strettamente ingiunta. Così almeno si usava difare in quel secoli che oggi sogliono essere più lodati,che imitati.

Gli ecclesiastici debbono guardarsi cautamentedall’impicciolire o avvilire le cose della religione.

Si obbietta che i popoli moderni son men grandi degli antichi.Risposta.

Queste considerazioni riguardano il contegno e i por-tamenti del clero in universale; ma ve ne sono alcune

1 Il capitolo sesto nel Savio dovrebbe essere il manuale dei principi e di chipratica in corte. Che terribili minacce a chi regna! E che autorevole disin-ganno a coloro che citano le parole: per me reges regnant, senza ricordarsidi quelle che vengono appresso! [G.].

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che toccano in ispecie la maniera in cui s’insegna e sipratica la religione, e il sacro ministerio si esercita. Lareligione non può riuscire agli uomini credibile e vene-randa, se non è proposta e praticata in modo consenta-neo alla sua grandezza; imperocchè i più giudicano dellasostanza di una dottrina dal suo sembiante, e la veritànon ha su di essi alcuna forza, se non in quanto è benrappresentata e posta nel miglior riguardo possibile diprospettiva. Privilegio certo ammirabile del Cristianesi-mo è la sua singolare attitudine a farsi, quando occorre,piccolo coi piccoli, attemperandosi a ogni qualità e gra-do d’ingegno e di cultura, senza mutare intrinsecamentela sua sostanza; tanto che Dante e un idiota possono delpari trovarvi a compimento, non solo il pascolo e il con-forto, ma il diletto di cui gli animi loro, egualmente im-mortali, abbisognano. Il qual privilegio della nostra fedevuol trapassare proporzionatamente ne’ suoi ministri,che debbono farsi tutto a tutti, accomodandosi alla natu-ra di ciascheduno; e, certo, in niuno si trova così emi-nentemente espresso, come nel chiericato legittimo. Maquesta pieghevolezza della religione non vuol essereusata a sproposito; e quando si parla in generale agli uo-mini civili dal pergamo o coi libri, non si dee adoperarequel medesimo linguaggio che sta bene favellando coifanciulli o coi barbari. Il che pur fanno certuni, impic-ciolendo le verità della fede nel modo di esprimerle, edirei quasi di atteggiarle e metterle innanzi agli occhi, edetraendo alla maestà del dogma e dei riti cattolici contali opinioni e pratiche accessorie, che possono esser

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che toccano in ispecie la maniera in cui s’insegna e sipratica la religione, e il sacro ministerio si esercita. Lareligione non può riuscire agli uomini credibile e vene-randa, se non è proposta e praticata in modo consenta-neo alla sua grandezza; imperocchè i più giudicano dellasostanza di una dottrina dal suo sembiante, e la veritànon ha su di essi alcuna forza, se non in quanto è benrappresentata e posta nel miglior riguardo possibile diprospettiva. Privilegio certo ammirabile del Cristianesi-mo è la sua singolare attitudine a farsi, quando occorre,piccolo coi piccoli, attemperandosi a ogni qualità e gra-do d’ingegno e di cultura, senza mutare intrinsecamentela sua sostanza; tanto che Dante e un idiota possono delpari trovarvi a compimento, non solo il pascolo e il con-forto, ma il diletto di cui gli animi loro, egualmente im-mortali, abbisognano. Il qual privilegio della nostra fedevuol trapassare proporzionatamente ne’ suoi ministri,che debbono farsi tutto a tutti, accomodandosi alla natu-ra di ciascheduno; e, certo, in niuno si trova così emi-nentemente espresso, come nel chiericato legittimo. Maquesta pieghevolezza della religione non vuol essereusata a sproposito; e quando si parla in generale agli uo-mini civili dal pergamo o coi libri, non si dee adoperarequel medesimo linguaggio che sta bene favellando coifanciulli o coi barbari. Il che pur fanno certuni, impic-ciolendo le verità della fede nel modo di esprimerle, edirei quasi di atteggiarle e metterle innanzi agli occhi, edetraendo alla maestà del dogma e dei riti cattolici contali opinioni e pratiche accessorie, che possono esser

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buone e innocenti in sè stesse, ma non tornano propor-zionate ai bisogni e all’indole di questo secolo. Il che dàtalvolta alla religione un aspetto meschino, puerile, su-perstizioso, ovvero un fare e un colore svenevole, sdol-cinato, languido, molle, e poco atto a metterla in consi-derazione degli uomini dediti agli studi e ai negozi ditraffico, di stato e di guerra. Tal non è certamente il pro-cedere della Chiesa; la quale, potendo a suo talento va-riare la disciplina, ha sempre l’occhio ad accordarla col-la natura dei luoghi e dei tempi, e vuole che una sempl-cità maestosa accompagni l’esposizione delle verità ri-velate e le pratiche del sacro culto. La propensione a in-debolire e abbassare le cose della fede nasce per ordina-rio dalla tempra di coloro che le trattano e predicano; esi dee assai meno imputare alle intenzioni, le quali sonospesso pie e lodevoli, che alle qualità naturali dell’inge-gno e dell’animo, non che all’educazione e alla consue-tudine. Ed essa si suol travasare negli spettatori e udito-ri; i quali, vedendo e ascoltando una religione sublime eforte debolmente espressa, trovano assai più spedito ilritrarre in sè stessi la fievolezza degli insegnatori, che ilnervo delle cose insegnate. Tal è lo stato a cui addiven-gono gl’instituti religiosi, quando, trascorsa la discipli-na, momentaneamente declinano. Il Machiavelli1, vissu-to in tempi corrottissimi, accusava il Cristianesimo diavere infiacchiti gli animi, e faceva per provar l’assuntoun sofisma, ripetuto da Giangiacomo Rousseau2 due se-1 Discorsi, II, 2.2 Du contr. soc., IV, 8.

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buone e innocenti in sè stesse, ma non tornano propor-zionate ai bisogni e all’indole di questo secolo. Il che dàtalvolta alla religione un aspetto meschino, puerile, su-perstizioso, ovvero un fare e un colore svenevole, sdol-cinato, languido, molle, e poco atto a metterla in consi-derazione degli uomini dediti agli studi e ai negozi ditraffico, di stato e di guerra. Tal non è certamente il pro-cedere della Chiesa; la quale, potendo a suo talento va-riare la disciplina, ha sempre l’occhio ad accordarla col-la natura dei luoghi e dei tempi, e vuole che una sempl-cità maestosa accompagni l’esposizione delle verità ri-velate e le pratiche del sacro culto. La propensione a in-debolire e abbassare le cose della fede nasce per ordina-rio dalla tempra di coloro che le trattano e predicano; esi dee assai meno imputare alle intenzioni, le quali sonospesso pie e lodevoli, che alle qualità naturali dell’inge-gno e dell’animo, non che all’educazione e alla consue-tudine. Ed essa si suol travasare negli spettatori e udito-ri; i quali, vedendo e ascoltando una religione sublime eforte debolmente espressa, trovano assai più spedito ilritrarre in sè stessi la fievolezza degli insegnatori, che ilnervo delle cose insegnate. Tal è lo stato a cui addiven-gono gl’instituti religiosi, quando, trascorsa la discipli-na, momentaneamente declinano. Il Machiavelli1, vissu-to in tempi corrottissimi, accusava il Cristianesimo diavere infiacchiti gli animi, e faceva per provar l’assuntoun sofisma, ripetuto da Giangiacomo Rousseau2 due se-1 Discorsi, II, 2.2 Du contr. soc., IV, 8.

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coli appresso fra una generazione di miscredenti, rinno-vellato sottosopra da un autor francese1 fra l’indifferen-za religiosa dell’età che corre, e copertamente accennatodal nostro grande ed infelice Leopardi in varii luoghidelle sue opere. Ma questi valentuomini non avvertonoche l’imputazione non concerne, nè può concernere lafede in sè stessa e il generale insegnamento o la praticadella Chiesa, ma solo il genio e le abitudini particolaridi certi luoghi e tempi. Imperocchè il vivere modernoessendo senza polso, sia per la nullità dell’educazioneprivata, sia perchè dilombata e languida naturalmente èla folla, quando non viene invigorita dal magisterodell’arte, tal riesce la religione nelle mani dei più; i qualiinvece di partecipare, come si vorrebbe, alla sua gagliar-dia, le comunicano pur troppo in apparenza la debilitàpropria. Il che non dee far meraviglia; perchè, se bene ilCristianesimo offra a tutti i suoi lumi, e la divina virtù,che ne seconda gl’influssi, valga a transumanare anco ipiù deboli, purchè l’accolgano volonterosi, ciò non ac-cade sempre, per colpa degli uomini; fra i quali il buononon è frequente, e l’ottimo è straordinario. Quella formadi vita che esprime la perfezione evangelica nella suapienezza, è come l’ardua cima di un monte altissimo,proposta e possibile a tutti i viatori, ma a cui pochi han-no lena e coraggio di poggiar faticando. Non e perciò dastupire se il Cristianesimo non trasforma la maggior par-te degli uomini in modo proporzionato alla propria ec-

1 SALVADOR, Jésus-Christ et sa doctr., Paris, 1838, tomo I, pagg. 356-357.

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coli appresso fra una generazione di miscredenti, rinno-vellato sottosopra da un autor francese1 fra l’indifferen-za religiosa dell’età che corre, e copertamente accennatodal nostro grande ed infelice Leopardi in varii luoghidelle sue opere. Ma questi valentuomini non avvertonoche l’imputazione non concerne, nè può concernere lafede in sè stessa e il generale insegnamento o la praticadella Chiesa, ma solo il genio e le abitudini particolaridi certi luoghi e tempi. Imperocchè il vivere modernoessendo senza polso, sia per la nullità dell’educazioneprivata, sia perchè dilombata e languida naturalmente èla folla, quando non viene invigorita dal magisterodell’arte, tal riesce la religione nelle mani dei più; i qualiinvece di partecipare, come si vorrebbe, alla sua gagliar-dia, le comunicano pur troppo in apparenza la debilitàpropria. Il che non dee far meraviglia; perchè, se bene ilCristianesimo offra a tutti i suoi lumi, e la divina virtù,che ne seconda gl’influssi, valga a transumanare anco ipiù deboli, purchè l’accolgano volonterosi, ciò non ac-cade sempre, per colpa degli uomini; fra i quali il buononon è frequente, e l’ottimo è straordinario. Quella formadi vita che esprime la perfezione evangelica nella suapienezza, è come l’ardua cima di un monte altissimo,proposta e possibile a tutti i viatori, ma a cui pochi han-no lena e coraggio di poggiar faticando. Non e perciò dastupire se il Cristianesimo non trasforma la maggior par-te degli uomini in modo proporzionato alla propria ec-

1 SALVADOR, Jésus-Christ et sa doctr., Paris, 1838, tomo I, pagg. 356-357.

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cellenze; e si mostra anzi, come il suo fondatore, indul-gentissimo e benigno, discendendo alla parvità loro,senza richiedere da tutti lo stesso grado di virtù e di per-fezione. Il che non fu avvertito da coloro che, parago-nando alcuni popoli antichi e pagani coi moderni, e tro-vando presso i primi una magnanimità di fatti e di senti-menti rara o sconosciuta fra gli ultimi, accusano il Cri-stianesimo di tal differenza, in vece di ripeterla dal variocomponimento delle nazioni. Lascio stare che molteazioni, massime degli antichi, riputate grandi, nol sono,e la ragion sola basta a renderne chiari; perciocchèl’innato istinto dell’orgoglio, che vive in tutti, ma piùnegli animi magni e riccamente forniti dalla natura,c’inclina a scambiare nei sensi, nei detti e nelle opere,non meno altrui che nostre, ciò che è tumido e superbo,e talvolta anco ingiusto, colla vera grandezza. Certo,niuno sforzo di dialettica e di facondia potrà dimostrarebuone e lodevoli le gloriose carnificine di Alessandro, ilparricidio politico di Marco Bruto, e il suicidio stoicodell’ultimo Catone1, comechè tali opere sieno da moltiriputate grandi, e vengano inorpellate nella immagina-zione di chi legge dalle qualità veramente rare e sublimidei loro autori.

Egli è tuttavia indubitato che presso gli antichi rifulgeuna virtù civile, degna di alto encomio e quasi ignota aidì nostri; ma quali ne furono i possessori? Le moltitudi-

1 Cfr. riguardo al suicidio di Catone le belle pagine di F. D’OVIDIO in Il Pur-gatorio e il suo preludio, Milano, 1906, pag. 106 e segg. LATTANZIO (Instit.divin., IV, 18, 8) riconosceva in Catone il culmine della saggezza romana.

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cellenze; e si mostra anzi, come il suo fondatore, indul-gentissimo e benigno, discendendo alla parvità loro,senza richiedere da tutti lo stesso grado di virtù e di per-fezione. Il che non fu avvertito da coloro che, parago-nando alcuni popoli antichi e pagani coi moderni, e tro-vando presso i primi una magnanimità di fatti e di senti-menti rara o sconosciuta fra gli ultimi, accusano il Cri-stianesimo di tal differenza, in vece di ripeterla dal variocomponimento delle nazioni. Lascio stare che molteazioni, massime degli antichi, riputate grandi, nol sono,e la ragion sola basta a renderne chiari; perciocchèl’innato istinto dell’orgoglio, che vive in tutti, ma piùnegli animi magni e riccamente forniti dalla natura,c’inclina a scambiare nei sensi, nei detti e nelle opere,non meno altrui che nostre, ciò che è tumido e superbo,e talvolta anco ingiusto, colla vera grandezza. Certo,niuno sforzo di dialettica e di facondia potrà dimostrarebuone e lodevoli le gloriose carnificine di Alessandro, ilparricidio politico di Marco Bruto, e il suicidio stoicodell’ultimo Catone1, comechè tali opere sieno da moltiriputate grandi, e vengano inorpellate nella immagina-zione di chi legge dalle qualità veramente rare e sublimidei loro autori.

Egli è tuttavia indubitato che presso gli antichi rifulgeuna virtù civile, degna di alto encomio e quasi ignota aidì nostri; ma quali ne furono i possessori? Le moltitudi-

1 Cfr. riguardo al suicidio di Catone le belle pagine di F. D’OVIDIO in Il Pur-gatorio e il suo preludio, Milano, 1906, pag. 106 e segg. LATTANZIO (Instit.divin., IV, 18, 8) riconosceva in Catone il culmine della saggezza romana.

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ni forse? No, sicuramente; ma solo certe piccole aristi-crazie, quali erano gli uomini che avevano in pugno lefaccende pubbliche di Roma e di Sparta, ed erano unaparte minima della nazione; e tuttavia di loro soli la sto-ria si occupa un po’ largamente. I corpi aristocratici,quando fioriscono, sono naturalmente inclinati ai pen-sieri e alle opere di cittadina grandezza; sovratutto quan-do una forte educazione ve gli ha disposti e connaturatifin dagli anni teneri, come accadeva ai gentiluomini di-sciplinati sotto i severi ordini di Romolo e di Licurgo.Ma se avessimo una storia un po’ minuta della plebe la-tina e lacedemone, e specialmente degli schiavi romanie degl’Iloti, vogliam credere che ci troveremmo quellasublimità di spiriti che risplende nelle pagine di Plutarcoe di Livio? Privilegio della società cristiana è l’avereabolita quella peste della schiavitù, e nobilitata, almenomoralmente e religiosamente, la plebe, insegnando ainobili che il loro sangue non è di un carato più fino eprezioso che quello degli altri uomini, e che solo chisente il contrario, fra i popoli battezzati, è degno di esse-re chiamato e tenuto per ignobile d’animo e di dottrina.La Chiesa adunque, essendo una società universale, chenon riconosce disparità di nascita e di fortuna ne’ suoifigliuoli, e, non che vergognarsi, si onora di aprire il ma-terno suo seno ai poveri, ai rozzi, agl’idioti, ai derelittidi ogni maniera, non dee poter reggere al confronto del-le elette e scarse aristocrazie del Lazio e della Laconia,rispetto a quelle doti civili che di special cultura e disci-plina abbisognano. Gli uomini sommi in ogni genere

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ni forse? No, sicuramente; ma solo certe piccole aristi-crazie, quali erano gli uomini che avevano in pugno lefaccende pubbliche di Roma e di Sparta, ed erano unaparte minima della nazione; e tuttavia di loro soli la sto-ria si occupa un po’ largamente. I corpi aristocratici,quando fioriscono, sono naturalmente inclinati ai pen-sieri e alle opere di cittadina grandezza; sovratutto quan-do una forte educazione ve gli ha disposti e connaturatifin dagli anni teneri, come accadeva ai gentiluomini di-sciplinati sotto i severi ordini di Romolo e di Licurgo.Ma se avessimo una storia un po’ minuta della plebe la-tina e lacedemone, e specialmente degli schiavi romanie degl’Iloti, vogliam credere che ci troveremmo quellasublimità di spiriti che risplende nelle pagine di Plutarcoe di Livio? Privilegio della società cristiana è l’avereabolita quella peste della schiavitù, e nobilitata, almenomoralmente e religiosamente, la plebe, insegnando ainobili che il loro sangue non è di un carato più fino eprezioso che quello degli altri uomini, e che solo chisente il contrario, fra i popoli battezzati, è degno di esse-re chiamato e tenuto per ignobile d’animo e di dottrina.La Chiesa adunque, essendo una società universale, chenon riconosce disparità di nascita e di fortuna ne’ suoifigliuoli, e, non che vergognarsi, si onora di aprire il ma-terno suo seno ai poveri, ai rozzi, agl’idioti, ai derelittidi ogni maniera, non dee poter reggere al confronto del-le elette e scarse aristocrazie del Lazio e della Laconia,rispetto a quelle doti civili che di special cultura e disci-plina abbisognano. Gli uomini sommi in ogni genere

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non mancano alla repubblica cristiana; ma sono spessooccultati dalla fortuna, spesso si celano da lor medesimi;e quando le loro opere gli disascondono e mettono inmostra, essendo misti ad una moltitudine di piccoli omediocri, e per una lunga tratta di età e di contrade dis-seminati, fanno un quadro a prima vista meno grandiosoed appariscente di quello che risulterebbe dalle virtùmedesime insieme condensate e in piccol giro ristrette.La modestia ed umiltà cristiana stendono un velo tem-porario e terreno sopra un gran numero di virtù straordi-narie, che per la loro finezza vincono di gran lunga lequalità ed azioni più lodate e celebrate della gentilità an-tica. Quanti eroi cristiani nei campi, nei tuguri, negliospizi, nelle umili officine, che vivono e muoiono ignotia tutti, salvochè a quel Dio che si compiace in essi,come nella parte più cara ed eletta delle sue opere!Quanti generosi sacrifici, quanti lenti martìri operati esostenuti con sovrumana costanza e rassegnazione, nonsolo da uomini, ma da volgari donnicciuole, da poverezitelle, alle quali mancano persino lo stimolo e il ritegnodel mondano onore e dell’educazione, e solo soccorrel’interna guida di Colui che può suscitar dalle pietre fi-gliuoli ad Abramo!1 E che meraviglia, se la virtù cristia-na è sovente nascosta agli occhi del mondo o passa inos-

1 Il Gioberti usò pure questa frase biblica in una sua lettera del 9 aprile 1841al Massari, di cui l’autografo si trova nel Museo del Risorgimento di Mila-no: «Gli Italiani sono una massa di volontà scompigliate, da cui potrebbetrar qualcosa solamente colui che può cavar dalle pietre dei figliuoli adAbramo» (Cfr. G. BALSAMO-CRIVELLI, Il carteggio Gioberti-Massari, Tori-no, 1919, pag. 83).

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non mancano alla repubblica cristiana; ma sono spessooccultati dalla fortuna, spesso si celano da lor medesimi;e quando le loro opere gli disascondono e mettono inmostra, essendo misti ad una moltitudine di piccoli omediocri, e per una lunga tratta di età e di contrade dis-seminati, fanno un quadro a prima vista meno grandiosoed appariscente di quello che risulterebbe dalle virtùmedesime insieme condensate e in piccol giro ristrette.La modestia ed umiltà cristiana stendono un velo tem-porario e terreno sopra un gran numero di virtù straordi-narie, che per la loro finezza vincono di gran lunga lequalità ed azioni più lodate e celebrate della gentilità an-tica. Quanti eroi cristiani nei campi, nei tuguri, negliospizi, nelle umili officine, che vivono e muoiono ignotia tutti, salvochè a quel Dio che si compiace in essi,come nella parte più cara ed eletta delle sue opere!Quanti generosi sacrifici, quanti lenti martìri operati esostenuti con sovrumana costanza e rassegnazione, nonsolo da uomini, ma da volgari donnicciuole, da poverezitelle, alle quali mancano persino lo stimolo e il ritegnodel mondano onore e dell’educazione, e solo soccorrel’interna guida di Colui che può suscitar dalle pietre fi-gliuoli ad Abramo!1 E che meraviglia, se la virtù cristia-na è sovente nascosta agli occhi del mondo o passa inos-

1 Il Gioberti usò pure questa frase biblica in una sua lettera del 9 aprile 1841al Massari, di cui l’autografo si trova nel Museo del Risorgimento di Mila-no: «Gli Italiani sono una massa di volontà scompigliate, da cui potrebbetrar qualcosa solamente colui che può cavar dalle pietre dei figliuoli adAbramo» (Cfr. G. BALSAMO-CRIVELLI, Il carteggio Gioberti-Massari, Tori-no, 1919, pag. 83).

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servata, quando è persino sconosciuta a sè medesima, esuol sentir tanto meno altamente di sè, quanto è piùgrande e più eccellente? Certo, uno degli spettacoli piùsublimi di quel giorno in cui le ragioni di tutti gli uomi-ni verranno rivedute pubblicamente nel gran fôro delladivina giustizia, sarà la comparsa della virtù occulta onegletta, spregiata, calpestata dal secolo; la quale, emer-gendo dal suo umile ripostiglio, rifulgerà inaspettata nelconsenso universale degli spiriti, come la terra uscì dalletenebre, quando ad un cenno dell’Onnipotente sfolgoròla luce, e dilagò in un attimo lo spazio immenso. Maquella piccola parte dell’eroismo evangelico che appari-sce nelle nostre povere storie, basta pure all’onor dellaChiesa, e non teme il paragone dell’antichità più famo-sa. Io non trovo negli annali antichi o moderni alcun fat-to umano che in bellezza e sublimità morale agguagliquello del monaco Telemaco1, mártire della carità cri-stiana; il quale con eroica baldanza protestò in pubblicocontro gli atroci trastulli dell’anfiteatro, e fu causa che siabolissero, ma spirò nell’atto medesimo del suo magna-nimo ardimento sotto i colpi del popolo infuriato. Qual è

1 San Telemaco, monaco e martire dell’Asia, rinomato per aver fatto cessareil combattimento dei gladiatori in Roma, di che venne canonizzato. Nel404 dell’era cristiana egli scese nell’arena e tentò separare i gladiatoricombattenti fra di loro. Gli spettatori indignati lo lapidarono ma l’impera-tore Onorio lo proclamò martire ed abolì poco di poi gli spettacoli gladia-torii. Si revoca però in dubbio questo avvenimento perchè nel Codice Teo-dosiano non occorre verun editto di Onorio che vieti simili combattimenti,ma già Costantino aveva promulgato siffatto editto e non vi ha prova chevi fssero ludi gladiatorii dopo quel periodo. V. SCHRÖCKH, Christliche Kir-chengeschichte (vol. VII, pag. 254, ecc.).

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servata, quando è persino sconosciuta a sè medesima, esuol sentir tanto meno altamente di sè, quanto è piùgrande e più eccellente? Certo, uno degli spettacoli piùsublimi di quel giorno in cui le ragioni di tutti gli uomi-ni verranno rivedute pubblicamente nel gran fôro delladivina giustizia, sarà la comparsa della virtù occulta onegletta, spregiata, calpestata dal secolo; la quale, emer-gendo dal suo umile ripostiglio, rifulgerà inaspettata nelconsenso universale degli spiriti, come la terra uscì dalletenebre, quando ad un cenno dell’Onnipotente sfolgoròla luce, e dilagò in un attimo lo spazio immenso. Maquella piccola parte dell’eroismo evangelico che appari-sce nelle nostre povere storie, basta pure all’onor dellaChiesa, e non teme il paragone dell’antichità più famo-sa. Io non trovo negli annali antichi o moderni alcun fat-to umano che in bellezza e sublimità morale agguagliquello del monaco Telemaco1, mártire della carità cri-stiana; il quale con eroica baldanza protestò in pubblicocontro gli atroci trastulli dell’anfiteatro, e fu causa che siabolissero, ma spirò nell’atto medesimo del suo magna-nimo ardimento sotto i colpi del popolo infuriato. Qual è

1 San Telemaco, monaco e martire dell’Asia, rinomato per aver fatto cessareil combattimento dei gladiatori in Roma, di che venne canonizzato. Nel404 dell’era cristiana egli scese nell’arena e tentò separare i gladiatoricombattenti fra di loro. Gli spettatori indignati lo lapidarono ma l’impera-tore Onorio lo proclamò martire ed abolì poco di poi gli spettacoli gladia-torii. Si revoca però in dubbio questo avvenimento perchè nel Codice Teo-dosiano non occorre verun editto di Onorio che vieti simili combattimenti,ma già Costantino aveva promulgato siffatto editto e non vi ha prova chevi fssero ludi gladiatorii dopo quel periodo. V. SCHRÖCKH, Christliche Kir-chengeschichte (vol. VII, pag. 254, ecc.).

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l’uomo plutarchiano che per costanza di animo, altezzad’ingegno, grandezza di opere, energia e, direi quasi,fierezza di genio e fortunosità di vicende, pareggi ilgrande Atanasio?1 Roma e la Grecia nei migliori tempiebbero forse un nemico dei tiranni, e un difensor deglioppressi più intrepido e costante di Tommaso, arcive-scovo di Conturbia, che suggellò con eroica morte unlungo martirio sofferto a pro dei diritti ecclesiastici, edei miseri Sassoni, suoi nazionali, conculcati dal vinci-tore?2 Il Crisostomo, creatore di un’eloquenza patetica esoave, non seppe altresì, occorrendo, vibrare i fulmini diDemostene, e imitarne l’intrepida franchezza sinoall’ultimo spirito, senza le macchie della sua vita? Qualriformatore pagano può stare a petto di Carlo Borromeoe di papa Ildebrando? quale agitatore di popoli a difesadel giusto e del santo può competere in potenza conBernardo di Chiaravalle? E che umiltà decorosa, con-giunta a un ingegno divino, e squisita e moltiforme sa-pienza, risplende in Agostino, principe dei teologi e deifilosofi cristiani! che dolce moderazione ed equabilità dianimo e di vita in Filippo Neri e in Francesco Salesio!che sviscerata tenerezza, non molle, non ciarliera, noninerte, ma tacita e indefessa operatrice di benefiche me-

1 Cfr. la nota del capitolo “Critica del Gallicanismo” del volume primo.2 S. Tommaso da Cantorbery (Becket Tommaso), prelato inglese, n. a Lon-

dra nel 1117. Fatto arcivescovo di Cantorbery si rese esoso ad Arrigo IId’Inghilterra col difendere vivamente la giurisdizione ecclesiastica. Fu as-sassinato appiè dell’altare da quattro gentiluomini di quel re, che volevaessere liberato, come egli diceva, da quel prete fazioso. Alessandro III locanonizzò nel 1173.

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l’uomo plutarchiano che per costanza di animo, altezzad’ingegno, grandezza di opere, energia e, direi quasi,fierezza di genio e fortunosità di vicende, pareggi ilgrande Atanasio?1 Roma e la Grecia nei migliori tempiebbero forse un nemico dei tiranni, e un difensor deglioppressi più intrepido e costante di Tommaso, arcive-scovo di Conturbia, che suggellò con eroica morte unlungo martirio sofferto a pro dei diritti ecclesiastici, edei miseri Sassoni, suoi nazionali, conculcati dal vinci-tore?2 Il Crisostomo, creatore di un’eloquenza patetica esoave, non seppe altresì, occorrendo, vibrare i fulmini diDemostene, e imitarne l’intrepida franchezza sinoall’ultimo spirito, senza le macchie della sua vita? Qualriformatore pagano può stare a petto di Carlo Borromeoe di papa Ildebrando? quale agitatore di popoli a difesadel giusto e del santo può competere in potenza conBernardo di Chiaravalle? E che umiltà decorosa, con-giunta a un ingegno divino, e squisita e moltiforme sa-pienza, risplende in Agostino, principe dei teologi e deifilosofi cristiani! che dolce moderazione ed equabilità dianimo e di vita in Filippo Neri e in Francesco Salesio!che sviscerata tenerezza, non molle, non ciarliera, noninerte, ma tacita e indefessa operatrice di benefiche me-

1 Cfr. la nota del capitolo “Critica del Gallicanismo” del volume primo.2 S. Tommaso da Cantorbery (Becket Tommaso), prelato inglese, n. a Lon-

dra nel 1117. Fatto arcivescovo di Cantorbery si rese esoso ad Arrigo IId’Inghilterra col difendere vivamente la giurisdizione ecclesiastica. Fu as-sassinato appiè dell’altare da quattro gentiluomini di quel re, che volevaessere liberato, come egli diceva, da quel prete fazioso. Alessandro III locanonizzò nel 1173.

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raviglie, in Giovanni di Dio, in Giovanni di Mata1 e inVincenzo de’ Paoli2 che magnanimità di spiriti, che au-dacia di concetti e che prudenza di esecuzione, in Bene-detto, in Domenico, in Ignazio, e nel più illustre de’ suoidiscepoli! e, finalmente, che semplicità popolana, mapur bella e grande, di affetti e di opere, in Francesco diAssisi, che è il più amabile, il più poetico e il più italia-no de’ nostri santi! Ciascuno di questi sommi espressequella forma di morale eccellenza che conveniva al suogenio e al secolo in cui visse; giacchè la virtù, una in sèstessa, si diversifica e contempera alle condizioni estrin-seche ed accidentali che l’accompagnano, tanto più age-volmente, quanto più è rara ed eccede la misura comu-ne. E se dagli uomini dotati di quella sovrana perfezioneche meritò loro la gloria degli altari, si discende a quelliche furono illustri per virtù civile, ma sublimata da piùnobili influssi, benchè talvolta annebbiata dall’umanadebolezza o dalla barbarie dei tempi, la religione non hapure da vergognarsene, o da temere il paragone degliantichi. Per qual cagione, verbigrazia, Carlomagno in1 Noti sono i nomi del santi che precedono (S. Bernardo, S. Agostino, il Cri-

sostomo S. Carlo Borromeo, ecc.). Meno noti forse quelli di questi due ul-timi. Giovanni di Dio è il fondatore dell’ordine dei Benefratelli. Nacque aMonte-Môr-el-Novo in Portogallo nel 1515, morì nel 1550. (Cfr. GOUVEA,Vide y muerte del B. P. Juan de Dios, Madrid, 1672). Giovanni da Mathafondò l’ordine del Trinitari che dal nome del loro istitutore furono anchedetti in Francia Mathaurins. Nacque a Faucon in Provenza nel 1161, morìnel 1213. Vedi Bollario Romano (tomo III, «Innocenzo III», dell’edizionetorinese di Franco e Dalmazzo).

2 Vincenzo de Paoli, n. a Ranquires nel 1576, morì nel 1660. Fondò la Con-gregazione delle Missioni, l’istituzione delle Suore di Carità, ecc. Cfr.VEUILLOT, Etude sur S. V. de P., Mans, 1854.

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raviglie, in Giovanni di Dio, in Giovanni di Mata1 e inVincenzo de’ Paoli2 che magnanimità di spiriti, che au-dacia di concetti e che prudenza di esecuzione, in Bene-detto, in Domenico, in Ignazio, e nel più illustre de’ suoidiscepoli! e, finalmente, che semplicità popolana, mapur bella e grande, di affetti e di opere, in Francesco diAssisi, che è il più amabile, il più poetico e il più italia-no de’ nostri santi! Ciascuno di questi sommi espressequella forma di morale eccellenza che conveniva al suogenio e al secolo in cui visse; giacchè la virtù, una in sèstessa, si diversifica e contempera alle condizioni estrin-seche ed accidentali che l’accompagnano, tanto più age-volmente, quanto più è rara ed eccede la misura comu-ne. E se dagli uomini dotati di quella sovrana perfezioneche meritò loro la gloria degli altari, si discende a quelliche furono illustri per virtù civile, ma sublimata da piùnobili influssi, benchè talvolta annebbiata dall’umanadebolezza o dalla barbarie dei tempi, la religione non hapure da vergognarsene, o da temere il paragone degliantichi. Per qual cagione, verbigrazia, Carlomagno in1 Noti sono i nomi del santi che precedono (S. Bernardo, S. Agostino, il Cri-

sostomo S. Carlo Borromeo, ecc.). Meno noti forse quelli di questi due ul-timi. Giovanni di Dio è il fondatore dell’ordine dei Benefratelli. Nacque aMonte-Môr-el-Novo in Portogallo nel 1515, morì nel 1550. (Cfr. GOUVEA,Vide y muerte del B. P. Juan de Dios, Madrid, 1672). Giovanni da Mathafondò l’ordine del Trinitari che dal nome del loro istitutore furono anchedetti in Francia Mathaurins. Nacque a Faucon in Provenza nel 1161, morìnel 1213. Vedi Bollario Romano (tomo III, «Innocenzo III», dell’edizionetorinese di Franco e Dalmazzo).

2 Vincenzo de Paoli, n. a Ranquires nel 1576, morì nel 1660. Fondò la Con-gregazione delle Missioni, l’istituzione delle Suore di Carità, ecc. Cfr.VEUILLOT, Etude sur S. V. de P., Mans, 1854.

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Francia, il grande Otone in Germania, e Alfredo in In-ghilterra sovrastanno di gran lunga a tutti i principi delloro tempo, se non per l’aureola religiosa che li circon-da? E se il fregio della fede e della pietà cristiana estollegli uomini che già sono naturalmente grandi, come sipuò vedere nel medio evo; il difetto di quelle nuoce ainomi più segnalati dell’età moderna. Niuno, per esem-pio vorrà negare che Federigo di Prussia e Napoleone,sommi come guerrieri, siano spesso paruti assai minoridi sè medesimi come principi, e il primo eziando comeuomo privato; dove che, se i lor pregi naturali fosserostati cumulati da quell’ornamento che transumana i suoipossessori, essi avrebbero senz’alcun fallo superata lapropria fama, e la fortuna miracolosa dell’ultimo non sisarebbe ecclissata nelle ruine. Il che è pur vero degli uo-mini insigni nelle lettere, nelle scienze e in ogni ramodell’umana cultura; dove la compita bontà non può rin-venirsi senza il divino suggello del Cristianesimo. Maquesta materia per essere ben trattata vorrebbe un lungoragionamento.

Della tolleranza cristiana.Perchè nei tempi addietro violata in alcuni paesi.

Tali violazioni non si possono imputare alla Chiesa cattolica.

Tornando al mio proposito, dico che sta in mano degliuomini religiosi, e specialmente dei chierici, il mostrarecol loro esempio ai lodatori dell’antichità gentilesca,quanto s’ingannino a credere che le influenze evangeli-che siano meno atte delle pagane ad aggrandire e ad

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Francia, il grande Otone in Germania, e Alfredo in In-ghilterra sovrastanno di gran lunga a tutti i principi delloro tempo, se non per l’aureola religiosa che li circon-da? E se il fregio della fede e della pietà cristiana estollegli uomini che già sono naturalmente grandi, come sipuò vedere nel medio evo; il difetto di quelle nuoce ainomi più segnalati dell’età moderna. Niuno, per esem-pio vorrà negare che Federigo di Prussia e Napoleone,sommi come guerrieri, siano spesso paruti assai minoridi sè medesimi come principi, e il primo eziando comeuomo privato; dove che, se i lor pregi naturali fosserostati cumulati da quell’ornamento che transumana i suoipossessori, essi avrebbero senz’alcun fallo superata lapropria fama, e la fortuna miracolosa dell’ultimo non sisarebbe ecclissata nelle ruine. Il che è pur vero degli uo-mini insigni nelle lettere, nelle scienze e in ogni ramodell’umana cultura; dove la compita bontà non può rin-venirsi senza il divino suggello del Cristianesimo. Maquesta materia per essere ben trattata vorrebbe un lungoragionamento.

Della tolleranza cristiana.Perchè nei tempi addietro violata in alcuni paesi.

Tali violazioni non si possono imputare alla Chiesa cattolica.

Tornando al mio proposito, dico che sta in mano degliuomini religiosi, e specialmente dei chierici, il mostrarecol loro esempio ai lodatori dell’antichità gentilesca,quanto s’ingannino a credere che le influenze evangeli-che siano meno atte delle pagane ad aggrandire e ad

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esaltare anche civilmente l’umana natura. Al quale ef-fetto si richiede, oltre la maggior parte delle qualità si-nora discorse, l’evitar con gran cura nelle parole, neiportamenti e nelle opere, non solo ciò che mostra unanimo debole ed angusto, e può eccitare l’altrui disprez-zo; ma eziandio ciò che rende spiacevole, formidabileed esoso; e con tanto più studio, quanto l’essere avuto inodio è peggio ancora che il venir deriso e vilipeso.Odioso fanno altrui, e meritamente, la mondana ambi-zione, la cupidigia del denaro, e l’intolleranza, figliuoladel fanatismo; tre pesti che sono in tutti degne di gravebiasimo, ma nei ministri del santuario meritevoli di vitu-perio. Crederei di fare ingiuria alla specchiata bontà delclero italiano, apponendogli pur l’ombra di un’ambizio-ne colpevole, o di quel vizio che fece deporre a Cristo lasua usata mansuetudine, e stringere la sferza onde cac-ciare i profanatori dal tempio. Ma egli accade talvoltache i buoni non si guardino punto dall’apparenza di talicolpe; credendo lecito il broglio e lo studio dell’arricchi-re, quando vengono indirizzati a buon fine, e non a pro-prio diletto e vantaggio. Errore gravissimo, perchè chivede le opere non sa o non crede l’intenzione lodevoleche le muove; nè la bontà di questa può legittimare queimezzi che non si addicono alla santità e purezza del gra-do sacerdotale. Spetta per questa parte ai rispettivi go-verni il sopravigilare le azioni dei chierici, e l’impedirecon savie leggi severamente eseguite quegli abusi a cuiuno zelo sconsigliato può talvolta condurre. E ciò spes-so non è pure richiesto ad ottenere l’intento, bastando a

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esaltare anche civilmente l’umana natura. Al quale ef-fetto si richiede, oltre la maggior parte delle qualità si-nora discorse, l’evitar con gran cura nelle parole, neiportamenti e nelle opere, non solo ciò che mostra unanimo debole ed angusto, e può eccitare l’altrui disprez-zo; ma eziandio ciò che rende spiacevole, formidabileed esoso; e con tanto più studio, quanto l’essere avuto inodio è peggio ancora che il venir deriso e vilipeso.Odioso fanno altrui, e meritamente, la mondana ambi-zione, la cupidigia del denaro, e l’intolleranza, figliuoladel fanatismo; tre pesti che sono in tutti degne di gravebiasimo, ma nei ministri del santuario meritevoli di vitu-perio. Crederei di fare ingiuria alla specchiata bontà delclero italiano, apponendogli pur l’ombra di un’ambizio-ne colpevole, o di quel vizio che fece deporre a Cristo lasua usata mansuetudine, e stringere la sferza onde cac-ciare i profanatori dal tempio. Ma egli accade talvoltache i buoni non si guardino punto dall’apparenza di talicolpe; credendo lecito il broglio e lo studio dell’arricchi-re, quando vengono indirizzati a buon fine, e non a pro-prio diletto e vantaggio. Errore gravissimo, perchè chivede le opere non sa o non crede l’intenzione lodevoleche le muove; nè la bontà di questa può legittimare queimezzi che non si addicono alla santità e purezza del gra-do sacerdotale. Spetta per questa parte ai rispettivi go-verni il sopravigilare le azioni dei chierici, e l’impedirecon savie leggi severamente eseguite quegli abusi a cuiuno zelo sconsigliato può talvolta condurre. E ciò spes-so non è pure richiesto ad ottenere l’intento, bastando a

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tal effetto il rimettere in vigore i canoni ecclesiastici; iquali hanno minutamente provveduto a quanto si ricercaper isterpare certi disordini che ora pur troppo in alcuniluoghi rivivono. Imperocchè, quando il freno si allentaper questa parte, si trovano sempre certi uomini buoni,ma inetti, i quali, credendosi abilissimi, pongono manoa salvare la società e la Chiesa con tali spedienti e performa, che non potrebbero far migliore elezione quandocoi più fieri e implacabili nemici di quelle si consiglias-sero. Ma il più deplorabile effetto dello zelo che non èsecondo la scienza, è l’intolleranza; intendendo sottoquesto nome l’uso di combatter l’errore, pigliando dimira la persona degli erranti. La tolleranza cristiana, percontro, non solo induce ad amarli con quella vera ed ef-ficace dilezione che arde nel cuore, e nelle opere sì ma-nifesta, ma eziandio a sfuggire, per ricondurli al vero,quelle vie che sono inette di lor natura a ingenerare lapersuasione, e rendono la fede odiosa e spiacevole.L’usanza invalsa nel medio evo di applicare agli errorile pene temporali fu pur troppo approvata da alcuni uo-mini di pietà e dottrina ricchissimi, perchè di rado in-contra che la bontà e la scienza anco eminenti soprastia-no per ogni verso alle preoccupazioni del secolo in cuisi vive. Ma benchè questa consuetudine, ripugnante aiprimi principii e al genio essenziale del Cristianesimo,non si possa giustificare in sè medesima, egli è facile ilmostrare come allora regnasse e molti ottimi seducesse.Imperocchè, il cattolicismo essendo la legge universaledi Europa a quei tempi, e compenetrando la società civi-

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tal effetto il rimettere in vigore i canoni ecclesiastici; iquali hanno minutamente provveduto a quanto si ricercaper isterpare certi disordini che ora pur troppo in alcuniluoghi rivivono. Imperocchè, quando il freno si allentaper questa parte, si trovano sempre certi uomini buoni,ma inetti, i quali, credendosi abilissimi, pongono manoa salvare la società e la Chiesa con tali spedienti e performa, che non potrebbero far migliore elezione quandocoi più fieri e implacabili nemici di quelle si consiglias-sero. Ma il più deplorabile effetto dello zelo che non èsecondo la scienza, è l’intolleranza; intendendo sottoquesto nome l’uso di combatter l’errore, pigliando dimira la persona degli erranti. La tolleranza cristiana, percontro, non solo induce ad amarli con quella vera ed ef-ficace dilezione che arde nel cuore, e nelle opere sì ma-nifesta, ma eziandio a sfuggire, per ricondurli al vero,quelle vie che sono inette di lor natura a ingenerare lapersuasione, e rendono la fede odiosa e spiacevole.L’usanza invalsa nel medio evo di applicare agli errorile pene temporali fu pur troppo approvata da alcuni uo-mini di pietà e dottrina ricchissimi, perchè di rado in-contra che la bontà e la scienza anco eminenti soprastia-no per ogni verso alle preoccupazioni del secolo in cuisi vive. Ma benchè questa consuetudine, ripugnante aiprimi principii e al genio essenziale del Cristianesimo,non si possa giustificare in sè medesima, egli è facile ilmostrare come allora regnasse e molti ottimi seducesse.Imperocchè, il cattolicismo essendo la legge universaledi Europa a quei tempi, e compenetrando la società civi-

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le di cui era il principio, l’ anima, la regola e la guardia,potea inferirsene di leggieri che l’eresia, ripugnando di-rettamente alla fede, fosse eziandio un delitto verso loStato, un atto di ribellione contro l’autorità suprema, equindi un fallo punibile civilmente, come la violazionedei temporali statuti rogati per opera del magistrato odel principe. Paralogismo1 specioso, ma radicalmentefalso; imperocchè l’unione della Chiesa e dello stato,per quanto sia stretta, non dee mai indurre a mescere econfondere le due giurisdizioni, nè a trasferire gli ordinidella comunità temporale in quel giro di cose che alconsorzio spirituale solamente appartengono. Onde, an-che quando il primato civile del pontefice fioriva e vigo-reggiava in tutto il mondo cristiano sotto la forma delladittatura, esso veniva quasi sempre esercitato, non giàcolla forza e colle armi, come i decreti dei dominanti,ma coll’autorità morale della religione e del suo capo, ecol libero consenso dei popoli che loro ubbidivano.L’eresia, quando per la sua natura e pe’ suoi effetti im-mediati non esce dai termini di un delitto spirituale, nonpuò essere castigata da pene di un altro genere, ancorchèla Chiesa sia allo stato congiunta; imperocchè la qualitàdel castigo non vuol essere misurata da quella del giudi-ce, ma bensì dalla condizione delle colpe che si punisco-no. Ora, l’imporre una pena, atta solo a frenare, median-te il timore, l’opera esterna, alle trasgressioni che versa-no in un’azione interiore (cioè nella rivolta dello spirito

1 Raziocinio falso benchè in apparenza vero.

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le di cui era il principio, l’ anima, la regola e la guardia,potea inferirsene di leggieri che l’eresia, ripugnando di-rettamente alla fede, fosse eziandio un delitto verso loStato, un atto di ribellione contro l’autorità suprema, equindi un fallo punibile civilmente, come la violazionedei temporali statuti rogati per opera del magistrato odel principe. Paralogismo1 specioso, ma radicalmentefalso; imperocchè l’unione della Chiesa e dello stato,per quanto sia stretta, non dee mai indurre a mescere econfondere le due giurisdizioni, nè a trasferire gli ordinidella comunità temporale in quel giro di cose che alconsorzio spirituale solamente appartengono. Onde, an-che quando il primato civile del pontefice fioriva e vigo-reggiava in tutto il mondo cristiano sotto la forma delladittatura, esso veniva quasi sempre esercitato, non giàcolla forza e colle armi, come i decreti dei dominanti,ma coll’autorità morale della religione e del suo capo, ecol libero consenso dei popoli che loro ubbidivano.L’eresia, quando per la sua natura e pe’ suoi effetti im-mediati non esce dai termini di un delitto spirituale, nonpuò essere castigata da pene di un altro genere, ancorchèla Chiesa sia allo stato congiunta; imperocchè la qualitàdel castigo non vuol essere misurata da quella del giudi-ce, ma bensì dalla condizione delle colpe che si punisco-no. Ora, l’imporre una pena, atta solo a frenare, median-te il timore, l’opera esterna, alle trasgressioni che versa-no in un’azione interiore (cioè nella rivolta dello spirito

1 Raziocinio falso benchè in apparenza vero.

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contro il vero e l’autorità spirituale che lo promulga), èuna confusione di cose disparatissime, e così poco ra-gionevole, come l’ingiungere una punizione meramenteecclesiastica ai civili misfatti. Oltre che, il legislatore edil giudice non possono in tal caso procacciarsi quellanotizia sicura della reità morale del delinquente, la qualea statuir la pena ed applicarla è richiesta; giacchè il soloscrutatore de’ cuori può conoscere le intime disposizionidello spirito e pesare tal qualità di traviamenti. Egli è in-dubitato che l’eretico, come anche l’infedele, può talvol-ta errare a buona fede; e che l’educazione, l’usanza,l’esempio, le condizioni della vita esteriore, mille fortui-ti accidenti, e persino la tempra intellettuale dell’indivi-duo, possono diminuire notabilmente l’imputabilità mo-rale delle false dottrine da lui professate. Le quali ragio-ni non sono applicabili, almeno nello stesso grado, aidelitti civili; perchè questi sono sempre peccati di vo-lontà, e l’errore può essere un peccato dell’intelletto so-lamente. E sebbene anche in ordine ai primi falli, eglitorni impossibile lo stabilire una proporzione esatta frail reato e la punizione, tuttavia si può affermare con si-curezza che, salvo il caso di follia o delirio, l’omicida, illadro, il calunniatore, sono sempre gravemente colpevo-li; dove che questa certezza è spesso impossibile o diffi-cilissima intorno agli errori dottrinali. Lascio stare chel’intromissione del codice penale, proprio del fôro ester-no, nel campo dei pensieri e delle opinioni, tende a mu-tar la fede in ipocrisia, e a farla inimicare e abborrire,non solo dagli estrani, ma spesso eziandio da coloro che

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contro il vero e l’autorità spirituale che lo promulga), èuna confusione di cose disparatissime, e così poco ra-gionevole, come l’ingiungere una punizione meramenteecclesiastica ai civili misfatti. Oltre che, il legislatore edil giudice non possono in tal caso procacciarsi quellanotizia sicura della reità morale del delinquente, la qualea statuir la pena ed applicarla è richiesta; giacchè il soloscrutatore de’ cuori può conoscere le intime disposizionidello spirito e pesare tal qualità di traviamenti. Egli è in-dubitato che l’eretico, come anche l’infedele, può talvol-ta errare a buona fede; e che l’educazione, l’usanza,l’esempio, le condizioni della vita esteriore, mille fortui-ti accidenti, e persino la tempra intellettuale dell’indivi-duo, possono diminuire notabilmente l’imputabilità mo-rale delle false dottrine da lui professate. Le quali ragio-ni non sono applicabili, almeno nello stesso grado, aidelitti civili; perchè questi sono sempre peccati di vo-lontà, e l’errore può essere un peccato dell’intelletto so-lamente. E sebbene anche in ordine ai primi falli, eglitorni impossibile lo stabilire una proporzione esatta frail reato e la punizione, tuttavia si può affermare con si-curezza che, salvo il caso di follia o delirio, l’omicida, illadro, il calunniatore, sono sempre gravemente colpevo-li; dove che questa certezza è spesso impossibile o diffi-cilissima intorno agli errori dottrinali. Lascio stare chel’intromissione del codice penale, proprio del fôro ester-no, nel campo dei pensieri e delle opinioni, tende a mu-tar la fede in ipocrisia, e a farla inimicare e abborrire,non solo dagli estrani, ma spesso eziandio da coloro che

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dianzi la professavano o non erano alieni dall’abbrac-ciarla. Ma dico di più, che non si consegue nemmeno loscopo proposto, e non si riesce a spegnere l’errore, nè adimpedire la sua propagazione; imperocchè è uno leggedella Providenza che quando si vuole patrocinare la fedecon mezzi indegni di essa e ripugnanti alla sua natura,non che ottener l’intento, si produce un effetto del tuttocontrario a quello che si desidera. La causa si è che intal caso la religione, offesa nella sua essenza dagli spe-dienti che si eleggono per difenderla e favorirla, cessa diessere, nelle mani di coloro che la trasfigurano, quelloche è, cioè l’opera di Dio, sovranamente credibile ed ef-ficace, e diventa un’ombra ingannevole, un meschino einutile figmento del capriccio e della immaginazione.Certo, i riti atroci degli Ammoniti, degli Aztechi e deiFasingari non si debbono riputare molto più alieni daglispiriti evangelici, che la professione religiosa dello scia-gurato Valverde1, allorchè inalberava e brandiva la croceper compiere un infame tradimcnto. La storia tutta con-ferma la verità di quanto io dico; imperocchè non si dàforse l’esempio di una sola persecuzione religiosa chenon sia stata, tosto o tardi, funesta alle buone credenze.Il supplizio di Giovanni Huss e di Girolamo da Praga2,

1 Vincenzo de Valverde, missionario spagnolo, n. a Oropeza, m. nel 1543.Seguì Pizarro al Perù e si segnalò per i suoi rigori fanatici verso gli India-ni. Ritornato in Spagna nel 1534 fu inviato di nuovo al Perù quattro annipiù tardi e vi fu massacrato dagli indigeni.

2 Intorno a G. Huss, l’eroe della nazione boema, vedi il recentissimo studiodi G. MARCO ROSSI in Bilychnis, VII, 7 e 8. Girolamo da Praga fu il più fa-moso fra i discepoli di Giovanni Huss. Fu arso il 1° giugno del 1416.

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dianzi la professavano o non erano alieni dall’abbrac-ciarla. Ma dico di più, che non si consegue nemmeno loscopo proposto, e non si riesce a spegnere l’errore, nè adimpedire la sua propagazione; imperocchè è uno leggedella Providenza che quando si vuole patrocinare la fedecon mezzi indegni di essa e ripugnanti alla sua natura,non che ottener l’intento, si produce un effetto del tuttocontrario a quello che si desidera. La causa si è che intal caso la religione, offesa nella sua essenza dagli spe-dienti che si eleggono per difenderla e favorirla, cessa diessere, nelle mani di coloro che la trasfigurano, quelloche è, cioè l’opera di Dio, sovranamente credibile ed ef-ficace, e diventa un’ombra ingannevole, un meschino einutile figmento del capriccio e della immaginazione.Certo, i riti atroci degli Ammoniti, degli Aztechi e deiFasingari non si debbono riputare molto più alieni daglispiriti evangelici, che la professione religiosa dello scia-gurato Valverde1, allorchè inalberava e brandiva la croceper compiere un infame tradimcnto. La storia tutta con-ferma la verità di quanto io dico; imperocchè non si dàforse l’esempio di una sola persecuzione religiosa chenon sia stata, tosto o tardi, funesta alle buone credenze.Il supplizio di Giovanni Huss e di Girolamo da Praga2,

1 Vincenzo de Valverde, missionario spagnolo, n. a Oropeza, m. nel 1543.Seguì Pizarro al Perù e si segnalò per i suoi rigori fanatici verso gli India-ni. Ritornato in Spagna nel 1534 fu inviato di nuovo al Perù quattro annipiù tardi e vi fu massacrato dagli indigeni.

2 Intorno a G. Huss, l’eroe della nazione boema, vedi il recentissimo studiodi G. MARCO ROSSI in Bilychnis, VII, 7 e 8. Girolamo da Praga fu il più fa-moso fra i discepoli di Giovanni Huss. Fu arso il 1° giugno del 1416.

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imputabile principalmente all’imperator Sigismondo,preparò ed accelerò lo scisma di Lutero; e le ipocrite se-vizie di Ludovico quattordicesimo spianarono la via almiscredere del secolo succedente. La Spagna è al dìd’oggi assai meno cristiana della Francia, e più alienadal cattolicismo, che la scismatica Inghilterra. Ecco ache valse il martoriare gli uomini e arderli per convertir-li! Tra i Francesi medesimi la religione fiorisce assaimeglio presentemente, e i suoi ministri sono più venera-ti, che quando i Borboni della prima linea, sotto coloredi tutelare il santuario, volevano ingerirsi nelle coscien-ze. Se talvolta la forza riesce per qualche tempo a impe-dire un errore di manifestarsi, essa nol fa mai che apren-do l’adito a un altro errore più grande, e ne apparecchiail trionfo; come accadde a quegli Stati che con modiviolenti e sanguinosi cansarono l’eresia dei Protestanti,ma poco stante precipitarono nella empietà dei cattivi fi-losofi. Agli esempi particolari se ne può aggiungere unoassai generale; poichè fra gli abusi del medio evo, ondevenne causata nel secolo sedicesimo la scissura religiosadi Europa, non ultimo è stato lo zelo intollerante e fana-tico che macchiò talvolta le virtù ammirabili dei nostriantenati. Perciò nello stesso modo che la Providenzasuol permettere le eresie, gli scismi e le persecuzioniche travagliano la Chiesa, per battere gli uomini, peremendare i costumi e la disciplina trascorsa, si può con-ghietturare che abbia comportate le ingiurie e ferite gra-

L’umanista Poggio Bracciolini che assistè a tale supplizio lo descrisse inuna sua lettera indirizzata a Leonardo Aretino.

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imputabile principalmente all’imperator Sigismondo,preparò ed accelerò lo scisma di Lutero; e le ipocrite se-vizie di Ludovico quattordicesimo spianarono la via almiscredere del secolo succedente. La Spagna è al dìd’oggi assai meno cristiana della Francia, e più alienadal cattolicismo, che la scismatica Inghilterra. Ecco ache valse il martoriare gli uomini e arderli per convertir-li! Tra i Francesi medesimi la religione fiorisce assaimeglio presentemente, e i suoi ministri sono più venera-ti, che quando i Borboni della prima linea, sotto coloredi tutelare il santuario, volevano ingerirsi nelle coscien-ze. Se talvolta la forza riesce per qualche tempo a impe-dire un errore di manifestarsi, essa nol fa mai che apren-do l’adito a un altro errore più grande, e ne apparecchiail trionfo; come accadde a quegli Stati che con modiviolenti e sanguinosi cansarono l’eresia dei Protestanti,ma poco stante precipitarono nella empietà dei cattivi fi-losofi. Agli esempi particolari se ne può aggiungere unoassai generale; poichè fra gli abusi del medio evo, ondevenne causata nel secolo sedicesimo la scissura religiosadi Europa, non ultimo è stato lo zelo intollerante e fana-tico che macchiò talvolta le virtù ammirabili dei nostriantenati. Perciò nello stesso modo che la Providenzasuol permettere le eresie, gli scismi e le persecuzioniche travagliano la Chiesa, per battere gli uomini, peremendare i costumi e la disciplina trascorsa, si può con-ghietturare che abbia comportate le ingiurie e ferite gra-

L’umanista Poggio Bracciolini che assistè a tale supplizio lo descrisse inuna sua lettera indirizzata a Leonardo Aretino.

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vissime fatte al potere ieratico per nettarlo anche daquell’ombra di biasimo che ridondava alla rozzezza deitempi, e affinchè, ogni qual volta risorgesse in modoproporzionato alla nostra cultura e a pro dell’universale,a niuno possa cader nell’animo di ripristinare le usanzedell’abolita barbarie.

Non si vuol però credere che nel seno della Chiesasiano giammai venuti meno coloro che, contro l’invalsausanza di vessare e punire gli erranti, a viso aperto pro-testassero, e il divino esempio di Cristo e dei primi se-coli a questo proposito vivo mantenessero. L’opinioneche l’eresia per sè stessa (cioè quando non corrompe icostumi, nè turba direttamente lo stato) sia criminale nelfôro esterno, fu sempre lontanissima dall’avere in suofavore quel consenso unanime che contrasegna ciò che ècattolico nel giro delle idee e delle operazioni. E quandola suprema autorità della Chiesa ricorse ai mezzi coattivi(come, per esempio, riguardo agli Albigesi1), l’eresianon si ristringeva fra i limiti dell’error dottrinale, ma in-torbidava lo stato, e trascorreva alla violenza ed al san-gue; ond’era d’uopo infrenarla, non come errore specu-lativo, ma come fomite di delitti e di tumulti. E anche inquesti casi bisogna accuratamente distinguere gli ordi-namenti della potestà ecclesiastica dal procedere dei

1 Il nome di questi settarii i quali comparvero nel dodicesimo secolo nelleprovincie meridionali della Francia, derivò da Albiga o Albi, città in cui leloro dottrine vennero condannate da un Concilio nel 1176. Essi negavanola efficacia dei sacramenti e sopratutto l’autorità e gli istituti della Chiesaromana. Innocenzo III proclamò nel 1208 una crociata contro loro che fucapitanata da Simone di Montfort, morto all’assedio di Tolone nel 1218.

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vissime fatte al potere ieratico per nettarlo anche daquell’ombra di biasimo che ridondava alla rozzezza deitempi, e affinchè, ogni qual volta risorgesse in modoproporzionato alla nostra cultura e a pro dell’universale,a niuno possa cader nell’animo di ripristinare le usanzedell’abolita barbarie.

Non si vuol però credere che nel seno della Chiesasiano giammai venuti meno coloro che, contro l’invalsausanza di vessare e punire gli erranti, a viso aperto pro-testassero, e il divino esempio di Cristo e dei primi se-coli a questo proposito vivo mantenessero. L’opinioneche l’eresia per sè stessa (cioè quando non corrompe icostumi, nè turba direttamente lo stato) sia criminale nelfôro esterno, fu sempre lontanissima dall’avere in suofavore quel consenso unanime che contrasegna ciò che ècattolico nel giro delle idee e delle operazioni. E quandola suprema autorità della Chiesa ricorse ai mezzi coattivi(come, per esempio, riguardo agli Albigesi1), l’eresianon si ristringeva fra i limiti dell’error dottrinale, ma in-torbidava lo stato, e trascorreva alla violenza ed al san-gue; ond’era d’uopo infrenarla, non come errore specu-lativo, ma come fomite di delitti e di tumulti. E anche inquesti casi bisogna accuratamente distinguere gli ordi-namenti della potestà ecclesiastica dal procedere dei

1 Il nome di questi settarii i quali comparvero nel dodicesimo secolo nelleprovincie meridionali della Francia, derivò da Albiga o Albi, città in cui leloro dottrine vennero condannate da un Concilio nel 1176. Essi negavanola efficacia dei sacramenti e sopratutto l’autorità e gli istituti della Chiesaromana. Innocenzo III proclamò nel 1208 una crociata contro loro che fucapitanata da Simone di Montfort, morto all’assedio di Tolone nel 1218.

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loro esecutori, per non cader nel grave errore d’imputarea quella gli eccessi di questi; come fanno, esempigrazia(pur nel caso degli Albigesi) coloro che imputano al ma-gno Innocenzo o al santo e mitissimo Domenico1 le orri-bili e detestabili sevizie di Simone di Monforte. E sel’ordine dei Predicatori, tanto benemerito della Chiesa,non si può equamente accusare delle atrocità commessenel secolo decimoterzo, nè di quelle a cui in appressoporse talvolta la mano rendendosi sventuratamente com-plice in alcuni luoghi delle arti crudeli del principato; iGesuiti, non che approvare tali esorbitanze, se ne tenne-ro sempre nettissimi, e le condannarono col loro esem-pio. Non sono già io che porga questa lode ai Gesuiti,ma uno scrittore illustre, poco amico alla società loro; ilquale tuttavia confessa ch’essi non si discostarono maidalla dolcezza e dalla mansuetudine; che erano stro-menti di romana curia quali si convenivano ad una etàdotta e gentile, e che in ciò tanto maggior lode merita-no, quanto non solamente si conservarono immuni dallapersecuzione religiosa, ma s’ingegnarono anche coiloro consigli e credito di moderarne il furore nei paesiin cui ella più crudelmente infieriva2. E l’autorità deiGesuiti è qui tanto più forte, che da una parte l’erroreevitato da essi regnò ancora lungo tempo e presso moltidopo la fondazione del loro ordine; e dall’altra parte, il1 S. Domenico nella sciagurata guerra albigese non ebbe parte alcuna. Come

dichiararono le Cortes di Spagna nel 1812, nel loro rapporto sopra la In-quisizione, «all’eresia non oppose altra arma che la preghiera, la pazienzae la istruzione».

2 BOTTA, Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini, IV.

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loro esecutori, per non cader nel grave errore d’imputarea quella gli eccessi di questi; come fanno, esempigrazia(pur nel caso degli Albigesi) coloro che imputano al ma-gno Innocenzo o al santo e mitissimo Domenico1 le orri-bili e detestabili sevizie di Simone di Monforte. E sel’ordine dei Predicatori, tanto benemerito della Chiesa,non si può equamente accusare delle atrocità commessenel secolo decimoterzo, nè di quelle a cui in appressoporse talvolta la mano rendendosi sventuratamente com-plice in alcuni luoghi delle arti crudeli del principato; iGesuiti, non che approvare tali esorbitanze, se ne tenne-ro sempre nettissimi, e le condannarono col loro esem-pio. Non sono già io che porga questa lode ai Gesuiti,ma uno scrittore illustre, poco amico alla società loro; ilquale tuttavia confessa ch’essi non si discostarono maidalla dolcezza e dalla mansuetudine; che erano stro-menti di romana curia quali si convenivano ad una etàdotta e gentile, e che in ciò tanto maggior lode merita-no, quanto non solamente si conservarono immuni dallapersecuzione religiosa, ma s’ingegnarono anche coiloro consigli e credito di moderarne il furore nei paesiin cui ella più crudelmente infieriva2. E l’autorità deiGesuiti è qui tanto più forte, che da una parte l’erroreevitato da essi regnò ancora lungo tempo e presso moltidopo la fondazione del loro ordine; e dall’altra parte, il1 S. Domenico nella sciagurata guerra albigese non ebbe parte alcuna. Come

dichiararono le Cortes di Spagna nel 1812, nel loro rapporto sopra la In-quisizione, «all’eresia non oppose altra arma che la preghiera, la pazienzae la istruzione».

2 BOTTA, Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini, IV.

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precipuo scopo della società loro essendo la propaga-zion della fede, il contegno che tennero fu un espressodichiarare che i mezzi coattivi e violenti alla santità ditale scopo ripugnano. Potrei aggiungere a un testimoniodi tanto peso quello di molti scrittori; e segnatamente diun illustre prelato, dotto e moderatissimo, le cui parole aquesto proposito esprimono sottosopra l’opinionedell’episcopato francese1. Ma a che pro il cercare esem-pi di uomini e di Chiese particolari, quando si ha quellodi Roma e della Chiesa universale? Il citato storico os-serva che la santa sinodo di Trento, la quale tanto feceper mantenere incorrotta la fede e rialzare la scaduta di-

1 Il dotto e pio vescovo di Ermopoli esprime egregiamente l’indole della tol-leranza cristiana con queste poche parole: «Le zèle de la doctrine ne doitjamais altérer la charité; intolérante contre les erreurs, mais tolérante en-vers les personnes, telle est la relgion que nous aons le bonheur de profes-ser; tout ce qui a pu dans le cours des siècles s’écarter de ce double carac-tère de force d’un coté et de douceur de l’autre n’est pas venu de la reli-gion, mais des passions humaines» (FRASSYNOUS, Déf. Christ. on Conf. surla relig. Sur la tolérance). In un altro ragionamento egli giustifica la Chie-sa contro l’accusa di fanatismo, e discorre del termini naturali e ragionevo-li della tolleranza civile, entrando a discutere molti fatti che si sogliano ob-biettare ai cattolici in questo proposito, e specialmente quello dell’inquisi-zione (ibid., La religion vengée du reproche de fanatisme). Il discorso delprelato francese senza contenere nulla di squisito e recondito, è così pienodi senno e di moderazione (salvo forse qualche punto attenentesi alla storiafrancese, in cui l’amor della patria rese, a parer mio, troppo benigno il giu-dizio dello scrittore), che io vorrei poterlo qui riferire tutto quanto, se nonfosse troppo lungo per una nota. Vedi anche le considerazioni del Senacsul medesimo articolo (Le Christ. consid. dans ses rapports avec la civilis.mod., tomo II, pagg. 216-219). L’opera di questo scrittore è una delle piùassennate che siano uscite dal clero francese dell’età nostra, e sarebbe irre-prensibile, se alcune parti di essa non fossero inspirate da un soverchiogallicanismo [G.].

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precipuo scopo della società loro essendo la propaga-zion della fede, il contegno che tennero fu un espressodichiarare che i mezzi coattivi e violenti alla santità ditale scopo ripugnano. Potrei aggiungere a un testimoniodi tanto peso quello di molti scrittori; e segnatamente diun illustre prelato, dotto e moderatissimo, le cui parole aquesto proposito esprimono sottosopra l’opinionedell’episcopato francese1. Ma a che pro il cercare esem-pi di uomini e di Chiese particolari, quando si ha quellodi Roma e della Chiesa universale? Il citato storico os-serva che la santa sinodo di Trento, la quale tanto feceper mantenere incorrotta la fede e rialzare la scaduta di-

1 Il dotto e pio vescovo di Ermopoli esprime egregiamente l’indole della tol-leranza cristiana con queste poche parole: «Le zèle de la doctrine ne doitjamais altérer la charité; intolérante contre les erreurs, mais tolérante en-vers les personnes, telle est la relgion que nous aons le bonheur de profes-ser; tout ce qui a pu dans le cours des siècles s’écarter de ce double carac-tère de force d’un coté et de douceur de l’autre n’est pas venu de la reli-gion, mais des passions humaines» (FRASSYNOUS, Déf. Christ. on Conf. surla relig. Sur la tolérance). In un altro ragionamento egli giustifica la Chie-sa contro l’accusa di fanatismo, e discorre del termini naturali e ragionevo-li della tolleranza civile, entrando a discutere molti fatti che si sogliano ob-biettare ai cattolici in questo proposito, e specialmente quello dell’inquisi-zione (ibid., La religion vengée du reproche de fanatisme). Il discorso delprelato francese senza contenere nulla di squisito e recondito, è così pienodi senno e di moderazione (salvo forse qualche punto attenentesi alla storiafrancese, in cui l’amor della patria rese, a parer mio, troppo benigno il giu-dizio dello scrittore), che io vorrei poterlo qui riferire tutto quanto, se nonfosse troppo lungo per una nota. Vedi anche le considerazioni del Senacsul medesimo articolo (Le Christ. consid. dans ses rapports avec la civilis.mod., tomo II, pagg. 216-219). L’opera di questo scrittore è una delle piùassennate che siano uscite dal clero francese dell’età nostra, e sarebbe irre-prensibile, se alcune parti di essa non fossero inspirate da un soverchiogallicanismo [G.].

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sciplina ecclesiastica, è piena di precetti mansueti ri-guardo al modo di trattar cogli eretici; e che «anzi nellelettere convocatorie dei Concili, e segnatamente in quel-le di Paolo III per la convocazione di quel di Trento,sempre si esprimeva e si espresse che si condannasserogli errori, ma che si risparmiassero le persone, e che conloro si procedesse con ogni soavità»1. Roma è, ai dì no-stri, un asilo inviolabile di civil tolleranza, e un ricettoospiziale aperto a tutti gli uomini onorati, specialmentese miseri e scaduti, qualunque sia la setta a cui apparten-gono. E alla nostra memoria non si è veduto il padre deiCristiani resistere alle instanze imperiose e minaccevolidi un principe formidabile e trionfante, che strascinavagli altri potentati nelle sue collere col solo terrore delproprio nome, e rifiutar di chiudere gli aditi marittimi eterrestri degli stati ecclesiastici agli acattolici di Svezia,di Russia e d’Inghilterra?2 Ringraziamo Iddio di viverein un secolo in cui le massime massime della dolcezza emagnanimità evangelica son professate dai nostri gover-ni, e il vezzo di volgere i ceppi, l’esilio ed il ferro a stru-menti di conversione, vien lasciato alle inospiti lande ditramontana. E tanto più son da lodare i principi italiani,quanto che il numero dei dissidenti essendo piccolissi-mo nei loro stati, la tolleranza usata verso di quelli nonpuò muovere da timore o da politica, ma da sincero ri-spetto verso il principio sacrosanto della libertà delle co-scienze. Il che ci fa sperare non lontano Il giorno in cui1 BOTTA, Storia d’italia continuata da quella del Guicciardini, VII.2 BIGNON, Hist. de Fr. sous Napol., époq. 2, chap. 3.

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sciplina ecclesiastica, è piena di precetti mansueti ri-guardo al modo di trattar cogli eretici; e che «anzi nellelettere convocatorie dei Concili, e segnatamente in quel-le di Paolo III per la convocazione di quel di Trento,sempre si esprimeva e si espresse che si condannasserogli errori, ma che si risparmiassero le persone, e che conloro si procedesse con ogni soavità»1. Roma è, ai dì no-stri, un asilo inviolabile di civil tolleranza, e un ricettoospiziale aperto a tutti gli uomini onorati, specialmentese miseri e scaduti, qualunque sia la setta a cui apparten-gono. E alla nostra memoria non si è veduto il padre deiCristiani resistere alle instanze imperiose e minaccevolidi un principe formidabile e trionfante, che strascinavagli altri potentati nelle sue collere col solo terrore delproprio nome, e rifiutar di chiudere gli aditi marittimi eterrestri degli stati ecclesiastici agli acattolici di Svezia,di Russia e d’Inghilterra?2 Ringraziamo Iddio di viverein un secolo in cui le massime massime della dolcezza emagnanimità evangelica son professate dai nostri gover-ni, e il vezzo di volgere i ceppi, l’esilio ed il ferro a stru-menti di conversione, vien lasciato alle inospiti lande ditramontana. E tanto più son da lodare i principi italiani,quanto che il numero dei dissidenti essendo piccolissi-mo nei loro stati, la tolleranza usata verso di quelli nonpuò muovere da timore o da politica, ma da sincero ri-spetto verso il principio sacrosanto della libertà delle co-scienze. Il che ci fa sperare non lontano Il giorno in cui1 BOTTA, Storia d’italia continuata da quella del Guicciardini, VII.2 BIGNON, Hist. de Fr. sous Napol., époq. 2, chap. 3.

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il voto della umanità e della religione sarà pienamentesoddisfatto, e gl’Israeliti italiani potranno partecipare aidiritti civili degli altri cittadini1. Imperocchè, passato è iltempo in cui una brutale filosofia insultava quegl’infeli-ci, predicandoli incapaci ed indegni di godere i beni co-muni, mentre una bieca teologia (professata per buonaventura da pochi) voleva punire in essi la colpa dei loroantenati; quasi che nelle cose toccanti alla religione sialecito ai Cristiani il farsi ministri della divina giustizia,invece d’imitare quella misericorda che mosse il nostromodello a perdonare, morendo, e a pregare pe’ suoi per-cussori. Il modo più efficace per ricondurre all’ovile losmarrito Israele sta nell’esercitare verso di esso quellasquisita e generosa carità che è il marchio della nostralegge; e chiunque fa il contrario, ancorchè orpelli il suoprocedere con sofisme speciose di amore alla religione,o di equità e di utilità pubblica, può esser cristiano e cat-tolico di nome, ma appartiene di fatto agli ordini delgentilesimo. E quando la durezza da costoro insegnata omessa in pratica divolgesse dalla professione del veroun solo uomo che, trattato altrimenti, vi sarebbe agevol-mente condotto, essi dovranno renderne ragione a quelgiudice che non contempla i cavilli con cui i colpevoli

1 Vedi Intorno alla emancipazione degli Israeliti la Storia della RivoluzioneItaliana durante il periodo delle riforme, di AGOSTINO GORI, Firenze 1897,pagg. 317-328. Oltre il Gioberti ne patrocinarono la causa Massimo e Ro-berto d’Azeglio. Il primo dette fuori uno scritto, Della emancipazione civi-le degli Israeliti (Firenze, 1848) e l’altro promosse una supplica al re per-ché ai Valdesi e alli Israeliti delli Stati Sardi si accomunassero i diritti civi-li e lo sostennero i più dotti del clero subalpino e quattro Vescovi.

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il voto della umanità e della religione sarà pienamentesoddisfatto, e gl’Israeliti italiani potranno partecipare aidiritti civili degli altri cittadini1. Imperocchè, passato è iltempo in cui una brutale filosofia insultava quegl’infeli-ci, predicandoli incapaci ed indegni di godere i beni co-muni, mentre una bieca teologia (professata per buonaventura da pochi) voleva punire in essi la colpa dei loroantenati; quasi che nelle cose toccanti alla religione sialecito ai Cristiani il farsi ministri della divina giustizia,invece d’imitare quella misericorda che mosse il nostromodello a perdonare, morendo, e a pregare pe’ suoi per-cussori. Il modo più efficace per ricondurre all’ovile losmarrito Israele sta nell’esercitare verso di esso quellasquisita e generosa carità che è il marchio della nostralegge; e chiunque fa il contrario, ancorchè orpelli il suoprocedere con sofisme speciose di amore alla religione,o di equità e di utilità pubblica, può esser cristiano e cat-tolico di nome, ma appartiene di fatto agli ordini delgentilesimo. E quando la durezza da costoro insegnata omessa in pratica divolgesse dalla professione del veroun solo uomo che, trattato altrimenti, vi sarebbe agevol-mente condotto, essi dovranno renderne ragione a quelgiudice che non contempla i cavilli con cui i colpevoli

1 Vedi Intorno alla emancipazione degli Israeliti la Storia della RivoluzioneItaliana durante il periodo delle riforme, di AGOSTINO GORI, Firenze 1897,pagg. 317-328. Oltre il Gioberti ne patrocinarono la causa Massimo e Ro-berto d’Azeglio. Il primo dette fuori uno scritto, Della emancipazione civi-le degli Israeliti (Firenze, 1848) e l’altro promosse una supplica al re per-ché ai Valdesi e alli Israeliti delli Stati Sardi si accomunassero i diritti civi-li e lo sostennero i più dotti del clero subalpino e quattro Vescovi.

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vogliono coonestare i propri falli, se non per accrescernela punizione. Queste avvertenze sono egualmente appli-cabili ai buoni e generosi Valdesi, che la Chiesa subalpi-na desidera da tanto tempo di veder seco riuniti ed affra-tellati nel seno del comun padre. Anch’essi furono tal-volta crudelmente perseguitati; e giova a noi cattolici ilconfessarlo pubblicamente, acciò niuno c’incolpi diconnivenza cogli errori dei secoli scorsi; giova il ricor-darlo e ripeterlo a noi stessi, per animarci a riparare contanto più amore verso di quelli i torti dei nostri avi. Im-perocchè, se Cristo, nostro supremo esemplare, era piùsollecito della pecorella smarrita, che delle novantanoveposte in sicuro sul monte, a noi, eredi delle speranze edelle promesse, debbono esser cari principalmente colo-ro che hanno perduta la cognizione del vero, e per le ec-cellenti doti di natura sono degnissimi di riacquistarla.Tali sono, senza dubbio, i Valdesi, che ora quietano sot-to il mite dominio della casa di Savoia, desiderosa di ve-derli ricongiunti alla gran famiglia cattolica, ma abbor-rente da ogni mezzo che osti alla persuasione1. Del cheessa fece testè buon segno, commettendo l’opera apo-stolica ad un uomo che, uscito, come il Gerdil2, dal clero1 Cfr. intorno ai Valdesi la Histoire des Vaudois refaite d’après les plus ré-

centes recherches par TEOFILO GAY, Florence, 1912. Essi ottennero la loroemancipazione coll’editto promulgato da Carlo Alberto il 17 febbraio1848.

2 Giacinto Sigismondo Gerdil, cardinale, nato in Samöens nel Faussignj il1718, m. in Roma il 1802. Le sue opere furono stampate in Bologna inotto volumi nel 1791. Di queste la più importante è la Introduzione allostudio della Religione. Cfr. MODESTO PAROLETTI, Vite e ritratti di sessantapiemontesi illustri, Torino, 1824, XLVIII.

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vogliono coonestare i propri falli, se non per accrescernela punizione. Queste avvertenze sono egualmente appli-cabili ai buoni e generosi Valdesi, che la Chiesa subalpi-na desidera da tanto tempo di veder seco riuniti ed affra-tellati nel seno del comun padre. Anch’essi furono tal-volta crudelmente perseguitati; e giova a noi cattolici ilconfessarlo pubblicamente, acciò niuno c’incolpi diconnivenza cogli errori dei secoli scorsi; giova il ricor-darlo e ripeterlo a noi stessi, per animarci a riparare contanto più amore verso di quelli i torti dei nostri avi. Im-perocchè, se Cristo, nostro supremo esemplare, era piùsollecito della pecorella smarrita, che delle novantanoveposte in sicuro sul monte, a noi, eredi delle speranze edelle promesse, debbono esser cari principalmente colo-ro che hanno perduta la cognizione del vero, e per le ec-cellenti doti di natura sono degnissimi di riacquistarla.Tali sono, senza dubbio, i Valdesi, che ora quietano sot-to il mite dominio della casa di Savoia, desiderosa di ve-derli ricongiunti alla gran famiglia cattolica, ma abbor-rente da ogni mezzo che osti alla persuasione1. Del cheessa fece testè buon segno, commettendo l’opera apo-stolica ad un uomo che, uscito, come il Gerdil2, dal clero1 Cfr. intorno ai Valdesi la Histoire des Vaudois refaite d’après les plus ré-

centes recherches par TEOFILO GAY, Florence, 1912. Essi ottennero la loroemancipazione coll’editto promulgato da Carlo Alberto il 17 febbraio1848.

2 Giacinto Sigismondo Gerdil, cardinale, nato in Samöens nel Faussignj il1718, m. in Roma il 1802. Le sue opere furono stampate in Bologna inotto volumi nel 1791. Di queste la più importante è la Introduzione allostudio della Religione. Cfr. MODESTO PAROLETTI, Vite e ritratti di sessantapiemontesi illustri, Torino, 1824, XLVIII.

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allobrogo, eletto, come lui, a educar le speranze del tro-no piemontese e della nazione, ed esaltato all’apostolicosacerdozio, rinnova collo splendor dell’ingegno, con lamansuetudine e la generosità dell’animo e coll’ampiez-za della dottrina, gli esempi e le glorie del suo inclitocompatriota1. Questo pegno di amore dee da una parteassicurare i Valdesi, che sta a cuore dell’augusta fami-glia che li governa il compimento di ogni loro desiderio,e dall’altra parte inspira a noi una dolce fiducia che, ri-mossa ben tosto ogni disparità nelle cose di minor mo-mento, e ragguagliate le condizioni civili, sia per cessarecol tempo il religioso dissidio che ci divide da una partecosì nobile e preziosa dei nostri fratelli2.

Della dolcezza, prudenza e riserva clericalenel disputare e nel conversare.

La virtù cristiana della tolleranza spetta in modo par-ticolare a quella porzione de’ chierici che ha sortitol’ufficio d’insegnare e difendere la religione. Imperoc-chè, se altri non usa una vigilanza grande, l’ingenita su-perbia e corruzione dell’animo si mesce agli affetti ealle risoluzioni più commendevoli, e sovratutto allo zelocontro l’errore, inducendo chi parla o scrive a scambiarle persone colle opinioni, a imputare la volontà degli

1 Allude a M. A. Charvaz, vescovo di Pinerolo, intorno al quale si veda lacommemorazione di F. Sclopis in Atti della Acc. delle Scienze di Torino,VI. 240-253.

2 Oltre queste righe il Gioberti scrisse ancora a favore della emancipazionedei Valdesi un articolo sul giornale La Concordia di Torino del 7 gennaio1848.

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allobrogo, eletto, come lui, a educar le speranze del tro-no piemontese e della nazione, ed esaltato all’apostolicosacerdozio, rinnova collo splendor dell’ingegno, con lamansuetudine e la generosità dell’animo e coll’ampiez-za della dottrina, gli esempi e le glorie del suo inclitocompatriota1. Questo pegno di amore dee da una parteassicurare i Valdesi, che sta a cuore dell’augusta fami-glia che li governa il compimento di ogni loro desiderio,e dall’altra parte inspira a noi una dolce fiducia che, ri-mossa ben tosto ogni disparità nelle cose di minor mo-mento, e ragguagliate le condizioni civili, sia per cessarecol tempo il religioso dissidio che ci divide da una partecosì nobile e preziosa dei nostri fratelli2.

Della dolcezza, prudenza e riserva clericalenel disputare e nel conversare.

La virtù cristiana della tolleranza spetta in modo par-ticolare a quella porzione de’ chierici che ha sortitol’ufficio d’insegnare e difendere la religione. Imperoc-chè, se altri non usa una vigilanza grande, l’ingenita su-perbia e corruzione dell’animo si mesce agli affetti ealle risoluzioni più commendevoli, e sovratutto allo zelocontro l’errore, inducendo chi parla o scrive a scambiarle persone colle opinioni, a imputare la volontà degli

1 Allude a M. A. Charvaz, vescovo di Pinerolo, intorno al quale si veda lacommemorazione di F. Sclopis in Atti della Acc. delle Scienze di Torino,VI. 240-253.

2 Oltre queste righe il Gioberti scrisse ancora a favore della emancipazionedei Valdesi un articolo sul giornale La Concordia di Torino del 7 gennaio1848.

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sbagli che possono procedere soltanto dall’intelletto, asupporre che l’inganno della mente escluda sempre, e dinecessità, la buona fede e la rettitudine, a penetrar nelsantuario inviolabile della vita privata e della coscienza,e, insomma, a prevaricare gli uffici, non solo della caritàe della generosità. ma del decoro e della giustizia. Laqual consuetudine è biasimevole in ciascuno, ma dete-stabile nel ministri di un Dio di pace e di benevolenza,predicanti la sua legge; e spesso è anche dannosa, per-chè, oltre all’esacerbar gli avversari, ridonda presso glispiriti deboli in disdoro e disavanzo della causa che sidifende. Non è perciò vietato a chi scrive il combatterel’errore con quella veemenza che si richiede, e lo sma-scherare, occorrendo, l’ignoranza, l’insufficienza, lapresunzione di chi l’insegna. Egli è lecito tal volta il ri-correre ai motteggi ed ai sali per pungere salutevolmen-te e far arrossire gli avversari; tal altra una santa colleraè opportuna per conquiderli, attutarli e impedire che isemplici siano sedotti dai loro sofismi; imperocchè lebuone ragioni esposte rimessamente non persuadonouna buona parte dei lettori, avvezza a giudicare del valo-re di quelle, non tanto dalla sostanza, quanto dal modocon cui si porgono. Ma si dee sempre aver l’occhio a pe-rorare ed inveire in modo, che quanto tocca, dirò così, lapersona letteraria dell’avversario, non offenda la perso-na morale, cioè la sua probità, i costumi, la religione; ilche torna a dire che non si dee mai assalire l’uomonell’autore, qualunque siano i torti di questo, salvo cheil farlo alla propria difesa assolutamente richieggasi. Un

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sbagli che possono procedere soltanto dall’intelletto, asupporre che l’inganno della mente escluda sempre, e dinecessità, la buona fede e la rettitudine, a penetrar nelsantuario inviolabile della vita privata e della coscienza,e, insomma, a prevaricare gli uffici, non solo della caritàe della generosità. ma del decoro e della giustizia. Laqual consuetudine è biasimevole in ciascuno, ma dete-stabile nel ministri di un Dio di pace e di benevolenza,predicanti la sua legge; e spesso è anche dannosa, per-chè, oltre all’esacerbar gli avversari, ridonda presso glispiriti deboli in disdoro e disavanzo della causa che sidifende. Non è perciò vietato a chi scrive il combatterel’errore con quella veemenza che si richiede, e lo sma-scherare, occorrendo, l’ignoranza, l’insufficienza, lapresunzione di chi l’insegna. Egli è lecito tal volta il ri-correre ai motteggi ed ai sali per pungere salutevolmen-te e far arrossire gli avversari; tal altra una santa colleraè opportuna per conquiderli, attutarli e impedire che isemplici siano sedotti dai loro sofismi; imperocchè lebuone ragioni esposte rimessamente non persuadonouna buona parte dei lettori, avvezza a giudicare del valo-re di quelle, non tanto dalla sostanza, quanto dal modocon cui si porgono. Ma si dee sempre aver l’occhio a pe-rorare ed inveire in modo, che quanto tocca, dirò così, lapersona letteraria dell’avversario, non offenda la perso-na morale, cioè la sua probità, i costumi, la religione; ilche torna a dire che non si dee mai assalire l’uomonell’autore, qualunque siano i torti di questo, salvo cheil farlo alla propria difesa assolutamente richieggasi. Un

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altro difetto men grave, e tuttavia prossimo all’intolle-ranza e talora poco manco nocivo, è l’imprudente zelodi certuni che parlano di religione o pigliano a convin-cere e convertire gli avversari a sproposito; imperocchèquesti credono che si voglia preoccupare la libertà loro,e indispettiscono contro il vero, imputandogli quasil’indiscrezione di tali predicatori più zelanti che consi-derati. La controversia amichevole può essere utile inmolti casi; ma di rado profitta, quando la discussionenon è seria, nè condotta con qualche ordine, quando chierra non ha già qualche inclinazione verso il vero, e chista per questo, entrando prima in campo e non invitato,ha l’aria di fastidioso o di provocatore. La religione ècosa tanto augusta e veneranda, ch’egli è quasi un profa-narla il volerla introdurre nei crocchi e nelle conversa-zioni, dove il tema del discorso è per ordinario leggero,e dove gli argomenti gravi non istarebbero bene, perchènon proporzionati alla qualità dei collocutori. Imperoc-chè non vi ha nulla di più frivolo ed insulso, che il con-versare usato al dì d’oggi, sovratutto nelle eleganti bri-gate; e dove un valentuomo non può passare unamezz’ora senza fastidio, egli è poco dicevole l’intromet-tere Iddio e i misteri più sacrosanti. Le cose divine do-vrebbero almeno essere privilegiate di quei riguardi chegli uomini costumati e gentili usano verso le donne ono-rate; alle quali crederebbero di esser poco riverenti, sene avessero il nome troppo frequente sulle loro bocche.Il mosaico precetto di non proferire invano il nome dellaDivinità, parmi che si debba anco intendere della reli-

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altro difetto men grave, e tuttavia prossimo all’intolle-ranza e talora poco manco nocivo, è l’imprudente zelodi certuni che parlano di religione o pigliano a convin-cere e convertire gli avversari a sproposito; imperocchèquesti credono che si voglia preoccupare la libertà loro,e indispettiscono contro il vero, imputandogli quasil’indiscrezione di tali predicatori più zelanti che consi-derati. La controversia amichevole può essere utile inmolti casi; ma di rado profitta, quando la discussionenon è seria, nè condotta con qualche ordine, quando chierra non ha già qualche inclinazione verso il vero, e chista per questo, entrando prima in campo e non invitato,ha l’aria di fastidioso o di provocatore. La religione ècosa tanto augusta e veneranda, ch’egli è quasi un profa-narla il volerla introdurre nei crocchi e nelle conversa-zioni, dove il tema del discorso è per ordinario leggero,e dove gli argomenti gravi non istarebbero bene, perchènon proporzionati alla qualità dei collocutori. Imperoc-chè non vi ha nulla di più frivolo ed insulso, che il con-versare usato al dì d’oggi, sovratutto nelle eleganti bri-gate; e dove un valentuomo non può passare unamezz’ora senza fastidio, egli è poco dicevole l’intromet-tere Iddio e i misteri più sacrosanti. Le cose divine do-vrebbero almeno essere privilegiate di quei riguardi chegli uomini costumati e gentili usano verso le donne ono-rate; alle quali crederebbero di esser poco riverenti, sene avessero il nome troppo frequente sulle loro bocche.Il mosaico precetto di non proferire invano il nome dellaDivinità, parmi che si debba anco intendere della reli-

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gione, non potendosi le ragioni di quella scompagnareda questa, come il decoro del padre da quello della suaprole. L’uomo veramente pio ed esemplare nel trattener-si cogli uomini perora assai meglio la causa della fedecoll’esempio, che colle parole gittate a caso, fuori deltempo e del luogo opportuno; meglio tacendo e disap-provando, se occorre, col solo silenzio, che contrastan-do; meglio dissimulando, che rinfrangendo: e tale chenelle sollazzevoli adunate s’induce di rado a proferireuna sillaba intorno alla religione, può avere un’ influen-za negli animi più salutare di chi ne discorre incessanta-mente e a dilungo. Egli è principalmente colla giudizio-sa larghezza delle idee, col mostrarsi immune dalle pre-occupazioni degli spiriti meschini, col distinguerel’essenza della fede dagli accessorii, il dogma dalle opi-nioni, col far vedere che la stima e l’affezione di cui sondegne le buone parti naturali degli uomini non si debbo-no misurare dalle loro credenze, e, in fine, coll’amoreardente e operoso dei progressi civili, che il Cristianoavvezzo a usare nel mondo può conciliare gli animi allafede, e renderla a tutti riverenda ed amabile.

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gione, non potendosi le ragioni di quella scompagnareda questa, come il decoro del padre da quello della suaprole. L’uomo veramente pio ed esemplare nel trattener-si cogli uomini perora assai meglio la causa della fedecoll’esempio, che colle parole gittate a caso, fuori deltempo e del luogo opportuno; meglio tacendo e disap-provando, se occorre, col solo silenzio, che contrastan-do; meglio dissimulando, che rinfrangendo: e tale chenelle sollazzevoli adunate s’induce di rado a proferireuna sillaba intorno alla religione, può avere un’ influen-za negli animi più salutare di chi ne discorre incessanta-mente e a dilungo. Egli è principalmente colla giudizio-sa larghezza delle idee, col mostrarsi immune dalle pre-occupazioni degli spiriti meschini, col distinguerel’essenza della fede dagli accessorii, il dogma dalle opi-nioni, col far vedere che la stima e l’affezione di cui sondegne le buone parti naturali degli uomini non si debbo-no misurare dalle loro credenze, e, in fine, coll’amoreardente e operoso dei progressi civili, che il Cristianoavvezzo a usare nel mondo può conciliare gli animi allafede, e renderla a tutti riverenda ed amabile.

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V. – CONCLUSIONE DELLA PRIMA PARTE

Si mostra che il risorgimento d’Italia non può aver luogo, senon si rimettono in onore gli ingegni privilegiati, e non si

sottrae l’indirizzo delle cose al volgo degli uomini mediocri.

Non so con che diletto, o più tosto con che pazienza illettore mi avrà tenuto dietro in questa lunga digressione,richiesta pure al mio argomento. Imperocchè, aggiudi-cando all’Italia un primato, non solo morale, ma civile,ho dovuto provare che, sebbene il possesso ne sia perdu-to, tuttavia ne durano i titoli, e che la patria nostra ha insè le condizioni necessarie per farli vivi, senza ricorrerea presupposti chimerici, a mezzi colpevoli, ad aiuti e adimitazioni straniere. Fui condotto perciò dal mio temaad uscire del termini della mera speculazione scientifica,ed entrando nel campo della pratica e dell’arte, a esami-nare ciò che far si possa e debba dai principi e dalle va-rie classi di cittadini onde si compongono i popoli no-strali per ispianare la via al risorgimento italico. Con-ciossiachè il primato civile, non essendo riposto, come ilmorale, nella semplice cognizione e nelle qualità internedell’animo, ma nella loro estrinsecazione a pro della ci-viltà universale, presuppone un certo assetto politico,necessario all’esercizio di tal maggioranza, benchè persè solo insufficiente a costituirla. Il perfetto vivere co-mune dei varii popoli può e dee variare nei particolari enegli accidenti, ma non nella sua generalità ed essenza;

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V. – CONCLUSIONE DELLA PRIMA PARTE

Si mostra che il risorgimento d’Italia non può aver luogo, senon si rimettono in onore gli ingegni privilegiati, e non si

sottrae l’indirizzo delle cose al volgo degli uomini mediocri.

Non so con che diletto, o più tosto con che pazienza illettore mi avrà tenuto dietro in questa lunga digressione,richiesta pure al mio argomento. Imperocchè, aggiudi-cando all’Italia un primato, non solo morale, ma civile,ho dovuto provare che, sebbene il possesso ne sia perdu-to, tuttavia ne durano i titoli, e che la patria nostra ha insè le condizioni necessarie per farli vivi, senza ricorrerea presupposti chimerici, a mezzi colpevoli, ad aiuti e adimitazioni straniere. Fui condotto perciò dal mio temaad uscire del termini della mera speculazione scientifica,ed entrando nel campo della pratica e dell’arte, a esami-nare ciò che far si possa e debba dai principi e dalle va-rie classi di cittadini onde si compongono i popoli no-strali per ispianare la via al risorgimento italico. Con-ciossiachè il primato civile, non essendo riposto, come ilmorale, nella semplice cognizione e nelle qualità internedell’animo, ma nella loro estrinsecazione a pro della ci-viltà universale, presuppone un certo assetto politico,necessario all’esercizio di tal maggioranza, benchè persè solo insufficiente a costituirla. Il perfetto vivere co-mune dei varii popoli può e dee variare nei particolari enegli accidenti, ma non nella sua generalità ed essenza;

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la quale si riduce sostanzialmente a tre capi, cioèall’unità, alla libertà e all’indipendenza patria. Nessunpubblico consorzio è perfettamente ordinato, se non èunito, se non va esente dal giogo straniero, o non si tro-va abbastanza forte da non paventarlo, e se, in fine, nongode a compimento la libertà civile; la quale è la solaessenziale e desiderata da tutti, giacchè la libertà politicaviene appetita unicamente dalle nazioni che mancanodell’altra e disperano di ottenerla stando nei termini an-tichi. Ora, dalle cose dimostrate, risulta che l’Italia puòottener questi beni senza guerre, senza rivoluzioni, sen-za offesa di alcun diritto pubblico o privato; cioè i dueprimi, mediante una confederazione dei varii stati sottola presidenza del pontefice1, e l’ultimo per opera delleriforme interiori di ciascuna provincia, operabili dai ri-spettivi principi, senza pericolo o diffalco del propriopotere. Messe in atto queste condizioni, e resa Italia una,indipendente, forte e civilmente libera, non vi sarà piùalcun ostacolo esteriore che si frapponga all’uso e al go-dimento di quei privilegi umani e divini, naturali e sopranatura, che Iddio le ha conferiti per colmare il suo cultocivile e nuovamente propagarlo presso tutte le genti,1 Ricordando le vicende passate nell’Ultima replica ai Municipali (edito da

G. Balsamo-Crivelli, Torino, 1917, pagg. 140-141), il Gioberti così scrive-va nel 1852: «La disdetta della confederazione non fu un errore secondarioe di poco momento, ma capitalissimo e tale che bastava esso solo a snatu-rare il Risorgimento e mandarlo a male.... Essa era... la base e il principio einsieme l’apice e il fine dell’impresa patria. Perciò dettando il Primato, iole assegnai il primo luogo; e il mio concetto parve così giusto, così plausi-bile, così salutare, che ebbe l’approvazione di tutti i savi e di tutti ibuoni…..».

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la quale si riduce sostanzialmente a tre capi, cioèall’unità, alla libertà e all’indipendenza patria. Nessunpubblico consorzio è perfettamente ordinato, se non èunito, se non va esente dal giogo straniero, o non si tro-va abbastanza forte da non paventarlo, e se, in fine, nongode a compimento la libertà civile; la quale è la solaessenziale e desiderata da tutti, giacchè la libertà politicaviene appetita unicamente dalle nazioni che mancanodell’altra e disperano di ottenerla stando nei termini an-tichi. Ora, dalle cose dimostrate, risulta che l’Italia puòottener questi beni senza guerre, senza rivoluzioni, sen-za offesa di alcun diritto pubblico o privato; cioè i dueprimi, mediante una confederazione dei varii stati sottola presidenza del pontefice1, e l’ultimo per opera delleriforme interiori di ciascuna provincia, operabili dai ri-spettivi principi, senza pericolo o diffalco del propriopotere. Messe in atto queste condizioni, e resa Italia una,indipendente, forte e civilmente libera, non vi sarà piùalcun ostacolo esteriore che si frapponga all’uso e al go-dimento di quei privilegi umani e divini, naturali e sopranatura, che Iddio le ha conferiti per colmare il suo cultocivile e nuovamente propagarlo presso tutte le genti,1 Ricordando le vicende passate nell’Ultima replica ai Municipali (edito da

G. Balsamo-Crivelli, Torino, 1917, pagg. 140-141), il Gioberti così scrive-va nel 1852: «La disdetta della confederazione non fu un errore secondarioe di poco momento, ma capitalissimo e tale che bastava esso solo a snatu-rare il Risorgimento e mandarlo a male.... Essa era... la base e il principio einsieme l’apice e il fine dell’impresa patria. Perciò dettando il Primato, iole assegnai il primo luogo; e il mio concetto parve così giusto, così plausi-bile, così salutare, che ebbe l’approvazione di tutti i savi e di tutti ibuoni…..».

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esercitando quella paternità etnografica a cui niun popo-lo, fuori di essa, può di ragione pretendere. Io non veg-go a ciò alcun impedimento, salvo quelli che derivanodalla volontà stessa degl’Italiani: il difetto della qualenon costituisce un’obbiezione valevole, poichè il rimuo-verla dipende dall’arbitrio degli opponitori. Certo, nè lalega italica, né la minima riforma civile non potrannoaver luogo in eterno, se non sono consentite, patrocinatee volute dall’opinione; senza la quale non v’ha impresache riesca, nè opera che duri nel mondo. Ma al regnodell’opinione due cose oggi si attraversano; alle qualinon vi ha riparo possibile, tranne il volere e il buon usoche ciascuno può fare delle sue potenze. Imperocchèogni altro rimedio che si voglia mettere in opera presup-pone già medicati questi due mali; i quali sono l’inerziadegli animi e il predominio della mediocrità nelle fac-cende umane. Ond’è che l’Italia antica e quella del me-dio evo furono così grandi negli ordini del pensiero edell’azione, se non perchè gli uomini di quei tempi era-no sommamente operosi, e gl’ingegni, qualunque fossela loro indole, potevano occupare il debito luogo dellagerarchia sociale, ed esercitare la legittima signorialoro? Ma ora l’ignavia prevale, la vena del pensiero èsoffocata per lo più nella cuna, o, se vince i primi osta-coli, rado è che in appresso non sia inaridita dalla invi-dia, dalla noncuranza, da vili ed atroci persecuzioni.L’ingegno al dì d’oggi è come una pianta cui gl’insettidivoratori si sforzano di spegnere innanzi che venga inerba ed in fiore, o se le è dato di crescere, non può frut-

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esercitando quella paternità etnografica a cui niun popo-lo, fuori di essa, può di ragione pretendere. Io non veg-go a ciò alcun impedimento, salvo quelli che derivanodalla volontà stessa degl’Italiani: il difetto della qualenon costituisce un’obbiezione valevole, poichè il rimuo-verla dipende dall’arbitrio degli opponitori. Certo, nè lalega italica, né la minima riforma civile non potrannoaver luogo in eterno, se non sono consentite, patrocinatee volute dall’opinione; senza la quale non v’ha impresache riesca, nè opera che duri nel mondo. Ma al regnodell’opinione due cose oggi si attraversano; alle qualinon vi ha riparo possibile, tranne il volere e il buon usoche ciascuno può fare delle sue potenze. Imperocchèogni altro rimedio che si voglia mettere in opera presup-pone già medicati questi due mali; i quali sono l’inerziadegli animi e il predominio della mediocrità nelle fac-cende umane. Ond’è che l’Italia antica e quella del me-dio evo furono così grandi negli ordini del pensiero edell’azione, se non perchè gli uomini di quei tempi era-no sommamente operosi, e gl’ingegni, qualunque fossela loro indole, potevano occupare il debito luogo dellagerarchia sociale, ed esercitare la legittima signorialoro? Ma ora l’ignavia prevale, la vena del pensiero èsoffocata per lo più nella cuna, o, se vince i primi osta-coli, rado è che in appresso non sia inaridita dalla invi-dia, dalla noncuranza, da vili ed atroci persecuzioni.L’ingegno al dì d’oggi è come una pianta cui gl’insettidivoratori si sforzano di spegnere innanzi che venga inerba ed in fiore, o se le è dato di crescere, non può frut-

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tare, perché prima che alleghi è spiantata dal vento o ab-battuta dalla tempesta. Che divario per questo rispettodal tempi che corrono, non dico solo all’aurea e beataantichità, ma a quei secoli che si chiamano barbari! Egliè impossibile il leggere alcune pagine di quei vecchi an-nali, senza ammirare il vigore, l’operosità, la potenzadegli uomini che allora vivevano. Che straordinariaenergia in quelle diete, in quelle repubbliche, in quelleflotte, in quelle crociate, in quelle scuole, in quei con-venti, in quelle consorterie dei mestieri e delle arti! Chemoto vario, incessante nella Chiesa e negli Stati, neiprincipi e nei popoli! Moto scompigliato, quanto si vo-glia, spesso sterile, spesso produttivo di piccoli effetti,talvolta anco rozzo e feroce, perchè i sussidi positivi dicultura che allora si avevano, non erano proporzionatiall’ardore degli uomini, e la barbarie superstiste guasta-va la religione e la civiltà nascente; ma pur tale, che ba-stò a operare grandissime meraviglie. Imperocchè daesso uscirono le città popolose, le colossali basiliche,l’epopea dantesca e cattolica, i rudimenti delle arti, dellelettere, delle scienze cristiane, e, insomma, le nazioni ele monarchie moderne con tutto il corredo di forza e digentilezza che le accompagna. C’era più anima e piùvita in una sola città italiana di quei tempi, come dire inAmalfi, in Salerno, in Pisa, in Siena, in Bologna, in Ge-nova, in Asti, in Venezia (per non parlare di Firenze e diRoma), che ora in tutta quanta la Penisola. Allora i prin-cipi non contendevano al pontefice la sopraveglianza el’indirizzo della civiltà universale; o se osavano tentarlo,

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tare, perché prima che alleghi è spiantata dal vento o ab-battuta dalla tempesta. Che divario per questo rispettodal tempi che corrono, non dico solo all’aurea e beataantichità, ma a quei secoli che si chiamano barbari! Egliè impossibile il leggere alcune pagine di quei vecchi an-nali, senza ammirare il vigore, l’operosità, la potenzadegli uomini che allora vivevano. Che straordinariaenergia in quelle diete, in quelle repubbliche, in quelleflotte, in quelle crociate, in quelle scuole, in quei con-venti, in quelle consorterie dei mestieri e delle arti! Chemoto vario, incessante nella Chiesa e negli Stati, neiprincipi e nei popoli! Moto scompigliato, quanto si vo-glia, spesso sterile, spesso produttivo di piccoli effetti,talvolta anco rozzo e feroce, perchè i sussidi positivi dicultura che allora si avevano, non erano proporzionatiall’ardore degli uomini, e la barbarie superstiste guasta-va la religione e la civiltà nascente; ma pur tale, che ba-stò a operare grandissime meraviglie. Imperocchè daesso uscirono le città popolose, le colossali basiliche,l’epopea dantesca e cattolica, i rudimenti delle arti, dellelettere, delle scienze cristiane, e, insomma, le nazioni ele monarchie moderne con tutto il corredo di forza e digentilezza che le accompagna. C’era più anima e piùvita in una sola città italiana di quei tempi, come dire inAmalfi, in Salerno, in Pisa, in Siena, in Bologna, in Ge-nova, in Asti, in Venezia (per non parlare di Firenze e diRoma), che ora in tutta quanta la Penisola. Allora i prin-cipi non contendevano al pontefice la sopraveglianza el’indirizzo della civiltà universale; o se osavano tentarlo,

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erano sfolgorati dall’opinione, e come infedeli novelli ebarbari redivivi, venivano esclusi dal giure pubblico del-la Cristianità europea. Allora il successore di Pietro po-teva, sedendo nella città eterna, e quasi velettando dalCampidoglio, tener gli occhi aperti e pronta la mano,onde cogliere le occasioni propizie a favorir gl’incre-menti dell’umanità e della religione, qualunque fosse laparte del mondo in cui quelle sorgessero, esercitandoper tal modo fra tutti i popoli della terra la sublime en-tratura del civil tirocinio. Ma ora, appena è se gli si con-cede di adempiere i suoi uffici più stretti, come capo delsacerdozio e della società cristiana; e l’aver tronca la te-sta dell’Europa culta, si ha dalle membra ribelli in contodi libertà. Quando io paragono gli uomini della secondaparte del medio evo con quelli della età nostra, sto quasiin dubbio se noi siamo della medesima specie, ovvero sela razza umana non possa, come certe piante, inselvati-chire e dismettere la propria natura. Ma che dico gli uo-mini del medio evo? Qual è la nazione moderna che perefficacia di opere ed energia di spiriti non vinca l’Italia?Dio buono! Mentre a borea v’ha un popolo di soli venti-quattro milioni d’uomini1, che domina i mari, fa tremarel’Europa, possiede l’India, vince la Cina e occupa le mi-gliori spiagge portuose dell’Asia, dell’Affrica,dell’America e dell’Oceania, che cosa di bello e di gran-de facciamo noi Italiani? Quali sono le nostre prodezzedi mano e di senno? Dove sono le nostre flotte, le nostre

1 Allude all’Inghilterra.

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erano sfolgorati dall’opinione, e come infedeli novelli ebarbari redivivi, venivano esclusi dal giure pubblico del-la Cristianità europea. Allora il successore di Pietro po-teva, sedendo nella città eterna, e quasi velettando dalCampidoglio, tener gli occhi aperti e pronta la mano,onde cogliere le occasioni propizie a favorir gl’incre-menti dell’umanità e della religione, qualunque fosse laparte del mondo in cui quelle sorgessero, esercitandoper tal modo fra tutti i popoli della terra la sublime en-tratura del civil tirocinio. Ma ora, appena è se gli si con-cede di adempiere i suoi uffici più stretti, come capo delsacerdozio e della società cristiana; e l’aver tronca la te-sta dell’Europa culta, si ha dalle membra ribelli in contodi libertà. Quando io paragono gli uomini della secondaparte del medio evo con quelli della età nostra, sto quasiin dubbio se noi siamo della medesima specie, ovvero sela razza umana non possa, come certe piante, inselvati-chire e dismettere la propria natura. Ma che dico gli uo-mini del medio evo? Qual è la nazione moderna che perefficacia di opere ed energia di spiriti non vinca l’Italia?Dio buono! Mentre a borea v’ha un popolo di soli venti-quattro milioni d’uomini1, che domina i mari, fa tremarel’Europa, possiede l’India, vince la Cina e occupa le mi-gliori spiagge portuose dell’Asia, dell’Affrica,dell’America e dell’Oceania, che cosa di bello e di gran-de facciamo noi Italiani? Quali sono le nostre prodezzedi mano e di senno? Dove sono le nostre flotte, le nostre

1 Allude all’Inghilterra.

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colonie? Che grado tengono, che forza hanno, che in-fluenza posseggono di autorità e di consiglio, i nostri le-gati nelle corti forestiere? Qual peso si aggiudica alnome italiano nella bilancia europea? Forse gli straniconoscono e visitano ancora la nostra Penisola ad altroeffetto, che per goder la bellezza immutabile del suocielo, e contemplare le sue ruine? Ma che parlo di glo-ria, di ricchezze e di potenza? L’Italia può ella dire diessere al mondo? può ella attribuirsi una vita propria eun’autonomia politica quando è in balìa del primo inso-lente e ambizioso il calpestarla e metterla al giogo? Chinon freme pensando che, disuniti come ci troviamo,siam preda di chiunque ci assalta, e che quella miseraombra d’indipendenza che si concede nei diplomi e neiprotocolli, è dovuta alla misericordia dei nostri vicini? Eche ciò succede per sola nostra colpa, quando con un po’di buon volere e di vigore potremmo, senza scosse, sen-za rivoluzioni, senza ingiustizie essere ancora uno deiprimi popoli dell’universo? Ma tal è la codardia nostra,che, non solo tolleriam questi mali e queste vergogne,ma non osiamo nemmeno lagnarcene, e diam sulla voceallo sciagurato che vi cerca e suggerisce qualche rime-dio. Oggi anche i sospiri e le lacrime si proibiscono; echi fu predestinato a portare la dolorosa gloria del nomeitaliano, non solo dee lasciarlo vituperare, se vuol viveretranquillo, ma rallegrarsi del vituperio. Altrimenti egliverrà lacerato e perseguitato, non già dai nemici d’Italia,ma (cosa incredibile a dire) da molti Italiani, ai quali lamaggiore ingiuria che far si possa, è l’aver pietà

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colonie? Che grado tengono, che forza hanno, che in-fluenza posseggono di autorità e di consiglio, i nostri le-gati nelle corti forestiere? Qual peso si aggiudica alnome italiano nella bilancia europea? Forse gli straniconoscono e visitano ancora la nostra Penisola ad altroeffetto, che per goder la bellezza immutabile del suocielo, e contemplare le sue ruine? Ma che parlo di glo-ria, di ricchezze e di potenza? L’Italia può ella dire diessere al mondo? può ella attribuirsi una vita propria eun’autonomia politica quando è in balìa del primo inso-lente e ambizioso il calpestarla e metterla al giogo? Chinon freme pensando che, disuniti come ci troviamo,siam preda di chiunque ci assalta, e che quella miseraombra d’indipendenza che si concede nei diplomi e neiprotocolli, è dovuta alla misericordia dei nostri vicini? Eche ciò succede per sola nostra colpa, quando con un po’di buon volere e di vigore potremmo, senza scosse, sen-za rivoluzioni, senza ingiustizie essere ancora uno deiprimi popoli dell’universo? Ma tal è la codardia nostra,che, non solo tolleriam questi mali e queste vergogne,ma non osiamo nemmeno lagnarcene, e diam sulla voceallo sciagurato che vi cerca e suggerisce qualche rime-dio. Oggi anche i sospiri e le lacrime si proibiscono; echi fu predestinato a portare la dolorosa gloria del nomeitaliano, non solo dee lasciarlo vituperare, se vuol viveretranquillo, ma rallegrarsi del vituperio. Altrimenti egliverrà lacerato e perseguitato, non già dai nemici d’Italia,ma (cosa incredibile a dire) da molti Italiani, ai quali lamaggiore ingiuria che far si possa, è l’aver pietà

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dell’infortunio che provano, e l’augurar loro piu lietesorti. E forse tal ventura toccherà a queste mie poverecarte; che non mancheranno i prudenti i quali mi accuse-ranno d’indiscrezione, perchè ardisco gittare un gridosulle ignominie patrie, e di temerità, perchè ho osatocon gran riserva far motto (orribile scandalo!) di unaconfederazione pacifica e perpetua dei principi italiani,capitanata e tutelata dal pontefice. Imperocchè siamgiunti a segno, che assai men male è lo squartare, che ildar qualche strillo quando si è squartato; e non solo ègrave colpa il far rivoluzioni e il congiurar contro i prin-cipi, ma eziando lo scrivere contro di quelle, e il porgereuna mano per reggere e puntellare i troni pericolanti.L’unica sapienza che oramai si conosca e si commendi,consiste nell’ammutire: e chi sa meglio adoperare il si-lenzio, beato lui. L’avvertire altrui del pericolo è il col-mo dell’ imprudenza; il proporre un farmaco all’infermocompreso da morbo letale, è somma temerità; e chi am-monisce il capitano che l’oste nemica s’appressa, con-fortandolo a stare all’erta per riceverla e sbaragliarla,merita di esser castigato poco meno che i felloni e i tra-ditori della patria.

Ma donde provengono queste onte italiane? Forse ilcielo e gli uomini, sono mutati? forse il numero del pu-sillanimi e degl’imbecilli è maggiore al dì d’oggi che inantico? Non credo: l’Italia non manca d’ingegni grandi,di petti forti e magnanimi, e ne ha forse tanti, quanti neebbe per l’addietro; ma il divario si è, che a molti di essisi vieta il parlare e l’operare, e gli sforzi di quelli a cui il

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dell’infortunio che provano, e l’augurar loro piu lietesorti. E forse tal ventura toccherà a queste mie poverecarte; che non mancheranno i prudenti i quali mi accuse-ranno d’indiscrezione, perchè ardisco gittare un gridosulle ignominie patrie, e di temerità, perchè ho osatocon gran riserva far motto (orribile scandalo!) di unaconfederazione pacifica e perpetua dei principi italiani,capitanata e tutelata dal pontefice. Imperocchè siamgiunti a segno, che assai men male è lo squartare, che ildar qualche strillo quando si è squartato; e non solo ègrave colpa il far rivoluzioni e il congiurar contro i prin-cipi, ma eziando lo scrivere contro di quelle, e il porgereuna mano per reggere e puntellare i troni pericolanti.L’unica sapienza che oramai si conosca e si commendi,consiste nell’ammutire: e chi sa meglio adoperare il si-lenzio, beato lui. L’avvertire altrui del pericolo è il col-mo dell’ imprudenza; il proporre un farmaco all’infermocompreso da morbo letale, è somma temerità; e chi am-monisce il capitano che l’oste nemica s’appressa, con-fortandolo a stare all’erta per riceverla e sbaragliarla,merita di esser castigato poco meno che i felloni e i tra-ditori della patria.

Ma donde provengono queste onte italiane? Forse ilcielo e gli uomini, sono mutati? forse il numero del pu-sillanimi e degl’imbecilli è maggiore al dì d’oggi che inantico? Non credo: l’Italia non manca d’ingegni grandi,di petti forti e magnanimi, e ne ha forse tanti, quanti neebbe per l’addietro; ma il divario si è, che a molti di essisi vieta il parlare e l’operare, e gli sforzi di quelli a cui il

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tentarlo non è interdetto, sono impediti e annullati dallaturba signoreggiante. L’uomo mediocre per l’ordinarionon fa, perchè non sa fare, e per invidia o malevoglienzao pusillanimità di spiriti, non vuole che altri faccia.L’ingegno, all’incontro, è attivo e ardito con saviezza,sia perchè è conscio delle proprie forze, e perchè scorgenel presente i germi del futuro, si propone uno scopo di-stinto e ragionevole, conosce ed usa i mezzi opportuniper ottenerlo. Niuno vorrà negare ad alcuni dei nostriprincipi nobiltà e grandezza d’animo, niuno potrà lorodisdire ingegno, senno ed amor sincerissimo al pubblicobene; niuno rifiuterà di riconoscere le qualità medesimein parecchi dei loro consiglieri e ministri; e le importantiriforme legislative che si son fatte da poco tempo inqua, la protezione sapiente conceduta alle lettere, allescienze, alle arti in qualche provincia, bastano ad atte-starlo. Che se queste egregie parti non hanno ancorafruttato all’Italia il bene più importante, fondamentale eduraturo, cioè l’unione, ciò nasce solo dal predominio diuna folla di uomini inetti o mediocrissimi che al buonvolere dei valenti e ottimi si attraversano, e credono diaver tirato un gran punto quando riescono a impedireche il bene si operi dai più capaci di loro. Per vincere edebellare questa genìa insolente degl’inetti e dei medio-cri, uopo è che i governi formino intorno a sè stessiun’aristocrazia elettiva dei migliori, un concilio di veriottimati, e concedano agl’ingegni nel vivere pubblicoquel legittimo principato che Iddio ha dato loro negli or-dini naturali. Imitino per questa parte Napoleone, il qua-

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tentarlo non è interdetto, sono impediti e annullati dallaturba signoreggiante. L’uomo mediocre per l’ordinarionon fa, perchè non sa fare, e per invidia o malevoglienzao pusillanimità di spiriti, non vuole che altri faccia.L’ingegno, all’incontro, è attivo e ardito con saviezza,sia perchè è conscio delle proprie forze, e perchè scorgenel presente i germi del futuro, si propone uno scopo di-stinto e ragionevole, conosce ed usa i mezzi opportuniper ottenerlo. Niuno vorrà negare ad alcuni dei nostriprincipi nobiltà e grandezza d’animo, niuno potrà lorodisdire ingegno, senno ed amor sincerissimo al pubblicobene; niuno rifiuterà di riconoscere le qualità medesimein parecchi dei loro consiglieri e ministri; e le importantiriforme legislative che si son fatte da poco tempo inqua, la protezione sapiente conceduta alle lettere, allescienze, alle arti in qualche provincia, bastano ad atte-starlo. Che se queste egregie parti non hanno ancorafruttato all’Italia il bene più importante, fondamentale eduraturo, cioè l’unione, ciò nasce solo dal predominio diuna folla di uomini inetti o mediocrissimi che al buonvolere dei valenti e ottimi si attraversano, e credono diaver tirato un gran punto quando riescono a impedireche il bene si operi dai più capaci di loro. Per vincere edebellare questa genìa insolente degl’inetti e dei medio-cri, uopo è che i governi formino intorno a sè stessiun’aristocrazia elettiva dei migliori, un concilio di veriottimati, e concedano agl’ingegni nel vivere pubblicoquel legittimo principato che Iddio ha dato loro negli or-dini naturali. Imitino per questa parte Napoleone, il qua-

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le, non ostante il suo genio rotto e dispotico, il continuofrastuono delle armi e la brevità del suo regno, fece ope-re grandi di pace, perchè aveva un’arte somma e mirabi-le nel conoscere gli uomini eccellenti, e nell’adoperarli.Imperocchè il mondo artificiale della società non puòmai essere a sesta e andare pel suo verso, e crescere dibene in meglio, e produrre i frutti che se ne aspettano,quando sia ordinato a rovescio del mondo nativo dellaProvidenza. L’ingegno è la sola forza creata che possaideare le grandi imprese, e maestrevolmente eseguirle;esso e la molla più poderosa dell’ordine morale, e in luisi incarna, quasi voce di Dio, quell’opinione universaleche gli antichi appellavano fortuna, e simboleggiavanocon una ruota giratrice dell’universo1. Da lui, quasi daastro degli spiriti, s’iniziano i movimenti creati, e guizzaquel lume ideale che porta seco il fervore dei nobili af-fetti; tanto che l’ingegno adempie spiritualmente l’uffi-cio della luce e del calore nel mondo corporeo. E come,senza calore e senza luce tornerebbe nel tutto e nelleparti impossibile la vita cosmica, così senza i chiaroriche illustrano la mente, e le pure, generose fiamme cheavvampano i cuori, gli stati civili possono al più vegeta-re, non vivere, nè fiorire. Tali sono le condizioni richie-ste per dar opera al risorgimento d’Italia; la quale, som-mersa nel caos, non può essere raffazzonata, senza il1 La ruota, simbolo della versatilità e la sfera o il globo che hanno questo

medesimo significato e quello del vasto impero sul quale si stende il poteredella fortuna sono attributi che la Dea ebbe al pari del timone nelle figura-zioni delle monete imperiali romane (MUELLER-WIESELER, Denkmäler, II. I,pag LVIII e pag. 61 (n. 96).

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le, non ostante il suo genio rotto e dispotico, il continuofrastuono delle armi e la brevità del suo regno, fece ope-re grandi di pace, perchè aveva un’arte somma e mirabi-le nel conoscere gli uomini eccellenti, e nell’adoperarli.Imperocchè il mondo artificiale della società non puòmai essere a sesta e andare pel suo verso, e crescere dibene in meglio, e produrre i frutti che se ne aspettano,quando sia ordinato a rovescio del mondo nativo dellaProvidenza. L’ingegno è la sola forza creata che possaideare le grandi imprese, e maestrevolmente eseguirle;esso e la molla più poderosa dell’ordine morale, e in luisi incarna, quasi voce di Dio, quell’opinione universaleche gli antichi appellavano fortuna, e simboleggiavanocon una ruota giratrice dell’universo1. Da lui, quasi daastro degli spiriti, s’iniziano i movimenti creati, e guizzaquel lume ideale che porta seco il fervore dei nobili af-fetti; tanto che l’ingegno adempie spiritualmente l’uffi-cio della luce e del calore nel mondo corporeo. E come,senza calore e senza luce tornerebbe nel tutto e nelleparti impossibile la vita cosmica, così senza i chiaroriche illustrano la mente, e le pure, generose fiamme cheavvampano i cuori, gli stati civili possono al più vegeta-re, non vivere, nè fiorire. Tali sono le condizioni richie-ste per dar opera al risorgimento d’Italia; la quale, som-mersa nel caos, non può essere raffazzonata, senza il1 La ruota, simbolo della versatilità e la sfera o il globo che hanno questo

medesimo significato e quello del vasto impero sul quale si stende il poteredella fortuna sono attributi che la Dea ebbe al pari del timone nelle figura-zioni delle monete imperiali romane (MUELLER-WIESELER, Denkmäler, II. I,pag LVIII e pag. 61 (n. 96).

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fulgore degl’intelletti; onde i principi di essa debbonoattendere a dissiparne il buio colla face delle loro dottri-ne, e imitare l’Onnipotente, che cominciò il lavorio delmondo, lumeggiando di splendori vivissimi l’opacità in-finita. Altrimenti sarà perduta ogni speranza per la no-stra povera patria; e non le gioverà il suo bel sole, nèl’aria placida e ricreante, nè il terreno fecondo, nè la suamirabile postura, nè altro nativo vantaggio. E, priva dimoto e di vita, sarà cancellata dal novero delle nazioni;e le avverrà moralmente e in effetto ciò che favoleggia-no e conghietturano alcune fantasie erudite essere acca-duto sensatamente ai paesi locati sotto le brumedell’Artico. Dei quali dicesi che fossero prima del dilu-vio per dolcezza di clima e ubertà di suolo abitabili egiocondissimi. Allora la pampinosa vite ostentava i suoiturgidi grappoli sulle prode della Groenlandia e del La-bradore, l’elefante errava giocolando e pascendo fra ipalmeti ed i cedri di Spizberga e della Nuova Zembia, ele incognite terre del polo porgevano un delizioso alber-go ai semplici mortali, e un propizio teatro alla nascenteloro cultura. Ma quando, inclinato l’asse terrestre, quelleregioni beatissime furono vedovate del raggio meridia-no, l’aspetto loro e le condizioni mutarono: la morte sot-tentrò alla vita, la solitudine alla frequenza degli abitato-ri, e il paradiso dei primi uomini divenne un muto e orri-do deserto, ravvolto in tenebre semestrali e in ghiaccisempiterni.

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fulgore degl’intelletti; onde i principi di essa debbonoattendere a dissiparne il buio colla face delle loro dottri-ne, e imitare l’Onnipotente, che cominciò il lavorio delmondo, lumeggiando di splendori vivissimi l’opacità in-finita. Altrimenti sarà perduta ogni speranza per la no-stra povera patria; e non le gioverà il suo bel sole, nèl’aria placida e ricreante, nè il terreno fecondo, nè la suamirabile postura, nè altro nativo vantaggio. E, priva dimoto e di vita, sarà cancellata dal novero delle nazioni;e le avverrà moralmente e in effetto ciò che favoleggia-no e conghietturano alcune fantasie erudite essere acca-duto sensatamente ai paesi locati sotto le brumedell’Artico. Dei quali dicesi che fossero prima del dilu-vio per dolcezza di clima e ubertà di suolo abitabili egiocondissimi. Allora la pampinosa vite ostentava i suoiturgidi grappoli sulle prode della Groenlandia e del La-bradore, l’elefante errava giocolando e pascendo fra ipalmeti ed i cedri di Spizberga e della Nuova Zembia, ele incognite terre del polo porgevano un delizioso alber-go ai semplici mortali, e un propizio teatro alla nascenteloro cultura. Ma quando, inclinato l’asse terrestre, quelleregioni beatissime furono vedovate del raggio meridia-no, l’aspetto loro e le condizioni mutarono: la morte sot-tentrò alla vita, la solitudine alla frequenza degli abitato-ri, e il paradiso dei primi uomini divenne un muto e orri-do deserto, ravvolto in tenebre semestrali e in ghiaccisempiterni.

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Una pagina delle “Miscellanee” di Vincenzo Gioberti.(Biblioteca Civica di Torino).

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Una pagina delle “Miscellanee” di Vincenzo Gioberti.(Biblioteca Civica di Torino).

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PARTE SECONDA

DEL PRIMATO ITALIANO, RISPETTO AL PENSIERO

Il primato dell’azione arguisce quello del pensiero.La maggioranza del pensiero è la sola che possa interamenterivivere. La preminenza scientifica e letteraria d’Italia non è

assoluta.

Riandato universalmente il campo dell’azione neldoppio giro reale della religione e della politica, e messein sodo per questo rispetto le prerogative d’Italia, ci re-stano a chiarir le medesime negli ordini intellettivi delpensiero e della scienza. Che anche ivi la patria nostraprimeggi, e debba essere, non suddita, ma dominante, sipuò inferire generalmente dalle cose discorse; imperoc-chè, se l’azione germina dal pensiero e di fuori lo mani-festa, egli ripugna che il popolo sortito a regnare moral-mente e religiosamente nel mondo occupi un grado se-condario pel valore e per l’esercizio interno dell’intellet-to, Che cos’è il pensiero medesimo, come operazion ri-flessiva, se non un frutto della parola, cioè dei religiosiinstituti? E che sono le lettere e le scienze, se non il pen-siero adulto, nobilitato, e a perfetta maturità condotto?Qual popolo dunque sovrasta nelle credenze e nella pa-rola ieratica, dee pur dominare intellettualmente, qua-lunque sia il difetto dei sussidi estrinseci di coltura, e il

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PARTE SECONDA

DEL PRIMATO ITALIANO, RISPETTO AL PENSIERO

Il primato dell’azione arguisce quello del pensiero.La maggioranza del pensiero è la sola che possa interamenterivivere. La preminenza scientifica e letteraria d’Italia non è

assoluta.

Riandato universalmente il campo dell’azione neldoppio giro reale della religione e della politica, e messein sodo per questo rispetto le prerogative d’Italia, ci re-stano a chiarir le medesime negli ordini intellettivi delpensiero e della scienza. Che anche ivi la patria nostraprimeggi, e debba essere, non suddita, ma dominante, sipuò inferire generalmente dalle cose discorse; imperoc-chè, se l’azione germina dal pensiero e di fuori lo mani-festa, egli ripugna che il popolo sortito a regnare moral-mente e religiosamente nel mondo occupi un grado se-condario pel valore e per l’esercizio interno dell’intellet-to, Che cos’è il pensiero medesimo, come operazion ri-flessiva, se non un frutto della parola, cioè dei religiosiinstituti? E che sono le lettere e le scienze, se non il pen-siero adulto, nobilitato, e a perfetta maturità condotto?Qual popolo dunque sovrasta nelle credenze e nella pa-rola ieratica, dee pur dominare intellettualmente, qua-lunque sia il difetto dei sussidi estrinseci di coltura, e il

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momentaneo torpore degli spiriti1. Ben si debbono esa-minar le cause di questo mancamento e languore, e cer-carne i rimedi; i quali non possono dipendere dalle con-dizioni esteriori e dai capricci della sorte, ma solo dalbuon volere di chi è chiamato dalla Providenza a impe-riare spiritualmente sul pensiero dell’universale. Onde,come nella prima parte di questo discorso, parlando delnostro primato operativo, accennai le cagioni che in tut-to o in parte ce lo ritolsero e il modo di ricuperarlo; cosìora, investigando i titoli della nostra mental signoria, in-dicherò i mezzi che mi paiono più opportuni per farlivivi e assicurarne in perpetuo il possesso, se non a noi,almeno ai nostri nipoti. La qual cosa tanto più rileva,quanto che il principato intellettivo d’Italia, oltreall’essere il titolo più degno e più connesso colla nostrareligiosa e morale sopreminenza, è altresì l’unico privi-legio umano che sia atto a interamente rivivere; quandoinvece l’antico scettro civile non può essere riacquistato,se non rimovendone ogni politica dominazione. Impe-rocchè il misero stato in cui giace l’Italia, renderebbe ri-

1 Così parimenti nel seguente passo inedito del Ms. n. 24 (pag. 921) «La co-gnizione dei principii non si può trovare altrove che nella parola rivelata...La parola rivelata essendo inseparabile dalla parola ecclesiastica la Chiesacattolica è la sola conservatrice dei principii ideali... Ivi dunque è il centrodello incivilimento dove è quello della cattolicità. Ora siccome il centro diquesta è l’Italia ne segue che l’Italia è il vero capo della civiltà e che Romaè la metropoli ideale del mondo... Roma moralmente parlando non è solola città eterna ma la città innata, cioè nata coi primi uomini..... Al primatocivile e cosmopolitico d’Italia non basta la conservazione dei principii senon si aggiunge la loro esplicazione nel doppio giro delle scienze edell’azione, delle idee e dei fatti...»

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momentaneo torpore degli spiriti1. Ben si debbono esa-minar le cause di questo mancamento e languore, e cer-carne i rimedi; i quali non possono dipendere dalle con-dizioni esteriori e dai capricci della sorte, ma solo dalbuon volere di chi è chiamato dalla Providenza a impe-riare spiritualmente sul pensiero dell’universale. Onde,come nella prima parte di questo discorso, parlando delnostro primato operativo, accennai le cagioni che in tut-to o in parte ce lo ritolsero e il modo di ricuperarlo; cosìora, investigando i titoli della nostra mental signoria, in-dicherò i mezzi che mi paiono più opportuni per farlivivi e assicurarne in perpetuo il possesso, se non a noi,almeno ai nostri nipoti. La qual cosa tanto più rileva,quanto che il principato intellettivo d’Italia, oltreall’essere il titolo più degno e più connesso colla nostrareligiosa e morale sopreminenza, è altresì l’unico privi-legio umano che sia atto a interamente rivivere; quandoinvece l’antico scettro civile non può essere riacquistato,se non rimovendone ogni politica dominazione. Impe-rocchè il misero stato in cui giace l’Italia, renderebbe ri-

1 Così parimenti nel seguente passo inedito del Ms. n. 24 (pag. 921) «La co-gnizione dei principii non si può trovare altrove che nella parola rivelata...La parola rivelata essendo inseparabile dalla parola ecclesiastica la Chiesacattolica è la sola conservatrice dei principii ideali... Ivi dunque è il centrodello incivilimento dove è quello della cattolicità. Ora siccome il centro diquesta è l’Italia ne segue che l’Italia è il vero capo della civiltà e che Romaè la metropoli ideale del mondo... Roma moralmente parlando non è solola città eterna ma la città innata, cioè nata coi primi uomini..... Al primatocivile e cosmopolitico d’Italia non basta la conservazione dei principii senon si aggiunge la loro esplicazione nel doppio giro delle scienze edell’azione, delle idee e dei fatti...»

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dicolo ogni conato per effettuare a suo pro l’empio so-gno della monarchia universale; e l’indole speciale dellaciviltà cristiana colloca il superbo delirio fra le chimere,eziando per le nazioni più ardite e gagliarde del mondo.La Spagna e la Francia si lasciarono adescare alla follebrama, principio della loro declinazione: pari sorte in-contrerebbe all’Inghilterra e alla Russia, se volesseroimitarle. La ragione si è che, oltre all’impossibilità mo-rale della cosa, l’incivilimento cristiano, fondandosinell’idea di un monarcato senza confini negli ordini del-lo spirito, toglie all’idea dell’universal dominio politicola speciosità del fine e i mezzi persuasivi per effettuarlo,riconducendolo a mostrarsi, qual è in effetto, come unabuso enorme e brutale della potenza. Certo è da sperareche non pure gli Attili e i Tamerlani, ma i Carloquinti, iLudovichi e i Napoleoni non potranno più risorgere, nèmettere radice; e che d’ora innanzi le invalse dottrinedell’Evangelio renderanno la specie umana libera e sicu-ra dai carnefici eroici e palatini.

Il pensiero riflessivo e contemplativo dell’uomo si at-tua sotto due forme diverse, cioè come vero e come bel-lo, come idea schietta e come fantasma, come scienza ecome arte, come oggetto della ragione e come parto del-la immaginazione. L’ingegno italiano vuol essere studia-to per questi due versi, onde cogliere la sua prestanza suquello degli altri popoli civili. La qual dignità scientificae letteraria non si dee già intendere per modo assoluto,quasi che le altre nazioni non abbiano ancor esse i lorovanti legittimi nelle maestrie della mano e della mente.

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dicolo ogni conato per effettuare a suo pro l’empio so-gno della monarchia universale; e l’indole speciale dellaciviltà cristiana colloca il superbo delirio fra le chimere,eziando per le nazioni più ardite e gagliarde del mondo.La Spagna e la Francia si lasciarono adescare alla follebrama, principio della loro declinazione: pari sorte in-contrerebbe all’Inghilterra e alla Russia, se volesseroimitarle. La ragione si è che, oltre all’impossibilità mo-rale della cosa, l’incivilimento cristiano, fondandosinell’idea di un monarcato senza confini negli ordini del-lo spirito, toglie all’idea dell’universal dominio politicola speciosità del fine e i mezzi persuasivi per effettuarlo,riconducendolo a mostrarsi, qual è in effetto, come unabuso enorme e brutale della potenza. Certo è da sperareche non pure gli Attili e i Tamerlani, ma i Carloquinti, iLudovichi e i Napoleoni non potranno più risorgere, nèmettere radice; e che d’ora innanzi le invalse dottrinedell’Evangelio renderanno la specie umana libera e sicu-ra dai carnefici eroici e palatini.

Il pensiero riflessivo e contemplativo dell’uomo si at-tua sotto due forme diverse, cioè come vero e come bel-lo, come idea schietta e come fantasma, come scienza ecome arte, come oggetto della ragione e come parto del-la immaginazione. L’ingegno italiano vuol essere studia-to per questi due versi, onde cogliere la sua prestanza suquello degli altri popoli civili. La qual dignità scientificae letteraria non si dee già intendere per modo assoluto,quasi che le altre nazioni non abbiano ancor esse i lorovanti legittimi nelle maestrie della mano e della mente.

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E chi per invidia o albagia il negasse, oltre all’illudersigravemente, farebbe a quelle una ingiuria, tanto più reae degna di biasimo, quanto più l’unione degli stati pre-vale in importanza a quella degl’individui, e quanto piùl’Italia, come primogenita fra le province europee, è ob-bligata a ravvisare in ciascun popolo cristiano un gene-roso emulo, a promettersi ed amare, anche nel minimodi essi, un compagno e un fratello. E qual è l’ingegnoscientifico che agguagli Isacco Newton e Giorgio Cu-vier1 per la grandezza delle scoperte? Rispetto alla qualesi può affermare che questi due uomini sono e sarannosempre senza pari al mondo; perchè a superare la lorofortuna, sarebbe d’uopo che un altro universo si creasseda Dio, o un altro mondo spento si discoprisse. Standoadunque che l’Italia non passa aggiudicarsi per ogni ver-so una scientifica e letteraria preminenza, resta a vederein che siano riposti i veri titoli del suo mentale primato.Ora io dico che questi consistono nei primi elementionde tutte le scienze e le arti gentili provengono. I qualinon sono altro che i germi ideali e fantastici, dalla cuisuccessiva esplicazione derivano, per opera del processodinamico, tutti gli acquisti e i trovati seguenti. Tali ger-mi sono di due specie, secondo che corrispondonoall’ordine delle idee o a quello del tempo; i quali ordininon si possono disgiungere, sia perchè il processo intel-

1 Giorgio Cuvier, n. il 1760 a Montbéliard, m. a Parigi il 1832. Promossel’anatomia comparata, trovando la mirabile legge che esiste fra tutti gli or-gani di un animale, sicchè dalla conoscenza di uno si inferisce quella deglialtri.

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E chi per invidia o albagia il negasse, oltre all’illudersigravemente, farebbe a quelle una ingiuria, tanto più reae degna di biasimo, quanto più l’unione degli stati pre-vale in importanza a quella degl’individui, e quanto piùl’Italia, come primogenita fra le province europee, è ob-bligata a ravvisare in ciascun popolo cristiano un gene-roso emulo, a promettersi ed amare, anche nel minimodi essi, un compagno e un fratello. E qual è l’ingegnoscientifico che agguagli Isacco Newton e Giorgio Cu-vier1 per la grandezza delle scoperte? Rispetto alla qualesi può affermare che questi due uomini sono e sarannosempre senza pari al mondo; perchè a superare la lorofortuna, sarebbe d’uopo che un altro universo si creasseda Dio, o un altro mondo spento si discoprisse. Standoadunque che l’Italia non passa aggiudicarsi per ogni ver-so una scientifica e letteraria preminenza, resta a vederein che siano riposti i veri titoli del suo mentale primato.Ora io dico che questi consistono nei primi elementionde tutte le scienze e le arti gentili provengono. I qualinon sono altro che i germi ideali e fantastici, dalla cuisuccessiva esplicazione derivano, per opera del processodinamico, tutti gli acquisti e i trovati seguenti. Tali ger-mi sono di due specie, secondo che corrispondonoall’ordine delle idee o a quello del tempo; i quali ordininon si possono disgiungere, sia perchè il processo intel-

1 Giorgio Cuvier, n. il 1760 a Montbéliard, m. a Parigi il 1832. Promossel’anatomia comparata, trovando la mirabile legge che esiste fra tutti gli or-gani di un animale, sicchè dalla conoscenza di uno si inferisce quella deglialtri.

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lettivo si riscontra coll’effettivo, e perchè la precedenzaideale, essendo necessaria e assoluta, esclude un’ante-riorità temporaria che cammini a ritroso e le contradica.I germi logici, quanto alle scienze, versano nei primiprincipii; quanto alle lettere e alle arti belle, nei primitipi. I germi cronologici si riferiscono ai primordii delledottrine, dei gentili artefici e delle letterature, e abbrac-ciano il primo esplicamento scientifico e letterariodell’ingegno individuale presso le nazioni giunte agli al-bòri della luce civile. Toccherò in appresso ciò che con-cerne le arti belle e le lettere amene: per ora, restringen-domi alle severe discipline, parlerò soltanto dei canoniscietifici e delle origini enciclopediche, che sono i titolidel primato italiano in ordine al sapere.

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lettivo si riscontra coll’effettivo, e perchè la precedenzaideale, essendo necessaria e assoluta, esclude un’ante-riorità temporaria che cammini a ritroso e le contradica.I germi logici, quanto alle scienze, versano nei primiprincipii; quanto alle lettere e alle arti belle, nei primitipi. I germi cronologici si riferiscono ai primordii delledottrine, dei gentili artefici e delle letterature, e abbrac-ciano il primo esplicamento scientifico e letterariodell’ingegno individuale presso le nazioni giunte agli al-bòri della luce civile. Toccherò in appresso ciò che con-cerne le arti belle e le lettere amene: per ora, restringen-domi alle severe discipline, parlerò soltanto dei canoniscietifici e delle origini enciclopediche, che sono i titolidel primato italiano in ordine al sapere.

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I. – L’ITALIA È PRINCIPE NEGLI ORDINIUNIVERSALI DELLA SCIENZA TEORICA DEI

PRIMI

Due cagioni di tal principato, l’una obbiettiva e l’altrasubbiettiva. Quella consiste nei due principii supremi di

creazione e redenzione, rispondenti ai due cicli della formulaideale.

Fatto interposto tra l’uno e l’altro, cioè l’alterazion del creato.

Il culto della scienza presuppone due condizioni,l’una delle quali è obbiettiva, e consiste nella notiziadell’Idea vestita della parola; l’altra è subbiettiva, e ri-siede in quelle doti intellettive, dal cui concorso risultal’ingegno scientifico. L’Idea, mediante quella supremaformola che, essendone la prima e più semplice espres-sione, ideale a buon diritto si appella, è il principio uni-versale, che abbraccia il reale e lo scibile, la storia e lascienza, le idee e i fatti, le cose e le cognizioni, la specu-lazione e la pratica, la ragione e la rivelazione, il natura-le e il sovranaturale, il necessario e il contingente, la Di-vinità e l’universo. Essa è la sola formola che unifichitutti questi elementi, gli accordi armonicamentenell’unità di un solo principio, senza mischiarli insiemea uso dei panteisti, e le distingua con precisione, senzadisunirli a tenore dei filosofi superficiali. La confusionee la separazione sono del pari assurde nel giro della co-noscenza, come in quello delle cose effettive; onde allo

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I. – L’ITALIA È PRINCIPE NEGLI ORDINIUNIVERSALI DELLA SCIENZA TEORICA DEI

PRIMI

Due cagioni di tal principato, l’una obbiettiva e l’altrasubbiettiva. Quella consiste nei due principii supremi di

creazione e redenzione, rispondenti ai due cicli della formulaideale.

Fatto interposto tra l’uno e l’altro, cioè l’alterazion del creato.

Il culto della scienza presuppone due condizioni,l’una delle quali è obbiettiva, e consiste nella notiziadell’Idea vestita della parola; l’altra è subbiettiva, e ri-siede in quelle doti intellettive, dal cui concorso risultal’ingegno scientifico. L’Idea, mediante quella supremaformola che, essendone la prima e più semplice espres-sione, ideale a buon diritto si appella, è il principio uni-versale, che abbraccia il reale e lo scibile, la storia e lascienza, le idee e i fatti, le cose e le cognizioni, la specu-lazione e la pratica, la ragione e la rivelazione, il natura-le e il sovranaturale, il necessario e il contingente, la Di-vinità e l’universo. Essa è la sola formola che unifichitutti questi elementi, gli accordi armonicamentenell’unità di un solo principio, senza mischiarli insiemea uso dei panteisti, e le distingua con precisione, senzadisunirli a tenore dei filosofi superficiali. La confusionee la separazione sono del pari assurde nel giro della co-noscenza, come in quello delle cose effettive; onde allo

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stesso modo che ripugna l’immedesimare Iddio collesue fatture, egli riesce contradittorio il distruggere la va-rietà in grazia dell’unità, o l’annullar questa per amor diquella negli ordini della cognizione. Il savio ed armoni-co componimento della monarchia coll’aristocrazia è ri-chiesto al sapere, come allo stato e all’universo. La for-mola ideale unifica e distingue nello stesso tempo tutti icomponenti del reale e dello scibile; e siccome ne rac-chiude il germe inesausto, essa è la scienza universale inpotenza, come l’enciclopedia è la formala ideale in atto.Tra questi componenti i più capitali, riguardo alla cogni-zione, sono i principii scientifici: la formola stessa, con-siderata totalmente, in un principio massimo e universa-lissimo si risolve. E i due cicli1 in cui ella si parte sin dalprimo suo esplicamento, partoriscono due principii cor-relativi ed amplissimi per le conseguenze che abbraccia-no; i quali hanno fra loro le attinenze medesime di essidue cicli, in cui si fondano e a cui si riferiscono. Il pri-mo principio è quello di creazione, che s’immedesimacolla formola nella sua iniziale e generica pronunzia, equindi è com’esso universalissimo; ma risponde special-mente al primo ciclo ideale. In virtù di tal principio tuttele esistenze ci appariscono originate dall’Ente uno e as-soluto, come da cagion prima, efficiente e suprema, etraenti dalla sua libera efficienza tutto l’essere di cui

1 La forza infinita trae dal nulla gli esseri finiti, li conserva e li ritrae versose medesima dando luogo a due cicli creativi l’uno discensivo e l’altroascensivo. Si veda intorno ad essi la chiara esposizione di L. MOGLIA nelsuo Avviamento allo studio di Rosmini e Gioberti, Torino, 1894.

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stesso modo che ripugna l’immedesimare Iddio collesue fatture, egli riesce contradittorio il distruggere la va-rietà in grazia dell’unità, o l’annullar questa per amor diquella negli ordini della cognizione. Il savio ed armoni-co componimento della monarchia coll’aristocrazia è ri-chiesto al sapere, come allo stato e all’universo. La for-mola ideale unifica e distingue nello stesso tempo tutti icomponenti del reale e dello scibile; e siccome ne rac-chiude il germe inesausto, essa è la scienza universale inpotenza, come l’enciclopedia è la formala ideale in atto.Tra questi componenti i più capitali, riguardo alla cogni-zione, sono i principii scientifici: la formola stessa, con-siderata totalmente, in un principio massimo e universa-lissimo si risolve. E i due cicli1 in cui ella si parte sin dalprimo suo esplicamento, partoriscono due principii cor-relativi ed amplissimi per le conseguenze che abbraccia-no; i quali hanno fra loro le attinenze medesime di essidue cicli, in cui si fondano e a cui si riferiscono. Il pri-mo principio è quello di creazione, che s’immedesimacolla formola nella sua iniziale e generica pronunzia, equindi è com’esso universalissimo; ma risponde special-mente al primo ciclo ideale. In virtù di tal principio tuttele esistenze ci appariscono originate dall’Ente uno e as-soluto, come da cagion prima, efficiente e suprema, etraenti dalla sua libera efficienza tutto l’essere di cui

1 La forza infinita trae dal nulla gli esseri finiti, li conserva e li ritrae versose medesima dando luogo a due cicli creativi l’uno discensivo e l’altroascensivo. Si veda intorno ad essi la chiara esposizione di L. MOGLIA nelsuo Avviamento allo studio di Rosmini e Gioberti, Torino, 1894.

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sono fornite, e quindi non solo le modificazioni, mal’intima loro sostanza. L’altro principio corrisponde alsecondo ciclo, ed è quello di componimento e di perfe-zione, onde le esistenze rinvertono all’Ente, non già me-diante l’immedesimazione sostanziale dei panteisti(come quella che ripugnerebbe al primo ciclo), ma pervia dell’esplicazione dinamica dei germi creati, e delloro ultimo perfezionamento, giusta le qualità e le attitu-dini naturali di essi. Siccome però tra le cose finitel’arbitrio è la forza principe, ne nasce la possibilità delmale, cioè dell’alterazione cosmica; posta la quale, il se-condo ciclo torna impossibile, se le creature non vengo-no ritratte verso la loro integrità primigenia. In questocaso, che si verifica appunto nel nostro mondo terrestre,il principio di perfezione diventa principio di riparazio-ne o redenzione; il cui concetto importa, oltre al perfe-zionamento e all’esaltazione, il previo ristauro dellecose perfettibili, indirizzate a svolgersi successivamen-te, e per ultimo a quietare, godendo, nel maggior colmopossibile della eccellenza. La redenzione è una creazio-ne rinnovata e seconda, la quale non si distingue in sèstessa, ma solamente ne’ suoi effetti, dalla creazione pri-ma; giacchè l’azione creatrice è unica e immanente neidue cicli, e si diversifica soltanto pel termine delle sueoperazioni. Tra la creazione e la redenzione s’interponeun fatto, cioè l’alterazion del creato; la quale non è altroche il disordine sottentrato all’ordine, la divisione e ilcaos succeduto all’armonia del cosmo, e quindi la perdi-ta dell’unità primitiva, impressa dall’Onnipotente nelle

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sono fornite, e quindi non solo le modificazioni, mal’intima loro sostanza. L’altro principio corrisponde alsecondo ciclo, ed è quello di componimento e di perfe-zione, onde le esistenze rinvertono all’Ente, non già me-diante l’immedesimazione sostanziale dei panteisti(come quella che ripugnerebbe al primo ciclo), ma pervia dell’esplicazione dinamica dei germi creati, e delloro ultimo perfezionamento, giusta le qualità e le attitu-dini naturali di essi. Siccome però tra le cose finitel’arbitrio è la forza principe, ne nasce la possibilità delmale, cioè dell’alterazione cosmica; posta la quale, il se-condo ciclo torna impossibile, se le creature non vengo-no ritratte verso la loro integrità primigenia. In questocaso, che si verifica appunto nel nostro mondo terrestre,il principio di perfezione diventa principio di riparazio-ne o redenzione; il cui concetto importa, oltre al perfe-zionamento e all’esaltazione, il previo ristauro dellecose perfettibili, indirizzate a svolgersi successivamen-te, e per ultimo a quietare, godendo, nel maggior colmopossibile della eccellenza. La redenzione è una creazio-ne rinnovata e seconda, la quale non si distingue in sèstessa, ma solamente ne’ suoi effetti, dalla creazione pri-ma; giacchè l’azione creatrice è unica e immanente neidue cicli, e si diversifica soltanto pel termine delle sueoperazioni. Tra la creazione e la redenzione s’interponeun fatto, cioè l’alterazion del creato; la quale non è altroche il disordine sottentrato all’ordine, la divisione e ilcaos succeduto all’armonia del cosmo, e quindi la perdi-ta dell’unità primitiva, impressa dall’Onnipotente nelle

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sue opere. Rotta questa divina concordia, e nato il malenel doppio ambito dello spirituale e del corporeo univer-so, seguì la divisione delle stirpi, delle genti, dei popoli,delle lingue, della civiltà, delle credenze, e il genereumano, lasciando di essere una sola famiglia, si sciolsein una folla di piccole aggregazioni disgiunte o gareg-gianti. Quando le cose sono ridotte a tali termini, l’operacomplementare del secondo ciclo dee farsi instaurativa,riattando l’unità primordiale, che armonizza la varietàcreata, senza distruggerla, e riducendo i contraposti, icontrari, gli estremi, a un concorde temperamento.

In che modo i due principii e il fatto che tramezzasi conoscano naturalmente.

Considerando filosoficamente la rottura della unitàoriginale e la sua restituzione, non entro qui nei partico-tari conoscibili col solo lume rivelato, e mi contento diaccennare quei concetti generici e universalissimi che ri-sultano dalla formola razionale, conferita coll’esperien-za e colla storia. E di vero questa formala ci porge co’suoi due cicli i principii di creazione e di compimento; eil secondo di tali pronunziati si trasforma in principio diristauro e di redenzione, mediante il fatto interposto delguasto e turbamento avvenuto negli ordini cosmici. Ilquale, essendo un’anomalia accidentale, non può certoscaturire dal tessuto della formola, nè essere conosciutorazionalmente; ma, come tutti i fenomeni, ci viene inse-gnato dalla storia e dalla sperienza. La formola ne mo-

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sue opere. Rotta questa divina concordia, e nato il malenel doppio ambito dello spirituale e del corporeo univer-so, seguì la divisione delle stirpi, delle genti, dei popoli,delle lingue, della civiltà, delle credenze, e il genereumano, lasciando di essere una sola famiglia, si sciolsein una folla di piccole aggregazioni disgiunte o gareg-gianti. Quando le cose sono ridotte a tali termini, l’operacomplementare del secondo ciclo dee farsi instaurativa,riattando l’unità primordiale, che armonizza la varietàcreata, senza distruggerla, e riducendo i contraposti, icontrari, gli estremi, a un concorde temperamento.

In che modo i due principii e il fatto che tramezzasi conoscano naturalmente.

Considerando filosoficamente la rottura della unitàoriginale e la sua restituzione, non entro qui nei partico-tari conoscibili col solo lume rivelato, e mi contento diaccennare quei concetti generici e universalissimi che ri-sultano dalla formola razionale, conferita coll’esperien-za e colla storia. E di vero questa formala ci porge co’suoi due cicli i principii di creazione e di compimento; eil secondo di tali pronunziati si trasforma in principio diristauro e di redenzione, mediante il fatto interposto delguasto e turbamento avvenuto negli ordini cosmici. Ilquale, essendo un’anomalia accidentale, non può certoscaturire dal tessuto della formola, nè essere conosciutorazionalmente; ma, come tutti i fenomeni, ci viene inse-gnato dalla storia e dalla sperienza. La formola ne mo-

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stra la possibilità sola, in quanto che le cause seconde,cooperando nel secondo ciclo all’azione della causa pri-ma, possono divolgersi dall’indirizzo di essa, ogni qualvolta siano libere e abbiano il governo delle proprieoperazioni. Dal che seguono alcune contingenze possi-bili a effettuarsi; quali sono 1° lo sviamento libero delleforze intelligenti dal moto ascensivo del secondo ciclo;2° la perturbazione proporzionata di quelle forze fataliche pel grado e sito loro nell’ordine cosmico si collega-no colle forze libere, e partecipano alla sorte loro; 3°l’interruzione e la posa del processo di queste due classidi forze, e quindi un vero regresso, atteso l’indole diogni forza creata, che, ripugnando a uno stato d’inerziae immobilità assoluta, se non va innanzi, necessaria-mente dietreggia; 4° la necessità ipotetica di un nuovointervento della causa creatrice per instaurare il motoprogressivo nelle forzi degeneri; e però 5° il ritorno del-le sostanze intelligenti e sviate al moto ciclico, colla rin-tegrazione finale e palingenesiaca delle forze fatali, in-divise nel loro essere dalla fortuna di quelle; 6° final-mente, l’esclusione perpetua del compimento cosmicodelle forze trascorse e radicate per libera eletta nel mo-rale disordine. Queste mere possibilità razionali, cherampollano a priori dall’ordito della formola, sono gene-ralissime, e non possono particolareggiarsi nè acquistarvalore di fatti positivi, se non vengono corroborate a po-steriori dalla esperienza o dalla storia, e a superiori dallarivelazione. Ma eziandio in questa conferma si voglionodistinguere con gran cura il dati conoscibili naturalmen-

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stra la possibilità sola, in quanto che le cause seconde,cooperando nel secondo ciclo all’azione della causa pri-ma, possono divolgersi dall’indirizzo di essa, ogni qualvolta siano libere e abbiano il governo delle proprieoperazioni. Dal che seguono alcune contingenze possi-bili a effettuarsi; quali sono 1° lo sviamento libero delleforze intelligenti dal moto ascensivo del secondo ciclo;2° la perturbazione proporzionata di quelle forze fataliche pel grado e sito loro nell’ordine cosmico si collega-no colle forze libere, e partecipano alla sorte loro; 3°l’interruzione e la posa del processo di queste due classidi forze, e quindi un vero regresso, atteso l’indole diogni forza creata, che, ripugnando a uno stato d’inerziae immobilità assoluta, se non va innanzi, necessaria-mente dietreggia; 4° la necessità ipotetica di un nuovointervento della causa creatrice per instaurare il motoprogressivo nelle forzi degeneri; e però 5° il ritorno del-le sostanze intelligenti e sviate al moto ciclico, colla rin-tegrazione finale e palingenesiaca delle forze fatali, in-divise nel loro essere dalla fortuna di quelle; 6° final-mente, l’esclusione perpetua del compimento cosmicodelle forze trascorse e radicate per libera eletta nel mo-rale disordine. Queste mere possibilità razionali, cherampollano a priori dall’ordito della formola, sono gene-ralissime, e non possono particolareggiarsi nè acquistarvalore di fatti positivi, se non vengono corroborate a po-steriori dalla esperienza o dalla storia, e a superiori dallarivelazione. Ma eziandio in questa conferma si voglionodistinguere con gran cura il dati conoscibili naturalmen-

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te dagli oltranaturali, chi non voglia confondere insiemegli oracoli della religione colle conclusioni filosofiche,Così la formola razionale ci addita il principio di reden-zione solo in modo universalissimo, cioè come un nuo-vo intervento della virtù creatrice, necessario per ristora-re e beare le sue fatture; ma non dichiara se questo inter-vento, essendo libero, abbia avuto effetto, nè in che con-sista, come si operi, e quali ne siano le varietà specifi-che, le circostanze, i risultamenti. Così pure l’esperienzanaturale c’insegna generalmente che la nostra speciesoggiace a uno stato morboso non potuto procedere dal-la sapienza creatrice; che da tal morbo nasce quel semefunesto di regresso e di traviamento che si frammescolaa ogni cosa nostra quaggiù; che tuttavia il principio del-la perfettibilità non è spento, il progresso costeggia il re-gresso, e il bene accompagna il male per forma, chel’uno contrasta e prevale di mano in mano all’altro, pre-nunziando una compiuta vittoria, e mostrando chel’infermità tellurica non è incurabile, che i travaglianti esviati possono riprendere colla gagliardia delle forze ilperduto corso, e toccare felicemente la meta. Gli annalidel popoli eterodossi contengono tradizioni antichissi-me, secondo le quali il genere umano passò successiva-mente da una felicità primitiva alla miseria presente, eda questa si avvia a una futura beatitudine, discorrendopei tre momenti della creazione, della caduta e del risor-gimento, che rispondono ai due cicli e all’evento fortui-to e funesto, interposto fra loro. Non occorre qui entrarenel vasto pelago dei miti e delle tradizioni; noterò solo

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te dagli oltranaturali, chi non voglia confondere insiemegli oracoli della religione colle conclusioni filosofiche,Così la formola razionale ci addita il principio di reden-zione solo in modo universalissimo, cioè come un nuo-vo intervento della virtù creatrice, necessario per ristora-re e beare le sue fatture; ma non dichiara se questo inter-vento, essendo libero, abbia avuto effetto, nè in che con-sista, come si operi, e quali ne siano le varietà specifi-che, le circostanze, i risultamenti. Così pure l’esperienzanaturale c’insegna generalmente che la nostra speciesoggiace a uno stato morboso non potuto procedere dal-la sapienza creatrice; che da tal morbo nasce quel semefunesto di regresso e di traviamento che si frammescolaa ogni cosa nostra quaggiù; che tuttavia il principio del-la perfettibilità non è spento, il progresso costeggia il re-gresso, e il bene accompagna il male per forma, chel’uno contrasta e prevale di mano in mano all’altro, pre-nunziando una compiuta vittoria, e mostrando chel’infermità tellurica non è incurabile, che i travaglianti esviati possono riprendere colla gagliardia delle forze ilperduto corso, e toccare felicemente la meta. Gli annalidel popoli eterodossi contengono tradizioni antichissi-me, secondo le quali il genere umano passò successiva-mente da una felicità primitiva alla miseria presente, eda questa si avvia a una futura beatitudine, discorrendopei tre momenti della creazione, della caduta e del risor-gimento, che rispondono ai due cicli e all’evento fortui-to e funesto, interposto fra loro. Non occorre qui entrarenel vasto pelago dei miti e delle tradizioni; noterò solo

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che la dottrina dei due cicli trapela nelle teogonie, nellecosmogonie e nelle filosofie che costituiscono la scienzasacerdotale di tutti i popoli pagani dai loro primordi sinoai dì nostri1. Senza tal dottrina non si può trovare il ban-dolo nè recar qualche ordine in quelle antiche farraginiteologiche e razionali; e tutte le spiegazioni escogitatefinora dai filosofi e dagli eruditi, che non vollero appi-gliarsi a quel filo ideale, senza trarne il dotto e ingegno-so Creuzer2, sono fondate sull’immaginazione dei loroautori, e non esprimono il senso genuino e nativo deidocumenti superstiti. Oltre che, tutte queste dichiarazio-ni, e in ispecie quella del mitografo tedesco, benché sva-riatissime e spesso discordi, sono infette di panteismo, elavorano più o meno sul dati di questo sistema. Ora ilpanteismo è tanto inetto a illustrare la mitologia e la sto-ria, quanto a spiegare lo spirito umano e la natura, per-chè, oltre al confondere gli estremi e le differenze (nelche versa la sua essenza), esso annulla la distinzione deidue cicli, e ammette un ciclo unico, senza principio e in-terminabile; il quale, essendo in sè medesimo privo diorganismo, non può somministrare un filo atto a organa-re la scienza; giacchè ripugna che un sistema possa dare1 Cfr. intorno al mito dell’età dell’oro in Italia la monografia di S. COGNETTI

DE MARTIIS, Il fondamento storico di una leggenda italica, Torino, 1888.2 Fredr. Creuzer, n. il 1771 a Marburg, m. nel 1858 in Heidelberg. La sua

opera più importante è la Symbolik und Mythologie der alter «Völker», be-sonders der Griechen, la cui prima edizione fu pubblicata a Lipsia nel1810-12 in 4 volumi, Cfr. STARK, Friedrick C. (Heidelberg, 1875). Il Gio-berti, come risulta da un catalogo manoscritto della sua libreria, possedevagià prima dell’esilio la traduzione francese che delle Religions de l’anti-quité del CREUZER aveva pubblicato in Parigi il Guigniaut nel 1825.

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che la dottrina dei due cicli trapela nelle teogonie, nellecosmogonie e nelle filosofie che costituiscono la scienzasacerdotale di tutti i popoli pagani dai loro primordi sinoai dì nostri1. Senza tal dottrina non si può trovare il ban-dolo nè recar qualche ordine in quelle antiche farraginiteologiche e razionali; e tutte le spiegazioni escogitatefinora dai filosofi e dagli eruditi, che non vollero appi-gliarsi a quel filo ideale, senza trarne il dotto e ingegno-so Creuzer2, sono fondate sull’immaginazione dei loroautori, e non esprimono il senso genuino e nativo deidocumenti superstiti. Oltre che, tutte queste dichiarazio-ni, e in ispecie quella del mitografo tedesco, benché sva-riatissime e spesso discordi, sono infette di panteismo, elavorano più o meno sul dati di questo sistema. Ora ilpanteismo è tanto inetto a illustrare la mitologia e la sto-ria, quanto a spiegare lo spirito umano e la natura, per-chè, oltre al confondere gli estremi e le differenze (nelche versa la sua essenza), esso annulla la distinzione deidue cicli, e ammette un ciclo unico, senza principio e in-terminabile; il quale, essendo in sè medesimo privo diorganismo, non può somministrare un filo atto a organa-re la scienza; giacchè ripugna che un sistema possa dare1 Cfr. intorno al mito dell’età dell’oro in Italia la monografia di S. COGNETTI

DE MARTIIS, Il fondamento storico di una leggenda italica, Torino, 1888.2 Fredr. Creuzer, n. il 1771 a Marburg, m. nel 1858 in Heidelberg. La sua

opera più importante è la Symbolik und Mythologie der alter «Völker», be-sonders der Griechen, la cui prima edizione fu pubblicata a Lipsia nel1810-12 in 4 volumi, Cfr. STARK, Friedrick C. (Heidelberg, 1875). Il Gio-berti, come risulta da un catalogo manoscritto della sua libreria, possedevagià prima dell’esilio la traduzione francese che delle Religions de l’anti-quité del CREUZER aveva pubblicato in Parigi il Guigniaut nel 1825.

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ciò che gli manca. Mi cadrà forse in taglio di provare inaltr’opera che le dottrine epoptiche degli Orfici, dei Sa-motraci, della Frigia, di Eleusi, e dell’altra Grecia, con-sonanti all’insegnamento ieratico degli Egizi, dei Fenicide’ Caldei, dei Persiani, degl’Indi, dei Cinesi, dei Geti,del Pelasghi, degli Etruschi, dei Druidi, degli Scandina-vi, del Toltechi, degli Oceanici, e via discorrendo, si ri-ducono sostanzialmente alla dottrina dei due cicli colfatto mediano del regresso, alterata più o meno dallaconfusione del Teo e del Cosmo, cioè dall’emanatismo edal panteismo schietto e temperato degli antichi1. Fra

1 Ho tratteggiata nel capitolo settimo del primo libro della mia Introduzionela tela ideale e generalissima su cui corre l’eterodossia in universale e lagenerazione de’ principali sistemi che le si attengono, specialmente riguar-do all’antico Oriente. Non ho potuto far altro che accennare i sommi capidel mio assunto, e appena indicare rapidamente alcuna delle prove che laconfermano; ma se la Providenza mi agevolerà il compimento del mio la-voro, avrò forse occasione di mostrare storicamente che quello è l’unicofilo atto a districare la confusione in cui è ravvolta la ricca mitologia deipopoli orientali. Dico mostrare, e non già dimostrare; perchè la dimostra-zione di una genesi speculativa dee esser fatta a priori, pigliando le mossedalla natura delle idee onde si tratta. Oggi credesi comunemente chel’errore sia una cosa arbitraria, capricciosa, indeterminata, che non si puòconoscere se non collo studio dei testi e di altri documenti positivi. Coloroche la pensano in tal guisa, invece di spiegar l’errore mi pare che se nerendano complici. Imperocchè la sola parte del falso che soglia dipendereimmediatamente dalla libertà umana, e aver per sè stessa ragione di colpa,è il primo principio, che è quanto dire l’idea generatrice di esso. Ma, postaquesta idea madre, tutto il rimanente: di un sistema mendoso è necessario,fatale, irrepugnabile, ogni qual volta l’errante non si dilunghi nel suo di-scorso dalle regole della buona logica; tanto che, se ciascuno degli sbagliconsecutivi possono essere imputabili, e spesso il sono, ciò nasce solo inquanto chi li professa è sempre libero di tornare indietro, e ripudiare il pro-nunziato in cui si contengono. Lo studio dei testi e dei documenti è neces-sario per cogliere l’idea procreatrice di una dottrina: ma quando tal idea si

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ciò che gli manca. Mi cadrà forse in taglio di provare inaltr’opera che le dottrine epoptiche degli Orfici, dei Sa-motraci, della Frigia, di Eleusi, e dell’altra Grecia, con-sonanti all’insegnamento ieratico degli Egizi, dei Fenicide’ Caldei, dei Persiani, degl’Indi, dei Cinesi, dei Geti,del Pelasghi, degli Etruschi, dei Druidi, degli Scandina-vi, del Toltechi, degli Oceanici, e via discorrendo, si ri-ducono sostanzialmente alla dottrina dei due cicli colfatto mediano del regresso, alterata più o meno dallaconfusione del Teo e del Cosmo, cioè dall’emanatismo edal panteismo schietto e temperato degli antichi1. Fra

1 Ho tratteggiata nel capitolo settimo del primo libro della mia Introduzionela tela ideale e generalissima su cui corre l’eterodossia in universale e lagenerazione de’ principali sistemi che le si attengono, specialmente riguar-do all’antico Oriente. Non ho potuto far altro che accennare i sommi capidel mio assunto, e appena indicare rapidamente alcuna delle prove che laconfermano; ma se la Providenza mi agevolerà il compimento del mio la-voro, avrò forse occasione di mostrare storicamente che quello è l’unicofilo atto a districare la confusione in cui è ravvolta la ricca mitologia deipopoli orientali. Dico mostrare, e non già dimostrare; perchè la dimostra-zione di una genesi speculativa dee esser fatta a priori, pigliando le mossedalla natura delle idee onde si tratta. Oggi credesi comunemente chel’errore sia una cosa arbitraria, capricciosa, indeterminata, che non si puòconoscere se non collo studio dei testi e di altri documenti positivi. Coloroche la pensano in tal guisa, invece di spiegar l’errore mi pare che se nerendano complici. Imperocchè la sola parte del falso che soglia dipendereimmediatamente dalla libertà umana, e aver per sè stessa ragione di colpa,è il primo principio, che è quanto dire l’idea generatrice di esso. Ma, postaquesta idea madre, tutto il rimanente: di un sistema mendoso è necessario,fatale, irrepugnabile, ogni qual volta l’errante non si dilunghi nel suo di-scorso dalle regole della buona logica; tanto che, se ciascuno degli sbagliconsecutivi possono essere imputabili, e spesso il sono, ciò nasce solo inquanto chi li professa è sempre libero di tornare indietro, e ripudiare il pro-nunziato in cui si contengono. Lo studio dei testi e dei documenti è neces-sario per cogliere l’idea procreatrice di una dottrina: ma quando tal idea si

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queste tradizioni universali miste di vero e di falso, diricordanze e di fantasie, di eventi e di favole, si trovauna sola storia, in cui la teorica del due cicli venga parti-colarizzata con mirabile semplicità e sgombra da ognifizione. Se non che, la Genesi e l’Evangelio, oltreall’essere monumenti storici, sono anche codici rivelati;

conosce, altri può rifare con sola essa la teorica che occorre, senza paura dichimerizzare e di scostarsi, almeno nella sostanza, dalla genuina opinionedi quelli che la professarono. Quanto agli sviamenti originati da poca logi-ca, essi al più possono modificare notabilmente un sistema in qualche indi-viduo, ma non mai in tutta una scuola; perchè i difetti dialettici in cui cia-scun individuo può cadere, sono differentissimi, e quindi scompaionoquando si fa la somma degli elementi dottrinali e comuni di una setta unpo’ estesa. Così, per cagion d’esempio, il solo dualismo del Teo o Noo edell’Ile contiene la chiave di quasi tutta la filosofia greca da Pitagora aPlotino; e chi con questo solo principio eterodosso metta mano a costruireun sistema filosofico non fallirà a rifare, anco senza avvedersene, le teori-che apparentemente diverse, ma in effetto identiche di Pitagora, Aristotilee Platone. Dico questo, non già per inferirne che sia inutile lo studio delletestimonianze positive e dei monumenti; chè anzi lo credo sempre oppor-tuno, importantissimo e spesso necessario: voglio solo conchiudere chetale studio, senza quello delle idee, non basta per ben conoscere un’opinio-ne speculativa di qualche rilievo. Nello stesso modo che il bello esternonon si può gustare se non da chi internamente lo riproduce, una filosofiaqualunque può esser ben capita solamente da coloro che, ascoltandone oleggendone l’esposizione, sanno in sè medesimi rinnovellarla. Oggi si sti-ma il contrario, perchè il sensismo e il psicologismo hanno fatto perdere amolti eruditi il bandolo di quasi tutte le materie che alle idee si attengono.Fa compassione il vedere certi ingegnosi volere riordinare un vecchio si-stema, procedendo solo all’empirica, lavorando a musaico su certi pezzettidi testi smozzicati, e connenendoli insieme, Iddio sa come, senza avere unfilo speculativo e anticipato che li governi. Se Giorgio Cuvier avesse inte-so a rifabbricare i fossili con questo solo magisterio, sarebbe stato fresco.Ora, applicando queste considerazioni alla storia dell’eterodossia, dicoche, siccome la formola ideale è il solo principio, non pure effettivo, maimmaginabile del vero, così l’unica fonte possibile dell’errore dee esserel’alterazione di tal formola; tanto che, determinando in quanti modi essa

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queste tradizioni universali miste di vero e di falso, diricordanze e di fantasie, di eventi e di favole, si trovauna sola storia, in cui la teorica del due cicli venga parti-colarizzata con mirabile semplicità e sgombra da ognifizione. Se non che, la Genesi e l’Evangelio, oltreall’essere monumenti storici, sono anche codici rivelati;

conosce, altri può rifare con sola essa la teorica che occorre, senza paura dichimerizzare e di scostarsi, almeno nella sostanza, dalla genuina opinionedi quelli che la professarono. Quanto agli sviamenti originati da poca logi-ca, essi al più possono modificare notabilmente un sistema in qualche indi-viduo, ma non mai in tutta una scuola; perchè i difetti dialettici in cui cia-scun individuo può cadere, sono differentissimi, e quindi scompaionoquando si fa la somma degli elementi dottrinali e comuni di una setta unpo’ estesa. Così, per cagion d’esempio, il solo dualismo del Teo o Noo edell’Ile contiene la chiave di quasi tutta la filosofia greca da Pitagora aPlotino; e chi con questo solo principio eterodosso metta mano a costruireun sistema filosofico non fallirà a rifare, anco senza avvedersene, le teori-che apparentemente diverse, ma in effetto identiche di Pitagora, Aristotilee Platone. Dico questo, non già per inferirne che sia inutile lo studio delletestimonianze positive e dei monumenti; chè anzi lo credo sempre oppor-tuno, importantissimo e spesso necessario: voglio solo conchiudere chetale studio, senza quello delle idee, non basta per ben conoscere un’opinio-ne speculativa di qualche rilievo. Nello stesso modo che il bello esternonon si può gustare se non da chi internamente lo riproduce, una filosofiaqualunque può esser ben capita solamente da coloro che, ascoltandone oleggendone l’esposizione, sanno in sè medesimi rinnovellarla. Oggi si sti-ma il contrario, perchè il sensismo e il psicologismo hanno fatto perdere amolti eruditi il bandolo di quasi tutte le materie che alle idee si attengono.Fa compassione il vedere certi ingegnosi volere riordinare un vecchio si-stema, procedendo solo all’empirica, lavorando a musaico su certi pezzettidi testi smozzicati, e connenendoli insieme, Iddio sa come, senza avere unfilo speculativo e anticipato che li governi. Se Giorgio Cuvier avesse inte-so a rifabbricare i fossili con questo solo magisterio, sarebbe stato fresco.Ora, applicando queste considerazioni alla storia dell’eterodossia, dicoche, siccome la formola ideale è il solo principio, non pure effettivo, maimmaginabile del vero, così l’unica fonte possibile dell’errore dee esserel’alterazione di tal formola; tanto che, determinando in quanti modi essa

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e vedremo ben tosto quali siano le loro attinenze pei duerispetti coll’enciclopedia umana.

La chiave speculativa della realtà universale, pel dop-pio verso della scienza e della storia, risiede adunque indue principii, emergenti dal tessuto ciclico della primaformola, coll’arrota di un fallo mediano, attestato del

possa venire alterata, si conoscono tutte le eresie fondamentali ond’è capa-ce l’ingegno umano, e a cui ogni errore particolare di necessità si riduce.

Fra gli autori recenti che trattarono delle religioni eterodosse, e tentaro-no di spiegarne filosoficamente il principio e l’orditura, Federigo Creuzcrè uno dei più rinomati. L’opera sua principale fu ridotta in francese dalGuigniaut, e arricchita di note varie, erudite, giudiziose, che onoranol’ingegno e la modesta del traduttore. Si debbono in tal opera distingueredue cose; cioè l’erudizione e la filosofia che l’informa. L’erudizione è te-desca, che è quanto dire vasta, profonda, accurata, e assegna al Creuzer unluogo eminente fra gli uomini più dotti del suo secolo. Che se intorno adalcune religioni asiatiche, verbigrazia quelle dell’India e della Persia, i la-vori susseguenti degli orientalisti possono far parere la suppellettiledell’ingegnoso alemanno più tosto scarsa che ricca, il difetto è inevitabilein tal maniera di studi, che sono nella lor prima adolescenza, e cresconoogni giorno, cosicchè il solo intervallo di un lustro può modificare essen-zialmente le notizie che prima si avevano. Ma quanto alla filosofia, iodico, senza esitazione, che il lavoro del Creuzer è debole in molte sue par-ti, e falso nei principii fondamentali. Debole, perchè il dottissimo scrittorefilosofeggia a magistero di fantasia, non di ragione, o piuttosto poeteggia,credendosi di filosofare; onde sempre vago, confuso, perplesso, indetermi-nato, pieno di tropi, di figure, che non illustrano, ma annebbiano il pensie-ro, non ne caveresti nè una formola precisa, nè un costrutto che abbia delrigoroso e dello scientifico. Falso, perchè, movendo dai principii del pan-teismo e del razionalismo, tutto il suo lavoro si aggira sur un presuppostodella stessa natura; il quale si è che il corso dell’ingegno umano sia statoprogressivo, non regressivo, che l’unità ortodossa non abbia preceduta lamolticiplità eterodossa, e che quindi le opinioni religiose più rozze, gros-solane ed informi siano state le più antiche. La qual sentenza non si puòaccordare col discorso, nè colla fede, nè colla istoria, nè coi monumenti; etuttavia è al dì d’oggi professata dalla maggior parte dei dotti, come quelliche lavorano scientemente o senza saperlo sui dati di una filosofia pantei-

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e vedremo ben tosto quali siano le loro attinenze pei duerispetti coll’enciclopedia umana.

La chiave speculativa della realtà universale, pel dop-pio verso della scienza e della storia, risiede adunque indue principii, emergenti dal tessuto ciclico della primaformola, coll’arrota di un fallo mediano, attestato del

possa venire alterata, si conoscono tutte le eresie fondamentali ond’è capa-ce l’ingegno umano, e a cui ogni errore particolare di necessità si riduce.

Fra gli autori recenti che trattarono delle religioni eterodosse, e tentaro-no di spiegarne filosoficamente il principio e l’orditura, Federigo Creuzcrè uno dei più rinomati. L’opera sua principale fu ridotta in francese dalGuigniaut, e arricchita di note varie, erudite, giudiziose, che onoranol’ingegno e la modesta del traduttore. Si debbono in tal opera distingueredue cose; cioè l’erudizione e la filosofia che l’informa. L’erudizione è te-desca, che è quanto dire vasta, profonda, accurata, e assegna al Creuzer unluogo eminente fra gli uomini più dotti del suo secolo. Che se intorno adalcune religioni asiatiche, verbigrazia quelle dell’India e della Persia, i la-vori susseguenti degli orientalisti possono far parere la suppellettiledell’ingegnoso alemanno più tosto scarsa che ricca, il difetto è inevitabilein tal maniera di studi, che sono nella lor prima adolescenza, e cresconoogni giorno, cosicchè il solo intervallo di un lustro può modificare essen-zialmente le notizie che prima si avevano. Ma quanto alla filosofia, iodico, senza esitazione, che il lavoro del Creuzer è debole in molte sue par-ti, e falso nei principii fondamentali. Debole, perchè il dottissimo scrittorefilosofeggia a magistero di fantasia, non di ragione, o piuttosto poeteggia,credendosi di filosofare; onde sempre vago, confuso, perplesso, indetermi-nato, pieno di tropi, di figure, che non illustrano, ma annebbiano il pensie-ro, non ne caveresti nè una formola precisa, nè un costrutto che abbia delrigoroso e dello scientifico. Falso, perchè, movendo dai principii del pan-teismo e del razionalismo, tutto il suo lavoro si aggira sur un presuppostodella stessa natura; il quale si è che il corso dell’ingegno umano sia statoprogressivo, non regressivo, che l’unità ortodossa non abbia preceduta lamolticiplità eterodossa, e che quindi le opinioni religiose più rozze, gros-solane ed informi siano state le più antiche. La qual sentenza non si puòaccordare col discorso, nè colla fede, nè colla istoria, nè coi monumenti; etuttavia è al dì d’oggi professata dalla maggior parte dei dotti, come quelliche lavorano scientemente o senza saperlo sui dati di una filosofia pantei-

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pari dagli esperimenti e dalle memorie. Creazione, cadu-ta, redenzione, sono due idee fattive e divine e un fattoumano, che abbracciano in ordine all’uomo la realtà uni-versale nel doppio giro delle cose e delle cognizioni, eporgono alla vita speculativa e pratica una base e normasuprema. Alla rivelazione sola si aspetta il fermare in

stica o sensuale. Anche l’opera spiritosa di Beniamino Constant sulla reli-gione si aggira tutta su tale ipotesi; se non che, mi farei coscienza a para-gonare col libro francese la Simbolica del Creuzer per ciò che spettaall’ampiezza e alla sodezza dell’erudizione. Debbo però aggiungere che ionon partecipo al profondo errore dell’onorando Antonio Rosmini perl’opera del Constant; e che, sebbene io disapprovi altamente gli errori chevi si contengono, mi par tuttavia di ravvisare in essa (sovratutto se si hal’occhio al tempo in cui venne composta e pubblicata, e alla qualitàdell’autore, filosofo francese e protestante) una prova di quel ravviamentointellettivo e morale degli spiriti verso la religione che allora incominciavain Francia, e che oggi continuerebbe, se alcuni di coloro a cui toccherebbeil promuoverlo e l’aiutarlo, non facessero ogni opera per distruggerlo. Cer-to, se si considera che lo scritto del Constant, in cui, non ostante gli erroriche lo infettano, l’autore ammette pure espressamente la necessità della re-ligione e la divina origine del Giudaismo e del Cristianesimo, uscì allaluce, quando la filosofia del Cabanis, del Tracy, e l’erudizione del Volneyerano tuttavia in voga e in onore, e fu opera di un uomo acattolico e ligioin moltissime cose alle preoccupazioni del secolo, esso si può considerarepiuttosto come un sintomo di convalescenza, che di malattia, e come unannunzio di rimota guarigione, anzichè di prossima morte.

A proposito dell’empirismo storico e della fatalità logica a cui soggiac-ciono le conclusioni di un principio dottrinale, non credo inopportuno diantivenire, almeno con un piccolo cenno, un’obbiezione che mi verrà forsefatta intorno a ciò che dico de’ Guelfi in varii luoghi del mio discorso. Èopinione di alcuni uomini dottissimi, che l’idea guelfa consistesse nel fardell’Italia un conserto di repubblichette indipendenti e democratiche, sen-za più; e che siccome nel sistema dei Ghibellini l’unità dello stato e l’auto-rità del comando prevalevano ad ogni altro riguardo, così la libertà el’indipendenza dei comuni fosse l’unica sollecitudine dei loro avversari.Ma in questa libertà e indipendenza del comuni a stato di plebe ordinati iotrovo il sogno di Arnaldo da Brescia, non il sistema de’ Guelfi; trovo il

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pari dagli esperimenti e dalle memorie. Creazione, cadu-ta, redenzione, sono due idee fattive e divine e un fattoumano, che abbracciano in ordine all’uomo la realtà uni-versale nel doppio giro delle cose e delle cognizioni, eporgono alla vita speculativa e pratica una base e normasuprema. Alla rivelazione sola si aspetta il fermare in

stica o sensuale. Anche l’opera spiritosa di Beniamino Constant sulla reli-gione si aggira tutta su tale ipotesi; se non che, mi farei coscienza a para-gonare col libro francese la Simbolica del Creuzer per ciò che spettaall’ampiezza e alla sodezza dell’erudizione. Debbo però aggiungere che ionon partecipo al profondo errore dell’onorando Antonio Rosmini perl’opera del Constant; e che, sebbene io disapprovi altamente gli errori chevi si contengono, mi par tuttavia di ravvisare in essa (sovratutto se si hal’occhio al tempo in cui venne composta e pubblicata, e alla qualitàdell’autore, filosofo francese e protestante) una prova di quel ravviamentointellettivo e morale degli spiriti verso la religione che allora incominciavain Francia, e che oggi continuerebbe, se alcuni di coloro a cui toccherebbeil promuoverlo e l’aiutarlo, non facessero ogni opera per distruggerlo. Cer-to, se si considera che lo scritto del Constant, in cui, non ostante gli erroriche lo infettano, l’autore ammette pure espressamente la necessità della re-ligione e la divina origine del Giudaismo e del Cristianesimo, uscì allaluce, quando la filosofia del Cabanis, del Tracy, e l’erudizione del Volneyerano tuttavia in voga e in onore, e fu opera di un uomo acattolico e ligioin moltissime cose alle preoccupazioni del secolo, esso si può considerarepiuttosto come un sintomo di convalescenza, che di malattia, e come unannunzio di rimota guarigione, anzichè di prossima morte.

A proposito dell’empirismo storico e della fatalità logica a cui soggiac-ciono le conclusioni di un principio dottrinale, non credo inopportuno diantivenire, almeno con un piccolo cenno, un’obbiezione che mi verrà forsefatta intorno a ciò che dico de’ Guelfi in varii luoghi del mio discorso. Èopinione di alcuni uomini dottissimi, che l’idea guelfa consistesse nel fardell’Italia un conserto di repubblichette indipendenti e democratiche, sen-za più; e che siccome nel sistema dei Ghibellini l’unità dello stato e l’auto-rità del comando prevalevano ad ogni altro riguardo, così la libertà el’indipendenza dei comuni fosse l’unica sollecitudine dei loro avversari.Ma in questa libertà e indipendenza del comuni a stato di plebe ordinati iotrovo il sogno di Arnaldo da Brescia, non il sistema de’ Guelfi; trovo il

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modo preciso e determinato, e quasi l’incorporare e ri-durre a stato specifico di concretezza i due ultimi con-cetti, in quanto s’intrecciano col fine religioso, estempo-raneo ed eterno dell’uomo1; ma, considerati general-mente, alla ragione appartengono, e debbono informaretutte le parti dell’umana scienza. E se la cagione e il

ghibellinismo democratico, differentissimo dall’imperiale per un rispetto,ma simile per l’altro; poichè entrambi miravano a distruggere il potere ci-vile del sacerdozio, a rinnovare gli ordini politici del gentilesimo, a inve-stir di nuovo la forza del governo delle cose umane, collocandolo nel brac-cio regio di un despota o nel capriccio delle moltitudini. Il vero sistema de’Guelfi, al parer mio, non è altro che il realismo applicato alla civiltà italia-na; cioè l’ordinazione d’Italia in modo conforme alle sue condizioni stori-che ed effettive, che è quanto dire all’idea e al tipo reale, non immaginarioe chimerico, che ne viene rappresentato. Ora lo stato ideale d’Italia constadi tre elementi fondamentali, che sono: 1° l’aristocrazia naturale degli otti-mati; 2° la monarchia civile; 3° la divisione dell’Italia in varii Stati indi-pendenti quanto al loro ordini, ma insieme confederati per mezzo di uncapo unico, non politico, nè laicale ereditario, ma elettivo e ieratico.L’esemplare di questa trimembre ordinazione della Penisola le è talmenteconnaturale, che tutta la nostra storia fin dal tempi più antichi lo esprime;giacchè l’Italia fu sempre unificata più o meno da un potere sacerdotale,residente in Roma etrusca ed antica, o toscana e moderna; fu sempre divisain più stati confederati o almeno aspiranti a confederarsi, quando la forzadegli eventi gli avea rotti e divisi; nè mai nel vivere interno delle varie pro-vincie i due estremi della libertà democratica e del dispotismo regio stabil-mente prevalsero. Vero è che queste diverse condizioni furono solo imper-fettamente messe ad effetto, e vennero sovente guaste e alterate: ma chinon voglia essere indotto in errore da queste anomalie storiche dee fareun’osservazione che mi pare di gran momento. La quale si è che l’idea nons’incarna mai fra gli uomini in modo perfetto; imperocchè la materia in cuiella si dee incorporare, essendo viziata da un morbo intrinseco, è semprepiù o meno sorda e ribelle alla forma che dee ricevere, e conseguentemen-te agl’influssi ideali che la compenetrano e fecondano. Dal che segue cheil fatto non risponde mai perfettamente al concetto, e che quindi chi vogliaavere una compita notizia di un sistema non dee star contento a quella pic-cola particella di esso che venne effettuata di fuori, ma dee solo valersi di

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modo preciso e determinato, e quasi l’incorporare e ri-durre a stato specifico di concretezza i due ultimi con-cetti, in quanto s’intrecciano col fine religioso, estempo-raneo ed eterno dell’uomo1; ma, considerati general-mente, alla ragione appartengono, e debbono informaretutte le parti dell’umana scienza. E se la cagione e il

ghibellinismo democratico, differentissimo dall’imperiale per un rispetto,ma simile per l’altro; poichè entrambi miravano a distruggere il potere ci-vile del sacerdozio, a rinnovare gli ordini politici del gentilesimo, a inve-stir di nuovo la forza del governo delle cose umane, collocandolo nel brac-cio regio di un despota o nel capriccio delle moltitudini. Il vero sistema de’Guelfi, al parer mio, non è altro che il realismo applicato alla civiltà italia-na; cioè l’ordinazione d’Italia in modo conforme alle sue condizioni stori-che ed effettive, che è quanto dire all’idea e al tipo reale, non immaginarioe chimerico, che ne viene rappresentato. Ora lo stato ideale d’Italia constadi tre elementi fondamentali, che sono: 1° l’aristocrazia naturale degli otti-mati; 2° la monarchia civile; 3° la divisione dell’Italia in varii Stati indi-pendenti quanto al loro ordini, ma insieme confederati per mezzo di uncapo unico, non politico, nè laicale ereditario, ma elettivo e ieratico.L’esemplare di questa trimembre ordinazione della Penisola le è talmenteconnaturale, che tutta la nostra storia fin dal tempi più antichi lo esprime;giacchè l’Italia fu sempre unificata più o meno da un potere sacerdotale,residente in Roma etrusca ed antica, o toscana e moderna; fu sempre divisain più stati confederati o almeno aspiranti a confederarsi, quando la forzadegli eventi gli avea rotti e divisi; nè mai nel vivere interno delle varie pro-vincie i due estremi della libertà democratica e del dispotismo regio stabil-mente prevalsero. Vero è che queste diverse condizioni furono solo imper-fettamente messe ad effetto, e vennero sovente guaste e alterate: ma chinon voglia essere indotto in errore da queste anomalie storiche dee fareun’osservazione che mi pare di gran momento. La quale si è che l’idea nons’incarna mai fra gli uomini in modo perfetto; imperocchè la materia in cuiella si dee incorporare, essendo viziata da un morbo intrinseco, è semprepiù o meno sorda e ribelle alla forma che dee ricevere, e conseguentemen-te agl’influssi ideali che la compenetrano e fecondano. Dal che segue cheil fatto non risponde mai perfettamente al concetto, e che quindi chi vogliaavere una compita notizia di un sistema non dee star contento a quella pic-cola particella di esso che venne effettuata di fuori, ma dee solo valersi di

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modo dei due fatti, in quanto avanzano la natura, ci sonorazionalmente ignoti, non si può già dire altrettantodell’effetto visibile e palpabile; com’è, per esempio, laredenzione, in quanto da lei procede ogni ristoramentoeziandio di natura; giacchè la conservazione, gl’incre-menti naturali, e tutti gli ordini consueti della Providen-

essa, come di un semplice abbozzo, per conoscere l’originale, risalendoall’idea onde nacque l’esecuzione di quello. Al che il metodo empirico,che non esce dal giro dei fatti e delgli eventi, è insufficientissimo. Bisognadunque studiare i sistemi speculativi onde mossero le operazioni degli uo-mini; giacchè, l’azione essendo figlia del pensiero, ogni conato e ordina-mento politico presuppone una teorica razionale, di cui gli autori di quellohanno confusa o distinta notizia. I due sistemi più squisiti di tal genere chein Italia fiorissero, sono il Pitagorismo e il realismo del medio evo; similinella sostanza, ma con quel divario che corre dalla semiortodossia dei mi-gliori Gentili alla perfetta ortodossia dei Cristiani. La dottrina de’ Guelfi,come ho detto, è l’applicazione del realismo speculativo alla politica; ap-plicazione che fu certo imperfettissima pel difetto degli uomini, delle cosee dei tempi ma che presuppone una teorica più squisita, che altri indarnocercherebbe nella storia disgiunta dalle considerazioni ideali. Ma quandol’esposizione degli eventi sia illustrata dalla fiaccola delle idee, non è diffi-cile il trovarvi l’intero profilo di queste; come mostrerò forse in altro lavo-ro; se pur qualche valente ingegno (e chi potrebbe meglio farlo del Balbo edel Troya?) non preverrà le mie deboli lucubrazioni, scrivendo una Storiadel realismo, o almeno del guelfismo italiano, degna di tanto argomento.Imperocchè a me pare che provar si possa con fatti storici indubitati che ilprincipio unitario del potere pontificale, considerato come civile modera-tore d’Italia, fu il dogma capitale e sovrano della setta guelfa. Ma questamateria non può essere altro che accennata in una nota [G.]

1 La formola ideale, l’esperienza e la storia umana (che sono le tre fonti del-la cognizione naturale) porgono una nozione astratta e generalissima delfatto umano della caduta e del fatto divino della redenzione. Il qual concet-to è concretizzato e particolarizzato dal lume rivelato, mediante due nuovielementi che vi si aggiungono, cioè il peccato originale e l’incarnazione.Questi due elementi sono sovranaturali, quanto alla via per cui si conosco-no, e sovrintelligibili, rispetto alla loro natura. Il mistero è in questo caso,come sempre, l’innalzamento del vero naturale astratto e generalissimo

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modo dei due fatti, in quanto avanzano la natura, ci sonorazionalmente ignoti, non si può già dire altrettantodell’effetto visibile e palpabile; com’è, per esempio, laredenzione, in quanto da lei procede ogni ristoramentoeziandio di natura; giacchè la conservazione, gl’incre-menti naturali, e tutti gli ordini consueti della Providen-

essa, come di un semplice abbozzo, per conoscere l’originale, risalendoall’idea onde nacque l’esecuzione di quello. Al che il metodo empirico,che non esce dal giro dei fatti e delgli eventi, è insufficientissimo. Bisognadunque studiare i sistemi speculativi onde mossero le operazioni degli uo-mini; giacchè, l’azione essendo figlia del pensiero, ogni conato e ordina-mento politico presuppone una teorica razionale, di cui gli autori di quellohanno confusa o distinta notizia. I due sistemi più squisiti di tal genere chein Italia fiorissero, sono il Pitagorismo e il realismo del medio evo; similinella sostanza, ma con quel divario che corre dalla semiortodossia dei mi-gliori Gentili alla perfetta ortodossia dei Cristiani. La dottrina de’ Guelfi,come ho detto, è l’applicazione del realismo speculativo alla politica; ap-plicazione che fu certo imperfettissima pel difetto degli uomini, delle cosee dei tempi ma che presuppone una teorica più squisita, che altri indarnocercherebbe nella storia disgiunta dalle considerazioni ideali. Ma quandol’esposizione degli eventi sia illustrata dalla fiaccola delle idee, non è diffi-cile il trovarvi l’intero profilo di queste; come mostrerò forse in altro lavo-ro; se pur qualche valente ingegno (e chi potrebbe meglio farlo del Balbo edel Troya?) non preverrà le mie deboli lucubrazioni, scrivendo una Storiadel realismo, o almeno del guelfismo italiano, degna di tanto argomento.Imperocchè a me pare che provar si possa con fatti storici indubitati che ilprincipio unitario del potere pontificale, considerato come civile modera-tore d’Italia, fu il dogma capitale e sovrano della setta guelfa. Ma questamateria non può essere altro che accennata in una nota [G.]

1 La formola ideale, l’esperienza e la storia umana (che sono le tre fonti del-la cognizione naturale) porgono una nozione astratta e generalissima delfatto umano della caduta e del fatto divino della redenzione. Il qual concet-to è concretizzato e particolarizzato dal lume rivelato, mediante due nuovielementi che vi si aggiungono, cioè il peccato originale e l’incarnazione.Questi due elementi sono sovranaturali, quanto alla via per cui si conosco-no, e sovrintelligibili, rispetto alla loro natura. Il mistero è in questo caso,come sempre, l’innalzamento del vero naturale astratto e generalissimo

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za nel governo delle cose mondane, sarebbero, senza diquella, teologicamente assurdi. Oltre che, ogni richiestaspeculativa e ogni applicazione pratica versa su tre mo-menti distinti, cioè sull’origine, sul mezzo e sul fine; idue ultimi dei quali, rispetto all’uomo presente, impor-tano due cose, cioè il male, che è un traviamentodall’ordine divino e primigenio, e la restituzione pur di-vina di quest’ordine col suo finale perfezionamento.Ogni dottrina che contradica a questi tre concetti, è fal-sa, e può agevolmente divenire funesta; giacchè, moven-do da una notizia prepostera della Deità, o almeno erro-nea della natura cosmica ed umana, non può fallire aconclusioni della stessa data, e ad applicazioni nocive epericolose. Onde segue che i dogmi della creazione, del-la caduta e della redenzione, in quanto acchiudono unelemento razionale, debbono sedere in capo alla scienzae alla pratica, governandone ogni parte, e signoreggian-dovi, come assiomi sovrani, invece di sottostare, rincan-tucciati alla coda, come scolie e corollari, secondol’usanza finora invalsa nelle scuole filosofiche ed erudi-te. Imperocchè, quando vengono confinati in luogo se-condario e non degno di loro, oltre il grave rischio checorrono di essere al tutto espulsi (come accadde a quasiogni scienza del passato secolo, e avviene ancora a mol-te nel nostro), se ne debilita l’efficacia; e quindi si alte-rano tutti gli ordini dello speculare e della vita attiva. Etali principii, fondandosi ed unificandosi nella formola

alla potenza superiore della particolarità e della concretezza, e il compi-mento divino della cognizione imperfetta ed umana. [G.].

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za nel governo delle cose mondane, sarebbero, senza diquella, teologicamente assurdi. Oltre che, ogni richiestaspeculativa e ogni applicazione pratica versa su tre mo-menti distinti, cioè sull’origine, sul mezzo e sul fine; idue ultimi dei quali, rispetto all’uomo presente, impor-tano due cose, cioè il male, che è un traviamentodall’ordine divino e primigenio, e la restituzione pur di-vina di quest’ordine col suo finale perfezionamento.Ogni dottrina che contradica a questi tre concetti, è fal-sa, e può agevolmente divenire funesta; giacchè, moven-do da una notizia prepostera della Deità, o almeno erro-nea della natura cosmica ed umana, non può fallire aconclusioni della stessa data, e ad applicazioni nocive epericolose. Onde segue che i dogmi della creazione, del-la caduta e della redenzione, in quanto acchiudono unelemento razionale, debbono sedere in capo alla scienzae alla pratica, governandone ogni parte, e signoreggian-dovi, come assiomi sovrani, invece di sottostare, rincan-tucciati alla coda, come scolie e corollari, secondol’usanza finora invalsa nelle scuole filosofiche ed erudi-te. Imperocchè, quando vengono confinati in luogo se-condario e non degno di loro, oltre il grave rischio checorrono di essere al tutto espulsi (come accadde a quasiogni scienza del passato secolo, e avviene ancora a mol-te nel nostro), se ne debilita l’efficacia; e quindi si alte-rano tutti gli ordini dello speculare e della vita attiva. Etali principii, fondandosi ed unificandosi nella formola

alla potenza superiore della particolarità e della concretezza, e il compi-mento divino della cognizione imperfetta ed umana. [G.].

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ideale, questa si vuol considerare come regina dell’enci-clopedia tutta quanta, e investita di quel potere monar-chico che mantiene l’ordine e la concordia nella gerar-chia delle idee e delle cognizioni. Onde, allo stessomodo che l’universo, tolto il principato di Dio, tornereb-be in caos, e i regni umani, rimossa l’autorità del rettori,cadono nell’anarchia e nella licenza, così, sottratta lascienza all’imperio ideale della prima formola, se neconturba e travolge tutto il conserto delle dottrine. Nondee adunque far meraviglia se da Cartesio in poi le variediscipline, e specialmente le speculative, sono agitate dacontinui rivolgimenti, come le società stabilite fuori de-gli ordini cristiani sono in preda ad assidue rivoluzioni.Nei due casi, l’unico rimedio sta nel rimettere in piedi lamonarchia ideale, restituendo all’Idea quel primo e su-premo grado che di ragion le appartiene nel civile con-sorzio o nel concilio delle umane scienze. E siccomel’elemento razionale dei principii sullodati si connettecon un elemento più eccelso somministrato dalla reli-gione, che è il compimento ed il cumulo sovranaturaledella formola, l’imperiato di questa nel vivere comune enelle cognizioni importa pure la legittima signoria dellafede e della società ecclesiastica, e il loro fratellevoleaccordo colla civiltà in universale, benchè da loro di-stinta e fornita di proprio reggimento.

Che cosa sia il Primo in generale.

I due principii menzionati, col fatto originale e tra-

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ideale, questa si vuol considerare come regina dell’enci-clopedia tutta quanta, e investita di quel potere monar-chico che mantiene l’ordine e la concordia nella gerar-chia delle idee e delle cognizioni. Onde, allo stessomodo che l’universo, tolto il principato di Dio, tornereb-be in caos, e i regni umani, rimossa l’autorità del rettori,cadono nell’anarchia e nella licenza, così, sottratta lascienza all’imperio ideale della prima formola, se neconturba e travolge tutto il conserto delle dottrine. Nondee adunque far meraviglia se da Cartesio in poi le variediscipline, e specialmente le speculative, sono agitate dacontinui rivolgimenti, come le società stabilite fuori de-gli ordini cristiani sono in preda ad assidue rivoluzioni.Nei due casi, l’unico rimedio sta nel rimettere in piedi lamonarchia ideale, restituendo all’Idea quel primo e su-premo grado che di ragion le appartiene nel civile con-sorzio o nel concilio delle umane scienze. E siccomel’elemento razionale dei principii sullodati si connettecon un elemento più eccelso somministrato dalla reli-gione, che è il compimento ed il cumulo sovranaturaledella formola, l’imperiato di questa nel vivere comune enelle cognizioni importa pure la legittima signoria dellafede e della società ecclesiastica, e il loro fratellevoleaccordo colla civiltà in universale, benchè da loro di-stinta e fornita di proprio reggimento.

Che cosa sia il Primo in generale.

I due principii menzionati, col fatto originale e tra-

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mezzante che si collega col secondo di essi, costituisco-no il Primo scientifico, storico e civile delle cognizioni edelle instituzione umane. Il che m’invita ad esporre bre-vemente la dottrina dei Primi1, come quella che si attie-ne, da un lato, alla formola ideale e a’ suoi due cicli, edall’altro lato, è richiesta allo scopo che mi sono propo-sto, non potendosi, senza di essa, chiarire scientifica-mente e fermare il primato scientifico e letterario d’Ita-lia. La nozione dei Primi importa quella del Secondi edegli Ultimi (caro lettore, ti chieggo grazia per questinomi), e abbraccia con essa tutto il corso del processodinamico, proprio delle forze create, nei tre momentiplatonici del principio, del mezzo e del fine, corrispon-denti ai tre momenti della formola, secondo il naturaleintreccio dei due cicli creativi. Il Primo può intendersi inmodo assoluto o relativo: se si piglia assolutamente, nonpuò collocarsi altrove, che nel capo della formola, comequello che è ad un tempo il primo concetto e la primacosa, e adempie i numeri di Primo filosofico, come hoavvertito in un altro mio scritto2. Ma i primi relativi esecondari sono molti nei varii ordini del reale e delloscibile, e consistono in quella cosa o in quella nozioneper cui un estremo della formola combacia coll’altro,cioè l’Ente colle varie specie delle esistenze, senza chefra i due termini corra tramezzo di sorta, fuori dell’azio-

1 A commento della teoria qui svolta si può vedere la recensione che delPrimato scrisse, toccando ampiamente dei Primi, il PINELLI in Annali diGiurisprudenza, vol. XII (1843).

2 Introduzione allo studio della filosofia, lib. I, cap. 4.

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mezzante che si collega col secondo di essi, costituisco-no il Primo scientifico, storico e civile delle cognizioni edelle instituzione umane. Il che m’invita ad esporre bre-vemente la dottrina dei Primi1, come quella che si attie-ne, da un lato, alla formola ideale e a’ suoi due cicli, edall’altro lato, è richiesta allo scopo che mi sono propo-sto, non potendosi, senza di essa, chiarire scientifica-mente e fermare il primato scientifico e letterario d’Ita-lia. La nozione dei Primi importa quella del Secondi edegli Ultimi (caro lettore, ti chieggo grazia per questinomi), e abbraccia con essa tutto il corso del processodinamico, proprio delle forze create, nei tre momentiplatonici del principio, del mezzo e del fine, corrispon-denti ai tre momenti della formola, secondo il naturaleintreccio dei due cicli creativi. Il Primo può intendersi inmodo assoluto o relativo: se si piglia assolutamente, nonpuò collocarsi altrove, che nel capo della formola, comequello che è ad un tempo il primo concetto e la primacosa, e adempie i numeri di Primo filosofico, come hoavvertito in un altro mio scritto2. Ma i primi relativi esecondari sono molti nei varii ordini del reale e delloscibile, e consistono in quella cosa o in quella nozioneper cui un estremo della formola combacia coll’altro,cioè l’Ente colle varie specie delle esistenze, senza chefra i due termini corra tramezzo di sorta, fuori dell’azio-

1 A commento della teoria qui svolta si può vedere la recensione che delPrimato scrisse, toccando ampiamente dei Primi, il PINELLI in Annali diGiurisprudenza, vol. XII (1843).

2 Introduzione allo studio della filosofia, lib. I, cap. 4.

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ne creatrice. Il Primo relativo è dunque l’unione del Pri-mo assoluto e filosofico colle varie specie delle coseesistenti; unione riposta nella virtù creante, per operadella quale l’Ente compenetra spiritualmente le sue fat-ture, e ne pervade l’intima essenza, benchè in modo so-stanziale se ne distingua. Ogni atto creativo ha due ter-mini, l’uno dei quali è l’agente creatore, e l’altro l’effet-to creato, cioè una sostanza contingente e causante, ovogliam dire una forza soggetta a certi limiti. La qualforza (qualunque sia del resto la sua natura specifica)sussiste successivamente in due stati diversi, vale a direnello stato iniziale ed implicato, e nello stato progressi-vo di esplicamento; onde nesce un atto primo, e quindiun atto secondo, o piuttosto una seguenza di atti secon-di, finchè si giunga a un atto ultimo, in cui risiede il col-mo delle perfezione conseguibile da essa forza. L’intrec-cio dell’atto primo cogli atti secondi, e di questicoll’atto ultimo, e il discorrimento delle esistenze dalconato iniziale alla finale immanenza, costituiscono ilprocesso dinamico del creato, e il moto della vita cosmi-ca. L’atto primo è il conato della forza per esplicarsi,prodotto dall’impulso della causa creatrice, e non ancoraaccompagnato dal suo effetto; giacchè ogni forza, essen-do attiva per essenza, non può sussistere un solo istante,senza tendere alla sua perfetta esplicazione; e in questapropensità sostanziale e continua, in questo sforzo im-manente e perenne consiste la celebre entelechia1 di Ari-1 L’entelechia, secondo Aristotile è l’arte che ha forma ultimata per sè da

’Eυ e Tέλος. Specie che ha il primo finimento in se stessa, non ha esisten-

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ne creatrice. Il Primo relativo è dunque l’unione del Pri-mo assoluto e filosofico colle varie specie delle coseesistenti; unione riposta nella virtù creante, per operadella quale l’Ente compenetra spiritualmente le sue fat-ture, e ne pervade l’intima essenza, benchè in modo so-stanziale se ne distingua. Ogni atto creativo ha due ter-mini, l’uno dei quali è l’agente creatore, e l’altro l’effet-to creato, cioè una sostanza contingente e causante, ovogliam dire una forza soggetta a certi limiti. La qualforza (qualunque sia del resto la sua natura specifica)sussiste successivamente in due stati diversi, vale a direnello stato iniziale ed implicato, e nello stato progressi-vo di esplicamento; onde nesce un atto primo, e quindiun atto secondo, o piuttosto una seguenza di atti secon-di, finchè si giunga a un atto ultimo, in cui risiede il col-mo delle perfezione conseguibile da essa forza. L’intrec-cio dell’atto primo cogli atti secondi, e di questicoll’atto ultimo, e il discorrimento delle esistenze dalconato iniziale alla finale immanenza, costituiscono ilprocesso dinamico del creato, e il moto della vita cosmi-ca. L’atto primo è il conato della forza per esplicarsi,prodotto dall’impulso della causa creatrice, e non ancoraaccompagnato dal suo effetto; giacchè ogni forza, essen-do attiva per essenza, non può sussistere un solo istante,senza tendere alla sua perfetta esplicazione; e in questapropensità sostanziale e continua, in questo sforzo im-manente e perenne consiste la celebre entelechia1 di Ari-1 L’entelechia, secondo Aristotile è l’arte che ha forma ultimata per sè da

’Eυ e Tέλος. Specie che ha il primo finimento in se stessa, non ha esisten-

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stotele, e la viva virtualità della monade leibniziana.Ora, l’azione creatrice si esercita per modo immediatosolo in ordine all’atto primo delle forze finite, e non co-glie l’atto secondo, se non mediatamente, cioè per via diquello che lo precorre. I Primi relativi e secondari versa-no dunque nella sintesi dell’atto creativo propriodell’Ente coll’atto primo delle esistenze; che è quantodire nei principii e nelle origini. Imperocchè ogni princi-pio e ogni origine appartenenti all’ordine parziale e rela-tivo, e perciò distinti dal principio assoluto, che è la for-mola ideale, e dall’origine assoluta, che è la creazionesostanziale, importano due cose, cioè l’atto primo e fini-to di una forza creata, e l’atto creativo e infinito dellaforza increata; e quindi inchiudono due termini, l’unodel quali e sovranaturale, e pertiene all’Ente, l’altro ènaturale, ed alle esistenze si riferisce. L’atto creativo,producendo le sostanze finite, non solo colloca in esse igermi e le potenze di ogni esplicamento ulteriore, ma lefeconda e dà loro il primo impulso vitale; nel quale im-pulso coniugato coll’azione movente e creatrice consi-stono i varii Primi relativi e secondari, giusta la naturaspecifica delle forze create, e degli effetti che ne pro-vengono. Da questa definizione apparisce che cosa sia-no il Secondo e l’Ultimo; e si scorge come l’Ultimo, es-sendo il fine e il compimento di quel moto dinamico cheincomincia col Primo, e coi Secondi prosegue, importauna nuova sintesi dell’esistente coll’Ente, ordinata a ro-

za accidentale, cioè aggiunta a un’altra sostanza. [Così il TOMMASEO nel suoDizionario).

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stotele, e la viva virtualità della monade leibniziana.Ora, l’azione creatrice si esercita per modo immediatosolo in ordine all’atto primo delle forze finite, e non co-glie l’atto secondo, se non mediatamente, cioè per via diquello che lo precorre. I Primi relativi e secondari versa-no dunque nella sintesi dell’atto creativo propriodell’Ente coll’atto primo delle esistenze; che è quantodire nei principii e nelle origini. Imperocchè ogni princi-pio e ogni origine appartenenti all’ordine parziale e rela-tivo, e perciò distinti dal principio assoluto, che è la for-mola ideale, e dall’origine assoluta, che è la creazionesostanziale, importano due cose, cioè l’atto primo e fini-to di una forza creata, e l’atto creativo e infinito dellaforza increata; e quindi inchiudono due termini, l’unodel quali e sovranaturale, e pertiene all’Ente, l’altro ènaturale, ed alle esistenze si riferisce. L’atto creativo,producendo le sostanze finite, non solo colloca in esse igermi e le potenze di ogni esplicamento ulteriore, ma lefeconda e dà loro il primo impulso vitale; nel quale im-pulso coniugato coll’azione movente e creatrice consi-stono i varii Primi relativi e secondari, giusta la naturaspecifica delle forze create, e degli effetti che ne pro-vengono. Da questa definizione apparisce che cosa sia-no il Secondo e l’Ultimo; e si scorge come l’Ultimo, es-sendo il fine e il compimento di quel moto dinamico cheincomincia col Primo, e coi Secondi prosegue, importauna nuova sintesi dell’esistente coll’Ente, ordinata a ro-

za accidentale, cioè aggiunta a un’altra sostanza. [Così il TOMMASEO nel suoDizionario).

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vescio della prima, e conforme al processo ascensivodel secondo ciclo. La disciplina che tratta del Primo as-soluto e del varii Primi relativi, è la Scienza prima o Pr-tologia generale e particolare; quella che versa sugli Ul-timi è la Scienza finale o Teleologia, che dir si voglia.

Del primo riflessivo e scientifico, ossia della parola.

Resta ora a vedere in che si debba riporrequell’impulso divino e fecondativo che, copulato collaforza creata, partorisce il primo atto del suo esplicamen-to, considerando esso impulso, non già in Dio, da cuiorigina, ma nel termine estrinseco, a cui riesce e in cuiapparisce. Lasciando ora in disparte le forze cieche e fa-tali, e restringendomi all’animo umano, come essere do-tato di libera intelligenza, dico che lo stimolo per cui in-comincia ad attuarsi, e quasi il polline che lo feconda, èla parola. L’idea, infatti, non può cadere sotto l’appren-sion riflessiva ed essere ripensata dallo spirito, nè entrarnegli ordini della scienza e dell’azione deliberata, se nonè vestita di un segno sensibile o verbo. Ora siccome ilsensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e que-ste procedono dall’atto creativo, la parola è di sua naturaun effetto della creazione. L’idea crea il segno chel’esprime, parlando a sè stessa, e individuando sensata-mente i concetti racchiusi nel suo intimo pensiero; ella èquindi verso sè medesima una parola spirituale e increa-ta, di cui il verbo umano è l’effetto e la ripetizione,come la conoscenza riflessiva è il replicamento

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vescio della prima, e conforme al processo ascensivodel secondo ciclo. La disciplina che tratta del Primo as-soluto e del varii Primi relativi, è la Scienza prima o Pr-tologia generale e particolare; quella che versa sugli Ul-timi è la Scienza finale o Teleologia, che dir si voglia.

Del primo riflessivo e scientifico, ossia della parola.

Resta ora a vedere in che si debba riporrequell’impulso divino e fecondativo che, copulato collaforza creata, partorisce il primo atto del suo esplicamen-to, considerando esso impulso, non già in Dio, da cuiorigina, ma nel termine estrinseco, a cui riesce e in cuiapparisce. Lasciando ora in disparte le forze cieche e fa-tali, e restringendomi all’animo umano, come essere do-tato di libera intelligenza, dico che lo stimolo per cui in-comincia ad attuarsi, e quasi il polline che lo feconda, èla parola. L’idea, infatti, non può cadere sotto l’appren-sion riflessiva ed essere ripensata dallo spirito, nè entrarnegli ordini della scienza e dell’azione deliberata, se nonè vestita di un segno sensibile o verbo. Ora siccome ilsensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e que-ste procedono dall’atto creativo, la parola è di sua naturaun effetto della creazione. L’idea crea il segno chel’esprime, parlando a sè stessa, e individuando sensata-mente i concetti racchiusi nel suo intimo pensiero; ella èquindi verso sè medesima una parola spirituale e increa-ta, di cui il verbo umano è l’effetto e la ripetizione,come la conoscenza riflessiva è il replicamento

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dell’intuitiva. La parola increata è la creazione stessa, inquanto abbraccia il tipo ideale del creato, e l’atto intrin-seco e divino che attua ed adombra esternamente questotipo; onde si legge nel più sublime dei racconti evange-lici, che pel Verbo emerse dal nulla ogni cosa. La parolacreata è un effetto dell’increata; quindi il principio pro-tologico del sapere: L’ente crea le esistenze, può voltarsiin questi termini: L’ente per mezzo della parola internae ideale crea la parola esteriore, che è una copia mon-diale, contingente e finita del modello divino, necessa-rio e infinito, e un individuamento della idea eterna. Im-però tante sorti di parole create si trovano, quante sonole specie delle esistenze; come a dire una parola mate-matica, meccanica ed idraulica, che è quantitativa, econsta di numeri, di figure, di movimenti; una parola fi-sica, composta di fenomeni, che, quasi lettere ieroglifi-che, esprimono le idee cosmiche, o sia le leggi generalidi natura; una parola estetica, che, per mezzo dei tipifantastici, esterna i tipi intelligibili delle cose; una paro-la storica, che, mediante i fatti transitori o permanentidegli uomini, vale a dire gli eventi e i monumenti, signi-fica e manifesta la storia ideale su cui corrono le gesteumane, secondo il disegno della Providenza; una parolasovranaturale, intessuta di avvenimenti prodigiosi e sen-sibili; una parola liturgica, ordita di emblemi e di simbo-li; e, infine, una parola grammaticale, parlata e scritta,ma arbitraria per sè medesima, e però diversa dalle spe-cie anteriori, che tutte son naturali; la quale serve adesprimere i concetti dell’animo, e quindi a tradurre ogni

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dell’intuitiva. La parola increata è la creazione stessa, inquanto abbraccia il tipo ideale del creato, e l’atto intrin-seco e divino che attua ed adombra esternamente questotipo; onde si legge nel più sublime dei racconti evange-lici, che pel Verbo emerse dal nulla ogni cosa. La parolacreata è un effetto dell’increata; quindi il principio pro-tologico del sapere: L’ente crea le esistenze, può voltarsiin questi termini: L’ente per mezzo della parola internae ideale crea la parola esteriore, che è una copia mon-diale, contingente e finita del modello divino, necessa-rio e infinito, e un individuamento della idea eterna. Im-però tante sorti di parole create si trovano, quante sonole specie delle esistenze; come a dire una parola mate-matica, meccanica ed idraulica, che è quantitativa, econsta di numeri, di figure, di movimenti; una parola fi-sica, composta di fenomeni, che, quasi lettere ieroglifi-che, esprimono le idee cosmiche, o sia le leggi generalidi natura; una parola estetica, che, per mezzo dei tipifantastici, esterna i tipi intelligibili delle cose; una paro-la storica, che, mediante i fatti transitori o permanentidegli uomini, vale a dire gli eventi e i monumenti, signi-fica e manifesta la storia ideale su cui corrono le gesteumane, secondo il disegno della Providenza; una parolasovranaturale, intessuta di avvenimenti prodigiosi e sen-sibili; una parola liturgica, ordita di emblemi e di simbo-li; e, infine, una parola grammaticale, parlata e scritta,ma arbitraria per sè medesima, e però diversa dalle spe-cie anteriori, che tutte son naturali; la quale serve adesprimere i concetti dell’animo, e quindi a tradurre ogni

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altro genere di favella. L’Idea e la parola sono i due grancomponenti di tutto lo scibile, in quanto soggiace alla ri-flessione, e partoriscono due vaste dottrine enciclopedi-che, cioè l’Ideologia e la Logologia, le quali si accop-piano e si radicano nella Ctisologia, o scienza dellacreazione, identica alla Protologia, che tratta della primaformola.

La parola grammaticale, orale o scritta, essendo unargomento necessario allo spirito per ripensare i concettisovrasensibili, (e non si può fare il menomo giudiziosenza qualcuno di questi concetti), non fu un trovatoumano, e procedette dalla inventiva divina, cioè dallavirtù creatrice; la quale, in quanto rese possibile il repli-camento riflessivo dell’intuito, mediante l’infusa parolagrammaticale, torna una cosa medesima colla rivelazio-ne. Se non che, il lume rivelato aggiunse al ripensamen-to delle verità intellettive la manifestazione analogica diquella parte del sovrintelligibile che si attien per direttoo per indiretto al fine morale ed eterno degli uomini. Laparola infusa è quindi il solo sussidio per cui si potè aprincipio asseguire ogni vero naturale, il cui germenell’intuito si acchiugga, e quei veri sovrannaturali che,quantunque eccedano l’apprensione intuitiva, nondime-no s’intrecciano colla teleologia1 oltramondiale deglispiriti umani. Ella è dunque la fonte della scienza,com’è il principio dell’arte, delle lettere e di tutta la no-stra cultura; e quindi in lei risiede il Primo riflessivo,

1 La teleologia è la dottrina dei fini, o scienza finale che versa sugli ultimi.

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altro genere di favella. L’Idea e la parola sono i due grancomponenti di tutto lo scibile, in quanto soggiace alla ri-flessione, e partoriscono due vaste dottrine enciclopedi-che, cioè l’Ideologia e la Logologia, le quali si accop-piano e si radicano nella Ctisologia, o scienza dellacreazione, identica alla Protologia, che tratta della primaformola.

La parola grammaticale, orale o scritta, essendo unargomento necessario allo spirito per ripensare i concettisovrasensibili, (e non si può fare il menomo giudiziosenza qualcuno di questi concetti), non fu un trovatoumano, e procedette dalla inventiva divina, cioè dallavirtù creatrice; la quale, in quanto rese possibile il repli-camento riflessivo dell’intuito, mediante l’infusa parolagrammaticale, torna una cosa medesima colla rivelazio-ne. Se non che, il lume rivelato aggiunse al ripensamen-to delle verità intellettive la manifestazione analogica diquella parte del sovrintelligibile che si attien per direttoo per indiretto al fine morale ed eterno degli uomini. Laparola infusa è quindi il solo sussidio per cui si potè aprincipio asseguire ogni vero naturale, il cui germenell’intuito si acchiugga, e quei veri sovrannaturali che,quantunque eccedano l’apprensione intuitiva, nondime-no s’intrecciano colla teleologia1 oltramondiale deglispiriti umani. Ella è dunque la fonte della scienza,com’è il principio dell’arte, delle lettere e di tutta la no-stra cultura; e quindi in lei risiede il Primo riflessivo,

1 La teleologia è la dottrina dei fini, o scienza finale che versa sugli ultimi.

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cioè l’anello iniziale della riflessione, germe di ogni co-noscimento. Imperocchè, se ciascun Primo versanell’unione dell’atto divino coll’atto incipiente della for-za creata, e se il cominciamento del sapere è altresìquello del ripensare, che non può precedere l’infusiondel linguaggio, il Primo riflessivo enciclopedico si vuolcollocare in quel moto incoativo del conoscimento chegerminò ed eruppe dalla prima immissione dei segni ri-velati. E tanti vogliono essere i Primi, quanti sono gliordini creati nel doppio campo del reale e dello scibile, eognun di essi dee comprendere una origine corporea osovrasensibile, spettante alle cose o alle cognizioni. Maniuno di tali Primi può soggiacere alla nostra stimativascientifica, se non mediante una idea vestita di un segnoappropriato, cioè di un Primo filologico e riflessivo. Ilquale, constando di un concetto e di una parola che loesprime, è ideologico e logico nello stesso tempo; maquesta dualità si unifica nella creazione, per cui la paro-la divina, cioè l’Idea, trae dal proprio seno la parolacreata ed umana, e l’idoleggia sensatamente. Questaunità è degna di grandissima considerazione, poichè na-sce dalla stessa cosa unificata, cioè dall’assioma di crea-zione, che costituisce la formola ideale, e in cui l’assio-ma di redenzione implicitamente si acchiude. E ci porgela soluzione chiara e dimostrativa di due problemi solitiad agitarsi tra i filosofi; cioè, se il Primo scientifico sianaturale o sovranaturale, razionale o rivelato; e quandosi voglia fondato in natura e appartenente al dominiodella ragione, se si debba stimare psicologico od ontolo-

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cioè l’anello iniziale della riflessione, germe di ogni co-noscimento. Imperocchè, se ciascun Primo versanell’unione dell’atto divino coll’atto incipiente della for-za creata, e se il cominciamento del sapere è altresìquello del ripensare, che non può precedere l’infusiondel linguaggio, il Primo riflessivo enciclopedico si vuolcollocare in quel moto incoativo del conoscimento chegerminò ed eruppe dalla prima immissione dei segni ri-velati. E tanti vogliono essere i Primi, quanti sono gliordini creati nel doppio campo del reale e dello scibile, eognun di essi dee comprendere una origine corporea osovrasensibile, spettante alle cose o alle cognizioni. Maniuno di tali Primi può soggiacere alla nostra stimativascientifica, se non mediante una idea vestita di un segnoappropriato, cioè di un Primo filologico e riflessivo. Ilquale, constando di un concetto e di una parola che loesprime, è ideologico e logico nello stesso tempo; maquesta dualità si unifica nella creazione, per cui la paro-la divina, cioè l’Idea, trae dal proprio seno la parolacreata ed umana, e l’idoleggia sensatamente. Questaunità è degna di grandissima considerazione, poichè na-sce dalla stessa cosa unificata, cioè dall’assioma di crea-zione, che costituisce la formola ideale, e in cui l’assio-ma di redenzione implicitamente si acchiude. E ci porgela soluzione chiara e dimostrativa di due problemi solitiad agitarsi tra i filosofi; cioè, se il Primo scientifico sianaturale o sovranaturale, razionale o rivelato; e quandosi voglia fondato in natura e appartenente al dominiodella ragione, se si debba stimare psicologico od ontolo-

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gico. Ma se il Primo scientifico è la formola ideale,espressa da una parola originalmente rivelata, egli è fa-cile il comporre la lite dei psicologisti e degli ontologi-sti, dei teologi razionali e dei fautori del sovranaturali-smo, conchiudendo che questo Primo, considerato comeidea intuitiva, è naturale, razionale e ontologico, macome parola ripensata e concetto riflessivo, è oltranatu-rale, rivelato e psicologico; e che quindi egli abbraccianella sua pienezza le doti anzidette, e riunisce nella suamolteplice unità le varie ragioni e i diversi riguardi dellascienza.

Del Primo biblico.

Il Primo riflessivo e scientifico è parlato, o sia tradi-zionale, e scritto, o sia biblico. Quello risiede in una pa-rola, che per una seguenza visibile e non interrotta diparlanti, risale alle origini del mondo e alla instituzionedella loquela. La qual parola venne fermata dalla scrittu-ra e compilata in due libri fondamentali, che aggiungo-no alla più grande autorità umana un privilegio divino, efurono, come dire, dettati a priori e vergati dalla manocreatrice; giacchè l’inspirazione è un lume rivelato, equindi una creazione. Questi due libri sono il Genesi el’Evangelio, che, insieme accoppiati, fanno il Primo bi-blico, rispondendo nella dualità loro ai principii di crea-zione e di redenzione, e unificandosi nel Primo tradizio-nale, come tali due principii si riducono ad un solo pro-nunziato, mediante la testura organica della prima for-

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gico. Ma se il Primo scientifico è la formola ideale,espressa da una parola originalmente rivelata, egli è fa-cile il comporre la lite dei psicologisti e degli ontologi-sti, dei teologi razionali e dei fautori del sovranaturali-smo, conchiudendo che questo Primo, considerato comeidea intuitiva, è naturale, razionale e ontologico, macome parola ripensata e concetto riflessivo, è oltranatu-rale, rivelato e psicologico; e che quindi egli abbraccianella sua pienezza le doti anzidette, e riunisce nella suamolteplice unità le varie ragioni e i diversi riguardi dellascienza.

Del Primo biblico.

Il Primo riflessivo e scientifico è parlato, o sia tradi-zionale, e scritto, o sia biblico. Quello risiede in una pa-rola, che per una seguenza visibile e non interrotta diparlanti, risale alle origini del mondo e alla instituzionedella loquela. La qual parola venne fermata dalla scrittu-ra e compilata in due libri fondamentali, che aggiungo-no alla più grande autorità umana un privilegio divino, efurono, come dire, dettati a priori e vergati dalla manocreatrice; giacchè l’inspirazione è un lume rivelato, equindi una creazione. Questi due libri sono il Genesi el’Evangelio, che, insieme accoppiati, fanno il Primo bi-blico, rispondendo nella dualità loro ai principii di crea-zione e di redenzione, e unificandosi nel Primo tradizio-nale, come tali due principii si riducono ad un solo pro-nunziato, mediante la testura organica della prima for-

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mola. E come questa partorisce i due assiomi, quasispicchi di un solo frutto, dimezzandosi e spandendosinei due cicli creativi, l’uno dei quali appartiene in pro-prio alla creazione e l’altro alla redenzione, così l’unicoPrimo tradizionale si parte nel doppio Primo biblico, pervia del due cicli rivelati del Giudaismo e del Cristianesi-mo, e per la successione dei due patti divini che rampol-lano dall’alleanza primitiva, come due rami germinantida unico tronco, e due fiumi che sgorgano da una solasorgiva. Il Primo biblico, contenendo l’espressioneschietta e precisa dei due principii fondamentali e delfatto che li frammezza, è la tradizione riflessiva e ade-quata del Primo scientifico, e lo esprime compitamentenella sua triplice orditura. Dico la tradizion riflessiva,perchè la parola ortodossa è la sola specie di riflessioneche risponda integralmente all’intuito; il cui oggetto èsvisato dal verbo eterodosso, quasi da prisma illusorio, oalmen dimezzato ed espresso inesattamente. L’eloquioortodosso, non avendo mai avuto intermissione di sorta,è una riflessione perpetua e oltranaturale del vero, rilu-cente, come face nel buio, e stella nel cielo notturno, frale tenebre del gentilesimo, benchè non sempre col me-desimo grado di precisione e di chiarore. Imperocchèallo stesso modo che nell’individuo la conoscenza ri-flessiva, emergente dal seno dell’intuito, quasi da grem-bo materno, si va rischiarando di mano in mano e perfe-zionando per forma che differisce da sè medesima, nonsolo nei varii uomini, secondo la forza, la varietàdegl’ingegni e la diversa loro cultura, ma eziandio in

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mola. E come questa partorisce i due assiomi, quasispicchi di un solo frutto, dimezzandosi e spandendosinei due cicli creativi, l’uno dei quali appartiene in pro-prio alla creazione e l’altro alla redenzione, così l’unicoPrimo tradizionale si parte nel doppio Primo biblico, pervia del due cicli rivelati del Giudaismo e del Cristianesi-mo, e per la successione dei due patti divini che rampol-lano dall’alleanza primitiva, come due rami germinantida unico tronco, e due fiumi che sgorgano da una solasorgiva. Il Primo biblico, contenendo l’espressioneschietta e precisa dei due principii fondamentali e delfatto che li frammezza, è la tradizione riflessiva e ade-quata del Primo scientifico, e lo esprime compitamentenella sua triplice orditura. Dico la tradizion riflessiva,perchè la parola ortodossa è la sola specie di riflessioneche risponda integralmente all’intuito; il cui oggetto èsvisato dal verbo eterodosso, quasi da prisma illusorio, oalmen dimezzato ed espresso inesattamente. L’eloquioortodosso, non avendo mai avuto intermissione di sorta,è una riflessione perpetua e oltranaturale del vero, rilu-cente, come face nel buio, e stella nel cielo notturno, frale tenebre del gentilesimo, benchè non sempre col me-desimo grado di precisione e di chiarore. Imperocchèallo stesso modo che nell’individuo la conoscenza ri-flessiva, emergente dal seno dell’intuito, quasi da grem-bo materno, si va rischiarando di mano in mano e perfe-zionando per forma che differisce da sè medesima, nonsolo nei varii uomini, secondo la forza, la varietàdegl’ingegni e la diversa loro cultura, ma eziandio in

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ciascuno di quelli, proporzionatamente ai varii tempidella sua vita; così la riflessione rivelata, discorrendopei varii stati del popolo sortito al privilegio dell’elezio-ne, andò successivamente esplicandosi, e crescendo difinezza e di lustro. Onde, se nella linea ortodossa il ciclogiudaico risponde alla riflessione iniziale ed adolescentedell’uman genere, e quasi alla sua fioritura, il ciclo cri-stiano ne esprime la riflessione attempata, matura e frut-tificante. Ma nel due stati la cognizione è integra, perchèabbraccia tutto il vero, senza mescolanza di errore, e ildivario che corre fra essi riguarda soltanto i gradidell’esplicamento; il che non avviene nella linea etero-dossa, dove il dogma primigenio è ne’ suoi principii cor-rotto e viziato. E non solo il Primo biblico contiene idue pronunziati protologici del sapere col fatto telluricoed umano che li tramezza, ma ne accenna l’unificazionenella formola ideale; la quale nell’esordio della Genesi edell’ultimo Evangelio chiaramente campeggia, a guisadi proemio o preludio antiposto alle due grandi epochepoetiche ed armoniche della riflessione ortodossa, o vo-gliam dire a modo di un timpano o frontispizio eminen-te, premesso all’opera monumentale dell’una e dell’altraalleanza1.

Del Primo tradizionale.

Il Primo biblico, versando nella scrittura, è per sè1 Si accenna al «In principio creavìt Deus caelum et terram» del Genesis, ed

al «In principio erat Verbum et Verbum erat apud Deum et Deus erat Ver-bum» dell’Evangelo secondo Giovanni.

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ciascuno di quelli, proporzionatamente ai varii tempidella sua vita; così la riflessione rivelata, discorrendopei varii stati del popolo sortito al privilegio dell’elezio-ne, andò successivamente esplicandosi, e crescendo difinezza e di lustro. Onde, se nella linea ortodossa il ciclogiudaico risponde alla riflessione iniziale ed adolescentedell’uman genere, e quasi alla sua fioritura, il ciclo cri-stiano ne esprime la riflessione attempata, matura e frut-tificante. Ma nel due stati la cognizione è integra, perchèabbraccia tutto il vero, senza mescolanza di errore, e ildivario che corre fra essi riguarda soltanto i gradidell’esplicamento; il che non avviene nella linea etero-dossa, dove il dogma primigenio è ne’ suoi principii cor-rotto e viziato. E non solo il Primo biblico contiene idue pronunziati protologici del sapere col fatto telluricoed umano che li tramezza, ma ne accenna l’unificazionenella formola ideale; la quale nell’esordio della Genesi edell’ultimo Evangelio chiaramente campeggia, a guisadi proemio o preludio antiposto alle due grandi epochepoetiche ed armoniche della riflessione ortodossa, o vo-gliam dire a modo di un timpano o frontispizio eminen-te, premesso all’opera monumentale dell’una e dell’altraalleanza1.

Del Primo tradizionale.

Il Primo biblico, versando nella scrittura, è per sè1 Si accenna al «In principio creavìt Deus caelum et terram» del Genesis, ed

al «In principio erat Verbum et Verbum erat apud Deum et Deus erat Ver-bum» dell’Evangelo secondo Giovanni.

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stesso inutile, soggetto ad essere franteso o smarrito, ov-vero impossibile ad intendersi, come un gergo reconditoo un viluppo di enimmi, se i monumenti che lo conten-gono non sono fedelmente conservati, e la chiave dellasua interpretazione non viene gelosamente custodita.Imperocchè la durata di un libro non approda, se le ra-gioni che ne guarentiscono la legittima origine, e l’ese-gesi che ne serba il genuino intendimento, scadono e pe-riscono dalla memoria degli uomini. Il Primo scritto ebiblico torna vano senza il Primo orale e tradizionale;giacchè la tradizione sola può rendere intelligibile il det-tato di un libro, può chiarirlo autentico, integro e veridi-co. L’intelligenza, infatti, deriva dalla notizia supestite,sia dell’idioma in cui il libro è steso, sia del suo stile,onde poterne chiosare il contenuto e coglierne il vero si-gnificato; il che presuppone che si possegga l’ermeneu-tica primitiva dell’opera, e si conosca il modo in cuiquesta fu intesa dall’autore e da’ suoi coetanei. L’auten-ticità dello scritto dipende dalla sua conservazione noninterrotta fin dal punto in cui vide la luce, e dalle proveintrinseche ed estrinseche che la dimostrano. L’integritàrisulta dagli argomenti che chiariscono impossibilel’alterazione sostanziale del componimento, e allorchèquesto è largamente diffuso, vien provata dalla stessanatura delle varie lezioni a cui soggiace; come accade,per esempio, al Nuovo Testamento, la cui interezza ècorroborata dalle sue varianti, come quelle che non netoccano la sostanza, e che anzi si spiegano e diminuisco-no plausibilmente, coll’accurato riscontro delle varie fa-

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stesso inutile, soggetto ad essere franteso o smarrito, ov-vero impossibile ad intendersi, come un gergo reconditoo un viluppo di enimmi, se i monumenti che lo conten-gono non sono fedelmente conservati, e la chiave dellasua interpretazione non viene gelosamente custodita.Imperocchè la durata di un libro non approda, se le ra-gioni che ne guarentiscono la legittima origine, e l’ese-gesi che ne serba il genuino intendimento, scadono e pe-riscono dalla memoria degli uomini. Il Primo scritto ebiblico torna vano senza il Primo orale e tradizionale;giacchè la tradizione sola può rendere intelligibile il det-tato di un libro, può chiarirlo autentico, integro e veridi-co. L’intelligenza, infatti, deriva dalla notizia supestite,sia dell’idioma in cui il libro è steso, sia del suo stile,onde poterne chiosare il contenuto e coglierne il vero si-gnificato; il che presuppone che si possegga l’ermeneu-tica primitiva dell’opera, e si conosca il modo in cuiquesta fu intesa dall’autore e da’ suoi coetanei. L’auten-ticità dello scritto dipende dalla sua conservazione noninterrotta fin dal punto in cui vide la luce, e dalle proveintrinseche ed estrinseche che la dimostrano. L’integritàrisulta dagli argomenti che chiariscono impossibilel’alterazione sostanziale del componimento, e allorchèquesto è largamente diffuso, vien provata dalla stessanatura delle varie lezioni a cui soggiace; come accade,per esempio, al Nuovo Testamento, la cui interezza ècorroborata dalle sue varianti, come quelle che non netoccano la sostanza, e che anzi si spiegano e diminuisco-no plausibilmente, coll’accurato riscontro delle varie fa-

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miglie de’ codici. Infine la veracità si ricava così dalletestimonianze estrinseche, come dalla natura intrinsecadel libro e delle cose che vi s’insegnano e vi si racconta-no. Ma la tradizione non potrebbe, certo, adempierequesti quattro uffici, se fosse interrotta, varia, oscura, in-certa, scompigliata, discorde; tanto che il Primo tradi-zionale, guardiano e sponitore del Primo biblico, pre-suppone un Primo ieratico, cioè una nazione sacerdota-le, risalente fino alle origini di esso Primo biblico, ecomposta a gerarchia per guisa che nelle sue mani lacorruttela del verbo custode ed interprete moralmente ri-pugni. Se togli questa salvaguardia ieratica, il Primo bi-blico perde il suo valore storico, cessa di essere autenti-co e veridico, e non si distingue più dal libri favolosi1;anzi scapita eziandio dal canto prettamente grammatica-le, perchè ogni documento letterario abbisogna diun’esegesi ferma e costante che salga di mano in manosino all’autore o agli autori del libri onde si discorre;cosa richiesta alle scritture eziandio profane, ma impos-sibile verificarsi intorno ai libri sacri, fuor di un magi-sterio eletto e sacerdotale. Cosicchè, senza l’interventodel Primo ieratico, il Primo tradizionale vien meno econ esso il Primo biblico, come la parola scritta e mortariesce inutile senza la parola viva e questa medesimanon basta, se non è mantenuta intatta da una società di1 Nella prima edizione si aggiungeva «quali sono verbigrazia i Purani e gli

Upapurani dell’India, i più antichi dei quali non risalgono, secondo OrazioWilson, oltre il settimo o sesto secolo della nostra era, benchè si supponga-no scritti in tempi antichissimi e compilati dal mitico Viase, terzo avataradi Brama, vissuto nel Dvaparajuga».

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miglie de’ codici. Infine la veracità si ricava così dalletestimonianze estrinseche, come dalla natura intrinsecadel libro e delle cose che vi s’insegnano e vi si racconta-no. Ma la tradizione non potrebbe, certo, adempierequesti quattro uffici, se fosse interrotta, varia, oscura, in-certa, scompigliata, discorde; tanto che il Primo tradi-zionale, guardiano e sponitore del Primo biblico, pre-suppone un Primo ieratico, cioè una nazione sacerdota-le, risalente fino alle origini di esso Primo biblico, ecomposta a gerarchia per guisa che nelle sue mani lacorruttela del verbo custode ed interprete moralmente ri-pugni. Se togli questa salvaguardia ieratica, il Primo bi-blico perde il suo valore storico, cessa di essere autenti-co e veridico, e non si distingue più dal libri favolosi1;anzi scapita eziandio dal canto prettamente grammatica-le, perchè ogni documento letterario abbisogna diun’esegesi ferma e costante che salga di mano in manosino all’autore o agli autori del libri onde si discorre;cosa richiesta alle scritture eziandio profane, ma impos-sibile verificarsi intorno ai libri sacri, fuor di un magi-sterio eletto e sacerdotale. Cosicchè, senza l’interventodel Primo ieratico, il Primo tradizionale vien meno econ esso il Primo biblico, come la parola scritta e mortariesce inutile senza la parola viva e questa medesimanon basta, se non è mantenuta intatta da una società di1 Nella prima edizione si aggiungeva «quali sono verbigrazia i Purani e gli

Upapurani dell’India, i più antichi dei quali non risalgono, secondo OrazioWilson, oltre il settimo o sesto secolo della nostra era, benchè si supponga-no scritti in tempi antichissimi e compilati dal mitico Viase, terzo avataradi Brama, vissuto nel Dvaparajuga».

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uditori e di parlanti maestrevolmente organata a serbaree trasmettere di generazione in generazione il verbo chele è commesso. La necessità del Primo ieratico non puòmeglio provarsi che coi fatti, e sovratutto coll’esempiodei Protestanti; i quali, ripudiando la ierocrazia conser-vatrice e chiosatrice delle Scritture, dovrebbero altresìrigettare l’autenticità loro, quando ai propri principiinon ripugnassero. Ma che rileva l’aver per autentica laBibbia e l’Evangelo, quando, rotto il filo capace di gui-dare l’interprete nel laberinto de’ testi, il loro dettato rie-sce incerto e enigmatico, e il senso se ne travolge a ludi-brio del chiosatori? La parola può solo essere un accon-cio e perfetto strumento della riflessione, quando è chia-ra, schietta, precisa, e consta di segni la cui intenzione èben circoscritta e ricevuta universalmente. Tal è il Primobiblico, quando non si sequestra dall’elucidario ieraticoe dall’ermeneutica tradizionale, per tutto ciò che riguar-da i principii vivi ed essenziali della religione, dellascienza e della storia. Ma se invece se ne scompagna, ela critica sacra vien commessa all’arbitrio degli scoliastirazionali, come oggi accade in Germania, surrogando unsenso poetico, mitico, simbolico, allegorico, arbitrario,al significato nativo ed idoneo, il Primo biblico diventaun libro meno autorevole dei romanzi e delle favole. Im-perocchè il senso poetico, verbigrazia, di Omero, è sot-tosopra determinato dalla tradizione della lingua greca,e dal consenso unanime degli eruditi; laddove il costrut-to dei libri sacri nelle loro parti più principali, qualisono quelle che riguardano dogmi, i portenti e le origini,

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uditori e di parlanti maestrevolmente organata a serbaree trasmettere di generazione in generazione il verbo chele è commesso. La necessità del Primo ieratico non puòmeglio provarsi che coi fatti, e sovratutto coll’esempiodei Protestanti; i quali, ripudiando la ierocrazia conser-vatrice e chiosatrice delle Scritture, dovrebbero altresìrigettare l’autenticità loro, quando ai propri principiinon ripugnassero. Ma che rileva l’aver per autentica laBibbia e l’Evangelo, quando, rotto il filo capace di gui-dare l’interprete nel laberinto de’ testi, il loro dettato rie-sce incerto e enigmatico, e il senso se ne travolge a ludi-brio del chiosatori? La parola può solo essere un accon-cio e perfetto strumento della riflessione, quando è chia-ra, schietta, precisa, e consta di segni la cui intenzione èben circoscritta e ricevuta universalmente. Tal è il Primobiblico, quando non si sequestra dall’elucidario ieraticoe dall’ermeneutica tradizionale, per tutto ciò che riguar-da i principii vivi ed essenziali della religione, dellascienza e della storia. Ma se invece se ne scompagna, ela critica sacra vien commessa all’arbitrio degli scoliastirazionali, come oggi accade in Germania, surrogando unsenso poetico, mitico, simbolico, allegorico, arbitrario,al significato nativo ed idoneo, il Primo biblico diventaun libro meno autorevole dei romanzi e delle favole. Im-perocchè il senso poetico, verbigrazia, di Omero, è sot-tosopra determinato dalla tradizione della lingua greca,e dal consenso unanime degli eruditi; laddove il costrut-to dei libri sacri nelle loro parti più principali, qualisono quelle che riguardano dogmi, i portenti e le origini,

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se rimuovi il magisterio legittimo, varia secondo il ca-priccio dei chiosatori. Nella folla dei quali spesso non sene trovano due soli che sentano il medesimo, non dicopure intorno agli accessorii, ma circa i punti di maggiormomento; tanto che nelle loro mani la Bibbia diventa unlibro di autenticità e di verità affatto dubbia, anzi inin-telligibile; tale riuscendo una scrittura, quando non haferma regola d’interpretazione; chè l’esser variamente econtradittoriamente dichiarata da tutti equivale per pocoal non essere intesa da nessuno. Donde nacque che i ge-roglifici egizi prima del dottor Young e di GiovanniFrancesco Champollion1 furono tenuti per incomprensi-bili dai veri dotti? Forse perchè le chiose e i sogni deisemidotti mancassero? No, sicuramente; poichè anzi so-verchiavano; ma tali spiegazioni erano arbitrarie, fraloro discordi, e ciascuno aveva la sua. La Bibbia negliarticoli più rilevanti è ormai ridotta dagl’interpreti razio-nali presso a poco alla condizione in cui erano i fram-menti ermetici prima dei prefati archeologi, o a quella incui si trovavano le iscrizioni cuneiformi innanzi ai pa-leografi della età nostra, che paiono aver trovata, alme-no in parte, la chiave delle lettere piramidali. E come ilYoung, il Champollion, il Grotefend, il Burnouf, il Las-

1 Il dottor Thomas Young, nato nel 1773 in Milverton, morto in Londra nel1829. Si accenna qui ai suoi Remarks on Egiptians papyri and on the in-scription of Rosetta (1815) ecc. e al suo Egiptian dictionary (1829). Gio.Franc. Champollion, n. a Figeac (Lot) nel 1790, m. nel 1832. Fu il primoche distinguesse le tre specie di caratteri di cui valevansi gli Egiziani: ge-roglifici, ieratici e demotici .

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se rimuovi il magisterio legittimo, varia secondo il ca-priccio dei chiosatori. Nella folla dei quali spesso non sene trovano due soli che sentano il medesimo, non dicopure intorno agli accessorii, ma circa i punti di maggiormomento; tanto che nelle loro mani la Bibbia diventa unlibro di autenticità e di verità affatto dubbia, anzi inin-telligibile; tale riuscendo una scrittura, quando non haferma regola d’interpretazione; chè l’esser variamente econtradittoriamente dichiarata da tutti equivale per pocoal non essere intesa da nessuno. Donde nacque che i ge-roglifici egizi prima del dottor Young e di GiovanniFrancesco Champollion1 furono tenuti per incomprensi-bili dai veri dotti? Forse perchè le chiose e i sogni deisemidotti mancassero? No, sicuramente; poichè anzi so-verchiavano; ma tali spiegazioni erano arbitrarie, fraloro discordi, e ciascuno aveva la sua. La Bibbia negliarticoli più rilevanti è ormai ridotta dagl’interpreti razio-nali presso a poco alla condizione in cui erano i fram-menti ermetici prima dei prefati archeologi, o a quella incui si trovavano le iscrizioni cuneiformi innanzi ai pa-leografi della età nostra, che paiono aver trovata, alme-no in parte, la chiave delle lettere piramidali. E come ilYoung, il Champollion, il Grotefend, il Burnouf, il Las-

1 Il dottor Thomas Young, nato nel 1773 in Milverton, morto in Londra nel1829. Si accenna qui ai suoi Remarks on Egiptians papyri and on the in-scription of Rosetta (1815) ecc. e al suo Egiptian dictionary (1829). Gio.Franc. Champollion, n. a Figeac (Lot) nel 1790, m. nel 1832. Fu il primoche distinguesse le tre specie di caratteri di cui valevansi gli Egiziani: ge-roglifici, ieratici e demotici .

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sen e il Behr1 hanno la gloria di avere spianata la via arinvenire, o buscata in effetto, la contraccifera2 degli ar-cani caratteri del Nilo e dell’Eufrate; così il grimaldelloatto a dischiudere i penetrali del libro divino non puòaversi altronde che dal verbo ieratico. Che se la confe-renza diligente e minuta di quelle lettere dianzi non inte-se, accompagnata da una certa notizia dei dialetti zendi-ci e cofti, di cui son l’alfabeto monumentale, aiutata esuffulta dal parallelo delle inscrizioni bilingui e trilin-gui, e da dotte e sagaci conghietture, bastò a diciferarein parte la scrittura recondita degli Achemenidi e dei Fa-raoni3, egli è chiaro che, trattandosi, non già dei soli ele-menti materiali e inorganici di un libro, ma del suo stile,in quanto si connette colla materia esposta, per lo piùdifficile, oscura, sovrastante agli ordini della natura edella ragione, non vi ha altra norma sicura di chiosa chel’esegesi coetanea, a noi tramandata dai sussidi tradizio-nali. Perciò non è meraviglia se i razionalisti, volendoottenere l’intento coi soli amminicoli di una critica indi-viduale, sono riusciti con tutto il loro ingegno e la loro

1 Georg. Friedr. Grotefend, nato in Munden il 1775, morto in Hannover il1853, filologo ed archeologo; Jean Louis Burnouf, n. a Urville il 1775, m.il 1844 a Parigi, filologo, famoso sovratutto per il suo Méthode pour étu-dier la langue grecque (1814); Christian Lassen, il fondatore degli studiorientali in Germania, nato nel 1800 a Bergen in Norvegia, morto il 1876in Bonn.

2 La contraccifera è il modo di interpretare i segni convenuti per corrispon-denze segrete. Qui usato nel senso figurato di chiave.

3 Col nome di Achemenidi, che propriamente indica la famiglia dalla qualediscendeva Ciro, sono designati i Persiani e con quello di Faraoni gli Egi-ziani.

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sen e il Behr1 hanno la gloria di avere spianata la via arinvenire, o buscata in effetto, la contraccifera2 degli ar-cani caratteri del Nilo e dell’Eufrate; così il grimaldelloatto a dischiudere i penetrali del libro divino non puòaversi altronde che dal verbo ieratico. Che se la confe-renza diligente e minuta di quelle lettere dianzi non inte-se, accompagnata da una certa notizia dei dialetti zendi-ci e cofti, di cui son l’alfabeto monumentale, aiutata esuffulta dal parallelo delle inscrizioni bilingui e trilin-gui, e da dotte e sagaci conghietture, bastò a diciferarein parte la scrittura recondita degli Achemenidi e dei Fa-raoni3, egli è chiaro che, trattandosi, non già dei soli ele-menti materiali e inorganici di un libro, ma del suo stile,in quanto si connette colla materia esposta, per lo piùdifficile, oscura, sovrastante agli ordini della natura edella ragione, non vi ha altra norma sicura di chiosa chel’esegesi coetanea, a noi tramandata dai sussidi tradizio-nali. Perciò non è meraviglia se i razionalisti, volendoottenere l’intento coi soli amminicoli di una critica indi-viduale, sono riusciti con tutto il loro ingegno e la loro

1 Georg. Friedr. Grotefend, nato in Munden il 1775, morto in Hannover il1853, filologo ed archeologo; Jean Louis Burnouf, n. a Urville il 1775, m.il 1844 a Parigi, filologo, famoso sovratutto per il suo Méthode pour étu-dier la langue grecque (1814); Christian Lassen, il fondatore degli studiorientali in Germania, nato nel 1800 a Bergen in Norvegia, morto il 1876in Bonn.

2 La contraccifera è il modo di interpretare i segni convenuti per corrispon-denze segrete. Qui usato nel senso figurato di chiave.

3 Col nome di Achemenidi, che propriamente indica la famiglia dalla qualediscendeva Ciro, sono designati i Persiani e con quello di Faraoni gli Egi-ziani.

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erudizione a far della Bibbia un guazzabuglio moltisen-so e poliglotto, come l’idioma babelico.

Del Primo ieratico: non si trova fuori del cattolicismo.

Il Primo ieratico non si trova fuori del cattolicismo,come il Primo biblico non si rinviene fuori del Cristia-nesimo; giacchè non vi ha alcuna linea sacerdotale cherimonti per ordine, a filo e senza intermissione sinoall’apparita del Primo biblico, se non quel gran popoloelettivo e privilegiato che Chiesa si appella. Questo èl’unico sacerdozio composto a forma armonica, stabile,perenne, e collegato visibilmente col sacerdozio primiti-vo, di cui è la continuazione e l’ingrandimento. Le altreierocrazie sono rampolli degeneri, svelti dal loro cepponativo, e quasi affatto insalvatichiti, da che vennero tra-posti e piantati in un suolo magro e ribelle all’opera deicoltivatori. E siccome fuori del Primo ieratico non sirinviene la parola sincera e adequata, che esprime inte-gralmente i principii enciclopedici, ne segue che fuoridel cattolicismo si possono bensì coltivare le scienzeparticolari, ma non si dà vera scienza universale, nètampoco una scienza prima; e che i popoli eterodossi,eziandio più colti, hanno smarrita la base di tutto lo sci-bile. Questo corollario può parere strano a chi non facaso del parlare, quando si tratta del sapere; ma standoferme le cose premesse, è rigoroso e irrepugnabile. Eforse che l’esperienza non lo corrobora? La scienza èoggi divisa e smembrata come l’Europa civile; e nei due

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erudizione a far della Bibbia un guazzabuglio moltisen-so e poliglotto, come l’idioma babelico.

Del Primo ieratico: non si trova fuori del cattolicismo.

Il Primo ieratico non si trova fuori del cattolicismo,come il Primo biblico non si rinviene fuori del Cristia-nesimo; giacchè non vi ha alcuna linea sacerdotale cherimonti per ordine, a filo e senza intermissione sinoall’apparita del Primo biblico, se non quel gran popoloelettivo e privilegiato che Chiesa si appella. Questo èl’unico sacerdozio composto a forma armonica, stabile,perenne, e collegato visibilmente col sacerdozio primiti-vo, di cui è la continuazione e l’ingrandimento. Le altreierocrazie sono rampolli degeneri, svelti dal loro cepponativo, e quasi affatto insalvatichiti, da che vennero tra-posti e piantati in un suolo magro e ribelle all’opera deicoltivatori. E siccome fuori del Primo ieratico non sirinviene la parola sincera e adequata, che esprime inte-gralmente i principii enciclopedici, ne segue che fuoridel cattolicismo si possono bensì coltivare le scienzeparticolari, ma non si dà vera scienza universale, nètampoco una scienza prima; e che i popoli eterodossi,eziandio più colti, hanno smarrita la base di tutto lo sci-bile. Questo corollario può parere strano a chi non facaso del parlare, quando si tratta del sapere; ma standoferme le cose premesse, è rigoroso e irrepugnabile. Eforse che l’esperienza non lo corrobora? La scienza èoggi divisa e smembrata come l’Europa civile; e nei due

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casi la disunione è l’effetto naturale e non evitabiledell’abolita unità cattolica. Imperocchè non vi ha popoloeterodosso antico o moderno che abbia mantenuti nellaintegrità loro i principii di creazione e di redenzione, ela cui filosofia non sia più o manco infetta di panteismo.L’antichità pagana professò per lo più un panteismoschietto e manifesto; e quando questo fu mitigato o ve-lato, come presso i Pelasghi italogreci, i Cinesi di Con-fusio e i Persiani di Zoroastro, dove il dualismo del Teoe dell’Ile, del Jang e dell’In, di Ormuzd e di Arimane,temperò il sistema dell’unità assoluta, non vi fu però co-nosciuto l’assioma protologico delle dottrine. E dopol’instituzione del Cristianesimo, qual il l’eresia un po’ragguardevole che abbia menato strage tra i fedeli, e nonpizzichi almeno di panteismo, quando non vuole o nonosa professarlo espressamente? So che alcuni si ridonodi questa universalità del panteismo presso gli eterodos-si, da me altrove affermata1; ma benchè il ridere sia cosapiù facile del ragionare, io non dispero di potere ungiorno rendere plausibile la mia sentenza, mostrandoche il principio di creazione nella sua schietta e precisaintegrità razionale è un privilegio eminente della societàcattolica2. Se poi si discorre dello stato attuale dellascienza in Europa e negli altri paesi popolati dagli Euro-pei, non credo che vi sia un solo filosofo eterodosso chefondi il suo speculare nel dogma della creazione; ovvero

1 lntroduzione alla studio della filosofia, lib. I, cap. 7.2 Lett. sur les doctr. philos. et polit. de M. de Lamennais, Bruxelles, 1838,

pagg. 27-31.

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casi la disunione è l’effetto naturale e non evitabiledell’abolita unità cattolica. Imperocchè non vi ha popoloeterodosso antico o moderno che abbia mantenuti nellaintegrità loro i principii di creazione e di redenzione, ela cui filosofia non sia più o manco infetta di panteismo.L’antichità pagana professò per lo più un panteismoschietto e manifesto; e quando questo fu mitigato o ve-lato, come presso i Pelasghi italogreci, i Cinesi di Con-fusio e i Persiani di Zoroastro, dove il dualismo del Teoe dell’Ile, del Jang e dell’In, di Ormuzd e di Arimane,temperò il sistema dell’unità assoluta, non vi fu però co-nosciuto l’assioma protologico delle dottrine. E dopol’instituzione del Cristianesimo, qual il l’eresia un po’ragguardevole che abbia menato strage tra i fedeli, e nonpizzichi almeno di panteismo, quando non vuole o nonosa professarlo espressamente? So che alcuni si ridonodi questa universalità del panteismo presso gli eterodos-si, da me altrove affermata1; ma benchè il ridere sia cosapiù facile del ragionare, io non dispero di potere ungiorno rendere plausibile la mia sentenza, mostrandoche il principio di creazione nella sua schietta e precisaintegrità razionale è un privilegio eminente della societàcattolica2. Se poi si discorre dello stato attuale dellascienza in Europa e negli altri paesi popolati dagli Euro-pei, non credo che vi sia un solo filosofo eterodosso chefondi il suo speculare nel dogma della creazione; ovvero

1 lntroduzione alla studio della filosofia, lib. I, cap. 7.2 Lett. sur les doctr. philos. et polit. de M. de Lamennais, Bruxelles, 1838,

pagg. 27-31.

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un erudito profano e acattolico che alla Genesi ricorranell’agitare la quistione delle origini. Onde i più assen-nati sogliono rinunziare a tale inchiesta, come quella cuifornire coi documenti rivelati non vogliono, e coi natu-rali non possono; perchè il principio dei fatti non si puòdedurre da essi, nè dichiarar, coniettando, in modo plau-sibile. Così, verbigrazia. il dottissimo e sagace Niebhur1,che, generalmente parlando, deride con tanto senno i fi-losofi che vogliono spiegare i primordi delle cose senzaricorrere all’ idea di creazione2, tirato dal vezzo corren-te, ripudia l’autorità dei libri mosaici, senza accorgersiche la Genesi è appunto il codice autorevole delle origi-ni e la storia dell’azione creatrice. Ma, certo, non è dameravigliare se i dettati di questo libro sono scartati dal-la scienza eterodossa, quando il Primo biblico non puòmantenere il suo credito, nè essere inteso ed interpretatocon unanime e immutabile consenso, senza la scorta e ilmagistero del Primo ieratico.

Universalità intellettiva e operativa del cattolicismo, quandosia beno inteso: inchiude e non esclude il lume razionale.

Collocando nel cattolicismo, come parola, la base ar-monizzatrice di tutto lo scibile, io sono alienissimo(quante volte dovrò ripeterlo?) dall’errore di que’ filoso-fi superficiali che mischiano il profano col sacro sapere,

1 Bertoldo Giorgio Niebhur, n. in Copenaghen nel 1776, m. a Roma nel1831. L’opera che gli fruttò fama europea è la sua Storia Romana, pubbli-cata a Berlino nel 1811 e 1830 e tradotta in tutte le lingue moderne.

2 Hist. Rom. trad., Bruxelles, 1826, tomo I, pagg. 50, 51.

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un erudito profano e acattolico che alla Genesi ricorranell’agitare la quistione delle origini. Onde i più assen-nati sogliono rinunziare a tale inchiesta, come quella cuifornire coi documenti rivelati non vogliono, e coi natu-rali non possono; perchè il principio dei fatti non si puòdedurre da essi, nè dichiarar, coniettando, in modo plau-sibile. Così, verbigrazia. il dottissimo e sagace Niebhur1,che, generalmente parlando, deride con tanto senno i fi-losofi che vogliono spiegare i primordi delle cose senzaricorrere all’ idea di creazione2, tirato dal vezzo corren-te, ripudia l’autorità dei libri mosaici, senza accorgersiche la Genesi è appunto il codice autorevole delle origi-ni e la storia dell’azione creatrice. Ma, certo, non è dameravigliare se i dettati di questo libro sono scartati dal-la scienza eterodossa, quando il Primo biblico non puòmantenere il suo credito, nè essere inteso ed interpretatocon unanime e immutabile consenso, senza la scorta e ilmagistero del Primo ieratico.

Universalità intellettiva e operativa del cattolicismo, quandosia beno inteso: inchiude e non esclude il lume razionale.

Collocando nel cattolicismo, come parola, la base ar-monizzatrice di tutto lo scibile, io sono alienissimo(quante volte dovrò ripeterlo?) dall’errore di que’ filoso-fi superficiali che mischiano il profano col sacro sapere,

1 Bertoldo Giorgio Niebhur, n. in Copenaghen nel 1776, m. a Roma nel1831. L’opera che gli fruttò fama europea è la sua Storia Romana, pubbli-cata a Berlino nel 1811 e 1830 e tradotta in tutte le lingue moderne.

2 Hist. Rom. trad., Bruxelles, 1826, tomo I, pagg. 50, 51.

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e danno ad entrambi nella stessa guisa per norma e pun-tello la rivelazione. La formola ideale nel suo doppio ci-clo, e nei due principii che ne provengono, risplended’intrinseca luce, e non dipende dall’autorità rivelatrice,se non in quanto, senza parola acconcia, non può essereripensata, nè vestir abito di scienza. E considerando ilPrimo ieratico come strumento del sapere eziandio uma-no, io non credo di dir cosa nuova, poichè non fo se nonaggiudicare o più tosto restituire al sacerdozio un suoprivilegio antichissimo e primigenio, che è quello di es-sere depositario della scienza in universale e di ogniseme civile. Il che è fuori di ogni dubbio, in quanto ilsacerdozio, come custode della rivelazione, è altresìguardiano della parola, e, per via di essa, conservatoredi que’ pronunziati elementari e solenni che racchiuggo-no virtualmente tutta la scienza. Perciò, quando io affer-mo che il cattolicismo è la base di tutto lo scibile, e cheogni facoltà scientifica è intrinsecamente cattolica, nonvorrei che altri intendesse questo mio dire nel significa-to angusto e meschino di certi moderni, più zelanti cheintendenti, i quali dopo di avere appiccinita la religione,riducendola ai limiti del proprio cervello, impiccolisco-no la scienza, rannicchiandola e trinciandola, senza di-screzione, per aggiustarla alla misura delle loro grette emeschine credenze. Laonde essi immaginano una enci-clopedia cattolica, la quale non ha di cattolico altro cheil nome e la mostra; e credono che il primato intellettua-le del sacerdozio consista nel dare ai chierici il monopo-lio del sapere universale. Tal è, sottosopra, il sentimento

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e danno ad entrambi nella stessa guisa per norma e pun-tello la rivelazione. La formola ideale nel suo doppio ci-clo, e nei due principii che ne provengono, risplended’intrinseca luce, e non dipende dall’autorità rivelatrice,se non in quanto, senza parola acconcia, non può essereripensata, nè vestir abito di scienza. E considerando ilPrimo ieratico come strumento del sapere eziandio uma-no, io non credo di dir cosa nuova, poichè non fo se nonaggiudicare o più tosto restituire al sacerdozio un suoprivilegio antichissimo e primigenio, che è quello di es-sere depositario della scienza in universale e di ogniseme civile. Il che è fuori di ogni dubbio, in quanto ilsacerdozio, come custode della rivelazione, è altresìguardiano della parola, e, per via di essa, conservatoredi que’ pronunziati elementari e solenni che racchiuggo-no virtualmente tutta la scienza. Perciò, quando io affer-mo che il cattolicismo è la base di tutto lo scibile, e cheogni facoltà scientifica è intrinsecamente cattolica, nonvorrei che altri intendesse questo mio dire nel significa-to angusto e meschino di certi moderni, più zelanti cheintendenti, i quali dopo di avere appiccinita la religione,riducendola ai limiti del proprio cervello, impiccolisco-no la scienza, rannicchiandola e trinciandola, senza di-screzione, per aggiustarla alla misura delle loro grette emeschine credenze. Laonde essi immaginano una enci-clopedia cattolica, la quale non ha di cattolico altro cheil nome e la mostra; e credono che il primato intellettua-le del sacerdozio consista nel dare ai chierici il monopo-lio del sapere universale. Tal è, sottosopra, il sentimento

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di alcuni giornalisti e autori francesi che fanno profes-sione di essere ortodossi; nei quali, se è commendevoleed esemplare l’intenzione, è poco fruttuoso e lodevolel’effetto. E, certo, io crederei di meritare assai male del-la mia patria, se cercassi d’introdurvi tali dottrine, cheinvece di ristorare le trasandate credenze, contribuisco-no a screditarle da vantaggio e a renderle odiose. Chivuol provvedere efficacemente all’instaurazion dellafede, non dee già mozzare e costringere la scienza perfarla capire nella religione, ma dee più tosto allargare ildominio della religione, e renderlo tanto ampio e capaceche possa comprendere gli acquisti intellettuali e ognialtro civanzo dell’incivilimento. La religione non ab-braccia solo i misteri e i precetti del vivere morale e ci-vile, ma i principii di tutto quanto l’umano sapere: essaè una dottrina, non parziale e ristretta, ma universale, esi stende largamente per ogni parte del conoscibile,come Iddio, per l’immensità della sua natura, compene-tra spiritualmente ogni regione dell’universo. Così il sa-cerdozio, ogni qual volta risponda compitamente allasua gran vocazione, dee essere un ceto di sapienti, chein vece di camminar di côsta alle altre classi sociali, lepreceda e capitaneggi, non già col monopolio e col bro-glio (mezzi odiosi ed abbietti), ma coll’autorità moraledella virtù e del senno, spontaneamente riconosciuta ericevuta ; perchè gli uomini s’inchinano per istinto a chipei meriti è primo, e vince con pazienza longanime lainvidia, il dispetto e la noncuranza. Ritirando adunque lareligione verso le sue origini, e restituendole la sua pri-

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di alcuni giornalisti e autori francesi che fanno profes-sione di essere ortodossi; nei quali, se è commendevoleed esemplare l’intenzione, è poco fruttuoso e lodevolel’effetto. E, certo, io crederei di meritare assai male del-la mia patria, se cercassi d’introdurvi tali dottrine, cheinvece di ristorare le trasandate credenze, contribuisco-no a screditarle da vantaggio e a renderle odiose. Chivuol provvedere efficacemente all’instaurazion dellafede, non dee già mozzare e costringere la scienza perfarla capire nella religione, ma dee più tosto allargare ildominio della religione, e renderlo tanto ampio e capaceche possa comprendere gli acquisti intellettuali e ognialtro civanzo dell’incivilimento. La religione non ab-braccia solo i misteri e i precetti del vivere morale e ci-vile, ma i principii di tutto quanto l’umano sapere: essaè una dottrina, non parziale e ristretta, ma universale, esi stende largamente per ogni parte del conoscibile,come Iddio, per l’immensità della sua natura, compene-tra spiritualmente ogni regione dell’universo. Così il sa-cerdozio, ogni qual volta risponda compitamente allasua gran vocazione, dee essere un ceto di sapienti, chein vece di camminar di côsta alle altre classi sociali, lepreceda e capitaneggi, non già col monopolio e col bro-glio (mezzi odiosi ed abbietti), ma coll’autorità moraledella virtù e del senno, spontaneamente riconosciuta ericevuta ; perchè gli uomini s’inchinano per istinto a chipei meriti è primo, e vince con pazienza longanime lainvidia, il dispetto e la noncuranza. Ritirando adunque lareligione verso le sue origini, e restituendole la sua pri-

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migenia grandezza e efficacia, io considero la teologiacome la parola complessiva di tutti i principii umani, e ilchiericato come il custode perpetuo di questo verbo uni-versale. Per tal modo la teologia è regina, e non tirannadelle scienze; rispetto alle quali ella adempie l’ufficio,umile in sembianza, nobilissimo in effetto, di alfabeto edi vocabolario, traducendo in lingua intelligibile gli ar-cani geroglifici dell’intuito, e schiudendo alla curiositàumana quel gran libro della natura, nel quale gli uominiapparano a compitare e a distinguere le prime sillabesotto la scorta didascalica del sacerdozio. Fuori della re-ligione, le scienze filosofiche, matematiche, fisiche, sto-riche possono fiorire come una raccolta di veri e di fattisparpagliati, o parzialmente connessi; ma l’intreccio nonè mai perfetto, se non si appicca a un primo principiocomune a ogni scienza. Il quale dee essere unico, asso-luto, e perciò identico a Dio stesso, in cui solo si unifi-cano il reale e lo scibile; giacchè non si possono daredue principii supremi, come non si dànno due assoluti,nè più di un creatore e di un governatore del creato.Questo principio sovrano è la formola ideale, che espri-me la realtà di Dio col fatto libero e divino della crea-zione; onde ogni disciplina secondaria trae il suo sog-getto, le sue leggi e tutte le altre condizioni scientifiche.Altrimenti le scienze più nobili e sublimi ed artificiosemancano di valore e di fondamento; come si può vedere,per cagion di esempio, nella matematica. In cui un inge-gno sommo, come quelli di Archimede, di Galileo, del

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migenia grandezza e efficacia, io considero la teologiacome la parola complessiva di tutti i principii umani, e ilchiericato come il custode perpetuo di questo verbo uni-versale. Per tal modo la teologia è regina, e non tirannadelle scienze; rispetto alle quali ella adempie l’ufficio,umile in sembianza, nobilissimo in effetto, di alfabeto edi vocabolario, traducendo in lingua intelligibile gli ar-cani geroglifici dell’intuito, e schiudendo alla curiositàumana quel gran libro della natura, nel quale gli uominiapparano a compitare e a distinguere le prime sillabesotto la scorta didascalica del sacerdozio. Fuori della re-ligione, le scienze filosofiche, matematiche, fisiche, sto-riche possono fiorire come una raccolta di veri e di fattisparpagliati, o parzialmente connessi; ma l’intreccio nonè mai perfetto, se non si appicca a un primo principiocomune a ogni scienza. Il quale dee essere unico, asso-luto, e perciò identico a Dio stesso, in cui solo si unifi-cano il reale e lo scibile; giacchè non si possono daredue principii supremi, come non si dànno due assoluti,nè più di un creatore e di un governatore del creato.Questo principio sovrano è la formola ideale, che espri-me la realtà di Dio col fatto libero e divino della crea-zione; onde ogni disciplina secondaria trae il suo sog-getto, le sue leggi e tutte le altre condizioni scientifiche.Altrimenti le scienze più nobili e sublimi ed artificiosemancano di valore e di fondamento; come si può vedere,per cagion di esempio, nella matematica. In cui un inge-gno sommo, come quelli di Archimede, di Galileo, del

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Lagrangia1, può scoprire verità maravigliose; le qualiperò non si hanno a buon diritto per obbiettive e quindiper verità degne di questo nome, anzichè per giuochi etrastulli dell’ intelletto, finchè non si è chiarito che i datidel tempo e dello spazio, su cui lavora il discorso mate-matico, hanno una consistenza e realtà ontologica. Il chenon potendosi fare della matematica, come quella che èuna semplice facoltà secondaria, le sue mirabili conclu-sioni saranno sempre ipotetiche, finchè la materia in cuiversano, i metodi che le governano e i principii che lepartoriscono, non vengono legittimati dalla prima scien-za. Dicasi altrettanto dei pronunziati elementari, del sog-getto, dei processi e dei fini di ogni altra ricerca; i qualitutti valgono solo ipoteticamente, se non sono autentica-ti da quella sovrana formola, la cui espressione riflessi-va e perfetta è un privilegio della parola ortodossa. Dun-que la scienza enciclopedica e rigorosa non è possibilefuori del cattolicismo, considerato, non dirò già comedottrina prettamente sacra, ma come parola e logica uni-versale, o piuttosto come religione, intendendo sottoquesto nome il vincolo divino della favella, che scesedal cielo per unire i pensieri e gli affetti degli uomini.Ogni disciplina particolare è, per questo rispetto, unmembro e un articolo della loquela cattolica, e il cattoli-cismo è l’unico sistema universale, componente insiemee accordante le diverse cognizioni, e riducente la svaria-ta moltitudine loro ad una armonica e schietta unità.1 Giuseppe Luigi Lagrange, forse il più grande matematico del tempi mo-

derni, nato a Torino nel 1736, morto a Parigi nel 1813.

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Lagrangia1, può scoprire verità maravigliose; le qualiperò non si hanno a buon diritto per obbiettive e quindiper verità degne di questo nome, anzichè per giuochi etrastulli dell’ intelletto, finchè non si è chiarito che i datidel tempo e dello spazio, su cui lavora il discorso mate-matico, hanno una consistenza e realtà ontologica. Il chenon potendosi fare della matematica, come quella che èuna semplice facoltà secondaria, le sue mirabili conclu-sioni saranno sempre ipotetiche, finchè la materia in cuiversano, i metodi che le governano e i principii che lepartoriscono, non vengono legittimati dalla prima scien-za. Dicasi altrettanto dei pronunziati elementari, del sog-getto, dei processi e dei fini di ogni altra ricerca; i qualitutti valgono solo ipoteticamente, se non sono autentica-ti da quella sovrana formola, la cui espressione riflessi-va e perfetta è un privilegio della parola ortodossa. Dun-que la scienza enciclopedica e rigorosa non è possibilefuori del cattolicismo, considerato, non dirò già comedottrina prettamente sacra, ma come parola e logica uni-versale, o piuttosto come religione, intendendo sottoquesto nome il vincolo divino della favella, che scesedal cielo per unire i pensieri e gli affetti degli uomini.Ogni disciplina particolare è, per questo rispetto, unmembro e un articolo della loquela cattolica, e il cattoli-cismo è l’unico sistema universale, componente insiemee accordante le diverse cognizioni, e riducente la svaria-ta moltitudine loro ad una armonica e schietta unità.1 Giuseppe Luigi Lagrange, forse il più grande matematico del tempi mo-

derni, nato a Torino nel 1736, morto a Parigi nel 1813.

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L’enciclopedia perfetta non è possibile fuori della fedecattolica.

L’insigne prerogativa per cui il cattolicismo merita iltitolo di sistema unico, risulta eziandio da altre ragioni.Le dottrine che se ne disformano, sono tutte manchevolida qualche lato, imperfette, insufficiente, e più o mancoesclusive: esagerano una verità a pregiudizio delle altre,e ampliandone i confini, in errore la mutano: non sannocogliere quell’esatta misura dei veri parziali che conce-de allo spirito di abbracciarli tutti e collocarli nel lorodebito luogo, senza scapito di nessuno. La parola catto-lica, all’incontro, gli accoglie tutti con imparziale accat-tamento, e non solo assegna loro il grado che meritano,ma gli pone ed atteggia in quel modo di prospettiva chesi ricerca per accordare gli uni cogli altri, e cessarne leapparenti ripugnanze reciproche. Il che ella fa colla suasintesi magistrale, la quale da un canto è la più vasta cheimmaginar si possa, e dall’altro la più magnifica ed ec-celsa; onde non vi ha cognizione che in ampiezza o su-blimità le sovrasti; ma ella tutte di sua natura le com-prende e signoreggia. Perciò l’ufficio da lei esercitato èin effetto quello che i panteisti moderni di Germania allaragione attribuiscono; la quale, dicono essi, concilia, ap-piana ed unifica le discrepanze e le contraddizionidell’intelletto. Quasi che la ragione, come potenza uma-na, si diversifichi sostanzialmente dall’intelletto, e possarimuovere le difficoltà che gli riescono insuperabili; ov-vero la pretesa razionale concordia introdotta da costoro

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L’enciclopedia perfetta non è possibile fuori della fedecattolica.

L’insigne prerogativa per cui il cattolicismo merita iltitolo di sistema unico, risulta eziandio da altre ragioni.Le dottrine che se ne disformano, sono tutte manchevolida qualche lato, imperfette, insufficiente, e più o mancoesclusive: esagerano una verità a pregiudizio delle altre,e ampliandone i confini, in errore la mutano: non sannocogliere quell’esatta misura dei veri parziali che conce-de allo spirito di abbracciarli tutti e collocarli nel lorodebito luogo, senza scapito di nessuno. La parola catto-lica, all’incontro, gli accoglie tutti con imparziale accat-tamento, e non solo assegna loro il grado che meritano,ma gli pone ed atteggia in quel modo di prospettiva chesi ricerca per accordare gli uni cogli altri, e cessarne leapparenti ripugnanze reciproche. Il che ella fa colla suasintesi magistrale, la quale da un canto è la più vasta cheimmaginar si possa, e dall’altro la più magnifica ed ec-celsa; onde non vi ha cognizione che in ampiezza o su-blimità le sovrasti; ma ella tutte di sua natura le com-prende e signoreggia. Perciò l’ufficio da lei esercitato èin effetto quello che i panteisti moderni di Germania allaragione attribuiscono; la quale, dicono essi, concilia, ap-piana ed unifica le discrepanze e le contraddizionidell’intelletto. Quasi che la ragione, come potenza uma-na, si diversifichi sostanzialmente dall’intelletto, e possarimuovere le difficoltà che gli riescono insuperabili; ov-vero la pretesa razionale concordia introdotta da costoro

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non sia il massimo degli assurdi, cioè il panteismo. Lasola potenza realmente conciliatrice dei veri, e, per usarla lingua dell’Hegel1, la sola logica autorevole, è la ra-gione obbiettiva del cattolicismo; la qual consiste nongià nell’intelligibile, ma nel sovrintelligibile, e coll’aiu-to di esso accorda le intellezioni; giacchè il mistero colchiarore abbagliato delle analogie è il legame delle veri-tà evidenti, e forma, per così dire, una striscia albeg-giante di fioca luce, che, a guisa del lume zodiacale odella candida Galassia, stringe e conserta in una solazona molti sparsi e interrotti fulgori di minute stelle. Enon pure accorda il chiaro coll’oscuro, ma concilia e ar-monizza il nuovo coll’antico: onde nasce l’indole pro-gressiva della dottrina cattolica, sola atta a comporre lecredenze colle scoperte, e a porgere nella sua ampia ca-pacità un luogo opportuno ai successivi e freschi incre-menti dell’ingegno, senza pregiudicare al patrimonio ri-cevuto dagli avi. Laddove il progresso eterodosso consi-ste nell’immolare continuamente l’antico al nuovo, e neldiscredere oggi ciò che venne creduto ieri. Che se ad al-cuni il cattolicismo pare ristretto e proibitivo, ciò nasceche al dì d’oggi si suol confondere per ordinario il vero1 Giorgio Guglielmo Hegel, n. a Stoccarda il 1770, m. a Berlino nel 1831.

Del sistema di Hegel così giudica il Gioberti in Rinnovamento (I, C. VII):«Il sistema filosofico dell’Hegel ha del vero e del sodo in alcune parti e ar-gomenta nel suo artefice una rara finezza di speculazione. Ma avendo rice-vute le prime mosse dal sensismo e psicologismo cartesiano (mediante lesuccessive scuole dello Spinoza, del Kant e dei filosofi posteriori) ed es-sendo viziato di panteismo, racchiude i germi di ogni errore. Come l’asin-toto non può mai raggiungere l’iperbole interminata, così il panteismo nonpuò cogliere l’idea dell’infinito».

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non sia il massimo degli assurdi, cioè il panteismo. Lasola potenza realmente conciliatrice dei veri, e, per usarla lingua dell’Hegel1, la sola logica autorevole, è la ra-gione obbiettiva del cattolicismo; la qual consiste nongià nell’intelligibile, ma nel sovrintelligibile, e coll’aiu-to di esso accorda le intellezioni; giacchè il mistero colchiarore abbagliato delle analogie è il legame delle veri-tà evidenti, e forma, per così dire, una striscia albeg-giante di fioca luce, che, a guisa del lume zodiacale odella candida Galassia, stringe e conserta in una solazona molti sparsi e interrotti fulgori di minute stelle. Enon pure accorda il chiaro coll’oscuro, ma concilia e ar-monizza il nuovo coll’antico: onde nasce l’indole pro-gressiva della dottrina cattolica, sola atta a comporre lecredenze colle scoperte, e a porgere nella sua ampia ca-pacità un luogo opportuno ai successivi e freschi incre-menti dell’ingegno, senza pregiudicare al patrimonio ri-cevuto dagli avi. Laddove il progresso eterodosso consi-ste nell’immolare continuamente l’antico al nuovo, e neldiscredere oggi ciò che venne creduto ieri. Che se ad al-cuni il cattolicismo pare ristretto e proibitivo, ciò nasceche al dì d’oggi si suol confondere per ordinario il vero1 Giorgio Guglielmo Hegel, n. a Stoccarda il 1770, m. a Berlino nel 1831.

Del sistema di Hegel così giudica il Gioberti in Rinnovamento (I, C. VII):«Il sistema filosofico dell’Hegel ha del vero e del sodo in alcune parti e ar-gomenta nel suo artefice una rara finezza di speculazione. Ma avendo rice-vute le prime mosse dal sensismo e psicologismo cartesiano (mediante lesuccessive scuole dello Spinoza, del Kant e dei filosofi posteriori) ed es-sendo viziato di panteismo, racchiude i germi di ogni errore. Come l’asin-toto non può mai raggiungere l’iperbole interminata, così il panteismo nonpuò cogliere l’idea dell’infinito».

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col falso, e l’affermazione colla negazione. Un sistemaimparziale, universale e sovranamente positivo dee invirtù della sua stessa natura essere e mostrarsi infestissi-mo alle dottrine negative, come quelle che ripugnanoalla sua indole multilatere ed universale; la quale ver-rebbe meno, s’egli dêsse loro patente di passaggio e didomicilio. Questa intolleranza intellettiva della fede cat-tolica è indisgiunta dalla sua larghezza e imparzialità fi-losofica; imperocchè chi tollera l’errore, il quale è sem-pre intrinsecamente negativo e distruttivo di molti veri,diventa intollerante verso il suo contrario. Ben s’intendeche parlo qui di intolleranza religiosa, e non civile.Chiaminsi a rassegna tutte le eresie filosofiche e teologi-che che da diciotto secoli in poi fanno guerra al Cristia-nesimo cattolico, e si vedrà che non se ne trova unasola, la quale non dia lo sfratto a qualche dogma impor-tante nel giro della speculazione e della pratica. Anzil’attrattivo pericoloso dell’eresia in ciò consiste, ch’essanega un vero in grazia di un altro vero, ogni qual volta illoro accordo è impossibile o almeno difficile al cortonostro intendere; processo assurdo, perchè presupponeche la capacità intellettuale dell’uomo sia infinita e siadegui alla ragion divina. Il magisterio cattolicoall’incontro riceve tutti i veri, senza adombrarsi dei mi-steriosi intervalli, che li separano; e tiene per fermo chela contrarietà loro non sia reale e obbiettiva, ma proven-ga dai limiti dello spirito umano. Perciò egli consuonacon tutte le esigenze del vivere privato e pubblico, contutti i desiderati della civiltà e della scienza, con tutti i

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col falso, e l’affermazione colla negazione. Un sistemaimparziale, universale e sovranamente positivo dee invirtù della sua stessa natura essere e mostrarsi infestissi-mo alle dottrine negative, come quelle che ripugnanoalla sua indole multilatere ed universale; la quale ver-rebbe meno, s’egli dêsse loro patente di passaggio e didomicilio. Questa intolleranza intellettiva della fede cat-tolica è indisgiunta dalla sua larghezza e imparzialità fi-losofica; imperocchè chi tollera l’errore, il quale è sem-pre intrinsecamente negativo e distruttivo di molti veri,diventa intollerante verso il suo contrario. Ben s’intendeche parlo qui di intolleranza religiosa, e non civile.Chiaminsi a rassegna tutte le eresie filosofiche e teologi-che che da diciotto secoli in poi fanno guerra al Cristia-nesimo cattolico, e si vedrà che non se ne trova unasola, la quale non dia lo sfratto a qualche dogma impor-tante nel giro della speculazione e della pratica. Anzil’attrattivo pericoloso dell’eresia in ciò consiste, ch’essanega un vero in grazia di un altro vero, ogni qual volta illoro accordo è impossibile o almeno difficile al cortonostro intendere; processo assurdo, perchè presupponeche la capacità intellettuale dell’uomo sia infinita e siadegui alla ragion divina. Il magisterio cattolicoall’incontro riceve tutti i veri, senza adombrarsi dei mi-steriosi intervalli, che li separano; e tiene per fermo chela contrarietà loro non sia reale e obbiettiva, ma proven-ga dai limiti dello spirito umano. Perciò egli consuonacon tutte le esigenze del vivere privato e pubblico, contutti i desiderati della civiltà e della scienza, con tutti i

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bisogni del cuore e dello intelletto. Egli solo abbraccial’universalità dei luoghi e dei secoli, e ogni ordine direaltà e di cognizione; cioè Iddio e il mondo, l’eternità eil tempo, il principio e il fine, il passato e l’avvenire,l’anima e il corpo, la virtù e la beatitudine, il sovranna-turale e la natura, il mistero e l’evidenza, e via discor-rendo. Metti a riscontro la dottrina cattolica con qualun-que altra teorica religiosa o filosofica, e troverai che laprima sovrasta di gran lunga per ampiezza, generalità,dovizia e saldezza di teoremi; tanto che, ragguagliataogni cosa e compensate le tenebre colla luce, essa ti por-ge il sistema più copioso e concatenato nelle varie sueparti, più vasto e magnifico nel suo complesso, meno in-gombro di misteri e di enimmi, più ricco di evidenza, dicertezza, di armonia, di bellezza, di sublimità, di confor-to, di utilità e di efficacia. Al che collima la sua basescientifica, cioè la formola; la quale riunisce nel suocompreso l’unità più rigida colla varietà più abbondante,e contiene l’unione più intima, senz’ombra di confusio-ne e di mischianza, e la distinzione più limpida ed esat-ta, senza sentore di lite e di divorzio. E ciò succede invirtù del suo mirabile organismo; per opera del qualeogni membro di essa è vivo, spiccato, fecondo, fornitodi moto suo proprio, e tuttavia cogli altri indissolubil-mente congiunto. Da questa vita e struttura singolareemerge la sua forza; perchè la formola ideale è il solopiedestallo acconcio a sostenere l’edifizio scientifico, eimpedire che crolli; laddove ogni altro fondamento almenomo urto, come debole puntello, si fiacca. Onde av-

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bisogni del cuore e dello intelletto. Egli solo abbraccial’universalità dei luoghi e dei secoli, e ogni ordine direaltà e di cognizione; cioè Iddio e il mondo, l’eternità eil tempo, il principio e il fine, il passato e l’avvenire,l’anima e il corpo, la virtù e la beatitudine, il sovranna-turale e la natura, il mistero e l’evidenza, e via discor-rendo. Metti a riscontro la dottrina cattolica con qualun-que altra teorica religiosa o filosofica, e troverai che laprima sovrasta di gran lunga per ampiezza, generalità,dovizia e saldezza di teoremi; tanto che, ragguagliataogni cosa e compensate le tenebre colla luce, essa ti por-ge il sistema più copioso e concatenato nelle varie sueparti, più vasto e magnifico nel suo complesso, meno in-gombro di misteri e di enimmi, più ricco di evidenza, dicertezza, di armonia, di bellezza, di sublimità, di confor-to, di utilità e di efficacia. Al che collima la sua basescientifica, cioè la formola; la quale riunisce nel suocompreso l’unità più rigida colla varietà più abbondante,e contiene l’unione più intima, senz’ombra di confusio-ne e di mischianza, e la distinzione più limpida ed esat-ta, senza sentore di lite e di divorzio. E ciò succede invirtù del suo mirabile organismo; per opera del qualeogni membro di essa è vivo, spiccato, fecondo, fornitodi moto suo proprio, e tuttavia cogli altri indissolubil-mente congiunto. Da questa vita e struttura singolareemerge la sua forza; perchè la formola ideale è il solopiedestallo acconcio a sostenere l’edifizio scientifico, eimpedire che crolli; laddove ogni altro fondamento almenomo urto, come debole puntello, si fiacca. Onde av-

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viene alla scienza cattolica quel medesimo che, giusta ilSegretario fiorentino1, accade agli stati forti, e bene or-dinati a dominio e a conquista; i quali hanno il pedalegrosso e valido a portare la copia delle ramora, che nespuntano, gl’innesti che vi si fanno, e la rosta frondosache lo incorona; l’effetto essendo proporzionato allacausa, e l’esplicamento dinamico alla forza che lo pro-duce. Cosi la formola ideale è il solo tronco atto a reg-gere e nutrire con rigoglioso succhio le messe successi-ve delle cognizioni, e a formare un vero albero enciclo-pedico, in cui si appuntano ed intrecciano i rami di tuttolo scibile. Questa perfezione sistematica del cattolici-smo sopra ogni dottrina è per me un forte argomentodella sua verità; e quando altre prove mancassero, ionon potrei mai risolvermi a tenere per un castello inaria, per una fola della fantasia o dell’intelletto, l’edifi-zio scientifico più massiccio, vasto e maestoso che ci siadato d’immaginare. Fuori del quale io non trovo chemacerie e ruine; e se talvolta nel rovigliarle2 m’incontroin una colonna, in un torso, in un triglifo3 o altro simileavanzo, ci veggo un furto o una copia malcondotta diquel lavoro impareggiabile che per la bellezza del dise-gno e la stabilità dell’opera sfida il senno e la mano di

1 Discorsi, II, 3.2 Rovigliare significa rovistare.3 Triglifi diconsi certi ornamenti quadrangolari proprii del fregio dorico, i

quali presentano tre canali come solchi scolpiti nel sasso, dai quali pendo-no le gocciole o campanelle. Secondo Vitruvio sono immagini delle testedelle travi, detti così dai tre canaletti che portano, cioè due nel mezzo edue mezzi nell’estremo.

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viene alla scienza cattolica quel medesimo che, giusta ilSegretario fiorentino1, accade agli stati forti, e bene or-dinati a dominio e a conquista; i quali hanno il pedalegrosso e valido a portare la copia delle ramora, che nespuntano, gl’innesti che vi si fanno, e la rosta frondosache lo incorona; l’effetto essendo proporzionato allacausa, e l’esplicamento dinamico alla forza che lo pro-duce. Cosi la formola ideale è il solo tronco atto a reg-gere e nutrire con rigoglioso succhio le messe successi-ve delle cognizioni, e a formare un vero albero enciclo-pedico, in cui si appuntano ed intrecciano i rami di tuttolo scibile. Questa perfezione sistematica del cattolici-smo sopra ogni dottrina è per me un forte argomentodella sua verità; e quando altre prove mancassero, ionon potrei mai risolvermi a tenere per un castello inaria, per una fola della fantasia o dell’intelletto, l’edifi-zio scientifico più massiccio, vasto e maestoso che ci siadato d’immaginare. Fuori del quale io non trovo chemacerie e ruine; e se talvolta nel rovigliarle2 m’incontroin una colonna, in un torso, in un triglifo3 o altro simileavanzo, ci veggo un furto o una copia malcondotta diquel lavoro impareggiabile che per la bellezza del dise-gno e la stabilità dell’opera sfida il senno e la mano di

1 Discorsi, II, 3.2 Rovigliare significa rovistare.3 Triglifi diconsi certi ornamenti quadrangolari proprii del fregio dorico, i

quali presentano tre canali come solchi scolpiti nel sasso, dai quali pendo-no le gocciole o campanelle. Secondo Vitruvio sono immagini delle testedelle travi, detti così dai tre canaletti che portano, cioè due nel mezzo edue mezzi nell’estremo.

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ogni imitatore.

Il cattolicismo è il sistema unico ed universale.È il solo sistema veramente dogmatico.

Perchè i migliori antichi non amassero lo scrivere.

La saldezza delle fondamenta dà altresì al cattolici-smo un’autorità grandissima e un valore affatto dogma-tico, che ne rimuove ogni spiraglio di scetticismo. Ilquale si occulta e cova nei sistemi eterodossi sotto lamostra del suo contrario; perchè l’errore può ingenerareun dogmatismo bugiardo, che mente a sè stesso, e sisforza di coprire e dissimulare il dubbio che lo rodecoll’asseveranza ed efficacia delle parole, o un dogmati-smo fanatico, che muove dalle passioni e dalla consue-tudine; ma non mai, o solo ben di rado, quella sicurezzaingenua e costante che nasce dalla persuasione profondae inalterabile. E ciò non è meraviglia; perchè la veritàrotta, spezzata e mista all’errore non può mai partorireuna certezza simile a quella che nasce dal vero integro ebene accordato in ogni sua parte. La verità tronca esmozzicata genera l’opinione; ma non la scienza; comequella che importa armonia di complesso, rispondenza efinitezza di contorni nell’oggetto di cui si travaglia. Per-ciò, fuori della società ortodossa, gli spiriti più acuti eassennati sono propensi a dubitare, benchè spesso per-buon rispetto disinfingano il loro dubbio; e ogni qualvolta, prevalendo il retto senso operativo alla logica ealla speculazione, vengono indotti o necessitati ad affer-mare, la loro sicurezza non va gran fatto oltre il probabi-

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ogni imitatore.

Il cattolicismo è il sistema unico ed universale.È il solo sistema veramente dogmatico.

Perchè i migliori antichi non amassero lo scrivere.

La saldezza delle fondamenta dà altresì al cattolici-smo un’autorità grandissima e un valore affatto dogma-tico, che ne rimuove ogni spiraglio di scetticismo. Ilquale si occulta e cova nei sistemi eterodossi sotto lamostra del suo contrario; perchè l’errore può ingenerareun dogmatismo bugiardo, che mente a sè stesso, e sisforza di coprire e dissimulare il dubbio che lo rodecoll’asseveranza ed efficacia delle parole, o un dogmati-smo fanatico, che muove dalle passioni e dalla consue-tudine; ma non mai, o solo ben di rado, quella sicurezzaingenua e costante che nasce dalla persuasione profondae inalterabile. E ciò non è meraviglia; perchè la veritàrotta, spezzata e mista all’errore non può mai partorireuna certezza simile a quella che nasce dal vero integro ebene accordato in ogni sua parte. La verità tronca esmozzicata genera l’opinione; ma non la scienza; comequella che importa armonia di complesso, rispondenza efinitezza di contorni nell’oggetto di cui si travaglia. Per-ciò, fuori della società ortodossa, gli spiriti più acuti eassennati sono propensi a dubitare, benchè spesso per-buon rispetto disinfingano il loro dubbio; e ogni qualvolta, prevalendo il retto senso operativo alla logica ealla speculazione, vengono indotti o necessitati ad affer-mare, la loro sicurezza non va gran fatto oltre il probabi-

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lismo1 di Carneade e arriva di rado alla catalepsìa stoi-ca2. Il vero inventore della probababilità accademica fuSocrate; onde nacquero la sua celebre ironia, il metodoinduttivo, la forma dialogica e le altre condizioni del suofilosofare, che venne poscia imitato da Platone; il qualefu assai men dogmatico che non si crede, e più fedelealla disciplina di quel gran savio, che esercita le primeparti in molti de’ suoi colloqui. Il che ci spiega altresìperché Socrate e Pitagora non iscrivessero (per quantosappiamo) i loro filosofemi3. Altrettanto si conghiettura1 Nella gnoseologia il probabilismo è una dottrina che sta di mezzo tra il

dogmatismo e lo scetticismo. Il probabilismo crede possibile il possessodella verità probabile che è in noi e per noi, della verità che nascedall’accordo durevole delle nostre rappresentazioni tra di loro e con quelledegli altri.

2 Secondo gli Stoici il criterio della verità è la rappresentazione che cogliecon pienezza e con chiarezza l’oggetto e risiede nella catalepsia e nellaforza di convinzione immediata ed insita ad una data rappresentazione.

3 «La lotta tra la filosofia antica e l’opinione pubblica è certissima. Incomin-cia da Talete e Pitagora e forse prima dai misteri. La separazione è dichia-rata da Socrate; Socrate che non iscrive, perchè tanto s’addentra nel ragio-nare, che vede inutile lo scrivere. E sì che questo non iscrivere di Socrate èpure un fatto grande, sommo, non ispiegato mai ch’io sappia, nè spiegabilealtrimenti che così: ch’egli stimò inutile lo scrivere. Evidentemente Socra-te disprezzò la religione e l’opinione popolare; anzi più, disprezzò la filo-sofia de’ suoi tempi, quella che si perdeva in ispiegazioni insufficienti co-smologiche, quella che fin d’allora si perdeva nella oscurità dette poi me-tafisiche, quella poi peggio di tutte che per applicarsi agli usi civili turpe-mente condiscendeva alle opinioni popolari. Socrate evidentemente andòcollo strumento della ragione quanto più in là si può andare con essa. Etanto in là, che vide non solamente tutta la forza della filosofia, ma ancorala impotenza di lei. Vide che la ragione spinta a questi ultimi termini suoi,non è facoltà universale agli uomini; che l’intimo senso suo, il suo demoneera superiore al senso volgare degli uomini; vide la distruzione di quantoesisteva, ma vide la insufficienza non solo universale, ma anche propria ariedificare alcun che più di vero; e così, morendo, sacrificò agli Dei esi-

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lismo1 di Carneade e arriva di rado alla catalepsìa stoi-ca2. Il vero inventore della probababilità accademica fuSocrate; onde nacquero la sua celebre ironia, il metodoinduttivo, la forma dialogica e le altre condizioni del suofilosofare, che venne poscia imitato da Platone; il qualefu assai men dogmatico che non si crede, e più fedelealla disciplina di quel gran savio, che esercita le primeparti in molti de’ suoi colloqui. Il che ci spiega altresìperché Socrate e Pitagora non iscrivessero (per quantosappiamo) i loro filosofemi3. Altrettanto si conghiettura1 Nella gnoseologia il probabilismo è una dottrina che sta di mezzo tra il

dogmatismo e lo scetticismo. Il probabilismo crede possibile il possessodella verità probabile che è in noi e per noi, della verità che nascedall’accordo durevole delle nostre rappresentazioni tra di loro e con quelledegli altri.

2 Secondo gli Stoici il criterio della verità è la rappresentazione che cogliecon pienezza e con chiarezza l’oggetto e risiede nella catalepsia e nellaforza di convinzione immediata ed insita ad una data rappresentazione.

3 «La lotta tra la filosofia antica e l’opinione pubblica è certissima. Incomin-cia da Talete e Pitagora e forse prima dai misteri. La separazione è dichia-rata da Socrate; Socrate che non iscrive, perchè tanto s’addentra nel ragio-nare, che vede inutile lo scrivere. E sì che questo non iscrivere di Socrate èpure un fatto grande, sommo, non ispiegato mai ch’io sappia, nè spiegabilealtrimenti che così: ch’egli stimò inutile lo scrivere. Evidentemente Socra-te disprezzò la religione e l’opinione popolare; anzi più, disprezzò la filo-sofia de’ suoi tempi, quella che si perdeva in ispiegazioni insufficienti co-smologiche, quella che fin d’allora si perdeva nella oscurità dette poi me-tafisiche, quella poi peggio di tutte che per applicarsi agli usi civili turpe-mente condiscendeva alle opinioni popolari. Socrate evidentemente andòcollo strumento della ragione quanto più in là si può andare con essa. Etanto in là, che vide non solamente tutta la forza della filosofia, ma ancorala impotenza di lei. Vide che la ragione spinta a questi ultimi termini suoi,non è facoltà universale agli uomini; che l’intimo senso suo, il suo demoneera superiore al senso volgare degli uomini; vide la distruzione di quantoesisteva, ma vide la insufficienza non solo universale, ma anche propria ariedificare alcun che più di vero; e così, morendo, sacrificò agli Dei esi-

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di Arcesilao; e ragionevolmente; perchè egli ritiròl’Accademia verso il dubbio socratico, e pretese conquesta riforma di esprimere il vero intendimento di Pla-tone. Infatti lo scrivente assevera e non dubita, e anchequando si risolve di dubitare, il suo dire è affermativo edogmatico. E se, conscio del grave ufficio dello scritto-

stenti, ma certamente non senza una qualunque restrizione mentale, nonsenza intendere che il suo omaggio andasse dai simboli volgari al Diosommo simboleggiato. A che serviva lo scrivere in tale stato di mente? Unuomo eminentemente sincero, quale ci appare Socrate dovunque, noniscrive se non quando vede chiaro ciò che egli ha a scrivere, e quindi l’uti-lità di ciò che egli scriverà. All’incontro il parlare, il conversare ammettela dubbiezza, l’indeterminatezza, e principalmente le spiegazioni indefiniteall’uditore che non intende; perciò parlò e non iscrisse. E parlò indetermi-natamente; tanto che dalle sue parole variamente fecondatrici nacquero poinon solo le scuole, le filosofie diverse di Platone e d’Aristotile, ma diretta-mente o indirettamente anche quelle più divergenti ancora degli Stoici, de-gli Epicurei e tant’altre. Le quali tutte, se mi sia lecito dire, tutte erano incorpo a Socrate. La illustrazione compiuta ed imparziale di Socrate è il piùgran tema che sia nella storia della filosofia, ma siam lungi forse dal tempoin che sarà rischiarato compiutamente.

«Gli uomini grandi, ma minori che seguirono, presero a svolgere chil’una, chi l’altra delle vie della ragione umana, tutte vedute in complesso,dalla loro partenza fino all’annebbiato loro termine, da Socrate. Ed ognu-no, seguendo una sola di quelle vie, sperò probabilmente giungere a unfine chiaro. Peggio che mai, nessuno v’arrivò; questo è fatto storico; nonpiù e non meno. Chi lo voglia negare, accenni quella che gli paja compiutae chiara tra le filosofie antiche. Niuna è tale. Anzi altro fatto storico è, chequanto più si scartarono da Socrate, apice filosofico antico, tanto più le fi-losofie furono varie, divergenti, speciali ed incompiute... Che diremo degliEclectici?... Ciò solo che videro lo scopo, ma nol poterono arrivare. Torna-rono a Socrate, sommo e primitivo Eclectico. Ma immensamente distantida lui, distanti di tutta la storia della filosofia antica, sperarono vanamenteriedificare colla erudizione e la critica ciò che Socrate avea veduto impos-sibile a fondare colla intuizione e la ragione. Ma da Socrate, senza chescrivesse, vennero, impotenti come le aveva prevedute, ma vennero le filo-sofie antiche tutte. (BALBO, Della letteratura negli undici primi secoli

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di Arcesilao; e ragionevolmente; perchè egli ritiròl’Accademia verso il dubbio socratico, e pretese conquesta riforma di esprimere il vero intendimento di Pla-tone. Infatti lo scrivente assevera e non dubita, e anchequando si risolve di dubitare, il suo dire è affermativo edogmatico. E se, conscio del grave ufficio dello scritto-

stenti, ma certamente non senza una qualunque restrizione mentale, nonsenza intendere che il suo omaggio andasse dai simboli volgari al Diosommo simboleggiato. A che serviva lo scrivere in tale stato di mente? Unuomo eminentemente sincero, quale ci appare Socrate dovunque, noniscrive se non quando vede chiaro ciò che egli ha a scrivere, e quindi l’uti-lità di ciò che egli scriverà. All’incontro il parlare, il conversare ammettela dubbiezza, l’indeterminatezza, e principalmente le spiegazioni indefiniteall’uditore che non intende; perciò parlò e non iscrisse. E parlò indetermi-natamente; tanto che dalle sue parole variamente fecondatrici nacquero poinon solo le scuole, le filosofie diverse di Platone e d’Aristotile, ma diretta-mente o indirettamente anche quelle più divergenti ancora degli Stoici, de-gli Epicurei e tant’altre. Le quali tutte, se mi sia lecito dire, tutte erano incorpo a Socrate. La illustrazione compiuta ed imparziale di Socrate è il piùgran tema che sia nella storia della filosofia, ma siam lungi forse dal tempoin che sarà rischiarato compiutamente.

«Gli uomini grandi, ma minori che seguirono, presero a svolgere chil’una, chi l’altra delle vie della ragione umana, tutte vedute in complesso,dalla loro partenza fino all’annebbiato loro termine, da Socrate. Ed ognu-no, seguendo una sola di quelle vie, sperò probabilmente giungere a unfine chiaro. Peggio che mai, nessuno v’arrivò; questo è fatto storico; nonpiù e non meno. Chi lo voglia negare, accenni quella che gli paja compiutae chiara tra le filosofie antiche. Niuna è tale. Anzi altro fatto storico è, chequanto più si scartarono da Socrate, apice filosofico antico, tanto più le fi-losofie furono varie, divergenti, speciali ed incompiute... Che diremo degliEclectici?... Ciò solo che videro lo scopo, ma nol poterono arrivare. Torna-rono a Socrate, sommo e primitivo Eclectico. Ma immensamente distantida lui, distanti di tutta la storia della filosofia antica, sperarono vanamenteriedificare colla erudizione e la critica ciò che Socrate avea veduto impos-sibile a fondare colla intuizione e la ragione. Ma da Socrate, senza chescrivesse, vennero, impotenti come le aveva prevedute, ma vennero le filo-sofie antiche tutte. (BALBO, Della letteratura negli undici primi secoli

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re, vuole adempierlo seriamente, dee insegnare non opi-nioni incerte, ma dogmi risoluti; dee possedere non soloqualche vero sparpagliato e confuso, ma una dottrinapiù o meno sistematica e precisa; senza la quale saria te-merità troppo grande il salir quasi sulla bigoncia e farsipubblico predicatore, correndo il gravissimo rischio diseminare il falso in cambio del vero. Per questo io giu-dico che i migliori antichi non amassero la scrittura, esolo l’adoperassero, o costretti dalla necessità, o per in-nocuo passatempo e per dilettare gli uomini, anzichè perinstruirli, o per migliorarli coll’affetto più tosto che coldiscorso, o, in fine, più da scherzo che da senno, e senzatroppo dissimulare l’innocente malizia che usavano; nelche versa appunto la famosa ironia socratica. Per talmodo scrisse Platone; il qual volle assai meno addottri-nare il lettore, che indurlo a meditare e filosofar da sè,mostrandogli ipoteticamente, in confuso, e direi quasiper cerbottana e dalla lunga, la prospettiva imperfettissi-ma della meta a cui dee aspirare. Ondechè gli scritti pla-tonici son più negativi, che positivi, più scettici, chedogmatici, più atti a rimuovere il falso, che ad insegnaredeterminatamente il vero. Quindi son compilati a formadialogistica, come quella che è più acconcia di ogni altra

dell’êra cristiana, Torino, 1836, pagg. 16-19).«La civiltà antica, scartatasi dalla verità primitiva e rifondata su quella

sola parte di verità che può scoprirsi colla ragione, condusse a un periodo.Socrate solo seppe veder ciò, epperciò tacque. La nuova civiltà, le nuovelettere, la nuova società non hanno avuto periodo finora. Niuno argomentoumano può lasciar credere ch’elle sieno per averne all’avvenire». (Idem,opera citata, pagg. 35-36). [G.].

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re, vuole adempierlo seriamente, dee insegnare non opi-nioni incerte, ma dogmi risoluti; dee possedere non soloqualche vero sparpagliato e confuso, ma una dottrinapiù o meno sistematica e precisa; senza la quale saria te-merità troppo grande il salir quasi sulla bigoncia e farsipubblico predicatore, correndo il gravissimo rischio diseminare il falso in cambio del vero. Per questo io giu-dico che i migliori antichi non amassero la scrittura, esolo l’adoperassero, o costretti dalla necessità, o per in-nocuo passatempo e per dilettare gli uomini, anzichè perinstruirli, o per migliorarli coll’affetto più tosto che coldiscorso, o, in fine, più da scherzo che da senno, e senzatroppo dissimulare l’innocente malizia che usavano; nelche versa appunto la famosa ironia socratica. Per talmodo scrisse Platone; il qual volle assai meno addottri-nare il lettore, che indurlo a meditare e filosofar da sè,mostrandogli ipoteticamente, in confuso, e direi quasiper cerbottana e dalla lunga, la prospettiva imperfettissi-ma della meta a cui dee aspirare. Ondechè gli scritti pla-tonici son più negativi, che positivi, più scettici, chedogmatici, più atti a rimuovere il falso, che ad insegnaredeterminatamente il vero. Quindi son compilati a formadialogistica, come quella che è più acconcia di ogni altra

dell’êra cristiana, Torino, 1836, pagg. 16-19).«La civiltà antica, scartatasi dalla verità primitiva e rifondata su quella

sola parte di verità che può scoprirsi colla ragione, condusse a un periodo.Socrate solo seppe veder ciò, epperciò tacque. La nuova civiltà, le nuovelettere, la nuova società non hanno avuto periodo finora. Niuno argomentoumano può lasciar credere ch’elle sieno per averne all’avvenire». (Idem,opera citata, pagg. 35-36). [G.].

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ad esprimere le incertezze e fluttuazioni della mente, edè una viva imagine di quello stato in cui si trova l’uomoquando il sì e il no gli tenzonano nel cervello. Per lastessa ragione son quasi tutti essoterici, e ordinati inmodo, che l’artificio rettorico del dettato e gli ornamentio accessorii prevalgono al principale argomento; salvo ilTimeo1, che è simbolico anzichè scientifico, e i duegrandi dialoghi versanti sulla politica2. Nella quale Pla-tone, a imitazione di Socrate, si mostra assai più affer-mativo; perchè ivi si tratta della morale e della polizia,cioè della pratica, nella quale è impossibile il sospende-re l’assenso, come nella pretta speculazione. Che del re-sto Platone, anche usando lo scrivere, per cosa molto se-ria e utile non lo tenesse, apparisce da varii luoghi delFedro3; dove per dar maggior peso alla sua sentenza, edesprimerla in modo più singolare, la pone in boccaall’egizio Teut o Ermete, creduto inventore delle lettere,e la corrobora, secondo il suo costume, con una ragioneche cuopre un’ironia profonda, e si connette col mito in-gegnoso della reminiscenza. Se si riscontra questa ripu-gnanza della savia gentilità verso l’arte dello scriverecoll’uso che si fece di questa nei tempi del paganesimo,si viene a conchiudere che la scrittura trovata probabil-mente dal legnaggio ortodosso e prima del tempi falegi-ci (il che mi si rende verosimile dal vedere che tutti gli1 Il Timeo è insieme la sintesi più piena e definitiva del sistema platonico.

Cfr. i Prolegomeni alla sua ottima versione di G. Fraccaroli, Torino, 1906.2 I due grandi dialoghi versanti sulla politica di Platone sono il trattato Della

repubblica e il trattato Delle leggi.3 Nel Fedro si discorre della bellezza.

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ad esprimere le incertezze e fluttuazioni della mente, edè una viva imagine di quello stato in cui si trova l’uomoquando il sì e il no gli tenzonano nel cervello. Per lastessa ragione son quasi tutti essoterici, e ordinati inmodo, che l’artificio rettorico del dettato e gli ornamentio accessorii prevalgono al principale argomento; salvo ilTimeo1, che è simbolico anzichè scientifico, e i duegrandi dialoghi versanti sulla politica2. Nella quale Pla-tone, a imitazione di Socrate, si mostra assai più affer-mativo; perchè ivi si tratta della morale e della polizia,cioè della pratica, nella quale è impossibile il sospende-re l’assenso, come nella pretta speculazione. Che del re-sto Platone, anche usando lo scrivere, per cosa molto se-ria e utile non lo tenesse, apparisce da varii luoghi delFedro3; dove per dar maggior peso alla sua sentenza, edesprimerla in modo più singolare, la pone in boccaall’egizio Teut o Ermete, creduto inventore delle lettere,e la corrobora, secondo il suo costume, con una ragioneche cuopre un’ironia profonda, e si connette col mito in-gegnoso della reminiscenza. Se si riscontra questa ripu-gnanza della savia gentilità verso l’arte dello scriverecoll’uso che si fece di questa nei tempi del paganesimo,si viene a conchiudere che la scrittura trovata probabil-mente dal legnaggio ortodosso e prima del tempi falegi-ci (il che mi si rende verosimile dal vedere che tutti gli1 Il Timeo è insieme la sintesi più piena e definitiva del sistema platonico.

Cfr. i Prolegomeni alla sua ottima versione di G. Fraccaroli, Torino, 1906.2 I due grandi dialoghi versanti sulla politica di Platone sono il trattato Della

repubblica e il trattato Delle leggi.3 Nel Fedro si discorre della bellezza.

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alfabeti mistilinei e fonetici vengono da un tipo semiti-co), e indirizzata a pubblicare e tramandare la verità, di-venne inetta a sortire il suo scopo, quando, alterandosi ilprimo principio di tutto lo scibile, venne meno il sistemaintegrale del vero, e poche reliquie sopravissero al suonaufragio. Laonde i gentili non ebbero, nè poterono ave-re un Primo biblico, e non si proposero nelle loro scrit-ture uno scopo ideale; ovvero ne vollero ingannare il de-siderio, anzichè soddisfare il bisogno. L’importanza dot-trinale della scrittura, effigie e riverbero della favella,venne meno colla confusione delle lingue, e rinacquecol Cristianesimo, restitutore della parola e della formo-la originale del vero. Perciò nel seno della cristianitàcattolica sorse la stampa (di cui i Cinesi non hanno cheun rustico abbozzo), cima e compimento del semplicescrivere; alla quale avvenne quel medesimo che allascrittura, quando, alterato il vero novellamente e risortoil gentilesimo, la tipografia, segregata dalla sapienza, ri-divenne stromento di errore e di corruttela. I moderni fi-losofi eterodossi si astengono sovente dal pubblicare periscritto i loro pensieri, come i migliori antichi; e se scri-vono, il fanno o per corto intendere, come GiovanniLocke1, o per ludibrio e trastullo, come Davide Hume2,

1 Giovanni Locke, n. a Wrington nel 1632, m. nel 1704. Confutò la dottrinadelle idee innate nel suo Saggio sull’intelletto umano.

2 David Hume, n. nel 1711 in Edimburgo, m. ivi nel 1776. Conchiuse nelsuo sistema che tutto il sapere umano si riduce ai fenomeni puramente sub-biettivi nella coscienza e non si può dare cognizione obbiettiva. In talmodo spingendo la dottrina di Locke alle sue ultime conseguenze, giunseallo scetticismo.

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alfabeti mistilinei e fonetici vengono da un tipo semiti-co), e indirizzata a pubblicare e tramandare la verità, di-venne inetta a sortire il suo scopo, quando, alterandosi ilprimo principio di tutto lo scibile, venne meno il sistemaintegrale del vero, e poche reliquie sopravissero al suonaufragio. Laonde i gentili non ebbero, nè poterono ave-re un Primo biblico, e non si proposero nelle loro scrit-ture uno scopo ideale; ovvero ne vollero ingannare il de-siderio, anzichè soddisfare il bisogno. L’importanza dot-trinale della scrittura, effigie e riverbero della favella,venne meno colla confusione delle lingue, e rinacquecol Cristianesimo, restitutore della parola e della formo-la originale del vero. Perciò nel seno della cristianitàcattolica sorse la stampa (di cui i Cinesi non hanno cheun rustico abbozzo), cima e compimento del semplicescrivere; alla quale avvenne quel medesimo che allascrittura, quando, alterato il vero novellamente e risortoil gentilesimo, la tipografia, segregata dalla sapienza, ri-divenne stromento di errore e di corruttela. I moderni fi-losofi eterodossi si astengono sovente dal pubblicare periscritto i loro pensieri, come i migliori antichi; e se scri-vono, il fanno o per corto intendere, come GiovanniLocke1, o per ludibrio e trastullo, come Davide Hume2,

1 Giovanni Locke, n. a Wrington nel 1632, m. nel 1704. Confutò la dottrinadelle idee innate nel suo Saggio sull’intelletto umano.

2 David Hume, n. nel 1711 in Edimburgo, m. ivi nel 1776. Conchiuse nelsuo sistema che tutto il sapere umano si riduce ai fenomeni puramente sub-biettivi nella coscienza e non si può dare cognizione obbiettiva. In talmodo spingendo la dottrina di Locke alle sue ultime conseguenze, giunseallo scetticismo.

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o per vano sforzo d’ingegno, come Benedetto Spinoza,Emanuele Kant e Giorgio Hegel, o per dolore e dispera-zione, come il nostro Leopardi ottimo ed infelice1. Magli abusi della scrittura e della stampa, comechè grandi,non provano nulla contro la bontà di un trovato cattolicoper essenza, e quando il rimedio del male è pronto e fa-cile a ciascuno. Onde i biasimi dello scrivere, che appo ipagani erano serii, e nascevano da altezza d’ingegno eda profonde meditazioni, non possono essere fra i popo-li cristiani che un effetto della gentilità rediviva, o unparadosso rettorico, come presso l’Agrippa2 e Giangia-como Rousseau, o veramente una cella spiritosa e leg-giadra, come in Annibal Caro.

Unità della religione e della scienza nella formola ideale.Necessità dell’ontologismo per ristorarle e insieme accordarle.

Parrà forse a taluno che parecchie di queste avverten-ze non siano tanto applicabili al cattolicismo, quanto adun’opinione mia propria. Io confesso di considerare quila religione, non solo come una dottrina da credersi, macome un sistema capace di esposizione scicntifica e didimostrazione; e conseguentemente non posso seque-

1 Intorno al Leopardi cfr. i giudizi espressi dal Gioberti nella Teorica del so-vrannaturale, nella Introduzione allo studio della filosofia e nel Gesuitamoderno, riferiti dall’Ugolini in Pensieri e giudizi di V. G., ed. cit., pag.398 e segg.

2 Accenna ad Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, n. in Colonia nel1486, m. a Grenoble nel 1535. Nella De incertitudine et veritate scientia-rum atque artium declamatio invectiva, seu cynica, sostenne la incertezzae la verità di ogni curiosità scientifica.

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o per vano sforzo d’ingegno, come Benedetto Spinoza,Emanuele Kant e Giorgio Hegel, o per dolore e dispera-zione, come il nostro Leopardi ottimo ed infelice1. Magli abusi della scrittura e della stampa, comechè grandi,non provano nulla contro la bontà di un trovato cattolicoper essenza, e quando il rimedio del male è pronto e fa-cile a ciascuno. Onde i biasimi dello scrivere, che appo ipagani erano serii, e nascevano da altezza d’ingegno eda profonde meditazioni, non possono essere fra i popo-li cristiani che un effetto della gentilità rediviva, o unparadosso rettorico, come presso l’Agrippa2 e Giangia-como Rousseau, o veramente una cella spiritosa e leg-giadra, come in Annibal Caro.

Unità della religione e della scienza nella formola ideale.Necessità dell’ontologismo per ristorarle e insieme accordarle.

Parrà forse a taluno che parecchie di queste avverten-ze non siano tanto applicabili al cattolicismo, quanto adun’opinione mia propria. Io confesso di considerare quila religione, non solo come una dottrina da credersi, macome un sistema capace di esposizione scicntifica e didimostrazione; e conseguentemente non posso seque-

1 Intorno al Leopardi cfr. i giudizi espressi dal Gioberti nella Teorica del so-vrannaturale, nella Introduzione allo studio della filosofia e nel Gesuitamoderno, riferiti dall’Ugolini in Pensieri e giudizi di V. G., ed. cit., pag.398 e segg.

2 Accenna ad Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, n. in Colonia nel1486, m. a Grenoble nel 1535. Nella De incertitudine et veritate scientia-rum atque artium declamatio invectiva, seu cynica, sostenne la incertezzae la verità di ogni curiosità scientifica.

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strarla dalla teorica della formola ideale, come quellache mi par esserne ad un tempo l’epilogo più sommario,e il quadro più preciso, più rigoroso e perfetto. Nè per-ciò mi dilungo dagli ordini e dal processo di essa fede;nella quale la formola ideale fa le parti di Primo biblico,come nelle scienze umane ella esercita l’ufficio di Pri-mo enciclopedico. E il Catechismo stesso, che è pure illibro elementare dei Cristiani, non piglia le mosse dallostesso principio? So che da Cartesio in poi s’usa distin-guere l’ordine delle cose da quello delle cognizioni, as-segnando alla filosofia e alla religione due Primi diversi,ond’esse traggano la loro origine. Il che può stare benis-simo, quando si discorre di processi secondari e di prin-cipii subalterni; ma se parlasi del vero Primo e del meto-do fondamentale, la distinzione è falsa e apre la via aipiù gravi disordini. Imperocchè chi disgiunge l’anda-mento primigenio del pensiero da quello degli oggetti, eil principio del sapere da quello delle credenze, sostitui-sce una dualità ripugnante all’unità primordiale, e intro-duce un’assurda scissura fra la realtà e il conoscimento,fra il pensiero del dotti e quello del popolo, fra il sapereumano e la sapienza divina. L’intuizione e la riflessione,la religione e la scienza, la fede e la ragione, la teologiae la filosofia, hanno ciascuna l’essere loro proprio, masono indissolubilmente congiunte; vanno per una via di-stinta, ma parallela e conforme, perchè muovono da unsolo principio, e tirano ad un fine unico. I quali sono ri-posti nella formola ideale, che, quasi turbine o vortice,rapisce sè stessa in giro, e ivi termina ove incomincia,

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strarla dalla teorica della formola ideale, come quellache mi par esserne ad un tempo l’epilogo più sommario,e il quadro più preciso, più rigoroso e perfetto. Nè per-ciò mi dilungo dagli ordini e dal processo di essa fede;nella quale la formola ideale fa le parti di Primo biblico,come nelle scienze umane ella esercita l’ufficio di Pri-mo enciclopedico. E il Catechismo stesso, che è pure illibro elementare dei Cristiani, non piglia le mosse dallostesso principio? So che da Cartesio in poi s’usa distin-guere l’ordine delle cose da quello delle cognizioni, as-segnando alla filosofia e alla religione due Primi diversi,ond’esse traggano la loro origine. Il che può stare benis-simo, quando si discorre di processi secondari e di prin-cipii subalterni; ma se parlasi del vero Primo e del meto-do fondamentale, la distinzione è falsa e apre la via aipiù gravi disordini. Imperocchè chi disgiunge l’anda-mento primigenio del pensiero da quello degli oggetti, eil principio del sapere da quello delle credenze, sostitui-sce una dualità ripugnante all’unità primordiale, e intro-duce un’assurda scissura fra la realtà e il conoscimento,fra il pensiero del dotti e quello del popolo, fra il sapereumano e la sapienza divina. L’intuizione e la riflessione,la religione e la scienza, la fede e la ragione, la teologiae la filosofia, hanno ciascuna l’essere loro proprio, masono indissolubilmente congiunte; vanno per una via di-stinta, ma parallela e conforme, perchè muovono da unsolo principio, e tirano ad un fine unico. I quali sono ri-posti nella formola ideale, che, quasi turbine o vortice,rapisce sè stessa in giro, e ivi termina ove incomincia,

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circolando colla proiezion successiva dei pensieri e deifenomeni il centro immoto dell’ente intelligibile ed eter-no. In virtù di questa formola il cattolicismo, come si-stema scientifico, è altamente ontologico e centrale,come quello che per giudicar delle cose trasportal’uomo nel mezzo dell’universo, collocandolo nel puntovisivo di Dio medesimo, e in quel tenore di prospettivache mostra le cose quali son veramente, secondo il ge-nuino loro aspetto e la lor dirittura; dove che i sistemipsicologici e laterali, ponendo l’occhio del contemplan-te nella circonferenza, gli fan vedere gli oggetti perisbieco e a rovescio. Per la quale diversità di postura ilconcetto che altri si forma del mondo ideale dee variaremirabilmente, come l’opinione dei Tolemaici sulla costi-tuzione materiale dell’universo si differenzia da quelladei Copernicisti e dei Pitagorici1. Affinchè il fautore delpsicologismo si apponesse, la sua ragione dovrebb’esse-re autonoma; chè in tal caso, addentrandosi in sè stessaper isquadrare le cose, s’ incentrerebbe, e il processopsicologico a suo riguardo tornerebbe ontologico piena-mente. Ma s’egli non si risolve a indiarsi, secondol’usanza dei panteisti (la quale è al dì d’oggi assai piùfrequente che in addietro), e tiene la mente propria, nonper regina, ma per ancella, l’unico verso per cui eglipossa partecipare in qualche modo all’intelletto increato,consiste nel poggiare alla specola dov’egli alberga, afine di prospettare coll’occhio d’Iddio medesimo, ado-1 Il sistema tolemaico era geocentrico e il copernicano eliocentrico, ossia

l’uno affermava essere la terra, l’altro il sole centro dell’universo.

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circolando colla proiezion successiva dei pensieri e deifenomeni il centro immoto dell’ente intelligibile ed eter-no. In virtù di questa formola il cattolicismo, come si-stema scientifico, è altamente ontologico e centrale,come quello che per giudicar delle cose trasportal’uomo nel mezzo dell’universo, collocandolo nel puntovisivo di Dio medesimo, e in quel tenore di prospettivache mostra le cose quali son veramente, secondo il ge-nuino loro aspetto e la lor dirittura; dove che i sistemipsicologici e laterali, ponendo l’occhio del contemplan-te nella circonferenza, gli fan vedere gli oggetti perisbieco e a rovescio. Per la quale diversità di postura ilconcetto che altri si forma del mondo ideale dee variaremirabilmente, come l’opinione dei Tolemaici sulla costi-tuzione materiale dell’universo si differenzia da quelladei Copernicisti e dei Pitagorici1. Affinchè il fautore delpsicologismo si apponesse, la sua ragione dovrebb’esse-re autonoma; chè in tal caso, addentrandosi in sè stessaper isquadrare le cose, s’ incentrerebbe, e il processopsicologico a suo riguardo tornerebbe ontologico piena-mente. Ma s’egli non si risolve a indiarsi, secondol’usanza dei panteisti (la quale è al dì d’oggi assai piùfrequente che in addietro), e tiene la mente propria, nonper regina, ma per ancella, l’unico verso per cui eglipossa partecipare in qualche modo all’intelletto increato,consiste nel poggiare alla specola dov’egli alberga, afine di prospettare coll’occhio d’Iddio medesimo, ado-1 Il sistema tolemaico era geocentrico e il copernicano eliocentrico, ossia

l’uno affermava essere la terra, l’altro il sole centro dell’universo.

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perando il telescopio della rivelazione, discorrendo coldivino senno, e fondando le proprie sentenze nei giudi-cati obbiettivi dell’intuito. Il qual prodigio viene operatodalla parola autorevole, che, travasando nella riflessionela conoscenza intuitiva, e mantenendone gli ordini inal-terati, abilita l’ingegno umano a contemplare le cose(per quanto la sua imperfetta natura il comporta) in gui-sa conforme alla Mente infinita che le creò.

Havvi pertanto un modo di spiritual residenza, e quin-di una regione dell’anima, come ve ne ha una pe’ corpi.La stanza dell’anima è determinata dal pensiero edall’affetto; imperocchè lo spirito ivi posa ed albergadove pone le sue compiacenze, trattenendovisicoll’amore e col conoscimento. Da questo soggiornodell’anima vengono informati i suoi sensi intellettuali, econtemperata la sua virtù visiva e il suo moto, cioè lascienza e l’azione. Imperocchè negli ordini spirituali,come nei corporei, il sito fa la complessione, e questaimpronta i costumi dai quali si colorano i pensieri, si ac-cendono gli affetti e si governano le opere di tutta lavita. Se l’anima, sollevandosi sulle ali della religione, ri-posa nell’Ente, e l’aria che respira è celeste e divina, ilsuo anelare è verso Dio come primo amore, e il suo pro-spettare è da Dio come primo vero e supremo. Se,all’incontro, gravata dal proprio peso, ella quieta in sèstessa, e giace nel proprio nulla, cioè nell’esistente, im-bevendosi di un’atmosfera impura e terrestre, il suo de-siderio è verso di sè medesima, come ultimo fine, e ilsuo conoscimento piglia da sè le mosse de’ propri giudi-

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perando il telescopio della rivelazione, discorrendo coldivino senno, e fondando le proprie sentenze nei giudi-cati obbiettivi dell’intuito. Il qual prodigio viene operatodalla parola autorevole, che, travasando nella riflessionela conoscenza intuitiva, e mantenendone gli ordini inal-terati, abilita l’ingegno umano a contemplare le cose(per quanto la sua imperfetta natura il comporta) in gui-sa conforme alla Mente infinita che le creò.

Havvi pertanto un modo di spiritual residenza, e quin-di una regione dell’anima, come ve ne ha una pe’ corpi.La stanza dell’anima è determinata dal pensiero edall’affetto; imperocchè lo spirito ivi posa ed albergadove pone le sue compiacenze, trattenendovisicoll’amore e col conoscimento. Da questo soggiornodell’anima vengono informati i suoi sensi intellettuali, econtemperata la sua virtù visiva e il suo moto, cioè lascienza e l’azione. Imperocchè negli ordini spirituali,come nei corporei, il sito fa la complessione, e questaimpronta i costumi dai quali si colorano i pensieri, si ac-cendono gli affetti e si governano le opere di tutta lavita. Se l’anima, sollevandosi sulle ali della religione, ri-posa nell’Ente, e l’aria che respira è celeste e divina, ilsuo anelare è verso Dio come primo amore, e il suo pro-spettare è da Dio come primo vero e supremo. Se,all’incontro, gravata dal proprio peso, ella quieta in sèstessa, e giace nel proprio nulla, cioè nell’esistente, im-bevendosi di un’atmosfera impura e terrestre, il suo de-siderio è verso di sè medesima, come ultimo fine, e ilsuo conoscimento piglia da sè le mosse de’ propri giudi-

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zi e delle proprie operazioni. Eccoti come l’ontologismoe il psicologismo1 sono nel giro della cognizione quelmedesimo che la carità e la cupidità nel giro dell’azione;giacchè da un lato si colloca il principio del sapere,dove dall’altro si ripone lo scopo e il termine dell’affet-to. Il psicologismo è pertanto pagano per essenza; giac-chè ripugna troppo alle condizioni dello spirito umanoch’egli collochi il sommo fine altrove che nel primoprincipio. Dee quindi nella filosofia pratica condurre lo-gicamente all’egoismo degli Epicurei, e in religione aldogma dei Pelagiani2; imperciocchè, se l’uomo è a sèmedesimo il primo vero, egli dee pure essere il sommobene, nè ha bisogno di aiuto estrinseco per conoscere eoperare dirittamente. Non se ne vuole già inferire chetutti i psicologisti siano infetti di questi errori; perchèsovente in essi il retto senso e la religione prevalgonoalla logica. Che se, ripudiate le conseguenze, se ne am-mettono pure le premesse, ciò nasce, perchè alle opinio-ni signoreggianti, coonestate da specioso sembiante,rado è che anche i migliori non porgano assenso. Il Car-1 Il vocabolo ontologismo si adopera a designare la filosofia del Gioberti

che opponendosi allo psicologismo iniziato da Cartesio sostiene che noidobbiamo cominciare con la suprema ed obbiettiva intuizione della mente.Lo psicologismo esprime invece la tendenza a cercare nella coscienza e neisuoi fenomeni i principii esplicativi e le norme direttive per una compren-sione piena e perfetta della realtà. Il Gioberti poi denominava psicologi-smo la filosofia del Rosmini in quanto ammetteva nella psiche umana lafacoltà di produrre l’ente indeterminato presente allo spirito.

2 I pelagiani (così detti da Pelagio vissuto nel quinto secolo) sostenevanoche il peccato di Adamo non ha cagionato alcuna macchia ai discendenti,trasmissibile di figlio in figlio, epperò la grazia non è indispensabile percancellare un peccato originale che non fu mai.

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zi e delle proprie operazioni. Eccoti come l’ontologismoe il psicologismo1 sono nel giro della cognizione quelmedesimo che la carità e la cupidità nel giro dell’azione;giacchè da un lato si colloca il principio del sapere,dove dall’altro si ripone lo scopo e il termine dell’affet-to. Il psicologismo è pertanto pagano per essenza; giac-chè ripugna troppo alle condizioni dello spirito umanoch’egli collochi il sommo fine altrove che nel primoprincipio. Dee quindi nella filosofia pratica condurre lo-gicamente all’egoismo degli Epicurei, e in religione aldogma dei Pelagiani2; imperciocchè, se l’uomo è a sèmedesimo il primo vero, egli dee pure essere il sommobene, nè ha bisogno di aiuto estrinseco per conoscere eoperare dirittamente. Non se ne vuole già inferire chetutti i psicologisti siano infetti di questi errori; perchèsovente in essi il retto senso e la religione prevalgonoalla logica. Che se, ripudiate le conseguenze, se ne am-mettono pure le premesse, ciò nasce, perchè alle opinio-ni signoreggianti, coonestate da specioso sembiante,rado è che anche i migliori non porgano assenso. Il Car-1 Il vocabolo ontologismo si adopera a designare la filosofia del Gioberti

che opponendosi allo psicologismo iniziato da Cartesio sostiene che noidobbiamo cominciare con la suprema ed obbiettiva intuizione della mente.Lo psicologismo esprime invece la tendenza a cercare nella coscienza e neisuoi fenomeni i principii esplicativi e le norme direttive per una compren-sione piena e perfetta della realtà. Il Gioberti poi denominava psicologi-smo la filosofia del Rosmini in quanto ammetteva nella psiche umana lafacoltà di produrre l’ente indeterminato presente allo spirito.

2 I pelagiani (così detti da Pelagio vissuto nel quinto secolo) sostenevanoche il peccato di Adamo non ha cagionato alcuna macchia ai discendenti,trasmissibile di figlio in figlio, epperò la grazia non è indispensabile percancellare un peccato originale che non fu mai.

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tesianismo, radicato da due secoli in Europa, introdottoe stabilito più o meno nelle stesse scuole cattoliche, hatalmente avvezzi e connaturati gli spiriti al psicologi-smo, ch’essi penano a rompere la contratta abitudine.Imperocchè l’anima si assuefà al suo clima spirituale,come il corpo all’esterna temperatura, e la tenacità di talabito è si grande, che le dimostrazioni più precise ed ir-repugnabili soventi volte non bastano a mutarlo. Quindiè che le conversioni intellettuali e filosofiche sono pocomen difficili delle morali. Certo, niun sistema è più as-surdo in sè stesso del psicologismo, e men possibile adifendersi; niuno è più avverso alle credenze cattoliche;imperocchè fra tutte le opinioni moderne che son loroinfeste, non se ne trova alcuna che non derivi dai princi-pii di quello, o almeno non abbia con essi convenienza eparentela. Il sovrannaturale, il sovrintelligibile, e il Cri-stianesimo considerato come dottrina e come storia,hanno la più alta credibilità possibile, quando vengonomirati di faccia e secondo il prospetto ontologico; laddo-ve, scôrti di profilo, e misurati colla squadra analiticadel psicologista, fanno un’impressione diversa su chi licontempla, e aprono il varco al cavilli dei loro nemici.La fiacchezza della filosofia e della teologia modernanon altronde deriva che dal prevalere del psicologismo;anzi potrei mostrare che le tristi influenze di questo sisono propagate per tutti i rami dello scibile, senza eccet-tuare eziandio quelli che per la loro natura ne paiono piùlontani ed indipendenti, come sono l’erudizione, la sto-ria e le scienze fisiche.

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tesianismo, radicato da due secoli in Europa, introdottoe stabilito più o meno nelle stesse scuole cattoliche, hatalmente avvezzi e connaturati gli spiriti al psicologi-smo, ch’essi penano a rompere la contratta abitudine.Imperocchè l’anima si assuefà al suo clima spirituale,come il corpo all’esterna temperatura, e la tenacità di talabito è si grande, che le dimostrazioni più precise ed ir-repugnabili soventi volte non bastano a mutarlo. Quindiè che le conversioni intellettuali e filosofiche sono pocomen difficili delle morali. Certo, niun sistema è più as-surdo in sè stesso del psicologismo, e men possibile adifendersi; niuno è più avverso alle credenze cattoliche;imperocchè fra tutte le opinioni moderne che son loroinfeste, non se ne trova alcuna che non derivi dai princi-pii di quello, o almeno non abbia con essi convenienza eparentela. Il sovrannaturale, il sovrintelligibile, e il Cri-stianesimo considerato come dottrina e come storia,hanno la più alta credibilità possibile, quando vengonomirati di faccia e secondo il prospetto ontologico; laddo-ve, scôrti di profilo, e misurati colla squadra analiticadel psicologista, fanno un’impressione diversa su chi licontempla, e aprono il varco al cavilli dei loro nemici.La fiacchezza della filosofia e della teologia modernanon altronde deriva che dal prevalere del psicologismo;anzi potrei mostrare che le tristi influenze di questo sisono propagate per tutti i rami dello scibile, senza eccet-tuare eziandio quelli che per la loro natura ne paiono piùlontani ed indipendenti, come sono l’erudizione, la sto-ria e le scienze fisiche.

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Il Primo ieratico ci riconduce all’Italia e agl’Italiani,come a Primo geografico ed etnografico.

La parola Cattolica è tanto diffusa quanto la societàdivina, che ne è guardiana, interprete e dispensatrice;ma benchè sia sparsa per ogni dove, ella trae ogni virtùdal suo centro, come nel tessuto della formola ideale ilvalore delle varie sue membra deriva dal soggetto, ecome nell’ordito della enciclopedia l’autorità delle di-scipline secondarie e subalterne proviene dalla scienzaprima1. Il centro dclla cristiana repubblica, e l’organoprecipuo della sua loquela, è il papa, come oracolo per-sonificato e perenne, o vogliam dire quasi un Primo par-lante, promulgatore sovrano del Primo biblico. Dal chenasce la necessità, non solo religiosa, ma filosofica, del-la comunione romana per partecipare al sermone primi-tivo ed elementare nella sua integrità e purezza; e quindis’intende, come il principio universale dello scibile ven-ga negletto e oscurato, o alterato e impugnato da ogniuomo, da ogni setta, da ogni nazione che non riconoscaquel supremo oracolo, e i dettati di quell’ampia repub-blica ch’ei rappresenta e capitaneggia. Or, siccome la

1 A pag. 1159 del manoscritto n. 24 [Biblioteca Civica di Torino] Il Giobertìannotava: «L’Italia possiede il principio della civiltà che è il dogma dicreazione incarnato nella parola cattolica. Finchè ci fu fedele fu la primadelle nazioni. Ecco la causa del primato italiano; primato doppio;nell’ordine dei tempi poichè noi fummo civili prima degli altri. L’Italiacreò i primi germi di tutta la civiltà moderna: commercio, industria, lette-ratura, arte, ecc. Questi germi furono spesso svolti e perfezionati di fuorima creati da Dio. L’Italia nell’Europa è la nazione cristiana. E perchè? Per-chè essa sola possedette il principio di creazione e la parola che la esprimefu la nazione ideale e sacerdotale».

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Il Primo ieratico ci riconduce all’Italia e agl’Italiani,come a Primo geografico ed etnografico.

La parola Cattolica è tanto diffusa quanto la societàdivina, che ne è guardiana, interprete e dispensatrice;ma benchè sia sparsa per ogni dove, ella trae ogni virtùdal suo centro, come nel tessuto della formola ideale ilvalore delle varie sue membra deriva dal soggetto, ecome nell’ordito della enciclopedia l’autorità delle di-scipline secondarie e subalterne proviene dalla scienzaprima1. Il centro dclla cristiana repubblica, e l’organoprecipuo della sua loquela, è il papa, come oracolo per-sonificato e perenne, o vogliam dire quasi un Primo par-lante, promulgatore sovrano del Primo biblico. Dal chenasce la necessità, non solo religiosa, ma filosofica, del-la comunione romana per partecipare al sermone primi-tivo ed elementare nella sua integrità e purezza; e quindis’intende, come il principio universale dello scibile ven-ga negletto e oscurato, o alterato e impugnato da ogniuomo, da ogni setta, da ogni nazione che non riconoscaquel supremo oracolo, e i dettati di quell’ampia repub-blica ch’ei rappresenta e capitaneggia. Or, siccome la

1 A pag. 1159 del manoscritto n. 24 [Biblioteca Civica di Torino] Il Giobertìannotava: «L’Italia possiede il principio della civiltà che è il dogma dicreazione incarnato nella parola cattolica. Finchè ci fu fedele fu la primadelle nazioni. Ecco la causa del primato italiano; primato doppio;nell’ordine dei tempi poichè noi fummo civili prima degli altri. L’Italiacreò i primi germi di tutta la civiltà moderna: commercio, industria, lette-ratura, arte, ecc. Questi germi furono spesso svolti e perfezionati di fuorima creati da Dio. L’Italia nell’Europa è la nazione cristiana. E perchè? Per-chè essa sola possedette il principio di creazione e la parola che la esprimefu la nazione ideale e sacerdotale».

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società cristiana, allargandosi sulla faccia del globo, ab-braccia le stirpi ed i popoli, la sua ordinazione gerarchi-ca s’intreccia colla etnografia universale, e lo splendoredel capo si diffonde sul seggio che occupa; essendo im-possibile che l’efficacia del primo verbo non sia mag-giore dove ne alberga la lingua e l’oracolo. In virtù diquesta prerogativa l’Italia è la prima nazione, come lastirpe pelasgica nel suo ramo più illustre, cioè in quellodegl’Italiani, è la prima schiatta da cui si serbano incor-rotti gli altri Primi per opera della parola originale ecreatrice. La Penisola, mediante Roma, suo capo civile emetropoli della fede cristiana, rende imagine diquell’arca santa dove il popolo eletto serbava i celestidettati1; la quale era posta nei penetrali del tempio, esotto la guardia gelosa del sacerdoti. Come la parola diDio contiene virtualmente il mondo, per mezzo delleidee, che sono i tipi eternali delle cose create, così la pa-rola di Roma, risonante dai rostri del Campidoglio pertutto il fôro italiano, e quindi ripercossa, geminata ecentuplicata, quasi da eco moltilingue, per ogni dove,contiene potenzialmente la civiltà e la scienza. Giovani,che cercate sinceramente e fervidamente il vero, uomini,che vi dolete di averlo perduto, e gustate i frutti amari enocevoli dell’errore, qualunque sia la nazione a cui ap-partenete, volgetevi alla mia patria. Essa sola, la cuivoce si fa udire per tutto, la cui mano giunge ai paesipiù rimoti e si stende benefica aiutatrice ai miseri che a1 Cfr. il manoscritto n. 24, pag· 1191; «Roma è l’arca in cui si conserva la

Bibbia».

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società cristiana, allargandosi sulla faccia del globo, ab-braccia le stirpi ed i popoli, la sua ordinazione gerarchi-ca s’intreccia colla etnografia universale, e lo splendoredel capo si diffonde sul seggio che occupa; essendo im-possibile che l’efficacia del primo verbo non sia mag-giore dove ne alberga la lingua e l’oracolo. In virtù diquesta prerogativa l’Italia è la prima nazione, come lastirpe pelasgica nel suo ramo più illustre, cioè in quellodegl’Italiani, è la prima schiatta da cui si serbano incor-rotti gli altri Primi per opera della parola originale ecreatrice. La Penisola, mediante Roma, suo capo civile emetropoli della fede cristiana, rende imagine diquell’arca santa dove il popolo eletto serbava i celestidettati1; la quale era posta nei penetrali del tempio, esotto la guardia gelosa del sacerdoti. Come la parola diDio contiene virtualmente il mondo, per mezzo delleidee, che sono i tipi eternali delle cose create, così la pa-rola di Roma, risonante dai rostri del Campidoglio pertutto il fôro italiano, e quindi ripercossa, geminata ecentuplicata, quasi da eco moltilingue, per ogni dove,contiene potenzialmente la civiltà e la scienza. Giovani,che cercate sinceramente e fervidamente il vero, uomini,che vi dolete di averlo perduto, e gustate i frutti amari enocevoli dell’errore, qualunque sia la nazione a cui ap-partenete, volgetevi alla mia patria. Essa sola, la cuivoce si fa udire per tutto, la cui mano giunge ai paesipiù rimoti e si stende benefica aiutatrice ai miseri che a1 Cfr. il manoscritto n. 24, pag· 1191; «Roma è l’arca in cui si conserva la

Bibbia».

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lei ricorrono, può soddisfare pienamente alle vostre bra-me, e porgervi quella bevanda che disseta in eterno.

La storia conferma a evidenza questo privilegio della Penisolae de’ suoi abitatori.

Se alcuno dicesse elle io ho il torto a volgere in onoreparticolare d’Italia le immortali prerogative del Cristia-nesimo, io non entrerò, per sostenere il mio assunto, aprovarlo colle ragioni. Eleggerò bensì una via più spedi-ta, men ripugnabile e più conforme al genio moderno,ricorrendo all’istoria; nella quale la maggioranza moralee civile d’Italia, il suo primato intellettuale, per ciò chespetta ai fondamenti del sapere, e la congiuntura di que-sti privilegi colla prima sedia cristiana, appariscono sìchiari e risplendono di tanta luce, che non ammettonoistanza. Ella è cosa di fatto che il principio della civiltàmoderna in ogni sua parte usci dall’Italia, e non da al-cun’altra provincia di Europa1. È cosa di fatto chel’Europa era tuttavia ruvida e barbara, mentre la peniso-la italiana già fioriva e riluceva di scienze, di lettere, diarti belle, d’industrie, di traffichi, di navigazioni, di mu-nicipii e di cittadinanze. È cosa di fatto che questo granmoto italiano, divenuto poscia europeo, fu incominciato,aiutato, promosso principalmente dai papi, dai chierici,

1 Cfr, il manoscritto n. 24, pag. 1197; «L’Italia è la primogenita delle nazioniper ragione di tempo e di meriti: l) Possedette la più antica civiltà di Euro-pa. 2) Fu seggio dei tre popoli incivilitori Etruschi, Greci e Romani. 3) Fuseggio del Cristianesimo cattolico. 4) Patria di Dante, di Michelangelo, diGalileo, 5) Seggio della civiltà risorta. La primogenitura non si perde collesventure. L’Italia è scaduta ma conserva i suoi diritti».

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lei ricorrono, può soddisfare pienamente alle vostre bra-me, e porgervi quella bevanda che disseta in eterno.

La storia conferma a evidenza questo privilegio della Penisolae de’ suoi abitatori.

Se alcuno dicesse elle io ho il torto a volgere in onoreparticolare d’Italia le immortali prerogative del Cristia-nesimo, io non entrerò, per sostenere il mio assunto, aprovarlo colle ragioni. Eleggerò bensì una via più spedi-ta, men ripugnabile e più conforme al genio moderno,ricorrendo all’istoria; nella quale la maggioranza moralee civile d’Italia, il suo primato intellettuale, per ciò chespetta ai fondamenti del sapere, e la congiuntura di que-sti privilegi colla prima sedia cristiana, appariscono sìchiari e risplendono di tanta luce, che non ammettonoistanza. Ella è cosa di fatto che il principio della civiltàmoderna in ogni sua parte usci dall’Italia, e non da al-cun’altra provincia di Europa1. È cosa di fatto chel’Europa era tuttavia ruvida e barbara, mentre la peniso-la italiana già fioriva e riluceva di scienze, di lettere, diarti belle, d’industrie, di traffichi, di navigazioni, di mu-nicipii e di cittadinanze. È cosa di fatto che questo granmoto italiano, divenuto poscia europeo, fu incominciato,aiutato, promosso principalmente dai papi, dai chierici,

1 Cfr, il manoscritto n. 24, pag. 1197; «L’Italia è la primogenita delle nazioniper ragione di tempo e di meriti: l) Possedette la più antica civiltà di Euro-pa. 2) Fu seggio dei tre popoli incivilitori Etruschi, Greci e Romani. 3) Fuseggio del Cristianesimo cattolico. 4) Patria di Dante, di Michelangelo, diGalileo, 5) Seggio della civiltà risorta. La primogenitura non si perde collesventure. L’Italia è scaduta ma conserva i suoi diritti».

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dagli ordini religiosi, nati sovratutto in Italia, e, benchètrasferiti altrove, animati dagli spiriti italiani. È cosa difatto che le lettere cristiane onde mosse ogni modernaletteratura, non furono culte dopo la caduta del romanoimperio in alcun luogo di Occidente con tanta felicità,come in Italia, e specialmente in Roma, da alcuni dottis-simi pontefici1; e che il solo intervallo del medio evo incui mancassero i papi eruditi e santi, fu quello che suc-cedette alla morte di Carlo d’Austrasia, quando, intro-dotti gli ordini feudali, la romana sedia fu per qualchetempo preda e zimbello dei baroni. È cosa di fatto cheesso Carlo ricevette dall’Italia quelle idee generose emagnanime le quali fondarono la sua potenza, aggrandi-rono il suo nome e il suo regno; che, inspirato dalle me-morie e dalle dottrine di quella, egli concepì il sublimedisegno di rinnovare la civiltà del romano imperio, per-fezionata dal Cristianesimo, e di seminarne i principii,non solo nella Gallia divenuta Francia, ma fra i Barbaridi aquilone, mansuefacendoli colla parola religiosa, con-giunta alla parola musica, e facendo di Aquisgrana quasiun Odeo cattolico, in cui risuonavano le nuove melodiedi Roma e s’insegnava la gamma pontificale. È cosa difatto che gli sforzi di questo principe per risuscitare lelettere sepolte tornarono in gran parte inutili, finchè nonvennero riassunti dal magno Silvestro2, che fu il vero1 Cfr. P. NOVATI, L’influsso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del

medioevo, Milano, 1899.2 Silvestro II, chiamato in prima Gerberto, n. a Urillac circa il 920, m. nel

1003 in Roma. Fu uomo di cognizioni meravigliose per l’età sua. La leg-genda popolare gli attribuì titolo di mago. Vedi GREGOROVIUS, Storia di

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dagli ordini religiosi, nati sovratutto in Italia, e, benchètrasferiti altrove, animati dagli spiriti italiani. È cosa difatto che le lettere cristiane onde mosse ogni modernaletteratura, non furono culte dopo la caduta del romanoimperio in alcun luogo di Occidente con tanta felicità,come in Italia, e specialmente in Roma, da alcuni dottis-simi pontefici1; e che il solo intervallo del medio evo incui mancassero i papi eruditi e santi, fu quello che suc-cedette alla morte di Carlo d’Austrasia, quando, intro-dotti gli ordini feudali, la romana sedia fu per qualchetempo preda e zimbello dei baroni. È cosa di fatto cheesso Carlo ricevette dall’Italia quelle idee generose emagnanime le quali fondarono la sua potenza, aggrandi-rono il suo nome e il suo regno; che, inspirato dalle me-morie e dalle dottrine di quella, egli concepì il sublimedisegno di rinnovare la civiltà del romano imperio, per-fezionata dal Cristianesimo, e di seminarne i principii,non solo nella Gallia divenuta Francia, ma fra i Barbaridi aquilone, mansuefacendoli colla parola religiosa, con-giunta alla parola musica, e facendo di Aquisgrana quasiun Odeo cattolico, in cui risuonavano le nuove melodiedi Roma e s’insegnava la gamma pontificale. È cosa difatto che gli sforzi di questo principe per risuscitare lelettere sepolte tornarono in gran parte inutili, finchè nonvennero riassunti dal magno Silvestro2, che fu il vero1 Cfr. P. NOVATI, L’influsso del pensiero latino sopra la civiltà italiana del

medioevo, Milano, 1899.2 Silvestro II, chiamato in prima Gerberto, n. a Urillac circa il 920, m. nel

1003 in Roma. Fu uomo di cognizioni meravigliose per l’età sua. La leg-genda popolare gli attribuì titolo di mago. Vedi GREGOROVIUS, Storia di

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padre della scienza risorta, e ricominciò la successioneinterrotta dei papi sapienti e venerandi. È cosa di fattoche la distruzione del reggimento feudale, effetto dellaconquista, mosse da Italia; e che questa provincia pre-corse a tutte le altre nelle varie riforme civili, nella fran-chigia dei comuni, nella confederazione delle città, nellafratellanza delle arti, nell’assetto delle repubbliche, nellainstituzion delle scuole e delle accademie, nell’uso enella stima degli artifizi industriosi e commercevoli, efinalmente nel culto delle dottrine e delle lettere. È cosadi fatto che se il nuovo incivilimento italiano, comincia-to fin dal quinto secolo, venne interrotto nel nono e neldecimo, e combattuto in appresso, il male nacque da ol-tremonti, e provenne principalmente dalla creazionedell’Impero d’Occidente, che, tentando, contro natura,di traslocare e porre fuori d’Italia il centro del moto ci-vile, diede in effetto il sopravento alla barbarie peregri-na sulla nostra cultura natìa, causò le corruttele del no-vecento, e le pretensioni imperatorie dei secoli che se-guirono. È cosa di fatto che i tre luminari più insignidella filosofia cristiana nel medio evo, cioè Anselmo,Tommaso e Bonaventura1, furono italiani, e che dall’Ita-lia uscirono i semi di quella inclita scuola dei realistiche gittò poscia tanto splendore in Francia ed in Inghil-terra, e vinse per la bontà degli ordini e la purezza delle

Roma nel medio evo, Venezia, 1873, vol. III, pag. 617 e segg.1 Sant’Anselmo, n. in Aosta nel 1033, m. nel 1109; S. Tommaso d’Aquino,

n. a Rocca Secca nel 1227, m. nel 1274 nella diocesi di Terracina; S. Bo-naventura, n. a Bagnorea nel 1221, m, a Lione nel 1274.

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padre della scienza risorta, e ricominciò la successioneinterrotta dei papi sapienti e venerandi. È cosa di fattoche la distruzione del reggimento feudale, effetto dellaconquista, mosse da Italia; e che questa provincia pre-corse a tutte le altre nelle varie riforme civili, nella fran-chigia dei comuni, nella confederazione delle città, nellafratellanza delle arti, nell’assetto delle repubbliche, nellainstituzion delle scuole e delle accademie, nell’uso enella stima degli artifizi industriosi e commercevoli, efinalmente nel culto delle dottrine e delle lettere. È cosadi fatto che se il nuovo incivilimento italiano, comincia-to fin dal quinto secolo, venne interrotto nel nono e neldecimo, e combattuto in appresso, il male nacque da ol-tremonti, e provenne principalmente dalla creazionedell’Impero d’Occidente, che, tentando, contro natura,di traslocare e porre fuori d’Italia il centro del moto ci-vile, diede in effetto il sopravento alla barbarie peregri-na sulla nostra cultura natìa, causò le corruttele del no-vecento, e le pretensioni imperatorie dei secoli che se-guirono. È cosa di fatto che i tre luminari più insignidella filosofia cristiana nel medio evo, cioè Anselmo,Tommaso e Bonaventura1, furono italiani, e che dall’Ita-lia uscirono i semi di quella inclita scuola dei realistiche gittò poscia tanto splendore in Francia ed in Inghil-terra, e vinse per la bontà degli ordini e la purezza delle

Roma nel medio evo, Venezia, 1873, vol. III, pag. 617 e segg.1 Sant’Anselmo, n. in Aosta nel 1033, m. nel 1109; S. Tommaso d’Aquino,

n. a Rocca Secca nel 1227, m. nel 1274 nella diocesi di Terracina; S. Bo-naventura, n. a Bagnorea nel 1221, m, a Lione nel 1274.

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dottrine tutte le sêtte coetanee e succedenti. È cosa difatto che tra le lingue figliate dal latino, quella che piùpresto crebbe, e uscì di puerizia, e acquistò nervo e bel-lezza, e venne introdotta nelle nobili scritture, e partorìopere immortali, e vinse le sue compagne e sorelle pervarietà, ricchezza, forza, a mirabile dolcezza e soavitàaccoppiate, e produsse, infine, la letteratura modernache più si accosta in perfezione alle antiche, è la linguatoscana e romana, che è la favella illustre di tutta Italia.È cosa di fatto che il primo parto grandioso dell’ingegnoeuropeo e moderno, per ragion di tempo e di eccellenza,è la Divina Commedia; e che, com’ella si lascia addietropel cumulo e per la squisitezza delle sue perfezioni ognialtro poetico lavoro, così precedette per ben tre secoli lelettere gentili delle altre province. È cosa di fatto chel’eterodossia di Lutero e di Cartesio non infece1 la so-stanza del pensare e del sentire italiano, e benchè ne siatalora veduto fra noi qualche sprazzo, tuttavolta l’eresiae la miscredenza non poterono mai allignare stabilmentenel nostro terreno; laonde il sensismo grossolano, il ma-terialismo, l’ateismo, il fatalismo, il panteismo, il razio-nalismo teologico e biblico, e gli altri scandali oltra-montani, furono quasi affatto ignoti all’Italia. E siccomeil panteismo è l’apice e la somma della speculazioneeterodossa, giova l’avvertire che il solo panteista italia-no di grido fu il Bruni, che, profugo dalla patria, bevve e

1 Da infecere, lo stesso che infettare; contaminare. Si usa talvolta in poesianella terza persona singolare del passato remoto infece o ne’ tempi compo-sti mediante il participio infetto. Dal latino inficere.

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dottrine tutte le sêtte coetanee e succedenti. È cosa difatto che tra le lingue figliate dal latino, quella che piùpresto crebbe, e uscì di puerizia, e acquistò nervo e bel-lezza, e venne introdotta nelle nobili scritture, e partorìopere immortali, e vinse le sue compagne e sorelle pervarietà, ricchezza, forza, a mirabile dolcezza e soavitàaccoppiate, e produsse, infine, la letteratura modernache più si accosta in perfezione alle antiche, è la linguatoscana e romana, che è la favella illustre di tutta Italia.È cosa di fatto che il primo parto grandioso dell’ingegnoeuropeo e moderno, per ragion di tempo e di eccellenza,è la Divina Commedia; e che, com’ella si lascia addietropel cumulo e per la squisitezza delle sue perfezioni ognialtro poetico lavoro, così precedette per ben tre secoli lelettere gentili delle altre province. È cosa di fatto chel’eterodossia di Lutero e di Cartesio non infece1 la so-stanza del pensare e del sentire italiano, e benchè ne siatalora veduto fra noi qualche sprazzo, tuttavolta l’eresiae la miscredenza non poterono mai allignare stabilmentenel nostro terreno; laonde il sensismo grossolano, il ma-terialismo, l’ateismo, il fatalismo, il panteismo, il razio-nalismo teologico e biblico, e gli altri scandali oltra-montani, furono quasi affatto ignoti all’Italia. E siccomeil panteismo è l’apice e la somma della speculazioneeterodossa, giova l’avvertire che il solo panteista italia-no di grido fu il Bruni, che, profugo dalla patria, bevve e

1 Da infecere, lo stesso che infettare; contaminare. Si usa talvolta in poesianella terza persona singolare del passato remoto infece o ne’ tempi compo-sti mediante il participio infetto. Dal latino inficere.

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coltivò i semi infausti e pestiferi in contrade straniere1.Certo, questa singolare preservazione della scienza edella letteratura italiani dal rinnovato gentilesimo cheimperversa in Europa, non può altrimenti spiegarsi checolla presenza ed efficacia del principio cattolico; ilquale mantenne intatta l’adulta coltura fra i traviamentiuniversali, come la produsse e allevò tenera e mal fermafra le tenebre foltissime che avviluppavano l’Occidente.Tanto che il primato logico dell’ingegno italico, come ilsuo primato cronologico, muovono dalla medesima ca-gione, e hanno lo stesso fondamento.

So che si attribuisce da alcuni la civiltà precoce d’Ita-lia alle tradizioni e memorie radicate e superstiti dellaromana coltura. Io sono lontano dal negare che questeabbiano cooperato notabilmente all’effetto; e siccome ilLazio è provincia nostrale, se ne accrescono per questaparte, non che scemarsene, i vanti italiani, e si dimostrala perpetuità del nostro incivilimento, che per la triplicesuccessione dei Quiriti, degli Etruschi e dei Pelasghi ri-sale all’antichità vetusta dei secoli primitivi. Ma il redi-taggio di Roma pagana non fu certo la cagion prima, nèprincipale, del nostro risorgimento, sia perchè ripugnache una civiltà quasi spenta risusciti, e perchè la nuovagentilezza d’Italia, essendo cristiana sostanzialmente,non potè nascere dalle ruine del paganesimo. Senza che,la storia ci porge anche a questo proposito un argomento

1 Intorno alla conoscenza e all’ammirazione che il Gioberti ebbe del Bruno,vedi: V. G. e Giordano Bruno, due lettere inedite di V. G. a Luigi Ornatopubblicate da G. C. MOLINERI, Torino, 1889.

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coltivò i semi infausti e pestiferi in contrade straniere1.Certo, questa singolare preservazione della scienza edella letteratura italiani dal rinnovato gentilesimo cheimperversa in Europa, non può altrimenti spiegarsi checolla presenza ed efficacia del principio cattolico; ilquale mantenne intatta l’adulta coltura fra i traviamentiuniversali, come la produsse e allevò tenera e mal fermafra le tenebre foltissime che avviluppavano l’Occidente.Tanto che il primato logico dell’ingegno italico, come ilsuo primato cronologico, muovono dalla medesima ca-gione, e hanno lo stesso fondamento.

So che si attribuisce da alcuni la civiltà precoce d’Ita-lia alle tradizioni e memorie radicate e superstiti dellaromana coltura. Io sono lontano dal negare che questeabbiano cooperato notabilmente all’effetto; e siccome ilLazio è provincia nostrale, se ne accrescono per questaparte, non che scemarsene, i vanti italiani, e si dimostrala perpetuità del nostro incivilimento, che per la triplicesuccessione dei Quiriti, degli Etruschi e dei Pelasghi ri-sale all’antichità vetusta dei secoli primitivi. Ma il redi-taggio di Roma pagana non fu certo la cagion prima, nèprincipale, del nostro risorgimento, sia perchè ripugnache una civiltà quasi spenta risusciti, e perchè la nuovagentilezza d’Italia, essendo cristiana sostanzialmente,non potè nascere dalle ruine del paganesimo. Senza che,la storia ci porge anche a questo proposito un argomento

1 Intorno alla conoscenza e all’ammirazione che il Gioberti ebbe del Bruno,vedi: V. G. e Giordano Bruno, due lettere inedite di V. G. a Luigi Ornatopubblicate da G. C. MOLINERI, Torino, 1889.

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che non ammette replica. Il coloniale Bisanzio, sorto su-gli avanzi di un borgo tracio, e divenuto in appresso unasontuosa metropoli, campata sui confini dell’Asia edell’Europa, e sedia orientale del romano imperio, eredi-tò il fiore della greca e della latina coltura, il quale viperseverò quasi intatto dagli assalti de’ Barbari. Laonde,mentre Roma era iteratamente presa e devastata da Gen-serico, da Odoacre, da Alarico, da Totila e da Arnolfo, esoggiaceva per qualche tempo, come il resto di Europa,alle tenebre feudali, tanto che la lingua latina divenne ungergo barbarico e schifoso, Costantinopoli, illesa dallealluvioni esterne, serbò il tesoro dell’antico idioma; enon solo i Padri greci vinsero di gran lunga i nostraliper la bontà dell’elocuzione, ma quando in Occidentepiù non durava vestigio di buona latinità e di classicaeleganza, le spiaggie della Propontide avean tuttaviascrittori non disprezzabili nell’antica favella di Tucididee di Plutarco. La famiglia dei quali non fu interrotta, nèestinta inanzi al fine dell’Imperio; anzi quando giunsel’ultima ora di questo e le reliquie de’ suoi sapienti tro-varono in Italia un ricetto ospitale, egli parve che la let-teratura greca, a modo di una fiamma, spegnendosi, git-tasse una maggior luce, e sorse in Gemisto Pletone unoscrittore che nello esprimere la lingua e lo stile dei mi-gliori antichi superò tutti quelli che lo precedettero1.Cosi quando la lingua del Lazio, morta e seppellita dapiù secoli, cominciava a risuscitare, come un’anticaglia1 LEOPARDI, Disc. in prop. d’un’Orazione greca di Giorgio Gemisto Pletone,

Milano, 1827, pagg. 4, 5. [G.].

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che non ammette replica. Il coloniale Bisanzio, sorto su-gli avanzi di un borgo tracio, e divenuto in appresso unasontuosa metropoli, campata sui confini dell’Asia edell’Europa, e sedia orientale del romano imperio, eredi-tò il fiore della greca e della latina coltura, il quale viperseverò quasi intatto dagli assalti de’ Barbari. Laonde,mentre Roma era iteratamente presa e devastata da Gen-serico, da Odoacre, da Alarico, da Totila e da Arnolfo, esoggiaceva per qualche tempo, come il resto di Europa,alle tenebre feudali, tanto che la lingua latina divenne ungergo barbarico e schifoso, Costantinopoli, illesa dallealluvioni esterne, serbò il tesoro dell’antico idioma; enon solo i Padri greci vinsero di gran lunga i nostraliper la bontà dell’elocuzione, ma quando in Occidentepiù non durava vestigio di buona latinità e di classicaeleganza, le spiaggie della Propontide avean tuttaviascrittori non disprezzabili nell’antica favella di Tucididee di Plutarco. La famiglia dei quali non fu interrotta, nèestinta inanzi al fine dell’Imperio; anzi quando giunsel’ultima ora di questo e le reliquie de’ suoi sapienti tro-varono in Italia un ricetto ospitale, egli parve che la let-teratura greca, a modo di una fiamma, spegnendosi, git-tasse una maggior luce, e sorse in Gemisto Pletone unoscrittore che nello esprimere la lingua e lo stile dei mi-gliori antichi superò tutti quelli che lo precedettero1.Cosi quando la lingua del Lazio, morta e seppellita dapiù secoli, cominciava a risuscitare, come un’anticaglia1 LEOPARDI, Disc. in prop. d’un’Orazione greca di Giorgio Gemisto Pletone,

Milano, 1827, pagg. 4, 5. [G.].

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classica e monumentale, la grecità bizantina, ancor viva.potea gloriarsi di alcuni scrittori che per la maestria deldettato ricordavano i tempi di Platone e di Senofonte.Dal che s’inferisce che se le lettere e le altre gentilezzemoderne fossero state semplicemente un effetto delleantiche, Costantinopoli, e non Roma, avrebbe dovutoessere la loro culla. Ora non solo il contrario ebbe luo-go, e Bisanzio non fece quasi nulla a pro dell’incivili-mento morale e religioso di Europa, ma le lettere co-stantinopolitane, con tutta l’eccellenza dello stile e ladovizia dell’erudizione, furono un’imitazione sterile emorta, anzichè una creazione viva e feconda; opera in-gegnosa di retori, in cui la povertà della vena e l’ariditàdei pensieri vengono occultate dall’estrinseco lenociniodelle frasi e dallo splendore degli ornamenti. Più forza,più vigore, più vita, più senso del presente, più presenti-mento dell’avvenire si trovano, verbigrazia, negli Opu-scoli di san Pier Damiano e nelle Lettere di GregorioVII1, benchè sconditamente dettate, che in tutto un seco-lo di scrittori bosforani. Invece adunque di considerarela civiltà moderna come una continuazione dell’antica,questa si dovrebbe più tosto tenere, per un certo rispetto,come un ostacolo verso di quella, atteso la contrarietàdella loro indole; ond’ella dovea in gran parte perire ecedere il luogo all’altra, sortita dal cielo a incominciareuna novella êra. Nè le sue buone appartenenze poteano

1 Pier Damiano, nato in Ravenna nel 1007, morto a Faenza nel 1072. Cfr.CAPECELATRO, Storia di S. Pier Damiano e del suo tempo, 2 volumi, Firen-ze, 1862. Di papa Gregorio VII ci restano oltre un Commentario sui salmi.

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classica e monumentale, la grecità bizantina, ancor viva.potea gloriarsi di alcuni scrittori che per la maestria deldettato ricordavano i tempi di Platone e di Senofonte.Dal che s’inferisce che se le lettere e le altre gentilezzemoderne fossero state semplicemente un effetto delleantiche, Costantinopoli, e non Roma, avrebbe dovutoessere la loro culla. Ora non solo il contrario ebbe luo-go, e Bisanzio non fece quasi nulla a pro dell’incivili-mento morale e religioso di Europa, ma le lettere co-stantinopolitane, con tutta l’eccellenza dello stile e ladovizia dell’erudizione, furono un’imitazione sterile emorta, anzichè una creazione viva e feconda; opera in-gegnosa di retori, in cui la povertà della vena e l’ariditàdei pensieri vengono occultate dall’estrinseco lenociniodelle frasi e dallo splendore degli ornamenti. Più forza,più vigore, più vita, più senso del presente, più presenti-mento dell’avvenire si trovano, verbigrazia, negli Opu-scoli di san Pier Damiano e nelle Lettere di GregorioVII1, benchè sconditamente dettate, che in tutto un seco-lo di scrittori bosforani. Invece adunque di considerarela civiltà moderna come una continuazione dell’antica,questa si dovrebbe più tosto tenere, per un certo rispetto,come un ostacolo verso di quella, atteso la contrarietàdella loro indole; ond’ella dovea in gran parte perire ecedere il luogo all’altra, sortita dal cielo a incominciareuna novella êra. Nè le sue buone appartenenze poteano

1 Pier Damiano, nato in Ravenna nel 1007, morto a Faenza nel 1072. Cfr.CAPECELATRO, Storia di S. Pier Damiano e del suo tempo, 2 volumi, Firen-ze, 1862. Di papa Gregorio VII ci restano oltre un Commentario sui salmi.

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fruttare, se non divelte dal tronco imputridito e inseritein un nuovo ceppo; perciò conveniva che l’azione lorofosse sospesa momentaneamente e quasi sparisse, comeque’ buoni, ma rari frutici che si spiantano colla marma-glia degli arbusti disutili e selvaggi, per fare il suolo net-to e pronto a ricevere la nuova cultura. La civiltà greco-latina sopravisse a sè stessa, in quanto venne purgata eringiovanita dal Cristianesimo; quindi ella dovette ripi-gliar gli spiriti, e rifiorire tra i ruderi incomposti diRoma sacra e pontificale, anzichè fra gl’intatti e profanimonumenti dell’Ellesponto.

L’Italia s’immedesima colla formola ideale.Due cicli etnografici.

Egli è facile il comprendere come alla nazione inve-stita del primato etnografico competa la doppia preroga-tiva, dianzi notata, di essere creatrice e redentrice pereccellenza; dove che le altre genti sono soltanto coope-ratrici al corso del perfezionamento, e hanno per ufficiodi educare, svolgere e maturare i germi procreatidall’ingegno italiano. Questi due privilegi, in cui si fon-da l’autonomia nazionale, e la maggioranza non solo lo-gica, ma cronologica della Penisola, nascono dalla paro-la religiosa e ieratica, per cui l’Italia s’immedesima inun certo modo colla formola ideale, e partecipa alla suaessenza. Laonde, nella stessa guisa che la formola si ge-mina in due cicli ideali, che comprendono tutto il corsotemporaneo delle esistenze, l’Italia corre per due periodi

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fruttare, se non divelte dal tronco imputridito e inseritein un nuovo ceppo; perciò conveniva che l’azione lorofosse sospesa momentaneamente e quasi sparisse, comeque’ buoni, ma rari frutici che si spiantano colla marma-glia degli arbusti disutili e selvaggi, per fare il suolo net-to e pronto a ricevere la nuova cultura. La civiltà greco-latina sopravisse a sè stessa, in quanto venne purgata eringiovanita dal Cristianesimo; quindi ella dovette ripi-gliar gli spiriti, e rifiorire tra i ruderi incomposti diRoma sacra e pontificale, anzichè fra gl’intatti e profanimonumenti dell’Ellesponto.

L’Italia s’immedesima colla formola ideale.Due cicli etnografici.

Egli è facile il comprendere come alla nazione inve-stita del primato etnografico competa la doppia preroga-tiva, dianzi notata, di essere creatrice e redentrice pereccellenza; dove che le altre genti sono soltanto coope-ratrici al corso del perfezionamento, e hanno per ufficiodi educare, svolgere e maturare i germi procreatidall’ingegno italiano. Questi due privilegi, in cui si fon-da l’autonomia nazionale, e la maggioranza non solo lo-gica, ma cronologica della Penisola, nascono dalla paro-la religiosa e ieratica, per cui l’Italia s’immedesima inun certo modo colla formola ideale, e partecipa alla suaessenza. Laonde, nella stessa guisa che la formola si ge-mina in due cicli ideali, che comprendono tutto il corsotemporaneo delle esistenze, l’Italia corre per due periodi

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etnografici a quelli corrispondenti e abbraccianti tutto lostadio della vita italiana, come parte integrale della vitacosmica. Il primo ciclo esprimibile in questi termini:L’Italia crea l’Europa cristiana e moderna, si riferisceal principio di creazione, e si stende per tutto lo spaziocompreso fra la distruzione del romano imperio e i prin-cipii del secolo sedicesimo, in cui nacque la personalitàdi Europa, perchè allora venne compiuta l’unità nazio-nale delle principali sue provincie, e le tre razze civiliche l’abitano giunsero alla loro maturità civile. Il che misembra risultare così dalla storia intellettuale dei popoli,che riferisce a quell’età i principii delle lettere spagnuo-le, germaniche, francesi ed inglesi, e l’uso di scriverenei patrii vernacoli, come da un fatto la cui importanzastorica non fu sinora avvertita. Il quale si è che verso ilfine del secolo quindicesimo e all’entrar del seguente,gli Svizzeri toccarono il colmo della loro potenza; ondeil Macchiavelli nel suo curioso carteggio con FrancescoVettori, parlando di essi come del più gran potentato diEuropa, esprime sui loro futuri successi alcuni vaticini,che poi non si avverarono, e cita un discorso che tenne-ro con Pellegrino Lorini, onde si ricava che quei fierimontagnesi, invaniti dalle vittorie, coi Romani si rag-guagliavano1. Che se il Vettori questa volta fu più saga-ce del celebre Segretario2, l’error di costui nacque prin-cipalmente dal non avere avvertito che la Svizzera man-cava dell’unione richiesta a ogni sorta di grande e dure-1 MACHIAVELLI, Opere, Italia, 1813, tomo VIII pagg. 76, 77, 78, 90 93.2 Idem, pag. 37.

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etnografici a quelli corrispondenti e abbraccianti tutto lostadio della vita italiana, come parte integrale della vitacosmica. Il primo ciclo esprimibile in questi termini:L’Italia crea l’Europa cristiana e moderna, si riferisceal principio di creazione, e si stende per tutto lo spaziocompreso fra la distruzione del romano imperio e i prin-cipii del secolo sedicesimo, in cui nacque la personalitàdi Europa, perchè allora venne compiuta l’unità nazio-nale delle principali sue provincie, e le tre razze civiliche l’abitano giunsero alla loro maturità civile. Il che misembra risultare così dalla storia intellettuale dei popoli,che riferisce a quell’età i principii delle lettere spagnuo-le, germaniche, francesi ed inglesi, e l’uso di scriverenei patrii vernacoli, come da un fatto la cui importanzastorica non fu sinora avvertita. Il quale si è che verso ilfine del secolo quindicesimo e all’entrar del seguente,gli Svizzeri toccarono il colmo della loro potenza; ondeil Macchiavelli nel suo curioso carteggio con FrancescoVettori, parlando di essi come del più gran potentato diEuropa, esprime sui loro futuri successi alcuni vaticini,che poi non si avverarono, e cita un discorso che tenne-ro con Pellegrino Lorini, onde si ricava che quei fierimontagnesi, invaniti dalle vittorie, coi Romani si rag-guagliavano1. Che se il Vettori questa volta fu più saga-ce del celebre Segretario2, l’error di costui nacque prin-cipalmente dal non avere avvertito che la Svizzera man-cava dell’unione richiesta a ogni sorta di grande e dure-1 MACHIAVELLI, Opere, Italia, 1813, tomo VIII pagg. 76, 77, 78, 90 93.2 Idem, pag. 37.

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vole imperio. Ma da ciò appunto raccogliesi che quandoessa faceva colle sue armi tremare la Borgogna, la Ger-mania, l’Italia e la Francia, e sollevava le audaci speran-ze alla romana grandezza, era giunta l’età virile delle trestirpi regnanti del mondo civile. Imperocchè l’Elvezia,la cui popolazione è mista di tribù pelasgiche, teutoni-che e celtiche, è il compendio etnografico e lo specchiodi Europa, come geograficamente n’è il centro, perchèivi cova la vena de’ suoi maggiori fiumi, e risalta il noc-ciolo delle sue giogaie1. Ma appena essa Europa fu amaturità pervenuta, che, ribellatasi dalla comune madre,l’unità religiosa, e con essa la concordia civile, venneromeno: il dissidio delle nazioni e delle stirpi, già compo-sto dagl’influssi cattolici, rinnovellossi; e al tre legnaggianticati mischiossi la progenie slava, autrice di una nuo-va e più ampia scissura. Dal che risulta futuro un secon-do ciclo, che si può significare, dicendo: l’Europa tornaall’Italia; il quale si riferisce al principio di redenzione,e importa il rintegramento dell’unità europea e della cri-stiana repubblica, mediante la fine dell’eterodossia in-valsa, e la riordinazione del primato religioso e intellet-tuale della schiatta pelasgica sulle altre, che è quantodire dell’Italia cattolica sul resto del globo terracqueo.

1 Parlo dell’Europa pelasgica, germanica,celtica e non della finnica e slava.La penultima è tuttavia barbara, e l’ultima, dai Polacchi e Boemi in fuori,lo era ancora nel secolo sedicesimo. Che la Svizzera sia il mezzo orografi-co ed idrografico della prima Europa apparisce dalla congiunzione del si-stema alpico col carpatico, mediante il nesso dei monti ercinii, e dalla verafonte del Danubio; il quale, geograficamente parlando, ha il suo caponell’Inn, e non nel Donau dell’Abnoba e della Selva nera. [G.].

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vole imperio. Ma da ciò appunto raccogliesi che quandoessa faceva colle sue armi tremare la Borgogna, la Ger-mania, l’Italia e la Francia, e sollevava le audaci speran-ze alla romana grandezza, era giunta l’età virile delle trestirpi regnanti del mondo civile. Imperocchè l’Elvezia,la cui popolazione è mista di tribù pelasgiche, teutoni-che e celtiche, è il compendio etnografico e lo specchiodi Europa, come geograficamente n’è il centro, perchèivi cova la vena de’ suoi maggiori fiumi, e risalta il noc-ciolo delle sue giogaie1. Ma appena essa Europa fu amaturità pervenuta, che, ribellatasi dalla comune madre,l’unità religiosa, e con essa la concordia civile, venneromeno: il dissidio delle nazioni e delle stirpi, già compo-sto dagl’influssi cattolici, rinnovellossi; e al tre legnaggianticati mischiossi la progenie slava, autrice di una nuo-va e più ampia scissura. Dal che risulta futuro un secon-do ciclo, che si può significare, dicendo: l’Europa tornaall’Italia; il quale si riferisce al principio di redenzione,e importa il rintegramento dell’unità europea e della cri-stiana repubblica, mediante la fine dell’eterodossia in-valsa, e la riordinazione del primato religioso e intellet-tuale della schiatta pelasgica sulle altre, che è quantodire dell’Italia cattolica sul resto del globo terracqueo.

1 Parlo dell’Europa pelasgica, germanica,celtica e non della finnica e slava.La penultima è tuttavia barbara, e l’ultima, dai Polacchi e Boemi in fuori,lo era ancora nel secolo sedicesimo. Che la Svizzera sia il mezzo orografi-co ed idrografico della prima Europa apparisce dalla congiunzione del si-stema alpico col carpatico, mediante il nesso dei monti ercinii, e dalla verafonte del Danubio; il quale, geograficamente parlando, ha il suo caponell’Inn, e non nel Donau dell’Abnoba e della Selva nera. [G.].

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Tal sarà l’opera che in un modo o in un altro occuperà ilmondo nel prossimo millenario; per mezzo della qualel’Europa unanime e pacificata potrà conquistare alla ci-viltà e alla fede il paganico e barbaro Oriente, aggiun-gendo il traffico e la permuta delle idee a quella delleutili industrie. Effetto impossibile ad ottenersi finchèdura lo scisma europeo e l’abbiezione del popolo princi-pe; giacchè il cattolicismo è il solo vincolo, e l’Italia èl’unica mediatrice delle nazioni. E siccome in ogni se-condo ciclo, la varietà rinvertendo verso l’unità primiti-va, entrambe concorrono all’effetto coll’esplicamentodelle loro potenze, nel periodo che sta per cominciare,l’Italia e l’Europa dovranno conferir del pari al connu-bio di quelle, ma variamente; cioè l’una, accettando iportati della civiltà universale e mostrandosi capaced’intenderli, volenterosa di accrescerli e degna d’indiriz-zarli; l’altra, ricevendo la religione, che sola può stabili-re e compiere l’incivilimento. In questo scambio reci-proco della cultura e della fede, fra il gran continenteeuropeo e la terra italiana sono riposte le speranze e lasalute del mondo. Così l’italica stirpe, che fu il Primoetnografico dell’età moderna, ne sarà pure l’Ultimo, eparteciperà ai divini privilegi della religione, di cui èprincipale albergo; giacchè non par credibile che la na-zione privilegiata dal cielo di una metropoli eterna deb-ba estinguersi, come i popoli gentili, e premorire alla ci-viltà universale.

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Tal sarà l’opera che in un modo o in un altro occuperà ilmondo nel prossimo millenario; per mezzo della qualel’Europa unanime e pacificata potrà conquistare alla ci-viltà e alla fede il paganico e barbaro Oriente, aggiun-gendo il traffico e la permuta delle idee a quella delleutili industrie. Effetto impossibile ad ottenersi finchèdura lo scisma europeo e l’abbiezione del popolo princi-pe; giacchè il cattolicismo è il solo vincolo, e l’Italia èl’unica mediatrice delle nazioni. E siccome in ogni se-condo ciclo, la varietà rinvertendo verso l’unità primiti-va, entrambe concorrono all’effetto coll’esplicamentodelle loro potenze, nel periodo che sta per cominciare,l’Italia e l’Europa dovranno conferir del pari al connu-bio di quelle, ma variamente; cioè l’una, accettando iportati della civiltà universale e mostrandosi capaced’intenderli, volenterosa di accrescerli e degna d’indiriz-zarli; l’altra, ricevendo la religione, che sola può stabili-re e compiere l’incivilimento. In questo scambio reci-proco della cultura e della fede, fra il gran continenteeuropeo e la terra italiana sono riposte le speranze e lasalute del mondo. Così l’italica stirpe, che fu il Primoetnografico dell’età moderna, ne sarà pure l’Ultimo, eparteciperà ai divini privilegi della religione, di cui èprincipale albergo; giacchè non par credibile che la na-zione privilegiata dal cielo di una metropoli eterna deb-ba estinguersi, come i popoli gentili, e premorire alla ci-viltà universale.

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Della cagion subbiettiva del primato scientifico italiano.Dell’ingegno pelasgico, il quale spicca sovratutto in Italia.

Eccellenza e vastità di esso.È il tipo più perfetto dell’ingegno caucasico e quindi umano in

universale.La stirpe germanica, benchè nobilissima, non possiede quellamaggioranza morale e fisiologica che alcuni le attribuiscono.

Le cose finora discorse mostrano che la radice princi-pale e obbiettiva del primato italiano, segnatamente ri-spetto alla scienza, consiste nel possesso del Primo bi-blico. Ma l’obbiettività non basta a creare alcuna speziedi maggioranza, se non trova nel soggetto corrisponden-te un’attitudine proporzionata a riceverla e vantaggiarse-ne. Il correlativo dell’Idea parlata, in ordine agli uomini,è l’ingegno; dalla cui abilità e finezza nell’apprenderel’eloquio ideale e nel ripeterlo a sè stesso dipende laperfezione speculativa del suo esplicamento, e i fruttiche se ne ricavano. L’ingegno è come l’occhiodell’astronomo, al cui acume naturale si commisurano laforza e l’uso del cristallo ch’egli mette in opera per in-grandire e contemplare le moli e i moti celesti. Ora laqualità dell’ingegno risponde a quella della stirpe; impe-rocchè, le potenze dello spirito dipendendo dalla naturadegli organi, e l’unità organica della specie umana es-sendo stata interrotta dall’alterazione della notizia idealee dallo scisma falegico, ne nacquero alcune disparità fi-siologiche nelle razze, per cui le une son meno dispostedelle altre alle opere dell’ingegno e ai progressidell’incivilimento. Le quali diseguaglianze decrescono

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Della cagion subbiettiva del primato scientifico italiano.Dell’ingegno pelasgico, il quale spicca sovratutto in Italia.

Eccellenza e vastità di esso.È il tipo più perfetto dell’ingegno caucasico e quindi umano in

universale.La stirpe germanica, benchè nobilissima, non possiede quellamaggioranza morale e fisiologica che alcuni le attribuiscono.

Le cose finora discorse mostrano che la radice princi-pale e obbiettiva del primato italiano, segnatamente ri-spetto alla scienza, consiste nel possesso del Primo bi-blico. Ma l’obbiettività non basta a creare alcuna speziedi maggioranza, se non trova nel soggetto corrisponden-te un’attitudine proporzionata a riceverla e vantaggiarse-ne. Il correlativo dell’Idea parlata, in ordine agli uomini,è l’ingegno; dalla cui abilità e finezza nell’apprenderel’eloquio ideale e nel ripeterlo a sè stesso dipende laperfezione speculativa del suo esplicamento, e i fruttiche se ne ricavano. L’ingegno è come l’occhiodell’astronomo, al cui acume naturale si commisurano laforza e l’uso del cristallo ch’egli mette in opera per in-grandire e contemplare le moli e i moti celesti. Ora laqualità dell’ingegno risponde a quella della stirpe; impe-rocchè, le potenze dello spirito dipendendo dalla naturadegli organi, e l’unità organica della specie umana es-sendo stata interrotta dall’alterazione della notizia idealee dallo scisma falegico, ne nacquero alcune disparità fi-siologiche nelle razze, per cui le une son meno dispostedelle altre alle opere dell’ingegno e ai progressidell’incivilimento. Le quali diseguaglianze decrescono

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certo di mano in mano che le nazioni si mescolano in-sieme sotto gl’influssi conciliativi del Cristianesimo, edovranno probabilmente cessare affatto col tempo, dan-do luogo al ristabilimento compiuto dell’unità primitiva;nel che appunto è riposto il colmo del ciclo cattolico eitaliano, e il postremo ufficio d’Italia, come Ultimo et-nografico. Ma nei termini presenti egli è indubitato chegli uomini bianchi sovrastanno per l’eccellenza delle fa-coltà loro, e occupano il primo seggio nella gerarchia fi-siologica delle nazioni, come l’infimo grado di essa pareassegnato ai negri inquilini di certe parti dell’Oceania. Ecome fra i vari rami caucasei, l’iranico o indopelasgicoè il più segnalato, e verifica la maggioranza sulle gentisemitiche, augurata ai figliuoli di Giapeto dal secondopadre della specie umana; così fra le diverse famiglieche, uscite dall’Iràn primitivo, popolarono l’Europa,quella dei Pelasghi è la più illustre, secondo che risultada tutta l’istoria. Imperocchè i Celti, i Germani e gli Sla-vi hanno sinora avuta una civiltà sola, da che abbando-narono la primaia salvatichezza, succeduta ai tempi fale-gici; e furono obbligati del benefizio ai popoli pelasgici,e singolarmente al ramo italiano. Il quale supera in gran-dezza gli stessi Greci: sia perchè la maturità degli Ellenifu posteriore a quella degli Etruschi, e perchè i primifiori dell’ingegno ellenico sbucciarono in quella regionedove nacque il nome d’Italia, simboleggiativo della stir-pe giapetica1, e vennero educati dagli spiriti italiani; e1 Il nome d’Italia, secondo che risulta dalle medaglie e dalle varie confor-

mazioni della medesima voce nei monumenti più antichi, viene dal vitello,

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certo di mano in mano che le nazioni si mescolano in-sieme sotto gl’influssi conciliativi del Cristianesimo, edovranno probabilmente cessare affatto col tempo, dan-do luogo al ristabilimento compiuto dell’unità primitiva;nel che appunto è riposto il colmo del ciclo cattolico eitaliano, e il postremo ufficio d’Italia, come Ultimo et-nografico. Ma nei termini presenti egli è indubitato chegli uomini bianchi sovrastanno per l’eccellenza delle fa-coltà loro, e occupano il primo seggio nella gerarchia fi-siologica delle nazioni, come l’infimo grado di essa pareassegnato ai negri inquilini di certe parti dell’Oceania. Ecome fra i vari rami caucasei, l’iranico o indopelasgicoè il più segnalato, e verifica la maggioranza sulle gentisemitiche, augurata ai figliuoli di Giapeto dal secondopadre della specie umana; così fra le diverse famiglieche, uscite dall’Iràn primitivo, popolarono l’Europa,quella dei Pelasghi è la più illustre, secondo che risultada tutta l’istoria. Imperocchè i Celti, i Germani e gli Sla-vi hanno sinora avuta una civiltà sola, da che abbando-narono la primaia salvatichezza, succeduta ai tempi fale-gici; e furono obbligati del benefizio ai popoli pelasgici,e singolarmente al ramo italiano. Il quale supera in gran-dezza gli stessi Greci: sia perchè la maturità degli Ellenifu posteriore a quella degli Etruschi, e perchè i primifiori dell’ingegno ellenico sbucciarono in quella regionedove nacque il nome d’Italia, simboleggiativo della stir-pe giapetica1, e vennero educati dagli spiriti italiani; e1 Il nome d’Italia, secondo che risulta dalle medaglie e dalle varie confor-

mazioni della medesima voce nei monumenti più antichi, viene dal vitello,

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perchè, in fine, dall’Italia romana i semi greci, come icristiani, vennero portati e sparsi pel mondo. Lascio sta-re che le falde e le pendici appennine furono verosimil-mente la prisca Pelasgia, e che il parlare del Lazio pareessere stato il primogenito dei pelasgici dialetti o almenpiù conforme alla favella usata nei tempi antichissimifra le tribù incolte di Jone, di Eolo e di Doro. Laondeanche in quelle età longinque si verificò il perpetuo ci-clo italiano; chè la coltura greca, uscita d’Italia, a lei re-trocesse; e il moto verso l’Oriente incominciato sin daitempi favolosi di Dedalo e di Dardano, rinvertì versoOccidente ai giorni di Enea e di Romolo, e la Grecia tor-nò italiana e diventò latina, per poter essere europea.Quindi è che l’elemento pelasgico è assai meglio scultoe risentito fra le vecchie popolazioni italiane, chenell’Attica, nel Peloponneso e fra le joniche coloniedell’Asia minore; onde la formola primitiva del vero fumeno corrotta presso di quelle, e quindi il politeismo e ilculto medesimo ebbero più del serio, del dignitoso edell’austero. Certo, il concetto del Dio ottimo massimosoggiacque a meno alterazioni che quello del Teo omeri-co; e i conati ideali di Pitagora si disformano tanto dairudimenti di Talete1, quanto un filosofare già maschio e

simbolo giapetico e indopelasgico, analogo a quello del toro, dominantenell’Italia media e superiore, presso i Tirreni e i Taurini, come l’altro appogl’Italioti del mezzogiorno. Onde vedesi che tutta la Penisola avea sostan-zialmente un nome unico, esprimente un solo emblema etnografico, e unasola stirpe. [G.].

1 Talete, uno dei sette savi della Grecia, nato nel 639 a. C. Fondò la scuolaionica. Ammetteva come principo materiale delle cose l’acqua allo stato li-

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perchè, in fine, dall’Italia romana i semi greci, come icristiani, vennero portati e sparsi pel mondo. Lascio sta-re che le falde e le pendici appennine furono verosimil-mente la prisca Pelasgia, e che il parlare del Lazio pareessere stato il primogenito dei pelasgici dialetti o almenpiù conforme alla favella usata nei tempi antichissimifra le tribù incolte di Jone, di Eolo e di Doro. Laondeanche in quelle età longinque si verificò il perpetuo ci-clo italiano; chè la coltura greca, uscita d’Italia, a lei re-trocesse; e il moto verso l’Oriente incominciato sin daitempi favolosi di Dedalo e di Dardano, rinvertì versoOccidente ai giorni di Enea e di Romolo, e la Grecia tor-nò italiana e diventò latina, per poter essere europea.Quindi è che l’elemento pelasgico è assai meglio scultoe risentito fra le vecchie popolazioni italiane, chenell’Attica, nel Peloponneso e fra le joniche coloniedell’Asia minore; onde la formola primitiva del vero fumeno corrotta presso di quelle, e quindi il politeismo e ilculto medesimo ebbero più del serio, del dignitoso edell’austero. Certo, il concetto del Dio ottimo massimosoggiacque a meno alterazioni che quello del Teo omeri-co; e i conati ideali di Pitagora si disformano tanto dairudimenti di Talete1, quanto un filosofare già maschio e

simbolo giapetico e indopelasgico, analogo a quello del toro, dominantenell’Italia media e superiore, presso i Tirreni e i Taurini, come l’altro appogl’Italioti del mezzogiorno. Onde vedesi che tutta la Penisola avea sostan-zialmente un nome unico, esprimente un solo emblema etnografico, e unasola stirpe. [G.].

1 Talete, uno dei sette savi della Grecia, nato nel 639 a. C. Fondò la scuolaionica. Ammetteva come principo materiale delle cose l’acqua allo stato li-

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profondo dai vagiti del frivolo sensismo, o di una fisicaincerta e bambina. Nella vita operativa ed esterna, enell’istinto cosmopolitico la Grecia fu nulla innanzi aiMacedoni e alle loro falangi, laddove l’Italia toccò ilcielo, prima col ferro dei soldati, e poi col verbo dei pre-dicanti, traendo in ogni tempo da sè medesima i titoliumani della sua grandezza. E come la Chiesa di Romagiunse al colmo della gloria eziandio mondana, nonmeno che la repubblica da cui fu preceduta, così non viha forse menzione nella storia di una Cristianità più ab-bietta della bisantina, da che ruppe ogni vincolo collacomune madre; nè di un imperio più vile e codardo diquello che porta il vituperio della bassezza indelebil-mente impresso e immedesimato col suo proprio nome.

L’ingegno italiano non solo è più tenace di tutti, poi-chè più volte risorse e non ha in questa vicenda di risur-rezioni e di miracoli chi lo somigli, ma si mostra ezian-dio per le varie sue doti il più universale. Egli è del paroeminente negli ordini del pensiero, come in quellidell’azione, e accoppia, operando, l’audacia dei disegnicoll’impeto delle imprese, la prudenza nell’eleggere conla longanimità e la costanza nell’eseguire, e il fervorgiovenile col senno della vecchiezza. E mal sapresti de-finire se in lui, come pensante, più abbondi la fantasia ol’intelletto, o se la sua inventiva sia più feconda nellelettere amene e nelle arti piacevoli, o nelle austere scien-ze. Fra le quali non se ne trova alcuna per cui egli non

quido ed aggiungeva come principio motore lo spirito.

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profondo dai vagiti del frivolo sensismo, o di una fisicaincerta e bambina. Nella vita operativa ed esterna, enell’istinto cosmopolitico la Grecia fu nulla innanzi aiMacedoni e alle loro falangi, laddove l’Italia toccò ilcielo, prima col ferro dei soldati, e poi col verbo dei pre-dicanti, traendo in ogni tempo da sè medesima i titoliumani della sua grandezza. E come la Chiesa di Romagiunse al colmo della gloria eziandio mondana, nonmeno che la repubblica da cui fu preceduta, così non viha forse menzione nella storia di una Cristianità più ab-bietta della bisantina, da che ruppe ogni vincolo collacomune madre; nè di un imperio più vile e codardo diquello che porta il vituperio della bassezza indelebil-mente impresso e immedesimato col suo proprio nome.

L’ingegno italiano non solo è più tenace di tutti, poi-chè più volte risorse e non ha in questa vicenda di risur-rezioni e di miracoli chi lo somigli, ma si mostra ezian-dio per le varie sue doti il più universale. Egli è del paroeminente negli ordini del pensiero, come in quellidell’azione, e accoppia, operando, l’audacia dei disegnicoll’impeto delle imprese, la prudenza nell’eleggere conla longanimità e la costanza nell’eseguire, e il fervorgiovenile col senno della vecchiezza. E mal sapresti de-finire se in lui, come pensante, più abbondi la fantasia ol’intelletto, o se la sua inventiva sia più feconda nellelettere amene e nelle arti piacevoli, o nelle austere scien-ze. Fra le quali non se ne trova alcuna per cui egli non

quido ed aggiungeva come principio motore lo spirito.

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abbia una special vocazione, come fosse plasmato uni-camente per darvi opera; onde riesce atto e connaturatoegualmente alla filosofia e alla fisica, alla matematica eall’erudizione, alle speculazioni e agli sperimenti, allostudio dei concetti ideali, e a quello dei calcoli, deglieventi e dei fenomeni. Perciò egli prova a meraviglia inogni sorta di processo dottrinale e di metodo; e sa esse-re, secondo le occorrenze, analitico e sintetico, psicolo-gico e ontologico, osservatore accurato e sottile, sagacee ardito conghietturatore, valoroso dialettico e logico in-vitto; nè la diligenza ch’egli pone nella materia lo rendeincurioso della forma, o l’austerità del discorso gli to-glie le grazie dell’eloquenza. Insomma, se ciascuna diqueste doti si trova separatamente più squisita e perfettapresso altre nazioni, non credo che alcun popolo possacompetere coll’Italia nell’averle tutte e nel comporle in-sieme col debito temperamento. Tanto che l’ingegno ita-liano, con tutte le sue imperfezioni, è forse quello chemeglio si accosta al colmo dell’eccellenza, e occupa,come si suol dire, una media proporzionale fra gl’intel-letti degli altri popoli, e in ispecie delle nazioni celtichee germaniche; i pregi delle quali, meno contemperati,declinano di leggeri all’eccesso, e quindi si oppongonoe tenzonano scambievolmente; laddove le menti pelasgi-che, tramezzando fra loro, ne ammolliscono le contrarie-tà gareggianti, e le riducono a concordia. Laonde ancheper questo verso l’Italia par destinata a mettere in pace ipopoli di Europa; come la filosofia italiana è altresì lasola che possa accordare le speculazioni discordi degli

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abbia una special vocazione, come fosse plasmato uni-camente per darvi opera; onde riesce atto e connaturatoegualmente alla filosofia e alla fisica, alla matematica eall’erudizione, alle speculazioni e agli sperimenti, allostudio dei concetti ideali, e a quello dei calcoli, deglieventi e dei fenomeni. Perciò egli prova a meraviglia inogni sorta di processo dottrinale e di metodo; e sa esse-re, secondo le occorrenze, analitico e sintetico, psicolo-gico e ontologico, osservatore accurato e sottile, sagacee ardito conghietturatore, valoroso dialettico e logico in-vitto; nè la diligenza ch’egli pone nella materia lo rendeincurioso della forma, o l’austerità del discorso gli to-glie le grazie dell’eloquenza. Insomma, se ciascuna diqueste doti si trova separatamente più squisita e perfettapresso altre nazioni, non credo che alcun popolo possacompetere coll’Italia nell’averle tutte e nel comporle in-sieme col debito temperamento. Tanto che l’ingegno ita-liano, con tutte le sue imperfezioni, è forse quello chemeglio si accosta al colmo dell’eccellenza, e occupa,come si suol dire, una media proporzionale fra gl’intel-letti degli altri popoli, e in ispecie delle nazioni celtichee germaniche; i pregi delle quali, meno contemperati,declinano di leggeri all’eccesso, e quindi si oppongonoe tenzonano scambievolmente; laddove le menti pelasgi-che, tramezzando fra loro, ne ammolliscono le contrarie-tà gareggianti, e le riducono a concordia. Laonde ancheper questo verso l’Italia par destinata a mettere in pace ipopoli di Europa; come la filosofia italiana è altresì lasola che possa accordare le speculazioni discordi degli

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altri paesi, mediante una sapienza più eccelsa, che con-cilii gli oppositi e immedesimi i contrari conquell’armonia sapiente il cui concetto più antico fu pureun trovato della scuola italica. Insomma il tipodell’ingegno italiano per la finezza delle sue proporzionie l’euritmia di ogni sua parte, mi sembra essere negli or-dini dello spirito ciò che è il tipo caucasico o vogliamdir greco, rispetto alle fattezze e alle forme del corpo.Non ignoro che oggi corre l’uso di dare alla stirpe ger-manca una maggioranza fisiologica e morale, per nondire istorica; giacchè i sogni del Rudbeck e del Becano1

non sono affatto dismessi benchè abbiano cangiato for-ma. Ma io, con tutto il rispetto che porto alla ingegnosae generosa nazione tedesca (il quale è grande e sinceris-simo), chiederò licenza di dubitare che per gli incremen-ti della popolazione, la longevità della vita, la buona di-sposizione del corpo, e la frequenza o la forza degli in-gegni ella ci avanzi. Sarò anzi temerario a segno di cre-dere che per la formosità del volto e la proporzione dellemembra il tipo italiano e greco, generalmente parlando,soprastia a quello dei popoli boreali; o almeno lo terròper verisimile, finchè i Policleti e i Prassiteli del nortenon mi mostrino il contrario. E sebbene sia fuor di dub-bio che noi siamo civilmente scaduti, e che gli avoli no-stri vennero conquistati, ciò non mi pare che debiliti la1 Rudbeck Olov, svedese, n. in Westeras nel 1630, m. nel 1702, autore della

Atland eller Manheim, vera Iapheti posterorum sedes et patria. Il Becan èGorophius Becanus, belga, nato nel Brabante nel l5l8 morto a Maestrichtnel 1572. Nelle sue Origines Antwerpianae (Anversa, 1509) sostiene chela lingua parlata da Adamo fu il teutonico.

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altri paesi, mediante una sapienza più eccelsa, che con-cilii gli oppositi e immedesimi i contrari conquell’armonia sapiente il cui concetto più antico fu pureun trovato della scuola italica. Insomma il tipodell’ingegno italiano per la finezza delle sue proporzionie l’euritmia di ogni sua parte, mi sembra essere negli or-dini dello spirito ciò che è il tipo caucasico o vogliamdir greco, rispetto alle fattezze e alle forme del corpo.Non ignoro che oggi corre l’uso di dare alla stirpe ger-manca una maggioranza fisiologica e morale, per nondire istorica; giacchè i sogni del Rudbeck e del Becano1

non sono affatto dismessi benchè abbiano cangiato for-ma. Ma io, con tutto il rispetto che porto alla ingegnosae generosa nazione tedesca (il quale è grande e sinceris-simo), chiederò licenza di dubitare che per gli incremen-ti della popolazione, la longevità della vita, la buona di-sposizione del corpo, e la frequenza o la forza degli in-gegni ella ci avanzi. Sarò anzi temerario a segno di cre-dere che per la formosità del volto e la proporzione dellemembra il tipo italiano e greco, generalmente parlando,soprastia a quello dei popoli boreali; o almeno lo terròper verisimile, finchè i Policleti e i Prassiteli del nortenon mi mostrino il contrario. E sebbene sia fuor di dub-bio che noi siamo civilmente scaduti, e che gli avoli no-stri vennero conquistati, ciò non mi pare che debiliti la1 Rudbeck Olov, svedese, n. in Westeras nel 1630, m. nel 1702, autore della

Atland eller Manheim, vera Iapheti posterorum sedes et patria. Il Becan èGorophius Becanus, belga, nato nel Brabante nel l5l8 morto a Maestrichtnel 1572. Nelle sue Origines Antwerpianae (Anversa, 1509) sostiene chela lingua parlata da Adamo fu il teutonico.

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mia sentenza; perchè la declinazione di alcune stirpi e ilpredominio delle altre è un semplice effetto delle condi-zioni sociali per cui esse corrono successivamente, enon dell’intima loro natura. La sentenza contraria ècombattuta dall’istoria; la quale ci insegna che i Celti, iPelasgi e le altre schiatte furono conquistatrici, comeprima giunsero a quel periodo della vita loro che corri-sponde allo stato in cui si trovavano i popoli borealiquando le vinsero. Che se in generale si sentenziasse iconquistatori valer più per ingegno dei conquistati, sta-remmo freschi; perchè, argomentando dalle nazioni agliindividui, il celebre Milone1 atleta avrebbe dovuto esse-re più arguto di Omero, e l’ingegno si dovrebbe riporrenei muscoli, nello stomaco e nelle braccia; cosa che nonpuò immaginarsi se non da coloro che l’hanno ne’ piedi.Non mi sembra pure che abbia del grave il commendarei Tedeschi, perchè diedero all’Europa il patriziato feuda-le e le famiglie regnatrici; giacchè amendue queste cosefurono effetto della conquista, e non arguiscono maggiorsenno di essa. Nè io veggo che al dì d’oggi in Italia, odin Francia, in Ispagna, in Portogallo, in Inghilterra, i no-bili prevalgano ai popolani per bontà d’ingegno e felici-tà di natura; anzi, se i patrizi me lo permettono, sarei in-clinato a credere il contrario, in quanto, ragguagliati ivantaggi di fortuna, gli uomini colti e grandi in ogni ge-nere mi paiono assai più rari nelle classi priviegiate. Ora

1 Milone Crotoniate fu uno dei più famosi atleti della Magna Grecia. Ateneoracconta che dopo avere percorso tutto lo stadio con un toro di 4 anni sullespalle lo uccise con un pugno e se lo mangiò tutto in un giorno.

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mia sentenza; perchè la declinazione di alcune stirpi e ilpredominio delle altre è un semplice effetto delle condi-zioni sociali per cui esse corrono successivamente, enon dell’intima loro natura. La sentenza contraria ècombattuta dall’istoria; la quale ci insegna che i Celti, iPelasgi e le altre schiatte furono conquistatrici, comeprima giunsero a quel periodo della vita loro che corri-sponde allo stato in cui si trovavano i popoli borealiquando le vinsero. Che se in generale si sentenziasse iconquistatori valer più per ingegno dei conquistati, sta-remmo freschi; perchè, argomentando dalle nazioni agliindividui, il celebre Milone1 atleta avrebbe dovuto esse-re più arguto di Omero, e l’ingegno si dovrebbe riporrenei muscoli, nello stomaco e nelle braccia; cosa che nonpuò immaginarsi se non da coloro che l’hanno ne’ piedi.Non mi sembra pure che abbia del grave il commendarei Tedeschi, perchè diedero all’Europa il patriziato feuda-le e le famiglie regnatrici; giacchè amendue queste cosefurono effetto della conquista, e non arguiscono maggiorsenno di essa. Nè io veggo che al dì d’oggi in Italia, odin Francia, in Ispagna, in Portogallo, in Inghilterra, i no-bili prevalgano ai popolani per bontà d’ingegno e felici-tà di natura; anzi, se i patrizi me lo permettono, sarei in-clinato a credere il contrario, in quanto, ragguagliati ivantaggi di fortuna, gli uomini colti e grandi in ogni ge-nere mi paiono assai più rari nelle classi priviegiate. Ora

1 Milone Crotoniate fu uno dei più famosi atleti della Magna Grecia. Ateneoracconta che dopo avere percorso tutto lo stadio con un toro di 4 anni sullespalle lo uccise con un pugno e se lo mangiò tutto in un giorno.

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i popolani nei detti paesi non debbono essere di ceppogermanico, ma più tosto discendere dalla linea dei vinti,cioè dei vecchi abitatori; il che mostra che un popoloammollito e divenuto preda d’invasori barbarici, dopo ilservaggio di molti secoli, può ripigliar nuovi spiriti,come un campo svigorito che, lasciato in riposo perqualche anno, ritorna in succhio e raddoppia il ricolto. Etal è, in effetto, la morale vicenda che sinora si è vedutanelle varie stirpi, alle quali accade ciò che Orazio avver-te delle lingue1, dove i vocaboli correnti si dismettonocoll’andar del tempo, e gli antiquati ripigliano l’anticovigore. Il che avrà luogo finchè, abolito affatto il regnodella violenza, per opera del Cristianesimo, e fuse insie-me le razze, il genere umano piglierà un assetto più fer-mo, e andrà di buon portante e con moto equabile, non asalti ed a scoppi di stragi e di rivoluzioni, com’è cammi-nato finora; imitando la natura che, concotta l’internafebbre da cui venne agitata per molti secoli (e che durain parte ancor oggi in alcuni paesi), e vinto il furore deicataclismi e delle eruzioni vulcaniche, è uscita, comedire, dallo stato di barbarie e di guerra, per entrare negliordini pacifici e civili, dove tutto corre a norma di leggistabili e tranquille, con placido e uniforme movimento.

1 Nei versi 60-62 dell’Arte poetica: «Ut silvae foliis pronos mutantur in an-nos,| Prima cadunt: ita verborum vetus interit aetas,| Et iuvenum ritu flo-rent modo nata vigentque».

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i popolani nei detti paesi non debbono essere di ceppogermanico, ma più tosto discendere dalla linea dei vinti,cioè dei vecchi abitatori; il che mostra che un popoloammollito e divenuto preda d’invasori barbarici, dopo ilservaggio di molti secoli, può ripigliar nuovi spiriti,come un campo svigorito che, lasciato in riposo perqualche anno, ritorna in succhio e raddoppia il ricolto. Etal è, in effetto, la morale vicenda che sinora si è vedutanelle varie stirpi, alle quali accade ciò che Orazio avver-te delle lingue1, dove i vocaboli correnti si dismettonocoll’andar del tempo, e gli antiquati ripigliano l’anticovigore. Il che avrà luogo finchè, abolito affatto il regnodella violenza, per opera del Cristianesimo, e fuse insie-me le razze, il genere umano piglierà un assetto più fer-mo, e andrà di buon portante e con moto equabile, non asalti ed a scoppi di stragi e di rivoluzioni, com’è cammi-nato finora; imitando la natura che, concotta l’internafebbre da cui venne agitata per molti secoli (e che durain parte ancor oggi in alcuni paesi), e vinto il furore deicataclismi e delle eruzioni vulcaniche, è uscita, comedire, dallo stato di barbarie e di guerra, per entrare negliordini pacifici e civili, dove tutto corre a norma di leggistabili e tranquille, con placido e uniforme movimento.

1 Nei versi 60-62 dell’Arte poetica: «Ut silvae foliis pronos mutantur in an-nos,| Prima cadunt: ita verborum vetus interit aetas,| Et iuvenum ritu flo-rent modo nata vigentque».

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II. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZEFILOSOFICHE

Il principio protologico del sapere domina nelle suespeculazioni.

La maggioranza dell’Italia nell’uso del pensiero spe-culativo risulta dalle cose discorse; imperocchè essasola possiede e conserva intatto il principio protologicodel sapere, che, oltre all’essere comune a tutte le partidella enciclopedia, appartiene in modo specialissimoalle dottrine razionali, e costituisce la prima scienza,base e vestibolo di ogni speculazione. E siccomel’assioma di creazione1 è dismesso o almeno oscurato ealterato dalle scuole acattoliche, e da tutte quelle che sisottrassero alle influenze italiane, la protologia si puòmeritamente considerare come un privilegio della filo-sofia italica. E certo è ragionevole che dove si serba ilPrimo biblico ed enciclopedico, ivi solo la prima scien-za non sia un vano conato, nè uno sterile desiderio. Del-la quale i savi eterodossi antichi e moderni hanno ilnome soltanto e le sembianze; perchè, ignorando o ripu-diando il principio di creazione, son costretti a introdur-re una confusione prepostera o un divorzio assurdo neiprincipii del sapere, e a pigliar le mosse dei loro discorsi

1 Col termine teologico e metafisico di creazione si designa l’atto per cui laDivinità ha prodotto il mondo e gli esseri che in esso si trovano, senzal’aiuto di alcuna materia preesistente.

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II. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZEFILOSOFICHE

Il principio protologico del sapere domina nelle suespeculazioni.

La maggioranza dell’Italia nell’uso del pensiero spe-culativo risulta dalle cose discorse; imperocchè essasola possiede e conserva intatto il principio protologicodel sapere, che, oltre all’essere comune a tutte le partidella enciclopedia, appartiene in modo specialissimoalle dottrine razionali, e costituisce la prima scienza,base e vestibolo di ogni speculazione. E siccomel’assioma di creazione1 è dismesso o almeno oscurato ealterato dalle scuole acattoliche, e da tutte quelle che sisottrassero alle influenze italiane, la protologia si puòmeritamente considerare come un privilegio della filo-sofia italica. E certo è ragionevole che dove si serba ilPrimo biblico ed enciclopedico, ivi solo la prima scien-za non sia un vano conato, nè uno sterile desiderio. Del-la quale i savi eterodossi antichi e moderni hanno ilnome soltanto e le sembianze; perchè, ignorando o ripu-diando il principio di creazione, son costretti a introdur-re una confusione prepostera o un divorzio assurdo neiprincipii del sapere, e a pigliar le mosse dei loro discorsi

1 Col termine teologico e metafisico di creazione si designa l’atto per cui laDivinità ha prodotto il mondo e gli esseri che in esso si trovano, senzal’aiuto di alcuna materia preesistente.

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dal dualismo o dal panteismo1. I quali sistemi, non chevantaggiare la scienza, ne sono i maggiori nemici; per-chè, unificando il molteplice, o moltiplicando l’uno, so-stituiscono alla luce e all’ordine scientifico le tenebre elo scompiglio. Il sodo e verace sapere abbisognadell’unità e della varietà insieme composte per guisa,che questa a quella ubbidisca, e la congiunzione non leconfonda, nè la distinzione le separi, parificandole omettendo l’una in gara coll’altra. Il panteista, che sisforza d’immedesimare i contrari e di unificare il molte-plice, è astretto a trinciar l’uno e a diversificare l’identi-co, mischiando da un lato le differenze, e variandodall’altro le medesimezze; il che torna appunto a rove-scio del lavoro riflessivo e scientifico. Tanto che egli faretrocedere la distinzione riflessa del conoscimento ver-so la confusione intuitiva, impotente per sè stessa a ordi-nare la scienza; anzi cancella perfino quei primi e rozzilineamenti dell’intuito che porgono un filo di guida allariflession succedente, e sono quasi le spallette o gli stec-coni che contrassegnano la via praticabile dai ripensanti,acciò non errino a caso, ma per diritto sentiero giunganoalla meta. Il panteismo si può quindi paragonare a quel

1 Col nome di dualismo si designa qualsiasi dottrina, sia filosofica che reli-giosa, che spinge a un dato ordine di cose e di fatti o tutto l’insieme dellecose e dei fatti, l’universo, come la risultante di due principii, di due causedistinte ed opposte e perciò irriducibili l’una all’altra. Il panteismo è ladottrina filosofica che identifica la divinità col mondo, e concepisce l’unoe il molteplice, il finito e l’infinito, la natura naturata e naturante come dueaspetti differenti ma inseparabili di un essere unico, dell’essere divino.(Cfr. C. RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche, Milano, 1916).

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dal dualismo o dal panteismo1. I quali sistemi, non chevantaggiare la scienza, ne sono i maggiori nemici; per-chè, unificando il molteplice, o moltiplicando l’uno, so-stituiscono alla luce e all’ordine scientifico le tenebre elo scompiglio. Il sodo e verace sapere abbisognadell’unità e della varietà insieme composte per guisa,che questa a quella ubbidisca, e la congiunzione non leconfonda, nè la distinzione le separi, parificandole omettendo l’una in gara coll’altra. Il panteista, che sisforza d’immedesimare i contrari e di unificare il molte-plice, è astretto a trinciar l’uno e a diversificare l’identi-co, mischiando da un lato le differenze, e variandodall’altro le medesimezze; il che torna appunto a rove-scio del lavoro riflessivo e scientifico. Tanto che egli faretrocedere la distinzione riflessa del conoscimento ver-so la confusione intuitiva, impotente per sè stessa a ordi-nare la scienza; anzi cancella perfino quei primi e rozzilineamenti dell’intuito che porgono un filo di guida allariflession succedente, e sono quasi le spallette o gli stec-coni che contrassegnano la via praticabile dai ripensanti,acciò non errino a caso, ma per diritto sentiero giunganoalla meta. Il panteismo si può quindi paragonare a quel

1 Col nome di dualismo si designa qualsiasi dottrina, sia filosofica che reli-giosa, che spinge a un dato ordine di cose e di fatti o tutto l’insieme dellecose e dei fatti, l’universo, come la risultante di due principii, di due causedistinte ed opposte e perciò irriducibili l’una all’altra. Il panteismo è ladottrina filosofica che identifica la divinità col mondo, e concepisce l’unoe il molteplice, il finito e l’infinito, la natura naturata e naturante come dueaspetti differenti ma inseparabili di un essere unico, dell’essere divino.(Cfr. C. RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche, Milano, 1916).

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caos finale e assoluto che venne immaginato da certi fi-losofi ateisti1; il quale non solo ridurrebbe il mondoall’antico disordine, ma renderebbe impossibile ogni co-smogonia ulteriore, spegnendo quei semi vitali che gal-leggiavano nella notte primitiva, e fecero uscir dal suogrembo le meraviglie che veggiamo. I conati del duali-sta riescono ancor più vani e meschini; conciossiachè,oltre al dimezzare il concetto di Dio, egli annullal’essenza del sapere, riposta nell’ordine, nella euritmia,nella disposizione e concatenazione sistematica dei prin-cipii e delle conclusioni; le quali cose non altrimenti cheil numero e l’armonia cosmica, abbisognano di unità.Nè si può rimediare agl’inconvenienti del panteismo edel dualismo, accoppiando e temperando l’unocoll’altro, conforme al tentativo di alcuni antichi, e spe-cialmente di Pitagora; e come fece tra i moderni il cele-bre Hegel, il cui sistema, per dirlo di passata, è nella suasostanza un rinnovamento (peggiorato in parte) del Pita-gorismo, e un ritorno alla filosofia bambina del gentile-simo. Imperocchè nella teorica egheliana la contrarietàviene annullata dalla medesimezza, e il dualismo, conrimedio peggior del male, è corretto e medicato dal pan-teismo. Non si avvide l’ingegnoso Tedesco che la dialet-tica conciliatrice non dee lavorare sul concetto di mede-simezza, ma su quello di creazione; e che quindi nondee cercare nel pensiero assoluto la sostanziale coesi-

1 Nella teologia cattolica si distinguono tre categorie di atei: i negativi, idogmatici e gli scettici. Questa triplice partizione è adottata anchedall’Enciclopedia del Diderot.

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caos finale e assoluto che venne immaginato da certi fi-losofi ateisti1; il quale non solo ridurrebbe il mondoall’antico disordine, ma renderebbe impossibile ogni co-smogonia ulteriore, spegnendo quei semi vitali che gal-leggiavano nella notte primitiva, e fecero uscir dal suogrembo le meraviglie che veggiamo. I conati del duali-sta riescono ancor più vani e meschini; conciossiachè,oltre al dimezzare il concetto di Dio, egli annullal’essenza del sapere, riposta nell’ordine, nella euritmia,nella disposizione e concatenazione sistematica dei prin-cipii e delle conclusioni; le quali cose non altrimenti cheil numero e l’armonia cosmica, abbisognano di unità.Nè si può rimediare agl’inconvenienti del panteismo edel dualismo, accoppiando e temperando l’unocoll’altro, conforme al tentativo di alcuni antichi, e spe-cialmente di Pitagora; e come fece tra i moderni il cele-bre Hegel, il cui sistema, per dirlo di passata, è nella suasostanza un rinnovamento (peggiorato in parte) del Pita-gorismo, e un ritorno alla filosofia bambina del gentile-simo. Imperocchè nella teorica egheliana la contrarietàviene annullata dalla medesimezza, e il dualismo, conrimedio peggior del male, è corretto e medicato dal pan-teismo. Non si avvide l’ingegnoso Tedesco che la dialet-tica conciliatrice non dee lavorare sul concetto di mede-simezza, ma su quello di creazione; e che quindi nondee cercare nel pensiero assoluto la sostanziale coesi-

1 Nella teologia cattolica si distinguono tre categorie di atei: i negativi, idogmatici e gli scettici. Questa triplice partizione è adottata anchedall’Enciclopedia del Diderot.

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stenza dei contrari, ma bensì nella volontà assoluta lacausa che li produce. Il principio di creazione1 è il pernosu cui vuole aggirarsi la scienza prima; la quale conse-guentemente non è possibile, se non dove risuona il ver-bo cattolico nella sua purezza, e dove le dottrine pantei-stiche furono in ogni tempo uno scandalo ancora piùsingolare che raro.

Il panteismo schietto e assoluto fu sempre ignoto all’Italia.Delle varie epoche o forme della filosofia italiana.

Prima forma; il Pitagorismo: sue lodi.

E tale appunto è l’Italia; la cui filosofia, primogenitadi Occidente, si rinnovellò più volte sotto varie forme,secondo le diverse vicende civili della penisola, ma simantenne pura dalla tabe del panteismo o ne fu menoinfetta che quella degli altri paesi. Prima di Cristo tuttele filosofie eterodosse vacillarono fra questo sistema e ildualismo, e furono un composto ingegnoso od informe,e più o meno omogeneo od eterogeneo di questi due si-stemi. Il panteismo quasi schietto prevalse in Oriente, sesi eccettuano le sêtte di Confusio e di Zoroastre, le qualimiravano più alla pratica, che alla speculazione, eranopiù attive e morali, che raziocinative, e quindi doveanofra le due opposte teoriche appigliarsi a quella che me-glio poneva in salvo la libertà umana. Tuttavia la dualitàdell’Iching e dei Naschi adombra oscuramente un’ante-riore unità panteistica; e le sottili speculazioni dei loro

1 Intorno al principio di creazione cfr. il capitolo IV del Libro I della Intro-duzione allo studio della filosofia del Gioberti.

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stenza dei contrari, ma bensì nella volontà assoluta lacausa che li produce. Il principio di creazione1 è il pernosu cui vuole aggirarsi la scienza prima; la quale conse-guentemente non è possibile, se non dove risuona il ver-bo cattolico nella sua purezza, e dove le dottrine pantei-stiche furono in ogni tempo uno scandalo ancora piùsingolare che raro.

Il panteismo schietto e assoluto fu sempre ignoto all’Italia.Delle varie epoche o forme della filosofia italiana.

Prima forma; il Pitagorismo: sue lodi.

E tale appunto è l’Italia; la cui filosofia, primogenitadi Occidente, si rinnovellò più volte sotto varie forme,secondo le diverse vicende civili della penisola, ma simantenne pura dalla tabe del panteismo o ne fu menoinfetta che quella degli altri paesi. Prima di Cristo tuttele filosofie eterodosse vacillarono fra questo sistema e ildualismo, e furono un composto ingegnoso od informe,e più o meno omogeneo od eterogeneo di questi due si-stemi. Il panteismo quasi schietto prevalse in Oriente, sesi eccettuano le sêtte di Confusio e di Zoroastre, le qualimiravano più alla pratica, che alla speculazione, eranopiù attive e morali, che raziocinative, e quindi doveanofra le due opposte teoriche appigliarsi a quella che me-glio poneva in salvo la libertà umana. Tuttavia la dualitàdell’Iching e dei Naschi adombra oscuramente un’ante-riore unità panteistica; e le sottili speculazioni dei loro

1 Intorno al principio di creazione cfr. il capitolo IV del Libro I della Intro-duzione allo studio della filosofia del Gioberti.

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interpreti sul Taichi e sul Zeruane Acherene, ti fanno su-bodorare l’emanatismo antichissimo dei primi Taosi(anteriori a Laotsè, e probabilmente identici ai Samaneidell’Asia centrale e dell’India boreale, i quali paionoaver preceduto l’ultimo Budda di parecchi secoli), e for-se di Uscèng e di Aoma1. Ora, fra tutte le antiche scuole,quella che meglio si appressò al vero, rasentando, percosì dire, il gran dogma della creazione, ebbe la sua cul-la in Occidente, fu in gran parte una gloria italiana, e di-venne in sèguito progenitrice della filosofia greca. Pita-gora, Socrate, Platone, splendori di questa, furono treuomini presso che cattolici, secondo l’età in cui vissero;a comparazione dei quali le altre sêtte coetanee quasiscismatiche ed eretiche appariscono. Ma tutti e tre co-nobbero l’imperfezione di quella ortodossia gentilesca,e aspirarono indarno a ricomporre la fede primitiva; tuttie tre sentirono profondamente la necessità di un nuovolume rivelato per dissipare le tenebre dei loro tempi. Ilprimo di essi, nostrale anzichè greco, e nudrito dellavecchia sapienza dorica, etrusca e pelasgica, fondò lascuola italica, e fu il ritratto più splendido che la storiaci porga del prisco senno italiano. Quattro sono le notepiù insigni del Pitagorismo2 in cui risiede la forma più

1 Il Gioberti studiò questo sistema di filosofia negli Essais sur la philoso-phie des Hindons del Colebrook (trad. francese del Pauthier, 1833). Cfr.Cartaggio Gioberti-Massari, edito da C. Balsamo-Crivelli, Torino, FratelliBocca, 1820, pag. 84.

2 Il pitagorismo considerava il numero come il principio essenziale dellecose. Vedi intorno a questo sistema A. COVOTTI, La filosofia nella MagnaGrecia e la Sicilia fino a Socrate, 1900

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interpreti sul Taichi e sul Zeruane Acherene, ti fanno su-bodorare l’emanatismo antichissimo dei primi Taosi(anteriori a Laotsè, e probabilmente identici ai Samaneidell’Asia centrale e dell’India boreale, i quali paionoaver preceduto l’ultimo Budda di parecchi secoli), e for-se di Uscèng e di Aoma1. Ora, fra tutte le antiche scuole,quella che meglio si appressò al vero, rasentando, percosì dire, il gran dogma della creazione, ebbe la sua cul-la in Occidente, fu in gran parte una gloria italiana, e di-venne in sèguito progenitrice della filosofia greca. Pita-gora, Socrate, Platone, splendori di questa, furono treuomini presso che cattolici, secondo l’età in cui vissero;a comparazione dei quali le altre sêtte coetanee quasiscismatiche ed eretiche appariscono. Ma tutti e tre co-nobbero l’imperfezione di quella ortodossia gentilesca,e aspirarono indarno a ricomporre la fede primitiva; tuttie tre sentirono profondamente la necessità di un nuovolume rivelato per dissipare le tenebre dei loro tempi. Ilprimo di essi, nostrale anzichè greco, e nudrito dellavecchia sapienza dorica, etrusca e pelasgica, fondò lascuola italica, e fu il ritratto più splendido che la storiaci porga del prisco senno italiano. Quattro sono le notepiù insigni del Pitagorismo2 in cui risiede la forma più

1 Il Gioberti studiò questo sistema di filosofia negli Essais sur la philoso-phie des Hindons del Colebrook (trad. francese del Pauthier, 1833). Cfr.Cartaggio Gioberti-Massari, edito da C. Balsamo-Crivelli, Torino, FratelliBocca, 1820, pag. 84.

2 Il pitagorismo considerava il numero come il principio essenziale dellecose. Vedi intorno a questo sistema A. COVOTTI, La filosofia nella MagnaGrecia e la Sicilia fino a Socrate, 1900

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antica e nel tempo medesimo più pellegrina della nostrafilosofia. La prima di esse è l’universalità in ogni gene-re; perchè il savio di Crotona congiunse la vita operativacolla contemplativa, l’arte colla religione, e il suo insti-tuto fu ad un tempo un culto, una repubblica, un ceno-bio, un liceo, una scuola e un’accademia. Il secondo ca-rattere è l'universalità letteraria e scientifica; imperocchèi Pitagorici ritrassero al vivo la mente enciclopedica de-gli italiani, e abbracciarono ogni disciplina possibileall’età loro, senza contentarsi di cognizioni segregate,ma studiando le attinenze reciproche di tutto lo scibile, eaccoppiando al rigor dottrinale il lenocinio dei miti e ilsimbolismo dei numeri. Quindi è che presentirono moltitrovati scientifici e parecchie fantasie dei moderni; e ap-plicando la musica all’astronomia, furono in poesia i fo-rieri di Dante, e nelle speculazioni celesti i precursoridel Keplero1, del Galilei e del Copernico. Il tempera-mento del panteismo orientale, mediante la dualità cate-gorica dei dieci principii contrari, è il terzo contrasegnodella scuola italica; e ciò che nei moderni, come peresempio, nell’Hegel, è un regresso, fu un vero migliora-mento ai giorni del samio o tirrenio filosofo. Tanto piùche nel sistema pitagorico la monade sovrasta alla diadeassai più spiccatamente che nel dualismo egeliano, e ilprincipio che unifica i contrari e concilia le differenze,interzandosi fra loro, è l’armonia e non la medesimezza.

1 Celebre astronomo, nato a Viel (Wurtemberg) nel 1571, m. a Ratisbona nel1630. Fu il primo a introdurre l’idea dell’infinito nella geometria e fececosì fare alla scienza un primo passo verso il calcolo infinitesimale.

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antica e nel tempo medesimo più pellegrina della nostrafilosofia. La prima di esse è l’universalità in ogni gene-re; perchè il savio di Crotona congiunse la vita operativacolla contemplativa, l’arte colla religione, e il suo insti-tuto fu ad un tempo un culto, una repubblica, un ceno-bio, un liceo, una scuola e un’accademia. Il secondo ca-rattere è l'universalità letteraria e scientifica; imperocchèi Pitagorici ritrassero al vivo la mente enciclopedica de-gli italiani, e abbracciarono ogni disciplina possibileall’età loro, senza contentarsi di cognizioni segregate,ma studiando le attinenze reciproche di tutto lo scibile, eaccoppiando al rigor dottrinale il lenocinio dei miti e ilsimbolismo dei numeri. Quindi è che presentirono moltitrovati scientifici e parecchie fantasie dei moderni; e ap-plicando la musica all’astronomia, furono in poesia i fo-rieri di Dante, e nelle speculazioni celesti i precursoridel Keplero1, del Galilei e del Copernico. Il tempera-mento del panteismo orientale, mediante la dualità cate-gorica dei dieci principii contrari, è il terzo contrasegnodella scuola italica; e ciò che nei moderni, come peresempio, nell’Hegel, è un regresso, fu un vero migliora-mento ai giorni del samio o tirrenio filosofo. Tanto piùche nel sistema pitagorico la monade sovrasta alla diadeassai più spiccatamente che nel dualismo egeliano, e ilprincipio che unifica i contrari e concilia le differenze,interzandosi fra loro, è l’armonia e non la medesimezza.

1 Celebre astronomo, nato a Viel (Wurtemberg) nel 1571, m. a Ratisbona nel1630. Fu il primo a introdurre l’idea dell’infinito nella geometria e fececosì fare alla scienza un primo passo verso il calcolo infinitesimale.

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Finalmente (e questo è il quarto e ultimo distintivo) sidee attribuire ai savi della Magna Grecia il primo germeoccidentale del realismo speculativo e politico, che faprofessione di riconoscere nei concetti razionali e nei di-ritti civili una realtà obbiettiva, un valore assoluto, divi-no e indipendente non meno dall’arbitrio degli uomini,che dalla contingenza delle cose create e dal capricciodelle instituzioni foggiate sovra di quelli. Il realismometafisico dei Pitagorici, redato e maturato da Platone edagli Alessandrini colla dottrina del Logo e del Demiur-go1, passò nella scuola cristiana, dove fu svolto e nettoda ogni macchia di panteismo, per industria speciale diAgostino, di Anselmo, di Bonaventura e Tommaso; iquali compongono la tetrarchia della speculazione catto-lica che precedette il gentilesimo risorto di Lutero e diCartesio. Il realismo civile poi, cioè la monarchia eredi-taria, temperata dall’aristocrazia naturale ed elettiva, eformante l’ideale dorico e pelasgico del politico reggi-mento, modellato sul Cosmo pitagoreo, in cui la terra egli altri pianeti si aggirano intorno al sole immoto conperpetuo e armonico circolamento, fu dalla scuola croto-niate tramandato all’etrusca Roma; e la favola che fecedi Numa un alunno di Pitagora, come ho avvertito altro-ve, tiene assai dell’istoria. La repubblica romana fu unvero interregno nato dagli abusi del principato; e quel1 Nel sistema di Platone il logos è quella parte dell’anima umana che abita

nel capo e il demiurgo è Dio, la ragione divina che guardando alle idee delbene dà forma al mondo, ordina la materia che già prima esisteva, gli in-fonde l’anima e lo dota del tempo. (Cfr. FRACCAROLI, Il Timeo, Torino,1906, pag. 220, n. 3).

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Finalmente (e questo è il quarto e ultimo distintivo) sidee attribuire ai savi della Magna Grecia il primo germeoccidentale del realismo speculativo e politico, che faprofessione di riconoscere nei concetti razionali e nei di-ritti civili una realtà obbiettiva, un valore assoluto, divi-no e indipendente non meno dall’arbitrio degli uomini,che dalla contingenza delle cose create e dal capricciodelle instituzioni foggiate sovra di quelli. Il realismometafisico dei Pitagorici, redato e maturato da Platone edagli Alessandrini colla dottrina del Logo e del Demiur-go1, passò nella scuola cristiana, dove fu svolto e nettoda ogni macchia di panteismo, per industria speciale diAgostino, di Anselmo, di Bonaventura e Tommaso; iquali compongono la tetrarchia della speculazione catto-lica che precedette il gentilesimo risorto di Lutero e diCartesio. Il realismo civile poi, cioè la monarchia eredi-taria, temperata dall’aristocrazia naturale ed elettiva, eformante l’ideale dorico e pelasgico del politico reggi-mento, modellato sul Cosmo pitagoreo, in cui la terra egli altri pianeti si aggirano intorno al sole immoto conperpetuo e armonico circolamento, fu dalla scuola croto-niate tramandato all’etrusca Roma; e la favola che fecedi Numa un alunno di Pitagora, come ho avvertito altro-ve, tiene assai dell’istoria. La repubblica romana fu unvero interregno nato dagli abusi del principato; e quel1 Nel sistema di Platone il logos è quella parte dell’anima umana che abita

nel capo e il demiurgo è Dio, la ragione divina che guardando alle idee delbene dà forma al mondo, ordina la materia che già prima esisteva, gli in-fonde l’anima e lo dota del tempo. (Cfr. FRACCAROLI, Il Timeo, Torino,1906, pag. 220, n. 3).

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vasto ingegno di Cesare, se invece di ripigliar l’operadei Gracchi, avesse riassunta quella di Romolo e di Ser-vio Tullio, ritirando lo stato latino verso i suoi principii,accordando il patriziato colla plebe mediante l’armoniamoderatrice di un braccio regio, e prevenendo i conatipoco durevoli, perchè troppo serotini, di Nerva e di Tra-iano, sarebbe stato salvatore e non parricida della patria.

Seconda forma; la filosofia latina.Terza forma; la filosofia de’ Padri.

Quarta forma; il realismo dei bassi tempi,il quale fu un sistema sovrattutto italiano.

Roma etrusca non si giovò solo dell’idea pitagoricaper migliorare la forma della sua cittadinanza, ma piùtardi ne ricevette eziandio le dottrine speculative, quan-do i semi filosofici sparsi nell’Italia australe dal figliuo-lo di Mnesarco, e portati in Grecia, trapassando nel La-zio, ripatriarono. Imperocchè le tre scuole elleniche piùillustri, cioè l’Accademia, la Stoa e il Peripato1, figliatedal moto socratico, furono pronipoti delle orgie italiote;e il gran principio del Noo, ordinatore dell’Ile e distintoda essa, cui Socrate tolse dal suo maestro Anassagora2, è

1 Col nome di Accademia si designa la scuola di Platone, con quello di Stoalo stoicismo, che ebbe la sua prima sede nel Portico pecile, e di Peripato lafilosofia di Aristotele, perchè i suoi seguaci studiavano e insegnavano pas-seggiando al Liceo.

2 Anassagora, n. a Clazomene verso il 500 a. C., m. a Lampsaco nel 428, in-segnò come esistesse ad origine una quantità di elementi di diversa naturama che questi elementi erano tutti mescolati e confusi nel caos, e che biso-gnò un’intelligenza suprema per superare gli elementi omogenei detti dalui omeomerie.

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vasto ingegno di Cesare, se invece di ripigliar l’operadei Gracchi, avesse riassunta quella di Romolo e di Ser-vio Tullio, ritirando lo stato latino verso i suoi principii,accordando il patriziato colla plebe mediante l’armoniamoderatrice di un braccio regio, e prevenendo i conatipoco durevoli, perchè troppo serotini, di Nerva e di Tra-iano, sarebbe stato salvatore e non parricida della patria.

Seconda forma; la filosofia latina.Terza forma; la filosofia de’ Padri.

Quarta forma; il realismo dei bassi tempi,il quale fu un sistema sovrattutto italiano.

Roma etrusca non si giovò solo dell’idea pitagoricaper migliorare la forma della sua cittadinanza, ma piùtardi ne ricevette eziandio le dottrine speculative, quan-do i semi filosofici sparsi nell’Italia australe dal figliuo-lo di Mnesarco, e portati in Grecia, trapassando nel La-zio, ripatriarono. Imperocchè le tre scuole elleniche piùillustri, cioè l’Accademia, la Stoa e il Peripato1, figliatedal moto socratico, furono pronipoti delle orgie italiote;e il gran principio del Noo, ordinatore dell’Ile e distintoda essa, cui Socrate tolse dal suo maestro Anassagora2, è

1 Col nome di Accademia si designa la scuola di Platone, con quello di Stoalo stoicismo, che ebbe la sua prima sede nel Portico pecile, e di Peripato lafilosofia di Aristotele, perchè i suoi seguaci studiavano e insegnavano pas-seggiando al Liceo.

2 Anassagora, n. a Clazomene verso il 500 a. C., m. a Lampsaco nel 428, in-segnò come esistesse ad origine una quantità di elementi di diversa naturama che questi elementi erano tutti mescolati e confusi nel caos, e che biso-gnò un’intelligenza suprema per superare gli elementi omogenei detti dalui omeomerie.

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sostanzialmente un concetto pitagorico. E dagl’influssidella scienza italica provennero quei notabili tempera-menti del panteismo che si trovano in tutte le scuole gre-che, senza eccettuare eziandio quelle che più tennerodelle dottrine orientali, come l’eleatica e l’alessandrina.La filosofia latina che fu la seconda forma della specula-zione italiana, si distinse per genio dalla greca; la quale,ritornando nella nostra penisola e accasandosi in Roma,prese un volto più austero e pratico, e benchè manco lar-go del Pitagorismo, non men savio e accordante col ret-to senso civile. Ondechè lo stoicismo fu la setta ellenicache meglio attecchì in Roma, ci ebbe più rigoglio divita, e vi assunse una faccia novella; sistema in cui le ra-gioni dell’etica prevalgono in bontà e in importanza allealtre parti della scienza, e che si fonda nel dogma dellalibertà umana, intrinsecamente avverso al panteismo. Esebbene lo stoicismo romano sia più profondo che este-so, più pratico che speculativo, e tanto manchi di am-piezza quanto sovrabbonda di forza, esso è per compen-so più morale e religioso, che il Portico greco. E il viziospeculativo della sapienza latina, onde nacque la suacorta durata, corrispose a un difetto conforme, che gua-stava le romane instituzioni; le quali erano eccellenti permolti versi, ma peccavano in quanto il municipio dellametropoli si mangiava la nazione; dal che nacque laguerra delle province, non a caso detta italica, e, in fine,l’eccidio universale della repubblica. Così nel filosofareromano la scienza fu troppo angusta, e venne soffocatadall’arte, voglio dire dall’applicazione pratica dei princi-

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sostanzialmente un concetto pitagorico. E dagl’influssidella scienza italica provennero quei notabili tempera-menti del panteismo che si trovano in tutte le scuole gre-che, senza eccettuare eziandio quelle che più tennerodelle dottrine orientali, come l’eleatica e l’alessandrina.La filosofia latina che fu la seconda forma della specula-zione italiana, si distinse per genio dalla greca; la quale,ritornando nella nostra penisola e accasandosi in Roma,prese un volto più austero e pratico, e benchè manco lar-go del Pitagorismo, non men savio e accordante col ret-to senso civile. Ondechè lo stoicismo fu la setta ellenicache meglio attecchì in Roma, ci ebbe più rigoglio divita, e vi assunse una faccia novella; sistema in cui le ra-gioni dell’etica prevalgono in bontà e in importanza allealtre parti della scienza, e che si fonda nel dogma dellalibertà umana, intrinsecamente avverso al panteismo. Esebbene lo stoicismo romano sia più profondo che este-so, più pratico che speculativo, e tanto manchi di am-piezza quanto sovrabbonda di forza, esso è per compen-so più morale e religioso, che il Portico greco. E il viziospeculativo della sapienza latina, onde nacque la suacorta durata, corrispose a un difetto conforme, che gua-stava le romane instituzioni; le quali erano eccellenti permolti versi, ma peccavano in quanto il municipio dellametropoli si mangiava la nazione; dal che nacque laguerra delle province, non a caso detta italica, e, in fine,l’eccidio universale della repubblica. Così nel filosofareromano la scienza fu troppo angusta, e venne soffocatadall’arte, voglio dire dall’applicazione pratica dei princi-

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pii; e lo studio delle idee fu posposto a quello dei fatti,con danno tanto maggiore, quanto che negli ordini poli-tici la circonferenza cedette al centro, laddove in filoso-fia occorse il contrario. Perciò la scienza, come le lettereromane, ebbero poca vita, e insterilirono anco prima diessere assalite e manomesse dai Barbari; onde riuscìagevole alla divina sapienza del Cristianesimo, in cui ilpensiero e l’azione, l’idea e il fatto, la speculativa e lapratica si equilibrano ed accordano mirabilmente, il sot-tentrare in vece di quelle. La filosofia dei Padri1, benchèdiffusa per la cattolicità tutta quanta, fu specialmentenostra, e può essere considerata come la terza forma delpensare italiano; giacchè, risedendo il suo centro inRoma cattolica, ella ne trasse gli spiriti che l’animarono;onde Tertulliano, Agostino, Bernardo, sebben vedesserola luce fuori d’Italia, meditarono e scrissero alla romana,come latinamente sentirono e operarono Traiano e Sene-ca, quantunque nati assai lungi dal Tevere e dal Lazio. IPadri ristorarono il realismo pitagorico e platonico,sgombrandolo da ogni nebbia panteistica e informando-lo col dogma sovrano della creazione; e l’opera loro futirata innanzi, e ridotta a termini più rigorosi di scienzadagli Scolastici, italiani di origine e di principato. Lascolastica2, che è la quarta forma della filosofia nostrale,

1 La filosofia dei padri o patristica è il primo dei due grandi periodi in cuidividesi la filosofia del medioevo e comprende i primi otto secoli dell’êravolgare; il secondo è rappresentato dalla scolastica,

2 La scolastica è il secondo deì due grandi periodi in cui dividesi la filosofiamedievale e va dall’800 al 1400: Cfr. B. HAURRÈAU, Histoire de la philoso-phie scolastique, 1872, e DE WULF, Histoire de la philosophie médévale, 4a

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pii; e lo studio delle idee fu posposto a quello dei fatti,con danno tanto maggiore, quanto che negli ordini poli-tici la circonferenza cedette al centro, laddove in filoso-fia occorse il contrario. Perciò la scienza, come le lettereromane, ebbero poca vita, e insterilirono anco prima diessere assalite e manomesse dai Barbari; onde riuscìagevole alla divina sapienza del Cristianesimo, in cui ilpensiero e l’azione, l’idea e il fatto, la speculativa e lapratica si equilibrano ed accordano mirabilmente, il sot-tentrare in vece di quelle. La filosofia dei Padri1, benchèdiffusa per la cattolicità tutta quanta, fu specialmentenostra, e può essere considerata come la terza forma delpensare italiano; giacchè, risedendo il suo centro inRoma cattolica, ella ne trasse gli spiriti che l’animarono;onde Tertulliano, Agostino, Bernardo, sebben vedesserola luce fuori d’Italia, meditarono e scrissero alla romana,come latinamente sentirono e operarono Traiano e Sene-ca, quantunque nati assai lungi dal Tevere e dal Lazio. IPadri ristorarono il realismo pitagorico e platonico,sgombrandolo da ogni nebbia panteistica e informando-lo col dogma sovrano della creazione; e l’opera loro futirata innanzi, e ridotta a termini più rigorosi di scienzadagli Scolastici, italiani di origine e di principato. Lascolastica2, che è la quarta forma della filosofia nostrale,

1 La filosofia dei padri o patristica è il primo dei due grandi periodi in cuidividesi la filosofia del medioevo e comprende i primi otto secoli dell’êravolgare; il secondo è rappresentato dalla scolastica,

2 La scolastica è il secondo deì due grandi periodi in cui dividesi la filosofiamedievale e va dall’800 al 1400: Cfr. B. HAURRÈAU, Histoire de la philoso-phie scolastique, 1872, e DE WULF, Histoire de la philosophie médévale, 4a

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si pârte nei due campi opposti del nominalismo e delrealismo; il primo dei quali, suddividendosi in più sêtte,rappresenta la dottrina aristotelica nei varii gradi del suoesplicamento, dal fare ancora platonico dello Stagirita,sino al sensismo e all’ateismo di Stratone; fra cui tra-mezza Teofrasto, mirabile ingegno, ma più arguto nellaosservazione dei fatti, che nella speculazione filosofica.Gli autori e difensori più celebri del sistema nominalefurono francesi od inglesi, come Roscelino, Abelardo,Occamo; laddove i principi del realismo appartenneroall’Italia; giacchè Anselmo di Aosta e Bonaventura diBagnoregio espressero con arditezza platonica quellastessa dottrina in cui Tommaso di Aquino recò la riservae la rigidezza metodica del Peripato. Così fin dal medioevo e dai principii della Scolastica, cominciò la guerraintellettuale del genio celtico e germanico contro il sen-no pelasgico ed italiano. E se bene il divino Bernardofosse francese, la sua qualità di monaco e le dottrine dalui sostenute nella pugna con Abelardo, mostrano il con-flitto del pensiero romano e ieratico colle innovazionigalliche e laicali. Lo scadere del realismo e della Scola-stica fu coetaneo al declinare della dittatura pontificale edel primato italico, e questa doppia declinazione nacquedalle intellettuali e civili influenze dei Barbari nella pe-nisola; imperocchè l’Italia e il pontefice, rappresentandol’Idea divenuta popolo ed individuo, non possono serba-re lo scettro loro, quando alle idee sottentrano i sensi,

édit., 1912.

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si pârte nei due campi opposti del nominalismo e delrealismo; il primo dei quali, suddividendosi in più sêtte,rappresenta la dottrina aristotelica nei varii gradi del suoesplicamento, dal fare ancora platonico dello Stagirita,sino al sensismo e all’ateismo di Stratone; fra cui tra-mezza Teofrasto, mirabile ingegno, ma più arguto nellaosservazione dei fatti, che nella speculazione filosofica.Gli autori e difensori più celebri del sistema nominalefurono francesi od inglesi, come Roscelino, Abelardo,Occamo; laddove i principi del realismo appartenneroall’Italia; giacchè Anselmo di Aosta e Bonaventura diBagnoregio espressero con arditezza platonica quellastessa dottrina in cui Tommaso di Aquino recò la riservae la rigidezza metodica del Peripato. Così fin dal medioevo e dai principii della Scolastica, cominciò la guerraintellettuale del genio celtico e germanico contro il sen-no pelasgico ed italiano. E se bene il divino Bernardofosse francese, la sua qualità di monaco e le dottrine dalui sostenute nella pugna con Abelardo, mostrano il con-flitto del pensiero romano e ieratico colle innovazionigalliche e laicali. Lo scadere del realismo e della Scola-stica fu coetaneo al declinare della dittatura pontificale edel primato italico, e questa doppia declinazione nacquedalle intellettuali e civili influenze dei Barbari nella pe-nisola; imperocchè l’Italia e il pontefice, rappresentandol’Idea divenuta popolo ed individuo, non possono serba-re lo scettro loro, quando alle idee sottentrano i sensi,

édit., 1912.

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secondo i canoni del nominalismo. Il quale è il sensismogentilesco, introdotto nella Cristianità italiana da barbarimaestri, sotto il mantello di un falso Aristotile; e fu ilprimo passo dell’eterodossia moderna, educata poscia enudrita dal monaco sassone e dal filosofo brettone,come l’eterodossia della Chiesa nascente ebbe originedai Gnostici1, che furono in parte i nominali dell’emana-tismo e del panteismo.

Quinta forma; il rinnovamento di alcuni sistemi antichi;imitazione del gentilesimo.

Del Vico unico a’ suoi tempi; non ebbe scuola, perchè egli soloval più di una scuola.

Sesta forma; imitazione francese.Settima e ultima forma; imitazione scozzese e tedesca.

Necessità di una riforma italiana della filosofia.

Gli studi risorti dell’antichità classica nel secolo quin-decimo partorirono una quinta forma di filosofia italia-na; la quale fu nella sostanza un rinnovamento del paga-nesimo. Onde, malgrado il valore non ordinario delPomponazzi, del Patrizzi, del Cardano, del Telesio, delBruni, del Campanella e di altri in buon numero, le lorodottrine non allignarono fra noi, e l’ingegno italiano, di-smessa quasi affatto la speculazione, attese per due se-coli alla sapienza civile, e alla scienza calcolatrice e spe-rimentale, sotto la scorta di due sommi, il Machiavelli e

1 I Gnostici nei primordi del Cristianesimo volevano giungere dalla purafede nel fatto alla vera conoscenza di Dio mediante lo studio delle diversereligioni e il confronto della religione cristiana colle precedenti. Cfr. E.BONAIUTI, Lo gnosticismo, 1907.

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secondo i canoni del nominalismo. Il quale è il sensismogentilesco, introdotto nella Cristianità italiana da barbarimaestri, sotto il mantello di un falso Aristotile; e fu ilprimo passo dell’eterodossia moderna, educata poscia enudrita dal monaco sassone e dal filosofo brettone,come l’eterodossia della Chiesa nascente ebbe originedai Gnostici1, che furono in parte i nominali dell’emana-tismo e del panteismo.

Quinta forma; il rinnovamento di alcuni sistemi antichi;imitazione del gentilesimo.

Del Vico unico a’ suoi tempi; non ebbe scuola, perchè egli soloval più di una scuola.

Sesta forma; imitazione francese.Settima e ultima forma; imitazione scozzese e tedesca.

Necessità di una riforma italiana della filosofia.

Gli studi risorti dell’antichità classica nel secolo quin-decimo partorirono una quinta forma di filosofia italia-na; la quale fu nella sostanza un rinnovamento del paga-nesimo. Onde, malgrado il valore non ordinario delPomponazzi, del Patrizzi, del Cardano, del Telesio, delBruni, del Campanella e di altri in buon numero, le lorodottrine non allignarono fra noi, e l’ingegno italiano, di-smessa quasi affatto la speculazione, attese per due se-coli alla sapienza civile, e alla scienza calcolatrice e spe-rimentale, sotto la scorta di due sommi, il Machiavelli e

1 I Gnostici nei primordi del Cristianesimo volevano giungere dalla purafede nel fatto alla vera conoscenza di Dio mediante lo studio delle diversereligioni e il confronto della religione cristiana colle precedenti. Cfr. E.BONAIUTI, Lo gnosticismo, 1907.

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Galileo; fra’ quali s’interpose il Sarpi, che tenne del ge-nio di entrambi, e fu loro somigliantissimo per la vastitàdello spirito e la natura degli studi, come s’accostò inspecie al primo, accoppiando le più rare doti con certepreoccupazioni conformi al tralignar degli uomini e allosdrucciolo dei tempi. La vena speculativa si risvegliò inItalia col Vico1; il quale per instaurare il realismo plato-nico e cristiano, ebbe l’idea stupenda di risalire alle sueprime origini, non greche, ma italiche, ripescando glielementi della prisca sapienza pelasgica fra gli avanzidella lingua latina, e ricomponendo il corpo di quella,come i geologi moderni rifecero colle ossa sparse lemoli e le fattezze organiche di un altro mondo. Ma ilVico non fu inteso a’ suoi tempi, e anche ai dì nostri lo èda pochissimi; non tanto per l’espressiva difficile e glierrori parziali che annebbiano una parte delle sue dottri-ne, quanto perchè il suo pensare e sentire profondamen-te italiano richieggono per essere apprezzati maggior fi-nezza e gagliardia di spiriti che oggi non si rinviene. LaScienza Nuova2, si può paragonare a una terra feconda,che Iddio campò nell’oceano e tenne lungo tempo inco-gnita e disabitata, riserbandola alla curiosa industria difuturi nocchieri e coloni; così quell’opera stupenda, se-polta nella polvere delle biblioteche, ebbe un secolo

1 Intorno a Gambattista Vico vedi i recentissimi studi di B. Croce in La filo-sofia di G. V., Bari, 1911.

2 Sono i Principî di una scienza nuova d’intorno alla comune natura dellenazioni, editi per la prima votta in Napoli nella Stamperia Muziana il1744. Una edizione critica della Scienza nuova fu pubblicata dal Nicolininella «Collana dei classici della filosofia moderna», Bari, Laterza.

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Galileo; fra’ quali s’interpose il Sarpi, che tenne del ge-nio di entrambi, e fu loro somigliantissimo per la vastitàdello spirito e la natura degli studi, come s’accostò inspecie al primo, accoppiando le più rare doti con certepreoccupazioni conformi al tralignar degli uomini e allosdrucciolo dei tempi. La vena speculativa si risvegliò inItalia col Vico1; il quale per instaurare il realismo plato-nico e cristiano, ebbe l’idea stupenda di risalire alle sueprime origini, non greche, ma italiche, ripescando glielementi della prisca sapienza pelasgica fra gli avanzidella lingua latina, e ricomponendo il corpo di quella,come i geologi moderni rifecero colle ossa sparse lemoli e le fattezze organiche di un altro mondo. Ma ilVico non fu inteso a’ suoi tempi, e anche ai dì nostri lo èda pochissimi; non tanto per l’espressiva difficile e glierrori parziali che annebbiano una parte delle sue dottri-ne, quanto perchè il suo pensare e sentire profondamen-te italiano richieggono per essere apprezzati maggior fi-nezza e gagliardia di spiriti che oggi non si rinviene. LaScienza Nuova2, si può paragonare a una terra feconda,che Iddio campò nell’oceano e tenne lungo tempo inco-gnita e disabitata, riserbandola alla curiosa industria difuturi nocchieri e coloni; così quell’opera stupenda, se-polta nella polvere delle biblioteche, ebbe un secolo

1 Intorno a Gambattista Vico vedi i recentissimi studi di B. Croce in La filo-sofia di G. V., Bari, 1911.

2 Sono i Principî di una scienza nuova d’intorno alla comune natura dellenazioni, editi per la prima votta in Napoli nella Stamperia Muziana il1744. Una edizione critica della Scienza nuova fu pubblicata dal Nicolininella «Collana dei classici della filosofia moderna», Bari, Laterza.

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dopo da che fu scritta il pregio di una scoperta. Già du-rante la vita del Vico, le dottrine di Cartesio, che sono ilprotestantismo applicato alla filosofia, aveano trapelatoin Italia e allignatovi per non curanza, anzichè per elettae per genio, degli studiosi. Io noto che Lutero e Carte-sio, i due nemici più capitali del senno italiano, visitaro-no la penisola, e ne riportarono un rancore acerbo ed oc-culto contro le cose nostre, al quale diedero sfogo colleloro dottrine; e se il filosofo fu, almeno in mostra, menviolento e terribile del frate, riuscì eziandio più fortuna-to; perchè le sue opinioni presero cittadinanza nel nostropaese sotto le due forme successive del razionalismopsicologico e del sensismo. Se non che, anco fra questitraviamenti rifulse la prudenza dei nostri avi; imperoc-chè, abbracciando la peregrina eresia, sapemmo almenocansarne le conclusioni più enormi e le disorbitanze.Così, per cagion di esempio, il Genovesi1 temperò nelpassato secolo le dottrine del Locke con quelle del Leib-niz, e fu anzi eclettico, che cartesiano: e il Romagnosi2

alla nostra memoria fu un sensista assai più moderato eprofondo di que’ suoi coetanei che professavano oltre imonti il medesimo sistema. Con questo scrittore finì, sipuò dire, presso di noi il vezzo servile delle speculazionigalliche; ma siccome coloro che vissero buon tempo frai forestieri, e dimenticarono in gran parte il genio patrio,1 Antonio Genovesi, filosofo, n. nel 1712 a Castiglione presso Salerno, m.

nel 1769.2 Gian Domenico Romagnosi, n. in Salsomaggiore nel 1761, m. in Milano

nel l833. Cfr. C. MARZUCCHI, G. D. R., Siena, 1835, e per una più ampia bi-bliografia MAZZONI, L’Ottocento, Milano, Vallardi, pag. 1332.

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dopo da che fu scritta il pregio di una scoperta. Già du-rante la vita del Vico, le dottrine di Cartesio, che sono ilprotestantismo applicato alla filosofia, aveano trapelatoin Italia e allignatovi per non curanza, anzichè per elettae per genio, degli studiosi. Io noto che Lutero e Carte-sio, i due nemici più capitali del senno italiano, visitaro-no la penisola, e ne riportarono un rancore acerbo ed oc-culto contro le cose nostre, al quale diedero sfogo colleloro dottrine; e se il filosofo fu, almeno in mostra, menviolento e terribile del frate, riuscì eziandio più fortuna-to; perchè le sue opinioni presero cittadinanza nel nostropaese sotto le due forme successive del razionalismopsicologico e del sensismo. Se non che, anco fra questitraviamenti rifulse la prudenza dei nostri avi; imperoc-chè, abbracciando la peregrina eresia, sapemmo almenocansarne le conclusioni più enormi e le disorbitanze.Così, per cagion di esempio, il Genovesi1 temperò nelpassato secolo le dottrine del Locke con quelle del Leib-niz, e fu anzi eclettico, che cartesiano: e il Romagnosi2

alla nostra memoria fu un sensista assai più moderato eprofondo di que’ suoi coetanei che professavano oltre imonti il medesimo sistema. Con questo scrittore finì, sipuò dire, presso di noi il vezzo servile delle speculazionigalliche; ma siccome coloro che vissero buon tempo frai forestieri, e dimenticarono in gran parte il genio patrio,1 Antonio Genovesi, filosofo, n. nel 1712 a Castiglione presso Salerno, m.

nel 1769.2 Gian Domenico Romagnosi, n. in Salsomaggiore nel 1761, m. in Milano

nel l833. Cfr. C. MARZUCCHI, G. D. R., Siena, 1835, e per una più ampia bi-bliografia MAZZONI, L’Ottocento, Milano, Vallardi, pag. 1332.

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penano a ripigliarlo, e non si risolvono a rincasarsi, chedopo avere assaggiate altre contrade, così l’ingegno ita-liano, scosso il giogo della Francia, e abbandonata lasede della servitù, volle tentare altri paesi, e circuire ildeserto, prima di rimettere il piede e quietare nella terrapromessa, posseduta dagli antichi padri. Singolar desti-no che Italia, smarrita da molti secoli la coscienza di sèmedesima, vada a tentoni per ritrovarla, e la cerchi dovenon è, nè può essere, credendo di potere aver pace, fin-chè non torna, come il figliuol prodigo dell’Evangelio,al seno del genitore. Tal è l’ultima forma della filosofiaitaliana che dura ancora al presente; cioè una imitazioneingegnosa delle dottrine scozzesi e tedesche. Il nostroprode e onorando Galluppi1 è il Reid2 dell’Italia, ritraen-do gli uomini al vero col retto senso avvalorato da pro-fonda analisi, ma senza uscire dai termini della osserva-zione e degli esperimenti. Munito di questi sussidi, eglisconfisse gloriosamente il sensismo de’ suoi precessori,combattendolo colle sue proprie armi, e assuefece nuo-vamente i nostri pensanti a quella sagace riserva speri-mentale e induttiva, onde nascono le utili scoperte nelgiro dei fatti interni, e che è l’applicazione psicologicadel metodo di Galileo. Ma il diritto senso non basta allafilosofia, come scienza, e i fenomeni sensitivi non pos-

1 Il barone Pasquale Galluppi (di Tropea in Calabria), n. nel 1770, morto nel1846. Insegnò logica e metafisica nell’Università di Napoli. Cfr. G.GENTILE, Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, 1903, pag.33 e segg.

2 Tommaso Reid, uno di coloro che sul finire del secolo XVIII combattero-no con più ardore le dottrine scettiche, n. a Strachen nel 1710, m. a Gla-scow nel 1796.

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penano a ripigliarlo, e non si risolvono a rincasarsi, chedopo avere assaggiate altre contrade, così l’ingegno ita-liano, scosso il giogo della Francia, e abbandonata lasede della servitù, volle tentare altri paesi, e circuire ildeserto, prima di rimettere il piede e quietare nella terrapromessa, posseduta dagli antichi padri. Singolar desti-no che Italia, smarrita da molti secoli la coscienza di sèmedesima, vada a tentoni per ritrovarla, e la cerchi dovenon è, nè può essere, credendo di potere aver pace, fin-chè non torna, come il figliuol prodigo dell’Evangelio,al seno del genitore. Tal è l’ultima forma della filosofiaitaliana che dura ancora al presente; cioè una imitazioneingegnosa delle dottrine scozzesi e tedesche. Il nostroprode e onorando Galluppi1 è il Reid2 dell’Italia, ritraen-do gli uomini al vero col retto senso avvalorato da pro-fonda analisi, ma senza uscire dai termini della osserva-zione e degli esperimenti. Munito di questi sussidi, eglisconfisse gloriosamente il sensismo de’ suoi precessori,combattendolo colle sue proprie armi, e assuefece nuo-vamente i nostri pensanti a quella sagace riserva speri-mentale e induttiva, onde nascono le utili scoperte nelgiro dei fatti interni, e che è l’applicazione psicologicadel metodo di Galileo. Ma il diritto senso non basta allafilosofia, come scienza, e i fenomeni sensitivi non pos-

1 Il barone Pasquale Galluppi (di Tropea in Calabria), n. nel 1770, morto nel1846. Insegnò logica e metafisica nell’Università di Napoli. Cfr. G.GENTILE, Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, 1903, pag.33 e segg.

2 Tommaso Reid, uno di coloro che sul finire del secolo XVIII combattero-no con più ardore le dottrine scettiche, n. a Strachen nel 1710, m. a Gla-scow nel 1796.

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sono essere perfettamente dichiarati, senza risalire piùalto ed entrar nel santuario recondito della ragione;onde, come nell’età trascorsa la scuola scozzese sotten-trò alla scuola critica, così nella nostra il Rosmini1 suc-cedette al Galluppi, e fondò una sêtta che, dai vocaboli edagli accessorii in fuori, rinnova ingegnosamente le pre-tensioni e gli errori del Cartesianismo tedesco, cioè delKantismo. Il quale, rinnovato e italianeggiato dall’illu-stre Roveretano, sottostà da un canto alla dottrina scoz-zese e a quella del Galluppi, poichè dilungasi dalla sicu-ra scorta del comun senso e della sperienza; e dall’altrolato non rimedia ai difetti delle scuole prelodate, poichèla ragione a cui ricorre è un vano e sterile simulacro. Laragione del Rosmini e del Kant2 è schiettamente subbiet-tiva, qualunque sia il nome con cui vien chiamata e coo-nestata; e una facoltà subbiettiva non può fondare lascienza, nè aiutar l’ingegno ad uscire dei cancelli psico-logici, nè porgere una salda base alla psicologia medesi-ma. Quindi non è meraviglia se il Rosminianismo si èmostrato sinora così infruttifero nelle mani del suo auto-re, ch’egli non ha saputo cavarne se non una morale in-sussistente e irsuta di spine e di sottigliezze scotistiche,sforzandosi indarno di spremerne una ontologia qualun-que. Il Rosminianismo è infecondo, se vuol essere orto-dosso, astenendosi dal trarre in luce le conseguenze rac-1 Cfr. il volume Degli errori filosofici di A. Rosmini di V. Gioberti, Brussel-

le, 1843-44, ed il Rosmini e Gioberti di G. Gentile, Pisa, 1898.2 Emmanuel Kant, n. nel 1724 in Königsberg, m. nel 1804. È il fondatore

della nuova scuola tedesca chiamata Criticismo. Cfr, G. CESCA, Storia edottrina del criticismo, Verona, 1884.

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sono essere perfettamente dichiarati, senza risalire piùalto ed entrar nel santuario recondito della ragione;onde, come nell’età trascorsa la scuola scozzese sotten-trò alla scuola critica, così nella nostra il Rosmini1 suc-cedette al Galluppi, e fondò una sêtta che, dai vocaboli edagli accessorii in fuori, rinnova ingegnosamente le pre-tensioni e gli errori del Cartesianismo tedesco, cioè delKantismo. Il quale, rinnovato e italianeggiato dall’illu-stre Roveretano, sottostà da un canto alla dottrina scoz-zese e a quella del Galluppi, poichè dilungasi dalla sicu-ra scorta del comun senso e della sperienza; e dall’altrolato non rimedia ai difetti delle scuole prelodate, poichèla ragione a cui ricorre è un vano e sterile simulacro. Laragione del Rosmini e del Kant2 è schiettamente subbiet-tiva, qualunque sia il nome con cui vien chiamata e coo-nestata; e una facoltà subbiettiva non può fondare lascienza, nè aiutar l’ingegno ad uscire dei cancelli psico-logici, nè porgere una salda base alla psicologia medesi-ma. Quindi non è meraviglia se il Rosminianismo si èmostrato sinora così infruttifero nelle mani del suo auto-re, ch’egli non ha saputo cavarne se non una morale in-sussistente e irsuta di spine e di sottigliezze scotistiche,sforzandosi indarno di spremerne una ontologia qualun-que. Il Rosminianismo è infecondo, se vuol essere orto-dosso, astenendosi dal trarre in luce le conseguenze rac-1 Cfr. il volume Degli errori filosofici di A. Rosmini di V. Gioberti, Brussel-

le, 1843-44, ed il Rosmini e Gioberti di G. Gentile, Pisa, 1898.2 Emmanuel Kant, n. nel 1724 in Königsberg, m. nel 1804. È il fondatore

della nuova scuola tedesca chiamata Criticismo. Cfr, G. CESCA, Storia edottrina del criticismo, Verona, 1884.

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chiuse ne’ suoi principii, e posponendo una feracità col-pevole alla sua scientifica impotenza. Ma quando il suoautore e i suoi partigiani fossero men pii e timorati chenon sono, si vedrebbe ben tosto sorgere in Italia il pan-teismo del Fichte e dell’Hegel, a cui i principii rosmi-niani, come quelli della dottrina critica, irrepugnabil-mente conducono, per riuscire infine allo scetticismo as-soluto e al nullismo; i quali sono l’ultimo termine delpsicologismo, e lo stato attuale della scuola egeliana ildimostra. La voga che il Rosminianismo ebbe per qual-che tempo in alcune parti d’Italia, benchè oggi sia man-cata, fa segno che all’eterodossia celtica potrebbe sot-tentrare l’eterodossia germanica, se il senno patrio nonvi ripara. E già corrono per la penisola alcune opere incui il panteismo tedesco viene insegnato alla scoperta; equeste merci straniere, invece di giovare alla scienza, lenuocono, perchè gli studiosi, non essendo per lo più av-vezzi a vivere del proprio, nè muniti di una regola sicuraper giudicare il vero valore di quelle, le accolgono cupi-damente. Ora il sostituire al sensismo francese il razio-nalismo germanico, sarebbe un cadere della padella nel-la brace; il che dovrebbe far risentire quei pochi che mo-strano ancora buon viso al Rosminianismo. E se i mi-gliori oggimai sentono la necessità di ritornare all’anticasapienza patria, perchè sostare in Germania, quando siesce di Francia? Perchè vôtare il calice dell’errore, e tra-cannarne sino all’ultima gocciola, prima di accostar lelabbra alle pure fonti del vero? Perchè menare in lungoun’apostasia divenuta fastidiosa e increscevole a que’

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chiuse ne’ suoi principii, e posponendo una feracità col-pevole alla sua scientifica impotenza. Ma quando il suoautore e i suoi partigiani fossero men pii e timorati chenon sono, si vedrebbe ben tosto sorgere in Italia il pan-teismo del Fichte e dell’Hegel, a cui i principii rosmi-niani, come quelli della dottrina critica, irrepugnabil-mente conducono, per riuscire infine allo scetticismo as-soluto e al nullismo; i quali sono l’ultimo termine delpsicologismo, e lo stato attuale della scuola egeliana ildimostra. La voga che il Rosminianismo ebbe per qual-che tempo in alcune parti d’Italia, benchè oggi sia man-cata, fa segno che all’eterodossia celtica potrebbe sot-tentrare l’eterodossia germanica, se il senno patrio nonvi ripara. E già corrono per la penisola alcune opere incui il panteismo tedesco viene insegnato alla scoperta; equeste merci straniere, invece di giovare alla scienza, lenuocono, perchè gli studiosi, non essendo per lo più av-vezzi a vivere del proprio, nè muniti di una regola sicuraper giudicare il vero valore di quelle, le accolgono cupi-damente. Ora il sostituire al sensismo francese il razio-nalismo germanico, sarebbe un cadere della padella nel-la brace; il che dovrebbe far risentire quei pochi che mo-strano ancora buon viso al Rosminianismo. E se i mi-gliori oggimai sentono la necessità di ritornare all’anticasapienza patria, perchè sostare in Germania, quando siesce di Francia? Perchè vôtare il calice dell’errore, e tra-cannarne sino all’ultima gocciola, prima di accostar lelabbra alle pure fonti del vero? Perchè menare in lungoun’apostasia divenuta fastidiosa e increscevole a que’

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medesimi che la professano? Perchè differire la ribene-dizione? Italiani, che vi abbeverate alle sorgenti stranie-re, sappiate che voi siete esuli, benchè viviate in Italia. Ilvostro esilio non è necessitato, ma volontario; non è in-nocente, ma colpevole; poichè rinnegate spontaneamen-te il culto patrio, e adorate gli iddii forestieri. Voi sieteesuli, non di corpo, ma d’anima; poichè, mentre stanzia-te personalmente nella penisola, il vostro spirito albergadi qua dai monti, conformandosi di pensieri e di affettiagli antichi nemici della patria vostra. Deh! rinsaviteuna volta, e, ponendo fine ad un lungo e lacrimevole er-rore, avvezzatevi a sentire e a filosofare italianamente.Porgete orecchio alle parole di un vostro compatriota,acerbamente diviso dalla comune madre, ma forse piùitaliano che voi non siete1. Imperocchè, sebben lontano,egli vive spiritualmente in cotesta dolce patria, si pascedel suo antico senno, e medita le sue memorie; quandovoi, che respirate l’aria salubre di essa, e ne godete illume vitale, vi ostinate a straziarne la fama, ricambiandod’ingratitudine i suoi benefizi, e oltraggiando la Provi-denza che vi fece suoi figli.

Di Terenzio Mamiani.

L’attingere alla vena del senno oltramontano è oggi

1 Il 13 marzo 1842 il G. così scriveva all’abate Boglino: «Benchè lontanodalla mia patria e con poca speranza di rivederla io la porto in cuore: nonpenso, non amo, non sogno che l’Italia: essa è tutto per me, perché ci trovoogni mio bene, le memorie e gli amici, la terra e il cielo, Roma e l’univer-so».

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medesimi che la professano? Perchè differire la ribene-dizione? Italiani, che vi abbeverate alle sorgenti stranie-re, sappiate che voi siete esuli, benchè viviate in Italia. Ilvostro esilio non è necessitato, ma volontario; non è in-nocente, ma colpevole; poichè rinnegate spontaneamen-te il culto patrio, e adorate gli iddii forestieri. Voi sieteesuli, non di corpo, ma d’anima; poichè, mentre stanzia-te personalmente nella penisola, il vostro spirito albergadi qua dai monti, conformandosi di pensieri e di affettiagli antichi nemici della patria vostra. Deh! rinsaviteuna volta, e, ponendo fine ad un lungo e lacrimevole er-rore, avvezzatevi a sentire e a filosofare italianamente.Porgete orecchio alle parole di un vostro compatriota,acerbamente diviso dalla comune madre, ma forse piùitaliano che voi non siete1. Imperocchè, sebben lontano,egli vive spiritualmente in cotesta dolce patria, si pascedel suo antico senno, e medita le sue memorie; quandovoi, che respirate l’aria salubre di essa, e ne godete illume vitale, vi ostinate a straziarne la fama, ricambiandod’ingratitudine i suoi benefizi, e oltraggiando la Provi-denza che vi fece suoi figli.

Di Terenzio Mamiani.

L’attingere alla vena del senno oltramontano è oggi

1 Il 13 marzo 1842 il G. così scriveva all’abate Boglino: «Benchè lontanodalla mia patria e con poca speranza di rivederla io la porto in cuore: nonpenso, non amo, non sogno che l’Italia: essa è tutto per me, perché ci trovoogni mio bene, le memorie e gli amici, la terra e il cielo, Roma e l’univer-so».

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tanto men ragionevole e scusabile a noi Italiani, quantoche essa è inaridita, e chi l’ha in casa e poco dianzi netraeva un ristoro copioso, benchè ingannevole, è ora co-stretto di fare altrove ricorso. Pare adunque che sia giun-ta l’ora propizia per ristorare l’antica sapienza pelasgica,perfezionandola e cumulandola coi lumi divini del Cri-stianesimo, e per inaugurarla nel resto d’Europa, chedissipate le sue dovizie intellettuali e ad estrema povertàridotta, non può rifarsi altrimenti, che ritraendo di nuovodalla cava inesausta delle menti italiane. Un valoroso in-gegno ha già posto mano all’opera riformatrice, così ri-chiamando i suoi compatrioti alle buone fonti, come rin-novando l’antico e platonico connubio, che non sarebbemai dovuto cessare, fra le amene lettere e le severe dot-trine. Terenzio Mamiani1, ripigliando l’idea del Vico,rappiccò il filo delle tradizioni filosofiche d’Italia, e mo-strò coll’esempio (ciò che il Vico non fece, onde torna-rono in gran parte inutili i suoi trovati) come si possa esi debba dare ai concetti speculativi una veste elegante etutta nostrale, che si scosti del pari dalle rozzezze barba-riche e dalle scede straniere. Il che è di somma impor-tanza, non solo per le lettere, ma eziandio per la specu-lazione; imperocchè la congiuntura dell’idea col suo se-gno è così intima e stretta, che riesce difficile e per poco

1 Intorno al conte Terenzio Mamiani della Rovere (n. a Pesaro nel l799,morto in Roma nel 1885) cfr. G. MESTICA, Su la vita e le opere di T. M. in-nanzi a Prose e Poesie scelte di T. M., Città di Castello, 1886; D. GASPARI,Vita di T. M., Ancona, 1888. Sul Mamiani filosofo v. G. GENTILE, Le origi-ni della filosofia contemporanea in Italia, Messina, 1917, vol, I, pagg. 87-137.

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tanto men ragionevole e scusabile a noi Italiani, quantoche essa è inaridita, e chi l’ha in casa e poco dianzi netraeva un ristoro copioso, benchè ingannevole, è ora co-stretto di fare altrove ricorso. Pare adunque che sia giun-ta l’ora propizia per ristorare l’antica sapienza pelasgica,perfezionandola e cumulandola coi lumi divini del Cri-stianesimo, e per inaugurarla nel resto d’Europa, chedissipate le sue dovizie intellettuali e ad estrema povertàridotta, non può rifarsi altrimenti, che ritraendo di nuovodalla cava inesausta delle menti italiane. Un valoroso in-gegno ha già posto mano all’opera riformatrice, così ri-chiamando i suoi compatrioti alle buone fonti, come rin-novando l’antico e platonico connubio, che non sarebbemai dovuto cessare, fra le amene lettere e le severe dot-trine. Terenzio Mamiani1, ripigliando l’idea del Vico,rappiccò il filo delle tradizioni filosofiche d’Italia, e mo-strò coll’esempio (ciò che il Vico non fece, onde torna-rono in gran parte inutili i suoi trovati) come si possa esi debba dare ai concetti speculativi una veste elegante etutta nostrale, che si scosti del pari dalle rozzezze barba-riche e dalle scede straniere. Il che è di somma impor-tanza, non solo per le lettere, ma eziandio per la specu-lazione; imperocchè la congiuntura dell’idea col suo se-gno è così intima e stretta, che riesce difficile e per poco

1 Intorno al conte Terenzio Mamiani della Rovere (n. a Pesaro nel l799,morto in Roma nel 1885) cfr. G. MESTICA, Su la vita e le opere di T. M. in-nanzi a Prose e Poesie scelte di T. M., Città di Castello, 1886; D. GASPARI,Vita di T. M., Ancona, 1888. Sul Mamiani filosofo v. G. GENTILE, Le origi-ni della filosofia contemporanea in Italia, Messina, 1917, vol, I, pagg. 87-137.

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impossibile il pensare e il connettere italianamente,quando si sente, s’immagina e si fraseggia alla barbara.E di vero, ciò che è buon gusto nello scrivere diventabuon senso nel sapere, esprimendosi da questa doppiadote due forme diverse della stessa cosa, cioè del buongiudizio, per cui l’ingegno afferra i tipi intellettivi dellecose e gli estrinseca acconciamente. Il Mamiani nellesue ultime opere1 si accosta assai a quella forma di filo-sofare moderata e sapiente in cui la ragione e l’esperien-za, i fatti e le idee, la sintesi e l’analisi mirabilmente siaccordano, perchè essa assegna a ciascuna di questecose quel grado che le si addice nel lavoro scientifico; laqual forma è quasi un privilegio dell’ingegno italiano,che in gagliardia sovrasta, perchè temperatissimo. Lostesso indirizzo di pensieri e di studi filosofici rifulse inun uomo, nostro coetaneo, il cui nome noto e caro alPiemonte lo sarebbe del pari al resto d’Italia, se la fortu-na di lui avesse corrisposto alla bontà e grandezzadell’ingegno, dell’animo e della dottrina. Luigi Ornato2,amico stretto ed eroico di Santorre Santarosa3, dopo unesilio volontario di dieci anni rivide la patria, per chiu-

1 Della ontologia e del metodo, Parìgi, 1841. Lettere intorno alla filosofiadel diritto, Napoli, 1841.

2 Intorno a Luigi Ornato cfr. L. OTTOLENGHI, Vita, studi e lettere di L. O., To-rino, 1878, e le due lettere di V. G. a Luigi Ornato pubblicate da G. C. Mo-lineri, Torino, 1889.

3 Intorno a Santorre di Santarosa, di cui il Gioberti trascriveva ne’ suoi annigiovanili quattro capitoli dell’opera inedita Delle speranze degli ItaIiani, eche fu tra i protagonisti della rivoluzione piemontese del ’21 cfr. G.COLOMBO, La giovinezza di Santorre di Santarosa in «Rassegna Storica delRisorgimento», Roma, 1919, anno VI, pag. 171 e segg.

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impossibile il pensare e il connettere italianamente,quando si sente, s’immagina e si fraseggia alla barbara.E di vero, ciò che è buon gusto nello scrivere diventabuon senso nel sapere, esprimendosi da questa doppiadote due forme diverse della stessa cosa, cioè del buongiudizio, per cui l’ingegno afferra i tipi intellettivi dellecose e gli estrinseca acconciamente. Il Mamiani nellesue ultime opere1 si accosta assai a quella forma di filo-sofare moderata e sapiente in cui la ragione e l’esperien-za, i fatti e le idee, la sintesi e l’analisi mirabilmente siaccordano, perchè essa assegna a ciascuna di questecose quel grado che le si addice nel lavoro scientifico; laqual forma è quasi un privilegio dell’ingegno italiano,che in gagliardia sovrasta, perchè temperatissimo. Lostesso indirizzo di pensieri e di studi filosofici rifulse inun uomo, nostro coetaneo, il cui nome noto e caro alPiemonte lo sarebbe del pari al resto d’Italia, se la fortu-na di lui avesse corrisposto alla bontà e grandezzadell’ingegno, dell’animo e della dottrina. Luigi Ornato2,amico stretto ed eroico di Santorre Santarosa3, dopo unesilio volontario di dieci anni rivide la patria, per chiu-

1 Della ontologia e del metodo, Parìgi, 1841. Lettere intorno alla filosofiadel diritto, Napoli, 1841.

2 Intorno a Luigi Ornato cfr. L. OTTOLENGHI, Vita, studi e lettere di L. O., To-rino, 1878, e le due lettere di V. G. a Luigi Ornato pubblicate da G. C. Mo-lineri, Torino, 1889.

3 Intorno a Santorre di Santarosa, di cui il Gioberti trascriveva ne’ suoi annigiovanili quattro capitoli dell’opera inedita Delle speranze degli ItaIiani, eche fu tra i protagonisti della rivoluzione piemontese del ’21 cfr. G.COLOMBO, La giovinezza di Santorre di Santarosa in «Rassegna Storica delRisorgimento», Roma, 1919, anno VI, pag. 171 e segg.

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dervi i suoi giorni travagliati da una lunga e dolorosa in-disposizione. Fu valente in più ragioni di scienza, e nel-le lettere greche esercitatissimo; ma queste varie cogni-zioni erano da lui indirizzate alla filosofia e alla religio-ne, che sedevano in cima di tutti i suoi pensieri. Visse emorì innamorato dell’Idea, e consolò, contemplandola, aimitazione di Galileo e di Omero, la cecità che afflissegli ultimi anni della sua vita. Io non ho creduto inoppor-tuno il far menzione di quest’uomo, a cui la modestia ela sventura tolsero la celebrità meritata, perchè mi parecondegno che l’Italia misuri la sua gratitudine, non tantodagli effetti, che spesso dipendono dalla sorte, quantodai nobili sforzi e dalle magnanime intenzioni de’ suoifigli.

La filosofia italiana si dee fondare sul principio di creazione.Il non aver piantata la filosofia su questo principio fu causa

della sua declinazione.

La riforma ideata dal Vico e proseguita dal Mamianinon si può recare a compimento se la tradizione antica epelasgica non si congiunge colla cristiana, riducendoleentrambe a un principio unico, che per la sostanza si ap-poggi alla ragione, e per la loquela che lo significa, allarivelazione appartenga. Il quale è il principio di creazio-ne, solo atto a comprendere e padroneggiare tutta lascienza, infondendo in essa nuovi spiriti di vita. L’ideadi creazione è tanto antica fra gli uomini, quanto il vero,che le risponde; ma offuscata da prima, e poi smarritafra i popoli eterodossi, non ebbe finora nella filosofia

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dervi i suoi giorni travagliati da una lunga e dolorosa in-disposizione. Fu valente in più ragioni di scienza, e nel-le lettere greche esercitatissimo; ma queste varie cogni-zioni erano da lui indirizzate alla filosofia e alla religio-ne, che sedevano in cima di tutti i suoi pensieri. Visse emorì innamorato dell’Idea, e consolò, contemplandola, aimitazione di Galileo e di Omero, la cecità che afflissegli ultimi anni della sua vita. Io non ho creduto inoppor-tuno il far menzione di quest’uomo, a cui la modestia ela sventura tolsero la celebrità meritata, perchè mi parecondegno che l’Italia misuri la sua gratitudine, non tantodagli effetti, che spesso dipendono dalla sorte, quantodai nobili sforzi e dalle magnanime intenzioni de’ suoifigli.

La filosofia italiana si dee fondare sul principio di creazione.Il non aver piantata la filosofia su questo principio fu causa

della sua declinazione.

La riforma ideata dal Vico e proseguita dal Mamianinon si può recare a compimento se la tradizione antica epelasgica non si congiunge colla cristiana, riducendoleentrambe a un principio unico, che per la sostanza si ap-poggi alla ragione, e per la loquela che lo significa, allarivelazione appartenga. Il quale è il principio di creazio-ne, solo atto a comprendere e padroneggiare tutta lascienza, infondendo in essa nuovi spiriti di vita. L’ideadi creazione è tanto antica fra gli uomini, quanto il vero,che le risponde; ma offuscata da prima, e poi smarritafra i popoli eterodossi, non ebbe finora nella filosofia

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cristiana quel sovrano imperio nè ottenne quel luogo su-premo onde abbisogna per informare ogni membrodell’edifizio enciclopedico. Al che si vuole attribuire ladeclinazione del realismo pelasgico antico, e di quelloche fiorì nei due periodi cristiani dei Padri e del medioevo; imperocchè le opinioni filosofiche, fondate nelvero, non iscadono nè tramontano, se non quando il pro-cesso metodico che si adopera per isvolgerle e stabilirle,alle loro verità e bontà intrinseca non corrisponde. Ecome l’imperfezione de’ metodi impedisce le buone dot-trine di attecchire, così elle non possono risorgere, senon si emenda il vecchio difetto, ed esplicando il vero,non gli si aggiungono nuovi incrementi, nuovi gradi difinitezza e di splendore. Certo, i Padri e i più insignimaestri delle scuole furono molto benemeriti della filo-sofia pelasgica, purgandola da ogni imbratto panteistico,e trattando magistralmente molte parti di essa; tuttavial’opera loro non fu compiuta; sia perchè il principio dicreazione, che informa in effetto i pensieri e i discorsi diquei valorosi, non venne posto formalmente in capo allascienza, e perchè non fu costruito e organato, medianteuna formola scientifica. Il che io credo che nacque inparte dalla soverchia autorità conferita nelle scuole cri-stiane ai nomi di Platone e di Aristotile, di cui si ripu-diaron gli errori, ma non si migliorarono i metodi; inparte dalla difficoltà e quasi impossibilità morale che sitrova nel rinnovare di pianta un amplissimo edifizio,qual è la somma delle cognizioni umane. Le false reli-gioni e le civiltà imperfette, quando muoiono, lasciano

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cristiana quel sovrano imperio nè ottenne quel luogo su-premo onde abbisogna per informare ogni membrodell’edifizio enciclopedico. Al che si vuole attribuire ladeclinazione del realismo pelasgico antico, e di quelloche fiorì nei due periodi cristiani dei Padri e del medioevo; imperocchè le opinioni filosofiche, fondate nelvero, non iscadono nè tramontano, se non quando il pro-cesso metodico che si adopera per isvolgerle e stabilirle,alle loro verità e bontà intrinseca non corrisponde. Ecome l’imperfezione de’ metodi impedisce le buone dot-trine di attecchire, così elle non possono risorgere, senon si emenda il vecchio difetto, ed esplicando il vero,non gli si aggiungono nuovi incrementi, nuovi gradi difinitezza e di splendore. Certo, i Padri e i più insignimaestri delle scuole furono molto benemeriti della filo-sofia pelasgica, purgandola da ogni imbratto panteistico,e trattando magistralmente molte parti di essa; tuttavial’opera loro non fu compiuta; sia perchè il principio dicreazione, che informa in effetto i pensieri e i discorsi diquei valorosi, non venne posto formalmente in capo allascienza, e perchè non fu costruito e organato, medianteuna formola scientifica. Il che io credo che nacque inparte dalla soverchia autorità conferita nelle scuole cri-stiane ai nomi di Platone e di Aristotile, di cui si ripu-diaron gli errori, ma non si migliorarono i metodi; inparte dalla difficoltà e quasi impossibilità morale che sitrova nel rinnovare di pianta un amplissimo edifizio,qual è la somma delle cognizioni umane. Le false reli-gioni e le civiltà imperfette, quando muoiono, lasciano

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dopo sè un certo strascico, la cui durazione è per ordina-rio proporzionata all’età corsa da esse; onde è naturaleche al gentilesimo, abbarbicato da tanti secoli nel suoloeuropeo, siano sopravissuti molti suoi avanzi, superstitiancora al presente. Che se questi residui sono cospicuinelle arti, nelle lettere, nelle leggi, nelle usanze, nelle in-stituzioni, e persino nei nomi degli uomini e delle cose,qual meraviglia che il fatto non sia andato altrimentinelle discipline filosofiche? Si può dunque affermarecon verità, senza far ingiuria ai nomi eziandio più santie più segnalati, che la filosofia di Europa, anche quandoera ortodossa nella sostanza, serbò ne’ suoi ordini e ne’suoi processi qualche parte dell’eterodossia gentilesca.Questa parte si può ridurre sommariamente al difetto delvero ontologismo; perchè la sapienza pagana eziandiospiccando il suo maggior volo, fu psicologica o cosmo-logica, e mosse ne’ suoi progressi dall’uomo o dal mon-do, o almeno accoppiò sin dall’introito dello specularequei due concetti all’Idea suprema e assoluta. Così ilPrimo della scuola italica antichissima fu la dualità delTeocosmo dorico, come presso gli Orientali quella delCronòtopo1 iranico e caldeo; benchè il panteismo delconcetto pitagorico fosse temperato, per un privilegiopelasgico, dalla distinzione del Teo e dell’Ile; la qual di-stinzione salvava fino ad un certo segno il pronunziatoreligioso a scapito dell’unità scientifica. Il Cristianesimo

1 Questo termine si adopera qualche volta per indicare l’unità dello spazio edel tempo ideali. Il Gioberti intitola dal Cronotopo un capitolo della suaProtologia, Torino, 1857, vol. I, pagg. 501-551.

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dopo sè un certo strascico, la cui durazione è per ordina-rio proporzionata all’età corsa da esse; onde è naturaleche al gentilesimo, abbarbicato da tanti secoli nel suoloeuropeo, siano sopravissuti molti suoi avanzi, superstitiancora al presente. Che se questi residui sono cospicuinelle arti, nelle lettere, nelle leggi, nelle usanze, nelle in-stituzioni, e persino nei nomi degli uomini e delle cose,qual meraviglia che il fatto non sia andato altrimentinelle discipline filosofiche? Si può dunque affermarecon verità, senza far ingiuria ai nomi eziandio più santie più segnalati, che la filosofia di Europa, anche quandoera ortodossa nella sostanza, serbò ne’ suoi ordini e ne’suoi processi qualche parte dell’eterodossia gentilesca.Questa parte si può ridurre sommariamente al difetto delvero ontologismo; perchè la sapienza pagana eziandiospiccando il suo maggior volo, fu psicologica o cosmo-logica, e mosse ne’ suoi progressi dall’uomo o dal mon-do, o almeno accoppiò sin dall’introito dello specularequei due concetti all’Idea suprema e assoluta. Così ilPrimo della scuola italica antichissima fu la dualità delTeocosmo dorico, come presso gli Orientali quella delCronòtopo1 iranico e caldeo; benchè il panteismo delconcetto pitagorico fosse temperato, per un privilegiopelasgico, dalla distinzione del Teo e dell’Ile; la qual di-stinzione salvava fino ad un certo segno il pronunziatoreligioso a scapito dell’unità scientifica. Il Cristianesimo

1 Questo termine si adopera qualche volta per indicare l’unità dello spazio edel tempo ideali. Il Gioberti intitola dal Cronotopo un capitolo della suaProtologia, Torino, 1857, vol. I, pagg. 501-551.

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col dogma della creazione ridusse il primo della fedealla sua semplicità e purezza ontologica; ma siccomeesso fa professione di non intromettersi direttamentenelle discipline umane, e si contenta d’insegnare autore-volmente il vero da credersi, senza entrar nel modo diesporlo e dimostrarlo a ragione di scienza, perciò il Pri-mo psicologico non venne determinato a rigore nellescuole cristiane; onde molti lo distinsero dall’ontologi-co, e altri, che avvertirono la medesimezza dei due Pri-mi, sequestrarono il concetto dell’Ente da quello dicreazione, togliendo per tal guisa alla formola protologi-ca la condizione più essenziale del suo organismo. Que-ste mende scientifiche non pregiudicarono all’essenzadelle dottrine, fintantochè la teologia precedette la spe-culazione, e la religione fece l’ufficio di propedeutica,adempiendo quasi le veci dell’intuito, rispetto alla co-gnizion riflessiva e alla scienza in universale. Ma quan-do la filosofia venne scorporata dalla sua guida e vollecamminar da sè, il vizio del principio protologico portò isuoi frutti, e il psicologismo di Cartesio partorì in pochilustri il panteismo, il razionalismo biblico, il sensismo,il fatalismo, l’immoralismo, che si videro insieme ac-coppiati e ridotti a unità di sistema per opera dello Spi-noza. Oggi adunque si vuol costruire la formola fonda-mentale del sapere: le altre questioni filosofiche sono dipoco momento, rispetto a questa, che è la base el’importanza del tutto, poichè dalla risoluzione di essa

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col dogma della creazione ridusse il primo della fedealla sua semplicità e purezza ontologica; ma siccomeesso fa professione di non intromettersi direttamentenelle discipline umane, e si contenta d’insegnare autore-volmente il vero da credersi, senza entrar nel modo diesporlo e dimostrarlo a ragione di scienza, perciò il Pri-mo psicologico non venne determinato a rigore nellescuole cristiane; onde molti lo distinsero dall’ontologi-co, e altri, che avvertirono la medesimezza dei due Pri-mi, sequestrarono il concetto dell’Ente da quello dicreazione, togliendo per tal guisa alla formola protologi-ca la condizione più essenziale del suo organismo. Que-ste mende scientifiche non pregiudicarono all’essenzadelle dottrine, fintantochè la teologia precedette la spe-culazione, e la religione fece l’ufficio di propedeutica,adempiendo quasi le veci dell’intuito, rispetto alla co-gnizion riflessiva e alla scienza in universale. Ma quan-do la filosofia venne scorporata dalla sua guida e vollecamminar da sè, il vizio del principio protologico portò isuoi frutti, e il psicologismo di Cartesio partorì in pochilustri il panteismo, il razionalismo biblico, il sensismo,il fatalismo, l’immoralismo, che si videro insieme ac-coppiati e ridotti a unità di sistema per opera dello Spi-noza. Oggi adunque si vuol costruire la formola fonda-mentale del sapere: le altre questioni filosofiche sono dipoco momento, rispetto a questa, che è la base el’importanza del tutto, poichè dalla risoluzione di essa

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dipende l’universale ragion della scienza. La protologia1

è il primo bisogno speculativo dei tempi che corrono; ilche si conforma alla loro indole, poichè essi aspirano ainstaurare l’ortodossia antica nel campo del reale e delloscibile, ricacciando nel sepolcro il gentilesimo risorto, eriordinando ad un tempo l’enciclopedia e l’Europa,scompigliate ed infrante dallo scisma politico e religiosodi tre secoli. Perciò rilevantissimo è in ogni genere dicose lo stabilimento dei principii e delle origini: al qualeoggi si volgono con istinto concorde i desideri dei popo-li, le ricerche dei dotti e le meditazioni de’ savi nei variiordini dell’azione e del sapere. Ora la sola protologiapossibile è quella che si fonda nella formola ideale,espressiva della prima origine delle cose, e generativadei primi principii, onde rampollano le cognizioni. Ladottrina della formola è vecchia e nuova ad un tempo. Èvecchia, poichè i germi di essa sono inchiusi nel princi-pio di creazione, scritto dalla mano d’Iddio sul frontispi-zio del codice rivelato; è nuova, perchè tal principio nonfu sinora esplicato scientificamente. Il che non ci deestupire, perchè, come ho testè avvertito, la filosofia cri-stiana fino al secolo sedicesimo ritenne in parte l’andare

1 Nell’ontologismo del Gioberti la protologia è la scienza o filosofia dellaprima attività del pensiero, vale a dire dell’ente intelligibile intuito per viadel pensiero immanente. Si differenzia dall’ontologia che contempla l’entenell’atto secondo, cioè come oggetto della riflessione e del pensiero suc-cessivo; e dalla psicologia che analizza il pensiero successivo consideratosoggettivamente, mentre la protologia contempla il pensiero nell’atto pri-mo e come principio creativo e costitutivo dello spirito. Cfr. V. GIOBERTI,Della protologia, ed. cit., t. I, Pag. 154 e segg.

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dipende l’universale ragion della scienza. La protologia1

è il primo bisogno speculativo dei tempi che corrono; ilche si conforma alla loro indole, poichè essi aspirano ainstaurare l’ortodossia antica nel campo del reale e delloscibile, ricacciando nel sepolcro il gentilesimo risorto, eriordinando ad un tempo l’enciclopedia e l’Europa,scompigliate ed infrante dallo scisma politico e religiosodi tre secoli. Perciò rilevantissimo è in ogni genere dicose lo stabilimento dei principii e delle origini: al qualeoggi si volgono con istinto concorde i desideri dei popo-li, le ricerche dei dotti e le meditazioni de’ savi nei variiordini dell’azione e del sapere. Ora la sola protologiapossibile è quella che si fonda nella formola ideale,espressiva della prima origine delle cose, e generativadei primi principii, onde rampollano le cognizioni. Ladottrina della formola è vecchia e nuova ad un tempo. Èvecchia, poichè i germi di essa sono inchiusi nel princi-pio di creazione, scritto dalla mano d’Iddio sul frontispi-zio del codice rivelato; è nuova, perchè tal principio nonfu sinora esplicato scientificamente. Il che non ci deestupire, perchè, come ho testè avvertito, la filosofia cri-stiana fino al secolo sedicesimo ritenne in parte l’andare

1 Nell’ontologismo del Gioberti la protologia è la scienza o filosofia dellaprima attività del pensiero, vale a dire dell’ente intelligibile intuito per viadel pensiero immanente. Si differenzia dall’ontologia che contempla l’entenell’atto secondo, cioè come oggetto della riflessione e del pensiero suc-cessivo; e dalla psicologia che analizza il pensiero successivo consideratosoggettivamente, mentre la protologia contempla il pensiero nell’atto pri-mo e come principio creativo e costitutivo dello spirito. Cfr. V. GIOBERTI,Della protologia, ed. cit., t. I, Pag. 154 e segg.

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della scienza paganica (oltre il guasto recato dai nomi-nali eziandio fra le schiere dei realisti), e da allora in poifu viziata dal Cartesianismo, che è un secondo paganesi-mo. Il quale getta ora le ultime scintille, prenunzie di vi-cino trionfo all’ontologismo cristiano; come quei fuochisotterranei che, consunta ogni esca, naturalmente sispengono, lasciando ammannito un suolo stabile e fe-condo all’industria degli uomini, che vi fa sorgere inbreve le piantagioni fruttifere e le città popolose, nido discienza e ai civiltà.

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della scienza paganica (oltre il guasto recato dai nomi-nali eziandio fra le schiere dei realisti), e da allora in poifu viziata dal Cartesianismo, che è un secondo paganesi-mo. Il quale getta ora le ultime scintille, prenunzie di vi-cino trionfo all’ontologismo cristiano; come quei fuochisotterranei che, consunta ogni esca, naturalmente sispengono, lasciando ammannito un suolo stabile e fe-condo all’industria degli uomini, che vi fa sorgere inbreve le piantagioni fruttifere e le città popolose, nido discienza e ai civiltà.

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III. L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZERELIGIOSE

La teologia sottostà e sovrasta alla filosofia per diversi rispetti.La teologia cattolica è la sola che meriti il nome di scienza.

Sue doti.La declinazione di essa nacque principalmente dai Francesi.

La regina delle scienze che si attengono alla religio-ne, è la teologia rivelata o positiva, che, quasi scienzadivina, ha per materia il sovrintelligibile e il sovranatu-rale, come le scienze umane nell’intelligibile e nel natu-rale si travagliano. Siccome le nozioni del sovrintelligi-bile e del sovranaturale nella generalità loro nasconodalla ragione, ne vengono legittimate, e non sono sepa-rabili dai concetti contraposti, esse costituiscono il nessoscientifico della teologia coll’enciclopedia profana inuniversale e colla filosofia in ispecie. La teologia parti-colareggia e concretizza quei due dati la cui notizia ge-nerica risulta dalle facoltà naturali dell’uomo, come lacognizioe specifica di essi deriva dal lume rivelato sola-mente. Ella sottostà e sovrasta alla filosofia per diversirispetti. Le sottostà, in quanto, come scienza, piglia dalei i primi principii, i dati generalissimi, i metodi e loscopo del suo procedere; giacchè non si può teologizza-re in alcun modo, senza la cognizione di parecchie veri-tà anteriori, e senza uso di ragione e di un certo discor-so. Le sovrasta, ed è veramente donna e imperatrice di

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III. L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZERELIGIOSE

La teologia sottostà e sovrasta alla filosofia per diversi rispetti.La teologia cattolica è la sola che meriti il nome di scienza.

Sue doti.La declinazione di essa nacque principalmente dai Francesi.

La regina delle scienze che si attengono alla religio-ne, è la teologia rivelata o positiva, che, quasi scienzadivina, ha per materia il sovrintelligibile e il sovranatu-rale, come le scienze umane nell’intelligibile e nel natu-rale si travagliano. Siccome le nozioni del sovrintelligi-bile e del sovranaturale nella generalità loro nasconodalla ragione, ne vengono legittimate, e non sono sepa-rabili dai concetti contraposti, esse costituiscono il nessoscientifico della teologia coll’enciclopedia profana inuniversale e colla filosofia in ispecie. La teologia parti-colareggia e concretizza quei due dati la cui notizia ge-nerica risulta dalle facoltà naturali dell’uomo, come lacognizioe specifica di essi deriva dal lume rivelato sola-mente. Ella sottostà e sovrasta alla filosofia per diversirispetti. Le sottostà, in quanto, come scienza, piglia dalei i primi principii, i dati generalissimi, i metodi e loscopo del suo procedere; giacchè non si può teologizza-re in alcun modo, senza la cognizione di parecchie veri-tà anteriori, e senza uso di ragione e di un certo discor-so. Le sovrasta, ed è veramente donna e imperatrice di

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tutto lo scibile, perchè essa sola porge colla rivelazionelo strumento della riflessione e del sapere, cioè il lin-guaggio, senza l’aiuto del quale le intellezioni naturalinon potrebbero pur essere ripensate, non che avere unvalore scientifico e positivo. Perciò, se la filosofia pre-cede logicamente per la materia, la teologia va innanzicronologicamente per la forma espressiva della cogni-zione: se l’una è la prima notizia, l’altra è la prima paro-la enciclopedica, e quindi sono fra loro parallele e sorel-le, bilanciandosi reciprocamente i loro pregi e i lorovantaggi. Se non che la teologia, comprendendo collaparola tutti i semi ideali, può benissimo passarsi dellasua compagna, onde contiene in sè medesima le partifondamentali; dove che la filosofia non può sussisterepure inizialmente e dare un sol passo, senza l’aiuto delverbo religioso e ieratico. Così, verbigrazia, nel medioevo la filosofia fiorì, benchè mancasse di propedeuticapropria e di scienza prima, perchè fondata sulle creden-ze: dovechè la speculazione moderna, scorporata peropera di Cartesio dall’insegnamento primitivo e autore-vole, è una ingegnosa chimera, che riesce allo scettici-smo e al nullismo, e non può evitare questi due scogli,nè serbare almen la vista di una dottrina, se non contra-dicendo del continuo a sè stessa, e aiutandosi in effettodi quella parola cui ripudia verbalmente come importu-na ed inutile. La teologia è una scienza impossibile fuoridi quella società che sola mantiene incorrotto il rivelatodeposito; di cui le altre sêtte non posseggono la sommaintegrale, ma solo alcuni rimasugli alterati e discordi. La

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tutto lo scibile, perchè essa sola porge colla rivelazionelo strumento della riflessione e del sapere, cioè il lin-guaggio, senza l’aiuto del quale le intellezioni naturalinon potrebbero pur essere ripensate, non che avere unvalore scientifico e positivo. Perciò, se la filosofia pre-cede logicamente per la materia, la teologia va innanzicronologicamente per la forma espressiva della cogni-zione: se l’una è la prima notizia, l’altra è la prima paro-la enciclopedica, e quindi sono fra loro parallele e sorel-le, bilanciandosi reciprocamente i loro pregi e i lorovantaggi. Se non che la teologia, comprendendo collaparola tutti i semi ideali, può benissimo passarsi dellasua compagna, onde contiene in sè medesima le partifondamentali; dove che la filosofia non può sussisterepure inizialmente e dare un sol passo, senza l’aiuto delverbo religioso e ieratico. Così, verbigrazia, nel medioevo la filosofia fiorì, benchè mancasse di propedeuticapropria e di scienza prima, perchè fondata sulle creden-ze: dovechè la speculazione moderna, scorporata peropera di Cartesio dall’insegnamento primitivo e autore-vole, è una ingegnosa chimera, che riesce allo scettici-smo e al nullismo, e non può evitare questi due scogli,nè serbare almen la vista di una dottrina, se non contra-dicendo del continuo a sè stessa, e aiutandosi in effettodi quella parola cui ripudia verbalmente come importu-na ed inutile. La teologia è una scienza impossibile fuoridi quella società che sola mantiene incorrotto il rivelatodeposito; di cui le altre sêtte non posseggono la sommaintegrale, ma solo alcuni rimasugli alterati e discordi. La

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rivelazione primitiva presso i Gentili, e la rivelazion rin-novata appo i moderni eterodossi, sono ruine, e non edi-fizi, sono mucchi di rottami e di calcinacci incomposti,non sistemi organati. Quindi è che, siccome la teologiapagana è un romanzo di miti e di simboli, così la teolo-gia protestante è un’ipotesi, una congettura, un’opinio-ne, un lavorìo subbiettivo, una favola di concerti, unpoema di astrazioni, non una vera e soda dottrina. Lateologia protestante è a tenzone seco medesima, poichè iprincipii razionali onde muove, e i metodi di cui si ser-ve, essendo infetti di psicologismo, sono impotenti aedificare e solo atti a distruggere; tanto che, guidandologicamente al mero razionalismo, essi annullano il so-vrintelligibile e il sovranaturale, che è quanto dire lamateria propria della teologia stessa. La propensione arifondere l’elemento sovrintelligibile nell’intelligibile, eil sovranaturale nella natura, annientando per tal modo ilmistero e il miracolo, che sono i due perni della religio-ne, si vede chiara in tutta la teologia eterodossa, e ha lesue radici nel panteismo corrente, come termine supre-mo in cui riposa il psicologista, che pur non osa risol-versi di professare uno scetticismo e un nullismo assur-do e disperante. Solo il savio ortodosso non incorre nel-la trista necessità di questo suicidio speculativo; giacchèontologicamente procedendo, e movendo dall’idea ve-stita colla parola, egli trova raccolte l’autorità e la ragio-ne, la libertà e la regola, nel principio medesimo ondepiglia le mosse. La teologia dee essere ad un tempo ra-zionale e autoritativa, immutabile e perfettibile; le quali

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rivelazione primitiva presso i Gentili, e la rivelazion rin-novata appo i moderni eterodossi, sono ruine, e non edi-fizi, sono mucchi di rottami e di calcinacci incomposti,non sistemi organati. Quindi è che, siccome la teologiapagana è un romanzo di miti e di simboli, così la teolo-gia protestante è un’ipotesi, una congettura, un’opinio-ne, un lavorìo subbiettivo, una favola di concerti, unpoema di astrazioni, non una vera e soda dottrina. Lateologia protestante è a tenzone seco medesima, poichè iprincipii razionali onde muove, e i metodi di cui si ser-ve, essendo infetti di psicologismo, sono impotenti aedificare e solo atti a distruggere; tanto che, guidandologicamente al mero razionalismo, essi annullano il so-vrintelligibile e il sovranaturale, che è quanto dire lamateria propria della teologia stessa. La propensione arifondere l’elemento sovrintelligibile nell’intelligibile, eil sovranaturale nella natura, annientando per tal modo ilmistero e il miracolo, che sono i due perni della religio-ne, si vede chiara in tutta la teologia eterodossa, e ha lesue radici nel panteismo corrente, come termine supre-mo in cui riposa il psicologista, che pur non osa risol-versi di professare uno scetticismo e un nullismo assur-do e disperante. Solo il savio ortodosso non incorre nel-la trista necessità di questo suicidio speculativo; giacchèontologicamente procedendo, e movendo dall’idea ve-stita colla parola, egli trova raccolte l’autorità e la ragio-ne, la libertà e la regola, nel principio medesimo ondepiglia le mosse. La teologia dee essere ad un tempo ra-zionale e autoritativa, immutabile e perfettibile; le quali

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doti contrarie non si possono accordare insieme, se nonmediante il principio cattolico dell’Idea parlata e rivela-ta, vero Logo in cui il pensiero s’immedesima col suosegno. L’Idea cattolica è sommamente razionale, inquanto splende di luce propria, rischiarando ogni altrointelligibile, e aiutando ad apprendere di rimbalzo il so-vrintelligibile col riverbero delle analogie. Ella è puresupremamente autorevole, giacchè il suo valore dipen-de, non dallo spirito umano, secondo il parere dei psico-logisti, ma dall’Idea stessa, che è autonoma, e in virtù diquesta autonomia rende legittimi tutti gl’intelligibili,che da lei scaturiscono, i sovrintelligibili, che con loros’intrecciano, la parola sensibile, che gli esprime ed in-carna, e quindi il parlante, che instituisce questo verboautorevole, lo conserva e tramanda, cioè il rivelatoreoriginale, e il magisterio ieratico risalente alle originidella rivelazione. È immutabile, perchè i principii razio-nali contenuti nell’Idea, e i principii sovrarazionali,adombrati e determinati dalla parola rivelatrice ed eccle-siastica, non soggiacciono ad alcuna vicenda; tuttavia èperfettibile in ordine all’esplicazione scientifica di taliprincipii, e lascia un libero campo alle investigazioni eai progressi illimitati dello spirito umano.

Dal genio perfettibile della teologia cattolica, comescienza, s’inferisce ch’ella dee essere universale, libera,proporzionata all’indole e ai bisogni dei tempi e dei luo-ghi in cui vien coltivata dagli studiosi. La sua universa-lità si fonda nelle attinenze del sovrintelligibile e del so-vranaturale con tutte le parti dei loro contrari; in virtù

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doti contrarie non si possono accordare insieme, se nonmediante il principio cattolico dell’Idea parlata e rivela-ta, vero Logo in cui il pensiero s’immedesima col suosegno. L’Idea cattolica è sommamente razionale, inquanto splende di luce propria, rischiarando ogni altrointelligibile, e aiutando ad apprendere di rimbalzo il so-vrintelligibile col riverbero delle analogie. Ella è puresupremamente autorevole, giacchè il suo valore dipen-de, non dallo spirito umano, secondo il parere dei psico-logisti, ma dall’Idea stessa, che è autonoma, e in virtù diquesta autonomia rende legittimi tutti gl’intelligibili,che da lei scaturiscono, i sovrintelligibili, che con loros’intrecciano, la parola sensibile, che gli esprime ed in-carna, e quindi il parlante, che instituisce questo verboautorevole, lo conserva e tramanda, cioè il rivelatoreoriginale, e il magisterio ieratico risalente alle originidella rivelazione. È immutabile, perchè i principii razio-nali contenuti nell’Idea, e i principii sovrarazionali,adombrati e determinati dalla parola rivelatrice ed eccle-siastica, non soggiacciono ad alcuna vicenda; tuttavia èperfettibile in ordine all’esplicazione scientifica di taliprincipii, e lascia un libero campo alle investigazioni eai progressi illimitati dello spirito umano.

Dal genio perfettibile della teologia cattolica, comescienza, s’inferisce ch’ella dee essere universale, libera,proporzionata all’indole e ai bisogni dei tempi e dei luo-ghi in cui vien coltivata dagli studiosi. La sua universa-lità si fonda nelle attinenze del sovrintelligibile e del so-vranaturale con tutte le parti dei loro contrari; in virtù

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delle quali attinenze i progressi che si fanno nel campodell’intelligibile e della natura, ridondano in bene dellateologia stessa, ne perfezionano i dettati e ne dilatano iconfini. Tutte le discipline sono più o meno enciclopedi-che; ma due principalmente; cioè la teologia e la filoso-fia, come quelle che, locate in cima della formola idealee però dell’albero scientifico, si diramano per tutte lemembra e le ragioni di esso. L’universalità della teolo-gia risplende nell’antichità cristiana e nel medio evo,che sono l’età aurea e l’età argentea delle scienze reli-giose; giacchè i Padri, come gli Scolastici, fecero rispet-to a queste ciò che i savi italo-greci del Paganesimo ave-vano tentato riguardo alla filosofia, propagandone i ter-mini, quanto quelli del creato, e sinonimandola colla sa-pienza enciclopedica. E come questa proprietà della fi-losofia antica corse per due forme distinte, l’una pitago-reoplatonica e l’altra peripatetica, così la teologia fu uni-versale nei Padri, secondo il concetto di Platone, e negliScolastici, giusta il processo di Aristotile. Dante, checominciò nel mondo cristiano l’êra del senno laicale, esecolareggiò la scienza ieratica, facendola uscire daiconventi, dai seminari e dalle sacre scuole, le mantenneil suo carattere enciclopedico, e ampliollo; imperocchè,gittando nelle Cantiche e nelle altre sue opere i semidella moderna scienza ideale, e della natural filosofia,maturata in sèguito e levata al suo colmo da Galileo,egli compose questi germi peregrini colle sane creden-

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delle quali attinenze i progressi che si fanno nel campodell’intelligibile e della natura, ridondano in bene dellateologia stessa, ne perfezionano i dettati e ne dilatano iconfini. Tutte le discipline sono più o meno enciclopedi-che; ma due principalmente; cioè la teologia e la filoso-fia, come quelle che, locate in cima della formola idealee però dell’albero scientifico, si diramano per tutte lemembra e le ragioni di esso. L’universalità della teolo-gia risplende nell’antichità cristiana e nel medio evo,che sono l’età aurea e l’età argentea delle scienze reli-giose; giacchè i Padri, come gli Scolastici, fecero rispet-to a queste ciò che i savi italo-greci del Paganesimo ave-vano tentato riguardo alla filosofia, propagandone i ter-mini, quanto quelli del creato, e sinonimandola colla sa-pienza enciclopedica. E come questa proprietà della fi-losofia antica corse per due forme distinte, l’una pitago-reoplatonica e l’altra peripatetica, così la teologia fu uni-versale nei Padri, secondo il concetto di Platone, e negliScolastici, giusta il processo di Aristotile. Dante, checominciò nel mondo cristiano l’êra del senno laicale, esecolareggiò la scienza ieratica, facendola uscire daiconventi, dai seminari e dalle sacre scuole, le mantenneil suo carattere enciclopedico, e ampliollo; imperocchè,gittando nelle Cantiche e nelle altre sue opere i semidella moderna scienza ideale, e della natural filosofia,maturata in sèguito e levata al suo colmo da Galileo,egli compose questi germi peregrini colle sane creden-

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ze1, segnò il transito della Scolastica verso una formapiù recente, insieme contemperandole, e fece nelle cose,come nella lingua, quel mirabile impasto di antico e dinuovo, di passato e di futuro, di memorie e di presenti-menti, ond’egli è ancora ai dì nostri il più vecchio e ilpiù giovane degli scrittori europei. E benchè dopo Danteil pensiero italiano in ogni ragione di esercizio declinas-se, tuttavolta la nostra teologia serbò sempre più o menoquella larghezza e maestà che le convengono; e basti ilcitare in prova Roberto Bellarmino2 e Sigismondo Ger-dil, uomini di mente e di dottrina capacissima; ai qualiaggiungerei il Sarpi, se l’uso che fece dell’ingegno neavesse sempre pareggiata la bontà e il valore. I primiche impicciolirono la sacra scienza, segregandola dalprofano sapere, e quindi la resero stazionaria e infecon-da, furono i Francesi; dai quali nacque quella forma diteologizzare, spesso limpida, elegante, giudiziosa, fa-conda, ma timida, ristretta, poco penetrativa, schiva delprofano e del nuovo, paga del mediocre e del superficia-le, aliena del pari dall’altezza e dalla profondità antica, enon aspirante che ai suffragi del comun senso; il quale ècerto pregevolissimo, ma non basta a creare e compierela scienza. Queste doti sono ottime in quella spezie

1 Il Bellarmino e il Berti, fra gli altri, scrissero sulla teologia di Dante. Tut-tavia, malgrado l’orma impressa da loro, il tema è ancor quasi nuovo, chivolesse oggi trattarlo [G.]. Il tema fu trattato pure dall’Ozanam nel suoDante et la philosophie catholique, Paris, 1839.

2 Roberto Bellarmino nacque nel 1542 a Montepulciano. Questo cardinale sirese celebre principalmente col suo Corpo di controversie. Morì nel 1621in Roma, Cfr. CONDERC, Le vénérable cardinal B., Paris. 1893.

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ze1, segnò il transito della Scolastica verso una formapiù recente, insieme contemperandole, e fece nelle cose,come nella lingua, quel mirabile impasto di antico e dinuovo, di passato e di futuro, di memorie e di presenti-menti, ond’egli è ancora ai dì nostri il più vecchio e ilpiù giovane degli scrittori europei. E benchè dopo Danteil pensiero italiano in ogni ragione di esercizio declinas-se, tuttavolta la nostra teologia serbò sempre più o menoquella larghezza e maestà che le convengono; e basti ilcitare in prova Roberto Bellarmino2 e Sigismondo Ger-dil, uomini di mente e di dottrina capacissima; ai qualiaggiungerei il Sarpi, se l’uso che fece dell’ingegno neavesse sempre pareggiata la bontà e il valore. I primiche impicciolirono la sacra scienza, segregandola dalprofano sapere, e quindi la resero stazionaria e infecon-da, furono i Francesi; dai quali nacque quella forma diteologizzare, spesso limpida, elegante, giudiziosa, fa-conda, ma timida, ristretta, poco penetrativa, schiva delprofano e del nuovo, paga del mediocre e del superficia-le, aliena del pari dall’altezza e dalla profondità antica, enon aspirante che ai suffragi del comun senso; il quale ècerto pregevolissimo, ma non basta a creare e compierela scienza. Queste doti sono ottime in quella spezie

1 Il Bellarmino e il Berti, fra gli altri, scrissero sulla teologia di Dante. Tut-tavia, malgrado l’orma impressa da loro, il tema è ancor quasi nuovo, chivolesse oggi trattarlo [G.]. Il tema fu trattato pure dall’Ozanam nel suoDante et la philosophie catholique, Paris, 1839.

2 Roberto Bellarmino nacque nel 1542 a Montepulciano. Questo cardinale sirese celebre principalmente col suo Corpo di controversie. Morì nel 1621in Roma, Cfr. CONDERC, Le vénérable cardinal B., Paris. 1893.

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d’insegnamento che popolare si appella, ma non bastanoa disciplinare i dotti di professione; e quando il tirociniodi costoro si snerva e il sapere loro dietreggia, l’instru-zione volgare, che ne è l’effetto e quasi il riverbero, sca-pita in proporzione. Io attribuisco a questo tralignaredella teologia moderna la sua assoluta impotenza a fer-mare o rallentare il moto dell’empietà signoreggiante;giacchè lo studio della religione è inefficace verso glierrori correnti, ogni qual volta non corrisponde al geniodel secolo, e non se ne appropria la civiltà e gli acquisti.Dal che nasce eziandio l’immobilità di esso studio; im-perocchè le basi e la sostanza sua non essendo suscetti-ve di mutazione, il solo verso per cui possa andare in-nanzi, migliorando i suoi metodi, e accrescendo il nu-mero delle sue conclusioni, consiste nella scoperta dinuove attinenze colle cose che gli sono estrinseche, cioècoi fenomeni, cogli eventi e cogli intelligibili; la qualenon può accadere, quando se ne rimuovono le cognizio-ni profane, ovvero (il che è quasi tutt’uno) si abbraccia-no solo superficialmente. Vergognosa inerzia, che hamutata l’esposizione della disciplina più nobile e rile-vante in un ripetìo tedioso e servile delle stesse forme,senza niuno intrinseco miglioramento. Questo, certo,non può aver luogo quando si reca nel lavoro scientificoil processo empirico e meccanico della compilazione; ilquale a guisa dell’aggregamento inorganico può aggiun-gere o togliere, arrecando alle materie che si trattanoqualche accidentale profitto, ma non vantaggia l’essenzadei metodi, nè la copia e la feracità delle deduzioni. Le

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d’insegnamento che popolare si appella, ma non bastanoa disciplinare i dotti di professione; e quando il tirociniodi costoro si snerva e il sapere loro dietreggia, l’instru-zione volgare, che ne è l’effetto e quasi il riverbero, sca-pita in proporzione. Io attribuisco a questo tralignaredella teologia moderna la sua assoluta impotenza a fer-mare o rallentare il moto dell’empietà signoreggiante;giacchè lo studio della religione è inefficace verso glierrori correnti, ogni qual volta non corrisponde al geniodel secolo, e non se ne appropria la civiltà e gli acquisti.Dal che nasce eziandio l’immobilità di esso studio; im-perocchè le basi e la sostanza sua non essendo suscetti-ve di mutazione, il solo verso per cui possa andare in-nanzi, migliorando i suoi metodi, e accrescendo il nu-mero delle sue conclusioni, consiste nella scoperta dinuove attinenze colle cose che gli sono estrinseche, cioècoi fenomeni, cogli eventi e cogli intelligibili; la qualenon può accadere, quando se ne rimuovono le cognizio-ni profane, ovvero (il che è quasi tutt’uno) si abbraccia-no solo superficialmente. Vergognosa inerzia, che hamutata l’esposizione della disciplina più nobile e rile-vante in un ripetìo tedioso e servile delle stesse forme,senza niuno intrinseco miglioramento. Questo, certo,non può aver luogo quando si reca nel lavoro scientificoil processo empirico e meccanico della compilazione; ilquale a guisa dell’aggregamento inorganico può aggiun-gere o togliere, arrecando alle materie che si trattanoqualche accidentale profitto, ma non vantaggia l’essenzadei metodi, nè la copia e la feracità delle deduzioni. Le

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scienze non possono acquistare perfezionamenti notabi-li, se non col procedere organico, che penetra nelle vi-scere di quelle, e ne riforma l’intima ordinanza; cosacerto impossibile a ottenersi, finchè i maestri in divinitàlavorano meccanicamente di musaico e di tarsia, conten-tandosi di copiare o rimestare i tritumi dei loro scolasticibisarcavoli, colla fiducia di essere imitati dai successorisino alla fine del mondo. Il mal vezzo passò anche inItalia colle merci forestiere del gallicanismo e del Gian-senismo; se non che, tanto è il vigore delle menti nellapenisola, che la vena teologica non inaridì affatto nellenostre scuole. E senza parlare di Roma, dove spesso fio-rirono i pensatori profondi (e basti nominare il Ventura eil Mastrofini1 fra i nostri coetanei), mi piace di potermenzionare l’Università di Torino2, come uno degli stu-di italici, in cui il culto delle lettere cristiane potè con-trarre qualche neo dalla contermina Francia, ma fu sem-pre severo e profondo. Certo, i nomi del Ghio e di PietroRegis, vissuti sullo scorcio del passato secolo, sarebberostati degni di valicare l’Appennino e le Alpi; e a quelli

1 Gioacchino Ventura, di Palermo, vissuto dal 1792 al 1861, prima gesuita,poi teatino, specialmente ammirato come predicatore. Cfr. E. MONTAZIO, G.V., Torino, 1862, e per i suoi rapporti col Gioberti, G. MASSSARI, Ricordibiografici e carteggio di V. G., Torino, 1861, vol. II, pag. 667, e vol. III,pag. 13 e segg., 80-81. Purista e grammatico fu Marco Mastrofini di Mon-te Compatri nel Lazio, che visse dal 1763 al 1845. Cfr. S. CIUFFA, M. M.,sue opere edite e inedite, Roma, 1875.

2 Vedi intorno ad essa ed al Ghio, Regis, ecc. che vi insegnarono, la Storiadelle Università degli Studi del Piemonte di Tommaso Vallauri, Torino,1846, vol. III.

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scienze non possono acquistare perfezionamenti notabi-li, se non col procedere organico, che penetra nelle vi-scere di quelle, e ne riforma l’intima ordinanza; cosacerto impossibile a ottenersi, finchè i maestri in divinitàlavorano meccanicamente di musaico e di tarsia, conten-tandosi di copiare o rimestare i tritumi dei loro scolasticibisarcavoli, colla fiducia di essere imitati dai successorisino alla fine del mondo. Il mal vezzo passò anche inItalia colle merci forestiere del gallicanismo e del Gian-senismo; se non che, tanto è il vigore delle menti nellapenisola, che la vena teologica non inaridì affatto nellenostre scuole. E senza parlare di Roma, dove spesso fio-rirono i pensatori profondi (e basti nominare il Ventura eil Mastrofini1 fra i nostri coetanei), mi piace di potermenzionare l’Università di Torino2, come uno degli stu-di italici, in cui il culto delle lettere cristiane potè con-trarre qualche neo dalla contermina Francia, ma fu sem-pre severo e profondo. Certo, i nomi del Ghio e di PietroRegis, vissuti sullo scorcio del passato secolo, sarebberostati degni di valicare l’Appennino e le Alpi; e a quelli

1 Gioacchino Ventura, di Palermo, vissuto dal 1792 al 1861, prima gesuita,poi teatino, specialmente ammirato come predicatore. Cfr. E. MONTAZIO, G.V., Torino, 1862, e per i suoi rapporti col Gioberti, G. MASSSARI, Ricordibiografici e carteggio di V. G., Torino, 1861, vol. II, pag. 667, e vol. III,pag. 13 e segg., 80-81. Purista e grammatico fu Marco Mastrofini di Mon-te Compatri nel Lazio, che visse dal 1763 al 1845. Cfr. S. CIUFFA, M. M.,sue opere edite e inedite, Roma, 1875.

2 Vedi intorno ad essa ed al Ghio, Regis, ecc. che vi insegnarono, la Storiadelle Università degli Studi del Piemonte di Tommaso Vallauri, Torino,1846, vol. III.

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di Giuseppe Bardi e di Giangiulio Sineo1, che fiorironoalla nostra memoria, mancò solo l’ambizione e la fortu-na per essere immortali. Il primo creò, si può dire,l’ermeneutica sacra, qual si addice ai progressi dellamoderna erudizione, e levò contro il razionalismo bibli-co, allora sconosciuto fuori di Germania, un’insegnacattolica e italiana. Il secondo fu uno degl’ingegni piùpellegrini e profondi che io abbia conosciuti, benchè le-vasse poco grido, per difetto di teatro proporzionato allagrandezza della sua virtù; essendo fatale alla nostra pa-tria che la maggior parte de’ suoi grandi vivano oscuri enegletti, e lascino appena, morendo, una fama di muni-cipio.

Della immutabilità, perfettibilità e libertà della teologiacattolica. Cenno sulla storia e sulle vicende di essa.

La libertà propria della teologia cattolica è quella chesi confà ad una scienza adulta, costituita e fondata suprincipii incommutabili; cioè ugualmente aliena dallaschiavitù e dalla licenza. Coloro che argomentanodall’immutabilità delle basi contro il libero e progressi-vo andamento di quella, e la disprezzano come staziona-ria o retrograda, dovrebbero dei pari pigliarsela contro lematematiche; le quali, per quanto io mi sappia, non sonopadrone di rivolgere a lor talento i pronunziati su cui sifondano. Ma non che questa condizione torni in lor pre-

1 Sul Sineo cfr. V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, Losanna, 1847, VII, pag. 1e segg., e C. ARNÒ, L’eroe Sineo e i Sineo di Roddi, Alba, 1906, pagg. 11-13.

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di Giuseppe Bardi e di Giangiulio Sineo1, che fiorironoalla nostra memoria, mancò solo l’ambizione e la fortu-na per essere immortali. Il primo creò, si può dire,l’ermeneutica sacra, qual si addice ai progressi dellamoderna erudizione, e levò contro il razionalismo bibli-co, allora sconosciuto fuori di Germania, un’insegnacattolica e italiana. Il secondo fu uno degl’ingegni piùpellegrini e profondi che io abbia conosciuti, benchè le-vasse poco grido, per difetto di teatro proporzionato allagrandezza della sua virtù; essendo fatale alla nostra pa-tria che la maggior parte de’ suoi grandi vivano oscuri enegletti, e lascino appena, morendo, una fama di muni-cipio.

Della immutabilità, perfettibilità e libertà della teologiacattolica. Cenno sulla storia e sulle vicende di essa.

La libertà propria della teologia cattolica è quella chesi confà ad una scienza adulta, costituita e fondata suprincipii incommutabili; cioè ugualmente aliena dallaschiavitù e dalla licenza. Coloro che argomentanodall’immutabilità delle basi contro il libero e progressi-vo andamento di quella, e la disprezzano come staziona-ria o retrograda, dovrebbero dei pari pigliarsela contro lematematiche; le quali, per quanto io mi sappia, non sonopadrone di rivolgere a lor talento i pronunziati su cui sifondano. Ma non che questa condizione torni in lor pre-

1 Sul Sineo cfr. V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, Losanna, 1847, VII, pag. 1e segg., e C. ARNÒ, L’eroe Sineo e i Sineo di Roddi, Alba, 1906, pagg. 11-13.

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giudizio, esse se ne vantaggiano; perchè la fermezza deiprincipii che le guidano, e dei dati in cui si esercitano,contribuisce a dar loro quella eccellenza per cui si chia-mano esatte. La perfezione del lavoro scientifico nonconsiste nella mutabilità e quindi nella incertezza dellesue fondamenta; perchè a questo ragguaglio una scienzasarebbe tanto più perfetta, quanto più è bambina, e va-cillante fra le conghietture e le ipotesi in aria; e, crescen-do e assodandosi, si scosterebbe dalla perfezione; tantoche perfettissimo fra tutti i sistemi dovrebbe dirsi loscetticismo, che pur è un ludibrio ripugnante e capric-cioso dello spirito e la negazione assoluta del sapere, lacui essenza risiede nella esplicazione di un organismoideale, retto da leggi e condizioni determinate. Ora lateologia ortodossa partecipa al privilegio che hanno lematematiche di essere perfettamente organate, e di potercrescere con un moto graduato ed equabile, senza operadi rivoluzioni; giacchè le rivoluzioni occorrono nellescienze, quando i trovati novelli e le scoperte distruggo-no o rimutano essenzialmente le cognizioni antiche.Quindi è che le discipline sacre, come le calcolatrici, sichiamano esatte, perchè si fondano sur un concreto in-variabile e ben circoscritto; il quale, riguardo alle prime,versa nella tela del verbo rivelato, come rispetto alle se-conde, nell’intuito del tempo e dello spazio, che sono ilverbo razionale, poichè in essi il concetto intellettivoporta seco il segno che lo esprime sensatamente, attesola natural parentela dell’intelletto e della immaginazionenel rappresentare quelle due forme. Donde anche deriva

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giudizio, esse se ne vantaggiano; perchè la fermezza deiprincipii che le guidano, e dei dati in cui si esercitano,contribuisce a dar loro quella eccellenza per cui si chia-mano esatte. La perfezione del lavoro scientifico nonconsiste nella mutabilità e quindi nella incertezza dellesue fondamenta; perchè a questo ragguaglio una scienzasarebbe tanto più perfetta, quanto più è bambina, e va-cillante fra le conghietture e le ipotesi in aria; e, crescen-do e assodandosi, si scosterebbe dalla perfezione; tantoche perfettissimo fra tutti i sistemi dovrebbe dirsi loscetticismo, che pur è un ludibrio ripugnante e capric-cioso dello spirito e la negazione assoluta del sapere, lacui essenza risiede nella esplicazione di un organismoideale, retto da leggi e condizioni determinate. Ora lateologia ortodossa partecipa al privilegio che hanno lematematiche di essere perfettamente organate, e di potercrescere con un moto graduato ed equabile, senza operadi rivoluzioni; giacchè le rivoluzioni occorrono nellescienze, quando i trovati novelli e le scoperte distruggo-no o rimutano essenzialmente le cognizioni antiche.Quindi è che le discipline sacre, come le calcolatrici, sichiamano esatte, perchè si fondano sur un concreto in-variabile e ben circoscritto; il quale, riguardo alle prime,versa nella tela del verbo rivelato, come rispetto alle se-conde, nell’intuito del tempo e dello spazio, che sono ilverbo razionale, poichè in essi il concetto intellettivoporta seco il segno che lo esprime sensatamente, attesola natural parentela dell’intelletto e della immaginazionenel rappresentare quelle due forme. Donde anche deriva

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l’universalità del consenso che privilegia tali discipline;perchè, mentre le altre parti della enciclopedia si divido-no quasi tutte in diverse scuole e famiglie tenzonanti fraloro anche sui punti capitali, i teologi cattolici, come imatematici, insieme si accordano nella sostanza dei loroinsegnamenti. Il parlare della concordia dei teologi puòparere ridicolo, quando l’istoria è piena delle loro inter-minabili dispute; ma egli è da notare che le guerre civilidella teologia versarono quasi sempre sugli accessorii, enon sul principale; e siccome il predominio dell’acci-dente sulla sostanza è un grave disordine, queste liti nonentrarono a turbare i sacri studi, che in età assai recente,dappoichè, traportato il loro seggio più cospicuo d’Italiain Francia, essi scaddero e tralignarono dalle proprieorigini. Notisi infatti che, sinchè la teologia fu governatadal senno italiano e durò nel suo fiore, le guerre di essafurono quasi tutte estrinseche, cioè contro gli eretici egli acattolici di ogni maniera; e quindi opportune, profit-tevoli e suscettive di ottimo riuscimento. Laddove le al-tercazioni inutili e senza fine cominciarono solo nel se-colo diciassettesimo; e i teologi gallicani coi sottigliumiconcettuali o verbali, e colle dialettiche loro capestrerieimitarono i bisantini, che facevano stillati speculativi sucose frivolissime, quando la bandiera di Maometto eraalle porte della città. Così, mentre i falsi filosofi spianta-vano le basi della rivelazione, i cattolici si lambiccavanoil cervello sul mistero della grazia, e rendevano la reli-gione parte odiosa e parte ridicola. La teologia, invecedi essere la regina delle scienze, diventa un piato me-

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l’universalità del consenso che privilegia tali discipline;perchè, mentre le altre parti della enciclopedia si divido-no quasi tutte in diverse scuole e famiglie tenzonanti fraloro anche sui punti capitali, i teologi cattolici, come imatematici, insieme si accordano nella sostanza dei loroinsegnamenti. Il parlare della concordia dei teologi puòparere ridicolo, quando l’istoria è piena delle loro inter-minabili dispute; ma egli è da notare che le guerre civilidella teologia versarono quasi sempre sugli accessorii, enon sul principale; e siccome il predominio dell’acci-dente sulla sostanza è un grave disordine, queste liti nonentrarono a turbare i sacri studi, che in età assai recente,dappoichè, traportato il loro seggio più cospicuo d’Italiain Francia, essi scaddero e tralignarono dalle proprieorigini. Notisi infatti che, sinchè la teologia fu governatadal senno italiano e durò nel suo fiore, le guerre di essafurono quasi tutte estrinseche, cioè contro gli eretici egli acattolici di ogni maniera; e quindi opportune, profit-tevoli e suscettive di ottimo riuscimento. Laddove le al-tercazioni inutili e senza fine cominciarono solo nel se-colo diciassettesimo; e i teologi gallicani coi sottigliumiconcettuali o verbali, e colle dialettiche loro capestrerieimitarono i bisantini, che facevano stillati speculativi sucose frivolissime, quando la bandiera di Maometto eraalle porte della città. Così, mentre i falsi filosofi spianta-vano le basi della rivelazione, i cattolici si lambiccavanoil cervello sul mistero della grazia, e rendevano la reli-gione parte odiosa e parte ridicola. La teologia, invecedi essere la regina delle scienze, diventa un piato me-

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schino e contennendo, quando pospone il culto del dog-ma a quello delle opinioni, e torce le sue batterie controsè stessa, invece di appuntarle contro i nemici dellafede. Certo, il dogma rivelato e circoscritto dal magiste-rio autorevole lascia intorno a sè un margine indefinito,e dà luogo a diversi pareri più o meno gravi e fondati,secondo che più o meno si accostano a quello; e coloroche, trascorrendo in un altro eccesso, vorrebbero obbli-gare i teologi a preterire affatto le materie opinabili, nonse ne intendono. Ma in ogni caso le opinioni debbonosottostare al dogma, essere trattate con gran parsimonia,e aversi in conto di semplici accessorii; sovratutto se perla materia riguardano soltanto la speculazione, e non siconnettono strettamente colla pratica1. Il voler misurarele cognizioni dalla curiosità e risolvere ogni quesito chesi affacci allo spirito, è cosa ridicola in ogni genere, ma

1 Un illustre teologo italiano dell’età nostra si esprime in questi terminisull’uso teologico delle opinioni: «Sic insectabimur veritatis hostes, ut om-nes domesticas atque olim magna animorum contentione agitatas in scho-lis catholicis questiones, quoad fieri potest, devitemus. Salva enim fide, etEcclesia ipsa annuente, unaquæque schola suis potest adhærere placitis.Ad pacem propterea conservandam, atque fovendam, his supersedebimus,nisi expeditior dogmatis explicatio aliud suadeat; quo in casu illud anteomnia nobis cura erit, eam seligere sententiam qua dogmati cum explanan-do, tum contra incredulos ac heterodoxos tuendo accommodatior videbitur,Ne tamen quæstiones ejusmodi a theologiæ studiosis penitus ignorentur,controversiam historica ratione exponemus, ac præcipua utriusque contra-riae sententiae momenta, ex cujusque illustrioribus patronis deprompta, in-genue ac breviter attingemus; quo fiet ut in talibus questionibus, unusqui-sque, perpensis hinc inde rationibus, eam sequetur sententiam, quam verio-rem putaverit; tali enim in casu unusquisqae in sensu suo abundet».(PERRONE, Prælect, theolog. Proleg. § 3. Lovanii, 1838 vol. I, pag. XVIII,XIX). [G.].

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schino e contennendo, quando pospone il culto del dog-ma a quello delle opinioni, e torce le sue batterie controsè stessa, invece di appuntarle contro i nemici dellafede. Certo, il dogma rivelato e circoscritto dal magiste-rio autorevole lascia intorno a sè un margine indefinito,e dà luogo a diversi pareri più o meno gravi e fondati,secondo che più o meno si accostano a quello; e coloroche, trascorrendo in un altro eccesso, vorrebbero obbli-gare i teologi a preterire affatto le materie opinabili, nonse ne intendono. Ma in ogni caso le opinioni debbonosottostare al dogma, essere trattate con gran parsimonia,e aversi in conto di semplici accessorii; sovratutto se perla materia riguardano soltanto la speculazione, e non siconnettono strettamente colla pratica1. Il voler misurarele cognizioni dalla curiosità e risolvere ogni quesito chesi affacci allo spirito, è cosa ridicola in ogni genere, ma

1 Un illustre teologo italiano dell’età nostra si esprime in questi terminisull’uso teologico delle opinioni: «Sic insectabimur veritatis hostes, ut om-nes domesticas atque olim magna animorum contentione agitatas in scho-lis catholicis questiones, quoad fieri potest, devitemus. Salva enim fide, etEcclesia ipsa annuente, unaquæque schola suis potest adhærere placitis.Ad pacem propterea conservandam, atque fovendam, his supersedebimus,nisi expeditior dogmatis explicatio aliud suadeat; quo in casu illud anteomnia nobis cura erit, eam seligere sententiam qua dogmati cum explanan-do, tum contra incredulos ac heterodoxos tuendo accommodatior videbitur,Ne tamen quæstiones ejusmodi a theologiæ studiosis penitus ignorentur,controversiam historica ratione exponemus, ac præcipua utriusque contra-riae sententiae momenta, ex cujusque illustrioribus patronis deprompta, in-genue ac breviter attingemus; quo fiet ut in talibus questionibus, unusqui-sque, perpensis hinc inde rationibus, eam sequetur sententiam, quam verio-rem putaverit; tali enim in casu unusquisqae in sensu suo abundet».(PERRONE, Prælect, theolog. Proleg. § 3. Lovanii, 1838 vol. I, pag. XVIII,XIX). [G.].

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principalmente nelle scienze divine, i cui confini vengo-no determinati dai termini insuperabili della rivelazione,come quelli delle fisiche della osservazione e della espe-rienza; e l’oblio di questa sobrietà sapiente fu il difettoprincipale della Scolastica, e la cagione potissima dellasua declinaziane. La libertà cristiana si esercita nel cam-po delle opinioni, come l’autorità in quello dei dogmi; edal conserto armonico delle due molle nasce lo squisitotemperamento della dottrina cattolica, per cui ella è adun tempo stabile e progressiva. Questi due principii sitrovano sempre a fronte l’uno dell’altro nella storia dellescienze teologiche; giacché, se l’uno prevalesse, l’inse-gnamento diverrebbe licenzioso ed eterodosso, ovveroinerte e infecondo se l’altro predominasse. Essi rispon-dono ai due componenti della scienza, l’uno dei quali èsubbiettivo, e consiste nella riflessione libera, l’altro èobbiettivo, e risiede nell’Idea parlata: questo riguarda lamateria sostanziale e la regola del sapere, quello concer-ne la dottrinale sua forma. E siccome gli elementi scien-tifici s’individuano negli scienziati, la dualità e il con-traposto degli uni spicca nelle varie famiglie degli altri,e si vede sovratutto nella storia dei varii ordini religiosi,considerati come strumenti enciclopedici del pensierocattolico- e cristiano. Così i Benedettini, che sono i piùantichi claustrali di Occidente, esprimono la potenza co-gitativa nel suo grado più semplice e popolare, che è lasemplice storia, o raccolta di nozioni e di fatti non anco-ra ordinati in corpo di scienza; ond’è che i dotti di que-sto illustre instituto rifusero specialmente nella varia

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principalmente nelle scienze divine, i cui confini vengo-no determinati dai termini insuperabili della rivelazione,come quelli delle fisiche della osservazione e della espe-rienza; e l’oblio di questa sobrietà sapiente fu il difettoprincipale della Scolastica, e la cagione potissima dellasua declinaziane. La libertà cristiana si esercita nel cam-po delle opinioni, come l’autorità in quello dei dogmi; edal conserto armonico delle due molle nasce lo squisitotemperamento della dottrina cattolica, per cui ella è adun tempo stabile e progressiva. Questi due principii sitrovano sempre a fronte l’uno dell’altro nella storia dellescienze teologiche; giacché, se l’uno prevalesse, l’inse-gnamento diverrebbe licenzioso ed eterodosso, ovveroinerte e infecondo se l’altro predominasse. Essi rispon-dono ai due componenti della scienza, l’uno dei quali èsubbiettivo, e consiste nella riflessione libera, l’altro èobbiettivo, e risiede nell’Idea parlata: questo riguarda lamateria sostanziale e la regola del sapere, quello concer-ne la dottrinale sua forma. E siccome gli elementi scien-tifici s’individuano negli scienziati, la dualità e il con-traposto degli uni spicca nelle varie famiglie degli altri,e si vede sovratutto nella storia dei varii ordini religiosi,considerati come strumenti enciclopedici del pensierocattolico- e cristiano. Così i Benedettini, che sono i piùantichi claustrali di Occidente, esprimono la potenza co-gitativa nel suo grado più semplice e popolare, che è lasemplice storia, o raccolta di nozioni e di fatti non anco-ra ordinati in corpo di scienza; ond’è che i dotti di que-sto illustre instituto rifusero specialmente nella varia

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erudizione, e al dì d’oggi cominciano in Italia ed inFrancia a rinnovare l’antica gloria. La scienza entrò nelchiostro coi Francescani e coi Domenicani; i quali sipârtirono fra loro il Logo scientifico, che è il principioobbiettivo e autorevole della sapienza cristiana, secondoche diedero il predominio all’uno o all’altro de’ suoi duecomponenti. Laonde presso i primi prevalse l’Ideaschietta, propria dell’intuito e generativa della contem-plazione; appo i secondi l’Idea parlata, appresa dalla ri-flessione e produttiva del discorso; ond’essi chiamaronsifrati predicatori. Per cogliere questa armonica contrarie-tà dei due ordini, si ragguaglino insieme Bonaventura eTommaso; le dottrine dei quali insieme accoppiate for-mano il vero e compiuto realismo dei bassi tempi, che sicercherebbe indarno nei lor sistemi disgiunti; giacchèl’uno poco si scosta dall’intuito, e l’altro si ferma nellariflessione. I Gesuiti, venuti più tardi, esercitarono uni-tamente il doppio ufficio; perchè al di fuori e verso iProtestanti promossero il principio autorevole, dentro enelle scuole cattoliche difesero la libertà cristiana, cosìnegli ordini civili del giure, come in quelli dell’insegna-mento. Laonde nel punto stesso che il Bossuet e gliscrittori di Portoreale consacravano l’abuso della poten-za nei principi, ed esercitavano essi medesimi nel cam-po delle opinioni un dominio intollerabile, i Gesuiti pro-pugnavano i diritti moderati delle scuole e dei popoli. Ebenchè il modo con cui la libertà didascalica venne usa-ta da quest’ordine illustre, non sia sempre stato egual-mente opportuno, ora sciupandosi il tempo intorno a

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erudizione, e al dì d’oggi cominciano in Italia ed inFrancia a rinnovare l’antica gloria. La scienza entrò nelchiostro coi Francescani e coi Domenicani; i quali sipârtirono fra loro il Logo scientifico, che è il principioobbiettivo e autorevole della sapienza cristiana, secondoche diedero il predominio all’uno o all’altro de’ suoi duecomponenti. Laonde presso i primi prevalse l’Ideaschietta, propria dell’intuito e generativa della contem-plazione; appo i secondi l’Idea parlata, appresa dalla ri-flessione e produttiva del discorso; ond’essi chiamaronsifrati predicatori. Per cogliere questa armonica contrarie-tà dei due ordini, si ragguaglino insieme Bonaventura eTommaso; le dottrine dei quali insieme accoppiate for-mano il vero e compiuto realismo dei bassi tempi, che sicercherebbe indarno nei lor sistemi disgiunti; giacchèl’uno poco si scosta dall’intuito, e l’altro si ferma nellariflessione. I Gesuiti, venuti più tardi, esercitarono uni-tamente il doppio ufficio; perchè al di fuori e verso iProtestanti promossero il principio autorevole, dentro enelle scuole cattoliche difesero la libertà cristiana, cosìnegli ordini civili del giure, come in quelli dell’insegna-mento. Laonde nel punto stesso che il Bossuet e gliscrittori di Portoreale consacravano l’abuso della poten-za nei principi, ed esercitavano essi medesimi nel cam-po delle opinioni un dominio intollerabile, i Gesuiti pro-pugnavano i diritti moderati delle scuole e dei popoli. Ebenchè il modo con cui la libertà didascalica venne usa-ta da quest’ordine illustre, non sia sempre stato egual-mente opportuno, ora sciupandosi il tempo intorno a

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quistioni di poco momento, ora trascorrendositropp’oltre, specialmente nelle cose che s’attengono aicostumi, ora volgendo le controversie e la scienza a finisecondari e non degni della loro grandezza, tuttavia latutela del principio in sè stesso fu utilissima, mantenen-do nell’insegnamento teologico una condizione richiestaa’ suoi futuri progressi. Imperocchè l’insazietà dello spi-rito umano è tale, che, se certi teologi avessero balìa dideterminare perentoriamente il vero, le definizioni inpoco si moltiplicherebbono a segno da invadere tutta lascienza e distruggere la facoltà elettiva nelle materieopinabili. Il che sarebbe solo ragionevole, quando la ri-velazione adeguasse il sovrintelligibile; ma stando ilcontrario, e ogni punto luminoso di quella avendo il suolembo e la sua penombra, che digrada e svanisce, comeuna fiaccola tralucente nel buio notturno1, la Chiesa pro-cedette sempre con grandissimo riserbo nel condannarle opinioni, nè mai permise ad alcun privato il far le sueveci, togliendo ai fedeli balìa di eleggere riguardo allecose in cui il divino Spirito, aprendo men pienamente ilvero, l’ha conceduta agli uomini. Perciò nello stessomodo ch’ella tutelò sempre la libertà dell’arbitrio sottol’azione onnipotente di Dio, e la libertà dello Stato sottol’indirizzo spirituale del papa, così mantenne costante-mente la libertà delle opinioni sotto l’impero del dogma.La quale libertà, temperata dal suo contrario, è la solache non può trascorrere in licenza, perchè nasce dalla

1 2 PET., l, 19.

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quistioni di poco momento, ora trascorrendositropp’oltre, specialmente nelle cose che s’attengono aicostumi, ora volgendo le controversie e la scienza a finisecondari e non degni della loro grandezza, tuttavia latutela del principio in sè stesso fu utilissima, mantenen-do nell’insegnamento teologico una condizione richiestaa’ suoi futuri progressi. Imperocchè l’insazietà dello spi-rito umano è tale, che, se certi teologi avessero balìa dideterminare perentoriamente il vero, le definizioni inpoco si moltiplicherebbono a segno da invadere tutta lascienza e distruggere la facoltà elettiva nelle materieopinabili. Il che sarebbe solo ragionevole, quando la ri-velazione adeguasse il sovrintelligibile; ma stando ilcontrario, e ogni punto luminoso di quella avendo il suolembo e la sua penombra, che digrada e svanisce, comeuna fiaccola tralucente nel buio notturno1, la Chiesa pro-cedette sempre con grandissimo riserbo nel condannarle opinioni, nè mai permise ad alcun privato il far le sueveci, togliendo ai fedeli balìa di eleggere riguardo allecose in cui il divino Spirito, aprendo men pienamente ilvero, l’ha conceduta agli uomini. Perciò nello stessomodo ch’ella tutelò sempre la libertà dell’arbitrio sottol’azione onnipotente di Dio, e la libertà dello Stato sottol’indirizzo spirituale del papa, così mantenne costante-mente la libertà delle opinioni sotto l’impero del dogma.La quale libertà, temperata dal suo contrario, è la solache non può trascorrere in licenza, perchè nasce dalla

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sovranità medesima, ed è un legittimo suo parto.

Riforma, di cui abbisogna [la teologia cattolica].Dee fondarsi sulla formola ideale.

Dalla universalità e libertà della teologia ortodossaprocedono la forza e la vita di cui è dotata. Una scienzaè viva quando è feconda, progressiva, operosa, quandoadesca i grandi ingegni a coltivarla, e ha del piacente edell’attrattivo per tutti gli spiriti gentili in universale.Tali sono, senza dubbio, le dottrine ideali e attinenti allareligione; le quali hanno per la loro natura un’intima co-gnazione col sublime, col misterioso, coll’oltranaturale,coll’infinito, e si affanno agli istinti più nobili e più effi-caci del cuore umano; onde sono atte sopra tutte le altrea rapire gl’ingegni, ogni qual volta vengano condite col-le lettere umane, e culte con libertà giudiziosa e con vi-rile moderazione. Se quando la suppellettile scientificaera scarsissima, e barbara la favella, come nel medioevo, la teologia tuttavolta occupò un seggio sì eccelso, eanche oggi quelle vecchie speculazioni gustano nonpoco a chi ha pazienza di nettarne l’oro dalla ruggine edalla scoria, ciascuno può far giudizio del fervore chedesterebbero quanto fossero rinfrescate e abbellite colledovizie del moderno senno. Imperocchè si noti chel’enciclopedia cominciò ad essere esiliata dalle scuoleclericali, quando appunto, uscita di fanciullezza, crebbe,si ampliò, afforzossi, diventò matura, e a poco andareriuscì gigante; quando il Copernico, Galileo, Leonardo,

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sovranità medesima, ed è un legittimo suo parto.

Riforma, di cui abbisogna [la teologia cattolica].Dee fondarsi sulla formola ideale.

Dalla universalità e libertà della teologia ortodossaprocedono la forza e la vita di cui è dotata. Una scienzaè viva quando è feconda, progressiva, operosa, quandoadesca i grandi ingegni a coltivarla, e ha del piacente edell’attrattivo per tutti gli spiriti gentili in universale.Tali sono, senza dubbio, le dottrine ideali e attinenti allareligione; le quali hanno per la loro natura un’intima co-gnazione col sublime, col misterioso, coll’oltranaturale,coll’infinito, e si affanno agli istinti più nobili e più effi-caci del cuore umano; onde sono atte sopra tutte le altrea rapire gl’ingegni, ogni qual volta vengano condite col-le lettere umane, e culte con libertà giudiziosa e con vi-rile moderazione. Se quando la suppellettile scientificaera scarsissima, e barbara la favella, come nel medioevo, la teologia tuttavolta occupò un seggio sì eccelso, eanche oggi quelle vecchie speculazioni gustano nonpoco a chi ha pazienza di nettarne l’oro dalla ruggine edalla scoria, ciascuno può far giudizio del fervore chedesterebbero quanto fossero rinfrescate e abbellite colledovizie del moderno senno. Imperocchè si noti chel’enciclopedia cominciò ad essere esiliata dalle scuoleclericali, quando appunto, uscita di fanciullezza, crebbe,si ampliò, afforzossi, diventò matura, e a poco andareriuscì gigante; quando il Copernico, Galileo, Leonardo,

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il Keplero, il Torricelli fondarono la moderna scienzadegli astri e della natura, quando Isacco Newton scoper-se il sistema dell’universo, e simultaneamente col Leib-niz verificò i presentimenti italiani sul calcolo dell’infi-nito, quando il Linneo descrisse le prime leggi dei regniorganici, e quando, in fine, il Colombo e il Cook scoper-sero due nuovi mondi, e il Polo, il Gama, il Ricci, iviaggiatori, i missionari e gli eruditi di levante ci rivela-rono le rimote meraviglie dell’antico. Questa era l’ora incui la scienza divina sarebbe dovuta entrare più che maitra i profani, onde approfittarsi di tanti tesori; laddoveinvece si rincacciò nel santuario, donde pur dianzi tal-volta usciva a benefizio comune. Chi vorrà dunque stu-pire s’ella è divenuta così aliena dalla consuetudine, cheha persino smarrito il nome di scienza? Il qual titolo co-gli onori e coi privilegi che porta seco non le verrà resti-tuito, finchè ella non sia rimessa d’accordo colle altrecognizioni e coi bisogni della civiltà presente. La rifor-ma vuol essere interna, vitale, organica, profonda, e deeabbracciare tutte le ragioni del processo scientifico, nonristringersi alla corteccia dell’insegnamento; ma essa ètanto più agevole, quanto che non si tratta che di coordi-nare la dottrina della rivelazione, secondo il biformeprincipio di creazione e di redenzione, comune a tutte lescienze, seguendone le diramazioni e le dipendenze inordine a ogni particolare di quella. Dall’uso di questopronunziato scaturisce un nuovo metodo, che dee essereideale e non esperimentale, dee cominciar colla sintesi,non coll’analisi, perchè questa non può stare senza una

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il Keplero, il Torricelli fondarono la moderna scienzadegli astri e della natura, quando Isacco Newton scoper-se il sistema dell’universo, e simultaneamente col Leib-niz verificò i presentimenti italiani sul calcolo dell’infi-nito, quando il Linneo descrisse le prime leggi dei regniorganici, e quando, in fine, il Colombo e il Cook scoper-sero due nuovi mondi, e il Polo, il Gama, il Ricci, iviaggiatori, i missionari e gli eruditi di levante ci rivela-rono le rimote meraviglie dell’antico. Questa era l’ora incui la scienza divina sarebbe dovuta entrare più che maitra i profani, onde approfittarsi di tanti tesori; laddoveinvece si rincacciò nel santuario, donde pur dianzi tal-volta usciva a benefizio comune. Chi vorrà dunque stu-pire s’ella è divenuta così aliena dalla consuetudine, cheha persino smarrito il nome di scienza? Il qual titolo co-gli onori e coi privilegi che porta seco non le verrà resti-tuito, finchè ella non sia rimessa d’accordo colle altrecognizioni e coi bisogni della civiltà presente. La rifor-ma vuol essere interna, vitale, organica, profonda, e deeabbracciare tutte le ragioni del processo scientifico, nonristringersi alla corteccia dell’insegnamento; ma essa ètanto più agevole, quanto che non si tratta che di coordi-nare la dottrina della rivelazione, secondo il biformeprincipio di creazione e di redenzione, comune a tutte lescienze, seguendone le diramazioni e le dipendenze inordine a ogni particolare di quella. Dall’uso di questopronunziato scaturisce un nuovo metodo, che dee essereideale e non esperimentale, dee cominciar colla sintesi,non coll’analisi, perchè questa non può stare senza una

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sintesi precedente; e se la sintesi non è precisa e fattacon rigore scientifico, l’analisi che si fonda in essa èmal ferma e manchevole di valor dottrinale. Si avvertabene che, ragionando di metodo, voglio parlare del pro-cesso interiore, che tocca la sostanza del discorso, nondell’estrinseca ordinazione, che ne risguarda soltanto laforma rettorica. Questa distinzione è di gran rilievo; per-chè la disposizione sintetica delle materie contenute inun libro può benissimo coprire un andamento diverso;come si vede, a cagion di esempio, in molti manuali teo-logici che corrono per le scuole, i quali, camminandoapparentemente alla geometrica con maestoso corteggiodi assiomi e di teoremi, si reggono in effetto con empiri-co mescuglio di metodi diversi e disparatissimi. Lo stes-so Spinoza, che sfoggia con tanta pompa i modi e lesembianze della sintesi, comincia analiticamente con unconcetto meramente astratto e destituito di peso obbiet-tivo. Nè importa che la scienza, procedendo sintetica-mente, abbia viso in sulle prime di un presupposto; per-chè in effetto il vero pare sempre ipotetico, quando èconfuso e isolato; e non può spogliarsi della sua perples-sità e solitudine, finchè l’opera riflessiva dello spiritonon ha compiuto il suo lavoro, riproducendo distinta-mente, totalmente e successivamente quel viluppo dicose che si racchiude nell’intuito. Lo stesso accade, sot-tosopra, anche all’analisi, con questo divario però, che,viaggiando ella a ritroso, non può cogliere la concatena-zione reale degli oggetti, nè tessere la loro scienza, ed èacconcia ad apprendere e disporre la loro storia sola-

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sintesi precedente; e se la sintesi non è precisa e fattacon rigore scientifico, l’analisi che si fonda in essa èmal ferma e manchevole di valor dottrinale. Si avvertabene che, ragionando di metodo, voglio parlare del pro-cesso interiore, che tocca la sostanza del discorso, nondell’estrinseca ordinazione, che ne risguarda soltanto laforma rettorica. Questa distinzione è di gran rilievo; per-chè la disposizione sintetica delle materie contenute inun libro può benissimo coprire un andamento diverso;come si vede, a cagion di esempio, in molti manuali teo-logici che corrono per le scuole, i quali, camminandoapparentemente alla geometrica con maestoso corteggiodi assiomi e di teoremi, si reggono in effetto con empiri-co mescuglio di metodi diversi e disparatissimi. Lo stes-so Spinoza, che sfoggia con tanta pompa i modi e lesembianze della sintesi, comincia analiticamente con unconcetto meramente astratto e destituito di peso obbiet-tivo. Nè importa che la scienza, procedendo sintetica-mente, abbia viso in sulle prime di un presupposto; per-chè in effetto il vero pare sempre ipotetico, quando èconfuso e isolato; e non può spogliarsi della sua perples-sità e solitudine, finchè l’opera riflessiva dello spiritonon ha compiuto il suo lavoro, riproducendo distinta-mente, totalmente e successivamente quel viluppo dicose che si racchiude nell’intuito. Lo stesso accade, sot-tosopra, anche all’analisi, con questo divario però, che,viaggiando ella a ritroso, non può cogliere la concatena-zione reale degli oggetti, nè tessere la loro scienza, ed èacconcia ad apprendere e disporre la loro storia sola-

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mente. Ora non v’ha sintesi ideale possibile fuoridell’ontologismo e del cattolicismo; onde mi vennedianzi affermato che questo è l’unico sistema, e perciòla sola dottrina atta a partorire un’assoluta certezza neglistudiosi. Chi ne dubita si provi, di grazia, a ordireun’altra formola ideale che non sia panteistica; vada incerca, fuori del principio ctisologico, di un pronunziatosupremo che contenga e dichiari tutto lo scibile; tenti,infine, di stabilir tal principio discorrendo all’analitica ealla psicologica, o anche solamente di pensarlo senza lostrumento della parola ortodossa.

[La teologia cattolica] dee combattere gli errori vivi, non glierrori morti; dee volgere tutte le sue forze alla difesa del

dogma, esser parca e temperatissima nelle opinioni.

Le teologia organizzata dalla formola ideale è unascienza viva, perchè congiunge la più rigorosa unità allamaggiore varietà possibile. Nella formola ideale concor-rono, armonizzano e si unificano tutti i veri, i metodi e igenii svariati delle scientifiche e filosofiche famiglie. Ivila dualità e la pugna speculativa di Platone e di Aristoti-le, rinnovata tante volte nel mondo letterario, senza esitopacificativo, vien meno, e dà luogo ad una concordia eunità signoreggiante: ivi la teologia dei Padri confluiscecon quella degli Scolastici, non già in virtù di un ecletti-smo empirico, di un sincretismo servile, ma per opera diun principio organico e sovrano, che comprende, padro-neggia e congiunge nella sua ricca unità quelle due for-me differentissime. Il teologo ontologista si appropria il

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mente. Ora non v’ha sintesi ideale possibile fuoridell’ontologismo e del cattolicismo; onde mi vennedianzi affermato che questo è l’unico sistema, e perciòla sola dottrina atta a partorire un’assoluta certezza neglistudiosi. Chi ne dubita si provi, di grazia, a ordireun’altra formola ideale che non sia panteistica; vada incerca, fuori del principio ctisologico, di un pronunziatosupremo che contenga e dichiari tutto lo scibile; tenti,infine, di stabilir tal principio discorrendo all’analitica ealla psicologica, o anche solamente di pensarlo senza lostrumento della parola ortodossa.

[La teologia cattolica] dee combattere gli errori vivi, non glierrori morti; dee volgere tutte le sue forze alla difesa del

dogma, esser parca e temperatissima nelle opinioni.

Le teologia organizzata dalla formola ideale è unascienza viva, perchè congiunge la più rigorosa unità allamaggiore varietà possibile. Nella formola ideale concor-rono, armonizzano e si unificano tutti i veri, i metodi e igenii svariati delle scientifiche e filosofiche famiglie. Ivila dualità e la pugna speculativa di Platone e di Aristoti-le, rinnovata tante volte nel mondo letterario, senza esitopacificativo, vien meno, e dà luogo ad una concordia eunità signoreggiante: ivi la teologia dei Padri confluiscecon quella degli Scolastici, non già in virtù di un ecletti-smo empirico, di un sincretismo servile, ma per opera diun principio organico e sovrano, che comprende, padro-neggia e congiunge nella sua ricca unità quelle due for-me differentissime. Il teologo ontologista si appropria il

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loro meglio, non imitandole e copiandole, ma riprodu-cendole formalmente in modo più esquisito e perfetto;egli emula la prima nell’altezza e nella profondità delleidee, nella grandiosità della sintesi, nell’andamentofranco e magnanimo, nella spontanea eloquenza, nel ge-nio platonico, purificato e santificato dal Cristianesimo;e gareggia colla seconda per la finezza dei concetti edell’analisi, la disposizione ordinata delle materie, lasemplicità e la precisione del linguaggio, gli spiriti seve-ri e penetrativi della scuola peripatetica. Egli unisce in-somma il fare di Atanasio, di Gregorio Nazianzeno e diAgostino con quello di Anselmo, di Bonaventura e diTommaso, e crea una teologia nuova, che sovrasta alleprecedenti, perchè ne accoppia ed avvalora i pregi,sgombri dai loro difetti; la quale, componendo insiemel’antichità cristiana e il medio evo, e accrescendone ilcapitale prezioso, merita sola il titolo di moderna. E unodei capi di maggior momento in cui il perfetto teologan-te dee seguire l’esempio di quei valorosi, e sovratuttodei Padri, si è nell’accordare i suoi studi col bisogno deitempi; dal che proviene in gran parte la vita delle dottri-ne. Imperocchè in ogni stagione due sorti d’errori si tro-vano; gli uni morti, e gli altri vivi. I primi sono quelliche più non regnano nell’universale, e avendo pochi edoscuri fautori o non venendo più professati da nessuno,debbono essere materia di semplice esposizione o dibreve esame, anzichè di lunga confutazione e di critica.Chi è che, raccontando le favole del politeismo grecola-tino, vorrebbe oggi pigliar briga di confutarle? E che di-

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loro meglio, non imitandole e copiandole, ma riprodu-cendole formalmente in modo più esquisito e perfetto;egli emula la prima nell’altezza e nella profondità delleidee, nella grandiosità della sintesi, nell’andamentofranco e magnanimo, nella spontanea eloquenza, nel ge-nio platonico, purificato e santificato dal Cristianesimo;e gareggia colla seconda per la finezza dei concetti edell’analisi, la disposizione ordinata delle materie, lasemplicità e la precisione del linguaggio, gli spiriti seve-ri e penetrativi della scuola peripatetica. Egli unisce in-somma il fare di Atanasio, di Gregorio Nazianzeno e diAgostino con quello di Anselmo, di Bonaventura e diTommaso, e crea una teologia nuova, che sovrasta alleprecedenti, perchè ne accoppia ed avvalora i pregi,sgombri dai loro difetti; la quale, componendo insiemel’antichità cristiana e il medio evo, e accrescendone ilcapitale prezioso, merita sola il titolo di moderna. E unodei capi di maggior momento in cui il perfetto teologan-te dee seguire l’esempio di quei valorosi, e sovratuttodei Padri, si è nell’accordare i suoi studi col bisogno deitempi; dal che proviene in gran parte la vita delle dottri-ne. Imperocchè in ogni stagione due sorti d’errori si tro-vano; gli uni morti, e gli altri vivi. I primi sono quelliche più non regnano nell’universale, e avendo pochi edoscuri fautori o non venendo più professati da nessuno,debbono essere materia di semplice esposizione o dibreve esame, anzichè di lunga confutazione e di critica.Chi è che, raccontando le favole del politeismo grecola-tino, vorrebbe oggi pigliar briga di confutarle? E che di-

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resti del giudizio di uno scrittore che mettesse mano acensurare e combattere la Teogonia di Esiodo, o le Me-tamorfosi di Ovidio? Eppure nei trattati teologici checorrono per le scuole, il riprovamento degli errori de-funti e da gran tempo sepolti occupa grandissimo spa-zio; laddove gli errori viventi o son passati del tutto, odoppugnati debolmente, superficialmente, e in modo af-fatto disproporzionato alla voga e all’importanza loro.Questo è certo un gravissimo disordine, e una delle ca-gioni che concorrono a mettere la teologia in discreditoe in deriso dell’universale, sequestrandola, come unagretta anticaglia, dalla vita moderna, e facendola parerenel consesso delle altre scienze, quasi una mummia col-locata in mezzo ad uomini vivi. Che se, per cagiond’esempio, un fisico o un chimico moderno farebbe ri-dere a voler confutare le opinioni di Talete e di Anassi-mandro1, non mi pare che i nostri teologi si mostrino piùassennati, impiegando i volumi a redarguir le eresiespente da dieci secoli. Chi studia dee certo conoscereanche gli errori morti; ma come storia, non come scien-za. Se in ogni seminario e in ogni ateneo ci fosse unbuono e disteso corso di storia ecclesiastica (ed è vergo-gna che non ci sia), o meglio ancora se vi si insegnasseuna storia della teologia, distinta da quella del culto edelle instituzioni, i dogmi degli eretici vi potrebbono es-sere acconciamente esposti coi paralogismi2 che gli ap-

1 Anassimandro di Mileto, nato verso il 610 a. C., morto verso il 547, disce-polo di Talete, fu uno dei primi filosofi della scuola ionia.

2 Il paralogismo è un raziocinio falso benchè in apparenza vero.

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resti del giudizio di uno scrittore che mettesse mano acensurare e combattere la Teogonia di Esiodo, o le Me-tamorfosi di Ovidio? Eppure nei trattati teologici checorrono per le scuole, il riprovamento degli errori de-funti e da gran tempo sepolti occupa grandissimo spa-zio; laddove gli errori viventi o son passati del tutto, odoppugnati debolmente, superficialmente, e in modo af-fatto disproporzionato alla voga e all’importanza loro.Questo è certo un gravissimo disordine, e una delle ca-gioni che concorrono a mettere la teologia in discreditoe in deriso dell’universale, sequestrandola, come unagretta anticaglia, dalla vita moderna, e facendola parerenel consesso delle altre scienze, quasi una mummia col-locata in mezzo ad uomini vivi. Che se, per cagiond’esempio, un fisico o un chimico moderno farebbe ri-dere a voler confutare le opinioni di Talete e di Anassi-mandro1, non mi pare che i nostri teologi si mostrino piùassennati, impiegando i volumi a redarguir le eresiespente da dieci secoli. Chi studia dee certo conoscereanche gli errori morti; ma come storia, non come scien-za. Se in ogni seminario e in ogni ateneo ci fosse unbuono e disteso corso di storia ecclesiastica (ed è vergo-gna che non ci sia), o meglio ancora se vi si insegnasseuna storia della teologia, distinta da quella del culto edelle instituzioni, i dogmi degli eretici vi potrebbono es-sere acconciamente esposti coi paralogismi2 che gli ap-

1 Anassimandro di Mileto, nato verso il 610 a. C., morto verso il 547, disce-polo di Talete, fu uno dei primi filosofi della scuola ionia.

2 Il paralogismo è un raziocinio falso benchè in apparenza vero.

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poggiavano, e le ragioni allegate in contrario; imperoc-chè, per falsi e frivoli e vieti che siano i pensieri degliuomini, ci diletta e profitta l’averne notizia. Onde, comelo storico della filosofia non crede di far cosa tediosa odisutile a descrivere minutamente i sogni e le conghiet-ture della cosmologia bambina, insegnata nelle scuoleelleniche di Mileto, di Abdera e di Agrigento; così lostoriografo delle sacre discipline dee raccontare con pre-cisione erudita le vecchie controversie concernenti lafede, e farci conoscere i delirii e le sofisme di Valentino,di Ario e di Nestorio1. Ma la scienza dee contentarsi diesporre con precisione tutte le parti del dogma cattolicocolle loro prove fondamentali, riservando la polemicaagli errori che corrono ai dì nostri. I quali si possono ri-durre sommariamente a due, cioè al vecchio protestanti-smo, che domina ancora fra le moltitudini nei paesi ete-rodossi; e al razionalismo teologico2, che da un latos’intreccia colla nuova forma dell’eresia protestante ecoll’eterodossia orientale, e dall’altro si attiene ai falsisistemi filosofici, e specialmente al sensismo, al psico-

1 Valentino, originario dall’Egitto, morì in Roma circa il 160; professò ladottrina gnostica. Cfr. HEINRICI, Die Valentinianische Gnosis, Berlin, 1871.Ario, il famoso eresiarca, nato in Alessandria poco dopo la metà del III se-colo di Cristo, combattè la trinità e la divinità di Gesù Cristo. Nestorio,nato a Gremanica in Siria, patriarca di Costantinopoli dal 428 al 431, negòanch’esso la divinità di Gesù Cristo. Morì nel 444.

2 Nel suo significato più generale la parola razionalismo designa l’impiegodelÌa ragione nello studio dei problemi filosofici e religiosi. Il razionali-smo religioso si contrappone al supernaturalismo, che ritiene la ragioneincapace di penetrare nelle cose divine, che poggiano essenzialmente sullafede, unico fondamento di ogni religione. (RANZOLI, op. cit., pagg. 963-4)

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poggiavano, e le ragioni allegate in contrario; imperoc-chè, per falsi e frivoli e vieti che siano i pensieri degliuomini, ci diletta e profitta l’averne notizia. Onde, comelo storico della filosofia non crede di far cosa tediosa odisutile a descrivere minutamente i sogni e le conghiet-ture della cosmologia bambina, insegnata nelle scuoleelleniche di Mileto, di Abdera e di Agrigento; così lostoriografo delle sacre discipline dee raccontare con pre-cisione erudita le vecchie controversie concernenti lafede, e farci conoscere i delirii e le sofisme di Valentino,di Ario e di Nestorio1. Ma la scienza dee contentarsi diesporre con precisione tutte le parti del dogma cattolicocolle loro prove fondamentali, riservando la polemicaagli errori che corrono ai dì nostri. I quali si possono ri-durre sommariamente a due, cioè al vecchio protestanti-smo, che domina ancora fra le moltitudini nei paesi ete-rodossi; e al razionalismo teologico2, che da un latos’intreccia colla nuova forma dell’eresia protestante ecoll’eterodossia orientale, e dall’altro si attiene ai falsisistemi filosofici, e specialmente al sensismo, al psico-

1 Valentino, originario dall’Egitto, morì in Roma circa il 160; professò ladottrina gnostica. Cfr. HEINRICI, Die Valentinianische Gnosis, Berlin, 1871.Ario, il famoso eresiarca, nato in Alessandria poco dopo la metà del III se-colo di Cristo, combattè la trinità e la divinità di Gesù Cristo. Nestorio,nato a Gremanica in Siria, patriarca di Costantinopoli dal 428 al 431, negòanch’esso la divinità di Gesù Cristo. Morì nel 444.

2 Nel suo significato più generale la parola razionalismo designa l’impiegodelÌa ragione nello studio dei problemi filosofici e religiosi. Il razionali-smo religioso si contrappone al supernaturalismo, che ritiene la ragioneincapace di penetrare nelle cose divine, che poggiano essenzialmente sullafede, unico fondamento di ogni religione. (RANZOLI, op. cit., pagg. 963-4)

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logismo e al panteismo. L’eresia razionale, come quellache è professata da molti fra le classi più colte dei popo-li meglio inciviliti, e mira a spiantare il Cristianesimodalle radici, è la più pericolosa e vivace, e quindi la piùdegna di essere combattuta con alacrità e solerzia. Aquesto scopo si rivolga principalmente l’opera dei teolo-gi italiani; perchè dalla distruzione del razionalismo di-pende l’unità civile e religiosa d’Italia, di Europa e delmondo; sublime intento, con cui nessun altro scopo, an-corchè buono e legittimo, può essere paragonato. E niunsecolo fu così propizio a cominciarne l’esecuzione,come il presente, perchè la falsa filosofia muore, l’eresiaboccheggia, lo scisma infuria, conscio della sua debo-lezza, il moto cattolico si propaga, l’Europa diventa co-smopolitica, invade i mari come le terre, e protende lesue braccia sino all’Antartico e alla Cina. Il giorno nonè rimoto in cui la romana Propaganda avrà un mondo in-tero a’ suoi piedi da ammaestrare e da incivilire; e sicco-me la gentilità antica fra noi rivive da tre secoli, cosìoggi ricominciano in un certo modo i tempi primitividell’apostolato e del Cristianesimo. Ma a tal effettol’unione più intima e cordiale dee regnare fra i cattolici;acciocchè gli sforzi di tutti possano volgersi unanimicontro il nemico comune. Concordia impossibile ad ot-tenersi, finchè dura la guerra delle opinioni intestine, ge-neratrice di sêtte, di odii, di dissapori; dalla quale nonuscì mai alcun bene notabile, ma scandali e disordini in-finiti. Imperocchè tali piati, versando su materie opina-bili, e accompagnandosi collo studio di parte, non pro-

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logismo e al panteismo. L’eresia razionale, come quellache è professata da molti fra le classi più colte dei popo-li meglio inciviliti, e mira a spiantare il Cristianesimodalle radici, è la più pericolosa e vivace, e quindi la piùdegna di essere combattuta con alacrità e solerzia. Aquesto scopo si rivolga principalmente l’opera dei teolo-gi italiani; perchè dalla distruzione del razionalismo di-pende l’unità civile e religiosa d’Italia, di Europa e delmondo; sublime intento, con cui nessun altro scopo, an-corchè buono e legittimo, può essere paragonato. E niunsecolo fu così propizio a cominciarne l’esecuzione,come il presente, perchè la falsa filosofia muore, l’eresiaboccheggia, lo scisma infuria, conscio della sua debo-lezza, il moto cattolico si propaga, l’Europa diventa co-smopolitica, invade i mari come le terre, e protende lesue braccia sino all’Antartico e alla Cina. Il giorno nonè rimoto in cui la romana Propaganda avrà un mondo in-tero a’ suoi piedi da ammaestrare e da incivilire; e sicco-me la gentilità antica fra noi rivive da tre secoli, cosìoggi ricominciano in un certo modo i tempi primitividell’apostolato e del Cristianesimo. Ma a tal effettol’unione più intima e cordiale dee regnare fra i cattolici;acciocchè gli sforzi di tutti possano volgersi unanimicontro il nemico comune. Concordia impossibile ad ot-tenersi, finchè dura la guerra delle opinioni intestine, ge-neratrice di sêtte, di odii, di dissapori; dalla quale nonuscì mai alcun bene notabile, ma scandali e disordini in-finiti. Imperocchè tali piati, versando su materie opina-bili, e accompagnandosi collo studio di parte, non pro-

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ducono alcun costrutto, e ciascuno dei disputanti rimanealla fine nel suo proprio parere. Ma se il vantaggio ènullo o poco, il danno è di grande considerazione; per-chè la carità si offende, l’unione si debilita, i buoni sicontristano, i deboli si scandolezzano, i cattivi si ralle-grano, e il tempo, le fatiche, gl’ingegni si consumanonelle cose che meno importano, con iscapito delle gra-vissime. Conciossiachè qualunque peso si voglia darealle opinioni (chè, certo, alcune di esse son di momen-to), l’importanza loro sottostà di gran lunga al valore deldogma e agl’interessi universali della fede. Come? Men-tre l’occhio vigile del filosofo cattolico si dee stendere aLondra, a Berlino, a Pietroburgo, a Costantinopoli, aCalcutta, e penetrare sino all’America e alla Cina, perseguirvi e studiarvi il corso delle idee e degli eventi;mentre le sue braccia han da pugnare coi giganti e coimostri del protestantismo, del razionalismo, dell’islami-smo e del panteismo orientale ed occidentale, per prov-vedere alla pacificazione dei cuori e delle menti, eall’unità del mondo; egli consumerà i sudori ed il temponel fare alla schermaglia cogl’insetti che gli ronzano in-torno? Disputerà sul probabile, mentre una falsa filoso-fia spianta le basi del dovere e del diritto; sottilizzeràsulla grazia e sul senso genuino di qualche testo, quandouna bugiarda teologia fa della Bibbia una favola, e an-nulla la rivelazione, serbandone solo le apparenze? Nonvoglio già negare, lo ripeto, l’importanza del vero, an-che in certe materie cattolicamente disputabili; ma dicoche tali controversie non debbono usurpare il luogo del-

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ducono alcun costrutto, e ciascuno dei disputanti rimanealla fine nel suo proprio parere. Ma se il vantaggio ènullo o poco, il danno è di grande considerazione; per-chè la carità si offende, l’unione si debilita, i buoni sicontristano, i deboli si scandolezzano, i cattivi si ralle-grano, e il tempo, le fatiche, gl’ingegni si consumanonelle cose che meno importano, con iscapito delle gra-vissime. Conciossiachè qualunque peso si voglia darealle opinioni (chè, certo, alcune di esse son di momen-to), l’importanza loro sottostà di gran lunga al valore deldogma e agl’interessi universali della fede. Come? Men-tre l’occhio vigile del filosofo cattolico si dee stendere aLondra, a Berlino, a Pietroburgo, a Costantinopoli, aCalcutta, e penetrare sino all’America e alla Cina, perseguirvi e studiarvi il corso delle idee e degli eventi;mentre le sue braccia han da pugnare coi giganti e coimostri del protestantismo, del razionalismo, dell’islami-smo e del panteismo orientale ed occidentale, per prov-vedere alla pacificazione dei cuori e delle menti, eall’unità del mondo; egli consumerà i sudori ed il temponel fare alla schermaglia cogl’insetti che gli ronzano in-torno? Disputerà sul probabile, mentre una falsa filoso-fia spianta le basi del dovere e del diritto; sottilizzeràsulla grazia e sul senso genuino di qualche testo, quandouna bugiarda teologia fa della Bibbia una favola, e an-nulla la rivelazione, serbandone solo le apparenze? Nonvoglio già negare, lo ripeto, l’importanza del vero, an-che in certe materie cattolicamente disputabili; ma dicoche tali controversie non debbono usurpare il luogo del-

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le più gravi, né essere maneggiate in modo, che ne sca-piti l’unione e la concordia reciproca. Quando un popo-lo aspira a diventar conquistatore, dee vivere in paceseco stesso, e guardarsi da ogni ombra di dissensione;così se la teologia cattolica vuol ricuperare il terreno chele fu tolto dall’eterodossia antica e novella, uopo è siastenga dalle guerre civili. A questa pacificazione dellescuole e degli studi sacri debbono intendere specialmen-te gli ordini religiosi, sia per l’autorità loro, e perchè ri-sorti non ha guari, dopo l’universale rivolgimento, chetutti gli estinse, essi cominciano una seconda vita, e pos-sono, dismesse certe vecchie usanze divenute rancide einopportune, pigliare un novello indirizzo, conforme algenio del secolo e ai bisogni correnti della religione.

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le più gravi, né essere maneggiate in modo, che ne sca-piti l’unione e la concordia reciproca. Quando un popo-lo aspira a diventar conquistatore, dee vivere in paceseco stesso, e guardarsi da ogni ombra di dissensione;così se la teologia cattolica vuol ricuperare il terreno chele fu tolto dall’eterodossia antica e novella, uopo è siastenga dalle guerre civili. A questa pacificazione dellescuole e degli studi sacri debbono intendere specialmen-te gli ordini religiosi, sia per l’autorità loro, e perchè ri-sorti non ha guari, dopo l’universale rivolgimento, chetutti gli estinse, essi cominciano una seconda vita, e pos-sono, dismesse certe vecchie usanze divenute rancide einopportune, pigliare un novello indirizzo, conforme algenio del secolo e ai bisogni correnti della religione.

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IV. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZECALCOLATRICI, OSSERVATIVE E SPERIMENTALI

Esse abbisognano della filosofia per acquistarl’abito perfetto di scienza.

La matematica sublime è fondata specialmente suldogma di creazione.

Primato dell’Italia in amendue queste discipline.Di Archimede, che spianò la via al calcoloinfinitesimale, ed è il primo matematico e

meccanico degli antichi tempi.Di Galileo, inventore degli strumenti, introduttoredei metodi appropriati alle scienze sperimentali, e

creatore della fisica moderna.

Non vi ha disciplina che sovrasti alle matematichenell’essere indipendente dalle opinioni speculative chesi professano; giacchè i dati del tempo e dello spaziosono immutabili, qualunque pensiero si faccia della loronatura. Tuttavia egli è da una parte indubitato che lescienze esatte di per sè stesse non possono giustificarele proprie conclusioni e legittimarle scientificamente,mettendo in chiaro il lor valore obbiettivo, senza ricor-rere a una scienza più alta, cioè alla filosofia, che solapuò aggiudicare alle due forme in cui il geometra e ilcalcolatore si travagliano, la realtà che loro appartiene.Dall’altra parte non si può negare che il panteismo e tut-te le dottrine che vi si attengono (e non vi ha errore chenon sia panteistico per essenza, importando sempre

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IV. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZECALCOLATRICI, OSSERVATIVE E SPERIMENTALI

Esse abbisognano della filosofia per acquistarl’abito perfetto di scienza.

La matematica sublime è fondata specialmente suldogma di creazione.

Primato dell’Italia in amendue queste discipline.Di Archimede, che spianò la via al calcoloinfinitesimale, ed è il primo matematico e

meccanico degli antichi tempi.Di Galileo, inventore degli strumenti, introduttoredei metodi appropriati alle scienze sperimentali, e

creatore della fisica moderna.

Non vi ha disciplina che sovrasti alle matematichenell’essere indipendente dalle opinioni speculative chesi professano; giacchè i dati del tempo e dello spaziosono immutabili, qualunque pensiero si faccia della loronatura. Tuttavia egli è da una parte indubitato che lescienze esatte di per sè stesse non possono giustificarele proprie conclusioni e legittimarle scientificamente,mettendo in chiaro il lor valore obbiettivo, senza ricor-rere a una scienza più alta, cioè alla filosofia, che solapuò aggiudicare alle due forme in cui il geometra e ilcalcolatore si travagliano, la realtà che loro appartiene.Dall’altra parte non si può negare che il panteismo e tut-te le dottrine che vi si attengono (e non vi ha errore chenon sia panteistico per essenza, importando sempre

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l’inversione e l’alterazione della formola) non faccianodanno alla finezza della speculazione, mediante quellaconfusion radicale di cose e di concetti in cui versano, ea lungo andare non rechino pregiudizi all’ingegno me-desimo. Imperocchè a toccar l’apice di una scienza, nonbasta che altri abbia l’intelletto disposto naturalmente atrattarla, se non vi è pure educato dall’arte, e quasi con-naturato; giacchè la consuetudine torna in natura per lospirito, non meno che pel corpo, per gli affetti e pei co-stumi. Ora il panteismo guasta e torce l’acume intellet-tuale, invece di addirizzarlo, di fortificarlo, e lo avvezzaa veder torto, a contemplare gli oggetti alla traversa;onde accade a chi lo professa quel che avviene a certuni,i quali, solendo spesso per baia travolgere la pupilla, neviziano a lungo andare la guardatura, e riescono guerciin effetto. Gl’influssi di tal dottrina sono quindi general-mente nocivi alle scienze, alle lettere, alle arti, e persinoall’industria dello scrivere, cessando le differenze natu-rali dei concetti e delle cose, mischiando le varie tinte,introducendo una confusione universale, e un vero caosnel mondo del pensiero e della immaginativa. E nellematematiche, annullando la distinzione essenziale fra ilcontinuo e il discreto (impossibile ad ammettersi razio-nalmente, senza il principio di creazione), tolgono alcalcolo infinitesimale il suo fondamento speculativo;ond’è che il Leibniz e il Newton, trovatori di questo cal-colo, e il Keplero, il Cavalieri, il Fermat1, che lo prepa-1 Bonaventura Cavalieri, n. a Milano sul finire del 1598 e m. a Bologna il

1647. Le matematiche debbono a lui la geometria degli indivisibili, con

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l’inversione e l’alterazione della formola) non faccianodanno alla finezza della speculazione, mediante quellaconfusion radicale di cose e di concetti in cui versano, ea lungo andare non rechino pregiudizi all’ingegno me-desimo. Imperocchè a toccar l’apice di una scienza, nonbasta che altri abbia l’intelletto disposto naturalmente atrattarla, se non vi è pure educato dall’arte, e quasi con-naturato; giacchè la consuetudine torna in natura per lospirito, non meno che pel corpo, per gli affetti e pei co-stumi. Ora il panteismo guasta e torce l’acume intellet-tuale, invece di addirizzarlo, di fortificarlo, e lo avvezzaa veder torto, a contemplare gli oggetti alla traversa;onde accade a chi lo professa quel che avviene a certuni,i quali, solendo spesso per baia travolgere la pupilla, neviziano a lungo andare la guardatura, e riescono guerciin effetto. Gl’influssi di tal dottrina sono quindi general-mente nocivi alle scienze, alle lettere, alle arti, e persinoall’industria dello scrivere, cessando le differenze natu-rali dei concetti e delle cose, mischiando le varie tinte,introducendo una confusione universale, e un vero caosnel mondo del pensiero e della immaginativa. E nellematematiche, annullando la distinzione essenziale fra ilcontinuo e il discreto (impossibile ad ammettersi razio-nalmente, senza il principio di creazione), tolgono alcalcolo infinitesimale il suo fondamento speculativo;ond’è che il Leibniz e il Newton, trovatori di questo cal-colo, e il Keplero, il Cavalieri, il Fermat1, che lo prepa-1 Bonaventura Cavalieri, n. a Milano sul finire del 1598 e m. a Bologna il

1647. Le matematiche debbono a lui la geometria degli indivisibili, con

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rarono, furono uomini religiosi, educati e inspirati dalledottrine del Cristianesimo. La matematica sublime è unprivilegio della scienza fondata nel dogma della creazio-ne; perchè fuori di questo l’idea dell’infinito è impossi-bile ad aversi nella sua obbiettività e purezza. Il pantei-sta non può concepire altra sorta d’infinità, che la di-screta e numerica; la quale, se non si radica nell’infinitocontinuo e semplicissimo, metafisicamente ripugna, enon può ragionevolmente essere supputata. Quindi è chel’antichità gentilesca non seppe poggiare all’altezza diquesto calcolo; e benchè nell’Arabia, nell’India, nellaCina, che sono le tre nazioni calcolatrici dell’Oriente,fiorissero sommi ingegni, le matematiche nelle loromani non uscirono quasi di fanciullezza. La sola nazio-ne eterodossa che abbia condotta molto innanzi questascienza nobilissima, e creata una tradizione matematicache porse all’ingegno moderno i principii onde mosse,furono gl’Italogreci; perchè presso di loro il panteismoera temperato notabilmente dagli antichi dogmi pelasgi-ci. Onde fiorì tra di essi quell’ammirabile scuola pitago-rica, che adattò la matematica alla fisica, all’astronomia,alla musica, e duemila anni prima del Copernico presen-tì la costituzione effettiva dell’universo. Ma la primagloria matematica dell’antica Italia, anzi di tutto l’anticomondo, è Archimede1, nato in quell’isola che fu la culla

cui precorse alla scoperta di Newton e Leibniz degli infiniti e delle flussio-ni. Il Fermat, n. a Tolosa nel 1590, m. nel 1665, concorse con Pascal a sta-bilire in Francia le basi del calcolo delle probabilità.

1 Archimede, n. a Siracusa il 287 a. C., m. nel 212, fu il più celebre matema-tico dell’antichità.

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rarono, furono uomini religiosi, educati e inspirati dalledottrine del Cristianesimo. La matematica sublime è unprivilegio della scienza fondata nel dogma della creazio-ne; perchè fuori di questo l’idea dell’infinito è impossi-bile ad aversi nella sua obbiettività e purezza. Il pantei-sta non può concepire altra sorta d’infinità, che la di-screta e numerica; la quale, se non si radica nell’infinitocontinuo e semplicissimo, metafisicamente ripugna, enon può ragionevolmente essere supputata. Quindi è chel’antichità gentilesca non seppe poggiare all’altezza diquesto calcolo; e benchè nell’Arabia, nell’India, nellaCina, che sono le tre nazioni calcolatrici dell’Oriente,fiorissero sommi ingegni, le matematiche nelle loromani non uscirono quasi di fanciullezza. La sola nazio-ne eterodossa che abbia condotta molto innanzi questascienza nobilissima, e creata una tradizione matematicache porse all’ingegno moderno i principii onde mosse,furono gl’Italogreci; perchè presso di loro il panteismoera temperato notabilmente dagli antichi dogmi pelasgi-ci. Onde fiorì tra di essi quell’ammirabile scuola pitago-rica, che adattò la matematica alla fisica, all’astronomia,alla musica, e duemila anni prima del Copernico presen-tì la costituzione effettiva dell’universo. Ma la primagloria matematica dell’antica Italia, anzi di tutto l’anticomondo, è Archimede1, nato in quell’isola che fu la culla

cui precorse alla scoperta di Newton e Leibniz degli infiniti e delle flussio-ni. Il Fermat, n. a Tolosa nel 1590, m. nel 1665, concorse con Pascal a sta-bilire in Francia le basi del calcolo delle probabilità.

1 Archimede, n. a Siracusa il 287 a. C., m. nel 212, fu il più celebre matema-tico dell’antichità.

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della più antica nostra cultura, e dove pur nacque e visseil pitagorico Empedocle1, che divinò in parte le magnifi-che scoperte del Newton, del Linneo e del Torricelli. Ar-chimede vola com’aquila su tutti gli altri geometri delpaganesimo che lo precedettero, lo accompagnarono, loseguirono, e per l’universalità, per l’inventiva dell’inge-gno è il Galileo della vetusta Italia; due uomini, che solibasterebbono per assicurare il primato scientifico, anticoe moderno, alla nostra penisola. Nelle scoperte di Archi-mede sulle spirali, sulle parabole, sulle sferoidi, sulleconoidi paraboliche o iperboliche, e sulle altre ragioni dicurve, si trovano i primi germi e quasi gli albòri del cal-colo infinitesimale; al cui processo spianò la via quelmetodo di esaurimento che venne usato dal sommo Sira-cusano2. Laonde un ottimo giudice lo chiamò uomo disagacità stupenda, che pose le fondamenta di quasi tuttele invenzioni da cui nacquero i progressi onde l’età mo-derna si gloria3. E com’egli precorse all’ingegno cristia-no nella pretta matematica, così lo prevenne nelle appli-cazioni di essa, stabilendo i veri principii della statica edell’idrostatica, e coltivando la meccanica con successocosì meraviglioso, che gli antichi lo facevano autore diquaranta macchine e di altri miracoli, fra’ quali gli spec-

1 Empedocle, filosofo e poeta di Agrigento, fiorì circa il 444. Vedi intorno alui la bellissima monografia di Ettore Bignone (Torino, Bocca, 1916).

2 MONTUCLA, Hist. des mathém., Paris, an 7, tomo I, pag. 223. – CHASLES,Aperçu histor. sur l’orig. et le développ. des méthodes en géométrie, Mém.couron. De l’Acad. de Bruxelles, 1837, tomo XI, pagg. 15, 16, 21, 22, 56,[G.].

3 Il Wallis, allegato dal Montucla, loco citato.

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della più antica nostra cultura, e dove pur nacque e visseil pitagorico Empedocle1, che divinò in parte le magnifi-che scoperte del Newton, del Linneo e del Torricelli. Ar-chimede vola com’aquila su tutti gli altri geometri delpaganesimo che lo precedettero, lo accompagnarono, loseguirono, e per l’universalità, per l’inventiva dell’inge-gno è il Galileo della vetusta Italia; due uomini, che solibasterebbono per assicurare il primato scientifico, anticoe moderno, alla nostra penisola. Nelle scoperte di Archi-mede sulle spirali, sulle parabole, sulle sferoidi, sulleconoidi paraboliche o iperboliche, e sulle altre ragioni dicurve, si trovano i primi germi e quasi gli albòri del cal-colo infinitesimale; al cui processo spianò la via quelmetodo di esaurimento che venne usato dal sommo Sira-cusano2. Laonde un ottimo giudice lo chiamò uomo disagacità stupenda, che pose le fondamenta di quasi tuttele invenzioni da cui nacquero i progressi onde l’età mo-derna si gloria3. E com’egli precorse all’ingegno cristia-no nella pretta matematica, così lo prevenne nelle appli-cazioni di essa, stabilendo i veri principii della statica edell’idrostatica, e coltivando la meccanica con successocosì meraviglioso, che gli antichi lo facevano autore diquaranta macchine e di altri miracoli, fra’ quali gli spec-

1 Empedocle, filosofo e poeta di Agrigento, fiorì circa il 444. Vedi intorno alui la bellissima monografia di Ettore Bignone (Torino, Bocca, 1916).

2 MONTUCLA, Hist. des mathém., Paris, an 7, tomo I, pag. 223. – CHASLES,Aperçu histor. sur l’orig. et le développ. des méthodes en géométrie, Mém.couron. De l’Acad. de Bruxelles, 1837, tomo XI, pagg. 15, 16, 21, 22, 56,[G.].

3 Il Wallis, allegato dal Montucla, loco citato.

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chi ardenti trovarono molti increduli prima che freschesperienze ampia fede loro acquistassero1. Nel che ancoapparisce la sua somiglianza e parentela con Galileo; ilquale gittò le basi di quella parte dell’idrodinamica cheversa intorno all’equilibrio dei fluidi, e fu creatore delladinamica. Amendue rifulsero per l’ampiezza della men-te e il genio pratico dei loro studi; chè, dopo aver misu-rato il sommo della contemplazione calcolatrice, fecon-darono con essa l’arte, applicando le conclusioni diquella ai bisogni della vita civile e ai progressi ulterioridel sapere. Imperocchè nello stesso modo che il Siculoinventò la sfera e le macchine, il Toscano trovò gli stro-menti, ideando di pianta il compasso geometrico, il ter-mometro, il microscopio, e indovinando il telescopio2; e,munito di questi ordigni, scoperse i satelliti gioviali, lefasi di Venere, le montagne e la librazione della luna, lemacchie e la rotazione del sole, applicò la prima di que-ste scoperte alla misura delle longitudini, come adattòl’isocronismo delle oscillazioni dai pendoli, pur da luitrovato alle misure del tempo e della musica. Ora lemacchine sono gli schiavi dell’età moderna, e il princi-pio generativo dell’industria, come gli strumenti, quasimacchine scientifiche, partoriscono e accrescono le co-gnizioni: le une aumentano le umane forze per domar lepotenze ribelli della natura e piegarle ai nostri bisogni,

1 MONTUCLA, loco citato, pagg. 222, 228, 229, 230. – BOSSUT, Hist. généraldes mathém., Paris, 1802, tomo I, pagg. 73-81. [G.].

2 GALILEO, Astron. nunc. Saggiat., Opere, Milano, 1810, tomo IV pagg. 305,306; tomo VI, pagg. 290-294. [G.].

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chi ardenti trovarono molti increduli prima che freschesperienze ampia fede loro acquistassero1. Nel che ancoapparisce la sua somiglianza e parentela con Galileo; ilquale gittò le basi di quella parte dell’idrodinamica cheversa intorno all’equilibrio dei fluidi, e fu creatore delladinamica. Amendue rifulsero per l’ampiezza della men-te e il genio pratico dei loro studi; chè, dopo aver misu-rato il sommo della contemplazione calcolatrice, fecon-darono con essa l’arte, applicando le conclusioni diquella ai bisogni della vita civile e ai progressi ulterioridel sapere. Imperocchè nello stesso modo che il Siculoinventò la sfera e le macchine, il Toscano trovò gli stro-menti, ideando di pianta il compasso geometrico, il ter-mometro, il microscopio, e indovinando il telescopio2; e,munito di questi ordigni, scoperse i satelliti gioviali, lefasi di Venere, le montagne e la librazione della luna, lemacchie e la rotazione del sole, applicò la prima di que-ste scoperte alla misura delle longitudini, come adattòl’isocronismo delle oscillazioni dai pendoli, pur da luitrovato alle misure del tempo e della musica. Ora lemacchine sono gli schiavi dell’età moderna, e il princi-pio generativo dell’industria, come gli strumenti, quasimacchine scientifiche, partoriscono e accrescono le co-gnizioni: le une aumentano le umane forze per domar lepotenze ribelli della natura e piegarle ai nostri bisogni,

1 MONTUCLA, loco citato, pagg. 222, 228, 229, 230. – BOSSUT, Hist. généraldes mathém., Paris, 1802, tomo I, pagg. 73-81. [G.].

2 GALILEO, Astron. nunc. Saggiat., Opere, Milano, 1810, tomo IV pagg. 305,306; tomo VI, pagg. 290-294. [G.].

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come gli altri avvalorano l’ingegno per rubare a quella isecreti ch’essa ci asconde gelosamente. Gli strumenti ele macchine sono due leve gagliarde della civiltà rispet-to al doppio giro del pensiero e dell’azione; nella crea-zion delle quali Archimede e Galileo diedero alla nostrapatria il vanto sugli altri popoli; onde soli questi duesommi basterebbono a mostrar che l’Italia è la nazionecreatrice nei campo del reale e dello scibile. E, certo,quando l’unico Siracusano si vantava con sublime iper-bole di poter sollevare il mondo con una leva, ovveronell’estasi dell’invenzione gridava eureca, eureca, eglidovea gustare un sorso del divin piacere della creazione,per quanto è dato ai mortali di parteciparne. Che se, giu-sta Plutarco, Archimede parea far poco caso de’ suoitrovati meccanici, riputandoli scherzi e accessorii dellageometria1, non si dee già credere che disprezzasse leapplicazioni utili della scienza; ma con ciò egli volea si-gnificare che tutto il valore di tali applicazioni dipendedalla speculazione teoretica, e che quindi il pregio e lagloria ne risale alla medesima; senza la quale non po-trebbono aver luogo. Nel che risplende eziandio il sennoitaliano; il quale, mentre da un lato non sequestra mai ilsapere dall’uso, e la contemplazione dalla vita attiva, fulontanissimo in ogni tempo dal vezzo moderno di queivolgari intelletti che si danno il vanto di essere positivi,perchè disprezzano la speculazione e la teorica; quasiche la pratica possa stare senza di esse; onde assegnò

1 Vita Marcelli.

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come gli altri avvalorano l’ingegno per rubare a quella isecreti ch’essa ci asconde gelosamente. Gli strumenti ele macchine sono due leve gagliarde della civiltà rispet-to al doppio giro del pensiero e dell’azione; nella crea-zion delle quali Archimede e Galileo diedero alla nostrapatria il vanto sugli altri popoli; onde soli questi duesommi basterebbono a mostrar che l’Italia è la nazionecreatrice nei campo del reale e dello scibile. E, certo,quando l’unico Siracusano si vantava con sublime iper-bole di poter sollevare il mondo con una leva, ovveronell’estasi dell’invenzione gridava eureca, eureca, eglidovea gustare un sorso del divin piacere della creazione,per quanto è dato ai mortali di parteciparne. Che se, giu-sta Plutarco, Archimede parea far poco caso de’ suoitrovati meccanici, riputandoli scherzi e accessorii dellageometria1, non si dee già credere che disprezzasse leapplicazioni utili della scienza; ma con ciò egli volea si-gnificare che tutto il valore di tali applicazioni dipendedalla speculazione teoretica, e che quindi il pregio e lagloria ne risale alla medesima; senza la quale non po-trebbono aver luogo. Nel che risplende eziandio il sennoitaliano; il quale, mentre da un lato non sequestra mai ilsapere dall’uso, e la contemplazione dalla vita attiva, fulontanissimo in ogni tempo dal vezzo moderno di queivolgari intelletti che si danno il vanto di essere positivi,perchè disprezzano la speculazione e la teorica; quasiche la pratica possa stare senza di esse; onde assegnò

1 Vita Marcelli.

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sempre a quelle il primo e massimo luogo d’importanzae di decoro negli studi, e prepose a tutte le dottrine lametafisica, che è speculazione per eccellenza, e che,sebbene paia sterilissima, è pure il principio sovranoonde tutte le scienze e le arti si fecondano. Perciò lastessa idea che induceva il grande ingegnere di Siracusaa sfatare nel cospetto di re Jerone le proprie invenzionimeccaniche, moveva il savio di Pisa a deridere coloroche stimano poter essere falso in concreto ciò che è veroin astratto, e introducono fra la pratica e la teorica uncontrasto e un divorzio irragionevole e ridicolo1.

Del calcolo e delle ipotesi in ordine alle discipline naturali.

L’Italia, che pei nomi prossimi o coetanei del Lagran-gia, del Volta, del Bidone, del Plana, del Libri,dell’Amici, del Melloni, del Matteucci, del Marianini2 edi altri non pochi, non è inferiore ad alcun altro popolonella gloria recente delle matematiche e delle fisiche,diede al mondo le primizie delle medesime, non solonella dotta antichità, ma eziandio in quel periodo di tem-po che moderno si appella. E già fra le tenebre del me-dio evo il crepuscolo dei calcoli e delle esperienze erasorto in Italia per opera di un gran papa, che, nato inFrancia, ma animato dagli spiriti romani ed italici, fuquasi un lampo di luce nel cuore di una notte oscurissi-ma. Silvestro II fu non solo gran teologo, canonista, fi-1 GALILE, Dial. II, Opere, Milano, 1811, tomo XI, pagg. 447-450. [G.].2 Intorno a questi matematici vedi passim la Histoire des Sciences Mathé-

matiques en Italie di Guglielmo Libri, Paris, 1838-41.

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sempre a quelle il primo e massimo luogo d’importanzae di decoro negli studi, e prepose a tutte le dottrine lametafisica, che è speculazione per eccellenza, e che,sebbene paia sterilissima, è pure il principio sovranoonde tutte le scienze e le arti si fecondano. Perciò lastessa idea che induceva il grande ingegnere di Siracusaa sfatare nel cospetto di re Jerone le proprie invenzionimeccaniche, moveva il savio di Pisa a deridere coloroche stimano poter essere falso in concreto ciò che è veroin astratto, e introducono fra la pratica e la teorica uncontrasto e un divorzio irragionevole e ridicolo1.

Del calcolo e delle ipotesi in ordine alle discipline naturali.

L’Italia, che pei nomi prossimi o coetanei del Lagran-gia, del Volta, del Bidone, del Plana, del Libri,dell’Amici, del Melloni, del Matteucci, del Marianini2 edi altri non pochi, non è inferiore ad alcun altro popolonella gloria recente delle matematiche e delle fisiche,diede al mondo le primizie delle medesime, non solonella dotta antichità, ma eziandio in quel periodo di tem-po che moderno si appella. E già fra le tenebre del me-dio evo il crepuscolo dei calcoli e delle esperienze erasorto in Italia per opera di un gran papa, che, nato inFrancia, ma animato dagli spiriti romani ed italici, fuquasi un lampo di luce nel cuore di una notte oscurissi-ma. Silvestro II fu non solo gran teologo, canonista, fi-1 GALILE, Dial. II, Opere, Milano, 1811, tomo XI, pagg. 447-450. [G.].2 Intorno a questi matematici vedi passim la Histoire des Sciences Mathé-

matiques en Italie di Guglielmo Libri, Paris, 1838-41.

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losofo, dialettico, rettorico, latinista, ma eziandio arit-metico, geometra, idraulico, medico, astronomo e musi-co, secondo i suoi tempi, valentissimo: a lui si dee (giu-sta un’opinione molto probabile) l’introduzione in Euro-pa dei numeri arabici e del sistema decimale, e il primoconcetto delle macchine a vapore1. Ma quando i monu-menti della prisca sapienza tornarono alla luce, parveche queste meraviglie dell’ingegno aprissero gli occhidei filosofi per la prima volta, e gli educassero a saperleggere speditamente e virilmente il gran libro della na-tura, nel quale l’antichità più assennata avea appena sa-puto compitare, come fanciulla. E anche qui l’Italia fuprima; perchè, senza parlare di una folla di ingegni nonordinari, quattro ne sorsero che per la vastità della men-te spaventavano l’immaginazione; cioè Leonardo, Mi-chelangelo, frà Paolo e Galileo; oltre i quali il pensierosalir non potrebbe, se non fossero prole di un padre che,unico al mondo, non ha rivali nè superiori con cui sipossa paragonare. L’ingegno enciclopedico di Dante sidivise, quasi fonte edenica, in quei quattro fiumi; di cui idue primi congiunsero il culto vario delle scienze alprincipato delle arti; il secondo e il terzo accoppiaronol’amor degli studi a quello della patria e alla sapienza ci-vile; e tutti l’universalità del sapere e la vena del ritrova-re abbellirono col culto gentile delle lettere. Del Buonar-roti avrebbero detto gli antichi ciò che asserivano diEratostene, chiamandolo pentatlo, per significare ch’egli

1 HOCK, Hist. du pape Sylv. II, trad. par Axinger, Paris, 1842. [G.].

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losofo, dialettico, rettorico, latinista, ma eziandio arit-metico, geometra, idraulico, medico, astronomo e musi-co, secondo i suoi tempi, valentissimo: a lui si dee (giu-sta un’opinione molto probabile) l’introduzione in Euro-pa dei numeri arabici e del sistema decimale, e il primoconcetto delle macchine a vapore1. Ma quando i monu-menti della prisca sapienza tornarono alla luce, parveche queste meraviglie dell’ingegno aprissero gli occhidei filosofi per la prima volta, e gli educassero a saperleggere speditamente e virilmente il gran libro della na-tura, nel quale l’antichità più assennata avea appena sa-puto compitare, come fanciulla. E anche qui l’Italia fuprima; perchè, senza parlare di una folla di ingegni nonordinari, quattro ne sorsero che per la vastità della men-te spaventavano l’immaginazione; cioè Leonardo, Mi-chelangelo, frà Paolo e Galileo; oltre i quali il pensierosalir non potrebbe, se non fossero prole di un padre che,unico al mondo, non ha rivali nè superiori con cui sipossa paragonare. L’ingegno enciclopedico di Dante sidivise, quasi fonte edenica, in quei quattro fiumi; di cui idue primi congiunsero il culto vario delle scienze alprincipato delle arti; il secondo e il terzo accoppiaronol’amor degli studi a quello della patria e alla sapienza ci-vile; e tutti l’universalità del sapere e la vena del ritrova-re abbellirono col culto gentile delle lettere. Del Buonar-roti avrebbero detto gli antichi ciò che asserivano diEratostene, chiamandolo pentatlo, per significare ch’egli

1 HOCK, Hist. du pape Sylv. II, trad. par Axinger, Paris, 1842. [G.].

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era oratore, verseggiatore, antiquario, matematico, filo-sofo, come il Fiorentino fu architetto, statuario, pittore,poeta e universale scienziato de’ suoi tempi. E allo stes-so modo che il suo estro nelle arti fu acceso ed avvalo-rato dalla poesia di Dante, la maestria di Galileo a leg-ger ne’ cieli e a svelare gli arcani della terra fu aiutata inqualche guisa dalla fantasia dell’Ariosto, vero pittoredelle bellezze di natura, come l’Allighieri delle sublimi-tà ideali; giacchè gl’idoli dell’immaginazione contribui-scono non poco a educare ed indirizzare le meditazionidel filosofo. Venne già avvertito da molti che Galileo1, enon Bacone2, fu il vero padre delle moderne scienzesperimentali, giacchè il primo scoperse cose meraviglio-se, e il secondo nulla, e non che di accorgimento e di va-lentìa avanzasse i coetanei, si mostrò per molti rispettiinferiore al suo secolo. Tuttavia continuasi ancora a ce-lebrar l’Inglese come duce e legislatore delle fisiche;quasi che possa dar buone leggi alla scienza chi non sascoprire gli ordini di natura. Due parti comprende lo stu-dio di questa; cioè la storia dei fenomeni, che si conten-ta di raccoglierli, descriverli, determinarli; e la scienza,che ne indaga l’origine, coordinandoli e riferendoli acerte leggi stabili ed universali. Quanto alla prima di talidue parti, Bacone si contentò di commendare l’osserva-zione e l’esperienza senza agevolarle e aiutarle; quanto

1 Per la copiosissima bibliografia galileiana si veda A. CARLI e A. FAVARO,Bibliografia Galileiana, Roma, 1896.

2 Francesco Bacone di Verulamio, n. a Londra nel 1561, m. nel 1626. Cfr.KUNO FISCHER, Fr. B. und seine Nachfolger, Leipzig, 1875.

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era oratore, verseggiatore, antiquario, matematico, filo-sofo, come il Fiorentino fu architetto, statuario, pittore,poeta e universale scienziato de’ suoi tempi. E allo stes-so modo che il suo estro nelle arti fu acceso ed avvalo-rato dalla poesia di Dante, la maestria di Galileo a leg-ger ne’ cieli e a svelare gli arcani della terra fu aiutata inqualche guisa dalla fantasia dell’Ariosto, vero pittoredelle bellezze di natura, come l’Allighieri delle sublimi-tà ideali; giacchè gl’idoli dell’immaginazione contribui-scono non poco a educare ed indirizzare le meditazionidel filosofo. Venne già avvertito da molti che Galileo1, enon Bacone2, fu il vero padre delle moderne scienzesperimentali, giacchè il primo scoperse cose meraviglio-se, e il secondo nulla, e non che di accorgimento e di va-lentìa avanzasse i coetanei, si mostrò per molti rispettiinferiore al suo secolo. Tuttavia continuasi ancora a ce-lebrar l’Inglese come duce e legislatore delle fisiche;quasi che possa dar buone leggi alla scienza chi non sascoprire gli ordini di natura. Due parti comprende lo stu-dio di questa; cioè la storia dei fenomeni, che si conten-ta di raccoglierli, descriverli, determinarli; e la scienza,che ne indaga l’origine, coordinandoli e riferendoli acerte leggi stabili ed universali. Quanto alla prima di talidue parti, Bacone si contentò di commendare l’osserva-zione e l’esperienza senza agevolarle e aiutarle; quanto

1 Per la copiosissima bibliografia galileiana si veda A. CARLI e A. FAVARO,Bibliografia Galileiana, Roma, 1896.

2 Francesco Bacone di Verulamio, n. a Londra nel 1561, m. nel 1626. Cfr.KUNO FISCHER, Fr. B. und seine Nachfolger, Leipzig, 1875.

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alla seconda, egli propose due metodi, cioè l’esclusionee l’induzione. Le quali, quando siano sole, riescono im-potenti a scoprire l’ignoto, come l’osservare e lo speri-mentare vanno poco innanzi, se non sono avvalorati da-gli strumenti. Ora il Galilei, trovando gli strumenti, creòil vero organo materiale delle scoperte; e accoppiando almetodo esclusivo e induttivo la deduzione, il calcolo el’ipotesi, compose l’organo intellettuale delle medesime.Perciò egli fu il legittimo padre della moderna storia escienza della natura. L’ipotesi e il calcolo sono i duesussidi più potenti delle discipline naturali, come quelliche fecondano lo studio dei fatti coll’aiuto delle notizieideali. Si avverta, infatti, che dai tempi di Colombo ainostri i più magnifici discoprimenti onde la civiltà cri-stiana si glorii e si avvantaggi, ebbero origine da uncómputo o da un presupposto, che è quanto dire dalleidee; perchè il calcolo è l’applicazione delle idee mate-matiche, e l’ipotesi delle metafisiche. Infatti ogni pre-supposto nasce sempre da un concetto a priori, fondatoper diretto o per indiretto nel tessuto della formola idea-le, e ne trae la sua forza; ed è giusto e verificabile, quan-do l’attinenza del concetto razionale col fenomeno, a cuisi adatta, non è opera della fantasia, ma suggestionedell’intuito; nel che risiede la divinazione dell’ingegnoinventivo. Coloro che vorrebbero sbandir le ipotesi dallascienza, non se ne intendono; perchè, lo ripeto, essesono la sorgente più feconda degl’incrementi di quella, ea loro dobbiamo l’America colla costituzion pitagorica eneutoniana dell’universo. Ben si richiede che il processo

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alla seconda, egli propose due metodi, cioè l’esclusionee l’induzione. Le quali, quando siano sole, riescono im-potenti a scoprire l’ignoto, come l’osservare e lo speri-mentare vanno poco innanzi, se non sono avvalorati da-gli strumenti. Ora il Galilei, trovando gli strumenti, creòil vero organo materiale delle scoperte; e accoppiando almetodo esclusivo e induttivo la deduzione, il calcolo el’ipotesi, compose l’organo intellettuale delle medesime.Perciò egli fu il legittimo padre della moderna storia escienza della natura. L’ipotesi e il calcolo sono i duesussidi più potenti delle discipline naturali, come quelliche fecondano lo studio dei fatti coll’aiuto delle notizieideali. Si avverta, infatti, che dai tempi di Colombo ainostri i più magnifici discoprimenti onde la civiltà cri-stiana si glorii e si avvantaggi, ebbero origine da uncómputo o da un presupposto, che è quanto dire dalleidee; perchè il calcolo è l’applicazione delle idee mate-matiche, e l’ipotesi delle metafisiche. Infatti ogni pre-supposto nasce sempre da un concetto a priori, fondatoper diretto o per indiretto nel tessuto della formola idea-le, e ne trae la sua forza; ed è giusto e verificabile, quan-do l’attinenza del concetto razionale col fenomeno, a cuisi adatta, non è opera della fantasia, ma suggestionedell’intuito; nel che risiede la divinazione dell’ingegnoinventivo. Coloro che vorrebbero sbandir le ipotesi dallascienza, non se ne intendono; perchè, lo ripeto, essesono la sorgente più feconda degl’incrementi di quella, ea loro dobbiamo l’America colla costituzion pitagorica eneutoniana dell’universo. Ben si richiede che il processo

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ipotetico si adoperi con savia riserva, e i suoi risultati sisottomettano alla trutina degli altri metodi; il che non sifece per lo più dagli antichi e dai savi dei bassi tempi.Non si fece eziandio dai tedeschi filosofi della natura; iquali, confondendo panteisticamente il Logo col Cosmo,e quindi le idee coi fenomeni, immedesimarono le unecogli altri, invece di adoperar le prime per dichiarare isecondi, e crearono una fisica anticipata e a priori, chenon merita il nome di scienza. Imperocchè l’ipotesi persè stessa non è altro che uno strumento intellettivo delsapere; al quale non appartiene intrinsecamente, se nonquando è verificata a rigore, e perciò lascia di essereipotesi. Ma se all’uso temperato dei presupposti, fonda-to sulle idee metafisiche, si aggiunge il corredo dellematematiche, secondo il principio presentito da Pitagorae inteso da Galileo, il metodo suppositivo non inchiudepiù alcun rischio, e si assesta per ogni verso alla severitàdottrinale. E così dee essere ragionevolmente; perchè leidee matematiche, tramezzando nella formola e inne-standosi sul concetto di creazione, mèdiano del pari frala metafisica e la fisica, e sono così il veicolo per cui iconcetti della prima si adattano alla seconda, come il pa-ragone con cui si può saggiare e chiarire la bontà di que-sto applicamento. Il quale si fonda sul principio dorico-pitagoreo dell’armonia cosmica, e sull’adagio biblico erivelato che Iddio fece il mondo in peso, numero e mi-sura; onde segue la medesimezza obbiettiva della geo-metria divina, con cui venne creato l’universo, e dellageometria umana, con cui si apprendono le leggi che lo

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ipotetico si adoperi con savia riserva, e i suoi risultati sisottomettano alla trutina degli altri metodi; il che non sifece per lo più dagli antichi e dai savi dei bassi tempi.Non si fece eziandio dai tedeschi filosofi della natura; iquali, confondendo panteisticamente il Logo col Cosmo,e quindi le idee coi fenomeni, immedesimarono le unecogli altri, invece di adoperar le prime per dichiarare isecondi, e crearono una fisica anticipata e a priori, chenon merita il nome di scienza. Imperocchè l’ipotesi persè stessa non è altro che uno strumento intellettivo delsapere; al quale non appartiene intrinsecamente, se nonquando è verificata a rigore, e perciò lascia di essereipotesi. Ma se all’uso temperato dei presupposti, fonda-to sulle idee metafisiche, si aggiunge il corredo dellematematiche, secondo il principio presentito da Pitagorae inteso da Galileo, il metodo suppositivo non inchiudepiù alcun rischio, e si assesta per ogni verso alla severitàdottrinale. E così dee essere ragionevolmente; perchè leidee matematiche, tramezzando nella formola e inne-standosi sul concetto di creazione, mèdiano del pari frala metafisica e la fisica, e sono così il veicolo per cui iconcetti della prima si adattano alla seconda, come il pa-ragone con cui si può saggiare e chiarire la bontà di que-sto applicamento. Il quale si fonda sul principio dorico-pitagoreo dell’armonia cosmica, e sull’adagio biblico erivelato che Iddio fece il mondo in peso, numero e mi-sura; onde segue la medesimezza obbiettiva della geo-metria divina, con cui venne creato l’universo, e dellageometria umana, con cui si apprendono le leggi che lo

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governano. Il che venne notato da alcuni antichi, e mo-dernamente dal Vico; ma niuno seppe risalire al primoprincipio di queste corrispondenze, e chiarire com’esseabbiano radice nel dogma della creazione. L’applicazio-ne del calcolo alle fisiche è quindi un concetto italico ecristiano; di cui l’origine e la validità scientifica nonpossono essere intese, nè stabilite razionalmente, senzale dottrine della nostra formola. La quale ci addita nellospazio e nel tempo due elementi d’indole pura ed empi-rica, confinanti coi due estremi di Dio e del mondo, eaventi verso di loro gli aspetti contrari di effetto esem-plato e di regola esemplatrice. Lo spirito dell’uomo puòquindi rinvenire col calcolo le idee divine specifiche,cioè le leggi che governano i fenomeni mondiali, e crea-re la cognizione sistematica dei medesimi, come le so-stanze, finite a cui essi appartengono, furono create e or-dinate dalla sapienza infinita.

La maggioranza dei moderni sugli antichiin questo genere di conoscenze nasce dal

principio di creazione.

L’applicazione del calcolo alla natura è la scintillache, uscita dall’antica e dalla nuova Italia, e diffusa pelmondo civile, recò le scienze fisiche a quel grado displendore in cui presentemente si trovano. Ad essa sidee attribuire la maggioranza dell’età nostra, in questaspecie di cognizione, sulle passate; chè, sebbene lescuole della Magna Grecia, di Siracusa, di Atene e diAlessandria adattassero la scienza de’ numeri ai moti ce-

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governano. Il che venne notato da alcuni antichi, e mo-dernamente dal Vico; ma niuno seppe risalire al primoprincipio di queste corrispondenze, e chiarire com’esseabbiano radice nel dogma della creazione. L’applicazio-ne del calcolo alle fisiche è quindi un concetto italico ecristiano; di cui l’origine e la validità scientifica nonpossono essere intese, nè stabilite razionalmente, senzale dottrine della nostra formola. La quale ci addita nellospazio e nel tempo due elementi d’indole pura ed empi-rica, confinanti coi due estremi di Dio e del mondo, eaventi verso di loro gli aspetti contrari di effetto esem-plato e di regola esemplatrice. Lo spirito dell’uomo puòquindi rinvenire col calcolo le idee divine specifiche,cioè le leggi che governano i fenomeni mondiali, e crea-re la cognizione sistematica dei medesimi, come le so-stanze, finite a cui essi appartengono, furono create e or-dinate dalla sapienza infinita.

La maggioranza dei moderni sugli antichiin questo genere di conoscenze nasce dal

principio di creazione.

L’applicazione del calcolo alla natura è la scintillache, uscita dall’antica e dalla nuova Italia, e diffusa pelmondo civile, recò le scienze fisiche a quel grado displendore in cui presentemente si trovano. Ad essa sidee attribuire la maggioranza dell’età nostra, in questaspecie di cognizione, sulle passate; chè, sebbene lescuole della Magna Grecia, di Siracusa, di Atene e diAlessandria adattassero la scienza de’ numeri ai moti ce-

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lesti e terrestri, l’uso più esquisito del calcolo fu trovatomoderno, per cui le ardite conghietture d’Iceta1 e di Em-pedocle intorno alla costituzione dell’universo furono ri-dotte a certezza, e venne recata in tutte le parti delle ri-cerche naturali una sagacità e una esattezza dianzi sco-nosciute. Ma donde nacque questo ammirabile progres-so dell’ingegno cristiano, se non dal ristabilimento diquel primo vero che, generando tutta l’enciclopedia, einformandola, può solo recare a perfezione ogni mem-bro di essa? Nello stesso modo che gl’incrementi dellefisiche sono proporzionati alla squisitezza del calcolo,questo corrisponde alla notizia, più o meno integra e di-stinta, che altri possiede, del sovrano principio di tuttolo scibile. Il paganesimo, innestato sul panteismo, di cuiè una forma, non potea signoreggiar la natura, perchèl’indiava; onde in Oriente, dove la deificazione delmondo giunse al suo colmo, le discipline naturali furonoignote o neglette. Presso i popoli pelasgici, che distin-guevano in qualche modo l’universo dal suo fattore,esse andarono alquanto innanzi; ma siccome tal distin-zione non era ben determinata, e tratto tratto le influenzepanteistiche prevalevano, l’ingegno umano, dopo averfatto felicemente alcuni passi nel conquisto intellettualedegli esseri che lo circondano, ricadde nella servitù loro,e la face del sapere di nuovo si spense. Imperocchè lascienza, madre delle utili industrie, è una vera conquistaspirituale del mondo; la quale non può aver luogo, se1 Iceta o Icheta, di Siracusa, filosofo pitagorico al quale Cicerone (Acad. 2,

39) attribuisce la teoria del movimento della terra intorno al proprio asse.

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lesti e terrestri, l’uso più esquisito del calcolo fu trovatomoderno, per cui le ardite conghietture d’Iceta1 e di Em-pedocle intorno alla costituzione dell’universo furono ri-dotte a certezza, e venne recata in tutte le parti delle ri-cerche naturali una sagacità e una esattezza dianzi sco-nosciute. Ma donde nacque questo ammirabile progres-so dell’ingegno cristiano, se non dal ristabilimento diquel primo vero che, generando tutta l’enciclopedia, einformandola, può solo recare a perfezione ogni mem-bro di essa? Nello stesso modo che gl’incrementi dellefisiche sono proporzionati alla squisitezza del calcolo,questo corrisponde alla notizia, più o meno integra e di-stinta, che altri possiede, del sovrano principio di tuttolo scibile. Il paganesimo, innestato sul panteismo, di cuiè una forma, non potea signoreggiar la natura, perchèl’indiava; onde in Oriente, dove la deificazione delmondo giunse al suo colmo, le discipline naturali furonoignote o neglette. Presso i popoli pelasgici, che distin-guevano in qualche modo l’universo dal suo fattore,esse andarono alquanto innanzi; ma siccome tal distin-zione non era ben determinata, e tratto tratto le influenzepanteistiche prevalevano, l’ingegno umano, dopo averfatto felicemente alcuni passi nel conquisto intellettualedegli esseri che lo circondano, ricadde nella servitù loro,e la face del sapere di nuovo si spense. Imperocchè lascienza, madre delle utili industrie, è una vera conquistaspirituale del mondo; la quale non può aver luogo, se1 Iceta o Icheta, di Siracusa, filosofo pitagorico al quale Cicerone (Acad. 2,

39) attribuisce la teoria del movimento della terra intorno al proprio asse.

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l’uomo non ha un vivo e pieno sentimento così della li-bertà propria e del grado eccelso ch’egli occupa sullaterra, qual delegato dal cielo a trasformarla e abbellirla,come della libertà e signoria divina su ogni partedell’universo. Ora i dogmi panteistici, immedesimandola personalità umana colla natura, e questa con Dio,troncano i nervi dell’arbitrio, e sostituiscono alla Provi-denza libera e sapiente un fato cieco e inesorabile; ondel’uomo diventa schiavo di essa natura, e questa, di ma-dre pietosa che dovrebbe essere ai più nobili de’ suoi fi-gliuoli, in crudele madrigna e tiranna si trasforma. La fi-losofia cristiana, all’incontro, mettendo in sicuro l’arbi-trio umano e la padronanza divina, mostrando le vere at-tinenze dell’uomo con Dio e col mondo, rapportandol’atto e, per così dire, il diploma primitivo e celeste concui fu data ai mortali l’investitura del terreno dominio,esponendo l’evento calamitoso che scemò la pienezza dital dominazione, e insegnando i sussidi oltranaturali chemirano a ristorarla, prosciolse ed emanceppò di nuovolo spirito dal giogo ineluttabile della natura. E questa re-denzione, che nella speculativa produsse la scienza, nel-la pratica partorì le arti, le industrie, i reggimenti civili,in cui il diritto, e non la violenza, governano le sorti de-gli uomini e delle nazioni. Laonde, come il servaggio elo stato castale vennero aboliti dall’efficacia delle dottri-ne cristiane; così la soave influenza di queste tende ascemare la varietà delle stirpi, la forza prepotente dei sitie l’impressione tenace dei climi, che dianzi dividevanoessenzialmente l’umana famiglia, e al duro imperio del

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l’uomo non ha un vivo e pieno sentimento così della li-bertà propria e del grado eccelso ch’egli occupa sullaterra, qual delegato dal cielo a trasformarla e abbellirla,come della libertà e signoria divina su ogni partedell’universo. Ora i dogmi panteistici, immedesimandola personalità umana colla natura, e questa con Dio,troncano i nervi dell’arbitrio, e sostituiscono alla Provi-denza libera e sapiente un fato cieco e inesorabile; ondel’uomo diventa schiavo di essa natura, e questa, di ma-dre pietosa che dovrebbe essere ai più nobili de’ suoi fi-gliuoli, in crudele madrigna e tiranna si trasforma. La fi-losofia cristiana, all’incontro, mettendo in sicuro l’arbi-trio umano e la padronanza divina, mostrando le vere at-tinenze dell’uomo con Dio e col mondo, rapportandol’atto e, per così dire, il diploma primitivo e celeste concui fu data ai mortali l’investitura del terreno dominio,esponendo l’evento calamitoso che scemò la pienezza dital dominazione, e insegnando i sussidi oltranaturali chemirano a ristorarla, prosciolse ed emanceppò di nuovolo spirito dal giogo ineluttabile della natura. E questa re-denzione, che nella speculativa produsse la scienza, nel-la pratica partorì le arti, le industrie, i reggimenti civili,in cui il diritto, e non la violenza, governano le sorti de-gli uomini e delle nazioni. Laonde, come il servaggio elo stato castale vennero aboliti dall’efficacia delle dottri-ne cristiane; così la soave influenza di queste tende ascemare la varietà delle stirpi, la forza prepotente dei sitie l’impressione tenace dei climi, che dianzi dividevanoessenzialmente l’umana famiglia, e al duro imperio del

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suolo o degli elementi l’assoggettavano. Perciò, se leantiche schiatte camitiche e giapetiche adoravano la ma-dre terra, onde a guisa dei favolosi Palici1 si credevanooriginate, e quindi ne interrogavano gli effluvii vocali,cercando di placarla e rendersela propizia con barbari edorridi sacrifici; le popolazioni cristiane la trattano daserva, sforzandola ad accrescere la somma delle nostrecognizioni e dei godimenti, col tesoro dei metalli e deifossili ch’ella nasconde nel suo seno.

Attinenze del principio di creazione e del principio diredenzione collo studio speculativo e pratico della natura.

L’efficacia dei principii di creazione e di redenzionesulle varie appartenenze del moderno sapere nelle disci-pline computatrici e fenomeniche, è attestata dall’indoledei loro progressi e miglioramenti. Qual è ormai il buonmatematico che nella parte più sublime dei calcoli ripu-dii l’idea o i metodi dell’infinito? Quale il valente natu-ralista che osi risalire scientificamente oltre i germi deicorpi organici, senza ricorrere all’azione creatrice? Qua-le l’accorto geologo che non ammetta altrettante crea-zioni, quanti furono i periodi e gli stati primitivi per cuicorse il globo terrestre? L’idea di forza che domina oralargamente nelle scienze fisiche, e che, mettendo in ono-re la filosofia dinamica, sbandì dall’enciclopedia l’ipote-si atomistica e corpuscolare, si connette coll’idea dellacreazione, considerata nel suo secondo ciclo, in quanto

1 Da Pali, città dello stato indiano di Dschodhpur.

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suolo o degli elementi l’assoggettavano. Perciò, se leantiche schiatte camitiche e giapetiche adoravano la ma-dre terra, onde a guisa dei favolosi Palici1 si credevanooriginate, e quindi ne interrogavano gli effluvii vocali,cercando di placarla e rendersela propizia con barbari edorridi sacrifici; le popolazioni cristiane la trattano daserva, sforzandola ad accrescere la somma delle nostrecognizioni e dei godimenti, col tesoro dei metalli e deifossili ch’ella nasconde nel suo seno.

Attinenze del principio di creazione e del principio diredenzione collo studio speculativo e pratico della natura.

L’efficacia dei principii di creazione e di redenzionesulle varie appartenenze del moderno sapere nelle disci-pline computatrici e fenomeniche, è attestata dall’indoledei loro progressi e miglioramenti. Qual è ormai il buonmatematico che nella parte più sublime dei calcoli ripu-dii l’idea o i metodi dell’infinito? Quale il valente natu-ralista che osi risalire scientificamente oltre i germi deicorpi organici, senza ricorrere all’azione creatrice? Qua-le l’accorto geologo che non ammetta altrettante crea-zioni, quanti furono i periodi e gli stati primitivi per cuicorse il globo terrestre? L’idea di forza che domina oralargamente nelle scienze fisiche, e che, mettendo in ono-re la filosofia dinamica, sbandì dall’enciclopedia l’ipote-si atomistica e corpuscolare, si connette coll’idea dellacreazione, considerata nel suo secondo ciclo, in quanto

1 Da Pali, città dello stato indiano di Dschodhpur.

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essa forza è il portato naturale dei semi organici, pro-creati nel primo. Ma se la vita dell’universo è l’esplica-zione delle germoglie vegetative, animali e sideree inesso racchiuse, l’origine di tali germi costringe i moder-ni filosofanti ad ammettere un primo ciclo creativo1;conciossiachè la generazione spontanea o la trasforma-zione di quelli, oltre che ripugnante alle sperienze eall’induzione, traslocherebbe le obbiezioni che occorro-no, senza risolverle. La nubilosa è nella storia del cieloquel medesimo che il germe nella descrizione della ter-ra; cosicchè le cosmogonie astrali, come la genesi tellu-rica, innalzano l’astronomo, non meno che il geologo,all’idea di creazione. E come l’esplicamento dinamicodelle sostanze create importa un secondo ciclo creativo,così le perturbazioni che alterano il corso della vitamondiale, e si dilungano dalla perfezione del tipo co-smico, arguiscono l’esistenza del male, cioè un disordi-ne originale avvenuto nella copia del mondano archeti-po, e la necessità di cercarvi ed apporvi un rimedio. Lequali conclusioni comuni a tutte le scienze, e di cuil’ultima risguarda l’applicazione scientifica, cioè l’arte,corrispondono ai fatti della caduta e della redenzione,appartenenti al secondo ciclo della formola ideale, e cor-relativi ai due dogmi fondamentali del Cristianesimo. Isavi della gentilità, sviati tutti più o meno dalle preoccu-

1 Avverte il Gioberti in un suo appunto (Filosofia della natura, edita dalSolmi): «L’uno genera il molteplice è l’iterazione del primo ciclo creativonell’ordine dell’esistente. Il molteplice ritorna all’uno è l’iterazione del se-condo ciclo creativo nello stesso circolo».

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essa forza è il portato naturale dei semi organici, pro-creati nel primo. Ma se la vita dell’universo è l’esplica-zione delle germoglie vegetative, animali e sideree inesso racchiuse, l’origine di tali germi costringe i moder-ni filosofanti ad ammettere un primo ciclo creativo1;conciossiachè la generazione spontanea o la trasforma-zione di quelli, oltre che ripugnante alle sperienze eall’induzione, traslocherebbe le obbiezioni che occorro-no, senza risolverle. La nubilosa è nella storia del cieloquel medesimo che il germe nella descrizione della ter-ra; cosicchè le cosmogonie astrali, come la genesi tellu-rica, innalzano l’astronomo, non meno che il geologo,all’idea di creazione. E come l’esplicamento dinamicodelle sostanze create importa un secondo ciclo creativo,così le perturbazioni che alterano il corso della vitamondiale, e si dilungano dalla perfezione del tipo co-smico, arguiscono l’esistenza del male, cioè un disordi-ne originale avvenuto nella copia del mondano archeti-po, e la necessità di cercarvi ed apporvi un rimedio. Lequali conclusioni comuni a tutte le scienze, e di cuil’ultima risguarda l’applicazione scientifica, cioè l’arte,corrispondono ai fatti della caduta e della redenzione,appartenenti al secondo ciclo della formola ideale, e cor-relativi ai due dogmi fondamentali del Cristianesimo. Isavi della gentilità, sviati tutti più o meno dalle preoccu-

1 Avverte il Gioberti in un suo appunto (Filosofia della natura, edita dalSolmi): «L’uno genera il molteplice è l’iterazione del primo ciclo creativonell’ordine dell’esistente. Il molteplice ritorna all’uno è l’iterazione del se-condo ciclo creativo nello stesso circolo».

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pazioni del dualismo e del panteismo, o non ammetteva-no la realtà del male, o l’avevano per effetto di un fatoinvincibile, di un’azione divina, e per lo più non crede-vano possibile di porvi ostacolo o rimedio; onde comelegittimo, lo santificavano, o come irreparabile, non necercavano la medicina. La coscienza dei popoli cristianiè persuasa del contrario; e questa persuasione è così uni-versale, che eziandio coloro i quali, filosofando a spro-posito, inciampano nel fatalismo e nell’immoralismo delpaganesimo, quando discorrono secondo gli ordini e ilgenio delle scienze speciali in cui valgono, riconoscononella natura degli stati anomali ed anormali, e spesso ne-gli uomini la potestà di correggerli, ritirando gli esseriverso la loro condizion primigenia. La discordanza deicorpi organati dalla perfezione del loro tipo originale, equindi la degenerazione maggiore o minore di questotipo in molte specie e in moltissimi individui, risultamanifestamente dalle osservazioni recenti dei filosofinaturali, e sovratutto dei botanici. Che se la pianta con-tiene spesso nelle varie parti della sua struttura i vestigidel primitivo archetipo e gli effetti di un tralignare con-secutivo, che in molte ragioni di vegetabili è frequente operpetuo, la natura tutta quanta rappresenta più larga-mente questa contrarietà dei due cicli, e i conati dellecose degeneri per ritornare ai loro principii sottogl’influssi benèfici di una forza riparatrice. Nell’uso eindirizzo di questa risiede l’arte umana, avvalorata dailumi e dai sussidi del Cristianesimo; il quale, insegnan-do agli uomini che sono liberi, e avvalorando la libertà

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pazioni del dualismo e del panteismo, o non ammetteva-no la realtà del male, o l’avevano per effetto di un fatoinvincibile, di un’azione divina, e per lo più non crede-vano possibile di porvi ostacolo o rimedio; onde comelegittimo, lo santificavano, o come irreparabile, non necercavano la medicina. La coscienza dei popoli cristianiè persuasa del contrario; e questa persuasione è così uni-versale, che eziandio coloro i quali, filosofando a spro-posito, inciampano nel fatalismo e nell’immoralismo delpaganesimo, quando discorrono secondo gli ordini e ilgenio delle scienze speciali in cui valgono, riconoscononella natura degli stati anomali ed anormali, e spesso ne-gli uomini la potestà di correggerli, ritirando gli esseriverso la loro condizion primigenia. La discordanza deicorpi organati dalla perfezione del loro tipo originale, equindi la degenerazione maggiore o minore di questotipo in molte specie e in moltissimi individui, risultamanifestamente dalle osservazioni recenti dei filosofinaturali, e sovratutto dei botanici. Che se la pianta con-tiene spesso nelle varie parti della sua struttura i vestigidel primitivo archetipo e gli effetti di un tralignare con-secutivo, che in molte ragioni di vegetabili è frequente operpetuo, la natura tutta quanta rappresenta più larga-mente questa contrarietà dei due cicli, e i conati dellecose degeneri per ritornare ai loro principii sottogl’influssi benèfici di una forza riparatrice. Nell’uso eindirizzo di questa risiede l’arte umana, avvalorata dailumi e dai sussidi del Cristianesimo; il quale, insegnan-do agli uomini che sono liberi, e avvalorando la libertà

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loro con doni superiori, gli abilita a vincere la natura ri-belle, e a ritrarla verso l’eccellenza del tipo natìo coi tro-vati dell’industria e della dottrina. Laonde dal fisico, chedisarma il cielo delle sue folgori, e doma il fluido piùpossente della natura, sino al medico, che ristabilisce nelcorpo umano la turbata armonia della vita, e al crimina-lista, che immagina un giure penale, non distruttivo, mamigliorativo del colpevole, la scienza rende perpetuoomaggio all’efficacia dell’arbitrio, al principato dellospirito sulla materia, e dell’uomo sul mondo. Certo,l’idea del riscatto non fu affatto spenta fra i popoli paga-ni, e quanto più si rinverte addietro verso le origini, tan-to più quel concetto vivo lampeggia e nelle opere si ma-nifesta; nè altronde mossero quei lavori smisurati e stu-pendi, le cui origini si pérdono nella notte dell’istoria, edalla fantasia tradizionale dei popoli si ascrivono ai ge-nii, ai numi ed ai giganti. Tanto è vero che nei tempipropinqui alla creazione, il genere umano serbò un certosentimento delle proprie forze e la persuasione del suodiritto monarcale sugli esseri che lo corteggiano; benchèqueste idee non fossero più corrette e santificate dallafede dell’imperiato divino sugli spiriti e sull’universo.Ma quando l’errore dell’emanazione trasformato in poli-teismo e in panteismo ebbe recati i suoi frutti, gli uomi-ni, divenuti mancìpi e adoratori della natura, perdetterola coscienza del loro valore e destino, e attribuironoquelle moli immense, edificate dai loro avi, alla manodei sempiterni. Se non che le generose credenze non siestinsero affatto nella illustre famiglia giapetica dei po-

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loro con doni superiori, gli abilita a vincere la natura ri-belle, e a ritrarla verso l’eccellenza del tipo natìo coi tro-vati dell’industria e della dottrina. Laonde dal fisico, chedisarma il cielo delle sue folgori, e doma il fluido piùpossente della natura, sino al medico, che ristabilisce nelcorpo umano la turbata armonia della vita, e al crimina-lista, che immagina un giure penale, non distruttivo, mamigliorativo del colpevole, la scienza rende perpetuoomaggio all’efficacia dell’arbitrio, al principato dellospirito sulla materia, e dell’uomo sul mondo. Certo,l’idea del riscatto non fu affatto spenta fra i popoli paga-ni, e quanto più si rinverte addietro verso le origini, tan-to più quel concetto vivo lampeggia e nelle opere si ma-nifesta; nè altronde mossero quei lavori smisurati e stu-pendi, le cui origini si pérdono nella notte dell’istoria, edalla fantasia tradizionale dei popoli si ascrivono ai ge-nii, ai numi ed ai giganti. Tanto è vero che nei tempipropinqui alla creazione, il genere umano serbò un certosentimento delle proprie forze e la persuasione del suodiritto monarcale sugli esseri che lo corteggiano; benchèqueste idee non fossero più corrette e santificate dallafede dell’imperiato divino sugli spiriti e sull’universo.Ma quando l’errore dell’emanazione trasformato in poli-teismo e in panteismo ebbe recati i suoi frutti, gli uomi-ni, divenuti mancìpi e adoratori della natura, perdetterola coscienza del loro valore e destino, e attribuironoquelle moli immense, edificate dai loro avi, alla manodei sempiterni. Se non che le generose credenze non siestinsero affatto nella illustre famiglia giapetica dei po-

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poli indopelasgici, e specialmente nel ramo italogreco;onde trassero origine le insigni scuole degli Asclepiadi,che fiorirono in Cirene, in Rodi, in Cnido, in Coo, e tut-ta la medicina ellenica, e l’igiene fisica e morale dei Mi-stagoghi e dei Pitagorici, e l’opera dei legislatori greci,specialmente doriesi, e il sofronisterio, che, ideato daPlatone, fu messo in atto (singolare riscontro) quasi neltempo medesimo da Asoco, re samaneo dell’India, eprossimo di età ad Alessandro, come attestano le inscri-zioni paliche frescamente diciferate. Ma questi barlumidi religion primitiva sono rari nell’antichità gentilesca, econtaminati dall’errore, che gli accompagna; onde se,verbigrazia, il greco autor delle Leggi1 ti parla di un car-cere penitenziale, egli ammette la schiavitù come cosanaturale e legittima, e nella Polizia vitupera la donna eturba la famiglia, rimovendo, almeno in apparenza, ilpudore e l’eguaglianza del maritaggio. Così pure, se Ip-pocrate2 riconosce l’efficacia della terapeutica, egli laderiva dalla natura artefice, secondo il dogma eracliteo,anzichè dalla virtù libera e intelligente dello spirito, cheemenda ed instaura essa natura coll’uso sapiente e ordi-nato delle greggie sue forze; nel che consiste l’idea fon-damentale della medicina moderna; laddove il principioippocratico della Fisi medicatrice è solo vero e fecondo,

1 Allude a Platone, che in continuazione del suo trattato sulla Repubblicascrisse quello delle Leggi.

2 Ippocrate, n. a Coo nel 460 a. C., fu detto il padre della medicina. Grandeè il numero delle opere sue o che almeno vanno sotto il suo nome, tuttedettate in dialetto ionico. (Cfr. G. CROISET, Histoire de la littérature grec-que, Paris, 1899, vol. IV, pag. 186 e segg.).

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poli indopelasgici, e specialmente nel ramo italogreco;onde trassero origine le insigni scuole degli Asclepiadi,che fiorirono in Cirene, in Rodi, in Cnido, in Coo, e tut-ta la medicina ellenica, e l’igiene fisica e morale dei Mi-stagoghi e dei Pitagorici, e l’opera dei legislatori greci,specialmente doriesi, e il sofronisterio, che, ideato daPlatone, fu messo in atto (singolare riscontro) quasi neltempo medesimo da Asoco, re samaneo dell’India, eprossimo di età ad Alessandro, come attestano le inscri-zioni paliche frescamente diciferate. Ma questi barlumidi religion primitiva sono rari nell’antichità gentilesca, econtaminati dall’errore, che gli accompagna; onde se,verbigrazia, il greco autor delle Leggi1 ti parla di un car-cere penitenziale, egli ammette la schiavitù come cosanaturale e legittima, e nella Polizia vitupera la donna eturba la famiglia, rimovendo, almeno in apparenza, ilpudore e l’eguaglianza del maritaggio. Così pure, se Ip-pocrate2 riconosce l’efficacia della terapeutica, egli laderiva dalla natura artefice, secondo il dogma eracliteo,anzichè dalla virtù libera e intelligente dello spirito, cheemenda ed instaura essa natura coll’uso sapiente e ordi-nato delle greggie sue forze; nel che consiste l’idea fon-damentale della medicina moderna; laddove il principioippocratico della Fisi medicatrice è solo vero e fecondo,

1 Allude a Platone, che in continuazione del suo trattato sulla Repubblicascrisse quello delle Leggi.

2 Ippocrate, n. a Coo nel 460 a. C., fu detto il padre della medicina. Grandeè il numero delle opere sue o che almeno vanno sotto il suo nome, tuttedettate in dialetto ionico. (Cfr. G. CROISET, Histoire de la littérature grec-que, Paris, 1899, vol. IV, pag. 186 e segg.).

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se si sequestra da ogni ombra di panteismo. Potrei age-volmente moltiplicare gli esempi; ma credo che questipochi cenni bastino a mostrare che le dottrine moderne,eziandio matematiche e fisiche, si fondano sui due prin-cipii sovrani di creazione e di redenzione, e su altri pro-nunziati che derivano da quelli, quali sono il dominiodell’animo sul corpo, e dell’uomo sulla natura, l’esisten-za del male fisico e morale, e la possibilità di attenuarloo rimuoverlo, mediante i progressivi incrementi dellascienza e civiltà umana. Dal che consèguita che tali di-scipline sono compenetrate, animate e guidate dagli spi-riti cristiani, anche quando i cultori di esse stimano ilcontrario; e che quindi il senno europeo è italiano e cat-tolico per eccellenza. Dall’Italia uscì il genio pelasgico,che meglio di ogni altro signoreggiò colla mente ecoll’arbitrio sul mondo, e preluse colle celebri scuoledell’Etruria, della Sicilia e della Magna Grecia alla gen-tilezza moderna: dall’Italia uscì pur colla fede l’ingegnoche instaurò il magistero de’ calcoli e lo studio della na-tura, lo diffuse per tutta Europa, l’informò, l’accrebbe,lo recò a un grado di perfezione dianzi sconosciuto, e netrasse per la felicità e la gloria dei popoli quei frutti cheveggiamo.

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se si sequestra da ogni ombra di panteismo. Potrei age-volmente moltiplicare gli esempi; ma credo che questipochi cenni bastino a mostrare che le dottrine moderne,eziandio matematiche e fisiche, si fondano sui due prin-cipii sovrani di creazione e di redenzione, e su altri pro-nunziati che derivano da quelli, quali sono il dominiodell’animo sul corpo, e dell’uomo sulla natura, l’esisten-za del male fisico e morale, e la possibilità di attenuarloo rimuoverlo, mediante i progressivi incrementi dellascienza e civiltà umana. Dal che consèguita che tali di-scipline sono compenetrate, animate e guidate dagli spi-riti cristiani, anche quando i cultori di esse stimano ilcontrario; e che quindi il senno europeo è italiano e cat-tolico per eccellenza. Dall’Italia uscì il genio pelasgico,che meglio di ogni altro signoreggiò colla mente ecoll’arbitrio sul mondo, e preluse colle celebri scuoledell’Etruria, della Sicilia e della Magna Grecia alla gen-tilezza moderna: dall’Italia uscì pur colla fede l’ingegnoche instaurò il magistero de’ calcoli e lo studio della na-tura, lo diffuse per tutta Europa, l’informò, l’accrebbe,lo recò a un grado di perfezione dianzi sconosciuto, e netrasse per la felicità e la gloria dei popoli quei frutti cheveggiamo.

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V – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE CIVILI

La loro perfezione consiste nell’accoppiamento dellaspeculazione colla pratica.

Il tipo ideale del buon governo è connaturale all’Italia.Descrizione di questo tipo.

Le scienze che si attengono alla vita civile, essendocomposte di elementi schietti ed empirici, di teorica e dipratica, di esperienza e di speculazione, hanno per mate-ria parte i fatti e quello che è, parte le idee e ciò che po-trebbe e dovrebbe essere. Dall’unione di questi duecomponenti risulta la perfezione della politica; la quale,se dimentica il reale, dà nel chimerico e nell’impossibi-le, se dilungasi dall’ideale, cade nel tristo e nel mariuo-lo, o almeno si appaga del mediocre, e diventa incuriosadei ragionevoli miglioramenti. La conformità delle insti-tuzioni col reale crea la stabilità loro: il moto di esseverso l’ideale dà luogo alla perfettibilità, e guidandoledi bene in meglio, le fa accostare a quel segno che non èconceduto agli sforzi dell’uomo di giungere appienonelle sue opere. E ciò che accade agli instituti civili av-viene del pari alla scienza, che in essi si esercita. Laquale, appartenendo alla filosofia mista, e avendo permateria gli eventi (cioè la natura e i fatti liberi degli uo-mini) e le notizie ideali suggerite dalla ragione, dee con-sertare queste due parti e organizzarle insieme armoni-camente per ottenere la sua perfezione, e tornar fruttuo-

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V – L’ITALIA È PRINCIPE NELLE SCIENZE CIVILI

La loro perfezione consiste nell’accoppiamento dellaspeculazione colla pratica.

Il tipo ideale del buon governo è connaturale all’Italia.Descrizione di questo tipo.

Le scienze che si attengono alla vita civile, essendocomposte di elementi schietti ed empirici, di teorica e dipratica, di esperienza e di speculazione, hanno per mate-ria parte i fatti e quello che è, parte le idee e ciò che po-trebbe e dovrebbe essere. Dall’unione di questi duecomponenti risulta la perfezione della politica; la quale,se dimentica il reale, dà nel chimerico e nell’impossibi-le, se dilungasi dall’ideale, cade nel tristo e nel mariuo-lo, o almeno si appaga del mediocre, e diventa incuriosadei ragionevoli miglioramenti. La conformità delle insti-tuzioni col reale crea la stabilità loro: il moto di esseverso l’ideale dà luogo alla perfettibilità, e guidandoledi bene in meglio, le fa accostare a quel segno che non èconceduto agli sforzi dell’uomo di giungere appienonelle sue opere. E ciò che accade agli instituti civili av-viene del pari alla scienza, che in essi si esercita. Laquale, appartenendo alla filosofia mista, e avendo permateria gli eventi (cioè la natura e i fatti liberi degli uo-mini) e le notizie ideali suggerite dalla ragione, dee con-sertare queste due parti e organizzarle insieme armoni-camente per ottenere la sua perfezione, e tornar fruttuo-

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sa al vivere civile, mediante l’uso applicativo dell’arte.L’ingegno greco separò spesso le due cose, ora trattandol’ideale senza il reale, secondo il costume di Platone,ora facendo il contrario, giusta l’usanza di Aristotile e diTeofrasto1; e corrispose a sè stesso, e al genio delle altresue fatture, dividendo e parvificando, ma esprimendocon esquisita eleganza di forme l’antica idealità pelasgi-ca. La quale, per ciò che spetta alla politica, si vuol cer-care nella scuola italogreca dei Pitagorici, operatori nonmeno che speculanti, e avvezzi in ogni genere di cose amettere in arte ed in pratica i lor pensamenti, accordan-doli al possibile coi dati reali dei luoghi e de’ tempi, emantenendo insieme alla ragione teoretica la sua sovra-na prerogativa. Laddove nell’Italia più moderna la spe-culazione fu troppo subordinata alla pratica: come siscorge in Cicerone; che, sebbene studiosissimo di Plato-ne, e pellegrino imitatore di esso nei generali, secondoapparisce dall’opera che stese sulla legislazione2, tutta-via, discendendo ai particolari, colloca l’esemplare nelfatto, e non nell’idea, e propone a modelli del giure edel reggimento le Dodici tavole e la romana repubblica.Quando lo studio dell’antichità classica risorse nella pe-nisola cristianeggiata, il divorzio del pensiero politico edell’azione tornò in campo; e si videro nel Machiavelli enel Campanella due rari ingegni, l’uno dei quali, saga-1 Filosofo greco, nato ad Ereso nell’isola di Lesbo il 372 a. C. Morì nel 287.

Discepolo di Aristotile si occupò di tutte le branche del sapere e le sueopere formavano una enciclopedia. Restano di lui due libri completi: Lastoria delle piante ed i famosi Caratteri, nonchè numerosi frammenti.

2 Allude al trattato De legibus in sei libri, dei quali sopravanzano tre soli.

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sa al vivere civile, mediante l’uso applicativo dell’arte.L’ingegno greco separò spesso le due cose, ora trattandol’ideale senza il reale, secondo il costume di Platone,ora facendo il contrario, giusta l’usanza di Aristotile e diTeofrasto1; e corrispose a sè stesso, e al genio delle altresue fatture, dividendo e parvificando, ma esprimendocon esquisita eleganza di forme l’antica idealità pelasgi-ca. La quale, per ciò che spetta alla politica, si vuol cer-care nella scuola italogreca dei Pitagorici, operatori nonmeno che speculanti, e avvezzi in ogni genere di cose amettere in arte ed in pratica i lor pensamenti, accordan-doli al possibile coi dati reali dei luoghi e de’ tempi, emantenendo insieme alla ragione teoretica la sua sovra-na prerogativa. Laddove nell’Italia più moderna la spe-culazione fu troppo subordinata alla pratica: come siscorge in Cicerone; che, sebbene studiosissimo di Plato-ne, e pellegrino imitatore di esso nei generali, secondoapparisce dall’opera che stese sulla legislazione2, tutta-via, discendendo ai particolari, colloca l’esemplare nelfatto, e non nell’idea, e propone a modelli del giure edel reggimento le Dodici tavole e la romana repubblica.Quando lo studio dell’antichità classica risorse nella pe-nisola cristianeggiata, il divorzio del pensiero politico edell’azione tornò in campo; e si videro nel Machiavelli enel Campanella due rari ingegni, l’uno dei quali, saga-1 Filosofo greco, nato ad Ereso nell’isola di Lesbo il 372 a. C. Morì nel 287.

Discepolo di Aristotile si occupò di tutte le branche del sapere e le sueopere formavano una enciclopedia. Restano di lui due libri completi: Lastoria delle piante ed i famosi Caratteri, nonchè numerosi frammenti.

2 Allude al trattato De legibus in sei libri, dei quali sopravanzano tre soli.

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cissimo nello scrutare i cuori e i fatti degli uomini, fecepoco caso della giustizia, legittimando i mezzi col fine,e l’altro ideò una utopia così strana, che avrebbe dovutointitolarla, non dal sole, ma dalla luna1. Nè l’ingegnopositivo mancava al frate delle Calabrie, o il teoretico alSegretario di Firenze; come si ricava da varii luoghi del-le loro opere; ma la mente di entrambi venne spesso vi-ziata dalla imitazione prepostera degli ordini gentile-schi, e dal poco conto in cui ebbero, politicando, quellidel Cristianesimo. La vera scienza civile è quella checongiunge e armonizza lo studio profondo dei fatti e de-gli uomini coi lumi ideali, secondo lo stile dei Pitagoricie i dettati dell’Evangelio, guardandosi del pari dallebrutture e dai sogni, e ingegnandosi di migliorare gliumani instituti, senza aspirare a una perfezione chimeri-ca. A tal effetto nessuna nazione è meglio condizionatadell’italiana, dove ab antico una sola forma di vivere po-litico (dico una nella sostanza) ottenne e fiorì stabilmen-te, ogni qual volta le influenze o le armi straniere non vimisero ostacolo; tanto che, per accostarci a quel sublimemodello degli ordini civili che dee governare e informa-re la ricerca dei fatti, noi non abbiamo mestieri di usciredalla nostra patria. Io osservo che tutte le aggregazioniorganiche delle forze create esprimono, o almeno deb-

1 Fra Tommaso Campanella, n. a Stilo nel 1568, morì nel 1639. Apostolodella religione naturale e annunziatore di tempi nuovi, scrisse la Città delsole, dove vagheggiò una repubblica ideale. Vedi le opere di T. C. ordinateda A. d’Ancona (Torino, Pomba, 1854). Sulla Città del sole vedasi B.CROCE, Intorno al comunismo di T. C. in «Archivio storico per le provincienapoletane», anno XX (1895), fasc. IV pagg. 646-683.

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cissimo nello scrutare i cuori e i fatti degli uomini, fecepoco caso della giustizia, legittimando i mezzi col fine,e l’altro ideò una utopia così strana, che avrebbe dovutointitolarla, non dal sole, ma dalla luna1. Nè l’ingegnopositivo mancava al frate delle Calabrie, o il teoretico alSegretario di Firenze; come si ricava da varii luoghi del-le loro opere; ma la mente di entrambi venne spesso vi-ziata dalla imitazione prepostera degli ordini gentile-schi, e dal poco conto in cui ebbero, politicando, quellidel Cristianesimo. La vera scienza civile è quella checongiunge e armonizza lo studio profondo dei fatti e de-gli uomini coi lumi ideali, secondo lo stile dei Pitagoricie i dettati dell’Evangelio, guardandosi del pari dallebrutture e dai sogni, e ingegnandosi di migliorare gliumani instituti, senza aspirare a una perfezione chimeri-ca. A tal effetto nessuna nazione è meglio condizionatadell’italiana, dove ab antico una sola forma di vivere po-litico (dico una nella sostanza) ottenne e fiorì stabilmen-te, ogni qual volta le influenze o le armi straniere non vimisero ostacolo; tanto che, per accostarci a quel sublimemodello degli ordini civili che dee governare e informa-re la ricerca dei fatti, noi non abbiamo mestieri di usciredalla nostra patria. Io osservo che tutte le aggregazioniorganiche delle forze create esprimono, o almeno deb-

1 Fra Tommaso Campanella, n. a Stilo nel 1568, morì nel 1639. Apostolodella religione naturale e annunziatore di tempi nuovi, scrisse la Città delsole, dove vagheggiò una repubblica ideale. Vedi le opere di T. C. ordinateda A. d’Ancona (Torino, Pomba, 1854). Sulla Città del sole vedasi B.CROCE, Intorno al comunismo di T. C. in «Archivio storico per le provincienapoletane», anno XX (1895), fasc. IV pagg. 646-683.

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bono esprimere, un solo archetipo increato, che nellasua generalità abbraccia ogni possibile ordinamento;tanto che le differenze che corrono fra le varie specie in-dividue in cui esso s’incarna, non riguardano che gli ac-cidenti. Questo archetipo è l’idea dell’armonia creata, ri-sedente nel Logo, suscettiva di un numero infinito dimodificazioni, e applicabile a ogni cosa nel giro delleesistenze. Ora il vivere pubblico, che fu in ogni temponaturale e nazionale agl’Italiani, s’immedesima con queltipo supremo, ed è una semplice applicazione di essoalla società umana; la quale conformandosi a quello, di-venta una fedele imagine dell’idea divina, che risplendenella scienza, nell’arte, nella Chiesa e nell’universo. Im-perocchè dall’un de’ lati Iddio nell’ordinare il mondo, enel costituire la comunità religiosa, giudaica e cristiana,seguì la stessa norma che prepose ai primi consorzi de-gli uomini, e i cui lineamenti essenziali si connaturaronoalla nostra penisola; e dall’altro lato l’ingegno umano,creando la scienza e l’arte, non procede diversamente.Cosicchè quell’idea politica che negli ordini storici fupelasgica, etrusca, latina, dorica, pitagorica e in ognitempo italiana, è in sè stessa tipica e divina, com’è mo-saica, cattolica, estetica, enciclopedica, cosmica e in-somma universale negli ordini della realtà creata e delloscibile umano. Volete privilegi più gloriosi? La politicacosì considerata acquista un valore obbiettivo e grandis-simo; imperocchè ella si riduce allo studio del tipo civi-le, come la fisica è lo studio del tipo cosmico, mediantela notizia dei fatti umani e naturali, cioè degli eventi e

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bono esprimere, un solo archetipo increato, che nellasua generalità abbraccia ogni possibile ordinamento;tanto che le differenze che corrono fra le varie specie in-dividue in cui esso s’incarna, non riguardano che gli ac-cidenti. Questo archetipo è l’idea dell’armonia creata, ri-sedente nel Logo, suscettiva di un numero infinito dimodificazioni, e applicabile a ogni cosa nel giro delleesistenze. Ora il vivere pubblico, che fu in ogni temponaturale e nazionale agl’Italiani, s’immedesima con queltipo supremo, ed è una semplice applicazione di essoalla società umana; la quale conformandosi a quello, di-venta una fedele imagine dell’idea divina, che risplendenella scienza, nell’arte, nella Chiesa e nell’universo. Im-perocchè dall’un de’ lati Iddio nell’ordinare il mondo, enel costituire la comunità religiosa, giudaica e cristiana,seguì la stessa norma che prepose ai primi consorzi de-gli uomini, e i cui lineamenti essenziali si connaturaronoalla nostra penisola; e dall’altro lato l’ingegno umano,creando la scienza e l’arte, non procede diversamente.Cosicchè quell’idea politica che negli ordini storici fupelasgica, etrusca, latina, dorica, pitagorica e in ognitempo italiana, è in sè stessa tipica e divina, com’è mo-saica, cattolica, estetica, enciclopedica, cosmica e in-somma universale negli ordini della realtà creata e delloscibile umano. Volete privilegi più gloriosi? La politicacosì considerata acquista un valore obbiettivo e grandis-simo; imperocchè ella si riduce allo studio del tipo civi-le, come la fisica è lo studio del tipo cosmico, mediantela notizia dei fatti umani e naturali, cioè degli eventi e

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dei fenomeni, per cui que’ due esemplari concretamentefra loro si distinguono. E siccome il politico modello ècongenito all’Italia, come nazione, nello stesso modoche s’immedesima coll’arte, colla scienza, colla Chiesae coll’universo, e in nessuna storia tanto riluce quantonella nostra, ne segue che gl’Italiani sono civilmente ilpopolo ideale ed esemplare per eccellenza. La politica èuna scienza specialmente nostrale, poichè in nessun luo-go si trova così squisita quella fusione dell’idea col fat-to, che si ricerca a causare nello stesso tempo il vezzoempirico dei pessimisti e i deliri delle utopie civili.

L’archetipo divino dell’armonia creata, applicabile aogni specie di esistenza, consiste nella riduzione dellavarietà più grande alla maggiore unità possibile. La va-rietà non avrebbe luogo se la pluralità degli individuifosse similare e parificata per ogni verso: l’unità man-cherebbe se essi individui non consonassero fra loro percerte doti comuni di natura, e intorno ad un centro impe-riante a gerarchia non si accozzassero. Così nel mondosidereo la svariata e mobile popolazione dei pianeti e deisoli punta intorno ad un mezzo di attrazione unico edimmoto: nel mondo organico signoreggia sulle singoleparti un archeo di vita; nel mondo spirituale il conciliodelle menti finite e libere è illustrato e premosso daun’intelligenza infinita: nel mondo religioso la moltitu-dine suddita o ministrante ubbidisce al pontefice, suc-cessore di Aronne e di Pietro: nel mondo scientifico, tut-te le discipline si raccolgono intorno a una scienza pri-ma, tutte le formole subalterne intorno a una formola su-

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dei fenomeni, per cui que’ due esemplari concretamentefra loro si distinguono. E siccome il politico modello ècongenito all’Italia, come nazione, nello stesso modoche s’immedesima coll’arte, colla scienza, colla Chiesae coll’universo, e in nessuna storia tanto riluce quantonella nostra, ne segue che gl’Italiani sono civilmente ilpopolo ideale ed esemplare per eccellenza. La politica èuna scienza specialmente nostrale, poichè in nessun luo-go si trova così squisita quella fusione dell’idea col fat-to, che si ricerca a causare nello stesso tempo il vezzoempirico dei pessimisti e i deliri delle utopie civili.

L’archetipo divino dell’armonia creata, applicabile aogni specie di esistenza, consiste nella riduzione dellavarietà più grande alla maggiore unità possibile. La va-rietà non avrebbe luogo se la pluralità degli individuifosse similare e parificata per ogni verso: l’unità man-cherebbe se essi individui non consonassero fra loro percerte doti comuni di natura, e intorno ad un centro impe-riante a gerarchia non si accozzassero. Così nel mondosidereo la svariata e mobile popolazione dei pianeti e deisoli punta intorno ad un mezzo di attrazione unico edimmoto: nel mondo organico signoreggia sulle singoleparti un archeo di vita; nel mondo spirituale il conciliodelle menti finite e libere è illustrato e premosso daun’intelligenza infinita: nel mondo religioso la moltitu-dine suddita o ministrante ubbidisce al pontefice, suc-cessore di Aronne e di Pietro: nel mondo scientifico, tut-te le discipline si raccolgono intorno a una scienza pri-ma, tutte le formole subalterne intorno a una formola su-

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prema, e in questa formola stessa i concetti racchiusinella sua molteplice unità sottostanno a un’idea superio-re e assoluta; e, in fine, nell’universo tutto quanto le for-ze create di ogni genere sono prodotte, mosse e gover-nate da una forza onnipotente e creatrice. Altretanto haluogo nel mondo dell’arte; dove la città, il tempio, l’ode,il dramma, l’epopea e ogni altro gentile artificio, allastessa legge soggiacciono. Ora il tipo del governo nazio-nale d’Italia consta di quei due elementi, cioè dell’unitàmonarchica e della varietà aristocratica, gerarchicamen-te disposta e coordinata; onde venne dai Doriesi e daiPitagorici raffigurato nel concento del Teocosmo, comela politica fu avuta da loro per imagine e sorelladell’astronomia e della musica. L’idea medesima si ri-trova sottosopra nella Cina, dove il monarcato perseveròpiù che altrove conforme alla patriarchia primitiva, edove la musica, inventata o ristorata da Confusio, è pureavuta in conto di un emblema e di uno strumento politi-co, e cammina sostanzialmente sui canoni pitagoriei1.La monarchia e l’aristocrazia sono il principio dellaquiete e del moto, della stabilità del processo civile;onde l’una n’è il fulcro, e l’altra la molla. Ma il princi-pato non sarebbe stabile se non fosse ereditario, od al-meno organato in modo, che l’elezione non muova dalpopolo, e abbia luogo ordinatamente, senza gare e tu-

1 Mém. de l’Acad. des Inscr., tomo XXXVIII, parte II, pagg. 286, 287, 288,Mém, concern. l’hist. des sciences, ecc.; des Chinois par les missionn. dePe-kin, Paris, 1779, tomo VI, pagg. 164-167. – ROUSSIER Mém. sur la musi-que des anciens, ecc. [G.].

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prema, e in questa formola stessa i concetti racchiusinella sua molteplice unità sottostanno a un’idea superio-re e assoluta; e, in fine, nell’universo tutto quanto le for-ze create di ogni genere sono prodotte, mosse e gover-nate da una forza onnipotente e creatrice. Altretanto haluogo nel mondo dell’arte; dove la città, il tempio, l’ode,il dramma, l’epopea e ogni altro gentile artificio, allastessa legge soggiacciono. Ora il tipo del governo nazio-nale d’Italia consta di quei due elementi, cioè dell’unitàmonarchica e della varietà aristocratica, gerarchicamen-te disposta e coordinata; onde venne dai Doriesi e daiPitagorici raffigurato nel concento del Teocosmo, comela politica fu avuta da loro per imagine e sorelladell’astronomia e della musica. L’idea medesima si ri-trova sottosopra nella Cina, dove il monarcato perseveròpiù che altrove conforme alla patriarchia primitiva, edove la musica, inventata o ristorata da Confusio, è pureavuta in conto di un emblema e di uno strumento politi-co, e cammina sostanzialmente sui canoni pitagoriei1.La monarchia e l’aristocrazia sono il principio dellaquiete e del moto, della stabilità del processo civile;onde l’una n’è il fulcro, e l’altra la molla. Ma il princi-pato non sarebbe stabile se non fosse ereditario, od al-meno organato in modo, che l’elezione non muova dalpopolo, e abbia luogo ordinatamente, senza gare e tu-

1 Mém. de l’Acad. des Inscr., tomo XXXVIII, parte II, pagg. 286, 287, 288,Mém, concern. l’hist. des sciences, ecc.; des Chinois par les missionn. dePe-kin, Paris, 1779, tomo VI, pagg. 164-167. – ROUSSIER Mém. sur la musi-que des anciens, ecc. [G.].

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multi: il patriziato non sarebbe progressivo e perfezio-nativo, se dal caso della nascita, e non dai meriti dipen-desse. L’eredità e l’elezione insieme accoppiate dannoagli stati quella consistenza e quella vita, quel riposo equel movimento che del pari richieggonsi a renderli po-tenti, tranquilli e felici. Questo tipo di governo ideale,che soli forse i Doriesi, specialmente italioti, e i Cinesiseppero abbozzare tra i popoli gentili, venne mandato adeffetto dalla società cristiana nel suo spirituale e divinreggimento. Il quale, secondo la sentenza del Bellarmi-no, partecipa delle tre forme politiche, e risponde aquell’idea del governo misto di cui si vide un saggionegl’instituti dorici di Creta e della Laconia, e che aldire di Cicerone informava pure gli ordini romani; ben-chè, giusta il cenno di un più profondo estimatore, fossemeglio agevole il lodarla, che il rinvenirla1. Conforme aquesto ordinamento la giurisdizione apostolica, posse-duta dal Papa nella sua pienezza, si dirama elettivamen-te nel corpo della Chiesa per i minori pastori, e crea lacomunità dei fedeli; i migliori dei quali, mediante l’ele-zione, vengono assunti ai gradi supremi del sacerdozio,In questa esaltazione dei subalterni, governata dai meritie fatta elettivamente da chi sovrasta, risiede il principiopopolare della società cristiana, avvertito dagli statisticattolici; imperocchè la sola democrazia ragionevole eaccordante colla saldezza e durabilità dei governi èquella che colla virtù dell’ingegno e dell’animo in ari-

1 TAC., Ann., IV, 33.

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multi: il patriziato non sarebbe progressivo e perfezio-nativo, se dal caso della nascita, e non dai meriti dipen-desse. L’eredità e l’elezione insieme accoppiate dannoagli stati quella consistenza e quella vita, quel riposo equel movimento che del pari richieggonsi a renderli po-tenti, tranquilli e felici. Questo tipo di governo ideale,che soli forse i Doriesi, specialmente italioti, e i Cinesiseppero abbozzare tra i popoli gentili, venne mandato adeffetto dalla società cristiana nel suo spirituale e divinreggimento. Il quale, secondo la sentenza del Bellarmi-no, partecipa delle tre forme politiche, e risponde aquell’idea del governo misto di cui si vide un saggionegl’instituti dorici di Creta e della Laconia, e che aldire di Cicerone informava pure gli ordini romani; ben-chè, giusta il cenno di un più profondo estimatore, fossemeglio agevole il lodarla, che il rinvenirla1. Conforme aquesto ordinamento la giurisdizione apostolica, posse-duta dal Papa nella sua pienezza, si dirama elettivamen-te nel corpo della Chiesa per i minori pastori, e crea lacomunità dei fedeli; i migliori dei quali, mediante l’ele-zione, vengono assunti ai gradi supremi del sacerdozio,In questa esaltazione dei subalterni, governata dai meritie fatta elettivamente da chi sovrasta, risiede il principiopopolare della società cristiana, avvertito dagli statisticattolici; imperocchè la sola democrazia ragionevole eaccordante colla saldezza e durabilità dei governi èquella che colla virtù dell’ingegno e dell’animo in ari-

1 TAC., Ann., IV, 33.

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stocrazia si trasforma. Onde errano coloro che voglionorinvenire nella costituzione ecclesiastica un ingredientedemocratico, distinto sostanzialmente dall’aristocratico,e non soggetto al principio monarcale e supremo. Certo,se non fossimo avvezzi dall’infanzia e connaturati ai mi-racoli delle idee cattoliche dovrebbe parerci maraviglio-so il vedere che il seggio più eccelso del mondo è spes-so occupato da un popolano, dove il trono più meschinoè quasi sempre un privilegio di qualche stirpe dominatri-ce. Nel giro della società temporale l’idea cattolica nonpuò essere attuata, senza alcuni temperamenti, attesol’imperfezione della materia a cui si applica, e la dispro-porzione di essa verso l’eccellenza di quel sublimeesemplare. Il precipuo dei quali è l’eredità del soglio,sostituita saviamente alla elezione; imperocchè dovendola monarchia per principale ufficio puntellare lo stato,dandogli forza e saldezza, verrebbe meno lo scopo diessa, se il trono di uomo in uomo si tragittasse per undeletto aristocratico o popolano, che snerverebbe lo Sta-to colle brighe e colle corruttele, o coi tumulti e colleguerre civili lo porrebbe a ripentaglio. La monarchiaelettiva fra gli uomini corrotti è il pessimo dei governi,perchè suppone che essi uomini siano quali dovrebberoessere, ma non sono mai in effetto: che se nella societàecclesiastica, e in quel reggimento che le è congiunto, ilcontrario ha luogo, ciò nasce dal modo con cui vi si fal’eletta, dall’uso antiquato di essa, dalla legge del celi-bato che l’accompagna, e dall’autorità speciale della re-ligione. Ma per lo stesso motivo onde il principato non

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stocrazia si trasforma. Onde errano coloro che voglionorinvenire nella costituzione ecclesiastica un ingredientedemocratico, distinto sostanzialmente dall’aristocratico,e non soggetto al principio monarcale e supremo. Certo,se non fossimo avvezzi dall’infanzia e connaturati ai mi-racoli delle idee cattoliche dovrebbe parerci maraviglio-so il vedere che il seggio più eccelso del mondo è spes-so occupato da un popolano, dove il trono più meschinoè quasi sempre un privilegio di qualche stirpe dominatri-ce. Nel giro della società temporale l’idea cattolica nonpuò essere attuata, senza alcuni temperamenti, attesol’imperfezione della materia a cui si applica, e la dispro-porzione di essa verso l’eccellenza di quel sublimeesemplare. Il precipuo dei quali è l’eredità del soglio,sostituita saviamente alla elezione; imperocchè dovendola monarchia per principale ufficio puntellare lo stato,dandogli forza e saldezza, verrebbe meno lo scopo diessa, se il trono di uomo in uomo si tragittasse per undeletto aristocratico o popolano, che snerverebbe lo Sta-to colle brighe e colle corruttele, o coi tumulti e colleguerre civili lo porrebbe a ripentaglio. La monarchiaelettiva fra gli uomini corrotti è il pessimo dei governi,perchè suppone che essi uomini siano quali dovrebberoessere, ma non sono mai in effetto: che se nella societàecclesiastica, e in quel reggimento che le è congiunto, ilcontrario ha luogo, ciò nasce dal modo con cui vi si fal’eletta, dall’uso antiquato di essa, dalla legge del celi-bato che l’accompagna, e dall’autorità speciale della re-ligione. Ma per lo stesso motivo onde il principato non

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può ottenere il suo intento se non è ereditario, l’aristo-crazia dee corrispondere ai due cárdini fondamentalidella società degli spiriti, cioè all’eguaglianza naturaledegl’individui di ogni specie, e alla diseguaglianza ac-quisita, mediante i meriti e i demeriti. Il che non può av-venire se ella non è fondata nell’eguaglianza civile, e sele sue schiere, aperte a ciascuno, non si chiudono ai menbuoni; perchè, quantunque molti possano appartenere alnovero degli ottimati, pochi si trovano che il siano in ef-fetto. Essa quindi si oppone del pari al patriziato feudalee alla democrazia plebea; le quali instituzioni, in appa-renza così diverse, si somigliano per la sostanza, inquanto fanno dipendere la dignità e il potere dalla nasci-ta, dalla sorte, dalla forza e non dai veri pregi dell’indi-viduo. Si avverta però che il patriziato ereditario, reli-quia dei feudi, non può essere spento, dov’è radicato dalunga consuetudine; cosicchè dee far parte dell’aristo-crazia nazionale, ma non costituirla; chè uno stato ilquale non abbia altra nobiltà che quella del sangue, è co-stretto a vegetare e vicino a perire. Sia dunque il patri-ziato ereditario un membro dell’aristocrazia civile, manon unico, nè principale; perchè i primi gradi alla virtù eall’ingegno appartengono, senza il cui corredo la sortedella nascita non merita privilegi nè onori, giusta i detta-ti del retto senso e gli oracoli dell’Evangelio.

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può ottenere il suo intento se non è ereditario, l’aristo-crazia dee corrispondere ai due cárdini fondamentalidella società degli spiriti, cioè all’eguaglianza naturaledegl’individui di ogni specie, e alla diseguaglianza ac-quisita, mediante i meriti e i demeriti. Il che non può av-venire se ella non è fondata nell’eguaglianza civile, e sele sue schiere, aperte a ciascuno, non si chiudono ai menbuoni; perchè, quantunque molti possano appartenere alnovero degli ottimati, pochi si trovano che il siano in ef-fetto. Essa quindi si oppone del pari al patriziato feudalee alla democrazia plebea; le quali instituzioni, in appa-renza così diverse, si somigliano per la sostanza, inquanto fanno dipendere la dignità e il potere dalla nasci-ta, dalla sorte, dalla forza e non dai veri pregi dell’indi-viduo. Si avverta però che il patriziato ereditario, reli-quia dei feudi, non può essere spento, dov’è radicato dalunga consuetudine; cosicchè dee far parte dell’aristo-crazia nazionale, ma non costituirla; chè uno stato ilquale non abbia altra nobiltà che quella del sangue, è co-stretto a vegetare e vicino a perire. Sia dunque il patri-ziato ereditario un membro dell’aristocrazia civile, manon unico, nè principale; perchè i primi gradi alla virtù eall’ingegno appartengono, senza il cui corredo la sortedella nascita non merita privilegi nè onori, giusta i detta-ti del retto senso e gli oracoli dell’Evangelio.

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Dei due cicli politici. – Della monarchia cristiana.Sua differenza dalla paganica.

In ogni stato politico la sovranità dei rettori è soltantorappresentativa, e ministeriale della sovranità assoluta esuprema di Dio, risalendo per una investitura esterioresino alle origini del genere umano, e connettendosi pertal modo col fatto divino della creazione1. In questa vi-cenda e trasmissione della sovranità primigenia, la suaradice è sempre la stessa, ma la sua forma può variare edilungarsi più o meno dal tipo primordiale e celeste delprimo ciclo, cioè dal patriarcato congiunto coll’elezione.Qualunque sia però la modificazione accidentale del po-tere sovrano, esso non può legittimamente travasarsi, senon segue nel suo moto il processo della formola ideale,discendendo prima di salire, e passando dal principe nelpopolo, prima di rinvertire dal popolo al principe. Ildogma della sovranità popolare contraddice al tenoreoriginale della scienza e del mondo, e si accorda soltan-to col panteismo rigido, il cui processo negli ordini realie ideali movendo dall’esistente verso l’Ente, importa inpolitica un moto corrispettivo dai sudditi ai governanti.Il passaggio della sovranità dal principe nel popolo suc-cede mediante l’esplicazione del principato, che, ope-rando a guisa di elemento dinamico, crea e coordina amagisterio organico tutto il corpo della nazione. Quindioccorrono due cicli politici, corrispondenti ai due ciclicreativi2, ed ai principii di creazione e di redenzione;1 Introduzione allo studio della filosofia, tomo II, pagg. 241, 399. [G.].2 Introd. allo studio della filosofia, tomo II, pagg. 259, 297, 298. [G.].

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Dei due cicli politici. – Della monarchia cristiana.Sua differenza dalla paganica.

In ogni stato politico la sovranità dei rettori è soltantorappresentativa, e ministeriale della sovranità assoluta esuprema di Dio, risalendo per una investitura esterioresino alle origini del genere umano, e connettendosi pertal modo col fatto divino della creazione1. In questa vi-cenda e trasmissione della sovranità primigenia, la suaradice è sempre la stessa, ma la sua forma può variare edilungarsi più o meno dal tipo primordiale e celeste delprimo ciclo, cioè dal patriarcato congiunto coll’elezione.Qualunque sia però la modificazione accidentale del po-tere sovrano, esso non può legittimamente travasarsi, senon segue nel suo moto il processo della formola ideale,discendendo prima di salire, e passando dal principe nelpopolo, prima di rinvertire dal popolo al principe. Ildogma della sovranità popolare contraddice al tenoreoriginale della scienza e del mondo, e si accorda soltan-to col panteismo rigido, il cui processo negli ordini realie ideali movendo dall’esistente verso l’Ente, importa inpolitica un moto corrispettivo dai sudditi ai governanti.Il passaggio della sovranità dal principe nel popolo suc-cede mediante l’esplicazione del principato, che, ope-rando a guisa di elemento dinamico, crea e coordina amagisterio organico tutto il corpo della nazione. Quindioccorrono due cicli politici, corrispondenti ai due ciclicreativi2, ed ai principii di creazione e di redenzione;1 Introduzione allo studio della filosofia, tomo II, pagg. 241, 399. [G.].2 Introd. allo studio della filosofia, tomo II, pagg. 259, 297, 298. [G.].

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giacchè la sovranità, formato il popolo, compone la ci-viltà sua, e traendone di mano in mano un’aristocraziaelettiva che partecipa alla somma potenza, lo redimedalla barbarie. L’aristocrazia è l’idea mediatrice che legainsieme gli estremi in ambo i cicli; giacchè il potere so-vrano con cui il principe crea il popolo, si esercita permezzo degli ottimati ereditari, i quali ritraggono dellapaternità regia, e dai Romani si chiamavano padri dellarepubblica; come la partecipazione del popolo al princi-pato si effettua per via degli ottimati elettivi; onde i pa-trizi latini, arrolati fra i padri civili della patria, coscrittisi appellavano. Dal che si vede che l’assunzione del po-polo al principato, propria del secondo ciclo, non si deeintendere a senno dei democratici, quasi che la sovranitàdalle regioni infime del vivere sociale trapassi alle som-me; ma sì bene in modo contrario; in quanto cioè il giu-re politico, che viene ai migliori comunicato, emanasempre dal principe. Imperocchè il popolo non può util-mente gustare l’imperio, se non lasciando di esser plebe,nobilitandosi, e diventando aristocratico per via dell’ele-zion discendente, onde chi siede nei primi gradi va acercare il vero merito anche negli ultimi, e a sè solleva-ndolo, gli comunica un raggio della sua maestà. La tra-sformazione del popolo in aristocrazia naturale, median-te l’incivilimento, e dell’aristocrazia naturale in civileper opera dell’elezione, si stende per tutti i rami del po-tere sovrano, e si effettua nell’esecutivo per mezzo delmunicipio, nel giudiziale per via dei giurati, nel legisla-tivo colle assemblee deliberanti o consulenti, e univer-

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giacchè la sovranità, formato il popolo, compone la ci-viltà sua, e traendone di mano in mano un’aristocraziaelettiva che partecipa alla somma potenza, lo redimedalla barbarie. L’aristocrazia è l’idea mediatrice che legainsieme gli estremi in ambo i cicli; giacchè il potere so-vrano con cui il principe crea il popolo, si esercita permezzo degli ottimati ereditari, i quali ritraggono dellapaternità regia, e dai Romani si chiamavano padri dellarepubblica; come la partecipazione del popolo al princi-pato si effettua per via degli ottimati elettivi; onde i pa-trizi latini, arrolati fra i padri civili della patria, coscrittisi appellavano. Dal che si vede che l’assunzione del po-polo al principato, propria del secondo ciclo, non si deeintendere a senno dei democratici, quasi che la sovranitàdalle regioni infime del vivere sociale trapassi alle som-me; ma sì bene in modo contrario; in quanto cioè il giu-re politico, che viene ai migliori comunicato, emanasempre dal principe. Imperocchè il popolo non può util-mente gustare l’imperio, se non lasciando di esser plebe,nobilitandosi, e diventando aristocratico per via dell’ele-zion discendente, onde chi siede nei primi gradi va acercare il vero merito anche negli ultimi, e a sè solleva-ndolo, gli comunica un raggio della sua maestà. La tra-sformazione del popolo in aristocrazia naturale, median-te l’incivilimento, e dell’aristocrazia naturale in civileper opera dell’elezione, si stende per tutti i rami del po-tere sovrano, e si effettua nell’esecutivo per mezzo delmunicipio, nel giudiziale per via dei giurati, nel legisla-tivo colle assemblee deliberanti o consulenti, e univer-

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salmente coll’opinione e colla stampa. L’uscita di unanazione dal primo ciclo e la sua entrata nel secondo han-no luogo quando ella comincia ad aver la coscienza disè medesima, e la sua personalità civile è sufficiente-mente composta e matura. La personalità è nelle forzeintellettive il compimento della creazione, il punto chedivide i due cicli della medesima, l’ultimo momento di-namico dell’epoca cosmogonica, e il primo dei periodomediano della loro vita. Ella corrisponde nei popoli aciò che è l’uso perfetto della ragione negli individui, e aquello che fu nella storia del mondo la comparitadell’uomo sopra la terra, quando la natura organica, sor-da e cieca per sè stessa, acquistò per la prima volta nelprincipio informante di esso uomo pensiero e sentimen-to. Ma la personalità, come cosa concreta, non può veri-ficarsi attualmente in una moltitudine, che è un esserecollettivo e quindi astratto, se non in quanto s’incarna inun individuo, cittadino, principe o pontefice; il quale èquasi il cerebro in cui confluiscono le fila nervose dellavita politica, diffusa per le varie membra, e incapace disenso, se non è in uno raccolta. Nel primo ciclo la per-sonalità civile risiede nel capo e formatore della nazio-ne, e tutta in lui si racchiude; laddove quando incomin-cia il secondo, essa spunta negl’ingegni grandi e privile-giati delle classi inferiori. Ma siccome il principato civi-le muove dal pontificato, ed è opera sua, tanto che le na-zioni nel primo loro periodo vivono conglutinate colcapo religioso, prima di sussistere nel politico; perciò ènaturale che il pontefice sia più tardi la coscienza del

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salmente coll’opinione e colla stampa. L’uscita di unanazione dal primo ciclo e la sua entrata nel secondo han-no luogo quando ella comincia ad aver la coscienza disè medesima, e la sua personalità civile è sufficiente-mente composta e matura. La personalità è nelle forzeintellettive il compimento della creazione, il punto chedivide i due cicli della medesima, l’ultimo momento di-namico dell’epoca cosmogonica, e il primo dei periodomediano della loro vita. Ella corrisponde nei popoli aciò che è l’uso perfetto della ragione negli individui, e aquello che fu nella storia del mondo la comparitadell’uomo sopra la terra, quando la natura organica, sor-da e cieca per sè stessa, acquistò per la prima volta nelprincipio informante di esso uomo pensiero e sentimen-to. Ma la personalità, come cosa concreta, non può veri-ficarsi attualmente in una moltitudine, che è un esserecollettivo e quindi astratto, se non in quanto s’incarna inun individuo, cittadino, principe o pontefice; il quale èquasi il cerebro in cui confluiscono le fila nervose dellavita politica, diffusa per le varie membra, e incapace disenso, se non è in uno raccolta. Nel primo ciclo la per-sonalità civile risiede nel capo e formatore della nazio-ne, e tutta in lui si racchiude; laddove quando incomin-cia il secondo, essa spunta negl’ingegni grandi e privile-giati delle classi inferiori. Ma siccome il principato civi-le muove dal pontificato, ed è opera sua, tanto che le na-zioni nel primo loro periodo vivono conglutinate colcapo religioso, prima di sussistere nel politico; perciò ènaturale che il pontefice sia più tardi la coscienza del

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popolo, come fu a principio la coscienza del re. Così ilPapa fu per ben due volte l’intimo senso e il sennod’Italia; prima, allorchè mansuefece e ordinòcogl’influssi cristiani le barbariche turbe dei conquista-tori, trasformandole in regni stabili e civili; poscia,quando assunse la causa delle nazioni già assodate, e tu-telò le instituzioni nascenti e popolari dei municipii, del-le leghe e delle repubbliche. Egli fu adunque dittatore etribuno, e come tale, antesignano dei due cicli; e nel pri-mo l’opera sua precedette quella degl’imperatori, comenel secondo quella dei popolari; onde veggiamo nellastoria i nomi ieratici di Gregorio magno e d’Ildebrandoandare innanzi l’uno al nome imperiale di Carlo, el’altro al nome popolano di Dante, e cominciare il perio-do sacerdotale della civiltà italica, come i due ultimicontrassegnano la vicenda regia e repubblicana del pe-riodo laicale di essa. Il papa è adunque la coscienza civi-le e perpetua d’Italia; la quale non può tornar consape-vole di sè medesima, se non mediante il principio divinoche l’informa; perchè coscienza importa vera scienza;onde civiltà e religione sono indivise nella Penisola, nèposson vivere scompagnate. Lo scadere d’Italia inco-minciò col declinare civile delle somme chiavi, nè avràtermine, sinchè queste non ricovrino l’antico uso, ria-prendo la divina fonte del sapere e del diritto ai popolied ai lor conduttori. Perciò la perfetta forma del governoitalico non può risultare dall’accordo del senno aristo-cratico col principato, se in preminenza di onore e dicultura ai regni non sovrasta il triregno, mediante quella

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popolo, come fu a principio la coscienza del re. Così ilPapa fu per ben due volte l’intimo senso e il sennod’Italia; prima, allorchè mansuefece e ordinòcogl’influssi cristiani le barbariche turbe dei conquista-tori, trasformandole in regni stabili e civili; poscia,quando assunse la causa delle nazioni già assodate, e tu-telò le instituzioni nascenti e popolari dei municipii, del-le leghe e delle repubbliche. Egli fu adunque dittatore etribuno, e come tale, antesignano dei due cicli; e nel pri-mo l’opera sua precedette quella degl’imperatori, comenel secondo quella dei popolari; onde veggiamo nellastoria i nomi ieratici di Gregorio magno e d’Ildebrandoandare innanzi l’uno al nome imperiale di Carlo, el’altro al nome popolano di Dante, e cominciare il perio-do sacerdotale della civiltà italica, come i due ultimicontrassegnano la vicenda regia e repubblicana del pe-riodo laicale di essa. Il papa è adunque la coscienza civi-le e perpetua d’Italia; la quale non può tornar consape-vole di sè medesima, se non mediante il principio divinoche l’informa; perchè coscienza importa vera scienza;onde civiltà e religione sono indivise nella Penisola, nèposson vivere scompagnate. Lo scadere d’Italia inco-minciò col declinare civile delle somme chiavi, nè avràtermine, sinchè queste non ricovrino l’antico uso, ria-prendo la divina fonte del sapere e del diritto ai popolied ai lor conduttori. Perciò la perfetta forma del governoitalico non può risultare dall’accordo del senno aristo-cratico col principato, se in preminenza di onore e dicultura ai regni non sovrasta il triregno, mediante quella

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civile e perpetua alleganza il cui concetto antichissimo èpur cattolico ed italiano, come ho mostrato nella primaparte di questo ragionamento.

Benchè la monarchia cristiana, per le cagioni discor-se, non possa esprimere il tipo ideale colla medesimaperfezione che si trova nella società ecclesiastica, tutta-via essa vince incomparabilmente di virtù e di pregioquella del paganesimo, porgendo una prova cospicuadella eccellenza propria degl’instituti evangelici, e dellaloro efficacia nel migliorare il vivere degli uomini. Inprima giova il notare che l’odio contro la monarchia, ela predilezione per lo stato popolare, che invalsero, nonha gran tempo, in Francia e in Italia, e durano ancorapresso alcune sétte, nacquero, non solo dalla corrutteladei moderni principati, ma in parte ancora dalla torta in-telligenza e dalla prepostera1 imitazione dell’antichitàromana e greca. Imperocchè gli scrittori di tale età odia-no e vilipendono la monarchia paganica e orientale chesta loro in sugli occhi; ma non si mostrano meno avversialle licenze e al dispotismo della plebe; onde accarezza-no quel principato ideale il cui concetto risaliva alle ori-gini doriche e pelasgiche, lo colmano di lodi, lo levano acielo, come l’ottimo de’ reggimenti, e si rallegranoquando ne occorre loro alcun saggio, ancorchè imperfet-to, nelle istorie o fra gli instituti coetanei. E senza risali-re ad Omero, amico dei re, ossequentissimo alla maestàloro, e sferzatore tanto fino, quanto acerbo e implacabile1 Qui prepostera vale a rovescio, nel significato che diede Galileo a prepo-

steramente.

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civile e perpetua alleganza il cui concetto antichissimo èpur cattolico ed italiano, come ho mostrato nella primaparte di questo ragionamento.

Benchè la monarchia cristiana, per le cagioni discor-se, non possa esprimere il tipo ideale colla medesimaperfezione che si trova nella società ecclesiastica, tutta-via essa vince incomparabilmente di virtù e di pregioquella del paganesimo, porgendo una prova cospicuadella eccellenza propria degl’instituti evangelici, e dellaloro efficacia nel migliorare il vivere degli uomini. Inprima giova il notare che l’odio contro la monarchia, ela predilezione per lo stato popolare, che invalsero, nonha gran tempo, in Francia e in Italia, e durano ancorapresso alcune sétte, nacquero, non solo dalla corrutteladei moderni principati, ma in parte ancora dalla torta in-telligenza e dalla prepostera1 imitazione dell’antichitàromana e greca. Imperocchè gli scrittori di tale età odia-no e vilipendono la monarchia paganica e orientale chesta loro in sugli occhi; ma non si mostrano meno avversialle licenze e al dispotismo della plebe; onde accarezza-no quel principato ideale il cui concetto risaliva alle ori-gini doriche e pelasgiche, lo colmano di lodi, lo levano acielo, come l’ottimo de’ reggimenti, e si rallegranoquando ne occorre loro alcun saggio, ancorchè imperfet-to, nelle istorie o fra gli instituti coetanei. E senza risali-re ad Omero, amico dei re, ossequentissimo alla maestàloro, e sferzatore tanto fino, quanto acerbo e implacabile1 Qui prepostera vale a rovescio, nel significato che diede Galileo a prepo-

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dei demagoghi nel personaggio odioso e ridicolo di Ter-site1, ciascun sa che la forma del governo pitagorico eraregia, come quella di Tagete e di Egimio2, onde nacque-ro le realtà temperate dei legislatori tirrenici e doricinell’Etruria, in Roma, in Creta e nella Laconia. Platonefu in ciò, come nel resto, pitagorico; e benchè, qual cit-tadino di repubblica, fosse costretto di velare i suoi sen-timenti, la propensione verso il principato civile trapelanella sua vita, non meno che negli scritti, ed è il dogmaarcano della sua politica. E veramente la democrazia e ilpoliteismo sono due sistemi correlativi, due applicazionidiverse del medesimo concetto, due conseguenzedell’emanatismo degenere, nello stesso modo che la mo-narchia divina e il principato politico rispondono alladottrina pelasgica del Teo, espressiva, benchè in modoimperfetto, della prima formola. La restituzionedell’unità primitiva negli ordini della religione, come inquelli dello stato, è lo scopo secreto e acroamatico3 dellasapienza pelasgica, dalle scuole italogreche della nostrapenisola sino alle sêtte ellenicoegizie di Alessandria; frale quali geograficamente e cronologicamente tramezzal’attica famiglia, capitanata da Socrate4, onde uscirono1 Tersite fu il più deforme tra i Greci che andarono all’assedio di Troia. (Cfr.

OMERO, Iliade, libro 2o). La sua bruttezza passò in proverbio.2 Egimio, eroe dei tempi mitici della Grecia, che viene riguardato come an-

tenato dei Dorici e viene descritto come loro re e legislatore. (Cfr. Apollo-doro, II, c.7).

3 Si sogliono designare col nome di acroamatiche certe dottrine non fissateper mezzo della scrittura, ma trasmesse oralmente in una piccola cerchia diprivilegiati.

4 Vedi intorno a Socrate il Socrate – Fonti, ambiente, vita, dottrina –, di

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dei demagoghi nel personaggio odioso e ridicolo di Ter-site1, ciascun sa che la forma del governo pitagorico eraregia, come quella di Tagete e di Egimio2, onde nacque-ro le realtà temperate dei legislatori tirrenici e doricinell’Etruria, in Roma, in Creta e nella Laconia. Platonefu in ciò, come nel resto, pitagorico; e benchè, qual cit-tadino di repubblica, fosse costretto di velare i suoi sen-timenti, la propensione verso il principato civile trapelanella sua vita, non meno che negli scritti, ed è il dogmaarcano della sua politica. E veramente la democrazia e ilpoliteismo sono due sistemi correlativi, due applicazionidiverse del medesimo concetto, due conseguenzedell’emanatismo degenere, nello stesso modo che la mo-narchia divina e il principato politico rispondono alladottrina pelasgica del Teo, espressiva, benchè in modoimperfetto, della prima formola. La restituzionedell’unità primitiva negli ordini della religione, come inquelli dello stato, è lo scopo secreto e acroamatico3 dellasapienza pelasgica, dalle scuole italogreche della nostrapenisola sino alle sêtte ellenicoegizie di Alessandria; frale quali geograficamente e cronologicamente tramezzal’attica famiglia, capitanata da Socrate4, onde uscirono1 Tersite fu il più deforme tra i Greci che andarono all’assedio di Troia. (Cfr.

OMERO, Iliade, libro 2o). La sua bruttezza passò in proverbio.2 Egimio, eroe dei tempi mitici della Grecia, che viene riguardato come an-

tenato dei Dorici e viene descritto come loro re e legislatore. (Cfr. Apollo-doro, II, c.7).

3 Si sogliono designare col nome di acroamatiche certe dottrine non fissateper mezzo della scrittura, ma trasmesse oralmente in una piccola cerchia diprivilegiati.

4 Vedi intorno a Socrate il Socrate – Fonti, ambiente, vita, dottrina –, di

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non solo i filosofi, ma gli statisti e gli oratori, aspiranti aintrodurre il governo unitario nella repubblica, come nelmondo, e ad accordare la libertà col principato. Questaidea predomina così nelle lucubrazioni metafisiche e co-smologiche degli stoici, come negli scritti di Isocrate,benchè liberissimo, nella vita pubblica di Focione, e so-vratutto in Demetrio di Falera1; col quale la letteratura ela sapienza pelasgica passarono dalle foci del Cefiso aquelle del Nilo, e sotto la protezione di un principe gre-co fecero connubio colle dottrine orientali. E io credoche agli influssi della politica acromatica dei savi grecisull’opinione delle classi colte si debba attribuire in granparte il prevalere della Macedonia monarchica sullaGrecia popolana, e la fortuna straordinaria di Filippo edi Alessandro; imperocchè, se Demostene non vide inessi che i barbari distruttori della libertà e della patria,altri ci ravvisò il principio dell’unione greca, e quasi unrimedio ammannito dalla Providenza alla corruttela pub-blica e privata degli stati popolari; e Aristotile, uscitodalla scuola platonica, potè confidarsi che il suo eroicoalunno dovesse mettere in atto l’ideale pitagorico, e ac-quistar la lode, datagli alcuni secoli appresso con licen-

Giuseppe Zuccante, Torino, 1909.1 Isocrate, n. 436 a. C. in Atene, m. nel 338. Ci restano di lui 21 orazioni.

Cfr. GIRARDI Cenno storico-critico della vita ed opere d’Isocrate (Napoli,1875). Focione generale ateniese, n. nel 402 a. C., m. nel 318. Cfr.BERNAYS, P. und seine neuern Beurteller (Berlin, 1881). Demetrio Falereo,discepolo di Teofrasto, fu uno dei più celebri oratori dell’antichità. Natofra il 354 e 348 a. C., morì nel 283 a. C. Cfr. OSTERMANN, De DemetriiPhalerei vita, ecc., Fuldo, 1857.

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non solo i filosofi, ma gli statisti e gli oratori, aspiranti aintrodurre il governo unitario nella repubblica, come nelmondo, e ad accordare la libertà col principato. Questaidea predomina così nelle lucubrazioni metafisiche e co-smologiche degli stoici, come negli scritti di Isocrate,benchè liberissimo, nella vita pubblica di Focione, e so-vratutto in Demetrio di Falera1; col quale la letteratura ela sapienza pelasgica passarono dalle foci del Cefiso aquelle del Nilo, e sotto la protezione di un principe gre-co fecero connubio colle dottrine orientali. E io credoche agli influssi della politica acromatica dei savi grecisull’opinione delle classi colte si debba attribuire in granparte il prevalere della Macedonia monarchica sullaGrecia popolana, e la fortuna straordinaria di Filippo edi Alessandro; imperocchè, se Demostene non vide inessi che i barbari distruttori della libertà e della patria,altri ci ravvisò il principio dell’unione greca, e quasi unrimedio ammannito dalla Providenza alla corruttela pub-blica e privata degli stati popolari; e Aristotile, uscitodalla scuola platonica, potè confidarsi che il suo eroicoalunno dovesse mettere in atto l’ideale pitagorico, e ac-quistar la lode, datagli alcuni secoli appresso con licen-

Giuseppe Zuccante, Torino, 1909.1 Isocrate, n. 436 a. C. in Atene, m. nel 338. Ci restano di lui 21 orazioni.

Cfr. GIRARDI Cenno storico-critico della vita ed opere d’Isocrate (Napoli,1875). Focione generale ateniese, n. nel 402 a. C., m. nel 318. Cfr.BERNAYS, P. und seine neuern Beurteller (Berlin, 1881). Demetrio Falereo,discepolo di Teofrasto, fu uno dei più celebri oratori dell’antichità. Natofra il 354 e 348 a. C., morì nel 283 a. C. Cfr. OSTERMANN, De DemetriiPhalerei vita, ecc., Fuldo, 1857.

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za rettorica da Plutarco, di conciliatore dell’Orientecoll’Occidente, e di pacificatore dei popoli barbari e ci-vili. Presso i Romani l’odio del nome reale fu maggioreche presso i Greci, dappoichè la famiglia peregrina deiTarquinii fece del re un tiranno; onde in Tacito l’epitetodi regio porta seco il concetto di ogni bruttura e scellera-tezza. Ma l’illustre storico confessa, d’altra parte, che ladisfatta repubblica dovea a’ suoi tempi reggersi da unsolo; e se abbomina la trista successione della famigliaGiulia, egli commenda il fondator della Flavia, e salutaqual restitutore e secondo padre della monarchia di Ro-molo e vivificatore dell’antico ideale italiano, il magna-nimo principe che primo seppe comporre la libertàcoll’imperio. Vedesi insomma che egli, come tutti igrandi scrittori greci e romani che lo precedettero, di-stingue il principato civile degli Occidentali dal dispoti-smo proprio di Oriente; e questo solo condanna; come siraccoglie da ciò che tocca di alcuni stati germanici chedalla libertà tralignavano, e de’ barbari regni coetaneidell’Asia minore, dell’Armenia, dei Parti e di altri popo-li subsolani. Nè la monarchia orientale fu sempre catti-va; imperocchè, come ogni forma politica ha le qualitàdei principii religiosi da cui deriva, così il dispotismodella gentilità, che fu pessimo quando ebbe per fonda-mento il panteismo schietto, riuscì per contro tollerabilequando venne temperato dal dualismo o dalle reliquiedelle prime tradizioni, Nel primo caso la monarchia si

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za rettorica da Plutarco, di conciliatore dell’Orientecoll’Occidente, e di pacificatore dei popoli barbari e ci-vili. Presso i Romani l’odio del nome reale fu maggioreche presso i Greci, dappoichè la famiglia peregrina deiTarquinii fece del re un tiranno; onde in Tacito l’epitetodi regio porta seco il concetto di ogni bruttura e scellera-tezza. Ma l’illustre storico confessa, d’altra parte, che ladisfatta repubblica dovea a’ suoi tempi reggersi da unsolo; e se abbomina la trista successione della famigliaGiulia, egli commenda il fondator della Flavia, e salutaqual restitutore e secondo padre della monarchia di Ro-molo e vivificatore dell’antico ideale italiano, il magna-nimo principe che primo seppe comporre la libertàcoll’imperio. Vedesi insomma che egli, come tutti igrandi scrittori greci e romani che lo precedettero, di-stingue il principato civile degli Occidentali dal dispoti-smo proprio di Oriente; e questo solo condanna; come siraccoglie da ciò che tocca di alcuni stati germanici chedalla libertà tralignavano, e de’ barbari regni coetaneidell’Asia minore, dell’Armenia, dei Parti e di altri popo-li subsolani. Nè la monarchia orientale fu sempre catti-va; imperocchè, come ogni forma politica ha le qualitàdei principii religiosi da cui deriva, così il dispotismodella gentilità, che fu pessimo quando ebbe per fonda-mento il panteismo schietto, riuscì per contro tollerabilequando venne temperato dal dualismo o dalle reliquiedelle prime tradizioni, Nel primo caso la monarchia si

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connette col dogma dell’avatara1 e col sistema dell’ema-nazione2: il principe è venerato, come una umanazionevivente e personale di Dio, o almeno come un essereoriginato da stirpe celestiale, sovrastante per natura aglialtri uomini, e quindi meritevole, non di semplice osse-quio e di sudditanza, ma di adorazione e di servitù.L’omaggio, riuscendo pel tal modo un’idolatria versol’arbitrio dell’imperante, dee aprire il varco ai più orribi-li eccessi; come si vede essere accaduto fra le nazionicamitiche antichissime, e presso alcuni popoli giapeticiche raccolsero il loro retaggio. Se non che, il panteismofu talvolta mitigato da parecchi residui della fede primi-tiva, che lo resero più ragionevole ed umano; come appoi Buddisti, almeno nel loro fiore; quando il genio con-templativo e mansueto del Samaneismo, e la dottrinadella salute universale, inspirarono quelle pietose e be-nefiche riforme di cui trapelano le tracce nelle memoriee nei monumenti di Ceilan e dell’India continentale. Lostesso effetto nacque dal dualismo, che rammorbidandoil dettato dell’unità suprema colla pugna di due principiisottostanti, mise in salvo la libertà umana, e pareggian-do sostanzialmente la personalità del suddito a quelladel regnante, raccorciò l’intervallo che gli divide, e rap-presentò la legge, non come arbitrio di un solo, ma qual

1 Avatara significa in sanscrito l’incarnazione degli Dei, particolarmente deldio Visnu.

2 L’emanazione è dottrina filosofica e religiosa dell’Oriente, secondo la qua-le da Dio si svolsero e si svolgono tutti gli esseri che costituiscono l’uni-verso, senza che per questo la sostanza divina diminuisca o si esauriscamai.

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connette col dogma dell’avatara1 e col sistema dell’ema-nazione2: il principe è venerato, come una umanazionevivente e personale di Dio, o almeno come un essereoriginato da stirpe celestiale, sovrastante per natura aglialtri uomini, e quindi meritevole, non di semplice osse-quio e di sudditanza, ma di adorazione e di servitù.L’omaggio, riuscendo pel tal modo un’idolatria versol’arbitrio dell’imperante, dee aprire il varco ai più orribi-li eccessi; come si vede essere accaduto fra le nazionicamitiche antichissime, e presso alcuni popoli giapeticiche raccolsero il loro retaggio. Se non che, il panteismofu talvolta mitigato da parecchi residui della fede primi-tiva, che lo resero più ragionevole ed umano; come appoi Buddisti, almeno nel loro fiore; quando il genio con-templativo e mansueto del Samaneismo, e la dottrinadella salute universale, inspirarono quelle pietose e be-nefiche riforme di cui trapelano le tracce nelle memoriee nei monumenti di Ceilan e dell’India continentale. Lostesso effetto nacque dal dualismo, che rammorbidandoil dettato dell’unità suprema colla pugna di due principiisottostanti, mise in salvo la libertà umana, e pareggian-do sostanzialmente la personalità del suddito a quelladel regnante, raccorciò l’intervallo che gli divide, e rap-presentò la legge, non come arbitrio di un solo, ma qual

1 Avatara significa in sanscrito l’incarnazione degli Dei, particolarmente deldio Visnu.

2 L’emanazione è dottrina filosofica e religiosa dell’Oriente, secondo la qua-le da Dio si svolsero e si svolgono tutti gli esseri che costituiscono l’uni-verso, senza che per questo la sostanza divina diminuisca o si esauriscamai.

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ragione universale e divina. A tal sorta di culto si riferi-scono la civiltà zendica e la cinese; oltre quella dei Pela-sghi, che fu propria di Occidente. Ma la monarchia per-siana, che ai tempi di Ciro giunse al colmo del suo chia-rore, tralignò sotto i successori di lui, non tanto per in-trinseco vizio, quanto per le influenze straniere; le qualinon è da stupire che corrompessero gli Achemenidi1,quando guastarono il regno del popolo eletto, fin dal suoterzo posseditore, benchè ivi le ortodosse credenze intat-te signoreggiassero. La monarchia cinese porge l’esem-pio più illustre che si conosca del governo ideale fra ipopoli pagani; come quella che, reggendosi sui due per-ni del principato ereditario e degli ottimati elettivi, ren-de imagine del patriarcato primigenio, cresciuto a statodi nazione, senza perdere i suoi primi lineamenti, e sen-za passare per la trista vicenda degli ordini castali. Duesono le cagioni precipue onde i Cinesi non corsero perle mutazioni politiche delle altre genti eterodosse.L’una, la dottrina morale e dualistica di Confusio, checontrabilanciò la scuola antichissima del Tao2 (identicaprobabilmente al Samaneismo dei primi Buddi), e pre-valse assolutamente nella classe dei governanti; l’altra,che la Cina non fu mai conquistata se non molto tardi,quando gli ordini politici erano così radicati, e la molti-tudine degli abitatori tanto grande, che lo stato anticonon poteva più essere sconvolto da barbari invasori. Ora

1 È il nome della famiglia dalla quale discendeva Ciro e che appartenevaalla tribù persiana dei Pasargadi.

2 Cfr. intorno a questa scuola DE ROSNY, Le Taoisme (Paris, 18 2).

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ragione universale e divina. A tal sorta di culto si riferi-scono la civiltà zendica e la cinese; oltre quella dei Pela-sghi, che fu propria di Occidente. Ma la monarchia per-siana, che ai tempi di Ciro giunse al colmo del suo chia-rore, tralignò sotto i successori di lui, non tanto per in-trinseco vizio, quanto per le influenze straniere; le qualinon è da stupire che corrompessero gli Achemenidi1,quando guastarono il regno del popolo eletto, fin dal suoterzo posseditore, benchè ivi le ortodosse credenze intat-te signoreggiassero. La monarchia cinese porge l’esem-pio più illustre che si conosca del governo ideale fra ipopoli pagani; come quella che, reggendosi sui due per-ni del principato ereditario e degli ottimati elettivi, ren-de imagine del patriarcato primigenio, cresciuto a statodi nazione, senza perdere i suoi primi lineamenti, e sen-za passare per la trista vicenda degli ordini castali. Duesono le cagioni precipue onde i Cinesi non corsero perle mutazioni politiche delle altre genti eterodosse.L’una, la dottrina morale e dualistica di Confusio, checontrabilanciò la scuola antichissima del Tao2 (identicaprobabilmente al Samaneismo dei primi Buddi), e pre-valse assolutamente nella classe dei governanti; l’altra,che la Cina non fu mai conquistata se non molto tardi,quando gli ordini politici erano così radicati, e la molti-tudine degli abitatori tanto grande, che lo stato anticonon poteva più essere sconvolto da barbari invasori. Ora

1 È il nome della famiglia dalla quale discendeva Ciro e che appartenevaalla tribù persiana dei Pasargadi.

2 Cfr. intorno a questa scuola DE ROSNY, Le Taoisme (Paris, 18 2).

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la causa principale del reggimento a caste si dee attribui-re alla diversità delle stirpi e alla dominazione violentadelle une sulle altre, come ho dichiarato altrove1. Affer-mando che la Cina non fu travagliata dalla conquista neiprimi tempi, eccettuo lo stabilimento dei gialli coloni,vincitori del Miao aborigena, forse negricante e Camita;ma questi o fu distrutto, o rincacciato fra i monti e ridot-to a sì piccol numero, che lo stato castale non potè radi-carvisi, nè alterare l’egualità civile dei nuovi occupatori.

Note principali del principato ideale e cattolico: è legittimo,paterno, civile, temperato, aristocratico, popolano, stabile,progressivo, inviolabile, modesto, giusto, clemente, amatore

della verità e della religione.

Non sarà fuori di proposito il riandar brevemente lenote più cospicue della monarchia ideale, che, abbozzatain fantasia e tentata dai Doriesi e dai Pitagorici, fu mes-sa in atto dal Cristianesimo, e condotta a compimento.

La monarchia cristiana è legittima e fondata sul dirit-to, non sull’usurpazione, nè sulla violenza. I suoi titolirisalgono per una successione d’investiture legali sinoalla società dei primi uomini, che, stabilita da Dio, rice-vette col linguaggio e colla notizia del vero ideale quelprimo giure civile e politico che venne tramandato digenerazione in generazione a tutti i popoli succedituri.Così ogni principato che giuridicamente sorge, trae lasua autorità dal principio di creazione, mediante il pa-triarcato primitivo e divino, di cui è l’imagine, e che1 Introduzione allo studio della filosofia, tomo I.

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la causa principale del reggimento a caste si dee attribui-re alla diversità delle stirpi e alla dominazione violentadelle une sulle altre, come ho dichiarato altrove1. Affer-mando che la Cina non fu travagliata dalla conquista neiprimi tempi, eccettuo lo stabilimento dei gialli coloni,vincitori del Miao aborigena, forse negricante e Camita;ma questi o fu distrutto, o rincacciato fra i monti e ridot-to a sì piccol numero, che lo stato castale non potè radi-carvisi, nè alterare l’egualità civile dei nuovi occupatori.

Note principali del principato ideale e cattolico: è legittimo,paterno, civile, temperato, aristocratico, popolano, stabile,progressivo, inviolabile, modesto, giusto, clemente, amatore

della verità e della religione.

Non sarà fuori di proposito il riandar brevemente lenote più cospicue della monarchia ideale, che, abbozzatain fantasia e tentata dai Doriesi e dai Pitagorici, fu mes-sa in atto dal Cristianesimo, e condotta a compimento.

La monarchia cristiana è legittima e fondata sul dirit-to, non sull’usurpazione, nè sulla violenza. I suoi titolirisalgono per una successione d’investiture legali sinoalla società dei primi uomini, che, stabilita da Dio, rice-vette col linguaggio e colla notizia del vero ideale quelprimo giure civile e politico che venne tramandato digenerazione in generazione a tutti i popoli succedituri.Così ogni principato che giuridicamente sorge, trae lasua autorità dal principio di creazione, mediante il pa-triarcato primitivo e divino, di cui è l’imagine, e che1 Introduzione allo studio della filosofia, tomo I.

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conteneva in germe tutti i reggimenti futuri, come la pri-ma coppia racchiuse potenzialmente tutto il genere uma-no. Che se i principii storici di un regno furono illegitti-mi, perchè opera di armi ingiuste, della frode, della for-za, della conquista, essi vennero legittimati come primafurono riconosciuti dai poteri superstiti della nazione,dalle sovranità interiori ed esteriori, e sovratutto dalladivina balìa della Chiesa, la quale possedendo colle suechiavi la pienezza di ogni diritto, può supplire straordi-nariamente a ciò che manca talvolta dal canto della na-tura e degli uomini. Perciò le monarchie cristiane so-gliono incominciare coll’augusta cerimonia della consa-crazione; la quale è quasi un sacramento civile con cui ilpotere ieratico conferma i diritti preesistenti, e dovemanchino, o in qualche parte difettino, li compie o liconferisce. Imperocchè le dominazioni nascendo spessodalla conquista o dalla violazione di un dominio anterio-re, e crescendo fra le contese e le pretensioni contrariedi altre potenze, ne deriva un viluppo di giurisdizionipugnanti così complicato che vano sarebbe per ordinarioil volerlo districare, se l’autorità divina non soccorresse,autenticando il fatto, e supplendo a ciò che può mancar-gli in ordine al diritto. Tal è lo scopo politico della sa-gra1 dei principi, divinamente instituita nell’antico po-polo eletto, e umanamente riassunta in alcuni Stati cri-stiani; la quale non suppone già che il diritto anteriorenon abbia luogo, ma lo rafferma, lo santifica, e a’ suoi

1 Sagra cioè consacrazione.

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conteneva in germe tutti i reggimenti futuri, come la pri-ma coppia racchiuse potenzialmente tutto il genere uma-no. Che se i principii storici di un regno furono illegitti-mi, perchè opera di armi ingiuste, della frode, della for-za, della conquista, essi vennero legittimati come primafurono riconosciuti dai poteri superstiti della nazione,dalle sovranità interiori ed esteriori, e sovratutto dalladivina balìa della Chiesa, la quale possedendo colle suechiavi la pienezza di ogni diritto, può supplire straordi-nariamente a ciò che manca talvolta dal canto della na-tura e degli uomini. Perciò le monarchie cristiane so-gliono incominciare coll’augusta cerimonia della consa-crazione; la quale è quasi un sacramento civile con cui ilpotere ieratico conferma i diritti preesistenti, e dovemanchino, o in qualche parte difettino, li compie o liconferisce. Imperocchè le dominazioni nascendo spessodalla conquista o dalla violazione di un dominio anterio-re, e crescendo fra le contese e le pretensioni contrariedi altre potenze, ne deriva un viluppo di giurisdizionipugnanti così complicato che vano sarebbe per ordinarioil volerlo districare, se l’autorità divina non soccorresse,autenticando il fatto, e supplendo a ciò che può mancar-gli in ordine al diritto. Tal è lo scopo politico della sa-gra1 dei principi, divinamente instituita nell’antico po-polo eletto, e umanamente riassunta in alcuni Stati cri-stiani; la quale non suppone già che il diritto anteriorenon abbia luogo, ma lo rafferma, lo santifica, e a’ suoi

1 Sagra cioè consacrazione.

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difetti rimedia e supplisce.La monarchia cristiana è paterna, e si appoggia prin-

cipalmente all’amore reciproco del principe e dei popo-li. Il comando e la sudditanza sono in lei addolciti e su-blimati dall’affetto più nobile e sacro, qual si è quelloche stringe insieme gli uomini, secondo che essi dannoaltrui o ricevono il bene supremo della vita. Per quanto icattivi principi si sforzino di annullare quel carattere au-gusto di paternità impresso sulle loro fronti, il cancellar-lo affatto non è in loro potere; onde i tiranni cristianipossono parer tollerabili, se ragguagliansi a quelli delgentilesimo. Certo, Falaride, Diegillo1, Nerone, Feiti esimili mostri sono impossibili, anche sul trono, dove re-gna la Croce. Quindi il vincolo principale che lega i po-poli cristiani coi dominanti, non è il timore, ma l’osse-quio spontaneo e il debito della coscienza. La forza ècerto necessaria in ogni società per affrenare i tristi e glisconsigliati; ma siccome uno stato dove i più de’ cittadi-ni fossero spensierati o ribaldi, non potrebbe durare, ilcapital fondamento della monarchia cristiana è l’affettosincero e l’omaggio spontaneo verso la divina prerogati-va del principe. Perciò tal monarchia è nazionale, cioèconcorde al volere e al senno della nazione, non impostae conservata da cieca usanza, da frode e da violenza. Ilprincipe vi è congiunto al suo popolo, come il capo allemembra, con un commercio intimo, soave, continuo, in-diviso, perenne, da cui nascono la vita e l’unità persona-

1 Diegillo, re della Tracia ricordato da Valerio Massimo, 9, 2, ext. 4.

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difetti rimedia e supplisce.La monarchia cristiana è paterna, e si appoggia prin-

cipalmente all’amore reciproco del principe e dei popo-li. Il comando e la sudditanza sono in lei addolciti e su-blimati dall’affetto più nobile e sacro, qual si è quelloche stringe insieme gli uomini, secondo che essi dannoaltrui o ricevono il bene supremo della vita. Per quanto icattivi principi si sforzino di annullare quel carattere au-gusto di paternità impresso sulle loro fronti, il cancellar-lo affatto non è in loro potere; onde i tiranni cristianipossono parer tollerabili, se ragguagliansi a quelli delgentilesimo. Certo, Falaride, Diegillo1, Nerone, Feiti esimili mostri sono impossibili, anche sul trono, dove re-gna la Croce. Quindi il vincolo principale che lega i po-poli cristiani coi dominanti, non è il timore, ma l’osse-quio spontaneo e il debito della coscienza. La forza ècerto necessaria in ogni società per affrenare i tristi e glisconsigliati; ma siccome uno stato dove i più de’ cittadi-ni fossero spensierati o ribaldi, non potrebbe durare, ilcapital fondamento della monarchia cristiana è l’affettosincero e l’omaggio spontaneo verso la divina prerogati-va del principe. Perciò tal monarchia è nazionale, cioèconcorde al volere e al senno della nazione, non impostae conservata da cieca usanza, da frode e da violenza. Ilprincipe vi è congiunto al suo popolo, come il capo allemembra, con un commercio intimo, soave, continuo, in-diviso, perenne, da cui nascono la vita e l’unità persona-

1 Diegillo, re della Tracia ricordato da Valerio Massimo, 9, 2, ext. 4.

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le dello stato, e il suo incesso confidente e sicuro nellavia dell’incivilimento. Il che porge eziandio nobiltà edecoro alla ubbidienza e sudditanza; le quali sono vilied abbiette se muovono solamente da cupidigia di favorie di guadagno; scusabili, ma non lodevoli, se da timore;laddove diventano orrevoli, dignitose, sublimi, e posso-no innalzarsi al grado di virtù eroica, se nascono dal piosentimento del dovere; perchè, stando nei primi termini,l’ossequio verso chi regna riguarda pure l’uomo, cioè unnostro pari di natura, di riscatto, di fine ultimo e sopra-mondano; laddove nell’ultimo caso, esso mira a Dio, etrae da questo riguardo la dignità e la santità della reli-gione.

La monarchia cristiana è civile, e, non che tenderemenomamente a indebolire o distruggere i moltiplici di-ritti degli uomini, n’è il vincolo, la guardia ed il patroci-nio. Siccome ha sudditi, ma non servi nè schiavi, ella èsì lontana dal togliere a nessuno la proprietà e la libertàcivile, che guarentisce e tutela amendue questi diritti,onde nasce la personalità sociale dell’uomo e del cittadi-no. Perciò i popoli retti da scettro cristiano mantengonoil loro genio nazionale, hanno una vita, un moto, un vol-to loro proprio, posseggono un’autonomia proporzionataalla loro indole, e sono insomma nazioni, non greggie,nè moltitudini informi e disordinate; ed è ufficio delprincipe il reggerli, informarli e rappresentarli, comecorpi semoventi e liberi, non l’assorbirli in sè stesso, to-gliendo loro ogni spontaneo movimento. All’incontronelle monarchie orientali, dove signoreggia il principio

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le dello stato, e il suo incesso confidente e sicuro nellavia dell’incivilimento. Il che porge eziandio nobiltà edecoro alla ubbidienza e sudditanza; le quali sono vilied abbiette se muovono solamente da cupidigia di favorie di guadagno; scusabili, ma non lodevoli, se da timore;laddove diventano orrevoli, dignitose, sublimi, e posso-no innalzarsi al grado di virtù eroica, se nascono dal piosentimento del dovere; perchè, stando nei primi termini,l’ossequio verso chi regna riguarda pure l’uomo, cioè unnostro pari di natura, di riscatto, di fine ultimo e sopra-mondano; laddove nell’ultimo caso, esso mira a Dio, etrae da questo riguardo la dignità e la santità della reli-gione.

La monarchia cristiana è civile, e, non che tenderemenomamente a indebolire o distruggere i moltiplici di-ritti degli uomini, n’è il vincolo, la guardia ed il patroci-nio. Siccome ha sudditi, ma non servi nè schiavi, ella èsì lontana dal togliere a nessuno la proprietà e la libertàcivile, che guarentisce e tutela amendue questi diritti,onde nasce la personalità sociale dell’uomo e del cittadi-no. Perciò i popoli retti da scettro cristiano mantengonoil loro genio nazionale, hanno una vita, un moto, un vol-to loro proprio, posseggono un’autonomia proporzionataalla loro indole, e sono insomma nazioni, non greggie,nè moltitudini informi e disordinate; ed è ufficio delprincipe il reggerli, informarli e rappresentarli, comecorpi semoventi e liberi, non l’assorbirli in sè stesso, to-gliendo loro ogni spontaneo movimento. All’incontronelle monarchie orientali, dove signoreggia il principio

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del panteismo, un solo uomo è proprietario, libero, ed hatitolo e atto di persona: tutti gli altri, essendo mancipii1,e piuttosto cose, che uomini, non hanno il dominio, mal’uso della vita e dei beni loro. L’inviolabilità ricono-sciuta della libertà individuale e della proprietà, e unadelle note più splendide dei governi cristiani; onde glistati in cui tali diritti non vengono bene stabiliti nè estesia tutti i cittadini, sono ancor costituiti per tal rispettofuori degli ordini del Cristianesimo.

La monarchia cristiana è temperata e alienadall’eccesso e dall’abuso della potenza. La regola chel’indirizza, e il freno che ne impedisce i trascorsi, posso-no variare, secondo i luoghi e i tempi, e consistere in in-stituzioni, che ristringono l’autorità del principe, o incerte leggi fondamentali ch’egli non può violare, o al-meno nella forza dell’opinione, della stampa, della con-suetudine e delle credenze. Quest’ultimo ritegno è sopratutti efficacissimo, e senza di esso gli altri non bastano osoverchiano, perchè vengono facilmente elusi da chi co-manda, o trapassando il segno, troncano i nervi del suopotere e ne offendono la maestà. L’equilibrio dei poteripolitici, quando la sovranità è spartita, riesce un sogno,se la bilancia non è governata e temperata a misura dallereligiose opinioni; le quali sole hanno virtù di ammode-rare i voleri degli uomini, e preservar gli stati non menodalla signoria dispotica, che dai civili rivolgimenti. Per-ciò fuori del Cristianesimo, se il panteismo predomina,1 Mancipio dicesi di chi è soggetto all’altrui dominio. Dal latino: manci-

pium.

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del panteismo, un solo uomo è proprietario, libero, ed hatitolo e atto di persona: tutti gli altri, essendo mancipii1,e piuttosto cose, che uomini, non hanno il dominio, mal’uso della vita e dei beni loro. L’inviolabilità ricono-sciuta della libertà individuale e della proprietà, e unadelle note più splendide dei governi cristiani; onde glistati in cui tali diritti non vengono bene stabiliti nè estesia tutti i cittadini, sono ancor costituiti per tal rispettofuori degli ordini del Cristianesimo.

La monarchia cristiana è temperata e alienadall’eccesso e dall’abuso della potenza. La regola chel’indirizza, e il freno che ne impedisce i trascorsi, posso-no variare, secondo i luoghi e i tempi, e consistere in in-stituzioni, che ristringono l’autorità del principe, o incerte leggi fondamentali ch’egli non può violare, o al-meno nella forza dell’opinione, della stampa, della con-suetudine e delle credenze. Quest’ultimo ritegno è sopratutti efficacissimo, e senza di esso gli altri non bastano osoverchiano, perchè vengono facilmente elusi da chi co-manda, o trapassando il segno, troncano i nervi del suopotere e ne offendono la maestà. L’equilibrio dei poteripolitici, quando la sovranità è spartita, riesce un sogno,se la bilancia non è governata e temperata a misura dallereligiose opinioni; le quali sole hanno virtù di ammode-rare i voleri degli uomini, e preservar gli stati non menodalla signoria dispotica, che dai civili rivolgimenti. Per-ciò fuori del Cristianesimo, se il panteismo predomina,1 Mancipio dicesi di chi è soggetto all’altrui dominio. Dal latino: manci-

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come per lo più in Oriente, il potere di un sol uomo in-diato e smisuratamente alzato sulla turba dei servi vas-salli, traligna facilmente in tirannide: se il dualismo pre-vale, come presso gli antichi Italogreci, la monarchia hapoca quiete, corta vita, e dà luogo agevolmente ai torbi-di ed instabili governi della plebe, che menano lo stato aperdizione, aprendo il varco al dominio violento e sfre-nato di un solo, o all’invasione straniera. La sola religio-ne che osti parimente ai due eccessi contrari coll’effica-cia delle sue dottrine, è il Cristianesimo, che accordal’uno col molteplice nello stato e nel mondo, mediante ilprincipio di creazione. Laonde fa ingiuria alla monar-chia cristiana chi la confonde col dispotismo, o la quali-fica per assoluta, pigliando a rigore questo vocabolo;giacchè il solo reggimento a cui convenga cotal denomi-nazione, è quello del cielo, l’assoluto essendo in ognigenere di appartenenze una proprietà incomunicabiledella divina natura. Nei principati che vanno a normadell’Evangelio, il potere sovrano, ancorchè sia raccoltonella persona del principe, non è assoluto, come quelloche vien limitato dal giusto, dal convenevole, dall’one-sto, dalle leggi ecclesiastiche, dalla religione, dai civiliconsigli, e, in fine, dall’opinione pubblica, che, espri-mendo il dominio della ragione sulla forza, regna più omeno in tutti i paesi cristianamente educati.

La monarchia cristiana è aristocratica e si avvantag-gia del senno dei migliori nelle sue operazioni. Essendoimpossibile che un principe, per quanto sia ingegnosoed attivo, non si aiuti più o meno dell’altrui parere,

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come per lo più in Oriente, il potere di un sol uomo in-diato e smisuratamente alzato sulla turba dei servi vas-salli, traligna facilmente in tirannide: se il dualismo pre-vale, come presso gli antichi Italogreci, la monarchia hapoca quiete, corta vita, e dà luogo agevolmente ai torbi-di ed instabili governi della plebe, che menano lo stato aperdizione, aprendo il varco al dominio violento e sfre-nato di un solo, o all’invasione straniera. La sola religio-ne che osti parimente ai due eccessi contrari coll’effica-cia delle sue dottrine, è il Cristianesimo, che accordal’uno col molteplice nello stato e nel mondo, mediante ilprincipio di creazione. Laonde fa ingiuria alla monar-chia cristiana chi la confonde col dispotismo, o la quali-fica per assoluta, pigliando a rigore questo vocabolo;giacchè il solo reggimento a cui convenga cotal denomi-nazione, è quello del cielo, l’assoluto essendo in ognigenere di appartenenze una proprietà incomunicabiledella divina natura. Nei principati che vanno a normadell’Evangelio, il potere sovrano, ancorchè sia raccoltonella persona del principe, non è assoluto, come quelloche vien limitato dal giusto, dal convenevole, dall’one-sto, dalle leggi ecclesiastiche, dalla religione, dai civiliconsigli, e, in fine, dall’opinione pubblica, che, espri-mendo il dominio della ragione sulla forza, regna più omeno in tutti i paesi cristianamente educati.

La monarchia cristiana è aristocratica e si avvantag-gia del senno dei migliori nelle sue operazioni. Essendoimpossibile che un principe, per quanto sia ingegnosoed attivo, non si aiuti più o meno dell’altrui parere,

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s’egli non è sollecito di cercare quello degli uomini buo-ni e prudenti, cade di necessità in preda alle suggestionidegl’inetti, dei tristi e dei vili. L’aristocrazia con cui ilprincipe munisce e rinforza il suo trono, dee essere com-posta dei veri ottimati, e quindi principalmente elettiva;nè il patriziato ereditario, dove occorre, può parteciparea tal onore, se non congiunge i pregi dell’ingegno edell’animo ai privilegi del sangue e ai vantaggi dellafortuna. Le prerogative ereditarie si addicono alle forzecieche e fatali, e costituiscono la sola gerarchia possibilefra loro; ma dove concorrono conoscimento ed arbitrio,ivi la diseguaglianza (dal trono in fuori) dee essere effet-to di equa e libera elezione. Il modo in cui l’opinionedegli ottimi si esprime nelle monarchie, può variare as-sai, secondo l’indole e conformazione loro; ed ora puòconsistere in certe assemblee deliberanti e rappresentati-ve, ora in semplici consulte; talvolta esercitarsi collasola parola, tal altra eziandio colla stampa. Ma in questao in altra maniera il concorso dei migliori ha sempreluogo nei paesi cristiani; e un governo come quello deicattivi Cesari dell’antica Roma o dei principi orientali,dipendente dai loro capricci o dalle tresche dei creati dicorte, dei cagnotti, delle meretrici, quando venne intro-dotto in qualche parte della Cristianità, ebbe pochissimavita, e aperse l’adito a violente e sanguinose rivoluzioni.Le quali tosto o tardi succedono negli ordini della civiltànostra, quando i portamenti di chi regge si sequestranodal senno pubblico; di cui il principe non dee già essereil rivale nè l’avversario, ma il braccio e l’esecutore. E

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s’egli non è sollecito di cercare quello degli uomini buo-ni e prudenti, cade di necessità in preda alle suggestionidegl’inetti, dei tristi e dei vili. L’aristocrazia con cui ilprincipe munisce e rinforza il suo trono, dee essere com-posta dei veri ottimati, e quindi principalmente elettiva;nè il patriziato ereditario, dove occorre, può parteciparea tal onore, se non congiunge i pregi dell’ingegno edell’animo ai privilegi del sangue e ai vantaggi dellafortuna. Le prerogative ereditarie si addicono alle forzecieche e fatali, e costituiscono la sola gerarchia possibilefra loro; ma dove concorrono conoscimento ed arbitrio,ivi la diseguaglianza (dal trono in fuori) dee essere effet-to di equa e libera elezione. Il modo in cui l’opinionedegli ottimi si esprime nelle monarchie, può variare as-sai, secondo l’indole e conformazione loro; ed ora puòconsistere in certe assemblee deliberanti e rappresentati-ve, ora in semplici consulte; talvolta esercitarsi collasola parola, tal altra eziandio colla stampa. Ma in questao in altra maniera il concorso dei migliori ha sempreluogo nei paesi cristiani; e un governo come quello deicattivi Cesari dell’antica Roma o dei principi orientali,dipendente dai loro capricci o dalle tresche dei creati dicorte, dei cagnotti, delle meretrici, quando venne intro-dotto in qualche parte della Cristianità, ebbe pochissimavita, e aperse l’adito a violente e sanguinose rivoluzioni.Le quali tosto o tardi succedono negli ordini della civiltànostra, quando i portamenti di chi regge si sequestranodal senno pubblico; di cui il principe non dee già essereil rivale nè l’avversario, ma il braccio e l’esecutore. E

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affinchè l’aristocrazia naturale dei popoli culti possaesercitare più facilmente le sue vitali e salutifere in-fluenze nel corpo della repubblica, uopo è che sia ordi-nata a gerarchia per forma, che i carichi, i gradi e le di-gnità dei cittadini corrispondano ai meriti loro; e nonvengano distribuiti dal capriccio, dal favore o dal caso.

La monarchia cristiana è popolare, in quanto mira albene del popolo, e specialmente delle classi più numero-se ed infelici; nelle quali, a esempio di Cristo suo insti-tutore, essa pone il suo affetto e le sue compiacenze.L’aristocrazia nei regni bene ordinati è un semplicemezzo, di cui il popolo, e sovratutto la plebe, è l’ultimofine. La plebe è la parte più sacra delle nazioni, perchè èla più degna insieme e la più misera; la più degna, per-chè i suoi sudori alimentano tutto lo stato, e senza diessi il potente, il nobile, il ricco non potrebbero vivere,non che oziare e godere; la più misera, perchè a lei toccaun minimo frutto delle sue fatiche1. A questi titoli digiustizia e di gratitudine che rendono sopra ogni altroceto commendabile la plebe, si aggiungono i precettidell’Evangelio; imperocchè, se i poveri, i derelitti, glisventurati sono, giusta la sentenza di Cristo, la parte piùpreziosa della Chiesa e del regno de’ cieli, egli è troppoassurdo che vengano riputati per la più negletta e spre-giata della società umana. Qual principe adunque nonconsidera la plebe come la porzione più cara ed eletta

1 Cfr. a questo riguardo il saggio di PIETRO SBARBARO, Sulle opinioni di V. G.intorno alla economia Politica e alla questione sociale, Bologna, 1874,nonchè W. CESARINI-SFORZA, Socialismo Giobertiano, Roma, 1915.

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affinchè l’aristocrazia naturale dei popoli culti possaesercitare più facilmente le sue vitali e salutifere in-fluenze nel corpo della repubblica, uopo è che sia ordi-nata a gerarchia per forma, che i carichi, i gradi e le di-gnità dei cittadini corrispondano ai meriti loro; e nonvengano distribuiti dal capriccio, dal favore o dal caso.

La monarchia cristiana è popolare, in quanto mira albene del popolo, e specialmente delle classi più numero-se ed infelici; nelle quali, a esempio di Cristo suo insti-tutore, essa pone il suo affetto e le sue compiacenze.L’aristocrazia nei regni bene ordinati è un semplicemezzo, di cui il popolo, e sovratutto la plebe, è l’ultimofine. La plebe è la parte più sacra delle nazioni, perchè èla più degna insieme e la più misera; la più degna, per-chè i suoi sudori alimentano tutto lo stato, e senza diessi il potente, il nobile, il ricco non potrebbero vivere,non che oziare e godere; la più misera, perchè a lei toccaun minimo frutto delle sue fatiche1. A questi titoli digiustizia e di gratitudine che rendono sopra ogni altroceto commendabile la plebe, si aggiungono i precettidell’Evangelio; imperocchè, se i poveri, i derelitti, glisventurati sono, giusta la sentenza di Cristo, la parte piùpreziosa della Chiesa e del regno de’ cieli, egli è troppoassurdo che vengano riputati per la più negletta e spre-giata della società umana. Qual principe adunque nonconsidera la plebe come la porzione più cara ed eletta

1 Cfr. a questo riguardo il saggio di PIETRO SBARBARO, Sulle opinioni di V. G.intorno alla economia Politica e alla questione sociale, Bologna, 1874,nonchè W. CESARINI-SFORZA, Socialismo Giobertiano, Roma, 1915.

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della sua civil figliolanza, è indegno del nome di uomoe di cristiano. Certo, lo spettacolo della società tempora-le, dove chi più travaglia e affatica è più angustiato espesso manca del necessario vitto, non che di ogni ri-creamento e conforto, sarebbe orribile e disperante, sequesta mortal vita non fosse un breve transito, un aringodi merito, uno stato di prova e di tirocinio. Ma se la Pro-videnza riserva un’eternità di compenso a chi tollera cri-stianamente le corte ingiustizie di fortuna, ciò non esimegli uomini, e sovratutto chi governa, dal grave obbligodi ripararvi per quanto è in suo potere. Alcuni utopistitengono per buon rimedio a questo disordine un assolutorivolgimento degli ordini sociali; quasi che un tal ripie-go, oltre le orribili violenze che porterebbe seco, potesseriuscire ad altro che a traslocare le condizioni plebee da-gli uni negli altri, in vece di abolirle, e a fare sottosoprail medesimo effetto delle conquiste barbariche, quasiche la proprietà e la diseguaglianza delle fortune nonsiano assolutamente inseparabili da ogni vivere civile edalle leggi della nostra natura. Altri, meno immoderati,si confidano di poter medicare il male, introducendo gliordini popolari, e dando alla plebe i primi uffici della re-pubblica; il che è un farmaco omeopatico, che non soquanto possa giovare, perchè l’infelicità della plebe es-sendo effetto in gran parte della sua ignoranza, non pareche rimediar vi si possa, surrogando il ceto più rozzo alsenno della nazione, La storia mostra che le democrazie,se non son piccolissime, han corta vita; e che la libertàplebea o distrugge sé stessa, o apre la via ai forestieri.

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della sua civil figliolanza, è indegno del nome di uomoe di cristiano. Certo, lo spettacolo della società tempora-le, dove chi più travaglia e affatica è più angustiato espesso manca del necessario vitto, non che di ogni ri-creamento e conforto, sarebbe orribile e disperante, sequesta mortal vita non fosse un breve transito, un aringodi merito, uno stato di prova e di tirocinio. Ma se la Pro-videnza riserva un’eternità di compenso a chi tollera cri-stianamente le corte ingiustizie di fortuna, ciò non esimegli uomini, e sovratutto chi governa, dal grave obbligodi ripararvi per quanto è in suo potere. Alcuni utopistitengono per buon rimedio a questo disordine un assolutorivolgimento degli ordini sociali; quasi che un tal ripie-go, oltre le orribili violenze che porterebbe seco, potesseriuscire ad altro che a traslocare le condizioni plebee da-gli uni negli altri, in vece di abolirle, e a fare sottosoprail medesimo effetto delle conquiste barbariche, quasiche la proprietà e la diseguaglianza delle fortune nonsiano assolutamente inseparabili da ogni vivere civile edalle leggi della nostra natura. Altri, meno immoderati,si confidano di poter medicare il male, introducendo gliordini popolari, e dando alla plebe i primi uffici della re-pubblica; il che è un farmaco omeopatico, che non soquanto possa giovare, perchè l’infelicità della plebe es-sendo effetto in gran parte della sua ignoranza, non pareche rimediar vi si possa, surrogando il ceto più rozzo alsenno della nazione, La storia mostra che le democrazie,se non son piccolissime, han corta vita; e che la libertàplebea o distrugge sé stessa, o apre la via ai forestieri.

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Ora è poco savio consiglio l’indebolire il governo, persollevare la plebe, come se plebei o nobili potessero es-sere felici, quando lo Stato scade o periclita, e soggiacealla tirannide intestina od esterna. Resta adunque chegl’interessi del volgo siano affidati a chi gli sovrasta; ese questo è un misero compenso per l’effetto che ne suolrisultare (l’esperienza ci sforza a confessarlo), esso è purtroppo il solo possibile; perchè, se ciò che i grandi fannoa pro dei piccoli per ordinario è poco, quel che si puòaspettare dai piccoli in proprio vantaggio è nulla. Io cre-do adunque savissimo quell’apotegma1 che dice: tuttodoversi fare in pro della plebe, ma nulla o ben poco permezzo di essa; giacchè il pessimo dei governi e il piùcontrario al bene di tutti, è appunto il plebeo. E credopure che, sebbene si faccia poco, i buoni principi po-trebbero far moltissimo, quando volessero; perchè unagran parte delle miserie che opprimono le classi laborio-se, nascono così dall’ignoranza e dall’ineducazione,come dalle cattive leggi intorno alle condizioni e allospartimento della proprietà e del lavoro. Ciò che oggi siafferma da molti su questi due articoli non è tutt’oro; mafra gli errori e le chimere, v’ha pure del ragionevole edel buono; e se chi regge rifiuta di cercarlo, di approfit-tarsene, e trascura il massimo de’ suoi doveri, nulla puòscusarlo al cospetto di Dio e degli uomini. E coloro chevorrebbono rimediar solamente all’ignoranza e alla pocareligione della plebe, s’ingannano; perchè non si può1 Apotegma o apoftemma è la succinta relazione di un detto o di un fatto,

apportato in vece di esempio.

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Ora è poco savio consiglio l’indebolire il governo, persollevare la plebe, come se plebei o nobili potessero es-sere felici, quando lo Stato scade o periclita, e soggiacealla tirannide intestina od esterna. Resta adunque chegl’interessi del volgo siano affidati a chi gli sovrasta; ese questo è un misero compenso per l’effetto che ne suolrisultare (l’esperienza ci sforza a confessarlo), esso è purtroppo il solo possibile; perchè, se ciò che i grandi fannoa pro dei piccoli per ordinario è poco, quel che si puòaspettare dai piccoli in proprio vantaggio è nulla. Io cre-do adunque savissimo quell’apotegma1 che dice: tuttodoversi fare in pro della plebe, ma nulla o ben poco permezzo di essa; giacchè il pessimo dei governi e il piùcontrario al bene di tutti, è appunto il plebeo. E credopure che, sebbene si faccia poco, i buoni principi po-trebbero far moltissimo, quando volessero; perchè unagran parte delle miserie che opprimono le classi laborio-se, nascono così dall’ignoranza e dall’ineducazione,come dalle cattive leggi intorno alle condizioni e allospartimento della proprietà e del lavoro. Ciò che oggi siafferma da molti su questi due articoli non è tutt’oro; mafra gli errori e le chimere, v’ha pure del ragionevole edel buono; e se chi regge rifiuta di cercarlo, di approfit-tarsene, e trascura il massimo de’ suoi doveri, nulla puòscusarlo al cospetto di Dio e degli uomini. E coloro chevorrebbono rimediar solamente all’ignoranza e alla pocareligione della plebe, s’ingannano; perchè non si può1 Apotegma o apoftemma è la succinta relazione di un detto o di un fatto,

apportato in vece di esempio.

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coltivar lo spirito senza attendere al corpo. Quella mora-lità e gentilezza di cui è veramente capace la plebe, pre-suppone una certa agiatezza proporzionata; onde chivuol migliorare moralmente gli uomini di bassa manodee cominciare a rendere più tollerabile la loro vita,esercitando verso di essi quegli uffici di corporale mise-ricordia, cui la carità sola impone ai privati, ma la giu-stizia ingiunge ai governi che si reggono a normadell’Evangelio.

La monarchia cristiana è stabile, e supera in diuturni-tà, ragguagliata ogni circostanza, i governi del gentilesi-mo. La causa della sua durata si dee cercare così nellasua mirabile struttura, e sovratutto nell’immobilità deltrono, come nella natura della religione che la puntella.La quale, antica come il mondo e destinata a durar quan-to i secoli, ha forza di eternare le instituzioni che in leisi fondano. E, certo, i nostri governi sarebbero immorta-li se rispondessero perfettamente al tipo che rappresen-tano, e al culto che gl’informa; onde essi durano e fiori-scono in quanto sono cristiani, declinano e muoiono inquanto tengono ancora qualche parte del gentilesimo. Ilcattolicismo poi dà una fermezza speciale agl’institutipolitici, in quanto consacra e deifica il giure legittimo, elo dichiara inviolabile, condannando nei sudditi ogni ri-bellione contro di esso. Dogma altamente filosofico,perchè il suo contrario permischia ed annulla essenzial-mente le idee di sovranità e di sudditanza, e tronca inogni caso, o almeno rende precari, i nervi del potere, re-putandolo soggetto all’arbitrio e ai capricci di coloro a

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coltivar lo spirito senza attendere al corpo. Quella mora-lità e gentilezza di cui è veramente capace la plebe, pre-suppone una certa agiatezza proporzionata; onde chivuol migliorare moralmente gli uomini di bassa manodee cominciare a rendere più tollerabile la loro vita,esercitando verso di essi quegli uffici di corporale mise-ricordia, cui la carità sola impone ai privati, ma la giu-stizia ingiunge ai governi che si reggono a normadell’Evangelio.

La monarchia cristiana è stabile, e supera in diuturni-tà, ragguagliata ogni circostanza, i governi del gentilesi-mo. La causa della sua durata si dee cercare così nellasua mirabile struttura, e sovratutto nell’immobilità deltrono, come nella natura della religione che la puntella.La quale, antica come il mondo e destinata a durar quan-to i secoli, ha forza di eternare le instituzioni che in leisi fondano. E, certo, i nostri governi sarebbero immorta-li se rispondessero perfettamente al tipo che rappresen-tano, e al culto che gl’informa; onde essi durano e fiori-scono in quanto sono cristiani, declinano e muoiono inquanto tengono ancora qualche parte del gentilesimo. Ilcattolicismo poi dà una fermezza speciale agl’institutipolitici, in quanto consacra e deifica il giure legittimo, elo dichiara inviolabile, condannando nei sudditi ogni ri-bellione contro di esso. Dogma altamente filosofico,perchè il suo contrario permischia ed annulla essenzial-mente le idee di sovranità e di sudditanza, e tronca inogni caso, o almeno rende precari, i nervi del potere, re-putandolo soggetto all’arbitrio e ai capricci di coloro a

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cui dee sovrastare. Nè importa che in certi casi la ribel-lione possa essere utile, anco nei governi legittimi, e pa-rer quasi necessaria; conciossiachè da un lato la bontàdelle leggi morali si dee misurare dai loro effetti piùconsueti, e dall’altro lato esse leggi debbono essere as-solute; perchè ogni eccezione le recide ed annulla. Se-condo l’etica razionale ed evangelica, ogni azione chegeneralmente e di sua natura sia dannosa, si dee tenerper vietata anche in quei pochi casi in cui può fruttare;chè altrimenti la regola morale soggiacerebbe al cortointendere e all’arbitrio dell’individuo. Le rivoluzioniviolente succedono senza fallo, quando son necessarie;il che giustifica la Providenza, che le permette, in virtùdel bene che ne deriva in tali occorrenze, ma non iscusamai appieno i loro autori, perchè il difetto di rettitudinenei mezzi non può mai essere santificato dalla bontà edeccellenza del fine.

La monarchia cristiana è progressiva, e corrispondepoliticamente alla ingenita perfettibilità della naturaumana. Non solo ella si assesta a tutti i miglioramenticivili, ma è lo strumento più efficace per dar loro operae condurli a perfezione. Il progresso è l’esplicazione di-namica dei germi morali deposti da Dio nel primitivoorganismo di ciascun popolo; la quale abbisogna di unvivere sociale in cui il moto si moderi e contrabbilancidalla quiete; perchè senza movimento non si va innanzinè senza un punto immobile vi può esser movimento,come senza regola il corso riesce disordinato, e non cheessere equabile, si muta in precipizio. Ora la monarchia

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cui dee sovrastare. Nè importa che in certi casi la ribel-lione possa essere utile, anco nei governi legittimi, e pa-rer quasi necessaria; conciossiachè da un lato la bontàdelle leggi morali si dee misurare dai loro effetti piùconsueti, e dall’altro lato esse leggi debbono essere as-solute; perchè ogni eccezione le recide ed annulla. Se-condo l’etica razionale ed evangelica, ogni azione chegeneralmente e di sua natura sia dannosa, si dee tenerper vietata anche in quei pochi casi in cui può fruttare;chè altrimenti la regola morale soggiacerebbe al cortointendere e all’arbitrio dell’individuo. Le rivoluzioniviolente succedono senza fallo, quando son necessarie;il che giustifica la Providenza, che le permette, in virtùdel bene che ne deriva in tali occorrenze, ma non iscusamai appieno i loro autori, perchè il difetto di rettitudinenei mezzi non può mai essere santificato dalla bontà edeccellenza del fine.

La monarchia cristiana è progressiva, e corrispondepoliticamente alla ingenita perfettibilità della naturaumana. Non solo ella si assesta a tutti i miglioramenticivili, ma è lo strumento più efficace per dar loro operae condurli a perfezione. Il progresso è l’esplicazione di-namica dei germi morali deposti da Dio nel primitivoorganismo di ciascun popolo; la quale abbisogna di unvivere sociale in cui il moto si moderi e contrabbilancidalla quiete; perchè senza movimento non si va innanzinè senza un punto immobile vi può esser movimento,come senza regola il corso riesce disordinato, e non cheessere equabile, si muta in precipizio. Ora la monarchia

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col suo doppio elemento porge il perno immoto e lamolla dell’andar progressivo; giacchè nello stesso modoche il trono la rende stabile il flusso dell’opinione, e lacontinua vicenda dell’aristocrazia elettiva, la fanno cam-minare di buon portante nella carriera dell’incivilimen-to. Laddove, se il principato si scompagnasse dall’ari-stocrazia elettiva, e l’eredità propria del sommo imperioa ogni sorta di privilegio e di grado si allargasse, man-cherebbero col moto la vita e la forza della repubblica,che a poco andare verrebbe meno; perchè i cadaveri nondurano a lungo nell’esser loro. Tanto che il men fermo evivace dei reggimenti civili è quello che, rendendosi sta-zionario, crede di poter essere più stabile e longevo;come avvenne a certe monarchie potentissime (qual si è,verbigrazia, la spagnuola), che in breve scaddero e peri-rono per essersi dilungate dai buoni e ragionevoli pro-gressi. I quali, o siano letterari e privati, o pubblici e ci-vili, nascono dalla gara degl’ingegni, e, direi quasi, dalfregarsi e arrotarsi insieme degli spiriti; in cui Iddio de-positò fontalmente quella forza creatrice che dura tutta-via fra gli uomini, e porta di mano in mano, svolgendo-si, i suoi frutti preziosi. Imperocchè, l’ingegno essendoricco da natura di alcuni semi atti a schiudersi, germina-re e fruttare successivamente, quanto più si apre la portaal vero merito e alla nobile emulazione, tanto più lo sta-to abbonda di capitale intellettivo, sia che questo si vol-ga alle salutevoli riforme, ovvero alle arti illustri, allelettere e alle dottrine. Tanto che il moto civile, causatodal lavoro degli intelletti, mediante il prevalere degli uo-

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col suo doppio elemento porge il perno immoto e lamolla dell’andar progressivo; giacchè nello stesso modoche il trono la rende stabile il flusso dell’opinione, e lacontinua vicenda dell’aristocrazia elettiva, la fanno cam-minare di buon portante nella carriera dell’incivilimen-to. Laddove, se il principato si scompagnasse dall’ari-stocrazia elettiva, e l’eredità propria del sommo imperioa ogni sorta di privilegio e di grado si allargasse, man-cherebbero col moto la vita e la forza della repubblica,che a poco andare verrebbe meno; perchè i cadaveri nondurano a lungo nell’esser loro. Tanto che il men fermo evivace dei reggimenti civili è quello che, rendendosi sta-zionario, crede di poter essere più stabile e longevo;come avvenne a certe monarchie potentissime (qual si è,verbigrazia, la spagnuola), che in breve scaddero e peri-rono per essersi dilungate dai buoni e ragionevoli pro-gressi. I quali, o siano letterari e privati, o pubblici e ci-vili, nascono dalla gara degl’ingegni, e, direi quasi, dalfregarsi e arrotarsi insieme degli spiriti; in cui Iddio de-positò fontalmente quella forza creatrice che dura tutta-via fra gli uomini, e porta di mano in mano, svolgendo-si, i suoi frutti preziosi. Imperocchè, l’ingegno essendoricco da natura di alcuni semi atti a schiudersi, germina-re e fruttare successivamente, quanto più si apre la portaal vero merito e alla nobile emulazione, tanto più lo sta-to abbonda di capitale intellettivo, sia che questo si vol-ga alle salutevoli riforme, ovvero alle arti illustri, allelettere e alle dottrine. Tanto che il moto civile, causatodal lavoro degli intelletti, mediante il prevalere degli uo-

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mini eccellenti e il patriziato elettivo, risponde al princi-pio di creazione, come la permanenza del trono eredita-rio, e il salutare ostacolo che ne risulta agl’impeti srego-lati, si riscontrano col principio di conservazione negliordini divini dell’universo. Il progresso nel giro dei fattidipende da quello delle idee; il quale non ha luogo o èdifettuosissimo, se non si fonda su principii immutabili,giacchè l’evoluzione dialettica e successiva delle conse-guenze importa l’immanenza inalterabile delle premes-se. Quindi è che il progresso ideale, e conseguentementeil civile, non si possono compitamente effettuare dovel’eterodossia signoreggia, la quale áltera per essenza odistrugge i principii fondamentali del vero. Nelle mo-narchie gentilesche, in cui regnano le credenze panteisti-che, senza temperamento di sorta, la civiltà va a ritroso,e lo stato è argomento ed imagine di quel peggiorarecontinuo e crescente che ci viene insegnato dalle dottri-ne ieratiche; il quale è un corollario logico dell’univer-sale decadimento che accompagna l’esplicazione delCronòtopo infinito e del Teocosmo nel suo primo ciclo,secondo il parere degli emanatisti. Questo pessimismofatale, alterando i primi principii di ragione, annullandol’arbitrio e assoggettando tutti gli uomini alla ferreaAdrastea1, torcente il fuso della necessità inesorabile,secondo il mito di Platone e di Plutarco, toglie il poteree il fomite dei miglioramenti, e la norma che gl’indiriz-

1 Adrastea, figlia di Giove e della necessità, la stessa che Nemesi o il Fato.Ammiano (14, 11, 25) la dice: «ultrix facinorum impiorum, bonorumquepraemiatrix».

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mini eccellenti e il patriziato elettivo, risponde al princi-pio di creazione, come la permanenza del trono eredita-rio, e il salutare ostacolo che ne risulta agl’impeti srego-lati, si riscontrano col principio di conservazione negliordini divini dell’universo. Il progresso nel giro dei fattidipende da quello delle idee; il quale non ha luogo o èdifettuosissimo, se non si fonda su principii immutabili,giacchè l’evoluzione dialettica e successiva delle conse-guenze importa l’immanenza inalterabile delle premes-se. Quindi è che il progresso ideale, e conseguentementeil civile, non si possono compitamente effettuare dovel’eterodossia signoreggia, la quale áltera per essenza odistrugge i principii fondamentali del vero. Nelle mo-narchie gentilesche, in cui regnano le credenze panteisti-che, senza temperamento di sorta, la civiltà va a ritroso,e lo stato è argomento ed imagine di quel peggiorarecontinuo e crescente che ci viene insegnato dalle dottri-ne ieratiche; il quale è un corollario logico dell’univer-sale decadimento che accompagna l’esplicazione delCronòtopo infinito e del Teocosmo nel suo primo ciclo,secondo il parere degli emanatisti. Questo pessimismofatale, alterando i primi principii di ragione, annullandol’arbitrio e assoggettando tutti gli uomini alla ferreaAdrastea1, torcente il fuso della necessità inesorabile,secondo il mito di Platone e di Plutarco, toglie il poteree il fomite dei miglioramenti, e la norma che gl’indiriz-

1 Adrastea, figlia di Giove e della necessità, la stessa che Nemesi o il Fato.Ammiano (14, 11, 25) la dice: «ultrix facinorum impiorum, bonorumquepraemiatrix».

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za. La sovranità vi è talmente immedesimata colla per-sona del principe deificato, che non può separarsene;onde non solo è inviolabile, conforme ai canoni delladottrina ortodossa, ma inammissibile. L’opinionedell’inammissibilità del potere sovrano è tanto contrariaal crescere dell’incivilimento e ai dettati cristiani, quan-to il dogma dell’inviolabilità s’accorda coll’uno e coglialtri. La sovranità si può perdere da chi la possiede permodo legittimo o illegittimo. Il modo legittimo può soloaver luogo quando il potere è diviso, e uno dei membrisovrani, tentando di pigliarselo tutto quanto, abilita glialtri ad esautorarlo, se ciò si richiede alla propria salvez-za, in virtù di quel diritto cui l’assalito possiede control’ingiusto assalitore. Ma quando la signoria è riunita le-gittimamente nella persona di un solo uomo, essa nongli si può rapire da’ suoi nazionali, salvo il debito dellagiustizia; i quali essendogli tutti addetti e legati dai vin-coli di sudditanza, non possono insorgere senza un attodi ribellione colpevole. Il sovrano potere è dunque intanto inviolabile, in quanto non può mai essere violatoda’suoi soggetti, ma solo da un eguale, cioè da un altrosovrano, allorchè ciò si ricerca alla sua legittima difesa.Ma anche quando un principe fu ingiustamente deposto,e altri sottentrò in sua vece per usurpazione e fellonia,come prima il nuovo stato è riconosciuto da tutta la na-zione e dagli altri stati seco congiunti col giure positivodelle genti, esso diventa legittimo, benchè dianzi nolfosse per la sola sua origine. Nè in tal caso il regnomuta, benchè cangi la linea dei regnanti; chè il confon-

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za. La sovranità vi è talmente immedesimata colla per-sona del principe deificato, che non può separarsene;onde non solo è inviolabile, conforme ai canoni delladottrina ortodossa, ma inammissibile. L’opinionedell’inammissibilità del potere sovrano è tanto contrariaal crescere dell’incivilimento e ai dettati cristiani, quan-to il dogma dell’inviolabilità s’accorda coll’uno e coglialtri. La sovranità si può perdere da chi la possiede permodo legittimo o illegittimo. Il modo legittimo può soloaver luogo quando il potere è diviso, e uno dei membrisovrani, tentando di pigliarselo tutto quanto, abilita glialtri ad esautorarlo, se ciò si richiede alla propria salvez-za, in virtù di quel diritto cui l’assalito possiede control’ingiusto assalitore. Ma quando la signoria è riunita le-gittimamente nella persona di un solo uomo, essa nongli si può rapire da’ suoi nazionali, salvo il debito dellagiustizia; i quali essendogli tutti addetti e legati dai vin-coli di sudditanza, non possono insorgere senza un attodi ribellione colpevole. Il sovrano potere è dunque intanto inviolabile, in quanto non può mai essere violatoda’suoi soggetti, ma solo da un eguale, cioè da un altrosovrano, allorchè ciò si ricerca alla sua legittima difesa.Ma anche quando un principe fu ingiustamente deposto,e altri sottentrò in sua vece per usurpazione e fellonia,come prima il nuovo stato è riconosciuto da tutta la na-zione e dagli altri stati seco congiunti col giure positivodelle genti, esso diventa legittimo, benchè dianzi nolfosse per la sola sua origine. Nè in tal caso il regnomuta, benchè cangi la linea dei regnanti; chè il confon-

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dere il giure col fatto è cosa troppo incomportabile. Sipuò disputare filosoficamente per sapere in che modol’antica giurisdizione si travasi nel nuovo possessore, esupplisca al difetto de’ suoi principii; ma il fatto è certo;e non può dubitarne chi è cattolico, poichè la Chiesa hasempre avuti per legittimi i governi stabiliti e ricono-sciuti universalmente, qualunque fosse il modo in cuinacquero. Se ne vide, alla memoria nostra, uno splendi-do esempio quando Pio VII, pontefice santissimo, sagròNapoleone; imperocchè con questo rito solenne lo rico-nobbe come principe legittimo, e volle confermare il di-ritto umano coll’autorità reverenda della religione. Laretta ragione consuona alla sapienza ecclesiastica; poi-chè, se l’opinione contraria fosse vera, aprirebbe il var-co a mille disordini, e spesso sarebbe d’impossibile ese-guimento. Che se intorno ai domìni privati le leggi han-no introdotto l’usucapione, per accordare il diritto colpacifico possesso, e ovviare agli inconvenienti che altri-menti sorgerebbero, determinando il tempo e le condi-zioni richieste a costituirla; la prescrizione non è mennecessaria e assai più rilevante nelle cose che toccano lostato, poichè senza di essa mancherebbe la tranquillitàpubblica, e si aprirebbe la via a calamità infinite. E sic-come qui non soccorre alcuna legge positiva, rogata dalgiure pubblico della Cristianità tutta quanta, per fermareil tempo richiesto e gli altri termini della prescrizione, lasola norma morale che occorra per applicarla, è il rico-noscimento tacito od espresso delle altre sovranità na-zionali. Se non si fa buono questo principio, non vi ha

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dere il giure col fatto è cosa troppo incomportabile. Sipuò disputare filosoficamente per sapere in che modol’antica giurisdizione si travasi nel nuovo possessore, esupplisca al difetto de’ suoi principii; ma il fatto è certo;e non può dubitarne chi è cattolico, poichè la Chiesa hasempre avuti per legittimi i governi stabiliti e ricono-sciuti universalmente, qualunque fosse il modo in cuinacquero. Se ne vide, alla memoria nostra, uno splendi-do esempio quando Pio VII, pontefice santissimo, sagròNapoleone; imperocchè con questo rito solenne lo rico-nobbe come principe legittimo, e volle confermare il di-ritto umano coll’autorità reverenda della religione. Laretta ragione consuona alla sapienza ecclesiastica; poi-chè, se l’opinione contraria fosse vera, aprirebbe il var-co a mille disordini, e spesso sarebbe d’impossibile ese-guimento. Che se intorno ai domìni privati le leggi han-no introdotto l’usucapione, per accordare il diritto colpacifico possesso, e ovviare agli inconvenienti che altri-menti sorgerebbero, determinando il tempo e le condi-zioni richieste a costituirla; la prescrizione non è mennecessaria e assai più rilevante nelle cose che toccano lostato, poichè senza di essa mancherebbe la tranquillitàpubblica, e si aprirebbe la via a calamità infinite. E sic-come qui non soccorre alcuna legge positiva, rogata dalgiure pubblico della Cristianità tutta quanta, per fermareil tempo richiesto e gli altri termini della prescrizione, lasola norma morale che occorra per applicarla, è il rico-noscimento tacito od espresso delle altre sovranità na-zionali. Se non si fa buono questo principio, non vi ha

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forse reame in Europa che possa mettere in sodo la vali-dità de’ suoi titoli. I legittimisti, negandolo e ammetten-do il pronunziato contrario, debbono inferirne che quan-do oggi, verbigrazia, sbucasse da qualche angolo un di-scendente di Childerico III1, e potesse chiarire le sue ra-gioni, il trono di Francia diverrebbe suo peculio, e i Ca-petingi, come i Carolingi, che li precedettero, si dovreb-bono avere per usurpatori. Nè giova l’allegare la lun-ghezza del tempo; poichè dove non soccorre alcun posi-tivo statuto che determini e circoscriva il modo dell’usu-capire2, mille anni vagliono quanto un lustro. Che se al-cuno ingegnoso mi opponesse che il mio presupposto èchimerico o poco probabile, lo piegherei ad avere mi-glior concetto della forza generativa che talvolta si trovanelle stirpi dominatrici. E lasciando stare che i re abissi-ni pretendono di aver nelle vene il sangue purissimo diMenilèch o Davide I, figliuolo di Salomone, e di Balchio Maqueda, regina di Saba, egli è noto che gli Orpelianivennero nella Giorgia e nell’Armenia, dove tuttora sitrovano, dalla Cina, in tempi anteriori ad Alessandromagno, e che gli Ardzruniani, i Pagratidi e i Mamigo-neani, celebri nelle storie armene, erano del pari di mol-to antica origine3. Io non vorrei pertanto gridar miracolo

1 Figlio di Childerico II, fu l'ultimo re di Francia della prima stirpe. Ebbe ilregno nel 772 e fu abbattuto da Pipino il Corto che lo rilegò in un conven-to ove poco dopo morì.

2 Usucapire è far suo in virtù di prescrizione, e in vigore del pacifico posses-so per lo spazio di legittimo tempo.

3 SAINT-MARTIN, Mém. hist. et géogr. sur l’Arménie, Paris, 1818, tonmo I,pagg. 418-424; tomo II, pagg. 15 e segg., 56-175. [G.].

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forse reame in Europa che possa mettere in sodo la vali-dità de’ suoi titoli. I legittimisti, negandolo e ammetten-do il pronunziato contrario, debbono inferirne che quan-do oggi, verbigrazia, sbucasse da qualche angolo un di-scendente di Childerico III1, e potesse chiarire le sue ra-gioni, il trono di Francia diverrebbe suo peculio, e i Ca-petingi, come i Carolingi, che li precedettero, si dovreb-bono avere per usurpatori. Nè giova l’allegare la lun-ghezza del tempo; poichè dove non soccorre alcun posi-tivo statuto che determini e circoscriva il modo dell’usu-capire2, mille anni vagliono quanto un lustro. Che se al-cuno ingegnoso mi opponesse che il mio presupposto èchimerico o poco probabile, lo piegherei ad avere mi-glior concetto della forza generativa che talvolta si trovanelle stirpi dominatrici. E lasciando stare che i re abissi-ni pretendono di aver nelle vene il sangue purissimo diMenilèch o Davide I, figliuolo di Salomone, e di Balchio Maqueda, regina di Saba, egli è noto che gli Orpelianivennero nella Giorgia e nell’Armenia, dove tuttora sitrovano, dalla Cina, in tempi anteriori ad Alessandromagno, e che gli Ardzruniani, i Pagratidi e i Mamigo-neani, celebri nelle storie armene, erano del pari di mol-to antica origine3. Io non vorrei pertanto gridar miracolo

1 Figlio di Childerico II, fu l'ultimo re di Francia della prima stirpe. Ebbe ilregno nel 772 e fu abbattuto da Pipino il Corto che lo rilegò in un conven-to ove poco dopo morì.

2 Usucapire è far suo in virtù di prescrizione, e in vigore del pacifico posses-so per lo spazio di legittimo tempo.

3 SAINT-MARTIN, Mém. hist. et géogr. sur l’Arménie, Paris, 1818, tonmo I,pagg. 418-424; tomo II, pagg. 15 e segg., 56-175. [G.].

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se si trovasse ancor oggi qualche sterpone dei Clodovin-gi, che son di data assai più recente. In fine in fine, poi-chè la linea di Adamo, che è la più vecchia di tutte, nonsi è tuttavia spenta, nè pare, a veder come vanno le cose,che voglia spegnersi di corto, si possono sfidare i legitti-misti a chiarire con argomenti indubitati che quella diMeroveo sia estinta; giacchè, stando nei loro principii,la sola possibilità del contrario può pregiudicare nonpoco alla causa dei pretendenti. I quali principii nonsono però di tal forza, che meritino di essere seriamenteconfutati; dee bensì increscere il vedere uomini religiosied onorevoli seminar la discordia in due regni nobilissi-mi (giacché parlo dei legittimisti torbidi e inframmetten-ti di Spagna e di Francia), e predicar la dottrina pantei-stica dell’inammissibilità del potere, contraria alla prati-ca costante della Chiesa cattolica e del seggio pontifica-le.

La monarchia cristiana è modesta ne’ suoi portamenti,amica della parsimonia, aliena da quel lusso smodato escialacquante che impoverisce lo stato, e da quelle ec-cessive delizie che snervano e corrompono il principe.Chi regna dee ricordarsi di esser un uomo nè più nèmeno che l’ultimo de’ suoi sudditi; dee sapere che egli èposto da Dio nel sommo grado, non per godere, ma pergiovare, e che la sua potenza è un gravoso ufficio, di cuidovrà rendere strettissima ragione, non una festa e untrastullo. Nè dee porgere orecchio ai cortigiani che loassicurano del contrario; perchè essi hanno pur troppo ilpotere di guastare quaggiù i principi che si affidano a

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se si trovasse ancor oggi qualche sterpone dei Clodovin-gi, che son di data assai più recente. In fine in fine, poi-chè la linea di Adamo, che è la più vecchia di tutte, nonsi è tuttavia spenta, nè pare, a veder come vanno le cose,che voglia spegnersi di corto, si possono sfidare i legitti-misti a chiarire con argomenti indubitati che quella diMeroveo sia estinta; giacchè, stando nei loro principii,la sola possibilità del contrario può pregiudicare nonpoco alla causa dei pretendenti. I quali principii nonsono però di tal forza, che meritino di essere seriamenteconfutati; dee bensì increscere il vedere uomini religiosied onorevoli seminar la discordia in due regni nobilissi-mi (giacché parlo dei legittimisti torbidi e inframmetten-ti di Spagna e di Francia), e predicar la dottrina pantei-stica dell’inammissibilità del potere, contraria alla prati-ca costante della Chiesa cattolica e del seggio pontifica-le.

La monarchia cristiana è modesta ne’ suoi portamenti,amica della parsimonia, aliena da quel lusso smodato escialacquante che impoverisce lo stato, e da quelle ec-cessive delizie che snervano e corrompono il principe.Chi regna dee ricordarsi di esser un uomo nè più nèmeno che l’ultimo de’ suoi sudditi; dee sapere che egli èposto da Dio nel sommo grado, non per godere, ma pergiovare, e che la sua potenza è un gravoso ufficio, di cuidovrà rendere strettissima ragione, non una festa e untrastullo. Nè dee porgere orecchio ai cortigiani che loassicurano del contrario; perchè essi hanno pur troppo ilpotere di guastare quaggiù i principi che si affidano a

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loro, ma non quello di redimerli dai supplizi nell’altravita. Nè la parsimonia dei rettori nuoce alla dignità delloro grado e alla regale magnificenza; perchè non inter-dice loro quanto al decoro del trono è richiesto, e, nonche nuocere, agevola ed alimenta la liberalità verso ilpubblico. Una nobile semplicità onora più il principe,che le pompe orientali; e Traiano, il quale recò l’Imperioal colmo della grandezza, fu più venerato, vivendo concivil modestia di senatore, che il tumido Diocleziano,introduttor dei costumi asiatici nella corte di Nicome-dia1, Per ordinario si osserva che i principi veramentegrandi non amano il fasto e l’arroganza, privilegi delleanime mediocri; e senza uscir d’Italia, io odo dire chealcune corti di essa vi siano altrettanto modeste, chequelle di Berlino, di Copenaghen e di Parigi. E ben lun-gi che il far masserizia2 osti alla munificenza del princi-pe, non poco vi conferisce, somministrandogli il mododi esser largo, e mostrare grande animo nelle spese chetornano ad altrui profitto e ad onore di tutta quanta lanazione. Nel che consiste quel lusso che è lodevole, per-chè produttivo; il quale, facendo effetti che durano, ac-crescendo l’agiatezza di ciascuno, conferendo al decoroe alla riputazione di tutti, e moltiplicando il capitale del-le arti, delle lettere, delle scienze e delle industrie frut-tuose, è benemerito dell’incivilimento, e degno di quella

1 Nicomedia, città della Bitinia, sede imperiale durante la tetrarchia di Dio-cleziano.

2 Masserizia si usa per accumulamento di denaro e di roba, onde la maniera«far masserizia» per far degli avanzi, metter da parte.

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loro, ma non quello di redimerli dai supplizi nell’altravita. Nè la parsimonia dei rettori nuoce alla dignità delloro grado e alla regale magnificenza; perchè non inter-dice loro quanto al decoro del trono è richiesto, e, nonche nuocere, agevola ed alimenta la liberalità verso ilpubblico. Una nobile semplicità onora più il principe,che le pompe orientali; e Traiano, il quale recò l’Imperioal colmo della grandezza, fu più venerato, vivendo concivil modestia di senatore, che il tumido Diocleziano,introduttor dei costumi asiatici nella corte di Nicome-dia1, Per ordinario si osserva che i principi veramentegrandi non amano il fasto e l’arroganza, privilegi delleanime mediocri; e senza uscir d’Italia, io odo dire chealcune corti di essa vi siano altrettanto modeste, chequelle di Berlino, di Copenaghen e di Parigi. E ben lun-gi che il far masserizia2 osti alla munificenza del princi-pe, non poco vi conferisce, somministrandogli il mododi esser largo, e mostrare grande animo nelle spese chetornano ad altrui profitto e ad onore di tutta quanta lanazione. Nel che consiste quel lusso che è lodevole, per-chè produttivo; il quale, facendo effetti che durano, ac-crescendo l’agiatezza di ciascuno, conferendo al decoroe alla riputazione di tutti, e moltiplicando il capitale del-le arti, delle lettere, delle scienze e delle industrie frut-tuose, è benemerito dell’incivilimento, e degno di quella

1 Nicomedia, città della Bitinia, sede imperiale durante la tetrarchia di Dio-cleziano.

2 Masserizia si usa per accumulamento di denaro e di roba, onde la maniera«far masserizia» per far degli avanzi, metter da parte.

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nobile magnificenza cui lo Stagirita1 collocava fra le vir-tù.

La monarchia cristiana è amatrice del giusto, e ante-pone la considerazione di esso ad ogni altro riguardo.Ella non crede che la morale obblighi solamente i priva-ti, o che i suoi precetti siano manco severi e inflessibiliverso chi governa, che in ordine agli altri uomini. Quin-di ella munisce e rinforza l’amministrazione della pub-blica giustizia con tutte le guarentigie e cautele opportu-ne, per impedir che l’errore involontario, l’odio e il fa-vore la turbino. Fu già avvertito dai filosofi che la sepa-razione del poter giudiziale dall’esecutivo e dal legislati-vo è una prerogativa speciale delle monarchie cristiane,dovuta alla squisitezza delle idee evangeliche. Ma que-sta separazione sarebbe vana e illusoria, se il difficile eaugusto incarico fosse commesso a tribunali straordina-ri, composti di soldati o altra gente ignara delle leggi,inesperta della tela giudiziaria, usa a riporre il dirittonella forza, e la sicurezza nella violenza, parziale, ap-passionata, cupida di vendetta, disposta ad incrudelire;dando loro facoltà di sentenziare quasi per via somma-ria, senza ferma regola di processo, senza pubblici costi-tuti, o altra guarentigia per l’innocenza, e con balìa dicondannare i rei nella testa, senz’appello di sorta. Sequesta foggia di giudizi, che piuttosto carnificine legalisi dovrebbono appellare, e sono quasi sempre strumentidi atti iniqui ed atroci, si trova spesso usata nelle storie

1 Aristotele, nato a Stagira nell’anno 384 prima di G. C.

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nobile magnificenza cui lo Stagirita1 collocava fra le vir-tù.

La monarchia cristiana è amatrice del giusto, e ante-pone la considerazione di esso ad ogni altro riguardo.Ella non crede che la morale obblighi solamente i priva-ti, o che i suoi precetti siano manco severi e inflessibiliverso chi governa, che in ordine agli altri uomini. Quin-di ella munisce e rinforza l’amministrazione della pub-blica giustizia con tutte le guarentigie e cautele opportu-ne, per impedir che l’errore involontario, l’odio e il fa-vore la turbino. Fu già avvertito dai filosofi che la sepa-razione del poter giudiziale dall’esecutivo e dal legislati-vo è una prerogativa speciale delle monarchie cristiane,dovuta alla squisitezza delle idee evangeliche. Ma que-sta separazione sarebbe vana e illusoria, se il difficile eaugusto incarico fosse commesso a tribunali straordina-ri, composti di soldati o altra gente ignara delle leggi,inesperta della tela giudiziaria, usa a riporre il dirittonella forza, e la sicurezza nella violenza, parziale, ap-passionata, cupida di vendetta, disposta ad incrudelire;dando loro facoltà di sentenziare quasi per via somma-ria, senza ferma regola di processo, senza pubblici costi-tuti, o altra guarentigia per l’innocenza, e con balìa dicondannare i rei nella testa, senz’appello di sorta. Sequesta foggia di giudizi, che piuttosto carnificine legalisi dovrebbono appellare, e sono quasi sempre strumentidi atti iniqui ed atroci, si trova spesso usata nelle storie

1 Aristotele, nato a Stagira nell’anno 384 prima di G. C.

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eziandio moderne, non si può non ravvisare in essa unareliquia del gentilesimo, al tutto abborrente dagli ordinie dagli spiriti cristiani. Ma niuno ne incolpi la naturadella monarchia, piuttosto che le passioni degli uomini;imperocchè gli scandali più gravi e più recenti di questogenere furono dati dalle repubbliche o da coloro chepretessevano ai lor portamenti l’amore della libertà edella patria1. Fra le varie parti della pubblica giustizia, lacriminale è quella che abbisogna di maggiori riforme inalcuni paesi cattolici, dove pure la civiltà è assai innan-zi, e dove le altre appartenenze del giure notabilmente simigliorarono. E non mi sembra ragionevole la diffiden-za che alcuni governi mostrano dei giurati; instituzioneconforme al genio dei popoli cristiani, la quale adempienegli ordini giudiziali un ufficio simile a quello del mu-nicipio negli amministrativi, ed essendo piuttosto aristo-cratica, che democratica per essenza (come credonogl’inesperti), consuona mirabilmente all’indole del prin-cipato civile.

La monarchia cristiana è generosa e clemente, e tieneper un privilegio sacro e prezioso il diritto di graziare eribenedire i colpevoli. La grazia, l’amnistia, il perdono,appartengono al novero di quei nomi che il Cristianesi-mo introdusse nel campo della giustizia e penalità uma-na, trasportandoveli dagli ordini morali e divini colleidee che rappresentano. Tali pure sono i vocaboli e iconcetti d’indulgenza, di espiazione, di penitenza; di cui1 Sventuratamente queste parole non potrebbero più scriversi al dì d’oggi

(Nota della seconda edizione). [G.].

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eziandio moderne, non si può non ravvisare in essa unareliquia del gentilesimo, al tutto abborrente dagli ordinie dagli spiriti cristiani. Ma niuno ne incolpi la naturadella monarchia, piuttosto che le passioni degli uomini;imperocchè gli scandali più gravi e più recenti di questogenere furono dati dalle repubbliche o da coloro chepretessevano ai lor portamenti l’amore della libertà edella patria1. Fra le varie parti della pubblica giustizia, lacriminale è quella che abbisogna di maggiori riforme inalcuni paesi cattolici, dove pure la civiltà è assai innan-zi, e dove le altre appartenenze del giure notabilmente simigliorarono. E non mi sembra ragionevole la diffiden-za che alcuni governi mostrano dei giurati; instituzioneconforme al genio dei popoli cristiani, la quale adempienegli ordini giudiziali un ufficio simile a quello del mu-nicipio negli amministrativi, ed essendo piuttosto aristo-cratica, che democratica per essenza (come credonogl’inesperti), consuona mirabilmente all’indole del prin-cipato civile.

La monarchia cristiana è generosa e clemente, e tieneper un privilegio sacro e prezioso il diritto di graziare eribenedire i colpevoli. La grazia, l’amnistia, il perdono,appartengono al novero di quei nomi che il Cristianesi-mo introdusse nel campo della giustizia e penalità uma-na, trasportandoveli dagli ordini morali e divini colleidee che rappresentano. Tali pure sono i vocaboli e iconcetti d’indulgenza, di espiazione, di penitenza; di cui1 Sventuratamente queste parole non potrebbero più scriversi al dì d’oggi

(Nota della seconda edizione). [G.].

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oggi son piene le scritture dei criminalisti, e di cui fannopompa eziandio coloro che ne ignorano l’origine e il va-lore legittimo. Imperocchè il giure che da un lato consi-dera le pene come una morale espiazione, e dall’altro siadopera a farne un mezzo di ammenda pel delinquente,si fonda nel dogma del riscatto, e nella filosofia divinadell’Evangelio, secondo la quale non v’ha colpa irremis-sibile, la vita è uno stato di prova e di miglioramento, enon si dà uomo così perduto, che sia inetto a ricovrare iprivilegi dell’innocenza. Il che porge al breve spaziodella vita umana un pregio incomparabile, collegandolocoll’eterno; e induce naturalmente gli uomini ad aver lapena di morte per un’istituzione barbarica, che, ucciden-do il colpevole, invece di emendarlo, contradice ai prin-cipii fondamentali del Cristianesimo. Perciò i giuristiche ai dì nostri confortano i governi a rendere più rara lapunizione capitale e prepararne graduatamente l’aboli-zione, non fanno altro che svolgere, educare e trasferirenelle austere leggi del civile consorzio un istinto cristia-no. E siccome la nostra fede non si rappresenta la terraun paradiso o un inferno (secondo l’opinione degli otti-misti e pessimisti eterodossi), ma bensì come un purga-torio o, vogliam dire, un immenso ergastolo e sofroni-sterio, in cui l’uomo degenere suda e travaglia per rina-scere di nuovo, e ricuperare la perduta innocenza, neproviene naturalmente l’idea di una penalità curativa epreservativa per gli stessi colpevoli. Il sofronisterio1 fu,

1 Casa di correzione.

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oggi son piene le scritture dei criminalisti, e di cui fannopompa eziandio coloro che ne ignorano l’origine e il va-lore legittimo. Imperocchè il giure che da un lato consi-dera le pene come una morale espiazione, e dall’altro siadopera a farne un mezzo di ammenda pel delinquente,si fonda nel dogma del riscatto, e nella filosofia divinadell’Evangelio, secondo la quale non v’ha colpa irremis-sibile, la vita è uno stato di prova e di miglioramento, enon si dà uomo così perduto, che sia inetto a ricovrare iprivilegi dell’innocenza. Il che porge al breve spaziodella vita umana un pregio incomparabile, collegandolocoll’eterno; e induce naturalmente gli uomini ad aver lapena di morte per un’istituzione barbarica, che, ucciden-do il colpevole, invece di emendarlo, contradice ai prin-cipii fondamentali del Cristianesimo. Perciò i giuristiche ai dì nostri confortano i governi a rendere più rara lapunizione capitale e prepararne graduatamente l’aboli-zione, non fanno altro che svolgere, educare e trasferirenelle austere leggi del civile consorzio un istinto cristia-no. E siccome la nostra fede non si rappresenta la terraun paradiso o un inferno (secondo l’opinione degli otti-misti e pessimisti eterodossi), ma bensì come un purga-torio o, vogliam dire, un immenso ergastolo e sofroni-sterio, in cui l’uomo degenere suda e travaglia per rina-scere di nuovo, e ricuperare la perduta innocenza, neproviene naturalmente l’idea di una penalità curativa epreservativa per gli stessi colpevoli. Il sofronisterio1 fu,

1 Casa di correzione.

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presso Platone, un sogno pitagorico, suggerito forse daquelle cerimonie e tradizioni che nei Misteri pelasgici siusavano e custodivano; e venne tentato nell’India dalbuon re Piadasi, perchè il ricordo tradizionale della re-denzione e della salute animava il samaneismo di queitempi. Ma niuna società seppe organizzare l’espiazioncorrettiva, come la Chiesa ne’ suoi ordini religiosi e di-sciplinari; dalla quale la civiltà nostra trasse il concettodel carcere penitenziale, come già ne tolse negli ordinipolitici i semi del governo rappresentativo. E il modernosofronisterio fu un trovato romano, ed ebbe per autoreClemente XI1 che sul principio del passato secolo fondòin Roma la casa di San Michele. Nel sistema penitenzia-le i rigori della giustizia son temperati e addolciti dallaclemenza, che vi esercita le prime parti, e crescendo amano a mano che la colpa si purga, giunge in fine a re-gnar tutta sola, seguendo, rispetto all’individuo, un pro-cesso analogo a quello che la Providenza tenne in ordinealla nostra specie, dal diluvio e dal fuoco vendicatoredella Pentapoli sino al perdono sublime del Calvario. Ladolcezza e la sopportazione possono diventar nocive,quando non son mitigate dalla severità; ma, generalmen-te parlando, esse pregiudicano assai meno dell’eccessocontrario, e son più degne di scusa dinanzi a Dio e agliuomini. Oltre che, sta in mano di chi è troppo rimesso

1 Clemente XI, prima Giovanni Francesco Albani, n. nel 1649, m. nel 1721.Dominato dai Gesuiti promulgò contro i Giansenisti la bolla «Vineam Do-mini» (I705). Le sue opere edite a Francoforte nel 1729 contengono bolle,discorsi e lettere.

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presso Platone, un sogno pitagorico, suggerito forse daquelle cerimonie e tradizioni che nei Misteri pelasgici siusavano e custodivano; e venne tentato nell’India dalbuon re Piadasi, perchè il ricordo tradizionale della re-denzione e della salute animava il samaneismo di queitempi. Ma niuna società seppe organizzare l’espiazioncorrettiva, come la Chiesa ne’ suoi ordini religiosi e di-sciplinari; dalla quale la civiltà nostra trasse il concettodel carcere penitenziale, come già ne tolse negli ordinipolitici i semi del governo rappresentativo. E il modernosofronisterio fu un trovato romano, ed ebbe per autoreClemente XI1 che sul principio del passato secolo fondòin Roma la casa di San Michele. Nel sistema penitenzia-le i rigori della giustizia son temperati e addolciti dallaclemenza, che vi esercita le prime parti, e crescendo amano a mano che la colpa si purga, giunge in fine a re-gnar tutta sola, seguendo, rispetto all’individuo, un pro-cesso analogo a quello che la Providenza tenne in ordinealla nostra specie, dal diluvio e dal fuoco vendicatoredella Pentapoli sino al perdono sublime del Calvario. Ladolcezza e la sopportazione possono diventar nocive,quando non son mitigate dalla severità; ma, generalmen-te parlando, esse pregiudicano assai meno dell’eccessocontrario, e son più degne di scusa dinanzi a Dio e agliuomini. Oltre che, sta in mano di chi è troppo rimesso

1 Clemente XI, prima Giovanni Francesco Albani, n. nel 1649, m. nel 1721.Dominato dai Gesuiti promulgò contro i Giansenisti la bolla «Vineam Do-mini» (I705). Le sue opere edite a Francoforte nel 1729 contengono bolle,discorsi e lettere.

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nel punire, il mutar verso quando lo crede opportuno;dove che i danni causati dalla soverchia rigorosità sonospesso senza rimedio; perchè non si risuscitano i morti,non si rende ai consunti la forza e il vigore, non si allun-ga ai trambasciati la vita. L’eccedere nelle pene è cosatanto più detestabile, che la metà dei falli occorrenti nel-le società umane, sono forse tanto imputabili all’oscitan-za o iniquità dei governi, quanto alla malizia dei delin-quenti. Imperocchè la maggior parte dei delitti nasconodalla povertà, dall’ignoranza, dall’ineducazione dellaplebe e da altri disordini, ai quali chi regge può rimedia-re, almeno in parte e notabilmente; per non parlare deimisfatti che risultano dalle cattive leggi o dalla pessimaamministrazione della cosa pubblica. Tanto che, dinanziallo scrutatore de’ cuori, il reo può essere talvolta piùdegno di venia e di misericordia, che il giudice da cui ècondannato, o il principe che ratifica la condanna. Certo,queste considerazioni non vogliono impedire che la giu-stizia abbia il suo corso; ma debbono lenirne l’esercizio,e ricordare a chi vi è proposto quel noto verso di Teren-zio, che diresti scritto da penna cristiana:

Homo sum et nihil humani a me alienum puto.

La monarchia cristiana è amatrice del vero, e abbor-rente da ogni ombra di menzogna e di adulazione. Laquale è la maggior peste dei regni e delle repubbliche;poichè da lei nascono principalmente le tirannidi, lesommosse e le altre calamità sociali. I rivoltosi sonocerto funesti; ma assai meno che gli adulanti; poichè

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nel punire, il mutar verso quando lo crede opportuno;dove che i danni causati dalla soverchia rigorosità sonospesso senza rimedio; perchè non si risuscitano i morti,non si rende ai consunti la forza e il vigore, non si allun-ga ai trambasciati la vita. L’eccedere nelle pene è cosatanto più detestabile, che la metà dei falli occorrenti nel-le società umane, sono forse tanto imputabili all’oscitan-za o iniquità dei governi, quanto alla malizia dei delin-quenti. Imperocchè la maggior parte dei delitti nasconodalla povertà, dall’ignoranza, dall’ineducazione dellaplebe e da altri disordini, ai quali chi regge può rimedia-re, almeno in parte e notabilmente; per non parlare deimisfatti che risultano dalle cattive leggi o dalla pessimaamministrazione della cosa pubblica. Tanto che, dinanziallo scrutatore de’ cuori, il reo può essere talvolta piùdegno di venia e di misericordia, che il giudice da cui ècondannato, o il principe che ratifica la condanna. Certo,queste considerazioni non vogliono impedire che la giu-stizia abbia il suo corso; ma debbono lenirne l’esercizio,e ricordare a chi vi è proposto quel noto verso di Teren-zio, che diresti scritto da penna cristiana:

Homo sum et nihil humani a me alienum puto.

La monarchia cristiana è amatrice del vero, e abbor-rente da ogni ombra di menzogna e di adulazione. Laquale è la maggior peste dei regni e delle repubbliche;poichè da lei nascono principalmente le tirannidi, lesommosse e le altre calamità sociali. I rivoltosi sonocerto funesti; ma assai meno che gli adulanti; poichè

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questi apparecchiano i mali, onde quelli sono il rimedioe il flagello. Non si trova esempio nella storia di un solostato abbattuto, la cui rovina non sia stata causata, o al-meno aiutata eiffcacemente e promossa dai piaggiatori.Contro questo verme v’ha un solo rimedio; ed è la liberamanifestazione del vero. Rimedio semplicissimo e tuttoevangelico; poichè il Cristianesimo ne fece un precetto,deificando la sentenza italiana e pitagorica che riducevatutta la morale alla veracità e alla beneficenza, e con-dannando ogni inganno e simulazione non meno verso isommi, che verso gl’infimi. V’ha pur troppo chi tentad’introdurre nei governi cattolici e nelle corti una mora-le iniqua, abbietta, servile, dirittamente contraria a quel-la di Cristo, e tale, che quando prevalesse contro glisforzi concordi dei buoni, ritornerebbe la civiltà di cuisiamo gloriosi, alla corruttela delle età pagane o alla ef-feratezza dei tempi barbari. Questa nuova etica insegnache i governi sono immuni da errore, e che debbono es-ser lodati di ogni loro atto, o almeno non possono esser-ne biasimati; e vuol dare ad intendere che ogni biasimo,ancorchè moderato e riverente, sia un’offesa alla perso-na del principe. Quasi che per onorare il principe fossed’uopo supporre ch’egli e i suoi consiglieri siano piùche uomini, e far loro la maggiore ingiuria, che i buonipossano ricevere, tacendo o travisando il vero salutare.Certo, la venerazione verso il principe interdice ognicensura che possa ferire la sua persona; siccome peròanche nei paesi dov’egli ha un assoluto dominio, nonregge mai da sè solo, ma co’ suoi ministri e consigli,

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questi apparecchiano i mali, onde quelli sono il rimedioe il flagello. Non si trova esempio nella storia di un solostato abbattuto, la cui rovina non sia stata causata, o al-meno aiutata eiffcacemente e promossa dai piaggiatori.Contro questo verme v’ha un solo rimedio; ed è la liberamanifestazione del vero. Rimedio semplicissimo e tuttoevangelico; poichè il Cristianesimo ne fece un precetto,deificando la sentenza italiana e pitagorica che riducevatutta la morale alla veracità e alla beneficenza, e con-dannando ogni inganno e simulazione non meno verso isommi, che verso gl’infimi. V’ha pur troppo chi tentad’introdurre nei governi cattolici e nelle corti una mora-le iniqua, abbietta, servile, dirittamente contraria a quel-la di Cristo, e tale, che quando prevalesse contro glisforzi concordi dei buoni, ritornerebbe la civiltà di cuisiamo gloriosi, alla corruttela delle età pagane o alla ef-feratezza dei tempi barbari. Questa nuova etica insegnache i governi sono immuni da errore, e che debbono es-ser lodati di ogni loro atto, o almeno non possono esser-ne biasimati; e vuol dare ad intendere che ogni biasimo,ancorchè moderato e riverente, sia un’offesa alla perso-na del principe. Quasi che per onorare il principe fossed’uopo supporre ch’egli e i suoi consiglieri siano piùche uomini, e far loro la maggiore ingiuria, che i buonipossano ricevere, tacendo o travisando il vero salutare.Certo, la venerazione verso il principe interdice ognicensura che possa ferire la sua persona; siccome peròanche nei paesi dov’egli ha un assoluto dominio, nonregge mai da sè solo, ma co’ suoi ministri e consigli,

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questi sono sindacabili nella pubblica opinione del maleonde sono autori, o alla men trista complici e cooperato-ri. La distinzione fra il regnante e il suo governo è fon-data in natura, e, non che essere una finzione degli statirappresentativi, come affermano certi politici superficia-li, compete a tutte le monarchie, qualunque siano gli or-dini loro; il che è sentito confusamente dal popolo stes-so, il quale per ordinario non attribuisce i mali reggi-menti al principe, ma a chi lo consiglia. L’aver volutosoffocare l’opinione pubblica e sbandire la verità dallecorti, è la principal cagione che addusse più di un regnofiorente e potentissimo all’ultimo sterminio. Se quelLuigi che vietava l’encomio di Arrigo, suo avolo, nonavesse chiusa ogni bocca schiva di aprirsi al sorriso ealla lode, quanti mali si sarebbono risparmiati alla Fran-cia! Certo, egli non avria potuto contaminare il suo re-gno con scellerate guerre e crudeli persecuzioni, nèdopo un breve favor di fortuna aprire il varco a lunghe eirreparabili sciagure. L’età sua e la seguente non avreb-bero viste le entrate esauste, perduti i costumi, combat-tuta la fede, la religione mutata in ipocrisia, la reggiaconversa in postribolo, e ultimo di tutti i mali, ma purerimedio, la più atroce rivoluzione di cui facciano parolale istorie. Due secoli di guerre, di corruttele, di empietà,di tumulti e di sangue si sarebbero cansati con un mezzocosì semplice, com’è la libera pubblicazione del vero; ela generazione che vive non sarebbe ridotta alla miseranecessità di ristorare con lento e difficile lavoro le sacree morali credenze, e quasi ricominciare il còmpito peno-

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questi sono sindacabili nella pubblica opinione del maleonde sono autori, o alla men trista complici e cooperato-ri. La distinzione fra il regnante e il suo governo è fon-data in natura, e, non che essere una finzione degli statirappresentativi, come affermano certi politici superficia-li, compete a tutte le monarchie, qualunque siano gli or-dini loro; il che è sentito confusamente dal popolo stes-so, il quale per ordinario non attribuisce i mali reggi-menti al principe, ma a chi lo consiglia. L’aver volutosoffocare l’opinione pubblica e sbandire la verità dallecorti, è la principal cagione che addusse più di un regnofiorente e potentissimo all’ultimo sterminio. Se quelLuigi che vietava l’encomio di Arrigo, suo avolo, nonavesse chiusa ogni bocca schiva di aprirsi al sorriso ealla lode, quanti mali si sarebbono risparmiati alla Fran-cia! Certo, egli non avria potuto contaminare il suo re-gno con scellerate guerre e crudeli persecuzioni, nèdopo un breve favor di fortuna aprire il varco a lunghe eirreparabili sciagure. L’età sua e la seguente non avreb-bero viste le entrate esauste, perduti i costumi, combat-tuta la fede, la religione mutata in ipocrisia, la reggiaconversa in postribolo, e ultimo di tutti i mali, ma purerimedio, la più atroce rivoluzione di cui facciano parolale istorie. Due secoli di guerre, di corruttele, di empietà,di tumulti e di sangue si sarebbero cansati con un mezzocosì semplice, com’è la libera pubblicazione del vero; ela generazione che vive non sarebbe ridotta alla miseranecessità di ristorare con lento e difficile lavoro le sacree morali credenze, e quasi ricominciare il còmpito peno-

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so dell’incivilimento, imitando i primi Noachidi, che,cessato il rovescio delle acque, e ritornati al mare i fluttitempestosi, posero mano a rialzare sul terreno guazzosoe molliccio le opere disfatte dei loro progenitori.

La monarchia cristiana finalmente è religiosa e ideale,devota a Dio e alla società depositaria delle divine pro-messe, e informata da quei principii sovrani del vero,che dopo il promulgato Evangelio, mirano a regnareuniversalmente nel mondo. Essa non aspira, come le si-gnorie paganiche, a quell’indipendenza assoluta e sacri-lega da ogni freno autorevole che tanto diletta all’orgo-glio civile; e si gloria di esser ligia e ossequente allafede e alla Chiesa, come l’ultimo dei propri sudditi. Alche si tiene obbligata, non solo come cristiana, maeziandio come italiana, considerando il cattolicismocome una instituzione indivisa, anche umanamente, dal-la grandezza della penisola, e adorando nel capo di quel-lo il padre comune, non men civile che religioso, deiprincipi e dei popoli italici. Questo pio e spontaneo vas-sallaggio verso Cristo e il suo vicario, non che menoma-re, accresce il vigore di cui è fornito il principato orto-dosso, e aggiunge alla sua fermezza, facendolo parteci-pare in un certo modo ai privilegi dell’Idea eterna edell’instituto immortale. Onde non solo è il più durevoledei governi, ma eziandio il più salutare e meravigliosoper l’efficacia e la copia dei frutti che produce; perchè ladivina filosofia che l’informa s’immedesima quasi collasua natura. Siccome la monarchia cristiana riconosce lafratellanza di tutti gli uomini, creati e redenti dallo stes-

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so dell’incivilimento, imitando i primi Noachidi, che,cessato il rovescio delle acque, e ritornati al mare i fluttitempestosi, posero mano a rialzare sul terreno guazzosoe molliccio le opere disfatte dei loro progenitori.

La monarchia cristiana finalmente è religiosa e ideale,devota a Dio e alla società depositaria delle divine pro-messe, e informata da quei principii sovrani del vero,che dopo il promulgato Evangelio, mirano a regnareuniversalmente nel mondo. Essa non aspira, come le si-gnorie paganiche, a quell’indipendenza assoluta e sacri-lega da ogni freno autorevole che tanto diletta all’orgo-glio civile; e si gloria di esser ligia e ossequente allafede e alla Chiesa, come l’ultimo dei propri sudditi. Alche si tiene obbligata, non solo come cristiana, maeziandio come italiana, considerando il cattolicismocome una instituzione indivisa, anche umanamente, dal-la grandezza della penisola, e adorando nel capo di quel-lo il padre comune, non men civile che religioso, deiprincipi e dei popoli italici. Questo pio e spontaneo vas-sallaggio verso Cristo e il suo vicario, non che menoma-re, accresce il vigore di cui è fornito il principato orto-dosso, e aggiunge alla sua fermezza, facendolo parteci-pare in un certo modo ai privilegi dell’Idea eterna edell’instituto immortale. Onde non solo è il più durevoledei governi, ma eziandio il più salutare e meravigliosoper l’efficacia e la copia dei frutti che produce; perchè ladivina filosofia che l’informa s’immedesima quasi collasua natura. Siccome la monarchia cristiana riconosce lafratellanza di tutti gli uomini, creati e redenti dallo stes-

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so Dio, soggetti alla stessa legge e ordinati alla medesi-ma beatitudine, questa pietosa credenza la nobilita e in-gentilisce, e imprime nelle sue opere, non ostante gliabusi e i trascorsi di coloro che la rappresentano, un ca-rattere particolare. Animata dai due principii di creazio-ne e di redenzione, ella esercita in qualche guisa questisublimi uffici, e risponde per ambo i versi alla dottrinache la compenetra, e alla classica contrada che n’è il ri-sedio più illustre. La monarchia cattolica è creatrice,poichè compose e allattò le varie nazioni della culta Eu-ropa, e dotolle della squisita civiltà loro; secondo sivede aver fatto in Francia, nella Spagna, nell’Inghilterra,dove l’unità e la potenza nazionale, covate all’ombra deitempli, emersero finalmente dal grembo del principato.Non conosco repubblica cristiana che abbia fatto grancosa per l’incivilimento, salvo quelle dell’Italia guelfa, esovratutto Firenze; le quali partecipavano della monar-chia, poichè il Pontefice n’era moderatore e pacificatoresupremo, eziandio negli ordini civili. Il genio monarcaleè talmente connaturato alla nostra stirpe, che non vennemeno, anche quando ella visse a popolo fra le tenebredel gentilesimo, e velò il nome regio sotto quelli di Lu-cumone, di Console e altri somiglianti. La monarchiacattolica è altresì redentrice, perchè sola riscuote le na-zioni dall’anarchia della barbarie e delle rivoluzioni, ri-conduce la pace e l’armonia negli stati discordi e tumul-tuanti; e mitiga persino gli effetti della conquista, chesuol essere molto più funesta alla libertà dei vinti, quan-do libero e retto a stato plebeo è il popolo conquistatore.

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so Dio, soggetti alla stessa legge e ordinati alla medesi-ma beatitudine, questa pietosa credenza la nobilita e in-gentilisce, e imprime nelle sue opere, non ostante gliabusi e i trascorsi di coloro che la rappresentano, un ca-rattere particolare. Animata dai due principii di creazio-ne e di redenzione, ella esercita in qualche guisa questisublimi uffici, e risponde per ambo i versi alla dottrinache la compenetra, e alla classica contrada che n’è il ri-sedio più illustre. La monarchia cattolica è creatrice,poichè compose e allattò le varie nazioni della culta Eu-ropa, e dotolle della squisita civiltà loro; secondo sivede aver fatto in Francia, nella Spagna, nell’Inghilterra,dove l’unità e la potenza nazionale, covate all’ombra deitempli, emersero finalmente dal grembo del principato.Non conosco repubblica cristiana che abbia fatto grancosa per l’incivilimento, salvo quelle dell’Italia guelfa, esovratutto Firenze; le quali partecipavano della monar-chia, poichè il Pontefice n’era moderatore e pacificatoresupremo, eziandio negli ordini civili. Il genio monarcaleè talmente connaturato alla nostra stirpe, che non vennemeno, anche quando ella visse a popolo fra le tenebredel gentilesimo, e velò il nome regio sotto quelli di Lu-cumone, di Console e altri somiglianti. La monarchiacattolica è altresì redentrice, perchè sola riscuote le na-zioni dall’anarchia della barbarie e delle rivoluzioni, ri-conduce la pace e l’armonia negli stati discordi e tumul-tuanti; e mitiga persino gli effetti della conquista, chesuol essere molto più funesta alla libertà dei vinti, quan-do libero e retto a stato plebeo è il popolo conquistatore.

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Cenno sulla storia della monarchia cristiana e sulle suevicissitudini.

Tal è la forma o idea della monarchia, che venne dalCristianesimo, quasi per mano d’Italia, inaugurata inEuropa, e che è, senza alcun fallo, dopo il sacerdozio,l’instituzione più benemerita del moderno incivilimento.La quale, cominciando a verificare quel regno ideale so-gnato dagli antichi, in cui la filosofia è principe, fu inorigine una semplice applicazione civile degli statuti ec-clesiastici; onde lo Stato ebbe il suo vescovo esteriorenel re, e i suoi sinodi negli stamenti e nelle diete. La ge-nesi dei componenti politici e la lor dipendenza dai reli-giosi si scorge segnatamente nella sagra episcopale deiprincipi, nel vassallaggio loro verso il pontefice, e nelgrado che i prelati occupavano fra i varii ordini delle as-semblee civili; le quali erano talvolta immedesimatecolle ecclesiastiche, come si può vedere segnatamentenei sinodi toletani1. Così presso i popoli ortodossi lo

1 Non sarà forse discaro a chi legge il vedere come si parli del potere civiledei papi nel medio evo da uno statista acattolico, nostro coetaneo. Credoinutile l’avvertire, rispetto ad alcune voci da lui usate, che quella, peresempio, di superstizione, giusta il dizionario protestante e moderno, sino-nimizza con religione, secondo il vocabolario cattolico e antico; laondenon dee dar noia all’oculato lettore.«The authority which superstition allowed the Papal See to usurp, was oc-

casionally exercised in settling disputes betweeu nations. The assemblyof deputed representatives from the different Christian States, gave to theæcumenical councils the composition of a sort of European congress. Be-sides the settlement of articles of faith, and the deposition or excommun-nication of princes determined in the councils, there are distinct examplesin which the Pope was made referee in questions of international contro-versy. At the council of Lyons, convened by Gregory X, in 1274, the ina-

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Cenno sulla storia della monarchia cristiana e sulle suevicissitudini.

Tal è la forma o idea della monarchia, che venne dalCristianesimo, quasi per mano d’Italia, inaugurata inEuropa, e che è, senza alcun fallo, dopo il sacerdozio,l’instituzione più benemerita del moderno incivilimento.La quale, cominciando a verificare quel regno ideale so-gnato dagli antichi, in cui la filosofia è principe, fu inorigine una semplice applicazione civile degli statuti ec-clesiastici; onde lo Stato ebbe il suo vescovo esteriorenel re, e i suoi sinodi negli stamenti e nelle diete. La ge-nesi dei componenti politici e la lor dipendenza dai reli-giosi si scorge segnatamente nella sagra episcopale deiprincipi, nel vassallaggio loro verso il pontefice, e nelgrado che i prelati occupavano fra i varii ordini delle as-semblee civili; le quali erano talvolta immedesimatecolle ecclesiastiche, come si può vedere segnatamentenei sinodi toletani1. Così presso i popoli ortodossi lo

1 Non sarà forse discaro a chi legge il vedere come si parli del potere civiledei papi nel medio evo da uno statista acattolico, nostro coetaneo. Credoinutile l’avvertire, rispetto ad alcune voci da lui usate, che quella, peresempio, di superstizione, giusta il dizionario protestante e moderno, sino-nimizza con religione, secondo il vocabolario cattolico e antico; laondenon dee dar noia all’oculato lettore.«The authority which superstition allowed the Papal See to usurp, was oc-

casionally exercised in settling disputes betweeu nations. The assemblyof deputed representatives from the different Christian States, gave to theæcumenical councils the composition of a sort of European congress. Be-sides the settlement of articles of faith, and the deposition or excommun-nication of princes determined in the councils, there are distinct examplesin which the Pope was made referee in questions of international contro-versy. At the council of Lyons, convened by Gregory X, in 1274, the ina-

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Stato fu da principio incorporato colla Chiesa e nonebbe che assai più tardi una sussistenza e una vita pro-pria, come appo gli eterodossi la casta dei militi fu inorigine confusa con quella dei sacerdoti, e come in tuttigli ordini della vita organica, dal frutto della pianta sinoal feto del viviparo, il generato è da prima congiunto colgenerante, fa seco un solo individuo, benchè a poco apoco in appresso se ne sequestri. Ma la materia in cui ilCristianesimo impresse la sua forma, riuscendo in gran

bitants of Ancona having contested the right of the Venetians to levytolls, and exercise others rights of exclusive dominion, in the Adriatic,the question was referred to the Pope, and was discussed: judgment wasgiven, that the inhabitans of Ancona had no grounds for their complaints,and that the Venetians were possessed of the sovereignty of the Adriatic.None of the ambassadors or princes present at the council objected to thedecision; but the judgment passed without any protest respecting its vali-dity. (SELDEN, De Dominio maris, I, chap. XVI). And decisions on que-stions between nations were given by the Pope individually unassìsted bysuch councils; as for instance, when the Spaniards were pushing their di-scoveries in the west, and the Portuguese in the east, these two nationsreferred to the Pope for limits in case their exploring parties should claimthe same territories, and Alexander VI, accordingly gave them in his welknown bull, a line of demarcation. There are other notorious instances inwhich the Pope interfered in forbidding wars, and in permitting con-quests: our own possession of Ireland having commenced under the lattersanction. The advantage that might have been derived from this papal in-terference would habe been very great had it been an authority exercisedfor justice, instead of abused for ambition, So great a mind as that ofLeibnitz. (OPERA, Genevae, 1768, IV, 330, 331), was struck with the avai-lability of such a power to promote iustice among Christian nations, tothe extent of desiring that the Pope, conjointly with the emperor, shouldstill have the power of deciding questions among the European govern-ments». (OKE MANNING, Commentaries on the Law of nations. London,1839, pagg. 10-11).

L’autore aggiunge qualche obbiezioncella contro il parere del Leibniz, allaquale credo di aver risposto sufficientemente nel testo. [G.].

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Stato fu da principio incorporato colla Chiesa e nonebbe che assai più tardi una sussistenza e una vita pro-pria, come appo gli eterodossi la casta dei militi fu inorigine confusa con quella dei sacerdoti, e come in tuttigli ordini della vita organica, dal frutto della pianta sinoal feto del viviparo, il generato è da prima congiunto colgenerante, fa seco un solo individuo, benchè a poco apoco in appresso se ne sequestri. Ma la materia in cui ilCristianesimo impresse la sua forma, riuscendo in gran

bitants of Ancona having contested the right of the Venetians to levytolls, and exercise others rights of exclusive dominion, in the Adriatic,the question was referred to the Pope, and was discussed: judgment wasgiven, that the inhabitans of Ancona had no grounds for their complaints,and that the Venetians were possessed of the sovereignty of the Adriatic.None of the ambassadors or princes present at the council objected to thedecision; but the judgment passed without any protest respecting its vali-dity. (SELDEN, De Dominio maris, I, chap. XVI). And decisions on que-stions between nations were given by the Pope individually unassìsted bysuch councils; as for instance, when the Spaniards were pushing their di-scoveries in the west, and the Portuguese in the east, these two nationsreferred to the Pope for limits in case their exploring parties should claimthe same territories, and Alexander VI, accordingly gave them in his welknown bull, a line of demarcation. There are other notorious instances inwhich the Pope interfered in forbidding wars, and in permitting con-quests: our own possession of Ireland having commenced under the lattersanction. The advantage that might have been derived from this papal in-terference would habe been very great had it been an authority exercisedfor justice, instead of abused for ambition, So great a mind as that ofLeibnitz. (OPERA, Genevae, 1768, IV, 330, 331), was struck with the avai-lability of such a power to promote iustice among Christian nations, tothe extent of desiring that the Pope, conjointly with the emperor, shouldstill have the power of deciding questions among the European govern-ments». (OKE MANNING, Commentaries on the Law of nations. London,1839, pagg. 10-11).

L’autore aggiunge qualche obbiezioncella contro il parere del Leibniz, allaquale credo di aver risposto sufficientemente nel testo. [G.].

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parte, come barbara che era, sorda e ribelle alla manoindustre e potente dell’artefice, il lavoro che emerse fuimperfetto; come accade ogni qual volta la forza finitanon è padroneggiata interamente dal suo tipo. E questopredominio del tipo sui materiali greggi, in cui s’incar-na, è sempre mai difettuoso nella vita attuale dell’uni-verso; onde nasce l’esistenza del male in ogni genere, eoltre la perfettibilità meramente esplicativa e filosofica,il progresso curativo e terapeutico delle esistenze. Ilquale mira, non solo ad accrescere la vita, ma a vincereil morbo, che la combatte; morbo che, in ordine al vive-re comune degli uomini, consiste nella barbarie. La sto-ria europea, dal medio evo in poi, è una pugna continuafra la barbarie gentilesca e la civiltà cristiana, fra la vec-chia materia restìa e la nuova forma, fra l’eterodossia,abbattuta, ma tendente a rivivere, e l’ortodossia, aspi-rante a un assoluto dominio e a regnar sola nel mondo:giacchè i termini paralleli delle due serie s’immedesima-no sostanzialmente fra loro. Quindi provenne il conflittodel potere ieratico colla monarchia, o più tosto colla ma-teria in cui s’individuava l’ideale del governo cristiano;imperocchè un solo dei principii gareggianti era forma-le, ripugnando che l’Idea seco stessa discordi. Il che nonsi avverte da coloro, che stimano l’imperio cattolico op-posto e riluttante di sua natura al sacerdozio; giacchèunico essendo il modello ideale di entrambi, l’imperiodovrebbe in tal caso dissentire da sè medesimo. La pu-gna reciproca delle idee, come le contrarietà dialettichee intestine della ragione, sono soltanto apparenti: il con-

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parte, come barbara che era, sorda e ribelle alla manoindustre e potente dell’artefice, il lavoro che emerse fuimperfetto; come accade ogni qual volta la forza finitanon è padroneggiata interamente dal suo tipo. E questopredominio del tipo sui materiali greggi, in cui s’incar-na, è sempre mai difettuoso nella vita attuale dell’uni-verso; onde nasce l’esistenza del male in ogni genere, eoltre la perfettibilità meramente esplicativa e filosofica,il progresso curativo e terapeutico delle esistenze. Ilquale mira, non solo ad accrescere la vita, ma a vincereil morbo, che la combatte; morbo che, in ordine al vive-re comune degli uomini, consiste nella barbarie. La sto-ria europea, dal medio evo in poi, è una pugna continuafra la barbarie gentilesca e la civiltà cristiana, fra la vec-chia materia restìa e la nuova forma, fra l’eterodossia,abbattuta, ma tendente a rivivere, e l’ortodossia, aspi-rante a un assoluto dominio e a regnar sola nel mondo:giacchè i termini paralleli delle due serie s’immedesima-no sostanzialmente fra loro. Quindi provenne il conflittodel potere ieratico colla monarchia, o più tosto colla ma-teria in cui s’individuava l’ideale del governo cristiano;imperocchè un solo dei principii gareggianti era forma-le, ripugnando che l’Idea seco stessa discordi. Il che nonsi avverte da coloro, che stimano l’imperio cattolico op-posto e riluttante di sua natura al sacerdozio; giacchèunico essendo il modello ideale di entrambi, l’imperiodovrebbe in tal caso dissentire da sè medesimo. La pu-gna reciproca delle idee, come le contrarietà dialettichee intestine della ragione, sono soltanto apparenti: il con-

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trasto effettivo non corre che fra la mente e il senso, iconcetti e i fenomeni, la forma individuante e la materiache la riceve. La qual materia, rispetto alle instituzionicivili in genere, è riposta nella natura dell’uomo, corrot-ta universalmente; ma riguardo a quelle che incomincia-rono nel medio evo, consisteva nella stirpe mista deiTeutopelasghi, tanto più restìa alle impressioni cattoli-che, quanto che constava di due elementi etnografici,l’uno ammollito dalla civiltà floscia e degenere del poli-teismo latinogreco, l’altro indurato dalla fiera selvati-chezza del culto di Odino1. Finchè il sacerdozio educa-tore si conservò immacolato, le buone arti trionfarono, eil principio formale prevalse; ma quando sottentraronoalcuni papi deboli e sventuratamente tristi o men buonidei precessori, la barbarie inviscerata nei popoli ebbe ilsopravvento, e la monarchia novella retrocesse verso ilgentilesimo. Questo moto regressivo cominciò con Fi-lippo il Bello, fu mutato da Carlo quinto, e condotto alcolmo da Ludovico quartodecimo e dal suo successore;tanto che nei quattro secoli corsi dalla servitù avignone-se alla rivoluzione di Francia, il principato europeo, de-posto a poco a poco il suo volto cattolico, ritornò infor-me e paganico come era stato anticamente. Il primo pas-so dell’apostasia de’ troni fu la distruzione dell’arbitratopontificale; per la quale il primato d’Italia venne meno,l’unità di Europa fu rotta, smembrato il gran corpo dellaCristianità universale, ridotto il gius delle genti ad1 Odino, o Wodan, è il principe degli Dei del popolo tedesco. Confrontare R.

MINUTTI, Mitologia tedesca, Milano, 1910, pagg. 27-40.

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trasto effettivo non corre che fra la mente e il senso, iconcetti e i fenomeni, la forma individuante e la materiache la riceve. La qual materia, rispetto alle instituzionicivili in genere, è riposta nella natura dell’uomo, corrot-ta universalmente; ma riguardo a quelle che incomincia-rono nel medio evo, consisteva nella stirpe mista deiTeutopelasghi, tanto più restìa alle impressioni cattoli-che, quanto che constava di due elementi etnografici,l’uno ammollito dalla civiltà floscia e degenere del poli-teismo latinogreco, l’altro indurato dalla fiera selvati-chezza del culto di Odino1. Finchè il sacerdozio educa-tore si conservò immacolato, le buone arti trionfarono, eil principio formale prevalse; ma quando sottentraronoalcuni papi deboli e sventuratamente tristi o men buonidei precessori, la barbarie inviscerata nei popoli ebbe ilsopravvento, e la monarchia novella retrocesse verso ilgentilesimo. Questo moto regressivo cominciò con Fi-lippo il Bello, fu mutato da Carlo quinto, e condotto alcolmo da Ludovico quartodecimo e dal suo successore;tanto che nei quattro secoli corsi dalla servitù avignone-se alla rivoluzione di Francia, il principato europeo, de-posto a poco a poco il suo volto cattolico, ritornò infor-me e paganico come era stato anticamente. Il primo pas-so dell’apostasia de’ troni fu la distruzione dell’arbitratopontificale; per la quale il primato d’Italia venne meno,l’unità di Europa fu rotta, smembrato il gran corpo dellaCristianità universale, ridotto il gius delle genti ad1 Odino, o Wodan, è il principe degli Dei del popolo tedesco. Confrontare R.

MINUTTI, Mitologia tedesca, Milano, 1910, pagg. 27-40.

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un’ombra o un cadavero, sostituito il despotismo alla si-gnoria civile, e gittati i semi delle future rivoluzioni.Questo stato di cose andò crescendo fino a colui che,immolando la Francia a sè medesimo, pronunciò quelcelebre motto, per fasto regio ed empietà sublime, chefu una professione di panteistico egoismo, inaudita fra ipopoli cristiani1. Imperocchè i fatti non consentono chela sentenza di Luigi s’intenda in modo ragionevole,come se accennasse alla personalità politica dello Stato,ed alla sua effigie esteriore, anzichè all’idea che l’infor-ma; cosicchè la superba parola di chi osò immedesimar-si colla cosa pubblica somiglia alla pretensione di que’filosofi che divinizzano nel proprio animo il principiodell’universo. E le crudeli glorie, i delitti, le laidezze diquel regno tristissimo concorrono a mostrarci chel’orgoglioso monarca si tenea da più che uomo, benchècristiano e cattolico si protestasse; e certo la libertàevangelica dei suoi prelati non era atta a farlo ricredere.Quando la monarchia trasandata fu giunta a tal segno diludibrio, e il principe venne adorato come una teofania oun’apoteosi, essa doveva mancare o il Cristianesimo pe-rire; giacchè le due instituzioni erano divenute troppodiscordi, e le sorti di Europa pendevano incerte fral’Evangelio e il paganesimo d’Oriente. Allora la Provi-denza, sollecita di conservare l’opera sua, squarciò le

1 Il celebre motto è L’état c’est moi col quale Luigi XIV, entrato nel Parla-mento in abito da caccia col frustino in mano, avrebbe risposto alle osser-vazioni del primo presidente che gli parlava degli interessi dello Stato. GliInglesi l’attribuiscono invece alla loro regina Elisabetta.

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un’ombra o un cadavero, sostituito il despotismo alla si-gnoria civile, e gittati i semi delle future rivoluzioni.Questo stato di cose andò crescendo fino a colui che,immolando la Francia a sè medesimo, pronunciò quelcelebre motto, per fasto regio ed empietà sublime, chefu una professione di panteistico egoismo, inaudita fra ipopoli cristiani1. Imperocchè i fatti non consentono chela sentenza di Luigi s’intenda in modo ragionevole,come se accennasse alla personalità politica dello Stato,ed alla sua effigie esteriore, anzichè all’idea che l’infor-ma; cosicchè la superba parola di chi osò immedesimar-si colla cosa pubblica somiglia alla pretensione di que’filosofi che divinizzano nel proprio animo il principiodell’universo. E le crudeli glorie, i delitti, le laidezze diquel regno tristissimo concorrono a mostrarci chel’orgoglioso monarca si tenea da più che uomo, benchècristiano e cattolico si protestasse; e certo la libertàevangelica dei suoi prelati non era atta a farlo ricredere.Quando la monarchia trasandata fu giunta a tal segno diludibrio, e il principe venne adorato come una teofania oun’apoteosi, essa doveva mancare o il Cristianesimo pe-rire; giacchè le due instituzioni erano divenute troppodiscordi, e le sorti di Europa pendevano incerte fral’Evangelio e il paganesimo d’Oriente. Allora la Provi-denza, sollecita di conservare l’opera sua, squarciò le

1 Il celebre motto è L’état c’est moi col quale Luigi XIV, entrato nel Parla-mento in abito da caccia col frustino in mano, avrebbe risposto alle osser-vazioni del primo presidente che gli parlava degli interessi dello Stato. GliInglesi l’attribuiscono invece alla loro regina Elisabetta.

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Page 364: Del primato morale e civile degli italiani · Fa parte di: Del primato morale e civile degli ita-liani / Vincenzo Gioberti ; ... mentali, e creatore della fisica moderna.....294 Del

fonti del grande abisso, e aperse le cateratte1 delle rivo-luzioni e delle conquiste, che qual nuovo diluvio spaz-zarono la terra dai luridi avanzi dell’idolatria civile, eammannirono il suolo alla monarchia ideale, destinata arisorgere sotto i vessilli italici e cristiani. Dico italici ecristiani, perchè, chi penetri addentro nei fatti e risalgaalle idee, il principio evangelico personificato in Romafu il vero pacificatore delle sanguinose discordie, che te-stè turbarono il mondo, e l’auspice avventuroso dell’êra,che incomincia.

Dei varii rami della scienza civile, ein ispecie dell’economia pubblica.

Lo studio speculativo e l’instaurazione pratica di que-sto politico esemplare mi pare lo scopo più degno che sipossano proporre gli uomini dell’età nostra, per ciò chespetta alla scienza e all’uso della vita civile. Gli odiernistatisti pensanti e operanti si possono distinguere in dueclassi; l’una delle quali, lavorando sulle astrazioni, so-gna nei libri una forma di governo democratica e impos-sibile, e cerca di mandarla ad effetto colle congiure ocolle rivolte; l’altra non si cura dell’idea politica, atten-de solo, meditando e procacciando, a perfezionare le ap-partenenze materiali del vivere pubblico, e pensa, comedire al corpo, non all’anima della società. I primi han ra-gione di antiporre l’idea ai fatti; ma cercando tale ideacolle astrattezze, riponendola in ciò che non è, nè può1 Cfr. Liber Genesis, 7, 11. «rupti sunt omnes fontes abyssi magnae, et cata-

ractae caeli apertae sunt».

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fonti del grande abisso, e aperse le cateratte1 delle rivo-luzioni e delle conquiste, che qual nuovo diluvio spaz-zarono la terra dai luridi avanzi dell’idolatria civile, eammannirono il suolo alla monarchia ideale, destinata arisorgere sotto i vessilli italici e cristiani. Dico italici ecristiani, perchè, chi penetri addentro nei fatti e risalgaalle idee, il principio evangelico personificato in Romafu il vero pacificatore delle sanguinose discordie, che te-stè turbarono il mondo, e l’auspice avventuroso dell’êra,che incomincia.

Dei varii rami della scienza civile, ein ispecie dell’economia pubblica.

Lo studio speculativo e l’instaurazione pratica di que-sto politico esemplare mi pare lo scopo più degno che sipossano proporre gli uomini dell’età nostra, per ciò chespetta alla scienza e all’uso della vita civile. Gli odiernistatisti pensanti e operanti si possono distinguere in dueclassi; l’una delle quali, lavorando sulle astrazioni, so-gna nei libri una forma di governo democratica e impos-sibile, e cerca di mandarla ad effetto colle congiure ocolle rivolte; l’altra non si cura dell’idea politica, atten-de solo, meditando e procacciando, a perfezionare le ap-partenenze materiali del vivere pubblico, e pensa, comedire al corpo, non all’anima della società. I primi han ra-gione di antiporre l’idea ai fatti; ma cercando tale ideacolle astrattezze, riponendola in ciò che non è, nè può1 Cfr. Liber Genesis, 7, 11. «rupti sunt omnes fontes abyssi magnae, et cata-

ractae caeli apertae sunt».

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essere, e ricorrendo, per effettuarla, alla frode o alla for-za, strumenti ignobili e propri della barbarie, errano digran lunga. I secondi, più savi, proponendosi uno scopoplausibile, ottengono qualche costrutto; se non che, la-vorando solamente sulla materia dello Stato, trascuran-done il principio formale, dando le prime parti a ciò cheè secondario, anzi riputandolo per solo degno di consi-derazione, non fanno cose che durino, e non fornisconosostanzialmente l’intento loro. Io credo adunque si deb-ba creare una terza scuola, che abbracci con pari studiole idee e i fatti, mantenendo fra loro il debito tempera-mento, ed assegnando a ciascuna delle due parti qualseggio, che dee occupare. La quale, accoppiando insie-me gli spiriti ideali della prima e il genio positivo dellaseconda, sfugga egualmente i loro eccessi, e da un latocerchi l’ottimo nel reale, non nel chimerico, dall’altrolato riponga nell’ideale la realtà suprema, tenendosi lon-tana dai nominali politici, che vanno solo in cacciadell’astratto, e dai sensisti, che non sanno vedere altroconcreto fuorchè quello del senso e della materia1. E misembra che gli Italiani siano più atti di ogni altra nazio-ne a fondare questa civil sapienza, come quelli che ac-coppiano meglio di tutti il senno ideale alla sagacità pra-tica ed osservativa, e posseggono da natura in gradoeminente, se così posso esprimermi, il telescopio dellasintesi e il microscopio del processo analitico. Imperoc-

1 Cfr. il recente scritto di GIOVANNI GENTILE su Il realismo politico di V, G.,fascicoli 2, 16 giugno, vol.II della rivista «La Politica», Roma, 1919, annoI.

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essere, e ricorrendo, per effettuarla, alla frode o alla for-za, strumenti ignobili e propri della barbarie, errano digran lunga. I secondi, più savi, proponendosi uno scopoplausibile, ottengono qualche costrutto; se non che, la-vorando solamente sulla materia dello Stato, trascuran-done il principio formale, dando le prime parti a ciò cheè secondario, anzi riputandolo per solo degno di consi-derazione, non fanno cose che durino, e non fornisconosostanzialmente l’intento loro. Io credo adunque si deb-ba creare una terza scuola, che abbracci con pari studiole idee e i fatti, mantenendo fra loro il debito tempera-mento, ed assegnando a ciascuna delle due parti qualseggio, che dee occupare. La quale, accoppiando insie-me gli spiriti ideali della prima e il genio positivo dellaseconda, sfugga egualmente i loro eccessi, e da un latocerchi l’ottimo nel reale, non nel chimerico, dall’altrolato riponga nell’ideale la realtà suprema, tenendosi lon-tana dai nominali politici, che vanno solo in cacciadell’astratto, e dai sensisti, che non sanno vedere altroconcreto fuorchè quello del senso e della materia1. E misembra che gli Italiani siano più atti di ogni altra nazio-ne a fondare questa civil sapienza, come quelli che ac-coppiano meglio di tutti il senno ideale alla sagacità pra-tica ed osservativa, e posseggono da natura in gradoeminente, se così posso esprimermi, il telescopio dellasintesi e il microscopio del processo analitico. Imperoc-

1 Cfr. il recente scritto di GIOVANNI GENTILE su Il realismo politico di V, G.,fascicoli 2, 16 giugno, vol.II della rivista «La Politica», Roma, 1919, annoI.

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chè (giova il ripeterlo), nel regno naturale degl’intelletti,la pianta dell’ingegno pelasgico si può paragonare aquei vegetabili che nella dovizia dei loro semi rendonoun’imagine più compiuta del tipo primitivo della lorospecie. La politica, considerata come lo studio diun’idea concreta, reale e individuata in una certa mate-ria, riunisce i due elementi del genere e del particolare,dell’essenza e degli accidenti, della teorica e dell’appli-cazione, senza mischiarli, e scarta ad un tempo un mon-do di quistioni, che finora intricarono la scienza; qui-stioni vane in sè stesse, ma dannose alle menti deboli eaccendibili, pel tempo che sciupano, pei desidèri che ec-citano, pei conati che producono, e pel falso indirizzoche dànno alla pratica e alle cognizioni. Laddove la dot-trina civile nei termini sovradescritti risponde al concet-to della scienza in universale; la quale dee essere lo stu-dio speculativo di un tipo, di un’idea, di una forma con-creta e sussistente; come l’arte è l’applicazione di taleinchiesta all’uso pratico. Le varie discipline, che si ag-gruppano intono alla politica, quasi rami di essa, o di-pendenze o appartenenze ausiliari, quali sono le diversespecie del giure e l’economia pubblica, tirano da quellacosì divisata i principii, i dati e il fine dei loro progressi,e quella circoscrizione precisa che le rende vive, sode,fruttuose, le salva dal pericolo di sfumare nel campo ae-reo delle astrazioni e di perdersi in quello dei possibili,ovvero di strisciare ignobilmente e non sapersi levar altoda terra. L’economia civile, che è una scienza sovratuttoitaliana, poichè venne creata, culta, usufruttuata in Italia

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chè (giova il ripeterlo), nel regno naturale degl’intelletti,la pianta dell’ingegno pelasgico si può paragonare aquei vegetabili che nella dovizia dei loro semi rendonoun’imagine più compiuta del tipo primitivo della lorospecie. La politica, considerata come lo studio diun’idea concreta, reale e individuata in una certa mate-ria, riunisce i due elementi del genere e del particolare,dell’essenza e degli accidenti, della teorica e dell’appli-cazione, senza mischiarli, e scarta ad un tempo un mon-do di quistioni, che finora intricarono la scienza; qui-stioni vane in sè stesse, ma dannose alle menti deboli eaccendibili, pel tempo che sciupano, pei desidèri che ec-citano, pei conati che producono, e pel falso indirizzoche dànno alla pratica e alle cognizioni. Laddove la dot-trina civile nei termini sovradescritti risponde al concet-to della scienza in universale; la quale dee essere lo stu-dio speculativo di un tipo, di un’idea, di una forma con-creta e sussistente; come l’arte è l’applicazione di taleinchiesta all’uso pratico. Le varie discipline, che si ag-gruppano intono alla politica, quasi rami di essa, o di-pendenze o appartenenze ausiliari, quali sono le diversespecie del giure e l’economia pubblica, tirano da quellacosì divisata i principii, i dati e il fine dei loro progressi,e quella circoscrizione precisa che le rende vive, sode,fruttuose, le salva dal pericolo di sfumare nel campo ae-reo delle astrazioni e di perdersi in quello dei possibili,ovvero di strisciare ignobilmente e non sapersi levar altoda terra. L’economia civile, che è una scienza sovratuttoitaliana, poichè venne creata, culta, usufruttuata in Italia

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assai prima che Adamo Smith1 pensasse a scrivere sullaricchezza delle nazioni, corre più di ogni altra il pericolodi sequestrar la materia dalla forma, e le idee dai fatti,poggiando alle nubi coll’audacia dell’aquila, o rependonella polvere colla riserva della formica. Di questi dueeccessi, il secondo dee essere più comune in un secolo,che ammette l’esistenza dei corpi per amore delle cedoledi banco, e riderebbe volentieri delle cose impalpabili,se non ci fossero le macchine a vapore. Ma come i sen-sibili non si possono sequestrare dagl’intelligibili, la ric-chezza, sia che si consideri in sè stessa, o se ne cerchil’origine, o se ne mostri l’uso e la distribuzione, non èsolo un fatto, ma un’idea; e nell’elemento ideale consi-ste il vero valore delle cose, e per tal nome s’intendel’attitudine loro a porgere utilità e godimento. Io non sose m’inganni, e ne sto in ogni caso col parer dei periti;ma sono inclinato a credere che il tener poco o niun con-to degl’ingredienti morali della ricchezza sia causa dimolti errori economici, e renda per poco insolubili ungran numero di quistioni. E porto anche opinione chel’aver fatto caso di tali componenti dia su molti articoliuna certa maggioranza alla rozza civiltà del medio evosulla nostra squisitissima; perchè quanto noi nelle cosemateriali soprastiamo ai nostri avoli, tanto nelle più no-bili essi sovente ci avanzavano. E per non uscir

1 Adamo Smith, n. a Kirkaldy nel 1723, m. nel 1790. Il libro a cui deve lasua gloria sono le Ricerche sul carattere e le ragioni della ricchezza dellenazioni che gli hanno fatto ottenere il titolo di creatore dell’economia poli-tica.

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assai prima che Adamo Smith1 pensasse a scrivere sullaricchezza delle nazioni, corre più di ogni altra il pericolodi sequestrar la materia dalla forma, e le idee dai fatti,poggiando alle nubi coll’audacia dell’aquila, o rependonella polvere colla riserva della formica. Di questi dueeccessi, il secondo dee essere più comune in un secolo,che ammette l’esistenza dei corpi per amore delle cedoledi banco, e riderebbe volentieri delle cose impalpabili,se non ci fossero le macchine a vapore. Ma come i sen-sibili non si possono sequestrare dagl’intelligibili, la ric-chezza, sia che si consideri in sè stessa, o se ne cerchil’origine, o se ne mostri l’uso e la distribuzione, non èsolo un fatto, ma un’idea; e nell’elemento ideale consi-ste il vero valore delle cose, e per tal nome s’intendel’attitudine loro a porgere utilità e godimento. Io non sose m’inganni, e ne sto in ogni caso col parer dei periti;ma sono inclinato a credere che il tener poco o niun con-to degl’ingredienti morali della ricchezza sia causa dimolti errori economici, e renda per poco insolubili ungran numero di quistioni. E porto anche opinione chel’aver fatto caso di tali componenti dia su molti articoliuna certa maggioranza alla rozza civiltà del medio evosulla nostra squisitissima; perchè quanto noi nelle cosemateriali soprastiamo ai nostri avoli, tanto nelle più no-bili essi sovente ci avanzavano. E per non uscir

1 Adamo Smith, n. a Kirkaldy nel 1723, m. nel 1790. Il libro a cui deve lasua gloria sono le Ricerche sul carattere e le ragioni della ricchezza dellenazioni che gli hanno fatto ottenere il titolo di creatore dell’economia poli-tica.

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dell’economia, accennerò solo quattro punti di tema va-stissimo, e di massima importanza per l’età nostra e an-cor più per la futura; e sono la popolazione, le colonie,l’associazione, e l’indirizzo unitario e sovrano della col-tura e dell’industria. Quanto è chiara la gravità dei prin-cipali problemi agitati in questo proposito, tanto mi pareche poco soddisfacciano la più parte delle soluzioni; lequali o danno nel chimerico e non rispondono nella pra-tica come nella speculazione, o sono manchevoli e nons’adeguano ai bisogni della società e della nostra natura.Il che nasce appunto dal trascurare l’elemento ideale, in-separabile dal soggetto di tali ricerche. Laddove i nostribisarcavoli, che non erano schifi, come noi, delle coseche non si possono toccare nè contare, trovarono appun-to nelle idee somministrate loro dalle religiose credenzela risoluzione di tali quesiti; la quale parrà mirabile a chis’interna nelle storie di quei tempi, e sa comprendere laciviltà loro, senza misurarla da quella del nostro secolo.Certo, io sono alienissimo dall’affermare che il celibatovolontario e religioso, la missione, la confraternita e ladittatura pontificale possano oggi sortire un’applicazio-ne e produrre effetti economici simili a quelli dei bassitempi, giacchè le condizioni del nostro incivilimento sene disformano per tanti versi, e sono certo migliori o al-meno più tollerabili. Ma dico che, rifiutando di ricorrerealle fonti ideali, noi non sappiamo supplire alle molteadoperate dai nostri avi, e che la scienza civile che oggicorre, non meno che la filosofica, è più atta a mettere inluce le contrarietà e le malagevolezze, che a comporle

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dell’economia, accennerò solo quattro punti di tema va-stissimo, e di massima importanza per l’età nostra e an-cor più per la futura; e sono la popolazione, le colonie,l’associazione, e l’indirizzo unitario e sovrano della col-tura e dell’industria. Quanto è chiara la gravità dei prin-cipali problemi agitati in questo proposito, tanto mi pareche poco soddisfacciano la più parte delle soluzioni; lequali o danno nel chimerico e non rispondono nella pra-tica come nella speculazione, o sono manchevoli e nons’adeguano ai bisogni della società e della nostra natura.Il che nasce appunto dal trascurare l’elemento ideale, in-separabile dal soggetto di tali ricerche. Laddove i nostribisarcavoli, che non erano schifi, come noi, delle coseche non si possono toccare nè contare, trovarono appun-to nelle idee somministrate loro dalle religiose credenzela risoluzione di tali quesiti; la quale parrà mirabile a chis’interna nelle storie di quei tempi, e sa comprendere laciviltà loro, senza misurarla da quella del nostro secolo.Certo, io sono alienissimo dall’affermare che il celibatovolontario e religioso, la missione, la confraternita e ladittatura pontificale possano oggi sortire un’applicazio-ne e produrre effetti economici simili a quelli dei bassitempi, giacchè le condizioni del nostro incivilimento sene disformano per tanti versi, e sono certo migliori o al-meno più tollerabili. Ma dico che, rifiutando di ricorrerealle fonti ideali, noi non sappiamo supplire alle molteadoperate dai nostri avi, e che la scienza civile che oggicorre, non meno che la filosofica, è più atta a mettere inluce le contrarietà e le malagevolezze, che a comporle

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ed a superarle. E ragionevolmente; perchè l’arte sovra-na, che rimuove gli ostacoli e concilia gli opposti, nonpuò altrove trovarsi che nella religione.

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ed a superarle. E ragionevolmente; perchè l’arte sovra-na, che rimuove gli ostacoli e concilia gli opposti, nonpuò altrove trovarsi che nella religione.

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VI. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLA MOLTIPLICEERUDIZIONE E NELLA STORIA.

Nel culto di esse la stirpe pelasgica èsuperiore a tutte le altre schiatte.Dell’orientalità e suoi vantaggi.

L’erudizione, che largamente intesa è la notizia delleopere artifiziali degli uomini, comprende la filologia el’archeologia, cioè le lingue e i monumenti, e si collegacolla storia versante sui fatti transitori e stabili di quelli,vale a dire sugli eventi e sulle instituzioni. Amenduequeste discipline, investigando e descrivendo gli effettiesteriori dell’arbitrio umano, s’intrecciano colla scienzadel teatro in cui esso arbitrio si esercita e produce i suoilavori, e dell’oriuolo, che ne misura la successione, cioèdello spazio e del tempo tellurico; onde nascono la geo-grafia e la cronologia, che sono, come altri disse inge-gnosamente, i due occhi della storia. La geografia studialo spazio terrestre, non solo per modo astratto e geome-trico, considerandolo come un composto di parti simila-ri, ma eziandio nella sua varietà e concretezza, come unconserto armonico di forze cosmiche connesse colle sor-ti dell’uomo, che parte loro ubbidisce, e parte le signo-reggia; quindi ella abbraccia l’orografia, l’idrografia, lametereologia, la geologia, la mineralogia, la botanica, lazoologia, che, studiate nelle loro attinenze col genereumano, formano, come dire, la fisica della storia, nello

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VI. – L’ITALIA È PRINCIPE NELLA MOLTIPLICEERUDIZIONE E NELLA STORIA.

Nel culto di esse la stirpe pelasgica èsuperiore a tutte le altre schiatte.Dell’orientalità e suoi vantaggi.

L’erudizione, che largamente intesa è la notizia delleopere artifiziali degli uomini, comprende la filologia el’archeologia, cioè le lingue e i monumenti, e si collegacolla storia versante sui fatti transitori e stabili di quelli,vale a dire sugli eventi e sulle instituzioni. Amenduequeste discipline, investigando e descrivendo gli effettiesteriori dell’arbitrio umano, s’intrecciano colla scienzadel teatro in cui esso arbitrio si esercita e produce i suoilavori, e dell’oriuolo, che ne misura la successione, cioèdello spazio e del tempo tellurico; onde nascono la geo-grafia e la cronologia, che sono, come altri disse inge-gnosamente, i due occhi della storia. La geografia studialo spazio terrestre, non solo per modo astratto e geome-trico, considerandolo come un composto di parti simila-ri, ma eziandio nella sua varietà e concretezza, come unconserto armonico di forze cosmiche connesse colle sor-ti dell’uomo, che parte loro ubbidisce, e parte le signo-reggia; quindi ella abbraccia l’orografia, l’idrografia, lametereologia, la geologia, la mineralogia, la botanica, lazoologia, che, studiate nelle loro attinenze col genereumano, formano, come dire, la fisica della storia, nello

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stesso modo che la geodesia e la cronologia ne costitui-scono la matematica. Le sole stirpi letterate della gentili-tà che abbiano largamente abbracciate l’erudizione e lastoria, e il cui merito in queste parti possa essere da noimisurato, sono i Cinesi e i Pelasghi; giacchè le genti tol-teche di America non andarono più là dei rudimenti; ipopoli samanei e bramanici mancarono del senso criti-co, e confusero troppo spesso le favole coi fatti; gli Ara-bi appartengono a un’età quasi moderna e ritrassero daiGreci; dei Nabatei mesopotamici e primitivi non si hache un’oscura reminiscenza; e finalmente non sappiamoquanto valessero in questa parte i Magi, i Caldei e iSabi, essendo perite quasi tutte le loro memorie. Ma iCinesi non sono comparabili agl’Italogreci per molti ri-spetti, e sovratutto per l’ampiezza delle cognizioni;giacchè il saper che posseggono non esce mai dallaCina, che è tutto il loro mondo; onde non solo nei loroscritti non v’ha nulla di cosmopolitico, ma ci manca, aldir dei sinologi, quella larghezza, altezza e fecondità fi-losofica di concetti che può solo nascere dalla contezzadi un gran numero di fatti lontani e diversi, insieme pa-ragonati. Così, per quanto a senno dei buoni giudici siaeminente il merito, verbigrazia, di Sematsiàn e di Ma-tuanlìn, l’uno storico e l’altro erudito e antiquario insi-gne, essi debbono sottostar di gran lunga per l’estensiondel sapere a Erodoto e Strabone, comechè di critico acu-me e di profondità gli pareggino per avventura od anchegli avanzino. Ora questa nota di universalità nell’erudi-zione, propria dell’ingegno pelasgico, la quale cominciò

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stesso modo che la geodesia e la cronologia ne costitui-scono la matematica. Le sole stirpi letterate della gentili-tà che abbiano largamente abbracciate l’erudizione e lastoria, e il cui merito in queste parti possa essere da noimisurato, sono i Cinesi e i Pelasghi; giacchè le genti tol-teche di America non andarono più là dei rudimenti; ipopoli samanei e bramanici mancarono del senso criti-co, e confusero troppo spesso le favole coi fatti; gli Ara-bi appartengono a un’età quasi moderna e ritrassero daiGreci; dei Nabatei mesopotamici e primitivi non si hache un’oscura reminiscenza; e finalmente non sappiamoquanto valessero in questa parte i Magi, i Caldei e iSabi, essendo perite quasi tutte le loro memorie. Ma iCinesi non sono comparabili agl’Italogreci per molti ri-spetti, e sovratutto per l’ampiezza delle cognizioni;giacchè il saper che posseggono non esce mai dallaCina, che è tutto il loro mondo; onde non solo nei loroscritti non v’ha nulla di cosmopolitico, ma ci manca, aldir dei sinologi, quella larghezza, altezza e fecondità fi-losofica di concetti che può solo nascere dalla contezzadi un gran numero di fatti lontani e diversi, insieme pa-ragonati. Così, per quanto a senno dei buoni giudici siaeminente il merito, verbigrazia, di Sematsiàn e di Ma-tuanlìn, l’uno storico e l’altro erudito e antiquario insi-gne, essi debbono sottostar di gran lunga per l’estensiondel sapere a Erodoto e Strabone, comechè di critico acu-me e di profondità gli pareggino per avventura od anchegli avanzino. Ora questa nota di universalità nell’erudi-zione, propria dell’ingegno pelasgico, la quale cominciò

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a spuntare nella Magna Grecia coi Pitagorici, valicònell’Asia ellenica col grande storico di Alicarnasso1,passò nell’Attica e nella Macedonia con Platone, Aristo-tile e Teofrasto, e si trasferì in Alessandria con DemetrioFalereo, venne finalmente riportata in Italia, dove rifulsein Catone, Varrone e Plinio, tre uomini enciclopedici, incui la tempra audace e forte del romano ingegno si volseal conquisto delle dottrine. E quando la barbarie com-prese tutta Europa, l’Italia fu la sola provincia in cui leprische memorie campassero in parte dall’universalenaufragio, in cui la tradizione della storia e delle linguecolte non fosse affatto interrotta; onde essa potè avereper due volte il vanto datole dal Machiavelli di risusci-tare le cose morte2, non solo raccogliendo e ricompo-nendo i frammenti dell’antichità dispersa colla pazienzadei meccanici, ma riorganandola e infondendo in essauna novella vita colla vena creatrice degli artisti. E vera-mente i ristoratori dell’erudizione antica furono anco ifondatori delle lettere moderne: chè, senza parlare diDante, unico in tutta la successione dei secoli, il Petrar-ca e il Boccaccio, portenti di moltiplice e faticosa dottri-na, recarono insieme ad alto segno di perfezione la liricae la prosa illustre d’Italia. Ma la parte più pellegrina del-la poligrafia moderna, ignota agli antichi Occidentali, èlo studio delle lettere e degl’idiomi d’Oriente; il qualestudio nacque ad un parto colle missioni dagl’istinti uni-versali del Cristianesimo, e fu culto, educato, accresciu-1 Accenna ad Erodoto, nativo di Alicarnasso.2 Arte della guerra, lib. VII.

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a spuntare nella Magna Grecia coi Pitagorici, valicònell’Asia ellenica col grande storico di Alicarnasso1,passò nell’Attica e nella Macedonia con Platone, Aristo-tile e Teofrasto, e si trasferì in Alessandria con DemetrioFalereo, venne finalmente riportata in Italia, dove rifulsein Catone, Varrone e Plinio, tre uomini enciclopedici, incui la tempra audace e forte del romano ingegno si volseal conquisto delle dottrine. E quando la barbarie com-prese tutta Europa, l’Italia fu la sola provincia in cui leprische memorie campassero in parte dall’universalenaufragio, in cui la tradizione della storia e delle linguecolte non fosse affatto interrotta; onde essa potè avereper due volte il vanto datole dal Machiavelli di risusci-tare le cose morte2, non solo raccogliendo e ricompo-nendo i frammenti dell’antichità dispersa colla pazienzadei meccanici, ma riorganandola e infondendo in essauna novella vita colla vena creatrice degli artisti. E vera-mente i ristoratori dell’erudizione antica furono anco ifondatori delle lettere moderne: chè, senza parlare diDante, unico in tutta la successione dei secoli, il Petrar-ca e il Boccaccio, portenti di moltiplice e faticosa dottri-na, recarono insieme ad alto segno di perfezione la liricae la prosa illustre d’Italia. Ma la parte più pellegrina del-la poligrafia moderna, ignota agli antichi Occidentali, èlo studio delle lettere e degl’idiomi d’Oriente; il qualestudio nacque ad un parto colle missioni dagl’istinti uni-versali del Cristianesimo, e fu culto, educato, accresciu-1 Accenna ad Erodoto, nativo di Alicarnasso.2 Arte della guerra, lib. VII.

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to in Roma e in altre parti della cattolicità, per opera so-vratutto dei sommi pontefici, più secoli prima che la po-liglotta e cosmopolitica Propaganda riducesse l’erudi-zione orientale a maturità di sistema, la riunisse all’apo-stolato, ne facesse uno strumento di civiltà e di religio-ne, e rinnovasse in un certo modo i prodigi del Cenaco-lo, pubblicando gli oracoli del divino Spirito moltiplicatiin tutte le lingue. Nel secolo terzodecimo RaimondoLullo1 diede un forte impulso a tali lucubrazioni, e fu, sipuò dire, il creatore dell’orientalismo; uomo d’ingegnostraordinario, di coraggio invincibile, di universale dot-trina, secondo i suoi tempi, che, nato sulle acque medi-terranee fra l’Affrica e l’Europa, presentì il concetto diGregorio quindecimo, e volle congiungere l’Orientecoll’Occidente nell’unità della fede col commercio deipensieri e col vincolo delle favelle. Mosso da’ suoi con-sigli Clemente quinto fondò a Roma nel 1311 l’insegna-mento del greco, dell’ebraico, dell’arabico, del siriaco, eGiaime secondo, re di Maiorca, Filippo il Bello, re diFrancia, lo instituirono in Palma e in Parigi. E comeRoma precesse alle altre nazioni letterate nella cognizio-ne dei parlari semitici, così ella diede all’Europa la chia-ve delle altre famiglie etnografiche; giacchè la primacontezza, che si ebbe del cinese, del giapponese, del ti-betano, del sànscrito, dell’annamitico, e della sterminatacaterva delle lingue affricane e americane, provenne dai

1 Raimondo Lullo nacque a Palma verso il 1235, m. nel 1315, recandosi permare a Maiorca. Cfr. BRAMBACH, Des Raimondus L. Leben und Werke inBildern des 14, Jahrh., Karlsruhe, 1893.

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to in Roma e in altre parti della cattolicità, per opera so-vratutto dei sommi pontefici, più secoli prima che la po-liglotta e cosmopolitica Propaganda riducesse l’erudi-zione orientale a maturità di sistema, la riunisse all’apo-stolato, ne facesse uno strumento di civiltà e di religio-ne, e rinnovasse in un certo modo i prodigi del Cenaco-lo, pubblicando gli oracoli del divino Spirito moltiplicatiin tutte le lingue. Nel secolo terzodecimo RaimondoLullo1 diede un forte impulso a tali lucubrazioni, e fu, sipuò dire, il creatore dell’orientalismo; uomo d’ingegnostraordinario, di coraggio invincibile, di universale dot-trina, secondo i suoi tempi, che, nato sulle acque medi-terranee fra l’Affrica e l’Europa, presentì il concetto diGregorio quindecimo, e volle congiungere l’Orientecoll’Occidente nell’unità della fede col commercio deipensieri e col vincolo delle favelle. Mosso da’ suoi con-sigli Clemente quinto fondò a Roma nel 1311 l’insegna-mento del greco, dell’ebraico, dell’arabico, del siriaco, eGiaime secondo, re di Maiorca, Filippo il Bello, re diFrancia, lo instituirono in Palma e in Parigi. E comeRoma precesse alle altre nazioni letterate nella cognizio-ne dei parlari semitici, così ella diede all’Europa la chia-ve delle altre famiglie etnografiche; giacchè la primacontezza, che si ebbe del cinese, del giapponese, del ti-betano, del sànscrito, dell’annamitico, e della sterminatacaterva delle lingue affricane e americane, provenne dai

1 Raimondo Lullo nacque a Palma verso il 1235, m. nel 1315, recandosi permare a Maiorca. Cfr. BRAMBACH, Des Raimondus L. Leben und Werke inBildern des 14, Jahrh., Karlsruhe, 1893.

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missionari. Che se ai dì nostri la palma di questi studi ciè tolta dagli oltramontani, vedesi e nel fervore di parec-chi ingegni italiani a coltivarli, e nella protezione cheloro concedono alcuni dei nostri governi, l’intenzione direstituircela. Certo, nulla è più atto di tali ricerche (checerti spiritocchi gridano inutili) a ravvivare e ringiovani-re i pensieri della vecchia Italia; perché dall’Oriente,culla dell’uman genere prima e dopo il diluvio, patriadel Giudaismo e del Cristianesimo, archivio delle anti-che tradizioni e delle prime memorie, semenzaio inesau-sto d’idee e di poesia, nacque sempre la luce di Occi-dente; e anche oggi se ne posson dedurre molti rivi salu-tiferi. Lascio stare che nei termini a cui sono giunte lescienze al dì d’oggi, la storia, la filosofia e la religionenon possono più passarsi delle cognizioni orientali; etutto ciò che ci vien di là, riportandoci alle origini e qua-si ad un altro mondo, è utilissimo a destare l’ingegno el’immaginazione.

Vizi opposti della erudizione ipotetica e della erudizioneempirica.

Per cansarli, la storia si dee fondare sopra una scienza ideale.

Benchè l’Oriente sia una cava preziosa di notizie pel-legrine e moltiformi, si può dire ch’egli è a sè stesso unlibro chiuso e suggellato, un enigma insolubile, un arca-no inesplicabile, di cui l’Occidente solo ha la chiave; ilche è vero egualmente di ogni altra erudizione e di tuttal’istoria. Imperocchè la chiave dei fatti consiste nelleidee, e quella dei progressi e delle vicende risiede nelle

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missionari. Che se ai dì nostri la palma di questi studi ciè tolta dagli oltramontani, vedesi e nel fervore di parec-chi ingegni italiani a coltivarli, e nella protezione cheloro concedono alcuni dei nostri governi, l’intenzione direstituircela. Certo, nulla è più atto di tali ricerche (checerti spiritocchi gridano inutili) a ravvivare e ringiovani-re i pensieri della vecchia Italia; perché dall’Oriente,culla dell’uman genere prima e dopo il diluvio, patriadel Giudaismo e del Cristianesimo, archivio delle anti-che tradizioni e delle prime memorie, semenzaio inesau-sto d’idee e di poesia, nacque sempre la luce di Occi-dente; e anche oggi se ne posson dedurre molti rivi salu-tiferi. Lascio stare che nei termini a cui sono giunte lescienze al dì d’oggi, la storia, la filosofia e la religionenon possono più passarsi delle cognizioni orientali; etutto ciò che ci vien di là, riportandoci alle origini e qua-si ad un altro mondo, è utilissimo a destare l’ingegno el’immaginazione.

Vizi opposti della erudizione ipotetica e della erudizioneempirica.

Per cansarli, la storia si dee fondare sopra una scienza ideale.

Benchè l’Oriente sia una cava preziosa di notizie pel-legrine e moltiformi, si può dire ch’egli è a sè stesso unlibro chiuso e suggellato, un enigma insolubile, un arca-no inesplicabile, di cui l’Occidente solo ha la chiave; ilche è vero egualmente di ogni altra erudizione e di tuttal’istoria. Imperocchè la chiave dei fatti consiste nelleidee, e quella dei progressi e delle vicende risiede nelle

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origini. Niuno creda di poter esplicare i fatti e trovare leleggi che li governano, senza levarsi sopra di essi; niunoaspiri a dichiarare i principii e le cagioni degli eventi,senza risalir più alto che i tempi a cui tali eventi appar-tengono. Ora la scienza delle idee e delle origini, che siriepiloga nel principio di creazione, non si trova presso ipopoli eterodossi; e fra quelli che custodirono il vero or-todosso, niuno la possiede così a compimento, come lanazione ideale e creatrice, a cui l’Europa dee saper gra-do di ogni sua cultura. Ma tale scienza è oggi neglettaper un costume invecchiato da due secoli, e nato dalCartesianismo; il quale non infettò meno gli studi poli-storici, che guastasse gli speculativi. Imperocchè dalDescartes in poi, l’erudizione e la storia, specialmentefuori d’Italia, corsero per due diversi periodi, che daimetodi signoreggianti io chiamerei ipotetico ed empiri-co1. Nel primo periodo si volevano spiegare i fatti, lavo-rando sui presupposti; e questi si toglievano non dai verifonti, ma dall’immaginazione. Quando il vezzo dellecattive ipotesi, giunto al colmo, come accade, diventòridicolo, i savi avvisarono la necessità di dare un indiriz-zo più prudente alle ricerche degli studiosi, introducen-dovi il metodo osservativo o sperimentale, applicato contanta felicità alle scienze fisiche da Galileo e dagli acca-

1 Ipotetico, in generale si riferisce a tutto ciò che è supposto arbitrariamente,che ha bisogno cli essere dimostrato con prove. Empirico si dice ciò cheappartiene all’esperienza, sia esterna che interna; si oppone quindi a inna-to, razionale. Nell’uso kantiano empirico si contrappone a puro e indicaciò che nella esperienza totale non deriva dallo spirito stesso, ma allo spiri-to è imposto di fuori. (Cfr. RANZOLI, op. cit., pagg. 365 e 629).

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origini. Niuno creda di poter esplicare i fatti e trovare leleggi che li governano, senza levarsi sopra di essi; niunoaspiri a dichiarare i principii e le cagioni degli eventi,senza risalir più alto che i tempi a cui tali eventi appar-tengono. Ora la scienza delle idee e delle origini, che siriepiloga nel principio di creazione, non si trova presso ipopoli eterodossi; e fra quelli che custodirono il vero or-todosso, niuno la possiede così a compimento, come lanazione ideale e creatrice, a cui l’Europa dee saper gra-do di ogni sua cultura. Ma tale scienza è oggi neglettaper un costume invecchiato da due secoli, e nato dalCartesianismo; il quale non infettò meno gli studi poli-storici, che guastasse gli speculativi. Imperocchè dalDescartes in poi, l’erudizione e la storia, specialmentefuori d’Italia, corsero per due diversi periodi, che daimetodi signoreggianti io chiamerei ipotetico ed empiri-co1. Nel primo periodo si volevano spiegare i fatti, lavo-rando sui presupposti; e questi si toglievano non dai verifonti, ma dall’immaginazione. Quando il vezzo dellecattive ipotesi, giunto al colmo, come accade, diventòridicolo, i savi avvisarono la necessità di dare un indiriz-zo più prudente alle ricerche degli studiosi, introducen-dovi il metodo osservativo o sperimentale, applicato contanta felicità alle scienze fisiche da Galileo e dagli acca-

1 Ipotetico, in generale si riferisce a tutto ciò che è supposto arbitrariamente,che ha bisogno cli essere dimostrato con prove. Empirico si dice ciò cheappartiene all’esperienza, sia esterna che interna; si oppone quindi a inna-to, razionale. Nell’uso kantiano empirico si contrappone a puro e indicaciò che nella esperienza totale non deriva dallo spirito stesso, ma allo spiri-to è imposto di fuori. (Cfr. RANZOLI, op. cit., pagg. 365 e 629).

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demici del Cimento1, e differendo ad età meglio propi-zia, in cui la suppellettile dei fatti noti e ben chiariti fos-se assai più copiosa, il por mano a dichiararne le leggi ele origini. Il qual partito era ragionevole e conforme alprocesso conoscitivo; giacchè l’erudizione dee essereuna storia prima di aspirare a divenire una scienza. E co-loro che ne furono autori appartengono all’Italia; dovela manìa delle ipotesi mal fondate non potè mai mettereradice; onde quando in Francia, in Germania, nellaScandinavia, molti eruditi tuttavia poetavano, era già in-cominciata quella famiglia dei dotti italiani che toccò ilcolmo dello splendore nella pleiade erudita del Gravina,del Maffei, del Muratori, del Tiraboschi, del Marini, delCaluso e del Visconti2; uomini a cui niuno in Europa frai coetanei sovrastava. Ma questi, assennati nel tempo-reggiare i sistematici ardimenti, erano lungi dal pronun-ciare contro di loro un bando perpetuo e irrevocabile; eil nome solo del Vico basta a mostrare che se gl’intellet-ti della Penisola schifano e sdegnano i presupposti vanie puerili, sanno tentare con fortunata audacia le ipotesivaste e magnifiche. L’escludere sistematicamente i siste-mi dall’erudizione è venuto in voga ai dì nostri fra i dot-ti di oltremonte; quasi che il raccogliere i fatti possafruttare e appagare lo spirito umano, senza cercarne ilcominciamento e le ragioni, e la sintesi architettonica1 A Firenze il metodo Galileiano ebbe centro fecondo nell’Accadenia del Ci-

mento, fiorita per un decennio dal 1657, auspice il granduca Ferdinando IIe suo fratello Leopoldo.

2 Intorno a questi eruditi del sec. XVIII, cfr. E. CONCARI, Il settecento, Mila-no, s. d,, cap. IV, pag. 153 e segg.

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demici del Cimento1, e differendo ad età meglio propi-zia, in cui la suppellettile dei fatti noti e ben chiariti fos-se assai più copiosa, il por mano a dichiararne le leggi ele origini. Il qual partito era ragionevole e conforme alprocesso conoscitivo; giacchè l’erudizione dee essereuna storia prima di aspirare a divenire una scienza. E co-loro che ne furono autori appartengono all’Italia; dovela manìa delle ipotesi mal fondate non potè mai mettereradice; onde quando in Francia, in Germania, nellaScandinavia, molti eruditi tuttavia poetavano, era già in-cominciata quella famiglia dei dotti italiani che toccò ilcolmo dello splendore nella pleiade erudita del Gravina,del Maffei, del Muratori, del Tiraboschi, del Marini, delCaluso e del Visconti2; uomini a cui niuno in Europa frai coetanei sovrastava. Ma questi, assennati nel tempo-reggiare i sistematici ardimenti, erano lungi dal pronun-ciare contro di loro un bando perpetuo e irrevocabile; eil nome solo del Vico basta a mostrare che se gl’intellet-ti della Penisola schifano e sdegnano i presupposti vanie puerili, sanno tentare con fortunata audacia le ipotesivaste e magnifiche. L’escludere sistematicamente i siste-mi dall’erudizione è venuto in voga ai dì nostri fra i dot-ti di oltremonte; quasi che il raccogliere i fatti possafruttare e appagare lo spirito umano, senza cercarne ilcominciamento e le ragioni, e la sintesi architettonica1 A Firenze il metodo Galileiano ebbe centro fecondo nell’Accadenia del Ci-

mento, fiorita per un decennio dal 1657, auspice il granduca Ferdinando IIe suo fratello Leopoldo.

2 Intorno a questi eruditi del sec. XVIII, cfr. E. CONCARI, Il settecento, Mila-no, s. d,, cap. IV, pag. 153 e segg.

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non sia, se non altro, giovevole, in quanto raccozza e di-spone in un solo quadro un numero di dati sciolti e di-spersi, mettendoli a riscontro gli uni cogli altri. Certo,l’erudizione si fa di giorno in giorno sempre più ardua,penetrando più addentro nella sua materia e propagan-done i confini; ond’egli è necessario che una parte de’suoi cultori non preterisca i termini della semplice os-servazione e della critica empirica. Ma vorrassi perciòdar la croce addosso a un altro genere di ricerche, e vie-tar l’uso di un criterio più recondito e sublime? Il qualeè richiesto a rendere fruttuosi i lavori e i risultati dellacritica preliminare; giacchè i raccoglitori e i ventilatoridi fatti lavorerebbero indarno, se non fosse chi, a guisadi architetto, riunisse quei materiali sparsi, e tentasse diricomporre con essi l’edifizio dell’antichità. Ma ciò chedee parere singolare si è che molti di questi schivi, peraver troppo paura, delle ipotesi, ci dànno dentro, gover-nandosi con certi principii a priori, ciecamente ricevuti,e avvalorati solo da una falsa filosofia o dalla consuetu-dine; i quali, se ad esame si chiamano, non reggono amartello. Tal è quel pronunziato, che oggi corre, dellaciviltà spontanea; secondo il quale si presuppone che illinguaggio e la cultura umana possano nascere, senza ungerme preesistente e tradizionale; e che quindi siano sta-ti in fiore diversi seggi di civiltà originalmente diversi;presupposto incompatibile colla religione, colla storia,colle leggi della nostra natura, e conducente a un altroerrore ancor più grave, cioè alla pluralità primitiva dellestirpi. E pure questo presupposto, nato dal psicologismo

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non sia, se non altro, giovevole, in quanto raccozza e di-spone in un solo quadro un numero di dati sciolti e di-spersi, mettendoli a riscontro gli uni cogli altri. Certo,l’erudizione si fa di giorno in giorno sempre più ardua,penetrando più addentro nella sua materia e propagan-done i confini; ond’egli è necessario che una parte de’suoi cultori non preterisca i termini della semplice os-servazione e della critica empirica. Ma vorrassi perciòdar la croce addosso a un altro genere di ricerche, e vie-tar l’uso di un criterio più recondito e sublime? Il qualeè richiesto a rendere fruttuosi i lavori e i risultati dellacritica preliminare; giacchè i raccoglitori e i ventilatoridi fatti lavorerebbero indarno, se non fosse chi, a guisadi architetto, riunisse quei materiali sparsi, e tentasse diricomporre con essi l’edifizio dell’antichità. Ma ciò chedee parere singolare si è che molti di questi schivi, peraver troppo paura, delle ipotesi, ci dànno dentro, gover-nandosi con certi principii a priori, ciecamente ricevuti,e avvalorati solo da una falsa filosofia o dalla consuetu-dine; i quali, se ad esame si chiamano, non reggono amartello. Tal è quel pronunziato, che oggi corre, dellaciviltà spontanea; secondo il quale si presuppone che illinguaggio e la cultura umana possano nascere, senza ungerme preesistente e tradizionale; e che quindi siano sta-ti in fiore diversi seggi di civiltà originalmente diversi;presupposto incompatibile colla religione, colla storia,colle leggi della nostra natura, e conducente a un altroerrore ancor più grave, cioè alla pluralità primitiva dellestirpi. E pure questo presupposto, nato dal psicologismo

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e dal sensismo cartesiano, è oggi così abbarbicato inFrancia e in Germania, che troverai uomini per ingegnoe dottrina eccellentissimi, che ti diranno, verbigrazia, laciviltà degli Egizi e dei Toltechi essere stata affatto indi-gena dei paesi in cui fiorì; senza avvedersi che questaasserzione è da un lato tanto ipotetica, quanto la senten-za contraria, poichè si tratta di un fatto anteriore all’isto-ria; e che dall’altro lato essa è per lo meno poco proba-bile, poichè contradice ad altri fatti, e a molte induzionifilosofiche e storiali. Fatto sta che il volere affatto fuggi-re il processo ipotetico è tanto impossibile nella storia,quanto nelle scienze; e che, tal processo bene usato es-sendo causa di grandissime scoperte, si dee averl’occhio, non ad evitare le supposizioni di ogni sorta,ma solo ad usarne in modo opportuno e giudizioso. Nel-le scienze naturali l’ipotesi è savia e conveniente, quan-do è suggerita, non già dalla fantasia, ma dall’intuito1;benchè ciò non si possa discernere con certezza, se nonmediante la verificazione. La storia e l’erudizione sonoda questo canto più fortunate; giacchè in esse l’ipotesipuò avere a priori una probabilità più o meno grande, etalvolta ancora una vera certezza, secondo che si connet-te più o men chiaramente e direttamente colla scienzadelle idee e delle origini, il cui valore, come vedremoben tosto, supplisce e sovrasta a quello dei documenti.Ecco la fonte della vera Ipotetica, il cui uso solerte emoderato può solo innalzare le ricerche polistoriche a1 Degli errori filosofici di Antonio Rosmini. Ediz. II, Brusselle, 1843, tomo

II, pagg. 173-176.

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e dal sensismo cartesiano, è oggi così abbarbicato inFrancia e in Germania, che troverai uomini per ingegnoe dottrina eccellentissimi, che ti diranno, verbigrazia, laciviltà degli Egizi e dei Toltechi essere stata affatto indi-gena dei paesi in cui fiorì; senza avvedersi che questaasserzione è da un lato tanto ipotetica, quanto la senten-za contraria, poichè si tratta di un fatto anteriore all’isto-ria; e che dall’altro lato essa è per lo meno poco proba-bile, poichè contradice ad altri fatti, e a molte induzionifilosofiche e storiali. Fatto sta che il volere affatto fuggi-re il processo ipotetico è tanto impossibile nella storia,quanto nelle scienze; e che, tal processo bene usato es-sendo causa di grandissime scoperte, si dee averl’occhio, non ad evitare le supposizioni di ogni sorta,ma solo ad usarne in modo opportuno e giudizioso. Nel-le scienze naturali l’ipotesi è savia e conveniente, quan-do è suggerita, non già dalla fantasia, ma dall’intuito1;benchè ciò non si possa discernere con certezza, se nonmediante la verificazione. La storia e l’erudizione sonoda questo canto più fortunate; giacchè in esse l’ipotesipuò avere a priori una probabilità più o meno grande, etalvolta ancora una vera certezza, secondo che si connet-te più o men chiaramente e direttamente colla scienzadelle idee e delle origini, il cui valore, come vedremoben tosto, supplisce e sovrasta a quello dei documenti.Ecco la fonte della vera Ipotetica, il cui uso solerte emoderato può solo innalzare le ricerche polistoriche a1 Degli errori filosofici di Antonio Rosmini. Ediz. II, Brusselle, 1843, tomo

II, pagg. 173-176.

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dignità di scienza. Il voler poi tirare dai fatti medesimila cagione che gli spiega e la legge che li governa, se-condo che si faceva nell’epoca precedente, è impresavanissima; conciossiachè i fatti, per quanto si spremano,non possono somministrare ciò che non hanno in sè.Onde il pretendere di cavar da essi le idee è un assuntosimile a quello di coloro che vogliono trarre dai sensibilii concetti intellettuali; giacchè il fatto è il sensibiledell’istoria. Nè si può storicamente risalir dagli effettialle cagioni, se non quando queste vengono date dallastoria medesima, o sono negli effetti racchiuse: salvoquesto caso, il principio degli eventi può solo asseguirsi,ragionando a priori, o a superiori procedendo. Breve-mente, siccome ripugna che un dato positivo qualunquepossa sovrastare a sè stesso e legittimarsi, l’erudizionepiù ricca non può essere il suo proprio interprete, e abbi-sogna di un turcimanno più degno e autorevole; nellostesso modo che, l’atto della coscienza non potendo in-dietrarsi e signoreggiar sè medesimo, sarebbe impossi-bile lo scoprirne la causa, e il salire sino alla forza so-stanziale dell’animo umano, se non soccorresse una fa-coltà più nobile del senso intimo, cioè la ragione, che il-lustra i fatti colle notizie ideali.

Definizione della scienza ideale.Due cicli storici. – L’uno precedette il moltiplice nella storia,

come in ogni altro ordine del creato.

La scienza ideale della storia dee essere universale,accordarsi cogli annali e colle memorie, muovere dalla

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dignità di scienza. Il voler poi tirare dai fatti medesimila cagione che gli spiega e la legge che li governa, se-condo che si faceva nell’epoca precedente, è impresavanissima; conciossiachè i fatti, per quanto si spremano,non possono somministrare ciò che non hanno in sè.Onde il pretendere di cavar da essi le idee è un assuntosimile a quello di coloro che vogliono trarre dai sensibilii concetti intellettuali; giacchè il fatto è il sensibiledell’istoria. Nè si può storicamente risalir dagli effettialle cagioni, se non quando queste vengono date dallastoria medesima, o sono negli effetti racchiuse: salvoquesto caso, il principio degli eventi può solo asseguirsi,ragionando a priori, o a superiori procedendo. Breve-mente, siccome ripugna che un dato positivo qualunquepossa sovrastare a sè stesso e legittimarsi, l’erudizionepiù ricca non può essere il suo proprio interprete, e abbi-sogna di un turcimanno più degno e autorevole; nellostesso modo che, l’atto della coscienza non potendo in-dietrarsi e signoreggiar sè medesimo, sarebbe impossi-bile lo scoprirne la causa, e il salire sino alla forza so-stanziale dell’animo umano, se non soccorresse una fa-coltà più nobile del senso intimo, cioè la ragione, che il-lustra i fatti colle notizie ideali.

Definizione della scienza ideale.Due cicli storici. – L’uno precedette il moltiplice nella storia,

come in ogni altro ordine del creato.

La scienza ideale della storia dee essere universale,accordarsi cogli annali e colle memorie, muovere dalla

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ragione, ed essere confermata dai monumenti e dalla ri-velazione. Quando le mancasse una sola di queste pro-prietà, ella non avrebbe quell’assoluta certezza e capaci-tà scientifica che ad una dottrina fondamentale e legisla-trice sono richieste. Acciocchè sia universale, uopo èche abbracci e spieghi unitamente il principio, il mezzoe il fine delle cose umane; i quali sono i tre momenti di-namici per cui discorre la storia, non meno che le altreparti del mondo creato. Ella dee dunque dichiarare l’ori-gine delle condizioni morali e corporee, esteriori e inte-riori, individuali e sociali dell’uomo, la legge del loroprogresso, la natura dello scopo ad esse proposto, e dellor compimento. I più difficili e importanti di questi trecapi sono il primo e l’ultimo; sia perchè l’uno essendoposto in un passato non arrivabile e anteriore alle me-morie, e l’altro occultandosi in un indefinito e impene-trabile avvenire, l’unica via per cui si possano apprende-re, è la scienza ideale; e perchè la notizia loro porta conseco quella del terzo termine, la legge regolatrice delmezzo risultando necessariamente dal principio e dalfine. Ora egli è chiaro che il solo pronunziato, atto ra-zionalmente ad adempire questo triplice ufficio, è la for-mola ideale col suo doppio ciclo; tanto che la disciplinadi cui parliamo, è la scienza prima e universale accomo-data all’istoria. I due cicli ideali, applicati alle forze fini-te universalmente, diventano dinamici, come riesconostorici se si adattano in particolare alla seguenza crono-logica delle umane vicende. Ciascuna coppia di tali ciclisecondari esprime il corso della unità alla varietà, e il ri-

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ragione, ed essere confermata dai monumenti e dalla ri-velazione. Quando le mancasse una sola di queste pro-prietà, ella non avrebbe quell’assoluta certezza e capaci-tà scientifica che ad una dottrina fondamentale e legisla-trice sono richieste. Acciocchè sia universale, uopo èche abbracci e spieghi unitamente il principio, il mezzoe il fine delle cose umane; i quali sono i tre momenti di-namici per cui discorre la storia, non meno che le altreparti del mondo creato. Ella dee dunque dichiarare l’ori-gine delle condizioni morali e corporee, esteriori e inte-riori, individuali e sociali dell’uomo, la legge del loroprogresso, la natura dello scopo ad esse proposto, e dellor compimento. I più difficili e importanti di questi trecapi sono il primo e l’ultimo; sia perchè l’uno essendoposto in un passato non arrivabile e anteriore alle me-morie, e l’altro occultandosi in un indefinito e impene-trabile avvenire, l’unica via per cui si possano apprende-re, è la scienza ideale; e perchè la notizia loro porta conseco quella del terzo termine, la legge regolatrice delmezzo risultando necessariamente dal principio e dalfine. Ora egli è chiaro che il solo pronunziato, atto ra-zionalmente ad adempire questo triplice ufficio, è la for-mola ideale col suo doppio ciclo; tanto che la disciplinadi cui parliamo, è la scienza prima e universale accomo-data all’istoria. I due cicli ideali, applicati alle forze fini-te universalmente, diventano dinamici, come riesconostorici se si adattano in particolare alla seguenza crono-logica delle umane vicende. Ciascuna coppia di tali ciclisecondari esprime il corso della unità alla varietà, e il ri-

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corso della varietà all’unione; imperocchè ogni processodinamico dall’unità muove, come all’unione s’indirizza.Così il primo periodo storico si può significare in questitermini: L’uno produce il moltiplice; e il secondo conse-guentemente è così esprimibile: Il moltiplice ritornaall’uno. Quello insegna l’unità originale, e il suo discor-rimento a una moltiplicità e varietà grandissima: questomostra l’unità finale e il ritiramento successivo del varioe del moltiplice verso di essa. L’unità è implicata e fata-le rispetto al principio, giacchè la forza creata è sempli-cemente passiva, rispetto all’azione creatrice, e non puòinfluire nella propria origine; ma è libera ed esplicata inordine al fine, poichè alle sostanze intelligenti, fornite diarbitrio, sottostanno e più o meno ubbidiscono gli altriesseri dell’universo. La numerosa famiglia di coloro cheoggi filosofeggiano sulla storia, governandosi coi prin-cipii eterodossi, ammette di buon grado l’unità termina-tiva del secondo ciclo, confessa che le stirpi, le nazioni,le lingue, gl’instituti, le civiltà mirano ad unificarsi, e siconfida che siano per riuscirvi; ma ripudiando l’unità in-coativa del primo, ella fa anticorrere la varietà all’unità,il caos all’ordine, e il male al bene negli annali degli uo-mini e del mondo. Presupposto irrepugnabile, secondo icanoni dei panteisti; i quali, mischiando l’Ente coll’esi-stente, e traportando nel primo la successione tempora-nea, il moto progressivo e le altre condizioni del secon-do, son costretti a considerare le imperfezioni del creatocome un effetto necessario dell’Assoluto, che si va svol-gendo e sgomitolando. Onde, ogni qual volta procedono

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corso della varietà all’unione; imperocchè ogni processodinamico dall’unità muove, come all’unione s’indirizza.Così il primo periodo storico si può significare in questitermini: L’uno produce il moltiplice; e il secondo conse-guentemente è così esprimibile: Il moltiplice ritornaall’uno. Quello insegna l’unità originale, e il suo discor-rimento a una moltiplicità e varietà grandissima: questomostra l’unità finale e il ritiramento successivo del varioe del moltiplice verso di essa. L’unità è implicata e fata-le rispetto al principio, giacchè la forza creata è sempli-cemente passiva, rispetto all’azione creatrice, e non puòinfluire nella propria origine; ma è libera ed esplicata inordine al fine, poichè alle sostanze intelligenti, fornite diarbitrio, sottostanno e più o meno ubbidiscono gli altriesseri dell’universo. La numerosa famiglia di coloro cheoggi filosofeggiano sulla storia, governandosi coi prin-cipii eterodossi, ammette di buon grado l’unità termina-tiva del secondo ciclo, confessa che le stirpi, le nazioni,le lingue, gl’instituti, le civiltà mirano ad unificarsi, e siconfida che siano per riuscirvi; ma ripudiando l’unità in-coativa del primo, ella fa anticorrere la varietà all’unità,il caos all’ordine, e il male al bene negli annali degli uo-mini e del mondo. Presupposto irrepugnabile, secondo icanoni dei panteisti; i quali, mischiando l’Ente coll’esi-stente, e traportando nel primo la successione tempora-nea, il moto progressivo e le altre condizioni del secon-do, son costretti a considerare le imperfezioni del creatocome un effetto necessario dell’Assoluto, che si va svol-gendo e sgomitolando. Onde, ogni qual volta procedono

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a rigore, essi non muovono dalla monade nè dal germe,ma dall’Ile informe, e dall’infinito numerico nel sensodi Anassimandro; il quale infinito differisce assai pocodagli atomi di Mosco, di Leucippo e di Democrito1, econtraria ai principii della filosofia dinamica, stante chel’eternità del germe e la sua origine, senza un atto creati-vo, egualmente ripugnano. Nè giova a legittimare que-sto processo il ricorrere alle epoche telluriche che prece-dettero la nostra, nelle quali il progresso dell’organismoe della vita è cospicuo; giacchè l’ammettere un primociclo non osta al movimento progressivo che costituiscel’essenza del secondo. Ma ogni moto di tal genere, es-sendo l’esplicazione successiva di una forza e la trasfor-mazione dell’uno in moltiplice, non che importare il pri-mato cronologico della varietà, arguisce il contrario,cioè la preesistenza dell’unità seminale, da cui germinala moltiplicità organata. Onde, come dal seme nasce lapianta, dal principe si ordina lo stato, dalla religione laciviltà si produce e s’informa, così da un solo coniugio,da una fede, da una cultura unica dovette uscire l’umanastirpe con tutte le parti del suo incivilimento. Il primociclo storico, oltre all’essere razionalmente irrepugnabi-le, come quello che risulta dai dettati della prima scien-za, e possiede a priori un valore scientifico ed inconcus-so, viene anche confermato a posteriori dalla reciprocaconferenza dei fatti e dall’induzione; giacchè non si puòspiegare altrimenti quel moltiplice accordo che corre tra1 Intorno a questi filosofi cfr. A. CROISET, Histoire de la littérature grecque,

Paris, 1898, vol. 3o, cap. IX, pag. 468 e segg.

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a rigore, essi non muovono dalla monade nè dal germe,ma dall’Ile informe, e dall’infinito numerico nel sensodi Anassimandro; il quale infinito differisce assai pocodagli atomi di Mosco, di Leucippo e di Democrito1, econtraria ai principii della filosofia dinamica, stante chel’eternità del germe e la sua origine, senza un atto creati-vo, egualmente ripugnano. Nè giova a legittimare que-sto processo il ricorrere alle epoche telluriche che prece-dettero la nostra, nelle quali il progresso dell’organismoe della vita è cospicuo; giacchè l’ammettere un primociclo non osta al movimento progressivo che costituiscel’essenza del secondo. Ma ogni moto di tal genere, es-sendo l’esplicazione successiva di una forza e la trasfor-mazione dell’uno in moltiplice, non che importare il pri-mato cronologico della varietà, arguisce il contrario,cioè la preesistenza dell’unità seminale, da cui germinala moltiplicità organata. Onde, come dal seme nasce lapianta, dal principe si ordina lo stato, dalla religione laciviltà si produce e s’informa, così da un solo coniugio,da una fede, da una cultura unica dovette uscire l’umanastirpe con tutte le parti del suo incivilimento. Il primociclo storico, oltre all’essere razionalmente irrepugnabi-le, come quello che risulta dai dettati della prima scien-za, e possiede a priori un valore scientifico ed inconcus-so, viene anche confermato a posteriori dalla reciprocaconferenza dei fatti e dall’induzione; giacchè non si puòspiegare altrimenti quel moltiplice accordo che corre tra1 Intorno a questi filosofi cfr. A. CROISET, Histoire de la littérature grecque,

Paris, 1898, vol. 3o, cap. IX, pag. 468 e segg.

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le favelle, le instituzioni e le memorie dei popoli più di-sgiunti; accordo che in molti casi non si può riferireplausibilmente a un concorso fortuito, nè alla medesi-mezza specifica della natura umana, e ci mostra, quasidi lontano e nel crepuscolo della storia, le varie genti ac-cozzate in un solo seggio, e quindi diffuse di mano inmano per le altre contrade abitabili. Che se l’uscita dellavarietà dall’unità primigenia chiarisce le origini, il re-gresso della varietà all’unità finale, congiunto al proces-so del primo ciclo, dichiara l’andamento progressivodelle esistenze, e ferma la legge che lo indirizza. Impe-rocchè l’unione e il conserto della varietà creata fattoper modo, che essa varietà non dismetta l’individualitànumerica de, suoi componenti, ma solo l’accordi e ar-monizzi (giacchè l’unificazione assoluta è assurda fuoridel panteismo), è l’intento supremo a cui mira ogni ci-viltà, ancorchè imperfetta, e quella singolarmente cheviene animata dagli spiriti cristiani; l’incivilimento es-sendo il contrario della barbarie, la cui essenza è ripostanella divisione e nella discordia. Laonde il secondo ci-clo, importando il redito della varietà all’unità, ci fa co-noscere la legge del progresso adulto, uniforme, ed ilfine; come il primo ciclo, inferendo la sortita del variodall’uno, ci rivela il principio e la legge di quel progres-so iniziale e genesiaco, che appartiene ai primordii dellavita mondana. Ma la formola ideale, contemplata neidue cicli storici, non basta tuttavia di per sè sola a spie-gar tutti i fatti che risultano dall’esperienza e dalle tradi-zioni. Imperocchè l’uscita della varietà dall’unità può

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le favelle, le instituzioni e le memorie dei popoli più di-sgiunti; accordo che in molti casi non si può riferireplausibilmente a un concorso fortuito, nè alla medesi-mezza specifica della natura umana, e ci mostra, quasidi lontano e nel crepuscolo della storia, le varie genti ac-cozzate in un solo seggio, e quindi diffuse di mano inmano per le altre contrade abitabili. Che se l’uscita dellavarietà dall’unità primigenia chiarisce le origini, il re-gresso della varietà all’unità finale, congiunto al proces-so del primo ciclo, dichiara l’andamento progressivodelle esistenze, e ferma la legge che lo indirizza. Impe-rocchè l’unione e il conserto della varietà creata fattoper modo, che essa varietà non dismetta l’individualitànumerica de, suoi componenti, ma solo l’accordi e ar-monizzi (giacchè l’unificazione assoluta è assurda fuoridel panteismo), è l’intento supremo a cui mira ogni ci-viltà, ancorchè imperfetta, e quella singolarmente cheviene animata dagli spiriti cristiani; l’incivilimento es-sendo il contrario della barbarie, la cui essenza è ripostanella divisione e nella discordia. Laonde il secondo ci-clo, importando il redito della varietà all’unità, ci fa co-noscere la legge del progresso adulto, uniforme, ed ilfine; come il primo ciclo, inferendo la sortita del variodall’uno, ci rivela il principio e la legge di quel progres-so iniziale e genesiaco, che appartiene ai primordii dellavita mondana. Ma la formola ideale, contemplata neidue cicli storici, non basta tuttavia di per sè sola a spie-gar tutti i fatti che risultano dall’esperienza e dalle tradi-zioni. Imperocchè l’uscita della varietà dall’unità può

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concepirsi accaduta per via naturale, regolare, graduale,costante, uniforme, ovvero in modo contranaturale, esenza regola, per un’azione subita, straordinaria, violen-ta, La formola sola non basta a determinare in questoproposito la nostra elezione; dovechè lo studio compara-tivo delle stirpi, delle lingue, delle religioni svariate epugnanti, ma ritraenti l’imagine di una concordia piùantica, ci obbliga a considerare la varietà e dissonanzaloro, come l’effetto di una rottura sforzata, repentina,portentosa, e non di un lento e normale esplicamento;come il risultato di una subita catastrofe, di un grande ecalamitoso accidente, e non come l’evoluzione armonicadi un germe, secondo il placido e stabile andamento del-la vita cosmica. Ma sebbene la formola, esprimendo ilcorso essenziale delle cose mondane solo in modo uni-versalissimo, non possa abbracciare le perturbazioni for-tuite che ci accaggiono, dee però spiegare in genere lapossibilità loro, e somministrarci un filo acconcio a di-chiarare le anomalie accidentali e fortuite che turbano ildisegno ideale delle esistenze, mostrandocene la causaplausibile nella loro natura medesima. Il che ella fa, por-gendoci la nozione di forza libera, e con essa una ragionsufficiente di ogni discordanza dal tipo primitivo e divi-no delle cose. I fatti poi che risultano dalla esperienza edalla storia, mutano questa semplice possibilità in realtàe certezza, e modificano conseguentemente l’idea delsecondo ciclo storico, aggiungendo al convergere dellavarietà verso l’unità finale il previo ristauro della unitàprimitiva, e la restituzione del tipo cosmico. Di che na-

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concepirsi accaduta per via naturale, regolare, graduale,costante, uniforme, ovvero in modo contranaturale, esenza regola, per un’azione subita, straordinaria, violen-ta, La formola sola non basta a determinare in questoproposito la nostra elezione; dovechè lo studio compara-tivo delle stirpi, delle lingue, delle religioni svariate epugnanti, ma ritraenti l’imagine di una concordia piùantica, ci obbliga a considerare la varietà e dissonanzaloro, come l’effetto di una rottura sforzata, repentina,portentosa, e non di un lento e normale esplicamento;come il risultato di una subita catastrofe, di un grande ecalamitoso accidente, e non come l’evoluzione armonicadi un germe, secondo il placido e stabile andamento del-la vita cosmica. Ma sebbene la formola, esprimendo ilcorso essenziale delle cose mondane solo in modo uni-versalissimo, non possa abbracciare le perturbazioni for-tuite che ci accaggiono, dee però spiegare in genere lapossibilità loro, e somministrarci un filo acconcio a di-chiarare le anomalie accidentali e fortuite che turbano ildisegno ideale delle esistenze, mostrandocene la causaplausibile nella loro natura medesima. Il che ella fa, por-gendoci la nozione di forza libera, e con essa una ragionsufficiente di ogni discordanza dal tipo primitivo e divi-no delle cose. I fatti poi che risultano dalla esperienza edalla storia, mutano questa semplice possibilità in realtàe certezza, e modificano conseguentemente l’idea delsecondo ciclo storico, aggiungendo al convergere dellavarietà verso l’unità finale il previo ristauro della unitàprimitiva, e la restituzione del tipo cosmico. Di che na-

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sce un doppio indirizzo nel processo del secondo ciclo;il cui moto originalmente è semplice e progressivo versoil fine; ma posta la perturbazione della concordia inizia-le, diventa doppio e misto, non potendosi toccare il ter-mine, senza tornare al principio. In questa composizionedel regresso verso il bene e del progresso verso il me-glio consiste la redenzione; la cui idea importa il princi-pio di compimento, modificato dal fatto previo della rot-ta armonia1. Il dogma di redenzione costituisce la leggedel progresso misto, come quello di creazione la leggedelle origini; e dal loro accoppiamento risulta la legisla-zione di tutta la storia.

Della filosofia storica: varie specie di essa.

Questa disciplina legislatrice delle ricerche erudite estoriali non si dee confondere con quella che oggi chia-masi filosofia della storia; la quale, creata dal nostroVico, fece, come scienza, da lui in poi, pochi e scarsiprogressi. Dico come scienza, propriamente parlando;perchè come raccolta di considerazioni filosofiche, essaè assai più antica, anzi antichissima, e risale ai tempiprimitivi delle varie letterature. E senza parlare di Esio-do, di Omero e di tutti i mitografi ed epici primitivi checi diedero la teologia e la poesia della storia, cioè la filo-sofia di essa vestita coi simboli o coi miti della religionee cogl’idoli della fantasia (giacchè l’immaginativa poe-1 Ctr. intorno alla dottrina della redenzione il celebre trattato di ANSELMO DI

CANTERBURY, Cur deus homo? Inoltre Thom. Ag. Sum, Theol., III, 46-49;Greg. Magn. Mor., XX, 36; Petr. Lomb., Sent. III, 19 e segg.

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sce un doppio indirizzo nel processo del secondo ciclo;il cui moto originalmente è semplice e progressivo versoil fine; ma posta la perturbazione della concordia inizia-le, diventa doppio e misto, non potendosi toccare il ter-mine, senza tornare al principio. In questa composizionedel regresso verso il bene e del progresso verso il me-glio consiste la redenzione; la cui idea importa il princi-pio di compimento, modificato dal fatto previo della rot-ta armonia1. Il dogma di redenzione costituisce la leggedel progresso misto, come quello di creazione la leggedelle origini; e dal loro accoppiamento risulta la legisla-zione di tutta la storia.

Della filosofia storica: varie specie di essa.

Questa disciplina legislatrice delle ricerche erudite estoriali non si dee confondere con quella che oggi chia-masi filosofia della storia; la quale, creata dal nostroVico, fece, come scienza, da lui in poi, pochi e scarsiprogressi. Dico come scienza, propriamente parlando;perchè come raccolta di considerazioni filosofiche, essaè assai più antica, anzi antichissima, e risale ai tempiprimitivi delle varie letterature. E senza parlare di Esio-do, di Omero e di tutti i mitografi ed epici primitivi checi diedero la teologia e la poesia della storia, cioè la filo-sofia di essa vestita coi simboli o coi miti della religionee cogl’idoli della fantasia (giacchè l’immaginativa poe-1 Ctr. intorno alla dottrina della redenzione il celebre trattato di ANSELMO DI

CANTERBURY, Cur deus homo? Inoltre Thom. Ag. Sum, Theol., III, 46-49;Greg. Magn. Mor., XX, 36; Petr. Lomb., Sent. III, 19 e segg.

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tica, la simbolica e la mitologia sono altretante vesti del-le idee), l’esame razionale dei fatti cominciò presso iGrecolatini con Tucidide, Senofonte, Aristotile e Teofra-sto, e crebbe con Polibio, Tacito e Plutarco1. Ma la sa-pienza gentilesca non permetteva agl’ingegni di oltrarsigran fatto per questa via; e il porgere all’acume loro lostrumento accomodato allo scrutinio dei fatti e alla sco-perta del sottile ordito ideale che viene occultato dal tes-suto grossiere e visibile degli eventi, era riserbato alledottrine del Cristianesimo. Il quale coi principii di crea-zione e di redenzione sostituì la vera notizia concreta diDio, dell’uomo, del mondo e delle loro attinenze, ai ro-manzi astrattivi o immaginativi che dianzi se ne faceva-no; e colla storica e profetica rivelazione che porse delleorigini e del compimento, mostrando tutti gli uominioriginati dall’unità di una sola famiglia e tendentiall’unità di una sola spirituale cittadinanza, aggrandì edilatò le menti loro, suggerendo quei concetti cosmopo-litici che si richieggono alla maturità e perfezione dellascienza, come quella che di sua natura dee essere uni-versalissima. La filosofia della storia uscì dunque dai di-vini dettati, e dagl’influssi di quello Spirito che, avendo-ne gittate le basi ab antico nel popolo eletto col princi-pio di creazione, cominciò a fecondare questa potenza, ea porgerne i primi frutti; giacchè Giobbe, il Salmista, iProfeti, il Savio sono spesso storici filosofi, non menoche Paolo e Giovanni. Quindi è che fin dai tempi di Giu-

1 Cfr. intorno a costoro l’opera citata del CROISET, Vol, lV, passim.

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tica, la simbolica e la mitologia sono altretante vesti del-le idee), l’esame razionale dei fatti cominciò presso iGrecolatini con Tucidide, Senofonte, Aristotile e Teofra-sto, e crebbe con Polibio, Tacito e Plutarco1. Ma la sa-pienza gentilesca non permetteva agl’ingegni di oltrarsigran fatto per questa via; e il porgere all’acume loro lostrumento accomodato allo scrutinio dei fatti e alla sco-perta del sottile ordito ideale che viene occultato dal tes-suto grossiere e visibile degli eventi, era riserbato alledottrine del Cristianesimo. Il quale coi principii di crea-zione e di redenzione sostituì la vera notizia concreta diDio, dell’uomo, del mondo e delle loro attinenze, ai ro-manzi astrattivi o immaginativi che dianzi se ne faceva-no; e colla storica e profetica rivelazione che porse delleorigini e del compimento, mostrando tutti gli uominioriginati dall’unità di una sola famiglia e tendentiall’unità di una sola spirituale cittadinanza, aggrandì edilatò le menti loro, suggerendo quei concetti cosmopo-litici che si richieggono alla maturità e perfezione dellascienza, come quella che di sua natura dee essere uni-versalissima. La filosofia della storia uscì dunque dai di-vini dettati, e dagl’influssi di quello Spirito che, avendo-ne gittate le basi ab antico nel popolo eletto col princi-pio di creazione, cominciò a fecondare questa potenza, ea porgerne i primi frutti; giacchè Giobbe, il Salmista, iProfeti, il Savio sono spesso storici filosofi, non menoche Paolo e Giovanni. Quindi è che fin dai tempi di Giu-

1 Cfr. intorno a costoro l’opera citata del CROISET, Vol, lV, passim.

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stino, Origene e Clemente1, raro è il trovare uno scritto-re ecclesiastico di polso che non filosofeggi all’occor-renza sugli eventi umani con tale sagacità di avviso e di-scorso, che i più insigni fra i pagani non ci arrivano. Maniuno di essi attese a edificare un corpo di dottrina e aprocedere con metodo scientifico; e quelli che più altopoggiarono, come Atanasio e Agostino, non uscironotuttavia di certe generalità, e ristrinsero le loro avverten-ze alla religione. Dante, che fu il principe dei moderniscrittori, e il cui valore in questa parte venne già avverti-to2, creò, come laico che era, la filosofia politica, e seco-lareggiò, per così dire, la scienza della storia, allargan-done la comprensiva, senza però tôrre ai fatti religiosiquel primato che loro appartiene. Ma dopo l’ingegnosintetico dell’Allighieri, che tutto seppe, secondo il tem-po in cui visse, e tutto compose, l’elemento sacro fu dinuovo disgiunto dal profano nella considerazione deglieventi; e mentre l’Italia vide sorgere un’illustre scuoladi filosofi civili, che incomincia col Machiavelli e fini-sce col Botero, quasi ignoto, ma degno di essere cono-sciuto3, l’intuito religioso della storia ebbe in Francianel Bossuet un eloquente spositore, a cui per la sublimi-1 Giustino, nacque nel 103 a Flavia Neapolis, morì decapitato in Roma nel

167. La prima edizione in greco delle opere di Giustino venne pubblicata aParigi nel 1551. Origene, nacque ad Alessandria d’Egitto nel 185, morì aTiro l’anno 253. Le sue opere complete furono pubblicate in Parigi nel1735-1759. Clemente di Alessandria, n. in Atene e m. nel 220 in Palestina.Le sue opere furono edite in Heidelberg nel 1592.

2 BALBO, Meditazioni storiche, Torino, 1842, tomo I, pag. 12. [G.].3 Cfr. ora intorno a Giovanni Botero, nato a Bene in Piemonte nel 1540, m.

nel 1617, C. GIODA, La vita e le opere di G. B., Milano, 1896.

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stino, Origene e Clemente1, raro è il trovare uno scritto-re ecclesiastico di polso che non filosofeggi all’occor-renza sugli eventi umani con tale sagacità di avviso e di-scorso, che i più insigni fra i pagani non ci arrivano. Maniuno di essi attese a edificare un corpo di dottrina e aprocedere con metodo scientifico; e quelli che più altopoggiarono, come Atanasio e Agostino, non uscironotuttavia di certe generalità, e ristrinsero le loro avverten-ze alla religione. Dante, che fu il principe dei moderniscrittori, e il cui valore in questa parte venne già avverti-to2, creò, come laico che era, la filosofia politica, e seco-lareggiò, per così dire, la scienza della storia, allargan-done la comprensiva, senza però tôrre ai fatti religiosiquel primato che loro appartiene. Ma dopo l’ingegnosintetico dell’Allighieri, che tutto seppe, secondo il tem-po in cui visse, e tutto compose, l’elemento sacro fu dinuovo disgiunto dal profano nella considerazione deglieventi; e mentre l’Italia vide sorgere un’illustre scuoladi filosofi civili, che incomincia col Machiavelli e fini-sce col Botero, quasi ignoto, ma degno di essere cono-sciuto3, l’intuito religioso della storia ebbe in Francianel Bossuet un eloquente spositore, a cui per la sublimi-1 Giustino, nacque nel 103 a Flavia Neapolis, morì decapitato in Roma nel

167. La prima edizione in greco delle opere di Giustino venne pubblicata aParigi nel 1551. Origene, nacque ad Alessandria d’Egitto nel 185, morì aTiro l’anno 253. Le sue opere complete furono pubblicate in Parigi nel1735-1759. Clemente di Alessandria, n. in Atene e m. nel 220 in Palestina.Le sue opere furono edite in Heidelberg nel 1592.

2 BALBO, Meditazioni storiche, Torino, 1842, tomo I, pag. 12. [G.].3 Cfr. ora intorno a Giovanni Botero, nato a Bene in Piemonte nel 1540, m.

nel 1617, C. GIODA, La vita e le opere di G. B., Milano, 1896.

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tà del dire non so chi si possa paragonare, se non l’Alli-ghieri, dove narra la storia dell’Aquila romana1, o Ata-nasio, quando descrive l’apparita e quasi le divine vicis-situdini (se così posso esprimermi) del Verbo nel mon-do. Ma nè il Bossuet, nè alcuno di quegli altri si puòavere per fondatore della filosofia storica, non essendoproceduti per ordine di scienza, nè avendo abbracciatal’ampiezza del loro tema; onde l’onore di tal creazioneappartiene al Vico2. Il quale però, sia per le angustiedell’erudizione possibile a’ suoi tempi, sia per la condi-zione propria di tutti gl’inventori, non seppe cansare al-cuni errori notabili, e vide generalmente la tela ideale sucui corrono i fatti, senza saperne esprimere partitamenteil disegno. I suoi successori si pârtono in due schiere; gliuni attesero a ordire una scienza più o meno sistematica,ma errarono tutti o quasi tutti nei principii, piantando leloro speculazioni sul sensismo, sul razionalismo o sulpanteismo; fra i quali basti citare il Pagano3 in Italia, il

1 Cfr. Paradiso, VI 1-111.2 Cfr. il n. XXIV delle Meditazioni fìlosofiche inedite di V. G., Firenze,

1909, pag. 27: «Dopo Dante il primo filosofo dell’Italia è senza dubbio ilVico, le di cui opere sono inesauste miniere d’idee nuove e profonde, dacui, sia detto col nostro rossore, attinsero forse più gli oltremontani che gliItaliani medesimi».

3 Francesco Maria Pagano, di Brienza, in Basilicata (1748-1799), cercò diconciliare le idee di Vico con quelle dei filosofi francesi nei suoi Saggi po-litici sulla origine, ì processi e lo scadimento delle nazioni. Cfr. OTTONE,M. P. e la tradizione vichiana in Italia, Milano, I897.

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tà del dire non so chi si possa paragonare, se non l’Alli-ghieri, dove narra la storia dell’Aquila romana1, o Ata-nasio, quando descrive l’apparita e quasi le divine vicis-situdini (se così posso esprimermi) del Verbo nel mon-do. Ma nè il Bossuet, nè alcuno di quegli altri si puòavere per fondatore della filosofia storica, non essendoproceduti per ordine di scienza, nè avendo abbracciatal’ampiezza del loro tema; onde l’onore di tal creazioneappartiene al Vico2. Il quale però, sia per le angustiedell’erudizione possibile a’ suoi tempi, sia per la condi-zione propria di tutti gl’inventori, non seppe cansare al-cuni errori notabili, e vide generalmente la tela ideale sucui corrono i fatti, senza saperne esprimere partitamenteil disegno. I suoi successori si pârtono in due schiere; gliuni attesero a ordire una scienza più o meno sistematica,ma errarono tutti o quasi tutti nei principii, piantando leloro speculazioni sul sensismo, sul razionalismo o sulpanteismo; fra i quali basti citare il Pagano3 in Italia, il

1 Cfr. Paradiso, VI 1-111.2 Cfr. il n. XXIV delle Meditazioni fìlosofiche inedite di V. G., Firenze,

1909, pag. 27: «Dopo Dante il primo filosofo dell’Italia è senza dubbio ilVico, le di cui opere sono inesauste miniere d’idee nuove e profonde, dacui, sia detto col nostro rossore, attinsero forse più gli oltremontani che gliItaliani medesimi».

3 Francesco Maria Pagano, di Brienza, in Basilicata (1748-1799), cercò diconciliare le idee di Vico con quelle dei filosofi francesi nei suoi Saggi po-litici sulla origine, ì processi e lo scadimento delle nazioni. Cfr. OTTONE,M. P. e la tradizione vichiana in Italia, Milano, I897.

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Condorcet1 in Francia, l’Herder2, il Kant e l’Hegel inGermania. Gli altri si ristrinsero a filosofare sui fatti allaspartita, senza procedere a rigor di teorica; la schiera deiquali è grandissima, se si bada al numero, ma scarsa, sesi ha l’occhio alla bontà degli autori; perchè in questogenere di storici discorsi si ricerca principalmente unanotizia esatta, profonda e compiuta degli eventi. L’Italiavanta meno autori di tal sorta, che qualche altro paese,ma migliori per avventura; e se meno superbi e promet-tenti, più accurati e sugosi; fra’ quali il Denina3 superò isuoi coetanei, e Cesare Balbo risplende fra i più recenti4.Io tengo per fermo che la filosofia della storia non puòessere innalzata al grado di teorica scientifica, rigorosa eprecisa, finchè non si fonda sul principio universale del-lo scibile; principio subodorato dal Vico, come metafisi-co, ma non applicato da lui alla nuova disciplina, di cuiebbe l’idea e distese le prime linee. Che se questa mia1 G.G. Condorcet, matematico e filosofo francese, n. in Piccardia nel 1743.

m. a Bourg-la-Reine nel 1794. La famosa opera di Condorcet fu il suoEsquisse des progrès de l’esprit humain. Cfr. ROBINET, C., sa vie et son œu-vre, Paris, 1893.

2 Iohann Gottfried Herder n. a Mohrungen il 1744, m. nel 1803. Vedi intor-no le sue varie attività di teologo, di filosofo e di filologo, VOGT e KOCH,Storia della letteratura tedesca, trad. da Gustavo Balsamo-Crivelli, Tori-no, UTET, 1915, vol. II, pagg. 261-268.

3 Carlo Denina, piemontese, n. nel 1731 m. nel 1813. Il suo libro Delle rivo-luzioni d’Italia dalle origini etrusche fino alla pace di Utrecht, fu tradottoin quasi tutte le lingue d’Europa ed è un notevole saggio storico di tutta lanostra civiltà.

4 Intorno a Cesare Balbo (n. in Torino il 1789 e m. nel 1853) cfr. RICOTTI

ERCOLE, Della vita e degli scritti di C. B., Fìrenze, 1856, e per le sue rela-zioni col G. cfr. G. MASSARI, Ricordi biografici e carteggio di V. G., Torino,1862, vol. II, pagg. 175-183.

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Condorcet1 in Francia, l’Herder2, il Kant e l’Hegel inGermania. Gli altri si ristrinsero a filosofare sui fatti allaspartita, senza procedere a rigor di teorica; la schiera deiquali è grandissima, se si bada al numero, ma scarsa, sesi ha l’occhio alla bontà degli autori; perchè in questogenere di storici discorsi si ricerca principalmente unanotizia esatta, profonda e compiuta degli eventi. L’Italiavanta meno autori di tal sorta, che qualche altro paese,ma migliori per avventura; e se meno superbi e promet-tenti, più accurati e sugosi; fra’ quali il Denina3 superò isuoi coetanei, e Cesare Balbo risplende fra i più recenti4.Io tengo per fermo che la filosofia della storia non puòessere innalzata al grado di teorica scientifica, rigorosa eprecisa, finchè non si fonda sul principio universale del-lo scibile; principio subodorato dal Vico, come metafisi-co, ma non applicato da lui alla nuova disciplina, di cuiebbe l’idea e distese le prime linee. Che se questa mia1 G.G. Condorcet, matematico e filosofo francese, n. in Piccardia nel 1743.

m. a Bourg-la-Reine nel 1794. La famosa opera di Condorcet fu il suoEsquisse des progrès de l’esprit humain. Cfr. ROBINET, C., sa vie et son œu-vre, Paris, 1893.

2 Iohann Gottfried Herder n. a Mohrungen il 1744, m. nel 1803. Vedi intor-no le sue varie attività di teologo, di filosofo e di filologo, VOGT e KOCH,Storia della letteratura tedesca, trad. da Gustavo Balsamo-Crivelli, Tori-no, UTET, 1915, vol. II, pagg. 261-268.

3 Carlo Denina, piemontese, n. nel 1731 m. nel 1813. Il suo libro Delle rivo-luzioni d’Italia dalle origini etrusche fino alla pace di Utrecht, fu tradottoin quasi tutte le lingue d’Europa ed è un notevole saggio storico di tutta lanostra civiltà.

4 Intorno a Cesare Balbo (n. in Torino il 1789 e m. nel 1853) cfr. RICOTTI

ERCOLE, Della vita e degli scritti di C. B., Fìrenze, 1856, e per le sue rela-zioni col G. cfr. G. MASSARI, Ricordi biografici e carteggio di V. G., Torino,1862, vol. II, pagg. 175-183.

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sentenza paresse a taluno gratuita e temeraria, io sonpronto a ridirmi quando mi si additi un pronunziato cheadempia tutte le condizioni della formola, riunisca,com’essa, compitamente tutti gli elementi ideali, ondeabbisogna la filosofia storica, e quadri a capello collememorie e coi monumenti.

Dei Primi storici in generale.Attinenze dei Primi storici col Primo biblico.

La formola ideale co’ suoi due cicli insieme intreccia-ti, e coi tre termini per cui discorre ciascuno di essi, ciporge i Primi, i Secondi e gli Ultimi, che sono i tre mo-menti della storia e rispondono ai tre istanti ideali se-gnalati da Platone, cioè al principio, al mezzo ed al fine.I Primi appartengono tutti al ciclo anteriore, e ne segna-no l’esordio, come gli Ultimi al ciclo posteriore, e nesono il compimento: i Secondi tramezzano fra que’ dueestremi, e abbracciano il processo discorsivo della for-mola. Vi sono tanti Primi storici, quanti sono i germi so-ciali e civili, procreati da Dio ed infusi naturalmente esovranaturalmente nell’umana natura; ognuno dei quali,esplicandosi, costituisce un’epoca storiale, che piglia lemosse da esso Primo, e riesce ad un Ultimo, in cui siferma e si compie. Vi può essere successione cronologi-ca dei Primi, ogni qual volta non siano creati contempo-raneamente, o non comincino allo stesso tempo il loromoto dinamico; il che rispetto a noi è tutt’uno; giacchènon essendoci dato di apprender la forza, se non me-

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sentenza paresse a taluno gratuita e temeraria, io sonpronto a ridirmi quando mi si additi un pronunziato cheadempia tutte le condizioni della formola, riunisca,com’essa, compitamente tutti gli elementi ideali, ondeabbisogna la filosofia storica, e quadri a capello collememorie e coi monumenti.

Dei Primi storici in generale.Attinenze dei Primi storici col Primo biblico.

La formola ideale co’ suoi due cicli insieme intreccia-ti, e coi tre termini per cui discorre ciascuno di essi, ciporge i Primi, i Secondi e gli Ultimi, che sono i tre mo-menti della storia e rispondono ai tre istanti ideali se-gnalati da Platone, cioè al principio, al mezzo ed al fine.I Primi appartengono tutti al ciclo anteriore, e ne segna-no l’esordio, come gli Ultimi al ciclo posteriore, e nesono il compimento: i Secondi tramezzano fra que’ dueestremi, e abbracciano il processo discorsivo della for-mola. Vi sono tanti Primi storici, quanti sono i germi so-ciali e civili, procreati da Dio ed infusi naturalmente esovranaturalmente nell’umana natura; ognuno dei quali,esplicandosi, costituisce un’epoca storiale, che piglia lemosse da esso Primo, e riesce ad un Ultimo, in cui siferma e si compie. Vi può essere successione cronologi-ca dei Primi, ogni qual volta non siano creati contempo-raneamente, o non comincino allo stesso tempo il loromoto dinamico; il che rispetto a noi è tutt’uno; giacchènon essendoci dato di apprender la forza, se non me-

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diante il suo svolgimento, ci è impossibile il determina-re con certezza, se la creazione dei germi universali siastata simultanea (dico simultanea nell’effetto, poichè loè sempre nell’atto causante) o successiva per modo, cheal principio di ogni epoca cosmica si procreassero i semifiorituri nel suo corso. In ogni caso, i Primi susseguentinon annullano i precedenti, ma ne redano gli effetti, esottentrando all’opera loro, li conducono a perfezione.In questa seguenza de’ Primi storici, capo di tutti è lacreazione del genere umano, e termine la redenzione diesso; onde la serie finisce col Cristianesimo, che compièil lume rivelato, e diede principio a una civiltà duraturaquanto gli uomini. Quindi la storia cristiana non èun’embriogenìa novella, ma una semplice esplicazionedei germi dianzi naturati; e se talvolta pare a prima fron-te il contrario, una considerazione più attenta dimostrache il principio obbiettivo già si trovava, benchè nuovosia l’ingegno, strumento subbiettivo del lavoro dinami-co. Così, verbigrazia, Gregorio VII e Dante, principi,l’uno dell’azione, e l’altro del pensiero italiano ed euro-peo, vennero figliati dal cattolicismo, di cui sono i pri-mogeniti, e meritano di esser venerati come padri dellaciviltà moderna, in quanto furono i primi a svolgere lar-gamente il principio eredato dall’Evangelio. Ma d’altraparte è verissimo che la cosmogonia morale del mondonon ebbe il suo esito prima di Cristo, e si stese pe’ seiprimi millenari, secondo il computo dei Settanta1, come1 I settanta scribi giudei ai quali, secondo la leggenda, Tolomeo Filadelfo af-

fidò l’incarico di tradurre in greco la Bibbia ebraica. La Bibbia dei settanta

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diante il suo svolgimento, ci è impossibile il determina-re con certezza, se la creazione dei germi universali siastata simultanea (dico simultanea nell’effetto, poichè loè sempre nell’atto causante) o successiva per modo, cheal principio di ogni epoca cosmica si procreassero i semifiorituri nel suo corso. In ogni caso, i Primi susseguentinon annullano i precedenti, ma ne redano gli effetti, esottentrando all’opera loro, li conducono a perfezione.In questa seguenza de’ Primi storici, capo di tutti è lacreazione del genere umano, e termine la redenzione diesso; onde la serie finisce col Cristianesimo, che compièil lume rivelato, e diede principio a una civiltà duraturaquanto gli uomini. Quindi la storia cristiana non èun’embriogenìa novella, ma una semplice esplicazionedei germi dianzi naturati; e se talvolta pare a prima fron-te il contrario, una considerazione più attenta dimostrache il principio obbiettivo già si trovava, benchè nuovosia l’ingegno, strumento subbiettivo del lavoro dinami-co. Così, verbigrazia, Gregorio VII e Dante, principi,l’uno dell’azione, e l’altro del pensiero italiano ed euro-peo, vennero figliati dal cattolicismo, di cui sono i pri-mogeniti, e meritano di esser venerati come padri dellaciviltà moderna, in quanto furono i primi a svolgere lar-gamente il principio eredato dall’Evangelio. Ma d’altraparte è verissimo che la cosmogonia morale del mondonon ebbe il suo esito prima di Cristo, e si stese pe’ seiprimi millenari, secondo il computo dei Settanta1, come1 I settanta scribi giudei ai quali, secondo la leggenda, Tolomeo Filadelfo af-

fidò l’incarico di tradurre in greco la Bibbia ebraica. La Bibbia dei settanta

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la cosmogonia fisica della terra si racchiude nel giro disei spazi diurni; e questa disparità cronologica delle dueepoche genesiache corrisponde alla loro natura e al cor-so progressivo della creazione. Imperocchè, nello stessomodo che l’uomo, capolavoro dell’organismo terrestre,compiè le sei giornate della genesi de’ corpi, il Cristia-nesimo, cima e fiore di civiltà, apparve nel sesto millen-nio della genesi spirituale, che avanzò di tanto lo spaziodell’altra, quanto per eccellenza ed importanza lo spiritosovrasta alla natura corporea. E coll’Evangelio finìl’opificio morale del mondo, mediante il riscatto, chechiuse il periodo della rivelazione. La quale torna a unmedesimo colla creazione, che ne è il principio, e collaredenzione, che ne è il compimento, e quindi abbracciatutto il primo ciclo; essendo che per lei si produce il co-noscimento, come per le altre due operazioni si effettuala realtà e si adempie il ristauro delle esistenze cono-sciute. La rivelazione si riferisce all’intuito e alla rifles-sione, è pensiero e parola insieme, e quindi Idea e Ver-bo: essa è la cognizione, in quanto nasce dall’oggettoparlato, e si contrapone alla scoperta, che rampolla dalsoggetto parlante e di previa rivelazione abbisogna. Per-ciò la rivelazione abbraccia tutti i Primi nell’ordineideale, e spetta al primo ciclo, dove che la scoperta, cau-sa seconda e umana procreatrice della scienza, appartie-

(meglio settantadue perchè furono 6 per ciascuna delle 12 tribù) differisceda quella ebraica per due aspetti: esistenza di libri in più e diverso ordina-mento degli scritti sacri. La traduzione dei settanta ebbe un immenso suc-cesso nel mondo giudaico.

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la cosmogonia fisica della terra si racchiude nel giro disei spazi diurni; e questa disparità cronologica delle dueepoche genesiache corrisponde alla loro natura e al cor-so progressivo della creazione. Imperocchè, nello stessomodo che l’uomo, capolavoro dell’organismo terrestre,compiè le sei giornate della genesi de’ corpi, il Cristia-nesimo, cima e fiore di civiltà, apparve nel sesto millen-nio della genesi spirituale, che avanzò di tanto lo spaziodell’altra, quanto per eccellenza ed importanza lo spiritosovrasta alla natura corporea. E coll’Evangelio finìl’opificio morale del mondo, mediante il riscatto, chechiuse il periodo della rivelazione. La quale torna a unmedesimo colla creazione, che ne è il principio, e collaredenzione, che ne è il compimento, e quindi abbracciatutto il primo ciclo; essendo che per lei si produce il co-noscimento, come per le altre due operazioni si effettuala realtà e si adempie il ristauro delle esistenze cono-sciute. La rivelazione si riferisce all’intuito e alla rifles-sione, è pensiero e parola insieme, e quindi Idea e Ver-bo: essa è la cognizione, in quanto nasce dall’oggettoparlato, e si contrapone alla scoperta, che rampolla dalsoggetto parlante e di previa rivelazione abbisogna. Per-ciò la rivelazione abbraccia tutti i Primi nell’ordineideale, e spetta al primo ciclo, dove che la scoperta, cau-sa seconda e umana procreatrice della scienza, appartie-

(meglio settantadue perchè furono 6 per ciascuna delle 12 tribù) differisceda quella ebraica per due aspetti: esistenza di libri in più e diverso ordina-mento degli scritti sacri. La traduzione dei settanta ebbe un immenso suc-cesso nel mondo giudaico.

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ne all’ultimo ciclo, e nella rivelazione anteriore ha il suofondamento, Creazione, rivelazione e redenzione sonotre atti sovranaturali, nell’ordine delle cose e in quellodelle cognizioni; dovechè l’esplicazione dei germi pro-dotti da quei tre principii negli ordini meramente tempo-rali, alla natura appartiene; la quale, propriamente par-lando, non è altro che l’evoluzione dei semi divinamen-te procreati, rispetto alla vita cosmica. Perciò essa natu-ra fa parte del secondo ciclo storico, e il sovranaturale,in quanto spetta all’essenza dell’ordine morale, e inmodo esterno e sensibile si manifesta, è proprio del pri-mo; giacchè quello che si riferisce al secondo ciclo invi-sibilmente si esercita, ovvero, se apparisce di fuori, nonè materia di fede, ma solo di pia credenza o di liberaopinione. La natura, che spetta all’ultimo ciclo, è dun-que un Secondo; il quale, sottostando a un Primo ante-riore, e non essendo atto a padroneggiarlo (come l’effet-to non può signoreggiare la sua cagione), non può com-prenderlo naturalmente; giacchè la comprensione impor-ta una maggioranza sull’oggetto compreso. Quindiemerge il sovrintelligibile; il quale nasce sostanzialmen-te dall’impotenza della natura intellettiva a penetrare ilsovranaturale, che la precede e sopravanza1. Al sovrana-turale e al sovrintelligibile si riferiscono il miracolo e il

1 Nell’Introduzione allo studio della filosofia, il G. avverte che la realtà delsovrintelligibile arguisce l’imperfezione dell’intelligibile a rispetto nostro:perocchè, se questo fosse assoluto, quello non potrebbe darsi in natura. Ilconcetto del sovranaturale è poi gemello del sovrintelligibile ed esprimenell’ordine dei fatti ciò che viene significato dall’altro nell’ordine delleidee (Cfr. V. PICCOLI, Il pensiero di G., Lanciano, s. d., pag.34).

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ne all’ultimo ciclo, e nella rivelazione anteriore ha il suofondamento, Creazione, rivelazione e redenzione sonotre atti sovranaturali, nell’ordine delle cose e in quellodelle cognizioni; dovechè l’esplicazione dei germi pro-dotti da quei tre principii negli ordini meramente tempo-rali, alla natura appartiene; la quale, propriamente par-lando, non è altro che l’evoluzione dei semi divinamen-te procreati, rispetto alla vita cosmica. Perciò essa natu-ra fa parte del secondo ciclo storico, e il sovranaturale,in quanto spetta all’essenza dell’ordine morale, e inmodo esterno e sensibile si manifesta, è proprio del pri-mo; giacchè quello che si riferisce al secondo ciclo invi-sibilmente si esercita, ovvero, se apparisce di fuori, nonè materia di fede, ma solo di pia credenza o di liberaopinione. La natura, che spetta all’ultimo ciclo, è dun-que un Secondo; il quale, sottostando a un Primo ante-riore, e non essendo atto a padroneggiarlo (come l’effet-to non può signoreggiare la sua cagione), non può com-prenderlo naturalmente; giacchè la comprensione impor-ta una maggioranza sull’oggetto compreso. Quindiemerge il sovrintelligibile; il quale nasce sostanzialmen-te dall’impotenza della natura intellettiva a penetrare ilsovranaturale, che la precede e sopravanza1. Al sovrana-turale e al sovrintelligibile si riferiscono il miracolo e il

1 Nell’Introduzione allo studio della filosofia, il G. avverte che la realtà delsovrintelligibile arguisce l’imperfezione dell’intelligibile a rispetto nostro:perocchè, se questo fosse assoluto, quello non potrebbe darsi in natura. Ilconcetto del sovranaturale è poi gemello del sovrintelligibile ed esprimenell’ordine dei fatti ciò che viene significato dall’altro nell’ordine delleidee (Cfr. V. PICCOLI, Il pensiero di G., Lanciano, s. d., pag.34).

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mistero, come le parti al tutto: quello è l’aspetto fisico,sensato, e quasi l’esteriorità del Primo; questo ne è illato ideale e sovrasensibile, l’interiorità essenziale e re-condita. Non fo che accennare rapidamente queste dedu-zioni della formola ideale, per chiarire la sua feconditàin ordine alla scienza degli eventi, e alla teologia storica,che strettamente se le attiene; e per mostrare che essaformola è il solo filo atto a porgere una guida sicura nellaberinto dei fatti, e a risolvere molte quistioni storialialtrimenti insolubili. Infatti, senza la dottrina dei due ci-cli, non si può stabilire in modo dimostrativo la necessi-tà del sovranaturale per dichiarar le origini, nè dar ragio-ne scientifica del suo decrescere successivo e de’ suoiintervalli, nè confutar coloro che, inducendo empirica-mente il passato dal presente, misuraro dal corso attualedella natura gli eventi dei primi tempi, e legittimanoquindi il sensismo e il razionalismo storico, né stabilireil divario essenziale che corre fra l’età anterioreall’annunzio evangelico e quella che venne appresso, in-torno al tenore della civiltà e della vita morale della no-stra specie, nè, in fine, mettere in sodo le speranze im-mortali del cristiano incivilimento, destinato dalla Pro-videnza a durar quanto i secoli.

L’ideologia storica non avrebbe il suo compimento,se, oltre al fondarsi a priori sui dettati della ragione, e aposteriori sulle induzioni storiche e sperimentali, nonfosse eziandio convalidata superiormente dalla rivela-zione, e non avesse l’appoggio estrinseco e diretto deimonumenti. Essa è nello stesso tempo un dogma rivela-

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mistero, come le parti al tutto: quello è l’aspetto fisico,sensato, e quasi l’esteriorità del Primo; questo ne è illato ideale e sovrasensibile, l’interiorità essenziale e re-condita. Non fo che accennare rapidamente queste dedu-zioni della formola ideale, per chiarire la sua feconditàin ordine alla scienza degli eventi, e alla teologia storica,che strettamente se le attiene; e per mostrare che essaformola è il solo filo atto a porgere una guida sicura nellaberinto dei fatti, e a risolvere molte quistioni storialialtrimenti insolubili. Infatti, senza la dottrina dei due ci-cli, non si può stabilire in modo dimostrativo la necessi-tà del sovranaturale per dichiarar le origini, nè dar ragio-ne scientifica del suo decrescere successivo e de’ suoiintervalli, nè confutar coloro che, inducendo empirica-mente il passato dal presente, misuraro dal corso attualedella natura gli eventi dei primi tempi, e legittimanoquindi il sensismo e il razionalismo storico, né stabilireil divario essenziale che corre fra l’età anterioreall’annunzio evangelico e quella che venne appresso, in-torno al tenore della civiltà e della vita morale della no-stra specie, nè, in fine, mettere in sodo le speranze im-mortali del cristiano incivilimento, destinato dalla Pro-videnza a durar quanto i secoli.

L’ideologia storica non avrebbe il suo compimento,se, oltre al fondarsi a priori sui dettati della ragione, e aposteriori sulle induzioni storiche e sperimentali, nonfosse eziandio convalidata superiormente dalla rivela-zione, e non avesse l’appoggio estrinseco e diretto deimonumenti. Essa è nello stesso tempo un dogma rivela-

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to e un fatto monumentale, ritraendo dalla divina autori-tà della religione e dall’autorità umana delle tradizioni edelle memorie in modo così evidente, che ne risulta, nongià una semplice verosimiglianza, ma una moral certez-za, inespugnabile dagli assalti manco benevoli e più in-gegnosi della critica. Questo doppio vantaggio le vienconferito dalla parola che l’esprime, cioè dal Primo bi-blico, come quello che è un libro umano e divino insie-me, un codice rivelato, e un autentico, intatto e veridicodocumento. Come scrittura rivelata, il Primo biblicomuove a superiori dall’inspirazione, e si avvalora diquella intima e sovrumana certezza che privilegia lafede, e, informata dai celesti influssi, soprastà alle diffe-renze degl’ingegni, dell’educazione e della coltura. Se ilPrimo biblico rivelato non fosse, non potrebbe sortire ilsuo intento, come libro delle origini; conciossiachèl’origine, importando sempre un atto creativo e sovrana-turale, non può esser nota altrimenti che per via di rive-lazione. Senza i lumi di questa, non si può avere alcunastoria originale e primitiva, e gli annali del genere uma-no diventando acefali, riescono inetti, come una troncanarrativa, a essere oggetto di scienza. Vero è che le tra-dizioni religiose dei varii popoli eterodossi, quasi ombredel Primo biblico, ci aiutano a risalir più addietro diogni altra memoria1; tuttavia esse non bastano all’uopo,e se ci avvicinano alla meta, sono inette a superare ogni

1 «De tout temps et partout, c’est la religion qui nous a conservé les racinesles plus profondes de l’histoire ancienne». (PETIT-RADEL, Annali dell’Inst.archeolog., 1832, pag. 242). Aurea sentenza. [G.].

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to e un fatto monumentale, ritraendo dalla divina autori-tà della religione e dall’autorità umana delle tradizioni edelle memorie in modo così evidente, che ne risulta, nongià una semplice verosimiglianza, ma una moral certez-za, inespugnabile dagli assalti manco benevoli e più in-gegnosi della critica. Questo doppio vantaggio le vienconferito dalla parola che l’esprime, cioè dal Primo bi-blico, come quello che è un libro umano e divino insie-me, un codice rivelato, e un autentico, intatto e veridicodocumento. Come scrittura rivelata, il Primo biblicomuove a superiori dall’inspirazione, e si avvalora diquella intima e sovrumana certezza che privilegia lafede, e, informata dai celesti influssi, soprastà alle diffe-renze degl’ingegni, dell’educazione e della coltura. Se ilPrimo biblico rivelato non fosse, non potrebbe sortire ilsuo intento, come libro delle origini; conciossiachèl’origine, importando sempre un atto creativo e sovrana-turale, non può esser nota altrimenti che per via di rive-lazione. Senza i lumi di questa, non si può avere alcunastoria originale e primitiva, e gli annali del genere uma-no diventando acefali, riescono inetti, come una troncanarrativa, a essere oggetto di scienza. Vero è che le tra-dizioni religiose dei varii popoli eterodossi, quasi ombredel Primo biblico, ci aiutano a risalir più addietro diogni altra memoria1; tuttavia esse non bastano all’uopo,e se ci avvicinano alla meta, sono inette a superare ogni

1 «De tout temps et partout, c’est la religion qui nous a conservé les racinesles plus profondes de l’histoire ancienne». (PETIT-RADEL, Annali dell’Inst.archeolog., 1832, pag. 242). Aurea sentenza. [G.].

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intervallo frapposto, e a farcela compiutamente assegui-re. Imperocchè nelle ricordanze umane dei popoli l’ele-mento subbiettivo ed essoterico prevale di gran lungaall’obbiettivo ed acroamatico, e la storia sottostà allamitologia; la quale è, per così dire, la soggettivitàdell’immaginazione applicata alle cose estrinseche, e lapoesia sostituita alla tela degli eventi storiali. All’incon-tro il Primo biblico, come documento rivelato, è scevrodi ogni ingrediente mitico, e si mostra schiettamente ob-biettivo; onde nasce il suo valore come ontologia dellastoria. Ma questo divin documento, essendo eziandioumano e munito di titoli umanamente invitti, la persua-sione che se ne ingenera, è simile a quella che corre nel-le materie di semplice narrativa, e ha le sue radici nelconsenso delle generazioni e nell’autorevolezza dei te-stimoni; tanto che per questo verso le premesse dellascienza storica somigliano per la natura loro alle sueconseguenze. In virtù di tale appoggio la notizia delleorigini non è ridotta ad essere una deduzione raziocina-le, nè un’induzione remota e verisimile, nè un dogmareligioso soltanto; ma diventa un fatto storico, appresonaturalmente, come si apprendono i successi preteritiche sopravissero nella memoria degli uomini. Se a que-ste considerazioni si aggiunge che il Primo biblico, oltreall’essere la base della storia, è il fondamento dellascienza, s’immedesima col Primo filosofico, principiounico di tutto lo scibile, ed è la filosofia stessa, conside-

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intervallo frapposto, e a farcela compiutamente assegui-re. Imperocchè nelle ricordanze umane dei popoli l’ele-mento subbiettivo ed essoterico prevale di gran lungaall’obbiettivo ed acroamatico, e la storia sottostà allamitologia; la quale è, per così dire, la soggettivitàdell’immaginazione applicata alle cose estrinseche, e lapoesia sostituita alla tela degli eventi storiali. All’incon-tro il Primo biblico, come documento rivelato, è scevrodi ogni ingrediente mitico, e si mostra schiettamente ob-biettivo; onde nasce il suo valore come ontologia dellastoria. Ma questo divin documento, essendo eziandioumano e munito di titoli umanamente invitti, la persua-sione che se ne ingenera, è simile a quella che corre nel-le materie di semplice narrativa, e ha le sue radici nelconsenso delle generazioni e nell’autorevolezza dei te-stimoni; tanto che per questo verso le premesse dellascienza storica somigliano per la natura loro alle sueconseguenze. In virtù di tale appoggio la notizia delleorigini non è ridotta ad essere una deduzione raziocina-le, nè un’induzione remota e verisimile, nè un dogmareligioso soltanto; ma diventa un fatto storico, appresonaturalmente, come si apprendono i successi preteritiche sopravissero nella memoria degli uomini. Se a que-ste considerazioni si aggiunge che il Primo biblico, oltreall’essere la base della storia, è il fondamento dellascienza, s’immedesima col Primo filosofico, principiounico di tutto lo scibile, ed è la filosofia stessa, conside-

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rata, come Scienza divina della parola1, ne risulta per lafilosofia storica, quale l’abbiamo delineata, una certezzacosì piena e assoluta, che nessun’altra la pareggia o lasupera. Il che dovrebb’essere avvertito da coloro che ac-cusano questa disciplina di essere incerta, confusa, va-cillante, e di tenere assai del poetico e del romanzesconel suo processo e nelle conclusioni; onde vorrebberosbandito dallo studio dei fatti ogni discorso speculativo;alla qual famiglia mi spiace di dover annoverare CarloBotta, che per copia ed eleganza di facondia fu il primostorico del nostro secolo2. Accusa certo non ingiusta, sesi discorre della filosofia storiale, quale oggi corre nellescuole dei razionali e dei panteisti; ma che non può ri-volgersi equamente contro la disciplina in sè stessa, ca-pacissima di essere innalzata a stato e abito rigoroso discienza.

Della Genesi; suo processo.

Il Primo biblico raccoglie, esprime ed incarna i prin-cipii ideali della storia, gli avviva, gl’individua, li con-cretizza, conferendo loro un’esistenza sensata ed estrin-seca. Perciò nello stesso modo che la formola significata

1 Gli Arabi chiamano la filosofia Elm Al Kelam (secondo l’ortografiadell’Herbelot), cioè scienza delle parole. Le danno anche il nome di ElmElahiat, che suona scienza divina. (HERBELOT, Bibl. Orient., La Haye, 1777,tomo I, pag. 629; tomo II, pagg. 358-723), [G.].

2 Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini, Prefazione. Intorno aCarlo Botta (n. a San Giorgio Canavese nel 1766, m. a Parigi nel 1837) cfr.altri giudizii del G. in F. UGOLINI, op. cit., pagg. 43, 92, 110, 169, 176, 214,310, 384, 395.

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rata, come Scienza divina della parola1, ne risulta per lafilosofia storica, quale l’abbiamo delineata, una certezzacosì piena e assoluta, che nessun’altra la pareggia o lasupera. Il che dovrebb’essere avvertito da coloro che ac-cusano questa disciplina di essere incerta, confusa, va-cillante, e di tenere assai del poetico e del romanzesconel suo processo e nelle conclusioni; onde vorrebberosbandito dallo studio dei fatti ogni discorso speculativo;alla qual famiglia mi spiace di dover annoverare CarloBotta, che per copia ed eleganza di facondia fu il primostorico del nostro secolo2. Accusa certo non ingiusta, sesi discorre della filosofia storiale, quale oggi corre nellescuole dei razionali e dei panteisti; ma che non può ri-volgersi equamente contro la disciplina in sè stessa, ca-pacissima di essere innalzata a stato e abito rigoroso discienza.

Della Genesi; suo processo.

Il Primo biblico raccoglie, esprime ed incarna i prin-cipii ideali della storia, gli avviva, gl’individua, li con-cretizza, conferendo loro un’esistenza sensata ed estrin-seca. Perciò nello stesso modo che la formola significata

1 Gli Arabi chiamano la filosofia Elm Al Kelam (secondo l’ortografiadell’Herbelot), cioè scienza delle parole. Le danno anche il nome di ElmElahiat, che suona scienza divina. (HERBELOT, Bibl. Orient., La Haye, 1777,tomo I, pag. 629; tomo II, pagg. 358-723), [G.].

2 Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini, Prefazione. Intorno aCarlo Botta (n. a San Giorgio Canavese nel 1766, m. a Parigi nel 1837) cfr.altri giudizii del G. in F. UGOLINI, op. cit., pagg. 43, 92, 110, 169, 176, 214,310, 384, 395.

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da quello, applicandosi all’enciclopedia in universale,crea la scienza prima, che spiega e legittima i dati, iprincipii, i metodi e lo scopo di ogni disciplina partico-lare; così, adattandosi alla memoria dei fatti umani, essagenera la storia prima, che dichiara e convalida le origi-ni, i progressi, le leggi e il fine degli eventi speciali, per-venuti alla nostra notizia. Si avverta questa unificazionedella scienza e della storia in un principio comune, chele produce entrambe; principio che nel giro ideale creale speculazioni e le ricordanze, come nel giro reale par-torisce gli oggetti in cui esse si esercitano. Il Primo bi-blico consiste in due monumenti storici, dotati umana-mente e divinamente di autorità irrefragabile; cioè nelGenesi e nell’Evangelio; l’uno dei quali esprime il con-cetto e il fatto iniziale della creazione, e l’altro il concet-to e il fatto complementare della redenzione; tanto che,riuniti insieme, abbracciano integralmente la dottrinadei due cicli. La Genesi1, che, considerata generalmente,è il libro universale e primitivo del genere umano orto-dosso, e la fonte di ogni sua letteratura, è scientifica-mente e storicamente il libro dei principii e delle origini,e quindi comprende la protologia, l’assiomatica el’ontologia della scienza e della storia; protologia uma-na, in quanto la sua narrativa è corroborata dai canoniordinari della critica, e divina in quanto discende dal

1 La Genesi è il primo libro del Pentateuco (Torà) e comprende 50 capitoli,che vanno dalla creazione del mondo e della prima coppia umana fino allamorte di Giacobbe e di Giuseppe. (Cfr. L. SALVATORELLI ed E. Hühn, LaBibbia, Palermo, s. d., pagg. 13-14).

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da quello, applicandosi all’enciclopedia in universale,crea la scienza prima, che spiega e legittima i dati, iprincipii, i metodi e lo scopo di ogni disciplina partico-lare; così, adattandosi alla memoria dei fatti umani, essagenera la storia prima, che dichiara e convalida le origi-ni, i progressi, le leggi e il fine degli eventi speciali, per-venuti alla nostra notizia. Si avverta questa unificazionedella scienza e della storia in un principio comune, chele produce entrambe; principio che nel giro ideale creale speculazioni e le ricordanze, come nel giro reale par-torisce gli oggetti in cui esse si esercitano. Il Primo bi-blico consiste in due monumenti storici, dotati umana-mente e divinamente di autorità irrefragabile; cioè nelGenesi e nell’Evangelio; l’uno dei quali esprime il con-cetto e il fatto iniziale della creazione, e l’altro il concet-to e il fatto complementare della redenzione; tanto che,riuniti insieme, abbracciano integralmente la dottrinadei due cicli. La Genesi1, che, considerata generalmente,è il libro universale e primitivo del genere umano orto-dosso, e la fonte di ogni sua letteratura, è scientifica-mente e storicamente il libro dei principii e delle origini,e quindi comprende la protologia, l’assiomatica el’ontologia della scienza e della storia; protologia uma-na, in quanto la sua narrativa è corroborata dai canoniordinari della critica, e divina in quanto discende dal

1 La Genesi è il primo libro del Pentateuco (Torà) e comprende 50 capitoli,che vanno dalla creazione del mondo e della prima coppia umana fino allamorte di Giacobbe e di Giuseppe. (Cfr. L. SALVATORELLI ed E. Hühn, LaBibbia, Palermo, s. d., pagg. 13-14).

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fonte celestiale dell’inspirazione. Essa è pertanto unastoria che non corre semplicemente a posteriori, come lealtre, ma cammina a priori, e non muove soltantodall’effetto, cioè dalla memoria creata, che conserva lanotizia degli eventi, ma eziandio dalla causa loro, che èquanto dire dall’Idea creatrice che li produce. Pe’ suoititoli estrinseci essa è una scrittura divina ed umana,un’opera di compilazione e d’inspirazione, una prope-deutica religiosa ed enciclopedica, un monumento co-smopolitico in genere, e un documento semitico edisraelitico in ispecie. Quanto alla materia, ci trovi unospecchio compendioso, ma fedele, della famiglia umanae del mondo fin dai loro principii, e ci vedi rappresenta-ta l’esplicazione dinamica della natura e della storia ne’suoi due momenti della unità primitiva e della varietàsuccedente, vale a dire la prima origine, il regresso ini-ziale e il progresso primitivo di tutte le cose. Il suo proe-mio è sublime e semplicissimo; poichè, incominciandocon Dio e coll’eterno, discorre al mondo e al tempo, eaddita il nesso dei due ordini nel principio di creazione.Stabilita la formola ideale, e la prima origine dei germiuniversalmente, discende al racconto della loro genesiesplicativa, e alle varie epoche che la distinguono: indi-ca con una parola la formazione complessiva dell’unitàmondiale, e della dualità del cielo e della terra, gitta lebasi della fisica universale, accenna al sistemadell’attrazione, e con ciò che tocca della luce e del calo-rico, come agenti universali della natura, antiviene ditrentatrè secoli la scienza moderna; poi nella terra si fer-

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fonte celestiale dell’inspirazione. Essa è pertanto unastoria che non corre semplicemente a posteriori, come lealtre, ma cammina a priori, e non muove soltantodall’effetto, cioè dalla memoria creata, che conserva lanotizia degli eventi, ma eziandio dalla causa loro, che èquanto dire dall’Idea creatrice che li produce. Pe’ suoititoli estrinseci essa è una scrittura divina ed umana,un’opera di compilazione e d’inspirazione, una prope-deutica religiosa ed enciclopedica, un monumento co-smopolitico in genere, e un documento semitico edisraelitico in ispecie. Quanto alla materia, ci trovi unospecchio compendioso, ma fedele, della famiglia umanae del mondo fin dai loro principii, e ci vedi rappresenta-ta l’esplicazione dinamica della natura e della storia ne’suoi due momenti della unità primitiva e della varietàsuccedente, vale a dire la prima origine, il regresso ini-ziale e il progresso primitivo di tutte le cose. Il suo proe-mio è sublime e semplicissimo; poichè, incominciandocon Dio e coll’eterno, discorre al mondo e al tempo, eaddita il nesso dei due ordini nel principio di creazione.Stabilita la formola ideale, e la prima origine dei germiuniversalmente, discende al racconto della loro genesiesplicativa, e alle varie epoche che la distinguono: indi-ca con una parola la formazione complessiva dell’unitàmondiale, e della dualità del cielo e della terra, gitta lebasi della fisica universale, accenna al sistemadell’attrazione, e con ciò che tocca della luce e del calo-rico, come agenti universali della natura, antiviene ditrentatrè secoli la scienza moderna; poi nella terra si fer-

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ma, come speciale retaggio assegnato dalla Providenzaall’esercizio fattivo e conoscitivo dello spirito umano.La storia della terra comprende varii periodi; fra i qualialcuni precedettero lo stato attuale, e vengono dal suostoriografo appena additati, come estrinseci a quell’ordi-ne delle cose che ci riguarda; laddove sono da lui distin-ti e divisati con precisione sommaria i diversi spazidell’ultima età geogonica che precorse all’età umana, ene fu l’esordio e l’apparecchio. Descritta la generazionedella terra, egli passa a discorrere dell’uomo, suo princi-pe: ne narra l’origine: ne dichiara la natura, le prerogati-ve, il destino, la felicità, la caduta, la punizione: ne toc-ca le future speranze e il promesso risorgimento: fermain termini espressi la cognazione con Dio, l’investituradivina del terrestre dominio fatta nella sua persona,l’eguaglianza naturale e la fratellanza di tutti gli uomini,e pianta le basi del coniugio uno e indissolubile, dellafamiglia, dello stato, della società delle genti, tratteg-giando le prime linee dei doveri e dei diritti in universa-le. Poi racconta sommariamente la storia dell’uman ge-nere innanzi al diluvio, la prima division delle stirpi,l’invenzion delle arti, la corruttela di quel nativo incivi-limento, e circoscrive i particolari del flagello stermina-tore. Cessato il quale, la specie umana rinasce da unasola famiglia: si rappicca il filo interrotto dei progressicivili: le lingue si confondono e si moltiplicano, le stirpisi dividono di nuovo, risorge l’eterodossia, e a côsta diessa il popolo dell’elezione, sortito sovrumanamentealla custodia del vero rivelato. Il resto del libro versa in-

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ma, come speciale retaggio assegnato dalla Providenzaall’esercizio fattivo e conoscitivo dello spirito umano.La storia della terra comprende varii periodi; fra i qualialcuni precedettero lo stato attuale, e vengono dal suostoriografo appena additati, come estrinseci a quell’ordi-ne delle cose che ci riguarda; laddove sono da lui distin-ti e divisati con precisione sommaria i diversi spazidell’ultima età geogonica che precorse all’età umana, ene fu l’esordio e l’apparecchio. Descritta la generazionedella terra, egli passa a discorrere dell’uomo, suo princi-pe: ne narra l’origine: ne dichiara la natura, le prerogati-ve, il destino, la felicità, la caduta, la punizione: ne toc-ca le future speranze e il promesso risorgimento: fermain termini espressi la cognazione con Dio, l’investituradivina del terrestre dominio fatta nella sua persona,l’eguaglianza naturale e la fratellanza di tutti gli uomini,e pianta le basi del coniugio uno e indissolubile, dellafamiglia, dello stato, della società delle genti, tratteg-giando le prime linee dei doveri e dei diritti in universa-le. Poi racconta sommariamente la storia dell’uman ge-nere innanzi al diluvio, la prima division delle stirpi,l’invenzion delle arti, la corruttela di quel nativo incivi-limento, e circoscrive i particolari del flagello stermina-tore. Cessato il quale, la specie umana rinasce da unasola famiglia: si rappicca il filo interrotto dei progressicivili: le lingue si confondono e si moltiplicano, le stirpisi dividono di nuovo, risorge l’eterodossia, e a côsta diessa il popolo dell’elezione, sortito sovrumanamentealla custodia del vero rivelato. Il resto del libro versa in-

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torno ai fati particolari di questa stirpe, durante il suomodo di vivere tribunizio e patriarcale, finchè non è ri-dotta a essere di nazione. Tutta la narrativa è sparsa dilumi profetici che collegano il passato coll’avvenire, e iprincipii del primo ciclo genesiaco del mondo moralecol suo evangelico compimento. Il metodo seguìtodall’autore non è meno ammirabile del soggetto; con-ciossiachè egli procede all’ideale e alla sintetica, discen-dendo di mano in mano dagli oggetti più eccelsi e gene-rici ai particolari di bassa data, e discorrendo da Dio aIsraele pei cinque momenti interposti e successivi dellacreazione, dell’universo, della terra, del genere umano edelle varie stirpi; i quali sono le anella che legano insie-me storicamente quei due estremi, e rendono il processodello scrittore conforme a quello delle idee e delle cose,giusta il primo ciclo della formola scolpita nel frontispi-zio del libro. Medesimamente il dir dell’autore è più ge-nerico, conciso e ristretto, secondo che il tema è più su-blime; e quanto più dilungasi da tali altezze e discende acose minori, tanto diventa più specifico e diffuso. Cosìla creazione e la storia dell’universo sono contenute indue soli versetti; in un capitolo, la genesi della terra; inquattro capitoli, gli annali antediluviani; in sei, le vicen-de universali dei Noachidi sino ad Abramo: il rimanentedel libro espone gl’incrementi del patriarcato onde uscìil popolo ortodosso. La quale economia prova da un latola veracità dello storico, quando i romanzieri eterodossidelle origini si mostrano tanto più minuti e copiosi,quanto più lontane sono le cose che raccontano; e chi

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torno ai fati particolari di questa stirpe, durante il suomodo di vivere tribunizio e patriarcale, finchè non è ri-dotta a essere di nazione. Tutta la narrativa è sparsa dilumi profetici che collegano il passato coll’avvenire, e iprincipii del primo ciclo genesiaco del mondo moralecol suo evangelico compimento. Il metodo seguìtodall’autore non è meno ammirabile del soggetto; con-ciossiachè egli procede all’ideale e alla sintetica, discen-dendo di mano in mano dagli oggetti più eccelsi e gene-rici ai particolari di bassa data, e discorrendo da Dio aIsraele pei cinque momenti interposti e successivi dellacreazione, dell’universo, della terra, del genere umano edelle varie stirpi; i quali sono le anella che legano insie-me storicamente quei due estremi, e rendono il processodello scrittore conforme a quello delle idee e delle cose,giusta il primo ciclo della formola scolpita nel frontispi-zio del libro. Medesimamente il dir dell’autore è più ge-nerico, conciso e ristretto, secondo che il tema è più su-blime; e quanto più dilungasi da tali altezze e discende acose minori, tanto diventa più specifico e diffuso. Cosìla creazione e la storia dell’universo sono contenute indue soli versetti; in un capitolo, la genesi della terra; inquattro capitoli, gli annali antediluviani; in sei, le vicen-de universali dei Noachidi sino ad Abramo: il rimanentedel libro espone gl’incrementi del patriarcato onde uscìil popolo ortodosso. La quale economia prova da un latola veracità dello storico, quando i romanzieri eterodossidelle origini si mostrano tanto più minuti e copiosi,quanto più lontane sono le cose che raccontano; e chi

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non sente il valore di questo progresso e la pelegrinitàche ne risulta, reputando Mosè un copista o un imitatoredei mitografi egizi, persiani, caldei, indici, argomenta arovescio, come colui che avesse l’orpello per tipodell’oro, e stimasse l’architettura greca modellata sullagotica. E dall’altro lato risponde all’indole di tutto loscibile; il quale, quanto più si scosta dall’individualitàdelle cose proprie, tanto meno è concreto e copioso: lasua maggiore ricchezza sta nei particolari; laddove neigenerali scarseggia, perchè la generalità di cui è capacelo spirito umano, ha penuria di polpe e di ossa, ed è im-perfettissima. Ma se gli universali del Genesi sono con-cisi, hanno però molta precisione nella brevità loro; ebenchè per l’antichità della lingua e l’elocuzione som-mamente laconica, alcuni passi tornino oscuri ed ambi-gui, ciò non toglie che il complesso del libro rischiarimirabilmente la scienza dei principii e delle origini. Iprincipii fisici, metafisici, teologici, morali, politici,estetici, economici, razionali, sovrarazionali, e tutte leorigini storiche vi si contengono esplicate o implicateper modo, che non è difficile il trarle fuori e metterle inluce. Onde il divin codice dai Greci fu chiamato Genesi,perchè contiene le generazioni del cielo e della terra1,non già in senso panteistico, poichè tutto si fonda nellacreazione, ma in senso dinamico, in quanto vi si rac-chiuggono tutti i germi reali e ideali di cui l’Onnipoten-te arricchì da principio le sue opere. La parola precisa,

1 Gen., II, 1,

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non sente il valore di questo progresso e la pelegrinitàche ne risulta, reputando Mosè un copista o un imitatoredei mitografi egizi, persiani, caldei, indici, argomenta arovescio, come colui che avesse l’orpello per tipodell’oro, e stimasse l’architettura greca modellata sullagotica. E dall’altro lato risponde all’indole di tutto loscibile; il quale, quanto più si scosta dall’individualitàdelle cose proprie, tanto meno è concreto e copioso: lasua maggiore ricchezza sta nei particolari; laddove neigenerali scarseggia, perchè la generalità di cui è capacelo spirito umano, ha penuria di polpe e di ossa, ed è im-perfettissima. Ma se gli universali del Genesi sono con-cisi, hanno però molta precisione nella brevità loro; ebenchè per l’antichità della lingua e l’elocuzione som-mamente laconica, alcuni passi tornino oscuri ed ambi-gui, ciò non toglie che il complesso del libro rischiarimirabilmente la scienza dei principii e delle origini. Iprincipii fisici, metafisici, teologici, morali, politici,estetici, economici, razionali, sovrarazionali, e tutte leorigini storiche vi si contengono esplicate o implicateper modo, che non è difficile il trarle fuori e metterle inluce. Onde il divin codice dai Greci fu chiamato Genesi,perchè contiene le generazioni del cielo e della terra1,non già in senso panteistico, poichè tutto si fonda nellacreazione, ma in senso dinamico, in quanto vi si rac-chiuggono tutti i germi reali e ideali di cui l’Onnipoten-te arricchì da principio le sue opere. La parola precisa,

1 Gen., II, 1,

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ma breve, che per la concisione e generalità sua tiene al-quanto dell’enigmatico, rassomiglia alla natura embrio-nica del seme nella natura organica, e della riflessioneiniziale negli ordini del conoscimento, la quale poco an-cora dall’intuito si distingue, e appartiene all’atto primodella forza cogitativa nel suo mentale esplicamento. LaGenesi rappresenta divinamente la riflessione umana nelsuo stato incoativo, e quando ella comincia ad appartarsidal semplice intuito, come il feto che si svincola dalgrembo materno; ed è, per così dire, la natività della co-gnizione parlata e della scienza. La riflessione bambina,che crebbe a poco a poco e divenne adulta col Cristiane-simo, risponde alla dottrina acroamatica, che si diffondedi mano in mano, finchè in essoterica si trasforma; quin-di è che la lettura dei primi capitoli del Berescìt, enci-clopedici e polistorici di lor natura, ma stringatissimi, ecostituenti l’acroamatismo del codice mosaico, era inter-detta agli Israeliti non ancora maturi. Erra chi stima certidogmi razionali o rivelati, come l’immortalità dell’ani-ma, la Trinità, l’Incarnazione, il peccato originale,l’angelologia, e simili, esser nati assai più tardi, perchènon vengono nel Genesi chiaramente espressi, e ripudiai cenni che gli adombrano, recando nell’interpretarequesto libro unico una esegesi solo applicabile a scrittu-re d’altra indole e d’altri tempi. Tal è il processo dei cri-tici razionali; il quale è così savio come quello di un psi-cologo che trovar volesse nell’intuito, e nella rozza ri-flessione degl’idioti e dei fanciulli, quella notizia distin-ta e matura del vero che si possiede dai dotti e dagli

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ma breve, che per la concisione e generalità sua tiene al-quanto dell’enigmatico, rassomiglia alla natura embrio-nica del seme nella natura organica, e della riflessioneiniziale negli ordini del conoscimento, la quale poco an-cora dall’intuito si distingue, e appartiene all’atto primodella forza cogitativa nel suo mentale esplicamento. LaGenesi rappresenta divinamente la riflessione umana nelsuo stato incoativo, e quando ella comincia ad appartarsidal semplice intuito, come il feto che si svincola dalgrembo materno; ed è, per così dire, la natività della co-gnizione parlata e della scienza. La riflessione bambina,che crebbe a poco a poco e divenne adulta col Cristiane-simo, risponde alla dottrina acroamatica, che si diffondedi mano in mano, finchè in essoterica si trasforma; quin-di è che la lettura dei primi capitoli del Berescìt, enci-clopedici e polistorici di lor natura, ma stringatissimi, ecostituenti l’acroamatismo del codice mosaico, era inter-detta agli Israeliti non ancora maturi. Erra chi stima certidogmi razionali o rivelati, come l’immortalità dell’ani-ma, la Trinità, l’Incarnazione, il peccato originale,l’angelologia, e simili, esser nati assai più tardi, perchènon vengono nel Genesi chiaramente espressi, e ripudiai cenni che gli adombrano, recando nell’interpretarequesto libro unico una esegesi solo applicabile a scrittu-re d’altra indole e d’altri tempi. Tal è il processo dei cri-tici razionali; il quale è così savio come quello di un psi-cologo che trovar volesse nell’intuito, e nella rozza ri-flessione degl’idioti e dei fanciulli, quella notizia distin-ta e matura del vero che si possiede dai dotti e dagli

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adulti; ovvero di un botanico che cercasse nella plumu-la, nella radicula e nelle altre parti dell’embrione lapianta svolta e ben fazionata col ricco arredo del suo fo-gliame, de’ suoi fiori e delle sue frutta.

I rudimenti contenuti nella Genesi costituiscono unaserie di Primi storici, ciascuno dei quali consta di unevento, che è in tutto o in parte oltranaturale, e generati-vo di altri casi posteriori, concernenti più o meno per sèmedesimi o pei loro effetti tutta la specie. Alcuni di que-sti eventi sono fisici, e appartengono alla natura, mas’intrecciano colla sorte dell’umana famiglia; quali sonola geogonia, il diluvio, la formazione fisiologica dellestirpi (cominciata probabilmente coi Cainiti nei tempianteriori al cataclismo)1, e quella vasta epirosi vulcanicache infuriò durante un certo periodo circa i tempi abra-mitici, e abbracciò una larga zona di paesi; i cui vestigisi serbano sulla faccia della terra e nelle memorie dellenazioni. Noterò di passata che il diluvio e l’epirosi, cioèuna rivoluzione acquea e uno sconvolgimento igneo,succedentisi nell’intervallo di pochi secoli, ci dànno lachiave storica delle due sêtte dei Nettuniani e dei Vulca-nisti, nate fra i miti cosmologici delle caste sacerdotalidi Oriente e di Occidente, trapassate nella filosofia gre-ca, e riverberate nelle dottrine dei geologi moderni. Glialtri eventi riguardano i Primi morali; fra i quali il Primoantidiluviano comprende l’infusione divina della parola,l’instituzion del coniugio uno e indissolubile, l’investi-1 Vedi Gen., IV, 15; VI, 1, 2, 4. Notisi che l’hot del primo testo è anteriore

alla generazione dei Cainiti, IV, l7, 18. [G.].

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adulti; ovvero di un botanico che cercasse nella plumu-la, nella radicula e nelle altre parti dell’embrione lapianta svolta e ben fazionata col ricco arredo del suo fo-gliame, de’ suoi fiori e delle sue frutta.

I rudimenti contenuti nella Genesi costituiscono unaserie di Primi storici, ciascuno dei quali consta di unevento, che è in tutto o in parte oltranaturale, e generati-vo di altri casi posteriori, concernenti più o meno per sèmedesimi o pei loro effetti tutta la specie. Alcuni di que-sti eventi sono fisici, e appartengono alla natura, mas’intrecciano colla sorte dell’umana famiglia; quali sonola geogonia, il diluvio, la formazione fisiologica dellestirpi (cominciata probabilmente coi Cainiti nei tempianteriori al cataclismo)1, e quella vasta epirosi vulcanicache infuriò durante un certo periodo circa i tempi abra-mitici, e abbracciò una larga zona di paesi; i cui vestigisi serbano sulla faccia della terra e nelle memorie dellenazioni. Noterò di passata che il diluvio e l’epirosi, cioèuna rivoluzione acquea e uno sconvolgimento igneo,succedentisi nell’intervallo di pochi secoli, ci dànno lachiave storica delle due sêtte dei Nettuniani e dei Vulca-nisti, nate fra i miti cosmologici delle caste sacerdotalidi Oriente e di Occidente, trapassate nella filosofia gre-ca, e riverberate nelle dottrine dei geologi moderni. Glialtri eventi riguardano i Primi morali; fra i quali il Primoantidiluviano comprende l’infusione divina della parola,l’instituzion del coniugio uno e indissolubile, l’investi-1 Vedi Gen., IV, 15; VI, 1, 2, 4. Notisi che l’hot del primo testo è anteriore

alla generazione dei Cainiti, IV, l7, 18. [G.].

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tura del terreno dominio, l’ordinamento della religione,la rivelazione dei primi elementi filosofici, morali, poli-tici, estetici, e quindi la fondazione delle prime città,l’invenzione delle prime arti, come l’agricoltura, la pa-storizia, l’architettonica, la musica, la metallurgia e for-se la scrittura. Il Primo noachico abbraccia il rinnova-mento della specie umana (giacchè il primo ciclo creati-vo fu per qualche rispetto riassunto dopo il diluvio, ondeprovenne l’accorciamento della vita, che arguisceun’alterazione fisiologica della stirpe) e della civiltà, equindi la celebre profezia etnografica che distinse e di-segnò anticipatamente i fati storici delle tre schiatteuscite dal novello progenitore. Si noti a questo propositoche la Genesi contiene due spezie di canoni storici euniversali, gli uni naturali, serbati dalla tradizione e rife-rentisi ai passati successi, gli altri oltra natura, che mira-no all’avvenire, e muovono dal lume rivelato e fatidico.Le profezie etnografiche sul destino dei tre rami de’Noachidi e sulle sorti degl’Ismaeliti, appartengono aquesta seconda specie di cenni storici, onde sono pienis-simi gli scritti dei profeti; e ciascuna di esse è di granmomento, perché esprime laconicamente l’idea specifi-ca di una stirpe, di una nazione, di una tribù, ne riepilo-ga con una frase la storia, e talvolta la simboleggia,come nel vaticinio di Giacobbe sulle tribù del popoloeletto. Così pure nell’augurio di Noè vengono accennatetre epoche etnografiche distinte, cioè la civiltà e la po-tenza precoce dei Camiti; la distruzione di essa per ope-ra dei Semiti e dei Giapetidi; la conquista e la maggio-

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tura del terreno dominio, l’ordinamento della religione,la rivelazione dei primi elementi filosofici, morali, poli-tici, estetici, e quindi la fondazione delle prime città,l’invenzione delle prime arti, come l’agricoltura, la pa-storizia, l’architettonica, la musica, la metallurgia e for-se la scrittura. Il Primo noachico abbraccia il rinnova-mento della specie umana (giacchè il primo ciclo creati-vo fu per qualche rispetto riassunto dopo il diluvio, ondeprovenne l’accorciamento della vita, che arguisceun’alterazione fisiologica della stirpe) e della civiltà, equindi la celebre profezia etnografica che distinse e di-segnò anticipatamente i fati storici delle tre schiatteuscite dal novello progenitore. Si noti a questo propositoche la Genesi contiene due spezie di canoni storici euniversali, gli uni naturali, serbati dalla tradizione e rife-rentisi ai passati successi, gli altri oltra natura, che mira-no all’avvenire, e muovono dal lume rivelato e fatidico.Le profezie etnografiche sul destino dei tre rami de’Noachidi e sulle sorti degl’Ismaeliti, appartengono aquesta seconda specie di cenni storici, onde sono pienis-simi gli scritti dei profeti; e ciascuna di esse è di granmomento, perché esprime laconicamente l’idea specifi-ca di una stirpe, di una nazione, di una tribù, ne riepilo-ga con una frase la storia, e talvolta la simboleggia,come nel vaticinio di Giacobbe sulle tribù del popoloeletto. Così pure nell’augurio di Noè vengono accennatetre epoche etnografiche distinte, cioè la civiltà e la po-tenza precoce dei Camiti; la distruzione di essa per ope-ra dei Semiti e dei Giapetidi; la conquista e la maggio-

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ranza di questi ultimi sulla schiatta di Sem, e la loro do-minazione universale. I barlumi tradizionali della storiaconfermano a capello questi cenni anticipati, mostran-doci spesso tre strati successivi d’inquilini in uno stessopaese. Così, per esempio, troviamo nella Mesopotamia iNemrodi camiti, Assur semitico, i Caldei indopelasgici;e nella valle del Nilo tre stirpi successive di pastori, cioèi Cusiti di Mizraim (dei quali i Sangalli son reliquie pro-babili), gli Abissini del Tigrè, che parlano il gheez, idio-ma semitico, e gli Egizi, autori dei geroglifici, di originemanifestamente giapetica1. Al Primo falegico si riferisce

1 L’origine indogermanica dei Caldei risulta, al parer mio, da due considera-zioni principali. L’una si è che questa ierocrazia apparisce come stranieraal paese in cui ebbe il suo fiore, come dominatrice, conquistatrice e venutada settentrione. L’altra consiste nella sostanziale medesimezza del sistemacosmoteologico dei Caldei con quello di Zoroastre, secondo si scorge daimonumenti. Amendue i sistemi sono fondati sul concetto emanatistico delCronòtopo, e, secondo ogni verosimiglianza, appartennero originalmentealla stirpe onde uscì il magismo zendico. Vedi gli scritti di Felice Lajard suquesto propositoRiguardo alle origini dei Sabi o Ierogramni egizi, oggi è in favore l’opinio-ne che li fa salire dal Delta nella Tebaide, invece di farli discenderedall’Etiopia. La cagion principale per cui l’opinione dell’Heeren fu di-smessa, si è l’aver dato in fallo la conghiettura di questo autore sui monu-menti ch’egli credeva doversi trovare nell’Abissinia; e l’essersi all’incon-tro chiarito che gli edifizi della Nubia sono di gran lunga più moderni chequelli dell’Egitto superiore, e paiono una cattiva imitazione di essi. Ciònon ostante io persisto risolutamente nell’antica sentenza, che consideral’Etiopia come la culla della civiltà egizia; ed ecco in succinto le mie ra-gioni. 1° Erodoto confutando l’opinione ionica, che metteva l’Egitto origi-nale nel Delta, appunto come si fa al dì d’oggi dagli eruditi di cui discorro,afferma espressamente che, secondo la tradizione egizia, esso Delta erastato anticamente coperto dalle acque, e che il tenpo della disseccazionenon era molto antico. (II, 15). Ciò prova che l’Egitto superiore era già abi-tato quando l’inferiore era tuttavia inabitabile. 2° Lo stesso autore fa di-

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ranza di questi ultimi sulla schiatta di Sem, e la loro do-minazione universale. I barlumi tradizionali della storiaconfermano a capello questi cenni anticipati, mostran-doci spesso tre strati successivi d’inquilini in uno stessopaese. Così, per esempio, troviamo nella Mesopotamia iNemrodi camiti, Assur semitico, i Caldei indopelasgici;e nella valle del Nilo tre stirpi successive di pastori, cioèi Cusiti di Mizraim (dei quali i Sangalli son reliquie pro-babili), gli Abissini del Tigrè, che parlano il gheez, idio-ma semitico, e gli Egizi, autori dei geroglifici, di originemanifestamente giapetica1. Al Primo falegico si riferisce

1 L’origine indogermanica dei Caldei risulta, al parer mio, da due considera-zioni principali. L’una si è che questa ierocrazia apparisce come stranieraal paese in cui ebbe il suo fiore, come dominatrice, conquistatrice e venutada settentrione. L’altra consiste nella sostanziale medesimezza del sistemacosmoteologico dei Caldei con quello di Zoroastre, secondo si scorge daimonumenti. Amendue i sistemi sono fondati sul concetto emanatistico delCronòtopo, e, secondo ogni verosimiglianza, appartennero originalmentealla stirpe onde uscì il magismo zendico. Vedi gli scritti di Felice Lajard suquesto propositoRiguardo alle origini dei Sabi o Ierogramni egizi, oggi è in favore l’opinio-ne che li fa salire dal Delta nella Tebaide, invece di farli discenderedall’Etiopia. La cagion principale per cui l’opinione dell’Heeren fu di-smessa, si è l’aver dato in fallo la conghiettura di questo autore sui monu-menti ch’egli credeva doversi trovare nell’Abissinia; e l’essersi all’incon-tro chiarito che gli edifizi della Nubia sono di gran lunga più moderni chequelli dell’Egitto superiore, e paiono una cattiva imitazione di essi. Ciònon ostante io persisto risolutamente nell’antica sentenza, che consideral’Etiopia come la culla della civiltà egizia; ed ecco in succinto le mie ra-gioni. 1° Erodoto confutando l’opinione ionica, che metteva l’Egitto origi-nale nel Delta, appunto come si fa al dì d’oggi dagli eruditi di cui discorro,afferma espressamente che, secondo la tradizione egizia, esso Delta erastato anticamente coperto dalle acque, e che il tenpo della disseccazionenon era molto antico. (II, 15). Ciò prova che l’Egitto superiore era già abi-tato quando l’inferiore era tuttavia inabitabile. 2° Lo stesso autore fa di-

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la moltiplicazione delle lingue, nata dalla lor confusio-ne, come il dualismo e il politeismo nacquero dal pan-teismo; quindi la divisione dei popoli, l’embriogenìadelle varie indoli nazionali, per cui essi popoli si distin-guono, e lo stabilimento di molti seggi di cultura. Le ta-vole mosaiche contengono i principii della sola etnogra-

scendere i conveni dall’alto Nilo nel basso, e non viceversa. (II, 15). 3°Nel catalogo cronologico delle dinastie tramandatoci da Manetone, le pri-me di esse si riferiscono a dòmini collocati nell’Egitto superiore: gli Statidel basso Nilo non compaiono che nelle ultime. 4° Diodoro, non contra-detto da nessuno degli antichi, considera gli Egizi come una colonia degliEtiopi, e Meroe come seggio primitivo del culto di Ammone e di Osiride,fondandosi, non solo su Agatarchide e Artemidoro, ma sulla testimonianzaunanime dei preti tebani e dei legati di Meroe. Che se altrove sembra affer-mare il contrario, i due passi non si possono accordare, se non in quanto isacerdoti di Tebe, come coloni di Meroe, poteano dirittamente attribuirsil’antichità della madre patria, e quindi riputarsi i più antichi degli uomini.(DIOD., I, 50; III, 3). E il culto dei Meroiti, come più semplice, arguisce an-che un’antichità maggiore che quello degli Egizi. 5° Quanto più si risale aitempi antichi, tanto maggiore si vede essere stata l’unione fra l’Egitto el’Etiopia, spesso congiunte negli scritti dei profeti israeliti; dove che non sitrova una simile connessione fra il Delta e la Tebaide. Meroe e Tebe fon-dano di conserva le bibliche colonie. I re etiopi conquistano più voltel’Egitto: e fra centotrenta re, l’ultimo dei quali fu Meri, tutti anteriori a Se-sostri, diciotto furono etiopici di nazione. (HEROD., II, 100). Egli è dunquetroppo contrario alla storia il voler far derivare l’unione dei due paesi, e lamedesimezza del loro culto e dei loro instituti dall’esercito abbottinato emigrante sotto Psammetico, come si usa oggi da coloro che, invertendo ifatti, tengono Meroe per una colonia egizia. La migrazion dei guerrieri fueffetto, e non causa, dell’unione dei due paesi, e sarebbe poco naturale se isoldati rivoltosi avessero pellegrinato in un paese sconosciuto, anzichè nel-la loro antica patria, e non si fossero governati presso a poco come le le-gioni belgiche di Probo, le quali, accampate sull’Eussino, tornarono allaloro contrada natia. 6° La processione egizia e annuale di Ammone, sim-boleggiativa del suo egresso dall’Etiopia, narrata da Diodoro e forse effi-giata in un bassorilievo di Carnàc, si riscontra col mito omerico del viag-gio e del banchetto di Giove nella medesima regione, (Iliade, I, 423). Il

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la moltiplicazione delle lingue, nata dalla lor confusio-ne, come il dualismo e il politeismo nacquero dal pan-teismo; quindi la divisione dei popoli, l’embriogenìadelle varie indoli nazionali, per cui essi popoli si distin-guono, e lo stabilimento di molti seggi di cultura. Le ta-vole mosaiche contengono i principii della sola etnogra-

scendere i conveni dall’alto Nilo nel basso, e non viceversa. (II, 15). 3°Nel catalogo cronologico delle dinastie tramandatoci da Manetone, le pri-me di esse si riferiscono a dòmini collocati nell’Egitto superiore: gli Statidel basso Nilo non compaiono che nelle ultime. 4° Diodoro, non contra-detto da nessuno degli antichi, considera gli Egizi come una colonia degliEtiopi, e Meroe come seggio primitivo del culto di Ammone e di Osiride,fondandosi, non solo su Agatarchide e Artemidoro, ma sulla testimonianzaunanime dei preti tebani e dei legati di Meroe. Che se altrove sembra affer-mare il contrario, i due passi non si possono accordare, se non in quanto isacerdoti di Tebe, come coloni di Meroe, poteano dirittamente attribuirsil’antichità della madre patria, e quindi riputarsi i più antichi degli uomini.(DIOD., I, 50; III, 3). E il culto dei Meroiti, come più semplice, arguisce an-che un’antichità maggiore che quello degli Egizi. 5° Quanto più si risale aitempi antichi, tanto maggiore si vede essere stata l’unione fra l’Egitto el’Etiopia, spesso congiunte negli scritti dei profeti israeliti; dove che non sitrova una simile connessione fra il Delta e la Tebaide. Meroe e Tebe fon-dano di conserva le bibliche colonie. I re etiopi conquistano più voltel’Egitto: e fra centotrenta re, l’ultimo dei quali fu Meri, tutti anteriori a Se-sostri, diciotto furono etiopici di nazione. (HEROD., II, 100). Egli è dunquetroppo contrario alla storia il voler far derivare l’unione dei due paesi, e lamedesimezza del loro culto e dei loro instituti dall’esercito abbottinato emigrante sotto Psammetico, come si usa oggi da coloro che, invertendo ifatti, tengono Meroe per una colonia egizia. La migrazion dei guerrieri fueffetto, e non causa, dell’unione dei due paesi, e sarebbe poco naturale se isoldati rivoltosi avessero pellegrinato in un paese sconosciuto, anzichè nel-la loro antica patria, e non si fossero governati presso a poco come le le-gioni belgiche di Probo, le quali, accampate sull’Eussino, tornarono allaloro contrada natia. 6° La processione egizia e annuale di Ammone, sim-boleggiativa del suo egresso dall’Etiopia, narrata da Diodoro e forse effi-giata in un bassorilievo di Carnàc, si riscontra col mito omerico del viag-gio e del banchetto di Giove nella medesima regione, (Iliade, I, 423). Il

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fia ed etnogonìa che abbiano del saldo nelle loro basi esi riscontrino coi monumenti; onde i moderni eruditi chevollero procedere conghietturalmente, e non biblica-mente, in queste due inchieste, non che cavarne alcuncostrutto, ci addussero una tal confusione, che costrinsei più assennati a dismettere affatto tal sorta di studi.

rito e la favola alludono naturalmente al romeaggio degli antichi coloninella madre patria. Notisi che il Giove, di cui ivi parla Omero, non è il pe-lasgico, ma il coloniale, identico all’Ammone egizio, e risedentesull’Olimpo ionio e tessalico, non sull’Olimpo celeste e pitagorico. 7° Ilcorso naturale della civiltà in tutti i paesi è dalle alte valli alle basse e allepianure, non al contrario. Quest’ordine dovette verificarsi specialmentenell’Affrica grecale, giacchè l’Egitto, resa feconda dal solo Nilo e priva dipiante fossili, potè essere difficilmente abitabile nei tempi succeduti di fre-sco al diluvio; laddove l’Etiopia posta in alto, ricca di selve e di bruti, in-naffiata dalle pioggie tropicali, piena di caverne opportune alla culture na-scente de’ popoli trogloditici, fu, come l’Armenia, la Media, l’Atropatene,un seggio propizio alle prime tribù posdiluviane. L’altapiano di Tzana oDembea si può considerare come il risedio primitivo di quelle popolazioniche, costeggiando il fiume Azzurro, discesero a poco a poco nell’infimaEtiopia e in Egitto. 8° Il passaggio delle prime colonie asiatiche nella valledel Nilo fu molto più agevole per lo stretto di Babel Mandeb, che per l’ist-mo di Suez, quando il Delta non era ancora acconcio ad essere abitato; ol-tre che, il deserto interposto tra l’Asia e l’Affrica doveva indurre i primiavventurieri piuttosto a costeggiare la riva orientale, che a cercare l’occi-dentale dell’Eritreo. La storia, infatti, ci attesta che l’Arabia fu popolatasin da principio; e si hanno moltissimi indizi (che raccoglierò in altro luo-go) di due razze successive, che l’abitarono in que’ primi tempi; la più an-tica delle quali era camitica, e semitica la più recente, che tuttora vi alber-ga. Troviamo il riscontro di queste due stirpi nei Cusiti dell’Etiopia, mani-festamente camitici, e nelle tribù semitiche, che ancora oggigiorno parlanoil gheez; oltre un gran numero di nomi storici e geografici, antichi e mo-derni, comuni alle due opposte spiagge. Ora niente è più verosimile, che ilpassaggio fatto per la stessa via delle tribù indopelasgiche dei primi Sabi;tanto più che questo serve a spiegarci le loro antichissime comunicazionicoll’India. 9° Che gli antichi Etiopi comunicassero coll’India viene indica-to da un passo del Sincello (citato dall’HEEREN, tomo VI, pag.97), e attesta-

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fia ed etnogonìa che abbiano del saldo nelle loro basi esi riscontrino coi monumenti; onde i moderni eruditi chevollero procedere conghietturalmente, e non biblica-mente, in queste due inchieste, non che cavarne alcuncostrutto, ci addussero una tal confusione, che costrinsei più assennati a dismettere affatto tal sorta di studi.

rito e la favola alludono naturalmente al romeaggio degli antichi coloninella madre patria. Notisi che il Giove, di cui ivi parla Omero, non è il pe-lasgico, ma il coloniale, identico all’Ammone egizio, e risedentesull’Olimpo ionio e tessalico, non sull’Olimpo celeste e pitagorico. 7° Ilcorso naturale della civiltà in tutti i paesi è dalle alte valli alle basse e allepianure, non al contrario. Quest’ordine dovette verificarsi specialmentenell’Affrica grecale, giacchè l’Egitto, resa feconda dal solo Nilo e priva dipiante fossili, potè essere difficilmente abitabile nei tempi succeduti di fre-sco al diluvio; laddove l’Etiopia posta in alto, ricca di selve e di bruti, in-naffiata dalle pioggie tropicali, piena di caverne opportune alla culture na-scente de’ popoli trogloditici, fu, come l’Armenia, la Media, l’Atropatene,un seggio propizio alle prime tribù posdiluviane. L’altapiano di Tzana oDembea si può considerare come il risedio primitivo di quelle popolazioniche, costeggiando il fiume Azzurro, discesero a poco a poco nell’infimaEtiopia e in Egitto. 8° Il passaggio delle prime colonie asiatiche nella valledel Nilo fu molto più agevole per lo stretto di Babel Mandeb, che per l’ist-mo di Suez, quando il Delta non era ancora acconcio ad essere abitato; ol-tre che, il deserto interposto tra l’Asia e l’Affrica doveva indurre i primiavventurieri piuttosto a costeggiare la riva orientale, che a cercare l’occi-dentale dell’Eritreo. La storia, infatti, ci attesta che l’Arabia fu popolatasin da principio; e si hanno moltissimi indizi (che raccoglierò in altro luo-go) di due razze successive, che l’abitarono in que’ primi tempi; la più an-tica delle quali era camitica, e semitica la più recente, che tuttora vi alber-ga. Troviamo il riscontro di queste due stirpi nei Cusiti dell’Etiopia, mani-festamente camitici, e nelle tribù semitiche, che ancora oggigiorno parlanoil gheez; oltre un gran numero di nomi storici e geografici, antichi e mo-derni, comuni alle due opposte spiagge. Ora niente è più verosimile, che ilpassaggio fatto per la stessa via delle tribù indopelasgiche dei primi Sabi;tanto più che questo serve a spiegarci le loro antichissime comunicazionicoll’India. 9° Che gli antichi Etiopi comunicassero coll’India viene indica-to da un passo del Sincello (citato dall’HEEREN, tomo VI, pag.97), e attesta-

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Così, verbigrazia, quanto non s’è disputato sul popoloprimitivo, cui gli eruditi licenziosi posero successiva-mente nell’India, nell’Egitto, nella Transossiana,nell’Asia centrale, nella Cina, nella Siberia, nell’Europaboreale, e persino nella mitica Atlantide o nella giovaneAmerica? Ma la Genesi cel mostra nei Noachidi raccolti

to dalle ragioni del loro commercio. Ora, il centro del commercio primiti-vo che avea luogo sul mar Rosso col golfo Persico e coll’India, non eracerto nè Memfi, nè Tebe, nè la Berenice dei Tolomei, ma qualche città piùmeridionale, come Meroe o Axum, e lo sbocco più probabile delle derratedovea esser qualche porto naturale di agevole approccio per la natura dellecorrenti, come per esempio, quello di Berbera. (VALENTIA, Voy. dans l’Hin-doustan, etc., trad.). 10° Il nome di Berbera richiama alla memoria l’ipote-si di Carlo Ritter sulla popolazione antichissima dei Berberi distesi su tuttala costa orientale dell’Affrica, e affini ai Varvari dell’India (Geog. trad.,Paris, 1836, tomo II, pagg. 229-242); la quale ipotesi s’intreccia con quelladel Danville, collocante l’Ofir di Salomone nel paese di Sofala, e concorredel pari a provare il commercio antichissimo che correva fra quel litorale el’indiana penisola (Mém. de l’Acad. des Inscr., tomo XXX, pagg. 88-93).Ora entrambi questi presupposti, fatti da due uomini dottissimi e giudizio-sissimi, hanno una probabilità grande, sovratutto se agli argomenti allegatise ne aggiungono alcuni altri ancor non avvertiti. Il risultato probabile diquesti riscontri si è, che una popolazione bianca e indopelasgica si sparsenei primi tempi dopo il diluvio sulle costiere orientali dell’Affrica nellospazio compreso fra i tropici; che tal popolazione ebbe molte attinenze coiGiapetidi dell’India; e che da essa uscirono le tribù sacerdotali dei Sabiimpadronitesi a mano a mano della Nubia inferiore e dell’Egitto. Tutto in-somma s’accorda e si spiega facilmente se i Jerogrammi si fanno veniredall’ostro; tutto repugna se si assegna loro un moto contrario. 11° La stirpedei Galli, che ora occupa una parte notabile dell’Abissinia, dei paesi postipiù a meriggio, e dell’Affrica centrale, appartiene piuttosto alla razza bian-ca e giapetica, benchè mista probabilmente di sangue etiopico, che a quelledei Caffri, degli Ottentotti e dei Negri, secondo il rapporto degli ultimiviaggiatori. Ora il modo più plausibile con cui si possa spiegare l’esistenzadi un numeroso popolo giapetico nell’Affrica centrale (dove i Galli stetterorinchiusi prima delle loro escursioni nell’Abissinia) è quello che abbiamoaccennato; cioè una migrazione antichissima d’Indopelasghi avvenuta alle

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Così, verbigrazia, quanto non s’è disputato sul popoloprimitivo, cui gli eruditi licenziosi posero successiva-mente nell’India, nell’Egitto, nella Transossiana,nell’Asia centrale, nella Cina, nella Siberia, nell’Europaboreale, e persino nella mitica Atlantide o nella giovaneAmerica? Ma la Genesi cel mostra nei Noachidi raccolti

to dalle ragioni del loro commercio. Ora, il centro del commercio primiti-vo che avea luogo sul mar Rosso col golfo Persico e coll’India, non eracerto nè Memfi, nè Tebe, nè la Berenice dei Tolomei, ma qualche città piùmeridionale, come Meroe o Axum, e lo sbocco più probabile delle derratedovea esser qualche porto naturale di agevole approccio per la natura dellecorrenti, come per esempio, quello di Berbera. (VALENTIA, Voy. dans l’Hin-doustan, etc., trad.). 10° Il nome di Berbera richiama alla memoria l’ipote-si di Carlo Ritter sulla popolazione antichissima dei Berberi distesi su tuttala costa orientale dell’Affrica, e affini ai Varvari dell’India (Geog. trad.,Paris, 1836, tomo II, pagg. 229-242); la quale ipotesi s’intreccia con quelladel Danville, collocante l’Ofir di Salomone nel paese di Sofala, e concorredel pari a provare il commercio antichissimo che correva fra quel litorale el’indiana penisola (Mém. de l’Acad. des Inscr., tomo XXX, pagg. 88-93).Ora entrambi questi presupposti, fatti da due uomini dottissimi e giudizio-sissimi, hanno una probabilità grande, sovratutto se agli argomenti allegatise ne aggiungono alcuni altri ancor non avvertiti. Il risultato probabile diquesti riscontri si è, che una popolazione bianca e indopelasgica si sparsenei primi tempi dopo il diluvio sulle costiere orientali dell’Affrica nellospazio compreso fra i tropici; che tal popolazione ebbe molte attinenze coiGiapetidi dell’India; e che da essa uscirono le tribù sacerdotali dei Sabiimpadronitesi a mano a mano della Nubia inferiore e dell’Egitto. Tutto in-somma s’accorda e si spiega facilmente se i Jerogrammi si fanno veniredall’ostro; tutto repugna se si assegna loro un moto contrario. 11° La stirpedei Galli, che ora occupa una parte notabile dell’Abissinia, dei paesi postipiù a meriggio, e dell’Affrica centrale, appartiene piuttosto alla razza bian-ca e giapetica, benchè mista probabilmente di sangue etiopico, che a quelledei Caffri, degli Ottentotti e dei Negri, secondo il rapporto degli ultimiviaggiatori. Ora il modo più plausibile con cui si possa spiegare l’esistenzadi un numeroso popolo giapetico nell’Affrica centrale (dove i Galli stetterorinchiusi prima delle loro escursioni nell’Abissinia) è quello che abbiamoaccennato; cioè una migrazione antichissima d’Indopelasghi avvenuta alle

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prima della divisione falegica sulle ripe dell’Eufrate edel Tigri, quasi nel centro del nostro emisperio, e pocolungi dai monti di Armenia; e questo seggio è il solo chequâdri con tutti i dati dell’antichità profana, e colle plau-sibili induzioni che occorrono su questo proposito, Tal-volta ancora le tavole del Genesi offrono un’apparente

foci dell’Eritreo; giacchè il fare uscire gli abitanti dell’Affrica mezzanadalla boreale ripugna a molte probabilità storiche. 12° La zoolatria degliantichi Egizi è tutta etiopica di origine. L’alta Nubia e l’Abissinia, nonl’Egitto, furono la sede privilegiata di molti fra quei sacri animali con cuile divine perfezioni del Teocosmo venivano simboleggiate. Lo scarabeonativo dell’Egitto è nero, e si vede effigiato sopra alcune casse di mummieappartenenti all’età greca. Ma il vero scarabeo, venerato al tempo dei Fa-raoni, era verde e luccicante, secondo la descrizione di Eliano e di Orapol-line; e non si trova che nella Nubia (ÆLIAN, Hist. anim., IV, 49. – HORAP.,10. – CAILLAUD, Voy. à Méroé, Paris, 1826, tomo II, pag. 312; tomo III,pagg. 275, 276, 277). 13° La modernità relativa dei monumenti dell’altaNubia, ancorchè fosse chiarita per ogni parte, non proverebbe nulla, attesola natura dei materiali somministrati dal paese: i quali, essendo piccoli efrangibili, non massicci ed eterni, come il granito di Siene, non potevanoreggere alle ingiurie del tempo. Ma siccome l’antichità della cultura etiopi-ca è provata da molti argomenti di un’altra natura, si può conghietturare,non senza ragione, che le rune attuali di Assur, di Barcal, di Naga, di ElMesciauràt, di Soba e altre simili siano sottentrate a edifici più vetusti,come accade in tutti i paesi civili dove le opere architettoniche non sono dilunga vita (CAILLAUD, Voy. à Méroé, tomo III, pagg. 275, 276, 277). 14° Al-cuni edifizi della Nubia inferiore scavati nelle rupi paiono essere almenocoetanei a quelli di Tebe; e per la natura loro appartengono a una civiltàpiù antica, occupando un grado mezzano fra le abitazioni trogloditiche e icorpi di fabbriche al tutto alzati da terra, Comunque, la stessa finitezza deimonumenti tebei, e la mole enorme dei materiali, bisognevole per essereposta in opera di una meccanica molto squisita, provano che le meravigliedi Tebe come quelle di Memfi, furono fatte da un popolo che non era no-vizzo nè scarso, ma numeroso, maturo, e già assai bene innanzi nel posses-so delle arti ingegnose e dei sussidi civili. 15° I monumenti dell’alta Nubianon sono tutti noti, giacchè si sa dai nativi del paese che se ne trovanomolti in parecchi luoghi non visitati sinora dagli Europei (Voy. à Méroé,

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prima della divisione falegica sulle ripe dell’Eufrate edel Tigri, quasi nel centro del nostro emisperio, e pocolungi dai monti di Armenia; e questo seggio è il solo chequâdri con tutti i dati dell’antichità profana, e colle plau-sibili induzioni che occorrono su questo proposito, Tal-volta ancora le tavole del Genesi offrono un’apparente

foci dell’Eritreo; giacchè il fare uscire gli abitanti dell’Affrica mezzanadalla boreale ripugna a molte probabilità storiche. 12° La zoolatria degliantichi Egizi è tutta etiopica di origine. L’alta Nubia e l’Abissinia, nonl’Egitto, furono la sede privilegiata di molti fra quei sacri animali con cuile divine perfezioni del Teocosmo venivano simboleggiate. Lo scarabeonativo dell’Egitto è nero, e si vede effigiato sopra alcune casse di mummieappartenenti all’età greca. Ma il vero scarabeo, venerato al tempo dei Fa-raoni, era verde e luccicante, secondo la descrizione di Eliano e di Orapol-line; e non si trova che nella Nubia (ÆLIAN, Hist. anim., IV, 49. – HORAP.,10. – CAILLAUD, Voy. à Méroé, Paris, 1826, tomo II, pag. 312; tomo III,pagg. 275, 276, 277). 13° La modernità relativa dei monumenti dell’altaNubia, ancorchè fosse chiarita per ogni parte, non proverebbe nulla, attesola natura dei materiali somministrati dal paese: i quali, essendo piccoli efrangibili, non massicci ed eterni, come il granito di Siene, non potevanoreggere alle ingiurie del tempo. Ma siccome l’antichità della cultura etiopi-ca è provata da molti argomenti di un’altra natura, si può conghietturare,non senza ragione, che le rune attuali di Assur, di Barcal, di Naga, di ElMesciauràt, di Soba e altre simili siano sottentrate a edifici più vetusti,come accade in tutti i paesi civili dove le opere architettoniche non sono dilunga vita (CAILLAUD, Voy. à Méroé, tomo III, pagg. 275, 276, 277). 14° Al-cuni edifizi della Nubia inferiore scavati nelle rupi paiono essere almenocoetanei a quelli di Tebe; e per la natura loro appartengono a una civiltàpiù antica, occupando un grado mezzano fra le abitazioni trogloditiche e icorpi di fabbriche al tutto alzati da terra, Comunque, la stessa finitezza deimonumenti tebei, e la mole enorme dei materiali, bisognevole per essereposta in opera di una meccanica molto squisita, provano che le meravigliedi Tebe come quelle di Memfi, furono fatte da un popolo che non era no-vizzo nè scarso, ma numeroso, maturo, e già assai bene innanzi nel posses-so delle arti ingegnose e dei sussidi civili. 15° I monumenti dell’alta Nubianon sono tutti noti, giacchè si sa dai nativi del paese che se ne trovanomolti in parecchi luoghi non visitati sinora dagli Europei (Voy. à Méroé,

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ripugnanza, che svanisce dopo una considerazione piùprofonda, e torna a conferma del vero; come si vede, percagion di esempio, nell’origine camitica dei Fenicii edei Cananei, che pur parlavano idiomi semitici, perchèla nazione coetanea di Mosè era un misto di tribù indi-gene della Sorìa occidentale, e di nuovi occupatori ve-nuti dal golfo persico, in cui la profana antichità collo-cava la prima culla dei padroni più recenti di Tiro e diSidone. A questo Primo si vuole ascrivere in gran partela divisione e rottura morale, civile, religiosa dei popoli,l’antitesi e la contrarietà loro, la dualità e la pugnadell’ortodossia colle credenze e civiltà eterodosse; laquale dualità, che dee stendersi sino al compimentodell’Ultimo, cioè sino al trionfo finale del Cristianesi-mo, è il principio fondamentale della classificazione sto-rica, pârtendo il genere umano in due campi opposti enemici, e spande un lume mirabile su ciascuno di essi,

tomo III, pagg. 138, 139). 16° Finalmente il paragone delle antiche mum-mie e delle sculture, non altrimenti che la considerazione delle caste, cimostrano nell’antico Egitto più stirpi diverse, sottentrate nel dominio leune alle altre, e varii seggi di coltura. Fra i tipi fisiologici, quelli della stir-pe negra, dei Sabi della Tebaide e dei Pastori o Icsos, sono più spiccati edistinti. Le piramidi di Gisa si possono riferire ai re Pastori, ovvero piùprobabilmente a quelli di negro legnaggio, atteso la forma camitica di talimoli, il volto etiopico della Sfinge colossale, e altri simili indizi. Ma adogni modo gli Egizi di Mezraim e di Cus, camiti e negri, non si voglionoconfondere coi Sabi, bianchi e indopelasgici; e il moto delle due stirpi es-sendo stato dall’ostro a tramontana, si può credere che i Camiti, primi abi-tatori e coltivatori dell’Etiopia, siano stati ricacciati a seconda del Nilo dal-le tribù semitiche e giapetiche che passarono successivamente dall’Arabianell’Habesch, paese simile al Caucaso, e così denominato dal concorsomoltigeno e dalla mescolanza ragunaticcia dei forestieri. [G.].

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ripugnanza, che svanisce dopo una considerazione piùprofonda, e torna a conferma del vero; come si vede, percagion di esempio, nell’origine camitica dei Fenicii edei Cananei, che pur parlavano idiomi semitici, perchèla nazione coetanea di Mosè era un misto di tribù indi-gene della Sorìa occidentale, e di nuovi occupatori ve-nuti dal golfo persico, in cui la profana antichità collo-cava la prima culla dei padroni più recenti di Tiro e diSidone. A questo Primo si vuole ascrivere in gran partela divisione e rottura morale, civile, religiosa dei popoli,l’antitesi e la contrarietà loro, la dualità e la pugnadell’ortodossia colle credenze e civiltà eterodosse; laquale dualità, che dee stendersi sino al compimentodell’Ultimo, cioè sino al trionfo finale del Cristianesi-mo, è il principio fondamentale della classificazione sto-rica, pârtendo il genere umano in due campi opposti enemici, e spande un lume mirabile su ciascuno di essi,

tomo III, pagg. 138, 139). 16° Finalmente il paragone delle antiche mum-mie e delle sculture, non altrimenti che la considerazione delle caste, cimostrano nell’antico Egitto più stirpi diverse, sottentrate nel dominio leune alle altre, e varii seggi di coltura. Fra i tipi fisiologici, quelli della stir-pe negra, dei Sabi della Tebaide e dei Pastori o Icsos, sono più spiccati edistinti. Le piramidi di Gisa si possono riferire ai re Pastori, ovvero piùprobabilmente a quelli di negro legnaggio, atteso la forma camitica di talimoli, il volto etiopico della Sfinge colossale, e altri simili indizi. Ma adogni modo gli Egizi di Mezraim e di Cus, camiti e negri, non si voglionoconfondere coi Sabi, bianchi e indopelasgici; e il moto delle due stirpi es-sendo stato dall’ostro a tramontana, si può credere che i Camiti, primi abi-tatori e coltivatori dell’Etiopia, siano stati ricacciati a seconda del Nilo dal-le tribù semitiche e giapetiche che passarono successivamente dall’Arabianell’Habesch, paese simile al Caucaso, e così denominato dal concorsomoltigeno e dalla mescolanza ragunaticcia dei forestieri. [G.].

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mediante il chiaroscuro che spicca dal loro contrasto. Epure i moderni autori non fanno, per lo più, alcun casodi questa distinzione, e collocando la gentilità e il popo-lo eletto nella medesima schiera, si privano del solo filoche potrebbe guidarli nel descrivere la seguenza deglieventi e delle opinioni. La divisione falegica si connetteeziandio col Primo fisiologico della diversità delle raz-ze, i cui primi semi, anteriori probabilmente all’inonda-zione del globo, si esplicarono coll’aiuto dello smem-bramento babelico, e diedero luogo a nuove differenze;onde i Giapetidi si sbrancarono in popoli bianchi o siaindopelasgici, e gialli; e questi nel quadruplice ramo fin-nico od uralico, asiatico, oceanico, e americano si divi-sero. Finalmente al Primo abramitico, connesso col Pri-mo geologico dell’epirosi, si rapportano la seconda di-spersion delle genti, nata dalle migrazioni e invasionigiapetiche, e dalla lor signoria sui popoli semiti e cami-ti, la declinazione e ruina di questi ultimi, una secondaformazione di genii e di seggi nazionali, il compimentodella division delle schiatte, e per ultimo la fondazionedel genere eletto, colla visibile separazione di esso dallegenti eterodosse. L’ordinazione dei Giacobiti a popololibero sotto Mosè è una semplice esplicazione di questoPrimo; onde il legislatore non la racconta nel libro delleorigini universe, ma nelle altre parti dell’opera sua, de-stinate ad esporre, non la genesi primordiale, ma la nati-vità particolare e i primi incrementi d’Israele, come na-zione.

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mediante il chiaroscuro che spicca dal loro contrasto. Epure i moderni autori non fanno, per lo più, alcun casodi questa distinzione, e collocando la gentilità e il popo-lo eletto nella medesima schiera, si privano del solo filoche potrebbe guidarli nel descrivere la seguenza deglieventi e delle opinioni. La divisione falegica si connetteeziandio col Primo fisiologico della diversità delle raz-ze, i cui primi semi, anteriori probabilmente all’inonda-zione del globo, si esplicarono coll’aiuto dello smem-bramento babelico, e diedero luogo a nuove differenze;onde i Giapetidi si sbrancarono in popoli bianchi o siaindopelasgici, e gialli; e questi nel quadruplice ramo fin-nico od uralico, asiatico, oceanico, e americano si divi-sero. Finalmente al Primo abramitico, connesso col Pri-mo geologico dell’epirosi, si rapportano la seconda di-spersion delle genti, nata dalle migrazioni e invasionigiapetiche, e dalla lor signoria sui popoli semiti e cami-ti, la declinazione e ruina di questi ultimi, una secondaformazione di genii e di seggi nazionali, il compimentodella division delle schiatte, e per ultimo la fondazionedel genere eletto, colla visibile separazione di esso dallegenti eterodosse. L’ordinazione dei Giacobiti a popololibero sotto Mosè è una semplice esplicazione di questoPrimo; onde il legislatore non la racconta nel libro delleorigini universe, ma nelle altre parti dell’opera sua, de-stinate ad esporre, non la genesi primordiale, ma la nati-vità particolare e i primi incrementi d’Israele, come na-zione.

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Dell’Evangelo e dei Primi storici, che vi si racchiuggono.

La protologia storica della Genesi si connette conquella dell’Evangelio, che è il libro del compimento inordine al primo ciclo, come l’altro volume è il libro deiprincipii e delle origini. Il codice complementare, termi-nando il primo ciclo storico, è l’esordio del secondo,come l’esito palingenesiaco di questo, vaticinato nel vo-lume profetico di Giovanni1, è l’Ultimo biblico. L’Evan-gelio la cui narrativa più ideale e sublime venne fatta daquesto scrittore, contiene tutti i primi della redenzione,come la Genesi tutti i primi della Creazione, e quindi hadue diverse attinenze, secondo che riguarda il passato ol’avvenire, le origini o il compimento. Esso compie, daun lato, la cosmogonia morale del mondo, e incominciadall’altro lato l’età normale, ordinaria, stabile, esplicati-va del periodo anteriore; tanto che l’Evangelio, comefine dell’una e inizio dell’altra, ci apparisce qual Mezzologico, benchè non matematico, nella successione deltempo, collegante i due estremi fra loro e coll’eternità.L’Evangelio non contiene alcun Primo fisico, perchè illavoro cosmogonico, benchè continuo e perenne neglioceani eterei, e nelle officine astrali delle nubilose, finìper la nostra terra colle ultime rivoluzioni telluriche;onde le origini evangeliche sono morali solamente. Lo

1 Allude all’ultimo libro del Nuovo Testamento, cioè l’apocalissi o visionedi S. Giovanni. Fu composto dopo la morte di Nerone, durante l’impero diGalba (dal giugno 68 al gennaio 69) nell’isola di Patmo (Cfr. JOHS. WEISS,Die Offengbarung des Johannes. Ein Beitag zur Literatur und Religion-sgeschichte, Göttingen, 1904).

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Dell’Evangelo e dei Primi storici, che vi si racchiuggono.

La protologia storica della Genesi si connette conquella dell’Evangelio, che è il libro del compimento inordine al primo ciclo, come l’altro volume è il libro deiprincipii e delle origini. Il codice complementare, termi-nando il primo ciclo storico, è l’esordio del secondo,come l’esito palingenesiaco di questo, vaticinato nel vo-lume profetico di Giovanni1, è l’Ultimo biblico. L’Evan-gelio la cui narrativa più ideale e sublime venne fatta daquesto scrittore, contiene tutti i primi della redenzione,come la Genesi tutti i primi della Creazione, e quindi hadue diverse attinenze, secondo che riguarda il passato ol’avvenire, le origini o il compimento. Esso compie, daun lato, la cosmogonia morale del mondo, e incominciadall’altro lato l’età normale, ordinaria, stabile, esplicati-va del periodo anteriore; tanto che l’Evangelio, comefine dell’una e inizio dell’altra, ci apparisce qual Mezzologico, benchè non matematico, nella successione deltempo, collegante i due estremi fra loro e coll’eternità.L’Evangelio non contiene alcun Primo fisico, perchè illavoro cosmogonico, benchè continuo e perenne neglioceani eterei, e nelle officine astrali delle nubilose, finìper la nostra terra colle ultime rivoluzioni telluriche;onde le origini evangeliche sono morali solamente. Lo

1 Allude all’ultimo libro del Nuovo Testamento, cioè l’apocalissi o visionedi S. Giovanni. Fu composto dopo la morte di Nerone, durante l’impero diGalba (dal giugno 68 al gennaio 69) nell’isola di Patmo (Cfr. JOHS. WEISS,Die Offengbarung des Johannes. Ein Beitag zur Literatur und Religion-sgeschichte, Göttingen, 1904).

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spazio da loro abbracciato termina colla Rivelazione diGiovanni, e abbraccia l’età taumaturgica e inspirata, incui vennero procreati i semi della civiltà novella. Cin-que sono i Primi principali che a quest’opera si riferi-scono; cioè il primo scientifico, che ripristinò perfetta-mente la formola ideale ne’ suoi due cicli; il religioso,che cominciò effettualmente il secondo ciclo coll’operadel riscatto, quasi novella creazione; il morale, cioè ildogma dell’egualità umana fondato sull’unità di origine,di fine, di redenzione, e corroborato colla legge di amo-re e di fratellanza; il gerarchico, cioè la fondazione dellasocietà spirituale, giusta il pelasgico concetto perfezio-nato e il tipo cosmico; per ultimo il cosmopolitico, cioèla propagazione universale dell’Idea, e la ripristinataunità dell’umana famiglia. I varii genii delle nazioni ac-cordati dall’unione cristiana, e i diversi domicilii delmoderno incivilimento, furono effetto dell’apostolatoevangelico e dell’armonia ristabilita delle lingue, comela confusione babelica e la dispersione falegica avevanopartorite le varie indoli e condizioni delle genti etero-dosse, disarmonizzate e stonanti. Ma fra i Primi cristianiil gerarchico predomina per l’importanza storica, in vir-tù della parola, di cui la società cattolica è depositaria ebanditrice; la qual parola abbraccia nella sua universali-tà tutti gli altri Primi. E l’organismo della gerarchia permezzo del suo centro ci riconduce all’Italia e al suo pri-mato storico, parte integrale di quel primato etnograficoonde ho fatto testè menzione.

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spazio da loro abbracciato termina colla Rivelazione diGiovanni, e abbraccia l’età taumaturgica e inspirata, incui vennero procreati i semi della civiltà novella. Cin-que sono i Primi principali che a quest’opera si riferi-scono; cioè il primo scientifico, che ripristinò perfetta-mente la formola ideale ne’ suoi due cicli; il religioso,che cominciò effettualmente il secondo ciclo coll’operadel riscatto, quasi novella creazione; il morale, cioè ildogma dell’egualità umana fondato sull’unità di origine,di fine, di redenzione, e corroborato colla legge di amo-re e di fratellanza; il gerarchico, cioè la fondazione dellasocietà spirituale, giusta il pelasgico concetto perfezio-nato e il tipo cosmico; per ultimo il cosmopolitico, cioèla propagazione universale dell’Idea, e la ripristinataunità dell’umana famiglia. I varii genii delle nazioni ac-cordati dall’unione cristiana, e i diversi domicilii delmoderno incivilimento, furono effetto dell’apostolatoevangelico e dell’armonia ristabilita delle lingue, comela confusione babelica e la dispersione falegica avevanopartorite le varie indoli e condizioni delle genti etero-dosse, disarmonizzate e stonanti. Ma fra i Primi cristianiil gerarchico predomina per l’importanza storica, in vir-tù della parola, di cui la società cattolica è depositaria ebanditrice; la qual parola abbraccia nella sua universali-tà tutti gli altri Primi. E l’organismo della gerarchia permezzo del suo centro ci riconduce all’Italia e al suo pri-mato storico, parte integrale di quel primato etnograficoonde ho fatto testè menzione.

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Necessità della sintesi negli studii storiali.Canonica della storia.

Non chieggo scusa a’ miei benigni lettori di questolungo discorso sui Primi storici; perchè non credo diaver fatto una digressione. Il discorrere e il riepilogaresommariamente le attinenze del Primo biblico colla sto-ria in universale era necessario per mostrare la preroga-tiva italiana negli studi di tal natura, come vedemmodianzi i suoi privilegi scientifici, nati dalla stessa fonte.Se gli studi storici furono quasi sempre in Italia più su-stanziosi e sodi che altrove, e se appo noi il vezzo delleipotesi fu meno ardito e sregolato, e l’empirismo eruditoche gli successe, meno materiale e pedestre che in altriluoghi, se ne dee saper qualche grado alle influenze cat-toliche, secondate dalla natural discrezione e severitàdell’ingegno peninsulare. Infatti il razionalismo biblicoe il panteismo, suo fratello, non allignarono mai in Ita-lia, a guisa di que’ triboli1 polari o sterpigni palustri cheprovano a bacio ed a tramontana, ne’ luoghi freddi edacquidosi, ma ripugnano al succhio delle nostre zolle eall’occhio del nostro sole. Se non che, la critica raziona-le, di cui lo Spinoza, il Simon ed il Bayle furono creato-ri, è un rampollo del Cartesianismo; il quale, essendosiinsinuato anche in Italia da un secolo in qua, potrebbeinfine far lieta la Penisola della sua prole, se i dotti nonvi pongon rimedio, ritirando gli studi eruditi versol’antico senno. E già nell’età più a noi vicina, da che1 Tribolo è pianta che produce frutti spinosi, anch’essi detti triboli, ed è di

due sorte, terrestre e acquatica.

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Necessità della sintesi negli studii storiali.Canonica della storia.

Non chieggo scusa a’ miei benigni lettori di questolungo discorso sui Primi storici; perchè non credo diaver fatto una digressione. Il discorrere e il riepilogaresommariamente le attinenze del Primo biblico colla sto-ria in universale era necessario per mostrare la preroga-tiva italiana negli studi di tal natura, come vedemmodianzi i suoi privilegi scientifici, nati dalla stessa fonte.Se gli studi storici furono quasi sempre in Italia più su-stanziosi e sodi che altrove, e se appo noi il vezzo delleipotesi fu meno ardito e sregolato, e l’empirismo eruditoche gli successe, meno materiale e pedestre che in altriluoghi, se ne dee saper qualche grado alle influenze cat-toliche, secondate dalla natural discrezione e severitàdell’ingegno peninsulare. Infatti il razionalismo biblicoe il panteismo, suo fratello, non allignarono mai in Ita-lia, a guisa di que’ triboli1 polari o sterpigni palustri cheprovano a bacio ed a tramontana, ne’ luoghi freddi edacquidosi, ma ripugnano al succhio delle nostre zolle eall’occhio del nostro sole. Se non che, la critica raziona-le, di cui lo Spinoza, il Simon ed il Bayle furono creato-ri, è un rampollo del Cartesianismo; il quale, essendosiinsinuato anche in Italia da un secolo in qua, potrebbeinfine far lieta la Penisola della sua prole, se i dotti nonvi pongon rimedio, ritirando gli studi eruditi versol’antico senno. E già nell’età più a noi vicina, da che1 Tribolo è pianta che produce frutti spinosi, anch’essi detti triboli, ed è di

due sorte, terrestre e acquatica.

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gl’influssi gallici e germanici divennero più frequenti ecopiosi del nostro paese, apparvero alcuni segni delnuovo indirizzo; e ora lo scetticismo sulle origini trapelapoco celatamente in alcuni scritti, del resto pregevoli, ein altri si sente il gusto delle ipotesi capricciose ed av-verse ai canoni fondamentali. Egli è dunque opportunoche anche da questo lato gli studiosi mettano mano auna savia riforma, e seguano i valorosi che loro ne por-gon l’esempio; fra’ quali mi basti il far menzione delCantù e del Balbo, che in uno de’ suoi ultimi scritti sta-bilisce espressamente la necessità del sovranaturalenell’istoria1. Ma acciò l’inchiesta dei fatti sia richiamataall’idealità che le conviene, uopo è abolire anche nellastoria il metodo cartesiano, facendo dipendere l’analisidalla sintesi, e il processo a posteriori da quello che apriori si chiama. Imperocchè i fatti e i monumenti nonpossono trovare in sè stessi la loro prima e ultima ragio-ne e dichiarazione, ma si connettono con altri successi edocumenti anteriori e posteriori, finchè si giunga da unaparte ad un Primo e dall’altra ad un Ultimo assoluto, chesono la protologia e la teologia ideale della storia.

La quale per tal modo si leva alla dignità di scienza; eil negozio corre a suo riguardo, come in tutte le altre co-gnizioni osservative e sperimentali, le quali non diventa-no scientifiche se non mediante il corso dei principiiideali; come si vede, per cagion di esempio, nella psico-logia, che riesce razionale quando i fenomeni della co-

1 Meditazioni storiche, tomo I, pass.

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gl’influssi gallici e germanici divennero più frequenti ecopiosi del nostro paese, apparvero alcuni segni delnuovo indirizzo; e ora lo scetticismo sulle origini trapelapoco celatamente in alcuni scritti, del resto pregevoli, ein altri si sente il gusto delle ipotesi capricciose ed av-verse ai canoni fondamentali. Egli è dunque opportunoche anche da questo lato gli studiosi mettano mano auna savia riforma, e seguano i valorosi che loro ne por-gon l’esempio; fra’ quali mi basti il far menzione delCantù e del Balbo, che in uno de’ suoi ultimi scritti sta-bilisce espressamente la necessità del sovranaturalenell’istoria1. Ma acciò l’inchiesta dei fatti sia richiamataall’idealità che le conviene, uopo è abolire anche nellastoria il metodo cartesiano, facendo dipendere l’analisidalla sintesi, e il processo a posteriori da quello che apriori si chiama. Imperocchè i fatti e i monumenti nonpossono trovare in sè stessi la loro prima e ultima ragio-ne e dichiarazione, ma si connettono con altri successi edocumenti anteriori e posteriori, finchè si giunga da unaparte ad un Primo e dall’altra ad un Ultimo assoluto, chesono la protologia e la teologia ideale della storia.

La quale per tal modo si leva alla dignità di scienza; eil negozio corre a suo riguardo, come in tutte le altre co-gnizioni osservative e sperimentali, le quali non diventa-no scientifiche se non mediante il corso dei principiiideali; come si vede, per cagion di esempio, nella psico-logia, che riesce razionale quando i fenomeni della co-

1 Meditazioni storiche, tomo I, pass.

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scienza sono ordinati e dichiarati da un dogma ontologi-co, qual si è l’anima considerata come forza sostanzialee termine immediato di un atto creativo. E come la qui-stione psicologica dell’origine delle idee è insolubile, senon si risale a quella dell’origine delle cose, mediante lascienza prima; così il quesito dell’origine dei fatti non ècapace di ragionevole scioglimento, se non si risale alleidee e alle cose primordiali, coll’aiuto della Genesi edell’Evangelio, che sono la scienza prima della storia. Eperciò ne costituiscono la Canonica1 ontologica, sicura elegittima; fuor della quale le lucubrazioni storiali o sonouna semplice raccolta di fatti scatenati, o un sistema ro-manzesco e poetico, simile alle teogonie e mitologie an-tiche, anzichè una dottrina seria e razionale. Infatti laCanonica della storia dee essere obbiettiva, divina, dota-ta di naturale e sovranaturale certezza, universale, co-smopolita, risalente alle prime origini, confermata datutte le memorie, e tale, insomma, che ogni fattod’importanza si possa per via di essa dichiarare, e tornialtrimenti inesplicabile. E ciò che dico della storia si deeugualmente intendere della filologia, dell’archeologia, edi tutte le altre discipline erudite, ausiliari di quella. Ve-dasi adunque la necessità di ristabilire in esse il primatodella Bibbia, come quello della religione in tutti gli ordi-ni della civiltà e della scienza, allargando e teologizzan-do, per così dire, l’investigazione dei fatti e dei monu-

1 La canonica è la scienza dei sacri cánoni e cánone dicesi di regola fonda-mentale e più propriamente di legge posta e ordinata da papi e da concilii,concernente la fede e la disciplina della Chiesa.

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scienza sono ordinati e dichiarati da un dogma ontologi-co, qual si è l’anima considerata come forza sostanzialee termine immediato di un atto creativo. E come la qui-stione psicologica dell’origine delle idee è insolubile, senon si risale a quella dell’origine delle cose, mediante lascienza prima; così il quesito dell’origine dei fatti non ècapace di ragionevole scioglimento, se non si risale alleidee e alle cose primordiali, coll’aiuto della Genesi edell’Evangelio, che sono la scienza prima della storia. Eperciò ne costituiscono la Canonica1 ontologica, sicura elegittima; fuor della quale le lucubrazioni storiali o sonouna semplice raccolta di fatti scatenati, o un sistema ro-manzesco e poetico, simile alle teogonie e mitologie an-tiche, anzichè una dottrina seria e razionale. Infatti laCanonica della storia dee essere obbiettiva, divina, dota-ta di naturale e sovranaturale certezza, universale, co-smopolita, risalente alle prime origini, confermata datutte le memorie, e tale, insomma, che ogni fattod’importanza si possa per via di essa dichiarare, e tornialtrimenti inesplicabile. E ciò che dico della storia si deeugualmente intendere della filologia, dell’archeologia, edi tutte le altre discipline erudite, ausiliari di quella. Ve-dasi adunque la necessità di ristabilire in esse il primatodella Bibbia, come quello della religione in tutti gli ordi-ni della civiltà e della scienza, allargando e teologizzan-do, per così dire, l’investigazione dei fatti e dei monu-

1 La canonica è la scienza dei sacri cánoni e cánone dicesi di regola fonda-mentale e più propriamente di legge posta e ordinata da papi e da concilii,concernente la fede e la disciplina della Chiesa.

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menti, cui l’invalsa eterodossia secolareggiò e restrinse,col sequestrarla dalla base della credenze, o col renderlaprofana e spesso sacrilega. L’ateismo, anche solo negati-vo, non approda meglio alla storia , che all’altro sapere;la quale, per non riuscire una vanità e una chimera, oalla men trista una congerie inorganica, vuol essere qua-si una religione. Nè ella può aspirare a tanto onore, senon mette il suo fondamento nella Bibbia, che non è ni-pote, come le altre scritture artificiose, ma figliuola diDio, e parto immediato degl’influssi celesti. La Bibbia èil libro ideale, narrativo della storica comparita cuil’Idea fece nel mondo umano e civile; e siccome questaoccupa nel giro delle cose reali il centro dell’universo,così la storia ideale, dettata da Dio, non dee esser confi-nata in un cantuccio della circonferenza (come pur si fada coloro che non la sbandiscono affatto), ma posta nelluogo centrale e più degno dei monumenti. Imperocchèsi vuol operare intorno notizie storiali ciò che accade aifatti in cui esse travagliansi; e come l’uman genere, pervia del Cristianesimo, si raccozza e ritorna all’unità del-la sua origine, così l’erudizione e l’istoria sparpagliatedebbono rannodarsi e rinvertire verso l’unità del codicefondamentale. Laonde, come nei tempi antichissimi laGenesi creò l’istoria, in quanto le prime memorie genti-lesche furono uno sprazzo di quell’autentica e veridicatradizione che venne poscia dall’ebreo legislator conse-gnata nel primogenito de’ suoi libri; così ai dì nostri lastoria dee tornare alla Genesi, dopo un lungo circuitod’errori, e una dolorosa sperienza dimostratrice della va-

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menti, cui l’invalsa eterodossia secolareggiò e restrinse,col sequestrarla dalla base della credenze, o col renderlaprofana e spesso sacrilega. L’ateismo, anche solo negati-vo, non approda meglio alla storia , che all’altro sapere;la quale, per non riuscire una vanità e una chimera, oalla men trista una congerie inorganica, vuol essere qua-si una religione. Nè ella può aspirare a tanto onore, senon mette il suo fondamento nella Bibbia, che non è ni-pote, come le altre scritture artificiose, ma figliuola diDio, e parto immediato degl’influssi celesti. La Bibbia èil libro ideale, narrativo della storica comparita cuil’Idea fece nel mondo umano e civile; e siccome questaoccupa nel giro delle cose reali il centro dell’universo,così la storia ideale, dettata da Dio, non dee esser confi-nata in un cantuccio della circonferenza (come pur si fada coloro che non la sbandiscono affatto), ma posta nelluogo centrale e più degno dei monumenti. Imperocchèsi vuol operare intorno notizie storiali ciò che accade aifatti in cui esse travagliansi; e come l’uman genere, pervia del Cristianesimo, si raccozza e ritorna all’unità del-la sua origine, così l’erudizione e l’istoria sparpagliatedebbono rannodarsi e rinvertire verso l’unità del codicefondamentale. Laonde, come nei tempi antichissimi laGenesi creò l’istoria, in quanto le prime memorie genti-lesche furono uno sprazzo di quell’autentica e veridicatradizione che venne poscia dall’ebreo legislator conse-gnata nel primogenito de’ suoi libri; così ai dì nostri lastoria dee tornare alla Genesi, dopo un lungo circuitod’errori, e una dolorosa sperienza dimostratrice della va-

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nità di ogni sforzo erudito per ricostruire altrimenti gliannali primitivi dell’umana famiglia. E siccome l’istoriamuove dalla biografia, in cui è racchiusa potenzialmen-te, come la specie è contratta nel primo generatore, levicende dei popoli e delle stirpi ci riconducono a tre uo-mini unici nel corso degli antichi tempi, cioè Adamo,Noè ed Abramo, corrispondenti ai tre Primi fisici dellacosmogonia, del diluvio e della grande epirosi, e fonda-tori del nostro genere; i due primi negli ordini della na-tura, e il terzo in quelli dell’elezione. La Genesi, qual ri-tratto di questi tre uomini dinamici, è la biografia gene-ratrice della storia antica e del primo ciclo, comel’Evangelio è la biografia produttrice del secondo cicloe della storia moderna, porgendoci l’effigie dell’UomoDio, che instaurò e compiè l’opera iniziale di quei mor-tali privilegiati e ministri di Providenza nel periodo del-la creazione. Attribuendo alla Bibbia il principatodell’erudizione, e augurando non lontana l’ora in cuiquesta signoria legittima verrà dai migliori, se non datutti riconosciuta, intendo parlare di un indirizzo libero elargo che lasci campo allo scrutinio dei materiali e aipresupposti dello spirito induttivo, non di una domina-zione pedantesca e ristretta che rallenti o intoppi lascienza. D’altra parte il Primo biblico, non potendosi se-questrare dal ieratico, dee essere cattolico; giacchè fuoridella società conservatrice, il libro divino perde ognisuo valore, anche umano; onde non è da stupire che nel-la critica eterodossa occupi l’ultimo luogo. Quindi è chel’autonomia e la maggioranza storica della Bibbia co-

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nità di ogni sforzo erudito per ricostruire altrimenti gliannali primitivi dell’umana famiglia. E siccome l’istoriamuove dalla biografia, in cui è racchiusa potenzialmen-te, come la specie è contratta nel primo generatore, levicende dei popoli e delle stirpi ci riconducono a tre uo-mini unici nel corso degli antichi tempi, cioè Adamo,Noè ed Abramo, corrispondenti ai tre Primi fisici dellacosmogonia, del diluvio e della grande epirosi, e fonda-tori del nostro genere; i due primi negli ordini della na-tura, e il terzo in quelli dell’elezione. La Genesi, qual ri-tratto di questi tre uomini dinamici, è la biografia gene-ratrice della storia antica e del primo ciclo, comel’Evangelio è la biografia produttrice del secondo cicloe della storia moderna, porgendoci l’effigie dell’UomoDio, che instaurò e compiè l’opera iniziale di quei mor-tali privilegiati e ministri di Providenza nel periodo del-la creazione. Attribuendo alla Bibbia il principatodell’erudizione, e augurando non lontana l’ora in cuiquesta signoria legittima verrà dai migliori, se non datutti riconosciuta, intendo parlare di un indirizzo libero elargo che lasci campo allo scrutinio dei materiali e aipresupposti dello spirito induttivo, non di una domina-zione pedantesca e ristretta che rallenti o intoppi lascienza. D’altra parte il Primo biblico, non potendosi se-questrare dal ieratico, dee essere cattolico; giacchè fuoridella società conservatrice, il libro divino perde ognisuo valore, anche umano; onde non è da stupire che nel-la critica eterodossa occupi l’ultimo luogo. Quindi è chel’autonomia e la maggioranza storica della Bibbia co-

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minciarono a venir meno nell’Europa colta, come primafu rotta la sua unità religiosa, e lo scettro della profana esacra erudizione passò dall’Italia alle genti ultramonta-ne.

Universalità della storia d’Italia eitalianità della storia in generale.

Il genio cattolico e l’italianità dell’istoria, inseparabilidalla sua idealità, c’inducono a considerarla per un altroverso, cioè in quanto si connette cogli annali particolaridella nostra patria. I quali per la natura e l’importanzaloro non sono da mettere in ischiera con quelli delle al-tre nazioni; imperocchè non hanno verso la storia uni-versale il semplice riguardo di parte, ma ne sono per uncerto rispetto il principio, il mezzo ed il fine. Nel secon-do ciclo storico, cioè nel periodo cristiano, le vicended’Italia hanno il valore di Primo e d’Ultimo, poichè ilmoto di Europa e dell’altro mondo civile nacque dallanostra Penisola, e a lei rinvertisce per quel doppio cir-cuito etnografico che ho di sopra abbozzato. In virtù dital giro storiale, l’Italia esercita l’ufficio di centro e diprimo motore, onde la forza centrifuga e la forza centri-peta, produttive degli eventi, rampollano; e siccomeogni archeo attrattivo s’individua in un sostanziale prin-cipio dinamico, cioè in una forza, questa non si può ra-gionevolmente collocare altrove, che nel gran condutto-re del cristiano incivilimento, cioè nel papa. In questosenso la storia d’Italia è quella del papato; e la storia del

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minciarono a venir meno nell’Europa colta, come primafu rotta la sua unità religiosa, e lo scettro della profana esacra erudizione passò dall’Italia alle genti ultramonta-ne.

Universalità della storia d’Italia eitalianità della storia in generale.

Il genio cattolico e l’italianità dell’istoria, inseparabilidalla sua idealità, c’inducono a considerarla per un altroverso, cioè in quanto si connette cogli annali particolaridella nostra patria. I quali per la natura e l’importanzaloro non sono da mettere in ischiera con quelli delle al-tre nazioni; imperocchè non hanno verso la storia uni-versale il semplice riguardo di parte, ma ne sono per uncerto rispetto il principio, il mezzo ed il fine. Nel secon-do ciclo storico, cioè nel periodo cristiano, le vicended’Italia hanno il valore di Primo e d’Ultimo, poichè ilmoto di Europa e dell’altro mondo civile nacque dallanostra Penisola, e a lei rinvertisce per quel doppio cir-cuito etnografico che ho di sopra abbozzato. In virtù dital giro storiale, l’Italia esercita l’ufficio di centro e diprimo motore, onde la forza centrifuga e la forza centri-peta, produttive degli eventi, rampollano; e siccomeogni archeo attrattivo s’individua in un sostanziale prin-cipio dinamico, cioè in una forza, questa non si può ra-gionevolmente collocare altrove, che nel gran condutto-re del cristiano incivilimento, cioè nel papa. In questosenso la storia d’Italia è quella del papato; e la storia del

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papato s’immedesima con quella del mondo civile e cri-stiano, ed è una storia cosmopolita. Nello stesso modoche quando si avesse una oculata ed intera notizia delcentro attrattivo ed universale si potrebbe descrivere lapianta dell’universo; così chi penetrasse appieno, nondico solo i successi palpabili e materiali del pontificato,ma le sue secrete e longique influenze, sarebbe in gradodi riandare tutte le fortune religiose dell’orbe cristiano.Il che non solo è vero dell’Europa antica, congiunta edunanime in una sola fede, ma altresì dell’Europa presen-te, lacerata da scismi ed eresie infinite; imperocchè nonv’ha seme cristiano, sopravissuto nei paesi eterodossiper manco e guasto che sia od appaia, la cui conserva-zione non si debba ascrivere al cattolicismo. E ciò suc-cede in virtù dell’antagonismo che veglia fra la Chiesamadre e tutte le sue rivali, e della gara che ne nasce nelseno di queste; presso le quali il seme venefico e distrut-tivo dell’eresia condurrebbe ben tosto le credenze e leistituzioni all’ultimo sterminio, se la presenza e la mae-stà inalterabile dell’antica genitrice non lo vietasse. Laquale fa balenare uno spiraglio di luce agli occhi mede-simi dei ciechi che la ripulsano, e inspira loro talvoltaun verecondo timore, e una emulazion produttiva diqualche lodevole effetto. Così, se l’Inghilterra, la Russiae altri paesi acattolici serbarono un’ombra di gerarchia edi episcopato, si può affermare con verità rigorosa chene furono obbligati alla sedia principe. Parimente in tut-te le parti della civiltà umana e dei buoni e salutevoliprogressi, le prime mosse provengono da quei dogmi

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papato s’immedesima con quella del mondo civile e cri-stiano, ed è una storia cosmopolita. Nello stesso modoche quando si avesse una oculata ed intera notizia delcentro attrattivo ed universale si potrebbe descrivere lapianta dell’universo; così chi penetrasse appieno, nondico solo i successi palpabili e materiali del pontificato,ma le sue secrete e longique influenze, sarebbe in gradodi riandare tutte le fortune religiose dell’orbe cristiano.Il che non solo è vero dell’Europa antica, congiunta edunanime in una sola fede, ma altresì dell’Europa presen-te, lacerata da scismi ed eresie infinite; imperocchè nonv’ha seme cristiano, sopravissuto nei paesi eterodossiper manco e guasto che sia od appaia, la cui conserva-zione non si debba ascrivere al cattolicismo. E ciò suc-cede in virtù dell’antagonismo che veglia fra la Chiesamadre e tutte le sue rivali, e della gara che ne nasce nelseno di queste; presso le quali il seme venefico e distrut-tivo dell’eresia condurrebbe ben tosto le credenze e leistituzioni all’ultimo sterminio, se la presenza e la mae-stà inalterabile dell’antica genitrice non lo vietasse. Laquale fa balenare uno spiraglio di luce agli occhi mede-simi dei ciechi che la ripulsano, e inspira loro talvoltaun verecondo timore, e una emulazion produttiva diqualche lodevole effetto. Così, se l’Inghilterra, la Russiae altri paesi acattolici serbarono un’ombra di gerarchia edi episcopato, si può affermare con verità rigorosa chene furono obbligati alla sedia principe. Parimente in tut-te le parti della civiltà umana e dei buoni e salutevoliprogressi, le prime mosse provengono da quei dogmi

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ideali che Roma sola mantiene e propaga nella loro pu-rezza. Chi può dubitare, per esempio, che le idee diumanità e di giustizia onde fu promossa l’abolizion delservaggio, e l’opera pietosa verrà un giorno universal-mente compiuta, non siano un parto cattolico, che ver-rebbe meno, se la dottrina dell’unità originale della no-stra specie perisse, e l’opinione contraria prevalesse? Orchi sostiene oggimai il dogma dell’unità di stirpe, se nonla scienza cattolica? Qual è l’eterodosso che non l’impu-gni o almeno non la volga in dubbio, ancorchè affermicon logica degna del secolo che tutti gli uomini sonoeguali e fratelli?

Certe sêtte impure e devastatrici, che serpono e cova-no in Francia, in Germania, in Inghilterra, e gareggianodi stranezza, di empietà e d’infamia colla feccia del pa-ganesimo, mirando a spiantare ogni diritto, ogni dovere,ogni religione, e a ristorare il regno della carne (comeconfessano alcune di esse con ingenuità singolare) alla-gherebbero il mondo, se l’Evangelio non lo impedisse.Ma, certo, non è l’Evangelio delle fazioni che fa alla ci-viltà comune questo servigio; giacchè il razionalismo eil panteismo germanico mostrano a che riesca il librodei divini oracoli fra le mani dei nuovi interpreti. Fede-rigo Strauss1, che spianta il Cristianesimo dalle radici, èpure un timido seguace di quella scuola egeliana cheraffina e distilla ai dì nostri il grosso materialismo e

1 Davide Federigo Strauss n. nel 1808 in Ludwigsburg, m. nel 1874. La suaopera principale è Das Leben Jesu, Kritisch bearbeitet, Tübingen,1840(Cfr. HARRAEUS, David Friedich S., Leipzig, 1901).

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ideali che Roma sola mantiene e propaga nella loro pu-rezza. Chi può dubitare, per esempio, che le idee diumanità e di giustizia onde fu promossa l’abolizion delservaggio, e l’opera pietosa verrà un giorno universal-mente compiuta, non siano un parto cattolico, che ver-rebbe meno, se la dottrina dell’unità originale della no-stra specie perisse, e l’opinione contraria prevalesse? Orchi sostiene oggimai il dogma dell’unità di stirpe, se nonla scienza cattolica? Qual è l’eterodosso che non l’impu-gni o almeno non la volga in dubbio, ancorchè affermicon logica degna del secolo che tutti gli uomini sonoeguali e fratelli?

Certe sêtte impure e devastatrici, che serpono e cova-no in Francia, in Germania, in Inghilterra, e gareggianodi stranezza, di empietà e d’infamia colla feccia del pa-ganesimo, mirando a spiantare ogni diritto, ogni dovere,ogni religione, e a ristorare il regno della carne (comeconfessano alcune di esse con ingenuità singolare) alla-gherebbero il mondo, se l’Evangelio non lo impedisse.Ma, certo, non è l’Evangelio delle fazioni che fa alla ci-viltà comune questo servigio; giacchè il razionalismo eil panteismo germanico mostrano a che riesca il librodei divini oracoli fra le mani dei nuovi interpreti. Fede-rigo Strauss1, che spianta il Cristianesimo dalle radici, èpure un timido seguace di quella scuola egeliana cheraffina e distilla ai dì nostri il grosso materialismo e

1 Davide Federigo Strauss n. nel 1808 in Ludwigsburg, m. nel 1874. La suaopera principale è Das Leben Jesu, Kritisch bearbeitet, Tübingen,1840(Cfr. HARRAEUS, David Friedich S., Leipzig, 1901).

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l’ateismo dell’età scorsa, li rende speciosi ed appari-scenti cogli artifici di una sottile metafisica, e ne diffon-de il veleno, non solo in Germania, ma eziandio in Fran-cia e fra le polacche popolazioni.

L’Italia è il Primo e l’Ultimo della storia.Maggioranza della storia presso i popoli

cristiani su quella delle nazioni gentilesche.Dell’uso erudito degli archivii.

Il primato storico d’Italia non si ristringe solo all’epo-ca cristiana, ma si stende ancora ai tempi del paganesi-mo. Il Primo del ciclo antico è l’Oriente; non l’Orienteeterodosso dei Camiti e dei Giapetidi, ma quello delramo semitico nella progenie predestinata degli Abrami-di e degl’Israeliti. L’Oriente eterodosso non partecipa atal prerogativa se non secondariamente, mediante le ri-forme introdotte e universalmente sparse dai sacerdozigiapetici; le quali, per lo più posteriori all’epoca diAbramo, costituiscono nel seno del gentilesimo una se-miortodossia o cattolicità mezzana, se posso così espri-mermi, i cui dogmi si vogliono principalmente attribuirealle influenze delle popolazioni semitiche e conservatri-ci, frammiste ai discendenti vittoriosi del terzo Noachi-de. Del che ci fanno buon testimonio il genio misto delpelvi e del cofto, l’idealità meno offuscata e gli avanzitradizionali di alcuni dogmi sovrintelligibili (quali sonola caduta primitiva, la redenzione, l’angelologia, il risor-gimento finale e simili) che si trovano nei Naschi zendi-ci, nei Saniti dei Vedi, e nei documenti palici, special-

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l’ateismo dell’età scorsa, li rende speciosi ed appari-scenti cogli artifici di una sottile metafisica, e ne diffon-de il veleno, non solo in Germania, ma eziandio in Fran-cia e fra le polacche popolazioni.

L’Italia è il Primo e l’Ultimo della storia.Maggioranza della storia presso i popoli

cristiani su quella delle nazioni gentilesche.Dell’uso erudito degli archivii.

Il primato storico d’Italia non si ristringe solo all’epo-ca cristiana, ma si stende ancora ai tempi del paganesi-mo. Il Primo del ciclo antico è l’Oriente; non l’Orienteeterodosso dei Camiti e dei Giapetidi, ma quello delramo semitico nella progenie predestinata degli Abrami-di e degl’Israeliti. L’Oriente eterodosso non partecipa atal prerogativa se non secondariamente, mediante le ri-forme introdotte e universalmente sparse dai sacerdozigiapetici; le quali, per lo più posteriori all’epoca diAbramo, costituiscono nel seno del gentilesimo una se-miortodossia o cattolicità mezzana, se posso così espri-mermi, i cui dogmi si vogliono principalmente attribuirealle influenze delle popolazioni semitiche e conservatri-ci, frammiste ai discendenti vittoriosi del terzo Noachi-de. Del che ci fanno buon testimonio il genio misto delpelvi e del cofto, l’idealità meno offuscata e gli avanzitradizionali di alcuni dogmi sovrintelligibili (quali sonola caduta primitiva, la redenzione, l’angelologia, il risor-gimento finale e simili) che si trovano nei Naschi zendi-ci, nei Saniti dei Vedi, e nei documenti palici, special-

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mente nelle inscrizioni di re Asoco, e della collana bud-distica del Mahavanso. Ma se l’Oriente ortodosso e se-miortodosso è il principio storico dell’antichità, il finedi essa è l’Italia; la quale è per questo rispetto l’Orientedella storia moderna. L’antichità, infatti, che cominciacoi Noachidi della Mesopotamia, e colle propaggini ira-niche, egizie, indiche e caldee dei Giapetidi sottentrati aiSemiti e ai Camiti, finisce a Occidente colla stirpe pela-sgica d’Italia e coll’imperio di Roma, che ridusse in unola maggior parte di quell’antico mondo sotto lo scettrolatino. E Roma, divenuta per opera di Pietro, non già co-lonia, ma reggia e metropoli del Cristianesimo, fu il Pri-mo del nuovo periodo, com’era stata l’Ultimo dell’anti-co. D’altra parte Roma, conquistando una parte notabiledei paesi di levante, e stendendo i suoi traffichi sinoall’India e alla Sericana, compiè il moto regressivo giàtentato dai rami pelasgici degli Elleni e dei Macedoni, aitempi di Giasone e del figliuolo di Filippo. Perciò la sto-ria innanzi all’Evangelio rappresenta successivamentedue moti opposti, l’uno dell’Asia verso l’Europa, inco-minciato colle prime migrazioni de’ Javaniti, proseguìtocolle colone enotrie, tirreniche, illiriche, fenicie, iberi-che, foceesi, e colle spedizioni d’Inaco, di Cecrope, diDanao, di Cadmo, di Pelope e dei Dardanidi, terminatocolla spedizione di Serse, e simboleggiato dal mito dellafiglia di Agenore, rapita da Giove; l’altro dell’Europaverso l’Asia, principiato dagli Argonauti, da Alessandroe dai Romani, e durante ancora ai dì nostri. Pel primol’Oriente creò l’Italia e l’Europa, dotandole di stirpe, di

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mente nelle inscrizioni di re Asoco, e della collana bud-distica del Mahavanso. Ma se l’Oriente ortodosso e se-miortodosso è il principio storico dell’antichità, il finedi essa è l’Italia; la quale è per questo rispetto l’Orientedella storia moderna. L’antichità, infatti, che cominciacoi Noachidi della Mesopotamia, e colle propaggini ira-niche, egizie, indiche e caldee dei Giapetidi sottentrati aiSemiti e ai Camiti, finisce a Occidente colla stirpe pela-sgica d’Italia e coll’imperio di Roma, che ridusse in unola maggior parte di quell’antico mondo sotto lo scettrolatino. E Roma, divenuta per opera di Pietro, non già co-lonia, ma reggia e metropoli del Cristianesimo, fu il Pri-mo del nuovo periodo, com’era stata l’Ultimo dell’anti-co. D’altra parte Roma, conquistando una parte notabiledei paesi di levante, e stendendo i suoi traffichi sinoall’India e alla Sericana, compiè il moto regressivo giàtentato dai rami pelasgici degli Elleni e dei Macedoni, aitempi di Giasone e del figliuolo di Filippo. Perciò la sto-ria innanzi all’Evangelio rappresenta successivamentedue moti opposti, l’uno dell’Asia verso l’Europa, inco-minciato colle prime migrazioni de’ Javaniti, proseguìtocolle colone enotrie, tirreniche, illiriche, fenicie, iberi-che, foceesi, e colle spedizioni d’Inaco, di Cecrope, diDanao, di Cadmo, di Pelope e dei Dardanidi, terminatocolla spedizione di Serse, e simboleggiato dal mito dellafiglia di Agenore, rapita da Giove; l’altro dell’Europaverso l’Asia, principiato dagli Argonauti, da Alessandroe dai Romani, e durante ancora ai dì nostri. Pel primol’Oriente creò l’Italia e l’Europa, dotandole di stirpe, di

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lingua, di cultura e dei preziosi residui della rivelazionprimitiva; pel secondo l’Italia e l’Europa son destinate aredimere l’Oriente, restituendogli con usura i beni rice-vuti, e comunicandogli i divini tesori della rivelazionerinnovata e perfetta. Ma se l’Oriente fu il Primo etno-grafico universale, non si può già credere che debba es-ser l’Ultimo, avendo perduta la sua celeste prerogativacol venir meno dell’unità e ortodossia primitiva, e coisuccessivi incrementi dei loro contrari; i quali colà sen-za posa e intermissione signoreggiarono, cominciandodall’espulsione edenica, dallo scompiglio babelico, daldivorzio falegico, e venendo sino alle dolorose scissuredi Samaria, d’Israele, di Simone, di Ario, di Nestorio, diMaometto e di Fozio. Perciò la finalità della storia è og-gimai un privilegio di Europa e specialmente d’Italia,suo centro e suo capo.

Le nostre patrie vicende, considerate come teleologiadella storia, hanno dunque un pregio e un’importanzaparticolare1. E siccome dal fine delle cose si può agevol-mente conoscere e determinare la regola delle loro ope-1 L’importanza teleologica e l’universalità della storia d’Italia furono avver-

tite da uno storico coetaneo di grande autorità e cousumatissimo nello stu-dio dei nostri annali. Cesare Balbo nel suo ultimo scritto così discorre: «Intanta connessione com’è della storia d’Italia con quelle delle due grandinazioni vicine, anzi di tutta la Cristianità, non è forse possibile cercar beneper la prima volta le ragioni di essa senza entrare in quelle di tutta la storiacristiana, e meglio ancora di tutta la universale... Io non so se m’inganni;ma ei mi pare che, convergendo all’Italia la storia antica tutta, e divergen-done quindici diciannovesimi della moderna, possano le due essere forsepiù facilmente osservate da questo centro, che non da qualunque altro pun-to di vista all’intorno». (Meditazioni storiche, Torino, tomo I, pagg. VIII,IX). [G.].

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lingua, di cultura e dei preziosi residui della rivelazionprimitiva; pel secondo l’Italia e l’Europa son destinate aredimere l’Oriente, restituendogli con usura i beni rice-vuti, e comunicandogli i divini tesori della rivelazionerinnovata e perfetta. Ma se l’Oriente fu il Primo etno-grafico universale, non si può già credere che debba es-ser l’Ultimo, avendo perduta la sua celeste prerogativacol venir meno dell’unità e ortodossia primitiva, e coisuccessivi incrementi dei loro contrari; i quali colà sen-za posa e intermissione signoreggiarono, cominciandodall’espulsione edenica, dallo scompiglio babelico, daldivorzio falegico, e venendo sino alle dolorose scissuredi Samaria, d’Israele, di Simone, di Ario, di Nestorio, diMaometto e di Fozio. Perciò la finalità della storia è og-gimai un privilegio di Europa e specialmente d’Italia,suo centro e suo capo.

Le nostre patrie vicende, considerate come teleologiadella storia, hanno dunque un pregio e un’importanzaparticolare1. E siccome dal fine delle cose si può agevol-mente conoscere e determinare la regola delle loro ope-1 L’importanza teleologica e l’universalità della storia d’Italia furono avver-

tite da uno storico coetaneo di grande autorità e cousumatissimo nello stu-dio dei nostri annali. Cesare Balbo nel suo ultimo scritto così discorre: «Intanta connessione com’è della storia d’Italia con quelle delle due grandinazioni vicine, anzi di tutta la Cristianità, non è forse possibile cercar beneper la prima volta le ragioni di essa senza entrare in quelle di tutta la storiacristiana, e meglio ancora di tutta la universale... Io non so se m’inganni;ma ei mi pare che, convergendo all’Italia la storia antica tutta, e divergen-done quindici diciannovesimi della moderna, possano le due essere forsepiù facilmente osservate da questo centro, che non da qualunque altro pun-to di vista all’intorno». (Meditazioni storiche, Torino, tomo I, pagg. VIII,IX). [G.].

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razioni, la storia italiana, come causa finale degli eventi,sparge una gran luce sulla loro indole in universale, econcorre a farci conoscere le leggi che li governano. Nèsebben da tre secoli la Penisola sia in istato di declina-zione, le cose nostre han perduto il loro rilievo; giacchéle nazioni han come le piante e gli animali i loro sonni,e come gli astri le loro eclissi e i loro tramonti. E duran-te questa notte italiana, scadde non poco l’idealità deglialtri popoli, secondo si raccoglie dal successivo declina-re delle lettere, della religione e delle dottrine speculati-ve; come l’elitropio, che, quasi beandosi nel sole diurno,gli tien dietro amorosamente nel suo giro, ma quando lovede occultarsi, inchina melanconico il suo stelo e soc-chiude la sua corolla. Così l’occaso d’Italia contristòl’Europa ideale e cristiana, e privò il mondo politico displendore e di poesia; giacchè quasi tutto è ignobile eprosaico, o iniquo e feroce nella storia europea di questitre secoli: vili o crudeli con le paci, le guerre, le impre-se, i trattati, le alleanze. E come le discipline naturali simangiano ora ogni altro sapere, e le arti belle sono ucci-se dalle meccaniche, così la finanza fa ormai da sè solatutta la politica, il banco e la dogana invadono il gover-no e lo Stato, e le sorti del genere umano dipendono dal-le polizze, dal cotone e dalle bietole. Per tal modol’ignavia italiana aggrava tanto al dì d’oggi il mondo ci-vile, quanto altre volte la nostra grandezza e virtù loesaltavano. E pur da questa vecchia e codarda Italia uscil’uomo più poderoso dell’età moderna: da lei nacquerola fortuna straordinaria di lui, e il principio del suo tra-

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razioni, la storia italiana, come causa finale degli eventi,sparge una gran luce sulla loro indole in universale, econcorre a farci conoscere le leggi che li governano. Nèsebben da tre secoli la Penisola sia in istato di declina-zione, le cose nostre han perduto il loro rilievo; giacchéle nazioni han come le piante e gli animali i loro sonni,e come gli astri le loro eclissi e i loro tramonti. E duran-te questa notte italiana, scadde non poco l’idealità deglialtri popoli, secondo si raccoglie dal successivo declina-re delle lettere, della religione e delle dottrine speculati-ve; come l’elitropio, che, quasi beandosi nel sole diurno,gli tien dietro amorosamente nel suo giro, ma quando lovede occultarsi, inchina melanconico il suo stelo e soc-chiude la sua corolla. Così l’occaso d’Italia contristòl’Europa ideale e cristiana, e privò il mondo politico displendore e di poesia; giacchè quasi tutto è ignobile eprosaico, o iniquo e feroce nella storia europea di questitre secoli: vili o crudeli con le paci, le guerre, le impre-se, i trattati, le alleanze. E come le discipline naturali simangiano ora ogni altro sapere, e le arti belle sono ucci-se dalle meccaniche, così la finanza fa ormai da sè solatutta la politica, il banco e la dogana invadono il gover-no e lo Stato, e le sorti del genere umano dipendono dal-le polizze, dal cotone e dalle bietole. Per tal modol’ignavia italiana aggrava tanto al dì d’oggi il mondo ci-vile, quanto altre volte la nostra grandezza e virtù loesaltavano. E pur da questa vecchia e codarda Italia uscil’uomo più poderoso dell’età moderna: da lei nacquerola fortuna straordinaria di lui, e il principio del suo tra-

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collo; giacchè, se la potenza di Napoleone fu material-mente prostrata dagli elementi e dalle armi in Mosca edin Lipsia, essa giacque moralmente in Savona1. Fo que-ste considerazioni per mostrare di qual momento sia an-cora la nostra istoria; e quanto errino coloro che confon-dono la storia interna e ideale coll’esterna, e stimanonullo un popolo nella scena del mondo, quando non faromore coi diplomatici, coi cannoni colle macchine ecolle flotte. A questa interiorità della storia, corrispon-dente nel giro degli eventi a ciò che sono la vita e lo spi-rito nelle forze organiche e pensanti, si debbono volgereprincipalmente gli studi eruditi delle nostra età. Ma ac-ciò essa non divenga un romanzo, si dee accompagnarecolla ricerca esatta e profonda dei fatti esteriori; e spe-cialmente dei più minuti; voglio dire dei meno ricordatie appariscenti, i quali per ciò appunto sono più vitali;giacchè nel mondo politico, come nell’animale, nellapianta e in tutta la natura, le parti e gli agenti più mo-mentosi ed efficaci sono esilissimi e sfuggono agevol-mente all’altrui apprensiva. L’arte storica dei moderni sivantaggia da quella degli antichi, sovratutto per questoverso, ed è debitrice di tal miglioramento alle influenzeideali del Cristianesimo; il quale spiritualizzò l’investi-gazione dei fatti, non solo rivelandoci la tela ideale sucui essi corrono, ma riformando il nostro giudizio suifatti stessi, avvezzandoci a pesarne la forza, anzichè amisurarne la mole, e sostituendo anche per questo ri-1 Allude alla prigionia inflitta da Napoleone a Papa Pio VII in Savona nel

1809.

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collo; giacchè, se la potenza di Napoleone fu material-mente prostrata dagli elementi e dalle armi in Mosca edin Lipsia, essa giacque moralmente in Savona1. Fo que-ste considerazioni per mostrare di qual momento sia an-cora la nostra istoria; e quanto errino coloro che confon-dono la storia interna e ideale coll’esterna, e stimanonullo un popolo nella scena del mondo, quando non faromore coi diplomatici, coi cannoni colle macchine ecolle flotte. A questa interiorità della storia, corrispon-dente nel giro degli eventi a ciò che sono la vita e lo spi-rito nelle forze organiche e pensanti, si debbono volgereprincipalmente gli studi eruditi delle nostra età. Ma ac-ciò essa non divenga un romanzo, si dee accompagnarecolla ricerca esatta e profonda dei fatti esteriori; e spe-cialmente dei più minuti; voglio dire dei meno ricordatie appariscenti, i quali per ciò appunto sono più vitali;giacchè nel mondo politico, come nell’animale, nellapianta e in tutta la natura, le parti e gli agenti più mo-mentosi ed efficaci sono esilissimi e sfuggono agevol-mente all’altrui apprensiva. L’arte storica dei moderni sivantaggia da quella degli antichi, sovratutto per questoverso, ed è debitrice di tal miglioramento alle influenzeideali del Cristianesimo; il quale spiritualizzò l’investi-gazione dei fatti, non solo rivelandoci la tela ideale sucui essi corrono, ma riformando il nostro giudizio suifatti stessi, avvezzandoci a pesarne la forza, anzichè amisurarne la mole, e sostituendo anche per questo ri-1 Allude alla prigionia inflitta da Napoleone a Papa Pio VII in Savona nel

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spetto il processo dinamico a quello degli atomisti1. Inarratori dell’antichità non si addentravano per lo piùnegli eventi: si fermavano alla corteccia: li trattavanocome fenomeni; e ne stimavano il valore, non dalla so-stanza, ma dalla apparenza. Da loro nacque l’usanza diriporre quasi tutta l’istoria nelle guerre e nelle impresepolitiche, trascurando o appena sfiorando gli altri com-ponenti della civiltà umana, e sequestrando lo Stato dal-la famiglia, e la storia propriamente detta dalla biogra-fia. Certo, il più dinamico degli antichi storiografi è Plu-tarco2, come biografo eminente; giacchè la parte piùviva, intima, concreta, e la forza produttrice degli even-ti, consistono massimamente negli ingegni grandi, comequelli che hanno maggiore energia e una individualitàpiù risentita e perfetta. Plutarco è uno scrittore immen-so: non so chi’l pareggi a cogliere e porre in luce la na-tura dell’individuo, se si eccettuano Tacito, Dante e ilsommo tragico inglese; onde, benchè letto forse più chegli altri antichi, egli è ancor nuovo ai dì nostri, e può es-ser fonte agli studiosi di notizie pellegrine e recondite.Ma lo storico di Cheronea, che anche qual moralista siaccosta d’assai ai Cristiani, fu uno degli uomini più eru-diti dell’antichità, e razzolava molto gli archivi, perquanto allora potevasi; non che sprezzasse e sconsiglias-

1 Cfr. BENEDETTO CROCE, La storiografia in Italia dai cominciamenti del se-colo XIX ai giorni nostri, in «Critica», XIII, 1915.

2 Plutarco, n. a Cheronea fra il 45 e 50, m. nel 125 d. C. I suoi scritti sonodivisi in due gruppi, dei quali il primo abbraccia le Vite, l’altro le OpereMorali. Cfr. R. VOLKMANN, Leben Schriften und Philosophie des Plutarchvon Cheronea, Berlin, 1873.

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spetto il processo dinamico a quello degli atomisti1. Inarratori dell’antichità non si addentravano per lo piùnegli eventi: si fermavano alla corteccia: li trattavanocome fenomeni; e ne stimavano il valore, non dalla so-stanza, ma dalla apparenza. Da loro nacque l’usanza diriporre quasi tutta l’istoria nelle guerre e nelle impresepolitiche, trascurando o appena sfiorando gli altri com-ponenti della civiltà umana, e sequestrando lo Stato dal-la famiglia, e la storia propriamente detta dalla biogra-fia. Certo, il più dinamico degli antichi storiografi è Plu-tarco2, come biografo eminente; giacchè la parte piùviva, intima, concreta, e la forza produttrice degli even-ti, consistono massimamente negli ingegni grandi, comequelli che hanno maggiore energia e una individualitàpiù risentita e perfetta. Plutarco è uno scrittore immen-so: non so chi’l pareggi a cogliere e porre in luce la na-tura dell’individuo, se si eccettuano Tacito, Dante e ilsommo tragico inglese; onde, benchè letto forse più chegli altri antichi, egli è ancor nuovo ai dì nostri, e può es-ser fonte agli studiosi di notizie pellegrine e recondite.Ma lo storico di Cheronea, che anche qual moralista siaccosta d’assai ai Cristiani, fu uno degli uomini più eru-diti dell’antichità, e razzolava molto gli archivi, perquanto allora potevasi; non che sprezzasse e sconsiglias-

1 Cfr. BENEDETTO CROCE, La storiografia in Italia dai cominciamenti del se-colo XIX ai giorni nostri, in «Critica», XIII, 1915.

2 Plutarco, n. a Cheronea fra il 45 e 50, m. nel 125 d. C. I suoi scritti sonodivisi in due gruppi, dei quali il primo abbraccia le Vite, l’altro le OpereMorali. Cfr. R. VOLKMANN, Leben Schriften und Philosophie des Plutarchvon Cheronea, Berlin, 1873.

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se tali indagini, come fa uno scrittore moderno. CarloBotta fu uomo così eccellente e così benemerito permolti capi delle nostre lettere, che io non vorrei proferirparola poco riverente alla sua memoria: dirò solo che aimolti pregi delle sue opere nulla mancherebbe, s’eglifosse stato uno di quegli spillatori d’archivi che deridein varii luoghi delle sue epistole1. Lo scrutinio degli ar-chivi è per lo storico quello che il taglio pel notomista:l’uno e l’altro non fanno ancora la scienza, ma porgono imateriali atti a formarla, ingrandirla e condurla innanzi.Niuno aspiri a dir cose nuove e sode nella storia, a cor-reggerne i difetti e ad empirne le lacune, a penetrare nelmidollo degli eventi già noti, se non è spillatore di ar-chivi oculato e pazientissimo. Se gli eruditi tedeschiavessero paura di quelle cose che il prefato scrittorechiama freddure e ineziuccie, e partecipassero al suo di-spetto pei diplomi e pel medio evo, non avrebbero spar-sa una nuova luce sugli annali dei bassi tempi, e segna-tamente su quelli della nostra patria. Ma per buona ven-tura i rastiarchivi ingegnosi e assennati non mancaronomai all’Italia, e il più instancabile di essi, cioè il granMuratori, fu il primo erudito del suo secolo. E benchè itumulti, le sventure e gl’influssi gallici rallentassero insèguito cotali investigazioni, esse ora ripigliano nuovavita, e da Palermo, da Napoli sino a Milano e a Torino sicercano e si studiano con grande ardore le anticaglie e idocumenti, per illustrare la storia nazionale. E se debbo

1 Lettere. Torino, 1841, pag. 108, 109, 142, 143. [G.].

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se tali indagini, come fa uno scrittore moderno. CarloBotta fu uomo così eccellente e così benemerito permolti capi delle nostre lettere, che io non vorrei proferirparola poco riverente alla sua memoria: dirò solo che aimolti pregi delle sue opere nulla mancherebbe, s’eglifosse stato uno di quegli spillatori d’archivi che deridein varii luoghi delle sue epistole1. Lo scrutinio degli ar-chivi è per lo storico quello che il taglio pel notomista:l’uno e l’altro non fanno ancora la scienza, ma porgono imateriali atti a formarla, ingrandirla e condurla innanzi.Niuno aspiri a dir cose nuove e sode nella storia, a cor-reggerne i difetti e ad empirne le lacune, a penetrare nelmidollo degli eventi già noti, se non è spillatore di ar-chivi oculato e pazientissimo. Se gli eruditi tedeschiavessero paura di quelle cose che il prefato scrittorechiama freddure e ineziuccie, e partecipassero al suo di-spetto pei diplomi e pel medio evo, non avrebbero spar-sa una nuova luce sugli annali dei bassi tempi, e segna-tamente su quelli della nostra patria. Ma per buona ven-tura i rastiarchivi ingegnosi e assennati non mancaronomai all’Italia, e il più instancabile di essi, cioè il granMuratori, fu il primo erudito del suo secolo. E benchè itumulti, le sventure e gl’influssi gallici rallentassero insèguito cotali investigazioni, esse ora ripigliano nuovavita, e da Palermo, da Napoli sino a Milano e a Torino sicercano e si studiano con grande ardore le anticaglie e idocumenti, per illustrare la storia nazionale. E se debbo

1 Lettere. Torino, 1841, pag. 108, 109, 142, 143. [G.].

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giudicare di tutta la penisola dalla provincia che mi èpiù nota, non mi par che l’Italia sottostia per questa par-te alle altre nazioni; giacchè il solo Piemonte ha fondatoda pochi anni una scuola di storia patria, in cui risplen-dono i nomi del Gazzera, del Balbo, del Manno, delProvana, del Sauli, del San Quintino, di Domenico e diCarlo Promis, dello Sclopis, del Cibrario, del Lamarmo-ra, del Vesme, del Santarosa, e di altri, già chiari per la-vori più o meno ampi anche fuori d’Italia1. Possano queivalorosi accrescere il loro numero, e proseguir con libe-ro ingegno l’opera ardua e pietosa sotto il munifico pa-trocinio del principe; acciò le glorie degli avi, più stu-diate e meglio conosciute, raccendano il genio patrio neinostri coetanei, e fruttino più liete sorti alle prossime ge-nerazioni!

FINE DEL VOLUME II.

1 Cfr. per questi storici: ANTONIO MANNO, L’opera cinquantenaria della R.Deputazione di storia patria di Torino, Torino, Bocca, 1884.

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giudicare di tutta la penisola dalla provincia che mi èpiù nota, non mi par che l’Italia sottostia per questa par-te alle altre nazioni; giacchè il solo Piemonte ha fondatoda pochi anni una scuola di storia patria, in cui risplen-dono i nomi del Gazzera, del Balbo, del Manno, delProvana, del Sauli, del San Quintino, di Domenico e diCarlo Promis, dello Sclopis, del Cibrario, del Lamarmo-ra, del Vesme, del Santarosa, e di altri, già chiari per la-vori più o meno ampi anche fuori d’Italia1. Possano queivalorosi accrescere il loro numero, e proseguir con libe-ro ingegno l’opera ardua e pietosa sotto il munifico pa-trocinio del principe; acciò le glorie degli avi, più stu-diate e meglio conosciute, raccendano il genio patrio neinostri coetanei, e fruttino più liete sorti alle prossime ge-nerazioni!

FINE DEL VOLUME II.

1 Cfr. per questi storici: ANTONIO MANNO, L’opera cinquantenaria della R.Deputazione di storia patria di Torino, Torino, Bocca, 1884.

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