diritto urbanistico docente : prof. antonino longo orario di ricevimento : lun., mar., mer. 11-12

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DIRITTO URBANISTICO• Docente: Prof. Antonino Longo• Orario di ricevimento: lun., mar., mer. 11-12• Email: [email protected]• Luogo di ricevimento: D.A.U., piano III• Corso di Laurea: Edile-Architettura• Anno di corso: I• Semestre: I• Numero totale dei crediti: 5 cfu

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CONTENUTO DEL CORSO (testo Urbani)Parte I: principi, funzioni, soggetti.I. Nozioni generaliII. Evoluzione e fonti del diritto urbanisticoIII. Attori pubblici e funzioni urbanisticheIV. La funzione di salvaguardiaV. La funzione di disciplina sostanzialeParte II: la funzione precettivaVI. I procedimenti di pianificazione urbanistica e territoriale. Profili generaliVII. Gli strumenti urbanistici comunaliSezione I: il piano regolatore generaleSezione II: la funzione di gestioneSezione III: la riconversione urbanaVIII. Le convenzioni urbanisticheIX. La pianificazione sovracomunale e di coordinamento e gli interesse differenziatiX. La proprietàXI. Le opere pubblicheXII. L’urbanistica consensuale.Parte III: Controllo dell’attività ediliziaXIV. La funzione sanzionatoria

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CONTENUTO DEL CORSO (Testo Longo)Capitolo I – La riforma del Titolo V della Costituzione rilancia la territorialità quale fattore

unificante dei governiCapitolo II – Il consenso interistituzionale e la pianificazione territorialeCapitolo III – La tutela nazionale degli interessi territoriali sul piano collaborativo e

sussidiarioCapitolo IV – I percorsi di cooperazione territoriale in EuropaCapitolo V – Limiti dei moduli concertativi nell’ordinamento italianoCapitolo VI – La necessità ineludibile di una legge di principiCapitolo VII – Alcune considerazioni finali

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TESTI DI RIFERIMENTO

URBANI P., CIVITARESE S., Diritto Urbanistico, Torino, Giappichelli, 2010.

LONGO A., Governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2009.

Slides, dispense ed altro materiale didattico saranno resi disponibili durante lo svolgimento delle lezioni

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MODALITA’ D’ESAME

• Durante lo svolgimento delle lezioni saranno raccolte le firme attestanti la presenza.

• Controappelli saranno effettuati per verificare l’effettiva frequenza degli studenti.

• Saranno effettuate verifiche scritte o colloqui orali in itinere sulla preparazione conseguita dagli studenti frequentanti ad integrazione dell’esame finale.

• L’esame finale consisterà in una prova orale

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UOMO E DIRITTO

Ubi societas, ibi ius è una locuzione latina che significa "dove c'è una società (civile), lì vi è il diritto".

Ogni società non può che fondarsi sul diritto, non può esservi alcuna società (civile) che non avverta l'esigenza di regolamentarsi.

"Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius".Principio di origine romanistica che sta ad indicare come l'uomo

abbisogni necessariamente di regole giuridiche per poter vivere. Difatti se l'uomo è un "animale sociale" per usare una espressione di Aristotele, ossia necessariamente deve vivere con altri uomini e si relaziona costantemente con altri uomini. Per poter fare tutto questo è necessaria la creazione di regole.

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DIRITTO NATURALE E DIRITTO POSITIVO• Il termine diritto, nella sua più nota accezione, identifica

l'insieme ed il complesso sistematico delle norme che regolano la vita dei membri della comunità di riferimento.

• Due concetti del diritto: naturale e positivo.Una delle concezioni più risalenti è la c.d. teoria del diritto naturale, o giusnaturalismo. Tale teoria postula l’esistenza di una serie di princìpi eterni e immutabili, inscritti nella natura umana. Il diritto positivo (cioè il diritto effettivamente vigente) non sarebbe altro che la traduzione in norme di quei princìpi. Il metodo adottato dal legislatore è, dunque, un metodo deduttivo: da princìpi universali si ricavano (per deduzione) le norme particolari.

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LE NORME• Per norma giuridica si intende la “regola di condotta”, dotata

dei caratteri della generalità e dell’astrattezza, avente la capacità di determinare, in maniera tendenzialmente stabile, l'ordinamento giuridico generale (ossia il diritto oggettivo). Una norma è una proposizione volta a stabilire un comportamento condiviso secondo i valori presenti all'interno di un gruppo sociale. Essa è finalizzata a regolare il comportamento dei singoli appartenenti al gruppo, per assicurare la sua sopravvivenza e perseguire i fini che lo stesso ritiene preminenti.

• La generalità consiste nella ripetuta applicabilità della stessa ogni qual volta si presentino le condizioni prescritte.

• L’astrattezza si riferisce al fatto che la norma giuridica non deve essere ricondotta ad un caso specifico, ma deve riferirsi ad un situazione astratta, ciò per garantire l'applicabilità ad una molteplicità di casi concreti.

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“COATTIVITA’ “ DELLE NORME GIURIDICHE

• La norma giuridica viene assimilata ad un comando, che impone all'individuo un determinato comportamento. Il carattere "coattivo" della norma giuridica è, dunque, imprescindibile. Questo elemento centrale della norma giuridica contribuisce, in modo determinante, a differenziarla da altri tipi di norme, come quelle morali o religiose, che appartengono ad una sfera non coattiva.

• L'individuo è libero o meno di assecondare un comando religioso o morale. Può sentirsi perfino obbligato a farlo ma tale obbligo non è generalizzabile. Affini alle norme giuridiche vere e proprie possono considerarsi quelle deontologiche, che appartengono più alla sfera morale, ma che, quando sono inserite in disciplinari di ordini professionali o di associazioni di produttori, possono prevedere anche sanzioni in caso di violazione.

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CARATTERISTICHE DELLE NORME GIURIDICHE

• Le caratteristiche di una norma sono: la generalità, l'astrattezza, la novità, l'imperatività o coazione.

• A parte generalità ed astrattezza di cui si è detto innanzi, la novità è intesa nel senso che ogni norma viene emanata per regolare un comportamento che fino a ieri si riteneva che non dovesse essere regolato, oppure allo scopo di modificare un già esistente regolamento di quel tale comportamento. L'imperatività (o coazione) consiste nel fatto che, accanto ad una norma che contiene un precetto, esiste una norma che prevede la sanzione. Gli atti o fatti da cui scaturiscono le norme giuridiche costituiscono le fonti del diritto, e, più esattamente, le fonti di produzione normativa o normogenetiche.

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FONTI DEL DIRITTO• Le fonti del diritto si distinguono in fonti di cognizione e

fonti di produzione.• Per fonti di cognizione s'intende l'insieme dei documenti che

fornisce la conoscibilità legale della norma e sono, quindi, documenti che raccolgono i testi delle norme giuridiche, come la Costituzione, la Gazzetta Ufficiale e i codici.

• Per fonti di produzione s'intendono gli atti e i fatti idonei a produrre norme giuridiche. Le fonti di produzione si distinguono, a loro volta, in fonti-atto e fonti-fatto.

• Per fonti-atto si intendono atti giuridici volontari imputabili a soggetti determinati ed implicano l'esercizio di un potere ad esso attribuito (“atti normativi”), mentre le fonti-fatto, pur non essendo riconducibili ad azioni volontarie, sono accettati dall'ordinamento nella loro oggettività, “fatto normativo" (si tratta, in altri termini, di meri fatti giuridici).

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ATTI GIURIDICI …

• L'atto giuridico è un fatto giuridico consistente in un comportamento umano volontario. Per gli atti giuridici, quindi, è rilevante l'imputazione ad un soggetto di diritto, che può essere la persona fisica che ha voluto il loro accadimento o la persona giuridica per la quale detta persona fisica ha agito in qualità di organo.

• Sono esempi di atto giuridico: la promessa, il testamento, la sentenza, il contratto, l'atto amministrativo. Sono, altresì, atti la legge, il regolamento e, in generale, tutti gli atti che sono fonti del diritto in quanto il loro effetto è la produzione, modificazione o abrogazione di una norma giuridica (“atti normativi”).

• Essi possono essere recettizi, non recettizi, leciti, illeciti, unilaterali, bilaterali, plurilaterali, collegiali, pubblici, privati.

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… E FATTI GIURIDICI• Con il termine fatto giuridico si indica un avvenimento o una

situazione prevista dalla fattispecie di una norma. Al verificarsi del fatto giuridico la norma ricollega il prodursi di un effetto giuridico, ossia la costituzione, modificazione o estinzione di un rapporto giuridico.

• Il fatto giuridico si distingue dal fatto naturalistico. Se un fatto naturalistico è previsto nella fattispecie di una norma, esso diventa giuridicamente rilevante in seno all'ordinamento giuridico ed è qualificabile come fatto giuridico.

• I fatti giuridici si possono inoltre distinguere in:• meri fatti, se per l'ordinamento è irrilevante la volontà del loro

accadimento, a prescindere che sia determinato da un'azione umana o da una forza della natura (ad esempio la morte di una persona, un evento meteorologico);

• atti giuridici, se, invece, per l'ordinamento è rilevante la volontà del loro accadimento, determinato da un'azione umana (ad esempio un testamento, una sentenza, un contratto)

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NORMA E LEGGE

• La norma non va in nessun caso confusa con la legge. Mentre la legge è un atto, la norma è la conseguenza di questo. La legge è una delle fonti del diritto, la norma è diritto. La norma è un comando che si ricava dall'interpretazione delle fonti del diritto (ermeneutica: dottrina e giurisprudenza).

• Le norme sono solitamente desumibili da una formulazione linguistica scritta (costituzione, legge, regolamento...) al fine di conferire alla stessa un alto grado di certezza e durevolezza nel tempo.

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FONTI DI PRODUZIONE NELL'ORDINAMENTO ITALIANO (ABROGABILITA’ E IRRETROATTIVITA’)

• Costituzione (sovraordinata a tutte le altre fonti)• legge costituzionale*• legge ordinaria• decreto legislativo• decreto legge• referendum abrogativo• regolamento• contratto collettivo di lavoro

*legge regionaleL'art. 117 della Costituzione, cosi come modificato dalla riforma del titolo V con l.3/2001, individua tre tipi di competenza legislativa:

• la competenza esclusiva dello Stato;• la competenza ripartita tra Stato e Regioni (entrambe, nelle materie espressamente indicate);• la competenza esclusiva delle Regioni, in tutte le materie non enumerate (principio di residualità).• le leggi regionali sono completamente equiparate alle leggi statali o ordinarie, per tale motivo si

collocano insieme con esse tra le fonti primarie subcostituzionali.

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FONTI-FATTI

• Le fonti sopradette, sono cd. fonti-atti, vale a dire manifestazioni di volontà espresse da un organo dello Stato o da altro ente a ciò legittimato dalla Costituzione, che, di regola, sono formulate per iscritto.

• Nel nostro ordinamento sono, però, previste anche fonti-fatti, cioè comportamenti oggettivi od atti di produzione esterni all'ordinamento che possono essere schematicamente sintetizzate in :

• consuetudine• norme di diritto internazionale generalmente riconosciute• accordi internazionali• fonti di ordinamenti stranieri richiamate nell'ordinamento

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FONTI INTERNAZIONALI …• L'ordinamento internazionale e quello interno convivono su piani

paralleli, essendo espressione di distinti processi di integrazione politica. Perciò, affinché le norme internazionali entrino a far parte dell'ordinamento interno, si deve verificare ciò che si indica con il termine di "adattamento", che può essere automatico o speciale.

• L'adattamento automatico o generale è previsto dall'art. 10 della Costituzione, laddove dispone che «l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» (cioè le consuetudini internazionali).

• L'adattamento speciale, invece, impiegato per il diritto internazionale pattizio, può consistere:

• Nel semplice «ordine di esecuzione», che opera direttamente solo in relazione a trattati contenenti norme self-executing;

• nell'adattamento speciale ordinario, ossia in atti normativi interni necessari per dare esecuzione a norme internazionali che non siano self-executing. In seguito all'adattamento, le norme internazionali assumono, nell'ordinamento giuridico interno, la stessa posizione gerarchica delle fonti che lo operano

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… E IL DIRITTO DELL’U.E.• Una particolare posizione presenta, nel quadro del diritto

internazionale, il diritto dell'Unione Europea, in quanto i Trattati e le fonti che ne derivano godono di una particolare copertura costituzionale (art. 11: «l'Italia [...] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni»), in virtù della quale presentano una particolare forza attiva, paragonabile a quella delle norme costituzionali, consistendo in una limitazione definitiva dei diritti sovrani dello Stato, e una resistenza passiva rinforzata, prevalendo, in virtù della ripartizione di competenza operata dai Trattati, le norme comunitarie su quelle interne anche successive.

• Sono dette per questo motivo norme interposte in quanto si frappongono tra la Costituzione e le altre fonti primarie. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha avallato la prassi per cui il diritto comunitario può derogare anche leggi Costituzionali purché non siano norme fondamentali e immodificabili quali ad esempio diritti fondamentali, e democraticità dell'ordinamento italiano.

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ORDINAMENTO GIURIDICO

Con il termine ordinamento giuridico si intende sia una comunità organizzata in vista del perseguimento di uno scopo comune (quindi, in questo senso, si può dire che lo Stato è un ordinamento giuridico) sia l'insieme delle norme (il diritto positivo) che regolano la vita di questa comunità (in questo senso, quindi, si dirà che lo Stato ha un ordinamento giuridico).

Il diritto positivo è il diritto vigente in un determinato ambito politico-territoriale in un determinato spazio di tempo, posto dal potere sovrano dello Stato mediante norme generali ed astratte contenute dalle leggi nonché da disposizioni concrete ed individuate di carattere "regolamentare-amministrativo“.

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ORDINAMENTO ORIGINARIO E DERIVATO• Un ordinamento giuridico può essere originario oppure

derivato. È originario quando non deriva la sua sovranità da nessun altro ordinamento (ad esempio, lo Stato la Chiesa, la Comunità internazionale); è invece derivato quando la sua sovranità non è diretta e immediata, ma un riflesso della sovranità di un altro ordinamento (le Regioni italiane e l’Unione europea sono entrambi ordinamenti giuridici derivati).

• La sovranità è l'espressione della somma dei poteri di governo riconosciuta ad un soggetto di diritto pubblico internazionale. Tale istituto giuridico rappresenta uno degli elementi costitutivi dello Stato, assieme al territorio ed al popolo. La sovranità connota il potere supremo dello Stato nei rapporti internazionali e la sua essenziale indipendenza

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STATO

• Lo Stato è un ordinamento giuridico politico, ovvero esercitante il potere sovrano su un determinato territorio e sui soggetti ad esso appartenenti. Esso comanda anche mediante l'uso della forza armata, della quale detiene il monopolio legale.Alla parola Stato afferiscono due concetti distinti:

• Stato-Comunità: popolo, stanziato su un territorio definito, che è organizzato attorno ad un potere centrale (comunemente chiamato “Stato-nazione").

• Stato-apparato (o Stato-organizzazione): quel potere centrale sovrano, organizzato in possibili differenti modi, che detiene il monopolio della forza, e impone il rispetto di determinate norme nell'ambito di un territorio ben definito.

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STATO E NAZIONE• Una nazione (dal latino natio: “nascita") è un complesso di

persone che, avendo in comune caratteristiche quali la storia, la lingua, il territorio, la cultura, l’etnia, la politica, si identificano in una comune identità a cui sentono di appartenere legati da un sentimento di solidarietà. È questa coscienza di un'identità condivisa, questo sentimento di appartenenza a tale identità e di solidarietà che li lega, diffusi a livello di massa e non solo tra ristrette cerchie di persone, che rende una comunità etnica, culturale, politica una nazione.

• Al fine di autodeterminare la propria esistenza, spesso la nazione aspira a diventare Stato, cioè a darsi un ordinamento giuridico che ne affermi la sovranità. In tal caso si parlerà di Stato-nazione. Esistono nazioni senza Stato.

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STATO COME ENTE TERRITORIALE• lo Stato è anche un ente territoriale, in quanto individuato

da una porzione di territorio che è soggetta alla sua sovranità.

• Lo Stato è sovrano giacché superiore ad ogni altro soggetto entro i suoi confini. Per essere tale, la sovranità deve manifestarsi come "indipendenza" nei rapporti reciproci; per tale ragione, allora, lo Stato è indipendente e sovrano; sovrano al suo interno, indipendente nei confronti degli altri Stati.

• Lo Stato esercita i seguenti poteri: la sovranità (esercitata attraverso i tre poteri pubblici legislativo, esecutivo e giudiziario) e il monopolio della forza affinché vi sia un fondamento obbligatorio.

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PRINCIPIO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI

• La separazione dei poteri è uno dei principi fondamentali dello stato di diritto.

• Il concetto dello stato di diritto presuppone che l'agire dello Stato sia sempre vincolato e conforme alle leggi vigenti: dunque lo Stato sottopone se stesso al rispetto delle norme di diritto, e questo avviene tramite una Costituzione scritta (principio della civil law).La separazione dei poteri consiste nell'individuazione di tre funzioni pubbliche - legislazione, amministrazione e giurisdizione - e nell'attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello stato indipendenti dagli altri poteri.

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I TRE POTERI DELLO STATO

• Nelle moderne democrazie:• la funzione legislativa è attribuita al parlamento, nonché

eventualmente ai parlamenti degli stati federati o agli analoghi organi di altri enti territoriali dotati di autonomia legislativa, che costituiscono il potere legislativo;

• la funzione amministrativa è attribuita agli organi che compongono il governo e, alle dipendenze di questo, la pubblica amministrazione, i quali costituiscono il potere esecutivo;

• la funzione giurisdizionale è attribuita ai giudici che costituiscono il potere giudiziario.

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POTERE LEGISLATIVO

• Il potere legislativo è uno dei tre poteri fondamentali attribuiti allo Stato.

• Negli stati contemporanei del potere legislativo è titolare:• il parlamento a livello nazionale;• i parlamenti degli stati federati e nelle federazioni;• eventuali organi, analoghi al parlamento, di regioni e altri

enti territoriali ai quali è riconosciuta autonomia legislativa. Detti organi producono le norme attraverso un atto che prende il nome di legge.

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POTERE ESECUTIVO

Il potere esecutivo, generalmente posseduto da un'istituzione denominata “governo", è il potere di applicare le leggi, distinto dal potere legislativo, che è il potere di fare le leggi e da quello giudiziario che è il potere di giudicare, ed eventualmente punire, chi non rispetta le leggi. Il potere esecutivo è esercitato da organi che eseguono le prescrizioni di legge e attuano in concreto le pubbliche finalità. I suoi compiti sono di:

• far rispettare l'ordine e la legge attraverso la gestione delle forze di polizia e dei penitenziari;

• condurre la politica estera dello Stato;• dirigere le forze militari;• dirigere i servizi pubblici e la pubblica amministrazione.

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POTERE GIUDIZIARIO

• Il potere giudiziario è quel potere che, in quanto organo costituzionale, permette in via definitiva e autonoma di risolvere una controversia di natura civile, penale e amministrativa (secondo le diverse giurisdizioni) applicando la legge, nel rispetto del contraddittorio delle parti, trasparenza del procedimento e motivazione della decisione, da parte di un Giudice terzo.

• Questo procedimento si svolge in diversi uffici a seconda il grado di giudizio nell’ambito del quale il cittadino viene giudicato con la possibilità di impugnare le eventuali sentenze.

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GIURISDIZIONE ORDINARIA …

• Esistono due diverse giurisdizioni: una ordinaria e una speciale.

• Quella ordinaria si occupa di materie civile e penale. In ambito civile la controversia sorge tra soggetti privati che prendono il nome di "attore" (per colui che avvia la procedura) e "convenuto" (colui che si difende). In questo caso ci si rivolge in primo grado al Giudice di pace o al Tribunale, in secondo grado alla Corte d'Appello e in terzo grado (definitivo) alla Suprema Corte di Cassazione.

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… E QUELLA SPECIALE

• Per quanto riguarda la giurisdizione speciale si divide in amministrativa, contabile e militare.

• La prima risolve controversie dove sono coinvolte le pubbliche amministrazioni (tutela degli interessi legittimi) e se ne occupa il giudice amministrativo, ovvero in primo grado il Tribunale Amministrativo Regionale e in secondo grado il Consiglio di Stato.

• La seconda risolve controversie sulla contabilità pubblica ed enti finanziari dallo Stato; se ne occupa il giudice contabile in primo grado la Corte dei Conti nella sezione regionale mentre, in secondo grado, nella sezione centrale.

• Infine, quella militare, si occupa dei reati commessi dalle forze armate.

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IL DIRITTO URBANISTICO

Solo di recente il Diritto Urbanistico ha assunto una dignità disciplinare autonoma rispetto agli altri insegnamenti di materie giuridiche.Si tratta di una materia tipicamente interdisciplinare che seca trasversalmente numerosi campi disciplinari, sia tecnici sia giuridici.Esso afferisce, tuttavia, in misura largamente prevalente, al Diritto Amministrativo di cui costituisce un settore di estrema rilevanza non solo teorica, ma anche pratica.Il D.U. incide, peraltro, sui rapporti giuridici privati, sul regime giuridico del diritto di proprietà dei beni immobili, si confronta costantemente con il diritto costituzionale anche di derivazione sovranazionale secondo quanto previsto dal novellato art. 117 Cost..E’ anche oggetto di studio del diritto penale laddove, come spesse, accade, le trasformazioni fisiche del suolo poste in essere in violazione della disciplina urbanistica, determinano feedback penalmente rilevanti.

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ELEMENTI DEFINITORI

Il D.U. presenta contorni disciplinari di carattere estremamente incerto e mutevole nel tempo.

In un periodo compreso fra la legge urbanistica generale (L. n. 1150/1942) e i primi anni Settanta si pensava che il D.U. coincidesse con la regolamentazione dell’incremento edilizio e la definizione dell’assetto urbano attraverso l’adozione di determinati piani urbanistici (D.U. in senso stretto).

Più di recente il D.U. ha assunto connotati più fluidi, afferendo alla disciplina degli usi del territorio e delle sue risorse al fine di preservarli da iniziative economiche incompatibili con gli obiettivi della tutela e della conservazione (D.U. in senso lato).

Prescindendo dai problemi definitori il D.U. ha assistito ad una notevolissima proliferazione della legislazione statale e regionale riguardante la disciplina degli usi, delle trasformazioni e della tutela del territorio nei suoi vari elementi costitutivi (paesaggio, risorse naturali, infrastrutture, centri abitati) ed al conseguente incremento dell’intervento della P.A. con vieppiù ampi poteri di regolazione e controllo.

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IL D.U. E I PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO

• Il D.U. è ritenuto una partizione del Diritto Amministrativo di cui mutua concetti e relativi istituti giuridici.

• E’, pertanto, necessario individuare preliminarmente la natura giuridica della funzione amministrativa cercando di distinguerla dalla funzione legislativa e da quella giurisdizionale.

• Secondo la dottrina più classica la funzione amministrativa coincide con la funzione esecutiva: rappresenterebbe attività esecutiva della legge. Ciò in scrupolosa applicazione del principio di separazione dei poteri secondo cui a ciascun potere deve necessariamente corrispondere una specifica funzione.

• 1) Il potere legislativo, con il compito di fare le leggi e di creare il diritto oggettivo;

• 2) Il potere esecutivo, con il compito di dare esecuzione alla previsione legislativa;

• 3) il potere giudiziario, con il compito di garantire l’osservanza dell’ordinamento giuridico.

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• In quest’ottica la funzione amministrativa rappresenta la “cura concreta dell’interesse pubblico” in esecuzione di quanto previsto da una norma giuridica.

• La più recente dottrina ha, peraltro, rilevato la mancata rispondenza di tale tradizionale tripartizione alla concreta realtà delle cose, poiché ciascuno dei poteri esercita di fatto funzioni che sarebbero proprie di altri poteri. Non solo.

• La stessa funzione amministrativa non potrebbe comunque essere relegata a mera esecuzione di leggi dovendo, invece, ritenersi riconducibile, più in generale alla regolazione e disciplina di rapporti giuridici e comportamenti, alla predisposizione di strumenti finanziari, alla definizione dei poteri dei privati, alla pianificazione territoriale.

• FUNZIONE AMMINISTRATIVA identifica, pertanto, l’insieme delle attività svolte dagli apparati amministrativi dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche per la cura dell’interesse generale.

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IL MOTIVO• A differenza di quanto accade in genere nel diritto privato, l’attività posta

in essere da un’amministrazione ai fini del perseguimento di un determinato scopo risulta giuridicamente rilevante per l’ordinamento.

• Se una società privata decide di far costruire un edificio da destinare a propria sede, ciò che rileva è semplicemente che la proposta di affidamento dell’appalto sia effettuata da chi è legittimato a rappresentare la società e che tale proposta non sia viziata da errore, violenza o dolo. Quando, tuttavia, la stessa attività viene posta in essere da un’amministrazione pubblica assume rilevanza IL MOTIVO ossia l’interesse pubblico per la tutela del quale si vuole procedere a tale realizzazione, se e a chi serve, chi sarà il contraente e perché, quanto costerà l’opera pubblica, in quale luogo e perché localizzarvi l’edificio.

• Tutta la relativa attività sarà, ovviamente, caratterizzata da una sequela di atti amministrativi.

• Il tratto connotativo dell’attività posta in essere dalla P.A. è rappresentato dalla necessità che il suo operato sia controllabile e verificabile; esigenza di controllo che costituisce la ragione precipua della qualificazione dell’attività amministrativa come esercizio di una funzione.

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TRIPARTIZIONE DELLA FUNZIONE AMMINISTRATIVA• L’attività amministrativa si distingue in tre funzioni principali:• 1) attiva;• 2) consultiva;• 3) di controllo.• La prima è l’attività finalizzata alla cura degli interessi pubblici

attraverso l’emanazione di atti o il compimento di azioni reali (ad es. l’ordine di demolizione) di un fabbricato;

• La seconda serve a “consigliare” l’amministrazione sul modo migliore di curare l’interesse pubblico e da luogo ai pareri;

• La terza è volta a sindacare l’operato delle amministrazioni pubbliche cui sono affidati i compiti di amministrazione attiva.

• Soltanto per gli atti di amministrazione attiva si utilizzerà il termine di PROVVEDIMENTO (atto con cui si esprime la volontà imperativa dell’ente).

• Gli altri atti verranno denominati semplicemente atti amministrativi poiché strumentali, o collegati, all’atto amministrativo provvedimento.

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UFFICI, ORGANI, POTESTA’, COMPETENZE E ATTRIBUZIONI• L’elemento basilare dell’articolazione della P.A. è rappresentato

dall’UFFICIO.• Esso costituisce la struttura organizzativa di base dei soggetti

pubblici: ogni soggetto pubblico ha, cioè, un disegno organizzativo secondo cui a ciascun ufficio è affidato lo svolgimento di un certo compito (uffici funzionali).

• Taluni uffici sono denominati ORGANI giacché hanno il compito di imputare gli effetti della propria attività all’organizzazione cui appartengono (il soggetto pubblico si “esprime” attraverso il suo organo).

• Così accade per il Consiglio Comunale il quale è organo del Comune poiché esso può emettere atti rivolti all’esterno che modificano situazioni giuridiche soggettive come l’adozione di un piano urbanistico.

• Prima di tale atto altri uffici avranno istruito la pratica, consultato ulteriori uffici, preparato e scritto materialmente il provvedimento (essi non sono, tuttavia, organi poiché la loro attività rileva solo ai fini dell’organizzazione interna).

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• La POTESTA’ rappresenta l’espressione del potere autoritativo ed unilaterale della P.A.. (fra gli atti e le attività che ne sono espressione si ricordano il potere di stipulare contratti, di rilasciare certificati, di erogare prestazioni, di raccogliere dati, ecc.).

• Sia le potestà sia gli altri compiti vengono comunque ripartiti fra le varie amministrazioni secondo due criteri: l’ATTRIBUZIONE e la COMPETENZA.

• Attribuzione è l’ambito degli interessi pubblici che una norma giuridica affida alla cura di un soggetto in una determinata materia.

• Competenza va, invece, riferita esclusivamente all’attività degli organi e degli uffici (è un concetto più ristretto rispetto a quello di attribuzione).

• Es. Il Comune ha attribuzione in materia di pianificazione urbanistica, il Consiglio Comunale (orano del Comune) ha competenza ad adottare il piano regolatore generale.

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I POTERI AUTORITATIVI DELLA P.A.• La funzione amministrativa può essere esercitata in via autoritativa e non

autoritativa (per accordi).• Il potere di agire mediante atti d’imperio costituisce il più tangibile connotato

del diritto speciale delle amministrazioni pubbliche.• Quando un’amministrazione esercita una potestà pubblica, si dice che emette

un provvedimento amministrativo autoritativo, incidendo, cioè, unilateralmente sull’altrui sfera giuridica, in particolare costituendo, modificando o estinguendo situazioni giuridiche soggettive.

• All’imperatività si ricollegano tre caratteristiche principali:• 1) l’esecutività: i provvedimenti producono i relativi effetti indipendentemente

dalla loro legittimità (c.d. presunzione di legittimità degli atti amministrativi i cui effetti cessano di prodursi solo a seguito di annullamento).

• 2) l’esecutorietà: la P.A. può ottenere l’esecuzione coattiva del proprio provvedimento anche con l’impiego della forza pubblica.

• Tale caratteristica è espressione del c.d. potere di autotutela esecutiva delle amministrazioni pubbliche le quali, a differenza di quanto accade per i privati, nell’ambito delle proprie attribuzioni possono portare ad esecuzione i propri atti senza la necessità di rivolgersi all’autorità giudiziaria.

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• Nell’ambito dell’autotutela esecutiva la dottrina fa rientrare anche il potere di eliminare o modificare i propri atti che risultino viziati e, quindi, irregolari o invalidi secondo le modalità ed i limiti fissati dalla legge.

• Nei casi in cui venga, infatti, sollevata da parte di un terzo privato o dalla stessa amministrazione una questione circa la regolarità dell’atto, possono essere aperti procedimenti amministrativi specifici – detti di riesame – il cui esito va dalla conferma all’annullamento d’ufficio, alla riforma dell’atto stesso.

• I procedimenti di riesame differiscono sostanzialmente da quelli di revisione che danno luogo alle misure della revoca, ritiro o abrogazione dell’atto..

• Peraltro, mentre l’annullamento d’ufficio può essere pronunciato soltanto in presenza di un vizio di legittimità del provvedimento, la revoca rappresenta la misura da adottare nel caso in cui l’amministrazione dovesse reputare inopportuna una determinata decisione a seguito di una nuova valutazione degli interessi in gioco, oppure in ragione delle mutate circostanze di fatto oppure ancora in relazione a fatti di cui non si era tenuto conto in precedenza al momento dell’emanazione del provvedimento.

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• 3) L’inoppugnabilità: detta anche consolidazione, sicché una volta spirato il termine di sessanta giorni dalla conoscenza del provvedimento, non se ne può più chiedere al giudice amministrativo il relativo annullamento.

• Decorso il predetto termine (che è di decadenza), solo la stessa amministrazione può eliminarlo in virtù dei suddetti poteri di autotutela esercitabili in ogni tempo.

• L’inoppugnabilità è, comunque, legata alla effettiva conoscenza del provvedimento medesimo da parte dei soggetti destinatari interessati alla sua impugnazione.

• In taluni casi è la stessa legge a fissare le modalità di effettiva conoscenza del provvedimento mediante la fissazione di presunzioni: ad esempio per i PRG si presume la conoscenza del piano mediante la pubblicazione dello stesso sul Bollettino Ufficiale della Regione.

• In tutti gli altri casi è onere dei destinatari del provvedimento che si intende impugnare la dimostrazione della data e della modalità di avvenuta conoscenza del provvedimento. Trascorsi inutilmente i sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto, il provvedimento si consolida e, per l’effetto, non può più essere annullato.

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I PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA

• I principi fondamentali dell’attività amministrativa sono quattro:• 1) il principio di legalità;• 2) la riserva di legge;• 3) il principio di imparzialità;• 4) il principio del buon andamento.• Il primo trova il suo fondamento normativo nella L. 241/1990;

gli altri tre nella Carta Costituzionale.• Allorché l’azione amministrativa si svolge in contrasto con i

predetti principi essa diviene “ingiusta” (illegittima) ragione per cui l’Ordinamento giuridico accorda ai cittadini l’utilizzo di taluni strumenti di controllo volti alla difesa da possibili abusi da parte della P.A.

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IL PRINCIPIO DI LEGALITA’

• Esso rappresenta il fondamento del c.d. “Stato di diritto”, laddove tutti i poteri devono essere subordinati alla legge.

• Si tratta del primato della legge sull’amministrazione, ossia del Parlamento, espressione della volontà popolare (per ciò legittimato democraticamente), sui funzionari della P.A.

• In forza di tale principio nessun potere può legittimamente essere conferito all’amministrazione se non previsto da una norma giuridica.

• Il principio di legalità si configura un paradigma declinato in due distinti principi: di tipicità e di innovatività dei provvedimenti amministrativi.

• Il principio di tipicità postula la necessità che ogni ad ogni provvedimento amministrativo corrisponde una funzione tipica; deve, cioè, avere una precisa finalità prevista da una norma.

• Il principio di innovatività stabilisce, invece, la tassatività del numero dei provvedimenti amministrativi (dotati di imperatività) non essendo consentito dalla legge l’emanazione di provvedimenti non tipici, ossia non previsti espressamente dall’ordinamento giuridico (cosa che, di converso, può accadere nel diritto privato).

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LA RISERVA DI LEGGE

• Tale principio rappresenta un rafforzamento della funzione garantista del principio di legalità.

• La riserva di legge esclude, infatti, che una determinata materia, in mancanza di una espressa disciplina legislativa, possa essere oggetto di una regolamentazione attraverso atti normativi secondari (regolamenti).

• Si tratta di una garanzia posta a tutela dei cittadini secondo la quale determinati argomenti di particolare rilevanza i cui effetti sono suscettibili di poter incidere in modo significativo sulla sfera giuridica soggettiva dei singoli, debba necessariamente essere normata con legge del Parlamento.

• Secondo l’art. 23 della Costituzione, ad esempio, l’imposizione di tasse e tributi può essere disposta esclusivamente in forza di una norma di legge.

• In definitiva la riserva di legge ha una funzione essenziale di garanzia in quanto intende assicurare che in materie particolarmente delicate, come quella dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano assunte dall’organo più rappresentativo del potere sovrano dello Stato: il Parlamento.

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I PRINCIPI DI IMPARZIALITA’ E BUON ANDAMENTO• I principi di imparzialità e buon andamento della P.A. sono previsti dall’art. 97 della

Carta Costituzionale.• Buon andamento significa efficienza della P.A. che si traduce in economicità ed

efficacia dell’azione amministrativa a cui risultano affiancati quelli di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza.

• Sulla scorta di tali principi la P.A. deve informare il proprio agire al raggiungimento del miglior risultato costi/benefici non potendo limitarsi all’attestazione di un risultato meramente formale.

• L’imparzialità è attuazione del principio di giustizia.• La P.A., nell’esercizio delle proprie funzioni, è tenuta a tenere in assoluta

considerazione tutti i fatti afferenti agli interessi considerati dalla legge secondo le regole improntate a certezza, trasparenza e democraticità.

• Esso costituisce corollario del più generale principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

• Costituisce tipica espressione del principio di imparzialità l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, il principio di partecipazione dei privati al procedimento amministrativo, il vizio dell’eccesso di potere.

• Ai superiori principi generali se ne affiancano di ulteriori aventi origine nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e, specificamente:

• - il principio di proporzionalità e quello di non discriminazione.

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LA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA• La discrezionalità amministrativa rappresenta un concetto fondamentale del diritto

amministrativo.• Vi sono taluni casi nei quali la funzione amministrativa si trova sostanzialmente vincolata

allorché, in presenza di determinati presupposti stabiliti da una norma di legge, la P.A. non ha altra scelta che assumere un determinato comportamento (provvedimento).

• In tali ipotesi la P.A. si limita all’accertamento circa la sussistenza dei necessari presupposti sanciti dalla norma per l’adozione di quel determinato provvedimento richiesto (come accade nel permesso di costruire).

• In altri casi, invece, l’attività amministrativa è discrezionale.• La discrezionalità è il metodo mediante il quale la P.A., secondo il proprio prudente

apprezzamento, stabilisce come realizzare, in concreto, l’interesse pubblico quando ciò non sia prestabilito dalla legge.

• Le norme di legge, infatti, nell’attribuire il potere all’amministrazione, indicano, seppure raramente, l’interesse pubblico da tutelare (interesse primario) che dovrà, tuttavia, necessariamente collidere con altri interessi, pubblici o privati (secondari), ritenuti subordinati al primario interesse pubblico da curare.

• La P.A. dovrà, pertanto, esercitare i poteri attribuiti dalla legge scegliendo di soddisfare l’interesse primario o ritenere prevalenti gli interessi secondari.

• La c.d. discrezionalità amministrativa sta proprio nella prudente ponderazione comparativa dell’interesse primario con gli interessi secondari.

• L’esito di tale valutazione sarà l’individuazione dell’interesse meritevole di tutela da parte dell’amministrazione.

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• Tale giudizio di “prevalenza” varia a seconda dell’ambito di discrezionalità concesso dalla norma alla P.A.

• La norma di legge può, infatti, attribuire alla P.A. la determinazione discrezionale del contenuto del provvedimento (discrezionalità sul quid);

• Può lascare alla P.A. solo la scelta su se emanare il provvedimento (discrezionalità sull’an);

• Può consentire alla P.A. solo i tempi e i modi di adozione di un provvedimento (discrezionalità sul quomodo).

• Ad esempio, nella formazione di un piano territoriale obbligatorio per legge la P.A. ha discrezionalità nel quid, ma non anche nell’an, ben potendo stabilire discrezionalmente i contenuti del piano , ma non anche la necessità o meno di adottarlo (lo deve adottare).

• La discrezionalità amministrativa non va confusa con la discrezionalità assoluta: la P.A. non gode affatto della liberta di scelta; al contrario necessita che ogni decisione sia il frutto dell’osservanza di precisi criteri alcuni dei quali sono espressione di principi generali (ragionevolezza, imparzialità, uguaglianza, trasparenza, ecc…); ciò quando tali criteri non siano già contenuti nella norma attributiva del potere amministrativo di adozione del provvedimento (circostanza rara).

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LA MOTIVAZIONE DELLA SCELTA• Elemento essenziale per rendere trasparente l’utilizzo dei

criteri stabiliti dalla norma ai fini dell’adozione del provvedimento è che tali criteri, posti a fondamento del provvedimento, siano resi noti all’esterno.

• La motivazione del provvedimento è posta a giustificazione della decisione adottata nei confronti di tutti i cittadini i quali devono essere posti nelle condizioni di conoscere se la scelta adottata dalla P.A. risulti o meno coerente con i criteri che l’amministrazione ha dichiarato di porre a base della decisione.

• “vi è, pertanto, una stretta correlazione nell’attività amministrativa fra interesse pubblico, scelta discrezionale e motivazione della scelta, dovendo l’amministrazione evidenziare l’attualità dell’interesse pubblico da soddisfare”.

• (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 7/1999).

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ESEMPIO• L’Assessorato Regionale al territorio, che ha competenza sui beni paesaggistici, viene a

conoscenza della costruzione di un’abitazione privata in una zona “vincolata” senza la necessaria autorizzazione (N.O. Soprintendenza per i BB.CC.AA.).

• L’ufficio preposto può adottare tre distinte soluzioni:• 1) ordinare la demolizione della costruzione;• 2) autorizzare i lavori in sanatoria;• 3) autorizzare i lavori “con prescrizioni”.• In tutte le ipotesi menzionate la P.A. irrogherà una sanzione amministrativa pecuniaria

(obbligatoria per legge – Codice dei bb.cc.).• Nel primo caso la sanzione coinciderà con la demolizione;• Nel secondo e terzo la sanzione pecuniari si accompagnerà al rilascio di un’autorizzazione

in sanatoria.• La P.A. dovrà, comunque, motivare la propria decisione in relazione all’interesse primario

(tutela del patrimonio paesaggistico) e agli interessi secondari (quello privato).• Nell’ipotesi in cui decidesse per la demolizione dovrà necessariamente dimostrare la

necessità del suo abbattimento per la liberazione del panorama tutelato; laddove, in caso contrario, la relativa decisione sarebbe ritenuta sproporzionata ed irragionevole e, quindi, annullabile.

• Nell’ipotesi in cui, viceversa, dovesse decidere per il mantenimento della costruzione (sanatoria e prescrizioni) dovrà necessariamente giustificare il provvedimento sulla base dell’ininfluenza della costruzione in ordine alla tutela del paesaggio, magari disponendo l’eliminazione solo di una parte dell’edificio.

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LIMITI INTERNI ED ESTERNI ALLA DISCREZIONALITA’• La presenza di altri interessi (non primari) suscettibili di poter incidere

sfavorevolmente sulla soddisfazione dell’interesse pubblico primario ha imposto i c.d. limiti interni alla discrezionalità della P.A..

• Qualora tali limiti dovessero essere superati si configurerebbe un “eccesso di potere” con la conseguente invalidità del relativo provvedimento amministrativo.

• Dai predetti limiti interni vanno distinti i c.d. limiti esterni che si indirizzano non alla discrezionalità della decisione amministrativa quanto direttamente al potere della P.A. che viene limitato all’origine attraverso una contrazione dei poteri stessi.

• Es. Nei procedimenti di pianificazione urbanistica, ove è massima l’eterogeneità degli interessi in gioco, l’interesse primario (l’ordinato e razionale assetto del territorio) è frutto di un’articolata quanto complessa ponderazione degli interessi da tutelare.

• L’adozione di una soluzione rispetto ad un’altra dipenderà da scelte discrezionali a cui è assolutamente difficile apporre limiti se non nell’organizzazione, da parte della norma, della discrezionalità amministrativa, in articolati procedimenti che siano idonei a contemperare il più elevato numero di interessi in campo.

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La discrezionalità tecnica• Diversa dalla discrezionalità amministrativa di cui abbiamo finora parlato è la

c.d. discrezionalità tecnica la quale consiste nell’assunzione, all’interno del procedimento, di quelle regole d’esperienza e/o della scienza e/o della tecnica che non implicano ponderazione e valutazione degli interessi in gioco.

• Si tratta di una scelta “obbligata” da parte della P.A. determinata dalla valutazione di fatti alla stregua di conoscenza extragiuridiche.

• Es. la sismicità di una zona verrà dichiarata con provvedimento amministrativo in ragione dei rilievi geologici e delle indagini storiche effettuate sul territorio in questione.

• Quali conseguenze sul piano operativo:• La giurisprudenza ritiene che gli atti caratterizzati da discrezionalità tecnica

siano sindacabili solo in presenza di sintomi di “assoluta e manifesta illogicità”.• Ciò ha ricadute enormi nell’ambito dei procedimenti di pianificazione

urbanistica: il principio generale è che i provvedimenti amministrativi generali (che sono diretti ad un pluralità indefinita di soggetti), di cui i provvedimenti di piano costituiscono una species, (ad es. il PRG) non vanno obbligatoriamente motivati. Laddove, invece, gli atti individuali (destinati, invece, a singoli soggetti o ad una pluralità definita di soggetti) necessita della motivazione.

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IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

• Il procedimento amministrativo è un istituto finalizzato all’assoggettamento dell’esercizio del potere amministrativo a regole controllabili, verificabili dall’esterno, e si trova in stretta correlazione con la discrezionalità giacché è proprio attraverso il procedimento amministrativo che si esplica quella valutazione degli interessi che rappresentano la manifestazione di tale discrezionalità.

• Esso può essere definito come una sequenza di atti posti in essere dalla P.A. fra loro correlati e volti al perseguimento di un unico scopo. Scopo che definisce il procedimento attraverso l’emanazione di un provvedimento.

• Va precisato come il procedimento amministrativo si distingua da altri procedimenti (sequenza di atti finalizzati all’emanazione di una sentenza o di una legge) poiché la successione di atti preordinata all’emanazione di un provvedimento amministrativo costituisce un complesso atti amministrativi volti alla ponderazione di una pluralità, più o meno complessa, di interessi.

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• Così, ad es., per il rilascio di una licenza di abitabilità, il procedimento sarà determinato esclusivamente dalla verifica circa la sussistenza di taluni semplici presupposti (la conformità del fabbricato al progetto e l’insussistenza di cause di insalubrità) da parte di un organo monocratico del Comune (l’Ufficio preposto).

• Quando, invece, si parla pianificazione urbanistica la complessità e la pluralità degli interessi pubblici e privati in gioco oggetto della necessaria ponderazione da parte del Comune impone l’instaurazione di un procedimento amministrativo correlativamente complesso costituito da più atti amministrativi strumentali al conseguimento dello scopo (decisione finale rappresentata dal provvedimento amministrativo), posti in essere da più uffici di varie amministrazioni pubbliche.

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LE FASI DEL PROCEDIMENTO• Le fasi del procedimento amministrativo sono quattro:• 1) la fase di iniziativa;• 2) la fase istruttoria;• 3) la fase decisoria;• 4) la fase di integrazione dell’efficacia.• La fase d’iniziativa apre il procedimento e ne determina l’oggetto introducendo

l’interesse primario.• L’atto di iniziativa può provenire da un soggetto privato, ed allora riceverà impulso di

parte; se, invece, proviene dalla stessa amministrazione, allora si ha l’iniziativa d’ufficio.

• La concessione edificatoria è rilasciata dall’amministrazione su istanza di parte; un piano urbanistico viene disposto dall’amministrazione d’ufficio.

• La fase istruttoria serve ad introdurre gli altri interessi (quelli secondari) da ponderare nel procedimento e a raccogliere i fatti e gli atti necessaria alla valutazione del peso degli interessi in gioco: maggiore sarà il numero di questi, più complessa sarà l’istruttoria.

• Lo scopo di tale fase è quello di preparare il materiale necessario alla formazione della decisione della P.A.

• Vediamo i più ricorrenti.

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• L’acquisizione e la presentazione di documenti e certificazioni (talvolta richiesti a pena di improcedibilità, come l’allegazione dell’elaborato di progetto nell’ipotesi di richiesta di permesso di costruire);

• L’acquisizione di attività di scienza, quali le ispezioni dei luoghi, sovente affidati a tecnici abilitati, interni o esterni all’amministrazione, come nel caso della progettazione di un piano urbanistico;

• L’attività di pareristica resa da altre amministrazioni, che possono consistere in “consigli” obbligatori o facoltativi. Nel primo caso essi devono essere richiesti dall’amministrazione decidente; in mancanza il procedimento risulta viziato e, pertanto il relativo provvedimento impugnabile per il relativo annullamento. Nel secondo caso il parere può essere richiesto a discrezione dell’amministrazione procedente.

• Tali pareri non vanno confusi con i c.d. “pareri vincolanti” i quali non sono veri e propri consigli, ma atti vincolanti la decisione dell’amministrazione procedente sicché si avrà una “decisione preliminare”.

• Gli atti istruttori di intervento nel procedimento (come ad esempio le osservazioni, le proposte o le opposizioni formulate dai singoli privati in ordine all’adozione di un piano urbanistico).

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• Nell’alveo della fase istruttoria del procedimento amministrativo assume particolare rilievo la figura del R.U.P. (Responsabile Unico del Procedimento) il quale ha il compito precipuo di curare ogni aspetto dell’istruttoria e l’interfaccia diretta dell’amministrazione rispetto a tutti i cittadini interessati al procedimento medesimo.

• C) La fase decisoria o costitutiva è quella in cui viene adottato il provvedimento amministrativo e rappresenta l’esito del procedimento amministrativo.

• Il soggetto decidente può essere un organo monocratico (il dirigente, il prefetto, il sindaco) sia un organo collegiale (il consiglio comunale).

• Può accadere che all’adozione della decisione concorrano diversi organi, monocratici e collegiali; in tal caso si ha un provvedimento assunto “di concerto” fra più organi dell’amministrazione o di più amministrazioni coinvolte dalla decisione (ad es. l’intesa fra il Comune ed il Genio Civile in sede di adozione di un piano urbanistico ricadente in zona sismica).

• D) la fase di integrazione dell’efficacia è una fase eventuale e non necessaria poiché spesso i provvedimenti amministrativi risultano efficaci al momento dell’esito del procedimento senza la necessità che ciò necessiti una fase ulteriore. Si dice che il procedimento si è “perfezionato” con la definizione del provvedimento amministrativo.

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• Talvolta, tuttavia, accade che un provvedimento amministrativo, per acquisire efficacia, debba necessariamente essere sottoposto ad una fase ulteriore: ciò si verifica, ad es., allorché il PRG adottato debba essere necessariamente pubblicato sul Bollettino Regionale affinché possa essere conoscibile alla collettività ed acquisti la relativa efficacia.

• Subprocedimento.• Accade spesso che, all’interno del procedimento amministrativo,

formato da una sequenza di atti amministrativi preordinati all’adozione del provvedimento finale, si ritrovi un atto a sua volta frutto di un’ulteriore procedimento amministrativo; si ha, in tal caso un Subprocedimento allorché uno o più atti rappresentano il risultato di un ulteriore procedimento amministrativo dipendente da altra amministrazione diversa da quella procedente. L’esito del subprocedimento è quello di un vero e proprio provvedimento o subprovvedimento necessario alla prosecuzione dell’istruttoria e dell’esito del procedimento.

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DIRITTI SOGGETTIVI E …• Cosa è una situazione giuridica soggettiva?• Una relazione “qualificata” fra un interesse ed un soggetto

ritenuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.• Quando una norma valuta favorevolmente un determinato

interesse lo eleva a situazione giuridica soggettiva.• Una situazione giuridica soggettiva implica un rapporto

giuridico, ossia una relazione fra due o più soggetti regolata dal diritto (es. vendita, fornitura, ecc.)

• Ogni situazione giuridica soggettiva può essere declinata variamente mediante le sue plurime manifestazioni giuridiche:

• sul lato attivo del rapporto, il diritto soggettivo che si esprime tramite poteri e facoltà;

• sul lato passivo del rapporto, il dovere, l'obbligo e la soggezione.

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• Il diritto soggettivo è il potere di agire in base al proprio libero apprezzamento per il soddisfacimento del proprio interesse, protetto dall’ordinamento giuridico. E’ la pretesa che altri tenga un comportamento di contenuto positivo (dare o fare) o negativo (non fare) (es. diritto di credito, diritto di proprietà).

• la facoltà – situazione giuridica soggettiva attiva- è la possibilità di tenere un determinato comportamento e, quindi, l'opposto del dovere o obbligo- situazioni giuridiche soggettive passive (la facoltà di usare il bene di cui il titolare del diritto soggettivo di proprietà è titolare e il corrispondente obbligo di tutti i terzi di astenersi dal porre in essere condotte turbative del diritto).

• Diverso dall’obbligo o dovere l'onere che è la situazione giuridica soggettiva caratterizzata dal fatto che il soggetto su cui grava è tenuto ad un determinato comportamento nel proprio interesse, poiché in mancanza non si produrrebbe un effetto giuridico a lui favorevole.

• Il potere, – situazione giuridica soggettiva attiva – è la possibilità attribuita dall'ordinamento ad un soggetto di produrre effetti giuridici, ossia di creare, modificare o estinguere un rapporto giuridico (il potere di agire in giudizio a tutela di propri diritti soggettivi di credito).

• Se il soggetto attivo del rapporto è titolare di un potere, in capo al soggetto passivo sussiste la corrispondente soggezione.

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… INTERESSI LEGITTIMI• Dal punto di vista della P.A. può dirsi che il suo potere autoritativo si esprime

mediante l’esercizio di una potestà pubblica.• Se ci si pone nella prospettiva del singolo cittadino di fronte alla potestà

espressa dalla P.A., allora il singolo si trova in una posizione di soggezione. Egli, di fronte all’imperatività del provvedimento, si trova costretto a subirne gli effetti.

• Se il cittadino posto nella situazione di soggezione è titolare di un diritto soggettivo questi può subire l’azzeramento della propria situazione giuridica soggettiva (perdita del diritto di proprietà in caso di espropriazione per pubblica utilità) ovvero vederla limitare (la facoltà di edificazione in conformità ai parametri ed ai criteri stabiliti dai piani urbanistici).

• Vi sono altri casi nei quali la P.A. non manifesta una potestà incidendo sui diritti soggettivi dei singoli, ma costituisce essa stessa diritti in capo ai singoli (rilascio di una concessione edificatoria o l’aggiudicazione di un pubblico appalto).

• In tali ultime ipotesi ciascun singolo privato, persona fisica o giuridica, aspira al conseguimento di un’utilità legata ad una decisione della P.A. (provvedimento amministrativo). Va da sé che non tutte le aspettative espresse dai singoli privati potranno risultare soddisfatte sicché l’interesse sotteso da tale aspettativa e correlato all’esercizio del potere amministrativo (funzione amministrativa) viene denominato interesse legittimo.

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INTERESSE LEGITTIMO E DIRITTO SOGGETTIVO• L’interesse legittimo, contrariamente al diritto soggettivo, non garantisce al

suo titolare una tutela diretta, ragione per cui si dice che, di fronte al potere espresso dalla P.A., il titolare della situazione giuridica soggettiva corrispondente all’interesse legittimo eserciti un diritto soggettivo, per così dire, “affievolito” essendo privo dei relativi poteri di espressione della decisione finale in realtà spettante alla P.A. con l’emanazione del relativo provvedimento sul quale il soggetto destinatario può incidere soltanto attraverso gli strumenti approntati dall’ordinamento e finalizzati all’orientamento della P.A. in ordine alla determinazione del suo contenuto.

• Attraverso tali strumenti il soggetto amministrato può far valere l’interesse legittimo al corretto uso del potere amministrativo in conformità al dettato normativo (il candidato che dovesse risultare escluso da una procedura concorsuale ovvero l’impresa che non dovesse risultare aggiudicataria di una gara d’appalto in conformità alle prescrizioni di legge in materia).

• Nell’ipotesi, invece, di potere amministrativo esercitato in difformità alle prescrizioni normative il soggetto amministrato può far valere (ha il potere) di agire in giudizio al fine di ottenere un provvedimento dell’Autorità Giurisdizionale idoneo a rendere invalido il provvedimento reso dalla P.A..

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LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA• Allorché un provvedimento amministrativo non risulta corrispondente al

dettato normativo esso risulta “invalido”, ossia affetto da un vizio di legittimità o di opportunità.

• Benché esecutivo e suscettibile di esecutorietà esso può, tuttavia, essere “annullato” in via amministrativa mediante un nuovo provvedimento reso “in autotutela” dalla stessa P.A. che lo ha emanato ovvero, in mancanza, attraverso un provvedimento reso dall’autorità amministrativa gerarchicamente sovraordinata (ricorso gerarchico) ovvero ancora tramite il ricorso al Presidente della Repubblica; in via giudiziaria mediante la proposizione di un ricorso in sede giurisdizionale (T.A.R. in primo grado, Consiglio di Stato in sede di gravame).

• Ai sensi dell’art. 113 della Costituzione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti posti in essere dalla P.A.. Sicché quando l’attività della P.A. dovesse essere lesiva di un interesse legittimo è ammesso il ricorso all’Autorità Giudiziaria in sede amministrativa; viceversa, allorché dovesse essere leso un diritto soggettivo sarà competente a conoscere della controversia l’Autorità Giudiziaria Ordinaria.

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LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DEL GIUDICE AMMNISTRATIVO IN MATERIA URBANISTICA ED EDILIZIA

• L’art. 34 del d.lgs. 31.03.1998, n. 98 stabilisce la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per tutte le controversie aventi per oggetto gli atti ed i provvedimenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, ricomprendendo nell’accezione di urbanistica ogni aspetto relativo all’uso del territorio.

• Come accennato in precedenza il provvedimento amministrativo può essere impugnato entro il termine decadenziale di sessanta giorni dal momento della conoscenza legale del medesimo da parte del destinatario laddove, invece, risulta quinquennale nell’ipotesi in cui dovesse essere fatto valere un diritto soggettivo innanzi all’A.G.O..

• Contrariamente a quanto accade nel giudizio innanzi all’A.G.O. il Giudice amministrativo non può sindacare il merito della scelta compiuta dalla P.A. non potendo sostituirsi all’amministrazione nella valutazione comparativa degli interessi in gioco ai fini dell’emanazione del provvedimento impugnato, dovendosi limitare alla verifica giudiziale della conformità, o meno, della decisione ai principi normativi che presiedono all’esercizio della funzione amministrativa.

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• Una volta accertato il vizio che affligge il provvedimento posto in essere dalla P.A. il Giudice amministrativo annulla lo stesso ripristinando, per quanto possibile, la situazione giuridica anteriore all’emanazione dell’atto.

• Il nostro ordinamento giuridico prevede tre distinte, e tassative, ipotesi di illegittimità:

• 1) la violazione di legge;• 2) l’incompetenza;• 3) l’eccesso di potere.• Si ha la violazione di legge allorché il potere amministrativo risulti esercitato in

difformità rispetto al contenuto di norme contenute in leggi, regolamenti, atti amministrativi che dispongano in ordine al contenuto, al procedimento ed alla forma degli atti (il permesso di costruire esitato senza il previo parere della Commissione Edilizia Comunale – C.E.C.).

• Ricorre, invece, l’incompetenza allorquando il provvedimento risulti emanato da un organo amministrativo quando avrebbe dovuto essere emanato da altro organo appartenente alla stessa o ad altra P.A. (il PRG adottato dal Sindaco o dalla Giunta comunale in luogo del Consiglio comunale; si tratta di un’ipotesi di nullità relativa che genera l’annullamento del provvedimento posto in essere dalla P.A.)

• L’incompetenza relativa si distingue da quella assoluta nell’ipotesi in cui l’organo emanante il provvedimento non risulti neanche astrattamente competente a porre in essere la decisione. La relativa sanzione è, in tal caso, la nullità-inesistenza del provvedimento amministrativo.

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• Si configura, infine, l’ipotesi dell’eccesso di potere allorché la P.A., ancorché perseguire il fine stabilito dall’ordinamento giuridico, ne consegue uno diverso.

• SI tratta della figura più rilevante ed articolata fra i vizi di illegittimità in cui può incorrere l’attività amministrativa e consiste nella violazione dei limiti interni della discrezionalità amministrativa (nell’ipotesi di dichiarazione di notevole interesse di un’area di pregio paesistico ambientale laddove tale decisione non sia determinata dall’apprezzamento dell’area sotto tale profilo, ma da un fine diverso).

• In tal caso la P.A. eccede i limiti del potere attribuitogli dalla legge deviando la propria azione amministrativa dall’interesse primario ad altri non meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento (sviamento della causa tipica) ovvero mancando del tutto di perseguire l’interesse primario (mancanza della causa tipica).

• A tali figure la giurisprudenza ha accostato altre ipotesi, c.d. “figure sintomatiche dell’eccesso di potere” quali la manifesta illogicità, il travisamento dei fatti, la mancata ponderazione di un interesse ritenuto essenziale nella valutazione comparativa, la mancanza o il vizio di motivazione, la disparità di trattamento.

• In tutti i casi sopra evidenziati la decisione adottata dalla P.A. risulta viziata di eccesso di potere ragione per cui l’Autorità Giurisdizionale dovrà effettuare un vaglio giudiziario estremamente penetrante suscettibile di produrre l’annullamento del provvedimento amministrativo.

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LE FONTI DEL DIRITTO URBANISTICO• Carta Costituzionale• Art. 42: tutela la proprietà privata ponendo il limite della funzione

sociale• Art. 41 comma 3°: la legge può stabilire i programmi ed i controlli

affinché l’iniziativa economica risulti finalizzata a fini sociali.• E’ evidente la “tensione” fra libertà dei singoli privati e tutela della

collettività laddove la prima trova il limite della seconda.• Codice Civile• L’intero Libro III del codice civile (artt. 810-1172) recante la rubrica

“Della Proprietà”, diritto reale fondamentale del nostro ordinamento giuridico, che disciplina l’esercizio dei c.d. diritti reali di godimento: usufrutto, uso, abitazione, servitù, enfiteusi, superficie.

• Le fonti precipue del Diritto Urbanistico• Sono leggi statali e regionali giacché, ai sensi dell’art. 117 della

Costituzione, come modificato dalla Legge costituzionale 3/2001, l’urbanistica rientra fra le materie di competenza concorrente Stato-Regioni ricomprese nella locuzione “governo del territorio”.

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• Competenza concorrente significa che la disciplina normativa risulterà dal “concorso” fra quella “di cornice” predisposta dallo Stato attraverso l’enunciazione dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato, e quella fissata dalle Regioni. Tale limite vincola, peraltro, solo le Regioni a statuto ordinario poiché quelle a statuto speciale godono del regime di potestà legislativa primaria sicché le relative leggi incontrano il solo limite rappresentato dai principi generali dell’ordinamento interno, comunitario, di diritto internazionale e di grande riforma di natura economico-sociale.

• Fonti secondarie• Tra le fonti secondarie del diritto urbanistico si annoverano quelle

frutto della potestà regolamentare stabilita dall’art. 117, comma 6 della Costituzione, la quale spetta allo Stato soltanto nelle materie di esclusiva competenza legislativa statale e, in via residuale, ossia in tutte le altre materie, alle Regioni.

• Ciò significa che in materia urbanistica (rectius “governo del territorio”) lo Stato non ha alcuna potestà regolamentare spettando la stessa alle Regioni e agli enti locali (Comuni, Province e Città metropolitane).

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LE SINGOLE FONTI DEL DIRITTO URBANISTICO• La Legge Fondamentale 17 agosto 1942, n. 1150 (LU), che ha

introdotto nel nostro ordinamento giuridico il sistema dei “Piani Urbanistici” costituisce il pilastro essenziale della materia.

• Poi modificata dalla Legge 6 agosto 1967, n. 765 (c.d. Legge Ponte), poiché avrebbe dovuto rappresentare la transizione verso una nuova legge urbanistica generale, poi mai emanata).

• Tale ultima, pur nello spirito della transizione, ha introdotto modifiche di assoluta rilevanza fra cui i limiti all’attività edilizia in assenza di strumenti urbanistici generali (c.d. standard generali o di salvaguardia) e limiti urbanistici di tipo quantitativo finalizzati all’orientamento delle decisioni urbanistiche adottate a livello locale allo scopo di garantire la presenza di infrastrutture e servizi; le norme sulla lottizzazione (frammentazione della proprietà in porzioni di terreno mediante frazionamento catastale); l’obbligo della licenzia edilizia per la realizzazione di fabbricati nel territorio comunale; la necessaria realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria anteriormente al rilascio della licenza edilizia (op. urb primaria: strade, reti fognarie e idriche di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione , spazi destinati a parcheggio; op. urb. secondaria: asili, scuole, marcati, chiese, impianti sportivi, aree destinate a verde attrezzato, centri culturali).

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• Benché anteriormente e posteriormente alla L.P. si sia progressivamente formata una notevole produzione legislativa che costituisce, in buona parte, il nucleo normativo del Diritto Urbanistico contemporaneo, tre risultano, in particolare, le fonti di attuale rilievo: il T.U. in materia edilizia (DPR 06.06.2001, n 380), il T.U. in materia di espropriazione per pubblica utilità (DPR 08.06.2001, 327) ed il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs. 22.01.2004, n. 42).

• Si tratta di corpi normativi che hanno avuto il merito di aver messo ordine normativo nell’affastellata successione, non sempre organica e sistematica e sovente di natura contingente, di provvedimenti legislativi, sostituendo o abrogando precedenti disposizioni (in particolare il T.U. edil. ha sostituito la concessione edilizia con il permesso di costruire assorbendo le disposizioni in materia di controllo dell’attività edilizia, salvaguardia e recupero del patrimonio edilizio; il T.U. espr. Ha disposto soprattutto sui vincoli urbanistici e sulla disciplina dei P.U.A. – Piani Urbanistici Attuativi).

• Il comune denominatore essenziale attorno a cui ruota l’intero “sistema” normativo (benché sia ardito denominarlo in tal modo) del D.U. è il Piano Urbanistico variamente declinato, in ragione del relativo contenuto tematico in:

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• P.E.E.P. (Piano di Edilizia Economica e Popolare – L. 18.04.1962, n. 167);

• Piano di Lottizzazione (L.P. 06.08.1967, n. 765)• Piano degli insediamenti produttivi (L. 27.10.1971, n. 865)• Programma Integrati d’Intervento (L. 17.02.1992, n. 179)• P.R.U. (Programma di Recupero Urbano - L. 04.12.1993, n. 493).• Ciascuno di tali piani è sovente oggetto della c.d. “Variante”,

originariamente concepita come strumento di modifica del piano regolatore generale in ragione di specifiche sopravvenute ragioni di inattuabilità o nell’ipotesi di migliorabilità dello stesso e autorizzata preventivamente dal Ministero LL.P.P. (oggi le Regioni) ed oggi degradata a meccanismo “tipico” di realizzazione dell’interesse attuale ritenuto maggiormente degno di tutela.

• A ciascuno di tali “piani” corrisponde un interesse sotteso ragione per cui si assiste ad una frammentazione della disciplina urbanistica quale risposta dell’ordinamento alla pluralità degli interessi da soddisfare.

• Quale urbanistica oggi?

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L’URBANISTICA OGGI• Nella sua più attuale accezione l’Urbanistica non detiene, in via

esclusiva, il primato nella disciplina del territorio, essendo il territorio oggetto di studi disciplinari trasversali.

• Ciò è emerso in modo inequivocabile a seguito dell’orientamento palesato dalla giurisprudenza costituzionale, dapprima formalizzato nel dualismo urbanistica-governo del territorio (culminata nella L. Cost. 3/2001), ed ora evolutasi nell’individuazione di discipline distinte quali il paesaggio, la protezione della natura, la difesa del suolo.

• Ciò senza pregiudizio della nozione legale di Urbanistica che, ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 80/1998 (“la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”) e della giurisprudenza amministrativa consolidata degli ultimi trent’anni, definisce il concetto di urbanistica quale elemento potenzialmente ricomprensivo di tutte le forme di uso del suolo.

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ATTORI PUBBLICI E FUNZIONI URBANISTICHE• L’esercizio dei poteri correlati alle finzioni urbanistiche spetta, in ragione delle

norme contenute nelle leggi statali e regionali, alle Regioni, alle Province, alle Città Metropolitane ed ai Comuni oltre che a talune Amministrazioni settoriali quali le Autorità di Bacino e gli Enti Parco.

• Il criterio di individuazione dei poteri spettanti a ciascuno dei superiori attori è fondato sulla valutazione di due parametri essenziali:

• 1) il territorio;• 2) gli interessi.• Ciascuna amministrazione ha competenza ad un determinato livello territoriale

(esistono i piani regionali, provinciali, comunali).• Tale criterio va, tuttavia, valutato in relazione alla dimensione degli interessi da

tutelare la cui ampiezza, in ragione delle relative rifluenze, può essere locale, provinciale, regionale, interregionale, nazionale.

• Il menzionato criterio valutativo del binomio territorio/interessi rappresenta l’elemento dirimente delle potenziali controversie nascenti fra i diversi attori pubblici nell’esercizio delle rispettive funzioni urbanistiche (si pensi, ad es., alla destinazione d’uso fissata dal PRG di un Comune laddove questo dovesse scontrarsi con altra successiva destinazione disposta in un piano provinciale).

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LE FUNZIONI URBANISTICHE• L’esercizio delle funzioni urbanistiche può essere descritto come l’incontro del

valore rappresentato dagli interessi e di quello costituito dal territorio su un sistema di assi cartesiani ortogonali:

• sull’asse delle ascisse la funzione urbanistica generale consistente nell’attribuzione di un razionale ed ordinato assetto al territorio;

• sull’asse delle ordinate le funzioni determinate dalla “dimensione” degli interessi emergenti dal territorio.

• Di seguito le funzioni urbanistiche:• La funzione di salvaguardia: ha carattere transitorio e rappresenta la misura

necessaria alla “salvaguardia” del territorio nell’ipotesi in cui dovesse mancare lo strumento pianificatorio; è volto ad evitare le trasformazioni del territorio non pianificato in modo tale da condizionare le scelte del futuro pianificatore.

• Nell’alveo della funzione di salvaguardia vanno annoverati i c.d. standard ope legis i quali rispondono all’esigenza di assicurare che le prescrizioni contenute nei PRG adottati dai Comuni, ma non ancora vigenti, risultino vanificati dal rilascio di permessi di costruire difformi dal piano medesimo in pendenza della relativa approvazione; nonché le misure di salvaguardia in senso stretto, le quali sono strettamente legate al procedimento di formazione dei piani urbanistici e risultano preordinati alla tutela dell’efficacia dei futuri PRG in pendenza di altri vigenti strumenti urbanistici.

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• La funzione di disciplina del potere di pianificazione urbanistica: è quella preordinata alla fissazione di criteri utili alla guida dell’esercizio del potere di pianificazione territoriale.

• La funzione di controllo sull’uso dei suoli: ha lo scopo di verificare che i singoli interventi sul territorio risultino conformi alle prescrizioni urbanistiche vigenti e si esplicano con l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi (permessi di costruire, rilascio del certificato di conformità urbanistica, ecc).

• La funzione sanzionatoria: rappresenta l’esercizio del potere amministrativo nell’ipotesi di inosservanza delle prescrizioni urbanistiche (ordinanza di demolizione derivante dalla realizzazione di un’opera edilizia in assenza di permesso di costruire).

• La funzione di gestione: ha lo scopo di garantire l’attuazione di previsioni di carattere generale sotto forma di incentivazione alla realizzazione di quanto prescritto nel piano (ad es. nei programmi pluriennali di attuazione esso ha il fine di orientare lo sviluppo del territorio nella direzione di quegli usi che i singoli privati non ritengano attualmente abbastanza remunerativi).

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GLI ATTORI PUBBLICI • Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti• L’amministrazione dello Stato più coinvolta nella disciplina del Diritto Urbanistico

è certamente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ex Ministero per i Lavori Pubblici). Prima che fosse istituito l’attuale Dicastero il Ministero dei Lavori Pubblici aveva funzione di vigilanza e di controllo sull’operato dei Comuni (attraverso l’emanazione dei piani territoriali di coordinamento – mai emanati).

• Per l’esercizio di tali compiti esso era dotato di una solida struttura territoriale: provveditorati alle opere pubbliche, sezioni urbanistiche compartimentali e comitati tecnici amministrativi, oggi (tranne i primi) passati alle dipendenze delle Regioni.

• Attualmente, la più parte delle funzioni urbanistiche, una volta di competenza del M. LL.PP., risulta trasferita alle Regioni.

• Le attività oggi poste in essere dal M. II e TT. ha per oggetto l’esercizio del potere di indirizzo e di coordinamento afferente all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale “con riferimento all’articolazione territoriale degli interventi di interesse statale ed alla tutela ambientale ed ecologica del territorio, nonché della difesa del suolo”.

• L’esercizio della relativa funzione spetta al Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero in parola con la conferenza Stato Regioni ed Enti Locali.

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• I Ministeri dell’Ambiente e dei Beni ed Attività Culturali• Tra le principali attività svolte dal M. A. in materia urbanistica si ricordano

quelle relative alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali parte dei quali risultano, tuttavia, già delegati alle Regioni, nonché di promozione della cultura urbanistica ed architettonica (v. Codice dei beni culturali).

• Il M. A. è strutturato sul territorio attraverso le sue articolazioni locali rappresentate dalle soprintendenze operanti su scala regionale, ciascuna in ragione di ambiti specifici di competenza (ambito storico, paesaggistico, ecc.).

• Il Dicastero non risulta dotato di uffici periferici. Esso si occupa principalmente di assetto del territorio, di tutela di aree protette, di riqualificazione dell’ambiente, di V.I.A..

• La Regione• La fonte dei poteri regionali risiede negli statuti e nelle leggi emanate dalle

singole Regioni nell’alveo dei principi stabiliti dalla Carta Costituzionale.• La disciplina urbanistica è presidiata dai relativi Assessorati o Dipartimenti

(a seconda dell’organizzazione di ciascuna di esse) a capo dei quali è posto un componente della giunta regionale.

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• Le funzioni regionali si distinguono in compiti di direzione e controllo e funzioni precettive.

• 1) Le prime assolvono al compito istituzionale della Regione volto alla formazione del piano territoriale regionale.

• La funzione di indirizzo di esplica sia attraverso provvedimenti amministrativi mediante leggi regionali mirate aventi per oggetto linee guida di carattere politico amministrativo indirizzate soprattutto ai Comuni ai fini della formazione dei P.R.G.

• Quella di controllo afferisce ai poteri surrogatori rispetto agli obblighi inadempiuti dai Comuni in ordine alla formazione dei P.R.G. ed al rilascio dei permessi di costruire.

• 2) Per quanto concerne le funzioni precettive, le Regioni non esercitano poteri di pianificazione urbanistica in senso stretto espletando compiti di conformazione del territorio attraverso la fissazione di prescrizioni urbanistiche (piani paesaggistici, piani A.S.I.).

• Accanto alle predette funzioni le Regioni hanno competenza in materia di controllo sull’uso dei suoli provvedendo ad emanare provvedimenti in materia di tutela del paesaggio, dell’assetto idrogeologico, forestale, antisismica.

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• La Provincia• Attraverso il T.U. EE.LL. alle Province viene attribuita competenza in materia

urbanistica della quale era in precedenza priva.• 1) La sua più rilevante attribuzione consiste nella predisposizione e

adozione del Piano Territoriale di Coordinamento.• Il livello di governo del territorio sul quale viene esercitato il potere relativo è

quello provinciale il quale rimane, comunque subordinato alla pianificazione regionale (i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali devono sottostare alle direttive contenute nei Piani Regionali ove previsti).

• 2) la seconda attribuzione di cui la Provincia risulta investita è quella relativa alla funzione di controllo di competenza regionale che la stessa Regione può delegare al livello provinciale in ordine all’accertamento della conformità dei Piani Comunali con quelli provinciali.

• La Città Metropolitana• Ai sensi dell’art. 114 della Carta Costituzionale anche la Città Metropolitana

avrebbero competenza in materia urbanistica.• Aree territoriali di attrazione dei comuni circostanti espressamente

individuate dalla legge (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli) mai istituite dovrebbero interfacciarsi con i Comuni ai fini dell’interfaccia funzionale sulle relative attività economiche, sociali e culturali.

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• Il Comune• E’ l’attore protagonista della scena del Diritto Urbanistico.• Esso è titolare delle principali funzioni urbanistico-edilizie in materia di governo del

territorio.• Esso è composto da organi di indirizzo politico (il Consiglio, la Giunta ed il

Sindaco) nonché da quelli gestori (dirigenti).• Il Consiglio Comunale è l’organo comunale più rilevante nel governo del relativo

territorio e risulta competente all’emanazione delle prescrizioni urbanistiche tassativamente stabilite dalla legge (T.U. EE.LL.).

• Fra questi:• I piani territoriali ed urbanistici;• I programmi di opere pubbliche;• I programmi annuali e pluriennali per la relativa attuazione;• La Giunta Comunale, nella sua qualità di organo del governo del Comune ed

espressione della maggioranza consiliare, ha competenza nell’adozione dei piani c.d. “planovolumetrici”, particolari piani di lottizzazione derivanti da un piano particolareggiato, nonché nell’approvazione del piano urbanistico prima della sua presentazione al Consiglio per la relativa adozione.

• I Dirigenti, ai quali sono state attribuite le più importanti competenze un tempo facenti capo al Sindaco esercitano i poteri legati alla funzione di controllo sull’uso dei suoli ed all’adozione dei provvedimenti afferenti alle trasformazioni urbanistico-edilizie.

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• Lo Sportello S.U.A.P. (Sportello Unico per le Attività Produttive)• A mente del T.U. sull’edilizia i Comuni devono dotarsi,

individualmente o in forma associata, dello S.U.A.P. allo scopo di provvedere in ordine all’intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso di costruire o di denuncia di inizio d’attività.

• Ai suoi impiegati con funzioni apicali sono attribuiti compiti di vigilanza sul territorio correlati strettamente alla funzione sanzionatoria in concreto esercitata mediante la polizia municipale ed il personale di appositi uffici (c.d. “antiabusivismo”).

• La C.E.C. (Commissione Edilizia Comunale) rappresenta un altro organo collegiale comunale di natura tecnico-professionale (composta da architetti, avvocati, ingegneri, ecc.) e ha i suoi compiti principali in quelli consultivi consistenti nel rilascio dei permessi di costruire.

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LA FUNZIONE DI SALVAGUARDIA• La funzione di salvaguardia consta di quello strumento di “supplenza”

volto ad evitare che il “territorio non pianificato” sia suscettibile di essere trasformato in modo tale da condizionare le scelte del futuro pianificatore.

• Quali conseguenze per l’A.C. e per i singoli privati nell’ipotesi di assenza di uno strumento urbanistico generale.

• Successivamente alla L.P. sostanzialmente tutte le leggi regionali impongono all’A.C. l’adozione di un siffatto Strumento.

• E’ stata proprio la L.P. ad introdurre nel nostro ordinamento la disciplina generale ed inderogabile sull’uso dei suoli da applicarsi in assenza di uno strumento urbanistico vigente o qualora questo sia divenuto totalmente o parzialmente inefficace.

• Questi sono i c.d. standard ope legis.• In virtù di tali standard minimi da osservare è stato, pertanto, posto un

limite al potere dei privati di utilizzazione dei propri beni immobili.• In virtù, pertanto, di tali principi non risulta in alcun modo possibile

utilizzare ai fini urbanistico-edilizio alcuna porzione del territorio nazionale al di fuori di regole prestabilite.

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• La disciplina attuale di tali standard è la seguente:• - fuori dal perimetro dei centri abitati l’edificazione residenziale non può

eccedere la densità fondiaria di mc 0,03 per metro quadrato;• - per gli interventi edilizi a scopo produttivo, sempre posti al di fuori dei

centri abitati, la superficie coperta non può eccedere il 10% dell’area di superficie della proprietà;

• - fuori e dentro i centri abitati sono consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo oltre che di manutenzione ordinaria e straordinaria.

• Sono fatti salvi i limiti più restrittivi previsti dalle leggi regionali.• Qual è la nozione di “centro abitato” i fini dell’applicazione degli standard

ope legis?• L’art. 17 della L.P. prevedeva una preliminare delibera del Consiglio

Comunale con cui individuare il centro abitato.• La giurisprudenza ha, peraltro, stabilito come, anche in mancanza di tale

delibera ed in assenza di perimetrazione, gli standard trovano, comunque, applicazione dovendosi ritenere quale centro abitato la sua individuazione sulla base di un accertamento empirico e, in caso di dubbio, la relativa identificazione sulla base della norma comunque più restrittiva

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LE MISURE DI SALVAGUARDIA

• Le misure di salvaguardia, introdotte con la l. 1902/1952 ed oggi disciplinate nel T.U. sull’edilizia, a differenza degli standard ope legis, risultano strettamente correlate al procedimento di formazione dei piani urbanistici.

• Attraverso l’utilizzo di tali misure il nostro ordinamento garantisce la tutela giuridica dell’interesse pubblico cui è finalizzata la piena vigenza dello strumento urbanistico impedendo che effetti di tale piano possano risultare vanificati in ragione di atti o provvedimenti amministrativi incompatibili con la future vigenza dello stesso.

• Le misure di salvaguardia in senso stretto (o ordinarie) sono quelle previste in relazione ai piani regolatori comunali.

• La legge stabilisce come il Comune debba sospendere ogni propria determinazione in merito alle istanze relative a permessi di costruire che si dovessero porre in contrasto con le prescrizioni contenute nel PRG o in quello attuativo soltanto adottato dal consiglio comunale, ma non ancora approvato e, pertanto, ancora privo della sua efficacia giuridica.

• Le misure di salvaguardia hanno, comunque, una durata limitata nel tempo derivante dalla loro natura cautelare: tre anni dall’adozione del piano, che possono giungere a cinque qualora si tratti di piano suscettibile di essere approvato da un’amministrazione diversa dal Comune e la trasmissione del piano adottato si avvenuta entro un anno dalla scadenza del termine di pubblicazione.

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• Qualora nei superiori termini i relativi piani non dovessero essere resi definitivi, le misure di salvaguardia diventerebbero inefficaci ed il Comune sarebbe tenuto a pronunciarsi sulla domanda secondo la disciplina urbanistica in quel momento vigente che, al limite, potrebbe essere costituita anche dagli standard ope legis qualora il Comune dovesse essere sfornito di strumenti urbanistici vigenti.

• Quando i piani divengono definitivi le misure di salvaguardia perdono automaticamente la loro efficacia; in tal caso il Comune dovrà necessariamente pronunciarsi sulla domanda del privato senza nessun altro impulso da parte dello stesso.

• Dalle misure sopra menzionate (ordinarie) si distinguono quelle c.d. “eccezionali”, di competenza della Regione su proposta del Comune.

• La differenza sostanziale è data dal fatto che, in questo, caso, l’effetto di salvaguardia riguarda i permessi di costruzione già rilasciati al fine di “ordinare la sospensione di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l’attuazione degli strumenti urbanistici”.

• Mentre nel caso delle misure di salvaguardia ordinarie la P.A. è priva di discrezionalità nell’adozione della propria decisione, in quelle eccezionali la Regione deve invece valutare con attenzione gli interessi in gioco al fine di verificare se l’interesse del singolo privato risulti effettivamente in contrasto con la disciplina urbanistica in fieri.

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LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA E TERRITORIALE• Il procedimento di pianificazione urbanistico-territoriale non risulta

dissimile dalle regole generali del procedimento amministrativo procedimento amministrativo.

• Va, tuttavia, rilevata la peculiarità dello stesso, ma soprattutto, la estrema complessità dei relativi provvedimenti.

• Tale complessità è data sia dall’elevato numero di prescrizioni sia perché aventi come destinatari una pluralità indefinita di soggetti.

• Punti cardine sotto il profilo concettuale:• 1) Le prescrizioni contenute nel piano urbanistico non sono sempre

espresse in forma letterale, ma anche in quella della rappresentazione grafica e ciò costituisce una specificità del procedimento (mappe, modelli iconografici, simbolici, retinature ecc.)

• Tali segni grafici costituiscono essi stessi precetti a contenuto giuridico prescrittivo nei confronti dei destinatari.

• Parte grafica e parte letterale rappresentano elementi fra loro fortemente complementari che vanno interpretati in modo sistematico ed organico.

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• Nell’ipotesi, non infrequente, in cui dovesse insorgere un contrasto ermeneutico fra parte grafica e parte letterale, la giurisprudenza ha avuto modo di stabilire come sia la parte letterale a prevalere su quella grafica sempre che questa risulti sufficientemente chiara e precisa.

• Va, tuttavia, rilevato come l’interprete debba ricercare la ratio della prescrizione attraverso una valutazione sistematica di tutto il complesso delle prescrizioni contenute nel piano, ragione per cui può accadere che, in taluni casi, possa ritenersi prevalente la rilevanza delle tavole grafiche.

• 2) Altra peculiarità del procedimento amministrativo afferente alla determinazione del provvedimento costituito dal piano è quella per cui possono configurarsi due distinte tipologie di piano:

• A) piani generali;• B) piani settoriali.• Il primo persegue la finalità di ordinato assetto territoriale (la destinazione

di un’area ad espansione industriale piuttosto che a terreno incolto);• Il secondo, invece, contiene norme finalizzate ad un preciso scopo

comunque volto al perseguimento dell’interesse pubblico che vi presiede (tutela dell’ambiente, recupero urbanistico, ecc.)

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• I piani più frequenti nel diritto positivo sono i seguenti:• a) piani regolatori generali;• b) i piani particolareggiati;• c) i piani regolatori intercomunali;• d) i piani territoriali di coordinamento regionali, provinciali ed

intercomunali.• Risulta ormai acquisita dalla giurisprudenza in materia la tendenziale

prevalenza del piano settoriale su quello generale.• 3) Alla dicotomia piano generale-piano settoriale si sovrappone

quella piano generale-piano attuativo laddove la “tensione” fra i termini generale/attuativo attiene alla diversa ampiezza non delle finalità perseguite quanto della maggiore astrattezza o meno dei relativi contenuti.

• 4) Altra rilevante peculiarità da considerare nell’alveo del procedimento urbanistico-territoriale è rappresentata dalla tipologia del contenuto delle prescrizioni di piano che possono distinguersi in:

• a) prescrizioni di zona;• b) prescrizioni di localizzazione.

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• Le prescrizioni di zona o zoning, impiegate, soprattutto nei piani generali,ed in particolare che piano regolatore comunale.

• Secondo tale tecnica i possibili usi del territorio vengono stabiliti in base alla funzione “principale” assegnata dal piano ad una determinata area spaziale (residenziale, produttiva, agricola ecc.).

• Contestualmente vengono stabiliti gli indici di fabbricabilità dell’area in questione (definiti in termini di indici di “zonizzazione strutturale” o “architettonica”) oppure prescrizioni relative ad altro tipo di trasformazione degli immobili (ad es. riserva naturale).

• Di norma le prescrizioni relative ai parametri di edificabilità sono contenute all’interno delle c.d. norme di attuazione (N.T.A.).

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IL PROCEDIMENTO• Il procedimento amministrativo riguardante la pianificazione

urbanistico-territoriale si divide in fasi distinte benché tra loro funzionalmente connesse:

• LA FASE DI INIZIATIVA• La prima fase è quella relativa all’iniziativa che, di regola, è d’ufficio.• E’ la stessa P.A. a promuovere il procedimento sebbene, in taluni

casi, sia lo stesso singolo privato ad azionarlo, come nella proposta di un piano di lottizzazione ed allora il procedimento ha inizio su presentazione di un determinato progetto urbanistico.

• Per quanto riguarda gli altri piani può essere previsto uno specifico atto di iniziativa, ma, laddove dovesse mancare, l’inaugurazione del procedimento può aver luogo anche attraverso il conferimento dell’incarico ad un progettista esterno all’amministrazione ovvero allorché ad un ufficio interno qualora dovesse essere attrezzato per l’adempimento del compito assegnatogli.

• LA FASE DI ISTRUTTORIA

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• La fase relativa all’istruttoria rappresenta il cuore di tutto il procedimento amministrativo nel provvedimento urbanistico-territoriale.

• Essa contiene la ponderazione dei numerosi interessi da contemperare, che, nella formazione di un piano, raggiunge la sua massima complessità.

• E’, infatti, in questa fase che prende forma la decisione della P.A., continuamente soggetta a mutamenti e verifiche fino al raggiungimento dell’atto giuridico formale (il provvedimento).

• Prima di tutto l’amministrazione identifica i fatti e gli interessi da valutare attraverso la determinazione degli “indirizzi” da seguire.

• Ciò avviene attraverso la formalizzazione di un atto proveniente dall’organo dotato del potere decisionale che rivolge le indicazioni di indirizzo all’Uffico che seguirà l’istruttoria stessa.

• Tale atto è denominato “deliberazione programmatica”.• L’Ufficio chiamato a condurre l’istruttoria è un ramo dell’amministrazione

stessa (un ufficio, un servizio, …) il quale è chiamato all’acquisizione degli elementi conoscitivi finalizzati alla decisione finale.

• Essi sono:

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• 1) l’analisi delle vocazioni territoriali sotto il profilo storico, geoeconomico, giuridico, sociale e culturale;

• 2) l’assunzione dei pareri necessari o facoltativi di altre amministrazioni a contenuto prevalentemente tecnico.

• Segue la “redazione” del piano ossia la prima stesura dello stesso che costituisce atto vero e proprio del procedimento con un limitato rilievo esterno sicché l’assenza di tale atto emanato dall’organo a ciò deputato dalla norma determinerebbe un vizio del procedimento impugnabile innanzi alla competente Autorità Giudiziaria Amministrativa.

• Nei casi in cui la redazione di tale bozza non dovesse essere prevista dalla legge tale stadio del procedimento rimane fase essenziale dell’istruttoria e coincide con la “consegna del piano” da parte del progettista, interno o esterno all’amministrazione.

• In quasi tutte le tipologie di piano territoriale, la legge o la prassi prevedono che al progetto di piano risulti allegata una relazione generale allo scopo di illustrare i punti qualificanti dello stesso (relazione tecnica illustrativa).

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LA FASE DI INTERVENTO DEI PRIVATI

• I procedimenti amministrativi sono, di regola, aperti all’intervento dei singoli privati ai fini dell’instaurazione del contradditorio nell’alveo della fase istruttoria.

• I soggetti privati, siano essi, persone fisiche, giuridiche, associazioni riconosciute e non, altre amministrazioni, prendono normalmente parte al procedimento amministrativo mediante l’intervento che si concretizza in osservazioni e opposizioni sotto forma di memorie che, normalmente, si producono dopo l’adozione del piano e prima della decisione finale (approvazione del piano).

• Che tipo di legittimazione possono vantare i privati ai fini dell’esercizio, in concreto, del proprio diritto di partecipazione mediante l’intervento.

• Tale partecipazione spetta sia a quei soggetti non titolari di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, ma che abbiano, comunque un apprezzabile legame con il territorio oggetto dell’emananda prescrizione urbanistica (i frequentatori di un giardinetto che dovrebbe essere destinato a parcheggio), ma anche a quella indefinita collettività di soggetti titolari di un c.d. “interesse diffuso” ossia di un interesse collettivo alla salute, alla qualità dell’ambiente, alla tutela del paesaggio (si pensi alle osservazioni o alle opposizioni sollevate da un’associazione ambientalista sullo spianamento delle dune costiere per la realizzazione di un lungomare).

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• Tali tipologie di interventi nell’ambito del procedimento amministrativo possono assumere una duplice finalità:

• 1) di garanzia del giusto procedimento volto alla tutela della sfera giuridica dei privati dalle conseguenze potenzialmente negative dell’adottando provvedimento amministrativo;

• 2) di collaborazione con l’amministrazione decidente nella valutazione degli interessi in gioco per l’assunzione della decisione anche alla luce delle possibili soluzioni suggerite.

• Allorché l’amministrazione riceve gli inputs partecipativi dei privati non è, tuttavia, l’obbligo della stessa di accoglierne le ragioni o di motivare specificamente i motivi del loro mancato accoglimento essendo sufficiente l’indicazione, anche sintetica e cumulativa, delle ragioni del loro mancato accoglimento.

• LA FASE DECISORIA• La fase relativa all’assunzione della decisione si presenta molto

complessa poiché alla medesima partecipano più amministrazioni.• Nella pianificazione territoriale, a più forte ragione, nella misura in cui il

tasso di complessità risulta massimo laddove il provvedimento si articola attraverso tutta una serie di atti e subprocedimenti amministrativi posti in essere a distanza di tempo l’uno dagli altri.

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• La complessità di cui si parla afferisce a diverse ipotesi concrete.• In primo luogo la complessità del provvedimento amministrativo, in

materia di pianificazione territoriale riguarda il fatto che gli atti amministrativi posti in essere da varie amministrazioni sembrano fondersi in unico atto (“atto complesso”).

• Ciò avviene nel PRG laddove il diverso contenuto volitivo dei diversi atti amministrativi che vanno a comporre la decisione finale è comunque mosso dallo stesso fine rappresentato dal superiore interesse pubblico.

• Nel PRG, tuttavia, tale complessità risulta “”ineguale” laddove gli che si succedono nella fase di “adozione” non sempre coincidono la decisione presa nella fase di “approvazione” nel senso che, posta una serie di atti amministrativi volti al perseguimenti di uno scopo comune (di interesse pubblico), l’atto complesso può subire in fieri modifiche salvo il limite della conservazione dei suoi contenuti qualificanti senza la presenza dei quali si snaturerebbe il provvedimento finale che, in tal caso, non sarebbe più logicamente riferibile all’atto preliminare del procedimento stesso.

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• La natura “complessa” del procedimento amministrativo che da luogo al provvedimento non va confusa con la decisione assunta “d’intesa” con le altre amministrazioni giacché in tal caso ciascuna amministrazione esprime la propria volontà in ordine ad un diverso e specifico interesse pubblico di cui ciascuna amministrazione è portatrice, anche se le diverse volontà dovranno, comunque, condurre all’adozione di un’unica decisione capace di contemperare le esigenze dei diversi attori amministrativi (si pensi a provvedimenti emanati “d’intesa” fra i Comuni coinvolti nell’approvazione del piano di un parco, da assumersi “d’intesa” con Regione ed Ente Parco).

• LA CONFERENZA DEI SERVIZI DECISORIA• Negli ultimi anni la decisione assunta “d’intesa” fra le amministrazioni

coinvolte nel procedimento amministrativo viene, sempre più spesso, posta in essere attraverso uno strumento di “semplificazione procedurale” denominato “conferenza dei servizi”.

• Si tratta di un istituto tipico introdotto da leggi speciali (L. 241/1990 integrato e modificato dalla L. 15/2005 e dalla L. 69/2009) che dispone l’indizione di tale “conferenza” ogni qualvolta “sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento”. Tale conferenza è disposta obbligatoriamente qualora l’amministrazione procedente debba ottenere N.O., assensi, o intese comunque denominate da parte di altre amministrazioni pubbliche.

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• In questo caso il provvedimento conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza dei servizi, che viene assunta che è il risultato delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni convenute, tiene luogo di (rectius: sostituisce) ogni autorizzazione, concessione, N.O. o qualunque di provvedimento amministrativo prodotto da ciascuna amministrativa partecipante o, comunque, invitata a partecipare e che non sia convenuta.

• La Conferenza dei Servizi, quale sede decisione “unica”, è stata prevista, in prima battuta, per l’assunzione di provvedimenti amministrativi finalizzati alla localizzazione di OO.PP., la cui rapida realizzazione ha rappresentato una priorità per il legislatore.

• La decisione assunta in tale sede produce gli effetti di “variante automatica” nei confronti di tutte le prescrizioni urbanistiche vigenti.

• Va, quindi, distinta, la conferenza convocata per legge in ragione della necessità di velocizzare il procedimento volto alla soddisfazione di un interesse primario (es. localizzazione delle OO.PP.) e in tal caso l’interesse specifico individuato come primario si misura con l’assetto del territorio vigente; da quella convocata per la formazione del piano territoriale necessaria per l’acquisizione dei necessari atti di consenso delle amministrazioni cointeressati e, in tal caso, è l’assetto del territorio in fieri (non ancora disciplinato) a doversi misurare con i diversi interessi e valori presenti sul territorio.

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• Si tratta certamente di un sacrificio dell’analitica e completa ponderazione degli interessi in gioco nell’assunzione del provvedimento rispetto all’altare dell’efficacia della decisione.

• Si tratta di un provvedimento assunto dall’Amministrazione procedente tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse tra quelle presenti. Non è necessaria una determinazione condivisa, frutto del coordinamento delle varie amministrazioni presenti; l’eventuale dissenso espresso da una o più amministrazioni necessita di obbligatoria motivazione e non vincola la decisione finale.

• Va, al riguardo, valutato anche l’interesse di cui l’amministrazione dissenziente si fa portatrice: spetterebbe al Consiglio dei Ministri assumere la decisione ove l’amministrazione dissenziente fosse statale, alla Conferenza Stato-Regioni qualora fosse regionale e statale, alla Conferenza unificata ove fosse un ente locale.

• In caso di inerzia la decisione spetterebbe comunque al Consiglio dei Ministri.

• Nel project financing sono i privati aggiudicatari del pubblico appalto ovvero le società di progetto, e non soltanto le amministrazioni pubbliche, ad intervenire in sede di Conferenza dei Servizi, i quali devono obbligatoriamente essere convocati senza diritto di voto.

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• LA PRODUZIONE DEGLI EFFETTI• Ogni procedimento di pianificazione territoriale è composta da un fase

procedimentale finalizzata al controllo e alla pubblicità del decisione finale (che determinano l’efficacia del provvedimento nei confronti dei suoi destinatari).

• La fase di controllo può essere prevista da norme generali le quali presiedono alla verifica di tutta l’attività amministrativa posta in essere (oggi assolutamente tramontata) (es. il DPR necessario alla localizzazione di un’opera pubblica di interesse statale è ancora soggetta al controllo di legittimità della Corte dei Conti).

• Può, peraltro, comprendere quei casi in cui una norma imponga nell’integrazione dell’efficacia del piano il concorso di figure e/o soggetti non solo con funzione decisoria , ma anche con quella di controllo: in tal caso il controllo è assai più pregnante estendendosi non solo ad un profilo di legittimità, ma anche a quello di merito.

• Perché il provvedimento amministrativo risulti efficace è necessario che il relativo contenuto sia reso “pubblico” mediante la sua conoscibilità legale da parte della collettività (es. talune leggi regionali dispongono l’entrata in vigore del piano solo dopo il decorso del quindicesimo giorno successivo alla relativa pubblicazione sul Bollettino Regionale).

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IL PIANO REGOLATORE GENERALE

• Tutte le vicende procedimentali affrontate in ordine alla pianificazione territoriale trovano puntuale riscontro nella disciplina nazionale e regionale del PRG, istituto giuridico che rappresenta l’archetipo della nozione di “piano territoriale” poiché, essendo stato per lunghissimo tempo l’unico strumento effettivamente utilizzato per la pianificazione territoriale, costituisce l’elemento tecnico giuridico attorno al quale si è costruita tutta la disciplina del diritto urbanistico.

• Fino a pochi anni fa il quadro normativo del PRG rimaneva quello disegnato nell’art. 7 e ss. della LU come successivamente integrata e modificata.

• Solo di recente ha assunto connotati diversi ragione per cui se si poteva parlare di modello di PRG su scala nazionale oggi si deve fare riferimento ai principi entro cui le singole regioni modellano i PRG su base autonoma.

• Si tratta del risultato della riforma effettuata attraverso la L. Costituzionale 3/2001 mediante la quale è stata stabilita una rilevante erosione dei poteri statali in favore di quelli regionali tendenzialmente finalizzata a far scomparire del tutto le regole contenute nella legislazione statale per lasciare il posto ai soli principi fondamentali.

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• In base all’art. 7 e ss. della LU il PRG deve, innanzitutto, disporre la “divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano” (zonizzazione funzionale) e “la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona” (zonizzazione architettonica).

• Deve, poi, indicare la localizzazione di opere e impianti pubblici, fra cui le principali reti di comunicazione stradale, ferroviaria e marittima, nonché “i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico”.

• L’art. 7 citato include, fra i contenuti del PRG, anche le c.d. NTA (Norme Tecniche di Attuazione).

• IL PROCEDIMENTO• Il Consiglio comunale definisce con la c.d. “adozione” il subprocedimento di

competenza del Comune. • All’adozione segue il “deposito”, con relativo avviso al pubblico di tutti i

documenti che compongono il Piano (tavole grafiche e normative) per una durata di almeno trenta giorni, decorsi i quali i privati hanno facoltà, negli ulteriori trenta giorni, di presentare le proprie osservazioni/opposizioni.

• Il deposito e l’approvazione segnano il passaggio formale dalla fase di adozione a quella di approvazione che, invece, è di competenza degli Organi regionali o provinciali a seconda degli ordinamenti di ciascuna Regione.

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• Prima dell’invio del Piano alla Regione o alla Provincia lo stesso rimane presso gli uffici comunali al fine di raccogliere tutte le osservazioni e opposizioni pervenute perché sulle stesse il Comune possa esprimersi motivatamente.

• Tale pronuncia (delibera di controdeduzioni) che è sempre di competenza del consiglio comunale, ha natura giuridica di parere poiché la decisione sull’accoglimento o meno delle osservazioni degli intervenienti è demandata all’amministrazione che approva, ossia alla Regione o alla Provincia.

• Gli elaborati che rappresentano il progetto di piano adottato, unitamente alle osservazioni e alle relative controdeduzioni, vengono inviati agli uffici dell’amministrazione approvante i quali, a loro volta, avviano una nuova istruttoria consistente nel riesame del materiale prodotto.

• Non si tratta, in tale fase, tuttavia di un vero e proprio riesame nel merito della documentazione offerta, ma di una procedura meramente cartolare che non consiste in ulteriori attività di indagine, ma verifica il quadro documentale già acquisito.

• L’esito della procedura è la deliberazione di approvazione che definisce il piano.

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I POTERI DELL’AMMINISTRAZIONE APPROVANTE• Quale natura giuridica hanno e quali effetti sono suscettibili di spiegare i

poteri esercitati dall’amministrazione approvante nell’esercizio della sua funzione deliberativa di PRG?

• In primo luogo l’amministrazione non può incidere sul nucleo del piano predisposto in seno al consiglio comunale poiché ciò lederebbe il principio dell’autonomia comunale garantito dalla Carta Costituzionale.

• I poteri di modifica risultano, infatti, tassativamente stabiliti dall’art. 10 LU come ss. mm. e ii. dall’art 3 LP:

• Modifiche d’ufficio qualificate• si tratta della possibilità conferita all’amministrazione approvante di

adottare le innovazioni indispensabili a garantire:• A) il rispetto delle prescrizioni contenute nei piani territoriali di livello

sovracomunale;• B) la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti

d’interesse sovracomunale;• C) la tutela del paesaggio e dei complessi di interesse storico, culturale,

ambientale;• D) l’osservanza degli standard urbanistico edilizi.

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• Modifiche d’ufficio generiche.• Si tratta di un vero potere di codeterminazione del contenuto del PRG disciplinato

per la prima volta nella LP che trova, tuttavia, il limite invalicabile nell’impossibilità di “mutare le caratteristiche essenziali ed i suoi caratteri di impostazione”.

• Appare evidente la difficoltà di definire l’ampiezza dei poteri attribuiti all’amministrazione approvante in sede deliberativa, oggi interpretabile solo alla luce della giurisprudenza amministrativa la quale ha avuto modo di stabilire, caso per caso, il raggio d’azione della stessa.

• La “sostanziale innovazione” è stata, ad esempio ravvisata nel ridimensionamento delle previsioni insediative mediante una generale riduzione degli indici di fabbricabilità o di destinazione di larga parte del centro urbano a zona agricola.

• L’esito del procedimento deliberativo presso l’amministrazione approvante può non consistere necessariamente nell’emissione del provvedimento di piano con le modifiche, ben potendosi tradurre in altre tipologie di approvazione.

• Specificamente:• A) mediante l’approvazione pura e semplice;• B) attraverso la restituzione in ragione di modifiche, integrazioni o rielaborazioni;• C) tramite la c.d. “approvazione stralcio”, ossia mediante l’approvazione di una

parte del piano, con o senza modifiche d’ufficio finalizzata ad evitare che talune questioni rimaste irrisolte possano inficiare l’entrata in vigore di tutte le altre previsioni urbanistiche.

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• OSSERVAZIONI DEI PRIVATI SUL PRG• Un aspetto sicuramente rilevante del processo di formazione del PRG è

rappresentato dalle rifluenze che possono determinarsi in seguito all’effettuazione di osservazioni da parte dei privati in seno al procedimento stesso.

• Qualora il Comune dovesse decidere di accogliere una o più osservazioni formulate dai privati e, pertanto, dovesse ritenere di modificare il piano adottato, dovrà ricominciare tutto il percorso segnato dl procedimento (rielaborazione, adozione, deposito, pubblicazione e nuovi termini per le osservazioni).

• Occorre, tuttavia, distinguere fra applicazione del modello di cui alla LU e quello teorizzato dai nuovi modelli regionali maturati a seguito della riforma disposta dalla L. Cost. 3/2001.

• Nella prima delle due ipotesi risulta di difficile interpretazione l’agire del Comune il quale, pronunciandosi sulle osservazioni, potrebbe “riadottare” il PRG innovando i contenuti, ovvero esprimersi sulle osservazioni attraverso il proprio parere all’amministrazione approvante: sarà verificato caso per caso, sulla base della condotta assunta in concreto dal Comune, se interpretarsi come riadozione o come parere (il tutto al fine di correttamente distinguere le due fasi del procedimento – dei due subprocedimenti: adozione e approvazione).

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• Una diversa ricostruzione giurisprudenziale passa, invece, necessariamente, per l’attenuazione dei vincoli identitari del procedimento esistenti fra adozione e approvazione alla luce dei nuovi modelli regionali.

• In tal senso si renderebbe praticabile l’effettivo apprezzamento dell’apporto partecipativo dei privati anche quando questo dovesse profilare soluzioni molto innovative rispetto all’atto adottato.

• In tale prospettiva non si parlerebbe neanche del problema della “riadozione” del piano, e nemmeno di modifica di un piano adottato poiché non vi sarebbe nemmeno un pianno da modificare, ma di attività endoprocedimentale ordinata e preordinata alla decisione finale.

• IL REGOLAMENTO EDILIZIO COMUNALE• Nell’ambito della disciplina comunale di regolazione delle

trasformazioni urbanistiche ed edilizie, un ruolo di particolare rilievo assume il regolamento edilizio (art. 33 LU abrogato dal TU edilizia) il quale ha rappresentato un pilastro di cognizione normativa fondamentale nella disciplina d’uso dei suoli ma i cui contenuti sono stati trasfusi nelle NTA del PRG.

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• La LU prevedeva, tra i contenuti del Regolamento Edilizio, le prescrizioni edificatorie nell’ambito del territorio comunale, i criteri di composizione e funzionamento della CEC, ecc.

• Il TU edilizia, all’art. 4, prevede che il REC contenga la disciplina delle modalità costruttive unitamente agli argomenti da sottoporre al parere della CEC.

• La differenza rispetto al passato sta in ciò che il REC non si occupa più di determinare i parametri costruttivi di cui si occupa, invece, i PRG e le NTA.

• Oggi il REC elencale prescrizioni igienico-sanitarie , di pubblica incolumità, di decoro, di estetica degli edifici.

• E’ il PRG a dettare le regole afferenti ai parametri edilizi, alle distanze legali fra edifici definendo gli indici fondiari, edilizi e tecnici.

• Solo all’esito favorevole e, pertanto, al riscontro di tutte le predette prescrizioni potrà essere rilasciato il certificato di agibilità (all’esito del collaudo dell’opera, del rilascio del certificato di conformità urbanistica dell’opera rispetto all’elaborato di progetto approvato il dirigente dell’uffici comunale competente, previa eventuale ispezione, rilascia il certificato nei trenta gg. successivi alla richiesta; in caso di inutile decorso del termine dei trenta gg. l’agibilità si intende rilasciata qualora sia stato rilasciato il parere dell’ASP in sede di procedimento per il rilascio del permesso di costruire. In tal caso il rilasci si ha per avvenuto decorsi sessanta gg. dall’autocertificazione di avvenuta espressione di detto parere).

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• IL NUOVO MODELLO DI PRG NELLA LEGISLAZIONE REGIONALE

• La legislazione regionale ha profondamente modificato l’originario modello di PRG elaborato nella LU del 1942.

• Oggi il PRG si presenta come atto complesso costituito da due provvedimenti temporalmente autonomi:

• 1) il piano strutturale, quale cornice strategica fissante le linee guida del piano;

• 2) e il piano operativo, volto a stabilire le regole attuative di tali linee.• Mentre il piano strutturale tende a fissare le “invarianti” del territorio

(parametri geomorfologici, ambientali, paesaggistici, ecc.) i contenuti del piano operativo, che ha durata limitata nel tempo, determinano i l’effettiva conformazione urbanistica dei suoli anche tramite piani attuativi negoziati con i privati.

• In definitiva, dalla pianificazione imperativa del PRG così come prevista nella LU, si è passati alla flessibilità operativa della conformazione dei suoli mediante il ricorso continuo all’urbanistica consensuale sulla base di una pianificazione per accordi nell’ambito del piano operativo.

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LA FUNZIONE DI GESTIONE • Accanto alla funzione di conformazione del territorio, e a

completamento di questa, va esaminata la funzione di gestione che rappresenta il momento dinamico della pianificazione urbanistica, ossia la fase operativa, scandita dalle modalità e termini di applicazione delle prescrizioni urbanistiche contenute nel PRG.

• Perché la trasformazione del territorio possa, tuttavia, avvenire, è necessario che questa sia realizzabile, sia sotto il profilo funzionale sia sotto l’aspetto economico-finanziario, sicché si dice che accanto all’obiettivo tipico di dare ordinato e regolare assetto al territorio via sia quello realizzarlo in modo “flessibile”, ossia in coerenza con la disponibilità dei privati coinvolti e compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili.

• IL PROGRAMMA PLURIENNALE DI ATTUAZIONE DEL PRG• Il primo degli strumenti volti all’attuazione delle prescrizioni

urbanistiche contenute nel PRG è il Programma Pluriennale di Attuazione il quale scandisce i momenti delle trasformazioni urbanistiche contenute nel PRG.

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• I programmi pluriennali di attuazione sono di esclusiva competenza comunale, e si prefiggono lo scopo di determinare le aree e le zone nelle quali realizzarsi, anche a mezzo di comparti, le previsioni urbanistiche con riferimento ad un periodo di tempo non inferiore a tre e non superiore a cinque anni.

• Trattandosi di un atto di programmazione con contenuti precettivi indirizzati ai proprietari degli immobili interessati il PPA implica la perimetrazione grafica delle aree comunali incluse nel programma.

• La normativa vigente impone ai singoli proprietari di beni immobili inclusi nel PPA di richiedere il permesso di costruire nei tempi ivi stabiliti, disponendo, in caso contrario, l’esproprio delle aree da parte del Comune che agisce surrogandosi ai privati nell’attuazione delle previsioni di piano (circostanza assai rara in concreto).

• Oltre all’efficacia diretta nei confronti dei privati il PPA esercita un effetto indiretto, molto più pregnante, nei confronti del territorio:

• 1) dispone l’inedificabilità dei suoli;• 2) individua gli interventi diretti al recupero del patrimonio edilizio esistente;• 3) determina gli interventi da realizzare su aree di completamento dotate di

opere di urbanizzazione primaria collegate con quelle comunali;• 4) fissa gli interventi ricompresi nei piani di zona.

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• Quale operatività per il PPA?• Praticamente nessuna.• Il PPA non ha mai assunto i connotati di vero e proprio strumento di

pianificazione non essendo stati i Comuni in grado di darvi concreta attuazione in ragione della cronica carenza di fondi.

• Con la riforma effettuata con la L. 136/1999 il legislatore nazionale ha tentato di “tonificare” tale strumento, ma inutilmente visto che le legislazioni regionali di recepimento delle nuove indicazioni stabilite nella predetta legge hanno, di fatto, del tutto ignorato l’istituto del PPA non considerandolo principio fondamentale della materia.

• IL COMPARTO EDIFICATORIO E LA PEREQUAZIONE• Il più risalente fra gli istituti finalizzati alla gestione della funzione urbanistica

è quello del comparto.• Originariamente previsto in seno alla LU, oggi abrogato dal TU edilizia esso

aveva un raggio d’azione limitato alle “norme riguardanti l’espropriazione”.• La residua normativa rimasta tuttora vigente si preoccupa di stabilire come il

Comune debba procedere, in sede di approvazione di un piano particolareggiato, o anche successivamente, alla “formazione di comparti costituenti unità fabbricabili, comprendendo aree inedificate e costruzioni da trasformare secondo speciali prescrizioni”.

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• Una volta definito il perimetro del comparto spetta al Comune invitare i proprietari a dichiarare, entro un determinato termine, la propria intenzione, o meno, di procedere all’edificazione da soli, se titolari del diritto di proprietà sull’intero territorio considerato, ovvero in consorzio o in comunione ordinaria.

• Il connotato peculiare di tale strumento è dato dal fatto che, ai fini della costituzione del consorzio, è sufficiente la partecipazione di tanti proprietari che rappresentino catastalmente almeno i tre quarti dei diritti di proprietà sul fondo considerato.

• In tal caso il comparto conseguirebbe la proprietà dell’intero (il condizionale è d’obbligo giacché si tratta di norma abrogata dal TU edilizia) mediante l’esproprio, a cura del Comune, delle porzioni immobiliari facenti capo ai proprietari non aderenti al consorzio.

• Nell’ipotesi, invece, di mancata associazione fra i proprietari dei fondi, sarebbe il Comune a procedere all’esproprio di tutte le aree contenute nel comparto per poi indire una gara fra i proprietari medesimi per la realizzazione delle prescrizioni urbanistiche contenute nel piano particolareggiato.

• Le superiori previsioni normative, benché abrogate dal TU, sono state riprese dalle legislazioni regionali e successivamente adattate alle specificità presenti in ciascun territorio.

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• L’istituto giuridico del comparto, a lungo dimenticato, ha solo di recente, acquisito nuovo vigore sotto il profilo della perequazione urbanistica.

• Il ricorso al comparto non si giustifica più con l’esigenza di attuare previsioni urbanistiche, ma con la necessità che tali previsioni realizzino un effettivo contemperamento delle posizioni dei singoli proprietari dei fondi.

• Il risultato della perequazione nel comparto è rinvenibile ove si consideri che nei PRG ai comparti viene assegnato un unico parametro quantitativo (c.d. indice territoriale) da quale emerge il rapporto fra superfici edificabili e volumi realizzabili.

• In parole più semplici a ciascun proprietario di una porzione di fondo incluso nel comparto viene riconosciuta una quota di edificabilità realizzabile all’interno del comparto stesso a prescindere dal fatto che sul suo terreno sorgerà un edificio destinato al libero mercato (abitazioni private, uffici, ecc,) ovvero un pubblico servizio (verde pubblico, piazze, ecc.).

• Nello stesso solco si collocano i trasferimenti di volumetria o cubatura.

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• Il modello del comparto, che trova la sua ratio giuridica nella convenzione di lottizzazione, rappresenta, in definitiva, un disegno pianificatorio rimesso alla volontà dei privati proprietari del comparto perequativo, nei limiti degli accordi siglati con il Comune in ragione delle indicazioni di piano circa la riserva di aree a pubblici servizi o a opere di urbanizzazione primaria ovvero ancora di esigenze di concentrazione dell’edificabilità in un’area piuttosto che in un’altra.

• Tali “vincoli” disposti dal comune non assumono, tuttavia, la forma dell’esproprio, ma un limite ai compartisti nell’esecuzione degli accordi perequativi.

• D’altronde il rispetto di tali limiti risulta garantito dall’azione di controllo effettata dal Comune in sede di rilascio dei titoli concessori.

• Si può, dunque, affermare che l’attuazione delle previsioni urbanistiche fissate all’interno del comparto risulti basata sulle relazioni contrattuali che si instaurano con i destinatari delle stesse.

• Sono gli stessi proprietari a contrattare il trasferimento e la distribuzione delle quote di edificabilità assegnate al comparto nelle aree a ciò destinate.

• E’ a carico dei compartisti la cessione gratuita delle aree al Comune e di tutte le opere di urbanizzazione primaria e secondaria previste nel comparto in ossequio alle previsioni di PRG.

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• Le esperienze comunali in corso pongono il problema della compatibilità dei sistemi perequativi con il sistema di pianificazione comunale vigente sulla zonizzazione.

• Il punto è che non può in alcun modo rinunciarsi alla zonizzazione sancita dalla LU. La pianificazione perequativa non può che attuare e non derogare all’irrinunciabile principio della zonizzazione consacrata nel PRG.

• Ciò premesso va osservato come in molte legislazioni regionali si siano orientate nel senso di configurare la perequazione come “equa distribuzione tra i proprietari degli immobili interessati dei diritti edificatori riconosciuti dalla pianificazione urbanistica e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali”.

• Espressione condivisibile, ma insufficiente a porre al riparo da abusi posti in essere da molti Comuni nei propri piani urbanistici dai quali emerge una perequazione strumentale alla richiesta di oneri di urbanizzazione esorbitanti al solo scopo di “far cassa” o di eccessi in termini di cessione di aree ovvero in quelli di edificazione di opere di edilizia sociale.

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• LE SOCIETA’ DI TRASFORMAZIONE URBANA• Alla funzione precettiva va ricondotta anche quella afferente alla facoltà

delle Città metropolitane e dei Comuni di costituire “società di trasformazione urbana” il cui obiettivo è quello di progettare, realizzare e commercializzare interventi di trasformazione urbanistica in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti.

• Si tratta di uno strumento giuridico mediante il quale attori pubblici e privati si prefiggono lo scopo di promuovere interventi di ristrutturazione urbanistica all’interno di una determinata area territoriale.

• L’elemento di novità sta proprio nella previsione legislativa espressamente finalizzata alla disciplina della trasformazione urbana a mezzo di appositi tipi sociali, la società per azioni delimitando non solo gli scopi, ma anche modalità operative delle medesime.

• La scelta del tipo sociale è demandata alle amministrazioni primarie (Comuni e Città metropolitane) a mezzo deliberazione consiliare.

• La detenzione del capitale sociale è rimessa alla libera determinazione contrattuale dei soci sicché si esclude che la P.A. possa o debba possedere più del 50% delle azioni..

• E’, tuttavia, necessario che i soci vengano selezionati sulla base di una gara ad evidenza pubblica.

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• Lo scopo sociale è limitato alle aree di intervento preventivamente individuate dall’amministrazione: in linea generale l’oggetto sociale si articola negli interventi di trasformazione urbana in aree specifiche che, per ciò stesso, assumono i connotati di pubblica utilità.

• Si tratta di uno strumento assimilabile al Piano Pluriennale di Attuazione che, come visto, risulta volto all’armonica ed effettiva attuazione delle destinazioni d’uso prescritte dallo strumento urbanistico vigente.

• Differisce, invece, dai PEEP (Programmi di Edilizia Economica e Popolare) poiché in tali ultimi l’interesse pubblico è legato alla realizzazione di alloggi destinati a ceti meno abbienti laddove la STU tale interesse è in se e per se rilevante.

• Come si individuano i soci nella STU.• 3 casi:• A) la Provincia e la Regione o altri enti pubblici possono conferire i

beni in proprietà o mediante concessione di diritti di superficie;• B) i proprietari delle aree possono conferire il valore delle aree cedute;• C) attori privati, scelti sulla base di una gara ad evidenza pubblica.

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• LA PIANIFICAZIONE ATTUATIVA • Muovendo dalla LU il PRG risulta attuato attraverso i “Piani

Particolareggiati di Esecuzione” che, in origine, avrebbero dovuto limitarsi alla materiale attuazione delle previsioni contenute nei piani urbanistici generali.

• Il PPE non era in grado, pertanto, di contraddire la disciplina sancita nel PRG.

• Si è trattato, in passato, di uno strumento (PPE) di scarsa applicazione in ragione della capacità dei PRG di contenere norme attuative delle sue stesse prescrizioni.

• A partire dagli Anni ‘60 al PPE si sono affiancate altre figure giuridiche aventi fini attuativi degli strumenti urbanistici vigenti:

• 1) il Piano di Zona per l’Edilizia Economica e Popolare;• 2) il Piano per gli Insediamenti Produttivi;• 3) il Piano per il Recupero del Patrimonio Edilizio Esistente;• 4) il Programma Integrato d’Intervento;• 5) altre fattispecie regionali.

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• In ragione della precipua natura di tali piani, volti prevalentemente al perseguimento delle finalità loro proprie, piuttosto che alla materiale attuazione di quanto stabilito negli strumenti urbanistici vigenti, si è imposta la necessità di allentare i vincoli di gerarchia fissati fra questi e gli strumenti di PRG (questo è il caso dei Piani di Zona per l’Edilizia Economica e Popolare ex L. 167/1962 configurati alla stregua dei Programmi di Fabbricazione, ossia sostanzialmente svincolati e autonomi rispetto al PRG).

• In tale quadro è risultata essenziale la disciplina introdotta dalla L. 47/1985 a mezzo della quale, eliminandosi il principio di gerarchia fra piani attuativi e PRG, si è attribuita piena legittimazione normativa a quel modello di pianificazione urbanistica comunale fondato su un ordine discendente di atti amministrativi fra loro concatenati non in una relazione di causa-effetto, ma su una continua attualizzazione di interessi in gioco e, pertanto, delle relativa previsioni normative.

• L’art. 25 della L. 47/1985 dispone, infatti, espressamente la possibilità di modificare il PRG mediante l’utilizzo dei piani attuativi stabilendo che le relative “varianti” debbano seguire “procedure semplificate” disciplinate con legge regionale e, comunque, fissando un termine di 120 gg. entro il quale l’amministrazione approvante deve comunicare al Comune le proprie determinazioni decorso inutilmente il quale la variante si intende approvata.

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Più di recente la L. 136/1999 rubricato “Piani Attuativi degli Strumenti Urbanistici”, contiene, invece, una disciplina dettagliata dei piani attuativi dei PRG (stavolta in senso stretto).

Due aspetti rilevanti:- La previsione che demanda alla Regione l’emanazione di norme che

definiscano contenuti e limiti delle c.d. “varianti non essenziali”. Si tratta invero di fattispecie, in presenza delle quali, il piano attuativo può porsi in contrasto con il PRG senza la necessità di ricorrere allo strumento della variante (non è necessario, ad es., una procedura di variante se, in luogo della piazza, viene realizzato un parco giochi).

- Il secondo aspetto rilevante riguarda il riconoscimento da parte del legislatore regionale della totale assimilazione dell’iniziativa d’ufficio a quella di parte privata, ossia dei proprietari degli immobili oggetto della pianificazione (si pensi, ad es. alle convenzioni urbanistiche).

- Ancor più di recente rileva la L 166/2002 a mezzo della quale si prevede una disciplina delle modalità di attuazione degli stessi piani attuativi.

- Aspetti peculiari:

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• Primo:• I piani attuativi vengono eseguiti in virtù della costituzione di un

consorzio per costituire il quale risulta sufficiente il concorso dei proprietari che rappresentino la maggioranza assoluta del valore degli immobili sulla base dei parametri catastali (e non i tre quarti come nei comparti);

• Secondo:• Il consorzio si propone di presentare al Comune progetti di

realizzazione dell’intervento e non proposte di esecuzione delle prescrizioni di dettaglio;

• Terzo:• Solo dopo che si è formato il consorzio il Sindaco invia una diffida

volta a convincere i proprietari degli immobili coinvolti ad aderire alla progetto formulato dei proponenti nell’attuazione degli interventi. Decorso inutilmente il termine della diffida il consorzio acquisisce la disponibilità dell’area di superficie ed è abilitato a procedere nell’intervento pianificatorio.

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• IL RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO E URBANISTICO• La cronica scarsità di risorse finanziarie ha imposto una concezione dello

sviluppo del territorio improntato al “recupero” dell’esistente piuttosto che all’espansione dell’aggregato urbano, causativo di consumo di suolo.

• Il nostro ordinamento prevede diversi istituti giuridici volti al conseguimento del fine rappresentato dalla riqualificazione urbanistica di parti più o meno estese del territorio.

• 1) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;• 2) gli interventi su singoli manufatti effettuati direttamente dai privati

mediante la presentazione al Comune di di un progetto di recupero edilizio;• 3) i programmi di recupero urbano.• La ristrutturazione urbanistica è finalizzata alla “sostituzione dell’esistente

tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale”.

• Ciò può avvenire:• A) attraverso l’adozione, da parte del Comune, di un Piano di Recupero;• B) attraverso l’adozione, da parte del Comune o di altri soggetti giuridici di

diritto pubblico o privato, dei PRINT (Programmi Integrati di Intervento).• Il Piano di recupero ha origine normativa nella L.457/1978

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• Il Piano di Recupero ha origine normativa nella L.457/1978.• Essa si propone di individuare le zone di degrado con apposito atto

emanato dal consiglio comunale che costituisce il prius procedimentale di un ulteriore atto amministrativo con il quale si esegue la perimetrazione degli immobili o di complessi di beni immobili o di intere aree oggetto del recupero.

• Il procedimento consta, pertanto, di tre subprocedimenti amministrativi di cui solo il terzo si conclude con un atto pianificatorio consistendo i due precedenti in un accertamento tecnico (individuazione degli immobili da sottoporre al recupero, accertamento del degrado del patrimonio edilizio sottoposto all’intervento, ecc.).

• Tali subprocedimenti possono anche svolgersi contestualmente con il risultato di fare emergere nei confronti di tutti i terzi un unicum provvedimentale rappresentato da una sola delibera consiliare che identifichi le zone e adotti il piano urbanistico di recupero.

• Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa il PdR va adottato nel rispetto dello strumento urbanistico generale e dei volumi esistenti nell’area di intervento a meno che norme regionali non dispongano diversamente attraverso i c.d. premi di cubatura.

• Il rilievo pratico di questo strumento risulta molto limitato essendo stato utilizzato quasi esclusivamente per recuperi di tipo edilizio.

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• Passando al Programma di Recupero Urbano (PRU), esso risulta normato dalla L. 493/1993 al cui art. 11 dispone, quale finalità dell’istituto giuridico, quella di ammodernare e completare le urbanizzazioni primarie e secondarie, integrare l’edificazione di complessi urbanistici esistenti, realizzare interventi di arredo urbano nonché di manutenzione, restauro e ristrutturazione edilizia, soprattutto al servizio del patrimonio di edilizia residenziale pubblica.

• Il PRU viene proposto al Comune da soggetti giuridici sia pubblici sia privati secondo un progetto comune che prevede l’investimento di risorse sia pubbliche sia private.

• L’adozione del programma avviene attraverso la promozione e la conclusione di un “accordo di programma”.

• IL PIANO DI RECUPERO DEGLI INSEDIAMENTI ABUSIVI• La L. 47/1985 prevede espressamente una disciplina generale, ora integrata

dalla legislazione regionale concorrente, volta al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi esistenti al 1° ottobre 1983, mediante la formazione, adozione e approvazione di varianti adottate dai Comuni sulla base dei criteri indicati dalle Regioni.

• Si tratta di uno strumento giuridico la cui finalità va individuata nella reinserimento organico di ampi insediamenti abusivi nell’alveo del territorio comunale in modo tale da conseguire il risultato dell’ordinato e armonico assetto territoriale sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello socioecnomico.

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• Non si tratta, pertanto, di uno strumento finalizzato al recupero di fenomeni isolati di abusivismo edilizio, bensì di piani urbanistici volti a risanare interi complessi edilizi per renderli nuovamente funzionali a fini sociali.

• Identifichiamo i momenti formativi del piano di recupero mediante la loro scansione temporale e funzionale.

• 1) perimetrazione delle aree mediante criteri variamente interpretati dai legislatori regionali (continuità insediativa, omogeneità funzionale per relativa destinazione d’uso, ecc);

• 2) realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria strettamente correlate all’insediamento oggetto del piano;

• 3) recupero dell’insediamento abitativo attraverso demolizioni o ricostruzioni, manutenzioni straordinarie.

• Il tutto risulta regolato da un programma finanziario, anche pluriennale, che funge da cronoprogramma che segna ogni momento del percorso esecutivo del piano.

• GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI• Altro strumento urbanistico comunale è rappresentato dal Piano per gli

insediamenti Produttivi funzionale all’infrastrutturazione di aree specificamente destinate all’attività produttiva.

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• In origine la disciplina dei piani degli insediamenti produttivi era disciplinata (e in parte lo è ancora oggi) dalla L. 865/1971 a mente della quale nell’ambito delle aree destinate da PRG ad insediamenti produttivi (c.d. zona D) il Comune poteva formare il piano dei relativi insediamenti produttivi con la conseguenza che solo le aree così contrassegnate avrebbero potuto essere oggetto di piano e non necessariamente tutte le aree così indicate nel PRG.

• Nella versione legislativa oggi abrogata era prevista una preventiva autorizzazione regionale alla formazione del piano e una certificazione di conformità dello stesso alle previsione dello strumento urbanistico regionale (oggi non esistono più).

• Analogamente a quanto previsto nella L. 47/1985 in relazione ai Piani attuativi “in variante”, anche nei Piani degli Insediamenti Produttivi risulta possibile includere nel piano aree non necessariamente a ciò destinate dal PRG. Si tratta di una disciplina, questa, espressamente ribadita nel DPR 47/1998 il quale prevede, fra l’altro, l’ipotesi della realizzazione di singoli progetti di impianti produttivi in contrato con gli strumenti urbanistici comunali vigenti attraverso una forma particolare di conferenza di servizi che il Comune è legittimato a convocare su istanza dell’interessato a condizione che il progetto sia conforme alla normativa vigente in materia sanitaria, ambientale, di sicurezza sul lavoro qualora gli strumenti urbanistici vigenti non individuino aree destinate all’insediamento di impianti produttivi o risultino insufficienti in base al progetto presentato.

• In tali casi il Comune deve dare adeguata pubblicità-notizia del piano e si esprime solo a valle della determinazione assunta dalla Conferenza dei Servizi a seguito dell’esito favorevole della quale viene disposta la “variante”.

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• Perché la destrutturazione del piano degli insediamenti produttivi rispetto alla normativa originaria?

• Risposta: la necessità di attualizzare gli interessi in gioco dovuta alle lungaggini amministrative determinate dai tempi lunghi intercorrenti fra la redazione del PRG e quella dei piani attuativi (in definitiva è risultato non più opportuno identificare le aree di sviluppo produttivo nello strumento generale in ragione della sua anacronistica e incoerente funzione rispetto al mutato assetto urbanistico dell’area prescelta).

• Concetto di insediamento produttivo: ogni impianto di carattere industriale, artigianale, commerciale e turistico come da definizione normativa espressa dalla L. 865/1971:

• Durata del piano: dieci anni con connotati pianificatori analoghi al piano particolareggiato.

• Attuazione: all’entrata in vigore mediante esproprio delle aree in esso ricadenti

• Utilizzo: mediante cessione in proprietà o concessione del diritto di superficie per durata non inferiore a 60 anni e non superiore a 99 – a tempo indeterminato se utilizzato da enti pubblici per impianti o servizi pubblici.

• Logica di assegnazione delle aree: preferenza per enti pubblici o a partecipazione pubblica; per i privati non è prevista alcuna procedura concorsuale anche se di fatto molti comuni la utilizzano.

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• La fase più operativa del piano degli insediamenti produttivi consta dell’assegnazione dei lotti di terreno sui quali esercitare l’attività produttiva prevista dal piano.

• Si stipula una convenzione con il Comune in cui vengono indicati gli oneri a carico dei privati (urbanizzazione, tipologia costruttiva dei capannoni, scarichi industriali, collegamenti infrastrutturali, ecc.).

• Nella realtà operativa all’esproprio generale delle aree di proprietà dei singoli è normalmente corrisposto di fatto la stipulazione diretta della convenzione con in privati acquirenti delle aree direttamente dai proprietari solo fittiziamente cessionari delle aree stesse da parte dell’amministrazione comunale.

• Tra gli strumenti urbanistici finalizzati alla localizzazione di attività produttive va senz’altro annoverato il Piano regolatore di Aree di Sviluppo Industriale (ASI) (DPR 218/1978).

• Si tratta di piani regolatori di stampo sovracomunale che si prefiggono l’obiettivo di industrializzare le regioni meridionali attraverso la canalizzazione dei finanziamenti pubblici per l’infrastrutturazione delle aree destinate a sviluppo industriale.

• Le aree ricomprese nell’ASI sono gestite da organismi su base associativa dotati di personalità di diritto pubblico (normalmente da Comuni, Province, Regioni, Camere di Commercio, ecc.) aventi il compito di redigere e rendere vigente il Piano relativo avente la medesima dignità del Piano di coordinamento provinciale.

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• I piani per l’edilizia residenziale pubblica• Il piano delle aree destinate alla realizzazione di alloggi a carattere

economico o popolare previsto dalla l. 167/1982 rappresenta lo strumento di pianificazione urbanistica volto al soddisfacimento di un interesse ritenuto primario dal nostro ordinamento giuridico: il “diritto alla casa”.

• L’art. 3 della medesima legge prevede, infatti, come siffatto tipo di piano possa essere approvato in variante rispetto al PRG ove fosse necessario reperire aree poste al di fuori di quelle destinate dallo strumento urbanistico generale all’edilizia residenziale.

• Laddove, peraltro, il Comune risultasse sprovvisto di PRG il piano di zona assumerebbe la dignità di programma di fabbricazione connotandosi, di fatto, quale tessera del futuro mosaico urbanistico generale.

• La disciplina dell’edilizia economica e popolare, avvalendosi del piano di zona nell’ambito dei comuni aventi popolazione superiore ai cinquantamila abitanti o che siano capoluoghi Provincia (ove non diversamente disposto dalla legislazione regionale), si prefigge lo scopo fondamentale di attribuire ai quartieri destinati all’edilizia residenziale pubblica disaggregati dal tessuto urbanistico un’adeguato ordine strutturale e funzionale.

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• Nello specifico, il piano di zona, parificato al piano particolareggiato, determina la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da realizzare nell’area in considerazione e ha durata corrispondente a diciotto anni.

• La l. 167/1962 prevedeva, in origine, l’obbligo di esecuzione delle opere di urbanizzazione in via preventiva rispetto alla cessione delle aree ai privati a carico dei quali erano posti i relativi costi.

• Con l’entrata in vigore della l. 865/1971 l’attuazione del piano di zona è stata prevista mediante l’espropriazione, da parte del Comune, di tutte le aree contenute nel perimetro del piano e la partecipazione di altri soggetti pubblici e privati nella realizzazione delle opere di urbanizzazione.

• Nonostante la predetta previsione normativa, nella prassi il Comune non procede mai al preventivo esproprio delle aree disegnate dal PEEP, disponendo l’assegnazione delle aree prima della relativa acquisizione mediante esproprio secondo il medesimo meccanismo osservato nell’ambito dell’attuazione dei piani di insediamento produttivo.

• Ai fini dell’esecuzione del piano di zona è necessario procedere alla stipula di una convenzione fra l’amministrazione e gli attori privati nella quale vengono stabiliti il prezzo delle opere di urbanizzazione qualora poste a carico dell’amministrazione, ovvero le garanzie finanziarie più idonee qualora queste fossero poste a carico dei privati.

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• Una peculiarità.• Con la normativa recata dalla l. 167/1962 si era sostenuto il principio

a mente del quale era necessario reperire le aree necessarie alla realizzazione del PEEP all’interno del piano di zona; con la successiva legislazione contenuta nella l. 865/1971 si è disposto come, nei Comuni sprovvisti di piani di zona, i programmi costruttivi potessero (e possono tuttora) essere localizzati in aree individuate con delibera consiliare nell’alveo delle zone residenziali dei PRG con ciò facendo assumere al deliberato consiliare i connotati propri della pianificazione urbanistica.

• Quanto al procedimento di formazione dei piani zona esso viene adottato e poi depositato per la durata di dieci giorni decorsi i quali è consentita la produzione di osservazioni dei soggetti interessati per la durata di venti giorni decorrenti dalla data di pubblicazione del deposito presso l’albo pretorio del Comune o il Foglio degli annunzi legali della Provincia.

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I PRINT• Nell’ambito della riqualificazione urbana assumono un particolare rilievo i

Programmi Integrati d’Intervento (c.d. PRINT), introdotti dalla l. n. 179/1992.

• Lo scopo del programma è quello di attribuire ai Comuni, soprattutto di grandi dimensioni, la possibilità di disporre di uno strumento urbanistico destinato a incidere, in misura assai rilevante, su intere porzioni di territorio comunale, edificate totalmente o parzialmente ovvero destinate a nuova edificazione, necessitate di una riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale.

• La notevole innovatività del programma risiede proprio nella possibilità, per i Comuni, di localizzare il PRINT in qualunque zona omogenea del PRG vigente, bypassando, di fatto, la zonizzazione ivi prevista.

• Sicché il programma potrebbe avere per oggetto le più diverse tipologie d’intervento, dalla nuova edificazione di manufatti alla demolizione e ricostruzione di interi fabbricati o di interi edifici, alla completa ristrutturazione degli stessi, fino alla realizzazione di nuove opere viarie e/o di centri commerciali e al completamento delle opere di urbanizzazione sia primaria sia secondaria.

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• Il PRINT è promosso d’ufficio, da parte del Comune e, si ritiene, anche su iniziativa da parte dei probabili ulteriori attori territoriali pubblici e privati coinvolti in un programma di dimensioni normalmente rilevanti.

• Ciò rappresenta un connotato essenziale del PRINT: la significativa natura negoziale dell’intervento urbanistico determinato dal consenso pubblico/privato sia nella realizzazione sia nello stanziamento delle risorse finanziarie per la sua concreta attuazione.

• Si tratta dell’esempio più convinto di pianificazione consensuale e integrata: non si tratta di una “variante” del piano attuativo, ma di uno strumento urbanistico avente capacità sia programmatica sia attuativa.

• Esso è adottato dal consiglio comunale e, rispetto al PRG, si pone come variante allo stesso, salve le disposizioni specificamente stabilite dalla legislazione regionale.

• I PRINT rappresentano, peraltro, uno strumento estremamente rilevante nell’ambito delle politiche volte allo sviluppo dell’edilizia residenziale pubblica che, per il tramite di tali strumenti, ha subito un notevole impulso in chiave di integrazione con la riqualificazione urbana.

• Questo strumento, che ha decisamente orientato la pianificazione verso l’adozione di d’interventi più duttili, perequativi e negoziali, ha sancito l’inevitabile riduzione funzionale del PRG a “carta costituzionale” della pianificazione dovendosi evitare il costante contrasto delle prescrizioni ivi previste con la pianificazione attuativa.

• Che il PRG si limiti a disegnare le linee strategiche della pianificazione evitando di assumere un ruolo conformativo del suolo inadatto a interpretare le esigenze continuamente mutevoli del territorio.

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• IL PIANO CASA• Di recente formulazione il c.d. “Piano Casa” rappresenta un quadro

normativo mediante il quale il legislatore ha inteso stimolare l’economia nazionale attraverso il rilancio della domanda nel settore edilizio dando indicazioni alle Regioni per la relativa normazione.

• Si tratta, nello specifico, della possibilità di:• 1) incrementare, nei limiti del 20% della volumetria esistente, edifici

residenziali di cubatura non superiore a 1000 mc, anche al fine di migliorare la qualità architettonica e/o energetica degli stessi;

• 2) demolire e ricostruire, con ampliamento degli edifici a destinazione residenziale, entro il limite del 35% della volumetria esistente per ragioni legate al miglioramento architettonico degli edifici o della relativa efficienza energetica, salva, comunque, l’autonomia regionale per altre tipologie d’intervento;

• 3) derogare, in presenza dei relativi presupposti di legge, alle previsione del PRG quanto ad altezza degli edifici, distanze fra gli stessi e densità edilizia.

• Regioni come Marche, Toscana, Liguria, Lazio e Lombardia hanno, seppur in modo distinto quanto a modalità e termini, dato seguito al Piano Casa normando mediante apposita disciplina legislativa regionale.

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LE CONVENZIONI URBANISTICHE• Risulta ormai acquisito il concetto in virtù del quale la pianificazione

di carattere funzionale e operativo si esprima, in modo rilevante, anche sulla base di atti di natura contrattuale intrattenuti fra pubblica amministrazione e i privati.

• SI tratta di istituti che vengono ricompresi nell’alveo delle c.d. “convenzioni urbanistiche” che hanno origine nelle convenzioni di lottizzazione.

• Ai sensi dell’art. 28 LU, come sostituito dall’art. 8 della LP la convenzione di lottizzazione è così traducibile:

• 1) i privati (normalmente imprenditori) predispongono un piano di assetto urbanistico di una certa area di superficie e lo sottopongono al vaglio dell’amministrazione competente. Di solito, all’esito della valutazione si perviene a un’ipotesi organizzativa capace di contemperare le diverse esigenze delle parti.

• 2) Sulla scorta di tale accordo i privati assumono obblighi verso l’amministrazione con particolare riferimento alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.

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• Quanto alla natura giuridica dell’atto proveniente dall’amministrazione non si tratta di “autorizzazione” alla lottizzazione di fondi a scopo edificatorio, come acriticamente si è ritenuto in passato in relazione al tenore letterale della norma prevista nell’art. 28 LU, bensì di atto di pianificazione urbanistica.

• Si tratta di un atto pianificatorio strettamente correlato con la convenzione.

• Il Consiglio comunale approva, infatti, il piano di lottizzazione recependo, di fatto, il disegno urbanistico stabilito nella convenzione, che, pertanto, ne diventa parte integrante ed essenziale.

• Sicché appare assai complesso poter distinguere fra l’atto pianificatorio dell’amministrazione e la fase negoziale intervenuta con in privati giacché l’una risulta contestualizzata nell’altra e viceversa.

• Ciò premesso va ora indagato il contenuto della convenzione e, specificamente, delle obbligazioni assunte dai privati nei confronti dell’amministrazione.

• Il nodo centrale è rappresentato dall’ipotesi di assetto territoriale che definisce cubatura edificabile, altezze, tipologie costruttive, aree di uso pubblico, ecc.

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• Va rilevato come, rientrando il piano di lottizzazione nella categoria della pianificazione attuativa, essa risulta suscettibile di derogare all’assetto territoriale disegnato dal piano regolatore e, pertanto, di modificare o abrogare i suoi contenuti.

• In forza dell’atto pianificatorio frutto dell’incontro negoziale concluso con i privati l’amministrazione si obbliga a rilasciare i permessi di costruire richiesti dagli stessi in conformità alle prescrizioni urbanistiche contenute nell’atto pianificatorio concertato.

• L’amministrazione dovrà, pertanto, astenersi da comportamenti idonei a frustrare la ratio della pianificazione negoziata e, quindi, a modificare l’assetto territoriale convenuto.

• Quid potest nell’ipotesi in cui, ad esempio, per ragioni sopravvenute, l’amministrazione dovesse ricorrere all’esercizio del potere conformativo del territorio?

• Sarebbe costretta a rinunciarvi a priori?• La risposta è negativa. L’amministrazione può, per esigenze

sopravvenute ovvero al fine di adottare criteri più idonei al perseguimento dell’interesse pubblico, ricorrere alla c.d. potestas variandi

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• Ciò può avvenite solo in casi di gravi e comprovate ragioni correlate al pubblico interesse e previa adeguata e ponderata valutazione circa la necessità di frustrare le legittime aspettative vantate dai privati in virtù dell’intervenuta convenzione.

• Allorché, pertanto, l’amministrazione dovesse far ricorso a siffatto strumento e, quindi, dovesse ricorrere alla variante del piano regolatore sovvertendo le prescrizioni urbanistiche contenute nella convenzione, la situazione giuridica soggettiva del privato contraente degrada da diritto soggettivo acquisito mediante la convenzione a interesse legittimo.

• In definitiva, se da un lato l’amministrazione non può rinunciare alla funzione conformativa del territorio anche in presenza di una convenzione di lottizzazione (la relativa clausola sarebbe radicalmente nulla ove prevista nella convenzione) risulta altrettanto vero come, la decisione di “variare” il piano urbanistico deve rispondere alla effettiva necessità di mutare l’assetto territoriale risultato incompatibile con il mantenimento in vita della convenzione; sicché, ove tale circostanza non fosse provata rigorosamente il privato può far valere il proprio interesse legittimo ricorrendo all’autorità giudiziaria nella sede amministrativa richiedendo l’annullamento della sopravvenuta prescrizione di piano regolatore.

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• Quanto agli obblighi facenti capo ai privati l’art. 28 LU impone ai medesimi quanto segue:

• 1) la cessione gratuita, in favore del Comune, delle aree destinate alle opere di urbanizzazione primaria e, per quanto di ragione, a quelle di urbanizzazione secondaria;

• 2) l’assunzione, in capo ai privati lottizzanti, degli oneri di urbanizzazione (normalmente si traduce nella diretta realizzazione, a carico dei privati lottizzanti, delle opere di urbanizzazione primaria, e per quanto di ragione, di quelle di urbanizzazione secondaria);

• 3) la fissazione di un dies ad quem di esecuzione dei lavori dedotti nella convenzione non superiore alla durata decennale;

• 4) la prestazione di idonee garanzie a tutela della concreta realizzazione, da parte dei privati lottizzanti, di quanto stabilito nella convenzione.

• A tali obblighi imprescindibili possono aggiungersi ulteriori impegni che l’amministrazione può convenire a carico dei privati (clausole di decadenza, termini finali essenziali nella conclusione delle opere, la permuta di immobili fra PA e Privati al fine di consentire la destinazione di determinate aree all’uso pubblico, ecc.)

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• Le opere di urbanizzazione sono poste a carico della PA e dei privati in ragione di quanto stabilito nell’ambito nell’ambito della convenzione:

• Specificamente si definiscono opere di urbanizzazione primaria “le strade residenziali, gli spazi destinati a parcheggio, le fognature, la rete idrica, la rete di distribuzione del gas e dell’energia elettrica, la pubblica illuminazione, gli spazi destinati al verde attrezzato (art. 16, comma 7, TU) unitamente alle opere cimiteriali (art. 26, L. 38/1990) e alle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazioni (art. 86, D.lgs. 259/2003).

• Quanto alle opere di urbanizzazione secondaria si definiscono tali gli asili nido e le scuole materne, le scuole dell’obbligo e di istruzione superiore all’obbligo, i mercati rionali, le delegazioni comunali, le chiese e gli edifici religiosi, gli impianti sportivi di quartiere, le aree destinate al verde di quartiere, i centri sociali, culturali e sanitari (art. 16, comma 8 TU).

• Quid potest nell’ipotesi di inadempimento degli obblighi sanciti dalle parti nell’alveo della convenzione?

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• Nell’ipotesi di inadempimento degli obblighi posti a carico dell’amministrazione comunale va distinto il caso di violazione determinata dall’adozione di una variante da quello in cui la funzione urbanistica dovesse essere esercitata senza l’adozione di una variante.

• Nel primo caso si verificherebbe la conseguenza dello “sbiadimento” della situazione giuridica soggettiva facente capo al privato il quale non potrebbe più vantare un diritto soggettivo derivante dalla convenzione bensì un interesse legittimo da poter far valere innanzi all’autorità giudiziaria nella sede amministrativa.

• Ricorrendo la seconda ipotesi, invece, non essendosi l’amministrazione comunale svincolata dagli obblighi contrattuali sanciti nella convenzione attraverso l’adozione della variante il privato sarà legittimato ad agire direttamente innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria al fine di far valere un diritto soggettivo scaturente dal contratto stipulato con la pubblica amministrazione.

• Si tratta, quindi, di far valere un diritto in via diretta che, tuttavia, in considerazione del rapporto giuspubblicistico instaurato fra i privati e la PA, non può dar luogo alla scelta civilistica fra la richiesta di adempimento e la risoluzione del contratto per inadempimento con contestuale richiesta di risarcimento danni, potendosi richiedere soltanto una sentenza dichiarativa di condanna al risarcimento dei danni procurati al privato.

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• Qualora ci si dovesse imbattere in un inadempimento dei privati l’amministrazione comunale si surrogherebbe al privato inadempiente nell’esecuzione delle opere previste e farebbe valere le garanzie fideiussorie prestate in seno alla convenzione.

• Si tratta di un’azione civilistica che l’amministrazione comunale dovrebbe esercitare innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria anche nell’ipotesi in cui il privato dovesse disattendere l’obbligo convenzionale di cessione delle aree (in tal caso la PA potrà adire l’AGO al fine di ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo assunto avvalendosi dell’art. 2932 del codice civile).

• L’ESECUZIONE DELLE OPERE DI URBANIZZAZIONE• L’esecuzione delle opere di urbanizzazione può essere effettuata dalla PA

mediante l’utilizzo degli oneri posti a carico dei privati lottizzanti ovvero, come sovente accade, mediante la diretta realizzazione delle stesse da parte dei privati medesimi.

• Ciò si verifica attraverso la concreta realizzazione delle strade, dei parcheggi, delle aree destinate a verde pubblico, ecc, con fondi e mezzi dei privati; sennonché, solo alla conclusione delle opere stesse, realizzate in luogo della corresponsione del relativo costo all’amministrazione comunale, tali opere potranno essere cedute alla stessa PA.

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• Affinché le opere di urbanizzazione, che, successivamente alla relativa cessione, saranno poste al servizio della collettività, siano realizzate in modo corretto è d’uopo prevedere nelle convenzioni di lottizzazione clausole contrattuali volte a subordinare, ad esempio, il rilascio del certificato di abitabilità o lo svincolo delle fideiussioni offerte a garanzia della regolare esecuzione delle opere al momento del collaudo con esito favorevole delle opere stesse.

• Sennonché, dovendosi ritenere che le opere di urbanizzazione non siano altro che veri e propri lavori pubblici realizzati da privati, la connotazione prettamente pubblicistica assunta dal privato ha imposto la necessità di regolare l’affidamento di tali lavori nel rispetto della Direttiva comunitaria 93/37 ragione per cui, con l’emanazione della Legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994, pubblicata sulla scorta della giurisprudenza comunitaria e amministrativa, si è stabilito che le opere di urbanizzazione che i privati si obbligano ad eseguire per un importo superiore alla c.d. soglia comunitaria (euro cinque milioni) dovranno essere affidate a terzi imprenditori nel rispetto delle procedure previste nella menzionata direttiva comunitaria.

• Per le opere sotto soglia le oo.uu. potranno essere eseguite direttamente dai privati a scomputo dei contributi connessi ad atti abilitanti l’attività edilizia o conseguenti agli obblighi di cui alla LU.

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• In definitiva per le oo.urb. che dovessero superare la soglia comunitaria non è vietato che esse possano essere previste nella convenzione di lottizzazione e che siano realizzate “a scomputo” e “a cura” del proprietario lottizzante; esse potranno comunque essere realizzate a deconto dei relativi oneri finanziari “a propria cura” ossia mediante affidamento della relativa esecuzione mediante esperimento di una gara finalizzata all’aggiudicazione dei lavori al miglior offerente.

• Di recente, a seguito delle censure mosse dalla Commissione europea e dall’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici, l’art. 122 del D.lgs. 163/2006, che ha integralmente sostituito la L. 109/1994, anche negli affidamenti dei lavori pubblici “sotto soglia” comunitaria, da realizzarsi da parte di soggetti privati titolari di permesso di costruire e assumenti direttamente l’onere della realizzazione delle oo. di urb. A scomputo totale o parziale delle stesse, si applica la c.d. procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

• Come funziona. • Il privato lottizzante, assunte le vesti di committente dei lavori inerenti le oo.

di urb., dovrà individuare gli operatori in grado di eseguire l’appalto mediante una ricerca sul mercato di quegli attori economici dotati di requisiti di capacità tecnico-organizzativa, economico-finanziaria e di trasparenza rivolgendo a essi il relativo invito alla partecipazione (invito rivolto ad almeno operatori).

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• Gli invitati saranno chiamati dalla stazione appaltante a presentare contemporaneamente le relative offerte mediante presentazione di una lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta.

• Gli operatori saranno scelti sulla base del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa previa verifica del possesso dei requisiti di qualificazione previsti per l’affidamento dei contratti di uguale importo in una procedura con previa pubblicazione del bando.

• Ciò che, pertanto, fa scattare la possibilità della procedura negoziata è l’affidamento diretto delle oo. di urb. ai titolari dei permessi di costruire.

• In tal caso lo schema negoziale è quello del “mandato al privato” conferito dalla PA per l’esecuzione di oo.pp. In ossequio al contenuto della convenzione urbanistica intervenuta fra l’amministrazione comunale e il proprietario lottizzante

• Va, infine, precisato come per tutte le tipologie di oo. di urb., siano esse sopra o sotto soglia comunitaria è previsto che il ruolo di stazione appaltante sia svolto direttamente dall’amministrazione comunale sicché, in tal caso, è consentito al privato titolare del permesso di costruire di presentare il progetto preliminare delle opere e la possibilità, per lo stesso, di partecipare anche alla gara per la progettazione e l’esecuzione delle opere.

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• LE CONVENZIONI DI RECUPERO• L’urbanistica consensuale trova la sua dimensione ideale nell’ambito

della riorganizzazione del tessuto urbano esistente.• La legislazione nazionale e regionale ha prodotto una serie di tipi

(convenzioni fra P.A. e proprietari) idonei a disciplinare il recupero del patrimonio urbanistico ed edilizio esistente.

• Per quanto attiene le convenzioni volte all’attuazione delle prescrizioni contenute nel piano di recupero le ipotesi convenzionali sono previste nella L. 457/1978 e riguardano casi in cui la P.A. ricorre alla collaborazione di soggetti pubblici o privati in luogo dell’esecuzione diretta delle opere previste nel piano di recupero.

• La legge, all’art. 28, prevede la possibilità di stipulare convenzioni fra il Comune e determinati soggetti specificamente individuati allorché tali ultimi vogliano attuare spontaneamente gli interventi di recupero in presenza di un rilevante interesse pubblico, adeguare le opere di urbanizzazione, intervenire mediante la cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea nell’ipotesi di inerzia manifestata dai proprietari qualora tali interventi siano assistiti da contributo pubblico.

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• Altra ipotesi è prevista dalla medesima normativa all’art. 32 allorché i Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, per interventi di rilevante entità, il permesso di costruire può essere rilasciato a condizione della stipula di una convenzione a mezzo della quale i proprietari assumono, anche per i loro aventi causa, l’impegno a concedere in locazione una quota delle abitazioni recuperate a categorie di soggetti indicati dal Comune a canoni concordati.

• Differente natura hanno i piani di recupero di iniziativa privata che, nell’ambito delle aree di recupero, assumono la funzione sostitutiva dei piani di iniziativa pubblica.

• L’art. 30 della L. 457/1978 prevede, al riguardo, la possibilità che i proprietari di beni immobili e di aree comprese nelle aree di recupero che rappresentino i ¾ del valore catastale degli immobili interessati dal recupero, possano presentare proposte di piano.

• Nell’ipotesi in cui non dovesse raggiungersi la totalità degli immobili compresi nel piano si procederebbe all’esproprio delle aree e degli edifici compresi nel piano per averne la totale disponibilità.

• Le vicende giuridiche successive alla proposta pianificatoria ricalcano fedelmente il percorso normativo previsto dalla convenzioni di lottizzazione.

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• LE CONVENZIONI PER GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI • Nell’attuazione del piano per gli insediamenti produttivi il fulcro è

rappresentato dall’atto pubblico di convenzione stipulato fra il Comune e il soggetto privato nell’ambito del quale vengono previsti diritti e obblighi posti a carico delle parti.

• I contenuti della convenzione riguardano specificamente:• 1) la formalità della cessione in proprietà o della concessione del

diritto di superficie;• 2) il corrispettivo e le modalità di pagamento;• 3) la realizzazione delle opere di urbanizzazione;• 4) la costruzione degli immobili;• 5) le modalità di utilizzo degli immobili;• 6) le sanzioni correlate all’inosservanza degli obblighi di

realizzazione;• 7) la composizione delle controversie;• 8) la trascrizione degli atti;• 9) le imposte e le tasse.

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• Il legislatore statale ha, di recente, previsto nuovi strumenti negoziali finalizzati allo sviluppo economico e all’incremento dell’occupazione in relazione al disegno della programmazione negoziata quale regolamentazione concordata fra soggetti pubblici ovvero fra soggetti pubblici e privati volti al perseguimento di un’unica finalità di sviluppo.

• Si tratta di tre tipi contrattuali e, specificamente:• 1) i patti territoriali che rappresentano gli accordi promossi dagli enti locali, parti

sociali o da altri soggetti pubblici o privati riguardanti l’attuazione di un programma d’intervento caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale;

• 2) i contratti di programma ossia i contratti stipulati fra amministrazione statale competente, grandi impresse, consorzi di medie e piccole imprese e rappresentanze di distretti industriali per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata;

• 3) i contratti d’area che costituiscono lo strumento operativo , convenuto fra le amministrazioni , anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro oltre che da altri soggetti interessati, per la realizzazione delle azioni volte all’accelerazione dello sviluppo e alla creazione di nuova occupazione in determinate aree territoriali.

• In tale ultima tipologia negoziale le determinazioni congiunte assunte dai soggetti pubblici interessati territorialmente e sotto il profilo della competenza urbanistica sono suscettibili di “variare” allo strumento urbanistico vigente

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• LE CONVENZIONI NELL’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA• I tipi negoziali vigenti nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica sono

finalizzati alla realizzazione di programmi costruttivi e si collocano temporalmente in un momento successivo rispetto a quello dell’emanazione del piano di zona.

• La relativa disciplina normativa, contenuta nell’art. 35 L. 865/1971, evidenzia tre elementi essenziali:

• 1) l’esproprio obbligatorio;• 2) l’assegnazione delle aree;• 3) la stipula delle convenzioni.• Nella sua originaria formulazione l’art. 35 regolava in modo

significativamente differente l’ipotesi in cui le aree fossero concesse in diritto di superficie o cedute in proprietà.

• La sua attuale formulazione non da adito a distinzioni.• A) Nel caso di concessione del diritto di superficie a privati questa deve

avere necessariamente una durata complessiva compresa fra sessanta novantanove anni, salvo rinnovo.

• E’, invece, a tempo indeterminato la concessione del diritto di superficie nei confronti di enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici.

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.

• La convenzione deve prevedere:• 1) la realizzazione delle opere di urbanizzazione;• 2) l’accollo ai concessionari dei costi delle opere di urbanizzazione,• 3) i termini di inaugurazione e di completamento degli edifici e delle opere di

urbanizzazione,• 4) le tipologie costruttive degli edifici,• 5) i criteri di quantificazione e di aggiornamento del canone periodico,• 6) i criteri disciplinanti l’eventuale facoltà di alienazione dell’immobile e la relativa

quantificazione del prezzo,• 7) i criteri di determinazione del prezzo nell’ipotesi di rinnovo della concessione del

diritto di superficie.• 8) le sanzioni da comminarsi nell’ipotesi di inosservanza degli obblighi stabiliti nella

convenzione.• B) Nel caso, invece, di cessione del diritto di proprietà sulle aree interessate la

convenzione deve contenere:• 1) la quantificazione del prezzo di cessione degli alloggi in ragione dei criteri

determinati dalla Regione,• 2) la quantificazione dei prezzi dei canoni locativi determinati in proporzione a quelli

stabiliti per la cessione della proprietà,• 3) la previsione degli elementi progettuali delle edificande costruzioni unitamente alle

tipologie costruttive, alle modalità di controllo delle stesse, ai termini di inaugurazione e conclusione dei lavori, alle sanzioni in caso di inadempimento degli obblighi ivi fissati.

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• LE CONVENZIONI EDILIZIE• Le convenzioni edilizie trovano la loro ratio nella finalità di ottenere

agevolazioni nella edificazione dei realizzandi edifici mediante l’espressa pattuizione, convenuta con l’Amministrazione competente, di praticare determinate condizioni sul mercato immobiliare.

• L’art. 17 TU dispone, infatti, la possibilità, per i privati, di stipulare un’apposita convenzione con il Comune, secondo schemi tipo predisposti dalla Regione, in forza dei quali i privati assumono l’obbligo di praticare prezzi di vendita e/o di locazione “calmierati” per far fronte a interessi di carattere sociale (similmente a quanto accade nell’edilizia residenziale pubblica o a quanto disposto dalla L. 392/1978 sull’equo canone).

• La convenzione deve contenere:• 1) le tipologie costruttive degli alloggi,• 2) la quantificazione dei prezzi di cessione degli alloggi determinato in

proporzione al costo delle aree, della costruzione, delle opere di urbanizzazione, delle spese generali, di progettazione, di preammortamento e di finanziamento,

• 3) la fissazione dell’ammontare dei canoni locativi in ragione dei prezzi determinati per la cessione della proprietà degli alloggi,

• 4) determinazione della durata della convenzione ( 20 anni <x< 30 anni)

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• La convenzione può, peraltro, prevedere l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione in luogo del pagamento dei relativi oneri e l’adeguamento dei prezzi di cessione della proprietà e della misura del canone locativo con cadenza almeno biennale in ragione della variazione degli indici ISTAT dei costi di costruzione intervenuti successivamente alla stipula della convenzione.

• LE CESSIONI DI CUBATURA• Le cessioni di cubatura hanno per oggetto il trasferimento della volumetria,

ossia del proprio diritto di edificare, da uno o più soggetti privati ad altri soggetti privati.

• Si tratta di un’ipotesi non normata dal diritto vigente, frutto della prassi consolidata nei piani regolatori e della giurisprudenza amministrativa che ha trovato largo consenso nella sua concreta applicazione.

• Esso consta di tre distinti atti:• 1) una convenzione stipulata fra i proprietari riguardante la cessione a titolo

oneroso del diritto di edificare su uno o più determinati fondi;• 2) un atto d’impegno unilaterale mediante il quale il proprietario del fondo

cedente si obbliga, nei confronti del Comune, a non edificare sul fondo o sui fondi oggetto della convenzione;

• 3) il permesso di costruire che, preso atto dell’obbligo assunto dal privato di asservimento dell’area di cui vuole cedersi la cubatura, autorizza la maggiorazione della volumetria.

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I PIANI SOVRACOMUNALI E DI TUTELA DEGLI INTERESSI DIFFERENZIATI

• I PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO PROV.LE• Introdotto dalla L. 142/1990 ed oggi trasfuso nell’art. 20 TU EE.LL. il

piano territoriale di coordinamento provinciale risponde all’esigenza di fissare direttive e indirizzi generali sull’assetto del territorio in ragione delle relative vocazioni, della difesa del suolo, del regime della acque, delle infrastrutture presenti e della protezione naturalistica.

• Ciò in relazione alla necessità di coordinamento territoriale intercomunale allo scopo di superare i problemi derivanti dalla eccessiva frammentazione amministrativa scaturente dalla presenza, nel territorio provinciale, di numerosi Comuni di piccole e piccolissime dimensioni.

• Si tratta di una competenza spettante alla Provincia che integra una vera e propria funzione urbanistica.

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• La rilevanza assunta dal PTCP risulta confermata dalla previsione legislativa contenuta nel D.lgs. 112/1998 al cui art. 57 configura tale piano quale punto di convergenza di tutta la pianificazione territoriale essendo concepito quale collettore dei piani territoriali in materia di tutela della natura, dell’ambiente, delle acque, di tutela del suolo e delle bellezze naturali.

• Esso è adottato con legge regionale a meno che le relative disposizioni non vengano stabilite d’intesa fra la Provincia e le amministrazioni, anche statali, competenti.

• LA TUTELA DEL PAESAGGIO, DEL PATRIMONIO STORICO; ARTISTICO E AMBIENTALE

• La tutela del paesaggio, del patrimonio storico, artistico e ambientale della nazione ha rango costituzionale (art. 9, comma 2 Cost.).

• Sebbene l’urbanistica sia ritenuta la disciplina avente per oggetto anche la tutela del paesaggio comprendente tutti gli aspetti della relativa normazione e gestione (L.1187/1968 e DPR 616/1977) rimane, a livello costituzionale, una diatriba che separerebbe la disciplina della tutela del paesaggio dall’urbanistica (per tutte risulta emblematica la sentenza 180/2008).

• LA TUTELA DEI BENI PAESSAGISTICI• Il c.d. “Codice dei Beni Culturali” (D.lgs. 42/2004) all’art. 134, elenca tre diverse

tipologie di beni paesaggistici:• 1) beni dichiarati di notevole interesse pubblico;• 2) beni identificati direttamente dalla legge;• 3) beni immobili e aree sottoposte a tutela dai piani paesaggistici.

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• I beni come sopra individuati non possono essere suscettibili di alcuna materiale modifica essendo sottoposti a un preciso vincolo.

• Sarà necessario, infatti, che un progetto di modifica venga sottoposto al vaglio tecnico-valutativo della competente Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali (S. BB. CC. AA.)

• 1) I beni dichiarati di notevole interesse pubblico sono quei beni rappresentati quegli elementi paesaggistici le cui particolari caratteristiche di bellezza sono dichiarate da provvedimenti di cd “certazione”;

• 2) i beni individuati espressamente dalla legge sono rappresentati dai cd “beni ambientali ope legis” ossia introdotti con legge (L.431/1985, poi trasfusa nell’art. 142 del Codice dei beni culturali). Si tratta di intere categorie di beni immobili che, per il loro pregio ambientale, vengono direttamente sottoposti a tutela bypassando il relativo procedimento amministrativo;

• 3) la terza tipologia di beni paesaggistici non è disciplinata da leggi ne risultano sottoposti a dichiarazione di certazione.

• Si tratta di beni ricompresi all’interno dei piani paesaggistici affinché il relativo utilizzo risulti compatibile con i valori paesaggistici presenti nel territorio in cui essi insistono.

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• Quanto alla natura giuridica del piano paesaggistico trattasi di strumento contenente sia prescrizioni a carattere conformativo non solo della proprietà, ma anche dell’azione pubblica in ordine all’osservanza delle previsioni contenute nei piani paesaggistici a cui devo soggiacere le previsioni dei piani territoriali e urbanistici. Ciò con l’evidente conseguenza della capacità, per i piani paesaggistici di superare, prevalendo su di esse, le prescrizioni contenute nella pianificazione urbanistica comunale.

• I BENI CULTURALI• Nell’alveo concettuale dei cd “beni culturali” sono ricompresi tanto quei

beni la cui esigenza di protezione risulti dall’intrinseco valore storico-culturale dei medesimi, quanto quelli capaci di esprimere valori naturalistico-culturali meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.

• Le normative di settore, risalenti al periodo prebellico (L. 1089/1939 e L. 1497/1939) distinguono fra beni di interesse artistico, storico, archeologico ed etnografico, da una parte, e bellezze naturali, dall’altra. Differenziazione che permane, in forma anche accentuata, nel Codice dei beni culturali.

• La competenza sui beni culturali è devoluta al dicastero dei beni e delle attività culturali la cui funzione viene esercitata con l’ausilio della struttura amministrativa periferica costituita dalle competenti Soprintendenze. Il procedimento di riconoscimento è identico a quello previsto per i beni paesaggistici

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• IL PIANO DEL PARCO• Il Parco rappresenta un’istituzione caratterizzata dallo speciale regime al

quale risultano sottoposti i beni e le attività ivi insistenti.• L’Autorità preposta al Parco detiene, infatti, il potere amministrativo di

impedire o prevenire che qualsivoglia attività svolta in contrasto con le esigenze di conservazione e di valorizzazione dell’ambiente del parco possa essere esercitata, nonché il potere pianificatorio volto a favorire lo sviluppo dell’area ricadente nei limiti del parco stesso.

• I capisaldi fondamentali della tutela dei parchi e delle riserve naturali risulta contenuta nella legge quadro n. 394/1991 la quale stabilisce gli obiettivi perseguiti dalle aree protette, modalità e termini di istituzione delle stesse, definendo le relative prescrizioni di tutela e distinguendo fra le differenti categorie di area (parchi nazionali e regionali, riserve statali e regionali, aree protette marine).

• Il piano del parco è qualcosa di più di uno strumento urbanistico-territoriale essendo il relativo Ente Parco, che presiede all’esercizio delle funzioni di tutela, un soggetto giuridico di diritto pubblico dotato dei più ampi poteri di regolazione e gestione di ogni attività idonea a svolgersi in modo incompatibile con l’ambiente ricompreso nell’area geografica circoscritta dal parco.

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• La legge quadro richiede la presenza di taluni elementi essenziali perché il piano del parco possa esser ritenuto tale.

• Specificamente:• 1) l’organizzazione del territorio mediante la sua articolazione in aree

caratterizzate da usi e forme di tutela differenziate (divisione in zone);• 2) enunciazione dei vincoli con relative destinazioni delle aree

individuate in base al differente grado di tutela approntato dal piano;• 3) viabilità del parco;• 4) attrezzature e servizi in dotazione al parco;• 5) programmi di tutela della fauna e della flora insistenti all’interno del

parco.• Le aree in cui vengono suddivise le porzioni di territorio insistenti

all’intero del perimetro del parco, cd. Zone, vengono distinte in:• A) riserve integrali, che implica la totale immodificabilità dell’area in

ragione della tutela della sua integrità;• B) riserve generali, nelle quali è consentita la realizzazione di attività

infrastrutturale e di interventi edilizi tassativamente individuati e strettamente necessarie alla gestione delle attività della zona;

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• C) zone nelle quali risulta consentito l’esercizio di talune attività economico-produttivo-artigianali purché preesistenti all’istituzione del Parco, oltre agli interventi edilizi su manufatti preesistenti;

• D) zone nelle quali il grado di tutela risulta meno pregnante giacché interessate dal processo di antropizzazione (in tal caso la zonizzazione costituisce il frutto della concertazione con gli enti locali).

• Il procedimento di formazione del piano del parco è articolato attraverso la partecipazione di tre soggetti principali: ente parco, Regione e Comune.

• Esso si compone di una serie di subprocedimenti aventi origine nella predisposizione del piano del parco da parte dell’ente parco e la sua successiva adozione da parte della Regione; prosegue con il deposito del piano presso i Comuni, le comunità montane e le sedi regionali coinvolti territorialmente per la durata di quaranta giorni durante i quali i soggetti interessati possono formulare ogni osservazione scritta; continua con la l’apertura di un nuovo arco temporale della durata di centoventi giorni decorrenti dalla scadenza dei precedenti quaranta nell’ambito dei quali la Regione di pronuncia sulle eventuali osservazioni effettuate in precedenza e, successivamente, di concerto con i Comuni coinvolti territorialmente, ma limitatamente alle prime tre zone del parco, dispone sui contenuti del piano e lo approva. Ogni intervento modificativo dell’assetto territoriale delle zone ricomprese nel piano del parco è soggetto al previo N. O. da parte dell’Ente Parco.

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• L’istituzione dell’Ente Parco prevede, altresì, la formalizzazione di un Regolamento del Parco i cui contenuti risultano prevalenti su ogni vigente regolamento edilizio comunale.

• Il Piano del Parco assume, pertanto, i connotati di vero e proprio strumento principe della conformazione del territorio sottoposto alla sua tutela dovendosi ritenere, di converso, del tutto residuale l’efficacia degli strumenti urbanistici dei Comuni insistenti nel relativo perimetro.

• I VINCOLI IDROGEOLOGICI• I vincoli idrogeologici sono disciplinati dal TU 3267/1923, dal DPR

616/1977, dalla L. 183/1989 e dal D.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente).

• Tale vincolo, che risponde all’esigenza di tutela del territorio e del relativo regime delle acque attraverso la limitazione delle attività di utilizzo della aree boschive, può essere imposto come segue:

• 1) attraverso un provvedimento amministrativo di certazione;• 2) mediante la prescrizione di vincoli contenuti nei cd. Piani di Bacino

idrografico;• 3) quale effetto derivato dell’approvazione del progetto di riassetto

idraulico-forestale di un bacino montano in ordine ai territori ivi ricompresi.

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IL PIANO DI BACINO• Il cd Piano di Bacino è disciplinato dall’art. 64 del “Codice dell’Ambiente”

(D.Lgs. 152/2006).• Il testo normativo attualmente vigente, prendendo le mosse dalla previgente

normativa (L. 183/1989) avente per oggetto la difesa dei bacini fluviali su scala nazionale, regionale e interregionale, nel recepire l’orientamento comunitario contenuto nella Direttiva 2000/60 in materia di acque, ha introdotto il concetto di “distretto idrografico” la cui accezione ricomprende la nozione di bacino fluviale unitamente alla necessità di contestualizzazione dello stesso su un’area vasta di uso delle acque.

• Ogni Distretto Idrografico è strutturato sulla presenza dell’Autorità di Bacino i cui organi sono la Conferenza istituzionale permanente presieduta dal Ministro dell’Ambiente e composto dagli altri ministri aventi competenze territoriali oltre che dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessati territorialmente, il Segretario Generale, la Segreteria operativa e la Conferenza operativa dei Servizi.

• Obiettivo dell’Autorità di Bacino è quello di predisporre il relativo piano il quale assume valore di piano territoriale contenente prescrizioni urbanistiche vere e proprie circa l’assetto territoriale idoneo alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed al corretto uso delle acque in ragione delle connotazioni geomorfologiche del territorio ricompreso nel perimetro del Parco.

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• Il procedimento di formazione del Piano di Bacino risulta alquanto complesso anche in ragione della molteplice e articolata tutela degli interessi cui esso è finalizzato.

• L’Autorità di Bacino predispone, in sede di Conferenza operativa dei Servizi, il Piano, adottandolo a maggioranza in sede di Conferenza istituzionale permanente.

• Così adottato il Piano viene pubblicato e reso disponibile al pubblico per la durata di almeno sei mesi durante i quali tutti i soggetti interessati potranno effettuare ogni osservazione in forma scritta.

• Decorso il predetto arco temporale, e formulati i pareri sulle osservazioni pervenute il Piano è definitivamente adottato dall’Autorità di Bacino a mezzo di deliberazione della Conferenza istituzionale permanente e, quindi, trasmesso al Consiglio dei Ministri per la definitiva approvazione successivamente alla valutazione ambientale strategica (VAS), da effettuarsi in sede statale, e al giudizio di compatibilità ambientale espresso dall’autorità competente.

• Il Piano di Bacino, caratterizzato dalla sua duplice funzione, conservativa, da un lato, e promotrice di sviluppo economico-sociale del distretto idrografico, dall’altro, presenta una forza estremamente pregnante, incidendo, in modo significativo su tutta la pianificazione territoriale e urbanistica.

• Le disposizioni del Piano hanno, infatti, “carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni e gli enti pubblici, nonché per i soggetti privati , ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano di bacino” (art. 17 L. 183/1989 trasfuso nel Codice dell’Ambiente all’art. 65, co. 4 D.lgs. 156/2006).

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• Nelle more dell’approvazione dei piani di bacino le Autorità assumono misure di salvaguardia volte a evitare che le adottande misure di tutela del distretto idrografico possano risultare frustrate da interventi incompatibili con le esigenze in essi manifestate.

• In particolare le Autorità possono adottare i cd. Piani stralcio di distretto per l’Assetto Idrogeologico (PAI) idonei a individuare le aree a rischio idrogeologico disponendone la perimetrazione e sottoponendoli alle predette misure di salvaguardia.

• I BENI PUBBLICI E QUELLI CIVICI• I beni pubblici sono quei beni che appartengono allo Stato o ad altri enti pubblici.• Il loro regime è previsto dall’art. 822 del codice civile che distingue tre diverse

categorie:• 1) beni demaniali• 2) i beni patrimoniali indisponibili• 3) i beni patrimoniali disponibili• E’ controverso se siano annoverabili fra i beni pubblici anche quei beni destinati

all’uso e al godimento di una comunità di abitanti (cd. usi civici: beni agrari e forestali in proprietà collettiva di diritto pubblico la cui destinazione una parte della dottrina riterrebbe immodificabile in assenza di una speciale procedura, e altra parte vorrebbe suscettibile di modifica da parte degli strumenti urbanistici comunali)

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• L’insistenza, nell’ambito territoriale comunale, di tali beni implica una serie di limiti alla pianificazione comunale.

• Sebbene in passato si riteneva che tali categorie di beni fossero del tutto sottratti al potere pianificatorio comunale, la disciplina attualmente vigente (art. 8 TU edilizia) attribuisce agli strumenti urbanistici di incidere sul regime giuridico dei medesimi limitandosi a stabilire che le costruzioni private su aree demaniali necessitano del permesso di costruire. Per le opere pubbliche da realizzarsi sul pubblico demanio compete, invece, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con la Regione, verificare che le relative opere siano compatibili con i contenuti dello strumento urbanistico comunale vigente.

• (la giurisprudenza amministrativa ha rilevato, tuttavia, la possibilità, per gli strumenti urbanistici comunali, di modificare la destinazione d’uso dei beni pubblici nell’ipotesi dell’intervenuta “intesa” con l’amministrazione statale competente).

• Fanno eccezione i beni pubblici destinati alla difesa militare, del tutto svincolati dalle prescrizioni urbanistiche contenute negli strumenti comunali.

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• Il PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE E I CENTRI STORICI• E’ controverso se fra gli interessi differenziati suscettibili di limitare il potere

pianificatorio comunale possano essere annoverati il patrimonio edilizio esistente e i centri storici.

• In realtà non sussiste alcuna norma che imponga, nel nostro diritto positivo, un divieto all’amministrazione comunale di ridefinire l’assetto urbanistico di aree già edificate.

• Certo è che, sebbene si tratti di situazioni di mero fatto e non diritto va, comunque, tenuto in considerazione il principio generale secondo cui lo stato di fatto debba costituire un limite interno alla discrezionalità comunale le cui scelte devono essere informate a ragionevolezza e congruamente motivate, pena la censura di legittimità da parte dell’Autorità giurisdizionale in sede amministrativa. Sicché appare necessario conciliare l’esigenza del recupero del patrimonio edilizio esistente e la sua trasformabilità con la necessità di dare voce alla funzione sociale ed economica dell’area in cui esso insiste.

• Uno degli strumenti predisposti dal nostro legislatore capace di contemperare tali esigenze è rappresentato dal programma integrato d’intervento, istituto dalla enorme potenzialità, in grado di produrre una ristrutturazione urbanistica equilibrata, ma non adeguatamente utilizzato.

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• LE ZONE AGRICOLE• Sebbene non possa ritenersi che il cd. verde agricolo possa essere

ricompreso fra le ipotesi di interessi differenziati può, tuttavia, sostenersi come esso, per consolidato orientamento giurisprudenziale, possa essere inteso come limite all’edificazione privata, non già in ragione della tutela degli interessi correlati alle colture ivi (eventualmente) insistenti, quanto in funzione delle esigenze di carattere urbanistico (limite fra edificato e non edificato).

• In questa ottica la previsione di zone destinate a verde agricolo assume una valenza meramente strumentale che prescinde dalla destinazione agricola del suolo.

• Ne consegue la rilevanza del ruolo giocato dall’amministrazione comunale nell’attività discrezionale di identificazione e gestione delle zone destinate a verde agricolo essendo il relativo regime determinato dalle prescrizioni di PRG.

• Il profilo più rilevante afferisce, invero, alla possibilità di edificazione nelle aree destinate a verde agricolo.

• In linea di principio l’edificazione risulta consentita solo qualora l’intervento edificatorio dovesse essere correlato con conduzione del fondo ovvero nell’ipotesi in cui dovesse trattarsi di attività non incompatibile con la destinazione dello stesso.

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.• Sarà, pertanto, assentibile la realizzazione di un fabbricato funzionale all’economia dell’area servita e non un manufatto a destinazione abitativa.

• In concreto sarà necessario ricorrere all’osservanza delle disposizioni di legge regionali e degli strumenti urbanistici comunali al fine di verificare quali trasformazioni del suolo risultino o meno assentibili.