Transcript

I o e l ’ a l t r o

Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia

Fare e pensare per immagini

L’idea che anima questa

proposta è quella di

sfruttare in primo luogo le

potenzialità fortemente comunicative che

l’attività artistica e il lavoro con i

materiali hanno per i bambini.

Disegnare, dipingere, lavorare con

creta, tempere e pennelli è per sua

natura liberatorio di energie psichiche

profonde e di un’attitudine al confronto e

alla collaborazione: un percorso che

aiuta a incontrare e conoscere l’altro, in

una dimensione di arricchimento

reciproco.

Un modo diverso,leggero e

creativo, per far accostare i ragazzi alle

tematiche dell’UNICEF e alla cultura dei

diritti dell’infanzia che da oltre un

decennio è il cardine del lavoro del

Comitato Italiano per l’UNICEF.

P e r c o r s i d i l a v o r o p e r l a s c u o l a d i b a s e

Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia

Comitato Italiano per l’UNICEF - OnlusDirezione Attività culturali, editoriali,formazione e ricercaVia Vittorio Emanuele Orlando, 8300185 - Romatel. 06478091 - fax [email protected]

Indice

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Fare e pensare per immaginiPercorsi di lavoro

per la scuola di base

Presentazione

IntroduzioneL’educazione allo sviluppo e l’UNICEF

Parte 1Quanti sono, chi sono, da dove vengono gli alunni stranieri

Suggerimenti didattici

Parte 2Progetto-LaboratorioPremessa

I linguaggi “altri” e l’intercultura. Fare e pensare per immagini

Progetto I

“Raccontiamo con... le cose, le forme, i colori”

Progetto II

“L’immagine in movimento e il linguaggio ‘altro’: facciamo il cinema a scuola”

Bibliografia

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17 252731

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L’impegno del Comitato Italiano per l’UNICEF nelle scuole italiane per lapromozione dell’educazione allo sviluppo e all’interculturalità risale agli anniSettanta. In coincidenza con l’attenzione senza precedenti rivolta ai giovani dalleNazioni Unite la nostra attività acquista un significato quanto mai intenso: nelsettembre 2001 una Speciale Sessione dell’Assemblea Generale sarà dedicataproprio ad essi e in quell’occasione l’UNICEF sarà agenzia leader.

La pubblicazione che oggi viene presentata vuole essere uno strumento dilavoro agile, flessibile e soprattutto in linea con le esigenze didattiche e culturali delnostro tempo e di una società che va costruendosi come multietnica emulticulturale.

I percorsi didattici proposti in questo testo, elaborati con la collaborazione didocenti ed esperti, discendono dal desiderio di coniugare consapevolezza dei propridiritti e sviluppo delle potenzialità creative nei bambini e nelle bambine: dueelementi che caratterizzano l’azione educativa, così come essa viene contemplatadalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia.

Esprimo il più sincero augurio perché questo lavoro possa contribuire adagevolare ed arricchire l’impegno di tutti quegli educatori che ogni giorno siadoperano affinché la scuola italiana svolga le sue funzioni, davvero vitali, per lacrescita delle giovani generazioni in un mondo che muta rapidamente.

GGiioovvaannnnii MMiiccaalliiPresidenteComitato Italiano per l’UNICEF

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Presentazione

Pubblicazione a cura della Direzione Attività culturali, editoriali,formazione e ricercaComitato Italiano per l’UNICEF - OnlusVia V.E. Orlando, 8300185 Romatel. 06 478091fax 06 [email protected]

TestiAndreina Serloni e Laura Verderosa

IllustrazioniGianluca Manna

Progetto grafico e impaginazioneB-Side, Roma

StampaPrimeGraf, Roma

Foto di copertina:Sheila McKinnon

Questa pubblicazioneè stata stampata sucarta riciclata ecologica

Finito di stampareRoma, agosto 2000

L’educazione allo sviluppo è da quasi untrentennio un’importante area di attività dei

Comitati Nazionali per l’UNICEF. Recente-mente questi ultimi, attivi fin dagli anni Set-tanta nell’elaborazione di proposte e spuntieducativi rivolti agli insegnanti, hanno cerca-to di darsi una metodologia unitaria e una se-

rie di obiettivi comuni, per consentire a pro-grammi elaborati in ambiti culturali diversi di opera-

re nella stessa direzione, promuovendo un tipo dieducazione che consenta ai giovani “di lavorare

per promuovere la pace internazionale ela solidarietà in un contesto interdipen-

dente” (Raccomandazione della Conferenza Mondiale sull’Educazione per Tutti, Jom-tien, 1990).

Il termine “Educazione allo Sviluppo” indica un tipo di educazione che tenga con-to della natura globale dei problemi, che prepari le giovani generazioni a giocare unruolo attivo nei processi di veloce cambiamento promuovendo valori come pace, giu-stizia sociale e consapevolezza ambientale nonché atteggiamenti cooperativistici esocialmente attivi.

LLaa CCoonnvveennzziioonnee ssuuii DDiirriittttii ddeellll’’IInnffaannzziiaa, fin dalla sua adozione da parte dell’As-semblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata quasi all’unanimità (è iltrattato più ratificato al mondo), è diventata per più di un motivo il cardine dei pro-getti educativi dell’UNICEF. All’educazione allo sviluppo essa è legata in molti modi:da un lato ne costituisce, per così dire, la fonte ispiratrice, nel senso che lo spirito chela anima era già elemento fondante dei progetti e delle attività di educazione allo svi-

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Introduzione L’educazione

allo sviluppoe l’UNICEF

luppo; dall’altro essa co-stituisce indubbia-mente un modo praticoper legare i contenuti dell’e-ducazione allo sviluppo al lavoro dell’U-NICEF: promuovere un’ottica attenta ai biso-gni dei bambini e rispettosa delle loro esigenze ediritti, significa infatti automaticamente agire inun’ottica di sviluppo, di pace, di cooperazione.

Ecco quindi che la Convenzione è diventata, in que-sti dieci anni, una sorta di cornice di riferimento ideale perguidare le attività educative e formative dell’UNICEF, unostrumento pratico di indubbia efficacia, una sorta di bus-sola sempre puntata sull’idea della partecipazione del bambino nella vi-ta politico-sociale: non si tratta (non tanto e non solo) di conoscere e far conoscere laConvenzione, ma soprattutto di esplorare attivamente le sue modalità di applicazio-ne, rendendola uno strumento vivo nella vita quotidiana e nelle comunità in cui i bam-bini vivono.

Si potrebbero portare molti esempi di come la Convenzione abbia apportato cam-biamenti significativi nella vita di tanti bambini in molti paesi, contribuendo, nei ri-spettivi contesti, a diffondere quella cultura dei diritti dell’infanzia che sta così a cuo-re all’UNICEF. Ne citeremo solo alcuni, relativi al diritto del bambino a partecipare al-la vita sociale, che costituisce uno degli aspetti più innovativi della Convenzione: inSalvador e in Argentina migliaia di bambini e ragazzi si sono recati alle urne per direla loro sul futuro politico dei rispettivi paesi; in India circa 2 milioni di bambini di stra-da hanno ripreso i contatti col mondo delle istituzioni scolastiche grazie ai progetti dieducazione informale basati sull’utilizzo degli educatori di strada e sostenuti dall’U-NICEF; in Finlandia e in Danimarca i Comuni tengono conto dei pareri espressi daibambini quando si elaborano i piani regolatori cittadini; in Brasile i meninos da rua

hanno fondato il Movimento Nazionale dei Ragazzi di Strada che è diventato un veroe proprio movimento politico, con tanto di rappresentanti incaricati di tenere i rap-porti con i politici adulti, allo scopo di far valere le loro richieste.

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L’educazioneper lo sviluppo

e l’UNICEF

Introduzione

L’esperienza dei Comitati Nazionali per l’UNICEF, incaricati istituzional-mente di portare avanti progetti di educazione allo sviluppo, ha operato

nell’ultimo ventennio in due direzioni:

•• SSeettttoorree ddeellll’’eedduuccaazziioonnee ffoorrmmaallee, proponendo agli insegnanti e alle scuole unaserie di spunti per introdurre, nella normale programmazione scolastica, un’otticainformata allo spirito e agli ideali dell’UNICEF: non una materia, ma un modo diguardare alle cose, un angolo visuale da cui porsi.•• SSiittuuaazziioonnii ddii eedduuccaazziioonnee nnoonn ffoorrmmaallee (club giovanili, club per lo sviluppo comu-nitario, sindacati, associazioni formative di vario tipo). Si è trattato e si tratta di unmodo efficace per far penetrare un’ottica di cooperazione, solidarietà e pace incontesti e gruppi più informali e meno strutturati delle istituzioni scolastiche.

Accanto a questa attività istituzionale di educazione allo sviluppo, i Comitati lavo-rano molto con gli organi di informazione, ai quali forniscono sistematicamente noti-zie sul mondo dell’infanzia, con l’obiettivo di diffondere un’ottica attenta ai diritti deibambini:: un modo molto efficace per sensibilizzare i giovani nel mondo contempora-neo, in genere molto esposti ai media e quindi influenzati dai loro messaggi.

Dal 1976 in poi il Comitato Italiano per l’UNICEF ha elaborato una serie di proposteeducative sempre più articolate che, nel corso degli anni, si sono diffuse in modo am-pio e capillare nella scuola italiana dell’obbligo, soprattutto elementare e media, conl’avallo di alcune circolari ministeriali. L’idea guida del lavoro dell’UNICEF in tutti que-sti anni è stata quella di portare i bambini a conoscere e valutare i problemi dello svi-luppo senza forzature e imposizioni, facendoli semplicemente “inciampare” nei pro-blemi. Nei primi anni Ottanta si proponeva l’idea di un’analisi in parallelo del contestolocale dei bambini italiani in raffronto con quello dei bambini dei paesi in via di svi-luppo allo scopo di identificare analogie e differenze, con l’obiettivo finale di giungerea una visione di insieme delle condizioni dell’infanzia nel mondo. Verso la fine degli an-ni Ottanta, con il progressivo trasformarsi in senso multietnico della società italiana, siveniva profilando un’idea di educazione allo sviluppo più attiva e pragmatica, per cuil’alunno acquisiva gradualmente la capacità di incidere nel suo ambiente (partecipa-

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EEssppeerriieennzzee vveecccchhiiee ee nnuuoovvee

rattere assimilazionistico che ha messo fine a forti sottovalutazioni delle culture im-migrate rispetto alle autoctone ha anche portato a galla nuove problematiche e nuo-vi errori. La sottolineatura delle diversità culturali può causare, ad esempio, forme diirrigidimento e di auto-confinamento; la messa in discussione di concezioni etnocen-triche può avallare erronei e fuorvianti relativismi culturali, se non apprezzamenti su-perficialmente folkloristici delle culture “accolte”.

In ogni caso è importante non adottare una strategia troppo rigida e, al contrario,essere in grado di adattarla alle esigenze e ai cambiamenti in atto. Infatti, una dellepoche certezze è che gli scenari che abbiamo di fronte sono in continua trasforma-zione e che non è semplice prevedere i mutamenti della società multiculturale in cuiviviamo; non a caso c’è anche chi ha parlato di educazione interculturale come unafase di “transizione”.

Noi vorremmo suggerire una rivalutazione delle “differenze”, anche a scapito diuna “uguaglianza” sbandierata spesso superficialmente e dietro la quale è più diffi-cile stanare stereotipi e pregiudizi. Così, citando Carla Lonzi - che negli anni Settantane parlava riferendosi alla questione femminile - si potrebbe ripensare il binomiouguaglianza/differenza: “L’uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano del-

le leggi e dei diritti. E’ quanto si impone loro sul piano culturale. […] Il mondo della

differenza è il mondo dove il terrorismo getta le armi e la sopraffazione cede al ri-

spetto della varietà della molteplicità della vita”.

E si potrebbe aggiungere che è il binomio identità-differenza il concetto che real-mente sostiene l’educazione interculturale, perché permette la copresenza di perso-ne tra loro diverse, impone un più profondo senso della propria identità culturale equindi la presa di coscienza degli aspetti trascurati del nostro vivere quotidiano: ritisociali, valori, norme e comportamenti.

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zione), come punto di arrivo diun percorso educativo orientatosulle tematiche dello sviluppo.

Si sente parlare di“multicultura” e di “intercultura” sem-pre più spesso, in varie circostanze, e avolte senza che i termini coincidanocon il significato che è loro proprio.

Nominare bene, o rinominare quando occorre, è di fondamentale importanza peressere chiari, per intendersi appieno, per adeguare la scelta terminologica all’evolu-zione del pensiero, per liberarsi da ambiguità e fraintendimenti. Ad esempio, se a lun-go si è parlato di “tolleranza” per la questione razziale, oggi è difficile trovare questaparola in un qualsiasi discorso autenticamente non discriminatorio.

A tale scopo, per i termini “multiculturale” e “interculturale” si potrebbe adottarela distinzione di ordine concettuale e terminologico proposta dal Consiglio d’Europa(Conseil de l’Europe, L’éducation interculturelle. Concept, context et programme,Strasbourg, 1989).

Il termine mmuullttiiccuullttuurraallee indica una situazione e una condizione, ha carattere de-scrittivo e definisce una realtà in cui sono presenti individui e gruppi di etnie e cultu-re diverse.

Il termine iinntteerrccuullttuurraallee si riferisce a questa stessa realtà, ma ha carattere dina-mico e prende quindi in considerazione le relazioni che tra questi individui o gruppivengono a determinarsi.

Quando si parla di educazione riferita al contesto multiculturale si dovrebbe sem-pre parlare di eedduuccaazziioonnee iinntteerrccuullttuurraallee. La finalità infatti è quella di favorire la cono-scenza delle culture diverse e lo sviluppo di atteggiamenti che consentano di intera-gire, collaborare e arricchirsi vicendevolmente.

Così formulata l’educazione interculturale si pone, apparentemente, un obiettivolineare. In realtà, deve seguire una strada piuttosto ardua perché va a scontrarsi connumerose difficoltà di carattere pratico e ideologico. L’abbandono dei modelli di ca-

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L’educazioneper lo sviluppo

e l’UNICEF

Introduzione

LL’’eedduuccaazziioonneeiinntteerrccuullttuurraallee

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Parte 1

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Quantisono, chi sono,

da dove vengonogli alunni stranieri

Suggerimenti

didattici

Sono più di 110.000 gli alunni stranieri seduti sui ban-chi di scuola in questo nuovo anno scolastico.

E’ uno dei dati che emergono dalla pubblicazione su-gli studenti con cittadinanza non italiana di scuole statali e

non statali nell’anno scolastico 1998/99 redatta dal SistemaInformativo del Ministero della Pubblica Istruzione in collabo-

razione con l’“Agenzia per la Scuola” costituita da EDS e Luiss Mana-gement. Tutti i dati suddivisi per regioni e province, le dinamiche di distribuzione ter-ritoriale e le cittadinanze di origine sono disponibili sul sito Internet del Ministero del-la Pubblica Istruzione (www.istruzione.it).

La ricerca fatta per il terzo anno dal Sistema Informativo si rivela uno strumentodavvero utile per “leggere” il paesaggio multiculturale della scuola italiana e contie-ne analisi ragionate del fenomeno e delle sue molteplici sfaccettature. Ecco alcunielementi di interesse.

Nell’anno scolastico 1988/89, cioè più di dieci anni fa, il totale degli alunni con cit-tadinanza non italiana era di 11.791. Nel 1997/98 era di 71.357, nel 1998/99, l’annosul quale è stata effettuata la ricerca, è di 86.222 unità. Va sottolineato inoltre il fat-to che l’ingresso di questi “nuovi” alunni coincide con una sensibile diminuzione del-la popolazione scolastica per decremento demografico (quasi 2.000.000 in meno ne-gli ultimi dieci anni). Ma 110.000 alunni stranieri sono tanti o sono pochi? Costitui-scono un problema oppure no?

Sono pochi, anzi pochissimi se rapportati al totale degli alunni (rappresentanol’1%) e alle percentuali molto più alte di alunni stranieri presenti nelle scuole di altripaesi europei (Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Olanda). Ma vanno fatte dueconsiderazioni che caratterizzano la situazione italiana e che hanno rilevanza sullestrategie educative da adottare e anche sulla percezione che di questo fenomeno

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Parte 1 Quantisono, chi sono,

da dove vengonogli alunni stranieri

progressivo negli ultimi anni di albanesi ed ex-jugoslavi, poi i paesi lontani ma di piùlunga tradizione e radicamento nel nostro paese, tenendo sempre presente che que-ste diverse provenienze e culture si incontrano non in modo coeso in questo o quelterritorio (tranne per alcuni casi) ma in modo diffuso.

Così ad esempio nelle scuole delle province di Brescia e Firenze abbiamo rappre-sentate 108 cittadinanze, a Bologna 100, ad Ancona 74, a Cremona 60. Piccoli nume-ri, ma colori diversi, in una stessa scuola, in una stessa classe.

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hanno gli insegnanti e l’opinione pubblica in generale. La prima è che la presenza dialunni stranieri è molto disomogenea e differenziata sul territorio nazionale.

La concentrazione di alunni stranieri è molto più elevata nelle aree del CentroNord del paese (il 90%), in particolare in quelle regioni che hanno una maggiore ca-pacità attrattiva nei flussi migratori perché caratterizzate da una migliore situazionesocio economica. Le scuole del Mezzogiorno d’Italia accolgono meno del 10% deglialunni stranieri. Le regioni con la più alta concentrazione di alunni stranieri sono laLombardia (25,45%), l’Emilia Romagna (13,30%), il Veneto (11,33%). E’ illuminante, aquesto proposito, per esempio, leggere le percentuali delle province. Ai primi dieciposti si trovano: Milano (numero di alunni stranieri 10.552); Roma (7.105); Torino(3.806); Brescia (3.798); Firenze (3.032); Bologna (2.867); Vicenza (2.749); Verona(2.423); Modena (2.286); Treviso (2.225).

Dunque ci sono più alunni stranieri nelle scuole delle province di Vicenza e Trevi-so (le piccole città del Nord-Est) che non nelle province di Napoli e Palermo, assentiin questa testa di classifica.

Un altro caso esemplare del modello “diffuso” del nostro paese è quello di Cuneo.Nelle scuole di questa provincia (scuole di montagna) ci sono più alunni stranieri (cit-tadinanza di origine più numerosa è quella marocchina) che non nelle scuole delleprovince di Genova e Bari capoluoghi di regione, ma soprattutto province di mare, dicoste e di sbarchi.

La seconda considerazione è che a differenza di altri paesi europei, di più lungatradizione multiculturale, il cambiamento per la scuola italiana è stato rapidissimo. Ildiscorso sull’educazione interculturale è cominciato dieci anni fa (fatta eccezione pergli studi pionieristici di alcuni ricercatori) e le parole “educazione interculturale” com-paiono per la prima volta in un documento del Ministero della Pubblica Istruzione nel-la circolare “La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri: l’educazione interculturale”,del luglio 1990.

Un altro tema interessante è la provenienza degli alunni stranieri, i tanti e diver-sissimi paesi di provenienza, altro elemento che caratterizza il modello “diffuso” del-l’Italia. Il maggior numero di alunni proviene da Marocco (15.133), Albania (13.551),paesi dell’ex-Jugoslavia (8.150); seguono Cina, Perù, Filippine, vale a dire prima i pae-si del Mediterraneo, i vicini di casa dell’altra sponda, con l’aumento rapidissimo e

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Parte 1Quanti sono,

chi sono, da dove vengonogli alunni stranieri

Alunni

17,41%32,41%20,45%29,73%

100,00%

Ordine di scuola

MaternaElementare

MediaSuperiore

Totale

Distribuzione percentualedegli alunni con cittadinanzanon italiana per ordine discuola e confronto con lapopolazione scolastica totale

Piemonte 1,86 2,17 1,89 0,51 1,61Lombardia 2,76 2,75 2,10 0,70 2,11Trentino-Alto Adige n.d. 2,61 2,04 0,82 1,92Veneto 1,89 2,35 1,81 0,44 1,64Friuli-Venezia Giulia 2,39 2,17 2,00 1,01 1,81Liguria 1,30 1,82 1,58 0,59 1,39Emilia Romagna 3,05 3,13 2,69 1,42 2,55Toscana 1,81 2,68 2,40 0,64 1,85Umbria 2,38 2,91 2,27 0,59 1,96Marche 2,08 2,24 1,39 0,59 1,53Lazio 0,92 1,77 1,55 0,55 1,22Abruzzo 0,54 1,00 0,77 0,12 0,60Molise 0,13 0,26 0,17 0,04 0,15Campania 0,02 0,10 0,09 0,03 0,07Puglia 0,28 0,49 0,37 0,15 0,33Basilicata 0,15 0,13 0,17 0,03 0,11Calabria 0,11 0,25 0,21 0,06 0,16Sicilia 0,24 0,29 0,19 0,08 0,21Sardegna 0,25 0,19 0,14 0,03 0,15

IITTAALLIIAA 1,26 1,48 1,17 0,43 1,09Nord-Ovest 2,35 2,49 1,99 0,63 1,89Nord-Est 2,38 2,62 2,15 0,89 2,00Centro 1,48 2,19 1,84 0,59 1,51Sud 0,16 0,32 0,26 0,08 0,21Isole 0,24 0,27 0,18 0,07 0,191 Non sono comprese le scuole superiori non statali

Regioni earee geografiche

Materna Elementare Media Superiore1 Totale% stranieri sul totale alunni

Distribuzione percentuale della popolazione scolastica

Alunni con cittadinanza non italiana in rapporto alla popolazione studentesca per ordine di scuola, per regione e area geografica

Media22,52%

Superiore32,41%

Materna21,23%

Elementare45,83%

La scuola italiana ha già svincolato l’educazione interculturale dalpreciso riferimento alla presenza di allievi extracomunitari ponendola come un prin-cipio educativo centrale a fianco delle varie materie, mentre la finalità prioritaria ri-mane la capacità di dialogare e interagire in funzione del-l’arricchimento reciproco tra “diversi”.

E’ indispensabile, perciò, che sia esplicito ilduplice compito dell’educazione interculturale:

• rendere possibile l’incontro e l’inserimentodi chi è in minoranza o, comunque, di coloro chenon appartengono alla cultura e al sistema di re-gole convenzionali;

• insegnare l’accoglienza e innescare un pro-cesso di autoeducazione a confrontarsi e coope-rare con l’“altro”, con se stesso in relazione al “di-verso”. Per fare ciò occorre che, aldilà di stereoti-pi e barriere fisiche e mentali, insegnanti e al-lievi/e accolgano l’invito a conoscere l’“al-tro”, a riconoscere quanto di lui è dentro cia-scuno di noi, e attraverso questo riconosci-mento riuscire a condividerne modi e sentimenti.Nessun individuo, infatti, appartiene in modo totale, rigido e statico a una cultura,ma ha una sua individualità che spesso sconfina spontaneamente in prospettiva diun ordine “sovranazionale”, senza tuttavia che ciò comporti la negazione delle pro-prie radici.

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Parte 1 Suggerimentididattici

LLee mmeettooddoollooggiiee

AAccqquuiissiirree ccoonnoosscceennzzee ssuuii mmooddeellllii ccuullttuurraallii ee ggllii ssttiillii ddii vviittaa ddeeii nnoossttrriiiimmmmiiggrraattii.. VVaalloorriizzzzaarree llee ssoommiigglliiaannzzee ee llee ddiiffffeerreennzzee ttrraa llaa nnoossttrraa ee llee lloorrooccuullttuurree..CCoonnffrroonnttaarree ggllii uussii ee ii ccoossttuummii;; iinn aallttrree ppaarroollee rriiccoossttrruuiirree llee ffeessttee,, llaa ccuucciinnaa,, llee ccaassee……

Questi gli obiettivi più comuni che compaiono in progetti e proposte didatticheper avvicinare bambini/e, ragazzi/e della scuola italiana alla realtà multiculturale.Realtà che nel nostro paese, per quanto recente, mostra una spiccata tendenza al-l’insediamento stabile.

Perché, però, prima di far piombare gli allievi in questi scampoli di altre culturenon si prova a farli calare più dolcemente nel fenomeno dell’immigrazione?

Perché fargli leggere le differenze in base al nostro punto di vista, se non al nostroimmaginario?

Perché partire dal lontano, ad esempio dalla ricostruzione geografica, climatica, avolte un po’ folkloristica del Marocco, da cui magari proviene la compagna di banco,per arrivare a conoscerla e a comunicare veramente con lei?

Varrebbe allora la pena di ascoltare - prima ancora di farne il nostro “oggetto” distudio - chi è arrivato nel nostro paese da “lontano” o chi, pur essendo nato in Italia,in famiglia conserva profonde radici di una cultura differente.

Alla sensibilità e alla capacità di ‘accogliere’ l’altro dei/lle ragazzi/e delle scuoleelementari e medie risulterà sicuramente più vicino sapere cosa ha provato un bam-bino senegalese alle prese con oggetti e parole per noi quotidiani e per lui estranei,incomunicanti. Oppure riflettere sulla relatività della percezione e del significato del“tempo” - cronologico e metereologico; o ancora, anziché ricostruire soltanto i piattie i rituali di una festa caratteristica, domandarsi che significato ha in quel contesto “ilridere” o “il condividere”.

Dopo la lettura dei seguenti brani e l’eventuale ricerca di altri risulterebbe utileprovare a riformulare gli obiettivi per un lavoro sull’intercultura.

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Nella prassi didattica dell’educazione all’interculturalità il suggerimento metodo-logico basilare è l’approccio attivo, a prescindere che si decida di lavorare su espres-sioni artistiche, fiabe e musica o sullo studio dei rapporti economici e ambientali trail Nord e il Sud del mondo.

L’obiettivo a lungo termine consiste nell’avviare la riflessione e la messa in di-scussione dei fattori che ostacolano la comunicazione facendo leva sui motivi che in-vece possono favorirla.

Le tecniche adatte ai/alle ragazzi/e nella fascia d’età inclusa nella scuola dell’ob-bligo possono essere quelle tradizionali che coinvolgono sia la parola che il raccon-to: dall’ascolto al brainstorming; sia il corpo che il movimento: dal teatro ai giochi diruolo e di simulazione.

L’ascolto reciproco deve essere comunque attivo, inteso non come silenzio o sem-plice accettazione di ciò che viene detto, ma come modo per entrare in contatto conil mondo percettivo dell’Altro, come incoraggiamento alla formulazione positiva deipensieri.

Il brainstorming rimane una delle migliori modalità comunicative per far esprime-re, senza censure, opinioni attorno a quegli elementi di distorsione della conoscenzaquali pregiudizi, stereotipi ed etnocentrismi. La riflessione e la rielaborazione diquanto emerge dalla tecnica delle associazioni libere, poi, potrà non solo spostare ilpunto di vista, ma modificare concretamente anche i comportamenti.

Il teatro costituisce per i/le bambini/e italiani e stranieri, insieme con le loro fa-miglie, una possibilità concreta e coinvolgente per confrontarsi nei vari momenti ag-gregativi della vita sociale. L’animazione e il teatro costituiscono, infatti, un canaleprivilegiato per partecipare, attraverso un atteggiamento empatico, a un utile pro-cesso di decentramento culturale.

I giochi di simulazione e di ruolo, come valido strumento per abbattere barriere epregiudizi. Ma soprattutto per creare situazioni che facilitino meccanismi quali la coe-sione del gruppo, la disponibilità a negoziare e a risolvere i conflitti e che permetta-no di estraniarsi da sé guardandosi attraverso lo sguardo dell’Altro, riconsiderando,quindi, anche i propri comportamenti.

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Parte 1Suggerimenti

GGllii oobbiieettttiivvii

la chiacchiera, bisogna essere sintetici: come sai la parola è da noi così sacra che si

prende sempre qualcuno a testimone quando si deve dire delle cose gravi […].

Caro fratello, se vieni qui, ti stupirai del fatto che quando bussi alla porta di una ca-

sa, ti rispondono sbirciando dall’occhio di bue o dal videocitofono con un raggelante

“chi è?”, quando sai che l’usanza da noi è che ti facciano entrare, ti facciano sedere, ti

danno un bicchiere o mezza zucca piena d’acqua da bere prima di chiederti dopo i sa-

luti di circostanza “quale buon vento ha guidato il tuo passo in questa dimora?”.

Una delle prime cose che impari qui è di non arrivare dagli amici all’ora del man-

giare senza invito. Perché o ti invitano allora con la punta delle labbra a favorire con

una tacita supplica di rispondere “no, grazie!” o ti accendono la televisione in un lin-

do e lucido salotto per l’attesa. Sai bene che da noi sarebbe quasi un’offesa rifiuta-

re l’invito a sedersi a tavola per condividere anche se solo un po’ del pasto. Anche

qui molto dipende, credo, dal loro ritmo di vita e dalle loro abitudini alimentari. Si fa

presto con un piatto unico di polenta o di riso con salsa ad aggiungere un posto a

tavola; ma sai, quando le bistecche sono già state congelate numerate, la cosa di-

venta ardua.

Il fatto stesso che la famiglia da noi è numerosa rende i conteggi difficili anche

perché da noi la famiglia, come il tempo, è dilatata. Nella nostra lingua non esiste co-

me sai una diversa parola per dire cugino rispetto a fratello e la famiglia non è di so-

lo genitori e figli ma anche fatta da zii, nipoti, ecc. Qui dei fratelli possono stare nel-

la stessa città senza vedersi per mesi e mesi, se non per matrimoni e funerali. […]

Sai fratello, la cosa che più mi manca qui sono le feste. La festa da noi è veramente

festa, non come qui per il menù, ma per l’allegria, la musica, il ballo, la gioia di stare

insieme, il ridere a squarciagola, il ridere fino a piangere. […]

Con tutto questo fratello, non voglio dire che tutto da noi è più bello, ti sto dicen-

do soltanto che è diverso. Sai come dicono gli anziani, che è vero che “la memoria

quando va ad attingere acqua per rinfrescarsi nella calura della nostalgia, riporta a

galla solo quella più fresca”… Non dimentico quanto lavorano le nostre mamme, una

gravidanza dopo l’altra, quanto soffrono le nostre donne, le nostre sorelle. Qui giu-

stamente la donna ha gli stessi diritti dell’uomo. […]

Mi consola il fatto che nonostante la distanza quando alziamo gli occhi al cielo ve-

diamo la stessa cosa.

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IIll bbrraannoo cchhee sseegguuee ssii iinnttiittoollaa CCaarroo ffrraatteell lloo

mmiioo eedd èè ssttaattoo ppuubbbblliiccaattoo ssuullllaa rriivviissttaa ““CCaaffffèè.. PPeerr uunnaalleetttteerraattuurraa mmuullttiiccuullttuurraallee””,, nn.. 99,, ddiicceemmbbrree 11999999.. LL’’aauuttoorree,,ttooggoolleessee,, ssii cchhiiaammaa KKoossssii AAmméékkoowwooyyooaa KKoommllaa--EEbbrrii eedd èè

mmeeddiiccoo cchhiirruurrggoo,, oollttrree cchhee ssccrriittttoorree..

La vita del “mondo dei bianchi” è alle volte dura,

strana, stimolante. La prima cosa che ti sconvolge è il clima,

anche se alla lunga si impara ad apprezzare quel susseguirsi

delle stagioni […]. Il primo impatto con il freddo è a dir poco terri-

bile. Non saprei come descriverlo, è un po’ come esporre il tuo corpo a delle staffila-

te di lame, con quell’aria pungente che ti screpola le labbra e ti irrigidisce le dita. Un

po’ perché non sai come coprirti e accumuli strati di maglie addosso.

Caro fratello, credo che questo clima condizioni tante loro abitudini così diverse.

Qui la gente corre sempre, forse per riscaldarsi un po’. Sembra che qui il tempo non

basti mai, allorché da noi è così dilatato e ci dà il tempo di salutarci per strada in quel

lungo rituale per chiedere notizie del resto della famiglia, del lavoro, di come vanno

le cose. Un saluto che non si nega neanche a quelli che non si conoscono. Qui tutto

si riduce a un frettoloso “giorno” neanche “buongiorno” perché il freddo e la fretta

hanno già inghiottito il “buono”[…]. Sai bene che da noi il tempo non esiste e che se

un amico ti dà un appuntamento alle 14, non ti adiri se arriva alle 17, o peggio se non

arriva affatto, perché ha avuto senz’altro meglio da fare. Quel tempo così dilatato da

noi che ti permette di camminare con nonchalance, si scontra con la frenesia che qui

scopri attorno a te e ti fa stupire della rabbia del datore di lavoro perché i primi tem-

pi arrivi con un quarto d’ora o mezz’ora di ritardo oppure quando ti applichi al tuo la-

voro con calma e tranquillità. Qui fratello, il tempo è “denà”.

Vedi, qui il freddo ha condizionato la vita della gente a un punto tale che dovendo

vivere al riparo, al chiuso, hanno sviluppato maggiormente il comfort dentro la casa,

allora da noi il cortile è il centro della vita familiare: si cucina fuori, si mangia fuori, si

gioca fuori, si ricevono gli amici sotto la tettoia di paglia o all’ombra di qualche albe-

ro del cortile dove le chiacchiere e le risate scoppiano fragorosamente. Il ridere da noi

è così viscerale, essenziale. Qui sorridono e raramente ridono. Qui non c’è tempo per

20

Parte 1Suggerimenti

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TTrraattttoo ddaall rraaccccoonnttoo LLaa ssooll iittuuddiinnee ddii MMbbaayyee DDiiaawwiinn ““PPaarroollee ee CCoonnffiinnii””,, PPrreemmiioo lleetttteerraarriioo ddeeggllii iimmmmiiggrraa--ttii,, PPrriimmaa eeddiizziioonnee BBrreesscciiaa 11999977..

UUnn bbaammbbiinnoo sseenneeggaalleessee rraaccccoonnttaa ddeellllaa pprriimmaa iimm--pprreessssiioonnee aappppeennaa sscceessoo ddaallll’’aaeerreeoo cchhee lloo hhaa ppoorrttaattoo

iinn IIttaalliiaa ppeerr rraaggggiiuunnggeerree iill ppaaddrree ee ddeellllee ddiiffffiiccoollttàà nneellccoonnffrroonnttaarrssii,, ddaa ssoolloo,, ccoonn uunnaa mmeennttaalliittàà ee ddeeggllii

uussii aaii qquuaallii nnoonn eerraa ssttaattoo aaffffaattttoo pprreeppaarraattoo..

Correvano tutti, con le valigie in mano, con i

bambini in braccio o trascinandoli per il cappotto, le donne, gli uo-

mini, i ragazzi: “Ma non c’è un attimo di tregua”, pensai, “e come trovano il tempo

per pregare e prendere il tè?” […].

Mi hanno sempre chiesto che cosa avessi provato sull’aereo, perché era la prima

volta che ci salivo, perché ero solo, se avevo mangiato… ma io avevo soltanto dormi-

to, una bella dormita tranquilla. […] non finivano mai di chiedermi come era andato il

volo, se avevo avuto paura, se avevo fame, se avevo freddo, se avevo sonno e se ave-

vo tutti i mali del mondo. Non rispondevo quasi a niente, un po’ perché non riuscivo

a capirli molto bene, poi perché tutte le domande, secondo me, non servivano: il vo-

lo evidentemente era andato bene altrimenti non sarei arrivato, paura di che cosa, la

fame si placa mangiando e aspettando che sia pronto il pranzo, il freddo lo si elimina

coprendosi […]. Non capivo perché mi facessero delle domande così sceme […].

Andai subito a letto iniziando una feroce lotta con le lenzuola, erano due, non una,

che mi si attorcigliavano tutte intorno al corpo senza darmi un attimo di tregua: “Ma

che inferno”, pensai, “domani dico a mio padre di darmi una stuoia come a casa”, e

con quel pensiero familiare mi addormentai […].

Ero arrivato in Italia, nella casa piena di vestiti, di giochi, di libri, di televisori, di

bagni, di vasche, ma la nonna, il nonno, le zie, gli zii, le caprette, i miei fratelli e tutti

i fratelli e le sorelle dei nonni, e gli amici delle zie e dei loro mariti, dove erano?

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Parte 1Suggerimenti

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Parte 2Progetto-Laboratorio

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49

Premessa

I linguaggi“altri” e l’intercultura.

Fare e pensare per immagini

Progetto1“Raccontiamo con...

le cose, le forme, i colori”

Progetto2“L’immagine in movimento e il linguaggio ‘altro’:

facciamo il cinema a scuola”

I suggerimenti didattici elaborati in colla-

borazione con Andreina Serloni, una insegnan-

te con una vasta esperienza nel campo dell’e-

ducazione artistica nella scuola elementare, delineano

percorsi interculturali nuovi e un po’ eclettici.

L’idea che li anima è quella di sfruttare in primo luogo

le potenzialità fortemente comunicative che l’attività

artistica e il lavoro con i materiali hanno per i bambini. Disegnare, dipingere, lavora-

re con creta, tempere e pennelli, liberi dai condizionamenti tipici delle attività logico-

matematiche è per sua natura liberatorio di energie psichiche profonde e di un’atti-

tudine al confronto e alla collaborazione.

Inoltre questo tipo di lavoro, che per definizione viene svolto in gruppo, favorisce

di fatto la socializzazione, conditio sine qua non perché l’incontro con l’altro si rea-

lizzi davvero nella vita scolastica, in un contesto di comunicazione profonda e non

stereotipata, dal momento che l’attività artistica può essere un ponte su cui tutti i

bambini possono ritrovarsi, a prescindere dalle differenze linguistiche: in tutto il

mondo i bambini disegnano allo stesso modo e il linguaggio delle immagini può dav-

vero consentire di passare sopra alle difficoltà della comunicazione linguistica tra

bambini di etnie diverse.

Ecco quindi delineati i motivi, tutt’altro che “leggeri” di questi percorsi tra i mate-

riali, i colori, la creatività infantile: percorsi seguendo i quali è facile incontrare e co-

noscere l’altro, in una dimensione di arricchimento reciproco.

Il riferimento interculturale indicato in calce a ogni attività artistica facilita il lavo-

ro agli insegnanti, suggerendo per ogni progetto una attività didattica specifica im-

postata sull’interculturalità. Il progetto proposto, riferito soprattutto all’educazione

all’immagine, può essere facilmente esteso alle altre materie diventando così interdi-

25

Parte 2 Premessa

Il progetto si rivolge a bambini e insegnanti, distinguendosi indue proposte diverse di intervento, caratterizzate e coordinate en-trambe dalla struttura narrativa, dal “raccontare” e, nello stessotempo, dal pensiero che competenze diverse e diverse culture pos-sono trasformare la scuola e l’apprendimento in originali esperien-

ze di prassi educativa e di vita sociale.Dare spazi e tempi, cioè fiducia ai bambini, nell’organizzare il proprio apprendi-

mento facendo ricerca e fornendo strumenti per fare e pensare per immagini, signifi-ca per l’insegnante avere l’opportunità di cogliere lei stessa e poi di stimolare e pro-vocare una molteplicità di situazioni possibili da scegliere, da vivere e da trasforma-re in un linguaggio “altro”: la finalità stessa del progetto, allora, educare alla capacitàdi fare tante scelte e di poter cambiare, diventa una proposta aperta e nuova allascuola e non solo a essa.

La condivisione reale del concetto della molteplicità e delle differenze - di mate-riali, di mezzi, di identità, di competenze, di culture, di idiomi, di ruoli - ci offre un pun-to di vista in più: la possibilità e l’entusiasmo nel “vedere oltre” le differenze macro-scopiche una stessa dimensione profonda di fantasia e di immagine in continuo mo-vimento e trasformazione. “Fare immagini” significa mettere insieme, unire, collega-re, trovare e saper scegliere combinazioni possibili imparando a dare forma ai propripensieri con un linguaggio “altro” e in un rapporto diretto con “l’altro”.

Fare e pensare per immagini implica un rapporto concreto col materiale e col mez-zo usato: ogni bambino, nel momento in cui partecipa, è alla pari con gli altri e puòsentirsi “autore” di qualcosa inventato proprio da lui e finalizzato a un prodotto uni-co del gruppo classe. Molteplici attività didattiche vengono in questo modo diretta-mente attivate, tutti i mezzi e i linguaggi, gli ambiti e le discipline sono in uso e in cal-colo, in una dimensione di interesse reale/gioco/apprendimento/realizzazione.

sciplinare, utilizzando lo stesso approccio lieve e non dogmatico: fiabe e racconti ap-

partenenti a culture diverse, personaggi ponte presenti in contesti culturali diversi e

vivissimi nella memoria dei bambini, riferimenti storici, geografici, antropologici pos-

sono essere proposti ai bambini secondo una programmazione non rigida bensì co-

me tanti pezzetti di un patchwork multicolore che costituirà lo sfondo su cui articola-

re la conoscenza dell’altro e il confronto con il suo mondo.

L’educazione allo sviluppo, ci sembra, deve oggi uscire dall’impasse di una di-

mensione meramente conoscitiva e contenutistica e assumere valenze più formative,

nel quadro di un’impostazione allargata e più complessa: educare allo sviluppo si-

gnifica oggi, forse più che mai, acquisire una mentalità aperta a cogliere le stratifica-

zioni multiculturali e la innegabile complessità che caratterizza la società contempo-

ranea.

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Parte 2 I linguaggi“altri” e l’intercultura.

Fare e pensareper immagini

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Parte 2Premessa

LLoo ssvviilluuppppoo ddeellll’’iiddeennttiittàà nneellllaa ddiiffffeerreenntteeppaarrtteecciippaazziioonnee aa uunn iinntteerreesssseeccoommuunnee

Una breve considera-zione ci sembra neces-saria sul concetto di

tempo “dilatato”, proprio per porre le mi-gliori condizioni per sentirci a nostro agionello spazio e nel tempo in cui siamo ascuola.

Nella proposta laboratorio per l’intercultura,il concetto di tempo assume uno spessore diver-so rispetto a quello comunemente inteso. Durantele attività con materiali “altri “ e “altri” linguaggi il tempo viene direttamente rappor-tato alle attività manipolative, immaginative e creative del bambino: è quindi sogget-tivo e non viene scandito da rigidi orari da rispettare, ma si “dilata”.

L’utilizzo positivo e attivo di tutto il tempo a disposizione vissuto per ricostruirci,per riprendere il contatto con la nostra realtà interna, ci riporta a una dimensione piùumana. In un tempo così morbido, c’è più spazio per recuperare un rapporto reale conle cose, le attività e i rapporti interpersonali.

Durante la manipolazione, il collage, il ritaglio o la pittura, è più facile e naturale“raccontarsi”, raccontare situazioni e storie. Durante la scelta e il confronto sul sog-getto da cui partire per fare un film, i bambini si raccontano, raccontano la loro vitanello spazio e nel tempo della scuola, si mettono in gioco per dire tutti insieme qual-cosa di nuovo in un modo diverso, con entusiasmo e senza partire da rigide regoleda seguire.

Il laboratorio e tutti i suoi diversi materiali e mezzi, costituendo uno spazio di in-contro reale con l’altro, oltre la comunicazione verbale, permette di parlare un lin-guaggio nuovo, quello della “condivisione” nella calma e nella tranquillità di un tem-po dilatato.

Un tempo dilatato e ritrovato, sia per i bambini occidentali che forse non l’hannomai conosciuto, sia per alcuni bambini stranieri, che ritrovandosi invece in una atmo-sfera rilassante, rispettosa della loro cultura, potranno sentire meno grande lo spazioe la distanza che li separa dal luogo d’origine.

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Questo effetto di ritorno nell’impostare la ricerca didattica sul fare e pensare per

immagini apre a tutti i bambini l’espressione di sé, produce benessere, sensibilizza ededuca al “passare oltre”, ad assumere un atteggiamento attivo e propositivo, a espri-mere e rappresentare un pensiero nuovo con un linguaggio comprensibile a tutti.

Cercare e trovare una apertura, sentire una dimensione di accoglienza per potercomunicare “con l’altro” e parlare il suo stesso linguaggio corrisponde e risponde al-l’esigenza fondamentale dell’essere umano di esprimere quel mondo di vitalità e disensibilità che ci fa scoprire sempre nuovi e diversi e ci spinge alla scoperta di qual-cosa di nuovo in noi stessi e negli altri.

Questo progetto-laboratorio, proposto in due differenti modalità or-ganizzative, si basa sulla struttura narrativa articolandola secondo i di-

versi significati che si possono riconoscere al Racconto:

• racconto come “storia raccontata”: da un “prima”, attraverso un evento che mo-difica la situazione iniziale e provoca un cambiamento, a un “dopo”, come nuovasituazione di partenza;• “racconto” realizzato con materiali “altri” nel laboratorio, come opportunità diincontro, di riconoscimento e di corrispondenza affettiva nelle immagini dell’altro,oltre la scrittura, la forma, il linguaggio verbale e i confini fisici e mentali;• racconto come percorso dell’evoluzione del bambino nel processo della cono-scenza tecnica, come obiettivo stesso del progetto.

Educare a… saper scegliere per cambiare:TEMPI: possibilità di allentare i ritmi di vita frenetici e vivere un rapporto più tran-quillo con i propri tempi;SPAZI: possibilità di lasciare il proprio spazio non soddisfacente per spostarci inun luogo più accogliente;CULTURE: possibilità di conoscere altri modi di essere e di vivere e quindi, all’oc-correnza, di poter modificare i propri.

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Parte 2I linguaggi

“altri” e l’intercultura.Fare e pensare per immagini

QQuuaannddoo iill tteemmppoo ddiillaattaattooppuuòò aaccccoorrcciiaarreelloo ssppaazziioo

LLaa ssttrruuttttuurraannaarrrraattiivvaa ee iill pprrooggeettttoo

FFiinnaalliittàà ddeellpprrooggeettttoo

RReeggoollaa ddii bbaassee:: aassccoollttaarreePer “ascoltare” intendiamo non solo ascoltare le parole dell’inse-

gnante per capire di cosa stiamo parlando, ma “sentire” il senso delracconto, dare ascolto a quello che resta implicito e non direttamente espresso ver-balmente.

Ascoltare significa seguire quelle immagini che ci vengono in mente, scoprire unadimensione interna di fantasia, di accoglienza e di apertura verso l’altro da sé. Signi-fica sentirci in armonia con noi stessi e ci permette di capire meglio ciò che vogliamoesprimere.

La conoscenza man mano acquisita dalle varie tecniche, la competenza e la sicu-rezza che ci vengono dal “saper fare” (le sfumature cromatiche, comporre un’imma-gine d’insieme, tradurre bene sulla pellicola le immagini reali, mettere in relazione leimmagini in movimento col suono) costituiscono le successive regole di base, la strut-tura indispensabile per “raccontarsi”, per poterci esprimere eper rapportarci agli altri.

MMeettooddoollooggiiaaStrutturata come percorso didattico di tipo circolare, fles-sibile e aperto a continue modificazioni in itinere.

SSppaazziiooAula laboratorio o spazio classe.

PPeerrssoonnaalleeDocente (insegnante specialista + insegnante di classe); Non docente (volontariato, anziani, ecc.).

Il concetto di tempo dilatato viene implicitamente introdotto in più occasioni nel-le attività di laboratorio:

• quando proponiamo l’uso di un materiale come la creta, che necessita di tempipropri di essiccamento e di cottura e ci richiede quindi la capacità di saper aspet-tare e saper utilizzare il tempo per renderlo attivo e recuperare la creatività (ap-plicarsi cioè, a qualcos’altro di bello e dopo un certo tempo tornare a vedere co-me si è modificata la nostra opera dopo la cottura in forno);• quando proponiamo al bambino/a di approfondire la tecnica che abbiamo in-trodotto, perché gli lasciamo la libertà di scegliere autonomamente quanto e co-me approfondirla.Inoltre si può pensare a un tempo dilatato quando il lavoro che viene prodotto in

una atmosfera di tranquillità non viene realizzato cercando di raggiungere un obietti-vo specifico per l’utile, ma viene realizzato per il gusto di creare; vengono sollecitate,infatti, l’immaginazione e la fantasia.

E’ in questo clima, senza obblighi di terminare in tempo, senza nessuna preoccu-pazione di sbagliare, che il tempo dilatato ci conduce tutti verso la bellezza, alla ri-cerca di “qualcosa di bello per noi”, completamente svincolati dal giudizio estetico odi valore.

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Parte 2 Progetto1“Raccontiamo con...

le cose, le forme, i colori”

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Parte 2I linguaggi

“altri” e l’intercultura.Fare e pensare per immagini

SSuuggggeerriimmeennttooddiiddaattttiiccoo ppeerrllaa ffaasscciiaa ddii eettàà iinnffeerriioorree

cano tra le righe), invitiamo i bambi-ni ad assumere una posizione como-da di ascolto, lasciando per un mo-mento sul banco gli “strumenti” per la pittura e suggerendo di fare attenzione all’a-scolto nel senso profondo sopra indicato.

Dopo la lettura, appena si è certi di avere in mente ciò che vogliamo rappresenta-re, prendere il pennello e procedere come di seguito:

• bagnare il pennello nell’acqua, passarlo sulla pasticca del colore scelto facen-dolo sciogliere; evitare di premere con forza e di far toccare la parte metallica sul-la pasticca del colore;• distribuire un po’ di colore nel piatto;• sciacquare il pennello nell’acqua per mandare via la prima tinta usata e sce-glierne un’altra seguendo la stessa procedura;• passare il pennello sul foglio, studiando subito la quantità giusta di acqua;• se la carta ha assorbito troppa acqua il foglio si ondulerà e il colore sarà più de-licato.

IImmppoorrttaannttee• Evitare di far perdere troppo tempo al bambino per decidere da che parte ini-ziare, come fare e quale colore usare: il primo impatto con la pittura dev’essereimmediato, perché l’insicurezza che ci viene dalla non conoscenza della tecnica ri-schia di bloccare la nostra immaginazione: meglio fare subito qualcosa che poipossiamo rendere più bella piuttosto che restare ancorati alla ricerca di una per-fezione solamente… nella nostra mente;• scoraggiare l’uso preliminare di matita e gomma per dare la possibilità di tra-durre nel modo più immediato l’emozione data da quel colore col pennello sul fo-glio;• se i bambini chiedono aiuto perché non si sentono sicuri sulla forma dell’ogget-to da rappresentare, possiamo guidare la nostra mano sulla loro, ma lasciandosempre il pennello nelle loro mani.

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Differenziazione e individualizzazione degli interventi per valorizzare le esperien-ze specifiche.

TTeemmppiiDifferenziati in fasi diverse di realizzazione:I fase - analisi della situazione di partenza

Valutazione sulle competenze di partenza del gruppo classe, sui contenuti tecnicida acquisire (obiettivi) e sulla metodologia da proporre.II fase - divisione in gruppi di lavoro

Gruppo “a” e gruppo “b” - organizzazione dei contenuti/obiettivi. Mentre il gruppo“a” viene seguito per la competenza grafico-pittorica dall’insegnante di classe, ilgruppo “b” viene seguito per l’aspetto manipolativo (uso di materiali altri), dall’in-segnante specialista e dai volontari.III fase - attività alternata tra gruppo “ a” e gruppo “b”

IV fase - incontro di verifica del lavoro fatto insieme

Ritrovarsi insieme in una corrispondenza di spazi e di tempi: tutto il gruppo classeè chiamato a una rielaborazione critica del lavoro svolto in tempi e modi diversi.

CCoommee ssii ffaa??La fase introduttiva comune a tutto il gruppo classe (presente il docente speciali-

sta, l’insegnante di classe e il personale non docente) propone, all’atto pratico, la let-tura del testo scelto e la trasformazione delle parole in immagini.

I tempi e le modalità da seguire, e la priorità di una competenza rispetto a un’al-tra, verranno offerti e modulati dai bambini stessi, man mano che si svolgeranno levarie attività, a riprova della necessità della presenza di uno scambio affettivo indi-spensabile per poter promuovere un reale processo di apprendimento.

EE aaddeessssoo ssii ccoommiinncciiaa !!!!!!Ogni alunno avrà a disposizione un foglio F4 Fabriano, un pennello piccolo e uno

grande, una scatola di acquerelli in pasticche, un piattino per mescolare i colori e fa-re le sfumature, un bicchiere con l’acqua e un foglio di carta assorbente.

Prima di iniziare la lettura (che comunque l’insegnante deve aver già fatto indivi-dualmente cercando lei stessa per prima di cogliere ciò che le parole del testo evo-

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Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

QQuuaannddoo uunn iimmpprreevviissttoo ddiivveennttaa uunn’’ooppppoorrttuunniittàà ddiivveerrssaa ddii aapppprreennddeerree uunnaa tteeccnniiccaa nnuuoovvaaPuò capitare che, per un qualsiasi motivo, improvvisamente ci troviamo sprovvisti

di uno o più materiali indispensabili per fare la pittura. In questo caso, dobbiamo sa-per proporre un altro modo per “colorare” senza colori.

Superando le inevitabili proteste e le resistenze dei nostri alunni, facciamo pren-dere dall’astuccio una comune matita nera e mostriamo una diversa tecnica.

LLaa ssffuummaattuurraa ccoonn llaa mmaattiittaaColoriamo di nero, spingendo un po’ e ripassando sulla zona già scura e poi pro-

viamo a sfumare usando un dito della nostra mano. Possiamo scoprire il fascino delgrigio, del chiaro-scuro, parlare loro dell’inchiostro di china, della tecnica della chinadiluita, del color seppia, con la promessa che la prossima volta sarà mostrato loro dicosa stiamo parlando. Ma, per il momento, possiamo giocare con la sfumatura grigia,prendere il nostro foglio bianco, con impegno, come se dovessimo pitturare, e co-minciare a fare una forma, provando a indovinare cosa potrebbe essere (una nuvola?Il fumo del camino? Oppure una montagna?). E ancora, possiamo dare un ruolo di-verso a quell’oggetto che in questo progetto-laboratorio viene scoraggiato: la gom-ma da cancellare; se, infatti noi la usiamo sulla sfumatura grigia, scopriamo che puòmodificare le forme un po’ astratte, indecise e insicure delle immagini sfumate, e as-sume, per la prima volta, un ruolo attivo e “formativo”.

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CCoossaa ffaarree iinn ccaassoo ddii iinncciiddeennttiiSe cade l’acqua sul foglio alzarlo subito e farlo asciugare (se sul termosifone, non

lasciarlo troppo a lungo per evitare che si onduli troppo).Se un bambino ci dice che ha sbagliato, che non gli piace quello che ha fatto e vuo-

le un altro foglio (perché ha fatto una macchia, magari enorme e nera, oppure perchéè caduto troppo colore), rispondere rassicurandolo e suggerendo l’idea che c’è sem-pre un modo di riparare a un errore, di modificarlo e trasformarlo in un’altra cosa.

È importantissimo sempre rassicurarli, fornendo tutti di carta assorbente e dimo-strando loro i vari metodi per sentirsi tranquilli di nuovo: tamponando, per esempio,con la carta assorbente inumidita il colore sbagliato o in eccesso, la macchia può es-sere assorbita; mettendo in atto questa operazione, si deve fare attenzione a nonstrofinare, per evitare di rovinare il foglio.

Dopo aver tamponato si deve aspettare che lo spazio nel quale c’era l’errore siasciughi, per poi ripassare la quantità e la tonalità del colore voluta e fare la formache si desiderava.

Se il foglio si buca cercare, anche in questo caso finché possibile, di mantenerlo,proponendo di risolvere il problema utilizzando materiale in più, cioè altra carta, piùsottile, da applicare dietro il dipinto come un supporto, e la colla, necessaria per po-

terlo fissare.

34

Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Sottolineare più o meno implicitamente che è proprio grazie all’“incidente” capitato

che è stato possibile sperimentare un nuovo modo di risolvere, e bene, un problema

che sembrava senza soluzione. Così, quello che ora ci sembra irreparabile, disastroso

e senza via d’uscita, può trasformarsi, considerato da un altro punto di vista, in qual-

cosa di ancora più interessante e piacevole, attraverso una possibilità diversa di in-

tervenire manualmente e di affrontare la situazione. Come quella volta che abbiamo

dovuto salutare tutti i nostri amici, perché dovevamo andare in un altro posto, o

quando è nato un nuovo fratellino ed eravamo proprio convinti che la mamma non

avrebbe avuto più attenzioni per noi, ecc.

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Rendere esplicito ciò che è implicito, imparare ad ascoltare cosa ci evoca quell’imma-

gine, bella, strana, sfumata, che non sappiamo bene come definire e che, però, ci pia-

ce e ci attira. Conoscere le impressioni del nostro compagno di banco, scoprire che ef-

fetto ci fa ascoltare un’impressione diversa dalla nostra, ma provocata da un unico sti-

molo. Imparare a considerare la presenza dell’altro e del suo diverso punto di vista,

come qualcosa che ci arricchisce, ci provoca, ci spinge a chiederci sempre più cose.

LLaa ffoorrmmaaRispetto al problema della

forma, alcuni bambini possonoessere già svincolati dall’imma-gine stereotipata, altri invece,avere bisogno di vedere, osser-vare e ritrarre; intervenendo gra-dualmente è possibile eliminareil rapporto visione (del perso-naggio del libro stesso letto,mostrato e raccontato dall’inse-gnante)-rappresentazione su fo-glio bianco, puntando molto dipiù sull’immagine che quel bam-bino aveva dentro di sé di quelpersonaggio, di come si era for-mata mentre ascoltava le paroledell’insegnante, di quale colore fosse e quale espressione avesse; guidando delica-tamente la nostra mano su quella dei bambini, un po’ incerta ma curiosa e contem-poraneamente sorpresa della propria fluidità, dimostriamo loro di sostenerli con lanostra presenza anche fisica, ma li lasciamo comunque liberi di fare e di scegliere.

FFoorrmmaa -- ccoolloorree -- ssffuummaattuurraaQuando si introduce il racconto vero e proprio, il rapporto forma/colore diventa

importante perché si traduce nel rappresentare pittoricamente nello stesso tempo il“che cosa” e il “come”. Alcuni potrebbero scegliere di rappresentare il fatto in sé, cioètutti i particolari che fanno la storia di quel racconto in un unico foglio (il luogo e/o ilprotagonista mentre sta vivendo la situazione più rappresentativa, l’interno o l’ester-no dell’azione, le condizioni climatiche se indicate, o altro), altri potrebbero sceglie-re, operando una sintesi globale, di rappresentare solo l’oggetto o il particolare checostituisce il senso del racconto.

37

CCoolloorriiaammoo…… ccoonn ii ppeezzzzii ddii ccaarrttaaUn altro modo di modificare una situazione in cui non abbiamo materiale per co-

lorare, ma non possiamo deludere i bambini e dobbiamo quindi svolgere la nostra le-zione, è quella di usare il collage. Una delle tecniche più divertenti è quella a strap-po, che ci evita di preoccuparci di tagliare accuratamente i pezzettini di carta (che noncorrispondono mai come vorremmo alla forma da colorare), e ci permette invece di di-stribuire i pezzetti strappati in modo libero e piùcreativo. Il risultato è una composizione molto alle-gra, vivace e strampalata, ma di grande effetto.

PPeennnneelllloo ggrraannddee//ppeennnneelllloo ppiiccccoollooIniziamo col pennello grande per imparare a

“impostare” il nostro lavoro e ciò che vogliamorappresentare per grandi linee; successiva-mente prendiamo il pennello piccolo e comin-ciamo a definire meglio i particolari, cioè le co-se piccole, i dettagli.

36

Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

La dimensione del bambino è ancora capace di percezione e espressione a tutto ton-

do, o quasi, e può quindi ritrovarsi in quella visione globale delle cose tipica del cine-

ma, o anche, nella visione d’insieme di un dipinto dove le singole parti fanno il tutto;

è possibile sottolineare che concetti quantitativi come “grande” o “piccolo” hanno

un’importanza molto relativa: non indicano giudizi di valore.

Quindi chi è piccolo di età, come i bambini, non conta meno dei grandi, come anche

chi proviene da un paese diverso dal nostro, più povero; anzi, la realtà è fatta di dif-

ferenze e sono proprio loro che rendono più movimentata, interessante, viva, un’im-

magine, sia dipinta che rappresentata all’interno di un’inquadratura. Le differenze dei

particolari fanno il “tutto”.

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Il rimando è alla morbidezza nel delineare un

proprio modo di essere, senza sentirci condizio-

nati dal dover seguire una “forma” standard,

già delineata: ognuno di noi, straniero o non,

deve poter trovare e seguire il proprio modo di

essere, la propria forma interna. Lo stereotipo

da abbattere, in questo caso, è il concetto di

“uguaglianza” che troppo spesso si traduce in

un appiattimento dell’identità.

La cultura delle differenze in una educazione in-

terculturale conduce invece proprio verso il ri-

spetto e il mantenimento delle differenze come

individualità.

PPrriimmoo aapppprroocccciioo ccoonn ii mmaatteerriiaallii ““aallttrrii””Se dopo i primi incontri in cui i bambini ap-

profondiscono la pittura, cominciano a manifestaredi preferire i pennarelli o le matite colorate, lasciarliliberi di farlo, ma mantenendo comunque l’uso dellapittura e invitando ad accorgersi e a notare la differen-za nel tono, nella compattezza, nella possibilità della sfu-matura dell’acquerello e della non possibilità di fare la stessacosa con i pennarelli.

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VViicciinnoo//lloonnttaannooAttraverso la differente modalità di coloritura, cioè la differente

tecnica di pittura, per esempio di un campo d’erba, possiamo in-trodurre: la profondità dell’immagine, il primo piano, e lontano, lalinea dell’orizzonte; l’erba vista da vicino la dipingiamo filo d’er-ba per filo d’erba, in senso verticale, col pennellopiccolo; quella vista da lontano col pennellogrande, utilizzato anche in senso orizzontale, co-me una zona di verde più compatta.

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Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Quanti modi per colorare… il pennarello è bello, colora in modo sicuro e deciso;

però non si possono ottenere le tinte delicate.

L’acquerello, con le sue ampie gamme di sfumature, la possibilità delle sovrapposi-

zioni e di passaggi di toni, la diversa densità che il colore può avere, ci rimanda al

concetto di morbidezza e di accoglienza indispensabili quando andiamo incontro

all’altro che non conosciamo, o quando ci ritroviamo, un po’ tesi, a vivere una situa-

zione nuova, mai vissuta prima.

Inoltre, potremmo proporre rappresentazioni pittoriche monocrome: usiamo solo il

colore rosso, e scopriremo che dosando opportunamente la quantità dell’acqua, e

ottenendo di conseguenza toni più decisi, più compatti, oppure, al contrario, tenui e

delicati, potremo rappresentare un intero paesaggio, usando un solo colore e accor-

gerci, soprattutto, che ci può piacere un mondo!

Un’altra opportunità possiamo proporla invitando i bambini a rappresentare in tre o

quattro sequenze il passaggio, il cambiamento graduale di uno stato emotivo che ab-

biamo vissuto.

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Il rimando immediato è al bambino straniero che lascia il suo paese d’origine,ma anche all’alunno al primo ingresso nel gruppo classe.Trasmettere il pensiero che, se anche le cose che abbiamo lasciate sono lonta-ne nello spazio e anche nel tempo, perché appartengono al passato, noi abbia-mo la possibilità di renderle comunque presenti, rappresentando graficamentela loro immagine, così come la sentiamo dentro di noi. Potremmo scegliere dicollocarla lontana, in fondo al foglio, magari lungo la linea dell’orizzonte.Anche se piccola come dimensione di spazio materiale e reale, è comunquepresente e formando, nell’insieme della rappresentazione, un’immagine equi-librata, introduce il senso delle proporzioni e un primo approccio alla profon-dità, alla tridimensionalità.

• Tipo B. Composizione dell’immagine d’insieme

Proporre una storia, una poesia, una filastrocca e attribuire a ogni bambino un in-carico e un ruolo relativo all’argomento: c’è chi fa il sole, chi l’erba (anche tre oquattro possono rappresentare lo stesso soggetto, se il racconto, tra le righe, celo suggerisce), chi le case in lontananza, chi i bambini, ecc. Passare poi alla rap-presentazione pittorica, introducendo l’uso dei materiali “altri”. Ritagliare succes-sivamente ognuno la propria forma e poi passare all’assemblaggio: su un carton-cino colorato, grande e unico per tutti, i bambini incollano il proprio lavoro, valu-tando le proporzioni.

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DDiiaammoo uunn sseennssoo aallll’’iimmmmaaggiinnee ffoorrmmaattaa.. II mmaatteerriiaallii ““aallttrrii””Quando vogliamo proporre questa attività, possiamo procedere seguendo due

principali tipologie di attuazione:

• Tipo A. Lavoro individuale su foglio unico

Dopo aver proposto una lettura, o unapoesia, si passa alla composizione sul fo-glio bianco di quello che vogliamo rap-presentare; i bambini non avranno soloacquerelli a disposizione, ma un piattinocon all’interno: pasta di vario formato,cannucce di plastica colorata, fili di la-na, ritagli di stoffa, pongo, segatura,ecc.; avranno a disposizione la colla vi-nilica, un paio di forbici con punta arrotondata e… tanta fan-tasia, per giocare a dare un ruolo e un senso, prendendo spunto naturalmente dal-la traccia letta, a ciò che più lo attira.Preferibilmente è sempre più opportuno cominciare impostando il lavoro con lapittura, quindi col pennello grande, tanto per regolarsi e orientarsi su dove collo-care i “protagonisti” della nostra storia. Dopodiché, tutti i vari materiali avranno illoro posto; il modo, il come, lo troveranno i bambini.

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Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Attribuendo un senso, un nome, un ruolo, un’identità ad ogni elemento inserito,

possiamo strutturare il racconto di quel foglio come qualcosa di nuovo, una storia

“unica”, fatta di singoli elementi, diversissimi tra loro, ognuno con la propria

individualità da mantenere e la propria “differenza” da difendere.

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

E’ interessante far notare, in questa attività, non solo che in tanti e tutti diversi,

riusciamo a fare le cose più belle e più ricche, ma anche un primo accenno alla

presenza, molto da vicino, dell’altro: quando, nella composizione dell’immagine,

vengono incollati i vari “personaggi”, può accadere che uno di loro possa “coprirne” un

altro, anche se parzialmente. Questo, di solito, costituisce un problema, i bambini si

sentono “invasi” e “coperti” da un altro compagno. Ma, se proviamo a ribaltare la

situazione, potremmo proporre questo intervento: un suggerimento sul piano tecnico,

introduttivo del concetto avanti/dietro: quando rappresentiamo ad esempio, un cavallo

in primo piano e davanti a lui un cavaliere, noi possiamo pitturare sulla sinistra la

testa del cavallo, poi al centro il cavaliere, e sulla destra continuare il resto del cavallo,

le zampe posteriori e la coda. Il cavaliere copre, nasconde una parte di cavallo, ma

questo non toglie nulla al cavallo. Possiamo fare anche un esempio pratico: mettendoci

noi stessi davanti a un oggetto, per esempio la porta della classe, per dimostrare che la

vicinanza non è prevaricazione, stare molto vicini non equivale a perdere qualcosa,

anzi, ci arricchisce delle cose diverse che l’altro ci può insegnare, e nello stesso tempo

ci fa notare la presenza di un altro punto di vista, quello di chi, parzialmente e

temporaneamente, sembra coprirci, e che invece ci può offrire altre inquadrature che

noi potremmo seguire, per cambiare la direzione del nostro sguardo.

FFaacccciiaammoo iill ccoolloorree…… aa ppuunnttiinniiLe diverse modalità di dipingere che ogni bambino acquisisce seguendo e trovan-

do il proprio modo di colorare, possono introdurre l’argomento delle differenti tecni-che di pittura nel mondo artistico.

Possiamo mostrare loro, a questo proposito, una stampa di un pittore che a noipiace, facendo osservare attentamente come si presentava lo spazio dove era statodipinto il cielo, oppure il mare, e lasciare a loro, se nasce spontaneamente, la possi-bilità di ripercorrere la stessa tecnica.

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LLaa mmaanniippoollaazziioonnee ee lloo ssppaazziiooL’uso del pongo, della creta e la sua manipola-

zione, ci rimanda al concetto di differenza degli spa-zi. L’esperienza tattile e visiva ci suggerisce la co-noscenza di una molteplicità di tipologie di superfi-ci (liscia, rugosa, a rilievo, ecc.).

II mmaatteerriiaallii aallttrrii ee llaa mmuullttiiccuullttuurraalliittààRaccontiamo la storia del triangolino giallo che entrava nel nostro foglio.I bambini avranno, oltre all’indicazione della rappresentazione grafico-pittorica,

un triangolino colorato di cartoncino bristol.Questa attività si compone in una proposta operativa per trovare il nesso tra il

triangolino e ciò che vogliamo pitturare, dare cioè un ruolo al triangolino, e in unaproposta dibattito: “cosa ci suggerisce questa forma diversa? Cosa potrebbe signifi-care all’interno del nostro dipinto? E’ un elemento diverso, ma se viene incollato edentra a far parte del dipinto, è ancora diverso? E se sì, allo stesso modo?”.

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Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Ci possiamo riferire alla quantità di spazi geografici, alla loro diversità e alla loro

bellezza, all’ampliamento di orizzonti, non solo geografici; potremmo proporre

“aperture” reali, proiettarci verso spazi e situazioni per noi sconosciute, e scoprire,

tra le altre cose, che provando ad avere una visione dall’alto, ci accorgiamo con un

colpo d’occhio unico di tante cose, tutte insieme, nello stesso tempo.

Come quando le cose difficili e un po’ faticose, che in quel momento ci hanno fatto

un po’ soffrire, e ci sembravano veramente terribili, se osservate e rivalutate anche

dopo poco tempo, un po’ a distanza, come se le vedessimo dall’alto, possono

invece assumere un altro aspetto, sembrarci un po’ meno gravi o meno brutte,

oppure possiamo accorgerci della presenza di qualche altro particolare che quella

volta, proprio non avevamo notato.

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Il rimando è a quella situazione vissuta dal bambino quando si trova in uno spazio

sconosciuto fino a quel momento, e si può sentire spaesato, a disagio, solo.

Noi non possiamo certamente dire che il triangolino giallo non abbia qualcosa di

diverso, una sua propria specificità rispetto al materiale usato per pitturare il foglio e

anche rispetto al foglio stesso, però possiamo chiederci che impressione ci fa?

A cosa ci fa pensare questa situazione? Perché non proviamo a inventare una storia

del triangolino giallo… chissà da dove veniva! Forse potrebbe raccontarci la sua

storia, chissà se userebbe solo il giallo oppure…

RRIIFFEERRIIMMEENNTTOO DDIIDDAATTTTIICCOO -- IINNTTEERRCCUULLTTUURRAALLEE

Da vicino si vedono colori diversi, da lontano sembra un colore unico: il puntini-

smo è una tecnica che parte dalle piccole parti diverse tra loro per poi comporre il

tutto, come la percezione globale del bambino, e quella che noi abbiamo dell’inqua-

dratura, in modo tale che non vediamo i singoli colori, ma un effetto spaziale unico,

una dominanza cromatica.

CCoommee rraaccccoonnttiiaammoo??Imparare a sensibilizzare i bambini al racconto per immagini, significa scoraggia-

re l’uso delle parole scritte. Proponiamo invece la piegatura del foglio a metà, in mo-do tale da avere una prima facciata, come se fosse la copertina, la prima pagina di unlibro, anzi, di un mini-libro di 4 pagine, stimolandoli a rappresentare in tre o quattrosequenze una breve storia, vera o inventata non ha importanza, e a dare un nome,cioè un titolo (le sole parole consentite) al racconto immaginato.

Il riferimento alla struttura narrativa in senso stretto è un’opportunità importanteper tutti: ognuno di noi ha una sua storia, diversa da quella di qualunque altro; è bel-lo pensarci un po’ e sceglierne qualcuna da colorare meglio!

QQuuaallii lliibbrrii lleeggggiiaammoo??Nel corso dell’anno scolastico, possono essere utilizzati vari libri, attraverso cia-

scuno dei quali è possibile articolare linee operative di riferimento.L’introduzione narrativa consente uno scambio emotivo tra il racconto e i bambi-

ni, condizione necessaria e propedeutica al successivo stimolo grafico-pittorico.La scelta delle immagini che ogni bambino ha fatto nel realizzare il proprio rap-

porto col racconto permette poi di approfondire il concetto di forma, di immagine nelsuo insieme, del collocamento spaziale della forma nello spazio-foglio, della sceltadei colori, delle sfumature e della quantità di gamme cromatiche e soprattutto di tra-sformazione dell’errore in un’altra cosa, in un’altra forma.

Si può proporre di passare dalla lettura dell’immagine all’immagine disegnata edipinta a colori, all’esposizione verbale e all’invenzione di una storia, di un libro veroe proprio, del quale i bambini saranno gli autori, gli illustratori, gli scrittori, i grafici, icritici (potranno fare anche la recensione), i giornalisti (potranno improvvisare inter-viste tra di loro).

Il progetto laboratorio fare e pensare per immagini con materiali altri si svolge percapitoli, per piccoli passi, per competenze gradualmente acquisite, proprio come unracconto avvincente o un bellissimo libro illustrato; proprio come un percorso fanta-stico, tutto da scoprire e da inventare.

Un percorso lungo come un anno scolastico, dove l’educazione all’immagine (dacolorare, da inventare, da costruire, ma soprattutto da sentire come propria, come in-

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CCoolloorriiaammoo ccoonn llee ccaannnnuucccceeAll’inizio dell’esperienza con l’acquerello, è opportuno alternare questa tecnica

con altre forme di pittura più divertenti e fuori dal comune. Possiamo portare un pa-netto di creta e tante cannucce colorate e mostrare loro come si può inventare unostrumento nuovo per colorare: prendiamo un pezzettino di creta, lo inseriamo in unaestremità di una cannuccia, poi mettiamo la cannuccia nel colore e tamponiamo sulfoglio. Potrebbe somigliare proprio a come coloravano i puntinisti!

MMaaeessttrraa,, hhoo ffiinniittoo!!Quando un bambino decide che il proprio la-

voro è finito, l’insegnante può al massimo chie-dere se è proprio sicuro di non voler aggiunge-re altro; se la risposta è negativa, non insiste-re, anche se il nostro alunno ha lasciatomolto spazio bianco. Deve sorgere dal-l’interno l’esigenza di colorare tutto ilfoglio, di definire meglio le forme, di sceglie-re autonomamente quanto cielo colorare. Noinon dobbiamo condizionarli secondo il nostro mododi rapportarci al colore e alla pittura, ma fare di tutto per-ché i bambini trovino i propri. Possiamo però, in un momento diverso, far vedere quan-ti modi abbiamo a disposizione per poter rendere ancora più bello il nostro lavoro.

Importantissimo

Non ci dobbiamo dimenticare di un particolare importante: la firma. Il nome nonsi scrive dietro, ma sul dipinto stesso, come fanno i grandi pittori. E’ preferibile usa-re un pennello piccolo e un colore a scelta dei bambini, e poi valutare in quale pun-to delle immagini rappresentate ci piace di più vedere il nostro nome.

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Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

...... ee ppeerr ccoonnttiinnuuaarreeLLaa ttoorrttaa ssttoorrttaa.. Rime e filastrocche, GinaBellot, Illustrazioni di Marilena Pasini,Nuove Edizioni Romane, 1996IIoo mmii rriiccoorrddoo qquuiieettoo ppaattaattoo…… Poesie, Roberto Piumini, Illustrazioni di Cecco Mariniel-lo, Nuove Edizioni Romane, 1996NNoonn ppiiaannggeerree,, cciippoollllaa, Roberto Piumini, Illustrazioni di Cecco Mariniello, Nuove Edi-zioni Romane, 1992AAnnaalliissii, Benedetto Tudino, Illustrazioni di Lorenzo Terranera, Lapis, 1999FFiillaassttrroocccchhee ddeeggllii aanniimmaallii ssttrraammbbii, Monique Hion, Illustrazioni di Volker Theinhardt,Motta Junior, 1999FFiillaassttrroocccchhee ppeerr ddiivveennttaarree bbeellllii, Corinne Albaut, Illustrazioni di Serge Ceccarelli, Mot-ta Junior, 1999EErrooii rree ee rreeggiinnee ee aallttrree rriimmee, Nicola Cinquetti, Illustrazioni di Chiara Rapaccini, NuoveEdizioni Romane, 1997ZZuuppppaa ddii zzuuccccaa, Helen Cooper, Fabbri Editore, 1998IIll ssooggnnoo ddii ffaarrffaallllaa, Svetlana Tiourina, Edizioni Arka, 1998LLaa mmoonnttaaggnnaa ddeeggllii oorrssii, Max Bolliger, Jozef Wilkon, Edizioni Arka, 1990SSttoorriiee ppeerr ggiiooccoo, Anna Vivarelli, Illustrazioni di Maria Toesca, Nuove Edizioni Romane, 1998GGllii aanniimmaallii nnoonn eerraannoo ccoolloorraattii, Beatrice Masini, Illustrazioni di Alessandra Scandella,Edizioni Messaggero Padova, 1998AArrccoobbaalleennoo iill ppeesscciioolliinnoo ppiiùù bbeelllloo ddii ttuuttttii ii mmaarrii, Marcus Pfister, Nord-Sud Edizioni, 1997PPrriinncciippeerrssee ee ffiillaassttrraannee, Silvia Roncaglia, Illustrazioni di Rosalba Catamo e CristianaCerretti, Nuove Edizioni Romane, 1997

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terna), insieme agli altri linguaggi-verbali e non verbali, accompagna il bambino nel-lo sviluppo della sua identità.

IInnvviittoo aallllaa lleettttuurraa......Oscar Pittore, scritto e illustrato da Claude Delafosse e Sabine Krawczyk, Edizioni EL, 1988

Oscar Pittore potrebbe essere il primo libro da proporre. E’ la storia di un maiali-no della fattoria molto curioso che dopo aver trovato un libro, non sapendo né legge-re né scrivere, spinto dall’interesse, decide di disegnare. Dipingendo gli oggetti chepiù lo attirano, scopre di saper involontariamente scrivere il proprio nome; e si sentecosì orgoglioso di sé da organizzare una mostra per tutti i suoi amici, gli animali del-la fattoria.

Questo libro è stato scelto perché propone più contenuti validi: il senso dell’iden-tità e dell’autonomia, la determinazione nell’aumento dell’interesse, il passaggio dallinguaggio iconico alla scrittura, l’apertura alla socializzazione.

E quella sua originale modalità di cercare il rapporto con gli altri (lo stendere i di-pinti con le mollette sul filo come se fossero abiti, cioè modi di essere), può essere ri-proposta come modalità organizzativa di ogni lezione: infatti, al termine di ogni gior-nata, i dipinti dei bambini possono essere appesi con le mollette (così come facevaOscar), su un filo rosso che attraversa l’aula, come a rappresentare il lavoro fatto, datutti i bambini, da mostrare anche ai genitori del gruppo classe.

Alla fine di ogni mattinata, mentre la classe a mensa, dopo aver appeso i dipintiuno accanto all’altro, l’insegnante potrebbe incollare con lo scotch una striscia di car-ta, lunga e stretta, sulla quale una breve frase (colorata con la stessa tecnica o glistessi colori usati quel giorno) riassume il tema del lavoro fatto insieme nella giorna-ta, a sottolineare l’elemento di unitarietà della pittura del gruppo classe.

Il primo dipinto, pertanto, è stato per Oscar il maialino, come potrebbe essere peri bambini, la pittura delle lettere che compongono il proprio nome, appese al filo ros-so disegnato in alto sul foglio in senso orizzontale, proprio come il filo rosso reale cheattraversa la stanza e che permette di mostrare, di volta in volta, i lavori fatti.

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Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

UUnn vviiaaggggiioo…… nneell ppuunnttoo ddii vviissttaa ddeellll’’aallttrrooLa finalità che ci si propone di raggiungere in questo proget-

to-laboratorio, è tesa a suscitare nei ragazzi/e la capacità di faredelle scelte per operare cambiamenti possibili. Il cinema, che è fat-to di scelte, è quindi lo strumento ideale: ogni inquadratura è unascelta, una scelta da lasciar fare ai bambini. Il cinema fatto a scuo-la implica un rapporto diretto, concreto e globale dei bambini colmezzo cinema. Come se l’atteggiamento globale, a livello percetti-

vo ed espressivo che i bambini hanno ancora negli anni in cui imparano a leggere e ascrivere, corrisponda e si ritrovi in quella dimensione globale, tipica del cinema. Il ci-nema obbliga alla presenza, trova un incarico, un ruolo, un compito concreto perognuno, al di là delle capacità specifiche, al di là delle competenze stesse, al di là dellinguaggio parlato. Il cinema è fatto di differenze, come la realtà, e fare un film segue

una struttura così elastica da permettere la partecipazio-ne reale di ogni bambino. Anche, quindi, chi proviene

da situazioni difficili e si sente diverso o emargina-to in qualche modo (per differenze macroscopi-che come un idioma diverso, o quasi impercetti-bili come un paio di occhiali che proprio non rie-scono ad andare d’accordo con il bambino che liporta), pur mantenendo, anzi proprio mante-

nendo la propria individualità, originalità e quin-di differenza, ha la possibilità di partecipare da

protagonista a un progetto comune, di sentirsi con-siderato proprio per quella differenza che lo rende uni-

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Parte 2 Progetto2“L’immagine

in movimento e il linguaggio ‘altro’:

facciamo il cinema a scuola”

RRaaccccoonnttaarree ccoonnttaannttee iimmmmaaggiinniimmooddii ddiivveerrssii ddii““ssaappeerr ffaarree””iinnssiieemmee..SSuuggggeerriimmeennttooddiiddaattttiiccoo ppeerr llaaffaasscciiaa dd’’eettààssuuppeerriioorree

““FFaacccciiaammoo llee rriimmee……aa ccoolloorrii””Dalla lettura delle filastrocche, attraverso il rit-

mo e il suono del linguaggio verbale, viene proposto il passaggio diretto alla forma acolori della pittura.

““CCaammbbiiaammoo iill ffiinnaallee aaii lliibbrrii””Il libro illustrato viene proposto fino al punto nodale, quello in cui si verifica l’e-

vento che trasforma il seguito del racconto; proponiamo di lasciare ai bambini, divi-si in tre piccoli gruppi, attraverso la verbalizzazione, un confronto diretto, e un lavorodi gruppo, di scegliere, di inventare altri tre diversi possibili finali.

Alla fine, le proposte dei bambini risulteranno coordinate tra loro, più fantasiose epermetteranno loro di sentirsi veramente protagonisti del libro “fatto” proprio da loro.

““II nnoossttrrii ssooggnnii iinnvveennttaannoo uunnaa nnuuoovvaa ssttoorriiaa””Passaggio dall’ascolto alla forma a colori della rappresentazione grafico-pittorica.Confronto e ricerca di un filo conduttore nella visione globale di tutte le immagini

pitturate da ogni alunno; proposte comunicativo-espressive: sviluppo del senso criti-co, sviluppo e approfondimento di un racconto nuovo: dialoghi, situazioni e luoghidella storia, confrontati e messi in rapporto diretto con le immagini pitturate (ogni im-magine sarà una pagina illustrata, con tanto di testo a lato).

Realizzazione di un “libro” nuovo, il libro dei sogni di tutta la classe.

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SSuuggggeerriimmeennttii ee ppoossssiibbiillii mmooddaalliittààooppeerraattiivvee:: ccoommee ppootteerr uussaarree iinnmmooddii ddiivveerrssii lloo ssttrruummeennttoo--lliibbrroo

Parte 2Progetto 1

“Raccontiamo con... le cose,le forme, i colori”

con tutte le varie fasi di realizzazione. Il compito dell’insegnante, in questo caso, è disaper tirare fuori, da quell’universo informe di suoni, immagini, colori, tutto ciò chec’è di già visto e stereotipato, che impedisce una rappresentazione profonda e reale.“Ripulendo” lo sguardo, sarà possibile, dandosi il tempo necessario, saper guarda-re oltre, verso forme diverse e nuove, verso modi di guardare, punti di vista, diversidal nostro.

FFaacccciiaammoo iill cciinneemmaa iinnssiieemmeeIIssttrruuzziioonnii ppeerr ll’’uussoo

I fase - Proporre ai bambini: “Facciamo il cinema?”

Valutazione e confronto delle varie idee. Potremmo proporre, dopo una prima ver-balizzazione, di rappresentare graficamente, con la pittura, l’idea che ognuno dinoi ha avuto, di osservare tutte le immagini e vedere se è possibile trovare un filoconduttore che ne faccia una storia unica.Oppure potremmo partire dalla parola cinema, e scriverla sulla lavagna, al centro.Poi potremmo scrivere tutti i vocaboli che ci suggerisce questa parola, tutto intor-no al centro, come se fossero i raggi del sole, e provare a inventare una storia cheli unisca tutti. La sola regola da seguire è la struttura narrativa, deve esserci unasituazione iniziale di equilibrio, un evento centrale che la alteri e la modifichi unasuccessiva e diversa situazione di ri-equilibrio conclusiva.E’ importante muoversi con molta calma, darsi molto tempo e attendere finché ibambini non hanno deciso il film da fare. II fase - Scegliere il soggetto

Sviluppare l’idea diventata soggetto, utilizzando tutti imateriali “altri” che abbiamo a disposizione. E’ impor-tante soprattutto lavorare dandoci tutto il tempo ne-cessario per scriverla, per disegnarla, per colorarla congli acquerelli, magari per dare all’idea anche una for-ma precisa col pongo. In questo modo, altre idee possono nascere, senza averefretta e senza darci scadenze.III fase - La sceneggiatura

Lasciare che i bambini organizzino, con i propri tempi e i propri spazi, la descri-

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co, di guardare “oltre” un pensiero e una situazione già esistente e poter creare unpensiero, un’immagine, un linguaggio “altro”, facendo insieme.

La ricerca dei materiali, le decisioni, la scelta dei compiti, vede tutti impegnati, va-lorizzando le singole capacità, anche nascoste, dei bambini: quando si propone di fa-re cinema a scuola, non ci sono bambini che vanno male, perché l’entusiasmo è tal-mente grande che stimola e spinge tutti, a cominciare dall’insegnante, a dare il me-glio di sé.

Il cinema è come un’avventura, come un viaggio fantastico che si svolge, si colo-ra e si modifica mentre si racconta, è scoperta continua, conoscenza continua di cam-biamenti possibili, un continuo individuare e scegliere nuove strade; e come quandosiamo in viaggio, scopriamo tante cose diverse: competenze che non ci eravamo maiaccorti di possedere, persone che non avevamo mai visto prima o che non avevamomai conosciuto sotto quell’aspetto, spazi e tempi diversi, ritmi e linguaggi nuovi. Co-me se la cultura delle differenze fosse la chiave di lettura per leggere un linguaggiouniversale come è quello delle immagini in movimento.

Le immagini in movimento, come linguaggio “altro” possono arrivare a qualsiasicultura, anzi, valorizzano le culture e arricchiscono la comunicazione spontanea. Leimmagini in movimento viaggiano verso la ricerca del proprio io, della propria imma-gine interna, come dimensione di fantasia e di apertura verso l’altro da sé.

Facendo e pensando immagini, facendo cinema, i bambini si mettono direttamen-te in gioco, raccontano e si raccontano, e vengono a contatto con la narratività stes-sa, la struttura, l’ossatura che sorregge il progetto del fare cinema a scuola: sono cioèsensibilizzati indirettamente a riconoscere la validità fondamentale della storia, sco-prono che dobbiamo parlare a scuola del nostro tempo e del tempo per noi. Il con-cetto di tempo “dilatato” ritorna, anche in questo progetto, come fondamentale stru-mento e insieme condizione per fare immagini. Fare cinema a scuola significa più chemai dare spazio e tempo ai bambini, dare loro piena fiducia.

Saper dare forma ai propri pensieri significa darsi il tempo necessario perché leidee più belle vengano fuori. Non è affatto detto che la prima idea sia la migliore, in-quinati come siamo dall’immaginario mediatico, dalle sue ideologie (della televisio-ne e del computer) dobbiamo invece lavorare insieme per costruire un prodotto cherappresenti l’idea originaria, rispettando il modo, cioè il linguaggio cinematografico

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Parte 2Progetto 2

“L’immagine in movimento e il linguaggio ‘altro’: facciamo il cinema scuola”

Il compito dell’insegnante è di sostenere e accompagnare ibambini nell’organizzare il loro apprendimento, senza condizio-narli, partendo dal presupposto di non dare “regole tecniche” (metodi e informazioni sucome fare cinema) da acquisire prima di iniziare. Il linguaggio del cinema non può es-sere insegnato, si impara passo passo, si elabora mentre si fa.

L’insegnante deve lasciare ai bambini la possibilità di organizzarsi in tutte le fasi del-l’espressione cinematografica, dando piena fiducia e il mezzo nella sua totalità. Quin-di deve aspettare e favorire i movimenti dei bambini, lasciando a loro la gestione di tut-ti i passaggi, a partire dal primo (l’idea del film), fino all’ultimo (la proiezione). L’inse-gnante deve fornire ai bambini gli strumenti necessari, raccogliere e documentare tuttele attività e il film, per la distribuzione.

Il ruolo dell’insegnante, a volte, può anche essere di scoraggiare, ma solo per pre-tendere di più, per liberare gli occhi dei bambini da troppa tv, troppo computer, troppeimmagini stereotipate, superficiali e prive di contenuto.

Tra bambini e insegnante che propone di fare il cinema si crea un rapporto speciale:è come se si parlasse un linguaggio “altro”, quello dell’entusiasmo, della gioia di fareuna cosa bella insieme. Così la scuola fa bene a tutti.

MMeettooddoollooggiiaaLa struttura di lavoro del mezzo-cinema come percorso didattico segue come il

primo progetto un andamento di tipo circolare, elastico, flessibile e aperto a possibi-li modificazioni durante il suo svolgimento. Il cinema sviluppa il passaggio dall’ideaalla proiezione, in una dimensione spazio-temporale direttamente rapportata allarealizzazione delle varie fasi di costruzione del film, stabilite dai bambini.

Come se ci fosse, quindi, una corrispondenza tra la naturale disposizione dei bam-bini a gestire il proprio apprendimento e la dimensione più umana, più profonda, del-la “condivisione”, durante le attività di laboratorio, della calma e della tranquillità diun tempo dilatato. L’analisi della situazione valutativa sui contenuti da realizzare, la di-visione in gruppi di lavoro per la realizzazione di obiettivi/mezzi, la differenziazione de-gli interventi di ognuno per fare insieme, la verifica del lavoro svolto come base di par-tenza per esperienze successive, sono strutture metodologiche e didattiche che posso-no essere affrontate dai bambini stessi, anche se documentate dall’insegnante.

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zione delle immagini in movimento, con tutti i particolari utili (descrizione di even-ti, personaggi, dialoghi, luoghi, tutti connessi in qualche modo fra loro).In questa fase i bambini sono maggiormente sensibilizzati a rendersi conto dellapresenza dell’altro, del suo punto di vista diverso dal nostro, della comprensionenecessaria per poter capire un’idea che appartiene ad altre persone.IV fase - “Facciamo le prove sul set”

Dopo la scrittura della sceneggiatura e dei suoi dialoghi, si passa alla recitazione ve-ra e propria, ricontestualizzando la situazione scritta in spazi, modi e tempi reali. I giochi di simulazione e di ruolo, l’interpretazione di brani scritti, la drammatizzazio-ne, sono un ottimo strumento per abbattere pregiudizi e luoghi comuni, stimolando al-la disponibilità a risolvere conflitti, costringendo a guardare le cose dal punto di vistadell’altro e riconsiderando il proprio atteggiamento e comportamento. Lasciare che iragazzi/e si organizzino per cercare gli spazi scelti per fare il film, gli attori, eventualianimali e tutto quello che può servire loro come materiale per provare e per fare.V fase - La ripresa

Pellicola e cinepresa, telecamere e copioni, tutto è pronto per tradurre sulla pelli-cola le immagini reali, nel posto, nel modo e con i tempi che i ragazzi hanno deciso.VI fase - Il montaggio

Quando la pellicola ripresa, sviluppata e stampata, è pronta, gli alunni/e, aiutatidall’insegnante, mettono insieme le inquadrature, le uniscono e trovano i colle-gamenti, insieme ai suoni che hanno scelto.VII fase - Proiezione e visione del film

L’insegnante aiuta il gruppo classe a eseguire la proiezione del film, lasciando aloro la scelta del luogo dove proiettare e a chi rivolgere la proiezione.

IIll rruuoolloo ddeellll’’iinnsseeggnnaanntteeIn un progetto-laboratorio chiamato “fare e pensare per immagini”, dove straordi-

narie idee e pensieri possono scaturire dall’immaginazione dei bambini, il ruolo dell’in-segnante è soprattutto quello di innestare la sua ricerca didattica sulla ricerca-cinemafatta dagli alunni. Prendendo spunto dalla loro ricerca, molteplici attività didattiche pos-sono essere realizzate, tanto che il cinema può essere considerato il mezzo didatticopiù adatto per i bambini di scuola elementare.

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Parte 2Progetto 2

“L’immagine in movimento e il linguaggio ‘altro’: facciamo il cinema scuola”

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