diritto, ordine e religione nella tutela · pdf filediritto, ordine e religione nella tutela...

30
Capitolo VIII Diritto, ordine e religione nella tutela penale Giovanni Crocco SOMMARIO: 1. Il difficile rapporto tra diritto e religione nelle o- dierne società multiconfessionali. – 2. Libertà religiosa e cause di giustificazione. Profili giurisprudenziali. – 3. La applicazione/disap- plicazione delle esimenti nelle singole fattispecie di reato. – 4. I riflessi dell’appartenenza confessionale sulla disciplina delle cir- costanze aggravanti e attenuanti. 1. Il difficile rapporto tra diritto e religione nelle odierne società multiconfessionali L’esigenza di una specifica disciplina, elaborata anche e soprattutto in sede penale, del rapporto tra diritto autocto- no, diritti stranieri e motivo religioso assume nei singoli or- dinamenti giuridici configurazioni differenti in relazione al- la diversa concezione della libertà religiosa e dei rapporti tra Stato e confessioni 1 . Il discorso si complica ulteriormen- te quando vengono a contatto culture e realtà sociali diverse tra di loro non solo per tradizioni storiche, concezioni di pensiero e credenze religiose, ma anche per il diversificato quadro normativo nazionale di riferimento. 1 L. DE GREGORIO, Tutela penale, in Osservatorio delle libertà ed isti- tuzioni religiose (www.olir.it).

Upload: nguyenphuc

Post on 11-Feb-2018

217 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Capitolo VIII

Diritto, ordine e religione

nella tutela penale

Giovanni Crocco

SOMMARIO: 1. Il difficile rapporto tra diritto e religione nelle o-dierne società multiconfessionali. – 2. Libertà religiosa e cause di giustificazione. Profili giurisprudenziali. – 3. La applicazione/disap-plicazione delle esimenti nelle singole fattispecie di reato. – 4. I riflessi dell’appartenenza confessionale sulla disciplina delle cir-costanze aggravanti e attenuanti.

1. Il difficile rapporto tra diritto e religione nelle

odierne società multiconfessionali

L’esigenza di una specifica disciplina, elaborata anche e soprattutto in sede penale, del rapporto tra diritto autocto-no, diritti stranieri e motivo religioso assume nei singoli or-dinamenti giuridici configurazioni differenti in relazione al-la diversa concezione della libertà religiosa e dei rapporti tra Stato e confessioni

1. Il discorso si complica ulteriormen-te quando vengono a contatto culture e realtà sociali diverse tra di loro non solo per tradizioni storiche, concezioni di pensiero e credenze religiose, ma anche per il diversificato quadro normativo nazionale di riferimento.

1 L. DE GREGORIO, Tutela penale, in Osservatorio delle libertà ed isti-tuzioni religiose (www.olir.it).

Giovanni Crocco 222

La modernità ed il pluralismo sembrano contribuire alla progressiva acquisizione della consapevolezza dell’accentua-zione dell’elemento religioso

2 quale «una delle variabili prin-cipali e quasi sempre protagonista»

3, anche nella sua acce-zione culturale, delle società contemporanee multiconfessio-nali accanto alle dimensioni nazionali ed entiche.

La tematica è una di quelle, fra le tante della normativa penale, che più raramente trova applicazione nelle aule dei nostri tribunali, ma è pur vero che sta emergendo e diven-tando sempre più attuale anche grazie al fenomeno delle im-migrazioni 4, del pluralismo confessionale

5 (quasi dilagante) e per effetto della globalizzazione

6, processi che innescano po-tenziali situazioni di conflitto (principalmente normativo) tra diritto e religione. È oramai incontestabile che la società sia

2 Cfr. A. GIANFREDA, Diritto penale e religione tra modelli nazionali e giurisprudenza di Strasburgo, Giuffrè, Milano, 2012, p. 306.

3 A. G. CHIZZONITI, Multiculturalismo, libertà religiosa e norme pena-li, in AA.VV., Religione e religioni: prospettive di tutela, tutela della liber-tà, a cura di G. DE FRANCESCO, C. PIEMONTESE, E. VENAFRO, Giappichel-li, Torino, 2007, p. 29.

4 Cfr. M. RICCA, Le religioni, Laterza, Bari, 2004, p. 127 ss. Come evidenzia l’Autore, l’incremento dei flussi migratori, oltre a contribuire alla trasformazione in senso multiculturale e multireligioso della società contemporanea, ha sollecitato il diffondersi di nuove istanze di tutela (anche penale) delle identità e della appartenenza dei gruppi, dovendosi stabilire per i nuovi soggetti le modalità di inserimento sociale, il grado di partecipazione, ma soprattutto in che misura ed in che modo essi debbano essere considerati titolari di diritti e di doveri.

5 Cfr. F. ONIDA, Il contributo dello studioso di diritto ecclesiastico all’a-nalisi delle moderne società multireligiose: tra vecchie e nuove scommesse, in Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose (www.olir.it), 2005.

6 Circa il fenomeno della globalizzazione, ampiamente, Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2006; W. KYMLICKA, La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bo-logna, 1999; A. BERNARDI, Il diritto penale tra globalizzazione e multicul-turalismo, in Riv. it. dir. pub. com., Giuffrè, Milano, 2002, passim.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 223

rapidamente e profondamente cambiata 7, soprattutto a causa

della rilevanza di simili fenomenologie (prime fra tutte, l’im-migrazione) che stanno (“ri”-) disegnando continuamente l’as-petto degli ordinamenti statali moderni e modificando gra-dualmente l’assetto delle relazioni intersoggettive tra persone appartenenti a comunità religiose differenti e fra di esse e lo Stato, insomma tra individui portatori di codici socio-culturali divergenti da quelli radicati nella storia di un Paese, tra i-dentità eterocolte. Accade, così, che «i flussi migratori de-terminano situazioni di convivenza inedite, facendo acco-stare abiti di vita antropologicamente distanti per cui le nuove presenze, con i loro corredi di usi, innescano inevita-bilmente profondi conflitti e, soprattutto, generano profon-de discontinuità culturali tra il linguaggio del diritto autoc-tono e i modelli di vita, gli abiti cognitivi, i valori degli al-tri»

8. I processi migratori, pertanto, mettono in crisi l’effica-cia delle leggi (soprattutto in materia penale) pensate per valere su territori abitati da certe persone, che invece im-provvisamente cambiano portando con sé mutamenti di i-dee, mentalità, costumi

9. Il fattore religioso fa emergere, così, «in tutto il suo si-

gnificato uno degli aspetti più problematici del paradigma multiculturale: quello dei gruppi organizzati disomogenei insediati su di un medesimo territorio»

10.

7 Cfr. A. FUCCILLO, L’attuazione privatistica della libertà religiosa, Jo-vene, Napoli, 2005, p. 11.

8 Cfr. M. RICCA, Pantheon. Agenda della laicità interculturale, Torri del Vento, Palermo, 2012, p. 80. Ad avviso dell’Autore, non sono le nor-me a dover essere oggetto di traduzione interculturale, ma la mentalità, le aspettative e gli orizzonti di senso articolati dalle persone. Questa sa-rebbe la chiave per ridurre al minimo le ipotesi di conflitto.

9 Cfr. P. CONSORTI, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 182.

10 A.G. CHIZZONITI, Multiculturalismo, libertà religiosa e norme pena-li, cit., p. 29.

Giovanni Crocco 224

C’è chi, a tal proposito, ha parlato di “fine della geogra-fia”

11, poiché in effetti diminuisce sempre di più la vincola-tività del territorio come elemento di identificazione delle appartenenze collettive, e quindi anche delle identità cultu-rali e religiose. Questa perdita di importanza del territorio, in termini giuridici, si traduce (anche per effetto della glo-balizzazione) in una sorta di frantumazione della sovranità dello Stato, sovranità che risulta intimamente legata e con-nessa ad un entità territoriale ben delineata.

Tra l’altro, le comunità religiose, che si caratterizzano per l’esasperazione della contrapposizione tra identità differenti che vivono sullo stesso territorio

12, rivendicano sempre più frequentemente il riconoscimento di diritti umani e civili, co-sì come di rispetto e considerazione pubblica. Tali istanze, come molti hanno fatto notare, se non adeguatamente assisti-te da un’attenzione politico-normativa, rischiano di trasfor-marsi in potenti fattori di conflittualità sociale

13. Stando così le cose, l’incidenza dell’appartenenza con-

fessionale sulla commissione di reati diventa una tematica attualissima, ancor più se legata al problema di come – ed entro quali limiti – il diritto costituzionale di libertà religio-sa, previsto e tutelato dall’articolo 19 della Carta fondamen-tale, possa trovare ingresso ex articolo 51 del codice penale – o, come si dimostrerà, anche attraverso altri canali giuri-

11 R. O’BRIEN, Global financial integration. The End of Geography, The Royal Institute of International affairs-Pinter Publishers, London, 1992.

12 Cfr. S. SICARDI, Manifestazioni di credo religioso e spazi pubblici, tra libertà, laicità ed identità: una dura prova per le democrazie contem-poranee, in Riv. dir. pubbl. comparato ed europeo, Giappichelli, Torino, 2005/1, p. 127 ss.

13 F. SGUBBI, Religione e diritto penale nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (articoli 8 e 19 Cost.), in AA.VV., Diritto penale e giuri-sprudenza costituzionale, a cura di G. VASSALLI, Esi, Napoli, 2006, p. 207.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 225

dici – come causa di giustificazione per la commissione di reati. Si tratta in sostanza, di identificare i limiti alla profes-sione della propria fede qualora la sua esplicazione possa es-sere ricondotta all’interno della sfera di operatività del diritto penale.

L’analisi della normativa in esame, che ha ad oggetto il delicato rapporto tra cause di giustificazione e sentimento (inteso come movente) religioso

14 mostra, per di più, come il tema dell’interculturalità del soggetto di diritto si annidi al cuore della legislazione penalistica e dei suoi presupposti teorici e ideali.

Ad avviso della più recente dottrina, «ripensarne fon-damenti e articolazioni in chiave interculturale integra una necessità, poiché di fondo vi è sia un problema di cono-scenza reciproca tra i soggetti agenti nel mondo giuridico sia una palese distanza culturale e cognitiva tra le diverse fe-di»

15. Questo poiché, «malgrado le loro profonde differenze, tutte le religioni danno luogo a sistemi normativi complessi che orientano e condizionano tanto gli ideali, le credenze in-teriori, le motivazioni profonde e le aspirazioni, quanto i

14 G. CASUSCELLI, Appartenenze/credenze di fede e diritto penale: per-corsi di laicità, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telema-tica (www.statoechiese.it), novembre 2008, p. 15. L’Autore ritiene che il bene “sentimento religioso” debba essere ricondotto, per espresso detta-to costituzionale, al diritto previsto e ampiamente garantito dall’art. 19 Cost., e ciò consentirebbe, dunque, che le fattispecie di reato poste a tu-tela del sentimento religioso limitino le altre libertà costituzionali. Ag-giunge, poi, che il diritto di libertà religiosa appare in tal modo inscindi-bilmente connesso al “sentimento” che gli individui nutrono a riguardo di quel valore protetto dalla norma fondamentale, come se la violazione del primo comporti la lesione del secondo, e viceversa; è come se il sen-timento meritevole di tutela fosse soltanto quello di chi esercita il diritto ex art. 19 Cost. professando una fede, e non fosse il sentimento di chi esercita il medesimo diritto con valenza negativa, ossia non professan-done alcuna.

15 Cfr. M. RICCA, Pantheon. Agenda della laicità interculturale, cit., p. 278.

Giovanni Crocco 226

comportamenti esteriori e socialmente (rectius: culturalmen-te) rilevanti, di volta in volta imponendo, vietando, o al me-no suggerendo o sconsigliando, il compimento di atti assai più vasti e numerosi di quelli che siamo soliti considerare come atti di culto»

16. Una precaria o scarna conoscenza dell’altrui fenomeno

religioso o dell’altrui dimensione culturale implica, inevita-bilmente, il sorgere di un conflitto, che avrà poi risvolti, tanto nel foro interno dell’individuo quanto sul piano este-riore e statale.

2. Libertà religiosa e cause di giustificazione. Profili giurisprudenziali

Oggi risulta davvero difficile ed articolato ricercare un possibile equilibrio nel rapporto tra professione di fede, di-ritti fondamentali costituzionalmente garantiti ed interesse generale della pluralità dei consociati, alla luce anche di fe-nomeni – quali il multiculturalismo – che hanno aperto sempre più le frontiere a nuove culture e a nuove forme di pensiero, con tutto il bagaglio di usanze, credenze e tradi-zioni giuridiche diverse che si trascinano dietro.

Una prima circostanza capace di minare il precario equi-librio tra libertà parimenti garantite è rappresentata dal pos-sibile conflitto intercorrente tra il diritto di ciascuno di profes-sare (o non professare affatto) il suo credo religioso, in forma pubblica o privata, individuale o collettiva, e la sussistenza di superiori interessi pubblici, il cui soddisfacimento necessita di una consequenziale e rischiosa operazione di bilanciamen-to tra fini/valori 17, così come assicurati anche dalla Carta; ri-

16 S. FERLITO, Le religioni, il giurista e l’antropologo, Rubbettino, So-veria Mannelli, 2005, p. 72.

17 In dottrina si ritiene che nasca, a tal proposito, l’esigenza di impie-

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 227

schiosa poiché capace di sfociare in una compressione dei diritti individuali a fronte di un preminente interesse genera-le o pubblico.

Accade, a tal proposito, che molti comportamenti consi-derati penalmente rilevanti dall’ordinamento giuridico italia-no siano ritenuti giustificati, o addirittura doverosi, tra i sog-getti appartenenti a determinate tradizioni culturali o comu-nità religiose, al cui interno i soggetti condividono valori so-ciali ed economici, spesso di origine religiosa, ben differenti, e talvolta incompatibili, rispetto a quelli recepiti dall’ordina-mento italiano.

Di fronte a tali casi di collisione tra norma penale e pre-cetto religioso sorgono i primi problemi, soprattutto quan-do l’esercizio del diritto di libertà religiosa determina l’inte-grazione di fattispecie incriminatrici. La motivazione religio-sa può scriminare fatti posti in essere dal singolo credente? La motivazione religiosa può influire sulla rimproverabilità dell’autore del reato?

Spesso, infatti, gli appartenenti a religioni minoritarie pre-senti in Italia, nei casi di conflitto tra precetto penale e impe-rativo religioso, invocano come scriminante, alla stregua della libertà di culto, il diritto sancito dall’art. 19 della Carta costi-tuzionale.

L’art. 19 della Costituzione (ispirato ai principi di laicità 18

e di pluralismo religioso) disciplina e tutela costituzional-mente il diritto di libertà religiosa, intesa come il diritto di

gare adeguati criteri ermeneutici al fine di superare possibili frizioni tra libertà parimenti garantite e tutelate, cfr. L. BUSCEMA, Libertà di culto ed azione amministrativa: profili critici e linee evolutive, p. 5 (www.unime.it). Circa le tecniche di bilanciamento tra diritti fondamentali parimenti ri-levanti e tra loro occasionalmente in conflitto, R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2010, p. 503 ss.

18 Cfr. Corte cost., celebre sentenza 17 gennaio 1989, n. 203. Così, il principio di laicità non implica indifferenza e astensione dello Stato di-nanzi alle religioni ma legittima interventi legislativi a protezione della libertà di religione.

Giovanni Crocco 228

professare liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto, entro i limiti dettati dalla stessa Carta. A tale diritto sono, quindi, posti due limi-ti. A dire il vero, la Costituzione menziona – codificandolo – un solo limite interno per quanto attiene ai riti ed è la contrarietà al buon costume

19, ma la dottrina è pacifica nel ritenere che sussistano anche dei limiti esterni coincidenti con tutti i beni di pari rango costituzionale

20.

19 In merito, appare generalmente condivisa la definizione di “con-trarietà al buon costume” data dalla Consulta nella sua sentenza 27 lu-glio 1992, n. 368. Essa è intesa «quale valore riferibile alla collettività in generale, […] che denota le condizioni essenziali che in relazione ai con-tenuti morali e alle modalità d’espressione del costume sessuale in un determinato momento storico, siano indispensabili per assicurare una convivenza sociale conforme ai principi costituzionali inviolabili della tutela della dignità umana e del rispetto reciproco tra le persone». Circa l’esclusione dal precetto costituzionale del limite dell’ordine pubblico, cfr. C. CARDIA, voce Religione (libertà di), in Enc. dir., II, Giuffrè, Mila-no, 1998, p. 932, secondo il quale essa è giustificata «per impedire che per suo tramite si finisse col vietare, o limitare discrezionalmente, l’at-tività di alcune confessioni religiose (com’era avvenuto nel passato regi-me) sol perché queste non erano in sintonia con il clima politico del mo-mento». Circa i limiti giuridici della libertà religiosa, cfr. P.A. D’AVACK, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), in Enc. dir., XXIV, Giuffrè, Milano, 1974, p. 598, secondo il quale «a parte il limite generale del “buon co-stume” sancito dagli artt. 19 e 21 Cost., vengono ancora a costituire al-trettanti indubbi limiti alla liceità e libertà delle manifestazioni del pen-siero in genere e delle attività religiose in specie», ad esempio, il rispetto per la persona umana o per gli organi e le istituzioni pubbliche statali, o ancora l’ordine pubblico; infine le varie limitazioni derivanti da quelle norme delle leggi di pubblica sicurezza che naturalmente non risultino contraddittorie con i principi della Costituzione. In realtà, parlando di buon costume, sarebbe possibile definirlo un limite-non limite, il legisla-tore, infatti, potrebbe «non aver voluto realmente porre alcun limite al-l’esercizio del diritto di libertà religiosa, fatti salvi quelli di natura razio-nale insiti nell’esercizio di ogni diritto e di ogni libertà», A. DE OTO, Precetti religiosi e mondo del lavoro. Le attività di culto tra norme genera-li e contrattazione collettiva, Ediesse, Roma, 2007, p. 78 ss.

20 Cfr. F. VIGANÒ, Commento all’art. 51 c.p., in AA.VV., Codice penale

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 229

Con riferimento al limite interno, di carattere generale, la garanzia costituzionale è da intendersi come limitata dall’or-dine pubblico, inteso come complesso di principi di costu-me e di coscienza sociale, a tutela del rispetto dei diritti per-sonalissimi e delle istituzioni pubbliche e non, restrittiva-mente, come morale sessuale o comune senso del pudore che sono comunque concetti indeterminati e soggetti ai mu-tamenti della mentalità sociale

21. Perché, quindi, possa rite-nersi legittimo un intervento dell’autorità di pubblica sicu-rezza (e s’inneschi il motore della macchina penale) è neces-sario che vi sia stata l’adozione di un comportamento con-cretamente lesivo del buon costume

22. Il secondo limite è di carattere esterno e deriva dal bilan-

ciamento con altri diritti di rango costituzionale. Trattando-si di diritto previsto dalla Costituzione, i limiti esterni all’e-sercizio della scriminante della libertà religiosa dovrebbero trovarsi nella stessa Carta fondamentale, per salvaguardare altri diritti o interessi, meritevoli di protezione

23. L’esercizio del diritto di libera professione religiosa, quindi,

nel momento in cui (pur nel rispetto dei limiti intrinsechi) “ur-ta con altri interessi e beni costituzionalmente e direttamente protetti, rispetto ad essi preminenti e che rientrano nell’ogget-tività giuridica della norma penale conflittuale, non può avere

commentato, vol. I, seconda edizione, a cura di E. DOLCINI, G. MARI-

NUCCI, Ipsoa, Milano, 2006, p. 554. 21 Cfr. P.A. D’AVACK, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), cit., p. 598 ss. 22 Cfr. M. RICCA, Pantheon. Agenza della laicità interculturale, cit., pp.

148-149. L’autore, inoltre, segnala che l’uso di una perifrasi negativa («pur-ché non contrari…») non è casuale: dire, infatti, che un comportamento o un rito non deve essere contrario al buon costume non significa che esso debba essere necessariamente conforme a esso.

23 Cfr. E. ABATE, Le Mutilazioni genitali femminili (MGF): lesione dei diritti umani fondamentali della donna. Dimensione normativa sanitaria e sociale, in Persona, Revista electrónica de derechos existenciales (www.revi-stapersona.com.ar), gennaio-febbraio, 2010.

Giovanni Crocco 230

alcuna efficacia scriminante in quanto trattasi di un esercizio che avviene superando i limiti esterni che presiedono alla corretta e rilevante sua estrinsecazione”

24. Nel diritto penale moderno del nostro Paese è possibile

rinvenire «fattispecie, problematiche, profili interpretativi e indirizzi giurisprudenziali, tutti espressione del confessioni-smo (vecchio e nuovo) che, a dispetto della laicità dichiarata e – oramai – consolidata, percorre la tutela penale delle ap-partenenze e delle credenze di fede. Le norme di specie in-ducono a ritenere che il diritto penale ecclesiastico sia scan-dito dalla partizione nei modelli giuridici di ‘diritto penale dell’amico e del nemico’, di favore e di sfavore, di protezio-ne e di repressione»

25. Tutto ciò è espressione di quel pa-ternalismo che si manifesta come «tendenza autoritaria del diritto che, invece di tutelare il cittadino nella sua sfera di libertà», ne valuta le credenze e i valori della cultura di pro-venienza e poi, alla luce di questi elementi, talvolta lo “favo-risce come amico” e talaltra, in fattispecie simili o parallele, “lo combatte come nemico”

26. Giusto per avere un’idea, basta menzionare le specifiche

discipline e le numerose sentenze della giurisprudenza ita-liana, confermative delle discriminazioni normative in tema di libertà religiosa e cause di giustificazione, di circostanze aggravanti e attenuanti, di reati contro il sentimento religio-so, di immunità dalla legge penale e così via.

La disciplina positivamente apprestata parte dalle cosid-dette cause di giustificazione del reato, dette altrimenti “scri-minanti” o “esimenti”, anche se in realtà il Codice Rocco par-

24 Cfr. A. LANZI, La scriminante dell’art. 51 c.p. e le libertà costituzio-nali, Giuffrè, Milano, 1983, p. 88.

25 G. CASUSCELLI, Appartenenze/credenze di fede e diritto penale: per-corsi di laicità, cit., p. 20.

26 Cfr. S. CANESTRARI, Laicità e diritto penale nelle democrazie costitu-zionali, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. I, Giuffrè, Milano, 2006, p. 141.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 231

la più precisamente di “circostanze che escludono la pena” (art. 59 c.p. e art. 129 c.p.p.), categoria che comprende tutte quelle situazioni – anche se ontologicamente differenti tra di esse – in presenza delle quali il codice dichiara il soggetto non punibile.

Si tratta, quindi, non solo delle cause di giustificazione in senso stretto cioè di esclusione dell’antigiuridicità e, dunque, di contrarietà all’ordinamento giuridico di un fatto cor-rispondente ad una fattispecie tipica, ma anche delle cause di esclusione della colpevolezza, meglio conosciute o altrimenti denominate “scusanti”

27, ossia quelle circostanze che, influen-do sul processo psico-motivazionale dell’agente, escludono la rimproverabilità penale del fatto tipico ed antigiuridico da questi commesso.

Tra le prime vi rientrano il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), l’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.), l’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.), la legittima difesa (art. 52 c.p.), l’uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.) e lo stato di necessità (art. 54 c.p.), anche se non tutte sono mai state invocate a giu-stificazione del proprio diritto di libertà di credo. Tra le se-conde, è possibile menzionare, a titolo di esempio, l’errore di fatto (art. 47 c.p.) o le circostanze putative (art. 59, c. 4, c.p.).

L’art. 51 del codice penale rappresenta sicuramente la norma maggiormente richiamata a conforto da parte della difesa a giustificazione della condotta commissiva/omissiva penalmente rilevante di un individuo

28.

27 Cfr. AA.VV., Codice penale spiegato articolo per articolo, XII ed., a cura di F. DEL GIUDICE, Simone, Napoli, 2007, p. 49. In dottrina, G. FIANDACA, E. MUSCO, Antigiuridicità e singole cause di giustificazione, in Diritto penale: parte generale, VI ed., Zanichelli, Bologna, 2010, p. 255, dove le cause di giustificazione vengono definite come quelle «situazioni normativamente previste, in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordina-mento giuridico». Pertanto, in presenza di tali situazioni, un fatto che sa-rebbe altrimenti reato, tale non è perché la legge lo consente o lo impone.

28 In merito, cfr. D. PULITANÒ, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, in Digesto delle discipline penalistiche, VI, Utet, Torino,

Giovanni Crocco 232

C’è da premettere che in nessun sistema giuridico il mo-tivo religioso può essere assunto come scriminante di appli-cazione generale, poiché tale constatazione può variare a se-conda del carattere e della fisionomia che ogni ordinamento giuridico si attribuisce. «Se, infatti, l’ordinamento non è con-fessionale, riconoscere l’atto materialmente criminoso legit-timato dal motivo religioso comporterebbe una subordina-zione assurda, contraria alla definizione d’ordinamento giu-ridico; se l’ordinamento è confessionale o addirittura teo-cratico, il movente religioso o concorda con la religione sta-tale, ed allora la sua presenza evita che la fattispecie crimi-nosa sia punibile in virtù dell’articolo 51 c.p., oppure nasce da esigenze religiose in contrasto con l’ideologia statale, e allora la sua pericolosità sociale è gravissima perché va con-tro i fondamenti dell’organizzazione giuridica»

29. Ciò nonostante, in molti ordinamenti

30 il motivo religio-so riesce ad assumere valore esimente rispetto a singole fat-tispecie di reato: in tali circostanze, s’intende quindi che il motivo religioso scrimina il reato qualora esso si atteggi co-me impulso a difendere la propria religione.

Contro tale posizione, tuttavia, è intervenuto anche il Par-lamento europeo, raccomandando più volte agli Stati di re-spingere simili atteggiamenti di tolleranza o addirittura di giu-stificazione quando il delitto sia commesso in ossequio a con-vinzioni religiose o in attuazione di pratiche culturali, talvolta dai tratti anche degradanti 31.

1990, p. 321; P. SEMERARO, L’esercizio di un diritto, Giuffrè, Milano, 2009.

29 Cfr. M.C. DEL RE, Il reato determinato da movente religioso, Giuf-frè, Milano, 1961, p. 33 ss.

30 Più precisamente, in ogni legislazione che considera bene indivi-duale degno di protezione la fede religiosa e, comunque, almeno per l’Italia, entro i limiti dell’art. 52 c.p.

31 Cfr., ex plurimis, Parlamento Europeo, risoluzione 18 marzo 2011,

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 233

È convinzione generale che l’art. 51 c.p., almeno nella sua accezione di esercizio di un diritto, esplichi un ruolo di primaria importanza nella prospettiva dell’adeguamento dell’ordinamento penale ai principi costituzionali. Il ruolo svolto dall’art. 51 c.p. non è nel senso di attribuire efficacia ad una norma già di per sé gerarchicamente superiore ri-spetto ad una norma gerarchicamente inferiore, ma consiste invece nel riconoscere efficacia scriminante – nel rispetto della riserva (tendenzialmente) assoluta di legge di stampo costituzionale

32 – al corretto esercizio di un diritto (sub spe-

cie, di libertà religiosa) promanante da una norma (sub spe-

n. 2010/2209(INI), Sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’UE in materia di lotta alla violenza contro le donne. Il Parla-mento sottolinea che tutti gli Stati membri dovrebbero riconoscere come reati la violenza sessuale e lo stupro a danno di donne, in particolare all’interno del matrimonio e di relazioni intime non ufficializzate e/o se commessi da parenti maschi, nei casi in cui la vittima non era consen-ziente. Gli Stati membri dovrebbero altresì garantire che detti reati siano perseguibili d’officio. Al punto 3 di detta Risoluzione sottolinea inoltre che «le pratiche culturali, tradizionali o religiose come circostanze atte-nuanti in casi di violenze contro le donne, compresi i cosiddetti “delitti d’onore” e le mutilazioni genitali femminili» (per cui esiste oggi un’ap-posita legge), devono essere assolutamente respinte. Tutto ciò poiché in parecchi Stati membri la violenza basata sul genere non è trattata come un reato di Stato.

32 Circa il rapporto tra controllo di costituzionalità delle norme pena-li e riserva di legge in materia di reati e pene (ex art. 25, comma 2, Cost.), cfr. Corte cost., sent. 13-20 novembre 2000, n. 508. Circa l’esten-sione della riserva assoluta di legge ai limiti scriminanti, cfr. F. BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1965, p. 262 ss. Circa il processo di armonizzazione della tutela penale della religione con i valori costituzionali fino all’entrata in vigore della legge 24 feb-braio 2006, n. 85, M. MONTEROTTI, La tutela penale della religione: anti-cata, vexata quaestio sul bene giuridico tutelato e nuovi profili di interesse circa la libertà di espressione nell’epoca di internet, in Cass. pen., 3, 2010, p. 952 ss. Per un’indagine sul processo di “secolarizzazione” del diritto penale con riferimento alla libertà religiosa, A. SERENI, Sulla tutela pena-le della libertà religiosa, in Cass. pen., 11, 2009, p. 4499 ss.

Giovanni Crocco 234

cie, art. 19 Cost.), contingentemente di rango superiore a quella che contempla la fattispecie incriminatrice

33. In so-stanza, e come detto più volte, grazie alla mediazione e al-l’operatività dell’art. 51 c.p., l’esercizio di un diritto costitu-zionale scrimina un certo comportamento altrimenti pe-nalmente rilevante.

Nell’ambito del diritto ecclesiastico, più nello specifico nei casi di professione di fede di chi dichiara di appartenere a una confessione religiosa o parimenti di chi non è ascritto a nessu-na di esse, non poco frequentemente è stata invocato l’art. 51 c.p. per escludere la punibilità di condotte penalmente rile-vanti, e più precisamente l’efficacia scriminante dell’esercizio del diritto di libertà religiosa sancita dall’art. 19 Cost.

In siffatte ipotesi, i giudici di legittimità hanno rinvenuto, il più delle volte, un palese contrasto con i principi che animano l’ordinamento penale italiano e ciò per diversi motivi.

Innanzitutto, si andrebbe a violare il principio di territoria-lità, sancito all’art. 3 c.p., in base al quale la legge penale italia-na si applica nei confronti di tutti coloro che, siano essi citta-dini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le ec-cezioni previste espressamente dalla legge. In secondo luogo, è fuori discussione che possa trovare applicazione, anche per lo straniero, il principio “ignorantia legis non excusat” ex art. 5 c.p., in conseguenza del quale l’eventuale errore, di colui che pone in essere un comportamento avendo riguardo ai soli principi e valori appartenenti al suo retaggio culturale, si pre-senta come “errore sul precetto”, privo quindi di rilevanza scusante. In ultima battuta, i giudici della Suprema Corte arri-vano ad escludere l’applicabilità della scriminante di cui all’art. 51 c.p., in quanto un’eventuale opera di ampliamento del-l’alveo di operatività della scriminante in parola (con la valo-rizzazione del substrato culturale e religioso degli stranieri)

33 Cfr. A. LANZI, La scriminante dell’art. 51 c.p. e le libertà costituzio-nali, cit., p. 52.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 235

comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento ris-petto agli altri consociati, con la conseguente violazione del-l’art. 3 Cost.

Si segnala, infine, che un filone minoritario della giuri-sprudenza di Cassazione ha mostrato una qualche forma di apertura verso il “culturalmente diverso”, valorizzando il dif-ferente retaggio socio-culturale che questi si porta dietro. Talvolta, ha configurato il movente religioso quale attenuante generica ex art. 62 bis c.p., talaltra, in presenza di detto mo-vente e ai soli fini della determinazione della pena base (art. 133 c.p.), ha ravvisato una minore intensità dell’elemento psicologico.

3. La applicazione/disapplicazione delle esimenti nel-le singole fattispecie di reato

Le fattispecie penali rispetto alle quali un siffatto eserci-zio può venire in considerazione sono le più svariate in quanto l’esercizio del proprio credo religioso abbraccia tut-te le manifestazioni di pensiero e di comportamento attra-verso le quali si svolge la vita del singolo credente; sicché il conflitto

34 tra regole della propria fede religiosa e disposi-zioni dello Stato di diritto di appartenenza può investire i più disparati settori di operatività dell’ordinamento. Si è ri-tenuto plausibile, tuttavia, considerare scriminante solo le

34 Cfr. A. LANZI, La scriminante dell’art. 51 c.p. e le libertà costituzio-nali, cit., p. 87, il quale parla di «totale conflittualità virtuale» tra ordi-namento religioso e ordinamento penale, conflitto che peraltro già trova una prima soluzione di massima a favore delle regole poste dallo Stato di diritto nella stessa previsione che, in sede costituzionale, caratterizza la libertà religiosa; cioè il limite imposto dalla stessa norma costituzionale in relazione alle ipotesi di riti contrari al buon costume. Circa le implica-zioni del diritto di professione religiosa nell’ambito del diritto penale, cfr. L. MUSSELLI, La libertà religiosa e di coscienza, in Digesto delle disci-pline pubblicistiche, XII, Utet, Torino, 1994, p. 222 ss.

Giovanni Crocco 236

condotte di tenue lesività: il bilanciamento 35 tra i diversi

beni ed i diversi fini/valori vedrebbe prevalere, talvolta, la libertà religiosa sugli altri eventuali controinteressi di rango costituzionale, anche in un’ottica gerarchica. Al contrario, non risulterebbero scriminate condotte lesive di beni e di-ritti sovraordinati (come il diritto alla vita e all’incolumità della persona, il diritto alla salute, il diritto all’onore e alla reputazione, etc. 36), la cui tutela funge da limite esterno alla libertà religiosa

37. La giurisprudenza e le massime voci della giustizia italia-

na si sono trovate più volte a rispondere su questi delicatis-simi temi, ma non si è mai ravvisata univocità di orienta-menti, anche alla luce di una vasta ed eterogenea casistica. Sono qui da ricordare, infatti, una serie di pronunce, a te-stimonianza del fatto che la tematica affrontata in questo breve articolo sia delle più attuali e controverse nel pano-rama giuridico-religioso italiano.

Reato di favoreggiamento personale

Un sacerdote, condannato in primo grado per favoreg-

giamento personale aggravato nei confronti di un capo ma-

35 Cfr. Cass., sez. III, sent. 19 dicembre 2006, n. 27141. Così, ad avvi-so della Suprema Corte, è sempre necessario, nelle ipotesi di risoluzione del conflitto tra norme parimenti protette, un bilanciamento di interessi, eseguito caso per caso ad opera dell’interprete. Per utilizzare le parole della Corte, appare «decisivo, ai fini del riconoscimento dell’esimente, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita».

36 La problematica sorge anche in relazione ad altre tipologie di reati, quali quelli contro il matrimonio e l’assistenza familiare, contro il patri-monio, contro l’amministrazione della giustizia. Per un approfondimen-to su tali questioni, cfr. A. GARGANI, Libertà religiosa e precetto penale nei rapporti familiari, in Dir. eccl., I, 2003, p. 1013 ss.

37 G. CASUSCELLI, Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., p. 252.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 237

fioso in latitanza, venne assolto in appello 38, poiché il reli-

gioso avrebbe “commesso il fatto nell’esercizio di un dirit-to”, cioè per aver esercitato legittimamente il suo ministero visitando il mafioso e dicendo messa nel suo nascondiglio. La sentenza fu confermata anche dalla Suprema Corte

39 qual-che anno più tardi poiché, a suo avviso, la conversione del peccatore (anche se privato dell’ausilio sacramentale dell’eu-carestia) costituisce esplicazione del ministero spirituale, e pertanto non occorre che un sacerdote cattolico sia auto-rizzato da un suo superiore perché si incontri col fedele e celebri funzioni religiose nel luogo nel quale costui conti-nua ad occultarsi dalle forze dell’ordine. In effetti, il sacer-dote non si era prestato a ricevere il delinquente presso la sua parrocchia, ma aveva accettato di recarsi nel suo na-scondiglio, allestendo addirittura la sala con un “altarino” improvvisato, in maniera tale che il secondo avesse potuto soddisfare pienamente le sue esigenze religiose senza espo-sizioni e senza minacce alla propria libertà.

38 Cfr. Corte di Appello di Palermo, sentenza 5 novembre 1999, per la quale il sacerdote cattolico che, nell’esercizio del suo ministero, si reca nel rifugio di un latitante per celebrarvi messa è esente da responsabilità penale per effetto della scriminante prevista dall’art. 51 c.p. e pertanto va assolto dal reato di favoreggiamento personale ascrittogli in primo grado, per aver commesso il fatto nell’esercizio di un diritto a lui deri-vante dall’art. 2, comma 1, dell’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, diventato poi legge 25 marzo 1985, n. 121 – Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, in base al quale la Re-pubblica italiana assicura alla Chiesa cattolica «la libertà di organizza-zione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica». Per un approfondimento su questa vicenda giudiziaria, S. BORDONALI, Memoria difensiva (profili ecclesiastici) nella causa penale per favoreggia-mento personale aggravato contro un sacerdote, in Dir. ecclesiastico, II, 2001, p. 242 ss.

39 Cfr. Cass., sez. V, sentenza n. 27856/2001.

Giovanni Crocco 238

Alla luce di questa pronuncia esemplare bisogna, quindi, dedurre che, anche in virtù dei riconoscimenti elargiti dallo Stato alla Chiesa cattolica negli Accordi di Villa Madama, quest’ultima goda di una piena libertà, scevra da vincoli, nell’organizzazione ed attuazione della sua missione pasto-rale e spirituale; libertà che, di conseguenza, finisce col pre-valere su – se non addirittura annullare – le esigenze puniti-ve e/o rieducative dello Stato. La più autorevole dottrina, a tal proposito, invita a riflettere proponendo un quesito – in apparenza dall’aspetto più retorico che provocatorio – a cui (probabilmente) si preferisce non dare risposta: cosa ne sa-rebbe dell’analogo caso di un imƗm

40 che presti assistenza spirituale ad un presunto terrorista latitante

41?

Reato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti e reato di illecita detenzione a fine di spaccio

Questa seconda categoria ricomprende due fattispecie

penali, accomunate da profili di similitudine. Nel primo caso di specie venne contestato ad una fittizia

formazione sociale 42, deputata a favorire l’esercizio in forma

associata della professione di un culto religioso, il reato di

40 Termine di derivazione araba utilizzato, nella maggioranza dei casi, per designare la Guida spirituale che si pone a capo della preghiera ri-tuale collettiva dei musulmani; il sostantivo può indicare anche i capi di movimenti politico-religiosi di tale cultura. Cfr. Wikipedia, voce Imam (www.it.wikipedia.org).

41 G. CASUSCELLI, Appartenenze/credenze di fede e diritto penale: per-corsi di laicità, cit., p. 21.

42 Il nuovo movimento religioso è conosciuto come “Santo Daime”, avente origine nella foresta amazzonica, in Brasile, e diffuso, a partire dalla fine degli anni ’90, in vari paesi europei. In Italia, in particolare, vi è un ramo denominato “Cefluris” (centro eclettico fonte luce uni-versale Raimundo Ireneu Serra), con principale punto di riferimento e sede della setta nell’immobile dove furono rinvenute le sostanze illegali e scovati i processati.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 239

associazione a delinquere finalizzata all’uso e allo spaccio di sostanze stupefacenti, i cui associati si avvalevano dell’utiliz-zo rituale di una particolare bevanda, nota come ayahua-sca

43, che era in grado di provocare e condurre ad uno stato di “espansione della coscienza”, di trance, simile all’estasi mistica. La Corte di legittimità, a differenza dell’ipotesi de-littuosa poc’anzi citata, assunse, a tal proposito, un orien-tamento di sfavore per i damaisti; statuì, infatti, che «l’esi-genza di praticare un certo culto religioso o il farne opera di proselitismo, pur essendo fenomeni certamente liberi ed anzi tutelati, non possono essere addotti quali cause di giu-stificazione, laddove sconfinino in un illecito penale», supe-rando con queste parole anche l’argomento del consumo di gruppo addotto, infruttuosamente, dalla difesa

44. Nella seconda fattispecie, invece, la Suprema Corte

45, in un caso di illecita detenzione a fine di spaccio di marijuana,

43 Si tratta di un decotto di foglie, rami e altre parti di piante amazzo-niche, tra le quali quelle del genere prycotria che contengono la sostanza psicotropa dimetiltriptamina – DMT, sostanza inclusa nella tabella allega-ta al d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 – Testo unico delle leggi in materia di di-sciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilita-zione dei relativi stati di tossicodipendenza, e pertanto vietata.

44 Cfr. Cass., sez. VI, sent. 5 dicembre 2005, n. 44227. Per un appro-fondimento su questa vicenda giudiziaria, Cass., sez. VI pen., n. 44227 del 2005, in Diritto e religione, 2006, p. 741 ss.; S. TROILO, La libertà re-ligiosa nell’ordinamento costituzionale italiano, in Anales de derecho, n. 26, Murcia (Spagna), 2008, p. 368. In merito, A. DE OTO, L’identità reli-giosa e le pratiche di culto dei migranti nell’ordinamento giuridico italiano, estratto dalla relazione svolta al Seminario formativo ASGI “Quale ricono-scimento e trattamento dei simboli e delle pratiche religiose degli immigrati nel mondo del lavoro e nella società multiculturale?”, Trieste, 9 maggio 2009, ritiene che sia «abbastanza pacifico che una confessione religiosa, la cui tra-dizione sia stata integralmente portata qui da migranti che nel paese di par-tenza praticavano atti di culto che in Italia sarebbero in palese contrasto con il codice penale, non possa, ragionevolmente pretendere di duplicare tout court questa ritualità nel territorio italiano».

45 Cfr. Cass., sez. VI, sent. 3 giugno 2008, n. 28720.

Giovanni Crocco 240

cassò con rinvio la decisione adottata dalla Corte d’Appello di Perugia

46, che aveva ribadito, sulla scia della sentenza di pri-mo grado, la colpevolezza dell’imputato, pur tuttavia errando. In sostanza, il soggetto fu sorpreso dai Carabinieri del posto in possesso di una busta contenente marijuana non preconfe-zionata in dosi bensì sfusa (in quantità di 97,300 gr.), conser-vata dietro al sedile della sua vettura parcheggiata in una piazzola di sosta dove l’uomo stava dormendo. L’individuo si era, da subito, dichiarato adepto della religione c.d. rastafa-riana e aveva giustificato il possesso della droga per esclusivo uso personale. A prescindere dall’appartenenza religiosa che prevede l’uso quotidiano dell’“erba sacra”

47 da consumare da soli fino a 10 grammi al giorno, non era dato ritenere com-provato il possesso della droga (stimabile in settanta dosi dro-ganti) per esclusivo uso personale; ciò nonostante, la sentenza fu annullata perché non sufficientemente motivata in ordine alla dedotta finalità di detenzione della marijuana. La senten-za ha fatto molto discutere nel mondo giuridico e clericale e fu riportata anche dai maggiori organi di stampa

48. A proposito del reato in oggetto, va segnalato, breve-

46 Cfr. Corte d’Appello di Perugia, sentenza 13 dicembre 2004. 47 La Corte, in ogni caso, è consapevole che, «secondo le notizie rela-

tive alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come “erba meditativa” come tale possibile apportatrice dello stato psicofisico inteso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che la “erba sacra” sia cresciuta sulla tomba di re Salo-mone, chiamato il Re saggio e da esso ne tragga la forza, come si evince da notizie di testi che indicano le caratteristiche di detta religione».

48 Cfr. M. CAVALLIERI, Cassazione, sentenza shock. La marijuana aiuta a pregare, i rasta possono tenerla, in La Repubblica, 11 luglio 2008, p. 19. Così, «ROMA-La marijuana può essere uno strumento di ricerca spiri-tuale, di meditazione e anche di preghiera. Lo credono i seguaci della religione rastafari e anche i giudici della Cassazione lo pensano e per questo, nel rispetto della fede altrui, assolvono il signor …», queste le parole con cui si apre l’articolo di giornale.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 241

mente, un recentissimo orientamento della Suprema Corte 49

proprio in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, fina-lità di spaccio e uso personale. Orientamento che confligge, palesemente, con il dettato dell’art. 73, comma 1 bis, D.P.R. 309/1990 e, per di più, con la sua costante interpretazione giurisprudenziale; viene a cadere la presunzione della desti-nazione allo spaccio ed appare inammissibile un’inversione dell’onere probatorio a carico del detentore.

Reato di associazione con finalità di terrorismo

In un ulteriore caso, a carattere transnazionale, fu adde-

bitato ai ricorrenti dinanzi alla Corte di Cassazione il reato associativo di cui all’articolo 270 bis c.p., che disciplina il fenomeno delle “Associazioni con finalità di terrorismo an-che internazionale o di eversione dell’ordinamento democra-tico”. Il reato ascritto era desumibile dalla continuità e si-stematicità dei collegamenti di natura organizzativa fra gli affiliati, sia pure nella rilevata “peculiarità” del fenomeno

49 Cfr. Cass., sez. VI, sent. 1 giugno 2011, n. 21870. I giudici di legit-timità, così, ribadiscono la linea dell’inesistenza sia di una presunzione di destinazione alla spaccio in ipotesi di sostanza stupefacente detenuta, (ove eccedente i limiti tabellari introdotti con la novella del 2006), sia della possibilità di inversione dell’onere della prova, con addebito al de-tentore dell’obbligo di dimostrare la destinazione del compendio ad un uso esclusivamente personale. L’art. 73, comma 1 bis, del D.P.R. n. 309/1990 contiene, infatti, specifici strumenti valutativi, i quali, se osser-vati, devono assolvere alla funzione di dimostrare – al di là di ogni ra-gionevole dubbio – l’uso non esclusivamente personale cui la droga è finalizzata; tale dimostrazione ricade sempre e comunque sulla pubblica accusa. Qualora, invece, dovesse anche solo ipotizzarsi un inversione dell’onere probatorio circa la detenzione e la sua finalità, si andrebbe a violare una delle regole codicistiche più importanti nel contesto del di-ritto di difesa e vulnus del contraddittorio fra le parti del processo. Sulla stessa tematica, cfr. Cass., sez. VI, sent. 28 febbraio 2011, n. 7578; cfr. Cass., sez. VI, sent. 17 aprile 2008, n. 16176.

Giovanni Crocco 242

definibile come terrorismo religioso a matrice islamica di natura internazionale. La Suprema Corte precisa che “la co-stituzione di un sodalizio criminale non può essere esclusa per il fatto che lo stesso sia imperniato per lo più attorno a nuclei culturali che si rifanno all’integralismo religioso isla-mico, perché, al contrario, i rapporti ideologico-religiosi, sommandosi al vincolo associativo che si propone il com-pimento di atti di violenza finalizzati a terrorizzare, lo ren-dono ancora più pericoloso”

50.

Reato di abusi elettorali In tema di abusi elettorali, in occasione del referendum

abrogativo della legge sull’aborto 51, fu riconosciuta la re-

sponsabilità penale di un parroco per il fatto di aver affisso manifesti sulle porte della chiesa e dei centri parrocchiali – quindi al di fuori degli appositi spazi destinati alla propa-ganda elettorale – con la scritta “sì alla vita”. La Corte sta-bilì l’impunibilità del sacerdote in quanto la libertà di co-municare e corrispondere con il clero e tutti i fedeli nonché la libertà di pubblicare e affiggere, sia all’interno che all’es-terno degli edifici destinati a culto o comunque di pertinen-za parrocchiali, documenti, istruzioni, immagini ed altri atti relativi al ministero spirituale e alla missione pastorale e educativa della Chiesa, è ampiamente riconosciuta all’auto-rità ecclesiastica dall’Accordo di Villa Madama del 1984

52;

50 Cfr. Cass., sez. II, sent. 21 dicembre 2004-17 gennaio 2005, n. 669. 51 Cfr. legge 22 maggio 1978, n. 194 – Norme per la tutela sociale del-

la maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, generalmente chiamata “la 194”.

52 In merito, l’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, diven-tato poi legge 25 marzo 1985, n. 121 – Ratifica ed esecuzione dell’accor-do, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, sancisce, nei suoi artt. 2 comm. 2 e

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 243

come se ciò non bastasse, tale libertà non può, in alcun mo-do, essere limitata per effetto di una legge ordinaria che detta norme per la disciplina della propaganda elettorale

53, neppu-re nelle res mixtae, «in cui il tema spirituale è anche oggetto del dibattito civile, politico e sociale, posto a base di una consultazione elettorale o referendaria»

54.

Reati contro l’amministrazione della giustizia In questa peculiare tipologia di reati, vi rientrano sicu-

ramente i reati di rifiuto per motivi religiosi di uffici legal-mente dovuti

55 e, a tal proposito, è possibile ricordare epi-sodi isolati che, pur se datati, hanno fatto scuola nell’am-biente giuridico-penale.

La questione fu sollevata a proposito del reato di rifiuto di prestare il giuramento

56 da parte del testimone e a quello di

3, che è «assicurata la reciproca libertà di comunicazione e di corrispon-denza fra la Santa Sede […] il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa», e ancora che è garantita ai cattolici e alle loro formazioni religiose «la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

53 Si sta facendo riferimento alla legge 4 aprile 1956, n. 212 – Norme per la disciplina della propaganda elettorale.

54 Cfr. Cass., sez. III, sent. 6 maggio 1985. 55 Tipologia di reato, prevista e punita dall’art. 366 c.p., che ricom-

prende una serie di fattispecie-tipo, ad esempio, il rifiuto dell’interprete, del perito, del custode e del testimone di prestare il proprio ufficio, non ottemperando così all’obbligo imposto loro dall’autorità giudiziaria.

56 Il nuovo codice di procedura penale non prevede più l’istituto del giuramento, sostituito per i testimoni e i periti da una dichiarazione di responsabilità (artt. 497 e 226 c.p.p.). In merito, la Corte cost. più volte si è occupata dell’incompatibilità in astratto tra norme ordinarie, che prevedevano il giuramento, e la norma di cui all’art. 19 Cost. a tutela della libertà religiosa di tutti e, solo dopo un lungo percorso scandito da pronunce di segno opposto, è giunta alla sentenza 10 ottobre 1979, n. 117, che ha dichiarato incostituzionali le norme del codice di procedura

Giovanni Crocco 244

rifiuto dell’ufficio di giudice popolare 57. In relazione alla

prima delle due fattispecie – qui sommariamente trattata – la giurisprudenza è intervenuta più volte, senza però seguire un criterio omogeneo

58 e la questione è stata sempre affrontata procedendo all’esame contestuale dell’art. 19 Cost. e dell’art. 54, comma 2, Cost. «Se, infatti, è chiaro che l’estrinsecazione del diritto sancito dall’art. 19 Cost. non può trovare dei limiti esterni imposti dalla norma penale di cui all’art. 366 c.p. – la quale recepisce senz’ombra di dubbio il principio esplicita-mente enunciato dall’art. 54, comma 2, Cost. –, è però altret-tanto chiaro che tale ultima norma costituzionale possa, inve-ce, fornire dei limiti esterni all’estrinsecazione del diritto ex articolo 19 Cost., in maniera tale che, stando così le cose, non potrà essere più invocata la scriminante ex art. 51 c.p., se l’esercizio del diritto di libertà religiosa avvenga oltre i limiti esterni che per esso esistono»

59. Anche la dottrina

60, infatti, preferisce optare per la pre-

penale e civile che statuiscono la formula del giuramento, nella misura in cui le stesse impongono, anche ai non credenti, la lettura del passo della formula relativa alle responsabilità assunte davanti a Dio.

57 Cfr. Pretore di Torino, 16 gennaio 1981, in Foro it., 1981, II, c. 317 ss. (con nota critica di E. GIRONI), che ha ritenuto applicabile l’esimente del-l’esercizio del diritto fondata sull’art. 19 Cost.

58 Cfr. Tribunale minorile di Napoli, sent. 17 dicembre 1957, in Foro it., voce Rifiuto di ufficio legalmente dovuto, 1959, c. 2162, che ha ritenu-to non ammissibile l’esimente dell’esercizio del diritto di libertà religio-sa; in relazione a tale previsione di reato, cfr. Tribunale di Roma, senten-za 7 aprile 1975, in Arch. pen., Aracne, Roma, 1975, II, p. 341 ss., che ha, invece, ritenuto il fatto non punibile applicando però l’esimente di cui all’art. 384 c.p. (Casi di non punibilità), nell’ipotesi in cui il testimone si rifiuti di prestare il giuramento di rito, adducendo il divieto derivante dalle proprie convinzioni religiose al compimento di tale atto, in quanto altrimenti si verificherebbe un grave nocumento al proprio onore.

59 Cfr. A. LANZI, La scriminante dell’art. 51 c.p. e le libertà costituzionali, cit., p. 89.

60 Cfr., P.A. D’AVACK, voce Libertà religiosa (dir. eccl.), in Enc. dir., cit., p. 598; F. FINOCCHIARO, Giuramento dei testimoni e libertà religio-

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 245

minenza del principio espresso dall’art. 54, comma 2, Cost., poiché si ritiene che quest’ultima sia una norma a carattere generale, riferibile quindi ad ogni individuo a prescindere dalle sue credenze religiose o appartenenze culturali e in grado di evitare ogni tipo di discriminazione tra credenti e non credenti.

Quindi, qualora un individuo, per mancanza di fede o per adesione a una confessione religiosa i cui principi sono contrari alla formula sacrale, si rifiuti di prestare giuramen-to, in linea generale non può essere scriminato, poiché l’e-sercizio del diritto di libertà religiosa non può giustificare un comportamento in contrasto con interessi preminenti co-stituzionalmente previsti (dovere di adempiere le funzioni pubbliche affidate, ex art. 54, comma 2, Cost.).

4. I riflessi dell’appartenenza confessionale sulla di-sciplina delle circostanze aggravanti e attenuanti

Oltre alle cause di giustificazione, la disciplina penale del fenomeno religioso contempla al suo interno anche tutti que-gli elementi (accidentali, quindi non necessari) che accedo-no ad un reato già perfetto, comportando solo una modifi-cazione della pena edittale. Si parla, in tal senso, di circo-stanze aggravanti e attenuanti, generiche e specifiche.

Per quanto riguarda le prime, il diritto ecclesiastico, in materia penale, fa generalmente riferimento solo ai numeri 9 e 10 delle aggravanti comuni previste dall’art. 61 c.p.; il n. 1, invece, viene escluso a priori poiché il “motivo religioso”, per definizione, non è mai abietto o futile

61. Secondo costante

sa, in Riv. it. dir. e proc. pen., Giuffrè, Milano, 1960, p. 1254. 61 Cfr. Cass., sent. 8 marzo 1950, in Giust. pen., Roma, 1950, II, p.

723. Così, i caratteri proprio del motivo religioso escludono che esso possa essere indice di «una personalità vile e depravata, (…), tale da su-

Giovanni Crocco 246

giurisprudenza (Cass., sent. 4 dicembre 2013, n. 51059; Cass., sent., 13 ottobre 2010, n. 39261), infatti, la circostanza ag-gravante dei futili motivi sussisterebbe solo quando la deter-minazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato. È anche pacifico che tale circostanza abbia natura soggettiva, dovendosi individuare la ragione giustificatrice della condot-ta nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto. A tal proposito, in un recentissimo caso di tentato omicidio di una figlia irrispettosa dei precetti coranici, la Suprema Corte adita ha correttamente configura-to l’insussistenza dell’aggravante dei futili motivi, non rite-nendo lieve o banale la spinta che aveva indotto il padre, di fede islamica, ad agire.

Per quanto riguarda la valutazione ai fini di un’aggra-vante o di un’attenuante della pena, negli ordinamenti teo-cratici e in quelli confessionali, a giudizio di una attendibile dottrina, il reato determinato da motivo religioso riceve co-munque una valutazione differenziata a seconda della reli-gione che motiva il gesto criminoso

62. In Italia, dal momen-to che non c’è alcuna espressa menzione nel codice penale del motivo religioso tra le circostanze aggravanti o atte-nuanti, si preferisce determinarlo attraverso un indagine di fatto, da condursi di volta in volta e caso per caso.

Circa le circostanze aggravanti (comuni) della pena, l’art.

scitare un profondo senso di ripugnanza e di disprezzo in una persona di media moralità».

62 Cfr. M.C. DEL RE, Il reato determinato da movente religioso, Giuf-frè, Milano, 1961, p. 33 ss., in base al quale, se la religione è quella di Stato, si riconosce generalmente valore di attenuante comune al motivo religioso e, in alcune fattispecie specifiche, il motivo legittimerebbe ad-dirittura l’atto criminoso; se, invece, il reato trova motivo in credenze religiose che contrastano con i principi dell’ordinamento ospitante, allo-ra sarà considerato tra le aggravanti.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 247

61 c.p. prende in considerazione la qualità di ministro di culto in capo al soggetto che commette o subisce il reato, prevedendo solo due fattispecie tipiche: quella del n. 9, cioè «l’aver commesso il fatto con abuso di poteri

63 o con viola-zione dei doveri inerenti (…) alla qualità di ministro di cul-to»; e quella formulata dal n. 10, cioè “l’aver commesso il fatto contro (…) una persona rivestita dalla qualità di mini-stro di culto cattolico o di un culto ammesso dallo Stato”.

Per entrambe le ipotesi vi è una corposa e significativa giurisprudenza che analizza tali circostanze sotto più profili, aiutando così giudici e giuristi nella risoluzione dei casi più controversi

64. Giusto per citarne uno, in un recentissimo episodio di

truffa pluriaggravata e di furto ai danni di un parroco, è sta-ta riconosciuta sussistente l’aggravante di cui all’art. 61, n. 10, c.p. (ossia l’avere commesso il fatto nei confronti in un ministro di culto «nell’atto o a causa dell’adempimento del-le funzioni di servizio»), consistendo la ratio dell’aggravante in esame – ad avviso della dottrina maggioritaria – nel-l’esigenza di garantire una tutela rafforzata a favore di alcu-ni soggetti in ragione del peculiare ruolo svolto dagli stes-si

65.

63 Per i ministri del culto cattolico, il Codex Juris Canonici parla di “potere canonico” (can. 1752 ss. c.j.c.).

64 Cfr. Cass., sez. II, sent. 26 febbraio 1988, sulla natura soggettiva dell’aggravante e la ratio sottesa; cfr. Cass., sez. IV, sent. 20 febbraio 2008, n. 22614, sulla rilevanza pubblica delle qualifiche rivestite dagli autori del reato; cfr. Cass., sent. 5 marzo 2004, n. 17664, sulla prova del-la qualifica rivestita dal soggetto passivo; cfr. Tribunale di Bergamo, sen-tenza 26 luglio 2007, n. 645, per un caso in cui viene riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11, anziché quella di cui al n. 9.

65 Cfr. Cass., sez. II, sent. 23 gennaio 2013, n. 3339. Proprio in rela-zione del peculiare ruolo ricoperto da tali soggetti, si evince, infatti, che nell’ipotesi del reato commesso a causa dell’adempimento medesimo, la più energica tutela penale è stabilita per impedire le vendette e le altre

Giovanni Crocco 248

Secondo il giusto apprezzamento del giudice di legittimi-tà, infatti, la Corte di merito ha correttamente motivato la sussistenza dell’aggravante di specie, ritenendo che «le “o-pere di carità” rappresentano un “servizio” tipico del mini-stero cattolico – basti pensare alla destinazione delle elemo-sine o delle somme espressamente destinate dagli oblanti “ai poveri della parrocchia” – sicché modeste elargizioni a persone bisognose o indigenti costituiscono, di fatto, una costante dell’attività dei parroci».

Oltre a queste ipotesi di aggravanti generiche, tuttavia, esistono anche delle aggravanti specifiche in relazione a rea-ti dove circostanze o elementi a carattere religioso fanno da sfondo, come nel caso del reato di furto ex art. 625, n. 7, c.p., quando viene perpetrato su cose destinate alla pubblica reve-renza (ad esempio, immagini sacre e cose consacrate), o quel-lo del reato di danneggiamento ex art. 635, comma 1, c.p., quando il delitto viene commesso a danno di edifici destinati all’esercizio di un culto.

Circa le circostanze attenuanti (comuni), l’art. 62 c.p. con-templa l’ipotesi dell’«aver agito per motivi di particolare va-lore morale o sociale», e cioè per motivi che non solo godo-no dell’approvazione della coscienza comune, ma risultano altresì apprezzabili sotto il profilo etico o sociale

66 (e, per-ché no, religioso). In ogni caso il motivo, per essere rilevan-te ai fini dell’applicazione dell’attenuante in esame, deve es-sere comunque «conforme alla morale dominante del popo-lo italiano nell’attuale momento»

67storico-giuridico, e sono

ingiuste reazioni cui può dar luogo il detto esercizio. Tale funzione san-zionatrice rafforza, quindi, la convinzione che l’intento dell’offesa deve essere diretta contro la persona in ragione della istituzione, sovrana o religiosa, che la stessa rappresenta.

66 Per giurisprudenza costante. 67 Cfr. Cass., I sez., sent. 6 dicembre 1950, in Giust. pen., Roma,

1951, II, p. 379.

Diritto, ordine e religione nella tutela penale 249

stati considerati tali dalla giurisprudenza italiana, ad esem-pio, l’affetto materno, l’amor di patria, l’eccesso di zelo, il sentimento di dignità, anche se il valore morale o sociale dovrebbe sempre essere ricercato caso per caso, senza alcu-na schematizzazione preventiva. Ne deriva che, qualora il giudice nel singolo caso rilevi la religiosità del motivo, l’at-tenuante generica dovrebbe essere riconosciuta

68. In ogni caso, a parer di molti giuristi, il principio fonda-

mentale dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla leg-ge (art. 3 Cost.) impedisce di considerare l’esercizio della fede come fattispecie attenuante o, peggio ancora, esimente. In particolare, è stato rilevato che anche l’attenuante di cui all’art. 62, n. 1 c.p., cioè «l’aver agito per motivi di partico-lare valore morale o sociale», non potrà discendere dalla circostanza che una certa azione, contraria ai principi di fondo del nostro ordinamento (ad esempio, la lapidazione dell’adultera o l’inflizione di mutilazioni o pene corporali), sia stata espletata a causa dell’adesione ad una fede religio-sa: occorre, infatti, che vi sia anche una coincidenza con i valori sociali e morali condivisi dal popolo italiano. Così, seppure l’adesione interiore a religioni che abbiano precetti incompatibili con tali valori non può in alcun modo essere considerata come un illecito, stante la completa libertà di scelta in questo campo, nondimeno i comportamenti conse-guenti non possono che essere valutati alla stregua dell’ordi-namento statale e dei valori a cui questo si ispira

69.

68 Significativo, a tal proposito, è “il caso del Vescovo di Prato”, al quale, nella sentenza assolutoria di primo grado, fu riconosciuta l’atte-nuante di cui al n. 1 dell’art. 62 c.p., per la religiosità del motivo, nono-stante la sua condotta avesse integrato il reato di vilipendio. Per un mag-giore approfondimento del caso giudiziario, SPINELLI, La sentenza asso-lutoria del Vescovo di Prato, in Foro it., 1959, I, c. 274; A. PIOLA, Osser-vazioni sulla sentenza fiorentina di condanna del Vescovo di Prato, in Iu-stitia, 1958, II, p. 113.

69 Facendo leva proprio su queste considerazioni, la Corte di Cassa-

Giovanni Crocco 250

Resta ovvio che tale attenuante, per se in teoria applicata anche ai più efferati delitti, non potrà mai trovare applica-zione rispetto ai delitti politici e di terrorismo commessi per finalità di religione. È stato infatti opportunamente rilevato che «la ‘guerra santa’ da alcuni ricondotta, addirittura, alle pagine del Corano non può far meritare l’attenuante in pa-rola»

70.

zione ha ritenuto più volte non giustificabili determinate ipotesi di reato, cfr. supra, nota 39, par. 2, p. 12.

70 Cfr. G. SALCUNI, Libertà di religione e limiti alla punibilità. Dalla “paura del diverso” al dialogo, in Indice penale, Cedam, Padova, 2006, IX, 1, p. 646.