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Periodico d’informazione culturale a cura della Biblioteca Lercari Quaderno n. 31 – Settembre 2017 Tema: LA FOLLIA Municipio Genova Bassa Valbisagno Biblioteca G. L. LERCARI Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova Email: [email protected]

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Page 1: Tema: LA FOLLIA · La follia è fatta di scelte discusse, di prove, di tentativi: ma la follia è anche la distorsione della realtà, forse proprio perché non di nostro gradimento

Periodico d’informazione culturale

a cura della Biblioteca Lercari

Quaderno n. 31 – Settembre 2017 Tema: LA FOLLIA

Municipio Genova Bassa Valbisagno

Biblioteca G. L. LERCARI Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova Email: [email protected]

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Folle prefazione (di Elisabetta Baldassari)

Amici lettori,

nella vita di ogni giorno viviamo follie collettive e personali; ma veramente folle è colui che vive un’altra dimensione e che può scandagliare le luci e le ombre dell’anima. Simile al prigioniero evaso della caverna platonica, egli intravede la vera realtà sotto le apparenze e le convenzioni sociali. Proprio con la rottura di questi vincoli si apre uno spiraglio alla libertà, alla libertà creatrice.

In questo quaderno ci concediamo un tuffo nella follia!

Come i giullari di corte che profferivano verità pur velandole dietro l'assurdo, così diamo espressione al nostro sensato “elogio alla follia” e ci predisponiamo al suo ascolto.

Ed ecco quel che ci ha detto:

”Che la Vostra lettura sia lucidamente folle”!

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SUSANNA SQUELLERIO

Follie

Voglio parlarvi di un fatto avvenuto in questi giorni: il terrore collettivo di piazza San Carlo a Torino. Sappiamo quali siano state le conseguenze di questo insano gesto. 1527 feriti e la morte di Erika Pioletti. Ma cosa è accaduto? Quali siano le ragioni di questo atto collettivo di follia? Un rumore di esplosione. Gli inquirenti hanno ipotizzato fosse dovuto ad un petardo, sparato troppo vicino, altri pensano sia stato il rombo di un motore nel parcheggio sotterraneo, altri ancora, ad un attentato. La paura ha pervaso tutti quelli che hanno udito il rumore e, quelli che, hanno visto il fiume di persone in piena scaraventarsigli addosso. Follia di gruppo? Sarebbe giustificata. Ogni giorno, da diversi anni, leggiamo sui giornali quali siano gli effetti degli attentati terroristici. Quelli non lasciano scampo. Centinaia e centinaia di bimbi, donne, innocenti svaniti nel nulla. Siamo tutti consapevoli. Ai terroristi piacciono le riunioni. Più gente partecipa, più felici si è meglio riuscirà l’eccidio. A casa nostra, Isis, non ha ancora colpito. Ma sappiamo accadrà. Il livello di allerta è sufficientemente alto e non dovrebbe farci sentire al sicuro durante riunioni così affollate. Nonostante ciò, non abbiamo saputo proteggerci.

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È bastato un appuntamento come “Champions League” e una squadra italiana alla sua finale, per illuderci di essere invincibili. Eppure lo sappiamo, basta poco per morire. Lo sanno anche le organizzazioni comunali ma, in quell’occasione hanno preferito “chiudere un occhio”. Nessun controllo, nessuna restrizione. Come vogliamo chiamare quella voglia sconsiderata di partecipare ad un assembramento? Come vogliamo chiamare la totale inadeguatezza dei sistemi di sicurezza? Io le chiamo follie. 19 giugno 2017

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ENRICA VACCA

Follia Chi è il folle? Colui il quale si mostra diverso, eccentrico? È la diversità a rendere folli? Chi non conosciamo ci spaventa, è forse il mistero la follia? O forse, è folle chi insegue i propri sogni e persevera nei suoi obiettivi? La follia è negli occhi di chi guarda e quindi la follia è una questione oggettiva? Parlando di follia ricordo quando lavoravo come infermiera in una casa di cura psichiatrica e lì ebbi modo di conoscere quella triste realtà. Ognuno ogni giorno, vive la propria vita, segue i propri ritmi: è forse folle tentare di vivere un’esistenza tranquilla? O è folle chi, costantemente, è alla ricerca di nuove emozioni e nuove esperienze? La follia è fatta di scelte discusse, di prove, di tentativi: ma la follia è anche la distorsione della realtà, forse proprio perché non di nostro gradimento. Come diceva Proust “Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tenere viva in noi qualche piccola follia”.

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GIUSEPPE GUCCIONE La follia

Gli uomini avevano imparato a non muoversi più. Si erano risolti i problemi relativi alla dislocazione delle persone. Lo stesso individuo poteva essere fisicamente presente in due o cento posti contemporaneamente. C'erano a disposizione dei delegati per ciascuna occasione, anche quando gli esseri umani dovevano unirsi in matrimonio inviavano per l'occasione un cyber-clone. Anche chi officiava la cerimonia, il così detto vecchio sacerdote, inviava un sostituto. Erano detti «solidi» probabilmente perché indistruttibili e tanto conformi agli originali da non essere assolutamente distinguibili. Anche i tic erano stati riportati dagli originali ai sostituti. La delega era totale. Era stata attuata una procedura mensile per attestare la conformità continuativa e il costante contatto. In un mondo così evoluto tutto era sempre a posto. Un omaggio all’evoluzione. La riunione si teneva in un salone di una biblioteca comunale, l'associazione prevedeva la partecipazione volontaria di poeti e scrittori. Quei cloni erano stati programmati per avere estrema libertà di pensiero, fantasia super sviluppata e non avevano nessun argomento programmato per la seduta, solo una parola guida sarebbe stata la linea oggetto e il tema della loro riunione. In quella seduta il tema generico era «la follia». Problemi psichici, mentali avrebbero dovuto, in quel tempo, essere del tutto superati ma alla fine della riunione i Police

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cyber-cloni reperirono solo miseri resti dei delegati come se ci fosse stato solo un vento di follia.

Da dove cominciare? Come se qualcosa fosse stata mai portata a termine! Attacchi la spina per dare energia. Da dove iniziare? Da destra? Da sinistra? Avanti? Indietro? Provi un'emozione enorme, come se fosse la prima volta. Spero che qualcuno mi disturbi, non so da dove iniziare. Dio non perdona gli indecisi. Attracca se c’è da attraccare, salpa se c’è da salpare. Ma dove andare? Da dove cominciare? L'uomo perso nella sua incapacità si finge una meta per potersi guardare allo specchio senza offesa. Interrogai l'uomo che sapeva tutto. Mi disse che bisogna guardare alle proprie radici. Non sapevo cosa intendesse. Proseguì: “Nella vita bisogna fare cose folli come succede ai bambini che spesso sono imprevedibili. Non occorre star lì a ragionare tanto, si rischia la monotonia. È bene stupire e stupire anche se stessi. Vivere una settimana nella normalità è come vivere una vita ripetitiva, alla fine viene a noia e provoca solo stress. La vita non è un film in cui la strada è già segnata dallo sceneggiatore, occorre inventarla senza pensare di dover prendere sempre decisioni importanti. L'universo non dipende da noi e l'alba torna ogni giorno anche senza di noi.” Alla fine concludeva: “Se sei incerto, fai la cosa giusta! Non fare nulla.” Mi sembra divertente questa storia.

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È una strana maniera quella di risolvere un dubbio tormentoso che opprime l’anima! Là dove manca la spinta decisionale basta accarezzare l’idea di non far nulla. Progetti per il futuro? Un nobile programma, un disegno che elimina qualsiasi dubbio: non prendere nessuna iniziativa! La formalizzazione costante di tutti i contenuti che ci vengono serviti giornalmente a tutti i livelli sia pubblicitari che di intrattenimento fa apprezzare la semplicità del non far nulla.

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RENATO DE LUCA Follia “L’inesplicabile senso degli altri ha detto di me: FOLLE.” Andava come spia, fragile di passo e annotava a tratti qualcosa elucubrato dal suo visto; si vedeva a volte scendere in spiaggia, sul lato dove la roccia separa le due anse del golfo. Guardava le brevi onde a risciacquo quasi tenesse il conto dell’avvicendarsi delle frequenze, confrontandole con la rigida intransigenza dell’orologio. Un giorno era intento all’osservazione di due bambini e di un gioco di sabbia; lo zio d’uno di loro ogni tanto apportava un ritocco: era un solito castello e venne completato di fossato, mentre l’acqua dei secchielli veniva immancabilmente assorbita dalla sabbia. Lui aveva smesso di contare le onde, da un cespuglio aveva raccolto fogliette lanceolate ed infilatele con stecchi, aveva prodotto bandierine per le torri e ricevutone il grazie, dichiarò che volendo avrebbero potuto abbellirlo, magari donandogli una merlatura a forma ghibellina. Quando il tutto fu terminato ed era ormai della compagine, disse di aiutarlo se ancora gli fosse riuscita una composizione di sabbia su quell’arrocco di scogli, come aveva imparato da ragazzo a sua volta; prese la sabbia, la dosò pazientemente con acqua ed esagerò nelle riprove per averne la giusta consistenza, poi iniziò la magia: forse era anche lo scoglio modellato in quel modo, piatto e leggermente scosceso inerpicandosi poi in bitorzi ed aggroppi e lui con in mano piccole quantità dell’impasto le faceva cadere o meglio scivolare a gocce appilandole e combinandole in forma d’alberi, piccoli animali, una chiesetta con campanile e gradinata e fedeli accedenti: stava creando un ambiente di montagna con bosco ed un borgo.

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Erano le mani di un mago senza bacchetta, ma con la grazia di un poeta modellava nature come in sogno di favola. I bagnanti, ad uno, a due, a tre s’erano alzati dai loro asciugamani e stavano a semicerchio curiosi e smaliziati, ma zitti dietro all’inusuale architetto che ogni quando pescava dai secchielli in mano ai due bambini un continuando di magico fluido, dosandolo come per incantesimo e forse anche lui s’era trasfigurato, perché girandosi alla fine, spaventandosi della folla era scappato. Qualcuno disse che lo conosceva e che a volte stava sotto la pioggia a lasciarsi bagnare e le parlava sorridendo, facendosela cadere sul viso a volte invece l’acqua la carezzava nell’invaso della fontana, quasi che di quel bene liquido se ne fosse innamorato. Adesso rimanevano soltanto due attese, o smarrimenti: uno dei grandi, di meraviglia simulata, mentre ai bambini a cui era svanito il magico coetaneo ma solo più cresciuto, continuavano fantasticati ed in ginocchio ad ammirare quel susseguirsi di abitato, di cipressi che avvolgevano l’arroccato borgo-presepe: e però qualcosa s’intuiva tralasciato, come se al quasi finito dovesse seguire un ordine o schiocco di dita in risveglio a quella piccola umanità in scala ridotta ed in attesa: forse qualcuno pensò che bastasse solo un cenno di scampanellio dall’esiguo campanile, ma ormai la magia era fuggita con lui; girandosi alla folla dei grandi, aveva visto che gli adulti, da troppo erano usciti dai giochi e dai sogni. Aprile 2017

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MARCO MARZAGALLI La folle notte del dottor Gerolamo Scipioni Il dottor Gerolamo Scipioni era il medico condotto di un paese arroccato sui monti. Una località abitata da poche anime che affidavano il loro stato di salute all’esperienza e alla competenza medica e sanitaria del bonario individuo. Lui che proveniva da una grande città si era ben adattato ai ritmi più blandi della vita montana. Quest’uomo, per ovvie ragioni, era amato e rispettato da tutti. La popolazione godeva generalmente di buona salute, ma se a qualcuno capitava di andare al creatore l’evento era perlopiù determinato da imprevedibili e alquanto rari incidenti nei campi o in altri ristretti ambiti di lavoro. Nel caso di anziani che si aggravassero improvvisamente, nei parenti o nei conoscenti sorgeva spontanea una sorta di rassegnazione che avrebbe mitigato il malaugurato distacco. I malanni che affliggevano gli abitanti erano in larga parte dovuti a disturbi alimentari causati da una dieta ricca di grassi. Insomma, quasi tutti erano dei gran mangiatori e amavano la buona cucina. Carni ovine e bovine venivano consumate in gran quantità. La produzione locale di burro era un vanto della comunità. Non c’era perciò nulla di strano se le specialissime cure del dottor Gerolamo Scipioni riguardassero in particolar modo la gotta o la renella. Tra le donne, per altrettante valide ragioni legate ai doveri casalinghi, imperava il ginocchio della lavandaia che il medico curava con semplici impacchi ghiacciati. Con l’aria sana di montagna di cui si godeva, non si ricordavano a memoria d’uomo casi di malattie respiratorie. Di disturbi della sfera sessuale neanche a parlarne tanto erano riservati gli abitanti e propensi a risolvere le cose da sé, a

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mantenere un assoluto riserbo, semmai a porre la questione nel segreto del confessionale, al cospetto di Dio. Certo il dottore doveva pur far nascere i bambini, ma per questo si avvaleva di un’ottima ostetrica alla quale demandava la maggior parte del lavoro. Solo in rarissimi casi si ricorreva all’ospedale di città affidandosi al trasporto d’urgenza con l’ambulanza della croce rossa locale. I rimedi usati nella maggior parte delle situazioni erano pari a quelli della nonna: un po’ di sano riposo e, qualora comparisse un innalzamento della temperatura corporea, un po’ di aspirina sembrava l’unico vero toccasana. La professione di Gerolamo Scipioni pareva di tutto agio, non gli impediva di trascorrere le sue serate in compagnia degli amici, tra un bicchiere di vino e una partita a scopa. Una governante si occupava delle faccende domestiche e, qualora lui non si avvalesse delle trattorie di paese, lei sapeva preparargli degli spuntini che, se non proprio sfiziosi, adempievano perfettamente alle necessità assicurandogli un discreto senso di sazietà. Il dottor Gerolamo Scipioni non si era mai sposato, adducendo il fatto di non essere mai riuscito a trovare l’anima gemella. Eppure di gente ne aveva incontrata! Forse riteneva quelle persone troppo semplici, non adatte al suo modo di concepire la vita. Non che cercasse una donna più raffinata o d’alto lignaggio. Per lui, d’animo cittadino, proveniente dalla metropoli, paradossalmente sembrava ancor più valere il detto “moglie e buoi dei paesi tuoi”. Aveva bisogno di una donna emancipata, al passo coi tempi. Questa opportunità poteva capitargli solo durante le rare occasioni in cui si recava in città anche se, in tali frangenti, le faccende burocratiche o i corsi di aggiornamento cui doveva partecipare occupavano la maggior parte del suo tempo impedendogli di fare incontri appropriati.

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L’occasione buona sembrò arrivare allorché un vecchio amico della sua città, un apprezzato uomo d’affari e noto giramondo, gli propose di trascorrere qualche giorno di vacanza a Parigi, la Ville Lumière. Lui se la cavava bene col francese e avrebbe avuto modo di dimostrarlo conversando amabilmente con qualche mademoiselle del luogo. Sfortuna volle che le parigine si mostrassero alquanto altezzose, difficilmente abbordabili e per niente interessate alle sue avance. Così non rimase altro che lasciarsi sedurre dalle tentazioni della vita notturna che era piuttosto fervida in quel di Pigalle. In questo quartiere di locali del vizio, qualcuno si ostina ancora a chiamarli così, di tentazioni ve ne erano a bizzeffe: non c’era che l’imbarazzo della scelta. Così i due amici decisero di procedere con una specie di tour, entrando un po’ a caso, in un locale dopo l’altro. Gli spettacoli offerti, benché simili, si distinguevano per qualche particolare curioso, l’ambientazione scenica, i giochi di luci, il sottofondo musicale, i costumi che via via venivano sfilati e che in tal modo rendevano stereotipate le performance dei numerosi interpreti. Il dottor Gerolamo Scipioni era particolarmente attratto per deformazione professionale dagli aspetti anatomici delle valenti ballerine. Con una punta di eufemismo diremo che le sue esclamazioni risuonavano pressappoco così: “Oh che bei lombi!... e le mammelle! Che glutei possenti! Un ventre degno di Salomè!” Ma quelle donne erano pure delle creature eteree, sinuose e avvenenti, ai suoi occhi apparivano come delle dee o delle ninfe, procaci e voluttuose, suscitando in lui un senso di sbigottito rapimento. “Queste sono le femmine che fanno per me!”, pareva ripetersi il buon dottore. Intanto, tra un numero e l’altro di quel varietà, giungevano al tavolo nuove ordinazioni che, man mano che il tempo passava,

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abbassavano il suo livello d’attenzione e prosciugavano il suo portafoglio. Avrebbe forse voluto tastare il polso di quelle creature, auscultare i battiti cardiaci, saggiare i riflessi come solo un medico sa fare. Invece, saranno state le bollicine, il vin moussant, o qualche superalcolico di troppo, tutto d’un colpo il flemmatico dottore si trasformò in uno scatenato esibizionista. Rapido come un fulmine era balzato sul palco. Sfilatisi i calzoni, aveva preso a braccetto due allibite ballerine e si era lanciato in uno sfrenato can-can. Benché la sorveglianza fosse intervenuta tempestivamente trascinando in malo modo l’intrepido artista dietro le quinte, dopo un attimo di imbarazzo il pubblico sembrò apprezzare il fuori programma abbandonandosi a un fragoroso applauso. La mattina seguente, il buon dottore non ebbe modo di ricordare l’accaduto. Forse durante la notte non perse l’occasione di farsi confortare da quelle amabili signorine e quando tornò al paese, le sue disavventure furono raccontate agli amici come quelle di un autentico gigolò. Molti giovani vollero emulare le gesta dell’indomito dottore. Destino volle però che lo stato di salute di quella comunità di montagna venisse a tal punto intaccata. Ben presto si diffusero in paese delle patologie dai segni inequivocabili, le cosiddette malattie veneree tanto deprecate dalla moralità imperante. Insomma chi avrebbe dovuto badare al benessere di quel tranquillo paese, ne causò la rovina.

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GIUSEPPINA SORBELLO Follia Vorrei vivere in un mondo capovolto per acchiappar la luna come Astolfo che là di Orlando innamorato il senno ritrovò. Novella Alice, dall’altra parte dello specchio, cammino sulle mani, rido e non piango mai, cullo sogni infantili, rincorro palloncini colorati fluttuanti tra nuvole di zucchero. Fai il folle sottovoce, non dirlo a nessuno, applica l’arte del silenzio. Così cornacchie invidiose starnazzano al mio orecchio e vogliono impedirmi di volare. Ma io amo lo spazio e allargo le braccia come ali e sono uccello che migra nei paesi del sole e sono vento che ha voce profonda tra le gole e sono pioggia che nutre la terra riarsa e sono tuono che squarcia assordante la notte e sveglia questo mio folle sogno. Settembre 2016

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LUCIA TENCAIOLI

Festa d’autunno Vibra nell’aria, con le gocce d’oro delle sue foglie, il larice d’autunno mentre la neve in vetta alle montagne si confonde con riccioli di nuvole. Ebbrezza di colori: lo smeraldo palpita ancora ai rami del castagno e la ruggine invade i tralci al sole. Eleganza di tinte nella festa che precede il rancore dell'inverno.

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PAOLA CARROLI CALCAGNO

Il mistero di Sardorella 2. (continua dal numero precedente)

L’idea di costruire una ferrovia che mettesse in comunicazione il centro di Genova con il suo territorio circostante, spingendosi fino nel paese di Casella in alta Valle Scrivia, risale alla seconda metà del 1800, quando il transito verso l’interno era consentito da poche carrarecce. L’impresa per realizzare tale opera - lunga quasi 25 chilometri - si rivelò da subito problematica a causa delle caratteristiche del tracciato accidentato e impervio, ma - grazie anche al ricorso di mine e di operai specializzati - il 1 settembre 1929 fu finalmente inaugurata la prima vettura. Il successo della linea ferroviaria fu assicurato dalla maggior facilità negli spostamenti sia per i primi “pendolari” che per i villeggianti in cerca di svago. Durante la seconda guerra mondiale, fortunatamente la Ferrovia Genova-Casella non subì danni diretti agli impianti, per cui - dopo un primo periodo di sospensione del servizio - tornò a funzionare regolarmente, così da permettere alla gente di scappare dalla città bombardata. Voci di paese vogliono che uno degli sfollati - prima di trasferirsi in campagna - seppellì tutti i suoi averi proprio nell’area picnic di Sardorella. Il punto esatto non è noto, ma pare contrassegnato da un masso a forma di piramide. “D’accordo. Ma con tutta questa vegetazione come lo troviamo il masso a forma di piramide?” obiettò Lucia.

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“Semplice” - replicò Fabio - “Uno di noi si leva le scarpe e cammina scalzo sul fondo erboso fino a quando non sente una punta sotto alla pianta del piede”. “Vorrai dire: fino a quando una punta non gli TAGLIA la pianta del piede” precisò Marco. “Per non parlare di tutti gli insetti che possono pungere il piede” fece notare Silvia. “Io direi di sorteggiare il malcapitato che si lancerà nell’impresa. In cambio avrà una fetta più grande del tesoro. Cosa ne pensate?” suggerì Paola. Dopo un’animata discussione giungemmo a un compromesso: decretammo che sarebbe stato estratto il nominativo della persona che avrebbe perlustrato la zona senza calzature, a patto però di non togliersi anche le calze. “Allora io sono fuori gioco” – puntualizzò Enrica, che indossava un paio di infradito. Il destino volle che l’ingrato compito toccasse a Giuseppina, che però Elisabetta s’offrì di accompagnare lungo la spedizione. Intanto Sianne scattava foto su foto a imperituro ricordo dell’eroica missione. (continua)

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INDICE

Folle prefazione di Elisabetta Baldassari pag. 3 Follie di Susanna Squellerio pag. 4 Follia di Enrica Vacca pag. 6 La follia di Giuseppe Guccione pag. 7 Da dove cominciare? di Giuseppe Guccione pag. 8 Follia di Renato de Luca pag. 10 La folle notte del dott. Gerolamo Scipioni di Marco Marzagalli

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Follia di Giuseppina Sorbello pag. 16 Festa d’autunno di Lucia Tencaioli pag. 17 Il mistero di Sardorella di Paola Carroli pag. 18

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QUADERNI PRECEDENTI Quaderno n. 1 – La terra di Liguria (Maggio 2008) Quaderno n. 2 – Passioni ed incontri Quaderno n. 3 – Festività, tradizioni e personaggi liguri Quaderno n. 4 – Una frase che non ho detto o che ho letto Quaderno n. 5 – I quattro elementi Quaderno n. 6 – Il sogno Quaderno n. 7 – Degli affetti Quaderno n. 8 – Il viaggio Quaderno n. 9 – Il lavoro Quaderno n. 10 – Una strada, una piazza, un vicolo Quaderno n. 11 – Seguire il cuore o la ragione? Quaderno n. 12 – La bellezza Quaderno n. 13 – La fratellanza Quaderno n. 14 – Gli animali Quaderno n. 15 – Romanticismo Quaderno n. 16 – Storie in un altro tempo Quaderno n. 17 – Felicità e tristezza Quaderno n. 18 – La mia città Quaderno n. 19 – La pioggia Quaderno n. 20 – C’era una volta Quaderno n. 21 – Inverno Quaderno n. 22 – Musica Quaderno n. 23 – Il mare Quaderno n. 24 – Autunno Quaderno n. 25 – Un’immagine Quaderno n. 26 – La natura Quaderno n. 27 – Il cibo Quaderno n. 28 – Dedicato a… Quaderno n. 29 – Il silenzio Quaderno n. 30 – Insieme

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Essendo la nostra un'Associazione Culturale libera e indi-pendente, ciascun autore si assume la sola e piena responsa-bilità delle opinioni politiche, religiose e, in generale, delle posizioni etiche e sociali contenute nei propri testi.

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RINGRAZIAMENTI Un grazie sincero da parte di tutti gli scrittori di “Alba Letteraria” va allo staff della biblioteca Lercari e al Municipio Bassa Val Bisagno che hanno sostenuto e finanziato il presente opuscolo. Gruppo culturale

Alba Letteraria http//:www.albaletteraria.beepworld.it

Per informazioni: Gruppo Culturale Alba Letteraria c/o Villa Imperiale - Biblioteca L. G. Lercari L’impaginazione del presente opuscolo è curata da: Fabio Sardi - [email protected] Curatori del sito web: Paola Maria Carròli Marco Marzagalli - [email protected]