delatre - numero 2

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P i n o c c h i o E n r ic o B o n a v e r a . . . E s i s t o A n c o r a . . . G i o v a n n i F u s e t t i I l C i a r la t a n o I l C l o w n Delatre - 4 FEBBRAIO-MARZO 2007

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La rivista del Piccolo Teatro della Versilia

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Pino

cchio Enrico Bonavera...Esisto Ancora...G

iovanni Fusetti Il Ciarlatano Il Clow

n

Delatre

N° - 4 FEBBRAIO-MARZO 2007

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EDITORIALEDELATRE N° -4

Si conclude la prima parte di questo A.A 2006/07.Dalla follia di “un allenamento del-l’attore” alla lettura scenica de “Il Piccolo Principe”, attraverso l’or-toepia (pronuncia, punteggiatura, toni, volume, pause, direzionalità vocale e gestuale, ecc…) e il “Ric-cardo III” (lo sguardo, l’impianto facciale, il rapporto con la luce e con l’ombra, il poggiare la pianta dei piedi, lo spazio della scena, l’in-teriorità e l’esteriorità, la presenza di un partner, approcci alla azione-reazione, ecc…)Dal seminario controverso e interes-santissimo sul “Coro” di Francesco

2

Il Blues del...

Martinelli al “Ciarlatano” con il grande Enrico Bonavera per poi approdare sulla spiaggia del “riso etereo” del clown con il nostro “buon” Giovanni Fusetti.Non contenti, nel mezzo, ecco un “Pinocchio” gigantesco, con ven-tiquattro “lettori scenici” e tre re-pliche. E che dire poi di quella serata tra Natale e Capodanno con “In via della memoria”, per la regia di Pierluigi Castelli, con Alessandro Gigli e Sandro Verdecchia.I ragazzi della Produzione hanno anche avuto l’opportunità di assi-stere alle prove.

Eccoci finalmente al numero -4...o al numero 2 se preferite!Dopo il primo numero abbiamo ricevuto molti commenti positi-vi...non molti negativi, nessun consiglio né proposta...Ovviamente i primi sono più che graditi, ma lo sono, o meglio lo sarebbero, anche i secondi. Il nostro obiettivo è migliorare e quindi, se vorrete, fateci cono-scere le vostre impressioni e le vostre proposte, anche attraver-so l’indirizzo email della scuola: [email protected] quanto riguarda ciò che state per leggere, ce l’abbiamo mes-sa tutta. E’ stato un periodo incredibilmente colmo di eventi, spettacoli, seminari...sembrava impossibile riuscire a parlare di tutto in sole 16 pagine...ma eccoci qui...e con belle novità: i “giornalisti” questa volta sono aumentati...sia in numero...sia in qualità!Luca e Mirtilla hanno scritto l’articolo per la sezione dei bambini, Enrico Bonavera ci ha concesso un’intervista sul tema del “Ciarlatano” e non solo, Giovanni Fusetti ha invece scritto, su nostra richiesta, un articolo sul “Clown”: in questo numero troverete la prima parte mentre la seconda sarà sul numero di Aprile. Per il resto, ciò che è stato vissuto nella scuola tra dicembre e gennaio è stato documentato...dalle sensazioni di Federico su questi primi mesi, al seminario di Pinocchio, alla lezione aperta dei bimbi al Palazzo Mediceo, allo spettacolo “Esisto Ancora” appena andato in scena al teatro Jenco...Insomma...teatralmente parlando...dovremmo aver detto tutto...Ah, a proposito, ricordatevi di leggere a pagina 15 la poesia “teatralmente parlando”, scritta da Andrea, che fa parte del corso dei ragazzi del nostro Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia!!!

C.

Il Numero -4

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DELATRE N° -4 L’ANGOLO DI FEDERICO

E ancora…la “Lezione Aperta” del corso dei bambini a Palazzo Medi-ceo tenuta da Luca e Mirtilla.E poi. E poi il macigno di “Esisto Anco-ra...per non dimenticare”, un lavoro esaltante quanto terrificante.E l’apertura del “Corso di Forma-zione per Attori”? Che roba!!Dare delle impressioni su tutto que-sto percorso fatto!!?Il lavoro teatrale è un impianto tal-mente complicato da far paura mano a mano che ci si addentra nella sco-perta. Mi scopro nel presente un “novelli-no” e guardo al mio passato con “un sorriso”. Non c’è niente di così eclatante nel fare teatro. Quando a lezione mi trovo a ripren-dere voi su cose ormai ripetute fino alla nausea, ho sensazioni contra-stanti, ma la prima che emerge è questa: “dove sto sbagliando?” In questi anni di lavoro al Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia è stata una continua escalation di sod-disfazioni, fatiche e sorrisi e gioie e...Tutto aumenta! E’ come il caro vita, non c’è scampo! Topo Gigio canta “Tutto sale, tutto sale, anche...il dollaro!” Dove andremo a finire? Mi diverte tanto ‘sta frase perché, in ogni caso,

finirà bene. Alla fine...‘‘Andrà tutto bene”, come cantavano nei primi del ‘900 gli schiavi neri nei campi di cotone ap-procciando il blues. E allora se voi vi mettete nella con-dizione di dovervi far ripetere le solite cose da anni io non posso far altro che cantarvi il blues del min-chione che fa:

“Sono natosotto una scala

il 17 di Novembresoccia che sfiga...”

Uno stralcio di blues che da ragaz-zino cantavamo accompagnandolo con forchette, bicchieri, pentole e arredi vari... Una volta, avevo 16 anni, miman-do come al mio solito “il batterista” (ricordate la marionetta di Jumping Jack Flash?) con due penne biro, mi avvidi troppo tardi di un tremendo guaio che avevo combinato: l’in-chiostro, schizzando fuori dalle penne per la forte pressione dei miei colpi, aveva imbrattato i miei vestiti, i muri, la finestra, il ter-mosifone e la scrivania della mia camera. Un disastro da non sapere se sga-nasciarsi dal ridere o dal piange-re...optai per tutte e due contem-poraneamente.Io sono un Arlecchino...Me lo ha ripetuto anche quel genio di Bonavera...ma sono anche un po’ Amleto e per certi versi mi ri-trovo con il dottor Astrov e perchè no anche con Lamberto Laudisi o

Ettore Petrolini...Oltre a essere Arlecchino però, sono anche un bel cretino. Non è poi così male. Il tal Assessore o Sindaco mi dice “Certo Barsanti, verrò sì! Domani! al tal appuntamento, Ci vediamo domani”. Mi stringe la mano e ci salutiamo. Io, l’indomani, certo che lo aspetto. Ma non viene proprio. E io, sempre, da che faccio ‘sto lavo-ro, gli o “le” credo (ci sono anche le Assessore o Sindachesse). Per me è incredibile non credere in quel momento così seriamente cre-dibile: la stretta di mano, gli occhi, gli sguardi. Sono un cretino? Sono incredibilmente cretino!! E un po’ me ne vanto.Un’altra cosa. Ancora mi sto chiedendo come ho potuto affrontare in modo così ap-profondito “Esisto Ancora...per non dimenticare”, tante, ma tante volte avrei voluto prendere delle scorcia-toie, scappare, tirarmi indietro.Che altro potevo fare? Ecco la risposta, forse. Chi ha imbrattato i muri: le penne o io? Arlecchino è la maschera o io sono Arlecchino? E il cretino? Non so che dire a proposito. Ho imbrattato il muro perchè ero teatro. Un’ultima cosa: l’utopia più vera è non credere nel sogno del cambia-mento.

Un bacio

Federico

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IL TEATRO DEI BAMBINIDELATRE N° -4

Giovedì 11 gennaio scorso presso il Palazzo Mediceo di Seravezza, il gruppo avanzato del corso dei bambini e ragazzi composto da An-drea Del Giudice, Stefano Del Giudice, Cosimo Vezzosi, Samuele Vale, Nicole Del Medico, Margherita Giannaccini, Giulia De Masi, Benedetta Colasanti, Naomy Mazzucchelli, Beatrice Bedini, Leonar-do Frediani, Gloria Guidi, Anna Bonci, Viola Paganelli, Carolina Gonnelli, Re-

Una Lezione “Aperta”

becca Guerra e Sofia Olobardi ha sostenuto una lezione aperta al pubblico.Da qualche tempo infatti, pensavamo fosse ormai venuto il momento di far vedere non solo la punta dell’iceberg, ma anche quello che sta sotto, dietro e dentro… E allora ecco il perchè di questa le-zione aperta: non uno spettacolo, ma quello che viene prima; prima ancora delle prove e della scelta del copione. Perché per andare in scena è necessa-rio prima trovare il coraggio, la voglia di divertirsi pur restando seri; è ne-cessario conoscere le regole del gioco teatrale ed essere pronti a sovvertirle in ogni momento.Ma veniamo alla lezione aperta: i di-ciassette allievi-attori del corso avan-zato, sono stati suddivisi in tre gruppi e dislocati in tre diverse sale di P a l a z z o Mediceo. O g n u n a delle tre p o s t a - zio-ni ha ripe-t u -

to ci-c l i c amente una serie di eser-cizi abitualmente svol-ti durante le lezioni; questa

divisione ha permesso al pubblico di muoversi liberamente nelle sale e gustarsi il maggior numero possibi-le di esercizi. Gli allievi hanno lavorato su eser-cizi di riscaldamento fisico e vocale, sull’interpretazione e sull’improvvi-sazione; esercizi da loro precedente-mente scelti tra quelli svolti duran-te le normali lezioni. La lezione aperta si è conclusa con tutti gli allievi riuniti nella Sala Grande di Palazzo Mediceo; la musica è partita e i ragazzi hanno ballato davanti al loro pubblico; una stretta di mano conclusiva e un inchi-no.Per finire, un breve commento alla le-zione aperta da parte di Carolina, una delle allieve-attrici: “Tutte le volte che i miei genitori hanno provato a chieder-mi cosa facevo quando ero a teatro, non ho mai saputo rispondere. La lezione aperta ha spiegato per me…un concen-trato di puro divertimento e di tensione per il pubblico. La nostra prima rap-

presentazione davanti ai genitori mi è piaciuta moltissimo. Mi

piace l’idea di essere os-servata da qualcuno quando mi impegno

a fare qualcosa che mi piace…e mi diverte!”

Luca e Mirtilla

A partire da questo mese, i cor-si di recitazione per bambini e ragazzi si svilupperanno su tre livelli: propedeutico, medio e avanzato. Questa ulteriore sud-divisione permetterà sia agli in-segnanti che agli allievi un rap-porto più diretto e dei ritmi di lavoro più intensi.

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DELATRE N° -4 PENSIERI...E TEATRO

Quand’ero piccola, ero soli-ta divertirmi con il gioco del “facciamo finta di…” e mi ri-trovavo a far finta di essere una giornalista, un avvocato, un’ar-cheologa, una cantante e mille altri ruoli diversi. Inconsapevolmente ero l’attrice per eccellenza, perché recitavo senza provare alcuna fatica: solo ed esclusivamente perché non dimenticavo di giocare e non lo dimenticavo perché lo facevo. In tutte le lingue, o quasi, quan-do si parla dell’arte dell’atto-re si usa il termine “giocare”: play, spielen, joue…mentre in italiano si usa “recitare”. Sem-bra un problema da poco, ma non lo è, perché dimenticarsi di “giocare” mentre si “recita”, può portare in un vicolo cieco, dove la morte dell’azione tea-trale ci attende. Com’era semplice quand’erava-mo bambini…

E’ la verità: non si è mai più così attori come quando si è piccoli. Ricercare questa con-dizione speciale sul palcosce-nico è un’opportunità che non sappiamo cogliere, anche per-ché spesso non la teniamo in considerazione come soluzione per la sterilità della nostra re-citazione. E’ da poco che si sta facendo spazio in me l’idea di quanto sia importante giocare in tea-tro, ma è comunque abbastan-za per farmi ammettere che è vero, perché senza una giusta commistione di “tecnica e gio-co” (Le due facce della meda-glia della recitazione) il lavoro dell’attore è sempre incomple-to. Spesso, quando si sale su di un palcoscenico, siamo molto più preoccupati di come apparire-mo fisicamente di quanto lo siamo della nostra performan-ce attoriale.

Se in teatro si gioca invece, co-lui che si crede esteticamente bello o brutto, potrà smettere di preoccuparsi sempre di ap-parire in questo modo ed ini-ziare a far uscire il bello della sua recitazione o del suo stare in scena, così colui che è brut-to, potrà esserlo senza dolore, perché non sarà più soltanto la sua esteriorità ad emergere, ma anche le sue capacità tec-niche e di conseguenza la sua bruttezza diventerà una comi-cità godibile all’occhio, perché essere belli equivale ad essere godibili. E così, colui che è frenato dal-la sua timidezza ed è incapace in teatro di esprimersi bene a parole, giocando, acquisterà i mezzi per poter parlare e colui che parla troppo i mezzi per ascoltare…e colui che gioca? I mezzi per fare l’ATTORE…

V.

Giocare o non giocare? Questa è la domanda...

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A chi chiedeva a Carlo Lorenzini, in arte Carlo Collodi (il piccolo borgo natio della amata madre), il perché della metamorfosi del burattino Pinocchio in un bambino con capelli castani e occhi celesti che abita in una “camerina ammobiliata”, Collodi rispondeva: “Sarà, ma io non ho memoria d’aver finito a questo modo”.Collodi era un uomo burbero senza moglie né figli, e nell’anno e mezzo (dal 1881) che Pinocchio apparve come racconto a puntate sul “Giornalino dei bambini”, diretto da Ferdinando Martini e redatto da Guido Biagi, egli cercò più volte di ucciderlo: appeso per il collo a un ramo di quercia, affoga-to sotto le spoglie di un ciuchino azzoppato, dato in pasto ad un pescecane mostruoso, arso per l’arrosto di mangiafuoco, fritto nella padella del Pescatore Verde…ogni tentativo veniva però vanificato dalla gran richiesta del pubblico di vederlo risorgere.

Nel secolo che è ormai trascorso, il teatro e la vita hanno fortemente attinto dalla storia del burattino, divenuto il libro più venduto al mondo dopo la Bibbia. In questi ultimi anni molti sono stati i tentativi di portare in scena Pinocchio, spesso caricature del film della Disney.Leggere il libro originale di Collodi, non può invece che portare a galla toni cupi e tristi che sulla scena richiederebbero un colore sicu-ramente più grigio. L’opera di Carmelo Bene ne è un esempio. Il recente Pinocchio del Teatro del Carretto di Lucca ne è un altro, in cui gli attori sono inseriti in un fortissimo squallore e la violenza è spesso sottotitolo ai quadri che sostengono lo spettacolo: fruste, continui pianti, maschere, Pinocchio spesso solo in scena, abbandonato e deriso.Fiaba o realtà? Per adulti o per bambini?Queste sono le domande che spesso si ripropongono, non solo nel caso di Pinocchio, ma anche per altri lavori teatrali, siano favole o no. Il pubblico dell’epoca di Collodi chiedeva la vita del burattino, non ne voleva la morte…ma chi era questo pubblico: i genitori o i bambini? L’uomo che, pur non avendo figli, scriveva per loro…a chi si rivolgeva? La fiaba si sa, ha come scopo quello di “ammonire divertendo”. Riesce ad utilizzare un linguaggio visivo adatto ai più piccoli ma spesso ammonisce in realtà gli adulti, i veri destinatari. L’autore non fu però libero di scegliere la fine che desiderava per la propria creatura. Le voglie dei genitori di non mostrare il lato brutto della vita ai bambini ebbero la meglio…E vissero tutti felici e contenti.“Ma in fondo erano tempi antichi…tempi in cui le mentalità erano chiuse e ogni parola andava misurata…”Oggi invece è diverso…O no?Molte cose successe in questi mesi mi fanno pensare invece che tutto appare come in un ciclo costretto a ripetersi. Fiaba o realtà poco conta, l’educazione dei bambini e dei ragazzi è toccata da entrambe.In questa società colma di mancanza di comunicazione sembra ormai una rarità trovare un bambino di 10 anni che invece di giocare al computer decide di leggere libri e scrivere racconti. Invece a me è successo di incontrarlo.I bambini succhiano tutto ciò che li circonda…così capita che questo bambino termini il suo preziosissimo primo racconto con la morte del protagonista, il principe. In fondo cosa c’è di strano visto che la morte e il dolore sono parte integrante di noi fin da piccoli? C’è di strano che i genitori, forse temendo di avere un diavolo nascosto in quel piccolo corpicino, decidono di “censurare” alla nascita tali “perversioni” invitando il figlio a cambiare finale.C’è di strano, che questi genitori “di oggi” avrebbero sicuramente vietato di leggere le puntate del Pinocchio “di allora” invitando Collo-di, come fecero gli altri, a cambiare il finale.C’è di strano che sono passati oltre 100 anni, e crescere è ancora una delle cose più difficili al mondo…con i troppi grilli parlanti che ci gracchiano intorno.Ma questa è comunque una fiaba…la realtà è un’altra cosa. O no?Forse no, dato che proporre a ragazzi uno spettacolo come “Esisto ancora” diventa un problema a causa di presidi che desiderano impar-tire ai propri allievi la “giusta educazione”.Forse no, dato che la preside di cui sopra, vieta frasi come “e finalmente fu giustiziato (riferito a Mussolini)” portando via i ragazzi da una conferenza sul fascismo, e, dopo aver messo in dubbio le fonti che riportano la strage dell’olocausto e l’olocausto stesso, decide auto-nomamente che per i ragazzi è meglio non assistere a certi spettacoli.Forse no.Forse il confine tra fiaba e realtà nell’educazione scolastica e familiare dei ragazzi sfuma troppo facilmente…provando a far vivere fiabe quando si è nella realtà e provando a far passare come fiaba ciò che invece è realtà, provando insomma a confondere, chiudere, preclude-re tutto ciò che il ragazzo semplicemente chiede: occhi per poter giudicare in autonomia e serenità. Fiaba o realtà che sia.

C.

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DELATRE N° -4

Tra fiaba e realtà: il viaggio delle favole tra fascismo ed educazione

PENSIERI...E TEATRO

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DELATRE N° -4 RECENSIONI

Parte del percorso che stiamo affron-tando quest’anno durante il corso di recitazione, riguarda la comprensione di una lettura scenica e del modo in cui va porta al pubblico. Il seminario su Pi-nocchio ha posto l’attenzione proprio su questi aspetti e ha permesso di risol-vere molti dei dubbi creatisi durante gli ultimi mesi. In particolare, l’ aiuto che Federico forniva dando una sua versione della lettura, cosa non comune durante il regolare corso di re-citazione, ha fatto sì che gli allievi lavoras-sero sull’“imitazione” accentuandone così l’ascolto: pur essendo in tanti, l’attenzione di ciascuno era massi-ma, tanta era la voglia di “rubare” ciò che di artistico ci veniva re-galato, non solo da Federico, ma anche da parte degli altri allievi. Il lavoro ha portato a forti carat-terizzazioni dei per-sonaggi, sia a livello vocale che fisico: si è cercato di andare oltre la “prigionia” del leggio provando a lasciar andare i gesti e gli sguardi e tentando di non cadere nel racconto di una favola. Questo era infat-ti l’intento registico: una lettura “reale” della commedia di Pinocchio. Avendo un preciso obiettivo, quello di andare in scena, ognuno aveva il proprio ruolo, e questo è stato allo stesso tempo il limi-te e la virtù dei tre giorni di seminario: avrebbero tutti voluto provare più e più personaggi con la giusta calma, ma forse è stato bello anche così: finalmente finire un seminario con in bocca l’acquolina e la voglia di averne ancora. Durante que-sto lavoro molto intenso e difficile, ogni libera e grigia parola del testo di Collodi è stata letta, stravolta, imprigionata e poi,

C’era una volta...Un re! No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un seminario...quello su Pinocchio!

I primi di Dicembre, al termine di un seminario di 3 giorni, Federico Barsanti ha proposto al pubblico una lettura scenica dei primi capitoli di Pi-nocchio. 24 allievi, tra corso propedeutico (bravissima Valentina!!!), gruppi avanzati e Produzione, hanno dato vita alla storia del famoso burattino...

finalmente colorata e lasciata libera di uscire. Alla fine del terzo giorno, quando ormai il percorso didattico degli “allie-vi” ha lasciato spazio allo spettacolo, gli “attori” si sono ritovati ad attendere nel retro del Delatre, in silenzio e con la sen-sazione di aver fatto qualcosa di grande, come se avessero sotterrato qualcosa nel campo dei miracoli e fossero in attesa di veder crescere qualcosa. Tutto mentre qualcuno dall’altra parte li attendeva.

Il pubblico del Delatre non trova infatti alcun sipario a nascondere la scena: come calati dall’alto, vi si trovano, da soli, 24 leggii e come dentro campane di vetro, solo in seguito appaiono loro, i perso-naggi, i narratori, il coro…insomma, l’intera orchestra, a cui spetterà il com-pito di non far sentire il pubblico impri-gionato in quei pochi metri di spazio ma invece libero di viaggiare lungo le strade disegnate da Collodi. Al centro di tutti, Pinocchio, vestito di un corpetto a fiori e del suo magnifico naso, si agita, sorride, si dispera con deli-catezza e sincerità.Vicino a lui, tanti strani personaggi con vesti colorate e bizzarre gli fanno da cor-nice. Il primo narratore inizia la lettura,

con voce seria racconta la triste povertà di Geppetto, così lontana dalla atmosfe-ra di fiaba a cui siamo abituati, ed an-che le musiche che verranno inserite tra un capitolo e l’altro sottolineano come una lettura “reale” di Pinocchio possa far risaltare aspetti inaspettati, a volte trascurati e spesso per niente esilaranti. Così il vero burattinaio, Federico, lascia che la storia scorra, sottolineata dai cori, dalle parole del grillo parlante, dalla voce gracchiante della volpe e dagli starnuti di

tanti splendidi Man-giafoco. I suoni di questi strani personaggi hanno poi continuato a scorrere anche oltre Seravez-za: è stata data loro infatti la possibilità di raccontarsi ad un pubblico “bambino” il 15 Dicembre nella biblioteca ragazzi di Viareggio. Di fronte a circa 60, tra adulti e soprat-tutto bambini (con oltre 200 persone in coda sulla porta di

via Mazzini a richiedere di assistere allo spettacolo), le difficoltà sono state mol-te: dalla mancanza di atmosfera delle luci del Delatre, al poco spazio, alla paura di perdere l’attenzione dei bambini...tutti ostacoli che hanno fatto capire (agli allie-vi...agli attori) quanto una favola abbia mille sfaccettature e altrettante possibili letture a seconda del pubblico e del luo-go scenico. Non c’è dubbio che l’intero seminario e le tre messe in scena siano state preziose per coloro che vi hanno partecipato ed abbiano arricchito il bagaglio artistico che si sta costruendo settimana dopo settimana in questo anno “ordinato”.

C.

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DELATRE N° -4 RECENSIONI

Tutto è cominciato...Quando? Quando può cominciare un lavoro come “Esisto Ancora”? Forse nella mente di Federico, nelle tante ore da lui passate a scoprire i massacri della bestia umana. Forse quella sera di silenzio, quando in pochi, pochissimi, siamo andati via dal teatro dopo aver visto un video indescrivibile. Pochi, pochissimi. Perché, mi chiedo ancora oggi?Seduta al mio leggio, da cui guardo gran parte dello spettacolo, io mi volto e vedo una moltitudine di gente. Dov’era quella sera? Dov’erano quelle lampadine ora accese, ed allora spente.Tutto è cominciato, ne sono certa…anche se non so ancora in che modo.Mi sono spesso chiesta cosa si nascondesse dietro gli occhi di chi ha partecipato, per poter capire cosa abbiamo provato, noi tutti. Tante volte mi sono ritrovata drammaticamente a riflettere sulle parole a cui noi, sul palco, diamo voce…e spesso tutto si è an-nebbiato in lacrime che escono malvolentieri, tanto abituati alla violenza da crederla ormai un sogno non vivo. In queste righe avrei dovuto impegnarmi a scrivere dei giorni che abbiamo passato a provare le coreografie, i testi e di come ogni cosa sia nata dal vuoto teatrale di uno spettacolo, al momento in cui scrivo, appena terminato. Invece sento che vorrei parlare di ciò che nasce da un altro vuoto, quello della paura che tutto ancora sia, per arrivare al terrore, terrore che tutto ciò…è stato.Ma alla fine mi ritrovo a scrivere della mancanza. Nostra. Di noi tutti di credere e di poter capire che abbiamo l’opportunità di sprofondare nel senso magico del teatro: possiamo comunicare, parlare, far pensare…Ma come farlo, se prima non lo facciamo noi stessi? Non è il salire sul palcoscenico che rende speciale tutto questo…è che possiamo essere i mezzi oscuri per rendere sospeso l’attimo della fine dello spettacolo per coloro che si alzeranno dalla poltrona godendosi la voglia di riflettere. Lo spettacolo “In via della memoria” con Alessandro Gigli ha per me svolto questa funzione. Ho trattenuto il respiro perché non mi era possibile evitarlo. Il testo era meraviglioso e terrificante. E le parole di Alessandro a conclusione di tutto…mi hanno ac-colto. Quello spettacolo aveva un valore particolare per lui. Personale. Qualunque esso fosse, qualunque diventi il nostro motivo personale…anche noi abbiamo questa opportunità.Non è possibile non rendere personale tutto ciò che questa storia ci ha tragicamente passato…dovrebbe essere personale per tutti, perché tutti noi ne siamo stati toccati. Il Teatro è un mezzo di comunicazione. E questo spettacolo è il potere che noi abbiamo su chi viene a guardarci.

...e lo spettacolo...

Rolando Abbarchi, Anna Badalacchi, Luca Barsottelli, Riccardo Bigi, Donatella Bremer, Milena Cupisti, Michela Del bigal-lo, Consuelo Donati, Walter Faita, Franca Ferrucci, Valentina Gianni, Giulia Giuntoli, Daniela Gracci, Serena Guardone, Sandra Kovach, Elisabetta Lunardi, Giulio Marlia, Giancarlo Mazzei, Barbara Mei, Roberto Panichi, Stefania Patella, Mirtilla Pedrini, Simone Pucci, Davide Raffaelli, Samanta Sartori, Federico Simonetti, Claudia Sodini, Vanessa Tonarelli, Veronica Vicini, Beatrice Beoini, Anna Bonci, Benedetta Colasanti, Shira Conti, Giulia de Masi, Andrea del Giudice, Stefano del Giudice, Nicole del Medico, Leonardo Frediani, Erica Fruzzetti, Margherita Giannaccini, Margherita Giannoni, Carolina

Gonnelli, Serena Gori, Gloria Guidi, Stefano Leonardi, Naomi Mazzucchelli, Viola Paganelli, Claudia Olobardi, Sofia Olobardi, Filippo Rizzolo, Samuele Vale.

Difficilmente avrete letto tutti i nomi di questa lista. A meno che non siate uno di loro e lo abbiate fatto per controllare di non essere stati dimenticati.Già.Dimenticati…

Il significato di uno spettacolo...

“Esisto Ancora...per non dimenticare”

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DELATRE N° -4 RECENSIONI

Lo spettacolo “Esisto Ancora...per non dimenticare”, composto e diretto da Federico Barsanti, è nato sui libri di storia, sui video girati durante la guerra e dalle fotografie che ritraggono coloro che morirono nei campi di concentramento: un lavoro molto approfondito ha portato a comporre una storia che racconta la partenza verso i campi, la terribile agonia di quei mo-menti e il ritorno a casa attraverso la drammatica ricostruzione dei ricordi di alcuni sopravvissuti. In particolare gran parte dei testi sono presi da una ricerca svolta su materiale fotografico. La cosa dà allo spettacolo un valore molto “vero”: in un periodo difficile come quello attuale in cui anche la storia viene a volte “rivisitata” e in cui fenomeni come “l’Olocausto” vengono messi in discussione, l’utilizzare prove inconfutabili come le fotografie (in scena non appaiono mai, ma sono le coreografie stesse a diventare un susseguirsi continuo di “scatti fotografici”) diventa una scelta di forte ricerca realistica.Ed infatti, se la versione degli scorsi anni (questo è il 4° anno che “Esisto Ancora” viene rappresentato) risultava essere molto evocativa, questa, completamente rivisitata, è molto più “terrena” e “documentarista”.In entrambi i casi rimane fortissima la spinta poetica, guidata soprattutto da musiche e coreografie che accompagnano i momenti di passaggio da un testo ad un altro.I vari testi divengono quindi picco-li quadri, ciascuno con una propria identità, ma dipinti all’interno di una stessa cornice.Quando si spengono le luci di sala, l’illuminazione del palcoscenico (Fe-derico ha voluto cominciare con le luci di servizio del teatro) ci mostra la scena vuota: dopo un prologo i per-sonaggi invaderanno gradualmente lo spazio, fino a riempirlo di una im-mobilità glaciale mentre un narratore, seduto ad un leggio posto al lato del proscenio (come un “fuori scena”), comincia a raccontarne la storia.Poi tutto cambia e come se si fosse costretti a chiudere gli occhi cala il buio su quei personaggi.Ed è così che loro iniziano davvero a parlare.Durante tutta la rappresentazione non saranno mai usati riflettori da teatro, ma (fatta eccezione delle luci di servizio in aper-tura) solo torce a pila di varie dimensioni e tonalità di colore. Questa particolare scelta registica crea un’atmosfera di fortissima immaginazione: momenti di estrema sofferenza in cui il buio, a volte quasi totale, unito ai suoni e ai lamenti che giungono dal palco, porta il pubblico lontanissimo dalla realtà odierna.La presenza in scena di tante persone (sono in totale 51) rafforza ulteriormente l’impatto emotivo delle parole nel pubblico.Per la prima volta nella storia della scuola del Piccolo Teatro della Versilia vengono inoltre utilizzati dei bambini e dei ragazzi: assumono un ruolo fondamentale (e lo fanno senza che alcun adulto li guidi e ricordi loro come e dove muoversi: Federico ci tiene a precisare che questa è una scelta ragionata e maturata durante tutti questi anni di scuola). Quello che si ritrova a vivere lo spettatore è qualcosa di travolgente ed estremamente toccante.Forse, come in ogni opera dedicata ad un tema così delicato, si entra in modo già predisposto verso certe sensazioni...ma credo che sia difficile rimanere “solo” spettatori quando, per esempio, una ragazza entra in scena per dire la bellissima poesia di Andrea Beuermann1, con lo sguardo perso in tante lampadine come se le stesse guardando una ad una…Non lo si può rimanere nemmeno quando tutti i personaggi scendono in platea per chiedere all’Umanità che li aiuti e che non si dimentichi di loro.Si diventa partecipi di una storia...la nostra Storia.

Niente di “brutto” nell’assistere a qualcosa che parla della nostra storia. “Non possiamo sapere chi siamo se non sappiamo da dove veniamo”

L’utopia più vera è non credere nel sogno del cambiamento. (Federico)

C.

� “Figlia parla alla fotografia del padre”

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DELATRE N° -4 INTERVISTA A ENRICO BONAVERA

Che cosa è il “Ciarlatano” e come e quando è nato nel tuo modo di fare teatro? E’ una tua idea originale o qualcun altro se ne è occupato o se ne occupa?

Il “Ciarlatano” nasce da un esercizio che spesso si fa nelle scuole di teatro, quello della “vendita improvvisata di pentole o altro”. Di solito serve come tema di im-provvisazione e di “scioglimento” della lingua e della mente. Io lo provai la pri-ma volta con il mio gruppo teatrale più di vent’anni fa e mi ci divertii molto.Quando poi mi sono interessato di Commedia dell’ Arte, alla ricerca dei segreti del mestiere e soprattutto di quelli dell’ improvvisazione a pubblico, ci sono ricapitato, memore anche delle mie esperienze di spettatore di venditori alla fiera di S. Agata (che si tiene ogni anno a febbraio nel mio quartiere a Ge-nova). Ho scoperto così un mestiere con regole, tecniche e strategie precise e con tutte le caratteristiche che ne fanno una vera professione performativa, parallela a quella commerciale.La reciprocità storica con la Commedia

dell’ Arte (la piazza, la collaborazione con compagnie di attori di piazza) mi ha illuminato sulla possibilità di trarre regole e tecniche egualmente utili nell’ arte dell’ attore in maschera.L’ ho chiamato “Ciarlatano” perchè

questo era l’ antico nome di quel me-stiere.

Quali sono i punti in comune tra il “Ciarlatano” e la Commedia dell’ar-te? Se il Ciarlatano indossasse una maschera, che tipo di personaggio sarebbe?

Il Ciarlatano è un ruolo, una professio-ne, non un personaggio. Quando l’at-tore si cimenta nel “Ciarlatano” gioca essenzialmente se stesso, o una propria modalità.Dopo di che è possibile studiare relazio-ni tra “Ciarlatani” (tipo servo/padrone, venditore/assistente etc.)

A cosa serve il lavoro del Ciarlatano per un attore?

Il lavoro del Ciarlatano ha una serie di ottimi risultati nella pedagogia del me-stiere d’attore, oltre a quella di acqui-sire alcune leggi della Commedia dell’ Arte.Prima di tutto insegna all’allievo l’uso

A seguito del seminario su “Il Ciarlatano” che ha tenuto nella nostra scuola, Enrico ci racconta un po’ le origini e le motivazioni di questo lavoro e di come si è trovato con noi “Piccoli Allievi Sperimentali della Versilia...”

Enrico Bonavera è clown, attore di prosa e splendido interprete della commedia dell’arte. Attualmente incarna il ruolo di Brighella (e di Arlecchino come sostituto di Ferruccio Soleri) nell’ormai mitico “Arlecchino servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler del Piccolo Teatro di Milano, spettacolo che è stato portato in giro per l’Italia, Francia, Belgio Brasile, Cina, Egitto, Algeria, Stati Uniti.

Al Delatre...va di scena il “Ciarlatano”con Enrico Bonavera...e gli allievi del Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia

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DELATRE N° -4 INTERVISTA A ENRICO BONAVERA

della dialettica, intesa come capa-cità di mettersi in relazione con le coordinate principali della perfor-mance : lo spazio, il pubblico, la propria energia e la disponibilità a “giocare”.Lo mette in relazione alla propria capacità associativo/fantastica, e lo aiuta ad abbandonare la “timi-dezza” spostando il “fuoco” dell’ azione da sé stesso verso le diverse relazioni.Aiuta l’ attore a svincolarsi dal te-sto come centro del gioco sceni-co. L’attore è chiamato a giocare una situazione e ad elaborare un proprio tessuto di parole e di con-

cetti che nascono da una necessità re-

lazionale....insomma in qualche modo possiamo dire che l’attore “s’ingrassa”, si ispessisce, diventa microdrammaturgo e responsabile totale del proprio essere in scena.Da questa consapevolezza nasce poi, io credo, una maggiore coscienza della funzionalità del testo e della responsa-bilità dell’ attore nel farlo arrivare in maniera efficace al pubblico.

Se tornassi da noi per continuare il lavoro sul Ciarlatano e sulle favole, quale potrebbe esserne un evoluzio-ne?

In un futuro stage...occorre riprende-re la pratica (perchè il Ciarlatano, per

funzionare occorre tempo) e poi si può sviluppare - come dicevo prima - nella

relazione a due e tre performers.Oppure scegliere storie o argomenti di-versi dalle fiabe o dalla vendita. Questo è un aspetto che ho affrontato e che ci porta verso un teatro di narrazione di piazza (meno confezionato di quello di moda oggi). Avete presente i predicatori di Central Park a New York ?

Come è stato lavorare con allievi di una scuola di “provincia”?

La bellezza della Commedia dell’ Arte, o del lavoro sul Ciarlatano è che in qualche modo si tratta di un gioco, di apprendere un gioco. Questo fa sì che spesso io trovi più resistenze iniziali con “allievi professionisti” che con allievi

Qual’è la cosa che ami di più e quella che odi di più di Arlecchino?

Oddio che domanda !E’ difficile parlare di un personaggio che ormai mi sta proprio addosso e che “penso” solo per giocarlo.Se invece parliamo della mia relazio-ne con la scena...odio il sudore che mi provoca e la disponibilità continua che mi chiede...l’attenzione quasi ani-malesca che mi occorre per renderlo vivente....E adoro tutto questo.

“amatori”. Un gioco lo si può giocare ovviamente a diversi livelli, ma l’ im-portante è la disponibilità e la “follia” a giocare.Ecco perciò che la freschezza che trovo a lavorare con giovani che hanno fresca esperienza di teatro è sempre molto sti-molante.Di certo il lavoro sul Ciarlatano spiazza chi ha sempre pensato il suo essere in scena legato a voce, dizione, testo e bel gesto o portamento...

Sei stato 2 giorni con noi e con Fe-derico: che impressioni hai avuto del Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia?

Ho trovato una bella scuola, organizza-ta con disciplina, serietà, buon senso e “leggerezza”, nello stesso tempo. Fede-rico è persona consapevole che senza un certo rigore i risultati non si ottengo-no e quindi non nasce soddisfazione ai propri sforzi, e che nel contempo, senza “leggerezza” ogni aspetto dell’ appren-dimento del teatro diventa chiuso, cupo e moralistico. Il teatro è occasione di consapevolezza, incontro, educazione alla relazione e all’ introspezione, ma anche alla gioia e al divertimento.Credo che questo, nella vostra scuola sia un percorso molto chiaro e molto ben realizzato. Continuate così !!!

Claudia e Viola

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“Give yourself the gift of studying with Giovanni, and laughing your ass off, and finding some of the most poignant and prophetic and simple theatrical/hu-man moments possible. I can’t say enough about how useful, enjoyable, and incredible this training is. Endless insight and inspiration witnessing your col-leagues transform, and watching your Clown come out of hiding and begin to dance the bugaloo in the light of day. “ (Liz Baron, physical actor-creator)

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DELATRE N° -4 IL CLOWN RACCONTATO DA GIOVANNI FUSETTI

Giovanni Fusetti racconta il ruolo del Clown nella sua pedagogia teatrale (prima parte)

DALLA MASCHERA NEUTRA AL NASO ROSSO:L’attore alla scoperta del proprio Clown

E’ gia il terzo anno che accetto l’invito del prode Federico ad animare un se-minario sul Clown Teatrale al Piccolo Teatro della Versilia. Ci incontrammo alla prima edizione del Roma Teatro Fe-stival nel 2003, dove io presentavo uno spettacolo di Clown della mia scuola, Kiklos, e lui mi disse “Perché non vieni a fare qualcosa da noi” e io dissi “E per-ché no? Mi piace la Toscana”. Detto e fatto. Ho dunque animato per tre anni con-secutivi e con grande piacere, un week-end di formazione con un grup-po di allievi avanzato della scuola.

Profondamente radicato nella pedagogia del teatro di mo-vimento, il Clown è per me una sor-ta di “brodo primordiale” per l’attore: una matrice dove emergono i fon-damentali del teatro. Al punto che può essere considerato uno stile teatrale specifico: il Clown teatrale.

Il “viaggio” del teatro di movimento inizia con la Maschera Neutra e si con-

clude con il Naso Rosso, due maschere archetipiche

fondamentali per la formazione del-

l’attore. Se la Masche-

ra Neutra è la maschera dell’Uma-nità, il Naso Ros-so è l’uma-

nità della maschera.

Non esistono corpi neutri:

solo nella astrazio-ne dell’arte si trovano

corpi dove le proporzioni e le forme hanno la perfezione del corpo neutro. Pensiamo alle sculture greche o

rinascimentali, o all’Uomo di Vitruvio di Leonardo. Corpi che non hanno nes-sun segno della storia, nessuna azione (in greco dramma) impressa. Così l’attore cerca attraverso il Neu-tro uno stato di silenzio, di calma e di apertura allo spazio, che gli permetta di far tacere la propria storia personale e prepararsi così a raccontare una storia altra: il suo personaggio, il racconto, il testo… E’ come creare un foglio bianco su cui scrivere la nuova storia.

Questa ricerca di silenzio del corpo è esattamente l’opposto, o meglio, il complementare della ricerca sul Clown. Una amplifica il silenzio, l’altra amplifi-ca il rumore di fondo.

Se nel Neutro si cerca di sciogliere le “impressioni drammatiche” che ogni corpo porta in sé, con il Naso Rosso si va

Dopo il successo del seminario sul “Clown” tenuto alla nostra scuola, abbiamo chiesto a Giovanni di parlar-ci di questa maschera tanto “piccola” quanto “grandiosa”. Fortunatamente c’era troppo da dire in una sola volta...così in questo numero troverete la prima parte, mentre sarà necessario aspettare il prossimo per la conclusione. Sempre che ci sia, una conclusione...

Giovanni Fuseti, diplomatosi nel 1994 all’Ecole Internationale de Theatre Jacques Lecoq di Parigi, concen-tra la sua ricerca artistica sul movimento teatrale e la creazione, in particolare mimo, pantomima, clown e teatro di maschere. E’ stato allievo del L.E.M. Laboratoire d’Etude du Mouvement e assistente pedagogico alla Ecole Jacques Lecoq, dove è stato, successivamente, anche insegnante di improvvisazione. Conduce una intensa attività pedagogica in Italia ed all’estero.

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alla loro ri-cerca per amplificar-le.Q u e s t o pe rme t t e all’attore di far emerge-re dal pro-prio corpo

le sue forme ed emozioni più uniche e personali. Ciò che nella vita di tutti i giorni si cerca di correggere e coprire per essere il più possibile “normali”, sulla s c e n a si può f i n a l -mente lasciar vivere. E non finisce qui: ciò che nella vita si cerca ad ogni costo di evitare, la derisione, di-venta l’obiettivo del Clown: provocare il riso attraverso infinite variazioni sul tema dell’imperfezione. Un atto di potere vitale formidabile.La poetica del Clown è molto semplice: è la poetica del limite, dell’incidente, della caduta. Tut-te metafore della grande caduta, la caduta finale che ci attende tutti: “sora nostra morte corporale”.Ci sono pochissi-mi modi di riusci-re, spesso uno solo. Ma ci sono infiniti modi per sbaglia-re. Tradotto in altri termini: l’intelli-genza è limitata, la stupidità è infinita. Sono più le cose che non sappiamo e che mai sapremo, rispetto a quello che conosciamo. C’è un modo solo per stare in piedi e molti modi per cadere.

Ogni uomo e donna porta una variazio-ne sul tema dell’essere umano. Unica,

originale, irripetibile, profondamente drammatica, comica e tragica: poetica.

Nella mia pedagogia del Clown metto al centro del lavoro il movimento. Il corpo è tutto.Mi concentro in modo particolare sulla analisi del corpo in assenza di intenzio-ni: cosa dice il mio corpo quando sto zitto e respiro di fronte al pubblico, nel vuoto del momento presente?Il Clown appare così, come un essere poetico unico e personale, che emer-

ge quando l’attore si presenta davanti al pubblico con il naso rosso e accetta completamente e radicalmente la pro-vocazione del presente e del contatto con sé stesso e con il pubblico.Questa maschera, la più piccola del mondo, ha il potere sublime di trasfor-mare in presenza comica le imperfezio-

ni e le contraddizioni di ciascuno Il Clown è un essere che vive nel pieno contatto: in questo stato di “essere senza fare” l’attore tocca la ricchezza del qui ed ora e può prendere co-scienza del proprio modo di entrare in contatto con il mondo; e iniziare a giocare con sé stesso. In questo abbandono di ogni intenzionalità tocca la magia del ridicolo.Questo porta alla “emer-

genza” di una forma clownesca del tutto specifica con il suo corpo, tempo (nel senso musicale), ritmo, costume, acces-sori, voce, attitudini, emozioni,e temi poetici.La sublime stupidità del Clown è la sua inesauribile apertura allo spazio, nono-stante la sua completa imperfezione. Quello che ci fa ridere non sono solo

i suoi difetti, la sua “non-neutralità” altamente drammatica, cioè piena di azioni, ma anche il suo entusiasmo nel continuare ad essere intensamente ciò che è, al centro del mondo, sulla sce-na. Simbolicamente sta continuamente cadendo ma sta continuamente rialzan-dosi, per il fatto stesso che è in scena e cerca incessantemente di riuscire in qualcosa che è destinato necessariamen-te a fallire.Profondamente umano come noi tutti che ci alziamo ogni giorno pieni di vita

nonostante già sappiamo che un giorno moriremo, senza alcun dubbio, e molto probabilmente soffrendo e facendo sof-frire.

Come stile teatrale il Clown ha dunque un potenziale poetico unico, perché permette all’attore di lavorare e giocare con la ingenuità del bambino ed il rigo-re dell’adulto, rivelando così la sublime poetica del ridicolo e la propria perso-nalissima idiozia.

Giovanni Fusetti

[email protected]

Cerca di vivere pienamente la sua vita su questo pianeta.

“When I walked into the room to begin Giovanni’s Clown course, I was properly terrified. But within five minutes, my fears had not only been addres-sed, but had disappeared. Giovanni is so naturally heartfelt and instinctual in his teaching, that it is impossible not to relax and have fun. The work of Clown is intimate and vulnerable, but Giovanni responds by creating a very safe environment for the very serious business of exploring silliness! By the end of three weeks, my heart was so full I almost couldn’t stand it. Whether an actor or not, I would recommend this class to anyone who wants a deeper understanding of the terribly delicate, demanding, foolish, crazy variations of human nature.” (Lucia Rich, physical actor-creator)

IL CLOWN RACCONTATO DA GIOVANNI FUSETTI

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Seminari:

Il 16, 17 e 18 Febbraio PAOLO SIMONELLI “Drammaterapia” Paolo Simonelli studia teatro dal ’91, diplomato in drammaterapia nel 2000. Fa parte della compagnia teatrale Coquelìcot Teatro, dove

presenta spettacoli e conduce laboratori per adulti, bambini e utenze dei servizi sociali

Dal 17 al 21 Marzo a CORATO (BA) FEDERICO BARSANTI “ La maschera e il Testo”Cosa significa approcciarsi ad un testo con la maschera sul viso? E cosa si trova al termine quando si toglie la maschera? Il testo è un

compagno indivisibile per l’attore. Ma è anche il suo nemico più insidioso.

Spettacoli:

Lo spettacolo “...ESISTO ANCORA..”, per la regia di Federico Barsanti, rinnovato nei testi e nella messinscena sarà rappresentato:• Giovedì 8 Febbraio Ore 21,15 al Teatro Comunale di Pietrasanta

• Venerdì 9 Febbraio Ore 10 al Teatro Comunale di Pietrasanta (matinèe per le scuole)

Il 21 Marzo a CORATO verrà rappresentato “LA VITA E’ UNA PACCHIA”, spettacolo di Teatro Visuale e Teatro Danza dove il personaggio diventa immaginario collettivo... Il sogno si affaccia sulla scena e cattura personaggio e pubblico invitandoli ad un’infatuazione onirica....

Cosa è stato...

�4

DELATRE N° -4 GLI APPUNTAMENTI DEL PTSV

...e cosa sarà...

L’1, 2 e 3 Dicembre al teatro Delatre è stato tenuto, da Federico Barsanti, il seminario sulla lettura scenica di alcuni capitoli di Pinocchio con messa in scena finale. Lo spettacolo è stato poi replicato il 15 Dicembre alla “Biblioteca ragazzi” di Viareggio.

Il 9 e 10 dicembre si è svolto al teatro Delatre lo stage sul “Ciarlatano” tenuto da Enrico Bonavera.“Signori e Signore, accorrete, perché oggi assisterete ad un evento straordinario ed indimenticabile”. Questa poteva essere davvero la sigla d’apertura per introdurre lui: Enrico Bonavera, l’uomo che per due giorni ci ha accompagnato in un viaggio strepitoso attraverso il mondo del Ciarlatano e delle Fiabe. Il primo giorno siamo entrati quasi timidamente in teatro, un po’ in soggezione di fronte ad un nome che parlava da solo, poi però ci siamo trovati di fronte ad un “uomo” prima ancora che ad un grande attore, e la sua umanità, la sua grandezza, la sua bravura ci hanno permesso di seguire al meglio i consigli che poco prima ci aveva dato Federico, ovvero di “divertirsi, divertirsi, divertirsi, con forza non moderata”. Bonavera è riuscito ad entrare in punta di piedi dentro ognuno di noi ed a tirare fuori il meglio da ogni singolo allievo; credo sia per questo che alla fine ci è rimasto in bocca il sapore dolce della felicità, perché ci siamo resi conto, che in questo breve percorso, lui si è regalato a noi, come meglio non avrebbe potuto fare!!!.

V.

Il 15 e 16 Dicembre al teatro Delatre si è svolto lo Stage avanzato sul “Clown teatrale” tenuto da Giovanni Fusetti.“Una piccola dote naturale, se coltivata, può arrivare a smuovere le montagne. Un grande talento, se lasciato depositare troppo a lungo, può trasformarsi in una nuvola di fumo, perché ciò che fa la differenza alla fine, siamo NOI con la nostra voglia o meno d’imparare e vivere”. Qualcuno ad un certo punto ha detto a Giovanni, riferendosi ad uno dei Clown: “Hai creato un mostro” e lui semplicemente ha ri-sposto: “No, l’ho liberato! Il mio lavoro è quello di liberare i mostri…”. “Essere mostruoso” può diventare qualcosa di meraviglioso, quando si capisce che l’accettazione di quest’idea ci libera dall’odiosa ricerca di un’inutile perfezione…E’ stato difficile assimilare la differenza che passa tra “essere in scena” e “volersi mettere in scena” ed ancora tra “dare idee e fare cose” rispetto al “regalare agli altri quello che di noi stessi viene fuori”, quando vestiamo il nostro Clown…era infine complicatissimo mettere in pratica il concetto che per “essere” non si “deve volere”…Giovanni ci ha dato le chiavi. A noi adesso entrare.

V.

Il 29 Dicembre il Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia ha avuto l’onore di ospitare lo spettacolo “In via della Memo-ria”, testi di Valentina Cidda e per la regia di Pierluigi Castelli, con il grande Alessandro Gigli e l’incredibile plurimusicista Alessandro Verdecchia.Una serata che è corsa via veloce sulla poesia di un testo magnifico e sulla energia che il Delatre al completo ha saputo regalare agli attori. Grazie grazie grazie.

Il 26 Gennaio si è tenuto al teatro Jenco di Viareggio, per le scuole della Versilia, lo spettacolo “Esisto Ancora…per non dimen-ticare”. Gli attori si sono esibiti di fronte a 350 ragazzi che hanno ostacolato uno spettacolo su un tema tanto delicato con urla e risate continue, senza che i professori intervenissero mai....mah!!!

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Andrea è allegro, timido e allo stesso tempo estroverso, che per mezzo del teatro sta riuscendo a superare tutte le sue paure

ANDREA DEL GIUDICE frequenta il corso per bambini del Piccolo Teatro Sperimentale della Versilia dal 1998

Direzione: Viola Giannelli, Claudia Sodini Grafica e impaginazione: Claudia Sodini Fotografie: Gianni Di Gaddo.

Per Informazioni Tel 3281447868 / 3402380190 - [email protected] - www.piccoloteatroversilia.it

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DELATRE N° -4 POESIA E CONSIGLI

......

...magari ascoltando ottima musica.

Perchè non andare a teatro a vedere un bello spettacolo...

...poi tornare a casa a leggere un buon libro.........

Teatro Puccini Firenze( tel.055.�62067 ) Sab 10 e dom 11 Febbraio 2007

Au Cafè di Micha van Hoecke

Teatro Comunale di San Miniato (057� 462825/35) venerdì 27 Febbraio 2007

Laurel & Hardy vanno in Paradiso di Paul Auster

Teatralmente parlando

Ogni volta che mi reco in questo posto, io mi sento a mio agio.Ogni volta, tutto è come la prima volta, stesse, ma non identiche sensazioni, ma nient’altro

importa.Si scherza, si piange, si gioca, si parla, si balla, si recita...è come una specie di ciclo vitale...è divertimen-

to, è ritrovo di amici, ma anche di serietà e di perfetta concentrazione.Non tutto quello che fai, è poi così facile, ma provando e riprovando ti riuscirà sempre meglio, fino ad arrivare al top.Arrivati al momento fatidico, uno ha paura di sbagliare, l’altro di non ricordare, c’è chi inizia ad avere problemi di stomaco, chi invece aspetta il momento con serenità.

Alla fine della messa in scena, tutti siamo in scena, tutti siamo più felici, ci si abbraccia e siam contenti,perfino così tanto da voler di nuovo essere sotto i riflettori, un’altra volta, nello stesso momento;

Questo è il Teatro, e io ve ne ho parlato.

Andrea

I Libri e i Cd, tutti consigliati da me, ovvero Federico, “sono gli stessi dello scorso numero...tanto non li avete né letti né ascoltati”.

“Il silenzio uccide...in certi casi”

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N° -4 FEBBRAIO - MARZO 2007

DELATRE

“Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una

famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pi-nocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemo-sina.” (C. Collodi)