ecologia dei ghiacciai o 3 punti di appoggio · sulle pareti ci sono i ritratti dei famosi...

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1 Ecologia dei ghiacciai o 3 punti di appoggio Contenuto: 1. Centro delle Biorisorse dell’Accademica delle Scienze di Bielorussia, Minsk 2. Minsk – centro culturale e spirituale europeo 3. Il diario di una alpinista 4. Ecologia dei ghiacciai 4.1. Inquinamento in alta quota. La spedizione di Greenpeace sui ghiacciai, maggio-giugno 2015 4.1.1. Inquinamento da perflorurati (PFC) 4.1.2. Inquinamento dei ghiacci da microplastica 4.2. Analisi comparativa della NASA e WWF sullo stato di scioglimento dei ghiacciai e dei ghiacci durante gli ultimi 120 anni 4.2.1. La retrospettiva dello scioglimento dei ghiacciai sul pianeta 4.2.2. La perdita di diversità biologica 4.2.3. Il livello globale del mare 5. Tre punti di appoggio Bibliografia 1. Centro delle Biorisorse dell’Accademica delle Scienze di Bielorussia, Minsk La mia permanenza di 1 settimana a Minsk stava per concludersi. Il giugno di quest anno era caldo ma senza l’afa che toglie il fiato, e sono riuscita a completare tutto quello che ho pianificato per questo viaggio. Il piano era vasto ed ero costretta a correre dalla mattina alla tarda sera. Arrivavo a casa verso le 10 di sera, camminando appena dalla stanchezza, bevevo il tè con mia madre e subito a dormire. Mi svegliavo alle 6. Che coincidenza, quest anno l’amministrazione del condominio ha staccato l’acqua calda per la riparazione stagionale e scaldare l’acqua al mattino allungava il tempo di preparazione. Finalmente, sono pronta ad uscire, bevo il tè con la mia anziana madre e di nuovo di corsa. Il sistema dei trasporti a Minsk funziona bene e dove non ti porta la metropolitana, si arriva con un piccolo taxi che può caricare fino a 10 persone. Prendo il taxi e mi muovo verso l’Accademia delle Scienze, dove ho già fissato l’incontro con la collega dell’Istituto di Idroecologia e di Ichtiologia di Erevan (IHEI) del Centro Scientifico di Zoologia e di Idroecologia di Armenia. Evelina è arrivata ieri. Passo a prenderla all’albergo «Аcademiceskaya», di fronte al Giardino Botanico. Apro la porta della stanza dove alloggia. Quando non vedi per tanto tempo gli amici, al primo incontro segue una lunga pausa, gli occhi guardano negli occhi. Leggo nei grandi occhi neri orientali della mia amica armena tante emozioni. Ci abbracciamo. La prima domanda, quanti anni che non ci vediamo. Sembra, 26 anni. L’ultima volta ci siamo viste a Minsk prima di discutere la mia Ph.D. E adesso davanti a me c’è una rispettosa donna armena vestita in un elegante tubino nero con il colletto bianco. Adesso Evelina è il Direttore dell’Istituto. Ricordiamo velocemente i tempi passati insieme in una provinciale città Beloozersk, che si trova a sud ovest di Bielorussia. Facevo gli esperimenti per studiare la biologia

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Ecologia dei ghiacciai o 3 punti di appoggio Contenuto:

1. Centro delle Biorisorse dell’Accademica delle Scienze di Bielorussia, Minsk

2. Minsk – centro culturale e spirituale europeo 3. Il diario di una alpinista 4. Ecologia dei ghiacciai

4.1. Inquinamento in alta quota. La spedizione di Greenpeace sui ghiacciai, maggio-giugno 2015

4.1.1. Inquinamento da perflorurati (PFC) 4.1.2. Inquinamento dei ghiacci da microplastica

4.2. Analisi comparativa della NASA e WWF sullo stato di scioglimento dei ghiacciai e dei ghiacci durante gli ultimi 120 anni

4.2.1. La retrospettiva dello scioglimento dei ghiacciai sul pianeta 4.2.2. La perdita di diversità biologica 4.2.3. Il livello globale del mare

5. Tre punti di appoggio Bibliografia 1. Centro delle Biorisorse dell’Accademica delle Scienze di Bielorussia,

Minsk

La mia permanenza di 1 settimana a Minsk stava per concludersi. Il giugno di quest anno era caldo ma senza l’afa che toglie il fiato, e sono riuscita a completare tutto quello che ho pianificato per questo viaggio. Il piano era vasto ed ero costretta a correre dalla mattina alla tarda sera. Arrivavo a casa verso le 10 di sera, camminando appena dalla stanchezza, bevevo il tè con mia madre e subito a dormire. Mi svegliavo alle 6. Che coincidenza, quest anno l’amministrazione del condominio ha staccato l’acqua calda per la riparazione stagionale e scaldare l’acqua al mattino allungava il tempo di preparazione. Finalmente, sono pronta ad uscire, bevo il tè con la mia anziana madre e di nuovo di corsa.

Il sistema dei trasporti a Minsk funziona bene e dove non ti porta la metropolitana, si arriva con un piccolo taxi che può caricare fino a 10 persone. Prendo il taxi e mi muovo verso l’Accademia delle Scienze, dove ho già fissato l’incontro con la collega dell’Istituto di Idroecologia e di Ichtiologia di Erevan (IHEI) del Centro Scientifico di Zoologia e di Idroecologia di Armenia. Evelina è arrivata ieri. Passo a prenderla all’albergo «Аcademiceskaya», di fronte al Giardino Botanico. Apro la porta della stanza dove alloggia. Quando non vedi per tanto tempo gli amici, al primo incontro segue una lunga pausa, gli occhi guardano negli occhi. Leggo nei grandi occhi neri orientali della mia amica armena tante emozioni. Ci abbracciamo. La prima domanda, quanti anni che non ci vediamo. Sembra, 26 anni. L’ultima volta ci siamo viste a Minsk prima di discutere la mia Ph.D. E adesso davanti a me c’è una rispettosa donna armena vestita in un elegante tubino nero con il colletto bianco. Adesso Evelina è il Direttore dell’Istituto.

Ricordiamo velocemente i tempi passati insieme in una provinciale città Beloozersk, che si trova a sud ovest di Bielorussia. Facevo gli esperimenti per studiare la biologia

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e fisiologia dei bryozoi che abitano nel bacino riscaldato della Centrale Idroelettrica di Beloozersk, Evelina in questo bacino studiava i molluschi.

Durante il funzionamento del sistema socialista il nostro Istituto di Zoologia dell’Accademia delle Scienze di Bielorussia aveva stretti contatti scientifici con tutte le strutture simili dell’URSS. Nei tempi di «perestrojka» i rapporti si sono sciolti, a causa della distruzione di tutto il sistema. Dopo oltre 20 anni la collaborazione si sta di nuovo aggiustando. Nei tempi migliori il nostro laboratorio ha sviluppato una metodica di coltivazione industriale degli astici d’acqua dolce ed Evelina è arrivata ad imparare questa metodica. Parlando delle nostre novità, siamo arrivate all’Istituto di Zoologia che adesso si chiama il Centro delle Biorisorse di Bielorussia. Saliamo al 1mo piano, giriamo a sinistra indirizzandoci verso l’ head office del nostro prima grande e affiatato laboratorio che contava 25 persone. Chi non c’è più, chi lavora negli altri continenti. Apriamo la porta, segue un'altra pausa – sono gli occhi di Liubasha e Tania. Liuba e Tania sono ricercatori principali. Io non li ho visti per 1 anno, Evelina per molto di più. Ci abbracciamo, prepariamo un vero caffè arabica, come nei tempi buoni di prima. Lascio Evik a parlare con le colleghe e vado a scoprire cosa è accaduto di nuovo nell’Istituto durante 1 anno di mia assenza.

Nell’edificio ci sono 5 piani. Prima non mi sono mai chiesta quando e da chi è stato progettato e costruito il palazzo. Adesso, da quando si possono vedere nell’internet tutte le città e anche i palazzi dal satellite nel formato 3D, ho scoperto che l’edificio è stato costruito nella forma di trapezio a lettera «П», con il cortile aperto dalla parte retro. L’architettura assomiglia un po’ ai palazzi in stile ampir, con elementi barocco, costruiti dagli architetti Hittorf e Rohault de Fleury nel 19° secolo, nel 8° distretto in centro del quartiere diplomatico a Parigi. I palazzi circondano la Place d’Etoille guardando con le facciate verso l’Arc de Triomphe. L’edificio dell’Istituto è stato progettato in stile classico e si distingue dai palazzi francesi dall’assenza della scala a due rampe e la balaustra in marmo, la porta principale d’entrata dell’Istituto guarda verso una piazza con una grande aiuola verde.

Nell’edificio non c’è ascensore e si sale ai piani attraverso una imponente scala a due rampe. Salgo velocissima sulle scale, come quando ero la responsabile dello sport e portavo i colleghi dell’Istituto in piscina a nuotare. Entro nei diversi laboratori che prima formavano un nostro unico grande gruppo. Nell’edificio si sente l’odore dei muri da poco pitturati. Nei corridoi c’è tanta luce ed è molto pulito, ma si vede poca gente. Nei tempi migliori eravamo circa 150. Entro in una piccola stanza che prima era occupata dal capo dell’approvvigionamento dei materiali ed attrezzature, il Sig.Logojko. Era un uomo grosso, buono e furbo che fumava sempre e con il quale tutti tenevano un buon rapporto.

Adesso in questa stanza si trova un piccolo Museo Oceanologico. Yura Giginyak, il partecipante di tante spedizioni in Antartide e mio primo maestro di idrobiologia, mi abbraccia, come un uccellino che ormai arriva di rado con le visite, e comincia raccontare i suoi ultimi successi antartici. La stanza é veramente piccola – ci stanno appena un tavolo con il computer e un paio di armadi. Yura è bravo ad inventare. Le sue tante collezioni di oloturie, ricci marini, coralli ed altri invertebrati sono dislocate su tutte le superficie possibili, salendo man mano sempre più in alto sui muri della stanza.

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Sulle pareti ci sono i ritratti dei famosi esploratori, da Bellingshausen allo stesso Yury Grigorievitch, i «ritratti» dei suoi animali preferiti, pinguini, cosi, noi, colleghi spesso parafrasando il cognome lo chiamavano Pungvinyak. Parliamo delle ultime novità. Poi mi viene in mente di fare un breve video, adesso è semplicissimo – accendo la camera del cellulare, Yura subito “entra nel ruolo” – mette occhiali neri, prende una grande pipa di legno (sappiamo che Yura non fuma!) e con la faccia di uno chi sa tutto dell’Antartide, comincia descrivere il suo piccolo Museo Oceanologico. La ripresa dura qualche minuto. Poi nella stanza entra Volodia Baichorov, in una camicia di colore bordò, sportivo, come sempre, non a caso lo abbiamo sempre chiamato “Cowboy”, ha la barba bianca appena – Yura subito gli da il “benvenuto” nel mio video. Abbiamo improvvisato, insomma. Nella stanza entra la figlia di Yura, idrobiologa della giovane generazione, e fa alcune foto a noi tre.

Torno nella stanza delle mie colleghe. E’ probabile che i ricercatori che non erano via nelle spedizioni estive, abbiano sentito del mio arrivo e cominciano venire a trovarmi. Ho lavorato nell’Istituto 25 anni. Sono cresciuta nel laboratorio, come tanti altri giovani specialisti, rimasti fedeli alla vocazione della professione di biologo per tutta la vita. Vedo la gioia sincera negli occhi dei miei colleghi, anch’io vedo loro con grande piacere. Nell’Istituto la parte maschile era sempre prevalente e le spedizioni hanno “forgiato” i rapporti di lavoro tra la parte femminile e quella maschile. Amavo il mio Istituto come gli anni migliori della mia vita, dedicati alla migliore professione del mondo, l’Ecologia. Salendo da piano a piano ed incontrando i colleghi e le colleghe, ho notato che non si vedevano tanti giovani. Tempo fa i corridoi erano pieni di scherzi e sorrisi, nei corridoi si discutevano anche i problemi scientifici. Era un team unito, guidato da ispirazione, professionalità scientifica e rapporti corretti. Noi non solo andavamo insieme nelle spedizioni, andavamo in piscina, insieme si faceva il rafting, l’alpinismo, si cantavano le canzoni dei bardi.

Questo era un periodo eccezionale e perché non farlo rinascere di nuovo? La felicità totale dipende anche da quanta felicità verrà messa nel salvadanaio collettivo da ogni singola persona. E servire la Biologia e i suoi moderni derivati è un’ ottima strada per la giovane generazione.

Tornando spesso dalle spedizioni, soprattutto lunghe, quando ero assente a casa 2-3 mesi, entrando in città, sentivo una forte agitazione dall’incontro con Minsk. Amavo la mia capitale. E ogni volta con interesse marcavo tutte le novità. Dopo lunghi viaggi preferivo entrare a Minsk sulla via principale, adesso è Avenue di Indipendenza, prima si chiamava Avenue Francisk Scaryna e ancora molto prima – Avenue Leninsky. Mi sentivo una gatta e come tutte le gatte mi affezionavo a casa mia. La grande città di Minsk, di 2 milioni di abitanti, era la mia grande casa. Quando ho lasciato la Bielorussia, per tanti anni ho visto la mia città nei sogni: volavo sopra Minsk, “incendiato” da tramonto di colore rosso viola, come un enorme uccello, abbracciando la mia città con enormi ali.

2. Minsk – centro scientifico, culturale e spirituale d’Europa

Il tempo correva. I piani erano tanti. Oltre a quelli obbligatori, volevo incontrare i posti più amati di Minsk e trovare gli amici.

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La città diventava sempre più bella. Avevo l’impressione che Minsk stava «invecchiando», come un buon vino. Vicino all’edificio del Circo dello Stato di Bielorussia, sulla riva del fiume Svislotch, stavano finendo di costruire l’ Hotel «Кеmpinsky». La maestosa Cattedrale di color bianco regna sopra la città vecchia, guardando con la facciata verso il fiume Svislotch, in cui larga manica, su una piccola isola, giace il Monumento ai ragazzi bielorussi, morti durante l’insensata guerra in Afghanistan. Ne conoscevo alcuni tornati vivi – è difficile che la loro mente distorta durante la guerra torni alla vita normale. Le crudeltà della guerra vissute a 20 anni, possono per sempre cancellare la fiducia nella giustizia della vita.

Nel 2015 il Teatro Nazionale di Bielorussia di Yanka Kupala ha compiuto 95 anni. Elegante l’edificio progettato dall’architetto di Varsavia Karol Kozlowsky nel 1890, è stato ricostruito dall’architetto Langbard I.G. nel 1936. Il Teatro è stato appena restaurato ed in una delle sere libere sono andata a vedere lo spettacolo di Alexey Dudarev «La Signora Nera di Nesvizh». È una leggenda mistica sull’amore di Barbara Radziwill, regina di Polonia e duchessa bielorusso-lituana, e Sigismondo II Augusto, il re di Polonia, Granduca di Lituania e il figlio di Bona Sforza d’Aragona. Barbara è stata avvelenata 1 anno dopo le nozze e, secondo la leggenda, il suo spirito abita fino ad oggi tra le mura del Castello di Radziwill a Nesvizh, vicino a Minsk.

Adoravo il teatro. Il Teatro Nazionale era per me come una casa: da bambina guardavo gli spettacoli con attori della generazione più vecchia, di cui tanti erano amici e amiche di mia madre; e anche adesso che sul palcoscenico è impegnata la generazione degli attori giovani e loro professionalità e talento, come prima, caratterizza questo teatro. I magnifici interni del restaurato teatro non lasciano nessuno indifferente. Il Teatro Nazionale di Yanka Kupala è indubbiamente un ottimo biglietto da visita della capitale di Bielorussia. L’edificio del Teatro era uno dei pochi rimasti interi dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Lasciando il paese, i fascisti distruggevano tutto quello che potevano. In Bielorussia è stato ucciso ogni 4o abitante. Per costruire la città nuova è stata creata la commissione dello stato composta dagli architetti più illustri, sono stati organizzati concorsi. Vincevano i progetti migliori. La città doveva essere costruita da zero. In Bielorussia si è formata un’ottima scuola di urbanistica. Quando finalmente ho visto Parigi, il mio sogno per 30 anni, con meraviglia ho notato che Parigi é un po’ Minsk, un po’ San Pietroburgo, un po’ Praga, mescolate insieme.

Quest anno ho potuto visitare anche il Teatro dell’Opera e del Balletto, anche esso restaurato da poco. Il Teatro costruito sul progetto dell’architetto Langbard, è situato su una delle alture della città, Troizko-Zamkovaya, sulla quale, secondo gli scavi archeologici, è stata fondata la città di Minsk che adesso ha 1'000 anni. (1). Davanti al Teatro, la larga Piazza della Comune di Parigi durante gli ultimi anni è stata abbellita da una grande fontana tonda. L’affascinante gioco degli spruzzi d’acqua, che cadono e si alzano, ipnotizzano, come giochi delle lingue del fuoco. Gli spruzzi si alzano e giocano in alto, come se un piccolo quartetto musicale stesse suonando la sua silenziosa melodia acquatica, e quando cadono giù, sulla prospettiva in alto si apre una meravigliosa vista dell’imponente palazzo su tre piani.

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Ogni piano si stringe verso l’alto e fa ricordare una grande torta matrimoniale. Al Teatro porta una larga scala di tre livelli. Entriamo nel Teatro: sul pavimento in marmo lucido bianco con un disegno ornamentale si appuntano le colonne, che tengono un’alta balconata perimetrale. I soffitti incoronano massicci lampadari in cristallo. Questa sera davano due balletti di un atto – «Seherezada» sulle musiche di Nikolay Rimsky-Korsakov e «Uccello di Fuoco» sulle musiche di Igor Stravinsky. Questi balletti per la prima volta sono stati presentati dal geniale innovatore teatrale Sergey Diagilev all’inizio del 20 secolo a Parigi. Entrambi i balletti sono stati rinnovati sul palcoscenico del Teatro Mariinsky a San Pietroburgo nel 1993. Nel GABT di Bielorussia il primo spettacolo è stato dato nel 2014.

Inseguendo l’Uccello di Fuoco, Ivan-Tzarevitch capita in un brutto regno di Kaschey Immortale. Nel giardino di Kaschey su un meraviglioso albero si accendono con un fuoco enigmatico le mele dorate. Come lingue del fuoco, l’Uccello di Fuoco scende sull’albero. Ivan-Tzarevitch afferra l’uccello. L’Uccello di Fuoco vuole liberarsi e chiede di dargli la libertà. Ivan-Tzarevitch cede alle sue suppliche. Per ringraziarlo, l’Uccello di Fuoco gli regala una Penna fatata, che ha poteri magici, e vola via. Dalla residenza di Kaschey nel giardino scendono le principesse, imprigionate dallo scellerato Immortale. Loro giocano attorno all’albero con le mele dorate. Di una di loro, Tzarevna Nenagliadnaya Krasa, si innamora Ivan-Tzarevitch. All’improvviso, da tutte le parti del giardino escono i servi di Kaschey e lui stesso. Kaschey minaccia di trasformare tutti in pietre. Ivan-Tzarevitch entra in combattimento con Kaschey e la sua squadra. Con la Penna magica chiede l’aiuto dell’Uccello di Fuoco. Poi trova e rompe l’uovo magico che contiene la morte dello scellerato. Il brutto regno va in cenere. Si svegliano i guerrieri impietriti. La splendida alba incorona la scena finale del balletto.

«Uccello di Fuoco» era il primo balletto di Diagilev sul tema russo. «Uccello di Fuoco» era la prima partitura di Igor Stravinsky, il compositore novizio, portato nel balletto a Parigi nel 1910 da Diagilev. Diagilev preparava il balletto insieme con Fokin, coreografo-librettista, e Stravinsky, compositore. Fokin in modo spettacolare racconta come si ispirava per questo lavoro: «Non aspettavo finché il compositore mi dava la musica pronta. Stravinsky veniva da me con primi schizzi, i primi pensieri. Mi suonava ed io per lui imitavo le scene. Quando stavo imitando il Tzarevitch, il mio pianoforte diventava una recinzione. Mi arrampicavo sopra al pianoforte, saltavo giù, camminavo girandomi pauroso nel mio ufficio... Stravinsky mi seguiva con i pezzi musicali di Tzarevitch sullo sfondo del fremito enigmatico che rappresentava il giardino del cattivo tzar Kaschey. Poi diventavo la Tzarevna. Prendevo pauroso dalle mani dell’immaginato Tzarevitch la mela d’oro. Poi diventavo il Kaschey, la sua cattiva servitù etc. Tutto questo veniva colorosamente descritto con i suoni del pianoforte che scorrevano dalle dita di Stravinsky, appassionato da questo interessante gioco.» Questa era una vera improvvisazione, il jazz del modo di lavorare!

Si potrebbe in due parole esprimere cosa dà all’uomo e di che cosa riempie l’anima l’arte teatrale? Eleva sopra la quotidianità, insegna a vedere nella vita di ogni giorno la colorazione fantastica, dai voli fiabeschi dell’Uccello fi Fuoco all’erotismo orientale di Seherezada.

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Adoravo mio Minsk, con suoi teatri e sale musicali! Passeggiando sulle vie, con gioia osservavo che la città diventava sempre più bella, più fine, come se ad un diamante grezzo fosse stata data la forma giusta.

Dall’altra parte della Cattedrale è situato il piccolo Parco della Libertà, che guarda sulla facciata del massiccio edificio del Conservatorio di Minsk. Una persona vicino alle colonne sembra una formica. Il Conservatorio è stato ribattezzato e adesso si chiama l’«Accademia della Musica»: sopra l’enorme porta d’entrata si legge il nuovo nome scritto con le lettere dorate. Dopo la scuola musicale frequentavo per circa un anno classe di pianoforte presso il Conservatorio. Ma la volontà di occuparsi di ecologia ha vinto. Conoscevo un’altra storia simile. Durante lo studio sulla facoltà di biologia, il professore delle piante non vascolari una volta ci ha confidato che lei si è laureata in musica, studiando nel conservatorio di Minsk, ma poi ha deciso di cambiare la professione e diventare una biologa.

A destra dall’Accademia della Musica durante gli ultimi anni è stato costruito imponente hotel «Europa». Nel 1906, sullo stesso posto, all’incrocio della Piazza di Libertà e via Lenin, esisteva un albergo di 5 piani, con lo stesso nome – «Еuropa».

Attraversando la strada, sull’incrocio delle due vie si trova il ristorante “Potsdam”. Il suo “biglietto di visita”, il piatto ”San Susi”, un cestino fatto con patate fritte tagliate fine con tre diversi tipi di carne, è una icona del ristorante già da tanti decenni. Negli anni 80, dopo le regate di vela sul mare artificiale di Minsk, accumulando i tickets che a noi, arbitri, davano come pagamento per l’arbitrato, si ordinava un tavolo al ristorante “Potsdam” e si festeggiava la fine delle gare di vela, gustando ottimo piatto “San Susi”.

Durante gli ultimi anni a Minsk sono state costruite tante chiese. La popolazione, subendo tanta sofferenza dopo la catastrofe di Chernobyl e durante il periodo distruttivo di “perestrojka”, è tornata nelle chiese. La chiesa di Risurrezione di Cristo sull’incrocio delle vie Gamarnik e Miroshnicenko, vicino a casa mia, è stata costruita sulle offerte della gente. Per lunghi 12 anni, dal 1996 al 2008, sul posto dove adesso sorge la chiesa, c’era una grande tenda militare verde, che raccoglieva offerte. Nel 2008 la chiesa è stata aperta. Mio padre non ha visto l’apertura, è morto un anno prima. Massiccio rotondo edificio con alte cupole azzurre che guardano il cielo si è radicato sul terreno. Perché le chiese sono state abbattute? Con il divieto non si può vietare la fede. Per lavoro sono stata all’Istituto di Trasfusione del Sangue e delle Tecnologie Biomediche. L’Istituto era il mio primo posto di lavoro. L’Istituto é situato fuori città, nel villaggio Novinki, di fronte al Dispensario Neurologico e delle malattie psichiche, chiamato semplicemente “Durdom”. Avvicinandomi all’Istituto, già da lontano si vedevano le cupole dorate. Terminando i miei impegni, sono andata a vedere la nuova chiesa. Ho scoperto che stavano costruendo un grandissimo complesso che includeva il Monastero della Principessa Elizaveta Fedorovna, la chiesa “Derzhavnaja», la chiesa di San Nicola... Prima dell’entrata nel complesso un grande cartello con la planimetria spiegava in modo dettagliato le future strutture che devono essere ancora costruite. Le icone e gli affreschi addobbavano i muri delle chiese dall’interno e dall’esterno la loro bellezza veniva sottolineata da piccoli cortili con le aiuole.

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In una delle aiuole fiorivano, a giugno, profumatissime peonie di color porpora, sfiorite nel mio giardinetto un mese prima.

La settimana stava per finire ma non sono riuscita ancora a vedere una mia carìssima amica, compagna dell’alpinismo. Оlga questa settimana era fuori città in dacia. Finalmente ci siamo sentite per telefono e abbiamo fissato l’incontro venerdì alle ore 17. Il giorno dopo avevo il volo di ritorno.

Il venerdì ho finito gli impegni prima e già verso le ore 15 ero vicino alla casetta in legno dove nel 1905 é stato organizzato il primo incontro del Partito RSDRP – il posto dell’incontro con Olga era quello. Vicino alla casetta si trova il vecchio edificio della Televisione dello Stato, dove prima lavorava Olga, regista della TV, prima che tutto lo staff si è trasferito in un palazzo nuovo in via Makaenka. In questo vecchio edificio ha lavorato per 40 anni la mia madre, veterana della Televisione e giornalista meritevole di Bielorussia. Avevo ancora 2 ore prima dell’incontro con Olga e sono andata a vedere il vecchio edificio della TV. Davanti a me c’era un rigoroso edificio di 4 piani in stile neo classico. L’ultima finestra a sinistra al 4o piano era la finestra della Redazione per Bambini e Giovani. Mia madre era Capo della Redazione.

I miei pensieri hanno fatto ritorno nel passato. Sono una bambina di 4 anni e mia madre mi presenta ai suoi colleghi giornalisti della TV. Sono una bambina selvatica, appena tornata da un villaggio in Polessie, dove ho vissuto con i genitori di mio padre, i miei nonni, per 4 anni. Nel villaggio ho imparato un po’ il dialetto bielorusso-polacco. Mia madre mi chiede di dire qualcosa, io la dico e tutti i colleghi ridono perché non capiscono il dialetto. Quando i miei genitori mi hanno portato a Minsk, avevo certe abitudini che erano strane per una capitale, per esempio, sbucciando la mela chiedevo mia madre se lei aveva i maiali che in dialetto suonava più meno così: «А ci est’ u vas svinni?», intendendo di dare agli animali la buccia da mangiare, per non buttare niente. Quest’ abitudine di pulire la frutta con un coltello mi è rimasta per sempre. Mia madre raccontava ai colleghi le mie “perle” frasali dialettali e tutti ridevano. Quando mia madre mi portava in studio, e lei faceva questo sempre quando mi prendeva dall’asilo della TV, cominciavo a passeggiare ed esplorare le camere degli attori, le camere per il trucco, le camere per i costumi o mi sedevo da sola in una piccola sala cinematografica e guardavo i cartoni di Disney...

Mi sono girata andando verso il fiume Svislotch. Le rive del fiume che attraversa la città di Minsk sono chiuse in una balaustra di pietre che costeggiano il fiume, sulla costa crescono vecchi salici, che toccano con i lunghi rami la terra. A sinistra, dietro il ponte, si vedeva il nuovo hotel in costruzione “Kempinsky». Ho girato a destra e, ricordando le peripezie che accadevano alla bambina di 4 anni, sono andata lungo la via verso il mio ex asilo nido dalla TV, dove adesso si trova il Centro “Cosmos”. Da piccola avevo l’abitudine di provare tutto con la lingua. Una volta d’inverno, e gli inverni quando ero piccola erano molto molto freddi, come sempre siamo usciti con i bambini dell’asilo a passeggiare. Ho visto sul tubo pluviale dell’asilo un grosso e lungo ghiacciolo e ho deciso di leccarlo. Subito la mia lingua si è attaccata al tubo. La maestra ha fatto la corsa dentro l’asilo ed è tornata con una teiera piena di acqua bollente ... La lingua era salva… La nostra maestra era molto particolare. Ci metteva in una fila davanti e dava a noi, bimbi di 4 anni, lezioni dell’inglese correttissimo, con una pronuncia perfetta.

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A 5 anni mi sono innamorata per la prima volta di un “collega” dell’asilo. Cercando la sua fiducia, gli portavo i doni – i mandarini e le caramelle. Mi meraviglia questa memoria da quando ero bambina di 5 anni, ricordo anche che il bambino si chiamava Sasha Mashok. Tornando indietro e scendendo sulla scala che porta verso il fiume Svislotch, ho ricordato come una volta, sempre durante l’inverno, stavo scendendo sulla slitta con velocità su questa collinetta, finendo con il mento dentro la barriera di pietra del fiume. Povera maestra! Ha dovuto di nuovo salvarmi.

Così persa nelle memorie della mia felice infanzia sono passate 2 ore. L’orologio mostra le ore 5, senza 2 minuti. Mi avvicino alla casetta del convegno RSDRP, mi siedo sulla panchina di fronte e comincio ad osservare i passanti. Non ci siamo visti con Olga per circa 25 anni e non ho idea di come sia il suo look di adesso. Il tempo scorre, tutto cambia e le persone pure. Con attenzione guardo ogni donna che appare sulla scala, temendo di non riconoscere la mia Olga. Esattamente alle ore 17, dalla parte dell’Avenue di Indipendenza, è apparsa una siluette che comincia scendere dalla scala bianca, è la mia fragile Olga, sempre con il sorriso un po’ enigmatico. «Ciao Tania. Eccomi qua». E’ come se non fossero passati 25 anni. Un classico elegante blazer chiaro di una buona vestibilità, trucco appena, ha l’ottima immagine di una regista televisiva. Ci indirizziamo a piedi verso la città Vecchia, non smettendo di raccontare l’una all’altra, come sono passati gli ultimi 25 anni delle nostre vite. Ci fermiamo in un piccolo elegante caffè in Nemiga che si chiama “Ferz’” (“Regina” in italiano). Ordiniamo il gelato. Togliamo dalle borse le foto dei figli. Il mio ha 29 anni, è un ingegnere informatico, figlio di Olga ha 27 anni e lavora nel Parlamento. Ma ci siamo conosciute io e Olga realmente in montagna... Anche se le nostre dacie si trovavano a 50 metri di distanza una dall’altra...

3. Il diario di una alpinista.

Una calda giornata estiva sta per concludersi. Il sole é ancora in alto, ma piano piano sta calando dietro all’alto massiccio montuoso. La conca dove si è fermato il nostro gruppo, si chiama “Albergo Verde». Lo spazio è abbastanza ampio e le tende sono messe in disordine, ma vicine l’una dall’altra. La cena è finita ed ognuno sta facendo qualcosa di suo. Svetlana ha raccolto un bouquet di fiori gialli, ha fatto una corona e l’ha messo sulla testa. Vicino al torrente si è fermato un gruppo di alpinisti novelli, lavano le mani e chiacchierano tra di loro. L’umore generale del gruppo è buono, all’altezza di 2'000 metri. Domani mattina presto inizierà la scalata. Il sole scende dietro la montagna, comincia il breve periodo di crepuscolo e la gente inizia a sistemarsi nelle tende per dormire. Le tende sono piccole, per 3 persone. Sono leggere – in montagna ogni grammo ha senso, perché tutto bisogna portare sulle proprie spalle. Nella mia tenda, a parte me, studentessa di 5o anno della facoltà di biologia di Minsk, c’è la mia cordata, il matematico e giovane Ph.D. in scienze tecniche, Valera Zukerman e il nostro compagno di scalata Igor Litvinzev, studente dell’Istituto d’Aviazione della città di Kharkov. “Impermeabilizzati” i sacchi a pelo, scherziamo ancora un po’ prima di addormentarci, metto la sveglia per le ore 3 del mattino e ognuno di noi inizia un viaggio nel mondo dei sogni. Il gruppo si sveglierà alle 4.

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L’istruttore della squadra é un osservatore eccezionale e ha notato che io spesso arrivavo in ritardo. Per questo mi ha ordinato di alzarmi alle 3 del mattino.

Ecco, la sveglia! Sono già le 3 del mattino! Sembra che ci siamo appena addormentati. Non puoi spegnerla. Striscio fuori dalla tenda. Fuori non c’è nessuno. La luna romantica sta illuminando i monti innevati, brillano le stelle. Come abitudine, cerco le costellazioni di Orsa Maggiore, Cassiopea, Orione e il Triangolo Estivo. La visibilità del cielo stellare è eccezionale, come può essere solo all'altezza di 2'000 metri. Per un po’ di tempo sono ferma, incantata della vista spettacolare dei profili scuri dei monti, appena illuminati dalla luce di luna. Il tempo passa. Finalmente, ricordo che devo preparare la colazione per tutta la squadra. Finendo di «contare» le stelle, accendo il fuoco, metto sul falò una casseruola. Preparo la pappa di segale, il tè per tutti, qualche volta però sempre guardando le cime della catena montuosa. Verso le 4 del mattino la neve sulla montagna comincia prendere la tonalità rosa. Corro nella tenda per prendere la macchina fotografica per “eternare” questa divina bellezza meravigliosa. Il cielo dal nero sta piano piano diventando di colore blu, le stelle si scolorano, i monti prendono la loro solita fredda, bianca ed inaccessibile immagine. La favola finisce ed io, dalla Principessa e regina della Montagna e del Cielo Stellato, divento una alpinista-debuttante. Secondo uno slang alpinistico – sono un «chainik» (“teiera” in italiano).

Si apre la tenda dell’istruttore e una voce sarcastica chiede: «Allora, sei riuscita a fare la colazione in tempo»? La colazione è pronta: la pappa nella pentola, il tè nella teiera per tutti “chainiki” e per il sarcastico istruttore. La squadra si è svegliata. Il popolo fa stretching e lentamente si muove verso il torrente per lavarsi, come quando le mucche vanno a bere l’acqua. Dopodiché – una colazione veloce, una tazza del tè caldo zuccherato e alle 4:30 la squadra inizia la salita. La prima montagna nella nostra vita si chiama Gumaci, di categoria 1 B e di altezza 3'829 m. Stiamo andando l’uno dietro l’atro, in testa – l’istruttore. Il dislivello sale. Sta diventando difficile respirare. Comincio contare – 2 passi e poi aspirazione, 2 passi e poi espirazione. Un’ora di salita e 10 minuti di riposo. Secondo l’istruttore – la montagna è troppo facile, per «chainiki». L’istruttore ha già insegnato che in montagna durante la salita bisogna essere molto attenti con i sassi. Ci sono tanti sassi “vivi”, perciò, prima di mettere il piede, bisogna assicurarsi che il sasso non si muove. Stiamo andando sulla cresta nevosa. Alla mia destra e alla sinistra c’è un muro ripido di neve. Ma tutto liscio non va: all’improvviso cado e volo giù, per circa 30 metri dalla cresta. Riesco in tempo ricordare dell’utilità della piccozza. Con tutte le forze butto la piccozza nella neve. Mi fermo. Mi portano in alto con la corda. L’istruttore mi guarda con occhi grossi. Alla fine del soggiorno alpinistico nella mia caratteristica scriverà: “Ha paura dell’altezza”. Verso le ore 12 saliamo sulla cima. Dalla veduta si toglie il fiato: davanti a noi giace una catena montuosa senza fine con le cime innevate. La nostra piccolissima squadra di alpinisti debuttanti sembra un piccolo punto nell’oceano di montagna. L’istruttore ci lascia altri 30 minuti per le «ammirazioni».

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Fotografiamo le cime, noi sullo sfondo delle cime, scherziamo, mangiamo veloce. Sull’altitudine non ho mai avuto appetito. Ma i miei compagni di squadra mangiano latte condensato, cioccolato, caramelle e formaggio, come se non avessero mai mangiato. Uno dei compagni da solo ha “sbranato” tutto il formaggio. Vedo che gli occhi furbi dell’istruttore stanno fissando il comportamento di ognuno di noi. Alla fine del soggiorno nella caratteristica di quel ragazzo che ha mangiato tutto il formaggio scriverà: “Avido”.

Cominciamo la discesa. Tutti di corsa! Diventiamo una cosa unica con i sassi che troviamo sulla discesa .Corriamo giù insieme con loro e non si capisce più dove sono i sassi, le piccozze e le nostre gambe. Si sente un carico terribile sulle ginocchia. Cosi corriamo per circa 2 ore. Finalmente siamo in campo base. Pieghiamo le tende e scendiamo più giù nell’accampamento alpinistico. Verso sera siamo sul posto. Da domani cominciamo gli allenamenti per salire sulla seconda cima che si chiama Via-Tau, anch’essa di categoria 1 B, alta 3'742 m. La salita sulle 2 cime di categoria 1 B è la condizione obbligatoria per ottenere III categoria sportiva in alpinismo. La mattina presto comincia il calvario. Dopo esserci svegliati, l’istruttore ordina un allenamento di 30 minuti di corsa in salita. Il che è come al mattino scaricare un treno merci. L’istruttore vede la nostra poca volontà e ci ordina un altro compito – flessioni sulle dita. Taglio con forbici la mia bellissima manicure.

Il campo alpinistico «Baksan» si trova in Cabardino Balcaria nella regione di montagna Elbrus a 144 km dalla città di Nalcik (Caucaso del Nord). È stato il primo campo alpinistico in l’URSS, il suo primo nome era SovKino (cinematografo sovietico). Vicino al villaggio Baksan si trova il laboratorio del Caucaso per lo studio di Neutrino. Il campo è situato nella gola di Baksan, sul territorio del Parco Nazionale “Elbrus”, in una bella e verde vallata dove altissimi pini crescono fino a 2'500 m.

Dal campo si apre una stupenda vista sulla montagna Elbrus. La sua romantica veduta assomiglia a due seni bianchi di una enorme donna che dorme in una gola montuosa. Ma l’aspetto romantico è molto ingannevole: la montagna è pericolosa e il tempo può cambiare in 30 minuti. Alla fine del nostro soggiorno alcuni nostri compagni hanno provato a salire sull'Elbrus, il tempo si è cambiato all’improvviso, è arrivata una tempesta di neve con vento e una squadra di soccorritori professionisti ha dovuto “recuperare” i debuttanti. La popolazione della gola di Baksan – cabardino balcari, gente cordiale e sincera. Durante il tempo libero di sera la nostra grande compagnia andava sul mercato locale dove vendevano l’abbigliamento in maglia di lana, kumis, formaggio, miele. O si passava il tempo in un bar. Nella zona di Elbrus si trova un complesso gigantesco dei ghiacciai. Dall’Elbrus scorrono 23 ghiacciai di cui la superficie totale è di 134 km² e lunghezza 6-9 km. Durante gli ultimi 100 anni la superficie totale dei ghiacciai si è ridotta per il 18 %, dei ghiacciai che scorrono nella vallata di Kuban’ - per il 33 %. I ghiacciai di Elbrus nutrono 3 più grandi fiumi del Caucaso e della regione di Stavropol: Baksan, Маlka e Kuban’. Sul fiume Baksan dal 1938 produce energia una delle prime centrali idroelettriche in Russia, Centrale di Baksan. In Cabardino – Balcaria è situato anche il ghiacciaio Besenghi lungo 17,6 km, il più grande in Russia.

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Dalla gola di Baksan si apre una meravigliosa veduta sulla cima Donguzorun-Ceget-Karabashi (4'454 m), sulla quale si trova il ghiacciaio «Semerka» (“Sette”), di cui forma sembra di essere il numero 7. Questo ghiacciaio ha anche un altro nome «Semerka Herghiani», in nome del famoso alpinista giorgiano Mikhail Herghiani.

I ¾ dei partecipanti del campo alpinistico «Baksan» contavano le ragazze. Per questo motivo il nostro “corrosivo” istruttore ha parafrasato il cartello appeso sull’entrata nel campo da «L’alpinismo è una scuola di coraggio» in «L’alpinismo è una scuola di matrimonio». Io a 22 anni non potevo pensare al matrimonio. Nella mia vita c’era un problema, mio padre ammalato. Non sapevo ancora che era un dissidente politico. Mi dicevano che era ammalato. Per questo motivo per me valeva la prima versione, quella vera scritta sull’entrata sul campo: «L’alpinismo è una scuola di coraggio». Con crescente difficoltà delle categorie sportive il contingente femminile diminuiva – diventava sempre più difficile sia fisicamente che moralmente.

Il nostro istruttore Khitrikov era un ottimo alpinista ed un perfetto psicologo. Osservando ognuno di noi, alla fine del soggiorno ci scriveva una caratteristica. Preparando alle scalate, si facevano gli allenamenti sulle montagne vicine, sulla neve e sul ghiaccio. Tutti noi avevamo 20-23 anni, pure il nostro istruttore aveva solo 24 anni, ma per noi era un idolo di abilità sportiva e di professionalità. Ho imparato il suo metodo di comportamento in alta quota e l’ho mantenuto per tutta la vita – «tre punti di appoggio» chiamandolo proprio così – «Il Metodo di Khitrikov». Durante le ore libere di sera ogni tanto ci univamo tutti insieme, tutta la squadra, e parlavamo. In una di queste sere abbiamo saputo che il nostro istruttore era anche un poeta. Ha letto alcune delle sue poesie – non erano male.

Devo dire che il movimento alpinistico in URSS ha fatto nascere un particolare movimento della canzone d’autore. Tra gli autori uno dei più forti e più famosi era il registra Yuriy Visbor. Si viveva con le sue canzoni e i film di montagna. Gli anni 70-80 erano gli anni del meraviglioso periodo di fede nel vicino, della purezza del pensiero e dell’aiuto reciproco. In montagna si vedeva subito di che cosa è fatta una persona. Con i deboli si comportavano con tolleranza, ma i vigliacchi venivano menzionati. In montagna si sapeva chi è chi.

Foto 1. Via-Tau, Foto 2. Il campo alpinistico «Baksan», 1978 1978, 3'742 m

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Foto 3. La gola Baksan, la regione Elbrus, 1978

Foto 4. La regione Elbrus, montagna Elbrus coperta da nuvole, 5'642 m, 1978

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Foto. 5. La regione Elbrus, montagna Donguzorun Foto. 6. Veduta dalla montagna Gumaci, 1978. -Gitce-Ceget-Karabashi, 4'454 m, sul primo piano – il ghiacciaio «Semerka»

Foto. 7. Montagna Shchelda, 4'368 m, 1978 Foto. 8. Montagna Elbrus, 5'642 m, vista dalla montagna Gumaci, 1978

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Foto. 9. Vista dalla montagna Via-Tau, 1978 Foto.10. La regione Elbrus, il campo base, 2'000 m, 1978

Foto. 11. La regione Elbrus, il campo base Foto. 12. Pamir, il campo base. «Albergo Verde», 4:00 am, 1978. Dono dell’alpinista Nina Kharlip.

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Foto 13. La regione Elbrus, Foto 14. La regione Elbrus, m. Ceget-Tau-Ciana, traversata sulla cresta, m.Gumaci, 1978 3'650 m, vista da m.Gumaci

Foto 15. La regione Elbrus, il campo base, Foto 16. La regione Elbrus, sulla m. istruttore Khitrikov con partecipante, 1978. Gumaci, 3'829 m, con cordata, 1978.

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Foto. 17. La regione Elbrus, allenamenti prima Foto. 18. La regione Elbrus, al riposo, della scalata, 1978. da sinistra: Mikhaevitch T.V., Zukerman Valeriy, istruttore Khitrikov Vladimir, 1978.

Foto 19. Sulla cima Gumaci, 3'829 m, 1978. Foto 20. Sulla cima Gumaci, 3'829 m, 1978.

Foto 21. Il campo base Foto 22. Sulla cima Gumaci, 3'829 m 1978.

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Foto 23. La regione Elbrus, il campo base «Albergo verde», prima della salita sulla m. Via-Tau, 1978.

Foto 24. La regione Elbrus, il campo alp. «Baksan», Foto 25. Il dialogo dell’istruttore Khitrikov la squadra al riposo, 1978. con la partecipante, 1978.

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Foto 26. La regione Elbrus, cima del m.Gumaci, 3'742 м, 1978, a sx - istruttore Khitrikov.

Foto 27. La regione Elbrus, 1978. Foto 28. La regione Elbrus, allenamento sul ghiacciaio,1978.

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Foto 29. La regione Elbrus, allenamento sul ghiacciaio, Foto 30. Allenamento sul ghiacciaio, 1978. scavare le scale, 1978.

Finite 3 settimane nel campo dell’alpinismo, prendiamo l’aereo per tornare a casa. Torno a Minsk per finire l’università, al lavoro e agli allenamenti. Il nostro club di alpinismo del Dipartimento di Alpinismo del Consiglio dell’ associazione volontaria sportiva dei Sindacati si chiamava «Spartaco» ed era situato presso l’Accademia delle Scienze, dove lavoravo. Nel circolo sportivo c’erano 2 allenatori – Losovsky Leonid Ivanovitch, che insegnava l’attività fisica presso l’Istituto delle Lingue Straniere, e Nogotov Evgeniy Fomitch, Ph.D. in Scienze Tecniche, che lavorava all’Istituto di Fisica, nel laboratorio del laser. Losovsky era una persona famosa in Bielorussia . Ha scalato 6 montagne da 7'000, perciò veniva chiamato da noi “il leopardo delle nevi”.

Il sistema dei sindacati DSO nell’URSS era organizzato in modo che ogni persona che voleva praticare l’alpinismo o sciare in montagna, poteva permettersi di acquistare un soggiorno (costava solo 20 rubli) e stare 3 settimane, con pensione completa, in uno dei campi sportivi di alpinismo, situati la maggior parte nella montagna di Caucaso: Baksan, Schchelda, Dombay, Teberdy etc.

Durante l’inverno dell’anno successivo sono partita nel campo «Schchelda», che d’inverno lavorava come base sciistica. Erano i tempi degli sci in legno, ed imparare a sciare era praticamente impossibile. L'istruttore di sci era un ex sciatore. Abbiamo notato che era un bevitore. In più, abbiamo notato che l’istruttore non scendeva mai con gli sci, solo mostrava le manovre. Una volta in una delle sedute amichevoli, e bevendo un po’, ci ha confidato che era un talentuoso sciatore. Ma una volta dopo una discesa sfortunata si è rotto tutto e non ha più potuto vincere la paura. Ha smesso di sciare. Ha cominciato bere. Dopo aver saputo questa storia, ho pensato che la vera grandezza di un uomo è di sollevarsi di nuovo, dopo una brutta caduta. E bisogna farlo subito.

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All’estate del 1979 dovevo discutere la mia tesi universitaria. Una settimana prima ho avuto l’ascesso di appendicite. L’ambulanza mi ha portato al pronto soccorso e sono stata subito operata, sotto anestesia locale. Avevo tanti dubbi che fosse appendicite e scherzando sul lettino in sala operatoria con il chirurgo che mi operava, gli ho chiesto di farmi vedere l’appendicite dopo l’operazione. Per avere una conferma che era veramente l’ascesso di appendicite. Mentre il chirurgo mi operava, gli raccontavo le «fiabe» sull’alpinismo e che subito dopo aver discusso la mia tesi dovevo partire per il campo base, per fare le scalate, per la IIa categoria di alpinismo. Quando il chirurgo ha finito l’operazione, mi ha fatto vedere il pezzo tagliato e ha confermato che "non era un ascesso di appendicite, ma tanto, è lo stesso, è anche bene, perché in futuro non avrai più problemi con appendicite»… Era scioccante… Ed era il mio primo incontro con la medicina reale (ricevevo ancora le cure mediche presso l’ospedale VIP, ma siccome ho avuto un ascesso, mi hanno portato con urgenza in un ospedale normale). Mi hanno dimesso dopo 3 giorni, e ho dovuto discutere la tesi con la febbre. Più tardi ho fatto un controllo nel poliambulatorio VIP e ho saputo di aver avuto le coliche renali. Quindi, stavo per perdere la stagione estiva di montagna. Non potevo andare in montagna per 3 mesi dopo l’operazione. Ho potuto partire solo a settembre. A settembre c’erano posti solo nel campo per alpinisti in Svanetia, il campo si chiamava “Ailama”. A settembre sono partita per la Georgia.

Il campo per alpinisti “Ailama” era collocato tra Georgia (Svanetia) e Russia. Abbiamo preso l’aereo fino a Tbilisi, dopo con un bus abbiamo raggiunto il campo. Sembra, che adesso questa struttura non è più in uso. La cima più alta della zona è la montagna Ailama (4'546), altre cime più famose - Nuam-Кuam (4'233), Zurungal (4'249), Sconosciuta Bianca (4'114), Fytnargin (4'123), Passis-Мta (3'805), Gesetau (4'009). Questa zona è chiamata anche Fytnargin, qui si trova il ghiacciaio Fytnargin lungo 9,8 km. In questa zona si trova anche il ghiacciaio Dyxsu, il secondo in Caucaso per la grandezza, lungo 13,3 km. L’istruttore era di Mosca, di cognome faceva Dmitriev, aveva circa 40 anni e già a prima vista sembrava di quelli che si fanno riconoscere – amava le donne. Il mio rapporto con l’istruttore si è rotto subito e con questa salsa sono passate 3 settimane. L’uomo non si sa il perché ha deciso che mi deve sposare. Ho pensato che, come minimo, avrebbe dovuto almeno chiedermelo. Avevo un carattere superbo ed indipendente, come può avere una ragazza a 23 anni. Sono arrivata in campo da sola, non c’era nessuno dalla squadra di Minsk e ho dovuto creare un gruppo, per difendermi da questo vigliacco. Durante quell’estate ho cominciato a comprendere l’altra faccia della medaglia, la posizione di una bella ragazza nella società, quando è difficile essere indipendente e libera dagli attacchi fangosi. Moralmente quelle 3 settimane sono state molto pesanti, ma fisicamente ho fatto 4 scalate: la montagna Ninoshvili 1 B categoria, altezza 4'054 m, la montagna Маchxapara sulla cresta del sud, altezza 3'600 m 2 А categoria, la montagna Mardzhanishvili, altezza 3'850 m, sulla cresta est, 2 А categoria, la montagna Mardzhanishvili, cresta nordica, 2 B categoria. Ho raggiunto la III a categoria sportiva in alpinismo, ma lo sciagurato istruttore ha deciso continuare ad insultarmi: mi ha rovinato la caratteristica. Al mio ritorno a Minsk, per mesi chiamava a casa mia, buttando il fango su di me ai miei genitori.

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Ho informato di questa situazione il mio allenatore Losovsky. La mia caratteristica nel libretto di alpinismo è stata rifatta dalle persone che mi conoscevano come una persona onesta, buon compagno, con la reputazione irriprovevole, e riguardo il molestatore è stata inviata una lettera ufficiale nel Dipartimento di Alpinismo di Mosca. Per fortuna, nella mia pratica alpinistica questo è stato l’unico caso negativo, ma sono certa che con le persone di questo tipo bisogna suonare un campanello d’allarme – che non diventi un’ abitudine anche per gli altri.

Foto 31. Il campo base «Аilama», Georgia, gola Zesxo, Foto. 32. Verso montagna Ninoshvili, m. Bianca e Nera Sconosciuta, 4'114 m, 1979. 4'054 m, 1979.

Foto 33. Il pranzo sul ghiacciaio, 1979.

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Foto 34. M.Mardzhanishvili, Georgia, 3'850 m, 1979.

Foto 35. Allenamento prima della salita, Georgia, con cordata da Donezk, 1979.

Foto 36. M.Mardzhanishvili, 3850 m, 1979. Foto 37. M.Mardzhanishvili, 3850 m, 1979.

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Foto 38. Gola Zesxo, Georgia, 1979. Foto 39. Gola Zesxo, Georgia, 1979.

Foto 40. Verso m. Mardzhanishvili sul ghiacciaio, 1979. Foto 41. Il ghiacciaio e i «ramponi», 1979.

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Foto 42. Gola Zesxo, Georgia, 1979.

Foto 43. Gola Zesxo, Georgia, m.Sconosciuta Bianca e m.Sconosciuta Nera, 4'114 m, 1979.

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Foto 44. Gola Zesxo, Georgia, 1979, partenza.

Dopo le scalate in montagna, per sdrammatizzare la stagione spiacevole nel campo alpinistico georgiano, abbiamo organizzato un gruppo di circa 20 persone e siamo scesi al mare Nero nella città di Sukhumi. Per arrivare li, siamo partiti con un pullman sulla Strada Militare della Georgia. Questa era una delle strade più pericolose e mai più ho avuto cosi tanta paura: da una parte della finestra del pullman c’era un muro di montagna, la strada era strettissima, dall’altra parte della finestra si apriva una terribile vista giù nel canyon per minimo 800 metri… L’autista, un georgiano, era ubriaco, e quando gli abbiamo chiesto perché beve guidando, ha risposto che altrimenti non avrebbe avuto coraggio di fare questa strada.... Lungo il percorso abbiamo fatto cosi tante preghiere prima di arrivare sul posto, sani e salvi.

Anno dopo sono di nuovo partita nella regione Elbrus, nel campo alpinistico “Schchelda”. Il Campo base per alpinisti “Schchelda”, che si traduce dalla lingua dei balcari come “mortella della palude», é situato vicino alla monte Elbrus nella gola Adyl-Su (gola Schchelda) sull’altezza di 2'000 m, vicino alla gola di Baksan, a 135 km dalla città Nalcik. Le cime più alte della regione – il monte Schchelda (4'368 m), il monte Nauka (Scienza) (4'158 m ) etc. A valle del monte Schchelda è situato il ghiacciaio che porta stesso nome. La catena montuosa del Caucaso si caratterizza per un grande numero dei ghiacciai, tuttavia sono poco studiati ed esistono scarsi dati sulla dinamica del loro stato nel tempo.

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Questa volta sono andata nel campo di alpinismo con la mia amica, regista della televisione di stato, Olga. Durante il soggiorno però ho avuto delle complicazioni con i reni e ho passato quasi tutto il tempo in un ospedale da campo locale. Ho potuto solo confermare la IIIa categoria sportiva avendo fatto la scalata sul monte Kzgem-Bashi di 2B categoria di altezza 4'010 m. Nel 1980 ho ricevuto il tema per la preparazione della Ph.D. in Biologia, sull’impatto delle acque riscaldate della centrale idroelettrica sulla biologia e sull’ ecologia degli invertebrati, e tutto il tempo, lavorativo e libero, lo dedicavo alle spedizioni e alle ricerche. Ma la montagna è rimasta per sempre nel mio cuore...

Foto 45. La regione Elbrus, il campo base, Foto 46. La regione Elbrus, prima di salire sul monte Kzgem-Bashi, 4'010 m, gola Adyl-Su, campo per alpinisti «Schchelda», 1980. 1980, battesimo dei debuttanti in alpinisti.

Foto 47. La regione Elbrus, gola Adyl-Su, Foto 48. La regione Elbrus, gola Adyl-Su, il campo per alpinisti «Schchelda», 1980, il campo per alpinisti «Schchelda», 1980, Mikhaevitch T.V Tatischeva O.B.

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Foto 49. L’Istruttore DSO «Spartak», il maestro dello sport alpinismo,

il conquistatore di 6 montagne di 7'000 metri, Leonid Ivanovitch Losovsky, Minsk, Belarus.

4. Ecologia dei ghiacciai 4.1. Inquinamento in alta quota

La spedizione di Greenpeace sui ghiacciai, maggio-giugno 2015

Quindi, la montagna è rimasta per sempre nel mio cuore... Come simbolo di purezza, inaccessibilità e forza. Ma sono passati oltre 20 anni e la situazione in montagna stava per diventare catastrofica... L’alta montagna non risultava più così pura. La montagna non solo è diventata inquinata da sostanze pericolose, a causa dell’attività dell’uomo, ma i suoi ghiacciai hanno cominciato a sciogliersi sotto i nostri occhi.... Le spedizioni nuove nelle regioni montuose e nelle regioni di difficile accesso del Pianeta sono state organizzate non per interesse sportivo, ma per studiare l’ecologia di montagna.

4.1.1. Inquinamento da perflorurati (PFC).

A maggio e giugno 2015 otto squadre Greenpeace hanno raggiunto le seguenti aree montuose remote del Pianeta per raccogliere campioni di neve e dell’acqua, ai fini di analizzare in laboratorio gli inquinatori pericolosi: - Monti Haba (Cina) – 5053 m s.l.m. - Monti Altai (Russia) – 1'778 m s.l.m. - Laghi di Macun (Svizzera) – 2'641 m s.l.m. - Alti Monti Tatra (Slovacchia) – 1'722 m s.l.m. - Parco Nazionale di Torres del Paine (Cile) – 900 m s.l.m. - Monti Kackar (Turchia) – 3'120 m s.l.m. - Località Treriksroset (Scandinavia, al confine tra Svezia, Finlandia e Norvegia)

– 616 m s.l.m. - Parco dei Monti Sibillini (Italia), lago di Pilato – 1943 m s.l.m. - Kiruna, Ovre Soppero (Svezia) – 511 m s.l.m. - Kilpisjarvi, Enontekio (Finlandia) – 742 m s.l.m.

I campioni sono stati analizzati per la presenza dei composti poli- e perflorurati (PFC). I PFC sono composti organici sintetici che si suddividono in 2 principali gruppi, a catena lunga e a catena corta, in base al numero di atomi di carbonio. I PFC sono largamente utilizzati da più di 60 anni in numerosi processi industriali.

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Per esempio, vengono utilizzati per la produzione dei capi di abbigliamento ed attrezzature outdoor, nello specifico, nelle finiture impermeabilizzanti ed antimacchia. Ci sono altre industrie che usano i PFC. I PFC sono sostanze pericolose a causa della loro persistenza e difficile biodegradabilità. Una volta rilasciati, degradano molto lentamente e si disperdono su tutto il globo. I PFC possono essere presenti sia negli scarichi industriali che domestici e non tutti i PFC possono essere rimossi dalle acque di scarico tramite l’impianto di depurazione. Quando i prodotti contenenti i PFC vengono smaltiti in discarica, loro poi possono contaminare le falde acquifere e le acque di superficie. Alcuni PFC sono estremamente volatili: cosi i PFC contaminano anche le zone di montagna.

I PFC si accumulano nei tessuti degli organismi viventi, per esempio, nel fegato degli orsi polari dell’Artico e anche nel sangue umano. Alcuni PFC generano effetti negativi sul sistema riproduttivo, ormonale e favoriscono la crescita di cellule tumorali. Greenpeace ha riscontrato la presenza di PFC negli scarichi delle fabbriche tessili cinesi e nel pesce consumato in Cina. I PFC sono stati trovati nell’acqua potabile destinata al consumo umano. Greenpeace nei Rapporti del 2012 e del 2013 ha rivelato che i PFC sono regolarmente presenti in abbigliamento e scarpe outdoor, dimostrando che queste sostanze possono evaporare non solo durante le fasi di lavorazione, ma anche dai prodotti finiti presenti nei negozi, finendo cosi nell’aria. (2)

I PFC nell’industria tessile. I PFC a catena lunga come l’acido perfluorottanoico (PFOA) e il perfluorottano sulfonato (PFOS), utilizzati in grandi quantità nelle produzioni tessili negli anni scorsi, sono una seria minaccia per l’ambiente, a causa della loro tossicità. Sono stati ritirati dalla produzione in diversi paesi. Tuttavia, alcuni scienziati prevedono che la loro concentrazione continuerà a crescere anche dopo il 2030. Questo è dovuto alla loro scarsa degradabilità e alla formazione di altri PFC come risultato della “decomposizione”, che oggi vengono utilizzati in grandi quantità come sostituti dei PFC a catena lunga. Negli ultimi anni sono stati utilizzati numerosi PFC a catena corta per la produzione dei comuni capi impermeabili, dai principali brand internazionali. I PFC a catena corta condividono con i PFC a catena lunga le stesse caratteristiche di persistenza e sono estremamente volatili, con una notevole capacità di disperdersi nell’ambiente su scala globale. Più di 200 scienziati da 38 paesi hanno firmato la “Dichiarazione di Madrid” che chiede l’eliminazione dei PFC nella produzione di tutti i beni di consumo in cui l’utilizzo di questi composti non è necessario e laddove esistono alternative sicure. (3)

I PFCs sono presenti nei polimeri plastici, carta, fibre tessili, pellame, schiume antincendio, cosmetici, casalinghi ecc. Oggi UE sta lavorando per inserire i 98 composti dei PFCs nella lista stilata dalla Convenzione di Stoccolma in cui sono riportati i composti pericolosi per la salute dell’uomo e dell’ambiente, in quanto inquinanti organici persistenti (POPs – Persistent Organic Pollutans).

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I PFCs sono in grado di bioaccumularsi negli organismi viventi, sono sospettati di esplicita tossicità su piante ed animali. Ad esempio, l’esposizione al PFOS potrebbe incrementare la permeabilità cellulare nei confronti di altri composti tossici, che possono essere contemporaneamente presenti nell’organismo, per esempio, le diossine, potenziandone l’azione. I PFCs possono interferire sulla comunicazione intercellulare promuovendo lo sviluppo dei tumori. Questo fenomeno è stato dimostrato per il PFOS (perfluorottano) e il PFOA (acido perfluorottanoico) e sembra essere in relazione con la lunghezza della catena carbonica delle molecole. Il PFOA e il PFOS entrambi hanno mostrato attività epatotossica in roditori e in scimmie, dimostrando l’aumento delle dimensioni del fegato, la riduzione dei livelli sierici di colesterolo. Il PFOA si è rivelato un potente promotore di tumore epatico in ratti, immunosoppressore in topi.

A dosi basse è stata osservata la diminuzione di peso degli organi linfatici (milza e timo), con conseguente indebolimento dei sistemi di difesa immunitaria contro le infezioni ed aumento dell’incidenza dei tumori. A dosi relativamente elevate il PFOS è in grado di causare molteplici anomalie dello sviluppo: riduzione del peso del feto dei ratti, anasarca (edema esteso a tutto l’organismo), la mancata calcificazione delle ossa, disfunzioni cardiache, morte neonatale. I neonati di ratto sopravvissuti mostravano ritardo nella crescita, dall’esame del sangue emergevano livelli ridotti di tetraiodotironina (T4), per cui il ritardo nello sviluppo del feto e nella crescita potrebbe essere dovuto alla capacità di PFOS di interferire con la maturazione cellulare e funzionale degli organi bersaglio, tramite l’influenza sugli ormoni tiroidei. Il PFOA e il PFOS sembrano in grado di interferire con il sistema neuroendocrino. In uno studio condotto su pesce ed uccelli, il PFOS somministrato ad elevata concentrazione agiva come interferente endocrino (alterava il normale ciclo ormonale), inducendo all’aumento dei livelli di estradiolo, testosterone e di cortisone.

In uno studio il PFOS è stato rinvenuto in tutti i tessuti corporei dei ratti, compreso il cervello, evidenziando la capacità di attraversare la barriera emato-encefalica. A dosi elevate intervenivano anche la riduzione del peso corporeo e l’aumento del livello sierico di colesterolo. I livelli PFOS nel siero dei ratti trattati erano simili ai livelli riscontrati in esseri umani che sono stati esposti a PFC per ragioni professionali. Sono stati annotati incrementi per le morti dovuti a tumore della vescica tra i lavoratori impiegati per almeno 1 anno negli impianti di produzione del PFOS, o per tumore epatico tra i lavoratori esposti al PFOS, per tumore della prostata in lavoratori esposti al PFOA. Più significativi sono studi condotti nelle aree limitrofe agli stabilimenti della DuPont (Virginia, USA) dove si riscontrò un significativo incremento di cancro alla prostata e cancro agli organi riproduttivi femminili. Dagli esami delle schede sanitarie dei lavoratori è emerso un aumento dei linfomi, leucemia e mieloma multiplo. (3)

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I risultati delle analisi del laboratorio svolti sui campioni raccolti dalla spedizione organizzata da Greenpeace durante l’anno 2015, chiaramente mostrano che i composti poli- e perfluorurati sono ampiamente diffusi in aree remore del Pianeta e che la contaminazione delle località esaminate è avvenuta anche nel corso dell’inverno 2015.

I PFC non esistono in natura, ma possono fare il giro del mondo muovendosi nell’atmosfera in forma gassosa o legati alle particelle del pulviscolo atmosferico e depositati sulla terra con la pioggia o con la neve.

Fig.50. PFCs della catena lunga nella neve, ng/l. (2)

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Fig 51. PFCs della catena corta nella neve, ng/l.(2)

Fig.52. PFCs della catena lunga nell’acqua, ng/l. (2)

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Fig 53. PFCs della catena corta nell’acqua, ng/l.(2)

Come si vede dai grafici 50 e 51, le concentrazioni più alte dei composti PFCs a catena lunga sono state riscontrate nei campioni prelevati sulla neve in Italia, Svizzera e Slovacchia.

Come si vede dai grafici 52 e 53, le concentrazioni più alte dei composti PFCs a catena corta sono state riscontrate nei campioni prelevati nell’acqua in Cina, Russia, Svizzera e Slovacchia.

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Fig. 54. Composti PFCs analizzati.(2)

Come paragone, il Report di Greenpeace 2015 sta citando alcuni dati bibliografici del contenuto dei PFCs in alcuni posti del pianeta: Monti del Tibet, monte Muztagata, neve sul ghiacciai 1980-1999, ΣPFCs=0,19-0,93 ng/L; Monti del Tibet, lago Namco, 2010, ΣPFCs=0,875-4,24 ng/L; Oceano Artico, 2006, ghiaccio marino, ΣPFCs=0,22-8,1 ng/L; Artico canadese, Isola Devon, 1996-2006, ghiaccio, ΣPFCs=0,0208-0,44 ng/L; Antartide, penisola Fildes, isola King George, 2011, neve, ΣPFCs=1,13-2,49 ng/L; Antartide, penisola Fildes, isola King George, 2011, acqua, ΣPFCs=3,87 ng/L; PFOA, ng/L PFOS, ng/L Artico canadese, isola Cornwallis, Nunavut, acqua 0,4-16 0,9-90 Canada/USA, Grate Lake, acqua* 0,4-3,5 0,2-5,9 Svizzera, 2009, acqua* 0,113-30,35 0,04-139,4 Germania, Hessen, 2010-2012, acqua* 0,16-6,5 0,04-4,6 Spagna, 2010-2012, acqua* 0,16-68 0,04-2’709 ΣPFCs – composti perfluorurati cumulativi. *- posto esatto del prelievo è sconosciuto

E’ stato già bene documentato che i PFOA e i PFOS si accumulano nei pesci nelle concentrazioni da 7 a 170 ng/g wwt*. Questi composti organici sono stati trovati nei gamberi, cozze, ostriche (PFOS fino a 387 ng/ g wwt). *- g wwt – peso umido in g. La letteratura scientifica parla del livello di allarme attorno a 38 ng/g wwt. (4) Quindi, è evidente che non solo respirazione di questi composti organici, ormai come è stato dimostrato nei posti più remoti del Pianeta, ma anche il consumo del cibo e dell’acqua che contiene PFCs, rappresenta un pericolo per l’uomo.

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4.1.2. Inquinamento dei ghiacci da microplastica

Nello studio “Global warming releases microplastic legacy frozen in Arctic Sea ice” pubblicato da Earth’s Future, un team di ricercatori statunitensi del Dartmouth College e britannici dell’Università di Plymouth, rivelano un nuovo rischio della conseguenza del global warming e della nostra pessima gestione delle materie prime: trilioni di minuscoli pezzi di plastica sono stati imprigionati dai ghiacci antartici. Secondo Plastics Europe, solo nel 2012 gli esseri umani hanno prodotto 288 milioni di tonnellate di plastiche e lo studio ha fatto una scoperta sorprendente: molta della plastica che non vogliamo a recuperare, riciclare e riutilizzare finisce intrappolata nei ghiacci dell’Artico. Con il cambiamento climatico però sorge un grosso problema: lo scioglimento del ghiaccio marino potrebbe restituire la microplastica all’ambiente. Il team di ricercatori hanno prelevato 4 carote di ghiaccio durante spedizioni artiche nel 2005 e 2010. Il 54% delle particelle presenti nelle carote era rayon, che tecnicamente non è un polimero sintetico visto che deriva da cellulosa naturale, ma il 37% era costituito polipropilene, il 21% da poliestere, il 16% da nylon ed il 2% da polistirene, acrilico e polietilene.

Uno degli autori dello studio, Richard Thompson, del Marine Biology and Ecology Research Centre della School of Marine Science and Engineering dell’Università di Plymouth ha detto che «E’ difficile individuare la fonte di questi materiali. Il rayon per esempio è un componente dei vestiti e dei filtri delle sigarette». Gli scienziati credono che la presenza di microplastiche nei ghiacci artici possa essere ancora più alta se si passasse a filtri più fini. La plastica può assorbire gli inquinanti organici in forte concentrazione. Mark Browne, un ecologo dell’Università di California-Santa Barbara, ha effettuato dei test in laboratorio con organismi marini che dimostrano che non solo che le plastiche possono essere ritenute nei tessuti (degli organismi marini) ma che gli inquinanti possono essere rilasciati dopo la loro ingestione. «Cominciamo a preoccuparci sempre di più», - ha concluso. (5)

Non sono molti i lavori simili, che studiano l’inquinamento ad alta quota e nelle regioni di difficile accesso del Pianeta, ma questi che esistono dicono che l’inquinamento ha raggiunto non soltanto l’alta montagna ma anche i ghiacci antartici. 4.2. Analisi comparativa della NASA e WWF sullo stato di scioglimento dei

ghiacciai e dei ghiacci durante gli ultimi 120 anni.

E da quando è apparso «l’Occhio Cosmico», le ricerche satellitari, da sopra si vede che i ghiacciai iniziano a sciogliersi, come il gelato in Africa... Con le seguenti conseguenze...

Il mondo del ghiaccio e dei ghiacciai viene definito Criosfera (dal greco Kryos – “freddo”). Sono ricoperte di ghiaccio i poli Nord e Sud, l’Artico e l’Antartide, i ghiacciai sono presenti nelle montagne di Alpi, in Caucaso, in Himalaya, nelle Ande, in Africa ecc.

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Il mondo del ghiaccio e dei ghiacciai influenza l’intero sistema climatico mondiale attraverso il loro impatto sul bilancio energetico della superficie terrestre, il ciclo dell’acqua, la produttività primaria, i livelli delle acque degli oceani e dei mari etc. I ghiacciai coprono solo il 10 % della superficie della terra e contengono il 75 % dell’acqua dolce del pianeta.

Il ghiaccio marino dell’Artico è costituito dall’acqua dell’oceano ghiacciata ed è capace di riflettere l’80 % dell’illuminazione del Sole ma al momento quando si scioglie durante l’estate é capace di assorbire il 90 % delle radiazioni, provocando cosi un incremento del calore nelle acque dell’oceano. Cosi anche un piccolo incremento delle temperature ai poli indica un significativo riscaldamento globale, e poli cosi diventano le regioni più sensibili al cambiamento climatico.

Lo spessore del ghiaccio in Antartide è di circa 2 km. Le calotte di ghiaccio sulla terra ferma si formano grazie all’accumulo della neve, mentre il ghiaccio di mare si forma quando acqua di mare gela ed è stagionale, non più vecchio di 6 mesi. Alcuni modelli climatici valutano che il ghiaccio marino estivo può scomparire nell’ Antartide entro il 2050.

Le montagne interessate dai ghiacciai nel mondo sono: - I ghiacciai dell’Himalaya sono estesi per 2'400 km attraversando 6 nazioni –

India, Pakistan, Afghanistan, Cina, Bhutan, Nepal; - I ghiacciai delle Ande e della Patagonia; - I ghiacciai delle Alpi; - I ghiacci del Caucaso, degli Urali; - I ghiacciai del Kilimangiaro e del Ruwenzori in Africa; - I ghiacciai delle Cordigliere nordamericane.

Il permafrost è il suolo ghiacciato permanente che è diffuso su circa 1/5 delle terre, raggiungendo in alcune arre anche 800 m, è presente in Alaska, Canada e Siberia. I picchi di freddo che hanno caratterizzato alcuni periodi della storia della Terra vengono definiti ere glaciali, dovuti all’interazione di numerosi fattori, tra i quali uno principale è il fattore delle variazioni dell’orbita terrestre, note come cicli di Croll-Milankovic (in nome dello scienziato scozzese James Croll e il matematico serbo Milutin Milankovic), che alterano la quantità di radiazione solare ricevuta dalla Terra.

Dal 1979 i satelliti registrano la continua decrescita della superficie ghiacciata marina nell’Artico. Secondo il 5° Rapporto sul cambiamento climatico dell’IPCC, il tasso della decrescita è tra il 3,5 e il 4,1 % per decennio. Il National Snow and Ice Center (www.nsidc.org) ha segnalato l’11.03.2015 che la massima estensione della superficie marina ghiacciata invernale ha raggiunto il valore più’ basso mai registrato, da quando esistono le registrazioni satellitari (14'280 milioni km2). Il National Snow and Ice Center ha reso noto che la superficie marina ghiacciata estiva è stata al 16.09.2015 di 3.41 milioni km2, 760'000 km2 in meno del precedente record registrato il 18.09.2007.

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La zona ridotta del ghiaccio è un’area grande quanto lo stato del Texas negli USA. Nel 2006 la ghiacciata estiva artica si estendeva su 5,77 milioni km2, nel 2010 – 4,61, nel 2015 – 4,41 milioni km2, ritirandosi al 23,6 % rispetto 2006.

Secondo il 5° Rapporto sul cambiamento climatico dell’IPCC, l’estensione media del ghiaccio marino nell’Artico nel mese di settembre potrebbe subire la riduzione dal 43 % al 94 % e dall’8 % al 34 % per mese di febbraio, per la fine del 21mo

secolo. Si ritiene probabile che il mare Artico nel mese di settembre possa risultare quasi privo di ghiaccio prima del 2050.

Il monitoraggio coordinato dei ghiacciai a livello mondiale ha avuto inizio nel 1894. I dati raccolti durante 121 anno riassunti dal World Glacier Monitoring Service (WGMS) chiaramente documentano che i ghiacciai in tutto il mondo si stanno ritirando e perdono massa, rappresentando, secondo gli studiosi, l’icona più evidente del cambiamento climatico globale.

Secondo i diversi scenari presentati nel 5° Rapporto dell’IPCC, il volume globale dei ghiacciai, esclusi i ghiacciai dell’Antartide, potrebbe scendere dal 15 al 55 % o dal 35 all’85 %, relativamente agli scenari più estremi.

4.2.1. La retrospettiva dello scioglimento dei ghiacciai sul Pianeta

Alpi Alpi sono il tetto d’Europa. Sulle Alpi scorre una rete di acqua dolce che dalle cime innevate dell'arco alpino scorre per 9’000 km fino ai delta del Mediterraneo, al Mare del Nord e al Mar Nero, fornendo servizi vitali a decine di migliaia di specie e centinaia di milioni di persone, alimentando industrie, produzioni agricole e attività umane in tutta Europa. La fusione dei ghiacciai dovuta al cambiamento climatico ha raggiunto ritmi e livelli drammatici.

Secondo il dossier del WWF pubblicato nel 2012 "Alpi: tetto d'Europa al sicuro" «La riduzione dei ghiacciai è uno degli effetti più evidenti del riscaldamento globale, che sulle Alpi ha raggiunto un aumento della temperatura media di +1,5 °C nell'ultimo secolo... Le conseguenze come l'alterazione dei regimi idrologici, il rischio di dissesto, la minore disponibilità d'acqua … per uso potabile, agricolo e idroelettrico, una minore attrazione turistica».

Il dossier WWF ricorda come «Dal 1850 la superficie glacializzata delle Alpi si è ridotta del 54% (passando da 4’474 km2 a 2’050 km2 nel 2003) e secondo il glaciologo svizzero Matthias Huss entro il 2100 sulle Alpi potrebbe rimanere appena dal 4 al 18% dell'area glaciale presente nel 2003, mentre i ghiacciai italiani (che hanno superfici in gran parte inferiori a 1 km2, spessore medio di soli 20-30 m) potrebbero essere soggetti a una sostanziale scomparsa, specialmente sotto i 3’500 m”. Dal 2003 si è avuta ovunque una forte accelerazione dei regressi, che nel 2007 riguardavano il 99% delle unità osservate, e molti piccoli ghiacciai posti a quota più bassa e su versanti molto soleggiati si sono già estinti, soprattutto sulle Alpi Marittime, sul Monviso o sulle Dolomiti.

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In molti casi l'entità dei ritiri è impressionante: -170 m al ghiacciaio del Sissone (Alpi Retiche) nell'estate 2009; -105 m al ghiacciaio Goletta (Valle d'Aosta) nel 2011. Nel 2012 a fine stagione i ghiacciai erano ovunque privi di neve fino a oltre 3500 m. La più lunga "ritirata" d'Italia spetta al ghiacciaio del Lys (Monte Rosa), dal 1812: il regresso ha raggiunto oggi 1,7 km. Mentre al Caresèr (sul Cevedale), in 44 anni si è persa una quantità di ghiaccio equivalente a uno spessore d'acqua di 43,8 metri.

Il Wwf sottolinea che le Alpi sono uno dei sistemi naturali più importanti per la biodiversità europea, ma sono anche la catena montuosa più popolata e più sfruttata al mondo: 1’200 km da Nizza a Vienna in una corona di cime e vallate, per 191’000 km2 attraverso 8 Paesi, da cui nascono grandi fiumi europei come il Po, il Reno, il Rodano, il Danubio, straordinari ponti d'acqua tra i ghiacciai e gli oceani. Le Alpi ospitano oltre 14 milioni di persone, 120 milioni di turisti, 30’000 specie animali, tra cui l'orso bruno, il lupo, lo stambecco, 13’000 specie vegetali. Il Direttore Generale del WWF Italia Adriano Paolella (www.wwf.it/alpi) ha detto che «Le Alpi sono uno dei luoghi più selvaggi d'Europa, un ambiente straordinario in cui ricchezza naturale e tradizioni umane sono legati da sentieri millenari, e un vero e proprio serbatoio d'acqua a beneficio dell'Europa intera che fornisce risorse e servizi fondamentali, come la protezione dal rischio idrogeologico, la regolazione del clima, lo stoccaggio di acqua e carbonio, oltre a un patrimonio culturale fatto di tradizioni, turismo e incredibile bellezza. In questi ecosistemi delicatissimi gli impatti del cambiamento climatico e delle attività umane si fanno sentire a intensità e velocità tali rendere le Alpi un "sistema d'allarme" in grado di segnalare l'insostenibilità dell'attuale sviluppo europeo». (6)

Il 10.12.2013, in occasione della giornata delle Nazioni Unite dedicata alla montagna, sono stati presentati i risultati del progetto “Share Stelvio” (programma internazionale di monitoraggio ambientale in alta quota), che riguarda le Alpi italiane e i ghiacciai. Dal 1954 al 2007 è stata registrata una riduzione areale del 40% dei ghiacciai, scomparsi circa 20 km2 di ghiaccio. Durante gli ultimi anni è avvenuta un’accelerazione impressionante della deglaciazione di 3 volte: dal 1954 al 1981 - 0,24 km2/anno; dal 2003 al 2007 - 0,7 km2/anno. Entro il 2100, il più grande ghiacciaio delle Alpi italiane, il ghiacciaio dei Forni, potrebbe essere ridotto, secondo le proiezioni ottenute dai ricercatori, al solo 5% del suo attuale volume. 36 laghi alpini situati in gran parte sotto i 2500 metri di quota sono scomparsi, ma 22 nuovi sono apparsi sopra i 2900 metri. Questo è l’impatto dell’aumento delle temperature causato dal global warming su tutto l’ecosistema montano. Guglielmina Diolaiuti, ricercatrice dell’Università degli Studi di Milano, di EvK2CNR e responsabile scientifica del progetto ha detto: “ Le Alpi possono venire considerate delle “torri d’acqua” che svolgono un ruolo cruciale per l’accumulo e il rilascio di questa preziosa risorsa… I dati di riduzione glaciale ottenuti nell’ambito

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di “Share Stelvio” indicano chiaramente che le “torri d’acqua” stanno modificandosi sempre più rapidamente». (7)

In Piemonte negli ultimi 50 anni si sono dissolti 20 ghiacciai su 118 e la superficie totale si è più che dimezzata, passando da 56,4 km2 a 28. Sul Monviso c'erano 11 ghiacciai, ne sono rimasti 7, di piccolissime dimensioni. Sul Monterosa il Belvedere era fatto di 3 ghiacciai, oggi ne è rimasto 1. (8)

Mettendo insieme i 903 ghiacciai sparsi nelle 6 regioni italiane si otterrebbe una superficie complessiva di 369 km², pari a quella del lago più grande d’Italia: il Lago di Garda. Uno spazio notevole, cambiato in modo rilevante negli ultimi 40 anni. I glaciologi dell’Università degli Studi di Milano hanno presentato a maggio del 2015 il Catasto dei ghiacciai italiani, in occasione del 19th Alpine Glaciology Meeting, il più importante convegno europeo dedicato alla glaciologia. Paragonando all’ultimo Catasto stilato nel 1962, si evince che il numero di ghiacciai è aumentato, da 835 a 903. L’incremento numerico, spiegano dall’ Alpine Glaciology Meeting, è causato da un’intensa frammentazione delle unità glaciali preesistenti. Oggi i ghiacciai italiani sono numerosi e di piccole dimensioni, ad eccezione di 3 ghiacciai che presentano un’area superiore ai 10 km²: - i Forni in Lombardia (Parco Nazionale dello Stelvio); - il Miage in Valle d’Aosta (Gruppo del Monte Bianco); - il complesso Adamello-Mandrone in Lombardia e Trentino (Parco

dell’Adamello), il ghiacciaio più grande d’Italia. Nel complesso la superficie glaciale totale è in realtà enormemente diminuita per il 30%, con 157 km2 in meno, perdendo un’area confrontabile con quella del Lago di Como: la superficie dei ghiacciai italiani è passata da 527 km² agli attuali 370 km², con una media di circa 3 km² persi ogni anno. (9)

Italia e Svizzera Dinamica di scioglimento del ghiaccio sul monte Cervino nelle Alpi, al confine tra Italia e Svizzera. dal 1960 al 2005:

Fig.55. Il monte Cervino, Alpi, 16.08.1960. Il monte Cervino, Alpi, 18.08.2005. (10) Pakistan Tuttavia, i ghiacciai in Karakorum in Pakistan, ai piedi di K2 (8 611 m), mostrano condizioni stabili. Il bacino del fiume Shigar, affluente del fiume Indo, ricoperto per 1/3 di ghiaccio, con maestosi ghiacciai Baltoro, Biafo-Ispar e

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Liligo, è stato oggetto di intensi studi a partire dal 2011, che hanno premesso di ipotizzare come le coperture glaciali di quest’area potranno mantenere la stabilità fino al 2050, grazie alla particolare situazione climatica locale. (11)

Ecuador In cima al vulcano Cotopaxi in Ecuador, a 5’897 metri di altezza, uno dei più alti vulcani attivi sulla Terra, si trova il ghiacciaio Cotopaxi. Il ghiacciaio ha una notevole importanza economica, sociale e ambientale, fornendo acqua fresca e energia idroelettrica nella capitale dell'Ecuador Quito. Ma il ghiacciaio si sta sciogliendo e il tasso è aumentato negli ultimi anni. La massa di ghiaccio è diminuita del 30 % tra il 1956 e il 1976 ed altri 38,5 % tra il 1976 e il 2006, un fenomeno strettamente legato al cambiamento climatico globale. Confrontando le immagini del 1986 e il 2007 si rivela una notevole riduzione del ghiacciaio in cima del vulcano.

Fig.56. Il ghiacciaio Cotopaxi, Equador, 1986. Il ghiacciaio Cotopaxi, Equador, 2007. (10)

Cile e Argentina In forte riduzione anche i ghiacciai delle Ande Centrali. Gli studi dimostrano come la regione di Santiago del Cile nelle Ande dipende dai deflussi del Rio Maipo a forte contributo nivo-glaciale, vedrà i suoi ghiacciai a rischio di restringimento fino al -63 % di superficie glaciale entro 2100.

Quasi tutti i ghiacciai della Patagonia meridionale, nel sud del Cile e Argentina, si stanno sciogliendo. O'Higgins Glacier in Cile, che costituisce 1/4 dei ghiacciai mondiali, è uno di quelli modificati di più. Il suo bordo superiore è rimasto stabile fino all'inizio del XX secolo, quando iniziò un ritiro di 15 km nel 1995. Mentre alcune delle riduzioni di spessore del ghiacciaio sono dovute alla dinamica del ghiaccio stesso, il riscaldamento globale accelera il tasso di scioglimento. Nell'immagine satellitare del 2002, ritirata del ghiacciaio è ben visibile rispetto all'immagine del 1986, quando si estendeva per diversi chilometri nel lago O'Higgins.

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Fig.57. Il ghiacciaio O'Higgins, Cile, 17.09.1986. Il ghiacciaio O'Higgins, Cile, 05.08.2002. (10)

Secondo gli studi del Centro de estudios cientificos (Cecs) del Cile, molti dei ghiacciai del Paese si stanno riducendo a causa del riscaldamento globale. Il ghiacciaio Jorge Montt che si trova nel Parque Nacional Bernardo O'Higgins in Cile è uno dei simboli più evidenti del global warming. Secondo uno studio del glaciologo del Cecs Andrés Rivera, tra il febbraio 2010 e il gennaio 2011 il ghiacciaio Jorge Montt si era ritirato di 1 chilometro.

Uno studio della Nasa del 2000 rivela che «In base ai dati topografici degli anni ‘70 e ‘90 confrontati con i dati della missione Nasa Shuttle Radar Topography del febbraio 2000 …dei 63 più grandi ghiacciai della regione, i ricercatori hanno concluso che il tasso di assottigliamento dei ghiacci della Patagonia è più che raddoppiato nel periodo dal 1995 al 2000, rispetto al periodo dal 1975 al 2000». (12)

Africa Si stanno sciogliendo i ghiacciai sui picchi Speke, Stanley e Baker sui monti Rwenzori tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Essi si sono ridotti del 50 % tra il 1987 e il 2003, a causa dell’aumento della temperatura dell'aria e del diminuito accumulo di neve. Un secolo fa i ghiacciai coprivano quasi 6,5 km2. Al loro ritmo attuale di recessione, i ricercatori stimano che i ghiacciai spariranno nei prossimi 20 anni.

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Fig.58. I ghiacciai sui monti Rwenzori, Congo, 1987. I ghiacciai sui monti Rwenzori, Congo, 2005.(10)

Il monte Kilimanjaro (5’895 m) è la montagna più alta dell’Africa ed è composta da tre coni vulcanici. Le immagini mostrano il drammatico declino della calotta glaciale del Kilimanjaro negli ultimi decenni.

Fig. 59. Il monte Kilimanjaro, Tanzania, 17.02.1993. Il monte Kilimanjaro, Tanzania, 21.02.2000. (10)

Groenlandia Il ghiacciaio Helheim in Groenlandia Lungo il margine della calotta della Groenlandia i ghiacciai scorrono come fiumi ghiacciati attraverso fiordi e sul mare. Queste immagini mostrano un fiordo in cui il ghiacciaio Helheim si sta sgretolando in grandi e piccoli iceberg (azzurro, a destra). Il ghiacciaio è rimasto stabile dal 1970 fino a circa 2001, poi ha cominciato a ritirarsi verso la sua fonte di circa 7,5 km tra il 2001 e il 2005.

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Fig.60.Il ghiacciaio Helheim, Groenlandia, foto del 12.05.2001, 07.07.2003, 04.09.2005.(10)

America Il ghiacciaio Arapaho in Colorado si è ridotto drasticamente da quando è stato fotografato nel 1898. I dati raccolti dal 1960 suggeriscono che il ghiacciaio si è assottigliato di almeno 40 metri.

Fig.61. Il ghiacciaio Arapaho, Colorado, 1898. Il ghiacciaio Arapaho, Colorado, 2003. (10)

Il ghiacciaio Lyell nel Parco Nazionale di Yosemite

Il ghiacciaio Lyell, più grande dei 2 ghiacciai in Yosemite National Park e il secondo più grande nelle montagne della Sierra Nevada, si è assottigliato notevolmente anche solo negli ultimi anni.

Fig.62. Il ghiacciaio Lyell, 10.09. 2009 Il ghiacciaio Lyell, 16.09. 2014 (10)

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Peru In Perù si concentrano più del 70% dei ghiacciai andini. Secondo quanto ha dichiarato un gruppo di esperti a Radio Programa del Perù (Rpp), i ghiacciai peruviani negli ultimi 30 anni si sono ridotti del 30% a causa del global warming. Per Carlos Amat y León, ex Ministro dell'Agricoltura del Perù e Professore di Economia dell'Università del Pacífico, «Il punto centrale è il cambiamento climatico. E' evidente che in Perú negli ultimi 30 anni si sono ridotti del 30% i ghiacciai. Questa non è una fantasia. Il regime idrico sta cambiando. La diminuzione delle calotte glaciali ha avuto come conseguenza una minore ritenzione di acqua da parte dei ghiacciai e, quindi, una minore quantità di acqua disponibile per la popolazione». Secondo la Ong Glaciares Perú, se non si attueranno soluzioni drastiche entro il 2015 tutti i ghiacciai al di sotto dei 5’500 metri di quota spariranno. (13)

Dinamica di scioglimento del ghiacciaio Qori Kalis in Peru dal 1978 al 2004:

Fig.63. Il ghiacciaio Qori Kalis, Peru, 1978. Il ghiacciaio Qori Kalis, Peru, luglio 2004. (10)

Himalaya Nella regione dell’Everest nepalese i ghiacciai sono in forte ritiro. Il ghiacciaio del Khumbu ai piedi dell’Everest sia in forte recessione e rischia di scomparire verso metà del secolo, e, in risposta a tale contrazione glaciale, i deflussi fluviali del fiume Dudh Kosi diminuirebbe drasticamente. Quindi, l’Himalaya del sud sembra destinata a soffrire in maniera rilevante gli effetti dei cambiamenti climatici.

Il ghiacciaio Ama Dablam in Himalaya. A sinistra: circa autunno 1956. A destra: 1 novembre 2007. La cima principale Ama Dablam è di circa 7’000 metri di altezza e si trova quasi a sud del Monte Everest e Lhotse nella regione del Khumbu. Ama Dablam significa “Madre e la sua collana”: le lunghe creste su ogni lato assomigliano alle braccia di una madre che protegge il suo bambino, mentre il ghiacciaio appeso assomiglia al tradizionale doppio ciondolo indossato dalle donne Sherpa che detiene le immagini degli dei. Ama Dablam è una delle montagne più belle lungo il percorso di trekking al campo base dell'Everest.

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Fig.64. Il ghiacciaio Ama Dablam, Himalaya, autunno 1956. Il ghiacciaio Ama Dablam, Himalaya, 01.11.2007. (10)

Il ghiacciaio Imja in Himalaya. Nelle due immagini del 1956 e del 2007 si vede il ghiacciaio prima, il suo pronunciato ritiro e il collasso della lingua inferiore dopo e la formazione di nuovi bacini di fusione. A causa dello scioglimento del ghiaccio si è formato il lago che si ritiene uno dei più pericolosi in Himalaya perché esiste il rischio di frana. Il lago si trova sull’altitudine 5'004 m e ha la superficie 1,03 km2.

Fig.65. Il ghiacciaio Imja, Himalaya, autunno 1956. Il ghiacciaio Imja, Himalaya,18.10.2007.(10)

Fig.66. Il ghiacciaio Imja, Himalaya, autunno 1956. Il ghiacciaio Imja, Himalaya,18.10.2007.(10)

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Il ritiro del ghiacciaio Pokhalde in Himalaya:

Fig.67. Il ghiacciaio Pokhalde, Himalayas, autunno 1956. Il ghiacciaio Pokhalde, Himalayas, 24.10.2007. (10)

Alaska Il ghiacciaio Toboggan, Alaska:

Fig.68 Il ghiacciaio Toboggan, Alaska, 29.09.1909.Il ghiacciaio Toboggan, Alaska, 04.09.2000. (10)

Il ghiaccio Nord-occidentale in Alaska:

Fig. 69. (10)

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Il ghiacciaio Bear in Alaska. Nel 1809 il ghiacciaio era di 26 km di lunghezza, da allora si è progressivamente sciolto e ha formato gli iceberg. Ci sono voluti circa 140 anni per il ghiacciaio per ritirarsi di 400 metri, ma di recente il ritiro ha accelerato notevolmente. Ci sono voluti solo circa 45 anni (dal 1950 al metà degli anni 1990) per il ghiacciaio per ritirarsi di altri 1,5 km. Entro il 2010, circa 15 anni più tardi, per altri 3 km.

Fig.70. Il ghiacciaio Bear, Alaska, 16.05.1989. Il ghiacciaio Bear, Alaska, 26.05.2010 (10)

Il ghiacciaio Muir in Alaska dal 1891 al 2005:

Fig.71. Il ghiacciaio Muir, Alaska,1891. Il ghiacciaio Muir, Alaska,2005. (10)

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Il ghiacciaio Okpilak, Alaska:

Fig.72. Il ghiacciaio Okpilak, Alaska, giugno 1907. Il ghiacciaio Okpilak, Alaska, agosto 2004. (10)

Il ghiacciaio McCall Glacier in Alaska dal 1958 al 2003:

Fig.73. Il ghiacciaio McCall Glacier in Alaska, 1958, 2003. (10)

Il ghiacciaio Carrol, Alaska, dal 1906 al 2003:

Fig.74. Il ghiacciaio Carrol, Alaska, agosto 1906. Il ghiacciaio Carrol, Alaska, 07.09.2003. (10)

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Il ghiacciaio Columbia in Alaska scende attraverso le montagne Chugach nello Stretto di Prince William. Quando gli esploratori britannici hanno scoperto il ghiacciaio nel 1794, il suo naso era esteso vicino alla foce della Columbia Bay. Il ghiacciaio ha tenuto questa posizione fino al 1980, quando ha cominciato una rapida ritirata. Il ghiacciaio è assottigliato così tanto che ha perso il contatto con l'oceano.

Fig.75. Il ghiacciaio Columbia in Alaska prima e dopo. (10)

Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della British Columbia in Canada, «Il 70% dei ghiacciai nella British Columbia e nell’Alberta potrebbe scomparire entro la fine del XXI secolo, creando gravi problemi per gli ecosistemi locali, per il rifornimento di energia e la qualità delle acque». I ricercatori hanno utilizzato dati, computer models e simulazioni climatiche per oltre 17’000 ghiacciai in British Columbia ed Alberta che svolgono un ruolo importante nella produzione di energia idroelettrica. Secondo lo studio, i ghiacciai stanno perdendo il volume, la maggior parte dei ghiacciai hanno uno spessore di soli 100 di m. (14)

Islanda

La calotta di ghiaccio in Islanda

Più della metà dei numerosi ghiacciai islandesi si trovano vicino o direttamente su vulcani. La 4ta calotta glaciale dell'Islanda, Mýrdalsjökull copre il vulcano Katla. La maggior parte dei ghiacciai monitorati si stanno restringendo dal 1990, tra cui Sólheimajökull (in basso a sinistra), che si ritira fino a 50 metri all'anno. Un parcheggio nelle vicinanze di questo ghiacciaio si sposta quasi ogni anno per accogliere i turisti.

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Fig.76. La calotta di ghiaccio in Islanda, 16.09.1986. 20.09.2014 (10)

Antartide Filchner Ice Shelf, Antartide Il Filchner Ice Shelf, sulla costa antartica di fronte all'Oceano Atlantico, è la più grande piattaforma di ghiaccio sulla Terra. In inverno del 1986 il suo bordo anteriore si interruppe, formando 3 grandi iceberg.

Fig.77. Filchner Ice Shelf, Antartide, 11.11.1973. Filchner Ice Shelf, Antartide, 10.11.1986.(10)

Indonesia Il ghiacciao Puncak Jaya, Indonesia, provincia Irian Jaya: 1936 – 1972 – 2005:

Fig.78. Il ghiacciao Puncak Jaya, Indonesia, provincia Irian Jaya: 1936 – 1972 - 2005. (10)

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Nel 2015 The Journal of Glaciology ha pubblicato lo studio “Historically unprecedented global glacier decline in the early 21st century” da un team internazionale di ricercatori di 30 Paesi che conferma che dall’inizio degli anni 2000 lo scioglimento dei ghiacciai ha raggiunto un livello storico. Gli scienziati del World Glacier Monitoring Service, ospitato dal Geographisches Institut dell’Università di Zurigo, tra il 2001 e il 2010 hanno messo insieme dati raccolti sul campo in centinaia di ghiacciai in tutto il mondo, confrontati con i dati satellitari, foto e relazioni scritte di tempi precedenti.

Michael Zemp, direttore del World Glacier Monitoring Service e principale autore dello studio, ha detto che «Attualmente, i ghiacciai osservati perdono tra mezzo metro e un metro di spessore di ghiaccio ogni anno, questo è da 2 a 3 volte superiore rispetto alla corrispondente media del XX° secolo. Le dimensioni esatte di questa perdita di ghiaccio sono segnalate solo da poche centinaia di ghiacciai. Tuttavia, questi risultati sono qualitativamente confermati da osservazioni sul campo e satellitari per decine di migliaia di ghiacciai in tutto il mondo».

Secondo il World Glacier Monitoring Service, lo studio dimostra che il ritiro a lungo termine delle lingue di ghiaccio è un fenomeno globale. Ad esempio, in Norvegia le lingue di ghiaccio si sono ritirate di alcuni chilometri rispetto alla loro estensione massima del XIX secolo. Lo studio indica che la perdita di ghiaccio degli ultimi 20 anni ha portato ad un forte squilibrio dei ghiacciai in molte regioni del mondo, innescando una modifica della dinamica delle calotte. Zemp dice che «Questi ghiacciai subiranno un’ulteriore perdita di ghiaccio, anche se il clima rimanesse stabile», per molti ghiacciai la fine sarà inesorabile. Zemp conclude: «I risultati preliminari registrati per gli anni più recenti (dal 2011 al 2014) mostrano che lo scioglimento dei ghiacciai prosegue ad un livello molto elevato. Il record dello scioglimento del ghiaccio del XX secolo osservato nel 1998 è stato superato nel 2003, 2006, 2011, 2013 e probabilmente di nuovo nel 2014». (15)

I ricercatori hanno scoperto che i dati sui modelli meteorologici ad alta quota sono «estremamente scarsi», ci sono pochissime stazioni meteorologiche sopra i 4’500 metri e i dati a lungo termine, essenziali per i modelli di rilevazione, non esistono ancora sopra i 5’000 metri in tutto il mondo.

La prova più evidente che le regioni di montagna si stanno riscaldando più rapidamente rispetto alle regioni circostanti viene dal Tibet, dove negli ultimi 50 anni le temperature sono aumentate costantemente e il livello di cambiamento sta accelerando. I ricercatori sono convinti che in futuro si debba migliorare la conoscenza dei meccanismi delle temperatura di montagna attraverso telerilevamento satellitare e simulazioni. (17)

Già alcuni tra i più grandi alpinisti del mondo avevano lanciato l'allarme sul fatto che il cambiamento climatico sta modificando il volto dell''Himalaya, devastando le comunità agricole e rendendo sempre più pericolosa la scalata dell'Everest e degli altri "8’000" himalayani.

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Ora anche Apa Sherpa, l'alpinista nepalese che ha il record mondiale di ascensioni all'Everest, 21 volte, si dice molto preoccupato per la mancanza di neve sulla montagna più alta del pianeta, causata dall'aumento delle temperature: «Nel 1989 quando ho scalato l'Everest c'era un sacco di neve e ghiaccio, ma ora la maggior parte è diventata solo nuda roccia. Il che, di conseguenza, sta causando altere frane, che sono un pericolo per gli alpinisti. Inoltre, le scalate stanno diventando sempre più difficili perché quando si è su una montagna si devono indossare i ramponi, ma è molto pericoloso e molto scivoloso camminare sulla nuda roccia con i ramponi». Apa Sherpa non esclude che l' Everest possa diventare impraticabile nei prossimi anni.

Apa Sherpa ha 51 anni ed è soprannominato "Super Sherpa", era un povero contadino nepalese che perse tutte le sue proprietà nel 1985 quando tracimò un lago glaciale che spazzò via il suo villaggio, come tanti sherpa ha cominciato a lavorare nell'industria del turismo alpinistico, fino a diventare un recordman ed i un simbolo per il suo popolo.

Una ricerca pubblicata dal Centre for integrated mountain development (Icimod) di Kathmandu ha dimostrato che negli ultimi 30 anni la superficie dei ghiacciai del Nepal si è ridotta del 21%. Un altro progetto di ricerca triennale dell'Icimod che ha riguardato 10 ghiacciai, ha rivelato che stanno tutti retrocedendo e diminuendo di spessore, con una forte accelerazione della perdita di ghiaccio tra il 2002 e il 2005.

Gli scienziati internazionali e nepalesi dicono che gli effetti del cambiamento climatico potrebbero essere devastanti per gran parte dell'Asia e per gli equilibri economici e politici del mondo, dato che l'Himalaya forniscono cibo ed energia a 1,3 miliardi di persone che vivono nei bacini fluviali a valle, in nazioni come Cina ed India e nel sud-est asiatico.

Secondo l’Istituto di Ricerca sull’altipiano tibetano dell’Accademia delle Scienze della Cina, i ghiacciai dell’altipiano Qinghai-Tibet, dal quale nascono i più grandi fiumi della Cina, sono passati da 53’000 a 45’000 km2 nel corso degli ultimi 30 anni, perdendo il 15%.

Kang Shichang, che dirige un laboratorio nazionale dell’Istituto di Ricerche Ambientali e di Ingegneria sulle regioni fredde e secche dell’ dell’Accademia delle Scienze, ha spiegato all’agenzia Xinhua che «ad l’altitudine superiore ai 6’300 m sul monte Qomolangma (come chiamano i cinesi l’Everest), sono apparsi dei crepacci numerosi, segno dello scioglimento rapido dei ghiacciai».

In Cina ci sono più di 46’000 ghiacciai e la maggior parte si estendono sull’altopiano del Qinghai-Tibet. Secondo Kang, «lo scioglimento dei ghiacciai ha avuto un impatto sui corsi d’acqua ed ha provocato maggiori esondazioni dei laghi glaciali. A breve termine il flusso dei grandi fiumi aumenterà, ma a lungo termine il proseguimento dello scioglimento dei ghiacciai provocherà un impoverimento dei ghiacciai e ridurrà anche il ruscellamento». Il Consiglio degli Affari di Stato della Cina assicura che prima del 2020 saranno avviati 172 progetti di conservazione dell’acqua. (18)

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Secondo il Servizio per il Monitoraggio dei Ghiacciai nel Mondo (World Glacier Monitoring Service, edizione 2000-2005) nel corso dei 5 anni (2000-2005) si stavano ritirando 115 su 115 ghiacciai in Svizzera, retrocedevano 115 su 115 ghiacciai esaminati in Austria. 7 i ghiacciai osservati in Francia stavano retrocedendo. Nei Pirenei spagnoli complessivamente il 50-60% della superficie ghiacciata è andata persa dal 1991.

La Siberia e l'Estremo Oriente Russo hanno i ghiacciai solo nelle alte catene montuose dell'Altai, del Verkhoyansk, del Čerskij e della Kamchatka. Si osserva una generale recessione di tutti i ghiacciai della catena montuosa dell'Altai e della Kamchatka. I ghiacciai della Repubblica di Sakha, per un totale di 70 km2, si sono ridotti di circa il 28% dal 1945. Nel Corridoio del Vacan, in Afghanistan, 28 ghiacciai esaminati su 30 si sono ritirati in modo significativo durante il periodo 1976-2003, con la media di 11 m/anno. L'esame di 612 ghiacciai in Cina, tra il 1950 e il 1970, verificava che il 53% stavano recedendo.

I ghiacciai della regione del Monte Everest dell'Himalaya sono tutti in uno stato di recessione. Il ghiacciaio Rongbuk, che defluisce dal versante nord del monte Everest verso il Tibet, si è andato ritirando di 20 m/anno. Nella regione di Khumbu, nel Nepal, di 15 ghiacciai esaminati dal 1976 al 2007 tutti si stavano ritirando in modo significativo, con la media di 28 m/anno. Wikipedia fornisce una bibliografia abbastanza estesa sulla situazione dei ghiacciai sul Pianeta. (19)

Ambientalisti e ricercatori ormai definiscono la catena montuosa che ospita le più alte vette del Pianeta "Terzo Polo" e sono convinti che i ghiacciai sono i maggiori contributori al potenziale aumento del livello degli oceani, dopo le calotte polari dell'Artico e dell'Antartide. (20) 4.2.2. La perdita di diversità biologica

Lo scioglimento dei ghiacci causa una vasta perdita di biodiversità. Solo nell’Artico sono stati individuati oltre a 67 mammiferi terrestri e 35 marini, determinati 21'000 specie di animali, di piante e funghi, spesso endemici. Per l’Orso polare il ghiaccio artico estivo è determinante per garantire la sopravvivenza, è il loro terreno di caccia per accumulare il grasso, necessario a sopravvivere all’inverno. Meno ghiaccio significa per l’orso polare penuria del cibo, connessa direttamente con il tasso di sopravvivenza, capacità di riprodursi.

Il ghiaccio della banchisa estiva è quello maggiormente colpito dal riscaldamento del pianeta. Secondo gli scienziati, esiste solo una zona, che si chiama “the last Ice area”, a cavallo tra Canada e Groenlandia, dove lo spessore del ghiaccio consentirà nei prossimi decenni di mantenere l’habitat per l’orso.

Secondo una ricerca pubblicata nel 2012 su PlosOne, "The Effects of Climate Change on Harp Seals (Pagophilus groenlandicus)", nella quale un team di

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ricercatori del Marine Laboratory, Division of Marine Science and Conservation, Nicholas School of the Environment della Duke University della North Carolina (Usa) e dell'International Fund for Animal Welfare (Ifaw) dell'Ontario (Canada) hanno studiato come la foca della Groenlandia reagisce ai cambiamenti climatici in corso nell'Artico. Secondo il dipartimento canadese della pesca e degli oceani, l'80% dei cuccioli nati nel 2011 sarebbe morto a causa della mancanza di ghiaccio. Nel 2007 nel Golfo di San Lorenzo la mortalità dei cuccioli ha raggiunto il 100%. Secondo le stime del governo canadese, nel 2011 sarebbero nati solo 600’000 cuccioli, se ne sono sopravvissuti solo il 20%, ne resterebbero solo 120’000, 40’000 dei quali sono stati uccisi dai cacciatori per farne pellicce. Sarebbero quindi solo 80'000. La caccia alle foche in Groenlandia elimina 83’000 all'anno. I ricercatori sottolineano che le foche della Groenlandia (Pagophilus groenlandicus) hanno evoluto strategie per sfruttare il ghiaccio stagionale marino come base per allevare i loro cuccioli. Le foche della Groenlandia hanno bisogno di ghiaccio stabile per partorire e allattare i loro cuccioli fino a quando non possono nuotare e cacciare da soli e sempre più femmine, tra febbraio e marzo, si spingono a nord nelle regioni sub-artiche cercando di adattarsi ad una primavera che fonde il ghiaccio, utilizzando per partorire i figli e svezzarli un periodo insolitamente breve: 12 giorni. Recenti rapporti indicano che alcune foche partoriscono in zone di riproduzione nuove, ma migliaia di foche tornano ancora ogni anno nelle aree di allevamento tradizionali nel Golfo di San Lorenzo, a prescindere condizioni del ghiaccio marino, che diventa sempre più sottile. (16)

Anche la vita della Balena artica, lunga fino a 20 m, dipende dai ghiacci artici. Ancora oggi si sa poco sulla biologia e sugli spostamenti di questi enormi mammiferi marini. Nelle acque dell’artico abitano piccoli cetacei, i Narvali, grandi notatori che possono immergersi fino a 2 km di profondità. Anche loro biologia è poco studiata e gli studiosi della WWF ultimamente stanno usando il monitoraggio satellitare a tecnica GPS sia per narvali che per le balene.

Il Beluga, altro piccolo cetaceo, è caratteristico per le acque dell’Artico. Ultimamente è stato scoperto che il loro grasso contiene alte concentrazioni di idrocarburi, DDT ed altre sostanze che causano alta mortalità di beluga.

L’Artico è stato colpito da riscaldamento molto di più rispetto altre parti del mondo: la fusione dei ghiacci, lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi, il prelievo intensificato dei pesci (il 70 % del pesce bianco viene prelevato dall’Oceano Artico) stanno mettendo a rischio equilibrio ecologico dell’artico.

Il WWF da anni combatte per la difesa dell’Artico. Solo ultimamente sono state create decine di aree protette, di cui in Russia – 30, lungo il circolo polare artico.

L’Oceano Antartico comprende il 10 % delle acque marine del pianeta, ospita il 50 % della biomassa marina, tra cui 6 specie di foche e 15 specie di balene. È un oceano più produttivo e ricco di biodiversità, a causa di alta concentrazione di nutrienti, trasportati dalle correnti marine dalle acque più profonde (upwelling).

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L’Antartide è la casa delle grandi balene, dei pinguini, degli albatri. L’organismo internazionale a cui è affidata la gestione delle risorse naturali dell’Antartide è il CCAMLR (Convention for the Conservation of Antartic Marine Living Resources, www.ccamlr.org), rappresentato da 24 paesi.

Per WWF è cruciale la protezione dei 2 luoghi più integri dell’Antartide: il Mare di Ross e l’Oceano Antartico Orientale; Il Mare di Ross è fondamentale per la vita dei pinguini di Adelia.

L’Oceano Antartico Orientale è il cuore della biodiversità. Il WWF ritiene che il cambiamento climatico potrebbe portare in corso di solo 3 generazioni ad un declino dei pinguini di Adelia del 30 %. Il progetto WWF utilizza piccole telecamere che vengono messe sul corpo dei pinguini permettendo cosi monitorare la loro vita quotidiana. Cosi il WWF drammaticamente scoperto che il 2014 è stato catastrofico per la riproduzione dei pinguini di Adelia nella colonia presente a Dumont d’Urville Station: nessuno dei pulcini delle 30'000 coppie è sopravvissuto. L’Antartide ha il clima secco e freddo, ma l’aumento delle temperature del pianeta sta aumentando le intense piogge, la peluria dei pulcini si bagna, esponendoli al freddo e ipotermia causa la loro morte.

Fra le specie minacciate dell’Antartide c’è anche la Balenottera azzurra, il più grande organismo animale vivente sulla terra e condotta quasi alla soglia dell’estinzione da una folle politica baleniera perpetuata da molti stati. Oggi si stima che sono rimasti solo il 10 % della popolazione di Balenottere azzurre che all’inizio secolo scorso abitava gli oceani del pianeta. Oggi la Balenottera azzurra è la specie protetta, ma estremamente rara e in pericolo.Un esemplare può arrivare a pesare 200 t e raggiungere lunghezza 33 m.

Solo il cuore di una Balenottera azzurra è grande come una macchina di media cilindrata. La dieta giornaliera di questo cetaceo consiste in circa 3'600 kg di krill. I cuccioli appena nati hanno il tasso di crescita più alto registrato tra gli animali del pianeta: 90 kg al giorno.

La vita di tanti animali in Antartide dipende dal Krill, Euphasia superba, piccolo gamberetto planctonico di circa 6 cm e i 2 g di peso. I banchi del krill possono raggiungere densità di 10'000 – 30'000 esemplari/m3. Secondo gli scienziati, la biomassa di krill antartico si aggira intorno alle 380 milioni di t, maggiore della biomassa di tutta l’umanità.

Krill è il principale nutrimento per albatri, foche, balene, pinguini, pesci. Il krill dipende strettamente dall’ecologia degli oceani, dalla loro temperatura ed altri parametri. L’aumento della temperatura del Pianeta e l’acidificazione degli oceani ha fatto già registrare impatto sulla popolazione del krill, con evidenti conseguenze su tutte le catene alimentari.

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Gli Albatri sono gli uccelli più spettacolari del Pianeta. La loro apertura alare può arrivare a 3,5 m. Un albatro vive circa 60 anni e la maggior parte della sua vita trascorre in pieno oceano. Alcune specie di Albatri possono circumnavigare il globo. Questi uccelli sono studiati pochissimo e sono a rischio di estinzione sul Pianeta.

Alcune popolazioni di diverse specie hanno avuto già un declino di 50 %. Delle 22 specie esistenti degli Albatri (secondo alcuni studiosi esistono 14 specie, secondo altri – 24) una buona parte vive nell’Oceano Antartico. Per trovare il cibo (calamari, pesci, crostacei ecc) gli Albatri possono percorrere migliaia di km.

Una base sostanziale per la conservazione della biodiversità in Antartide costituiscono la Convenzione per la Conservazione dell’Antartico e degli Organismi Marini (CCAMLR) e il Trattato del Sistema Antartico. Il Trattato del Sistema Antartico a sua volta è costituito da una serie dei Trattati: il Trattato di Washington del 1959; il protocollo di Madrid del 1991 sulla protezione ambientale; la Convenzione di Londra del 1972 sulla protezione delle foche antartiche; la Convenzione di Canberra del 1980 per la conservazione delle risorse marine; la Convenzione di Wellington del 1988 per la gestione delle attività minerarie. (13)

Il riscaldamento globale influisce non solo sui poli del Pianeta, ma anche sulle regioni di alta quota e si prevede che la montagna si scalda più velocemente, mettendo in pericolo la diversità degli animali e delle piante in queste zone.

Secondo il Mountain Research Initiative Working Group, un team di ricerca che comprende scienziati di Italia, Austria, Canada, Cina, Ecuador, Gran Bretagna, Kazakistan, Pakistan, Svizzera e Usa, «Gli ambienti di alta quota in tutto il mondo si riscaldano molto più velocemente di quanto si pensasse».

In uno studio pubblicato su Nature Climate Change i ricercatori sottolineano che «Il riscaldamento dipendente dall’altitudine è un fenomeno poco osservato che richiede urgente attenzione per garantire che potenzialmente importanti cambiamenti negli ambienti di alta montagna siano adeguatamente monitorati da una rete di osservazione globale».

Gli ambienti di alta montagna sono la principale fonte di acqua dolce per un gran numero di persone che vivono ad altitudini più basse, quindi le conseguenze sociali ed economiche di un riscaldamento più forte nelle regioni montane potrebbero essere di grandi dimensioni. Le montagne forniscono l’habitat per molte specie rare e minacciate al mondo. Il principale autore dello studio, Nick Pepin dell’Università di Portsmouth, sottolinea che «C’è una crescente evidenza che le regioni di alta montagna si stanno riscaldando più velocemente delle quote più basse e che tale riscaldamento può accelerare molti altri cambiamenti ambientali, come lo scioglimento dei ghiacciai e il cambiamento della vegetazione…. Se abbiamo ragione e le montagne si stanno riscaldando più rapidamente di altri ambienti, le conseguenze sociali ed economiche potrebbero essere gravi, e potremmo assistere a cambiamenti più drammatici molto prima di quanto si pensasse».

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Raymond Bradley, direttore del Centro di ricerca sui sistemi climatici all’università del Massachusetts – Amherst, aggiunge che «Senza un’informazione migliore, c’è il rischio di sottovalutare la gravità di una serie di problemi, tra i quali la carenza d’acqua e la possibile estinzione di alcune specie di flora e fauna alpine. Stiamo chiedendo sforzi speciali per fare in modo di estendere le osservazioni scientifiche verso le vette più alte, per capire ciò che sta accadendo in tutte le montagne del mondo. Abbiamo anche bisogno di un forte sforzo per trovare, raccogliere e valutare i dati osservativi che esistono già ovunque sia nel mondo. Questo richiede una collaborazione internazionale».

Il rapporto “Fragile Connections: Snow leopards, people, water and the global climate”, pubblicato il 26.10.2015 in occasione dell’International Snow Leopard Day da Wwf International, rivela che il cambiamento climatico «potrebbe alterare drasticamente il flusso di acqua che scende dalle montagne, minacciando la sopravvivenza di un gran numero di persone in tutto il continente» e insieme con loro tante specie degli animali e, in particolare, il Leopardo delle nevi (Panthera uncia), specie già a rischio di estinzione ed inserita nella Lista Rossa dell’IUCN. La popolazione del Leopardo delle nevi conta attualmente tra 3'920 e 6'390 esemplari e continua a calare. La Panthera uncia pesa circa 45-55 kg, alta circa 1,3 metri. La sua biologia e fisiologia è studiata pochissimo.

Oltre il 330 milioni di persone vivono entro10 km dalle sponde dei fiumi, di cui il flusso dipende direttamente dal flusso dell’acqua che scende dalle montagne. La vita delle persone e del Leopardo dipende da questi flussi d’acqua. Il Leopardo delle nevi abita nella montagna alta dell’Asia centrale. L’habitat di alta quota del Leopardo delle nevi si estende su molti bacini idrici in Afghanistan, Bhutan, Cina, India, Kazakistan, Kirghizistan, Mongolia, Nepal, Pakistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan. Il cambiamento climatico potrebbe spostare le aree più calde più in alto, spostando “la linea degli alberi”, la linea di agricoltura e l’habitat del Leopardo delle nevi in aree prima troppo fredde. (24)

4.2.3. Il livello globale del mare

Secondo uno studio pubblicato su Nature nel 2013, Ice-sheet mass balance and climate change, il miglioramento delle misurazioni satellitari delle calotte di ghiaccio sta fornendo un quadro più preciso della crescita attuale e futura del livello globale del mare. Per la prima volta un team di ricerca, guidato da Edward Hanna dell’Università di Sheffield, che ha riunito scienziati provenienti da 12 centri di ricerca polare di tutto il mondo, ha confermato “… una maggiore perdita di accelerazione di massa, del doppio del tasso dell’Antartide, dalla calotta glaciale della Groenlandia». I ricercatori hanno scoperto che i futuri aumenti di perdita di massa della calotta della Groenlandia e dell’Ice Sheet dell’Antartide occidentale rischiano di aumentare in modo significativo il tasso globale di innalzamento del livello del mare, mentre i cambiamenti della calotta della Groenlandia daranno un contributo sempre più dominante. Tutte le regioni glaciali tra il 2003 e il 2009 hanno subito perdite di massa, ma i cali più grandi dei ghiacciai si sono avuti nel Canada Artico, in Alaska, lungo la costa

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della Groenlandia, nelle Ande meridionali e nell’Himalaya. Invece i ghiacciai periferici dell’Antartide, piccoli corpi glaciali non collegati alla calotta di ghiaccio principale, hanno contribuito poco all’aumento del livello del mare. Le stime attuali prevedono che tutti i ghiacciai montani del mondo contengano abbastanza acqua da poter far aumentare il livello del mare di 60 cm. Per fare un confronto, l’intera calotta glaciale della Groenlandia, ha il potenziale per contribuire a far aumentare il livello del mare di 6 m e la calotta Antartica di circa 60 m. (21)

Secondo 2 studi pubblicati a settembre 2015 sulle riviste Pnas e Science Advances, se bruciassimo tutti i combustibili fossili sul Pianeta, il livello dei mari si innalzerebbe di 60 metri sommergendo tante città costiere tra cui New York, Berlino, Shanghai, Tokyo, Hong Kong, Calcutta, Amburgo, Londra e Parigi, - un'area che oggi ospita 1 miliardo di persone, e circa 50 milioni di persone si trasformeranno in "rifugiati climatici".

Secondo il report diffuso da The Economics of Land Degradation, nei prossimi 10 anni sarà inutilizzabile il 52% del suolo arabile, a causa della desertificazione, deforestazione e inquinamento. Questo circolo vizioso nel corso di 25 anni porterà a una riduzione del 12% del cibo disponibile e un aumento medio del 30% sul prezzo degli alimenti. (22)

Attualmente, il 60 % della popolazione umana si trova concentrata sulle zone costiere entro i 100 km dalla costa. Secondo il 5° Rapporto dell’IPCC, è praticamente certo che l’aumento del livello medio globale del mare continuerà oltre il 2100. Secondo le previsioni, il livello di riscaldamento che superi una certa soglia comporterebbe la perdita quasi totale della calotta glaciale della Groenlandia nel corso di un millennio o più, causando un innalzamento del livello globale del mare fino a 6 m.

Secondo i diversi scenari del 5° Rapporto, basati sulle proiezioni climatiche in combinazione delle coperture di ghiaccio, l’aumento medio globale del mare per il periodo 2081-2100 sarà probabilmente compreso tra 0,26-0,55 m o 0,52-0,98 m, con un tasso tra il 2081-2100 tra gli 8 e i 16 mm/anno.

Climat Central (www.climatcentral.org) ha recentemente completato un’analisi delle aree del mondo che potranno essere sommerse dall’innalzamento del livello del mare entro la fine del secolo: Paese % della popolazione esposta

Olanda 47 % Vietnam 26 % Tailandia 12 % Giappone 10 % Myanmar 9 % Bangladesh 7 %

UAE 7 % Filippine 7 % Belgio 6 % Oman 5 % Indonesia 4 % Danimarka 4 %

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Inghilterra 4 % Malaysia 4 %

China 4 % Hong Kong 3 % Cambodgia 3 % Irlanda 3 % Italia 1 % Tra le grandi città a rischio ci sono Miami, New York, Shangai, Bangkok, Mumbai, Londra, Amsterdam, Alessandria d'Egitto.

Fig.79. Scenario dell’aumento del livello del mare fino a 60 m (21 )

Il 70% delle coste del mondo subirà forti modificazioni. L’innalzamento dei mari, dovuto alla fusione dei ghiacci, e l’aumento degli eventi meteorologici estremi, minaccia i 360 milioni di abitanti delle grandi metropoli costiere. 2 isole nell’arcipelago del Kiribati sono già sommerse e altre zone insulari, come Tuvalu o Samoa, stanno già soffrendo per i livelli di salinità presenti nell’acqua potabile. Le Maldive nell’Oceano Indiano, potrebbero essere inondate entro 30 anni: 3 isole dell’arcipelago (su un totale di 280 isole inabitate) sono state evacuate. La nuova capitale, Hulhumale, è stata costruita su una barriera artificiale: quando sarà completata nel 2020 sarà il rifugio per circa metà della popolazione attuale, 340’000 abitanti. (11)

I rischi del cambiamento climatico sono collegati anche con la disponibilità dell’acqua dolce. Allo stato attuale sono 1 miliardo e 100 milioni le persone sulla Terra che non dispongono di adeguato accesso all’acqua. La crescita della popolazione e il riscaldamento globale incrementeranno il numero delle persone che subirà uno stress idrico. Si prevede che entro il 2050 il numero di queste persone può giungere 3 miliardi.

La costante riduzione dei ghiacciai dell’Himalaya può avere effetti devastanti sulle popolazioni che vivono grazie ai fiumi alimentati dai ghiacciai himalayani,

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come il Brahmaputra, il Gange, l’Indo, il Mekong, il Salween, lo Yangtzee, - una popolazione complessiva di oltre 2 miliardi di persone, più di ¼ della popolazione attuale del Pianeta. Questo vale per altri ghiacciai del Pianeta.

3 grandi delle catene montuose si innalzano nel nord del Pakistan: l’Himalaya, l’Indù Khush e il Karakorum, che rappresentano il più grande stoccaggio di ghiaccio dopo l’Artico e l’Antartide. Sono questi ghiacciai ad alimentare l’Indo e i suoi affluenti che irrigano il Pakistan percorrendo il granaio del Paese, il Punjab, per poi sfociare a sud nel Mar Arabico, vicino a Karachi.

Secondo l’ONU, nel 2050 la popolazione del Pakistan supererà i 300 milioni di persone e le acque che sgorgano da ghiacciai come il Passu saranno vitali. Ma in 25 anni il fronte del Passu è arretrato di circa 500 metri. Secondo un team di glaciologi, nel secolo scorso nel nord del Pakistan le temperature sono aumentate di 1,9 gradi Celsius, causando molti “glof” (glacial lake outburst floods), brusche tracimazioni o rotture di laghi glaciali o dighe che scaricano a valle imponenti masse d’acqua. Attualmente nel nord del Pakistan sono sotto osservazione circa 30 di laghi glaciali.

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dice che nel corso del XXI secolo questi massicci rilasci d’acqua aumenteranno «riducendo la disponibilità di acqua, il potenziale idroelettrico e cambiando la stagionalità dei corsi d’acqua nelle regioni rifornite dall’acqua del disgelo proveniente dalle grandi catene montuose». Per il Pakistan è un grande problema visto che la gran parte del cibo proviene dalle fertili pianure del Punjab che per ora permettono al Paese di rimane autosufficiente in termini agricoli, nonostante la rapida crescita della sua popolazione. Ma è proprio sulle pianure irrigue del Pakistan che negli ultimi anni sono avvenute inondazioni senza precedenti, che hanno seminato la morte tra uomini e bestiame e spazzato via milioni di ettari di terreni agricoli. Le piogge monsoniche e lo scioglimento dei ghiacciai potrebbero causare catastrofi devastanti e minacciare l’esistenza delle coltivazioni. Un clima che sta assestandosi su picchi di siccità e di piogge torrenziali e a soffrire sono le risaie, visto che la produzione del riso soffre quando c’è troppa acqua così come quando ce n’è poca. Attualmente gran parte dell’acqua in eccesso portata dal monsone viene stoccata in due grandi dighe del Pakistan: Tarbela e Mangla, ma Ghulam Rasul, direttore generale del dipartimento meteorologico del Pakistan, dice che nell’ultimo mese il rifornimento delle riserve d’acqua è stato scarso: «Questo non è sufficiente». Un dramma, perché dopo i monsoni, per tutto il resto dell’anno, gli agricoltori pakistani per irrigare le loro terre si affidano a fiumi, soprattutto all’Indo alimentato dai ghiacciai. «Per ora, la produzione di riso e grano è ancora in aumento, – dice Rasul. – Ma se i ghiacciai un giorno dovessero scomparire, saremmo totalmente dipendenti dalla monsone. Tutto questo ha un impatto sulla sicurezza alimentare». L’IPCC prevede che entro il 2050 l’intera Asia meridionale subirà una diminuzione della fornitura di acqua dolce, in particolare nei grandi bacini fluviali come l’Indo.

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Questo significa che la popolazione in crescita di una megalopoli come Karachi avrà ancora meno acqua a disposizione. (23)

Il peggioramento delle condizioni di vita, i disastri naturali causano gli spostamenti di massa delle persone. Secondo il rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre del 2015 (www.internal-displacement.org), 19,3 milioni di persone nel 2014 sono state costrette a spostarsi a causa delle inondazioni, tempeste, terremoti, frane, eruzioni vulcaniche, siccità.

5. Tre punti di appoggio

Per noi Minsk era quel centro della vita scientifica, culturale e spirituale, una “pentola d’avanguardia” da 2 milioni di abitanti, risorta dopo la guerra dalle ceneri, come l’Uccello di Fuoco, e in questa “pentola” “bolliva”, creava e diventava forte la gioventù della fine degli anni 70 e 80. Si faceva il jazz. Nel senso ampio di questa parola, come l’improvvisazione, la creazione e lo sviluppo del pensiero, dell’idea, del concetto. Nell’Istituto si faceva il «jazz scientifico ecologico”, in montagna - il «jazz alpinistico”, nell’ambiente letterario, teatrale e musicale regnava altamente professionale il “jazz culturale”. Qualcuno era Diagilev, qualcuno era Stravinsky... L’incontro con l’alta montagna, con la natura non a tutti accessibile, ha generato in questi anni la corrente dei bardi, delle canzoni d’autore. Tra loro la personalità più brillante era l’alpinista Jury Visbor. Semplice insegnante di istruzione, grazie al suo carisma è diventato uno sceneggiatore, regista del cinema, giornalista ed attore. Nei campi d’alpinismo cantavano le sue canzoni, accompagnate dalla chitarra attorno ad un falò durante le serate, prima di dire “arrivederci” e prendere un aereo, per incontrarci l’estate successiva in montagna… Era un periodo di meravigliosa atmosfera cordiale, di onestà, delle intenzioni nobili, di aiuto reciproco e di alta indole. Era un grande vortice emozionale dove forgiavano i cuori degli uomini. E i cervelli degli uomini. Può darsi che fosse perché le montagne erano scalate da tanti rappresentanti dell’intellighenzia – scienziati, dottori, professori, giornalisti, medici, chimici, fisici, biologi... In montagna ogni passo veniva calcolato, ogni cosa veniva pesata, perché nessuno porterà il tuo peso sulle sue spalle a parte te stesso. La montagna, come un forte fattore estremo, sfidava l’uomo sia per la resistenza fisica, che per le qualità morali. In alto si capiva subito chi è chi. In alto anche un piccolo malessere poteva costare la vita. Per me la montagna era una buona scuola morale. Ho incontrato tante persone buone, forti, coraggiose ed intelligenti. Tante volte nella vita mi ha aiutato il metodo del mio primo istruttore di alpinismo e di scalate Khitrikov, chiamato da me scherzosamente il «Metodo di Khitrikov».

Durante la prima stagione alpinistica imparavamo ad annodare i nodi, camminare sulla neve e sul ghiaccio, scendere con dulfer dalle rocce e scalare le rocce. Tutte queste abitudini possono essere utili nella vita ad ogni persona. Senza dubbio, la posizione in montagna di una donna è molto più difficile a causa della minore forza fisica e le camminate durante la salita su una montagna, sulla neve, sul ghiaccio o ritaglio delle scalinate di ghiaccio, possono diventare un inferno. Quando davanti a te sta una roccia di 90 gradi e devi arrampicarti su questa roccia, proprio in questi casi è applicabile il «Мetodo di Khitrikov» - 3 punti di appoggio.

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«Durante la scalata devi avere 3 punti di appoggio. Devi avere appoggio o su 2 gambe e 1 mano o su 2 mani e 1 gamba», - mi insegnava il mio primo e saggio istruttore di alpinismo, Khitrikov. Anni dopo, dopo essermi trasferita in Italia, quando davanti a me ho trovato una enorme roccia, di 90 gradi, senza nessuna possibilità di un appiccagnolo, un muro di razzismo, indifferenza, intolleranza e maldicenza, passo per passo mi arrampicavo su questo muro verticale, applicando il «Metodo di Khitrikov», 3 punti di appoggio, nella sua versione spirituale: padre, figlio e spirito santo. La montagna sfida l’uomo, riversa il suo vero «IO», permette di capire di che cosa è fatto veramente l’uomo. E nello stesso momento la montagna insegna che l’uomo deve sapere stare al suo posto e non tentare di “saltare” sopra le cime e sopra le proprie possibilità. Senza tentare di “ammaestrare” la montagna e la natura, ma imparare di vivere in accordo con la Natura, altrimenti essa ripagherà all’uomo con le calamità naturali, per la sua arroganza e la supremazia. La Natura è forte come la vita sulla terra ed è capace come l’Uccello di Fuoco di risuscitare dalle ceneri, ma l’uomo deve sapere dove il suo posto e non permettere che la tecnogenesi vinca la vita e le saggi leggi della Natura.

Chi è andato seriamente in alta quota sa che la montagna è più forte dell’uomo ed è pericolosa come qualsiasi calamità naturale: come il fuoco, l’acqua o il vento. Sa che in alta quota bisogna “sentirsi” più piccoli della montagna ed essere attenti e preparati molto bene fisicamente. La montagna è uno dei fattori estremi, come la temperatura troppo bassa, troppo alta o immersioni in alta profondità. Sulla quota oltre 1500 metri s.l.m. l’uomo già sente le modifiche nell’organismo. Per esempio, nel campo alpinistico non accettavano le persone con la pressione alta. In montagna si acutizzano le malattie croniche che possono diventare letali. In montagna il comportamento dell’uomo può cambiare in modo cardinale e questo è imprevedibile. Sull’altezza di 6-7'000 m a causa dell’insufficienza dell’ossigeno comincia sentirsi ipossia del cervello. E’ il dato di fatto che sull’Everest (8'848 m) tanti partecipanti sono morti a causa dell’edema cerebrale o dei polmoni. Al cinema è uscito film «Everest» con importanti attori hollywoodiani nei principali ruoli. Le principali scene del film sono state riprese in un enorme padiglione, decorato con ammassi del ghiaccio e della neve e in quota a 2'000 m in un campo base nelle Alpi italiane. Ho letto la recensione negativa di un importante alpinista su questo film. Indubbiamente, é impossibile ricreare realmente tutte le difficoltà e le problematiche di una scalata in alta quota. L’ambiente di alta montagna è da tanto tempo poco conosciuto alla gente comune, proprio per la sua inaccessibilità, quindi, si può solo ossequiare l’uscita di questo film, che, anche se in modo molto generico, racconta della montagna di alta quota, attirando l’attenzione al problema dello scioglimento dei ghiacciai in tutto il mondo e al problema dell’inquinamento in montagna.

Il monitoring satellitare della NASA, la spedizione organizzata a maggio-giugno 2015 da GREENPEACE in montagna e nei regioni difficilmente raggiungibili, il lavoro che stanno facendo il WWF e gli alpinisti di alta qualifica in questo ambito, - il contributo di tutti insieme aiuta a studiare l’ecologia dei ghiacciai, dei ghiacci e capire il livello dell’inquinamento che ha raggiunto le cime più alte del Pianeta.

Vi è mai capitato di tornare velocemente nel passato, incontrando un amico che non vedevate da tanto tempo? Sono sicura che vi è capitato. Il nostro passato fa parte della nostra vita, sia il passato che é stato vissuto in bianco-nero che quello a colori.

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La memoria ha una capacità razionale con il passare del tempo di "cancellare” le pagine poco felici dalla nostra vita e per tanto tempo ricordare le immagini più felici. Come se queste pagine si immagazzinassero nell’angolo più lontano del nostro cervello-computer, ma il file si apre subito, appena viene richiamato dalla memoria. Cosi è accaduto a me con Olga. Incontrando la mia amica di vecchia data quando si faceva insieme l’alpinismo, la memoria ha “aperto” il file con gli anni dedicati alla montagna di alta quota.

Giorno dopo dovevo prendere l’aereo. Siamo rimaste fino tardi nel piccolo simpatico bar nella città vecchia a Nemiga. Poi abbiamo fatto una passeggiata sulla città. La giornata stava per concludersi. Siamo scese nel passaggio, prendendo la metro. Abbiamo fatto insieme un paio di fermate. Dovevo scendere per prima, sulla piazza di Jakub Kolas, per prendere il taxi e tornare a casa, in via Gamarnika. Оlga è rimasta nella metro, per scendere alla fermata «Моskovskaya», a 5 minuti da casa sua e dal nuovo edificio della Televisione. Prima di scendere, ci siamo abbracciate e, improvvisamente, ci siamo messe a piangere. La gente in metropolitana a cominciato a guardarci. E noi due stavamo attaccate l’una all’altra, come due cime delle montagne, sulle quance delle quali fluivano le lacrime dei ghiacciai che si scioglievano.... Il treno si è fermato. Sono uscita dalla metro e ho alzato la mano, salutando la mia Olga. I suoi chiari occhi color cielo, nobili, sempre un po’ enigmatici ma forti, coraggiosi e fedeli mi hanno accompagnato finché il treno non è scomparso nel tunnel. 07.02.2016

Dr.Tatiana Mikhaevitch Ph.D. in Biology Academy of Sciences of Belarus Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.) Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.) Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.) [email protected] www.plumatella.it

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6. Dal 1850 ghiacciai alpini ridotti del 54%, entro il 2100 tutti i ghiacciai italiani a rischio ‘estinzione’. Meno del 10% dei fiumi ancora naturali, vitali per migliaia di

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climatico, ed è già innescata. Si sciolgono i ghiacciai di Himalaya, Indù Khush e Karakorum: «Sta arrivando una calamità», 26 ottobre 2015.

24. www.Greenreport.it, Il cambiamento climatico potrebbe spingere il leopardo delle nevi verso l’estinzione. Salvare il fantasma delle montagne per difendere le sorgenti dei fiumi che dissetano l’Asia, 26 ottobre 2015.