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Bilquis Sheikh PROFUMO DAL PAKISTAN di Bilquis Sheikh, con Richard Schneider. Copyright (c) 1980 Crociata del Libro Cristiano - Via Ricasoli, Firenze. Titolo dell’opera originale: “I Dared To Call Him Father”, (c) 1978 Bilquis Sheikh. Traduzione dall’inglese: Paola Meo Galione. I nomi di alcune persone in questo libro sono stati cambiati. “A mio nipote Mahmud che mi è stato a fianco nella preghiera e che è stato per me una sorgente di gioia e di conforto in tante ore trascorse da sola.” INTRODUZIONE Quando per la prima volta vidi la signora Bilquis Sheikh del Pakistan, quel che mi colpì più di tutto furono i suoi grandi occhi espressivi e luminosi. Vi lessi cura e compassione per gli altri ed una rara sensibilità per il mondo spirituale. Una donna dall'età indefinibile con qualche accenno di capelli grigi; indossava un bellissimo sari, che portava con dignità e grazia. Le aleggiava intorno l'aria inconfondibile di chi è nato ricco ed appartiene ad una classe sociale elevata. La sua voce profonda aveva il timbro più risonante che abbia mai sentito in una donna. Il nostro primo incontro avvenne in una sala da pranzo, piena di specchi, di un ristorante di Bel Air, in California. In quel giorno ascoltai, a grandi linee, la storia straordinaria della si- gnora Sheikh. Molte altre storie avventurose possono forse essere paragonate alla sua, come contenuto drammatico, ma poche sotto questo aspetto: solo raramente l'Iddio Sovrano interrompe il corso della storia per raggiungere e rivelare Se stesso ad un essere umano, nel modo eccezionale in cui ha fatto con lei. L'opera

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Bibbia profumo dal pakistan

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Bilquis Sheikh

PROFUMO DAL PAKISTANdi Bilquis Sheikh, con Richard Schneider.

Copyright (c) 1980 Crociata del Libro Cristiano - Via Ricasoli, Firenze.

Titolo dellopera originale: I Dared To Call Him Father, (c) 1978 Bilquis Sheikh.

Traduzione dallinglese: Paola Meo Galione.

I nomi di alcune persone in questo libro sono stati cambiati.

A mio nipote Mahmud

che mi stato a fianco nella preghiera

e che stato per me

una sorgente di gioia e di conforto

in tante ore trascorse da sola.INTRODUZIONEQuando per la prima volta vidi la signora Bilquis Sheikh del Pakistan, quel che mi colp pi di tutto furono i suoi grandi occhi espressivi e luminosi. Vi lessi cura e compassione per gli altri ed una rara sensibilit per il mondo spirituale.Una donna dall'et indefinibile con qualche accenno di capelli grigi; indossava un bellissimo sari, che portava con dignit e grazia. Le aleggiava intorno l'aria inconfondibile di chi nato ricco ed appartiene ad una classe sociale elevata. La sua voce profonda aveva il timbro pi risonante che abbia mai sentito in una donna.Il nostro primo incontro avvenne in una sala da pranzo, piena di specchi, di un ristorante di Bel Air, in California. In quel giorno ascoltai, a grandi linee, la storia straordinaria della signora Sheikh. Molte altre storie avventurose possono forse essere paragonate alla sua, come contenuto drammatico, ma poche sotto questo aspetto: solo raramente l'Iddio Sovrano interrompe il corso della storia per raggiungere e rivelare Se stesso ad un essere umano, nel modo eccezionale in cui ha fatto con lei. L'opera iniziale da parte di Dio stata tanto sorprendente da ricordare l'esperienza di Saulo di Tarso sulla via di Damasco. Appena ascoltai il racconto di quell'esperienza fantastica, ritenni che quella storia dovesse essere trasmessa al mondo.Sono trascorsi due anni da quel nostro primo incontro. Non potevo certo sapere che Bilquis Sheikh sarebbe diventata non solo una carissima amica, ma una vera madre nel Signore per me.Man mano che gli avvenimenti si susseguirono, le nostre vite si unirono sempre di pi. Scoprii che questa donna aveva un unico scopo - essere un mezzo per far da legame tra il Signore, che ella ama tanto, ed ogni cuore assetato che incontra. Per poterlo attuare, il Signore stesso le ha dato un Suo dono speciale di percezione spirituale, unitamente al dono di conoscenza.Un giorno dell'ottobre 1976, Bilquis mi telefon in Florida, dalla sua casa in California. "Sento nel mio spirito che sei turbata per qualcosa. Che cos'? E che cosa posso fare per te?".Rimasi sorpresa dalla sua percezione. "S, vero, ho un problema", le risposi. "Ho appena saputo che devo subire un'operazione importante. Il medico mi sembra un tipo allarmista, ma...Dopo aver ascoltato tutti i fatti, la signora Sheikh disse che avrebbe cercato la volont del Signore per quel problema e mise gi la cornetta. Sapevo gi che ogni qualvolta la mia amica diceva che avrebbe pregato per qualcosa, questo stava a significare che sarebbe stata davanti a Lui, in preghiera, a volte per ore intere.Il giorno successivo richiam. Attraverso il cavo la sua voce profonda mi trasmetteva sicurezza. "Non hai assolutamente niente da temere. L'operazione riuscir bene sotto ogni aspetto ed il chirurgo trover che era qualcosa di benigno".E fu proprio cos.Un'altra volta Bilquis telefon a Dick e Betty Schneider in Virginia. Per quanto Dick stesse lavorando ininterrottamente al manoscritto di 'Profumo dal Pakistan', da parecchi giorni non aveva avuto alcun contatto con la signora Sheikh. "C' qualcosa che non va da voi", inizi. "C' qualche imprevisto?" ditemi di che si tratta, miei cari".C'era davvero qualcosa! Gli Schneider hanno due figli in collegio. Uno di loro era stato brutalmente picchiato, dopo aver protestato nel vedere tre giovani robusti assalire uno studente pi piccolo e per giunta con gli occhiali. La situazione nel dormitorio era diventata adesso preoccupante; le autorit scolastiche non si erano rese completamente conto dell'accaduto e c'era pericolo che il figlio degli Schneider volesse lasciare la scuola.In quell'occasione la signora Sheikh fu in grado di ricevere dal Signore le giuste direttive sul modo migliore di affrontare il problema, che fu felicemente risolto.In tali occasioni mi meravigliai che una cristiana, nuova nella fede, potesse avere un senso tanto profondo di percezione nel mondo spirituale. Com'era strano, inoltre, che il Signore avesse chiamato una donna musulmana pakistana per seguirLo negli Stati Uniti d'America! Era possibile che il cuore di un'orientale fosse un terreno pi fertile per captare certe realt spirituali, che non un'occidentale?Oltre a questo, il desiderio intenso della signora Sheikh di testimoniare per il suo Signore, aveva soddisfatto le condizioni essenziali di Dio per poter ricevere i doni speciali dello Spirito Santo. Tali doni, unitamente all'unzione ed all'autorit che li accompagna, sono molto evidenti a tutti quelli che la sentono parlare attraverso il Paese. Eppure il fatto che in lei non si rispecchi nessun modello precostituito, disorienta coloro i quali si sentono pi a loro agio quando un qualsiasi leader pu essere etichettato...Un conduttore cristiano le chiese, per lettera, di dichiarare se fosse carismatica oppure no. La signora Sheikh si sedette alla sua scrivania, riflettendo su questa domanda e sul come perfino una sola parola potesse dividere coloro che amano Ges. In tono scherzoso, prese d'impulso una moneta dal borsellino e disse: "Padre, decidi tu!".Lanci la moneta in aria, dicendo, "Testa, sono carismatica, croce non lo sono". La moneta d'argento piroett nell'aria, poi ricadde sul tappeto. Inginocchiandosi, per rassicurarsi, si mise a ridere. Quale prova migliore poteva avere del senso di umorismo del Signore?La moneta si era fermata di taglio, nel pelo folto del tappeto e si manteneva ben diritta!La lezione, dice Bilquis, che la cosa importante non come adoriamo o quali parole usiamo o quale etichetta ci attacchiamo, ma se amiamo, ad esempio, i nostri vicini. Siamo guidati dal Suo Santo Spirito? Gli obbediamo senza esitare? Ci rattristiamo per coloro che non conoscono Cristo? Desideriamo ardentemente di comunicare agli altri la nostra meravigliosa esperienza con Lui?La signora Sheikh ha trovato in America un desiderio sorprendente di conoscere Ges. Sorprendente per lei, perch in una visione, che aveva avuto in Pakistan, prima di emigrare nel nostro Paese, aveva visto l'America come una terra dalle molte chiese, con le guglie che si elevavano al di sopra di paesi e citt. Ella aveva dedotto da questo che l'America dovesse essere una terra totalmente consacrata al Signore.Ma in quella stessa visione si era visto anche un folto gruppo di oche bianche affamate. Dopo aver viaggiato in lungo ed in largo nel Paese, adesso sa che le oche rappresentano tutti coloro, in questa terra, che non hanno mai sentito parlare di Lui.Ci ha descritto, in modo vivo, la sua prima domenica negli Stati Uniti... Era uscita dal suo albergo ed aveva visto le strade piene di traffico. "Staranno tutti andando in chiesa" aveva pensato. Doveva constatare, purtroppo, che la maggior parte di quelle persone stavano invece andando alle spiagge, campi da golf o sui prati per fare il picnic. per quelle persone che la signora Sheikh si preoccupa, come pure per il futuro di questa nazione.In un certo senso adesso una donna senza una nazione, anche perch ha la stessa vasta visione di Dio per il nostro mondo. In un altro senso porta con s il suo amato Pakistan, dovunque vada. Avendo dovuto lasciare dietro di s, dall'altra parte del mondo, il suo pezzetto di terra con il suo giardino, si data da fare per crearne un altro, su una collina alle spalle della sua casetta in California, ch'ella condivide con suo nipote Mahmud. Il suo giardinetto diventato tanto bello che i suoi vicini di casa, che avevano rinunziato a coltivare quei terreni aridi e incolti, dietro le loro case, invogliati dalla signora Sheikh, stanno adesso creando i loro giardini!Bilquis mi ha raccontato recentemente che mentre coltivava i suoi fiori, pensava al missionario inglese, William Carey, col quale si era venuto a creare un legame molto stretto, anche se era morto 143 anni prima, in India.Egli amava le margherite inglesi che fiorivano nei campi del suo paese natale di Paulerspury, nella contea di Northamptonshire. Negli ultimi anni da lui trascorsi in India, degli amici gli avevano spedito pochi semi dei suoi fiori preferiti e la signora Sheikh aveva copiato nel suo diario la lettera ch'egli aveva scritto in quell'occasione:Ho versato la busta su di un quadratino di terra in un posto ombreggiato. Quando sono andato a controllare, dopo qualche giorno, con mio inesprimibile piacere, ho trovato che stava spuntando una bellis perennis dei nostri pascoli. Non so se ho mai provato, da quando ho lasciato l'Europa, una gioia tanto semplice e delicata alla vista di quella margheritina. Non ne avevo vista una per pi di trent'anni e non mi aspettavo certo di vederne mai pi un'altra!Bilquis Sheikh pianse quando lesse per la prima volta quella lettera. Trova che i fiori negli Stati Uniti sono molto belli e che vi sono molte specie che crescevano anche nel suo giardino di Wah. Ma rimane in lei sempre quel po' di nostalgia della sua terra natia. Continua a sperare di veder crescere alcuni dei fiori di Wah, che non attecchiscono qui; continua a sperare che un giorno qualcuno dal Pakistan spedisca anche a lei qualche seme.Nel frattempo, noi negli Stati Uniti ci sentiamo arricchiti dalla sua presenza tra di noi. Ogni qualvolta mi trovo con lei, ogni qualvolta sento la sua voce profonda al telefono, mi sento rassicurata dal fatto che Dio ancora un Dio sovrano e che ha il controllo del mondo intero.Catherine Marshall, Virginia, Ottobre 1977Capitolo 1

UNA PRESENZA SPAVENTOSAMentre camminavo lentamente nel mio giardino, lungo il viale ricoperto di ghiaia, sentii crescere in me uno strano senso d'inquietudine. Era il crepuscolo, il profumo degli ultimi narcisi impregnava l'aria. Mi chiesi cos'era a rendermi tanto ansiosa.Mi fermai, guardandomi attorno. Ad una certa distanza, al di l del grande prato all'inglese, i servitori avevano acceso le luci di casa mia. Fuori sembrava tutto calmo e tranquillo. Raggiunsi una pianta per recidere qualche fiore bianco, da disporre nella mia camera. Nel chinarmi, per raccogliere un fiore dal lungo gambo verde, sentii qualcosa che mi sfior la testa.Mi raddrizzai spaventata. Cos'era stato? Una nuvola scura, una presenza fredda - non celestiale - era volata via. Il giardino, all'improvviso, mi apparve pi cupo. Un soffio d'aria gelida spir attraverso i salici, facendomi rabbrividire tutta.Ritorna in te, Bilquis! mi rimproverai. L'immaginazione mi stava giocando brutti scherzi... Nonostante quanto appena avvenuto, continuai a raccogliere i fiori, poi mi diressi verso casa. Le sue finestre illuminate mi davano un senso di sicurezza, mentre le mura spesse di pietra bianca e le porte solide di quercia mi offrivano protezione. Percorsi in fretta il sentiero ghiaioso, che scricchiolava sotto i miei passi, non potendo per fare a meno di lanciare un'occhiata al di l della mia spalla. Avevo sempre riso nel sentir parlare del soprannaturale. Ma... naturalmente non c'era niente l fuori. Non era forse cos?Come in risposta al mio pensiero, sentii in maniera reale, autentica, un colpo deciso e misterioso sulla mia mano destra.Gridai, precipitandomi in casa e sbattendo la porta alle mie spalle. Accorsero i miei servitori, i quali, bench spaventati, non fecero alcun commento nel vedermi apparire - forse assomigliavo io stessa ad un fantasma! Fu soltanto all'ora di andare a letto che trovai il coraggio di parlare di quella presenza spaventosa con le mie due cameriere di stanza. "Credete nelle cose spirituali?" chiesi, a conclusione della mia storia. Entrambe le donne, Nur-jan - musulmana e Raisham - cristiana, evitarono di rispondere alla mia domanda; Nur-jan per intrecciandosi nervosamente le dita, mi chiese se poteva chiamare il mullah del villaggio, un sacerdote della moschea, che avrebbe portato dell'acqua santa per purificare il giardino. Il mio buon senso prevalse: rifiutai di sottomettermi alla superstizione degli ignoranti. Le dissi che non volevo ne facesse cenno a quelli del villaggio. Abbozzai un sorriso per la sua premura e le dissi, un po' troppo bruscamente, (mi dispiace) che, a casa mia, non volevo nessun sant'uomo con la pretesa di scacciare spiriti maligni. Nonostante ci, quando le cameriere ebbero lasciato la stanza, presi il Corano e mi sforzai di leggere qualche pagina dal Sacro Libro musulmano, ma dopo un po' mi stancai, lo riposi nella sua custodia di seta blu e mi addormentai.La mattina seguente mi svegliai a fatica: mi sentivo come un nuotatore che lotta per mantenersi a galla. Mi raggiunse un canto sottile ed acuto che mi penetr dentro:

"Laa ilaaha illa Ilaah, Muhammed resolu' lla!"La voce mi perveniva attraverso la grata, in filigrana, della finestra della mia stanza:"Non vi altro Dio che Allah e Maometto il suo Profeta".Era un suono piacevole e confortante quell'appello musulmano alla preghiera, anche perch mi appariva assolutamentenormale dopo la notte precedente! Era un richiamo che avevo sentito, senza eccezione, ogni mattina dei miei 46 anni di vita... Potevo figurarmi, come in una visione, la scena che si svolgeva nel luogo in cui aveva origine il canto.Qualche attimo prima, nel vicino piccolo villaggio di Wah, il nostro vecchio muezzin* era entrato in fretta attraverso la porta, che si trova alla base di un antico minareto. Dentro, nel freddo del suo ambiente, aveva salito a fatica la scala a chiocciola, dagli scalini di pietra, levigata dallo strusciare dei sandali d'intere generazioni di sant'uomini musulmani. Potevo immaginare che, arrivato in cima alla torretta, si fermasse per un attimo a riprender fiato davanti alla porta di tek scolpita, e che, uscendo sul balcone circolare, ne facesse il giro, spingendo indietro la testa dalla lunga chioma e chiamando dal parapetto i fedeli alla preghiera con parole antiche di millequattrocento anni: "Venite a pregare, venite alla salvezza. La preghiera migliore del sonno"* Muezzin: Nella religione islamica, colui che addetto a chiamare i fedeli alle preghiere canoniche, modulando la formula rituale dall'alto del minareto.Il richiamo ossessionante fluttu nella nebbia mattutina, attraverso i viottoli acciottolati di Wah, ricoperta ancora dalla bruma di quella notte di ottobre; poi venne trasportato fino al mio giardino, dove s'innalz lungo i vecchi muri di pietra della casa, che il sole nascente tingeva di rosa.Appena le ultime note di quell'antico canto si spensero nell'aria, mi ricordai della strana esperienza avvenuta la sera precedente in giardino; rivolsi per subito la mente alle solite occupazioni del mattino, da cui avrei ricevuto conforto, proprio perch erano cose tanto ordinarie... Mi misi a sedere in mezzo al letto per raggiungere il campanello d'oro, posto sul ripiano di marmo del comodino. Al suo tintinnio musicale Nur-jan si precipit nella mia camera, arrivando trafelata, come al solito. Le due cameriere dormivano in una stanza attigua alla mia. Sapevo che si erano alzate gi da un'ora e che erano in attesa della mia chiamata. Il t del mattino, servito a letto, era veramente indispensabile per me. Nur-jan cominci a preparare le spazzole ed i pettini, ricoperti d'argento. Era una ragazza grassotta, sempre pronta al riso, un po' goffa, ma volenterosa. Se faceva cadere una spazzola, la rimproveravo aspramente.Raisham, invece, era una donna alta e graziosa, pi matura e pi calma dell'altra. Entr silenziosamente nella stanza, portando un grande vassoio che sistem sul comodino; tolse il centro bianco, scoprendo un servizio in argento massiccio e mi vers una tazza di t fumante.Sorseggiando l'ambrosia bollente, mandai un sospiro di soddisfazione; il t era meglio della preghiera! Mia madre sarebbe rimasta sconcertata dalla mia considerazione. Quante volte l'avevo osservata, mentre, disposto il tappeto della preghiera sul pavimento della sua camera da letto e con la faccia rivolta verso la citt santa della Mecca, s'inginocchiava in preghiera fino a poggiare la fronte sul tappeto. Pensando a mia madre, guardai la scatola sul tavolino; era antica di centinaia di anni, in legno di sandalo, ricoperta d'argento cesellato; era appartenuta a mia madre e prima di lei a sua madre. Adesso costituiva il mio cimelio, da custodire come un tesoro. Dopo aver bevuto due tazze di t, mi piegai un po' in avanti per permettere a Raisham di spazzolarmi i lunghi capelli grigi, che mi arrivavano fino alla vita; nel frattempo Nur-jan si prendeva cura delle mie unghie.Mentre le due donne lavoravano, chiacchieravano fra loro con gran familiarit, pettegolando sugli ultimi fatti avvenuti al villaggio. Nur-jan parlava, mentre Raisham faceva ogni tanto dei commenti appropriati. Parlavano di un ragazzo, che stava per lasciare il villaggio per andare in citt e di una ragazza che si sarebbe sposata di l a poco. Poi discussero dell'assassinio avvenuto in un paese vicino, in cui viveva la zia di Raisham. Potevo avvertire il brivido che percorreva Raisham, nel parlare di quelfatto. La vittima era una ragazza cristiana, che era stata ospite in casa di una famiglia missionaria cristiana. Qualcuno aveva trovato, per caso, il suo corpo in una delle tante viuzze che attraversavano il suo villaggio. Si supponeva che la polizia avrebbe fatto delle indagini sul caso."Nessuna notizia sulla ragazza?" chiesi casualmente. "No, Begum * Sahib, rispose Raisham, con dolcezza, mentre prestava attenzione nell'intrecciarmi i capelli. Potevo facilmente immaginare perch Raisham, anche lei cristiana, non volesse parlare del delitto.Sia lei che io, sapevamo chi l'avesse uccisa. D'altronde la ragazza aveva rinunziato alla sua fede musulmana per farsi battezzare da cristiana. Cos il fratello, infuriato per la vergogna che quel peccato aveva portato in seno alla famiglia, aveva obbedito all'antica legge dei fedeli: coloro che abbandonano la propria fede devono essere ammazzati.Anche se gli editti musulmani possono apparire duri e severi, la loro interpretazione viene, a volte, moderata dalla clemenza e dalla compassione. Ma vi sono sempre i fanatici, che interpretano alla lettera le leggi coraniche.Tutti sapevano chi aveva ucciso la ragazza, ma sapevano anche che non sarebbe stato fatto niente per far luce su quel tragico fatto. Era sempre stato cos ! Un anno prima, la cameriera cristiana di un missionario era stata trovata in un fossato, con la gola tagliata. Nemmeno in quell'occasione era stato fatto nulla. Scacciai dalla mente quel triste episodio di cronaca e mi accinsi ad alzarmi. Le cameriere si precipitarono verso il guardaroba e ritornarono con diversi sari di seta da farmi scegliere. Ne indicai uno ricamato con pietre preziose; le ragazze, dopo avermi aiutata a drappeggiarlo intorno al corpo, inchinandosi, se ne uscirono silenziosamente.* Begum: Titolo portato in passato da dame d'alto rango turche, persiane, indiane.Il sole inondava adesso tutta la stanza, aggiungendo al bianco dei muri ed all'avorio dell'arredamento, un caldo color zafferano. La luce del sole riflettendosi, scintill su una cornice d'oro che racchiudeva una foto. Raggiunsi con un balzo la toeletta; ero proprio seccata! Il giorno prima avevo messo la fotografia a faccia in gi, ma una delle cameriere doveva averla messa di nuovo in piedi. Nella cornice cesellata era racchiusa la foto di una coppia sofisticata e sorridente, seduta al tavolo di un lussuoso ristorante londinese.A dispetto di me stessa, guardai di nuovo la foto, come si fa quando si preme continuamente contro un dente che fa male. Quell'uomo ostentatamente elegante, dai baffi neri e dagli occhi penetranti era stato mio marito, il Generale Khalid Sheikh. Ma perch conservavo ancora quella foto? Un moto d'odio mi percorse tutta, appena fissai quell'uomo, di cui una volta non avrei potuto fare a meno. Quando era stata scattata la foto, sei anni prima, Khalid era Ministro degli Interni, in Pakistan.E quella donna attraente, seduta al suo fianco, ero io! La mia era una famiglia musulmana conservatrice, che per settecento anni aveva risieduto nella provincia della frontiera del Nord occidentale. Quella zona dal clima temperato, aveva costituito, un tempo, l'India settentrionale. Come figlia di una famiglia appartenente alla classe gentilizia, avevo ospitato diplomatici ed industriali da ogni parte del mondo. Ero abituata a soggiornare a Parigi e Londra, dove trascorrevo il mio tempo a fare acquisti in Rue de la Paix o da Harrods. La donna graziosa e sorridente della foto, ormai non esisteva pi, pensai tra me, mentre mi guardavo allo specchio. La sua pelle morbida e chiara si era abbronzata, i capelli neri e lucenti erano striati di grigio mentre le delusioni avevano solcato il viso di rughe profonde.Il mondo rappresentato in quella foto era caduto in frantumi cinque anni prima, quando Khalid mi aveva lasciata. Soffrendo l'affronto del ripudio, avevo abbandonato la vita sofisticata di Londra, Parigi e Rawalpindi per cercare rifugio qui, nella pace e nella quiete della propriet avita di famiglia, appollaiata ai piedi dei monti dell'Himalaya. La propriet comprendeva il piccolo villaggio collinare di Wah, dove avevo trascorso tanti giorni felici della mia infanzia. Wah era circondato da giardini e frutteti, fatti piantare da molte generazioni della mia famiglia. La casa era grande e sontuosa con torri, terrazze e stanze enormi in cui la voce echeggiava, ma mi appariva vecchia come le cime imbiancate dei monti Safed Koh, che si scorgevano in lontananza, ad occidente. Mia zia viveva anche lei in quella casa ed io, desiderando starmene completamente da sola, mi ero trasferita in un'abitazione pi piccola, che la mia famiglia aveva costruito nelle vicinanze di Wah. Incastonata come una pietra preziosa in dodici acri di giardino, questa casa con, al piano superiore, camere da letto e soggiorno pi stanza da pranzo e salotto a quello inferiore, mi garantiva quella solitudine di cui avevo tanto bisogno.Mi aveva offerto anche pi di quel che mi aspettassi! Quando arrivai, trovai infatti che una vasta zona dei giardini era diventata troppo rigogliosa. Fu una vera benedizione per me! Seppellii molte delle mie pene nel terreno lussureggiante, mentre m'immersi completamente nella ristrutturazione dei giardini. Feci sistemare una parte dei dodici acri in giardino vero e proprio, con muretti ed aiuole con fiori, mentre lasciai il rimanente allo stato naturale. Col passar del tempo, il giardino con i suoi innumerevoli, armoniosi getti d'acqua divenne tutto il mio mondo fino a quando nel 1966 venni a sapere di essermi guadagnata la fama di reclusa, che appartatasi dalla citt, si era seppellita tra i suoi fiori.Staccai gli occhi dalla fotografia incorniciata in oro, la rimisi di nuovo a faccia in gi sul tavolo e rivolsi lo sguardo alla finestra, verso il villaggio. Wah... il nome stesso del villaggio era un'esclamazione di gioia. Secoli addietro, quando qui esisteva soltanto un gruppo di case, il leggendario imperatore mongolo Akbar attravers questi luoghi con il suo seguito e si ferm a riposare nei pressi di una sorgente, dove si trova adesso la mia propriet. L'imperatore si sedette sotto un salice e riconoscente, per quel che il posto gli offriva, esclam con gioia e gratitudine: "Wah!" dando cos, per sempre, il nome a quel posto.Il ricordo di quella scena idilliaca non mi sollev per da quella sensazione spiacevole, che mi aveva pervasa tutta, fin dalla sera precedente, dopo quella strana esperienza capitatami.Cercai di cacciare via quel pensiero dalla mia mente, mentre stavo alla finestra. Potevo ormai sentirmi rassicurata dal nuovo giorno che era spuntato, dalle occupazioni giornaliere che mi attendevano e dal sole caldo, che si preannunziava. L'episodio della sera precedente mi appariva ancora reale ma lontano, remoto, come un brutto sogno. Scostai le tende bianche e respirai profondamente l'aria fresca del mattino; si sentiva il giardiniere che spazzava il patio. Mi arriv alle narici l'odore di fumo della legna arsa nelle case, dove si stava preparando il pasto del mattino. In lontananza potevo sentire il rumore ritmico delle ruote del mulino ad acqua. Sospirai di soddisfazione. Questo era Wah, questa era la mia casa, questo costituiva soprattutto la mia sicurezza! Era lo stesso posto, dove Nawab Muhammad Hayat Khan, un principe e proprietario feudale, aveva vissuto settecento anni prima. Noi eravamo i suoi diretti discendenti e la mia famiglia era conosciuta in tutta l'India come gli 'Hayat' di Wah. Secoli prima, i carri dell'imperatore avrebbero lasciato la strada principale per venire a rendere visita ai miei antenati. Anche ai giorni nostri, personalit di tutta Europa e dell'Asia avrebbero preso la stessa strada, un tempo un'antica via carovaniera che si snodava attraverso l'India, per venire a visitare la mia famiglia. Ma adesso, di solito, soltanto i membri della mia famiglia imboccavano la strada che conduce al cancello di casa. Questo ovviamente stava a significare che non frequentavo molte persone che non facessero direttamente parte della mia famiglia. La cosa per non mi turbava. I miei quattordici servitori mi facevano abbastanza compagnia. Sia essi che i loro predecessori avevano servito la mia famiglia per generazioni. Ma sopra ogni cosa io avevo Mahmud.Mahmud era il mio nipotino di quattro anni. Sua madre Tooni era la pi giovane dei miei tre figli: una donna snella ed attraente. Tooni era medico all'ospedale Holy Family, a Rawalpindi, poco distante da Wah. L'ex marito era un grande proprietario terriero. Avevano avuto purtroppo un matrimonio infelice e la loro unione si era sgretolata poco alla volta. Nel corso dei loro lunghi, spiacevoli litigi, Tooni mandava Mahmud a trattenersi con me fino a quando lei e suo marito non avessero raggiunto un'altra tregua travagliata. Un giorno, Tooni e suo marito vennero a chiedermi se potevo tenere per un po' Mahmud, fino a quando cio, non avessero appianato le loro divergenze.Risposi di no. Non volevo che il bambino diventasse una palla da tennis. Mi dichiarai per disposta ad adottarlo ed allevarlo come un figlio mio. Sfortunatamente Tooni e suo marito non riuscirono mai a mettersi d'accordo ed alla fine, divorziarono. Avevano dato la loro approvazione per l'adozione di Mahmud e tutto si era risolto per il meglio. Tooni veniva spesso a trattenersi con Mahmud e tutti e tre insieme ci sentivamo molto uniti, in special modo da quando gli altri due miei figli vivevano lontano da casa.Qualche ora pi tardi, di quella stessa mattinata, Mahmud scorazzava col suo triciclo in su e gi per la terrazza, dal pavimento di cotto, ombreggiata da alberi di mandorlo. Mahmud era con me da oltre tre anni: un bambino pieno di vita, bello come un cherubino, dagli occhi scuri e profondi e dal piccolo naso a patata. Era l'unica gioia della mia vita! Le sue risate allegre sembravano risollevare lo spirito di questa vecchia casa isolata. Mi preoccupavo, a volte, di come la sua vita sarebbe stata influenzata dalla mia depressione. Cercavo di compensare il vuoto, assicurandomi che ogni suo bisogno venisse anticipato.Per soddisfare le sue necessit, Mahmud aveva tre servitori personali (in aggiunta ai miei undici), che provvedevano a vestirlo, portargli fuori i giocattoli e riporli quando aveva finito di giocare.Ora, ero in pena per lui. Da diversi giorni si rifiutava di mangiare. Era un fatto insolito: Mahmud andava spesso in cucina a fare le moine alle cuoche, ricevendo in cambio biscotti e dolcetti. Quella mattina ero scesa pi presto del solito. Avevo attraversato il terrazzo, pavimentato a mosaico alla palladiana, e dopo aver scambiato un affettuoso abbraccio con il piccolo Mahmud, avevo chiesto al suo servitore se il bambino avesse mangiato."No, Begum Sahib, si rifiuta", mi rispose, quasi in un bisbiglio. Provai a sforzare il bambino a mangiare qualcosa, ma mi rispose che non aveva fame.Mi secc molto che Nur-jan venisse da sola a suggerirmi timidamente che forse Mahmud era attaccato da spiriti maligni. Allarmata, la guardai duramente. Mi ricordai allora dell'inquietante esperienza della sera precedente. Che stava a significare tutto questo? Chiesi ancora una volta a Mahmud di mangiare qualcosa, ma senza ottenere alcun risultato. Non aveva nemmeno toccato i suoi cioccolatini preferiti, che facevo venire dalla Svizzera, appositamente per lui. Quando gli misi la scatola davanti, rivolse i suoi occhioni limpidi verso di me: "Vorrei mangiarli, mamma" disse, "ma quando provo ad inghiottire mi fa male". Un brivido mi percorse tutta, mentre guardavo il mio adorato nipotino, una volta tanto pieno di vita ed ora cos svogliato ed indifferente.Immediatamente mandai a chiamare Manzur, il mio autista - anch'egli cristiano - e gli detti ordine di preparare l'auto. Un'ora dopo eravamo a Rawalpindi, dal medico di Mahmud. Il pediatra, dopo aver visitato accuratamente il bambino, mi disse che non trovava niente di anormale.Mi assalirono nuovamente i timori, mentre facevamo ritorno a casa. Osservavo il bambino, seduto tranquillamente accanto a me. Forse Nur-jan aveva avuto ragione. Esisteva qualcosa oltre alle forze conosciute? Era qualcosa del mondo degli spiriti ad attaccarlo? Mi avvicinai e gli misi un braccio intorno alle spalle, sorridendo tra me di come mi venissero in mente certe idee! Mi ricordai che mio padre, una volta, mi aveva raccontato di un leggendario sant'uomo musulmano che poteva compiere dei miracoli. Avevo riso a quel racconto, dando un dispiacere a mio padre, ma non potevo farci nulla: era quello il mio modo di reagire a simili asserzioni. Eppure quel giorno, tenendo Mahmud stretto a me, mentre l'auto lasciava la strada nazionale per imboccare quella della nostra propriet, mi venne alla mente uno spiacevole pensiero: poteva il problema di Mahmud essere in relazione al fatto della sera precedente, avvenuto in giardino?Quando condivisi i miei timori con Nur-jan, la donna si port le mani al viso e mi chiese con insistenza di chiamare il mullah del villaggio per farlo pregare per Mahmud e per far aspergere il giardino di acqua santa.Presi in considerazione la sua proposta. Anche se credevo negli insegnamenti fondamentali della mia religione, da parecchi anni mi ero ormai allontanata dai suoi riti: la preghiera cinque volte al giorno, il digiuno, il complicato cerimoniale di abluzioni. Ma la sollecitudine per Mahmud prevalse sui miei dubbi e cos mi convinsi a far chiamare il sant'uomo della moschea del villaggio.La mattina seguente, Mahmud ed io sedevamo accanto alla finestra, nell'attesa impaziente del mullah. Quando finalmente lo vidi avanzare verso gli scalini della veranda, con la giacca a brandelli, svolazzante al vento freddo di quella mattina autunnale, mi pentii di averlo chiamato, e nello stesso tempo, mi dava fastidio che non affrettasse il passo.Nur-jan introdusse il mullah nella stanza, poi si ritir. Mahmud l'osservava incuriosito, mentre apriva il Corano. L'uomo vecchio e scarno aveva il colore della pelle che si uniformava a quello del cuoio antico del suo libro sacro. Mi fiss attentamente con i suoi occhietti circondati da una fitta rete di rughe, pos una mano scura e grinzosa sulla testa di Mahmud e con voce tremante cominci a recitare il Kul. una preghiera che ogni musulmano recita, prima d'intraprendere qualcosa d'importante, per pregare per un ammalato o per una questione di affari.Il mullah inizi quindi a leggere il Corano in arabo (il Corano letto sempre in arabo, sarebbe difatti considerato erroneo tradurre le vere parole che l'angelo di Dio trasmise al profeta Maometto). Cominciai a diventare impaziente. Forse, senza accorgermene, mi misi a battere il piede per terra; fu allora che il mullah porgendomi il Corano mi disse: "Begum Sahib, dovreste leggere anche voi questi versi". Si riferiva al Sura Falak ed al Sura Naz, versi che vengono recitati quando uno si trova in difficolt. "Perch non li ripetete con me?"."No", risposi. "Non lo far. Dio si dimenticato di me ed io mi sono dimenticata di Dio!". Cambiai per tono quando il vecchio mi lanci un'occhiataccia. Dopo tutto, era venuto qui su mia richiesta e per il bene di Mahmud... "Va bene", dissi prendendo in mano il libro logoro. Lo aprii a caso e lessi il primo verso che mi capit sotto gli occhi:

Maometto l'inviato di Dio, e coloro che sono schierati con lui, sono severi contro gli infedeli...Pensai alla ragazza cristiana che era stata assassinata, alla nuvola scura che mi era apparsa nel giardino, poco dopo che era stato commesso il delitto e soprattutto pensai alla misteriosa indisposizione di Mahmud. Poteva esserci qualche relazione tra tutti quegli avvenimenti? Una cosa era certa, che non avrei suscitato l'ira di alcuna potenza spirituale, perch n io n Mahmud ci saremmo mai uniti con un cristiano. Rabbrividii solo a pensarci.Il sant'uomo appariva soddisfatto. Nonostante le mie riserve, ritorn per tre giorni di seguito a recitare versi per Mahmud.Ed a completare la serie di eventi misteriosi e sconvolgenti, Mahmud miglior!Cosa avrei dovuto pensare di tutto quel che stava accadendo?L'avrei scoperto di l a poco. Difatti, senza saperlo, le cose stavano prendendo una piega tale da cambiare il corso della mia vita, mandando in frantumi il mondo che fino allora mi era appartenuto.Capitolo 2

IL LIBRO SCONOSCIUTODopo quelle esperienze mi rivolsi al Corano. Mi avrebbe aiutata forse a spiegare quegli avvenimenti ed, allo stesso tempo, a riempire il vuoto ch'era dentro di me. Di sicuro i membri della mia famiglia avevano trovato spesso una risposta d'incoraggiamento nelle sue scritture in lingua araba, dal corsivo tondeggiante.Naturalmente avevo gi letto il Corano. Mi ricordavo lucidamente della mia infanzia quando, per la prima volta, avevo iniziato ad imparare l'arabo, per poter essere in grado poi di leggere il nostro libro sacro: avevo esattamente quattro anni, quattro mesi e quattro giorni. Era quello il giorno in cui ogni bambino musulmano comincia a districarsi con la scrittura araba. Il momento era solennizzato da un grande banchetto a cui partecipavano tutti i membri della famiglia. Fu allora che, con una cerimonia speciale, la moglie del mullah del nostro villaggio cominci ad insegnarmi l'alfabeto.Mi ricordo in special modo del mio prozio Fateh (per la verit non era mio zio; in Pakistan tutti i parenti pi anziani vengono chiamati zio o zia). Lo zio Fateh era il congiunto pi stretto della nostra famiglia, mi ricordo ancora chiaramente di come mi guardava durante la cerimonia. Aveva un'espressione bonaria sul viso dal profilo aquilino, era compiaciuto del fatto che io ascoltassi il racconto di quando l'angelo Gabriele aveva cominciato a dare a Maometto le parole del Corano in quella profetica "Notte di potenza" dell'anno 610 A.D. Mi ci vollero sette anni per leggere tutto il libro per la prima volta; quando finalmente lo terminai, ci fu un buon motivo per un'altra celebrazione familiare!Prima avevo sempre letto il Corano come un obbligo, ma questa volta sentivo che avrei dovuto investigare veramente tra le sue pagine. Presi la mia copia, che era appartenuta in precedenza a mia madre, mi distesi sulla trapunta bianca che ricopriva il mio letto e mi accinsi a leggere. Cominciai dal verso iniziale, il primo messaggio dato al giovane profeta Maometto, mentre si trovava nella caverna sul monte Hira:Recita, nel nome del tuo Signore, che ha creato, Che ha creato l'uomo da un grumo di sangue! Recita! Perch il tuo Signore il pi generoso; Egli colui che ha insegnato a servirsi del qalam, Ha insegnato all'uomo ci che non sapeva.

(Sura XCVI, versi 1-5, Il Corano, versione del Dott. Bonelli, Edizione Hoepli, Milano, copyright 1969, p. 595.)All'inizio mi lasciai trascinare dalla bellezza dei versi, ma in seguito lessi delle parole che non mi dettero alcun conforto:

Quando ripudiate (divorziate) le vostre donne e sia giunto il termine loro (cio, il momento di rimandarle), trattenetele con umanit o, con umanit, rimandatele;

(La Sura della vacca, verso 231, Ia parte, vers. Bonelli, p. 34.)Gli occhi di mio marito erano diventati come carboni ardenti mentre mi diceva di non amarmi pi. Mi sentii svuotata dentro, mentre parlava. Che ne era di tutti quegli anni trascorsi insieme? Dovevano forse essere accantonati come se non fossero mai stati vissuti? Avevo, come dice il Corano, raggiunto il 'mio termine'?La mattina seguente continuai a leggere il Corano, sperando di trovare nella sua scrittura tondeggiante, la sicurezza che cercavo tanto disperatamente. Ma quella sicurezza non arriv mai. Nelle sue pagine trovai soltanto delle direttive sul modo di vivere e degli avvertimenti nei confronti di altri culti. C'erano dei versi riguardanti il profeta Ges il cui messaggio, diceva il Corano, era stato falsificato dai primi cristiani. Per quanto Ges fosse nato da una vergine, non era per figlio di Dio.

"E non dite 'tre'", avvertiva il Corano riguardo al concetto cristiano della Trinit. "Desistete da ci, questo sar meglio per voi; in verit, Dio un dio solo".

(La Sura delle donne, verso 169, vers. Bonelli, p. 90.)Dopo aver letto per diversi giorni il santo libro, un pomeriggio lo posai con un sospiro, mi alzai e scesi in giardino, dove speravo di trovare un po' di pace nella natura e nei vecchi ricordi. In questo periodo dell'anno la vegetazione era di un bel verde acceso, rischiarato qua e l dagli alissi colorati, che ancora fiorivano. Era una giornata tiepida d'autunno e Mahmud saltellava lungo i sentieri, dove io avevo camminato da bambina con mio padre. Rivedevo, con la mia mente, l'immagine di mio padre, che camminava al mio fianco, con il turbante bianco, vestito impeccabilmente, alla maniera tradizionale britannica di Savile Row, come si addiceva ad un ministro del governo. Mi chiamava spesso con il mio secondo nome 'Bilquis Sultana' sapendo quanto mi facesse piacere sentirlo pronunziare. Bilquis era il primo nome della regina di Sceba e tutti sanno che Sultana sta ad indicare regalit.Mi piaceva conversare con lui. Negli ultimi anni parlavamo spesso della nostra nuova nazione: il Pakistan. Ne era cos orgoglioso! "La Repubblica Islamica del Pakistan stata creata proprio per fare da patria ai musulmani sud asiatici", diceva. "Siamo una delle pi grandi nazioni del mondo governate dalla legge islamica", aggiungeva, facendo notare che il 96 per cento della popolazione del nostro Paese era musulmano e che il rimanente era costituito per lo pi da gruppi di buddisti, cristiani ed ind.Sospirai, guardando al di l degli alberi del mio giardino, verso le colline ricoperte di fiori di lavanda, che si scorgevano in lontananza. Avevo trovato sempre conforto in mio padre. Negli ultimi anni ero diventata una compagna per lui. Discutevamo spesso della situazione politica, che cambiava cos spesso nel nostro Paese. Era cos distinto, cos comprensivo. Ma ora non c'era pi. Mi ricordo di quando mi trovai davanti alla sua tomba aperta nel cimitero musulmano di Brookwood, fuori Londra. Era andato fino a Londra per un'operazione, che purtroppo non era riuscita. Gli usi musulmani richiedono che si debba essere seppelliti 24 ore dopo la morte; quando arrivai al cimitero la bara era pronta per essere calata nella fossa. Non potevo crederci che non l'avrei mai pi rivisto. Svitarono le viti ed aprirono il coperchio per permettermi di guardarlo per l'ultima volta. Ma quel corpo grigio e freddo disteso nella bara non era lui, dov'era mio padre? Rimasi l come impietrita, pensando a quelle cose mentre richiudevano la cassa: ogni giro stridente di vite, che penetrava nel legno umido, mi causava dolore.Mia madre, a cui ero anche molto legata, mor sette anni dopo, lasciandomi completamente sola.Nel giardino cominciavano a scendere le ombre della sera, mi trovavo di nuovo fuori all'ora del crepuscolo. Il conforto che avevo cercato nei ricordi mi aveva, per la verit, procurato soltanto molta pena. In lontananza potevo sentire il muezzin che chiamava alla preghiera serale; quel richiamo ossessionante accentu ancora di pi il mio senso di solitudine. "O Allah, dov'", bisbigliai, seguendo il ritmo della preghiera, "dov' il conforto che prometti?".Quella sera, nella mia camera da letto, ripresi di nuovo il Corano di mia madre in mano. Mentre leggevo ero colpita dalle numerose referenze alle scritture ebraiche e cristiane, antecedenti al Corano. Forse, mi dissi, dovrei continuare la mia ricerca tra quei primi libri?Ma questo stava a significare leggere la Bibbia! E come la Bibbia poteva aiutare, dal momento che, come tutti ovviamente sanno, i primi cristiani l'avevano tanto falsificata? L'idea di leggere la Bibbia divenne sempre pi insistente. Qual'era il concetto di Dio, secondo la Bibbia? Che cosa diceva sul profeta Ges? Forse avrei dovuto proprio leggerla...Ma sopraggiunse allora un altro problema: dove avrei trovato una Bibbia? Non l'avrei certo potuta reperire in nessun negozio della nostra zona.Forse Raisham ne aveva una copia. Rigettai subito quel pensiero. Anche se l'avesse avuta, la mia richiesta l'avrebbe spaventata. Erano stati assassinati dei pakistani solo perch sembrava che avessero persuaso dei musulmani a diventare cristiani-traditori. Passai in rassegna gli altri miei servitori cristiani. La mia famiglia mi aveva messa sull'avviso di non assumere servitori cristiani: il motivo era la loro ben nota mancanza di fedelt e sincerit. Ma io non mi ero lasciata influenzare: per me l'importante era che facessero il loro dovere, il resto non mi riguardava. Non si poteva certo asserire che erano sinceri. Difatti, quando i missionari cristiani vennero in India, fu facile per loro fare dei proseliti tra le classi sociali meno abbienti. Molti dei nuovi con-vertiti erano spazzini, una categoria di persone che occupa un posto tanto basso nell'ordine sociale. Il loro lavoro si limita a tenere pulite strade, vicoli e tombini. Noi musulmani chiamavamo quei lavoratori "i cristiani del riso". Non era forse quello il motivo per cui accettavano una falsa religione? Non era soprattutto per ricevere cibo, vestiti e l'istruzione che i missionari davano loro?Guardavamo con una punta d'ironia gli stessi missionari, che si occupavano cos premurosamente di quelle povere creature. Proprio pochi mesi prima, il mio autista Manzur, un cristiano, mi aveva chiesto il permesso di mostrare il mio giardino a dei missionari del luogo che lo avevano ammirato attraverso la siepe."Ma certamente", avevo risposto con tono enfatico, pensando al povero Manzur, che evidentemente voleva fare una bella figura con quelle persone. Qualche giorno pi tardi, dalla finestra del salotto, vidi la coppia americana che gironzolava per il giardino. Manzur si rivolgeva loro chiamandoli: Reverendo e Signora Mitchell. Avevano tutti e due i capelli di colore biondo scuro, occhi chiari ed indossavano vestiti occidentali senza alcuno stile. Che persone scialbe pensai! Nonostante le mie considerazioni detti per ordine al giardiniere di dare dei semi da piantare a quei missionari, se ne avevano piacere.Pensando a loro, seppi finalmente come entrare in possesso di una Bibbia! Manzur me l'avrebbe procurata. Domani, pensai, gli dar l'incarico.Lo mandai a chiamare e la mattina seguente venne nella mia camera. Si mise sull'attenti davanti a me; indossava la divisa con i pantaloni bianchi. Il suo tic nervoso al viso, come al solito, m'irritava."Manzur, voglio che mi procuri una Bibbia"."Una Bibbia?". Spalanc gli occhi."S certo!" risposi, cercando di mantenermi calma. Poich Manzur non sapeva leggere, ero sicura che non ne possedeva una, ma sapevo per che era in grado di procurarmela! Mormor qualcosa che non capii, ma io ripetei con decisione e fermezza: "Manzur, voglio una Bibbia".Annu con il capo, si chin in segno di saluto ed usc. Sapevo perch aveva fatto resistenza alla mia richiesta. Anche a luimancava il coraggio, come a Raisham. Entrambi avevano ancora presente il caso della ragazza assassinata. Dare una Bibbia ad uno spazzino era una cosa, ma portarne una a qualcuno delle classi sociali pi elevate era tutt'altro. Una sola parola avrebbe potuto metterlo in guai seri.Due giorni pi tardi Manzur mi stava conducendo a Rawalpindi, dove andavo ad incontrarmi con Tooni."Manzur, non ho ancora avuto la Bibbia".Notai che le nocche delle dita erano diventate bianche, tanto stringeva forte il volante."Begum, ve ne porter una".Dopo tre giorni lo mandai a chiamare di nuovo."Manzur, ti ho chiesto per tre volte di procurarmi una Bibbia e non l'hai ancora fatto". Il tic che gli contraeva il viso si accentu di pi. "Ti do ancora un giorno di tempo. Se non ne avr una per domani, sarai licenziato".Si sbianc in viso. Sapeva che l'avrei fatto. Si gir sui tacchi degli stivali e se ne and; i suoi passi risuonarono sul pavimento della terrazza.Il giorno seguente, proprio poco tempo prima che Tooni venisse a farmi visita, vidi una piccola Bibbia, apparsa misteriosamente sul tavolino del salotto. La presi e l'osservai attentamente. Ricoperta modestamente di tela grigia, era stampata in Urdu, un dialetto indiano locale. Era stata tradotta da un inglese 180 anni prima ed io trovavo la fraseologia antiquata e difficile da seguire. Manzur, evidentemente, aveva dovuto averla da un amico: era quasi nuova. Ne sfogliai le pagine sottili, poi la posai e non ci pensai pi.Pochi minuti dopo arriv Tooni. Mahmud le corse incontro, gridando di gioia, sapeva che la madre gli aveva certamente portato un giocattolo. Un attimo dopo il bambino si diresse in terrazza a provare il suo nuovo aeroplano mentre Tooni ed io ci sedemmo per prendere un t.Fu allora che Tooni not la Bibbia posata sul tavolino, accanto a me. "Oh! Una Bibbia!" esclam. "Aprila, vediamo cosa dice... ". La nostra famiglia ha sempre considerato con un certo interesse ogni libro religioso. Un passatempo come un altro era quello di aprire un libro sacro, a caso, d'indicare alla cieca un passo e vedere che cosa diceva, quasi come se si leggesse una profezia.A cuor leggero aprii la Bibbia e guardai le pagine davanti a me.Accadde allora qualcosa d'inspiegabile. La mia attenzione venne richiamata su di un verso scritto nell'angolo in basso, della pagina destra. Mi accostai per leggerlo meglio:"Io chiamer mio popolo quello che non era mio popolo, e 'amata' quella che non era amata; e avverr che nel luogo ov'era loro stato detto: 'Voi non siete mio popolo', quivi saran chiamati figliuoli dell'Iddio vivente". Romani 9:25-26.

Trattenni il respiro mentre ero percorsa da un tremito. Perch quel verso mi colpiva tanto? "Io chiamer mio popolo quello che non era mio popolo... nel luogo ov'era loro stato detto: 'Voi non siete mio popolo', quivi saran chiamati figliuoli dell'Iddio vivente".Sulla stanza pendeva il silenzio. Alzai gli occhi dal libro e vidi che Tooni era in attesa, pronta ad ascoltare il passo trovato. Non potevo leggere quelle parole ad alta voce. C'era qualcosa in esse che per me era troppo profondo per poterlo considerare un semplice gioco."E allora, cos'era, mamma?" domand Tooni, mentre i suoi occhi vivaci m'interrogavano.Chiusi il libro, mormorai qualcosa sul fatto che non era pi un gioco e cambiai argomento di conversazione.Quelle parole mi bruciavano dentro come tizzoni ardenti e si apprestavano a diventare il preludio ai sogni pi insoliti che avessi mai avuto!Capitolo 3

I SOGNISoltanto il giorno dopo presi di nuovo in mano la piccola Bibbia grigia. N Tooni, n io avevamo pi fatto riferimento ad essa, dopo che io avevo, di proposito, cambiato discorso. Nel corso di quel lungo pomeriggio le parole del passo letto mi ritornavano ogni tanto alla mente.Il giorno successivo in serata mi ritirai nella mia camera, dove pensavo di riposare e meditare un po'. Presi la Bibbia e mi distesi sui cuscini candidi e soffici del divano. Sfogliai di nuovo il libro e mi capit sotto gli occhi un altro passo rebus:"Mentre Israele, che cercava la legge della giustizia non ha conseguito la legge della giustizia". Romani 9:31Ah, pensai. Proprio come dice il Corano; gli ebrei avevano mancato il bersaglio. Lo scrittore di quei versi doveva essere stato un musulmano. Fui indotta a pensarlo dal fatto che continuava a parlare del popolo d'Israele come di chi non conosce la giustizia di Dio.Il passo successivo mi fece per trattenere il respiro:

"Perch il termine della legge Cristo, per essere giustizia ad ognuno che crede". Romani 10:4

Posai il libro per un attimo. Cristo? Era in lui la fine del combattimento? Continuai a leggere.

"Ma che dice ella? La parola presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore... se con la bocca avrai confessato Ges come Signore, e avrai creduto col cuore che Dio l'ha risuscitato dai morti, sarai salvato". Romani 10:8-9Posai di nuovo il libro, scuotendo la testa. Era totalmente in contrasto col Corano. I musulmani sapevano che il profeta Ges era soltanto umano, che l'uomo non mor sulla croce ma fu assunto in cielo da Dio e che un sostituto fu crocifisso al suo posto. Ora, dopo aver soggiornato in un cielo inferiore, questo Ges sarebbe ritornato un giorno sulla terra a regnarvi per quarant'anni, si sarebbe sposato, avrebbe avuto dei figli e poi sarebbe morto. Avevo sentito difatti che c'era una fossa lasciata appositamente vuota per ricevere i suoi resti a Medina, la citt dove anche Maometto sepolto. Nel giorno della Resurrezione, Ges sarebbe risorto e giudicato con gli altri uomini davanti all'Onnipotente Iddio. Ma intanto la Bibbia diceva che Cristo era risorto dai morti. O era una bestemmia o...La mia mente turbinava di pensieri. Sapevo che chiunque si fosse rivolto ad Allah, sarebbe stato salvato. Si doveva credere che Ges fosse Allah? Perfino Maometto, l'ultimo ed il pi grande dei messaggeri di Dio, il Suggello dei Profeti, era soltanto un mortale.Mi sdraiai sul letto e mi misi una mano sugli occhi. Se la Bibbia ed il Corano rappresentano lo stesso Dio, perch c' tanta confusione e contraddizione? Come potevano essere entrambi lo stesso Dio se quello del Corano un Dio di vendetta e punizione mentre quello della Bibbia cristiana un Dio di misericordia e perdono? Non so a che ora mi addormentai. Di solito non ricordo i miei sogni, ma quella notte lo feci. Il sogno era tanto vivo, i fatti cos reali, che trovai difficile, la mattina successiva, credere che fosse soltanto fantasia. Ecco ci che vidi:Stavo pranzando con un uomo, che sapevo con certezza fosse Ges. Era venuto a farmi visita ed a trattenersi con me per due giorni. Si era seduto a tavola di fronte a me ed avevamo mangiato insieme in pace e con gioia. All'improvviso il sogno cambi. Mi trovavo adesso sulla cima di una montagna con un altro uomo. Aveva un abito lungo e calzava i sandali. Come mai conoscevo misteriosamente il suo nome? Giovanni Battista. Che nome strano. Mi misi a raccontare a questo Giovanni Battista della recente visita di Ges. " venuto il Signore ed stato ospite mio per due giorni", dissi. "Ma adesso se n' andato. Dov'? Devo trovarLo! Forse tu, Giovanni Battista, puoi guidarmi da Lui".Questo fu il sogno. Mi svegliai gridando: "Giovanni Battista! Giovanni Battista!". Nur-jan e Raisham si precipitarono nella mia stanza. Sembravano imbarazzate alle mie grida e cominciarono a prepararmi la toilette, con eccessiva minuzia. Mentre si affaccendavano raccontai loro il mio sogno."Che bello", disse ridendo scioccamente Nur-jan, mentre mi metteva davanti un vassoio colmo di boccette di profumo, "S, era un bel sogno benedetto", bisbigli Raisham, mentre mi spazzolava i capelli. Ero sorpresa che come cristiana, Raisham non fosse pi eccitata. Stavo per chiederle di Giovanni Battista, ma mi trattenni; dopo tutto, Raisham era solo una donna semplice di campagna. Ma chi era questo Giovanni Battista? Non avevo trovato ancora il suo nome nella lettura che avevo fatto, finora, della Bibbia.Nei tre giorni successivi continuai a leggere la Bibbia ed il Corano confrontando l'uno con l'altro. Consultavo il Corano con un certo senso del dovere, poi mi rivolgevo avidamente al libro cristiano, immergendomi nella sua lettura e cercando di capire quel mondo nuovo e confuso che scoprivo man mano. Ogni qualvolta aprivo la Bibbia provavo un senso di colpa. Questo mi derivava forse dalla rigida educazione ricevuta. Anche da adulta, mio padre doveva dare la sua approvazione a qualsiasi libro leggessi. Una volta mio fratello ed io portammo di nascosto un libro nella nostra camera. Anche se era completamente innocuo, eravamo molto spaventati nel leggerlo.Ora, appena aperta la Bibbia, ebbi la stessa reazione. Un racconto attir particolarmente la mia attenzione. Parlava dei capi sacerdoti che menarono una donna colta in adulterio davanti al profeta Ges. Tremai, sapendo quale destino era in serbo per lei. Il codice morale dell'antico Oriente non era molto diverso da quello del nostro Pakistan. Gli uomini della comunit sono obbligati, dalla tradizione, a punire la donna adultera. Quando lessi nella Bibbia della donna che stava davanti ai suoi accusatori, sapevo che i suoi stessi fratelli, zii e cugini le stavano davanti per lapidarla.Il profeta invece disse: "Chi di voi senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei" (Giov. 8:7).Rimasi sconvolta mentre con gli occhi della mente vedevo gli uomini andarsene furtivamente. Invece di eseguire una condanna a morte, Ges aveva costretto gli accusatori ad accettare la propria colpevolezza. Il libro mi scivol in grembo mentre ero assorta nei miei pensieri. Trovavo cos logica, cos giusta la sfida del profeta. Quell'uomo diceva il vero.Tre giorni dopo ebbi un secondo strano sogno: mi trovavo nella mia camera da letto, quando una cameriera venne ad an-nunziarmi che era venuto un venditore di profumi. Mi alzai dal divano esultante; in quel periodo in Pakistan mancavano i profumi di marca. Temevo di trovarmi a corto del mio lusso favorito. Sempre in sogno dissi alla cameriera di farlo entrare.Era vestito alla maniera dei venditori di profumo dei tempi di mia madre, quando i mercanti viaggiavano, vendendo la loro mercanzia di casa in casa. Indossava una redingote nera e teneva la merce chiusa in una valigia. L'apr e tir fuori un'anfora d'oro. Ne tolse il tappo e me la porse. Appena la vidi trattenni il respiro; il profumo scintillava come cristallo liquido. Stavo per toccare l'anfora, quando egli alz il braccio."No", disse. E tenendo sempre l'anfora in mano and a posarla sul mio comodino. "Il suo profumo si spander in tutto il mondo", disse.Quando la mattina mi svegliai, il sogno era ancora vivido nella mia mente. Il sole penetrava attraverso la finestra; potevo ancora sentire quel buon profumo, la sua deliziosa fragranza aveva riempito tutta la stanza. Mi alzai e guardai in direzione del comodino, aspettandomi quasi di vedere l'anfora d'oro.Al suo posto c'era invece la Bibbia!Mi sentii percrsa da un fremito. Mi sedetti sulla sponda del letto, riflettendo sui due sogni. Che stavano a significare? Non ricordavo sogni da anni ed ora ne ricordavo due, uno dopo l'altro! C'era qualche relazione fra di essi? E c'era qualche riferimento al mio recente scontro con la realt del mondo soprannaturale?Quel pomeriggio scesi per la mia solita passeggiata in giardino. Mi sentivo ancora confusa per i sogni fatti, ma sentivo che adesso c'era qualcosa di diverso. Avvertivo una strana contentezza, una gioia, una pace come non l'avevo mai provata prima. Mi sembrava di sentirmi vicino alla presenza di Dio. All'improvviso, mentre passavo dal folto di un boschetto ad una zona aperta, inondata di luce, sentii nell'aria un delizioso profumo. Non era la fragranza dei fiori - era ormai troppo tardi perch ve ne fosse qualcuno ancora in boccio - era un profumo vero e proprio.Alquanto agitata feci ritorno a casa. Da dove veniva quell'odore? Che mi stava succedendo? Ci sarebbe voluto qualcuno che conoscesse la Bibbia. Avevo gi scartato l'idea, affacciatasi alla mente, di rivolgermi ai miei servitori cristiani. In primo luogo era assurdo pensare di ricavare da loro qualche informazione. E poi, con molta probabilit, non avevano nemmeno letto la Bibbia e perci non avrebbero saputo neppure dirmi di che parlavo. No, dovevo rivolgermi a qualcuno che fosse istruito e che conoscesse le Scritture.Mentre prendevo in considerazione quel fatto, mi venne un'idea inaccettabile. Scacciai subito quel pensiero. Era proprio l'ultimo posto, dove sarei andata in cerca di aiuto.Ma quel nome ritorn alla mia mente cos insistentemente che alla fine suonai per chiamare Manzur."Preparami la macchina". E subito dopo, aggiunsi: "La guider io".Manzur spalanc gli occhi. "Voi?"."S, se non ti dispiace". Se ne and a malincuore. Ero uscita raramente con la macchina cos tardi di sera. Durante la IIa guerra mondiale ero stata un ufficiale dell'Esercito Reale Indiano, divisione donne ed avevo guidato ambulanze e macchine per i pi alti gradi dell'esercito, per migliaia di miglia e su ogni tipo di terreno. Ma in tempo di guerra era un'altra cosa ed oltretutto ero sempre in compagnia di qualcuno. Non ci si aspettava che la figlia della casta Nawab, guidasse l'auto, in tempi normali e tanto meno di notte!Ma non potevo, d'altra parte, rischiare che Manzur venisse a sapere quel che stavo per fare; volevo evitare i conseguenti pettegolezzi della servit. Ero convinta che esistesse solo una fonte, da cui attingere le risposte alle mie domande: Chi era Giovanni Battista? Cos'era quel profumo che sentivo?Cos, con una certa riluttanza, quella sera mi recai a casa di una coppia che conoscevo appena: il Reverendo David Mitchell e sua moglie. Erano venuti a vedere il mio giardino quell'estate. Essendo missionari cristiani, erano proprio le ultime persone che avrei voluto incontrare...Capitolo 4

L'INCONTROLa mia Mercedes nera era pronta nel viale. Manzur mi stava aspettando davanti allo sportello, che manteneva chiuso per evitare che il fresco pungente di quella sera d'autunno penetrasse nell'auto. I suoi occhi scuri e penetranti avevano un'aria interrogativa. Non parl. Salii nell'auto calda e confortevole, mi sistemai al volante e partii con le ombre della sera, la Bibbia sul sedile a fianco a me.Ognuno sapeva dove viveva l'altro, nel piccolo villaggio di Wah. La casa dei Mitchell si trovava all'ingresso di una fabbrica che produceva cemento, da cui la mia famiglia traeva parte della sua rendita. Era servito come centro per una piccola insolita comunit, a circa cinque miglia dalla citt. Le case erano state costruite come quartieri provvisori per le truppe britanniche, durante la IIa guerra mondiale. Mi ritorn in mente che, in una delle poche volte che mi ero avventurata in quella zona, avevo notato che le case, tutte uguali e senza stile, avevano perso gran parte dell'intonaco e che i tetti di lamiera mostravano i segni di diverse riparazioni. Mentre guidavo sentii in me un senso di aspettazione e paura miste insieme. Non ero mai stata prima in una casa di missionari cristiani. Ero fiduciosa che avrei conosciuto l'identit del mio uomo misterioso: Giovanni Battista. Eppure temevo una certa - come dire - 'influenza' da parte di coloro che avrebbero risposto alle mie domande.Che cosa avrebbero pensato i miei antenati di questa visita ad un missionario cristiano? Pensavo, ad esempio, al mio bisnonno che aveva accompagnato il famoso generale britannico Nicholson attraverso il passo Khyber, in una delle guerre dell'Afganistan. Questa visita avrebbe procurato vergogna alla mia famiglia! Avevamo sempre associato i missionari con i poveri e gli emarginati. Cercavo di figurarmi un'ipotetica conversazione fra me ed uno dei miei zii, mentre io mi difendevo, raccontandogli i miei sogni strani. "Dopo tutto", concludevo nella scena che raffiguravo nella mia mente, "ognuno vorrebbe scoprire il significato di quei sogni cos vivi e reali".Man mano che mi avvicinavo al quartiere, dove abitavano i Mitchell, mi ricordavo sempre pi del posto, nonostante la luce tenue che rischiarava le case, che apparivano una simile all'altra. Dopo aver girato per vie e viottoli, finalmente trovai la casa dei Mitchell, in prossimit della fabbrica di cemento, proprio dove immaginavo che fosse: una casa piccola ad un piano, imbiancata a calce, circondata da piante di gelso. Come precauzione volevo parcheggiare l'auto ad una certa distanza per sottrar-mi agli sguardi indiscreti. Avevo troppo timore delle reazioni della mia famiglia. Invece mi fermai proprio di fronte alla casa, presi la Bibbia e mi diressi in fretta verso l'abitazione. Notai che il cortile era pulito e la verandina ben tenuta. Almeno - pensai tre me - questi missionari si prendono cura della propriet!All'improvviso la porta di casa si apr ed usc un gruppo di donne, in fila, che chiacchieravano ad alta voce. Erano vestite con il tipico shalwar qamiz, una specie di pigiama ampio di cotone, con una dupatta (sciarpa). M'irrigidii. Mi avrebbero certamente riconosciuta; quasi tutti a Wah mi conoscevano. Adesso il fatto sarebbe stato reso noto: la Begum Sheikh aveva fatto visita a dei missionari cristiani!Difatti, appena le donne mi scorsero, alla luce che filtrava dalla porta dei Mitchell, smisero all'improvviso di chiacchierare. Si diressero in fretta verso la strada e ciascuna di esse, nel passarmi accanto, si tocc la fronte con la mano, nel saluto tradizionale. Non potevo far altro che proseguire verso la porta, dove la signora Mitchell stava scrutando nell'oscurit. Guardandola pi da vicino notai che era proprio come me la ricordavo quando l'avevo vista ad una certa distanza: giovane, pallida, dall'aspetto fragile. Adesso indossava per uno shalwar qamiz come le donne del villaggio. Appena mi vide apr la bocca ma non riusc a dire altro che: "Come mai... Begum Sheikh! Che cosa! Ma... entrate, prego entrate".Fui contenta d'infilarmi in casa, lontano dagli sguardi indiscreti delle donne del villaggio, che sapevo erano fissi alle mie spalle. Andammo nel soggiorno, una stanza piccola, ammobiliata semplicemente. La signora Mitchell prese quella che sembrava la sedia pi comoda e me l'avvicin al camino acceso. Lei non si sedette, rimase in piedi, intrecciandosi nervosamente le dita. Rivolsi lo sguardo alle sedie messe in circolo, al centro della stanza. La signora Mitchell mi spieg che aveva appena terminato uno studio biblico con alcune donne locali. Poi toss imbarazzata. "Uh! vorreste una tazza di t?" disse, tirandosi indietro i capelli."No grazie", risposi. "Sono venuta per fare una domanda". Mi guardai attorno. "Il Reverendo Mitchell a casa?"."No, in viaggio per l'Afganistan".Mi dispiacque veramente. La donna che mi stava davanti era cos giovane! Sarebbe stata in grado di rispondere alle mie domande?Arrischiai una domanda: "Signora Mitchell, sapreste dirmi qualcosa su Dio?".Si lasci cadere su una sedia e mi guard in modo strano; l'unico rumore che si sentiva nella stanza era lo scoppietto della fiamma nel camino.Rispose con calma, "Mi dispiace, non so molto su Dio, ma posso dirvi che Lo conosco".Che asserzione straordinaria! Come potrebbe una persona avere la pretesa di conoscere Dio intimamente! La maniera confidenziale di trattare della donna, m'ispir fiducia. Prima che io stessa me ne rendessi conto, mi ritrovai a raccontarle del mio sogno sul profeta Ges e sull'uomo chiamato Giovanni Battista. Stranamente, non riuscivo a controllare il tono della voce, mentre le raccontavo la mia esperienza. Parlandole, sentivo la stessa eccitazione che avevo provato in cima a quella montagna. Dopo aver descritto il sogno, mi rilasciai, appoggiandomi alla spalliera."Signora Mitchell, ho sentito parlare di Ges, ma chi Giovanni Battista?".La signora batt le palpebre ed aggrott le sopracciglia. Avvertii che stava quasi per chiedermi se veramente non avevo mai sentito parlare di Giovanni Battista, ma si trattenne e si accomod di nuovo sulla sedia. "Beh! Begum Sheikh, Giovanni Battista era un profeta, un precursore di Cristo Ges; predicava il ravvedimento e fu mandato a prepararGli la strada. Era colui che additando Ges disse: 'Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo'. Fu anche colui che battezz Ges".Perch il mio cuore ebbe un sussulto alla parola "battezz"? Sapevo poco dei cristiani, ma tutti i musulmani avevano sentito parlare della loro strana cerimonia del battesimo. Il mio pensiero vol a tutte le persone che erano state assassinate, dopo essersi fatte battezzare. E tutto questo accadeva sotto il governo britannico, quando si supponeva vi fosse libert di religione. Fin da bambina avevo sempre associato quei due fatti: musulmano battezzato, musulmano ammazzato."Begum Sheikh?".Alzai lo sguardo. Quanto a lungo eravamo rimaste sedute in silenzio? "Signora Mitchell", dissi, con la gola che mi si stringeva, "dimenticate per un attimo che sono musulmana. Ditemi sinceramente: che cosa intendevate quando avete detto di conoscere Dio?"."Conosco Ges", rispose, e sentivo che in cuor suo aveva risposto alla mia domanda.Poi mi raccont quel che il Signore aveva fatto per lei personalmente e per il mondo intero, abbattendo l'insormontabile barriera tra l'uomo peccatore e Dio stesso, manifestandosi in questo mondo in forma umana, come Ges, e morendo per tutti noi sulla croce.La stanza divent nuovamente silenziosa. Potevo sentire gli automezzi che passavano lungo la strada nazionale. La signora Mitchell sembrava non aver fretta, mentre parlava. Finalmente, credendo a stento alle mie orecchie, tirai un lungo respiro e dissi in modo chiaro e distinto, "Signora Mitchell, in questi ultimi tempi sono accadute delle cose strane a casa nostra. Degli eventi spirituali sia buoni che cattivi. Mi sento come se mi trovassi nel mezzo di un tiro alla fune; ho bisogno di tutto l'aiuto possibile che sia in grado di ricevere. Potreste pregare per me?".La donna sembr molto sorpresa alla mia richiesta, poi si riprese e mi chiese se volevo pregare in piedi, seduta o in ginocchio. Mi strinsi nelle spalle, ero comunque inorridita! Erano tutte proposte inammissibili... Ma quella donna snella e giovane s'inginocchi sul pavimento ed io ... la seguii."O Spirito di Dio", disse la signora a voce bassa. "Io so che nulla di quel che dir riuscir a convincere Begum Sheikh di chi Ges. Ma io Ti ringrazio che Tu togli il velo dai nostri occhi e che riveli Ges ai nostri cuori. O Spirito Santo, fa' questo per Begum Sheikh. Amen".Restammo in ginocchio per un tempo che mi sembr eterno. Ero contenta di stare in silenzio perch il mio cuore si era stranamente riscaldato.Finalmente ci alzammo. " una Bibbia, signora Sheikh?" mi chiese, facendo cenno col capo al piccolo libro che tenevo ben stretto al petto, in una mano. Glielo mostrai. "Lo trovate facile da capire?" mi domand."Veramente no", risposi. " una vecchia traduzione e non riesco a seguirla bene".And nella stanza a fianco e ritorn con un altro libro."Ecco un Nuovo Testamento scritto in inglese moderno" disse. " la traduzione di Phillips. La trovo pi facile da seguire delle altre. Lo vorreste?"."S", rispose senza esitare."Incominciate con il Vangelo di Giovanni", mi sugger, aprendo il libro e mettendoci un foglio di carta come segnalibro. "Questo un altro Giovanni, ma rende molto chiaro il ruolo di Giovanni Battista"."Grazie" dissi commossa. "Penso proprio di avervi trattenuta a lungo".Mentre mi accingevo ad andarmene la signora Mitchell disse: "Sapete che veramente interessante che un sogno vi abbia condotta fin qui. Dio spesso parla ai Suoi figliuoli in sogni e visioni".Mentre mi aiutava ad indossare il cappotto, mi chiedevo se potevo condividere con lei l'altro sogno. Quello sul venditore di profumo. Sembrava cos... bizzarro. Ma come era gi accaduto altre volte in quella stessa serata mi sentii ripiena di un coraggio e di un ardire che sembrava venire dal di fuori. "Signora Mitchell, potreste dirmi se vi alcuna relazione tra Ges ed il profumo?".Ci pens su per un attimo, la mano sulla maniglia della porta. "No", disse. "Non riesco a trovarne nessuna. Ad ogni modo fatemici pregare su".Mentre guidavo l'auto, diretta verso casa, avvertii per la seconda volta nella giornata quella Presenza profumata che avevo sentito in giardino.Ritornata a casa, quella sera lessi un po' del Vangelo di Giovanni, il passo in cui lo scrittore parla di Giovanni Battista: quest'uomo stranamente vestito di pelo di cammello, che viveva nel deserto e che ne era uscito per preparare il popolo alla venuta del Signore. E l, nella sicurezza della mia propria camera, seduta sul divano, circondata dai ricordi e da tradizioni vecchie di sette secoli, mi venne alla mente un pensiero spontaneo, non voluto, che respinsi in fretta. Se Giovanni Battista era un segno da parte di Dio, che guidava a Ges, questo stesso uomo stava guidando anche me a Ges?Il pensiero naturalmente era insostenibile. Lo scacciai dalla mente ed andai a dormire.Quella notte dormii profondamente.Quando il muezzin chiam per la preghiera, il mattino seguente, mi sentii sollevata nel constatare che vedevo le cose di nuovo chiaramente. Che pensieri strani mi si erano affacciati alla mente la sera prima! Ma ora che il muezzin mi ricordava dov'era riposta la verit, mi sentii di nuovo al sicuro, lontano da quelle influenze cristiane che interferivano.Raisham arriv proprio in quel momento, non con il solito t ma con un biglietto, che mi rifer, era stato consegnato a mano.Era da parte della signora Mitchell. Tutto quel che diceva era: "Leggete II Corinzi capitolo 2 verso 14".Presi dal comodino il Nuovo Testamento che lei stessa mi aveva dato e cercai fino a che trovai il capitolo ed il verso. Mentre leggevo, trattenni il fiato: "Ma grazie siano rese a Dio che sempre ci conduce in trionfo in Cristo, e che per mezzo nostro spande da per tutto il profumo della sua conoscenza".Mi sedetti in mezzo al letto e rilessi il passo, la mia calma di un attimo prima era svanita. La conoscenza di Ges si spande come un buon profumo! Il venditore del mio sogno aveva messo l'anfora d'oro con l'essenza sul mio comodino dicendo che il suo profumo "si sarebbe sparso in tutto il mondo". La mattina seguente avevo trovato la mia Bibbia nello stesso posto dov'era stato messo il profumo! Era tutto fin troppo chiaro. Non volevo pi pensarci. Dovevo suonare per il t, ecco quel che dovevo fare. Suonare per il t e riprendere al pi presto la mia vita di sempre, prima che qualcos'altro sopraggiungesse.Anche se la signora Mitchell mi aveva invitata a ritornare a casa sua, sentivo che era meglio non andarci. Mi sembr una decisione logica e sensata quella d'investigare prima le Scritture per conto mio. Non volevo essere influenzata in alcun modo.

Un giorno Nur-jan si precipit nella mia stanza con una strana luce negli occhi. "Sono venuti il Reverendo Mitchell e la signora" farfugli.Mi portai una mano alla fronte. Perch erano venuti qui? Mi stupii. Per mi ricomposi subito e dissi alla cameriera di farli accomodare in salotto.David Mitchell, un uomo alto e magro, con tante rughe intorno agli occhi emanava lo stesso calore umano di sua moglie. I due sembravano cos contenti di vedermi che dimenticai l'incomodo che mi avevano procurato, venendo a casa mia. La signora Mitchell mi prese tutte e due le mani, poi all'improvviso mi abbracci. Ero sbalordita. Nessuno, all'infuori dei miei familiari, nemmeno le mie amiche pi intime, mi aveva mai abbracciata prima. M'irrigidii, ma la signora Mitchell non sembr dare importanza alla mia reazione. In retrospettiva, devo ammettere che quell'effusione di affetto mi fece piacere. Non poteva esserci stata affettazione nel suo saluto."Sono tanto contento di conoscere la 'Signora dei fiori'" esclam David con un gioviale accento americano.Lanciai un'occhiata alla signora Mitchell e lei rise. "Ora vi spiego" disse. "Quando veniste a casa nostra, volevo telegrafarlo subito a David, dato che avevamo spesso parlato di voi, da quando eravamo venuti a vedere il vostro giardino, la primavera scorsa. Per cautela per non volevo usare il vostro vero nome. Mentre mi chiedevo come fare riferimento a voi nel telegramma, guardai dalla finestra e vidi i bei fiori che erano spuntati dai semi che ci aveva dato il vostro giardiniere. Mi venne in mente il nome: 'Signora dei fiori' e questo divent il nostro nome in codice per indicarvi".Risi. "S, ma da ora in poi potete chiamarmi Bilquis"."E voi, per favore", disse, "chiamatemi Synnove".Fu una strana visita. Mi aspettavo una certa pressione da parte dei Mitchell, ad accettare la loro religione, ma non accadde nulla del genere. Prendemmo una tazza di t e chiacchierammo insieme. Domandai perch Ges veniva chiamato "Figlio di Dio". Per i musulmani non esiste peccato pi grande di una simile asserzione. Il Corano afferma e ribadisce che Dio non ha figli. "E per quanto riguarda la 'Trinit'" chiesi, "Dio identificato in tre persone?".David mi rispose paragonando Dio al sole, che si manifesta in tre energie produttive: calore, luce e radiazione, un triplice rapporto che nell'insieme formano il sole, ma preso singolarmente non il sole. Dopo poco tempo se ne andarono.Mi ritrovai nuovamente sola, alle prese con il Corano e la Bibbia. Continuai a leggerli entrambi, per diversi giorni. Studiavo il Corano perch era stato il dovere e l'abitudine di tutta la mia vita, ma investigavo la Bibbia per un'indefinibile fame interiore.Eppure, a volte, mi trattenevo dal prendere la Bibbia. Sentivo che Dio non poteva trovarsi in ambedue i libri, perch i loro messaggi erano cos diversi. Ma quando la mia mano esitava, nel prendere il libro che la signora Mitchell mi aveva dato, provavo allora un certo disappunto. In quest'ultima settimana avevo vissuto in un meraviglioso mondo irreale, che non aveva niente a che vedere con l'altro mio mondo - il giardino creato da me con semi ed acqua; questo invece era un giardino interiore creato da una nuova conoscenza spirituale. Ero penetrata per la prima volta in questo mondo meraviglioso per mezzo dei miei due sogni; ne ero venuta di nuovo a conoscenza nella notte che incontrai quell'indefinibile gloriosa Presenza nel mio giardino. L'avevo avvertito un'altra volta quando avevo obbedito all'impulso che mi aveva spinta a far visita ai Mitchell.Nei giorni seguenti, lentamente ma chiaramente, cominciai a rendermi conto che c'era una via per far ritorno al mio mondo ideale. La lettura di quel libro cristiano sembrava, per motivi che non riuscivo a capire, la chiave per il mio rientro in quel mondo.Un giorno il piccolo Mahmud venne da me, con una mano sull'orecchio e trattenendo a stento le lacrime, disse con voce di pianto: "Il mio orecchio, mamma, mi fa male".Mi chinai per osservarlo meglio. Il viso roseo si era impallidito. Per quanto Mahmud fosse un bambino che non si lamentava tanto facilmente, potevo scorgere tracce di lacrime sulle sue guancine paffute.Lo misi subito a letto e cominciai a canticchiare la ninnananna: i capelli gli si erano appiccicati al guanciale per il sudore. Appena si addorment andai a telefonare all'Ospedale 'Holy Family' a Rawalpindi. Qualche minuto dopo potei parlare con Tooni. Fu subito d'accordo a far visitare accuratamente Mahmud in ospedale, il pomeriggio del giorno dopo. Io mi sarei sistemata in una stanza a fianco a Mahmud ed una persona di servizio avrebbe occupato una stanzetta adiacente alla mia.Fu soltanto verso sera che riuscimmo a trovare una sistemazione confortevole. Tooni aveva la serata libera da trascorrere con noi. Mahmud si mise a ridere e scherzare con sua. madre, mentre colorava le figurine di un album che lei gli aveva portato. Io mi ero sdraiata sul letto per leggere la Bibbia. Avevo portato anche il Corano con me, ma lo leggevo pi per un senso di dovere che per interesse.All'improvviso le luci tremolarono e poi si spensero. La stanza rimase al buio."Manca di nuovo l'energia elettrica", dissi seccata. "Ci sono candele?".In quel momento la porta si apr ed una suora entr con una pila. "Spero che non vi disturbi l'oscurit", disse con una voce allegra. "Tra poco porteranno le candele". Riconobbi dalla voce la dottoressa Pia Santiago, una filippina dall'aspetto gracile, con gli occhiali. Dirigeva l'ospedale. C'eravamo gi incontrate in precedenza, seppure per poco tempo. Quasi subito entr un'altra suora con le candele e di l a poco una tenue luce illumin la stanza. Mahmud e Tooni ripresero il loro gioco ed io rimasi a conversare con la dottoressa Santiago. Non potevo fare a meno di notare il modo in cui fissava la mia Bibbia."Vi dispiace se mi siedo un poco qui con voi?" mi chiese."No, mi fa piacere", risposi, ritenendo la sua una visita di cortesia. And a sedersi su una sedia vicino al mio letto, facendo un fruscio col suo abito bianco."Oh!" disse, togliendosi gli occhiali e passandosi un fazzoletto sulla fronte. " stata veramente una serata laboriosa".Provai simpatia per lei. I musulmani hanno rispetto per queste sante donne che abbandonano il mondo per servire il loro Dio; possono errare nella fede, ma la loro sincerit autentica. Chiacchierammo per un po', ma man mano che conversavamo, potevo avvertire che la suora aveva qualcosa in mente. Era la Bibbia. Potevo scorgere le occhiate che lanciava al libro, con crescente curiosit. Infine si pieg in avanti e con tono confidenziale mi chiese, "Signora Sheikh, cosa fate con la Bibbia?"."Sono ardentemente alla ricerca di Dio", risposi. E cos, mentre le candele si consumavano lentamente, le raccontai, con una certa prudenza al principio poi sempre con pi coraggio, dei miei sogni, della mia visita alla signora Mitchell e del mio continuo confronto tra la Bibbia e il Corano. "Qualsiasi cosa accada", accentuai, "devo trovare Dio, ma mi sento confusa per quanto riguarda la vostra fede", dissi, rendendomi conto che proprio mentre parlavo, stavo mettendo il dito su qualcosa d'importante. "Mi sembra che voi rendiate Dio cos... non so... personale!".Gli occhi della piccola suora si riempirono di compassione, mentre si chinava verso di me dicendomi con voce emozionata: "Signora Sheikh, c' solo un modo per conoscere il perch. quello di cercare da sola, anche se pu sembrarvi strano. Perch non pregate quel Dio che state cercando? ChiedeteGli di mostrarvi la Sua via. ParlateGli come se fosse un vostro amico".Sorrisi. Poteva anche suggerirmi di parlare al Taj Mahal! Ma proprio allora la dottoressa Santiago disse qualcosa che mi scosse tutta come se fossi stata attraversata da una scarica elettrica. Si fece pi vicino e mi prese una mano nelle sue, mentre le lacrime le scendevano gi per le guance. "ParlateGli", disse molto piano, "come se fosse vostro padre".Mi raddrizzai di colpo. Un silenzio di tomba pesava sulla stanza. Si era interrotta anche la conversazione di Mahmud e Tooni. Fissavo la suora alla luce della candela che si rifletteva sui suoi occhiali.Parlare a Dio come se fosse mio padre! Il pensiero mi turb l'animo in quello strano modo che ha la verit di essere sorprendente e confortante allo stesso tempo.Poi, come per intesa, ricominciammo a parlare tutti insieme ed allo stesso momento. Tooni e Mahmud si misero a ridere e decisero che il parasole doveva essere colorato di violetto. La dottoressa Santiago sorrise, si alz, ci augur ogni bene e sollevando appena l'orlo dell'abito da terra, lasci la stanza.Non fu detto nient'altro sulla preghiera n sul cristianesimo. Eppure mi girai e rigirai nel letto per tutto il resto della notte e la mattina seguente mi sentivo stordita. Ci che rese quell'esperienza particolarmente misteriosa fu che i medici non trovarono niente di anormale a Mahmud e d'altra parte il bambino continuava a dire che l'orecchio non gli faceva male neppure un po'. Al principio mi sentii seccata per tutto il tempo perduto ed il fastidio procuratomi. Poi mi venne il pensiero che forse - dico forse - il Signore, in maniera misteriosa, aveva colto quell'occasione per mettermi in contatto con la dottoressa Santiago.Nella tarda mattinata Manzur ci ricondusse a Wah. Appena lasciammo la strada nazionale per imboccare quella che conduce alla nostra propriet potei scorgere, attraverso gli alberi, il tetto grigio di casa mia. Di solito non vedevo l'ora di tornare a casa, per ritirarmi dal mondo; oggi per mi sembrava diverso, come se l mi fosse dovuto accadere qualcosa di particolare.Mentre percorrevamo il lungo viale, Manzur suon il clacson. I servitori corsero fuori e circondarono l'auto. "Come sta il bambino?" chiesero tutti in una volta.Li rassicurai che Mahmud stava bene. La mia mente per era lontano. Non riuscii a prender parte alle loro cerimonie per il nostro ritorno a casa. Pensavo piuttosto a questa nuova via che menava a Dio. Salii nella mia camera per pensare a tutto quanto era accaduto. Ero certa che nessun musulmano aveva mai pensato ad Aliati come ad un padre. Mi era stato detto, fin da bambina, che la maniera migliore per conoscere Allah era di pregare cinque volte al giorno, studiare e meditare il Corano. Eppure le parole della dottoressa Santiago mi tornarono di nuovo alla mente. "Parlate a Dio. ParlateGli come se fosse vostro padre".Sola, nella mia stanza, mi misi in ginocchio e cercai di rivolgermi al Signore, chiamandoLo 'Padre'. Fu un tentativo inutile, mi rialzai sgomenta. Era semplicemente assurdo. Oltretutto non era peccato cercare di far abbassare l'Eterno al nostro livello? Quella notte mi addormentai pi confusa e disorientata che mai.Mi svegliai qualche ora dopo. Era passata la mezzanotte, era ormai il 12 Dicembre, il giorno del mio compleanno. Avevo 47 anni. Provai un'eccitazione momentanea, un ritorno alla mia infanzia, quando i compleanni erano giorni di festa con giochi, un'orchestra ad archi che suonava sul prato e parenti che andavano e venivano per tutto il giorno. Oggi non ci sarebbe stata alcuna festa, forse qualche telefonata, ma niente di pi.Quanto rimpiangevo quei giorni della mia infanzia! Pensai ai miei genitori, che amavo ricordare pi di tutti gli altri. Mia madre cos amorevole, regale e bella. E mio padre. Ero cos orgogliosa di lui, delle alte cariche che occupava nel governo indiano. Potevo raffigurarmelo ancora chiaramente: vestito impeccabilmente, mentre si aggiustava il turbante davanti allo specchio, prima di uscire per andare all'ufficio. Lo sguardo benevolo sotto le sopracciglia folte, il sorriso dolce, i lineamenti finemente cesellati, il naso aquilino.Uno dei miei ricordi pi cari era quello di vederlo al lavoro, nel suo studio. Pur vivendo in una societ in cui i figli maschi sono tenuti in pi alta considerazione rispetto alle femmine, mio padre considerava i figli in maniera imparziale. Spesso, da bambina, capitava che avevo qualcosa da domandargli e cos sbirciavo attraverso la porta aperta del suo studio, incerta se interromperlo. Allora il suo sguardo incrociava il mio. Posando la penna, si appoggiava allo schienale della sedia e mi chiamava "Keecha?". Entravo allora piano nello studio, con la testa bassa. Mi sorrideva ed indicandomi la sedia a fianco a lui mi diceva: "Vieni, mia cara, siediti qui". Poi mettendomi un braccio intorno alle spalle, mi avvicinava a s. "Dimmi, piccola Keecha, cosa posso fare per te?" mi chiedeva in tono affettuoso.Era sempre cos con mio padre. Non si dispiaceva quando lo disturbavo. Ogni qualvolta avevo una domanda da fargli od un problema da sottoporgli, per quanto occupato potesse essere, metteva da parte il suo lavoro e mi rivolgeva la sua piena attenzione.Era passata da un bel po' la mezzanotte quando mi distesi a letto, assaporando quel bel ricordo. "Oh, grazie..." mormorai al Signore. Stavo veramente parlando con Lui?Improvvisamente sentii un gran senso di fiducia dentro di me. Supponendo - soltanto supponendo - che Dio fosse come un padre, allora, se il padre mio terreno metteva ogni cosa da parte per ascoltarmi, non l'avrebbe fatto anche il Padre mio celeste...?Sentendomi fremere per l'eccitazione, mi alzai dal letto, mi misi in ginocchio e rivolgendo lo sguardo verso l'alto, in una nuova, ricca consapevolezza chiamai Dio "Padre mio".Non ero preparata a quanto poi accadde.Capitolo 5

IL BIVIO"Oh Padre, Padre mio... Padre eterno".Con esitazione pronunziai il Suo nome ad alta voce. Provai a rivolgermi a Lui in diversi modi. Ad un tratto sentii come se si fosse aperto un varco dentro di me. Credetti che Egli potesse veramente ascoltarmi, proprio come aveva sempre fatto il padre mio terreno."Padre, o Dio Padre" esclamai con maggiore confidenza. Il tono della mia voce mi sembr insolitamente alto, in quella grande stanza, mentre stavo inginocchiata sul tappeto, a fianco al letto. All'improvviso la stanza non fu pi cos vuota. Egli era l. Potevo avvertire la Sua presenza. Potevo sentire la Sua mano poggiata affettuosamente sulla mia testa. Mi sembrava di poter vedere i Suoi occhi, pieni di amore e compassione. Era cos vicino che mi ritrovai ad appoggiare la testa sulle Sue ginocchia, come fa una bambina, seduta ai piedi di suo padre. Rimasi cos inginocchiata per molto tempo, singhiozzando sommessamente, ripiena del Suo amore. Mi sorpresi a parlare con Lui, scusandomi per non averLo conosciuto prima. E nuovamente, sentii quella Sua amorevole compassione, che mi ricopriva tutta, avvolgendomi come in una coperta calda.Soltanto allora mi resi conto che era la stessa amorevole Presenza che avevo avvertito quel pomeriggio in giardino, quando ne avevo sentito anche il profumo tutt'intorno a me - la stessa Presenza che avvertivo spesso nel leggere la Bibbia."Mi sento confusa, Padre..." dissi. "Devo prendere un momento una cosa". Raggiunsi il comodino, dove tenevo la Bibbia ed il Corano uno a fianco all'altro. Li presi e li sollevai, uno in ciascuna mano. "Quale dei due, Padre?" dissi. "Quale di questi il Tuo libro?".In quell'istante accadde una cosa straordinaria. Non mi era mai capitato prima niente di simile. Sentii difatti una voce dentro di me, una voce che mi parlava chiaramente come se io stessi ripetendo delle parole nel mio intimo. Erano parole nuove, piene di dolcezza eppure allo stesso tempo piene di autorit."In quale libro Mi hai riconosciuto come tuo Padre?".Risposi prontamente: "Nella Bibbia". Questo fu tutto. Adesso nella mia mente non c'erano pi quesiti su quale fosse il Suo libro. Guardai l'orologio e rimasi sorpresa nel constatare che erano trascorse tre ore. Eppure non mi sentivo stanca. Desideravo continuare a pregare, desideravo leggere la Bibbia, perch sapevo adesso che il Padre mio avrebbe parlato per mezzo di essa. Andai a letto solo quando non potei pi farne a meno. L'indomani mattina presto dissi alle mie cameriere che non volevo essere disturbata; presi di nuovo la Bibbia e mi distesi sul divano. Cominciando da Matteo, lessi tutto il Nuovo Testamento, parola per parola.Rimasi impressionata dal fatto che Dio aveva parlato al Suo popolo per mezzo di sogni *. Nella prima parte del Vangelo di Matteo, questo fatto accadde ben cinque volte! Il Signore parl a Giuseppe in favore di Maria. Mise in guardia i Magi verso Erode e per altre tre volte guid Giuseppe riguardo alla protezione del bambino Ges.Non riuscii a trovare abbastanza tempo per leggere tutta la Bibbia. Ogni cosa che leggevo sembrava indicarmi di camminare pi strettamente vicino al Signore.* Vedi l'Appendice alla fine del libro.Mi trovai al grande bivio. Fino allora avevo incontrato personalmente Dio Padre. Ora sentivo nel mio cuore che dovevo darmi completamente al Suo figliuolo Ges oppure voltargli le spalle del tutto.Sapevo con certezza che coloro che amavo mi avrebbero messo sull'avviso di voltare le spalle a Ges. Mi venne in mente il ricordo di una giornata speciale, eccezionale, quando anni addietro, mio padre mi aveva accompagnata alla nostra moschea di famiglia. Eravamo solo noi due. Entrati nella sala dalla volta slanciata, mio padre prendendomi per mano mi disse con molto orgoglio e consapevolezza che ben venti generazioni della nostra famiglia si erano riunite l per adorare. "Che privilegio hai, mia piccola Keecha, di far parte di quest'antica verit".Pensai allora a Tooni. Questa giovane donna aveva gi abbastanza preoccupazioni. E c'erano poi gli altri miei figli: per quanto vivessero lontano, anche loro si sarebbero certamente dispiaciuti se 'fossi diventata cristiana'. E poi c'era mio zio Fateh, che appariva tanto orgoglioso il giorno in cui avevo compiuto quattro anni, quattro mesi e quattro giorni ed ero finalmente in grado d'iniziare a leggere il Corano. E poi c'era la cara zia Amina e tutti gli altri parenti - un centinaio di "zii", "zie" e "cugini". In Oriente la famiglia diventa biraderi, una sola comunit: ogni membro diventa responsabile verso gli altri. Potevo danneggiare la mia famiglia in molti modi, compromettendo perfino le mie nipoti nella loro scelta di matrimonio: sarebbe infatti pesata su di esse la mia decisione, se mi fossi unita agli "spazzini".Ma sopra ogni cosa mi preoccupavo per il mio nipotino Mahmud; che cosa gli sarebbe accaduto? Il mio cuore ebbe un sussulto al pensiero del padre di Mahmud. Era un uomo molto volubile, che sarebbe stato capace di togliermi il bambino se io fossi diventata cristiana, dimostrando che ero chiaramente una persona instabile.Quel pomeriggio, quando mi sedetti per leggere e meditare le Scritture nella quiete della mia stanza, quei pensieri m'indurirono il cuore. All'improvviso mi resi conto del dolore che avrei inflitto agli altri, non riuscivo a sopportarlo e mi alzai piangendo. Mi gettai uno scialle sulle spalle e nonostante il freddo andai in giardino, nel mio rifugio, dove mi riusciva meglio pensare e meditare."O Signore", implorai mentre percorrevo il sentiero ghiaioso "vuoi veramente che lasci la mia famiglia? Pu un Dio di amore volere che io infligga dolore agli altri?". E nel buio della mia disperazione, quel che sentii furono le Sue parole, le parole che avevo appena lette in Matteo:

"Chi ama padre e madre pi di me, non degno di me; e chi ama figliuolo o figliuola pi di me, non degno di me..." Matteo 10:37-38Questo Ges non accettava compromessi. Non voleva mezzi te