noi, numero 2

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1 Numero 2 Aprile 2012 www.ascensionemonza.it

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Informatore della Comunità Pastorale “Ascensione del Signore” di Monza Parrocchie S.Biagio, S.Pio X e S.Gemma

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Numero 2Aprile 2012

www.ascensionemonza.it

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Sommario

Oratorio in festaLa musica del Carnevale

Iniziazione cristianaI nuovi percorsi

Progetto Ain KarimPer far nascere una mamma assieme al figlio

Festa di San BiagioFreddo e calore di suoni

Adolescenti e PreadolescentiSulla neve...o sotto?

CulturaDavanti all’iconadella Sacra Famiglia

Catechesi degli adultiLa famiglia: il lavoro e la festa

Festa della famigliaDimentico me, vivo per teConsiglio PastoralePer vincere la crisiriscopriamo i valori

Esercizi spiritualiConvertirsi nell’amore

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EditorialeLa famiglia, dono di Dio

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Disabilità e dirittiNiente su di noisenza di noi

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Informatore della Comunità Pastorale “Ascensione del Signore” di MonzaParrocchie S.Biagio, S.Pio X e S.Gemma

Direttore responsabiledon Marco [email protected]

Coordinamento redazionaleAlfredo Rossi

Progetto grafico e stampaePrint - Monzawww.stampamonza.com

Numero 2

Aprile 2012

www.ascensionemonza.it

In copertina: icona della Sacra FamigliaCOPYRIGHT © 2005Fraternità della Luce Lissone (Milano)

Sorella Giuseppina SalaCostruire la pace. Sempre

Dietro le quinte dei monti

una luce rende stupendo

il viaggio dell’uomo sulla terra

verso una vita intrisa di perenne felicità.

Sor. Giuseppina Sala

pagina

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La famiglia, dono di Dio

l conto alla rovescia è ormai iniziato: tra poche settimane i riflettori del mondo cattolico saranno puntati sulla nostra diocesi di Milano, che avrà l’onore e l’onere di ospitare l’VII Incontro mondiale

delle famiglie. Nei mesi scorsi, come documentiamo in questo numero, anche la nostra Comunità Pastorale si è mobilitata non solo per offrire ospitalità, ma anche per approfondire i temi delle catechesi preparata dal Ponti-ficio Consiglio per la Famiglia in collaborazione con la chiesa ambrosiana.

L’evento che vivremo sarà un’occasione veramente singolare per riscoprire alcune dimensioni della nostra fede. Potremo innanzitutto sperimentare concretamente la dimensione della cattolicità, ovvero l’universalità del-la chiesa. L’unico Evangelo di Cristo in questi secoli si è incontrato con tante culture, popoli e sensibilità diverse: saremo così educati a superare quella rigidità che na-sce dall’incapacità a cogliere la complessità della vita umana, con tutte le sue sfumature, che sorgono grazie alla inesauribile fantasia dello Spirito. “Il cristianesimo è aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza” (Benedetto XVI).

Talvolta la complessità della vita ci spaventa a volte in-vece ci rende piuttosto indifferenti e un po’ cinici. Dob-biamo assolutamente capire che cosa è essenziale per la nostra esistenza e per la vita di ogni famiglia, senza lasciarci travolgere dalla mentalità dominante; ecco al-lora che potremo scoprire il grande dono della presenza

del successore di Pietro. Come ci ha scritto all’inizio dell’anno pastorale il nostro Arcivescovo: “Dobbiamo riconoscere che spesso non siamo consapevoli dell’im-portanza del ministero del Papa. In una società comples-sa come la nostra è molto facile ridurre il suo autorevole magistero ad una opinione tra le altre”.

L’incontro mondiale dovrà essere per tutti noi un momen-to di gratitudine al Signore per le nostre famiglie, per le famiglie che ci hanno generato, per le famiglie che com-pongono la nostra comunità. Siamo a volte scoraggiati nel constatare quanto pochi sono i giovani che oggi scelgono di celebrare il matrimonio cristiano e quante numerose sono invece le famiglie che vivono il dramma della separazione: forte è la tentazione di cadere nella rassegnazione, di pensare che la famiglia sia incammi-nata sul viale del tramonto.

L’evento che vivremo tra poche settimane ci aiuterà a contemplare con rinnovata fiducia l’icona di Nazaret: il Signore che ha voluto per molti anni condividere la vita di una famiglia umana possa risuscitare in tutti noi la certezza che, come recita la liturgia, “in Dio la pri-ma comunità umana, la famiglia, riceve in dono quella benedizione che nulla poté cancellare, né il peccato originale né le acque del diluvio”.

Editoriale

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curioso che gli iconografi dicano che loro non dipingono le icone ma le scrivono.Infatti chi esercita questa arte non intende fare della bella pittura, ma trascrivere in immagini

la parola di Dio.La personalità dell’autore non deve apparire (le icone sono sempre anonime), il vero autore è lo Spirito Santo invocato prima e durante l’esecuzione.“L’icona è nella preghiera e per la preghiera”. Così ha detto Silvano Radaelli che, con la moglie Maria Grazia, il 9 febbraio scorso, ha presentato all’oratorio di San Biagio l’icona della Sacra Famiglia, da lui eseguita a somiglianza di quella che anni fa fece per il seminario di Venegono.

I coniugi Radaelli di Lissone, con altri amici, formano la Fraternità della Luce, un’associazione che ha il compito di realizzare icone sacre e di diffonderne la conoscenza con incontri, mostre e pubblicazioni.Chi ama l’icona come oggetto prezioso di antiquariato

di arte russa o bizantina può forse storcere il naso di fronte a queste tavole moderne che ripetono pedisse-quamente moduli antichi. Ma l’intento di queste opere è essenzialmente religioso secondo i canoni della liturgia ortodossa e ogni personalismo sarebbe arbitrario.

Le icone risalgono ai primi secoli del cristianesimo. Si ritiene che le prime immagini di Maria si rifacessero al quadro che si credeva dipinto da San Luca e si sussegui-rono nel tempo secondo alcuni schemi: la Madre di Dio orante senza il Bambino, la Madre di Dio che indica nel Figlio la retta via (Hodighitria), la Madre della tenerezza che accarezza Gesù (Eleusa).

La produzione di icone subì un arresto nell’VIII secolo con la lotta iconoclastica, finché la Chiesa sancì la legittimità delle immagini sacre con il Concilio di Nicea (787), che dichiarò: “A somiglianza della preziosa e vivificante croce, le venerande e sante icone devono essere esposte nelle chiese di Dio, nelle case e sulle vie.

E’

Cultura

Davanti all’icona della Sacra Famiglia

Presentazione Don Marco introduce i coniugi Maria Grazia e Silvano Redaelli dell’associazione “Fraternità della Luce”

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Chi venera un’icona venera la realtà di chi vi è rappre-sentato”.Mentre la civiltà europea occidentale, dal Trecento in poi con Giotto e successivamente con i maestri del Ri-nascimento, attraverso la prospettiva e il chiaroscuro, diede evidenza plastica alla figura che, anche quando erano un soggetto religioso, appariva nella sua corporei-tà, la civiltà europea orientale, pur raggiungendo vertici arti-stici con Andrej Rublev (1360-1430), continuò a dipingere immagini sacre in stile bizanti-no, attraverso figure bidimensio-nali con colori simbolici.La simbologia dei colori è im-portante per capire l’intento dell’iconografo. Ad esempio, il blu rappresenta la trascenden-za del divino, il rosso richiama l’umanità del sangue dei marti-ri, il bianco indica la pace e la luce della divinità.

L’analisi dei vari simboli è sta-ta fatta anche sulla icona del-la Sacra Famiglia che è stata proposta all’attenzione della nostra comunità pastorale nell’ambito delle varie iniziative che quest’anno sono de-dicate alla famiglia in vista dell’Incontro Mondiale delle Famiglie con il Santo Padre che si terrà a Milano dal 30

maggio al 3 giugno.L’insieme delle figure raccolte a cerchio attorno al Bam-bino indica il clima di tenerezza che la Sacra Famiglia pone come esempio a tutte le famiglie.

Al centro sta il Cristo, bambino ma con il volto da adul-to, in braccio alla Madre ma seduto come in trono, dalla

fronte spaziosa e dalle labbra socchiuse al soffio dello Spiri-to. Il suo abito bianco ricorda la Trasfigurazione e il mantello rosso la maestà divina.Maria con il gioco delle mani indica il Figlio, secondo lo schema della Madonna Hodi-ghitria, il mantello di porpora indica la sua consacrazione a Dio e il vestito verde-azzurro ri-chiama lo Spirito Santo.Giuseppe, con la celestiale veste azzurra, ha un mantello giallo che vuole significare la sua testimonianza di fede nella quotidianità e, eccezionalmen-te, pone la mano sulla spalla di Maria.

Completano il quadro la colomba, immagine dello Spiri-to Santo, nel cerchio con tre raggi, simbolo della Trinità, e gli arcangeli Michele e Gabriele.

Lo sfondo dorato è segno della illuminazione divina.Nell’insieme il gioco delle mani e degli sguardi indica la tenerezza e l’armonia della famiglia terrena di Gesù.Le icone, che dovrebbero trovare un posto privilegiato nella casa per favorire la preghiera, hanno anche un va-lore didattico: la famiglia umana dovrebbe avere come esempio quella di Nazaret.La contemplazione estatica di questa tavola dovrebbe essere una specie di “mistagogia”, una guida alla com-prensione del mistero.Così si esprime Pavel Florenskij, studioso delle icone: “La pittura delle icone è il fissarsi delle immagini celesti, l’addensarsi sulla tavola della viva nuvola di testimoni attorno al trono”.

Pubblico Il pubblico intervenuto segue con attenzione la spiegazione delle simbologie dell’icona

Beppe Colombo

La simbologia dei colori è importante nelle icone: il blu è la trascendenza

del divino, il rosso richiama l’umanità dei

martiri, il bianco la pace e la luce della divinità

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ella nostra Comunità Pastorale abbiamo voluto dedicare al 7° incontro mondiale delle fami-glie tre appuntamenti di catechesi per gli adul-ti, scegliendo, fra i temi proposti dal Pontificio

Consiglio per la Famiglia e dalla Diocesi di Milano, “La famiglia vive la prova”, “Il lavoro sfida per la famiglia” e “La festa tempo per la famiglia”.

La famiglia vive la provaLe prove che deve affrontare la famiglia? Non c’è che l’imbarazzo della scelta: le difficoltà della vita di cop-pia; quelle legate all’arrivo dei figli, con i nuovi equilibri che si creano e con i problemi posti dall’educazione e poi dal progressivo allontanamento dei figli da casa; e ancora, il lavoro (troppo o troppo poco), le malattie, gli imprevisti.

Nell’illustrare l’argomento, i coniugi Colzani, responsa-bili del Servizio per la Famiglia della Diocesi, che hanno

guidato la nostra riflessione, hanno fatto riferimento an-che all’esperienza personale. E’ stato sottolineato come di fronte alla prova, cha fa parte della condizione uma-na, non siamo destinati a soccombere; anzi, accettare questa condizione ci sprona a confidare nell’azione be-nevola e sorprendente di Dio e ci permette di maturare come individui, come coppia, come famiglia.

Come icona della famiglia messa alla prova è stato scelto il racconto evangelico (Mt 2, 13-14. 19-23) in cui Giuseppe, seguendo le parole dell’Angelo, prende il bambino e Maria e fugge in Egitto per scampare da Ero-de e poi ritorna per prendere infine dimora a Nazaret.Letto e interpretato in un’ottica originale, Il racconto for-nisce molti spunti:

• l’ascolto attento e fiducioso della parola di Dio aiuta a operare sempre scelte che preservino l’integrità della famiglia e la bellezza del progetto divino;

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Catechesi degli adulti

La famiglia: il lavoro e la festa

Pellegrini Biagio e Marina Savarè fotografati durante un pellegrinaggio a Gerusalemme

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• nella fede, anche un viaggio verso l’ignoto appare come un percorso segnato verso la pienezza della vita;

• il ruolo dei genitori, e qui in particolare del padre, è fondamentale nel curare le relazioni all’interno della fa-miglia e nel proteggere, custodire e incoraggiare i figli.

Il lavoro sfida per la famigliaChe il lavoro sia una sfida che saggia le capacità di resistenza di una famiglia, sia quando è troppo (ritmi alienanti, stress, incomprensioni), sia quando è troppo poco o addirittura assente (frustrazione, difficoltà mate-riali, contrasti), è facilmente comprensibile. Ma i coniugi Savaré, collaboratori del Servizio per la Famiglia del-la Diocesi, che hanno guidato questo nostro secondo incontro, hanno voluto ampliare il titolo in “Famiglia e lavoro: alleanza e sfida”, facendo riferimento anche alle proprie esperienze.

L’enciclica Laborem Exercens afferma che “dal lavoro (…) la famiglia trae i mezzi (…) per sostentarsi (…), ma anche per caratterizzarsi come (…) generatrice dell’uo-mo e della cultura dell’amore”. Nel Libro della Genesi si narra che Dio collocò l’uomo nel giardino “perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2, 15). Famiglia e lavoro, dunque, alleati. Ma più tardi, dopo la disobbe-dienza dell’uomo, Dio gli preannunciò un futuro di fatica per procurarsi da vivere (Gen 3, 17 sgg.).E’ dunque vero che l’uomo, collaborando all’opera di Dio, risponde alla sua finalità ultima: vivere in comunione con il suo Creatore. Così inteso, il lavoro si trasforma in mezzo per attua-re nel mondo il disegno divino e come luogo di relazioni buo-ne; e anche la fatica acquista un senso perché non è rivolta all’egoistico tornaconto perso-nale, ma al proprio sviluppo come persona.

Tuttavia, quando ci si dimentica di Dio e ci si lascia completa-mente assorbire dal lavoro con-vinti di trovare in esso l’appagamento di ogni desiderio e il fine stesso della vita, si alimenta una cultura malsa-na del lavoro. Allora esso diventa fatica e condanna: all’ansia, a rapporti interpersonali opachi, a una vita familiare difficile. Per un cambiamento di rotta occorre

un ripensamento di tutto quel retroterra filosofico e cultu-rale che ha condotto nei decenni a questa concezione dominante del lavoro.Alleanza e sfida, dunque. Per far prevalere la prima e trasformare la seconda in vittoria, serve vigilare in tutti i periodi della vita familiare:

• fin dal fidanzamento, quan-do devono essere chiari i criteri delle future scelte domestiche e professionali;

• nei primi anni della coppia, quando i nuovi equilibri creati dalla nascita dei figli possono essere affrontati ad esempio anche con la frequentazione di gruppi di spiritualità familiare;

• nella maturità, quando il tran-tran quotidiano sembra non la-sciare più tempo per le relazio-ni, un ritiro annuale può essere una sosta rinfrancante per ri-prendere il cammino di coppia;

• nel momento in cui i figli crescono e le occasioni per tenere riunita la famiglia sembrano assottigliarsi, è im-portante inventarsi sempre e comunque un tempo per ri-trovarsi e sintonizzarsi di nuovo tutti insieme. [In una delle

Responsabili Con due dei loro quattro figli, Francesca e Alfonso Colzani, responsabili del Servizio pere la Famiglia della Diocesi di Milano

Il lavoro, necessario per vivere, non è la fonte della vita, né è su di esso che si regge la

vita vera della famiglia fino a determinarne la

riuscita

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catechesi per l’incontro delle famiglie si legge: “Non è tanto Israele che ha custodito il sabato, ma è il sabato che ha custodito Israele”, a dire l’importanza di un tem-po e di uno spazio che custodisce il valore dell’istituto familiare].

La festa tempo per la famiglia In rapporto alla vita familiare – ha esordito don Aristide Fumagalli, docente di Teologia morale nel Seminario di Venegono, che ha guidato il terzo incontro – la festa è un tempo comandato, insidiato e celebrato.

Quanto al primo attributo, esso è subito evidente dal terzo comandamento del Decalogo. Lungi dall’essere in-teso come imposizione, esso è anzitutto un faro di guida che permette alla famiglia di conservare la condizione di vita libera e buona che ha ricevuto in dono.

Il riposo settimanale, in ricordo del riposo del Signore dopo la creazione (Es 20, 11) e dell’opera di liberazio-ne che Dio ha condotto per il suo popolo (Dt 5, 15), è inoltre l’antidoto contro due insidie che minacciano la vita della famiglia: l’attivismo e l’asservimento.

Con il comando del ritmo settimanale di cessazione del lavoro, infatti, si mette in guardia la famiglia dal credere che la sua vita dipenda tutta e solo dall’attività svolta. Il lavoro, necessario per vivere, non è però la fonte del-

la vita, né è su di esso che si regge la vita vera della famiglia fino a determinarne la riusci-ta. L’idolatria del lavo-ro minaccia la famiglia anche quando il lavoro è precario o assente: una prova si trasforma facilmente in tragedia specialmente quando si è concentrato tutto in quell’unica risorsa che, venuta a mancare, ci porta finanche a dispe-rare della Provvidenza di Dio e a rifiutare la solidarietà altrui. L’umi-

liazione per la propria condizione diventa allora fonte di turbamenti e di contrasti familiari.L’altra pericolosa insidia è l’asservimento degli altri.

Quando la propria attività, lavorativa o extra-lavorativa, prende il sopravvento sulla vita di famiglia, si genera quella stessa logica di potere che Gesù ha condannato riprovando i suoi discepoli che discutevano su chi di loro fosse il più grande (Lc 22,24-27). La storia e la cronaca sono piene di sopraffazioni del marito sulla moglie, del padre sui figli e oggi spesso anche delle mogli sui mariti nelle vicende che seguono a separazioni e divorzi.La festa come tempo comandato e insidiato, dunque.

Ma, abbiamo detto, anche celebrato.

Il comandamento della festa non si limita a sospendere i ritmi ordinari della vita familiare, imponendo una sempli-ce pausa al solo scopo di riprendere l’attività lavorativa. Deve invece trattarsi di un ingresso in un tempo diverso, quello della gratuità, dell’amore di Dio e del prossimo. Non, dunque, passare da un’attività a un’altra attività, magari caritativa: l’autentica festa cristiana scaturisce piuttosto dal contatto vivo con l’amore di Dio, in una parola dall’Eucaristia.

La deriva culturale cui oggi assistiamo (alterazione del senso della festa, e più in generale la scarsa inciden-za dei valori cristiani nella vita quotidiana della società) non ci deve condurre alla rassegnazione. Abbiamo in noi risorse ed energie per combatterla e vivere un “radi-calismo cristiano”. Ma mai da soli: in comunità, invece, coi fratelli e con le altre famiglie.

Ugo e Gabriella Panerai

Teologo Don Aristide Fumagalli, docente di Teologia mo-rale nel Seminario di Venegono

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don Silvano

li sposi sono il richiamo permanente di ciò che è accaduto sulla croce”. Queste parole di Gio-vanni Paolo II, che troviamo scritte nella Fa-miliaris Consortio al n. 13, possono indicare

a quale famiglia debba educare la pastorale familiare di una comunità cristiana. Sono parole intense, dense, non immediate da capire. In che senso gli sposi sono il richiamo permanente di ciò che è accaduto sulla croce?Nel senso che la vita degli sposi è una vita crocifissa? O nel senso che se la croce è un mistero di salvezza, questo mistero si compie anche nella vita degli sposi? Ma quale mistero di salvezza? Il richiamo alla croce è un richiamo all’altare dove nell’Eucarestia ogni giorno si celebra il sacrificio della croce. Ma l’altare richiama anche la mensa sulla quale vengono offerti il pane e il vino e la mensa evoca la famiglia raccolta attorno alla tavola nella quotidianità della sua esistenza. Il mistero di salvezza che si rivela nella croce non è una forma d’amore incline alle effusio-ni romantiche e attenta alle proprie risonanze emotive e psicologiche. Non che l’amore escluda queste dimensio-ni, ma non ci voleva Gesù Cristo per rivelarcelo. L’amore di Gesù sulla croce si presenta come un amore capace di assumersi delle responsabilità nei confronti dell’altro,

di prendere su di sé il peso dell’altro e di pagare di tasca propria. Ora per dar vita ad una famiglia non basta volersi bene. Un volersi bene che cerca nell’altro solo il proprio ben-essere emotivo e psichico, non è suf-ficiente per formare una famiglia. Essa nasce quando la forma dell’amore è quella di Cristo sulla croce, cioè quella della responsabilità, quando uno prende su di sé la responsabilità dell’altro, se ne fa carico e l’un l’altro, insieme, si assumono la responsabilità di un futuro, di un progetto solido da costruire e non solo di un presente precario da consumare. La famiglia, nella sua dimensione quotidiana, è amore che assume e svolge queste funzioni di responsabilità e l’altro (il marito, la moglie, i figli…) sono coloro dei quali mi voglio occupare e per fare questo non posso occu-parmi sempre di me, in qualche modo devo dimenticar-mi, in qualche modo devo morire, perché la vita nasca. Che è il mistero della Croce, morte e resurrezione, morte e vita.Così sotto il segno della croce che ci rivela un amore responsabile, la famiglia assume la vita in tutta la sua serietà e la sua bellezza.

G

Festa della famiglia

Dimentico me, vivo per te

I festeggiamenti Gli sposi protagonisti della festa della famiglia a San Pio X

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ono molte le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese; sono molti i proprietari di picco-le o grandi attività che, nonostante i loro sforzi, subiscono un mercato immobile che li mette in

difficoltà; sono tanti i giovani che non sanno come guar-dare al futuro.

Una crisi pesante, che coinvolge più o meno tutti. Una crisi che non poteva non varcare le soglie del Consiglio Pastorale, che ha messo all’ordine del giorno una rifles-sione sui problemi che essa ha portato all’interno della nostra comunità.

“Essere Chiesa è anche essere vicini al povero, al biso-gnoso, ma occorre esserlo in modo consapevole”. Don Marco ricorda che il Consiglio Pastorale non è solo fare scelte concrete ma anche riflettere sui segni del tempo: “Siamo Chiesa in questo tempo, in questo territorio e quindi è importante rifletterci per poter poi far passare le riflessioni a tutta la comunità cristiana”. Dopo l’introdu-

zione si è aperto il dibattito.

“Mi occupo di risanamento d’imprese e quindi conosco bene quello che sta accadendo in Italia e anche all’e-stero”, interviene Laura Arosio. “La crisi dell’impresa non è solo economica, ma è crisi dell’uomo, intesa come povertà morale, civile e politica. E’ un deterioramento dei valori di solidarietà e del bene comune a vantaggio di un inasprimento degli interessi del singolo.”

Si deve coltivare un atteggiamento diverso dal persona-lismo a favore di valori che aprono alla comunità intesa nel senso più ampio di società civile. In questo contesto si inserisce l’intervento di Sergio Cavasassi che ribadi-sce in modo netto e chiaro che appartenere alla comu-nità cristiana significa non solo avere un senso pubblico, aperto alle attività che propriamente appartengono alle associazioni legate direttamente alla vita della parroc-chia, ma è innanzitutto quello di prendere coscienza di essere cittadini. Questo comporta la partecipazione

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Consiglio Pastorale

Per vincere la crisiriscopriamo i valori

In aumento Le mense per i poveri sono sempre più frequentate da chi si trova in situazioni di indigenza mai provata

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positiva alla vita sociale a co-minciare da gesti concreti come il pagare le tasse, richiedere gli scontrini. Ovvero diffonde-re una cultura della legalità e dell’appartenenza che abbia un respiro ampio, che includa a tutto tondo le sfere del nostro agire sociale. Questo richiamo, perché no?, può perfino partire dal pulpito, inserito nella predi-ca.

“Occorre guardare ai problemi concreti con occhi illuminati dal Vangelo”: Gabriella Traversa ricorda il discorso della monta-gna fatto da Gesù: “Non affan-natevi per cosa mangerete, cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”. Come ci possono guidare queste pa-role in un momento così difficile? “La cosa più importante è riordinare i valori: da lì poi si può passare all’agire concreto. E’ fondamentale coltivare un annuncio di spe-ranza e ricordarci vicendevolmente che innanzi a tutto viene la testimonianza della buona novella”.

Chiara Valsecchi accoglie la riflessione e aggiunge che le vie su cui operare sono duplici. Da una parte c’è quel-la pratica dell’assistenza, e qui oltre alle parrocchie ci sono San Vincenzo e Caritas, dall’altra c’è la via della

cura dell’annuncio. Il saper of-frire una parola di speranza a chi è in grave difficoltà è fonda-mentale, a volte è la chiave che apre a idee e possibilità risolu-tive concrete. L’annuncio deve restare alto e ben chiaro per favorire atteggiamenti positivi. Così come rammenta Antonio Fedeli, bisogna avere la forza e la gioia di aprire la propria fine-stra per guardare al mondo con stupore e non vedervi il vuoto.

“L’annuncio del Vangelo, che è speranza, passa soprattutto dal-la cura delle relazioni”: padre Fausto dei Carmelitani riporta

l’attenzione al tessuto sociale sfilacciato. “Occorre co-struire contatti personali e l’annuncio di Cristo deve avve-nire all’interno di reti, che creino rapporti capaci di dare sollievo. Ci vuole il coraggio di andare oltre ai rapporti istituzionali”.

La necessità di ricomporre i legami di appartenenza pubblica e allargare le maglie delle reti private a re-lazioni di qualità è certamente uno degli aspetti emersi con maggior forza dal confronto.

Don Andrea ha aggiunto che porsi, come Chiesa, il pro-blema del povero significa rendersi conto che il Vangelo non può essere annunciato sempre nello stesso modo. “Oggi cosa vuol dire il Regno di Dio per un giovane che studia e che non sa se lavorerà dopo la laurea? Cosa vuol dire il Regno di Dio per gente che vive sof-focata dalle paure? Non si può prescindere da questi interrogativi. Suggeriamoci degli stili di vita a partire del Vangelo che non ci facciano restare in atteggiamenti che ci chiudono agli altri”.

“Tali riflessioni”, conclude Don Marco, “avranno una ri-caduta nella cura con cui faremo la predicazione e svol-geremo le attività educative e, di certo non da ultimo, sull’attenzione a favorire l’operato delle realtà caritative presenti sul territorio. Oggi più che mai in prima linea.”

Paola Gaviraghi

Contrasti Pubblicità di beni di lusso alle spalle di chi non ha alternative dal chiedere l’elemosina per tirare avanti

E’ fondamentale coltivare un annuncio di speranza: innanzi a tutto viene la testimonianza

della buona novella: da lì, poi, si può passare

all’agire concreto

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uest’anno gli esercizi spirituali sono stati tenuti da don Ivano Colombo e sono stati proposti in tre giornate e in tre orari differenti: al mattino a San Biagio, nel pomeriggio a Santa Gemma e alla sera a San Pio X per dare occasione a

tutti di poter partecipare. Ci è sembrato utile riproporre i tre temi, perché chi li ha seguiti li possa ricordare e chi non ha potuto seguirli, li possa comunque meditare. Per-ché gli esercizi spirituali di solito si accompagnano alla Quaresima, ma possono (devono?) essere un momento di riflessione e di ricerca della propria spiritualità e co-munanza con Dio in ogni stagione e dell’anno.

Fede - Fedelta’In genere i nostri discorsi quaresimali puntano sulla con-versione, che noi interpretiamo come passaggio da un comportamento sbagliato a uno più corretto.La conversione, nel linguaggio cristiano, è un cambia-mento della mentalità, che comporta soprattutto l’assun-zione del vivere di Dio da parte dell’uomo, magari an-che la considerazione della conversione che pure Dio vive nei nostri confronti.Ma può Dio mettersi nella posizione di chi si converte? Dio si converte non perché abbia da modificare un com-portamento negativo, ma perché si deve mettere sulle nostre strade storte per ritrovarci.Noi pensiamo spesso - e lo diciamo anche - che per fede intendiamo lo sforzo che l’uomo fa per ammettere che Dio esiste, che Dio sia raggiungibile mediante un nostro percorso conoscitivo, frutto di indagine, di studio, di conoscenza intellettuale. Ma le cose non stanno affat-to in questo modo. Proviamo a pensare come si esercita la fiducia e la fedeltà nel nostro vivere quotidiano. Pen-siamo a come dovrebbero essere le relazioni coniugali, quelle che incominciano con il fidanzamento – parola oggi in disuso per ciò che essa effettivamente rappresen-ta – tempo nel quale i due si comunicano per scoprire se effettivamente fra i due ci può essere fiducia e questa non è determinata solo dai ragionamenti, ma dalle mo-dalità con cui i due si rapportano fra loro. Così è di noi nei confronti di Dio: dalla fede che Dio ha verso di noi, dobbiamo imparare a vivere proiettati (progettati) sugli

altri, riversando noi stessi in un dono di noi. La vita è un dono ricevuto e proprio perché è un dono, va messa a disposizione.

E la fedeltà? Essa pure è un tratto inconfondibile dell’a-more di Dio. Dio vive con noi un amore fedele perché nel suo donarsi ha sempre qualcosa di originale da dire e da dare.

Dono - PerdonoDio si lega agli uomini, lega il suo vivere a noi: po-tremmo dire che i suoi comandamenti sono il “lega-me” con cui lui è a nostra disposizione, anche perché quella parola dice appunto che egli, nella sua fiducia, si mette nelle nostre mani (“co-man-dare” significa appunto “dare la mano insieme”) e lui ci dà la sua mano, si mette in mano, ci sta e ci sta bene con noi. Egli vuole solo darsi, senza contropartita, perché il dono non potrà mai essere tale se non mediante la totale gratuità. E poi quel dono è, soprattutto - e, potremmo anche dire, in esclusiva -, la sua stessa persona, come vediamo nella incarnazione

Q

Esercizi spirituali

Convertirsi nell’amore

Meditazione e preghiera L’assemblea segue le parole di don Ivano Colombo

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del Figlio. Quando noi nel Cre-do diciamo che il Figlio è “ge-nerato, non creato”, vogliamo dire che egli non è qualcosa di esterno o di estraneo a Dio Padre, ma gli appartiene intrin-secamente, e tuttavia esce per venire da noi, per stare dalla nostra parte.In un passo del vangelo Gesù ha un’espressione che sembra illogica secondo i nostri sche-mi: “A chi ha, sarà dato – dice – ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Come è possibile togliere a uno che non ha? Ovviamente la frase va letta nel suo vero significato: “A chi ha da dare sarà dato”, proprio perché è in grado di dare e può sempre dare. Ovviamente vale anche ciò che viene aggiunto: “A chi non ha da dare, appunto perché non dà, pur avendo, sarà tolto quello che ha e che non gli serve”. Se così è occorre far capire che nel vivere è essenziale il dono e nel donare è essenziale che ci sia implicata la persona. Questo lo si vede soprattutto in quella forma grandiosa di dono che è il perdono: lo dice la parola stessa che esso è un “dono super”, il dono per eccellenza… Oggi è invalsa l’idea che a perdonare si sia deboli. Al contrario, il perdono è un gesto, un’azio-ne dello Spirito che appartiene ai forti. E non vuol dire cancellazione di una colpa, che invece va riconosciuta e soprattutto va purificata in una pena o penitenza ade-guata. Il perdono è piuttosto la considerazione che la persona che ha sbagliato è sempre persona rispettabile, anche se la sua rispettabilità non l’ha vissuta; che è sem-pre degna di onore e di amore, anche se non ha il sen-so dell’onore e dell’amore. Anche su questo terreno c’è urgenza di una conversione della nostra mentalità che ci permetta un miglior vivere, un vivere che sia secondo Dio, secondo la sua giustizia. È possibile, anche perché qualcuno lo vive. Fossero anche in pochi a farlo, quello è il vivere che vale!

Passione - CompassioneLa parola “passione” è indissolubilmente legata all’espe-rienza cristiana, perché non esiste vita cristiana che non sia caratterizzata dalla passione. Essa presenta il dupli-ce risvolto di entusiasmo e di sofferenza. In Dio la passione è il suo modo di presentarsi per dare fiducia, è il suo modo di vivere il dono che caratterizza il

suo vivere. Per Gesù la passio-ne è la caratteristica di tutta la sua vita e in particolare diventa, nel suo vivere, un insegnamen-to. La passione di Cristo non è data dalla sofferenza fisica, anche se questa non manca; anzi, è addirittura terribilmente pesante. Egli di per sé non vuo-le una simile forma di passione, non vuole che si ricerchi cioè il dolore fisico, ma che, dentro il dolore procurato dalla malvagi-tà umana, uno arrivi a vivere il dono e il perdono, la sua fede e la sua fedeltà, cioè il vivere stesso di Dio. La passione, pro-prio perché è il vivere che Dio

assume con noi e per noi, diventa allora una scelta che gli uomini devono imparare a fare.

Come abbiamo già detto, non è la sola sofferenza fi-sica. Dentro il soffrire, che non dobbiamo attribuire a Dio, come se fosse una sua punizione – noi lo sentiamo spesso in questa maniera, perché noi andiamo alla ri-cerca di una causa o di una spiegazione – dobbiamo esprimere quell’amore che è il cuore della passione, un amore reso più grande e più vero, proprio in mezzo al dolore sia fisico sia morale, perché non è facile in quel frangente continuare ad amare e ad amare rimettendoci in continuazione.

La sofferenza è un frangente e come tale è un passaggio (nella morte di Cristo si parla di Pasqua): noi dobbiamo combattere la sofferenza, cercare di superarla, vincerne tutto il carico di dolore; noi dobbiamo cercare di attra-versare questo tunnel oscuro, e di passare oltre (ecco la Pasqua), e tuttavia questo sforzo di superare il momento della malattia, il momento della prova, la situazione di tensione e di male, non impedisce che vi sia la passio-ne e che questa continui. Perché è questa passione ci è chiesta: quella che anche senza la sofferenza fisica chiede la consumazione di sé nel dono; e in presenza di una sofferenza fisica, capitata o procurata, la pas-sione si esprime nell’amore che non si consuma mai. È proprio quel tipo di carità che prende poi il risvolto della compassione, perché se anche non c’è la sofferenza personale c’è quella altrui che viene assunta e condivisa, come fa il Signore con noi.

Don Ivano Colombo

Oggi è invalsa l’idea che a perdonare si sia deboli. Al contrario, il perdono è un gesto,

un’azione dello Spirito che appartiene ai forti

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untuale come l’influenza, o l’aumento, che pare irrefrenabile, della benzina, è arrivato il Carnevale. A volte alto, a volte basso. Non è riferito all’altezza bensì al periodo legato alle

feste pasquali. Anche quest’anno un gruppo di papà, qualche mamma e Mauro, incallito single, si sono messi all’opera. Ogni anno, si aggiunge al gruppo qualche new entry, accolta con gioia: più siamo… meno lavoro per tutti gli altri. Il tema proposto agli oratori dell’area che gravita attorno a Milano quest’anno era la musica. L’Attilio Tagliabue sul tema ha realizzato i bozzetti su cui sviluppare fantasia e creatività con i carri. Eccoli.Il castello, da installare sul carro dove andranno all’as-salto i bambini mascherati durante la sfilata per le vie del quartiere, rappresenta la canzone “Ma che bel castello, marcondirondirondello”.

Colore dominante ROSSO Un risciò a pedali è trasformato in jukebox semovente: il pezzo più rilevante e ingombrante della sfilata.

Colore dominante GIALLO Una bici, con estro e fantasia, è diventata una funicolare per rappresentare una delle più belle canzoni del reper-

torio napoletano, cioè “Funicolì, funicolà”. Il tutto molto traballante con all’interno i nostri traballanti ciclisti che ci hanno fatto traballare il cuore: “Cadranno, non cadran-no?”. Alla fine, come per miracolo, tutto va per il meglio. Un’altra bici fra le nubi in cielo ispirata alla canzone “Siamo angeli” di Lucio Dalla e Gianni Morandi.

Colore dominante BLU. Ma qui è partita la con-testazione nei confronti di Attilio: “Ma ‘sta canzone non la conosce nessuno !”. Alla fine, mantenendo la stessa cosa, si è fatto riferimento ad “Azzurro” di Adriano Ce-lentano. E così tutti contenti!

Colore dominante VERDE.Non poteva mancare la storica bici trasformata in bar-ca. E il riferimento è fin troppo facila a ”Fin che la barca va” di Orietta Berti…!

Il nostro modo di trasformare le bici in oggetti animati appartiene a una tradizione brianzola-monzese tutt’ora viva nella nostra comunità parrocchiale. Si prende una comune bici e la si fa diventare un altro oggetto ed è bello vedere che questa trasformazione ci sorprende e sorprende sempre.

P

Oratorio in festa

La musica del Carnevale

E’ qui la festa? I carri stanno per partire: è l’ora dell’allegria

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Attilio Tagliabue

I bambini e gli adulti sono stati poi invitati a dipingere e a giocare con i colori naturali biocompatibili con queste indicazioni:

ROSSO: amore, forza, desiderio

BLU: seduzione, mistero, calma

GIALLO : calore, libertà, allegria

VERDE : sicurezza, equilibrio,speranza

Una volta partiti per le strade del quartiere, i bambini sono diventati protagonisti con la loro rumorosa allegria. C’è stata tanta confusione, ma come qualcuno dice “l’or-dine è la virtù dei mediocri”. E ancora: “l’ordine appar-tiene alla testa, la confusione appartiene al cuore”. E chi ha cuore può volare ohoh… cantare ohoh.Un grazie a tutti gli splendidi realizzatori e anche agli entusiasti partecipanti.All’anno prossimo!

Al lavoro! Prima di scatenarsi nelle vie del quartiere, i carri vengono costruiti con un gran lavoro di gruppo. Se qualcuno vuole dare una mano per l’anno prossimo, si faccia pure avanti!

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a alcuni anni, in diverse diocesi italiane, sono stati avviati nuovi percorsi sperimentali di ini-ziazione cristiana, rivolti ai ragazzi dai 7 ai 12 anni. Le motivazioni che hanno spinto verso

questo rinnovamento sono diverse, ma prima di tutto il desiderio di coinvolgere maggiormente non solo i ragaz-zi ma anche le loro famiglie, offrendo un’esperienza di vita cristiana che possa arricchire la fede sia dei genitori sia dei figli, e che faccia sentire le famiglie abbracciate dalla comunità cristiana e parte integrante di essa.Le caratteristiche peculiari di questi nuovi percorsi sono numerose: il diretto coinvolgimento dei genitori come parte attiva durante l’incontro e nella formazione religio-sa dei propri bambini; la collocazione degli incontri nel fine settimana, in tempi più distesi (gli incontri durano circa 2 ore), per consentire a tutta la famiglia di parte-cipare in modo più agevole e rilassato; la cadenza bi- o tri-settimanale, al fine di non incidere eccessivamente sui tempi e sulle dinamiche familiari; la molteplicità di linguaggi diversi e complementari con cui si affronta il tema dell’incontro; la presenza di una équipe di catechi-sti che progetta e realizza insieme ogni singolo incontro; infine, la celebrazione unitaria dei sacramenti al termine del percorso.

Quest’anno anche la nostra comunità pastorale ha scelto di partire con questa nuova e coinvolgente esperienza, affiancando ai percorsi tradizionali un cammino di ca-techesi rinnovato. Trattandosi di una sperimentazione, il percorso è stato proposto solamente ai genitori dei bam-bini del secondo anno della scuola primaria che sen-tissero il desiderio di vivere insieme ai loro figli questo cammino di conoscenza e approfondimento. Vista l’am-pia risposta, si è deciso di costituire due gruppi separati, uno per S. Biagio e l’altro per S. Pio X e S.Gemma, seguiti da due differenti équipes, che lavorano in stretta collaborazione e seguono lo stesso itinerario..

Come si svolge un incontro-tipo? Dopo un primo mo-mento di accoglienza e conoscenza, ci si ritrova in chie-sa o in cappella e si ascolta insieme una narrazione evangelica letta dai catechisti e dal don con l’aiuto di alcuni genitori. Si lancia così il tema dell’intero incontro. Vista l’età dei bambini, si è scelto per il primo anno di non leggere direttamente il Vangelo, ma di adottare un testo narrativo che, pur rimanendo fedele alla Parola, la presenti in un modo più semplice e adatto all’età dei piccoli. I momenti successivi sono legati al brano letto e cercano di svilupparne i contenuti con differenti modalità

D

Iniziazione cristiana

I nuovi percorsi

Disegniamoci! In questa e nell’altra pagina, due disegni dei partecipanti ai nuovi percorsi di iniziazione cristiana

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e linguaggi: sono previste attività di gruppo, laboratori, testimonianze, drammatizzazioni, canti, giochi, momenti di approfondimento per i genitori… Ad esempio, per affrontare con le famiglie il tema della carità abbiamo organizzato l’incontro presso il centro Mamma Rita che ospita bambini e ragazzi di famiglie in difficoltà, e nel tempo dell’incontro è stata prevista anche una testimo-nianza diretta delle suore sul loro operato. Quando invece abbiamo parlato della chiamata degli apostoli, abbiamo chiesto alle famiglie di preparare “a quattro mani”, genitori e figli insieme, un disegno della propria famiglia, da presentarsi vicendevolmente per raccontare la propria storia e riconoscere insieme la chiamata a far parte di questo gruppo.

Dopo la preghiera che riassume e conclude l’incontro, è previsto un momento di conoscenza e chiacchiere in-formali, accompagnato da dolci, snack salati e bibite. Anche in quaresima abbiamo scelto di mantenere que-sto importante momento (ovviamente limitandoci a una merenda sobria!), perché dà l’occasione di conoscere le famiglie e ascoltare le loro impressioni, le loro critiche e i loro suggerimenti, oltre che permettere a grandi e piccoli di conoscersi e rilassarsi un po’, dopo il pomeriggio intenso vis-suto insieme.Ogni incontro viene preparato con una riunione a cui parte-cipano entrambe le équipes. E’ uno dei momenti particolar-mente piacevoli ed arricchenti di questa esperienza per i ca-techisti: è bello progettare e re-alizzare insieme il percorso ed è entusiasmante vedere come grazie al contributo di ciascuno le varie idee si combinino come tessere di un puzzle dando corpo pian piano alla struttura dell’incontro vero e proprio. La cosa che più affascina però è riconoscere in tutto que-sto l’azione dello Spirito che sa cogliere e far emergere il meglio di ciascuno di noi mettendolo a disposizione degli altri.La nostra équipe di catechisti ha anche scelto un proprio nome: abbiamo deciso di chiamarci “Betlemme”, per-ché come gli angeli in quella notte santa desideriamo annunciare con gioia alle “nostre” famiglie la venuta di Gesù e la sua presenza tra noi. Inoltre, il nostro cammi-no insieme alle famiglie è cominciato proprio lì, davanti

al presepe, con l’ascolto del racconto sulla nascita di Gesù.Il primo incontro si è svolto il 15 gennaio per S. Biagio e il 22 gennaio per S. Gemma e S.Pio X: l’emozione era

tanta per noi dell’équipe, cosi come la speranza di riuscire a trasmettere alle famiglie quanto avevamo pensato e desiderato insieme. E’ stato un pomeriggio coinvolgente ed emozionante: le famiglie hanno partecipato con entusiasmo e interesse e il tempo insieme è volato. Sono intanto passati altri incontri, pian piano ci stiamo conoscen-do, avvertiamo sempre più la sensazione di essere un gruppo che, grazie all’aiuto della comu-nità di cui fa parte, sta cammi-nando insieme verso Gesù.

Per quanto riguarda la nostra esperienza come catechisti, au-

menta anche sempre più la consapevolezza che questo cammino sta arricchendo prima di tutto noi stessi, ci sta aiutando a riscoprire la bellezza della nostra fede e i modi meravigliosi con cui il Signore sa rendersi presente nella nostra vita… magari anche chiedendoci di impe-gnarci in qualcosa per gli altri per poi scoprire che quel-lo che facciamo è anzitutto un regalo per noi stessi... Questo è il prodigio del suo disegno di amore!

Susanna Marchetti

Un’esperienza di vita cristiana che coinvolge maggiormente i genitori come parte attiva nella formazione religiosa dei

loro bambini

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on riesco a far fronte a tutte le fatiche quotidia-ne, mi viene da piangere e se il mio bambino mi vede piangere? Io dovrei essere una mam-ma forte dovrei, dovrei, dovrei….”. La nascita

è un evento straordinario, ma anche sconvolgente: per aiutare le donne che affrontano tale mutamento è nato Ain Karim. Un progetto reso possibile dalla collabora-zione di Cadom e della parrocchia di San Biagio. Ne parliamo con Claudia Cazzaniga, psicologa, volonta-ria del Cadom e membro della comunità di San Biagio.

Come è nata questa collaborazione?“Il Cadom (Centro Aiuto Donne Maltrattate) di Monza si occupa da diversi anni di prevenzione del disagio intra-famigliare e per la prima volta ha pensato di incontrare la vita che nasce, ovvero fare prevenzione fino dalle prime fasi di vita. La parrocchia, invece, già da un anno stava rivolgendo il suo sguardo verso le neomamme per aiutarle a non sentirsi sole, grazie all’iniziativa di suor

Antonietta e alla cura di don Marco. La mia apparte-nenza a entrambe le realtà mi ha permesso di cogliere questa comunione d’intenti e di portarla alla luce. La risposta è stata positiva da ambo le parti e questo ha permesso di far nascere Ain Karim”.

Una vera e propria sinergia…“Il progetto è stato finanziato al Cadom da parte del-la Fondazione di Monza e Brianza, all’interno di un progetto più ampio di prevenzione primaria, rivolto al bambino dalla nascita fino alla scuola dell’infanzia e che ha l’obiettivo di prevenire una modalità di relazione violenta all’interno della famiglia. La parrocchia ha dato la disponibilità dei locali per ospitare gli incontri, ha promosso l’iniziativa e sostenuto il percorso attraverso la presenza di suor Antonietta che aiuta nella gestione dei bimbi durante gli incontri. La conduzione è affidata ol-tre a me ad altre due psicologhe professioniste, Cristina Frasca (Cadom) e Maria Teresa Ruggiero (San Biagio)”.

N

Progetto famiglia Ain Karim

Per far nascere una mamma assieme al figlio

Speranze Tre madri spingono il carrozzino e intanto si scambiano le proprie esperienze

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Con che gruppi state lavorando?“Per ora il lavoro è iniziato con un gruppo di quattro neomamme, più i loro piccoli, tre di loro hanno già altri bimbi più grandi. A settembre potrà partire una nuova edi-zione con un altro gruppo. Ci siamo accorti che quattro, mas-simo sei è la misura giusta del gruppo, non di più. Il lavoro è tanto intenso, anche perchè la maternità oggi è vissuta in gran-de solitudine”.

Cosa dà Ain Karim alle mamme e quali sono le problematiche che ri-scontrate?“In primo luogo questo gruppo offre uno spazio in cui le mam-me possono fermarsi, restare incredule o incantate. Qui la donna madre può incontrare se stessa, insieme con le altre mamme. Non è scontato il fermarsi, perché spesso la madre è catturata dalla solitudine, dalla fatica di un evento sconvolgente e incantevole qual è la nascita di un figlio e si perde sotto la spinta della quotidianità, dei bisogni del bambino, nelle paure di non essere adegua-ta. Si perde rispetto ai modelli precedenti di madre, che ha interiorizzato e ai quali cerca di aderire ma non ci riesce perché lei è una persona differente, è una perso-na unica. Però riconoscersi questa possibilità di essere disorientata, di non sapere ancora che mamma sarà e di scoprirlo pian piano, man mano che si scopre il bam-bino è difficilissimo. Lo sconforto, la paura, la depres-sione sono alle porte e caratterizzano la quotidianità di una neomamma e non solo al primo figlio”.

Non si nasce mamme ma si diventa…“Quello che spesso la società trasmette rispetto alla ma-ternità è che deve essere un’esperienza felice, che è un’esperienza che ogni mamma sa e può fare. Ecco forse non è così, è una competenza relazionale che non è poi tanto acquisita per il fatto di essere donne, ma che va costruita e bisogna darsi la possibilità di farlo pian piano”.

E i mariti?“Anche loro sono in difficoltà e rivendicano spazio, at-tenzione. La mamma fa fatica a dar fiducia al marito,

a dargli la possibilità di divenire padre e risorsa per tutta la famiglia. Si crea conflitto perché trovandosi un po’ tutti inadeguati si è in preda alla paura. Le mamme

raccontano di questi continui e repentini cambiamenti di ritmi, di umore, di comunicazione che caratterizzano le relazioni famigliari nelle prime fasi di vita del bambino, che possono es-sere entusiasmanti, se compresi, ma anche poco sostenibili, sia dal punto di vista psicologico che fisico, quando la paura di disorientarsi e di cambiare è troppa. Il progetto prevede un incontro anche con i papà perché spesso capirsi e parlarsi senza ferirsi è difficile. Ci vuole tempo e spazio per la nascita di una mamma, come per quel-la di un papà”.

Quanto dura questo lavoroe com’è distribuito? “Sono incontri di un’ora e mezza, gratuiti, distribuiti con una maggior frequenza settimanale in fase iniziale, poi quindicinale. Il progetto si conclude in quattro mesi. E’ un percorso di riscoperta: ogni membro della famiglia scopre di esserci e di saper cambiare. Ecco una volta scoperto che si può cambiare e quindi si può far fronte alla nuova vita il percorso è fatto. E’ importante quindi che ci sia una fine anche ravvicinata”.

C’è un aspetto spirituale, vista la sede degli incontri?“E’ dentro di noi la certezza che la nascita sia un dono di Dio e lavoriamo affinché la gioia di questo dono sia fruibile da parte di tutti i membri della famiglia. Il bambi-no è un’opportunità unica di trasformazione delle nostre parti deluse, indifferenti, irrigidite in vita nuova. L’oratorio è un posto aperto a tutti: a chi pratica a chi no, a chi crede e anche a chi non crede, per fare esperienza di fratellanza e divenire riferimento sicuro per le famiglie. Così è per questo progetto, rivolto a ogni tipo di fami-glia, purché si lasci accogliere e desideri condividere. Il nostro desiderio è quello di accompagnare i genitori a stare bene per godere pienamente dell’incanto che il dono di Dio ha dato loro”.

Paola Gaviraghi

Ain Karim deve il suo nome al luogo biblico in cui Maria già in attesa di Gesù si reca in aiuto

di Elisabetta incinta anche lei

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empre molto vivo il richiamo di San Biagio, sia nei parrocchiani sia in coloro che qui sono nati o qui hanno trascorso parte della loro vita sia in parecchi cittadini di Monza o dei dintorni. La

giornata del 3 febbraio è stata vissuta in un clima di accoglienza e di preghiera, scandita dalle celebrazioni eucaristiche, dalla recita del rosario e dai momenti per il bacio della reliquia. Il cuore della giornata resta sempre la solenne conce-lebrazione eucaristica delle 18.30, animata dal Coro San Biagio, con la presenza dei sacerdoti nativi, di quelli che qui hanno svolto per qualche tempo il loro ministero e di quelli che attualmente sono parroci in città. L’eucaristia è stata presieduta da don Emilio Caprotti. Ora risiede nella nostra comunità pastorale e proprio in San Biagio celebrò la sua prima Santa Messa: festeggia il 65° anno di ministero sacerdotale (e il 16 febbraio ha compiuto 90 anni!).

Momento sempre gioioso e conviviale è la cena in ora-torio con la partecipazione dei sacerdoti celebranti: è bello ritrovarsi con loro per un saluto sempre carico di gratitudine e cordialità.

Momento importante della festa è stato il Concerto di San Biagio, giunto alla XIII edizione e svoltosi, nella se-rata di sabato, nella chiesa parrocchiale. L’Associazione Coro San Biagio che organizza questa serata insieme alla parrocchia, con il patrocinio e il contributo dell’as-sessorato alla Cultura del Comune di Monza e grazie a “storici” sponsor, ha invitato quest’anno il Coro Città di Desio, fondato e diretto dal maestro Enrico Balestreri.

Nel presentarlo al pubblico, Antonio Fedeli ha detto: “La musica e il canto hanno questa capacità: farci percepire un oltre inesprimibile, una beatitudine che genera una nostalgia buona che è desiderio di pienezza e di felici-tà. Non occorre essere fini intenditori: la buona musica ci parla e ci rende migliori”. Innanzitutto due parole sul titolo del concerto – “Confronti” – proprio perché gio-cato sul confronto tra autori di epoche diverse che di fronte al medesimo testo sacro sono approdati a esiti molto differenti: Salve Regina (gregoriano / F. Poulenc);

O Sacrum convivium (L. Perosi / E. Balestreri); Padre Nostro (G. Verdi / M. Duruflé); Ave Maria (gregoriano / M. Baumann / S. Rakmaninov). Il repertorio del Coro

attinge alla grande miniera del gregoriano e sa spaziare fino alla musica contemporanea. Altra sottolineatura che è doveroso fare: i coristi non si sono presentati, come solitamente accade, divisi in quat-tro gruppi distinti (bassi, tenori, soprani, contralti), ma raggruppati “a quartetto”. Questa disposizione compor-ta certamente qualche rischio, ognuno dei coristi deve avere la consapevolezza e la padronanza sicure della propria parte, ma l’effetto che ne risulta è unico: è un vero gioco armonico. Emozione grande ha suscitato, in-fine, l’ascolto degli ultimi due brani cantati insieme dal Coro San Biagio e dal Coro Città di Desio.

Don Marco, prima del bis finale, ha voluto esprimere una parola di profonda gratitudine a tutti i coristi per una serata così intensa sotto il profilo spirituale e culturale.

S

Festa di San Biagio

Freddo, ma calore di suoni

Giovanna Fedeli

Che voci Il maestro Enrico Balestreri dirige il coro Città di Desio e il coro San Biagio

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21Fausto Borgonovo

re giorni sulla neve”. Così titolava il volantino distribuito ai ragazzi per la vacanza invernale dei gruppi preadolescenti e adolescenti della nostra comunità pastorale e della parrocchia di

Santo Stefano di Vedano. In realtà sarebbe stato meglio scrivere “3 giorni… sotto la neve”. Appena approdati sul suolo elvetico, la mattina del 5 gennaio, siamo stati accolti dai fiocchi che ci hanno accompagnato costante-mente per due giorni, per poi (finalmente!) lasciare spa-zio a un po’ di sole, quando ormai eravamo pronti per il ritorno.Ci siamo comunque divertiti tra pupazzi, palle di neve, camminate “imbiancate”, bobbate e slittate tra le raffiche di vento e in condizioni quanto meno improbabi-li (avete mai provato a stare in 4 su un bob singolo?!?), qualche sciata, l’incontro ravvicinato con una befana svizzera doc… Abbiamo vissuto anche momenti più seri, con qualche preziosa riflessione guidata da don Roberto e dagli educatori a partire dalle vicende del re Davide, che fanno da filo conduttore nel percorso annuale dei preadolescenti.Un grazie di cuore ai “Fantastici 5” non solo per l’aiuto “pratico” soprattutto in cucina, ma anche per la disponi-bilità, la generosità, la simpatia che ci hanno dimostrato.

Preadolescenti e adolescenti

Sulla neve o… sotto?

In Svizzera Una gita in cui la neve era abbondante, ma ha lasciato spazio al divertimento e a preziose riflessioni

T

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sufficiente il titolo per indicare la finalità del-la riunione promossa da AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) a dal Grup-po Intervento presso la Parrocchia Pio X, il giorno 5 dicembre. Il dottor Giovanni Gaz-

zoli, Project Manager di AIFO, ha illustrato la situazione legislativa, con particolare riferimento all’applicazione dell’art. 32 della convenzione ONU sui diritti delle per-sone con disabilità, e la situazione Italiana.

La convenzione ONU sui diritti delle persone con disabi-lità è entrata in vigore recentemente: nel maggio 2008, e ratificata dall’Italia il 3 marzo 2009. L’accordo si in-serisce nel contesto della tutela e della promozione dei diritti umani, conferma i principi fondamentali in tema di riconoscimento dei diritti di pari opportunità e di non di-scriminazione in favore delle persone con disabilità. Più in dettaglio l’art. 32 sancisce: - inclusione nei programmi di sviluppo internazionale delle persone con disabilità. - scambio e condivisione di informazioni, esperienze e programmi. - favorire la ricerca e l’accesso alle cono-scenze scientifiche e tecniche. - fornire assistenza tec-nica ed economica anche attraverso il trasferimento di tecnologie per le persone con disabilità.

In Italia è stata costituita a fine 2011 una rete, la RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), costituita da due as-sociazioni, AIFO ed EducaAid, e da due organizzazioni di persone con disabilità (DPI Italia e FISH), al fine di valorizzare un patrimonio di esperienze e progetti che

mettono al primo posto il rispetto dei diritti umani del-le persone con disabilità. La rete ha sottoscritto con il Ministero degli Affari Esteri italiano un accordo per la costituzione di un tavolo permanente riguardante l’appli-cazione dei diritti delle persone con disabilità.

Per finire, il primo rapporto mondiale sulla disabilità, uscito nel giugno 2011, indica che circa il 15% delle persone hanno difficoltà legate a una o più funzioni (il 3% con difficoltà gravi). In Italia il 5% della persone han-no disabilità, la maggior parte delle stesse (2.6 milio-ni) vive in famiglia, mentre 190.000 persone vivono in istituti. In conclusione: qualcosa si sta muovendo recen-temente, con progressi dal punto di vista legislativo (in-serimento lavorativo e scolastico) ma con lentezza delle amministrazioni, scarsità di risorse locali e permanenza di problematiche ambientali e culturali.

E’

Disabilità e diritti

Niente su di noi senza di noi

Pubblico attento Giovanni Gazzoli, di AIFO, illustra la situazione legislativa sui diritti delle persone con disabilità

L’impegno del Sistema Italia per l’Applicazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità

Sergio Cavasassi

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Sorella Giuseppina Sala

ata a Milano il 10 luglio 1922, tra porta Ti-cinese e piazza Sant’Ambrogio, Giuseppina Sala vive la sua infanzia e l’adolescenza for-mandosi all’Istituto delle Orsoline di via Lanzo-

ne e all’Università Cattolica, mentre gli studi al conser-vatorio Giuseppe Verdi, fino al diploma in pianoforte, costituiscono la sinfonia della sua giovinezza.Nel 1944 Giuseppina, poco più che ventenne, con tan-ti sogni e desideri di bene, nella sua Milano intristita dal-la guerra più che dalla nebbia, incontra Amelia Pierucci. Quell’amicizia diventa decisiva per un cammino nuovo, che in una parola si potrebbe definire un cammino di pace costruito nella vita di ogni giorno.

Le tappe significative di quel cammino sono presto trac-ciate. Negli anni 1944-1949 abbandona le certezze di una famiglia dove era amata per maturare una scel-ta personale che, accanto ad Amelia Pierucci, la vede prima collaboratrice di don Carlo Gnocchi al collegio delle Mutilatine di Pessano e via via protagonista della fondazione dell’istituto religioso delle Minime Oblate del Cuore Immacolato di Maria e della continuità della Pic-cola Opera per la Salvezza del Fanciullo. E’ proprio la

sua personale amicizia con il cardinale Giovanni Batti-sta Montini a sostenere l’11 febbraio 1957 il passaggio della Piccola Opera di Rita Tonoli al nascente istituto reli-gioso delle Minime Oblate. Dall’11 febbraio 1962 con la posa della prima pietra la sua vita si identifica con il centro Mamma Rita. Abituata alle scalate in montagna (a 16 anni vede l’Europa dal Monte Bianco) salendo sui ponteggi segue da vicino tutti i lavori di costruzione del centro. Dal 1964 si dedica quasi ininterrottamente all’organizzazione e alla direzione del Mamma Rita in stretto rapporto con le istituzioni e gli enti pubblici.Attenta e incorporata nella vita della Chiesa, partecipa e promuove l’adesione dell’istituto religioso alle iniziative della vita consacrata e della Pastorale della carità e del-la scuola. Molti sono i riconoscimenti per il suo operato, che lei faceva transitare sulla comunità delle Sorelle e dei suoi collaboratori; tra i più significativi nel 2005 il riconoscimento Santa Rita da Cascia, nel 2008 l’Am-brogino d’oro e nel 2011 il Premio “Corona Ferrea”. Quasi inavvertitamente si è spenta martedì 31 gennaio scorso all’ospedale San Gerardo di Monza, proprio nel giorno in cui la liturgia ricorda un grande educatore: San Giovanni Bosco.

Costruire la pace. Sempre

Sorella Nora

Dietro le quinte dei monti

una luce rende stupendo

il viaggio dell’uomo sulla terra

verso una vita intrisa di perenne felicità.

Sor. Giuseppina Sala

In posa Le montagne: sorella Giuseppina era abituata alle scalate

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La rizoartrosi del pollice è l’artrosi della base del pollice che interessa l’articolazione fra il trapezio ed il primo osso metacarpale. La rizoartrosi nella formapiù frequente è purtroppo bilaterale, colpisce il 10-15% della popolazione adultae in particolare modo le donne dopo i 50 anni. Tale condizione comporta dolorealla base del pollice e limita le normali attività quotidiane, come:girare una chiave, scrivere, cucire, stirare, sollevare dei pesi.

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