follia e biologia -...

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Follia e biologia Conoscere i meccanismi molecolari dell'attività dell'encefalo non basta a spiegare la follia; perché siano utili in campo clinico e terapeutico le neuroscienze devono indagare a livello sovramolecolare e sovraneuronale contaminanti. La cura della follia è il titolo di questa incisione che compare in Récueil des plus illustres proverbes, Parigi, Chez Lo- gniet, 1657-1663, conservata alla Biblioteca nazionale di Parigi. S toricamente la distinzione tra cam- po della filosofia e campo delle scienze è molto confusa. Si ritie- ne in genere che l'analisi scientifica della follia inizi nel Settecento, quando il folle viene identificato distinguendolo da ogni altra espressione di emarginazione. Phi- lippe Pinel e Vincenzio Chiarugi sono gli psichiatri che aprirono l'epoca clinica della psichiatria e quindi l'identificazio- ne e la definizione del folle in base al metodo scientifico. Prima di loro, le questioni relative alla follia erano per- lopiù considerate quaestiones philoso- phiae. In realtà Ippocrate ne aveva dato una valutazione scientifica e persino ri- duzionistica, ponendo tutte le qualità af- fettive, ideative e comportamentali nel cervello, e attribuendo le alterazioni (e la follia) a disturbi di questo organo. Lo stesso Aristotele riteneva che l'a- nima razionale si manifestasse solamen- te quando il corpo è intatto, richiaman- do una concezione biologica che, a secoli di distanza, Dante espresse con l'efficace immagine di un cristallo (corpo) colpito dalla luce (anima), la quale è riflessa solo se il cristallo è perfettamente intatto. Dello stesso tipo è l'affermazione di Car- tesio relativa alla ghiandola pineale co- me punto di incontro tra res extensa e res cogitans. È difficile negare un contenuto scientifico a queste proposte e quindi di- stinguere in modo netto il limite tra scienza e filosofia. Ciò appare ancor più esplicitamente se si considerano le attua- li ipotesi e teorie elaborate in stretta ade- renza al metodo scientifico. Non c'è dubbio che esse ricadano nell'ambito della formulazione di idee, sia pure di una formulazione attenta ai dati speri- mentali noti. Il riferimento al cervello come sede dell'attività mentale non è stato una co- stante nella storia; talora la sede veni- va identificata nel cuore e anche studio- si recenti, come per esempio Vito Maria Buscaino docente a Catania e Napoli dal 1927, avevano richiamato l'attenzione sul fegato come sede per la genesi della di Vittorino Andreoli follia (in questo caso della schizofrenia). Ha finito con l'imporsi, comunque, una concezione non lontana dal modello contemporaneo secondo il quale il com- portamento e le sue patologie sono legati all'encefalo. Le neuroscienze non fanno altro, dun- que, che continuare un'antichissima tra- dizione che collegava il comportamento all'encefalo. La novità sta nel modo in cui tale organo viene osservato, modo reso possibile da nuove tecnologie di in- dagine sperimentale. Anche l'interazio- ne fra anima e cervello ha un sapore an- tico: il dualismo interazionista di Karl Popper e John Eccles non si differenzia sostanzialmente dalle concezioni della Scolastica e, ancora una volta, di Dante, che ne è stato interprete efficace, aven- dole presentate con linguaggio poetico. E di grande attualità la contrapposi- zione fra sostenitori del dualismo cervel- lo-mente e fautori del monismo che ri- duce entrambi a encefalo, una contrap- posizione che alimenta una polemica ac- cesa ma analoga, nei termini, a quella che ha impegnato Democrito, Cartesio o Spinoza. C'è una critica al dualismo e una al materialismo, in un continuo susseguirsi di nuovi dualismi e nuovi materialismi. Le novità nei confronti di queste tematiche appaiono soltanto «piccole cose». Le neuroscienze e i livelli di integrazione Il contributo delle neuroscienze alla comprensione del comportamento e del- la follia va valutato tenendo conto del livello di osservazione. La biologia mo- lecolare ha sconvolto le conoscenze re- lative all'analisi della struttura e della di- namica del neurone, della zona di con- tatto tra neuroni (sinapsi) e dell'attivi- tà molecolare svolta dalle membrane si- naptiche e dai neuromediatori. Il quadro dell'encefalo, a questo livello, appare come un complessissimo contenitore di molecole in azione, e non c'è dubbio che tutto ciò sia essenziale al funziona- mento dell'organo e alle sue espressioni. C'è un altro livello di osservazione, sovramolecolare, in cui le unità in causa non sono le molecole e nemmeno i neu- roni, ma i complessi neuronali che costi- tuiscono i centri cerebrali. Questo livello di osservazione ha dominato l'anatomo- patologia della fine dell'Ottocento por- tando alla scoperta di un numero via via maggiore di centri correlati a specifiche funzioni (ne sono esempi i centri motori o quelli delle integrazioni sensoriali). Per spiegare la funzione espressa da ognuno di questi centri non ci si deve riferire alle molecole bensì ai gruppi di cellule e alle modalità delle loro intera- zioni, vere e proprie architetture con complesse disposizioni spaziali. Bisogna prendere in considerazione i circuiti, il tipo di input (eccitatorio o inibitorio), le disposizioni neuronali in grado di produrre come output una comunica- zione o, piuttosto, di attivare un ser- vomeccanismo (e quindi esercitare un autocontrollo). È il campo della fisiologia classica del sistema nervoso centrale, che oggi si è arricchita dei modelli cibernetici e della possibilità (limitatamente ad alcune ope- razioni) di simulare con modelli elettro- nici i centri cerebrali. Questo punto di osservazione del cervello permette di spiegare attività che a livello molecolare sfuggono in quanto la correlazione tra funzioni e molecole è inadeguata. È co- me se si volesse spiegare il significato di un'immagine che appare su uno schermo televisivo in termini di chip o di diodi. C'è poi un livello più vasto compren- dente molti centri, le cui unità sono le aree cerebrali. A questo livello si posso- no spiegare funzioni come le integra- zioni visive e uditive, identificando ve- re e proprie sequenze di centri che nel- l'insieme danno unità alla visione, al- la percezione uditiva o a quella estero- cettiva . In proposito uno straordinario esempio è fornito dagli studi di David H. Hubel e Torsten N. Wiesel che hanno identificato come un'unità il complesso che porta dalle cellule retiniche fino alle microcolonne della corteccia occipitale- -visiva. Procedendo in questa progressione, in cui le unità dei livelli d'osservazione pre- cedenti diventano sottounità dei livelli superiori, si giunge ai singoli emisferi ce- rebrali che, come è stato dimostrato da- gli studi di Roger W. Sperry, hanno cia- scuno una propria specializzazione e at- tributi funzionali indipendenti. Dal gra- do dei singoli emisferi come parti distin- te si giunge a una unità grazie alla com- missura cerebrale che, collegandoli a- natomicamente, consente uno scambio continuo di informazioni. A questo livello di osservazione si pos- sono spiegare funzioni che restano in- comprensibili se riferite agli elementi propri di livelli precedenti, per apparire addirittura paradossali se la correlazione avviene con il livello molecolare. L'emi- sfero destro integra la percezione musi- cale. L'unione dei due emisferi dà una spiegazione di come questa percezione divenga linguaggio musicale e possa, per esempio, diventare pentagramma o do- decafonia. Ogni tentativo di ridurre que- sta funzione ai neuromodulatori o agli ioni calcio, che ne permettono la libera- Per secoli le tecniche di intervento per la cura degli ammalati di mente sono state orientate a purificare l'organismo favorendo l'e- spulsione attraverso le aperture naturali del corpo dei possibili 44 LE SCIENZE n. 275, luglio 1991 LE SCIENZE n. 275, luglio 1991 45

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Follia e biologiaConoscere i meccanismi molecolari dell'attività dell'encefalo non basta aspiegare la follia; perché siano utili in campo clinico e terapeutico leneuroscienze devono indagare a livello sovramolecolare e sovraneuronale

contaminanti. La cura della follia è il titolo di questa incisione checompare in Récueil des plus illustres proverbes, Parigi, Chez Lo-gniet, 1657-1663, conservata alla Biblioteca nazionale di Parigi.

S

toricamente la distinzione tra cam-po della filosofia e campo dellescienze è molto confusa. Si ritie-

ne in genere che l'analisi scientifica dellafollia inizi nel Settecento, quando il folleviene identificato distinguendolo da ognialtra espressione di emarginazione. Phi-lippe Pinel e Vincenzio Chiarugi sono glipsichiatri che aprirono l'epoca clinicadella psichiatria e quindi l'identificazio-ne e la definizione del folle in base almetodo scientifico. Prima di loro, lequestioni relative alla follia erano per-lopiù considerate quaestiones philoso-phiae. In realtà Ippocrate ne aveva datouna valutazione scientifica e persino ri-duzionistica, ponendo tutte le qualità af-fettive, ideative e comportamentali nelcervello, e attribuendo le alterazioni (ela follia) a disturbi di questo organo.

Lo stesso Aristotele riteneva che l'a-nima razionale si manifestasse solamen-te quando il corpo è intatto, richiaman-do una concezione biologica che, a secolidi distanza, Dante espresse con l'efficaceimmagine di un cristallo (corpo) colpitodalla luce (anima), la quale è riflessa solose il cristallo è perfettamente intatto.Dello stesso tipo è l'affermazione di Car-tesio relativa alla ghiandola pineale co-me punto di incontro tra res extensa e rescogitans. È difficile negare un contenutoscientifico a queste proposte e quindi di-stinguere in modo netto il limite trascienza e filosofia. Ciò appare ancor piùesplicitamente se si considerano le attua-li ipotesi e teorie elaborate in stretta ade-renza al metodo scientifico. Non c'èdubbio che esse ricadano nell'ambitodella formulazione di idee, sia pure diuna formulazione attenta ai dati speri-mentali noti.

Il riferimento al cervello come sededell'attività mentale non è stato una co-stante nella storia; talora la sede veni-va identificata nel cuore e anche studio-si recenti, come per esempio Vito MariaBuscaino docente a Catania e Napoli dal1927, avevano richiamato l'attenzionesul fegato come sede per la genesi della

di Vittorino Andreoli

follia (in questo caso della schizofrenia).Ha finito con l'imporsi, comunque, unaconcezione non lontana dal modellocontemporaneo secondo il quale il com-portamento e le sue patologie sono legatiall'encefalo.

Le neuroscienze non fanno altro, dun-que, che continuare un'antichissima tra-dizione che collegava il comportamentoall'encefalo. La novità sta nel modo incui tale organo viene osservato, modoreso possibile da nuove tecnologie di in-dagine sperimentale. Anche l'interazio-ne fra anima e cervello ha un sapore an-tico: il dualismo interazionista di KarlPopper e John Eccles non si differenziasostanzialmente dalle concezioni dellaScolastica e, ancora una volta, di Dante,che ne è stato interprete efficace, aven-dole presentate con linguaggio poetico.

E di grande attualità la contrapposi-zione fra sostenitori del dualismo cervel-lo-mente e fautori del monismo che ri-duce entrambi a encefalo, una contrap-posizione che alimenta una polemica ac-cesa ma analoga, nei termini, a quellache ha impegnato Democrito, Cartesioo Spinoza. C'è una critica al dualismoe una al materialismo, in un continuosusseguirsi di nuovi dualismi e nuovimaterialismi. Le novità nei confrontidi queste tematiche appaiono soltanto«piccole cose».

Le neuroscienze e i livelli di integrazione

Il contributo delle neuroscienze allacomprensione del comportamento e del-la follia va valutato tenendo conto dellivello di osservazione. La biologia mo-lecolare ha sconvolto le conoscenze re-lative all'analisi della struttura e della di-namica del neurone, della zona di con-tatto tra neuroni (sinapsi) e dell'attivi-tà molecolare svolta dalle membrane si-naptiche e dai neuromediatori. Il quadrodell'encefalo, a questo livello, apparecome un complessissimo contenitore dimolecole in azione, e non c'è dubbioche tutto ciò sia essenziale al funziona-

mento dell'organo e alle sue espressioni.C'è un altro livello di osservazione,

sovramolecolare, in cui le unità in causanon sono le molecole e nemmeno i neu-roni, ma i complessi neuronali che costi-tuiscono i centri cerebrali. Questo livellodi osservazione ha dominato l'anatomo-patologia della fine dell'Ottocento por-tando alla scoperta di un numero via viamaggiore di centri correlati a specifichefunzioni (ne sono esempi i centri motorio quelli delle integrazioni sensoriali).Per spiegare la funzione espressa daognuno di questi centri non ci si deveriferire alle molecole bensì ai gruppi dicellule e alle modalità delle loro intera-zioni, vere e proprie architetture concomplesse disposizioni spaziali. Bisognaprendere in considerazione i circuiti, iltipo di input (eccitatorio o inibitorio),le disposizioni neuronali in grado diprodurre come output una comunica-zione o, piuttosto, di attivare un ser-vomeccanismo (e quindi esercitare unautocontrollo).

È il campo della fisiologia classica delsistema nervoso centrale, che oggi si èarricchita dei modelli cibernetici e dellapossibilità (limitatamente ad alcune ope-razioni) di simulare con modelli elettro-nici i centri cerebrali. Questo punto diosservazione del cervello permette dispiegare attività che a livello molecolaresfuggono in quanto la correlazione trafunzioni e molecole è inadeguata. È co-me se si volesse spiegare il significato diun'immagine che appare su uno schermotelevisivo in termini di chip o di diodi.

C'è poi un livello più vasto compren-dente molti centri, le cui unità sono learee cerebrali. A questo livello si posso-no spiegare funzioni come le integra-zioni visive e uditive, identificando ve-re e proprie sequenze di centri che nel-l'insieme danno unità alla visione, al-la percezione uditiva o a quella estero-cettiva . In proposito uno straordinarioesempio è fornito dagli studi di David H.Hubel e Torsten N. Wiesel che hannoidentificato come un'unità il complesso

che porta dalle cellule retiniche fino allemicrocolonne della corteccia occipitale--visiva.

Procedendo in questa progressione, incui le unità dei livelli d'osservazione pre-cedenti diventano sottounità dei livellisuperiori, si giunge ai singoli emisferi ce-rebrali che, come è stato dimostrato da-gli studi di Roger W. Sperry, hanno cia-scuno una propria specializzazione e at-

tributi funzionali indipendenti. Dal gra-do dei singoli emisferi come parti distin-te si giunge a una unità grazie alla com-missura cerebrale che, collegandoli a-natomicamente, consente uno scambiocontinuo di informazioni.

A questo livello di osservazione si pos-sono spiegare funzioni che restano in-comprensibili se riferite agli elementipropri di livelli precedenti, per apparire

addirittura paradossali se la correlazioneavviene con il livello molecolare. L'emi-sfero destro integra la percezione musi-cale. L'unione dei due emisferi dà unaspiegazione di come questa percezionedivenga linguaggio musicale e possa, peresempio, diventare pentagramma o do-decafonia. Ogni tentativo di ridurre que-sta funzione ai neuromodulatori o agliioni calcio, che ne permettono la libera-

Per secoli le tecniche di intervento per la cura degli ammalati dimente sono state orientate a purificare l'organismo favorendo l'e-spulsione attraverso le aperture naturali del corpo dei possibili

44 LE SCIENZE n. 275, luglio 1991 LE SCIENZE n. 275, luglio 1991 45

SINDRIME.NEUROL

SIfflV---"-- SINDROMIMEDICHE PSICHIATRICHE

epilessiamalattia di Parkinsoncorea di Huntingtonmalattia di Wilsonstati post-encefaliticisclerosi multiplamalattia di Alzheimerdemenza multi-infartualelupus eritematoso

sistemico

deficienze nutrizionalimalattia di Cushingintossicazioni da

alcoolsolventimetalli pesanti

esposizione a radiazionitumorifarmaci citotossicicomplicazioni neonatalidialisi

schizofreniadisturbi affettivianoressia nervosadisturbo ossessivo-

-compulsivo1

I

L'idea di una dipendenza delle alterazioni psichiche da anomalieorganiche è molto antica e se ne può trovare traccia già in Aristo-tele. Se da un lato per alcuni stati patologici questo legame appareconfermato anche dalle più recenti ricerche, esso tuttavia non è in

grado di fornire una adeguata spiegazione alla vasta fenomenologiadella clinica psichiatrica. Così ad alcuni stati patologici, come quelliriportati qui, sono associati segni di atrofia cerebrale, che invecenon sono rilevabili in pazienti affetti da altri disturbi psichici.

ALTRI DISTURBIPSICHICI

nessun segno di atrofia

Un momento di progresso nelle ricerche condotte sui neuromediatori è stata l'identifica-zione di sostanze endogene, chiamate poi endorfine, che hanno struttura molto simile aquella di alcuni oppiacei. Per esempio. la met-encefalina, che viene sintetizzata da certecategorie di neuroni, possiede una struttura analoga a quella di un oppiaceo, l'o% ipa% ina.

CONDIZIONE PATOLOGICA

fenilchetonuria

tirosinemia

omocistinuria

galattosemia

ipervalinemia

iperammoniemia

aciduria arginosuccinica

acidemia isovalerica

istidinemia

cistationuria

deficit deiodinasico

citrullinuria

iperprolinemia (tipo I)

leucodistrofia metacromatica

chetonuria intermittente

malattia delle urine a sciroppo d'acero

alterato metabolismo dell'acido urico(da cromosoma X)

sindrome di Crigler-Najjar

ANOMALIA ENZIMATICA

fenilalanina-idrossilasi

p-idrossifenilpiruvato-ossidasi

cistationina-sintetasi

galattosio-1-fosfato uridil-transferasi

valina-transaminasi

ornitina-transcarbamilasi

arginosuccinasi

deidrogenasi-isovaleril-CoA

istidasi

cistationasi

deidodinasi

arginosuccino-sintetasi

prolino-sintetasi

sulfatasi

decarbossilasi chetoacido-ossidativa(leucocitaria)

decarbossilasi chetoacido-ossidativa(epatica)

ipoxantino-guanina fosforibosil-transferasi

glucuronil-transferasi

Esistono molti disturbi del comportamento inseriti in patologie genetiche specifiche. Il casoparadigmatico è quello della fenilchetonuria in cui, a causa di un gene anomalo sul cro-mosoma 12, non viene sintetizzato un particolare enzima. Il conseguente accumulo nel-l'organismo di acido fenilpiruvico si manifesta a livello psichiatrico con una grave formadi oligofrenia. In tabella sono riportate alcune anomalie enzimatiche associate a oligofrenia.

WW~-wwni

Il fatto che la struttura dell'encefalo non sia preprogrammata geneticamente in tutti idettagli è dimostrato dai risultati di un esperimento in cui è stato occluso un occhio sia aun macaco di due settimane sia a un macaco adulto. Mentre, dopo un periodo di 18 mesi,nella corteccia visiva di quest'ultimo non si rilevavano alterazioni nella disposizione dellebande, in quella del macaco più giovane le bande corrispondenti all'occhio occluso (innero) si erano ristrette a vantaggio di quelle corrispondenti all'occhio aperto (in bianco).

cellule siano «folli», mentre è banalel'affermazione che l'uomo può esserefolle.

Follia molecolare

Nelle neuroscienze la biologia mole-colare ha dominato gli ultimi trent'annidi ricerca e ha accumulato conoscenzenon confrontabili con quelle disponibiliper gli altri livelli di osservazione e distudio dell'encefalo (a cui spesso corri-spondono specifici rami del sapere).

Ha finito così con il prevalere una vi-sione che stabilisce una stretta correla-zione tra comportamenti e scoperte pro-prie della biologia molecolare, senza te-nere conto dell'inadeguatezza di quel ti-po di confronto. È comunque possibiletracciare un percorso parallelo tra lepiù significative scoperte di biologia mo-lecolare riguardanti l'encefalo e i tenta-tivi di comprensione del comportamentoe della sua patologia.

Il capitolo più vasto e recente riguardai mediatori del comportamento. Come ènoto, gli studi sulla trasmissione inter-neuronale hanno confermato l'ipotesichimica del messaggio e portato alla sco-perta di numerose molecole responsabilidella trasmissione da un neurone a unaltro (neuromediatori). Negli anni cin-quanta sono state stabilite le prime cor-relazioni tra modificazioni del compor-tamento e variazioni (quantitative e me-taboliche) di tali sostanze. Alla base diqueste ricerche vi era il concetto di «ner-vosità» e quello a esso collegato di «esau-rimento nervoso», che sottintendevanol'idea d'un sistema nervoso «scarico» edunque incapace di una normale tra-smissione degli impulsi. (Si noti comeanche il linguaggio abbia risentito del-l'accesa diatriba sulla trasmissione inter-neuronale con l'adozione del paragoneelettrico.)

Poiché si osservò che farmaci sedativicome, per esempio, la reserpina, agiva-no su questi mediatori della trasmissione

modificandoli e determinando una tra-sformazione comportamentale, essi ven-nero denominati anche «mediatori delcomportamento». Si aprì così un ricco eper certi aspetti delirante capitolo in cuiogni nuovo mediatore della trasmissionesinaptica veniva correlato al comporta-mento e alla sua patologia in un accop-piamento riduzionistico: vennero for-mulate ipotesi per la schizofrenia, per ladepressione, per l'ansia, consolidando intal modo il concetto che la terapia do-vesse consistere nel riportare mediatoria concentrazioni e a turn-over ritenuti«normali». Normalità e follia si giocava-no sulle misure di laboratorio relativealle diverse sostanze.

A tutt'oggi sono stati proposti circa 50neuromediatori, sia pure discussi in rap-porto al concetto di neuromediatore e aicriteri, non sempre univoci, di definizio-ne. È per noi sufficiente sottolinearequanto sia elevato il numero di questemolecole finora individuate e come siadestinato certamente ad aumentare. Perciascuna di queste sostanze si può soste-nere un'ipotesi che lega al suo metabo-lismo la sintomatologia psichiatrica. Illimite di questo metodo sta però proprionei termini della correlazione: i neuro-mediatori sono un riferimento troppolontano rispetto alla complessità archi-tettonica raggiunta per esprimere uncomportamento, e in specie un compor-tamento folle.

Un altro limite risiede nella difficoltàdi distinguere a livello molecolare la nor-malità dalla follia. Il criterio statistico èinsoddisfacente dal punto di vista clini-co, poiché è una rappresentazione stati-ca di un fenomeno metabolico dinamico.Il ruolo attribuito ai mediatori del com-portamento ha condotto a una standar-dizzazione dei valori normali e patologi-ci, analogamente a quanto avviene cor-rentemente per una glicemia o per unacolesterolemia; nel caso specifico, tutta-via, i parametri misurati rispecchiano so-lo indirettamente il metabolismo (la fun-zione) dei mediatori nella cellula nervo-sa. Quanto avviene metabolicamente inun neurone della corteccia deve essere«comunicato» per via ematica o attraver-so il liquido cefalo-rachidiano (che poipassa nella circolazione generale). Inquesta enorme diluizione, il fenomenometabolico su cui si indaga può perderedi specificità ed esprimere un'anomaliache nulla ha a che fare con uno specificometabolismo delle cellule corticali. Sipuò concludere che per lo più si sonocreate demarcazioni tra normalità e fol-lia sulla base di indicatori inadeguati e dimisure talmente indirette da perdereogni significato.

La biologia molecolare si occupa dimeccanismi di base che per lo più sonoubiquitari, e ciò vale anche per i neuro-mediatori. La serotonina è presente nel-le cellule cerebrali, ma anche nel trattogastrointestinale dove è stata scopertada Vittorio Erspamer e battezzata ente-ramina. Misurando i suoi metaboliti nel-

zione attraverso i canali di membrana,appare quanto meno paradossale anchese rimane indiscutibile che senza i cana-li del calcio non si può avere alcuna atti-vità encefalica e nemmeno, quindi, lapercezione musicale o la scrittura di unasinfonia.

A un livello di osservazione ancora piùampio, gli emisferi vanno a costituireuna unità assieme al cervello sottocorti-cale , grazie alla quale soltanto si riesce aspiegare alcune funzioni. È insomma es-

senziale considerare i diversi livelli di in-tegrazione a cui corrispondono funzionidifferenti. Il salto da un livello a un altrodeve avvenire parallelamente al corri-spettivo salto di funzione. Questa esi-genza trova ampia conferma nella storiafilogenetica, ma anche in quella che siripete continuamente e che racconta co-me da due cellule (un ovulo e uno sper-matozoo) si ottenga un organismo conun encefalo come quello della specieumana. È paradossale ritenere che due

le urine o nel siero si ha un'espressioneglobale della sua attività senza alcunaspecificità nervosa.

Un punto «forte», o ritenuto tale, del-la ricerca è quello della sperimentazioneanimale. In laboratorio è possibile veri-ficare direttamente il metabolismo in se-zioni di tessuto cerebrale o in cellule epersino in frazioni di cellule, come i si-naptosomi: una frazione ricca di termi-nazioni nervose. Ogni ipotesi molecola-re in tema di patologia del comporta-mento è ricca di osservazioni di questotipo. Quando si vogliano da esse estra-polare conclusioni per una biologia delcomportamento si opera, però, una in-genua estensione poiché, come abbiamodetto, il comportamento umano non èriducibile all'azione di una cellula o di uncentro encefalico, ma all'architetturadell'encefalo umano, diversa da quelladi un topo o di un criceto per la presenzadi funzioni comportamentali specifiche.

La diversità comportamentale è enor-

me anche se guardando il singolo neuro-ne di un topo o di un uomo si può rile-vare analogia o persino identità. Il pro-blema non è comunque solo quello dipassare a organismi viventi con maggio-re complessità encefalica e quindi a unpiù elevato grado di sviluppo evolutivo,bensì quello del livello di osservazionescientifica. Per la biologia molecolareanche uno scimpanzé ha cellule che nonsono probabilmente più «interessanti» diquelle di un topo. Studiato secondo unabiologia che, per contrapposizione aquella molecolare, si può chiamare bio-logia dei sistemi, un primate è invececertamente più utile se si sta compiendouna ricerca intesa a giungere al compor-tamento umano. Rimane tuttavia unoiato insanabile sul piano biologico speri-mentale, quello del divario tra funzionicomportamentali che sono assenti in unoscimpanzé, ma presenti nell'uomo.

Ne consegue che una biologia delcomportamento umano non può che

46 LE SCIENZE n. 275, luglio 1991

LE SCIENZE n. 275, luglio 1991 47

1926 Cocaina1927 Mescalina1930 Bulbocapnina1934 Marijuana (THC)1938 Anfetamina1940 Alcool etilico1943 411. i LSD251951 Chinacrina1954 Adrenocromo e adrenolutina1955 Ololiuqui1955 TMA o trimetoss -beta-amminopropano1955 Cortisone1956 Bufotenina1956 lbogaina1957 Armina1958 N-metil (o N-etil)-3-piperidilbenzoato1959 Psilocibina1961 DMT e DET (d metil- e dietiltriptammina)1961 loimbina1962 Dimetilacetamide1963 Cyclogyl

disturbi affettivi

disturbo affettivo stagionale

schizofrenia

disturbo d'ansia

suicidio

disturbi del comportamento alimentare

sindrome premestruale

fame ansiosa di carboidrati

sindrome ipercinetica

disturbi da deficit dell'attenzione

malattia di Alzheimer

alcolismo

cefalea

L'esistenza di una correlazione tra follia e alterazioni dei meccani-smi molecolari nell'encefalo è testimoniata dalla scoperta, avvenutanegli anni indicati, che alcune sostanze esogene inducono alterazio-ni del comportamento ritenute simili a quelle della schizofrenia (asinistra). Come evidenzia la tabella qui sopra, che elenca le condi-zioni patologiche, clinicamente molto varie, associabili ad altera-zioni del sistema serotoninergico, è riduttivo attribuire alla disfun-zione di un unico sistema metabolico le patologie psichiatriche.

PATOLOGIE COLLEGABILIAL SISTEMA SEROTONINERGICO

ANNO

SOSTANZACRESCITA

completarsi con uno studio sperimentaledell'uomo e dell'uomo soltanto; semmaiva inventata una clinica che non sia soloindagine fenomenologica, ma anche os-servazione biologica. E certo comunqueche le trasposizioni da un qualsiasi ence-falo di organismi viventi non umani al-l'uomo rappresentano una estensione in-fondata o quanto meno non conclusiva.

La biologia del comportamento e del-la follia non può prescindere dall'«esserenel mondo» dell'uomo e non può accon-tentarsi di una metafora cellulare, datoche a livello di molecole o di membranel'uomo ha perduto ogni sua peculiarità eogni sua significazione.

Un enorme sostegno allo sviluppo del-la biologia molecolare è derivato dallafarmacoterapia. Si è imposto oggi il con-cetto di farmaco razionale, ossia scien-tificamente fondato, un'idea che vuoldistinguere l'epoca dell'empirismo deitrattamenti terapeutici da quella dellarazionalità, alla stregua di quanto si fafra alchimia e chimica. L'era degli psico-farmaci, aperta dalla clorpromazina nel1952, è stata in effetti caratterizzata dallacasualità, dato che la scoperta della mag-gior parte dei farmaci è stata «trasversa-le» nel senso che è avvenuta al di fuoridi una diretta e razionale linea di ricerca.La nuova farmacologia è invece una verae propria «ingegneria» con un progettodi massima e schemi operativi che per-mettono di identificare esattamente unamolecola e di produrla. E una farmaco-logia che trova fondamento nella biolo-gia molecolare e che è in grado di co-struire molecole analoghe a quelle endo-gene o a esse antagoniste. Tutta la pro-duzione dei nuovi farmaci «scientifi-

ci» ha queste caratteristiche. Di ognineuromediatore ci sono (o ci possono es-sere) farmaci agonisti o antagonisti e ilaboratori delle grandi industrie sono ingrado di sintetizzare e produrre qualsiasimolecola (o perlomeno la sua realizza-zione effettiva è una questione tecnica,con i soli vincoli del tempo e della red-ditività della operazione).

Questa farmacologia cellulare è estre-mamente limitata e non si può nemmenolontanamente pensare di affrontare conessa i veri problemi del comportamentoumano e della follia. Essa ha portato mi-nori contributi non solo rispetto alle at-tese, ma anche rispetto alla farmacologiacosiddetta «del caso». E l'impostazionea essere errata o perlomeno lontana daipresupposti metodologici di una biologiadel comportamento, che deve riferirsinon alla cellula, ma ai sistemi encefalicio all'encefalo nella sua unitarietà. Non èescluso che a questo livello di integrazio-ne lo stesso concetto di farmaco debbamutare e non essere più così lontano dal-l'azione esercitata dalla parola o da tec-niche che, pur non essendo biologichenel senso molecolare, agiscono peral-tro sull'encefalo (per esempio con l'ap-prendimento) producendo ristruttura-zioni plastiche, che altro non sono se nonoperazioni biologiche.

Follia del gene

La più grande conquista della biologiamolecolare è stata l'identificazione, daparte di James D. Watson e Francis H.C. Crick, della struttura del materialegenetico. Questa scoperta ha segnato l'i-nizio d'una serie di studi coronati da sue-

cesso che porteranno entro un decennioalla lettura in chiave genetica del feno-meno uomo, ossia alla decodificazionedella biologica «stele di Rosetta». Ma daquesti successi è nato un dogma: unDNA - un RNA - una proteina - un ef-fetto. Un dogma che è difficile da demo-lire e che ha trovato subito applicazionenel campo delle scienze del comporta-mento e della follia.

In psichiatria l'atteggiamento «geneti-co» ha preso piede già dalla fine del Set-tecento, frutto di osservazioni sulla di-stribuzione del comportamento anoma-lo in una stessa famiglia e nella sua di-scendenza: una genetica indiretta, cheha portato all'ipotesi dell'ereditarietàdel comportamento e della follia. Glistudi sulle famiglie sono facilmente cri-ticabili per la difficoltà di eliminare leinfluenze ambientali, e ciò anche in casidi adozione che, per quanto precoci, nonresistono all'obiezione di eventuali influ-enze persino durante l'ultimo periododella gravidanza.

L'analisi diretta del materiale geneti-co toglie ogni dubbio, oltre a costituirela specificazione più corretta in fattodi genetica comportamentale. Esistonomolti disturbi del comportamento inse-riti in patologie genetiche specifiche. Ti-pico è quello della fenilchetonuria in cuiil dogma sopra citato è pienamente com-provato. Il gene anomalo è sul cromoso-ma 12. Per questo difetto la sequenzanon porta alla sintesi di una proteina (unenzima) che, così, non idrossila la feni-lalanina a tirosina, con conseguente ac-cumulo di acido fenilpiruvico. Le carat-teristiche psichiatriche sono quelle diuna grave oligofrenia.

Un qualsiasi difetto genetico che com-porti un'alterazione del metabolismodella cellula, e quindi del neurone, siesprime in una oligofrenia che va vistacome risultato di una «agenesia metabo-lica», ossia di una aplasia di un elementocostitutivo cellulare dell'encefalo. Se in-fatti il comportamento dell'uomo non èriducibile, come abbiamo detto, ai sin-goli neuroni encefalici, è fuori di dubbioche non ne può prescindere, poiché sen-za cellule non si ha alcun comportamen-to e con cellule difettose anche l'archi-tettura di neuroni più complessa vienealterata.

La patologia di un gene è dunque sem-pre patologia di una molecola e del suometabolismo. Quando questa alterazio-ne ha riflessi sulla funzionalità, ogni cel-lula che contenga quel gene non funzio-na e il difetto riguarderà, come nella fe-nilchetonuria, ogni organo, incluso l'en-cefalo. Queste considerazioni non risol-vono, però, la complessità del rapportotra gene e comportamento.

Allo scopo di semplificare divideremoil comportamento secondo tre livelli diorganizzazione cui corrispondono trecorrelazioni genetiche di differente na-tura e significato; in questo modo potre-mo constatare come una genetica delcomportamento sia ancora tutta da co-struire e sia comunque lontana da ciòche finora la biologia molecolare è riu-scita a produrre. Nell'uomo c'è un com-portamento innato, ossia già organizzatoalla nascita e perfettamente funzionan-te. L'esempio più esplicativo è quellodella suzione. Il neonato è in grado diattaccarsi al seno materno e di succhiareil latte con una ritmicità che permette ungiusto sincronismo con la deglutizione.Nel processo sono implicati molti mu-scoli e complessi stimoli-risposte. Que-sto comportamento è determinato indi-pendentemente dall'ambiente, il qualerappresenta solamente l'occasione per-ché esso possa esercitarsi.

Di questo primo tipo di comporta-mento fanno parte azioni legate alla nu-trizione ma anche alla difesa, meccani-smi un tempo definiti istintuali e primariper la sopravvivenza. Il «riflesso di Mon-ro» è un esempio di coordinamento mo-torio di difesa e come è noto è presentefin dalla nascita. È probabile che anchealcune motivazioni come quelle imitati-ve siano innate (fin dai primi giorni ilbambino imita alcuni movimenti dellabocca materna). Per questi casi è possi-bile pensare a una genetica regolatoriadi tipo molecolare e ipotizzare che unoo più geni siano responsabili e sufficientialla messa in moto di quel comporta-mento. Sia pure in modo non semplice.la genetica attuale fornisce ipotesi sod-disfacenti per comportamenti di questotipo.

Vi sono poi i comportamenti per im-printing: in questo caso l'ambiente hauna funzione essenziale alla loro attua-zione. È necessario che l'uomo abbiauna esperienza in un preciso momento

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STABILIZZAZIONESELETTIVA

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La crescita del sistema nervoso centrale è caratterizzata dalla produzione di neuroni e dal-la loro connessione (sinapsi). L'illustrazione - tratta da un lavoro di Jean-Pierre Chan-geaux - evidenzia questo secondo aspetto e mostra come, all'iniziale abbondanza di sinapsi.segua un'eliminazione di quelle in soprannumero (in grigio). Tale selezione è guidata da-gli stimoli e dal loro ripetersi (rinforzo) che hanno una funzione di salvaguardia e distabilizzazione delle sinapsi; l'esperienza ha pertanto un ruolo determinante nella struttu-razione delle reti nerv ose da cui dipendono anche i comportamenti. Le linee con un pallinoterminale indicano i dendriti del neurone stimolante; il cerchietto con relativa linea rap-presenta il neurone che riceve l'informazione (effettore); i diversi colori dei cerchietti(neuroni) contraddistinguono la loro azione differenziata; il neurone in grigio è morto.

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EMISFERO SINISTRO EMISFERO DESTRO

Queste mappe encefaliche di distribuzione del fluoro 18 (2DG) sonostate ottenute con la tomografia a emissione di positroni (PET) inindividui sottoposti a due differenti prove mentali. La diversa in-tensità di colore indica il livello di metabolismo del glucosio. Sonoinoltre evidenziate le differenze tra i due emisferi. La prova verbale(in alto) consisteva nell'ascolto di una storia di Sherlock Holmes.La prova tonale (al centro e in basso) consisteva nella presentazione

di coppie di toni ciascuna contenente da tre a cinque frequenzediverse di identica intensità, durata e intervallo. Dopo una brevepausa il soggetto doveva identificare le differenze. La prova nonanalitica e quella analitica si riferiscono a due gruppi diversi: ilprimo musicalmente inesperto; il secondo capace di ascolto anali-tico di un processo musicale. Evidente la differenza di impegnocerebrale operativo nei due gruppi. (Da Yadin Dudai, modificato.)

TONALE (NON ANALITICA)

VERBALE

TONALE (ANALITICA)

evolutivo; senza di essa un certo tipodi comportamento non viene fissato equindi non si manifesta, dando luogo a«comportamenti da mancata fissazio-ne». L'ambiente in questi casi non ha unruolo passivo, ma diventa conditio sinequa non. Per trovare il correlato geneti-co di tali comportamenti è necessario ri-farsi a una genetica diversa da quella pri-ma descritta, una genetica delle disposi-zioni. Il messaggio che proviene dall'am-biente agisce su quello genetico organiz-zandolo e fissando un comportamentoche, da quel momento, si ripeterà con lestesse caratteristiche dei comportamentiinnati. In queste affermazioni apparen-temente semplici è insito un problemascientifico non risolto, quello cioè di co-me un messaggio esperienziale modifichil'attività (pur sempre di natura chimica)di uno o più geni. Una genetica di queicomportamenti che, da Konrad Lorenzin poi, sono diventati una realtà innega-bile e anzi sempre più ricca, una geneticadelle disposizioni è facile da denomina-re, ma difficile da descrivere in terminidi codici genetici e soprattutto in basealle conoscenze acquisite sinora dalla ge-netica molecolare.

Il terzo tipo di comportamento del-l'uomo è quello per apprendimento.Viene qui compresa tutta la gamma diattività che il singolo può acquisire nellasua esperienza, passibile di enormi va-riazioni. Se si trasferiscono in Europauomini che abbiano vissuto in villaggidella Nuova Guinea o dell'Africa centra-le senza o con solo scarsi contatti con ilmondo industrializzato, si potrà assiste-re a una trasformazione comportamen-tale enorme che viene raggiunta nel girodi pochi anni. Nell'esperienza di Marga-ret Mead questo salto, che avviene nel«mondo culturale» sovente e a tortoposto in antitesi al «mondo biologico»,è stato paragonato al passaggio dallaEtà del ferro all'Età di Manhattan. Peresemplificarlo si può ricorrere ai proces-si di memorizzazione (una tappa dell'ap-prendimento). Perché una nuova acqui-sizione sia utile deve essere ricordata eperché ciò avvenga è necessario che ildato esperienziale divenga «biologia»,cioè engramma encefalico. Senza ence-falo non è possibile apprendere e nem-meno ricordare. Si dispone ormai dimolti risultati (in primis quelli di Eric R.Kandel) a sostegno dell'esistenza di me-morie (a lungo o a breve termine) legatea una modificazione biochimica dellemembrane sinaptiche o a una vera e pro-pria strutturazione di circuiti neuronali«mnemonici». È anche essenziale che ilricordo possa passare a un RNA in gradodi riprodurre quelle molecole e di man-tenere quelle strutture che in terminibiologici sono il dato immagazzinato.Questa esigenza deriva dalla constata-zione che il ricordo può avere una per-sistenza molto più lunga del tempo dimetabolismo delle proteine a cui è affi-dato, proteine che devono dunque con-tinuamente rigenerarsi.

L'apprendimento è l'insieme di unaserie di operazioni biochimiche promos-se dall'input esperienziale e non da unaazione programmata nel codice geneti-co. In un certo senso, anzi, l'esperienzainduce una strutturazione encefalica laquale ha bisogno del materiale «geneti-co» per perdurare. Una acquisizione es-senziale in questo ambito è quella dellaplasticità dell'encefalo: sappiamo oggiche alcune aree encefaliche (i lobi pre--frontali per esempio) sono in continuastrutturazione in rapporto alle esperien-ze del singolo e persino ai suoi vissuti(esperienze pensate e non agite). In que-ste aree encefaliche si nota la produzionedi bottoni sinaptici, l'attivazione di cir-cuiti «spenti» o la loro formazione ex no-vo. È ormai definitivo il superamento diuna concezione che rappresentava l'en-cefalo come un cristallo deterministica-mente costruito da un complesso ma fa-tale orologio genetico. Il problema ora èquello di spiegare se e come le operazio-ni dell'encefalo plastico non determini-sticamente previste siano prive di con-trollo genetico. È certo difficile immagi-nare una parte della biologia «sfuggita»totalmente al gene, non fosse altro per-ché la non strutturazione o la plasticitàdi strutturazione deve essere genetica-mente possibile e dunque prevista.

Se una tale «previsione» esiste, qualisono i suoi gradi di libertà? Senza dubbiola genetica che conosciamo, già insuffi-ciente a spiegare i comportamenti perimprinting, e dunque le disposizioni, ap-pare inservibile. Ecco allora che si dif-fonde la tendenza a concretizzare me-taforicamente il linguaggio e si parladi «isomorfismo» fra comportamento esubstrato genetico, per indicare che co-munque sia un comportamento non puòessere tale da entrare in contrasto con ilprogramma genetico. Insomma, per ilmomento, questo tipo di genetica è cosìlontano da una spiegazione soddisfacen-te da potersi ipotizzare un deus ex ma-china che garantisca una «libertà» entroi limiti del determinato.

La correlazione tra genetica e com-portamento per apprendimento è anco-ra tutta da costruire e propone i temi diuna genetica inversa: dall'esperienza alcodice. La considerazione delle nuoveesigenze imposte da questo stato di coserelativizza (oseremmo quasi dire, ridico-lizza) tutte quelle ricerche che hanno te-so e tendono a ridurre un comportamen-to a un gene. È stata recentemente pro-posta l'esistenza di un gene per la de-pressione sul cromosoma 11 e di un geneper la schizofrenia sul cromosoma 5. El'esemplificazione di quel continuo saltoriduzionistico fra livelli di osservazione,di cui abbiamo parlato. La tentazione distabilire queste correlazioni è legata aquei difetti genetici (come la fenilcheto-nuria) che hanno espressioni anche psi-chiatriche di tipo oligofrenicò per man-cata o difettosa costituzione cellulare.Una patologia psichiatrica a sfondo de-generativo va invece posta su un piano

totalmente diverso da disturbi come laschizofrenia o la patologia d'ansia oquella dell'umore, per i quali esistonosolo ipotesi, e tutte non sufficiente-mente fondate, di una origine difettualeorganica.

Una biologia dell'esperienza

La follia (comportamentale) non èdunque riducibile alla «follia» del gene,o a quella molecolare; essa si situa nelcampo della biologia dell'apprendimen-to e quindi dell'encefalo plastico, in cuihanno enorme rilevanza l'ambiente e l'e-sperienza (l'essere «qui e ora» dei feno-menologi), al pari dell'encefalo, isomor-fo geneticamente, ma non deterministi-camente fissato. Le conoscenze sullaplasticità dell'encefalo permettono di af-fermare che ogni espressione dell'uomo,anche quelle ritenute mentali, rientranoin realtà nel campo della biologia, sonouna sua espressione, una sua metafora.Una idea innovatrice (espressione dellacreatività) è il risultato di una struttura-zione dell'encefalo che la rappresenta edi altre che la esprimono fino a comuni-carla. L'idea insomma è quella di un'or-ganizzazione cerebrale specifica: nuovase l'idea è nuova, ripetuta se quella strut-tura si era già precedentemente organiz-zata nell'encefalo plastico.

Analogamente, quando si parla di am-biente ci si riferisce a qualche cosa diextra-encefalico; ma nel momento in cuiesso diventa esperienza, il vissuto am-bientale si fa biologia in quanto agiscesull'encefalo plastico che si ristruttura infunzione di quell'incontro attivo. L'e-ventuale difficoltà a capire questo puntodi vista si lega a una concezione staticache presuppone un encefalo totalmentestaccato da un ambiente altrettanto uni-co e separato. In realtà l'encefalo si mo-difica costantemente in rapporto a unambiente percepito e vissuto (esperien-za) in diversi suoi aspetti. È dunque unembricarsi continuo, dove l'ambiente«diventa» encefalo, ovvero lascia la suaimpronta su di esso ristrutturandolo.

Si delinea così una biologia dell'ap-prendimento, ossia del nuovo e dell'im-prevedibile, una biologia persino dellacreatività. In effetti questo tema non ènuovo, ha una storia e ampi dibattiti allespalle; in questa storia si può inserire,per esempio, la scuola positivistica ita-liana e in particolare la concezione diCesare Lombroso sulla follia e sulla ge-nialità. La posizione contemporanea ètuttavia nuova poiché ha il proprio fon-damento in una plasticità encefalica cheè mutevole e in un rapporto con la gene-tica che non ha nulla da condividere conil determinismo. Si lega semmai, e puòsembrare un paradosso, a una biologiadel non-determinato.

Il problema, lo ripetiamo, non è la ne-gazione di un controllo genetico, ma lanecessità di una genetica che renda pos-sibile il grado di indeterminazione pro-prio dell'encefalo plastico che consen-

te l'apprendimento. L'affermazione chenon vi è nulla al di fuori della geneticapuò essere ancora accettata, ma dando aquest'ultima un significato che va moltooltre le attuali concezioni della geneticamolecolare. Propri della follia sono qua-dri comportamentali che hanno una fre-quenza e delle caratteristiche che per-mettono di riconoscerli al di là degliaspetti individuali. Non solo, ma talischemi sono presenti in nuce nel com-portamento dominante (la norma).

L'ossessività è uno di questi quadri edè caratterizzata da una rigidità compor-tamentale che limita la «normale» flessi-bilità. Si può giungere a casi in cui è con-tinuamente ripetuto un unico gesto eformulato un unico pensiero. Spunti ditipo ossessivo sono però presenti nellacosiddetta normalità, esprimendo dun-

que un paradigma comportamentale chenell'ossessivo diventa esclusivo. La pau-ra della contaminazione porta l'ossessi-vo a rallentare il movimento fino allaimmobilità che si esprime solo in prati-che di purificazione, la cui formulazionepiù semplice è il lavaggio continuo dellemani. Se questa liturgia non viene segui-ta, il soggetto è colto da un'angoscia chegli fa percepire la fine. Di qui la ripeti-zione del gesto capace magicamente diridare la vita, per poi subito avvertirnedi nuovo la fine. Il pensiero automatica-mente corre dalla paura della contami-nazione al bisogno di purificarsi.

Il caso della ossessività è paradigmati-co poiché mette in luce un meccanismoche ha i caratteri della robotica, dellanecessità, del determinismo. Eppure es-so si realizza progressivamente in un

processo di apprendimento che, a manoa mano, elimina altri tipi di percezione edi risposta per stabilizzare questo tipo dicomportamento, che alla fine diventa lasola modalità di rapporto con il mondo.Questo percorso di fissazione biologicasi manifesta con differenti forme di gra-dualità, ma conduce allo stesso quadro.L'ossessività si lega dunque al rappor-to encefalo-ambiente e conduce a unastrutturazione encefalica fissata mecca-nicamente tanto da ricordare modalitàcomportamentali innate. Questo quadrocomportamentale è però acquisito anchese è inserito in una cornice fortementelimitante.

Antropologicamente si possono ipo-tizzare epoche in cui comportamenti diquesto tipo possono avere avuto il ruolodella «norma». È interessante notare co-

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A proposito di questa tavola, che compare nell'opera di Vincenzio Chiarugi Della pazziain genere, e in specie del 1793, l'autore stesso, considerato il primo psichiatra italiano,commentava «... allorché si riscontra nei Maniaci un furore intollerabile, una proterviamaliziosa, una repugnanza indomabile a giacere nel letto... o finalmente si vedono attentarecontro di se stessi, son posti giacenti nel letto, ma colle spalle, e capo molto elevato, e quivison legati per le braccia, gambe, e spalle per mezzo di fascie di panno di bambagiaraddoppiato e impuntito... . Ve ne vogliono ordinariamente quattro per Maniaco.»

me ogni liturgia religiosa attivi lo schemacomportamentale proprio dall'ossessivi-tà. E pertanto giustificata la tendenzaricorrente in psichiatria di presentare iquadri psichiatrici come visioni del mon-do, cioè come sistemi comportamentalicoerenti (con una propria «logica»), tuttiin grado di permettere l'esistenza. Sonoquesti schemi comportamentali che unagenetica totalmente nuova dovrà cercaredi spiegare. La follia, insomma, è dentrola genetica, ma lontana dalla geneticamolecolare e deterministica. Il singoloindividuo, per quanto originale, è rico-noscibile come uomo ed esibisce uncomportamento che ha le caratteristichedi uno o più schemi comportamentalipropri della specie.

Anche la creatività non va intesa comeillimitata possibilità di inventare tutto eil contrario di tutto; pure essa rientradentro quelle cornici che la limitano: èun'inventiva entro confini stabiliti, tantoche riguardando alla storia creativa del-l'uomo ci si rende conto di una sua stra-ordinaria ripetitività. Spesso creare e-quivale a ripetere in epoche differentiuna vecchia innovazione.

I farmaci per la follia

Se una molecola esogena sommini-strata a un folle è in grado di modificarneil comportamento, è legittimo ipotizzareche la follia stessa sia legata a mole-cole endogene sulle quali in questo mo-

do si interferisce. Una controprova de-riva dalla somministrazione di molecoleesogene a soggetti sani con il risultato dimodificarne il comportamento in sensopatologico: in questo caso la molecolaproduce follia. Queste due circostanzehanno una lunga storia nella psicofarma-cologia e hanno dato origine ai due im-portanti capitoli della «terapia della fol-lia» e delle «psicosi sperimentali» o «psi-cosi da farmaco».

Il termine terapia è rimasto ambiguo:se è riferito (come è abitudine nella tra-dizione medica) alla causa o alle causedella follia, è errato; se viene invece ri-ferito a una modificazione del compor-tamento ritenuta socialmente utile, iltermine è corretto. Non vi è dubbio cheesistono farmaci in grado di modificareil comportamento, farmaci capaci cioè didare sedazione, stimolazione d'umore,controllo dell'ansia. Il problema è comequesta modificazione viene raggiunta.

Un momento di straordinaria modifi-cazione di ciò che si intende per follia ècoinciso con la scoperta dei butirrofe-noni e della loro azione molecolare spe-cifica sui recettori della dopammina (inparticolare su quelli che successivamen-te sono stati chiamati D 2). Dal momentoche i butirrofenoni modificano visibil-mente le espressioni della follia (peresempio quelle schizofreniche) e poichési è notata un'azione di blocco sui recet-tori per la dopammina, venne subito sta-bilita una correlazione tra risultato clini-

co e biologia encefalica. È nata così unaipotesi dopamminergica della schizofre-nia che, sia pure con alterni momenti diauge, è tuttora sostenuta. Nella sua piùsemplice espressione essa asserisce chela schizofrenia sarebbe causata da unaiperattività dei recettori dopamminergi-ci, la cui stimolazione dà le manifesta-zioni produttive (i sintomi positivi) delmale.

Uscendo dallo specifico campo dellaschizofrenia scopriamo però che è stataproposta un'ipotesi dopamminergica an-che per l'ansia e per la genesi della ma-niacalità. Il riferimento a uno dei neuro-modulatori noti spiegherebbe quadri cli-nici ritenuti distinti e non sovrapponibili,vanificando il significato che a questi ter-mini dà il clinico.

Ma vi è un'altra tappa significativanella storia delle modificazioni farmaco-logiche della follia: è la scoperta che ladepressione indotta dalla reserpina si ac-compagna a una diminuita funzionalitàdella serotonina. Nasce, così, l'ipotesiserotoninergica della depressione che siallarga fino a un modello molecolare delsuicidio e persino dell'insonnia tipica deldepresso. Somministrando l'iproniazide(un inibitore delle monoamminossidasi)si aumenta la disponibilità di questo me-diatore nelle sinapsi e si ottiene un effet-to antidepressivo. Il legame tra molecolee follia sembra sostanziale e nel 1954 l'in-troduzione della iproniazide ha un effet-to da miracolo. Recentemente si è sco-perto che farmaci attivi sui recettori del-la serotonina mostrano in realtà effettiinteressanti anche per la cura dell'ansiae della schizofrenia. Ancora una voltaquadri clinicamente non comunicanti eparadigmi distinti della semeiologia ven-gono ridotti e vanificati dall'azione dellaserotonina. Va detto che gli effetti rife-riti sono stati nel frattempo distinti poi-ché collegati a sottoclassi di recettori del-la serotonina (di cui si conosce finora il5HTIA , il 5HT 1B , il 5HT 1c e il 5HT ID ; il5HT2 , il 5HT3 e il 5HT4). Comparandole ipotesi centrate sulla dopammina equelle sulla serotonina si potrebbe pen-sare che si tratti di nomi differenti percomportamenti identici, poiché le pato-logie riferite alla dopammina sono lestesse di quelle riferite alla serotonina.Il problema si complica se si considerache per l'ansia, oltre a quelle fondatesulla serotonina e sulla dopammina, vi èanche una ipotesi GABAergica e che ilGABA è un neuromediatore inibitorioche dipende dalla serotonina. Di fatto, aciascuno dei circa 50 neuromodulatorinoti si potrebbero riferire le cause dellepatologie comportamentali già correlatea dopammina, serotonina o GABA; sitratta infatti di sistemi di base del funzio-namento encefalico e, proprio per que-sto, di sistemi diffusi, comuni a un'ele-vata percentuale di neuroni e di struttureda essi formate. Una modificazione diquesti sistemi condurrà a modificazionicomportamentali diversissime. Ciò è no-to fin dall'introduzione della clorpro-

mazina, con la quale si ottenevano effet-ti desiderati (come la sedazione), ma an-che indesiderati (come disturbi extrapi-ramidali, crisi neurodislettiche a voltemortali o discinesie tardive).

Anche la malattia di Parkinson è statacorrelata al sistema dopamminergico. Inpiù, si è ritenuto che la stessa attività delcalcio a livello cellulare possedesse le ca-ratteristiche di mediatore del trasferi-mento di informazioni; si conoscono pe-rò circa 250 proteine diverse in grado dilegare il calcio e quindi di essere coinvol-te nel meccanismo della trasmissionecellulare.

Insomma l'azione dei farmaci è direttaad attività di base che regolano la fun-zione dei singoli neuroni e della trasmis-sione di segnali dall'uno all'altro. E laconclusione non sarebbe diversa se il far-maco per la follia agisse, per esempio,sul meccanismo dei processi ossidativicellulari, dai quali ovviamente dipendeogni attività che emerge dal sistema ner-voso centrale. Abbiamo avuto modo disottolineare come alcuni comportamentidell'uomo non siano molecolari o cellu-lari bensì dipendano dalla combinazionee dall'architettura di più neuroni.

In questi anni si è assistito alla scoper-ta di molti mediatori e di molti meccani-smi che si attivano in dipendenza dellaloro azione: una intricata mappa di mo-lecole che talora viene costretta in veri epropri schemi deliranti, tesi a forzare ilrapporto tra il punto di vista molecolaree quello, lontanissimo, della fenomeno-logia comportamentale e della clinica.

Risulta evidente a questo punto il li-mite metodologico dovuto ai salti fra li-velli di osservazione. I farmaci per la fol-lia sono indubbiamente attivi: essi mo-dificano in modo specifico ogni espres-sione del comportamento (e quindi an-che quelle ritenute patologiche) perchéagiscono su meccanismi cellulari di base.E non c'è dubbio che se rompiamo i dio-di di un televisore o togliamo la correntenon percepiremo alcuna immagine. Il li-mite di una psicofarmacologia che abbiacome riferimento la biologia molecolareè di poter scoprire solo farmaci attivisu molecole e neuroni, cioè sugli ele-menti di partenza di quella configurazio-ne strutturalmente assai complessa chedefinisce l'encefalo, con il quale soltantoè giustificato stabilire correlazioni com-portamentali e cliniche. A questo livelloanzi le specificazioni comportamentalisono metafore dell'organizzazione ence-falica che si è stabilita nel continuorapporto con l'ambiente esterno e conl'esperienza.

Le «psicosi da farmaco», ammessoche sia giustificato questo termine, nonhanno nulla a che fare con le «psico-si spontanee». Nonostante l'entusiasmonato con K. Beringer nel 1927 e la cor-relazione da lui stabilita tra effetti dellamescalina e schizofrenia, progressiva-mente si sono evidenziate differenzesempre più notevolie fra queste espres-sioni comportamentali. Quando Albert

Hofmann sperimentò casualmente l'ef-fetto dell'LSD 25 , un derivato dell'acidolisergico che interferisce con il metabo-lismo della serotonina, l'associazione traschizofrenia, psicosi da LSD25 e mecca-nismo serotoninergico acquistò ancorpiù forza.

Vi fu un periodo in cui gli psichiatriassumevano personalmente droghe conla convinzione che questa fosse la manie-ra più diretta e più scientifica per analiz-zare e capire la patologia psichiatrica:una sorta di valutazione diretta dellaschizofrenia. Quando gli entusiasmi ven-nero sostituiti da studi controllati e dametodologie più rigorose, si notò innan-zitutto che l'effetto di queste sostanzevaria a seconda del soggetto e delle ca-ratteristiche della sua personalità, e cheinoltre l'azione si esplica in funzione de-gli stimoli percettivi cui il soggetto è sot-toposto durante la prova, e può quindiannullarsi totalmente in caso di depriva-zione sensoriale.

Questo grande capitolo della psichia-tria sperimentale ha un significato ana-logo a quello esplicitato per il caso deifarmaci psichiatrici e serve a sottolineareil ruolo dei meccanismi elementari (mo-lecolari o cellulari) nella organizzazioneprogressivamente più ricca dei differentilivelli di integrazione encefalica. Analo-gamente, i quadri indotti sono fra lorosimili e non è possibile sul piano psi-chiatrico (e quindi puramente compor-tamentale) distinguere una psicosi daamfetamina da una da cocaina o da me-scalina. Si osserva il dato clinico di unaaccelerazione di espressioni, come se isistemi di base del funzionamento cellu-lare seguissero un metabolismo così ra-pido da superare i turnover abituali. Leespressioni di uno schizofrenico, sia pureviste con l'ottica di Eugen Bleuler (auti-smo negativismo, anaffettività), nonsono nemmeno adombrate nelle psico-si psicodislettiche, le quali presentanosemmai alcuni sintomi che Bleuler rite-neva secondari, non essenziali e dunqueinsufficienti per una diagnosi clinica dischizofrenia.

Una nuova visione delle neuroscienzeper la vecchia follia

La follia appartiene al campo delleespressioni comportamentali che nasco-no dai più elevati livelli di integrazionedella struttura encefalica e non dai sem-plici elementi cellulari, che certamentela condizionano ma non la esauriscono.La follia è parte dell'encefalo plastico edè quindi legata alle caratteristiche biolo-giche che consentono la continua intera-zione fra questa parte del cervello e l'am-biente vissuto dal singolo. È pertanto unrisultato biologico, ma di quella biologiadell'apprendimento che se non può es-sere totalmente staccata dal corredo ge-netico, certamente non si esaurisce nellagenetica molecolare, troppo angusta percomprendere un encefalo non struttura-to, ma in grado di organizzarsi sulla base

dell'esperienza. Senza dubbio, questacapacità di organizzazione non è illimi-tata e si svolge all'interno delle possibi-lità offerte dall'isomorfismo, a cui puresi legano le sindromi psichiatriche. Inquesto senso la psichiatria analizza orga-nizzazioni encefaliche corrispondenti adifferenti visioni del mondo e ai conse-guenti comportamenti.

I comportamenti schizofrenico, ma-niacale e depressivo sono modalità diesistenza differenti da quella statistica-mente predominante, la quale a sua vol-ta include, sia pure in misura e con dina-miche variabili, alcune delle espressionicomportamentali che diventano domi-nanti nelle fenomenologie psichiatrichee nei loro quadri clinici. Il rapporto traneuroscienze e follia è dunque da un latoessenziale poiché la follia è biologia, siapure biologia dei sistemi, dell'encefalocome unità alla quale legare comporta-menti come quelli coscienti. E la co-scienza che caratterizza l'uomo non èrinvenibile né in una cellula né in unasinapsi.

Le neuroscienze sono dunque attual-mente lontanissime dalla follia e, per co-prire questa distanza, prima ancora deldatum, è necessario adottare una nuovametodologia. Insistere nel volere inter-pretare la follia con i parametri della bio-logia molecolare o cellulare equivale acomportarsi come quell'ubriaco che, dinotte, cerca il portafoglio che ha perdutoaltrove entro il cono di luce disegnato daun lampione solamente perché tutto in-torno è buio.

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