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è già IV Convegno annuale della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio Umbria Sardegna Roma, 2 dicembre 2010 Palazzo della Cooperazione L’autoregolamentazione per uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle BCC ATTI

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L’autoregolamentazione per uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle BCC

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è già

IV Convegno annuale dellaFederazione delle Banche di Credito Cooperativo

del Lazio Umbria Sardegna

Roma, 2 dicembre 2010Palazzo della Cooperazione

L’autoregolamentazione per uno sviluppoequilibrato e sostenibile delle BCC

ATTI

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5 INTRODUZIONE

APERTURA DEI LAVORI

13 Maria Angela ScullicaDirettore Banca Finanza

17 Mons. Francesco RossoAssistente Ecclesiastico per la cooperazione

19 Francesco LiberatiPresidente della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna

I “7 +” DELLE BCC FEDERLUS

27 Paolo GrignaschiDirettore Generale della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna

CRISI E RIFORME: CONSEGUENZE SULLE BANCHE

43 Giacomo VaciagoOrdinario di Politica Economica e Direttore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano

CREDITO COOPERATIVO E AUTOREGOLAMENTAZIONE

61 Salvatore MaccaronePresidente di Banca Fideuram e di Sef Consulting

AUTOREGOLAMENTAZIONE E TUTELA DELLA CONCORRENZA

73 Antonio CatricalàPresidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

CONCLUSIONI

83 Maurizio TrifilidisDirettore superiore. Titolare dell’unità di Coordinamento d’area ecollegamenti filiali della Banca d’Italia

95 Alessandro AzziPresidente Federazione Italiana delle BCC

109 ELENCO DEI PARTECIPANTI

111 LE IMMAGINI DELLA GIORNATA

SOMMARIO

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Quello di quest’anno è il quarto convegno an-nuale della Federazione delle Banche di CreditoCooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna.Il filo conduttore che lega concettualmente questieventi è sempre stata la riflessione sul presente el’immaginazione del futuro, sia con riferimentoallo scenario generale che alle nostre caratteristi-che distintive.Così è stato nel 2007, quando intitolammo quel-l’appuntamento “Il territorio oltre il confine”. Era lafase conclusiva degli intensi processi aggregativiche portarono ad un forte incremento del grado diconcentrazione del Sistema Bancario, del “giganti-smo”. Erano gli anni di grande innovazione finan-ziaria e del dominio della finanza rispetto all’inter-mediazione creditizia tradizionale. Contestualmente, si cominciavano a manifestarei primi segnali di disagio, derivanti da frizioni tratensioni globali e forze locali, tra Globalizzazionee Localismo. Da qui, la scelta del tema di quell’in-contro, volto a far emergere i bisogni e le aspet-tative di una dimensione locale, estremamenteviva, che tuttavia rischiava di rimanere disattesanei suoi interessi. Una dimensione locale, in mo-vimento, “oltre i confini”, che necessitava di rispo-ste differenti, di prossimità sia di natura culturaleche territoriale.Nel convegno del 2008, “L’alba dentro l’imbru-nire” non potevamo fare a meno di partire dalle ri-flessioni in merito alla crisi innescata dal fallimento5

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INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE ATTI

di Lehman Brothers, il 15 settembre, e sulle con-seguenze negative di un modello di sviluppo ba-sato sull’indebitamento delle famiglie e degli Stati,su spericolate politiche di gestione del rischio,sulla finanza fine a se stessa. Già in quell’occasioneindividuammo nella coerenza, la strada da percor-rere per il nostro Sistema, per affrontare le primedifficoltà che si profilavano all’orizzonte, eviden-ziando gli elementi positivi celati al pluralismo delSistema Bancario.“Il credito oltre la crisi”, nel 2009, è caduto nel mo-mento della trasmissione degli effetti della crisi altessuto produttivo e la fase più critica – sia tecni-camente che politicamente – per le Banche nelloro insieme. Banche che sono state viste comecoinvolte, in quella che oramai veniva definitiva lapeggiore crisi economica del dopoguerra, sia nellagenesi che nella ripresa, come protagoniste nega-tive. Nella genesi, per lo scoppio del caso sub-prime, nell’uscita per via delle tensioni restrittivenell’offerta creditizia.Per il Credito Cooperativo è stato un anno digrande visibilità, nei numeri – per noi la stretta sulcredito non è mai esistita – presso il pubblico:hanno parlato di noi la Banca d’Italia, gli economi-sti, la classe politica di governo.Concludemmo sottolineando che in realtà i “rubi-netti” non furono chiusi, che il problema della glo-balizzazione e delle sue interdipendenze con icontesti locali era la questione da affrontare. Lan-ciammo il dubbio – ancora valido – sulla naturadelle banche: servizio pubblico o facoltà imprendi-toriale? Nell’evento di quest’anno, a ben vedere, si spezzaquel filo conduttore. Si sovrappongono i cardini ci-tati. La contrapposizione metodologica tra attualità edomani viene meno. Non ha più senso parlare dicrisi o di momento di difficoltà. Non ha senso par-

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lare del domani come evoluzione con soluzione dicontinuità. Una cosa è ormai certa: il domani non sarà un ri-torno. Il domani è già tra noi.Come è sempre stato nella storia economica, neimomenti di forte discontinuità, nuove regole – avolte orientate in senso opposto rispetto alla ratioche animava quelle sino a poco prima in vigore –verranno prodotte per trasformare un sistema o ri-vederne gli attori. Partecipare, o restare spettatoridi tale produzione “creativa”, prevedibilmente,equivarrà a continuare a vivere un futuro da prota-gonisti o a subirne le conseguenze.

Paolo GrignaschiDirettore Generale Federlus

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È con immenso piacere che mi accingo a dare il viaal IV Convegno Nazionale della Federlus, la Fede-razione delle Banche di Credito Cooperativo del La-zio, Umbria, Sardegna. Sono Angela Maria Scullica, Direttore di Banca Fi-nanza e del Giornale delle Assicurazioni. Seguirò come moderatore l’incontro odierno.Un saluto a tutti i presenti. In particolare: ai rappresentanti della Banca d’Ita-lia: il Dottor Maurizio Trifilidis, Direttore superiore- Titolare dell’Unità di Coordinamento d’Area eCollegamento Filiali, il Dottor Fabio Bernasconi,Direttore dell’Unità di Coordinamento d’Area eCollegamento Filiali, il Dottor Paolo Galiani, Diret-tore della Sede di Roma, il Dottor Roberto Carama-nica dell’Ufficio Supervisione Intermediari Finanziaridella Sede di Roma, il Dottor Paolo Pasca, Direttoredella Sede di Perugia, il Dottor Luca Santi della Se-greteria Tecnica Arbitro Bancario e Finanziario, ilDottor Cristian Ricciuti del Servizio Rapporti Esternie Affari Generali. Ci manda i suoi saluti il Dottor Fabio Panetta, CapoServizio Studi Congiuntura e Politica monetaria, al-l’estero per impegni istituzionali. Un saluto ai rappresentanti di Confcooperative: ilDottor Luigi Marino, Presidente di Confcooperativee il Dottor Paolo Galante, Direttore Generale diFondo Sviluppo. Ai rappresentanti delle Società ed Enti centrali delCredito Cooperativo; in particolare:13

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Mariangela ScullicaDirettoreBanca Finanza

APERTURA DEI LAVORI

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l’Avvocato Alessandro Azzi, Presidente della Fede-razione Italiana delle BCC, l’Ingegner Giulio Maga-gni, Presidente di Iccrea Holding, il Professor Avvo-cato Salvatore Maccarone, Presidente di BancaFideuram e di Sef Consulting, con noi tra i relatori,il Dottor Serafino Bassanetti, Presidente di BancaAgrileasing, il Dottor Francesco Carri, Presidente diIccrea Banca, il Dottor Sergio Gatti, Direttore Gene-rale di Federcasse, il Dottor Federico Cornelli, Diret-tore Generale del Fondo di Garanzia Istituzionale,il Dottor Roberto di Salvo, Direttore Generale delFondo di Garanzia dei Depositanti, il Dottor Ro-berto Mazzotti, Direttore Generale di Iccrea Hol-ding, il Dottor Carlo Napoleoni e il Dottor Leo-nardo Rubattu, Vice Direttori Generali di IccreaHolding, il Dottor Paolo De Angelis, Direttore Ge-nerale di Sef Consulting, il Dottor Claudio Brazzo-lotto, Direttore Generale Iside.Un saluto anche: al Dottor Enrico Falcone, Presi-dente di Banca Sviluppo, al Dottor Antonio Maffioli,Direttore Generale di Banca Sviluppo, al DottorEnrico Pedretti, Direttore Generale di Banca Im-presa Lazio. Poi a tutti i numerosi Presidenti e Direttori delle Fe-derazioni Locali ed agli altri Dirigenti e rappresen-tanti delle Società del Credito Cooperativo. Un saluto particolare va agli altri relatori, al DottorAntonio Catricalà, Presidente dell’Antitrust, a Mon-signor Rosso, ed al Professor Giacomo Vaciago, Or-dinario di Politica Economica e Direttore dell’Isti-tuto di Economia e Finanza dell’Università Cattolicadi Milano, e poi ovviamente a tutti i presenti, ai Pre-sidenti, ai Direttori ed ai rappresentanti delle BCCFederlus, che oggi sono tutte qui ovviamente.Il contesto nel quale stiamo vivendo è un contestodi profonda trasformazione, in continua accelera-zione. La crisi sta producendo ancora i suoi effetti,con l’aggiunta delle ultime evoluzioni relative ai de-biti sovrani.

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Fenomeni che evidenziano ancor di più l’esigenzadi un coordinamento e di una vera integrazione po-litica europea. Per quanto riguarda le Banche e gli intermediari fi-nanziari, si va presumibilmente verso una regola-mentazione più accentuata. Con il rischio concretoche nuove regole – quasi sempre pensate per isti-tuzioni più grandi – vadano ad impattare oltre-modo sulle Banche di Credito Cooperativo. È per tale ragione che oggi approfondiamo la pos-sibilità di una nuova autoregolamentazione del Si-stema del Credito Cooperativo, sul tema delle re-gole di governance, così come degli assetti e deiprofili patrimoniali.Lascio subito la parola a Monsignor Rosso per unsaluto e poi al Presidente Liberati. Prego.

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Non entro, certo, nel merito delle dinamiche del con-vegno, ma mi preme fare una brevissima riflessione,che parte dalle motivazioni che hanno interessato lastoria della nostra cooperazione in Italia. Le mie rifles-sioni nascono proprio dal titolo del convegno, che,credo, debba portare il nostro movimento a vivereuna esperienza di servizio continua e dinamica. Ildomani impegna ciascuno a vivere e, per noi chesiamo radicati nella dottrina sociale della chiesa, a vi-vere da Cristiano. Vivere da Cristiano, questo è iltema “è già domani”. Viviamo la profezia evangelicadi un movimento che si proietta nelle necessità di unasocietà che vive di disagi e di povertà, ma soprattuttodi disattenzione. Vive anche di una mancanza di forteequilibrio, ma, allo stesso tempo, deve dare delle ri-sposte ai bisogni della gente. Affrontare il domani,questo è il tema per i Cristiani in questo tempo di av-vento. La salvezza è vicina. Vedete, questo nostro mondo è caratterizzato dallanecessità di mettersi al servizio di una comunità increscita per andare incontro ai bisogni quotidiani.Noi come cooperazione – ho prestato servizio permolto tempo all’interno di Confcooperative e di que-sta nostra realtà, ma ora mi accingo a lasciare, a di-ventare assistente emerito – viviamo già l’esperienzadi pensare al domani. Tuttavia è necessario riuscire adimmedesimarsi nel domani del mondo, per mante-nere operativo il domani stesso, per farlo essere la ri-sposta attuale alla crescita della persona, alla nostraattenzione primordiale e all’uomo in tutta la sua in-terezza. È questo il punto cardine del discorso, se-condo il quale la dottrina sociale della chiesa diventail riferimento della nostra realtà, della cooperazione,della vita vissuta in comunione e in coesione. La coo-perazione è l’attualità di questa profezia.17

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Mons. FrancescoRossoRappresentanteEcclesiasticoper lacooperazione

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Francesco LiberatiPresidente dellaFederazione delleBanche di CreditoCooperativo del Lazio,Umbria, Sardegna

Signori Soci, illustri ospitirivolgo a tutti voi ed alle Autorità che ci onoranodella loro presenza, il più cordiale benvenuto e ilringraziamento per la partecipazione al nostro con-vegno annuale.Grazie ai Presidenti delle BCC associate, agli ammi-nistratori e ai componenti dei Collegi Sindacali perla loro nutrita presenza.Saluto tutti i rappresentanti del nostro sistema as-sociativo e imprenditoriale delle diverse societàdel Gruppo bancario.Un ringraziamento speciale va ai relatori che hannoaccettato di contribuire alla nostra analisi odierna.Grazie al dott. Maurizio Trifilidis della Banca d’Ita-lia, che segue con attenzione l’attività della nostraFederazione e delle nostre Banche.Grazie al Presidente dell’Autorità Garante dellaConcorrenza e del Mercato Antonio Catricalà, perla sua presenza e per il contributo che vorrà dareai nostri lavori sulle tematiche della concorrenza edella tutela dei diritti degli utenti finanziari rispettoalle nostre banche. Ringrazio poi il prof. Giacomo Vaciago, che ha ac-cettato di tornare al nostro convegno dopo l’ap-prezzatissimo intervento dello scorso anno.Aspettiamo da lui lumi sui tempi, i significati recon-diti e le ripercussioni di una crisi economica, finan-ziaria e anche monetaria ormai, di cui ancora nonsi intravede un’evoluzione certa.All’interno dell’Europa i diversi Paesi non hanno

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comportamenti coerenti e allineati. In Italia la crisipolitica complica la situazione.Come affermato di recente da Giuseppe De Rita, ilmodello politico, economico e sociale del nostropaese sembra bloccato a quello degli anni ’70,modello che lui ha chiamato del “capitalismo mo-lecolare”.Un modello che ci ha fatto superare importanti crisipassate, ma che oggi non sembra più adeguato percompetere in un mondo globale e tecnologico.Qualcuno in Europa inizia a pensare di uscire dal-l’euro, con l’obiettivo di svalutare il debito pubblicoe dare fiato all’economia attraverso le famose sva-lutazioni competitive.Professor Vaciago, le chiediamo quali sono le prio-rità, cosa dobbiamo aspettarci e cosa potremmofare come piccole banche al servizio delle comu-nità locali, nel contesto di questi scenari. Grazie poi al prof. Salvatore Maccarone per il con-tributo che vorrà darci sul tema delle regole per lenostre banche, in una fase in cui sono sempre piùforti le sollecitazioni normative nei confronti delleBCC.Grazie, infine, al Presidente Azzi per la sua presenzae per quanto vorrà dire a conclusione dei nostri la-vori, appena dopo l’assemblea di Federcasse chesi è tenuta venerdì scorso a Roma, sul tema “Can-tiere futuro: costruire insieme la rinascita della co-munità Italia”.Proprio all’assemblea della Federcasse, il Presi-dente Azzi ha lanciato la sfida dell’autoregolamen-tazione, sfida che noi raccogliamo e per la qualeabbiamo promosso questo convegno come mo-mento di analisi e verifica.Il Presidente Azzi ha anche annunciato ufficial-mente il prossimo convegno nazionale che sarà in-centrato sul “Credito Cooperativo del 2020”.Convegno che fa seguito a quelli di Parma, Riva delGarda e Sanremo, tappe fondamentali di un per-

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corso di sistema dialettico, laborioso e fruttuoso.Un percorso lungo il quale abbiamo toccato risul-tati importanti – ricordo in particolare il varo dellaholding a Sanremo e l’avvio della politica basata sulconcetto del “sistema a rete” a Riva del Garda.Ricordo poi l’idea del Fondo di Garanzia Istituzio-nale che prese impulso al convegno di Parma.Il convegno di oggi vuole essere quindi per la no-stra Federazione la prima tappa di avvicinamentoa questo importante appuntamento nazionale delCredito Cooperativo, che si terrà esattamente tra unanno qui a Roma.Una prima tappa che inizia guardando al domaninella convinzione che oggi è già domani, come re-cita il tema dell’incontro odierno.Un domani che per le banche, nel giro di meno di20 anni, dopo l’introduzione del nuovo Testo UnicoBancario nel nostro Paese, è divenuto lontanoanni luce dalla famosa foresta pietrificata che perdecenni ha caratterizzato il sistema creditizio ita-liano.Ricordo che all’inizio degli anni novanta la quotadelle attività bancarie facente capo a istituti control-lati dal Tesoro e dalle fondazioni era prossima al70%.Il sistema bancario si presentava frammentato in1.064 istituti, di dimensione ridotta nel confrontointernazionale, con complessivamente 17.721 spor-telli.Le BCC erano in tutto 715 con 1.792 sportelli.Ogni BCC aveva mediamente 2,5 sportelli.Alla fine dello scorso anno le banche erano scesea 788, con 34.036 sportelli. In vent’anni il numerodi sportelli è quasi raddoppiato.Le BCC a fine 2009 erano 421 con 4.192 sportelli,pari ad una media di 10 sportelli per BCC. Dopovent’anni il numero di sportelli delle BCC è più cheraddoppiato.L’aumento del grado di concentrazione del sistema21

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bancario su base nazionale si è accompagnato aduna costante diminuzione del grado di concentra-zione su base locale, grazie anche alla crescita del-l’operatività delle banche di più ridotta dimen-sione ed in particolare delle BCC. E questo non può non essere considerato come unelemento di pluralità, sana concorrenza sul territo-rio e garanzia per gli utenti finanziari.Come osservato da autorevoli fonti, le BCC hannodimostrato, anche durante questa crisi, un’impor-tante funzione nell’assicurare stabilità e radica-mento sul territorio. Le BCC hanno continuato a erogare credito anchenei momenti di maggiori difficoltà.Secondo l’Autorità Garante della Concorrenza edel Mercato (nella Indagine conoscitiva sulla gover-nance delle banche), le BCC “mostrano effettiva-mente una realtà radicata territorialmente e stret-tamente connessa con l’attività di erogazione deifinanziamenti ai soci e all’area locale”. Tutto questo è dimostrato dai numeri delle nostrebanche nelle tre regioni di riferimento.Numeri di un sistema che cresce, malgrado la crisi.E che cresce a partire dai soci, con sempre nuovicittadini che si avvicinano al modo di fare banca delCredito Cooperativo.Nel 2007 i soci erano 48.000 circa mente a metà2010 sono arrivati a quasi 57.000 (+22% in pocomeno di tre anni).Gi sportelli nello stesso periodo sono passati da256 a oltre 300, con un aumento di oltre il 17%.La raccolta diretta da 7,7 miliardi è salita 10,3 mi-liardi con un aumento del 33,7%.Gli impieghi netti, e anche questo è un dato vera-mente significativo, sono saliti da 5,3 miliardi a 7,2miliardi con una crescita del 35,8%.E tutto questo senza attenuare la crescita patrimo-niale, a garanzia di prudenza e stabilità: il patrimo-nio aggregato delle associate è passato da 923 mi-

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lioni 1,07 miliardi mostrando un incremento del15,9%. Anche i ratios patrimoniali continuano a permaneresu livelli più che adeguati.Cari amici Presidenti e Amministratori, possiamoessere più che soddisfati per quello che abbiamofatto e che potremo ancora fare, al servizio delpaese e dei cittadini in questi anni difficili.Ma per continuare in questo compito, come dicevoin apertura, dobbiamo guardare al domani comese fosse già oggi, operando sempre più in ottica disistema e utilizzando al meglio le risorse di si-stema.E dobbiamo farlo, migliorando l’efficienza e ade-guandoci, anzi anticipando, le nuove regole in ar-rivo.Pensiamo in primo luogo alle indicazioni del Comi-tato di Basilea.La crisi economica e le tensioni finanziarie ad essalegate hanno portato con forza alla nostra atten-zione – tra l’altro – il tema della natura e del ruolodelle banche nei sistemi economici e sociali. Imprese volte alla massimizzazione della redditivitàdel capitale? Servizio pubblico a sostegno dei ter-ritori? Cinghie di trasmissione delle politiche eco-nomiche? In sintesi, come ci siamo chiesti in un precedenteincontro: servizio pubblico o facoltà imprendito-riale?Gran parte di questi dilemmi verranno risolti attra-verso nuova regolamentazione che, questa volta,non solo inciderà sull’operatività degli interme-diari, ma cambierà prevedibilmente la morfologiadei sistemi finanziari.Per quanto ci riguarda, invece, sappiamo benequal’è la nostra natura, il nostro ruolo, la nostramissione.Dobbiamo costruire insieme gli strumenti, le strut-ture, le garanzie: l’autoregolamentazione può es-23

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sere il mezzo per farlo in autonomia, protagonistidi un domani che è già tra noi. La risposta a questa sfida – che non possiamo di-sattendere – è ancora una volta di carattere orga-nizzativo e nel Gruppo.Dobbiamo organizzarci meglio e non dobbiamoaspettare di subire le nuove regole, ma proporcicon un’autoregolamentazione organica e previ-dente.Dobbiamo attivarci per adeguare i nostri assetti pa-trimoniali alle sempre più impegnative esigenze dicopertura dei rischi, ampliando gli strumenti perqualificare patrimonio e capitale sociale.Cari amici, la domanda che vi pongo è: vogliamoessere dal lato del problema o della soluzione?La risposta – ovvia – è che vogliamo essere solu-zione e, per questo, ancora una volta non pos-siamo prescindere dalla forza del sistema e delgruppo bancario.E questo ve lo dice il sottoscritto che, oltre a esserePresidente della Federazione BCC Lazio UmbriaSardegna, presiede la maggiore BCC italiana, unabanca ormai di medie dimensioni: anche BCCRoma, senza la forza del Gruppo, da sola non po-trebbe andare da nessuna parte.In particolare, dobbiamo difendere l’autonomiadelle nostre banche, rimanendo fedeli alla nostradimensione di soggetti espressione della società ci-vile locale.Come singole BCC, dobbiamo rimanere lontanidalla politica, ancorandoci alla nostra autonomiacome valore sociale e affinando i meccanismi digovernance a garanzia di un corretto, trasparentee partecipato funzionamento interno.A tale proposito, sono state approvate dalla nostraFederazione nazionale le modifiche statutarie chedovranno essere sottoposte all’Organo di Vigilanzae, subito dopo, alle assemblee delle BCC.Sono molte e rilevanti le novità proposte, volte a

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promuovere la partecipazione dei soci alla vitacooperativa e che riguardano il funzionamento deiconsigli di amministrazione, nonché il tema delconflitto di interesse degli amministratori.Cari amici Presidenti, amministratori, illustri ospiti,concludo questa mia panoramica iniziale, riba-dendo ancora una volta la particolare delicatezzae complessità dell’epoca che stiamo vivendo.A questo proposito, mi piace concludere questomio intervento introduttivo con una frase del Go-vernatore Mario Draghi:“Le banche italiane non hanno eredità pesanti neiloro bilanci. Utilizzino questi vantaggi nei confrontidei loro concorrenti per affrontare un presente e unfuturo non facili. Prendano esempio dai banchieriche finanziarono la ricostruzione e la crescita ne-gli anni cinquanta e sessanta”.Questa, come allora, cari amici, è un’epoca in cuisiamo chiamati a scelte rapide ed efficaci al servi-zio del Paese.Un’epoca in cui dobbiamo fare sempre più si-stema e, per questo, dobbiamo rinsaldare semprepiù i rapporti di gruppo facendo leva sulla forza sto-rica della nostra unione, nel segno della coopera-zione.Grazie.

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Un saluto a tutti e un ringraziamento per esserequi, anche da parte mia, ai rappresentanti dellaBanca d’Italia – oltre al Dott. Maurizio Trifilidis, checi ha fatto l’onore di intervenire in qualità di rela-tore, al Dottor Fabio Bernasconi, ai Direttori delleSedi d Roma – Dott. Paolo Galiani – e di Perugia– Dott. Paolo Pasca. Agli altri relatori – il Dott. Antonio Catricalà, il Prof.Giacomo Vaciago e il Prof. Salvatore Maccarone – atutti i rappresentanti del vasto mondo del CreditoCooperativo a tutti i livelli – a partire dal Presi-dente di Federcasse Alessandro Azzi e dal DirettoreGenerale Sergio Gatti – ed anche dal mondo dellacooperazione in senso più ampio – per tutti salutoe ringrazio il Presidente di Confcooperative Dott.Luigi Marino; ai colleghi Direttori di Federazione,con i quali oggi pomeriggio ci incontreremo per la-vorare insieme proprio su queste tematiche. Ag-giungo poi un saluto particolare a cui tengo molto:vorrei che tutti quanti insieme dessimo il benvenutoa chi, da ieri, è il nuovo Direttore Generale della BCCdi Roma, il dottor Mauro Pastore: il dott. Pastore,come credo tutti sappiamo, mi ha preceduto inquesto “mestieraccio” di direttore di Federazione,gettando le basi per lo sviluppo futuro della stessa.Non posso che salutare con un arrivederci chi lo hapreceduto in BCC di Roma, il dottor Enrico Fal-cone, tranquillizzando tutti sul fatto che, per nostrafortuna, continuerà a rimanere tra noi, a lavorarenell’ambito del mondo del Credito Cooperativo.27

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I “7 +” DELLE BCC FEDERLUS

Paolo GrignaschiDirettore Generaledella Federazionedelle Banche diCredito Cooperativodel Lazio, Umbria,Sardegna

Saluti e ringraziamenti

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Il domani dunque: come sarà, come ci arriviamo. È una bella domanda. Io direi intanto, visto chesiamo qui, che ci arriviamo con la voglia e la ca-pacità di stare insieme e di guardare avanti; infondo come abbiamo sempre fatto, anche in con-sessi come questo, dal primo nostro convegno del2007 per arrivare fino ad oggi, quando affermiamo– come abbiamo sentito dalle parole del Presi-dente Liberati – che, appunto, “è già domani”. Inquesto ci colleghiamo idealmente a quanto dicevain apertura dello scorso nostro Convegno il profes-sor Giacomo Vaciago. Lui si chiedeva e ci chiedeva:“il peggio è passato?”. Allora non si poteva dareuna risposta, forse non la si può dare nemmenooggi. Su questo vorrei fare semplicemente duebrevi considerazioni. La prima è che se noi ragio-niamo con i paradigmi del passato, potremmoforse anche dire che il peggio è passato, che tec-nicamente siamo usciti dalla recessione, soprat-tutto se prendiamo a riferimento il grande indica-tore – cui tutti ci siamo abituati a rivolgerci permisurare lo stato dell’economia – cioè il PIL. Maquello che sta accadendo, ci fa capire che effetti-vamente non si può dare una risposta certa eforse l’unica cosa condivisa – ed è questa la se-conda considerazione – è che il futuro, in ognicaso, non sarà un ritorno. Non si riaprirà un ciclocome quelli del passato: forse è definitivamentecessato l’andamento ciclico dell’economia. Hosentito fare queste affermazioni l’altro ieri sera, inuna popolare trasmissione televisiva, dal Presi-dente dell’ABI, Dott. Mussari. Il momento è particolare, sentiremo su questo ilprofessor Vaciago. Viene messo in discussione ad-dirittura l’euro, la nostra moneta comune, la mate-ria prima con la quale noi lavoriamo. Si corre il ri-schio di passare dal “too big to fail” al “too big tosave”: cioè, ci sono crisi talmente grandi, su sog-getti – i debiti sovrani – talmente voluminosi che

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Il domani

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forse salvarli creerebbe maggiori problemi, anchead altri paesi. In un siffatto scenario, è opportuno che ci guar-diamo dentro, per cercare di capire come arri-viamo a questo momento, in che condizioni siamorispetto alla capacità di continuare a perseguire lanostra missione. Per far questo, abbiamo enucleato quelli che ab-biamo chiamato “i 7+” delle BCC Federlus. Questaespressione evoca un modo di dire di quando daragazzini si andava a scuola e si diceva “bravo,7+!”, intendendo che tutto sommato te l’eri cavataabbastanza bene. Questo “7+” può anche sintetiz-zare il sentiment come BCC della Federazione, ri-spetto a come abbiamo affrontato e attraversatoquesto periodo di crisi: per ora ce la siamo cavata.Sicuramente si può fare meglio, ma è un dato difatto che rispetto agli altri non abbiamo certo – di-ciamo così – “sfigurato”. Per ognuno dei 7 punti, non si é voluto dare nes-suna definizione certa ma, anzi, per ciascuno sisono posti alcuni punti interrogativi; perché seguardare il bicchiere mezzo pieno serve ad averele giuste motivazioni per poter andare avanti, guar-dare il bicchiere mezzo vuoto aiuta alla necessariaprudenza nell’attività che svolgiamo e soprattuttoa tenere in considerazione il fatto che dietro ognipunto di forza si può nascondere qualche debo-lezza e che ogni opportunità potrebbe anche sot-tendere delle minacce. Per ciascuno di questi punti,evidentemente, coerentemente con il tema delconvegno, c’è poi anche una conseguenza possi-bile in termini di autoregolamentazione. Come ci arriviamo a questo domani? Intanto, piùnumerosi. Più numerosi è semplicemente un dato:siamo di più. L’ultima Banca di Credito Cooperativo,la 28° della Federazione, ha aperto i battenti loscorso mese di settembre, è la Banca di CreditoCooperativo di Frascati e approfitto per salutare e29

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I “7+”

+ numerosi

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dare il benvenuto a questa loro prima presenza ainostri incontri annuali. Inoltre, ci sono in cantiereanche altre possibili aperture: un comitato promo-tore ci ha chiesto di avviare l’iter per la presenta-zione della domanda di autorizzazione all’aper-tura dell’attività alla Banca d’Italia e lo faremo neiprossimi giorni, attraverso Federcasse. Un altro hagià iniziato la raccolta fondi, un altro ancora ha pre-sentato il prospetto informativo alla Consob. Daquesto non si vuole trarre nessuna conclusione,probabilmente la crescita del numero di BCC siesaurirà, o si invertirà, come già avviene a livellonazionale. Però diciamo che possiamo almenoconvenire che, evidentemente, c’è voglia, c’è biso-gno di “banca locale” nella società, c’è voglia e bi-sogno, probabilmente, di Credito Cooperativo. Edè una voglia che è lecito pensare nasca anche, de-rivi anche, sia anche alimentata, dalla sempre mag-giore presenza del Credito Cooperativo nella so-cietà. Possiamo quindi dire che arriviamo a questo do-mani anche più presenti. Siamo più presenti sulterritorio – abbiamo sentito dal Presidente Liberatidell’aumento degli sportelli, continuo e costante –siamo più presenti sul mercato, siamo più presentinelle comunità. È doveroso, però, riflettere anchecriticamente su questi dati. Se ci pensiamo un at-timo, nell’arco degli ultimi cinque anni noi siamocresciuti di oltre il 50% come sportelli e di oltre il30% come soci. La quota di mercato è relativa-mente più bassa della media, ma perché ope-riamo in territori che sono particolarmente compe-titivi (abbiamo il Comune più popoloso d’Italia e laRegione d’Italia, l’ Umbria, nella quale c’è la più altaconcentrazione di sportelli, il più alto rapporto disportelli bancari per abitante); comunque siamocresciuti anche come quota di mercato, ma in mi-sura ancor meno proporzionale, circa un 20%.Questo che cosa vuol dire? Che rispetto alla quota

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+ presenti

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teorica di mercato che sarebbe equivalente allaquota sportelli, che è il 6,6%, adesso il gap si è in-crementato e la produttività per sportello, misuratain termini di masse amministrate per singolo spor-tello, è cresciuta sì, ma non è cresciuta in manieracosì significativa. Negli ultimi cinque anni abbiamomisurato un 2,3%. Questo ci chiede di fare delle ri-flessioni: probabilmente è necessario che noi co-minciamo a pensare ad uno sviluppo più verti-cale rispetto ad uno sviluppo prevalentementeorizzontale: verticalizzare lo sviluppo, massimiz-zare i benefici e i ritorni per le Banche di CreditoCooperativo dell’accresciuta presenza territoriale,anche attraverso azioni di continua fidelizzazionedella clientela, accrescendone l’apprezzamento daparte di quest’ultima e rafforzando un trend che si-curamente c’è stato negli ultimi anni. Questo rappresenta un altro punto, il terzo punto.Arriviamo al domani più apprezzati. Siamo più ap-prezzati come visibilità pubblica – ma su questo si-curamente potrà dirci molto di più e molto di me-glio il Presidente Azzi – quindi non aggiungo altro.Ma siamo anche più apprezzati come valore delmarchio, la cosiddetta brand equity, che è stata mi-surata di recente dall’Eurisko: è passata dal 7,9nel 2005 al 13,7 del 2009, in una scala da zero acento. Sembrerebbero numeri bassissimi, però seandiamo a vedere che, per esempio, Unicredit hail 5,4 e Intesa il 17,3, sono invece numeri assolu-tamente apprezzabili. Questo avrebbe poco va-lore, se non fosse trasferito nelle singole relazionicon la clientela. Allora è importante capire per checosa siamo veramente apprezzati. In questo senso,proprio lunedì scorso, sul mio tavolo sono arrivatii risultati di un’analisi di customer satisfaction rea-lizzata da una nostra associata e li vorrei condivi-dere con voi. È ovvio che non sono dati assoluti,però credo che siano indicativi, perché coerenti conaltre rilevazioni. Noi abbiamo, in generale, un ot-31

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+ apprezzati

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timo livello di soddisfazione generale degli utenti,un 7,9 su 10. Però questo forte apprezzamento –che poi si traduce anche in una forte capacità di re-tention perché l’85% dei clienti ci risceglierebbe –è sostenuto soprattutto dalla cortesia e dalla pro-fessionalità del personale. Se andiamo a vedere poialtri dati, l’analisi ci offre anche in questo casospunti di possibile riflessione critica, perché nonsiamo proprio apprezzati su tutto nello stessomodo. Per esempio, il 71% degli intervistati non cirisceglierebbe sulla base delle condizioni economi-che. E per quanto riguarda il peso del marchio nellascelta, vediamo che, pur essendo buono, è infe-riore a molti altri fattori, anzi forse è il più basso edè a livello del 41%. Non siamo quindi apprezzatiallo stesso modo su tutto e nemmeno da tutti, di-rei, nello stesso modo. Diciamo che si riscontra unadiscesa dei livelli di apprezzamento, al crescere diquelli che sono i livelli di istruzione. Si nota ancheche su determinati aspetti della relazione bancaria,in particolare quella che è la multicanalità – in pri-mis l’home banking – l’utilizzo dei nostri servizi èeffettivamente ridotto, addirittura il 78% non uti-lizza l’home banking. Però da questo punto di vi-sta è interessante notare come il grado di utilizzoaumenti con il grado di istruzione e soprattutto ilgrado di utilizzo aumenti in relazione a quella cheè la clientela di più recente acquisizione. Questo evidentemente ci dà dei suggerimenti im-portanti su quelle che possono essere le caratteri-stiche della BCC del domani, per continuare ad es-sere apprezzati. Dobbiamo sforzarci, dunque, dielaborare un modello di business che tenga an-che conto della multicanalità. In generale però, su questi aspetti, proporrei un’ul-teriore riflessione: noi siamo – abbiamo detto – ap-prezzati fondamentalmente per la qualità del no-stro personale, per il modo con cui il nostropersonale si relaziona con la clientela, per quella

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che è la sua professionalità. Noi sappiamo che laprofessionalità è un dato percepito: tendenzial-mente io ritengo professionale chi ne sa più di me.Da questo punto di vista è in atto su istanza, in pri-mis, della Banca d’Italia, un percorso di educa-zione finanziaria della clientela. A questo percorsonoi vogliamo partecipare, vogliamo essere protago-nisti anche su questo fronte. Come Federazione,abbiamo avviato su questo un tavolo di lavoro, incollaborazione con l’Assessorato al Lavoro e allaFormazione della Regione Lazio, il cui rappresen-tante, dott. Durigon, è qui oggi presente tra noi eche saluto. Faremo lo stesso in Umbria e poi in Sar-degna. Vogliamo sicuramente contribuire alla cre-scita dell’educazione finanziaria nell’ambitodella clientela, ma vogliamo anche continuare adessere percepiti come professionali. Dobbiamoquindi necessariamente investire moltissimo suquesto nostro punto di forza, sulla formazionedel nostro personale. E su questo la Federazionenon lesinerà alcuno sforzo nel dare supporto alleBanche associate. È necessario, ovviamente, avere su questi aspettidelle misurazioni scientifiche, come quelle che viho presentato, fare delle riflessioni su quella che èla valorizzazione del marchio, tema sul quale pro-babilmente è benvenuta una maggiore autorego-lamentazione, in maniera tale che gli investimentifatti a livello centrale poi non si disperdano a livellolocale. È necessario colmare il gap tecnologico,come abbiamo visto, su certi strumenti di multica-nalità. L’apprezzamento da parte della clientela,quindi, costa e richiede investimenti; gli investi-menti evidentemente richiedono solidità. Arriviamo allora ad un altro punto: siamo più so-lidi? Noi possiamo intanto dire come BCC Federlusche siamo più solidi della media. Il Tier 1 – sullabase degli ultimi dati disponibili di giugno 2010 –è pari al 16,45%, contro il 14,2% del resto del si-33

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+ solidi

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stema Italia, per non parlare poi delle banche nondi Credito Cooperativo che sono a livelli molto piùbassi. Il Total capital ratio è al 17,87%. Il rapportosofferenze/impieghi è circa al 3,7%, mentre in ge-nerale intorno a noi tende a crescere. Abbiamo,credo, un buon equilibrio patrimoniale: c’è un rap-porto impieghi/raccolta che è stabile intorno al70% e consente di dare sfogo all’eccedenza di ca-pitale disponibile che noi abbiamo, pari al 47% delpatrimonio di vigilanza. Questi dati positivi sullastabilità, rinvengono anche da decisioni che negliultimi tempi sono state assunte nei nostri con-fronti, nel merito, da parte della Banca d’Italia,perché negli ultimi tempi tutte le nostre bancheche avevano un coefficiente di solvibilità anomalo,lo hanno visto ridotto, se non anche normalizzatoe questo è sicuramente un segnale positivo. Ma iltema è talmente delicato che noi non possiamonon tenere conto anche di quelli che sono invecedati di segno opposto. In primo luogo, all’internodel nostro sistema c’è un’altissima differenziazione,i dati che abbiamo visto rischiano veramente di es-sere il “pollo di Trilussa”: il Tier 1 va dal 5,6% al28,9% e il Total capital ratio oscilla dal 7,51% al29,23%. L’incidenza del totale degli assorbimenti disecondo pilastro è crescente, ed è passata dal15,6% del 2008 al 18,2% del 2009 e il tasso me-dio di crescita delle sofferenze è sostenuto a set-tembre, anno su anno siamo sul 15,7%. Queste sono tematiche sulle quali la Federazioneè fortemente impegnata ed alle quali dedica lamassima attenzione. Abbiamo avviato un pro-gramma che possiamo chiamare “13-13” conl’obiettivo di portare nel 2013 tutte le BCC asso-ciate alla Federazione ad un Total capital ratio al-meno del 13%, che “fa scopa” con quell’8%,+2,5%, +2,5% che viene stabilito dalle normativedi Basilea 3 a partire dal 2013 con un processo diadeguamento che terminerà nel 2019. È un lavoro

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che abbiamo già cominciato a fare e che stiamoproseguendo, con il fondamentale supporto delFondo di Garanzia dei Depositanti. Sempre con ri-ferimento alla solidità: siamo stati, storicamente,portati a valutare la solidità da un punto di vista sta-tico, come una misurazione statica. In realtà oggi– l’ICAAP docet – viene sempre di più valutata an-che in chiave prospettica. Dunque, analizzando lasituazione guardando al futuro, noi non possiamoche partire dalla considerazione che il nostro pa-trimonio, l’elemento fondamentale della nostrasolidità, è costituito in prevalenza dalle riserve diutili e che quindi il buon funzionamento del ci-clo della redditività è un fattore ineludibile perlo sviluppo e il mantenimento della soliditàdelle Banche di Credito Cooperativo. Da questopunto di vista sappiamo che negli ultimi due anniabbiamo sofferto; non abbiamo sofferto da soli,forse abbiamo anche sofferto un po’ meno degli al-tri, siamo riusciti a chiudere il 2009 con nessunabanca con un risultato di segno negativo. Ma le dif-ficoltà sono perdurate nel primo semestre 2010, inalcuni casi si sono anche accentuate: al 30 giugno2010 qualche banca che ha un risultato netto ne-gativo c’è. E’ vero che c’è una tendenza al miglio-ramento nella redditività già nel terzo trimestre eprobabilmente le aspettative in questo senso sonoanche per i trimestri a venire, tuttavia è un fatto checontinuiamo ad essere estremamente dipendentidal margine di interesse. Non voglio neanche leggere i dati di tendenzasotto i nostri occhi: il calo della redditività, l’au-mento del Cost to income, etcetera … Voglio solotrasmettervi il mio disagio: sappiamo quanta faticacostano i risultati in termini di redditività e in que-sto periodo magari vediamo che vengono comple-tamente mangiati, in alcuni casi, o comunque for-temente impattati dai risultati della gestionefinanziaria, dall’andamento dei titoli di Stato, che35

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in questo periodo sono veramente “sull’ottovo-lante”, come a volte si dice. Ciò dipende innanzi-tutto da alcuni aspetti normativi: dal fatto che il de-tenere titoli di Stato equivale sostanzialmenteall’operatività con soci. Dobbiamo sforzarci di uscireda queste dinamiche, dobbiamo sterilizzare quelliche sono i risultati della gestione finanziaria sull’an-damento complessivo della banca. Quindi è im-portante che si incrementi ancora di più l’ope-ratività con soci, l’operatività sul territorio. Ancorauna volta “verticalizzare lo sviluppo”. Ma per essere scelti – è ovvio che non possiamopensare di essere scelti perché siamo più buoni –dobbiamo imparare ad essere scelti perché siamoanche più competitivi. Quindi un ulteriore +: siamo più competitivi? Noiabbiamo un grandissimo punto di forza in questomomento, un vantaggio competitivo di base, cheè la nostra mission: il nostro modello di businessè stato apprezzato ed è stato rilanciato nella crisi.Siamo però troppo vulnerabili, perché siamotroppo dipendenti come ricavi dal margine di in-teresse e i costi sono troppo rigidi. Lo scenario avenire – lo sappiamo – prevede l’aumento dei li-velli di competitività: i grandi gruppi bancari torne-ranno sul territorio, lo hanno ampiamente annun-ciato. C’è da dire che lo hanno annunciato datempo, li aspettiamo ma si fanno vedere poco;però ci aspettiamo da loro ulteriori sforzi nel dareseguito a tutti i programmi e le strategie enunciatesul ritorno al territorio, sulla creazione di bancheterritoriali, etcetera, etcetera. Sarà probabilmenteuna concorrenza mirata, sarà probabilmente unaconcorrenza – visto com’è andato il mercato negliultimi anni – che colpirà proprio la nostra clientelaelettiva, la clientela retail, sarà anche una concor-renza mirata sulla raccolta, perché hanno bisognodi liquidità magari da convertire a patrimonio. Ci dobbiamo allora difendere, innanzitutto di-

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+ competitivi

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versificando le fonti di ricavo. Abbiamo visto che,tutto sommato, il margine commissionale ha am-pie possibilità di essere incrementato rispetto almargine di interesse: pensiamo per esempio al di-scorso delle carte di debito e di credito, con nuoviprodotti – quelle che si chiamano contactless, cashback, i programmi di fidelizzazione -tutte cose chemolti stanno facendo, le stanno facendo anche lePoste, che in molti casi sono competitors impor-tanti. E qui mi rivolgo ai colleghi presenti delGruppo Bancario, il cui supporto è ineludibile edeve farsi sentire maggiormente. C’è poi il discorso dell’estero: sappiamo che quelpoco di aumento del PIL che avremo nel 2011, saràcomunque trainato dall’esportazione, perché ladomanda interna è stagnante. Da questo punto divista noi siamo in una situazione direi abbastanzapositiva: da una rilevazione a luglio 2010 sulla va-riazione percentuale nell’ultimo anno dell’exportdelle nostre regioni, la Sardegna è al primo postoitaliano con il 66,41%, il Lazio con il +39,39% è alterzo posto, l’Umbria con il +22,61% è al quintoposto. Quindi c’è possibilità per poterci dare da fareanche da questo punto di vista. Poi ci sono tutti quei prodotti che, tutto sommato,sono prodotti di missione, che connotano anche ilnostro ruolo sul territorio: penso ai prodotti previ-denziali e assicurativi, penso ai prodotti per i giovani. Altro tema fondamentale è quello della raccolta,sul quale stiamo già sentendo una forte pressionecompetitiva: dobbiamo necessariamente conte-nerne i costi. Come possiamo sostenere questo?Con la fiducia, perché se ci mettiamo a rincorrerela migliore offerta, credo che poi ne usciamo conle ossa rotte. Dobbiamo valorizzare il patrimoniodi fiducia che abbiamo e il rapporto con il ter-ritorio e la base sociale. Da ultimo – si direbbe last but not least – è evi-dente che in primis i ricavi devono essere effettivi,37

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e quindi l’attenzione alla qualità del credito è evi-dentemente alla base di ogni possibile crescita fu-tura. Sulla qualità del credito vorrei dire una cosa:il primo fattore di qualità è la bassa concentra-zione. Noi abbiamo una particolarità: siccome ab-biamo un operatività vincolata su territori limitati,abbiamo un alto grado endemico di concentra-zione territoriale. Dobbiamo quindi necessaria-mente sforzarci di tenere bassi tutti gli altri aspettidi concentrazione, quindi la concentrazione suisingoli imprenditori, la concentrazione sui settoriproduttivi. Questo, dal punto di vista dei ricavi. Dal punto di vista delle componenti negative direddito, è necessario evidentemente un mag-giore governo dei costi. Ciò deve avvenire su duepiani: c’è un piano strategico e un piano gestionale.Il piano strategico è quello che alimenta i costi sullabase degli investimenti, primi fra tutti, per esempio,l’apertura di sportelli, ma anche le politiche di pre-senza sul territorio. È un versante che può consen-tire anche rapide correzioni, però non è quantita-tivamente il più significativo. Quello cheassolutamente è più significativo è il versante ge-stionale, sono i costi dell’organizzazione. È unapriorità assoluta, io credo, che noi dovremo riuscirea migliorare il funzionamento della nostra organiz-zazione. Quella funzione, che potremmo chiamaredi “governo operativo”, se dovessi dire è proprio lafunzione core all’interno delle BCC nei prossimianni. Bisogna organizzarsi meglio. Quindi adesso arriviamo al penultimo punto: siamopiù organizzati? Dal punto di vista della valuta-zione organizzativa, quello delle BCC, è un mondotutto particolare. Io non ho ancora visto due BCCorganizzate allo stesso modo. Non esiste in realtàun modello organizzativo per le Banche di CreditoCooperativo e forse non può esistere. Però quelloche deve esistere è una filosofia organizzativa. Ilprincipio base di questa filosofia organizzativa è:

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+ organizzati

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una BCC è tanto più organizzata, quanto più èfocalizzata sul core business; come corollario, diconverso, vuol dire che una BCC è tanto più orga-nizzata, quanto più riesce ad esternalizzare tuttele attività no core, non direttamente ascrivibilialla gestione del credito, alle attività di intermedia-zione creditizia retail sul territorio. Da questo punto di vista possiamo dire come Fe-derazione, senza timore di smentite, che abbiamodato una mano in questi ultimi anni. Sono statemesse a disposizione delle BCC delle società chepossono esternalizzare interi processi produttivi: c’èla CeSeCoop per il back office, c’è la Federlus Fac-toring per tutta la gestione del credito anomalo. Sisono messi a punto progetti di gestione delle ri-sorse umane, non solo sulla formazione, ma anchesullo sviluppo delle competenze del personale e sisono implementate quelle attività che io chiame-rei di back office del governo, che è si un processoche attiene assolutamente alla singola BCC, nelproprio spazio di autonomia, ma che prevede al-cune attività (come quelle sottese alla redazionedel piano strategico, dei piani di sviluppo territo-riale, le analisi territoriali e di mercato, la pianifica-zione quantitativa) che – con lo sviluppo che c’èoggi nella raffinatezza di queste analisi – possonoben essere svolte a livello centrale. È un qualchecosa che stiamo facendo in maniera crescente. Ma soprattutto abbiamo dato una mano nel si-stema dei controlli interni, con l’esternalizzazionedell’internal auditing e della compliance, da partedi tutte le Banche di Credito Cooperativo sottopo-ste a vigilanza decentrata. Non solo: la complianceè stata esternalizzata totalmente. Questo è statopossibile, vorrei dire, grazie al sistema. Il migliora-mento dell’organizzazione delle BCC non può pre-scindere dal sistema al quale appartengono, a tuttii livelli: dal ruolo della Federazione nazionale, dalruolo del gruppo bancario, dal ruolo delle alte39

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strutture del movimento. Da questo punto di vista,non mi vergogno di dire che noi siamo stati una Fe-derazione ortodossa: abbiamo valorizzato al me-glio, credo, quelli che sono stati i progetti di cate-goria, prima sull‘internal auditing, poi anche sullacompliance, cercando di portarli il più possibiledentro le Banche di Credito Cooperativo, cercandodi sgravare il più possibile le Banche di CreditoCooperativo da tutti quei compiti, ripeto, che nonsono strettamente attinenti al core business. Siamostati forse ‘più realisti del re’, ma ne abbiamo trattoun grandissimo beneficio, sia come Federazione,sia come singole Banche di Credito Cooperativo. Èuna autoregolamentazione spontanea che ha datofrutti importanti. Su questo direi che abbiamo co-struito quel ruolo che c’è stato indicato dal Presi-dente Azzi nella relazione all’ultima assemblea diFedercasse, il ruolo delle Federazioni locali orien-tato all’autonomia responsabile, e per il qualesono state declinate le quattro qualità che devonoavere le Federazioni autonomamente responsa-bili: autorevolezza, indipendenza, capacità di inter-vento, competenza tecnica. Sono qualità sulle qualinoi abbiamo lavorato costantemente in questi annicon risultati concreti e tangibili. Però mi permetterei di aggiungere una quinta qua-lità, che per me è la qualità delle qualità, che èl’efficienza. Dell’efficienza si parla sempre molto,ma poi in realtà non la si pratica sempre con lostesso zelo con cui la si enuncia. Noi ci dobbiamoconvincere che l’efficienza oggi è ancora più impor-tante, perché viviamo in un contesto di mercatoche è fondamentalmente deflattivo. Non è esclusoovviamente che ci possano ancora essere crisidelle materie prime, crisi valutarie, bolle specula-tive; però tendenzialmente – è così ormai da moltianni – il costo dei beni e dei servizi tende a dimi-nuire. In un sistema come il nostro, un sistema arete, se si rilevano aumenti di costi che non sono

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giustificati da un aumento di produttività o da unaumento di qualità, da qualche parte della retestessa, questi aumenti, si ribalta su tutte le altrecomponenti, con la differenza che mentre in un si-stema tradizionale di tipo verticale è abbastanzachiaro il meccanismo di ribaltamento dei costi, nelsistema a rete è più oscuro. In sintesi, credo chequesto debba aumentare l’attenzione che tutti noidobbiamo avere, perché non avvengano da nes-suna parte aumenti di costi che non siano stretta-mente necessari o giustificati. Da questo punto divista – mi fa sempre piacere dirlo e penso che nelprossimo Consiglio di Amministrazione sarà ulte-riormente sancito – la Federazione quest’anno re-stituirà ancora più contributi dell’anno scorso: or-mai sono cinque anni che i contributi totalipagati dalle BCC Federlus, al netto di quelli rigi-rati alle altre entità del sistema, diminuiscono.Diminuiscono costantemente. Io credo che questosia il segno dell’efficienza e il risultato di una au-toregolamentazione che c’è stata, come abbiamodetto prima, e che è stata valorizzata come fattoredi efficienza del sistema.Per chiudere, quindi, come arriviamo a questo do-mani? Io direi, in ultimo, che ci arriviamo più unitie più coesi. Ci arriviamo più convinti che il domanidelle BCC, lo abbiamo sentito dal Presidente Libe-rati, non può che essere un domani di sistema:perché il sistema possa esprimere in toto leproprie potenzialità, che sono enormi, è neces-sario che si abbia il coraggio e la lungimiranzadella autoregolamentazione, per alimentarequel circolo virtuoso che va dalla coesione alleregole, all’unione. L’unione è la forza sulla qualesi può poggiare lo sviluppo delle BCC. “La forzadell’unione” è stato lo slogan che noi abbiamocreato insieme sei anni fa, al quale credo che inquesti sei anni abbiamo dato concretezza. Grazie a tutti.41

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+ uniti e coesi

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C’è una grande incertezza sulle conseguenze dellacrisi (non ancora finita!) sull’economia e sulle ban-che in Italia. Anche perché non sappiamo quandoe come la crisi finirà (molti non hanno neppure ca-pito la natura di una crisi che non ha precedenti).Nei suoi primi quattro anni (dal 9 agosto 2007), lacrisi ha avuto quattro successive dimensioni: lafine della bolla subprime; la bolla dei prezzi foodand energy; la contrazione dell’industria mondiale;la crisi dell’Euro. Di ciascuno di questi shocks noinon abbiamo avuto molta colpa; ma ne abbiamocomunque subìto le conseguenze. Le due conse-guenze più gravi le abbiamo avute dalla contra-zione dell’industria (post fallimento Lehman, IV-2008 / I-2009) e dalla crisi dell’Euro. Nel primocaso, abbiamo una perdita del 20% di produzioneindustriale; nel secondo caso, abbiamo un au-mento di due punti del costo del debito pubblico(se diventa “rischio-Paese”, riguarderà anche il co-sto del capitale privato). Per ambedue quei motivi,aumenta la rischiosità dell’attività anche delle no-stre banche. Il dibattito internazionale (G-20) sulleriforme da realizzare riguarda temi che ci interes-sano solo in parte e indirettamente (too-big-to-fail;Volcker rule) nella misura in cui vogliono evitare ilripetersi di una crisi che è stata molto dovuta ad“azzardo morale” (conviene assumere troppo ri-schio, quando c’è l’implicita promessa di un salva-taggio) ed a “rischio sistemico” (l’interdipendenzatra intermediari rende più fragile l’insieme). Le ri-43

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CRISI E RIFORME: CONSEGUENZE SULLE BANCHE

Giacomo VaciagoOrdinario di PoliticaEconomica e Direttoredell’Istituto diEconomia e Finanzadell’UniversitàCattolica di Milano

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forme tardano ad essere realizzate; quindi nel frat-tempo l’economia resta in convalescenza e la strut-tura finanziaria resta molto fragile. La stessa poli-tica di emergenza: grandissima liquidità e tassimolto bassi – rischia di alimentare nuovi problemi(e comunque evita il peggio, ma non promuove ilmeglio). Ci si era illusi che il G-20 di Seoul dessel’indice preciso delle riforme ancora da realizzare,e quindi anche il loro calendario e quello della exitstrategy (ritorno alla normalità). La delusione ri-guarda proprio questa permanente incertezza. Perora, l’emergenza continua. Sappiamo però che allafine il ritorno alla normalità richiederà un’attivitàcreditizia più attenta alla qualità degli impieghi; conuna maggiore dotazione di capitale; una minoreleva finanziaria e trasformazione delle scadenze: ilritorno ad un sistema creditizio più vicino alla no-stra tradizione che a quella della finanza anglosas-sone, dominante fino al 2007.Non è facile capire cosa stia succedendo, ancheperché viviamo in un mondo completamentenuovo, che non ha precedenti. Se guardate un PCmade in China, in realtà è fatto in 12 paesi, di ci-nese c’è solo il 6%, l’altro 94% la Cina lo importada altri 11 paesi. È incredibile: se prendete unaAston Martin, supponendo che ve la possiate per-mettere, è una mitica auto inglese, ma non è micavero: è fatta in 6 paesi, il motore è tedesco, e cosìvia. Cioè, l’economia globale significa: “nulla è piùfatto in un solo paese”. Non si può pensare quindiche se c’è una crisi globale la cosa non ci riguardiperché non è colpa nostra: questa è la prima gravecrisi di cui noi non abbiamo colpa, nel dopoguerra,ma la cosa non ci consola e non ci illude. Anche senon è colpa nostra o del nostro governo, la crisi ciriguarda tutti lo stesso, perché non si riesce ad es-sere esenti da questa crisi. D’altra parte, crisi, se andate a vedere il vocabola-rio, è una parola neutra, non vuol dire “guai”: in

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greco e in latino vuol dire semplicemente “svolta”,in latino è discrimen. È una svolta, cioè è la rotturadi un vecchio mondo. Prima uno lo capisce eprima ha le opportunità, e non solo i costi, del cam-biamento. Le crisi sono rotture di un vecchiomondo con uno nuovo che si apre. Per quello cheabbiamo vissuto tutti noi la rottura è il 9 agosto2007. Da lì è iniziata questa traversata verso unnuovo mondo, con nuove regole e nuove politiche,visto che le precedenti non hanno funzionato. Ero a Londra l’altro giorno: tutti corti sull’Europa.Dico: “cos’è successo? Fino ad un anno fa andavatutto bene…” “Sì, ma ci siamo accorti che c’eranoproblemi che tenevate sotto il tappeto”. Per 10anni Grecia, Spagna, Irlanda, Italia, si sono indebi-tati a tassi tedeschi: lo spread che pagavamo sulbond decennale tedesco era pochi decimi di punto.I mercati non si erano accorti: i mercati sono per-fetti sempre dopo, mai prima. I mercati non sierano accorti che ci indebitavamo a tassi tedeschiper tirare a campare (noi italiani) o per specularein edilizia e in prestiti balordi (quelli che facevanofinta di essere americani – cioè gli irlandesi, i greci,gli spagnoli e i portoghesi). Si sono indebitati atassi tedeschi, non per fare cose che contribui-scono alla crescita del paese, ma per inseguirebolle speculative e quant’altro. Un bel giorno imercati si sono accorti che era una finta, questache eravamo tutti tedeschi, e naturalmente hannosbandato dalla parte opposta. Perché gli spreadche oggi applicano a paesi come Grecia e Irlanda,sono da paesi che stanno per fallire. Attenzione: chivede quei tassi dice “questo è il tasso che fai pa-gare a chi con molta probabilità non ti rimborsa”.Bene, allora li abbiamo salvati o li abbiamo con-dannati? È chiaro che in questo momento Greciae Irlanda – Spagna e Italia ovviamente non ancora– stanno pagando i tassi del pre-default. Questo ci fa domandare: ma l’euro che fine fa? A45

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sentire la Merkel, come in America, non è vietatoche il Texas e la California abbiano debiti a tassi di-versi, anzi è bene che sia così, perché così ogniStato si modera. Però in America alla fine Washin-gton interviene, e i trasferimenti tra Stati ci sono,perché è un paese unito. Invece l’euro, come sap-piamo, è un miracolo della natura: quando nacque15 anni fa, ad un seminario intelligente in Bancad’Italia, un accademico americano dimostrò chetutte le unioni monetarie incomplete sono fallitenella storia. Tutti i tentativi di mettere insieme solola moneta e conservare autonomia e sovranità subilancio pubblico e altre politiche, sono tutti falliti.In altre parole, sappiamo da sempre che l’euro èuna costruzione dinamica, instabile, che o pro-cede o arretra, non può stare ferma in eterno: seti indebiti a tassi tedeschi per sprecare quei soldi,prima o poi fallisci e il fallimento può richiedere an-che una svalutazione che l’euro non consente; equindi per definizione il dubbio è se l’euro procedaoppure no. Oggi la crisi non è di alcuni paesi, laview a Londra è: uno dopo l’altro numerosi paesifalliscono e/o escono dall’euro, cioè l’euro non hafuturo se i governi non sono capaci di fare giochicooperativi. I giochi cooperativi sono quei bellissimigiochi in cui 2 + 2 fa 5 e chi vince si divide solo ilquinto punto, cioè il risultato del gioco. Sono di-versi dai giochi normali in cui 2 + 2 fa 4 e chi vincesi prende quattro, cioè porta a casa tutto. I giochicooperativi sono più belli perché creano valoreaggiunto (non ho bisogno di dirlo ad una sala dicooperatori). Quello è un gioco in cui convienesempre giocare, ma presuppone che i due massi-mizzano la propria funzione di utilità tenendoconto dell’utilità dell’altro: questo è il bello delgioco cooperativo. Nei giochi normali 2 + 2 fa 4 echi vince porta a casa quattro; dopo che giochi perun po’ con uno che vince sempre, saluti e te ne vai.Nel gioco cooperativo non ti conviene mai andare

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via, perché hai sempre la speranza di vincere e co-munque non puoi perdere; però presuppone unacapacità di cooperare che al momento in Europanon vedo da parte di nessuno. Anche perché percooperare ci vogliono tanti, uno da solo non riescea cooperare.Questo è il messaggio finale. È chiaro che siamo benlontani dall’uscita da questa crisi, che ha avuto, neiquattro anni in cui l’abbiamo vista, quattro shock cheadesso ripassiamo. L’ultimo, l’attuale, è questo del-l’euro, che potete chiamare “shock del debito pub-blico”; ma non è neanche solo del debito pubblico,perché in alcuni paesi il debito era più privato chepubblico, ma quando è troppo diventa pubblicoper definizione ed è comunque del paese, che siaprivato o che sia pubblico (vedi Fig. 1).

È uno shock non solo di debito, quello attuale, edè uno shock grave, perché mette in evidenza chesi è rinunciato a poter svalutare – che serve in si-tuazioni tragiche, come quella in cui si trovanoGrecia e Irlanda – e in cambio non si ha nessunaiuto dai compagni; quindi chiaramente ci si do-manda “cosa ci sto a fare in questo gioco?”.Quando noi diciamo che il rischio è che qualcunoesca, il rischio è vero, fa parte delle alternative cheogni paese ha di fronte a sé. 47

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Fig. 1

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Vediamo rapidamente le altre slides. Questa (vediFig. 2) è la più bella bolla speculativa della storia:è avvenuta in un paese dove le aree edificabili pro-capite essendo infinite, i prezzi delle case non do-vrebbero mai crescere più del costo del lavoro; in-fatti, se guardate i prezzi delle case americaneoggi e 10 anni fa, trovate un aumento in linea conl’aumento del costo del lavoro.

Però nel frattempo i prezzi delle case americane intermini reali, cioè tolta l’inflazione al consumo,erano più che raddoppiati e poi sono scesi in pro-porzione. Mentre i prezzi delle case salivano, tuttidicevano: “è una cosa fisiologica, è normale, con-viene comprare case”. Una bolla speculativa è ra-zionale a certe condizioni. Anzitutto, perché nel si-stema americano il creditore non può inseguire ildebitore che abbandona il mutuo, che non lopaga: quello restituisce le chiavi e se ne va. Non c’èricorso ad altri beni del debitore. Quindi se pensiche i prezzi delle case saliranno molto, che ti servao no quella casa, ti conviene comprarla: male chevada – se poi non sei in grado di rimborsare il mu-tuo – restituisci le chiavi della casa e saluti. Alloraè un mondo in cui il rischio è tutto dalla parte delcreditore, della banca? No neanche questo. Perchéquella cartolarizza e colloca chissà dove, se non è

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Fig. 2

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stupida. Quindi al debitore conviene, al creditoreanche, perché i rischi li ha passati a chissà chi, e vistupisce che ci sia stata una bolla così? Con ilsenno di poi, ovviamente no. Ma dov’erano le ban-che centrali e i governi in quel periodo? Purtroppoquando i prezzi delle case aumentano, tutti fannofesta: c’era euforia e quindi nessuno aveva il corag-gio politico di sgonfiare la bolla prima che fossetroppo tardi. Prezzi delle case crescenti hanno si-gnificato per gli Stati Uniti 2 milioni di posti di la-voro creati nell’edilizia: erano quelli che stavanouscendo dall’industria che se ne stava andando inCina e quindi hanno avuto full employment, infla-zione modesta, prezzi delle case alle stelle... evviva,tutti che fanno festa, anche politicamente, nonsolo alla Banca Centrale, che non ha avuto mai ilcoraggio di dire la verità e bucare la bolla prima deimassacri. Adesso abbiamo 2 milioni di americanidisoccupati, non rioccupabili per anni - ex muratori,eccetera, ed abbiamo 2 milioni di famiglie ancorada buttare fuori da quelle case da cui non sonouscite. Non stupisce che i postumi di una sborniadi questo tipo poi frenino l’economia per anni. Inquesto momento il problema dell’America è comeil mal di testa che hai dopo che hai bevuto troppoa Capodanno: non sei allegro. Rioccupare questi di-soccupati di lungo termine non è una cosa banale,non basta aumentare un po’ la spesa pubblicaperché 2 milioni di ex muratori trovino lavoro; ebuttare fuori 2 milioni di famiglie non le rende pro-pense a fare grandi spese alle prossime feste di Na-tale. Quindi l’economia americana si riprende, sì,ma è la ripresa più debole del dopoguerra dopouna crisi che è la più grave del dopoguerra. Abbiamo avuto un secondo shock l’anno dopo(vedi Fig. 3): il petrolio arriva a $ 143 al barile. Chi “usciva” dall’edilizia, reinvestiva in materieprime, alimentari e petrolio. Vedete che bella bolla?Anch’essa si è sgonfiata. Attenzione, perché oggi i49

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prezzi di petrolio e alimentari segnalano però che,in media, il futuro è un mondo di scarsità di ener-gia e di cibo. Se 6 miliardi di persone vogliono scal-darsi e alimentarsi come noi che stiamo nei paesiricchi, il futuro è fatto di prezzi dell’energia e deglialimentari crescenti. Questo lo dobbiamo sapere,non torneremo a fare i contadini, o comunque icontadini devono fare molte innovazioni perché bi-sogna aumentare le rese dei terreni e così via. Perun anno di recessione – o di ripresa molto mode-sta in Europa e negli Stati Uniti – il petrolio a $ 85e gli alimentari alle stelle, sono chiaramente un al-tro fattore che deprime un po’ la propensione allaspesa delle famiglie.Poi (vedi Fig. 4) questa è la cosa più bella della sto-ria: non era mai successo, neanche negli anni ‘30,che all’improvviso la produzione industriale delmondo cadesse del 25% nel giro di pochi mesi.Fallisce la Lehman il 15 settembre 2008 e nelle set-timane successive il mondo si ferma. Il mondo in-dustriale: cosa c’entra Lehman con l’industria?Niente, Lehman è una grande banca di investi-mento. Ma il concetto è che se fallisce Lehmanchiunque può fallire, e quindi l’industriale accettaordini da un cliente lontano per il quale lavora e alquale consegnerà e che lo pagherà, se va tutto

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Fig. 3

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bene, tra sei mesi o un anno? Ovviamente no.Quindi non accetta quegli ordini. Se non accettaquegli ordini, lui cancellerà ordini che fa ad un al-tro. Attenzione, perché il mondo è una rete di or-dini ricevuti e fatti, perché nessuno più produce ilprodotto da solo, quindi nel giro di tre mesi la pro-duzione industriale dell’intero mondo si chiudecome una fisarmonica: si svuotano i magazzini,cassa integrazione e così via. Si dice “sono i con-sumatori”: ma i consumatori non hanno ridotto iconsumi del 25%!! D’altra parte, se andate a ve-dere dove cade di più la produzione industriale, ve-dete che cade tanto più è lontana dal consumo. Inaltre parole, cade l’acciaio e la chimica del 50%, eacciaio chimica producono cose che mia mogliecomprerà fra due anni: quanto acciaio prodotto inquel giorno voi comprate nei negozi? Voi state an-cora comprando acciaio prodotto due anni fa. Secrolla la domanda dei consumatori del 3%, la pro-duzione si adegua per il 3% e lì finisce; ma uncrollo di questa dimensione è un crollo interindu-striale, cioè è l’industria che si chiude come una fi-sarmonica fermando gli investimenti, svuotando imagazzini e riducendo un po’ i consumi. Ma nel-l’alimentare chiaramente i consumi calano del 2%.Il farmaceutico è contro-ciclico: quando le cose51

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Fig. 4

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vanno male i consumi di pillole crescono e quindiil farmaceutico guadagna nei momenti di crisi.Certamente questa contrazione è più grave diquella degli anni ‘30: allora l’industria non si chiusecosì in tre mesi!! Per i paesi industriali come l’Ita-lia è una botta incredibile, spariscono le nostreesportazioni. Ma attenzione: essendo crollate leesportazioni di tutti i paesi del mondo, è come direche sono cadute le importazioni. È il commercio in-ternazionale che si chiude, si sono fermate le naviin mezzo ai mari. Andando a vedere da vicino (vedi Fig. 5) i duegruppi di paesi, emergenti e avanzati, scopriamoche per loro è stata una pausa, ne sono già fuorida un pezzo.

La ripresa è stata rapida: la crisi non nasceva inAsia, in Cina, in Brasile; hanno anche loro avuto uncalo temporaneo di produzione industriale, masono già ripartiti ed hanno da mesi superato il mas-simo precedente. In Europa e Stati Uniti invece, l’in-dustria fatica a ripartire. Noi siamo paesi indu-striali da uno o due secoli, quelli sono paesi chestanno diventando paesi industriali e sono untreno lanciato, come eravamo noi uno o due secolifa; stanno ripercorrendo la nostra storia, stannocorrendo per raggiungerci, si stanno industrializ-

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Fig. 5

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zando adesso. Sono milioni di contadini che vannoa fare gli operai; noi abbiamo finito di svuotare lecampagne. Il grande punto interrogativo che do-vremo discutere – ma non stiamo discutendo diproblemi seri nel paese; stiamo discutendo del-l’ombelico della politica e non dei problemi seri –è: noi vogliamo restare un paese industriale o no?Io spero di sì, perché l’industria è modernità. L’In-ghilterra e l’America hanno risolto il problema, de-cidendo che basta la finanza, il cervello, le Univer-sità, l’innovazione, eccetera, per continuare acontare nel mondo. Io vorrei sapere se, visto chela Germania ha deciso che vuole restare un grandepaese industriale e che ha fatto tutte le cose giu-ste in questi anni per rimanere un grande paese in-dustriale, a me piacerebbe che in questo paese,semmai ci distraiamo occupandoci per una volta dicose serie, che discutessimo se vogliamo restare –come siamo tuttora, in sofferenza, ma siamo tut-tora – un grande paese industriale. Perché dico cheè importante? Perché da due secoli abbiamo capitoche la modernità in cui viviamo è l’industria, per-ché l’industria, dei tre settori è l’unico che quandoc’è un problema fa ricerca indotta dalla concor-renza e dai prezzi che riflettono le scarsità relative,per superare i nodi che sono emersi. La tecnologiaè endogena e risolve di volta in volta i problemi chelo sviluppo pone. Questo succede solo nell’indu-stria ed è per questo che solo i paesi industrialisono paesi moderni, dove quando hai un pro-blema hai anche la capacità tecnologica per risol-verlo. Certo, devi fare ricerca e sviluppo, devi averecervelli che lavorano sui problemi dell’industria edovresti anche avere un governo – di destra o di si-nistra, non lo so – che fa politiche che tengonoconto di ciò di cui l’industria ha bisogno. Il caso te-desco è emblematico: le riforme le inizia Schroe-der – centrosinistra – e le prosegue la Merkel dicentrodestra, senza neanche una differenza: cioè53

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non ci siamo mai accorti di chi c’era al governo aBerlino, se era il centrosinistra o la destra. Le ri-forme dei due sono di tipo meritocratico. La Mer-kel arriva al governo e aumenta di tre punti l’Iva, dal16 al 19%, anche per finanziare la ristrutturazionedell’industria. Se andate a vedere la struttura dellaricerca e sviluppo, trovate che la Germania ha dasempre, ma le ha potenziate molto, 80 Max-Planck-Institut che sono fondazioni che fanno ricer-che, i cui risultati sono gratuitamente trasferiti al-l’industria. Hanno adottato l’inglese e danno riccheborse di studio per avere i migliori del mondo, astudiare per l’industria tedesca in Germania. Noiavevamo una grande struttura, che era il ConsiglioNazionale delle Ricerche, peccato che non ab-biamo fatto cose analoghe.Qui c’è un problema, come è ovvio: il futuro delpaese. La nostra ripresa (vedi Fig. 6) si è già fer-mata a settembre: dicono in Confindustria che a ot-tobre-novembre probabilmente recuperiamo; ècomunque la più debole del dopoguerra.

È una ripresina fragile, debole. Potete calcolareche, se anche tutto andasse bene, nel 2015 tor-niamo dove già eravamo; la Germania ci sta an-dando nel 2011, l’Asia ha già superato il precedentemassimo. Se estrapolate questo grafico della pro-

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Fig. 6

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duzione industriale italiana (l’ultimo dato a settem-bre è stato però cattivo; ma ignoriamo settembre,assumendo che ottobre e novembre compensinociò, come sembra dalle attuali stime) e tirate unariga dritta – cosa che non dovreste fare, perché disolito nel primo anno la ripresa è più rapida deglianni successivi – ma anche se siete incredibil-mente ottimisti, ritornate solo nel 2015 dove giàsiamo stati. Il che vuol dire che molti dei cassain-tegrati speciali che sono in giro, non ritornano al la-voro, nel 2015. La cassa integrazione è il miglior si-stema quando hai un ciclo economico: l’acqua delmare, come scende sempre risale. Il ciclo econo-mico è come le onde del mare, scende e risale:aspetti e la ripresa ti tocca. Ma le crisi non sonocosì: nelle crisi se fai investimenti e ricerca, ti rim-bocchi le maniche e costruisci il tuo futuro, il futuroce l’hai; se aspetti la ripresa dopo una svolta diquesto tipo, la ripresa non ce l’avrai, semplice-mente altri riprendono e tu no. Questi altri possonoessere l’Italia e ce n’è già molti che vanno bene, ov-viamente. Qual è la regola? Hanno capito il nuovomondo, hanno fatto investimenti, hanno cambiatoi prodotti e trafficano con il mondo. L’identikit dellabuona azienda è che cresce ovunque, a volte an-che in Italia. Ma anche qui non vi dico nulla chenon sappiate già. Il problema è quello italiano ti-pico della filiera delle piccole aziende. In propositola covarianza ciclica è impressionante, il decouplingdagli Stati Uniti non ha funzionato, gli Stati Unitisono ancora il nostro motore. Così non ha funzio-nato, che è la nostra speranza vera per il 2011, nonc’è alcun decoupling tra l’Italia e la zona euro,cioè la Germania. La Germania è partita con espor-tazioni molto forti, ma in questi mesi stanno co-minciando a ripartire i consumi, cioè la domandainterna. Perché anche i tedeschi hanno tirato la cin-ghia per anni, ma non è che hanno una propen-sione masochistica a farsi del male. Anche la Mer-

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kel ogni tanto ha delle elezioni cui presentarsi.Quindi l’unica nota di ottimismo sul 2011 è che fi-nalmente la macchina tedesca torna ad aumentarele sue importazioni e a fare la nostra locomotiva,perché noi avevamo fatto l’euro contando che la lo-comotiva stava lì e l’integrazione procedeva. Quindiquesta è la buona notizia: la Germania sta ripar-tendo, anche come domanda interna. Torniamo allora a ragionare sui problemi impor-tanti. Vi suggerisco di leggere alcune pagine delBollettino Economico della Banca d’Italia, il numero62 che è uscito a fine ottobre 2010, dove da pagina16 a pagina 21 vi prospetta come verrà riorganiz-zata la regolamentazione delle banche con l’ac-cordo preso a Seoul. Primo problema: quanto è giàstato deciso e quanto deve essere ancora decisosul piano della riforma della regolamentazione. Seguardate queste pagine della Banca d’Italia, èchiaro che il disegno generale è già deciso ed an-che i tempi della sua applicazione. Uno dei motiviper i quali nel frattempo la situazione rimane fuoricontrollo, come vedete da come si muovono imercati, è proprio dovuto al fatto che ci sono tempilunghi di adozione di queste nuove regole, chia-miamole “Basilea 3” per intenderci. Diciamo checorreggere i difetti del sistema di avere esageratocon leve finanziarie assurde, avere trasformatotroppo le scadenze ed aver fatto tutto ciò con pococapitale – che sono poi i problemi alla base del fal-limento di molte banche – questi interventi chevengono preordinati e già decisi, entreranno gra-dualmente in attuazione nel periodo 2013-2017.Questo da un lato. Sul piano della revisione delleautorità, da gennaio nascono nuove autorità euro-pee, che sono rispettivamente un organo dedi-cato alla stabilità finanziaria che sta a Francoforte,vicino alla BCE, integrato ed in parte funzional-mente con essa, e poi tre organi sparpagliati in Eu-ropa – uno sta a Londra, uno sta a Parigi e uno stada un’altra parte – che sono i 27 regolatori nazio-

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nali per i tre campi della vigilanza bancaria, dellavigilanza assicurativa e della vigilanza sui mercati.Le 27 Consob, le 27 Banche Centrali e le 27 Isvap,per intenderci. Questi organi europei dovrannocoordinarsi con un processo faticosissimo, peròidealmente dovremmo nel tempo avere una capa-cità di armonizzazione delle legislazioni nazionali,in modo che dal basso dovremmo riuscire a cen-tralizzare. All’inizio è coordinamento tra 27 organisovrani – le 27 Consob – e gradualmente, a forzadi armonizzare le legislazioni, in “n” anni – che nonso definire quanti saranno – avremo forse la Con-sob europea, l’Isvap europeo e così via. Nel frattempo, i due nodi teorico-politici più rile-vanti che vi sottopongo per memoria, sono i se-guenti: il governatore della Bank of England, un ac-cademico prestato alla Banca Centrale da moltianni, che ha vissuto tutta questa esperienza e chene è un po‘ la coscienza critica, non manca occa-sione per ribadire che le banche too big too failvanno fatte a pezzi prima e non dopo il fallimento,cioè non devono esistere. È un po’ dogmatico suquesta cosa, però lo continua a dire ed a scrivere:se è too big too fail l’azzardo morale che c’è den-tro è del tipo: “posso correre qualunque rischio,tanto mi salveranno”. Pensate alle banche irlandesi:sono cresciute con una dimensione incomparabilerispetto alla base territoriale, cioè facevano tuttomeno che occuparsi delle imprese irlandesi; percrescere così tanto è chiaro che stavano prestandosoldi al mondo e non alle aziende locali. Questebanche sono talmente cresciute, con un attivo cheera la metà del PIL irlandese, che poi il governo ir-landese due anni fa ha dovuto dargli un salvacon-dotto: “vi salveremo sicuramente”. Quindi è diven-tato rischio-paese ciò che era rischio-bancario e allafine qualcuno ha fatto saltare il governo irlandese,che ovviamente si è dimesso ed è andato a casa.Questo errore di dare salvacondotti a banchetroppo grosse, non è il vostro problema, ma voi su-57

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bite comunque indirettamente le conseguenze diuna situazione in cui alla fine, se è rischio-paese,il rischio è di tutti. Anche la banca piccola e sanain Irlanda, se per sbaglio fosse rimasta, soffre di im-magine e di sostanza moltissimo, dopo un episo-dio come questo. Allora il too big too fail rimaneun enorme punto interrogativo. Al momento letoo big too fail sono state salvate, cioè sono ban-che quasi pubbliche, c’è dentro il governo comeazionista, a Londra come a New York. Come neusciamo? Facendole a pezzi e rimettendole sulmercato, o no? L’altro grande quesito, che rimane irrisolto, è se tor-niamo a ciò che avevamo imparato negli anni ’30,cioè che la cosa pericolosa non è il banchierequando fa fidi, ma è quando la mattina fa fidi e ilpomeriggio prende posizioni sui mercati. Quindigioca sui due tavoli del credito all’impresa che co-nosco e del mercato su cui uso altre informazioni,per prendere posizioni speculative. Nella letteraturaquesta è il Glass-Steagall, la legge che negli anni’30 separò la Banca di Credito Commerciale, la nor-male banca come voi, da chi prende posizioni suimercati, si chiami Lehman, Goldman Sachs o altribei nomi che prendono posizioni speculative. L’ideadel Glass-Steagall è stata però abolita in tutto ilmondo, cioè noi siamo tornati negli anni ‘90 a ri-mettere sotto lo stesso tetto – con muraglie cinesisottilissime e perforabili – il direttore di filiale chedà credito all’impresa, di cui ben conosce pregi edifetti ed è in grado di valutare quel credito per laprobabilità che ha di portarlo a casa, e i ragazzottidi trent’anni che hanno voglia di avere la Porschea Natale. Per inciso, mi dicevano che le vendite diPorsche negli ultimi mesi a Londra sono tornate acrescere alla grande, perché i bonus arrivanoquando si fanno speculazioni e si fanno soldi. Tuttiquesti giovanotti stanno speculando, sparando suipolli che passano e portandoli a casa per le lorobanche, facendo profitti enormi, giocando sulle

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debolezze reciproche dei vari paesi e così via, ed èil gioco di questa speculazione. L’ideale di questitempi è che voi andate lunghi su materie prime –oro petrolio, eccetera – e corti sui debiti sovraniavendo così una posizione complessiva equili-brata: potete solo vincere da ambedue le parti. Ilmondo va bene e quindi fate i soldi sulle specula-zioni, lunghi su materie prime, energia ecc., e dal-l’altra parte i governi europei non fanno squadra equindi si specula a ribasso sull’euro.Allora il problema, di nuovo, è che nessuna bancaè fallita in questi anni perché non sapeva fare il suomestiere. Avrà avuto più o meno sofferenze, avràavuto più o meno ricavi, ma il banchiere che siabanchiere vero non ha perso, in questo caos degliultimi anni. Quello che è stato pericoloso e che ri-mane il problema teorico, pratico e politico da ri-solvere, è fare finanza e contemporaneamentenello stesso edificio valutare l’affidabilità di un’im-presa cui far credito, tenendo sui tuoi libri quel cre-dito e quindi facendolo col buon senso e non soloper far soldi da tutte le parti. Questo mestiere èbene che rimanga come dopo il ’99? Formalmenteil Glass-Steagall fu abolito in America nel ‘99, magià negli anni precedenti si davano eccezioni.Quindi diciamo che tutta la bolla anni ‘90 e succes-sivi, è da post Glass-Steagall, da grandi interme-diari che fanno tutto: quello che sanno fare benelo continuano a fare, ma poi falliscono se dall’altraparte hanno preso posizioni speculative. Se falli-scono vengono salvati e quindi conviene sempreosare molto. È chiaro che questo problema va ri-discusso. Purtroppo, come dicevo, da noi la politicanon si occupa dei problemi del paese, ma di sestessa ed è quindi difficile discutere di queste coseperché non hai interlocutori. È chiaro che dovremotornare a decidere quale sia il desiderabile futuro:restiamo un paese industriale; la nostra forza sonole nostre aziende; e il credito è a quella crescita chedeve servire? Spero che la risposta sia positiva. 59

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Buongiorno a tutti,questo nostro Convegno, del tutto opportuna-mente in questo momento storico, ci prospetta iltema dell’autoregolamentazione. L’autoregolamentazione si contrappone all’etero-regolamentazione, vale a dire alla predisposizionedi regole e norme da parte di soggetti diversi daquelli destinati ad applicarle. I soggetti e le fonti della normazione sono tantonumerosi da dar luogo ad una vera e propria “al-luvione normativa”: abbiamo la fonte comunitaria,che è alla base di circa l’80% delle nostre leggi,molto spesso portatrici di principi difficili da inse-rire nei vari ordinamenti. Il nostro, in particolare,ha sofferto dalla importazione di norme, scrittecon criteri, anche dal punto di vista tecnico, diversida quelli propri delle grandi legislazioni continen-tali come la nostra, quella francese o quella tede-sca. Si tratta quasi sempre di norme sostanzial-mente di disciplina, con uno scarso impianto ditipo sistematico, difficili da collocare e dunque dainterpretare nel quadro del resto dell’ordinamento.Abbiamo poi la normativa primaria, quella elabo-rata dal Parlamento, dalle strutture deputate delnostro sistema ad emanare norme di legge insenso sostanziale. Abbiamo la disciplina di tipo regolamentare, di se-condo grado, che integra la disciplina primaria eche è estremamente importante, alla base della

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Salvatore MaccaronePresidente di Banca Fideuram e di Sef Consulting

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quale, peraltro, vi è un disegno che non è semprecoerente e che genera, anch’esso, difficoltà di ap-plicazione, non solo in chi è destinatario delle re-gole, ma anche in chi cerca anche solo di capirleed interpretarle. Si verificano anche spesso, e que-sto è accaduto recentemente, sovrapposizioni dicompetenze tra le varie Autorità, con creazione an-che di conflitti o di concorrenza tra di esse. Un esempio tipico delle difficoltà di gestione del-l’apparato normativo è rappresentato proprio dalTesto Unico Bancario, che è il complesso di normeal quale più spesso facciamo riferimento nel no-stro lavoro: la Banca d’Italia ha compiuto unosforzo encomiabile nel pubblicare nel suo sito – ècosa di un paio di settimane fa – un Testo UnicoBancario aggiornato ad agosto 2010, ma anchequesto testo, pur così recente, non è più buono,perché dopo quella data ad esso sono state appor-tate nuove modifiche, anche molto importanti.Credo non esista oggi una fonte ufficiale in gradodi fornire a chi deve applicarlo un Testo Unico Ban-cario coordinato e quindi completo in tutte le suemodifiche, al quale affidarsi, con la fiducia che siaquello attualmente in vigore . Siamo dunque di fronte al rischio reale e concretodell’eccesso di regole, anche se paradossalmente,in occasione della crisi che ha investito il sistemafinanziario mondale, da parte di molti si è affer-mato il bisogno di nuove regole; sono un giuristae non un economista, ma ho la certezza che le re-gole vi fossero e che fossero anzi anche troppe,ma che esse non sono state applicate corretta-mente. Gli ordinamenti sovraccarichi di regole sono social-mente costosi, sono inefficienti e credo che que-sto sentimento sia condiviso da molti ed anchedalle Autorità che vigilano sul nostro sistema. An-che il Presidente f.f. della Consob, qualche giorno

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fa a Milano, nel corso di un convegno sulla finanzacomportamentale, ha sottolineato la gravità dei di-fetti della disciplina del mercato mobiliare, pur cosìinnovativa. Le Autorità stanno cercando – ed effettivamentefanno questo con impegno e con grande consape-volezza istituzionale del loro ruolo – di promuo-vere sempre più il sistema della consultazione, inmaniera da raccogliere le indicazioni che proven-gono dai destinatari delle regole e più in generaledai portatori di interesse.Il punto, tuttavia, è che il costo della regolazioneper il sistema bancario è comunque elevatissimoe lo e’ ancor più per le banche più piccole, desti-natarie delle stesse regole delle banche più grandi,ma che non hanno strutture comparabili, con laconseguenza che per esse il peso delle norme edella loro inosservanza spesso è insopportabile. Occorrerebbe una maggiore attenzione al criteriodella proporzionalità, che dovrebbe animare sial’applicazione delle norme, sia la loro stessa gra-duazione precettiva. Vi è poi in altro tema, legato al fatto che la mag-gior parte delle regole riguarda il mercato retail,quello che è più prossimo all’attività delle banchedi credito cooperativo: in questo mercato, l’azionedi tutela dei consumatori è molto forte, gene-rando forti costi di compliance da parte degli in-termediari, che non sono assorbiti per effetto dellapolverizzazione delle operazioni e quindi da costidi distribuzione tendenzialmente elevati. Tra l’altro, i costi che questo sistema genera nonsono sempre proporzionali alle reali esigenze ditutela che quelle norme dovrebbero soddisfare; visono spesso anche ragioni di vantaggio politico,political gains, che sono alla base di alcune normee che producono un impatto molto favorevoleper chi le propone, ma che sono fonte di costi no-63

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tevoli e talvolta del tutto inutili per le banche, so-prattutto per quelle piccole. Vi sono ancora i vari strumenti a presidio della fasedi contraddittorio, di litigation, che sono stati co-stituiti presso la Banca d’Italia, l’Autorità Garantee la Consob.Sul piano generale, comunque, a me pare che laconsapevolezza che sembra emergere, e checredo sia anche favorita dalle Autorità, sia quelladella opportunità di promuovere processi di auto-regolamentazione, una regolamentazione pro-mossa dagli stessi utenti delle regole. Per il creditocooperativo questo approccio mi pare assoluta-mente consigliabile, o comunque dovrebbe esserefavorito, proprio perché il credito cooperativo hauna posizione all’interno dell’ordinamento giuri-dico generale, ma in quello del credito in partico-lare, diversa dalle altre banche, per effetti del le-game con il territorio, di cui tante volte parliamoe sentiamo parlare, che non è semplicementeun’attitudine funzionale, ma un elemento struttu-rale e quindi giuridico delle banche di creditocooperativo. Esse sono disciplinate in un certo modo, perchésono legate al territorio ove operano. Allora, se, come sono convinto, il ricorso all’auto-regolamentazione sia opportuno, essa può appli-care a tre livelli diversi della vita del sistema delcredito cooperativo: a livello di sistema nel suocomplesso, a livello societario – cioè delle singoleBanche di Credito Cooperativo come società – ea livello dell’attività d’impresa delle banche.

Le banche di credito cooperativo a livello di sistema

Come ho appena detto, hanno un ruolo e un po-sto particolare nel nostro ordinamento, perché il

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loro legame con il territorio, e quindi anche la po-tenziale limitatezza della loro capacità di espan-sione, necessariamente richiede la presenza distrutture di sistema. Sono strutture che integranola capacità delle banche e creano la rete, di cuitante volte avete sentito parlare, e che è indi-spensabile perché le banche di credito cooperativopossano svolgere la funzione che è a loro asse-gnata. Questa rete si manifesta a vari livelli, attraverso leFederazioni regionali, in primo luogo, e le strutturecentrali, sia imprenditoriali che istituzionali. I fondidi garanzia sono la manifestazione normativa diquesta diversità, di assetto, di queste esigenzeparticolari della categoria, perché, come sapete,essi sono fondi diversi da quelli del resto del si-stema. Il resto del sistema ne ha uno soltanto, perlegge obbligatorio, mentre il credito cooperativone ha già due e ne sta studiando un terzo, fonda-mentale, che probabilmente assorbirà uno deidue e che avrà una rilevanza straordinaria: il Fondodi Garanzia Istituzionale, di cui credo parlerà il Pre-sidente Azzi. Il FGI è uno strumento di garanzia della solidità delsistema e fa applicazione proprio dei principi dellamutualità: la capacità dell’insieme di sostenere lesingole parti del sistema. Se le caratteristiche del credito cooperativo sonoquelle che ho sommariamente indicato, esse de-vono anche indurre a valutazioni e i giudizi diversirispetto a quelli che si riferiscono alle altre banche.Credo, in particolare, che le iniziative di autorego-lamentazione del credito cooperativo debbanoessere valutate in modo diverso da quello in cuisi valuterebbero le analoghe iniziative di altre ca-tegorie di intermediari e questo non perché si ri-chiede un trattamento di favore, ma perché esisteuna scelta ordinamentale a monte. 65

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Le banche di credito cooperativo sono disciplinatedal nostro sistema in un modo diverso da quellodelle altre banche e se non si creasse una corri-spondente distinzione sul piano dell’interpreta-zione e dell’applicazione delle regole, si creerebbeallora una situazione di contrasto con l’ordina-mento primario. Le Federazioni regionali, in par-ticolare, hanno un ruolo essenziale nell’assistenzae nella integrazione della capacità di impresa dellesingole banche di credito cooperativo; ricordavaPaolo Grignaschi quanto viene fatto in sede di Fe-derazione con l’esternalizzazione di funzioni es-senziali, come quelle dei controlli interni, audit ecompliance. Il contributo delle Federazioni è un contributoche deve essere salvaguardato, perché altrimentile banche di credito cooperativo che vi apparten-gono non riuscirebbero a svolgere la loro fun-zione. Lo ricordava l’amico Francesco Liberati, chepure è al timone della più grande banca di creditocooperativo, e diceva lui stesso “senza l’accompa-gnamento del sistema noi faremmo meno”. Un settore, in particolare, nel quale a mio parerele Federazioni dovrebbero poter esercitare la lorocapacità di assistenza e di consiglio delle banchedi credito cooperativo, è anche quello dell’aiutodelle singole banche appartenenti nelle loro sceltedi insediamento territoriale. Le Federazioni hannouna visione complessiva e approfondita del terri-torio e potrebbero essere di grande ausilio per evi-tare scelte di espansione non sufficientementemeditate e talvolta fonte di danno.

L’autoregolamentazione a livello di organizzazione di governo

Anche a questo le banche di credito cooperativostanno lavorando. Gli organi di categoria hanno re-

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datto, ed hanno poi approvato per proporre allesingole BCC, lo Statuto tipo. Si tratta di un eserci-zio importante che è anch’esso è manifestazionedella diversità del sistema del credito cooperativo;il procedimento autorizzativo previsto dal TestoUnico Bancario è, come sapete, facilitato se gli sta-tuti delle singole banche sono conformi al modelloelaborato dalle strutture di categoria ed approvatodalla Banca d’Italia. La elaborazione di un nuovo statuto si è resa ne-cessario per soddisfare esigenze normative nuove,ma anche per ammodernare il sistema di governoe rendere i processi decisionali più efficienti. Occorre tuttavia un avvertimento: le banche dicredito cooperativo impegnate in questo lavoronon possono e non devono essere destinatarie diobblighi più severi o di limitazioni ulteriori rispettoa quelli delle altre banche. Se questo accadesse,si verrebbe a creare un handicap concorrenzialedel tutto inaccettabile e completamente ingiusti-ficato. Le banche di credito cooperativo, sul pianodella loro organizzazione, sono banche come le al-tre: sono società cooperative allo stesso mododelle banche popolari e non possono essere ri-dotte nella disciplina a soggetti di secondo grado,attraverso limitazioni che altri invece non soppor-tano. Si squilibrerebbe oggettivamente il sistema. Pertanto, nel momento in cui l’esame di merito diqueste proposte sarà fatto, è auspicabile che chiavrà il compito di verificarle tenga anche conto delfatto che eventuali discriminazioni non sarebberoin alcun modo giustificate. Quali sono i temi del rinnovamento statutario? Milimito semplicemente a ricordarne alcuni: la disci-plina del recesso e dell’esclusione, in funzioneanche della computabilità delle azioni emessedalla banche di credito cooperativo nel patrimo-nio; il ricambio nella composizione del consiglio67

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di amministrazione; la riduzione del rischio diconflitto di interessi; il fido massimo concedibilee così via. Anche sulla base dell’esperienza appli-cativa dell’attuale statuto tipo.

L’autoregolamentazione nell’attività di impresa

In questo campo le esigenze del credito coopera-tivo sono più simili a quelle del resto del sistema.L’autoregolamentazione dell’attività è un’esigenzache tutto il sistema bancario avverte, nell’inte-resse del quale l’ABI ha assunto varie iniziative inquesto settore. Per le banche di credito cooperativo esiste anchequi una qualificazione propria in termini di oppor-tunità ulteriore, perché essendo mediamente ban-che piccole, esse soffrono il peso di alcune normeche riguardano la loro attività in maniera superiorea quella delle altre banche. In questo campo, stiamo tra l’altro assistendo adun fenomeno particolare, non del tutto positivo,vale a dire l’intervento normativo sui contratti. Fino ad un certo momento della nostra storia, lenorme, primarie e secondarie, hanno disciplinatola trasparenza e le modalità di redazione e conclu-sione dei contratti, ma non erano mai arrivate alpunto di interessare il contenuto dei contratti.Questo è invece accaduto con le ultime norme, edè accaduto anche in modo pesante: un decreto le-gislativo di quest’anno, che ha dato attuazione aduna direttiva in materia di contratti di credito alconsumo, ha introdotto un principio assoluta-mente nuovo nell’assetto dei poteri e della vigi-lanza, attribuendo alla Banca d’Italia – nell’ambitodelle le finalità generali della vigilanza, indicatedall’art. 5 del Testo Unico Bancario – anche la tra-sparenza e la correttezza dei rapporti con la clien-tela.

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Questa novità genera immediatamente la neces-sità della verifica dei confini tra le nuove compe-tenze della Banca d’Italia e l’attività e il ruolo del-l’Autorità Garante. Una disposizione, in particolare, mi ha molto col-pito, sembrandomi difficilmente giustificabile; miriferisco al potere attribuito alla Banca d’Italia il po-tere di ordinare agli intermediari la restituzione disomme indebitamente percepite, sostituendosicosì all’esercizio di un diritto spettante all’altrocontraente. Si tratta probabilmente – come già è accaduto inaltri settori dell’attività bancaria – di una reazionedell’ordinamento, a fronte di eccessi che la storiaoggettivamente ha mostrato. In effetti, il momento negoziale, quello vero di trat-tativa, nella conclusione dei contratti bancari (maper vero anche in altri settori della contrattazionedi massa), non è probabilmente mai esistito. Neitempi oscuri in cui le banche redigevano congrande libertà i contratti da far accettare e conclu-dere ai loro clienti, il potere negoziale era ogget-tivamente nelle mani dell’industria bancaria. Successivamente, quando la giurisprudenza hacominciato ad affermare l’illegittimità di alcuneprevisioni contrattuali, si sono poste le basi per unaltro e opposto fenomeno: vale a dire il passaggiodel potere negoziale è passato allo Stato, che lo hatolto ad entrambi, sia alle banche che ai loroclienti. Oggi è la stessa la legge che in molte oc-casioni indica quale debba essere il contenutodei contratti. In tutto ciò si inserisce un altro elemento che èfonte di preoccupazione e che va anch’esso atten-tamente valutato, quello cioè del rischio di un ec-cesso di informazioni nei confronti del mercato. L’informazione in eccesso non ha nessuna capacitàinformativa, perché l’informazione utile si disperde69

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in una grande quantità di informazioni inutili o ad-dirittura fuorvianti. Ricordo, ad esempio, la disci-plina della MiFID che ha creato una non piccoladose di sconcerto; come sapete che la MiFID hadisciplinato ex novo il mercato mobiliare ed i ser-vizi di investimento, disponendo spesso l’obbligodi adempimenti che i soggetti che ne sono desti-natari non capiscono e che gli intermediari che lirealizzano interpretano fondamentalmente comeuna formalità, come un adempimento di tipo libe-ratorio. A me pare, ma per la verità anche a molti altri, chesia necessaria una semplificazione drastica del si-stema. La Banca d’Italia, dal canto proprio, nellenorme e disposizioni in materia di trasparenza hadato indicazioni concrete ed autorevoli su questopunto. L’informazione perché sia utile deve essere com-presa, non può essere un messaggio, magari tec-nicamente perfetto, ma incomprensibile per lacapacità che ha il suo destinatario di valutarlo dalpunto di vista del suo contenuto. Vi sono state iniziative diverse di concertazione trail settore bancario e le Autorità, con grande aper-tura da parte di tutti e con fortune alterne, comebel caso del Consorzio Patti Chiari, che tuttavia, an-che di concerto con l’Autorità Garante ha pro-dotto alcune misure che si muovono efficace-mente in questa direzione. Se questo processo si semplificazione si riuscissea portarlo avanti in maniera appropriata, credo cherealizzerebbe veramente un risultato apprezza-bile, secondo la tecnica di un processo di regola-zione proveniente dal basso. Le categorie ed iportatori di interessi, come debitori di informazionio di disciplina, e i destinatari della disciplina, siconfrontano e “fanno i conti tra di loro”: oggi i con-sumatori si sono dotati di un sistema rappresen-

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tativo assolutamente efficiente e quindi se si con-frontassero, come stanno facendo, nella fase delprocesso normativo con le altre parti e poi propo-nessero congiuntamente alle Autorità i principiche sono dal loro comune punto di vista soddi-sfano le esigenze dell’uno e dell’altro, io credo chepotrebbe arrivarsi ad un sistema di autoregola-mentazione effettivamente efficiente, con vantag-gio per tutti i soggetti dell’ordinamento, qualeche sia la loro posizione.Vi ringrazio.

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Vorrei ringraziare il Presidente Liberati per avermidato l’opportunità di esprimere il punto di vista del-l’Antitrust sull’autoregolamentazione. Però, prima dirispondere alla domanda della direttrice AngelaMaria Scullica, vorrei fare alcune considerazioni inmerito ad alcune idee che mi sono state suggeritedalla bella lezione del prof. Vaciago e dalla rela-zione del prof. Maccarone. In realtà molte dellecose che dice il prof. Vaciago dipendono dal con-testo in cui le nostre aziende manifatturiere si tro-veranno ad operare. È chiaro che la scelta indu-striale italiana deve avere una serie diconseguenze, non solo sullo stretto terreno indu-striale: se noi siamo la seconda potenza indu-striale d’Europa, per mantenere questa posizioneal seguito della Germania dobbiamo predisporreun habitat nel quale sia consentito alle nostre fab-briche di prodotti manifatturieri di avere competi-tività rispetto alle concorrenti dei paesi vicini. Que-sto significa un sistema concorrenziale adeguatoall’interno per quanto riguarda l’energia e perquanto riguarda i servizi di cui l’industria manifat-turiera ha bisogno. Devo anche dire che io vedo dibuon occhio le nuove Autorità che si stanno pre-parando ad agire in Europa; però voglio precisareche questa opportunità può avere – come nelgioco del Monopoli – anche delle penalità: po-trebbe essere una penalizzazione per i nostri rego-lati – e questo è un discorso che vi interessa moltoda vicino – qualora le nostre Autorità presenti a73

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Antonio CatricalàPresidentedell’Autorità Garantedella Concorrenza e del Mercato

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Francoforte, presenti a Parigi o a Londra, non ab-biano la capacità tecnica, ma direi anche caratte-riale e personale di imporsi. Noi italiani moltospesso abbiamo la tendenza ad abbassare la testadi fronte alle esigenze dei paesi forti e che – guardacaso – sono riusciti ad avere anche la sede di que-ste Autorità. I rapporti tra l’Antitrust e il mondo delCredito Cooperativo, sono stati finora caratterizzatida una vivace dialettica; non ruvida, ma vivace, per-ché alcune caratteristiche di questo mondo sonoborder-line rispetto alle regole tipiche dell’Anti-trust. Alcune le ha dette il prof. Maccarone, altresono ben note: il fatto che ci sia il voto capitario, ilimiti di numero minimo dei soci a non meno diduecento, il fatto che nessun socio possa avereazioni superiori a 50.000 euro, la clausola di gra-dimento per il voto in assemblea, alcuni vincoli dioperatività, sono stati ritenuti dall’Autorità Anti-trust limiti alla contendibilità e all’efficienza effet-tiva di questo sistema. Però i numeri, li ha dettibene il Presidente Liberati, li abbiamo sentiti nellarelazione di qualche tempo fa del Presidente Azzi,francamente danno ragione a questo mondo, nonsulle regole, ma quantomeno sull’efficienza, perchénon si può negare che il credito cooperativo sia cre-sciuto, sia cresciuto bene e in maniera sana. Quindimolte delle idee pregiudiziali dell’Antitrust non de-vono impedire ma stimolare il colloquio – comepoi è nel mio costume, che è quello di esseresempre pronto al dialogo con le imprese e mai inuna posizione di contestazione. Basta dire che i fi-nanziamenti sono saliti nel periodo della crisi sia afavore delle famiglie consumatrici sia a favore delleimprese, in maniera superiore rispetto al resto delmondo bancario. Parliamo di una media dell’8%tra 14%, 8% e 6% per le tre categorie, laddove ilsistema bancario nel suo complesso in quel pe-riodo di crisi cresceva solamente dello 0,3%: vuoldire che il localismo, questo attaccamento al terri-

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torio, non è poi una scelta così sbagliata e che ap-partiene alla nostra cultura e ha dato frutti. Di que-sto bisogna rendersi conto, i dati parlano da soli,non hanno bisogno di tanti commenti.Mi hanno chiesto di parlare del tema dell’autore-golamentazione. Questa parola di per sé mette inallarme l’Antitrust. Voi mi capirete, quindi non vo-glio fare il guastafeste. Però devo mettere alcunipuntini sulle i: autoregolamentazione corrispondeun po’ ad autonomia e questo è il lato positivo.L’autonomia significa libertà e quindi va benissimoquando significa libertà. Però autonomia viene eti-mologicamente dal greco autos nomos, cioè capa-cità, potere di autovincolarsi, di imporsi una normadi condotta, non dal di fuori, ma come scelta en-dogena. Qui francamente una certa preoccupa-zione l’Autorità Antitrust la deve avere. Avere delleregole che una categoria si fa da sola, può darluogo ad un sospetto non dico fondato, ma credi-bile, ragionevole, di comportamenti magari noncollusivi, però anticoncorrenziali o restrittivi, questosì. Ma quando accade questo? È importante capireche non si tratta di contrastare una parola o di con-trastare un metodo, perché il metodo potrebbe es-sere buono ed anche la parola potrebbe esseregiusta. Anche il giudizio potrebbe essere positivo,ma quali sono i limiti? Che cos’è che preoccupa ef-fettivamente l’Antitrust? Una autoregolamentazioneche non vincoli le scelte strategiche delle aziendee non vincoli le scelte commerciali non è anticon-correnziale, va benissimo, riceve il benvenuto nonsolo dall’Antitrust italiana, ma anche dall’Antitrusteuropea. Noi facciamo sempre un’analisi costi-be-nefici per valutare la restrittività di un’intesa e – perdirla tutta – esistono regolamenti comunitari cheprevedono per certi settori un’esenzione dallestrette regole antitrust, a favore del progresso o perla tutela dei consumatori, per la tutela di salute, perla tutela di pluralismo, per la tutela addirittura75

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della qualità di prodotti alimentari. Però mai i re-golamenti comunitari consentono limitazioni al di-ritto antitrust quando si tratta di prezzi e di quan-tità offerte, e su questo dobbiamo essered’accordo. Vedete, perfino lo scambio di informa-zioni su questo punto può essere restrittivo, perchésono le variabili di mercato che devono restare li-bere. Invece sono ammessi alcuni coordinamenti,per esempio, sulle condizioni generali di contratto,sulla trasparenza delle offerte, sulle comunicazionicommerciali, su come devono essere effettuate alpubblico. Tutte le regole di facilitazione del re-cesso e tutto ciò che consente mobilità del consu-matore tra i concorrenti incontrano il favore dell’An-titrust. Quindi l’autoregolazione può andar bene: si trattadi capire su cosa vogliamo vincolarci. Le facilita-zioni, vedete, rispetto alle esigenze della clientelasono consentite, questo l’ABI l’ha capito. L’ABI erala sede storica dell’autoregolamentazione e forseancora lo è. Però dal 2006 l’ABI ha dovuto comin-ciare a confrontarsi – in virtù della legge sul rispar-mio – con l’Antitrust, prima non lo faceva perchéla materia bancaria era sottratta a questo con-fronto; solo con la legge del risparmio 2006 misono visto piombare addosso questa competenza:mi ero insediato da poco, però ho ritenuto che ciòfosse opportuno per il nostro sistema, perché ècosì in tutto il resto d’Europa ed è così in quasitutto il mondo. Non è così in America e abbiamovisto che non va bene che non sia così. Perchéun’Autorità Antitrust forse non avrebbe potuto con-trastare quel sistema di mutui che abbiamo sentitoben raccontare e descrivere didascalicamente dalprof. Vaciago, però avrebbe potuto inserire un ele-mento critico nella valutazione. Del resto noi ab-biamo sempre avuto con l’ABI un buon rapporto eun proficuo colloquio, perché vedete, c’è un rego-lamento comunitario che non consente alle Auto-

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rità nazionali e nemmeno all’Autorità europea – laCommissione – di valutare le intese in via preven-tiva. È una cosa pazzesca, la reputo un’assurdità.L’ho sempre combattuta, ma è pur sempre un re-golamento comunitario, c’era già quando sono ar-rivato. Per cui se un‘azienda, o un gruppo diaziende, viene a chiedere all’Autorità: “posso farequesta intesa?”, noi diciamo “è improcedibile la tuadomanda, perché il regolamento non ci consentedi esprimerci”. In altre parole è come dire: tu cam-mina, io mi nascondo dietro il cespuglio e poi tisparo una fucilata alla schiena. Non mi sembra unacosa fatta bene. Però il regolamento c’è, credoche lo abbiano fatto perché erano tante le inteseche arrivavano per l’autorizzazione e, per questomotivo gli uffici non si potevano dedicare a più im-portanti indagini. Del resto, una volta che si dà l’au-torizzazione è come rilasciare una patente di guida;questo non significa che se poi guidi male non vaia sbattere... Non poter dire prima “va bene quelloche stai facendo” oppure “non lo fare, perché c’èproprio un divieto di transito per quella strada”,come tutore di un settore pubblico, mi sembraun’assurdità. E allora ho sempre interpretato lafunzione in questo modo: è improcedibile la tuadomanda, però siccome ho notizia che stai fa-cendo questa operazione ti dico: “attento a destra,attento a sinistra e guarda il semaforo”. Lo ab-biamo sempre fatto. Laddove invece non abbiamorilevato nessuna criticità, abbiamo detto: “ci sem-bra che l’intesa non vada contro i principi, ma re-sta ferma la nostra vigilanza” senza indicare nes-suna specifica criticità. Questo naturalmente miha consentito un rapporto di preventivo colloquiocon il mondo delle imprese che un’Autorità Anti-trust deve avere. Se si devono fare solo contravven-zioni si possono assumere 15 vigili urbani e si diceloro di fare le multe. Bisogna avere una sensibilitàdiversa, non il desiderio di aggredire e multare.77

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Patti Chiari ha avuto un riconoscimento di valore daparte dell’Antitrust. Per la verità all’inizio non eranocosì chiari: se si andava sul sito e si cercava qualepoteva essere la banca nella quale conveniva aprireil conto corrente, trovava difficoltà anche unesperto. Però poi piano piano il meccanismo è mi-gliorato. Quindi nella sostanza l’esperienza PattiChiari è una buona esperienza. Certo, c’è il casoLehman Brothers, e questo è uno di quei nei cherestano: anche dopo il fallimento la Lehman rima-neva tra i titoli sicuri, con le tre A: è una disatten-zione, non possiamo immaginare che sia un fattovoluto, ce lo auguriamo. Ho visto che per PattiChiari è migliorata la governance: adesso non di-pende direttamente dalle banche; anche lo stru-mento di ricerca può essere apprezzato di più dal-l’Antitrust, che però resta attenta, perché i possibilirischi collusivi ci sono. Abbiamo anche approvatol’iniziativa “Investire informati” che ci è sembratabuona e abbiamo promosso la moratoria dei mu-tui con due avvertenze: la prima che ci potesse es-sere la possibilità per le banche di offrire nellamoratoria condizioni migliori, perché si può fareanche nella moratoria una certa concorrenza. Laseconda è che ci fosse chiarezza e precisione nellacomunicazione dell’onere economico sugli am-mortamenti, perché è chiaro che questo fa partedel gioco della moratoria, è giusto che sia così, èun meccanismo che non può essere in perditaper nessuno. L’iniziativa ha avuto molto successo,perché sono state presentate ben 225.000 richie-ste di sospensione ad agosto, pari a 66 miliardi dieuro, tanto che poi questa moratoria è stata pro-rogata fino a gennaio, mi sembra. 31 mila famigliene hanno goduto sino a settembre di quest’anno:tutto ciò è molto importante anche dal punto di vi-sta sociale, perché ciascuna di queste famiglie haavuto la possibilità di godere in media di 6.300euro in più all’anno nel periodo di crisi. Le Banche

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di Credito Cooperativo – non so se questo dato erastato enunciato – hanno ricevuto 21 mila domandeper un totale di 6 miliardi: ne hanno accolte oltrel’80%, e di questo ovviamente non possiamo nondare atto. Il Presidente Azzi nell’assemblea di Fe-dercasse del 26 novembre ha richiamato il valoredell’autoregolamentazione e l’ha fatto specifica-mente su due ambiti: il primo è sul Fondo di ga-ranzia istituzionale, il secondo è sulla riforma dellagovernance. In realtà sulla riforma della gover-nance l’Antitrust non ha molte informazioni ed ioper questo mi riprometto di conoscere più a fondoquali sono i suoi orientamenti. Invece sul Fondo digaranzia mi pare che tre siano gli strumenti chevengono immaginati: un sistema di informazioneorientato alla prevenzione delle crisi aziendali dicredito, un rafforzamento della liquidità presentenel sistema e un monitoraggio dei sistemi del go-verno societario. Questo era il progetto lungimi-rante che già nel 2006 il Credito Cooperativo avevapensato, cioè prima ancora che si manifestasse unacrisi così grave. Questa idea era stata presentata alivello embrionale all’Autorità. Informalmente l’Au-torità aveva rilevato alcune criticità: soprattutto ilruolo di Federcasse era un po’ troppo forte, perchénel primo esame di quel progetto ci sembrava cheavrebbe potuto incidere addirittura sul livello deirating con i quali le banche si presentano sul mer-cato. Questo naturalmente viene a creare una forzaparticolare di mercato. C’era anche l’idea dell’ado-zione di politiche commerciali comuni per unacentrale di acquisto rispetto alle fabbriche di pro-dotto, e questo poteva anche creare qualche dub-bio per un’Autorità Antitrust. Poi le politiche di re-golamentazione o di programmazione dellosviluppo territoriale potevano dar luogo ad una li-mitazione della concorrenza interna tra le BCCconsorelle, perché per noi le BCC sono imprese inconcorrenza tra di loro: anche se pensiamo che co-79

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stituiscono un sistema non sono un unico gruppoindustriale, e siccome ognuno va per sé, come ègiusto che sia, si devono fare concorrenza. Il pro-getto non andò avanti e dal 2008 non ne abbiamopiù sentito parlare. Abbiamo invece avuto da Feder-casse una bozza dello Statuto e del regolamentosolo attinenti al fondo di garanzia. Francamente ilgiudizio era abbastanza positivo all’epoca, perchéin realtà la finalità era quella di dare maggiorestabilità e liquidità ala sistema delle BCC. Questoè condivisibile: chi può andare contro la stabilità ela maggiore liquidità di istituti bancari? Però c’è unpunto, Presidente, sul quale voglio attirare la suaattenzione: c’è un pericolo di coordinamento con-creto se c’è un organo tecnico che riceve ed ela-bora tutti i dati, ed è diretta espressione dei parte-cipanti. Cioè, se ciascuna delle BCC ha un suorappresentante all’interno di quest’organo tecnico,abbiamo un sistema troppo integrato per l’Anti-trust: il pericolo di coordinamento delle azioni,anche nello scambio informativo, per noi è ecces-sivo. Allora, una possibile idea per venire incontroal grillo parlante che è l’Antitrust potrebbe esserequella di vietare l’accesso all’organo tecnico, airappresentanti degli istituti. Io credo che non siauna richiesta da non valutare e da scartare imme-diatamente. Del resto, vedete, il mondo delle Banche di CreditoCooperativo – che voi conoscete indubbiamentemeglio di me – è un mondo particolarmente affa-scinante, perché ha dimostrato di essere forte-mente aziendalista, imprenditoriale, ma nellostesso tempo con una forte ispirazione sociale,molto legato al territorio. Cioè ha dimostrato, direi,un’etica della propria strutturazione e della propriacultura che è apprezzabile ed anzi potrebbe essereanche un esempio, a dire la verità. Allora noi pen-siamo che, pur non essendo le BCC grandi impresebancarie, pur non essendo i principali attori del

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mercato, possano svolgere quel ruolo di “moscacocchiera”, quell’esempio da seguire nell’indivi-duazione di una serie di regole di trasparenza, dibuoni rapporti con la clientela di cui prima senti-vamo parlare molto sagacemente: cioè di una vi-sione della banca imprenditrice – ci mancherebbeche la banca si metta a fare solo beneficenza – mache abbia a cuore gli interessi anche del cliente, an-che del cliente piccolo, del cliente che qualchevolta va in rosso, ma che alla fine risponde, è fedelee fa di tutto per pagare. Perché la verità è che gliitaliani sono persone che pagano i loro debiti, equesto dobbiamo riconoscerlo in quanto Autoritàe in quanto imprenditori.

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Grazie a tutti. Innanzitutto, prima ancora di entrare nel temadella conferenza odierna, mi corre l’obbligo di pre-cisare che l’ABI ha iniziato a confrontarsi sui pro-blemi antitrust dal 1990, quando è stata istituital’AGCM e i profili della concorrenza nel settorebancario sono stati affidati alla Banca d’Italia. Nelperiodo compreso tra il 1990 e il 2005 la Bancad’Italia ha assunto 57 provvedimenti – tutti dispo-nibili sul sito internet dell’Istituto – riguardanti ilsettore creditizio (23 hanno riguardato le concen-trazioni, 29 le intese e 5 gli abusi di posizione do-minante), un numero elevato nel confronto siacon altri paesi per il medesimo settore sia con glialtri settori economici a livello nazionale. In 15 dei57 provvedimenti assunti – la prima decisione neiconfronti dell’ABI risale al 1994 – l’ABI era una delleparti del procedimento e tra essi vi è la primaistruttoria, in assoluto, a livello sia italiano sia inter-nazionale, sugli aspetti delle norme contrattualiuniformi che ha prodotto un significativo cambia-mento delle precedenti prassi bancarie. A seguitodelle decisioni assunte dalla Banca d’Italia in vestedi autorità antitrust, prodotti largamente utilizzati,quali le carte di credito e di debito, sono stati of-ferti a costi decrescenti; limitandomi alla carta piùdiffusa, il Bancomat nella funzione di strumento dipagamento, ricordo che le verifiche periodichecompiute dalla Banca dal 1998 (anno di lancio delprodotto) al 2005 hanno portato a una significativa83

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CONCLUSIONI

Maurizio TrifilidisDirettore superiore.Titolare dell’unità diCoordinamentod’area e collegamentifiliali della Bancad’Italia

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riduzione del valore della commissione interban-caria, nell’ordine del 30 per cento, che si è trasfe-rita sulle condizioni praticate alla clientela. Da ul-timo, giova ricordare che, fino al 2005, tutte ledecisioni della Banca d’Italia quale Autorità anti-trust sono state assunte anche in base ad un pa-rere esplicito dell’AGCM e, in seguito, le prime de-cisioni dell’Autorità Garante in merito al sistemacreditizio sono state il prosieguo di indagini avviatedalla Banca d’Italia stessa. Fatta questa affermazione, doverosa per ricono-scere il lavoro svolto non solo dall’Istituto al qualemi onoro di appartenere ma anche quello realiz-zato, in efficace collaborazione, dall’AGCM dei pre-sidenti Saia, Amato e Tesauro, voglio dire che sonoparticolarmente contento di essere qui tra voi enon è una frase di circostanza. La mia prima atti-vità rilevante in Banca d’Italia è stata l’ispezione allaBCC di Riano. Dopo un percorso molto tortuoso,trent’anni dopo sono tornato ad occuparmi di BCC,circostanza che mi fa particolarmente piacere per-ché il ritorno alle origini è sempre utile, speciequando si può utilizzare l’esperienza nel frattempoaccumulata. Devo quindi ringraziare il Presidente Liberati peravermi dato questa opportunità. Preciso ancheche nel mio intervento – tenuto conto della mia at-tuale esperienza professionale di interazione contutto il sistema del credito cooperativo– svolgeròalcune considerazioni riferibili all’intero contesto ditale sistema e non specificamente al sistema delleBCC del Lazio, Umbria e Sardegna, che oggi miospitano.Questa mattina sono stato colpito dalla frase diMons. Rosso “camminare per precedere i pro-blemi”: è una bella frase e Mons. Rosso probabil-mente ha inteso dare a quelle parole un senso eun respiro molto più ampio di quello che io adessocercherò di interpretare. Da parte mia, vorrei par-

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lare proprio dei problemi che il credito cooperativodeve precedere, affrontandoli nel modo migliore.Pur essendo consapevole del fatto che il mondodelle BCC esprime numerose punte di eccellenza,come rappresentante dell’Autorità di vigilanza ri-tengo utile soffermarmi maggiormente sugli aspettiproblematici, da migliorare. Dato il tempo a dispo-sizione, lo farò in maniera molto rapida e – mi con-sentirete – anche alquanto diretta e franca. Due premesse mi sembrano necessarie. La prima è nota, ne hanno parlato tutti: la grandeincertezza che caratterizza l’attuale situazione con-giunturale rende le banche più vulnerabili. Nel2009, il numero di BCC in difficoltà che hanno ri-chiesto azioni incisive di intervento della Banca Ita-lia è risultato nettamente superiore rispetto al2008; nel 2010, i casi di aziende in difficoltà sonostati più numerosi di quelli complessivamente rile-vati nel biennio 2008-2009. L’attività di controllo eintervento della Vigilanza sulle banche problema-tiche – attenta anche a distinguere i fattori di fra-gilità strutturali da quelli più direttamente legati almomento congiunturale – si è rafforzata e, in alcunicasi, è sfociata in provvedimenti di rigore. La seconda premessa è che, nell’attuale fase di dif-ficoltà, si sono intensificati i momenti di confrontotra la Banca d’Italia e gli organismi del sistema coo-perativo. Inoltre, da tale interlocuzione emerge amio avviso una significativa convergenza degliobiettivi da perseguire da parte sia della Vigilanzasia del sistema cooperativo: assicurare che il “si-stema BCC” sia sano e prudente, forte ed effi-ciente. Sul fatto che questo sia l’obiettivo a cui ten-dere c’è perfetta identità di vedute. Devo dareanche atto agli organismi del sistema cooperativodi una crescente consapevolezza dei problemi chedovranno essere affrontati per conseguire piena-mente questo obiettivo. Rilevo quindi una cre-scente convergenza anche nell’identificazione de-85

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gli aspetti problematici e, quindi, delle iniziative daassumere per affrontarli. In tale ottica, assumonorilievo due progetti fondamentali, già richiamati piùvolte: il nuovo Statuto-tipo e il Fondo di GaranziaIstituzionale. Su entrambi i progetti vi è un’intensainterlocuzione con la Vigilanza e una significativaconvergenza sui miglioramenti da apportare. Auspi-chiamo che entrambe le iniziative possano esserecondotte in porto in maniera efficace.Questa mattina sono stato colpito anche dalla do-manda posta dal dott. Grignaschi: il peggio è pas-sato? Ora, per quanto riguarda le BCC, poter affer-mare che il peggio è passato dipende anche un po’da come il sistema cooperativo reagirà all’attualesituazione congiunturale. Potremo dire che il peg-gio è passato se il sistema reagirà bene; in casocontrario, gli aspetti problematici potrebbero ancheaccentuarsi.Le principali debolezze sulle quali mi soffermerò ri-guardano la capacità di creare reddito, l’attività dicredito e i profili di governance. Primo punto: capacità di creare reddito. Nell’ultimodecennio abbiamo assistito all’abbassamento deitassi di interesse e alla riduzione dello spread , cir-costanze che hanno determinato una forte pres-sione sui margini reddituali delle aziende bancarie.Le banche hanno reagito cercando di aumentare ilvolume degli impieghi; l’impulso a sviluppare l’at-tività di prestito è stato particolarmente marcatonelle piccole banche, caratterizzate da una minorediversificazione degli attivi e delle fonti di ricavo.Tuttavia, con l’esplodere della crisi finanziaria –che si è poi ripercossa sul sistema reale – si sonoanche manifestati l’indebolimento della domandadi credito e l’aumento dei prestiti con difficoltà dirimborso, in un contesto in cui lo spread fra i tassiha continuato a mantenersi molto basso. Perquanto riguarda il mondo del credito cooperativo,a ciò si aggiunge l’ulteriore fattore di debolezza rap-

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presentato dalla rigidità dei costi operativi, piùmarcata rispetto al resto del sistema. In questa si-tuazione il “sistema BCC” ha visto ridursi significa-tivamente la propria capacità di reddito: nel 2009il ROE complessivo si è più che dimezzato rispettoal 2007. Le forti pressioni sulla redditività e le dif-ficoltà a ritornare sui livelli del passato condizio-nano la capacità di autofinanziamento del sistema,che rappresenta la leva essenziale per manteneree rafforzare la solidità patrimoniale delle BCC. Èquindi essenziale intervenire sul fronte della reddi-tività. Condivido con il dott. Grignaschi l’idea che gliambiti di intervento possano essere molteplici. Milimito qui a ricordarne due, a mio parere molto im-portanti e ai quali il sistema dovrebbe riservaremassima attenzione: incidenza dei costi e dimen-sioni minime delle BCC. Occorre da un lato agireal fine di ridurre i costi, dall’altro condurre una ri-flessione sulle dimensioni delle aziende, avendo ri-guardo a quelle realtà la cui taglia operativa moltocontenuta non consente di perseguire sufficientieconomie di scala. Vi sono due vie per affrontarele tematiche che ho richiamato e spetta al sistemadare la risposta: in alcuni casi, una possibile moda-lità di azione è quella volta a promuovere processidi aggregazione; l’altro modo è rafforzare la capa-cità della rete di fornire quei servizi che permettanoalle aziende più piccole di superare i problemi dieconomia di scala. Entrambe le linee di azioneche ho ricordato sono anche quelle che il sistemapuò gestire in piena autonomia, a differenza di tuttigli altri strumenti di rafforzamento della redditività,più strettamente dipendenti da fattori di contestoe dall’agire di altri soggetti. Altro aspetto rilevante è l’attività di credito. Nelmercato del credito la quota delle BCC è quasi rad-doppiata negli ultimi anni, raggiungendo il 9% delsistema. È stato realizzato un notevole progresso,molte BCC sono riuscite ad acquisire fasce di clien-87

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tela di dimensioni inusitate rispetto al passato esono state rafforzate le strategie volte a incremen-tare i volumi di impieghi. Su quest’ultimo aspettola Banca d’Italia sta conducendo degli approfondi-menti. L’aumento dei volumi di prestiti può dipen-dere da fattori sia di domanda sia di offerta. Ri-guardo alla domanda, molte imprese si rivolgonoalle BCC perché hanno risposte più rapide, più ef-ficaci, perché si ritengono un po’ trascurate dallebanche più grandi e si rivolgono alle BCC ancheperché queste operano sul territorio. D’altra parte,negli ultimi anni si è registrata la diminuzione delcredito erogato alle imprese dalle grandi banche.Dal lato dell’offerta, le BCC hanno intravisto mar-gini di sviluppo e possibilità di conseguire maggioriprofitti e quindi hanno colto questa opportunità dimercato sviluppando azioni commerciali talvoltapiuttosto aggressive, anche puntando sull’offerta diprezzi migliori di quelli offerti dai competitors sullapiazza. Questo processo nel suo insieme è positivo,anche perché è stato accompagnato dalla conside-razione – a livello di organismi di sistema – delleconseguenti implicazioni di rafforzamento degliassetti organizzativi, della governance, dei pro-cessi di selezione e valutazione dei crediti delleBCC. Tuttavia non tutte le BCC hanno saputo benconiugare evoluzione delle politiche creditizie e raf-forzamento degli assetti interni. Inoltre, non va di-menticato che la forza della BCC risiede nella suaconoscenza dell’economia locale, nella sua cono-scenza diretta delle persone che vengono finan-ziate. La forte espansione anche territoriale delleBCC e la propensione a finanziare target di clien-tela di più elevato standing, se non ben governate,possono attenuare o far venir meno questo fonda-mentale vantaggio competitivo: si tratta di unaspetto che richiede molta attenzione. Molto èstato fatto a livello di sistema, però io credo che inquesti ambiti sussistano margini di miglioramento

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per talune BCC, in particolare per quelle della fa-scia più debole. È necessario intensificare gli sforzi,a livello di singole banche e di categoria, per per-seguire questi margini di miglioramento. Soltantoa tali condizioni è possibile che il sistema crescaancora in modo virtuoso. In assenza di tali condi-zioni, una larga fascia del sistema deve rivedere leproprie strategie di sviluppo e condurre un’appro-fondita riflessione sulle difficoltà e i rischi che an-drà ad incontrare nell’attuale contesto di crisi eco-nomica. È quindi necessario riservare massimaattenzione a tutto ciò che governa la concessionee gestione del credito nelle BCC. Si tratta di unpunto fondamentale. Alcune BCC hanno gestitobene lo sviluppo dell’attività di prestito, altre stannocercando di farlo, altre sono ancora un po’ in ri-tardo. Le strutture di categoria devono aiutarle acamminare tutte con la stessa velocità, che deveessere ovviamente anche la velocità più adeguata. Il terzo argomento che vorrei sollevare è quellodella governance. La Banca d’Italia riserva cre-scente attenzione, anche dal punto di vista norma-tivo, al tema della governance, dell’organizzazionee dei controlli interni. In tali ambiti, l’attività rego-lametnare e di controllo della Banca d’Italia tieneconto dell’esperienza sul campo e questo è parti-colarmente vero riguardo al sistema cooperativo.L’esperienza di vigilanza dimostra che, quando inuna BCC ci sono un Presidente e un CdA che inter-pretano correttamente il proprio ruolo, un CollegioSindacale che lavora bene, un Direttore Generalein possesso delle qualità necessarie per lo svolgi-mento dei compiti dell’Esecutivo, e quando questetre funzioni interagiscono positivamente, non si ve-rificano situazioni di crisi. Tutti i casi di crisi di BCCpresentano situazioni ricorrenti: Presidenti cheerano in carica da troppo tempo, Presidenti che oc-cupavano il ruolo del Direttore Generale, o Diret-tori Generali che occupavano il ruolo del Presi-89

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dente, inefficacia dell’organo e delle funzioni in-terne di controllo. Su queste anomalie c’è la mas-sima attenzione da parte della Banca d’Italia. Allora,ben venga la revisione dello Statuto-tipo, se essa,cogliendo le aspettative della Banca d’Italia, sarà fi-nalizzata a rimuovere queste ricorrenti debolezzedella governance delle BCC. Un punto delicato èquello del limite ai mandati dei Presidenti e deicomponenti del CdA: occorre individuare regole ingrado di evitare l’eccessiva permanenza in caricadegli stessi soggetti e tuttavia anche tali da consen-tire di correlare il numero massimo di mandati allaqualità della governance e ai risultati dell’azienda.Quando un’azienda è ben gestita, è bene mante-nere gli organi che ci sono; in caso contrario, nondovrebbe essere necessario aspettare la scadenzadel terzo o del quarto mandato per poter interve-nire, occorre individuare uno strumento in grado diassicurare, quando occorra, il necessario ricam-bio. Nell’ambito del sistema peraltro c’è un’elevatadiversificazione della qualità della governance dellesingole aziende: occorre intervenire per omoge-neizzare il livello qualitativo verso i migliori stan-dards. Il nuovo Statuto, da questo punto di vista,rappresenta un banco di prova della capacità cheha il sistema di autoregolamentarsi, di indirizzarsiverso i modelli più sicuri, di rafforzare il ruolo deicomponenti del CdA e del CdA nel suo complessoe quello del Collegio Sindacale, di innalzare glistandards di indipendenza del CdA. L’esperienza divigilanza evidenzia come talvolta i problemi gestio-nali delle BCC siano legati allo svolgimento di in-carichi esterni, talvolta anche politici, da parte deicomponenti del CdA. Non è facile conciliare ilruolo di presidente o amministratore di una BCC equello di esponente politico, specialmente nellepiccole realtà dove maggiore è il rischio che siconcretizzino condizionamenti e conflitti di inte-resse: in questi casi, è bene prevenire i problemi

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che potrebbero derivarne piuttosto che risolverlidopo che si sono manifestati. Un altro punto im-portante che vorrei accennare sempre in tema digoveranance è quello della selezione/qualità delmanagement. Le BCC tendono a preferire le solu-zioni interne, che è un orientamento assoluta-mente condivisibile. A mio avviso, la scelta delmanagement dovrebbe favorire soluzioni che siano“interne” non soltanto nell’ambito della singolaazienda, ma anche, in qualche modo, rispetto al si-stema del credito cooperativo, assicurando ancheuna certa mobilità all’interno della categoria. In di-versi casi, le BCC hanno fatto ricorso a manageria-lità esterne al mondo del credito cooperativo: sicu-ramente queste managerialità hanno apportatoelementi positivi nel mondo delle BCC, ma moltospesso si sono rivelate prioritariamente votate adaspetti commerciali, dando luogo ad azioni che allafine non hanno sempre giovato alla reputazione eal sano sviluppo delle BCC. La qualità della diri-genza è un punto fondamentale e deve essere unpatrimonio del sistema. Faccio un esempio calci-stico: pensate alla squadra del Barcellona. Il 90%dei giocatori del Barcellona è rappresentato daelementi provenienti dal vivaio: ecco, questo po-trebbe essere un modello. Gli ambiti sono diversima anche nel sistema BCC sarebbe utile disporredi una struttura preposta allo sviluppo, per le di-verse posizioni, delle figure manageriali delle ban-che della categoria. Ho così esaurito i tre principali punti che intendevotoccare.La presenza del dott. Catricalà, oltre a stimolare ladiscussione di alcuni aspetti di tutela della concor-renza negli anni trascorsi, ha stimolato anche al-cuni problemi attuali delle BCC. Un punto impor-tante da sottolineare è che gran parte dellaclientela di BCC ne anche è socia. In questo c’èuna differenza forte che va valorizzata, rispetto agli91

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altri istituti di credito. L’altro aspetto importante,per i profili di concorrenza, è che le BCC possonoessere viste da due punti di vista diversi: innanzi-tutto sono il competitore locale delle Poste e dellepiccole banche. Però c’è l’altro punto di vista, in cuisono il competitore locale non solo dei soggetti ci-tati, ma anche del sistema bancario nel suo com-plesso. Le BCC, come abbiamo già visto prima daidati, allo stato attuale hanno raddoppiato il nu-mero di sportelli, hanno aumentato il numero diaddetti, sono diventate ancor di più un’istituzioneradicata sul territorio: se noi lo ritenessimo un sog-getto unitario, sarebbe un gruppo che si colloca aun livello significativo nel sistema. Nel suo in-sieme è una struttura che può fare concorrenza aigrandi gruppi bancari e al sistema creditizio nelsuo complesso; per questo sono indispensabili glistrumenti di rete. Sicuramente, come diceva giu-stamente il dott. Catricalà, non si possono fare ac-cordi sui prezzi, non si possono fare accordi sullaripartizione dei mercati, vietati dalla normativaantitrust. Ma tutto ciò che rafforza la capacità con-correnziale del sistema nel suo insieme, è qual-cosa che deve essere anche visto in maniera pro-competitiva. Riguardo al Fondo di Garanzia Istituzionale, cherappresenta un passaggio molto importante per ilsistema BCC, ritengo che sia necessario svolgereapprofondimenti nell’ambito di un confronto ditaglio sia politico sia tecnico con tutte le Autoritàpotenzialmente coinvolte. Sicuramente il Fondodi Garanzia Istituzionale è un’iniziativa che rafforzala rete, rafforza l’unità del sistema BCC e, quindi,rafforza le connotazioni di “gruppo”. È comprensi-bile che essa susciti attenzione sotto i profili anti-trust. È altrettanto vero, tuttavia, che il FGI è un’ini-ziativa utile per il sistema BCC, ne rafforza lastabilità e da questo punto di vista ne rafforza an-che l’efficienza. È opportuno che Vigilanza banca-

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ria e Autorità Antitrust si confrontino sugli aspettitecnici del progetto.Detto questo, mi avvio alle conclusioni del mio in-tervento.Il sistema delle BCC è un sistema in crescita. L’espe-rienza di vigilanza di questi ultimi anni mette in evi-denza che, se il sistema riuscirà a trovare delle ri-sposte pronte e tempestive sui temi della capacitàdi produrre reddito, dell’attività di credito e dellagovernance, questa crescita potrà continuare econtinuare in un ambiente di sana e prudente ge-stione, che è un obiettivo che accomuna tutti noi.

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Vorrei partire dal titolo del convegno: “È già do-mani. L’autoregolamentazione per uno sviluppoequilibrato e sostenibile delle BCC”, titolo che con-tiene un’affermazione ed una sollecitazione. L’affer-mazione è quella che l’autoregolamentazione èuno strumento prezioso per governare la crescitadel nostro sistema. La sollecitazione è quella aguardare avanti, ad un futuro che è già qui. E già“domani”, in due sensi: il domani è più vicino diquanto pensiamo, il domani si produce oggi. Qualche considerazione, quindi, su questi dueaspetti: sull’affermazione e sulla sollecitazione. In-nanzi tutto un apprezzamento sincero alla Federa-zione Lazio, Umbria e Sardegna per il coraggio e lalungimiranza nel definire un titolo ed una tratta-zione come questa. Un ringraziamento per l’ap-porto di tutti i relatori, in particolare al dott. Trifili-dis ed alla Banca d’Italia, per quanto ci siamosentiti dire questa mattina. È confortante sentireche l’espressione delle nostre posizioni ed il per-corso che abbiamo tracciato è visto in perfettaidentità di vedute. E che ci è riconosciuta consape-volezza della responsabilità, della delicatezza e de-gli impegni che sono davanti a noi. Partirei, essendo passata meno di una settimanadall’Assemblea della Federazione nazionale, dallarappresentazione dello scenario che abbiamo datoin quella occasione e che in parte è stato ripropo-sto questa mattina. Noi sappiamo di essere posi-zionati in uno scenario difficile, caratterizzato da in-95

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Alessandro AzziPresidenteFederazione Italianadelle BCC

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certezze marcate e particolari per il Credito Coope-rativo, in relazione alla coerenza da assumere difronte alle sfide del momento, e particolari anchein relazione alle specificità del nostro mondo. Ci è stato riconosciuto, e tutti hanno apprezzato,l’impegno che abbiamo sviluppato in questi due-tre anni di crisi, continuando ad erogare credito alleimprese e dando prova di flessibilità: penso alle di-verse forme di moratoria ancor prima di quelle del-l’ABI e, rispetto a queste, spesso diversificate. Mapenso, anche, alle centinaia di iniziative di concretaattenzione alle persone, ai tanti accordi di micro-credito che abbiamo sviluppato sul territorio. Oggi ci è riconosciuto un ruolo che può posizio-narci da protagonista nel sistema bancario: citosolo il dato dei 4300 sportelli, ma mi verrebbe vo-glia di pensare al numero dei soci che ha superatoil milione, ai clienti, alle masse di raccolta e di im-pieghi. Ricordo anche il dato patrimoniale: un datodi assoluta rilevanza, oltre 19 miliardi di euro, chesi è incrementato anche nel periodo della crisi eche fa nel complesso – del Credito Cooperativo –una componente solida, anche se, essendo quat-trocento i soggetti che danno complessivamente ildato, non é scevra da momenti e situazioni di par-ticolare problematicità. Sappiamo anche che la scelta di esserci, di dare ri-sposte, non è stata indolore. La coerenza ha avutoun prezzo: abbiamo gestito – direi anche consape-volmente – una maggior pressione del credito insofferenza. A giugno 2010 il rapporto sofferen-za/impieghi era pari al 3,9%, in crescita di sette de-cimi di punto rispetto allo stesso periodo del 2009;nello stesso periodo nel resto del sistema banca-rio il rapporto sofferenze/impieghi è pari al 3,6%,in crescita di un punto percentuale su base d’anno. Abbiamo detto in Assemblea, meno di una setti-mana fa, che il futuro non si riproduce, non si pro-duce per replica. Il futuro che cerchiamo di imma-

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ginare e che cerchiamo di costruire, richiede di ac-crescere la prudenza e di accentuare la lungimi-ranza ed il coraggio. Allora, in tutto questo, iocredo che si inserisca bene il tema dell’autorego-lamentazione per la costruzione di uno sviluppoequilibrato e sostenibile. Sono state precisate, que-sta mattina, varie accezioni di autoregolamenta-zione: i relatori, a seconda dei diversi punti di vistae delle diverse esperienze, si sono espressi al ri-guardo. Vorrei dare a mia volta, dal punto di vista del Cre-dito Cooperativo, almeno due interpretazioni. Unaè quella della regolamentazione che ogni banca sadarsi nel progettare e realizzare la propria crescita;la seconda è il processo di autonormazione, comecaratteristica distintiva del Credito Cooperativo,che non poco ne ha favorito lo sviluppo nel tempo. In primo luogo, allora, autoregolamentazione comeregolamentazione che ogni BCC sa darsi: nel corsodell’Assemblea abbiamo sottolineato che la crescitadegli ultimi anni va ora rafforzata attraverso azionimirate, perché possa essere sostenibile nel lungotermine. Questa mattina c’è stato confermato che,in un periodo in cui la generazione dei flussi di red-dito appare e sarà ancora problematica – i contieconomici li conosciamo e le previsioni le fac-ciamo – ed in cui i costi della pulizia del credito de-teriorato sono e saranno ancora in crescita, deveandare estesa una riflessione sulla nostra capacitàdi incrementare i ricavi. Paolo Grignaschi parlava di diversificazione dellefonti di ricavo in termini di accompagnamento e diassistenza su vari fronti, anche sull’internazionaliz-zazione. Allora non mi stanco di richiamare l’esi-genza di impegnarci a tutti i livelli: quello delle Ban-che di Credito Cooperativo sul territorio e quellodel gruppo bancario, per incrementare ad esempiole risposte sul risparmio gestito e sulla previdenzaassicurativa e pensionistica. Penso in particolare ai97

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giovani lavoratori, posto che oggi quasi l’80% dellapopolazione occupata non aderisce ad alcun pianopensionistico complementare e che i parasubordi-nati, non a caso, sono stati battezzati “pariasubor-dinati”. Questi sono servizi che – dobbiamo dircelo– i nostri soci e i clienti richiedono e di cui comun-que hanno necessità. Anche nel servizio alle im-prese va ricercata una più ampia soddisfazionedelle necessità degli imprenditori e degli artigiani,ad esempio investendo su prodotti finanziari piùavanzati, su un maggior accompagnamento nell’in-terscambio con l’estero, settori che tradizional-mente sono poco sviluppati dalla nostra rete dibanche, ma che vengono sviluppati da altre ban-che su clientela comune e che inevitabilmentefanno allontanare la nostra. Poi, il dottor Trifilidis lo ha detto con chiarezza, c’èil tema dei costi, che è in buona parte connesso almodello di sviluppo che abbiamo avviato in que-sti anni e che – lo ricordava ancora Paolo Grigna-schi – è stato quello della crescita orizzontale. In so-stanza, in questi anni siamo riusciti ad espanderci:ad esempio, il dato più rilevante che poniamo amodello è quello della crescita degli sportelli, dovedavvero abbiamo una quota di mercato superiorea quella che abbiamo per gli altri, ma è stato unosviluppo quantomeno molto costoso. Io penso che l’era dell’espansione in senso mera-mente orizzontale si è chiusa e che occorra ragio-nare di come realizzare ora una crescita in verticale,in profondità, curando e coltivando ulteriormenteil radicamento e la conoscenza sempre più appro-fondita di chi vive, opera, produce ed amministraquei territori di nuova espansione. Siamo andati ad aprire filiali in piazze dove noneravamo presenti e molto spesso su quelle piazzefacciamo banca come tutti gli altri. Non riusciamoa radicarci, non riusciamo a fare Banca di CreditoCooperativo, sviluppando in profondità in verti-

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cale la nostra presenza, rinunciando così, omolo-gandoci, a fare quello che meglio sappiamo fare.Allora, adesso che abbiamo allargato la rete ope-rativa – tutti, attraverso gli sportelli – fermiamoci unmomento nell’espansione orizzontale e comin-ciamo a lavorare e a consolidare il terreno chesiamo andati conquistando.Anche questo in fondo è autoregolamentazione,che si sviluppa attraverso misura, coerenza, rigore,ma anche – e non dobbiamo rinunciarvi – intra-prendenza. Rimanendo sulla questione dei costi,non basta realizzare, come penso tutti stiano fa-cendo, controlli puntuali e strettissimi sulle diversevoci, ognuno nell’ambito della propria BCC, ma oc-corre anche immaginare modalità nuove e piùstrutturali per consentire il contenimento. Questo è un tema che deve essere affrontato e ri-solto – e per primo non mi sottraggo alle mie re-sponsabilità – da parte delle strutture del movi-mento, quelle associative e quelle imprenditoriali.Ma va anche affrontata con nuova consapevolezzala questione delle sinergie, la questione dell’ope-ratività in comune, che passa anzitutto attraversoun maggior impegno – in tal senso – da parte dellacomponente industriale ed imprenditoriale delgruppo; ma che non lascia esente la struttura as-sociativa. Le Federazioni regionali devono collaborare megliotra di loro, in alcuni casi devono rinunciare a svol-gere tutte le stesse funzioni, se ci sono esempi dibuona gestione ed eccellenza che può essereestesa da una Federazione anche ad altre Federa-zioni, senza che questo tocchi il ruolo o la dignitàdella presenza territoriale del movimento al suo se-condo livello. Il dott. Trifilidis ci ha richiamato anche al delicatis-simo tema della dimensione minima, che purenon dobbiamo eludere, sapendo che la nostra ri-sposta dovrà essere una risposta flessibile. La di-99

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mensione minima in assoluto probabilmente nonc’è, ma certamente c’è un problema di dimen-sioni che deve tener conto del contesto, dell’orga-nizzazione, della patrimonializzazione, dell’effi-cienza e dello spirito della gente che opera nell’unapiuttosto che nell’altra Banca di Credito Coopera-tivo.La seconda possibile accezione di autoregolamen-tazione è connessa alla capacità preveggente cheil Credito Cooperativo ha sempre avuto nella suastoria, nel senso di darsi una disciplina, delle re-gole, che spesso hanno anticipato processi e per-corsi, poi intervenuti per tutta l’industria bancaria.Nel 1997 è diventata obbligatoria la protezione deidepositanti; abbiamo avuto dalla Banca d’Italial’autorizzazione a creare un nostro fondo, che è ilFondo di Garanzia dei Depositanti – preziosissimo– che ci ha consentito di risolvere le crisi secondole nostre logiche e le nostre finalità, che spessosono state quelle di consentire alla BCC commis-sariata di ritornare in bonis e quindi restituirla sulterritorio. Non sarebbe stato così se avessimo fattogestire le nostre crisi dal fondo di tutte le banche,ma è bello pensare, anche perché va attribuitomerito a chi ce l’ha – e non siamo noi, sono le ge-nerazioni precedenti – che 10 o 20 anni prima erastato costituito il Fondo Centrale di Garanzia, checonsentì al movimento di salvare decine o forsecentinaia di Casse Rurali nel tempo. Siamo stati anche precursori con un’altra iniziativarecente, quella del Fondo di Garanzia degli Obbli-gazionisti del Credito Cooperativo: una tutela,quella sulle nostre obbligazioni – e parliamo diqualcosa come 50 miliardi di euro – che nessun al-tro intermediario offre alla propria clientela. Suquesta strada va anche il Fondo di Garanzia Istitu-zionale che ci è stato riconosciuto essere – anchequesta mattina – uno strumento essenziale permettere in sicurezza il nostro sistema ed evitare, o

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contenere, i costi delle crisi delle BCC. Crisi che, es-sendo così numerosa la platea e la famiglia, inevi-tabilmente ci sono, ci saranno – soprattutto neimomenti di crisi – come abbiamo sentito. Questo cantiere è indubbiamente in corso da pa-recchi anni. Quelle anticipazioni che il dott. Catri-calà si era sentito proporre nel 2006, sostanzial-mente sono dello stesso obiettivo che stiamoportando avanti ancora adesso. Un cantiere chedeve certamente chiudersi, un cantiere che è statoreso più complesso e accidentato da ciò che inquesti anni è avvenuto, quindi le nuove normativeconseguenti alle difficoltà ed alle crisi dei mercatifinanziari. Un cantiere che presuppone la volontàe la determinazione di tutte le componenti del no-stro movimento, sia quelle associative – e qui tuttosommato è facile – che quelle imprenditoriali, lebanche di secondo livello del credito cooperativo,che mettere d’accordo è un’impresa particolar-mente complessa. Ma, ugualmente, io credo che siamo vicini al risul-tato. Certamente dobbiamo avere la consapevo-lezza che ci stiamo confrontando con una innova-zione epocale, che interessa il contesto normativo,lo scenario economico-finanziario, che deve esserecontinuamente rappresentata e gestita in collabo-razione con le Autorità di vigilanza. Sappiamo cheil Fondo si svilupperà che crescerà su tre pilastri:quello dei dati, ovvero la creazione di un sistemadi informazione e indicatori semplice, condiviso, ca-pace di segnalare in anticipo l’emergere di mo-menti di crisi aziendale. Il secondo pilastro, chemira al rafforzamento della liquidità presente nelsistema e quindi ad accrescere la capacità di immu-nizzarci da crisi che hanno duramente colpito ban-che di altri paesi. Il tema della liquidità e delicatoanche per il Credito Cooperativo: eravamo la com-ponente più liquida del sistema, non è detto chesia ancora così. Il tema della liquidità impatta for-101

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temente sulle banche di secondo livello, che de-vono riuscire a raggiungere intese fra di loro, fina-lizzate a dare maggiore sostegno e forza – ancheperché la utilizzino in termini concorrenziali – alleBanche di Credito Cooperativo. Il terzo pilastro riguarda la governance, che è unaspetto sempre più determinante per la stabilità elo sviluppo delle nostre banche. Il tema della go-vernance, non solo è pilastro del Fondo di Garan-zia Istituzionale, ma nello stesso tempo è un mo-mento di ulteriore autoregolamentazione delsistema. Allora su questo, come è già stato riferito anche dalPresidente Liberati, abbiamo lavorato attivamente,proattivamente: il mese scorso il Comitato Esecu-tivo di Federcasse ha definito una proposta di mo-difica statutaria che verrà presentata alle BCC, dopoche Banca d’Italia l’avrà valutata e condivisa, per-ché per tempo le BCC la valutino e la adottino informe che passeranno attraverso assemblee stra-ordinarie, insieme a quelle dell’approvazione delbilancio 2010, nella primavera dell’anno prossimo.I temi sono fortemente delicati e le attualità del-l’estate scorsa, talvolta negative in termini di repu-tazione per qualcuno di noi – il che significa repu-tazione negativa per tutti – ci hanno indotto ad unaaccelerazione e ad un particolare rigore in questosenso: ricordo certamente i conflitti di agenzia, leparti correlate, il moral hazard. Sono problemi di tutte le banche ma, nello speci-fico del Credito Cooperativo proporremo nello Sta-tuto l’inserimento di modalità e strumenti per fa-vorire la continuità ed il ricambio nel governo dellaBanca di Credito Cooperativo. Nei termini peròche sono stati rappresentati dal dott. Trifilidis: ov-vero che la cosa importante è la qualità e l’impe-gno delle persone che gestiscono le Banche diCredito Cooperativo, e solo dopo viene il temadella durata del mandato. Nel senso che il rinnovo

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obbligatorio di mandati per una scadenza ipoteti-camente inserita nello Statuto, non è detto che siadi per sé un bene, tantomeno in contesti travagliaticome questi, nei quali le continuità delle buone ge-stioni sono valori da considerare e preservare.Inoltre, favorire ulteriormente la partecipazionedei soci alla vita della cooperativa bancaria, ridurreil rischio di conflitti di interesse, anche attraversol’incompatibilità del ruolo di amministratore con in-carichi politici ed amministrativi, prevenendo li-miti – più bassi di quelli previsti per legge – alla mi-sura dei fidi concedibili, ponendo vincoli precisi allapossibilità di affidare appalti a parti correlate di am-ministratori e direttori, prevedendo l’ineleggibilitàper coloro che in precedenza hanno contribuito acausare problemi o crisi aziendali, rafforzando ilmonitoraggio sull’autonomia e l’indipendenza deicomponenti dell’organo di controllo, ed altro an-cora. Su questi temi, anche se magari singolarmente ri-teniamo che la nostra BCC stia ben operando,dobbiamo essere rigorosi nel chiedere ed imporreregole che valgano per tutti; perché il discredito de-rivante a tutti dalla cattiva gestione di uno, è unproblema per tutti che noi dobbiamo risolvere,anticipando. Dobbiamo essere consapevoli di es-sere gestori di un patrimonio reputazionale che siè accresciuto nel tempo e che sarebbe davvero col-pevole per noi disperdere. Vorrei dilungarmi, ma il tempo non c’è, sui pro-blemi di regolamentazione piuttosto che di auto-regolamentazione. Perché, certamente, alcune cose– molte – possiamo farle noi e dobbiamo farle alivello di BCC ed a livello di sistema del CreditoCooperativo; ma altro è quello che ci troviamo adover gestire perché ci è proposto normativa-mente. Tutti sappiamo che questi sono stati anni partico-larmente intensi: il Presidente dell’Associazione103

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Bancaria all’Assemblea di Federcasse lo ha ricor-dato, e lo ha ricordato anche all’assemblea dell’ABI:330 provvedimenti in quattro anni, molti in sensoassoluto, molti insieme, con ricadute particolar-mente problematiche e penalizzanti per le piccolebanche. Poi, ascoltate queste parole: “la crudele ironia èche il modello bancario che favorisce la stabilità fi-nanziaria e la crescita economica, potrebbe esserela vittima principale del nuovo quadro normativo,mentre il modello che ha causato la crisi verrebbelasciato in pace, almeno in parte”… Non sonoparole mie, non le ha dette un rappresentante delCredito Cooperativo o di piccole banche: lo ha so-stenuto un mese fa Jacques de Larosière, già Pre-sidente della Banca di Francia e del Fondo Mone-tario e attuale presidente di EUROFI , un Centro diStudi Europeo. Allora qualche dubbio è legittimo, quando sap-piamo di doverci confrontare con Basilea 3,quando Basilea 3 interverrà sui coefficienti di capi-tale e non su altre misure come quelle che avreb-bero agito sul grado di leva e sul controllo di liqui-dità e che avrebbero penalizzato – guarda caso –soprattutto le banche di investimento anglosassoni.Banche che sono state certamente tra le cause piùdirette della crisi, di cui tutti oggi patiamo le con-seguenze. Poi ci sarebbe da dire sulla regolamentazione fi-nanziaria, ci sarebbe da dire sull’impianto dellanuova direttiva presentata il 12 luglio dalla Dire-zione Mercato Interno della Commissione Europea,che prevede riforme sui Fondi di Garanzia dei De-positanti; questo pericolo ci deve indurre ad acce-lerare sul percorso del nostro Fondo di GaranziaIstituzionale.Forse c’è il tempo per alcune considerazioni con-clusive, perché, tornando ai temi, non è irrilevanteil terreno nel quale le imprese competono.

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Certamente questo terreno è delimitato propriodalle norme che lo perimetrano, che definisconoprofilo dei giocatori e regole del gioco. Noi ci ren-diamo conto – e ne abbiamo avuto dimostrazionediretta anche questa mattina – che il mestiere deiregolatori non è semplice, ma sappiamo che illoro ruolo è nevralgico e che nevralgico è l’equili-brio che essi riescono a garantire tra tutela e libertà,parità ed equità – che non sono la stessa cosa – re-golazione ed autoregolazione. Noi pensiamo, lo abbiamo detto e continuiamo aripeterlo, che è fondamentale che il processo di re-golamentazione sia governato da alcuni principi, ene proponiamo tre in particolare: che le regole pernon essere inique ed essere realmente efficacisiano opportune in termini di costi/benefici; che leregole siano graduali nella loro introduzione esiano proporzionali nella loro concezione e decli-nazione. Questo ovviamente non vuole dire costi-tuire alibi al fatto che l’adeguamento normativo siacomunque occasione di un percorso evolutivo e dicrescita, ed in questa logica ci siamo indirizzati.Non posso che concludere con alcune parole sulfuturo, non per fare esercizi di preveggenza – sa-rebbe imprudente ed anzi impossibile – ma per ri-badire alcune affermazioni che già oggi ci consen-tono di definire come vogliamo costruire il nostrofuturo, proprio perché abbiamo detto “è già do-mani”. Allora, uno degli impegni dei prossimi anni per ilCredito Cooperativo, sarà quello di coniugare inmodo nuovo binomi attorno ai quali – da sempre– ruota la vita delle nostre banche. Per esempio ter-ritorio-mondo, autonomia-coesione, redditività-svi-luppo. La rete delle BCC di qui a 10 anni – perchéci siamo posti come limite, nella definizione delpercorso avanti a noi, il 2020 – dovrà continuare avalorizzare la relazione speciale con le comunità diriferimento – abbiamo visto che cosa soprattutto i

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nostri clienti apprezzano da noi – ed al tempostesso sapersi muovere sul terreno della globaliz-zazione, anche finanziaria. Dovrà continuare adessere agile e radicata e, per questo, sistema di au-tonomie, ma al tempo stesso più coesa; dovràperseguire l’efficienza e l’economicità come requi-siti essenziali della competitività, ma al tempostesso essere capace di promuovere lo sviluppo deiterritori e la vicinanza sempre più moderna all’im-presa. Sappiamo che nelle linee strategiche 2010-2012 del Credito Cooperativo ricorre spesso l’ag-gettivo “responsabile”: abbiamo detto crescitaresponsabile, autonomia responsabile, svilupporesponsabile. Allora noi decliniamo questo agget-tivo, per quanto riguarda il sostantivo crescita, nelsenso di lungimirante, preveggente e saggiamenteprudente. Il sostantivo autonomia responsabileperché coordinata, perché autonomia non è autar-chia, né autosufficienza. A questo riguardo voglio ricordare che nelle lineestrategiche del triennio è stato sottolineato il ruolocardine delle Federazioni locali, per garantire uncorretto rapporto tra equilibrio patrimoniale edeconomico proprio dell’impresa bancaria e cor-retto funzionamento dei meccanismi di governodella cooperativa bancaria, per i quali saranno in-dispensabili autorevolezza, indipendenza, capacitàdi intervento, competenza tecnica. Infine svilupporesponsabile, ovvero partecipe della crescita delterritorio. Io sono convinto – e sono certo che lo siate anchevoi – che il Credito Cooperativo del 2020 dob-biamo costruirlo oggi partendo dalle nostre iden-tità di banche del territorio, di banche capaci anchedi autoregolarsi, prima che altri ci regolino.

Sarà necessario basarsi su quattro elementi deter-minanti: cultura, controllo, consenso, coesione. Lacultura dovrà essere quella del servizio, delle com-

CONCLUSIONI

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petenze ed una forte e convinta cultura identitaria.Non siamo differenti dagli altri perché siamo piùpiccoli: siamo differenti dagli altri perché abbiamodei valori e abbiamo una missione da compiere,ma dobbiamo farlo rafforzando la cultura del con-trollo, perché sappiamo bene quanto sia difficile equanti rischi si corrono. Allora controllo del credito,cominciando a riflettere se certi clienti siano real-mente alla nostra portata e lasciandoli agli altri;controllo dei costi, controllo dell’adeguatezza orga-nizzativa. Consenso, intendendo quello che si è ca-paci di suscitare tra i propri soci, coinvolgendoli nelproprio territorio; consenso come consentire capa-cità di muoversi, in sintonia con la propria comu-nità di riferimento. Infine, non possiamo scappare:coesione. Coesione nei valori, nel disegno organiz-zativo, nell’operatività, coesione che produce con-crete sinergie. Se sapremo valorizzare davvero questi fattori, seguarderemo al futuro con ottimismo ragionato ecapacità progettuale, io sono certo che scriveremonuove pagine di sviluppo equilibrato e sostenibileper il Credito Cooperativo, per continuare ad essereparte – e parte protagonista – del cantiere della ri-nascita della “comunità Italia”.

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ELENCO DEI PARTECIPANTI

Giuseppe AbbateMariano AlesiErmanno AlfonsiGustavo AlimontaniAlvaro AltaroccaSandro AltissimiAldo AnellucciAntonio AntiseriAntonio AntoniniSilvio AppodiaGiovanni AversaLuigi BardelliSerafino BassanettiMattia BattistiFabio BelardiMario BelliGiuseppe BrernardiGianrodolfo BertoliRomina BoldriniMaria Amalia BonifaziClaudio BrazzolottoGiuseppe BuccellaMauro BugliaLucio CampagnacciMaurizio CamusiAldo CantoniGiulio CapitaniMaurizio CapogrossiDomenico CaporicciRoberto CaramanicaMario CardellaFranco CardinaliAntonio CarpentieriFrancesco CarriMaria CarrozzaSergio CastellazziPietro CastelliPalmiro CatenaGiampiero CaterviClaudio CeccarelliGiuseppe Celebrin

Luigi CiampanellaAntonio CianiCorrado CiccoElisabetta CicerchiaPaolo CiorraNatale CocciaGiovanni Battista CoculoMarcello ColaMassimo ColandreaAdriano ColettaAlessandro ColoricchioSergio ContiFederico CornelliAgostino Millo CrocenziEdda DalessioCorrado De AngelisLuigi De AngelisPaolo De AngelisGermano De MarchisMariano De SantisFabio Massimo De SantisStefano Della BellaGuido Di CapuaFranco Di ColliMauro Di GregorioSabrina Di MarcoFrancesco Di ProsperoDomenico DidoniOrtensia EbnerPaolo ErcolaniAprilio ErnettiLuciano EufemiEnrico FalconeRocco FamiliariAmedeo FastosoClaudio FerriAntonio FicorellaFrancesca FicorellaLuigi FioreGianluca FranchiniLorenzo Francucci

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ELENCO PARTECIPANTI

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Paolo GalianiAntonio GarganoGiorgio GattiSergio GattiMauro GinepriGiuseppe GinasiCarlo GiordaniOrlando GiulianiFrancesco Enrico GoriPaolo GralanteBernardino GuadagniniAntonio GuzziLuca IacovelliAmedeo IanniccariDaniela IngretolliDino LenciRoberto LeponeStefano LiveraniItalo LolliWalter LombardiMaria Cristina LorenzettiFrancesco LucciLuca MacarraAntonio MaffioliGiulio MagagniTito MagliozziMassimo ManaraAlberto MancinelliPietro ManciniMario MariglianiLuigi MarinoRoberto MazzottiAndrea MecheriGiacomo MoianettiFabio MolinariPiergiorgio MontaniCarlo MorettiAngelo MosettiGraziella MusettiMarco NapoleoniCarlo NapoleoniFlavio NapoleoniGianluca NeraGiorgio NeroniGiulia Ambrogina NicoliniAntonio OroniGaetano OrticelliFlavio PagnozziMarco PalmaAlessandro PalmieriAdriano PalminteriFabio PanettaPaolo PascaMauro Pastore

Enrico A. PedrettiMarco PelliccioniGiuseppe Maria PerrottaFabrizio PetriniBruno PetroleFelice PetrucciRiccardo PezzaliFranco PiermariniAntonio PitolliParide PizziGino PolidoriAlfonso PolmpiliFabiola PragliolaGiorgio PriliAmalia ProverbioMauro PucciUmberto QuaresimaUlderico QueriniFranco QuinziGianluca RaggiUmberto RaiolaCristian RicciutiGiancarlo RomagnoliAntonio Angelo RomaniAmerigo RomoloMaria Cristina RovazzaniPier Romano RuggeriLuca SantiGianfranco SantiniFausto SargeniAntonio ScarpinellaInnocenzo SegarelliStefano SestiliAntonia SeveroniCristiano SforziniLuciano SgarbossaNicola SgobbaMario SpagnoliGiuseppe SperaGiuseppe SpoletiniMatteo StefanelliAntonio TaborriFrancesco TanciAntonio TaurelliGiovanni Tni BrunozziMauro ToppiUmberto TostoGianluca TribolatiPietro TroianiMario TucciFrancesco VildacciClaudio VinciDanilo Vischietti

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LE IMMAGINI DELLA GIORNATA

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Finito di stampare aprile 2011

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